Le Due Gemelle

di SamuelCostaRica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** La fine ***
Capitolo 3: *** L'inizio ***
Capitolo 4: *** La ricerca ***
Capitolo 5: *** La guerra dei burocrati ***
Capitolo 6: *** La guerra contro l'Imperatore Touk ***
Capitolo 7: *** L'altra fine ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


E’ sempre difficile raccontare gli avvenimenti che succedono in una galassia.

I libri di storia galattica raccontano sempre le cose in modo strano.

Gli avvenimenti importanti spariscono dietro a storie di gente famosa, nascosti alle persone normali per non modificare il corso degli eventi, per impedire sconvolgimenti di tale misura da mettere in forse l’esistenza di popoli, se non addirittura l’essere della stessa galassia.

Ecco, quindi, che quando qualcuno cerca avvenimenti precisi, essi possono essere nascosti, celati, manipolati, affinché quello che è stato, le persone che vi hanno partecipato, quello che è successo, non turbi l’oggi.

Di certo questi avvenimenti servono a far sì che tali errori non si presentino più.

O almeno, dovrebbero.

Ma spesso gli avvenimenti non capitano per caso.

Di certo qualcuno li guida, vuole che capitino certe cose affinché altre, nel susseguo, modifichino gli avvenimenti, a proprio favore.

Ma andiamo per ordine.

Cercavo, negli archivi dell’Impero galattico, su un pianeta chiamato Pokdfin, tracce di un personag-gio, con un nome veramente strano: Conte Black.
La mia ricerca era finalizzata a rintracciare dove questa persona era vissuta, cosa aveva fatto pri-ma della sua apparizione e degli avvenimenti che lo riguardavano, dove erano accaduti e dove eventualmente si sia nascosto.

Strana ricerca mi ha affidato l’Imperatrice.

Da quanto ho capito, questo Black è vissuto circa mille anni fa e non capisco la necessità di una ri-cerca così postuma.

Ho trovato traccia, in quest’enorme biblioteca, di una strana storia raccontata a pezzi da vari storici del tempo.

Strani storici. Alcuni scrivevano per quello che chiamano videogiornali.

Altre note le ho trovate dentro a fascicoli dei servizi segreti del tempo, ormai inutili e resi pubblici da parecchi secoli.

Ma mettere insieme tutta la storia è veramente difficile.

Certe volte l’Imperatrice non la capisco. Perché farmi cercare certe notizie inutili. Un’altra volta mi fece cercare quelle di un certo Doc. Peggio di così non si poteva. Un anno mi c’è voluto solo per dimostrare la presenza di una sua probabile esistenza in questa galassia…

Strano, però, che i tempi di Black e Doc corrispondano.

Non capisco.

Oh, scusate, non mi sono presentato.

Sono il professore Nietsnie, un cosiddetto…topo di biblioteca.

Sono, come si dice, in pensione. No…scusate, a riposo. Sì… è più giusto dire così.

Ad ogni modo, non capisco l’Imperatrice.

Spesso mi affida degli incarichi strani…

Cercare cose che non si trovano, scovare notizie e leggende tra le più inverosimili, ecco quelle che mi fa fare l’Imperatrice.

La cosa ancora più strana è che un cronista del tempo ha scritto una storia di quegli avvenimenti.

Ho trovato quello che sembra… un libro, un videolibro.

Strano.

Ci vorrà un po’ a tradurlo.

Bhe, incominciamo.. dalla fine?! Sempre più strano. Non capisco… proprio non capisco… ma per-ché l’Imperatrice s’interessa di una storia vecchia di mille anni!

Bho.. avrà le sue ragioni. Meglio non chiedere.

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Capitolo 2
*** La fine ***


L’Imperatore e l’Imperatrice

L’Imperatore Federickoson II e l’Imperatrice Musata stavano intrattenendo i loro ospiti presso il Palazzo Imperiale su Pokdfin, nel giardino primaverile, posto nella zona ovest del palazzo, sotto un’enorme cupola che permetteva di controllare la temperatura della zona, la stagione, il fiorire di certi tipi di fluorescenze provenienti da parecchi pianeti della galassia.

L’Imperatore e l’Imperatrice sorridevano a tutti i partecipanti, quasi non ricordandosi il pericolo scampato.

Tutto era ormai alle loro spalle.

A festeggiare l’avvenimento c’erano il Conte Louk e la moglie Rachel, Freddy, Fiona,  alcuni burocrati rimasti fedeli all’Imperatore, la Contessa Haras, scappata dal suo pianeta dopo che il marito aveva tradito tutti, compreso se stesso.

Ma i festeggiamenti riguardavano il nuovo Barone del pianeta Klack, che Makarre aveva abbandonato con una fuga precipitosa.

Il nuovo barone si chiamava Louirsen Guiorle, con lui c’era la sua promessa sposa Fionji, la figlia del cugino dell’Imperatore, il Duca Struzink, che assomigliava parecchio alla figlia dell’Imperatore Noemi, che con sua sorella Giulia stava giocando con la tigre Elsa.

“Allora, caro Louirsen, come ti pare il tuo nuovo incarico?” gli chiese l’Imperatore, mentre erano seduti su delle comodissime poltrone di color blu sotto ad una tenda che sembrava sospesa nel nulla, li ferma a fare una dolce ombra, anche se il tempo all’interno della cupola, per quella giornata, era stato deciso che fosse mite, per allietare la festa che vi si svolgeva.

“Molto bene, Imperatore, La ringrazio per l’incarico, anche se la zona della galassia da controllare è un po’ remota.” Gli ripose Louirsen.

“Non ti preoccupare. Non ti accorgerai neanche che sei in una zona di periferia della galassia. C’è tutto da ricostruire, dopo il passaggio di Makarre e Touk. Di tempo ne hai tanto. Sei giovane. Hai una bella moglie. Vedrai, ti aiuterà. Nei momenti difficili avrai qualcuno su cui contare. E poi avrete di sicuro dei figli. Vedrai, ti terranno molto occupato.” Disse l’Imperatore, ridendo alla fine della frase. Una risata certamente sonora, cui fece eco Louirsen.

“Spero non come le sue, mio Imperatore.” Gli ribatté Louirsen.

L’Imperatore si fece un poco serio, dopotutto il pericolo che avevano corso le sue figlie era stato grande, ma tutto si era sistemato.

Mentre i due, circondati da alcuni dignitari di corte, se ne stavano allegramente a parlare, sorseggiando una birra di qualche sconosciuto pianeta della galassia, l’Imperatrice Musata, Fionji, Fiona, Rachel ed alcune dame di corte stavano tranquillamente sotto un’altra tenda, non troppo lontana da quella occupata dall’Imperatore.

Ad un certo punto l’Imperatrice allontanò le dame con un cenno, chiamò Freddy, Noemi e Giulia e cominciò a parlare in modo alquanto serio.

“Vedi, Fionji, d’ora in poi dovrai seguire tuo marito lontano dal Palazzo Imperiale, lontana dalla famiglia che ti ha cresciuta, lontano dalla sicurezza che fino ad oggi ti ha circondato. Dovrai essere fedele a tuo marito, prima di esserlo verso la galassia. Fedele, Fionji (sottolineò con la voce l’Imperatrice), non stupida. Di sicuro lui si circonderà di donne di fama più o meno.. come dire… bhe, te lo puoi immaginare. Non farci caso. Non è quello che ti deve preoccupare. Ti devi preoccupare di quelle che mettono in testa a tu marito strane idee. Ma non ti preoccupare, non succederà. Tieni, (l’Imperatrice tolse da sotto le sue vesti una scatoletta rossa con strisce gialle e verdi) quando avrai dei problemi, basta che tu inserisca questo anello, vedi (l’Imperatrice apri la scatoletta ed dentro vi era un anello in platino con uno strano diadema), nel riconoscitore di oggetti, posto nella scatola di trasmissione dati dei tuoi video terminali. Qualcuno di noi si farà vivo. Qualcuno del club delle amiche, e cercheremo di sistemare la cosa. (Fiona accennò ad interrompere l’Imperatrice) Si, lo so Fiona, con te non è stata la stesa cosa, ma c’erano altri problemi, lo sai. In ogni modo, cara (l’Imperatrice chiuse la scatoletta e la pose nelle mani di Fionji) se avrai bisogno, noi arriveremo. Noi donne dobbiamo essere unite, specialmente sapendo cosa diventerai. Altrimenti la galassia potrebbe correre pericoli più grandi di quelli che ha corso fin’ora, inutilmente. Bene, signore. Credo che questo sia tutto. (l’Imperatrice batte le mani sulla gonna, si alzò e con lei tutte le presenti, tranne Fionji) Possiamo andare dai nostri mariti. E’ ora di rimetterli in riga, altrimenti stasera dovremo vestirci da infermiere!” Rise fortemente e tutte le altre gli fecero eco, mentre si dirigevano verso la tenda occupata dagli uomini.

Fionji rimase lì, seduta, con la scatoletta tra le mani.

Rachel si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla destra.

“Su, non ti preoccupare. Vedrai, per parecchi anni l’Impero e questa galassia saranno al sicuro. E poi non ti preoccupare. Louk dice sempre che si farà l’amante, che vuole un sacco di concubine: ma tutte le volte, in un modo o nell’altro, gli faccio cambiare parere. Basta mettere in mostra le nostre grazie.” Così dicendo sollevò la gonna e mostrò a Fionji le sue gambe, lunghe, vellutate, con una scarpina bianca che risaltava la sua abbronzatura.

Fionji rise.

“Sì, capisco. Mi sa che passero un sacco di tempo in palestra.” Disse ridendo.

“No! Basta fare dieci vasche al giorno in piscina. Nuda, direi. (Disse Rachel pensierosa) Alla quinta vasca se non scende a controllare, preoccupati. Se arriva alla settima mi sa che non esci dalla piscina!” Così dicendo risero tutte e due.

“Me ne ricorderò! Ma lo sai che il problema non è quello.” Disse Fionji, abbassando la testa e giocherellando nervosamente con la scatoletta.

“Non ti preoccupare. Quando sarà il momento saprai cosa fare.”

“Sì. Dite tutte così. Ma alla fine sarò io, solo io a sopportare il peso di tutto. Nel bene e nel male. Per cosa poi? Che senso ha, Rachel, il bene della galassia? Perché?‘”

“Perché qualcuno deve guidare la carrozza e deve evitare le buche, se no i passeggeri si arrabbiano e si lamentano. Tu siederai di fianco al cocchiere, volente o nolente, e dovrai evitare che lui mandi nel baratro l’intera galassia e che i suoi abitanti si lamentino. A chiunque è data questa possibilità, è elevato al rango più elevato e può fare tutto quello che vuole e gli viene dato tutto quello che vuole. Purché faccia il suo dovere, se non vuole essere sostituito, destituito o peggio. Non ti lamentare. Sarai aiutata a prepararti al meglio delle tue possibilità. E adesso andiamo!”

Fionji si alzò e, insieme, raggiunsero le altre.

Quando le donne arrivarono sotto la tenda dell’Imperatore, i burocrati e i funzionari dell’Impero se ne erano andati, accompagnando le dame di corte verso il Palazzo Imperiale.

L’Imperatrice si sedette in braccio all’Imperatore, alzando le gonne del suo vestito, mostrando anche lei delle gambe affusolate e abbronzate.

Rachel fece lo stesso con Louk e Fionji non se lo fece dire due volte e fece lo stesso con Louirsen.

“Lo sapevo!” Dissero insieme l’Imperatore e Louk, mentre tutte le presenti si misero a ridere.

“Belle gambe!” disse Giulia, mentre Freddy le imitava, alzando anche lei la gonna, anche se le sue gambe erano un po’ più in carne di quelle delle altre.

“Cara cugina: moto, dieta e un ragazzo, per favore. Non vorrai mica che tutti parlino delle tue gambe!” Disse Rachel. Ma Louk, mentre Rachel rideva a crepapelle, gli diede una spinta, facendola cadere a terra. Nel cadere Rachel alzò completamente la gonna.

“Rachel! Vergognati!” gli urlò L’Imperatrice, prima che il marito facesse a lei lo stesso.

“Musata! Scostumata!“ Gli urlò dietro Rachel.

“Mamma!” Gli fecero eco Noemi e Giulia.

Louirsen tento lo stesso con Fionji, ma lei si attacco e l’operazione non gli riuscì.

“Non ci provare, mio caro!” Gli disse Fionji. “Ho lottato per anni con i maestri d’armi! Ci vorrà ben altro che uno scrollone per farmi cadere per terra.”

Mentre tutti le guardavano meravigliati, Fionji si alzò, strizzando l’occhio all’Imperatrice, ancora per terra con la gonna alzata.

Ma Louisen non si era arreso e, appena Fionji gli voltò le spalle, infilò il suo piede sotto la gonna, facendole uno sgambetto.

Fionji cercò di evitare di cadere in avanti, con un colpo di reni. Ma Louirsen insistette e finì anche lei per terra, con la gonna alzata.

“Bene. Tre a zero per gli uomini!” Disse l’Imperatore. “Possiamo rientrare.”

Tutti e tre si alzarono, e porsero alle loro dame la mano per alzarsi.

Le tre le donne, all’unisono, accennarono con un sorriso: prese le mani degli uomini, gli diedero uno strattone, costringendoli a cadere in mezzo alle loro gambe.

“E adesso, vuoi ancora alzarti, caro?” Disse Fionji, alzando completamente la gonna davanti a Louirsen.

Le altre fecero lo stesso.

L’Imperatore guardò le figlie e le altre invitate presenti.

“Vi dispiace lasciarci soli. Dobbiamo discutere qualcosa con queste signore.” Disse, deglutendo la poca saliva che aveva in bocca.

“Papà, ti ricordo…” Iniziò Noemi.

“Cara “ gli disse l’Imperatrice “tuo padre è stressato e ha bisogni di.. cinque…, no dieci minuti di riposo assoluto.”

Freddy, abbassata la gonna, disse: “Gliene do dieci di secondi a quelli lì.”

Così dicendo si girò e se ne andò seguita dalle altre donne.

“Sei la solita.” Disse infine l’Imperatore “Che cosa vuoi?”

Musata abbassò la gonna e guardò il marito in modo serio.

“Devi dire qualcosa a Louirsen!” Gli rinfacciò

Si alzarono tutti da terra e si sedettero sulle poltrone.

L’Imperatore prese il bicchiere, bevve un sorso di birra e iniziò a parlare.

“Continuano a sostenere che Makarre si è salvato con Gloria. Non so come, ma mi assicurano che ha trovato rifugio su un pianeta tra la nostra galassia e quella di Touk. Lo devi trovare, vivo o morto, e riportare i suoi resti. Gloria lasciala dov’è, non mi interessa. Ma Makarre lo voglio. I burocrati devono sapere che fine fanno i traditori. Non servirà a molto, ma per un po’ la galassia sarà al riparo da qualche matto.”

L’Imperatore finì di bere dal suo bicchiere, appoggiandolo poi con fare distratto sul tavolo.

Rimasero lì in silenzio, mentre una leggera pioggerella primaverile scendeva, picchiettando sul telo della tenda.

“E’ già ora dell’impianto d’irrigazione?” Disse Rachel.

La frase cadde nel nulla.

“Che cosa vuol dire vivo o morto…” Disse Louirsen.

“Quello che la parola vuol dire.” Disse Louk “Se lo trovi vivo… se lo trovi già morto…”

“Non è troppo odio per un uomo battuto?” Chiese Fionji, guardando l’Imperatore.

“Non abbastanza!” Disse l’Imperatrice, seria, con una nota strana nelle parole. Una nota che non ammetteva repliche.

L’Imperatore si alzò e porse il braccio alla moglie: si alzò anche lei, sorridente, e lo seguì, correndo, cercando in qualche modo di ripararsi dalla pioggia con le mani. A metà strada si misero a ridere, cadendo e rialzandosi più volte nel prato.

Louk e Rachel li seguirono subito dopo, riuscendo però a non cadere.

Louirsen e Fionji rimasero sotto la tenda.

“Di solito dura poco… aspettiamo.” Disse Louirsen

Fionji lo guardava, mentre lui si era perso nei suoi pensieri.

Come aveva detto Louirsen, la pioggia cessò poco dopo.

“Caro, ha smesso di piovere… caro…” Fionji prese la manica del vestito di Louirsen e gli diede degli strattoni.

Louirsen trasalì, come svegliato d’improvviso da un brutto sogno.

“Sì.. ha smesso di piovere..” Disse “Ma quando si smetterà di versare sangue. Tutto quel sangue…”

“Per il bene della galassia non è mai abbastanza!” Gli disse Fionji.

“Sei sicura?” Gli chiese Louirsen, guardandola negli occhi, in quegli occhi neri in cui gli piaceva perdersi.

Fionji non rispose.

Si alzarono insieme e si diressero al Palazzo Imperiale.

Da lontano, l’Imperatrice, con i vestiti completamente zuppi d’acqua, li guardava arrivare.

“Vedi la tua fretta. Aspettavi…” Gli disse l’Imperatore.

“Sì.. aspettavi…” Rispose l’Imperatrice, pensierosa.

L’Imperatore guardò ciò che stava guardando la moglie.

Vide due giovani, abbracciati, che percorrevano un prato bagnato, con passo sicuro.

Sì. Di sicuro l’Impero e la galassia erano al sicuro. Il suo successore sarebbe stato degno di essere l’Imperatrice.

Il Barone Makarre, Gloria e l’Imperatore Touk

La fuga del barone Makarre e di Gloria fu a dir poco precipitosa.

Le notizie che arrivano al Barone non erano buone.

L’Imperatore Touk era stato costretto alla fuga.

I burocrati, che avevano condiviso con il Barone l’idea della presa del potere, non erano riusciti nel loro intento e scapparono. Non erano riusciti a sostituire più di cinquanta dei duemilacinquecento burocrati del progetto iniziale.

La fine era vicina.

Il Barone Makarre prese le sue cose e scappo, insieme a Gloria, abbandonando sul pianeta la moglie, le concubine e le amanti, senza parlare dei figli.

Ma al Barone non importava.

L’unica cosa che gli interessava era Gloria e di fuggire con lei.

L’astronave da guerra del Barone partì, con a bordo alcuni burocrati rimastigli fedeli.

Nel tentativo di sfuggire, la nave del Barone si diresse verso l’esterno della galassia.

Dopo quattro giorni di viaggio, mentre attraversavano una nebulosa gassosa, due navi della flotta Imperiale gli sbarrarono la strada, sparando cannonate laser.

Nel tentativo di evitare le bordate, la nave cercò di nascondersi dietro ad una stella, ma all’improvviso Invincible apparve dal nulla.

La nave del Barone fu colpita in pieno da un fascio laser uscita dalla testa del rapace dell’Invincible.

Il motore incominciò a fumare.

La nave scartò di colpo a destra, poi a sinistra e incominciò ad allontanarsi.

Invincible e le altre navi imperiali lo videro sparire nella nebbia della nebulosa.

Le navi imperiali presidiarono per alcuni giorni la nebulosa nell’attesa dell’uscita della nave del Barone.

L’Imperatore diede di persona alle navi di rientrare alle loro basi, abbandonando la nave del Barone al suo destino.

Ma il Barone Makarre conosceva quella zona.

Sapeva di un pianeta, non molto popolato, che si trovava fuori dalla nebulosa.

La nave del Barone, con i motori fuori uso, entro nell’atmosfera del pianeta, fischiando come un pezzo di ferro caldo infilato nell’acqua, con le scialuppe di salvataggio che si sganciavano dalla nave.

Alla fine l’enorme astronave finì in uno degli oceani del pianeta, con un enorme fragore.

Le poche persone del pianeta, che abitavano su quelle sponde dell’oceano, videro l’enorme nave cadere e le scialuppe che si sganciavano a mano a mano e cadevano verso terra.

Alcune non giunsero a terra, perché bruciate dalla scia di fuoco lasciata dalla nave.

Altre, invece, ce la fecero.

La scialuppa, con il Barone e Gloria, atterrò nelle vicinanze di un lago, a centinaia di chilometri da dove cadde la nave.

L’atterraggio non fu uno dei più morbidi.

La scialuppa, nell’atterraggio, scivolò su di un’ala, rotolando nell’erba, poi nei canneti di fronte al lago.

La scialuppa prese fuoco: Gloria trascinò fuori Makarre, mentre le fiamme avvolgevano la navetta, che infine esplose.

Makarre aveva il corpo pieno di bruciature, tossiva, rantolava.

Gloria pianse sul corpo del Barone.

Il Barone gli passò la mano dei capelli, sporchi di fumo.

Non riusciva a parlare il Barone: alla fine rantolò, disse qualcosa d’incomprensibile e poi spirò.

Gloria rimase lì, così, a rimirare e piangere il suo amato Barone per parecchio tempo.

All’improvviso, dietro di lei spuntarono, dal nulla, parecchi uomini.

Erano alti, robusti, con la pelle scura, pelati.

Il più alto si avvicinò a Gloria che ormai non aveva più nulla.

Gloria era, a tutti gli effetti, l’unica rimasta che avrebbe pagato quella follia.

Lì non l’avrebbero mai trovata. Tanto valeva ricominciare.

Gloria sposò quell’uomo e dimenticò tutto e tutti.

I pochi che si salvarono dell’astronave costruirono una piccola città, che fu per parecchio tempo governata da Gloria.

Gloria visse a lungo su quel pianeta.

I servizi segreti dell’Imperatore, alla fine, trovarono Gloria, ma l’Imperatore non fece nulla: lontano e isolata da tutti, Gloria non avrebbe più dato fastidio.

L’incartamento fu sigillato e celato agli occhi indiscreti di qualunque.

Gloria morì come aveva vissuto: sola.

Il Conte Black e Invincible

La dura lotta contro l’Imperatore Touk, il Barone Makarre e i burocrati sfinì sia Black che i suoi compagni di avventura.

Dopo l’attacco all’astronave del Barone, Invincible rientrò alla tana delle tigri.

Erano ormai passati due anni da quando Invicible era apparso in pubblico.

Black mancava dalla tana da almeno un anno e fu per lui un gran sollievo rivedere Doc e tutti gli altri.

Fu accolto come un trionfatore, anche se lui cercava di defilarsi e Ronson l’orso se la rideva con il gorilla Krain insieme al resto della ciurma della nave per l’atteggiamento di Black.

La nave rimase nell’astroporto della tana per parecchi giorni.

Furono sistemati i danni delle battaglie.

Black, un giorno, decise di parlare con Doc.

“Che c’è, Black?” Gli chiese Doc. Erano seduti davanti ad un tavolo di marmo, su due sedie di pietra, in una stanza della tana scavata nella roccia.

“Bel posto. Perché vivi qui, Doc?” Gli chiese Black.

“Non tergiversare: cosa vuoi, Black?”

“Non mi è tutto molto chiaro. Hai mandato la giara della verità a Fionji, la figlia di Struzink: e questo è gia molto strano. Sapevi tutto del Barone e di Gloria, e passi. Ma la storia che non ho capito è perché hai permesso a Huoil di servire alla tana, l’Imperatore e il Barone. Perché, Doc?”

“Era l’unico sistema di sapere tutto, senza dare dell’occhio. Dovevo, Black…”

“Sì, ma perché non dirmelo? Lo sai che di me ti potevi fidare. Perché non me lo hai detto?”

“Perché tu dovevi pensare solo ad Invincible! Non sai per quanto tempo quel progetto è rimasto nascosto, inutilizzato. Era necessario perché qualcuno lo facesse diventare vero, non solo dei disegni tridimensionali nel computer. Tu dovevi pensare ad Invincible. E lo sai che Invincible non è finito. Manca ancora la cosa più importante. Gli manca l’anima. Senza di quella, non serve a nessuno.” Disse Doc, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso una cascata d’acqua che usciva dalla roccia.

“Che cosa vuol dire l’anima? Sul progetto c’è solo una zona dove dovrebbe andare uno strano macchinario che nessuno sa cosa serve. E manca il pezzo da inserirci. Dové quel pezzo, Doc?” Più che una domanda, quella di Black era una supplica.

Doc sospirò.

“Manca il tuo cervello, Black!”

Black rimase stupito: per poco non gli veniva un colpo.

“Il mio cervello?” Disse, balbettando.

“Sì, esatto. Il tuo cervello. La macchina che tu vedi serve a far sì che il tuo cervello continui a vivere dopo la tua morte. O meglio, prima che il tuo corpo muoia, il tuo cervello sarà trapiantato nella macchina. E tu potrai comandare Invincible. Da solo. Potrai spostarti nell’universo senza limiti di tempo e spazio. Potrai fare molte cose. L’unico problema e che dovrai imparare. E a questo servo io.” Disse Doc, sedendosi sulla sedia.

“Che cosa devo imparare?” Black continuava a non capire.

“Vedi, Black, abbiamo cercato per anni chi poteva essere quella persona che avrebbe costruito Invincible e che lo avrebbe comando. Ci sono voluti anni, Black. Anzi, secoli (Doc tolse gli occhi da Black e si guardò le mani) e tu sei il risultato.” Doc alzò la testa e guardò Black fisso negli occhi.

Black si alzò, passando le mani sul volto e camminando nervosamente nella stanza.

“Ma perché hai bisogno di una simile macchina?” Chiese Black, fermandosi davanti ad un finestrone che dava sulla sala delle riunioni.

“Perché l’universo ha bisogno d’ordine. E la tana delle tigri non è l’unica che vuole che l’intero universo abbia un ordine. Esistono altre tane delle tigri nelle galassie vicine. Sì, lo so, è una cosa impossibile. Ma l’Imperatore Touk non sarebbe mai stato sconfitto se non ci fosse stata un’altra tana sulla sua galassia. (Doc si diresse verso Black, che gli voltava le spalle) Era l’unica cosa da fare (Doc pose le mani sulle spalle di Black) e mi dispiace che tu sia stato scelto. Ma sei l’unico. C’era un altro pretendente, ma era inconciliabile con questo… lavoro.”

“Chi era l’altro?” Chiese Black.

“Gloria.”

“Gloria?! La concubina del Barone?! Ma Doc, sei impazzito?” Black si girò di scatto e guardo fisso negli occhi Doc.

“Lo so. Ma purtroppo le vostre dinastie erano incrociate…”

“Ma, Doc, Gloria?!… Non è possibile… è una mia parente?…”

“Sì. Era la figlia di tuo padre e di una sua concubina, che conoscevi bene anche tu. Sua madre era Usona. Te la ricordi?”

“Sì, Doc. Certo che me la ricordo. Ma non ha mai avuto figli.”

“Oh no, gli ha avuti. Ma tuo padre aveva paura, perché pensava che i suoi figli potevano diventare come te. Così Usona diede alla luce tre figli. Una era Gloria, un’altra morì a due anni, per motivi inspiegabili. Il terzo maschio è stato spedito lontano. Dinours.” Disse Doc, guardando per terra.

“Fantastico. E loro lo sapevano?”

“No. Abbiamo fatto in modo che Dinours non pensasse a Gloria come una donna che poteva possedere. Anche perché erano di carattere così diverso.” Disse Doc, sedendosi sul tavolo.

Black era sconvolto.

“Che sarà della mia vita?” Chiese Black.

“Niente. Farai tutto quello che dovrai fare. Ti sposerai, avrai dei figli. Non ti preoccupare. Vedrai. Alla fine sarai contento della tua vita e del tuo futuro.” Gli disse Doc, dirigendosi verso la porta della stanza, con fare furtivo.

“Doc. ” Disse Black “Non mi freghi. Dimmi la verità. Ora!” Gli urlò Black.

“Va bene. Dovrai studiare… esercitarti.. vedrai ti divertirai…” Gli disse Doc.

“Sì. D’accordo. Ma ti avviso: una sola bugia e me ne vado lontano, con Invincible. Poi voglio proprio vedere cosa farai.”

Doc si girò e guardo Black.

Si avvicinarono e si strinsero la mano.

Il discorso non fu più ripreso.

Il Conte Black ripartì dopo due mesi: le riparazioni ad Invincible richiesero più tempo del previsto.

Black sposò poi Freddy.

Doc pensò sempre che erano una strana coppia. Ma non ci poteva far niente. Sapeva che l’amore era una cosa strana. Ma quei due erano così spaiati.

L’Imperatore aveva dato a Black e a Freddy una zona della galassia da controllare che comprendeva anche la tana delle tigri.

Black e Freddy ebbero alcuni figli, vissero felici, forse contenti.

Ma qui le tracce di Black si perdono.

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Capitolo 3
*** L'inizio ***


Capitolo 2 – L’inizio

La partenza (quarto inizio)

“Dai .. muoviti ..”

“Aspetta .. un attimo ..”

“Dai .. forza .. su ..”

“Un attimo .. accidenti..”

“Forza .. dai .. non possiamo stare qui tutto il tempo ..”

“Oh sì .. è vero .. non abbiamo tutto questo tempo ..”

“Smettila di lamentarti .. muoviti ..

“Va bene .. va bene .. con calma ..”

“Ma che calma .. muoviti .. non abbiamo tempo da perdere ..”

“Sì .. come no .. tempo .. proprio quello che ci manca ..”

“Muoviti .. non possiamo più stare qui ..”

“Già .. come se fosse facile ..”

“Lamentati dopo .. adesso muoviti ..”

“Va bene .. va bene ..”

 

L’arrivo (terzo inizio)

Pianeta Neerg. Un pianeta abitato, con mari e oceani, pianure verdeggianti, boschi estesi, con poche montagne. Improvvisamente, da un bosco posto nell’emisfero settentrionale del pianeta sbuco, a gran galoppo, un enorme animale peloso, a sei zampe, alto più di sei metri. Al suo apparire molte specie d’animali volatili iniziarono a volare nel cielo del tramonto, mentre alcuni animali a terra, tra cui alcuni bipedi rumorosi, corsero da tutte le parti, alcune rischiando di finire sotto le zampe del bestione.

In groppa, il bestione aveva una specie di casetta costruita in legno, che sembrava ferma sulla sua groppa.

All’interno, verso la testa dell’animale, vi era il guidatore che lo dirigeva con delle funi in fibra vegetale, collegate ad un morso sistemato nella bocca del bestione, che rispondeva docilmente ai comandi impartiti dall’uomo.

Dietro al locale del guidatore, vi era un piccolo corridoio orizzontale, con una porta di accesso dall’esterno all’interno della casetta, cui si collegavano varie stanze disposte lungo un altro corridoio che correva lungo la schiena della cavalcatura.

In una di queste stanze, due persone erano sdraiate su di un letto imbottito, come lo erano il pavimento e le pareti, con una finestra che guardava verso l’esterno.

“Ma tu dimmi se dovevi usare un simile sistema per arrivare qui ..”

“Sai, non volevo che mi vedessero arrivare.”

“Oh, caro, già, non potevano arrivare così, bussando alla porta, dicendo chi siamo, chi ci manda ..”

“Zitta! Te lo già detto un sacco di volte, nessuno sa che siamo qui.”

“Già, è vero, nessuno lo deve sapere. Figurati, sai che differenza fa ..”

“Sì, un sacco di differenza.”

“Potevi non accettare, bastava dire di no.”

“E perché tu sei voluta venire, allora ..”

“Così, sai che mi annoio da sola ..”

“O forse qualcuno ha deciso che era meglio che una fonte confidenziale fidata comunicasse notizie di prima mano, anziché saperle da qualcun altro.”

“Mhu .. non so .. forse .. magari .. sai com’è ..”

“Sì, lo so com’è, tu e le tue amiche ..” Disse l’uomo sarcasticamente, mentre la donna si rigirava nel letto, voltandogli le spalle.

La donna, di statura media, aveva la faccia lunga con carnagione chiara, occhi neri, un trucco leggero. Indossava un vestito nero, un abito completo, con una gonna stretta e lunga, scarpe nere in pelle con tacco basso e un cappellino nero con veletta. E nessun gioiello.

L’uomo, di statura alta, robusto, con un viso circolare, con una barba e capelli ben curati e di color marrone, occhi nocciola. Vestiva un giaccone di pelle, pantaloni e stivali tutti di color nero, con un enorme anello di platino al dito mignolo della mano destra.

“L’unica cosa decente di questo pianeta è che questa specie di sella non ondeggia troppo.” Disse la donna assestando due pugni ai cuscini nel tentativo di sistemarseli per dormire.

“Su, cara, non arrabbiarti. Abbiamo tutte e due una missione o chiamala come vuoi. Dobbiamo indagare e non è facile facendolo arrivando e bussano, come dici tu, alla porta principale. Dobbiamo purtroppo passare dal retro ..”

“Come i ladri, i truffatori, le spie ..” Disse lei, ponendo l’accento sull’ultima parola.

“Già, come spie.” Ripeté lui, pensieroso.

L’enorme animale correva nella pianura verdeggiante che si estendeva davanti al bosco che si era lasciato alle spalle, a gran velocità, e si dirigeva verso una delle poche montagne che vi erano sul pianeta, ma che risultavo alte, sopra alle quali vi era arroccata una città.

Nella loro corsa, i misteriosi stranieri videro passare di fianco a loro degli enormi paraboloidi puntati verso il cielo.

“Già, come spie, passando di fianco al sistema di sorveglianza anti meteorite del pianeta.” Disse lei. “Più retro di così ..”

I due guardavano le enormi antenne passargli davanti e le montagne che si avvicinavano.

L’enorme bestione iniziò la salita verso la città percorrendo una strada nascosta tra le rocce delle montagne.

Arrivarono alla città nel momento in cui iniziò a piovere.

Una porticina all’interno delle mura basse della città si aprì e una figura incappucciata fece capolino, mentre i due viaggiatori scesero dalla loro cavalcatura, aiutati dal conducente.

“Pochi bagagli, vedo, signori.”

“Già ..” Disse l’uomo.

“Già ..” Fece eco la donna in modo sarcastico ”Siamo partiti in fretta e furia, vero caro?”

“Da queste parti, miei signori.” Disse l’incappucciato

L’uomo prese i suoi bagagli senza battere ciglio, mentre la donna sbuffò in modo sonoro.

“Silenzio.” Gli fecero in coro gli altri.

Il trio entro nella città dalla porticina, che si richiuse alle loro spalle in modo rumoroso, con i cardini che stridevano come se fosse parecchio tempo che nessuno usava quell’ingresso.

Incominciarono a camminare lungo le strade bagnate e strette della città, in salita, con le case a ridosso l’una all’altra, quasi attaccate.

Camminarono per parecchio tempo, con la donna che spesso si fermava, appoggiava a terra le valigie e sbuffava e con gli altri che tutte le volte la convincevano a fare ancora un piccolo pezzo di strada.

Alla fine arrivarono ad una casa in fondo ad una strada parecchio ripida, con una piccola scaletta in pietra sul davanti.

I tre entrarono nella casa, dove li aspettava un’anziana, dai capelli bianchi, occhi verdi, bassa, piegata dagli anni.

“Lei ti accompagnerà nella tua stanza” disse l’incappucciato alla donna, con fare riverente.

L’anziana prese le valigie e incominciò a salire le scale, poste in fondo al piccolo atrio d’ingresso.

“Vai pure” gli disse il suo accompagnatore ”tra poco ti raggiungo.”

La donna seguì l’anziana sulle scale, mentre gli altri due si diressero verso una stanza al piano terra.

L’incappucciato si tolse il cappuccio, che rivelò un volto di donna giovanile, con capelli castani tagliati a caschetto, occhi ovali e neri, bocca sottile e stretta e un bel nasino.

“Mi fa piacere rivederti” le disse l’uomo

“Anche a me. Ma perché ai portato tua moglie?” le chiese lei, in modo preoccupato.

“Sai com’è, il club delle amiche ..”

“Ancora” la interruppe lei “ma è possibile che continuano a mettere naso in certe faccende”

“Lo sai che l’Imperatrice ..”

“Quella buona a nulla. I suoi the, le sue tartine, i suoi anelli in platino .. perché non se ne sta al suo posto?”

“Gelosa..” Disse lui, abbracciandola.

“Lo sai come sono .. mi arrabbio per niente .. quella maledetta cugina ..”

“Ma bravo .. ti lascio solo un attimo a ti trovo abbracciato a chi?” la donna era spuntata improvvisamente alle loro spalle.

“Oh cara, ti presento ..”

“Si, come no, la cuginetta cara, come stai?”

“Ti prego, Rachel, non fare così” le rispose la ragazza ”mi fa piacere vederti.”

“A me no, cara Freddy, o scusi, Sua Regale Maestà Frederick Gorgolie Dancantouse” la rimbecco la donna con fare sarcastico “se sapevo che c’era lei, non venivo” proseguì guardando il marito in modo torvo.

“Va bene, adesso calmati “ le disse l’uomo lasciando la ragazza e rivolgendosi alla moglie, agitando le mani “Adesso ti spiego.”

“Esatto caro Barone Louk Louiose, mi dovrai dare parecchie spiegazioni a me e a qualcuno ..”

“Non penso che a qualcuno al di fuori di questa casa interessi molto le spiegazioni mie o di tuo marito, cara Rachel, non pensi che il caro club farebbe fatica a capire la cosa?”

“Lascia stare il club, e dimmi cosa fai qui?”

“Adesso basta” disse l’uomo “litigare non serve a niente… e qualcuno potrebbe sentirci.”

“Scherzi, sentirci, aspetta che il Conte sappia che siamo qui e vedrai” gli rispose la moglie.

“Peccato che nessuno deve sapere che siamo qui, se no tutto quel viaggio ..” La rimbeccò il marito.

”E la fatica di nascondermi.“ Rispose la ragazza.

La donna incrociò le braccia, con un fare di disappunto, ma accettò la situazione.

“Bene.“ Disse l’uomo “Visto che è tutto a posto, possiamo discutere di questo viaggio, più o meno inutile a secondo delle sfaccettature. Allora .. Freddy .. cosa mi dice della situazione?” chiese l’uomo, tentennando.

“Vedi, caro Louk, (la moglie tossì) qualcuno pensa che la leggenda .. si possa avverare .. che qualcuno possa fare in modo che .. mischiando le carte .. “ e Freddy s’interruppe

“E poi?” Sollecitò Rachel

“E poi qualcuno cercare di impossessarsi del potere, o meglio, di scacciare i vassalli più vecchi e di convincere gli altri a seguirlo.” Disse Louk

“A che pro?” Chiese Rachel

“Come se non lo sapesse, poverina!” disse Freddy, girandosi e dirigendosi verso un enorme divano che occupava una parete della camera, ammobiliate in modo semplice, con un mobile vicino alla porta d’ingresso, un tavolo lungo un’altra parete e, per terra, un tappeto di modesta fattura.

Nel dirigersi verso il divano, Freddy si tolse il mantello che la copriva, lasciandolo cadere per terra in modo indifferente, rivelando la figura di una ragazza giovane, in carne, di statura piccola, e il vestito che indossava era un pezzo unico, corto, aderente, di color giallo oro. E quanto la ragazza di girò per sedersi, il vestito rilevo anche un seno prosperoso.

Louk guardo la ragazza dal basso all’alto, ma Rachel da dietro gli mollo un ceffone sulla testa, mentre anche lei si avviava verso il divano, sedendosi a sinistra di Freddy, che guardava Louk con occhi languidi.

“Carina “ Le disse in modo beffardo “Guarda che le tue moine piaceranno a lui (così dicendo guardò il marito), ma a me non fanno alcun effetto. E sarà meglio che tu sia un po’ più precisa.“ Così dicendo prese il mento della ragazza con la mano destra e le fece girare il viso affinché la guardasse in faccia “Capito?” Concluse, lasciandola di scatto.

Freddy si massaggiò il mento, mentre Louk faceva da paciere tra le due donne.

“Su smettetela.“ Disse dirigendosi verso il tavolo e appoggiandosi al bordo “Ma dobbiamo sapere cosa succede e chi vuole che succeda. Lo sapete cosa c’è in gioco. Lo sa il club (guardò sua moglie), lo sa Doc (e guardò Freddy) e lo sa il consiglio, o forse lo presume. Ma di certo qualcuno, nell’ombra, mischia le carte e sta cercando qualcosa.”

“Le due gemelle!” Dissero in coro le due donne

“Sì, ma quali gemelle?” Sottolineò l’uomo

“Le stanze sono pronte, signora” disse l’anziana donna entrando nella stanza.

“Grazie” rispose Freddy “sarà meglio dormirci sopra” continuò, alzandosi e facendo cenno ai suoi ospiti di dirigersi verso le camere poste al piano di sopra.

“Sì, una buona nottata ci farà bene” disse Rachel, alzandosi e avviandosi verso le scale “Andiamo caro” disse in farsetto.

Al mattino, quando Rachel e Louk scesero nella sala da pranzo posta di fronte al soggiorno, trovarono Feddy già seduta a mangiare, con addosso una camicetta blu notte aderente, un paio di pantaloni blu cobalto infilati dentro agli stivali neri con tacchi bassi.

Rachel indossava una tuta larga viola con pantaloni e stivali.

 “Buongiorno, cara.” Disse Rachel

“Buongiorno Rachel. Louk. Dormito bene?”

“Sì grazie.” Rispose, precedendo la moglie, Louk, che indossava un maglione rosso e un paio di pantaloni e scarponi da lavoro.

“Strano vestito, Louk.” Gli disse Freddy “Vuoi passare inosservato?”

“Meglio. Voglio proprio che nessuno mi noti.”

“Che cosa volete, signori?” Chiese l’anziana domestica apparendo all’improvviso alle loro spalle.

Louk chiese del the, Rachel del caffè di Thommas, un cereale del pianeta natale di Rachel.

“Non perdi mai le tue abitudini” le disse l’anziana.

“Chi sei tu per dirmi ciò?” le disse Rachel

”Che frase celebre, da celebre letteratura pre-galattica!” Le disse Freddy ridendo. “Non ti ricordi Neil, la mia domestica.” Continuò dopo una breve pausa.

“Si, adesso, dovrebbe avere più di cento anni standard” le rispose Rachel

“Centodue” precisò l’anziana.

“Adesso basta” interferì Louk “mangiamo che abbiamo da fare. Dobbiamo incontrare qualcuno e il tempo continua a peggiorare. Potrebbe arrivare anche una tempesta”

“No. Hanno previsto grandine per oggi.” Precisò Freddy.

Il trio fece colazione in silenzio, degustando le tortine alla frutta preparate dalla domestica.

Finita la colazione, i tre si prepararono ad uscire, indossando dei pastrani che li coprivano fino ai piedi.

Louk si mise in tasca anche uno strano oggetto circolare e lungo.

“Non vorrai girare armato, caro” le disse Rachel.

“Qui girano tutti armati cara” le disse Freddy.

“Anche tu dovresti averne una, cara.” La rimproverò Louk

Rachel batté con la mano contro la sua anca, da cui ne uscì un rumore metallico.

“Non ti preoccupare. Non giro nuda.”

“Vorrei ben vedere” le ribatté Freddy “non vorrai che gli uomini ti corrano dietro ..” Ma s’interruppe, vedendo che il viso di Rachel stava diventando scuro.

“Fuori tutte e due. Ci vediamo stasera.” disse Louk spingendole verso la porta.

“Prepari per la cena, Neil ..” Urlò Feddy, mentre Louk la spingeva fuori.

“Ognuno per la sua strada” disse Louk alle donne fuori della casa e fu inghiottito dalla città.

“Bello. Lui va e io qui a cercare di capire dove sono” disse Rachel

“Dove devi andare, cara?” le disse Freddy

“A palazzo. Dove se no?” la rimbecco Rachel

“Allora lo troverai di sicuro. Io ho altro da fare!” E anche Freddy si incamminò lungo una strada in discesa e fu inghiottita dalla città come Louk.

“Bravi. Loro hanno da fare: e io. Accidenti, piove anche”

Rachel s’incamminò verso una strada in salita. Giunta ad una piazza trovò delle indicazioni scritte con strani simboli, ma non le fu difficile tradurli con il suo traduttore istantaneo.

“Bene. Di qua” e giro a sinistra, passando sotto un arco di pietra e continuando a salire per una stradina stretta.

Ci volle più di mezz’ora prima che incontrasse un’altra piazza e delle nuove indicazioni che la conducesse al palazzo.

Alla fine arrivò ad un muro, di costruzione differente da quelli delle case che aveva fino ad allora visto in città e capi di essere giunta a destinazione.

Segui il muro verso sinistra, dove la pendenza della strada era in discesa, e si diresse decisa verso una porta di legno massiccio, con rinforzi metallici.

Avvicinandosi, Rachel si guardò intorno, mentre il vento le sferzava il volto e la pioggia continuava a scendere copiosa.

Appoggiò la mano sul muro, su una mattonella decisamente fuori posto dal contesto: si sentì uno scatto e la porta si aprì vero l’esterno.

Rachel la tirò a sé e, in modo guardingo, la oltrepassò e s’introdusse nel palazzo.

All’interno trovo una torcia accesa.

Chiuse la porta e seguì un corridoio che scendeva.

Alla fine del corridoio incontro una porta, simile a quella da cui era entrata.

Premette un’altra mattonella nel muro scrostato e la porta si aprì. Questa volta verso l’interno.

Rachel entrò, ma qualcuno dall’altra parte la attendeva.

“Ti fai sempre aspettare” disse una voce femminile, alquanto giovane.

“Scusami. Ci hanno ospitato in un luogo diverso, e non riuscivo a trovare la strada.”

“Lo sai che non gli piace aspettare.”

“Sarà bene che si abitui a certe condizioni di vita. Potrebbe essere peggio. Nessuno è attualmente al sicuro, mia cara”.

“A lei non piace aspettare. Lo odia.” Ripeté la ragazza.

“Andiamo” disse Rachel

La figura femminile era ricoperta da un velo nero, che la ricopriva fino ai piedi. Precedette Rachel attraversando una porta e salirono delle scale.

Alla fine della breve rampa di scale trovarono un ascensore a vetro. Vi salirono e la ragazza digitò un codice sopra ad un pannello numerico.

L’ascensore incominciò a salire. Davanti a loro passarono vari piani, un enorme atrio, altri piani. Alla fine l’ascensore si fermò e le due donne scesero.

Percorsero un corridoio laterale fino ad una porta che si nascondeva nell’arredo del palazzo. La ragazza la aprì e fece introdurre Rachel.

All’interno l’arredo della stanza era molto ricercato: tavoli, sedie, mobili erano bianchi con intarsi in oro, quadri di valore alle pareti, lampadari e lampade da tavolo d’orate.

Il soffitto della stanza era a volta, come quelle adiacenti.

Rachel, sicura, levandosi il pastrano, si diresse verso la stanza di destra.

Entrando vide un gruppo di donne, completamente nude,  sedute sul bordo di una piscina che parlavano tra di loro.

Nella piscina vi erano tre donne che, quando Rachel entrò, ebbero un sussulto.

“Vi prego, signore, non dovete urlare. Voglio parlare con la padrona.” Disse Rachel, cortesemente.

“E’ un piacere vederti, Rachel” La voce proveniva da una stanza posta oltre la piscina. ”Accomodati”

Rachel passò di fianco alla piscina, sotto gli occhi vigili delle donne, ed entrò nella stanza.

“E’ un piacere rivederti Haras cara: come stai?”

La donna cui era rivolto il saluto di Rachel aveva circa cinquant’anni standard galattici, capelli neri lunghi di color corvino, raccolti dietro la nuca, viso ovale, occhi a mandorla di color nero, bocca con labbra carnose, di piccola statura, di corporatura robusta. Indossava una tunica con colori sgargianti: oro, arancione, rosso ed era sdraiata su di un divano.

A farle compagnia vi erano due ragazze, di bell’aspetto, ma nude.

“Sì, un vero piacere. Togliti quel sorrisetto stupido e melluoso dalle labbra. Cosa sei venuta a fare su questo pianeta perso da tutti, Imperatrice compresa? Lo sai che ormai sono tre anni che non viene a trovarmi?” Gli rinfacciò la donna.

“Lo so.” Gli disse Rachel avvicinandosi alla donna, che le fece cenno di sedere su di una sedia vicino a lei.

“Andate.” Disse Haras alle ragazze.

Quando queste furono uscite dalla stanza, Rachel continuò a parlare.

“In questo momento una grave minaccia incombe sulla nostra galassia, sul nostro Impero e su quelli vicini. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Compreso il tuo, anche se non sei d’accordo.”

“Perché non ti credo? Perché l’Imperatrice manda te in gran segreto, non scrive un messaggio, due righe? .. Niente .. perché?”

“Perché i nemici sono ovunque, anche dove non vorresti.”

“Non i miei, mia cara.” Disse Haras alzandosi dal divano, e dirigendosi verso un tavolo ricoperto di frutta. “I miei sono …”

“Defunti, Haras!” sottolineò Rachel

“Sotto controllo, Rachel. Sotto controllo.” Rispose, assaggiando un frutto ovale e rosso. ”Sotto controllo” ripeté pensierosa.

“Allora, mi aiuterai?” chiese Rachel dopo un breve silenzio

“Solo per la nostra amicizia. E non pretendere di più. Avrai il mio appoggio solo sui pianeti controllati da mio marito. Ma non credere che sarà facile. Ci sono molti nemici, che la prenderebbero come una scusa bella e buona il tuo andare in giro, e chiedere cose che non devi chiedere.”

“Io non devo chiedere a chiunque mia cara” disse Rachel alzandosi e dirigendosi verso Haras “Voglio solo parlare con gli anziani e i sacerdoti. Nulla di più”

“Già. E Freddy e Louk cosa cercano?” Gli disse freddamente Haras

“Chiedilo all’Imperatore” gli disse Rachel, prendendo un frutto dal tavolo.

“Quello no” gli disse Haras “E’ meglio che non lo mangi se non hai preso l’antidoto. Meglio non fidarsi” e gli porse un frutto di quelli che aveva già assaggiato lei “Questo è sicuro” le disse sorridendo.

Dietro a loro apparve, all’improvviso, la stessa ragazza che aveva accompagnato Rachel.

“Ti riporterà da dove sei venuta.” Disse freddamente Haras, voltandosi ed uscendo dalla stanza verso la piscina.

Rachel prese il pastrano e seguì la ragazza fino alla portina da cui era entrata nel palazzo.

La ragazza salutò Rachel, chiuse la porta e torno agli appartamenti delle donne.

Haras era immersa nella piscina, con le ragazze che le facevano compagnia, ridendo in modo fragoroso.

“Se n’è andata?”

La ragazza si tolse il velo e guardò la donna.

“Allora, Freddy, se né andata?” ripeté la donna, sillabando.

“Se n'é andata, ma non mi sembrava il modo giusto di trattarla!” Le rispose Freddy, alterata.

“Perché .. perché avrei dovuto aiutarla? Non gli devo niente .. a quelle là ..” Inveì Haras, sbattendo le mani nell’acqua e schizzando le ragazze dentro e fuori della piscina.

“Già, ma quella là avrebbe potuto aiutarti con l’Imperatrice.” Gli urlò Freddy

“Non mi importa!” urlò Haras, incominciando a piangere “Non mi importa. Non mi dovevano mollare qui, da solo, con quel deficiente .. che non sa neanche fare l’uomo.. come si fa..“

“Calmati!” Gli urlò Freddy “Non davanti alle ragazze. Adesso ci penso io a sistemare le cose. E tu vedi di dimagrire un po’.”

“Fai in fretta tu!”

Ma a quel punto della discussione, Freddy se ne stava già andando, sentendo alle sue spalle Haras che s’infuriava con le ragazze.

“Imbecille” disse tra se e se “fare certe figure con quella, con quello che succede, con quello che cercano. Peggio per lei, gli passerà.”

Freddy corse giù per una scalinata, s’infilò in stretti corridoi sempre più in basso, fino ad una piazza sotto terra. Una piazza enorme, con in mezzo una bella fontana con acqua fresca che zampillava fuori dai vari personaggi che scalavano una montagna.

Un uomo la aspettava nella penombra.

“Allora?”

“Niente, Louk, niente. Ha chiesto il suo aiuto e se né andata. Ma non gli ha detto per cosa. Che cosa vuoi che ti dica? Che cosa cerca non si sa.”

“Bene. Allora continuiamo a cercare. Qualcosa troveremo.” Gli ripose Louk

“Sì. Ma cosa?”

Louk gli diede il pastrano e, insieme, si diressero nella direzione opposta da cui era venuta Freddy.

La sera giunsero a casa poco dopo Rachel, che li attendeva in soggiorno.

Parlarono per un po’ del più e del meno, indifferenti, finché l’anziana domestica non li avvisò che la cena era pronta.

Si spostarono nella sala pranzo, mangiarono e poi andarono a letto.

Un altro giorno era passato, senza che nulla succedesse o, meglio, che nulla si sapesse su cosa o su chi: per Freddy e Louk era un mistero. Ma Rachel, mentre si preparava ad andare a letto, pettinando i suoi capelli davanti allo specchio del comò, pensava e ripensava a qualcosa, mentre Louk la guardava, bella come il primo giorno che l’aveva conosciuta e sposata. Bella e misteriosa. Troppo.

 

La fuga (secondo inizio)

“Non puoi farlo. Che cosa penserà tuo fratello?”

“Chi se ne frega. A lui di me non gliele importa niente.”

“E sua moglie..”

“E’ troppo occupata con le sue amiche. Non ti preoccupare. Non se ne accorgeranno neanche.”

“Non esagerare. Lo sai che, comunque, per la tua ..”

“Per la mia posizione. Oh, cara, la mia posizione è anche fin troppo scomoda. Mi sono stufata. Meglio andarsene e senza voltarmi indietro. Potrei ripensarci.”

“Bene”

“Un corno. Muoviti, prendi quel bagaglio. Dobbiamo andarcene. Più saremo lontani domani, più sarà difficile trovarci”

“E con cosa scapperemo?”

“Io scappo. Tu rimani. Mi dovrai avvisarmi di tutto quello che succede.”

“E con cosa scapperete?”

“E’ già tutto pronto. Un’astronave mi porterà lontano. Ho trovato un pianeta che non è su nessuna mappa stellare. Fuori di ogni rotta.”

“E poi?”

“Il dopo lo vedrò. Ora andiamo.”

 

Il rapimento (primo inizio)

La nave Imperiale viaggiava tranquillamente nello spazio profondo, a velocità luce, senza scossoni, con  i suoi ospiti occupati a divertirsi e distrarsi, nell’attesa di giungere alla prossima meta. La nave stava facendo un giro dell’Impero per tenere vivi i contatti tra l’Imperatore e i suoi sudditi, suddivisi tra i vari pianeti presenti nella galassia. Come ambasciatore aveva inviato sua figlia Noemi, una giovane, slanciata, con un bel viso ovale, capelli neri, orecchie piccole, nasino all’insù, labbra carnose e occhi .. bhe, il colore degli occhi cambiava a seconda degli umori della principessa grazie a delle lenti a contatto particolari, usate spesso dalle ragazze dei ceti alti della dinastia Imperiale.

La nave uscì dalla velocità luce in vicinanza di un sistema solare il cui sole, o meglio soli, erano uno di un bel giallo, l’altro un arancione cupo.

Il quarto pianeta del sistema era di colore azzurro, visto dallo spazio.

All’improvviso, un brusco spostamento dell’astronave fece scattare tutti gli allarmi interni, le luci principali si spensero e si accesero quelle d’emergenza.

“Siamo attacchi!” urlò una voce

“Presto, mettete in salvo la principessa ..” Ma la voce si perse nell’enorme trambusto e nel caos che ormai avevano preso il sopravvento.

L’equipaggio tentò di riversarsi sulle scialuppe di salvataggio, ma i colpi che continuavano a raggiungere la nave non permisero la fuga a nessuno.

Dopo appena una mezz’ora dalla prima bordata, la nave si fermò e fu abbordata da una nave di dimensioni notevolmente più grandi della sua e notevolmente più armata.

Parecchi uomini incominciarono ad entrare nella nave, anche se le guardie imperiali facevano di tutto per impedire quell’irruzione.

Ma la resistenza delle guardie durò poco: prese tra vari fuochi da parte degli assalitori, si arresero.

Gli uomini che assunsero il comando della nave erano dei brutti ceffi, che sembravano usciti da qualche vecchio film di pirati spaziali.

Incominciarono a perlustrare la nave in cerca di qualcosa o di qualcuno.

“Dov’é?” urlò una voce. Di certo il volto dell’uomo che urlava non era meglio della sua voce: basso, storpio, si aiutava con un bastone per camminare, aveva una classica benda sull’occhio destro, i denti gialli ed alcuni erano pure rotti.

“Allora, dov’è?” urlò ancora.

Gli andò incontro un uomo alto, robusto, pelato, con un viso rotondo e grossi occhiali scuri che nascondevano gli occhi piccoli.

“Non riusciamo a trovarla. Di sicuro è nascosta tra le ancelle e sarà sicuramente difficile trovarla.”

“Difficile? prendetele tutte e portatele qui. Voglio proprio vedere se continuerà a nascondersi.”

Così dicendo si girò e fece un gesto brusco ai suoi uomini, che si precipitarono verso un ponte sottostante della nave e ne ritornarono trascinando parecchie ragazze, alcune per i capelli, altre per le gambe, che urlavano e si dimenavano disperate.

“Allora” disse “chi di voi è la principessa? Nessuna risponde? Ah, già vero, siete tutte la principessa in questione, non è vero?” Così dicendo squadrò ogni singola ragazza dal suo unico occhio.

“Non parleranno.” Disse l’uomo grosso e calvo.

“Torturarle mi sembra la cosa migliore.” Disse il comandante, fregandosi il mento, pensieroso. ”Sì, mio caro vicecomandante, penso proprio che procederemo così. Tutte insieme, così ci divertiamo di più”

“No.” Disse infine la principessa Noemi “Sono io quella che cercate. Lasciate stare le altre ragazze. Loro non significano niente per voi”:

“Va bene. Portatela via. Andiamo!” Urlò il comandante.

“Capo! Capo!” Urlò un pirata arrivando da un corridoio laterale della sala ove erano tutti raccolti.

“Che c’è?” urlò il vicecomandante

“Una scialuppa di salvataggio si è staccata dalla nave.”

“Idioti. Ho detto che nessuno doveva lasciare la nave. Distruggetela!” Urlò il comandante.

Dalla nave pirata furono sparati alcuni colpi in direzione della piccola scialuppa, che fece subito delle manovre eversive nel tentativo di schivare i colpi. Una, purtroppo, la prese di striscio: del fumo bianco incominciò ad uscire da un motore, mentre la navicella ruotava su se stessa.

“Si sta dirigendo verso quel pianeta.” Urlò uno dei cannonieri sulla nave pirata.

“Lasciale stare.” Urlò il vicecomandante. “Se riesce ad atterrarci, o il freddo o i guardiani non gli lasceranno scampo.”

“Quante persone c’erano sulla navicella?” chiese il comandante salendo sul ponte di comando della nave pirata.

“Un essere umano e un ..” Disse uno dei tecnici davanti ai display sul ponte di comando.

“Un .. cosa?” chiese il comandante

Tutti trattennero il fiato. Non dare giustificazioni al comandante non era una cosa buona: il suo bastone non avrebbe perdonato nessuna defezione o insicurezza.

“Direi.. signore.. un robot.. un bionico.. forse.. signore..” Disse il tecnico.

“Un..  bionico.. idioti! Come si fa a farsi scappare.. “ Inveì il comandante “Un bionico di che tipo?” Chiese calmo.

“Una.. tigre.. signore..” Rispose il tecnico

Quello che successe dopo è sicuramente una delle scene meno edificanti che occhio umano o no possa dire di avere visto: il comandante, seppur piccolo, roteando il bastone, incomincio, urlando parole incomprensibili, a colpire persone o cose in modo indifferente.

La lotta, decisamente impari, tra il comandante infuriato e il suo equipaggio, durò alcuni secondi, sufficienti per rompere metà degli strumenti nella zona radar e mandare in infermeria quattro dei cinque tecnici addetti ai radar.

A quel punto il vice comandante intervenne a bloccare il comandante, mentre tutti tiravano un sospiro di sollievo.

“Che vi prende?” disse il secondo, tenendo sollevato il comandante attacco al suo bastone

“Idioti.. la tigre.. bionica.. è la guardia del corpo.. della principessa.. perché e scappata?” urlò il comandante, senza più fiato.

“Chi se ne frega!” lo ammonì il secondo “La principessa è qui e la sua tigre no. Questione chiusa.”

Così dicendo il vice mollò il comandante, che cadde in modo rumoroso sul pavimento della sala comando.

“Avanti. Molliamo tutto e andiamocene, abbiamo ciò che vogliamo” Urlò il secondo agli uomini, che stavano ancora ridendo per il tonfo del comandante

La nave pirata mollò quella Imperiale, che fumava in modo evidente da vari punti.

“Sarà meglio distruggerla” disse il comandante, mente si alzava dal pavimento fregandosi le zone doloranti.

“No” urlò la principessa.

“Portatela fuori di qui, nella prigione.” Urlò il secondo

“Puntate i cannoni sulla nave” urlò il comandante “e fate fuoco a volontà. Non deve rimanere niente”

Mentre la principessa urlante e piangente era trascinata letteralmente via da due ceffi di pirati, i cannoni del ponte superiore spararono all’unisono, distruggendo la nave Imperiale.

“Nessun testimone .. nessuno vede .. nessuna sa .. nessun problema.” Disse il comandante.

La nave pirata si allontanò dal luogo del misfatto, senza accorgersi che un’altra nave, un vascello per ricerche spaziali dell’Università Imperiale faceva capolino da dietro una delle molte lune del sesto pianeta del sistema solare. Una nave un po’ troppa curiosa, visto che aveva assistito a tutto e aveva anche registrato quello che era successo.

 

Il cammino

“Allora.. ti muovi..”

“Fai piano.. pesa..”

“E piantala.. l’idea è stata tua.. sei la solita..”

”L’idea non è stata mia.. ma di qualcun altro..”

“Già.. e tu non gli hai detto di no.. ovviamente..”

“E cosa dovevo dirgli .. non si fa .. non va bene .. non possiamo ..”

“Basta .. cammina .. ne riparleremo dopo ..”

“E no .. dopo quando .. fermati a parliamone adesso ..”

“Non qui .. ci possono vedere .. più avanti .. dopo il deserto ..”

“Oh, scusa .. è vero .. qui ci vedono ..”

“Basta .. cammina ..”

“Uff ..”

 

Il pianeta Oleg

“Capo. Capo” urlò un pirata arrivando da un corridoio laterale della sala ove erano tutti raccolti.

“Che c’è?” urlò il vicecomandante

“Una scialuppa di salvataggio si è staccata dalla nave.”

“Idioti. Ho detto che nessuno doveva lasciare la nave. Distruggetela!” Urlò il comandante

Dalla nave pirata furono sparati alcuni colpi in direzione della piccola scialuppa, che fece subito delle manovre eversive nel tentativo di schivare i colpi. Una, purtroppo, la prese di striscio: del fumo bianco incominciò ad uscire da un motore, mentre la navicella ruotava su se stessa.

“Si sta dirigendo verso quel pianeta.” Urlò uno dei cannonieri sulla nave pirata.

“Lasciale stare.” Urlò il vice comandante. “Se riesce ad atterrarci, o il freddo o i guardiani non gli lasceranno scampo”

“Quante persone c’erano sulla navicella?” chiese il comandante salendo sul ponte di comando della nave pirata.

“Un essere umano e un ..” Disse uno dei tecnici davanti ai display sul ponte di comando.

“Un .. cosa?” chiese il comandante

“L’abbiamo scampata bella.” Disse l’animale alla ragazza, troppo occupata a guidare la scialuppa di salvataggio lontana dalla nave spaziale Imperiale Bellatrix attacca dai pirati.

Le bordate dei cannoni arrivarono all’improvviso.

La ragazza fece subito delle manovre elusive, ma un colpo colpì di striscio un motore e la scialuppa divenne inguidabile.

La ragazza tentò in tutti i modi di governarla, ma ormai la navicella se ne andava per conto suo, e si diresse verso un pianeta di un bel color bianco.

“No! Lì no!” urlò l’animale

“Smettila! Ci salveremo lo stesso.. come se non avessimo fatto di peggio..”  Disse la ragazza, molto preoccupata.

Il pianeta verso cui la navicella all’inizio si era indirizzata e poi era stata attratta dal suo campo magnetico, non era un bel posto.

Il suo anno durava circa due anni galattici standard. Anche se aveva un’atmosfera respirabile, era troppo lontana dal sole per essere sufficientemente scaldato.

La navicella entro nell’atmosfera rotolando come una palla, scaldandosi, bruciando in modo anomalo la copertura esterna di protezione.

Sballottati all’interno della scialuppa, i due passeggeri, anche se scampati ai pirati, se la videro veramente brutta.

L’atterraggio, infine, fu il minore dei mali. La navicella, toccando il terreno gelato del pianeta, incominciò a fischiare: era l’effetto del troppo caldo dei pannelli esterni con il freddo del terreno.

Lo sportello di sicurezza della scialuppa di aprì di colpo e i due viaggiatori furono sbalzati all’esterno.

La temperatura non era delle migliori. Gli strumenti, quei pochi che funzionavano primo dell’impatto, segnalarono una temperatura, di giorno, di –50 gradi assoluti: per fortuna la ragazza era riuscita, in tutto quel trambusto, ad indossare la tuta spaziale, che l’avrebbe protetta per un po’.

L’animale non sembrava per nulla felice del posto, ma non si lamentò della temperatura.

“Presto, troviamo un riparò!” urlò la ragazza all’animale.

Si diressero verso una specie di collina, ricoperta di neve, da cui scendevano stalattiti di ghiaccio, che nascondeva gli ingressi di alcune grotte.

“Pessima situazione.” Disse l’animale.”Qui non possiamo stare.”

Si stava alzando una tormenta di neve e, fuori della grotta, videro passare strane macchine circolari, che volavano a mezz’aria, con delle gambe nella parte inferiore e strane antenne nella parte superiore.

“Guardiani!” pensò la ragazza, spaventata. Potevano scovare una persona dal minimo movimento, un sospiro, un gesto: erano stati messi a guardia di qualcosa che nessuna sapeva o conosceva da un antenato dell’attuale Imperatore.

I guardiani stazionarono per parecchio tempo nella zona, sondando il terreno intorno alla navetta, cercando tracce, nascoste ormai dalla tormenta.

Ad un certo, uno dei guardiani si girò di scatto vero un punto, ma la luce del laser rischiarò per un secondo la zona e il guardiano esplose.

Un secondo si girò dalla stessa parte, ma un enorme orso bianco, sbucato dal nulla, lo assalì, distruggendolo.

Qualcosa d’umano apparve d’improvviso nella grotta, prese la ragazza per mano e la strattonò, costringendola a seguirlo. La ragazza all’inizio oppose una resistenza, ma quando i colpi dei laser di altri guardiani che stavano sopraggiungendo colpirono il soffitto della grotta, lo seguì senza tante storie.

Anche l’animale seguì la ragazza.

L’uomo fece strada, correndo lungo un corridoio di ghiaccio che partiva dalla grotta e proseguiva, sotto la collina.

La corsa durò parecchio, mentre dietro i guardiani cercano di prenderli, alle volte bloccati dalle dimensioni ridotte del cunicolo, altre volte da lampi di laser sparati da chissà chi.

Alla fine del corridoio, l’uomo incominciò a salire, come un vero rocciatore: o almeno sembrava, fino a che la ragazza non si accorse subito dei gradini scavanti nel ghiaccio.

La salita durò poco, anche perché l’uomo sparì e la ragazza con l’animale si fermarono su un piccolo spiazzo.

All’improvviso, l’orso che prima aveva attaccato i guardiani, salto addosso alla ragazza e all’animale, trascinandoli giù per uno scivolo, che li portò all’interno di un’altra grotta .. forse .. la ragazza si guardò intorno.

Più che una grotta sembrava una stanza ben arredata, con tavolo e mobile di legno, un camino in cui vi era acceso un bel fuoco, pochi quadri alle pareti (quadri con vedute di spiagge o tramonti di posti caldi), sedie..

La ragazza di sedette su una panca e cominciò a togliersi i vestiti, mentre la tigre guardava bieca l’orso, digradando i denti e mostrando due favolosi canini a forma di sciabole: di certo taglienti e acuminate.

“A cuccia!” gli ordinò la ragazza, mentre alzandosi si toglieva i pantaloni della tuta, mostrando la sottotuta bianca,  aderente e leggera, che era solitamente usate sotto quel tipo di tuta così pesante.

La ragazza era di statura piccola, viso rotondo, che sembrava in soprappeso per la sua età così giovane.

La tigre si accucciò davanti al fuoco, come per scaldarsi: il suo pelo era ancora pieno di neve.

L’orso ne seguì l’esempio.

La ragazza abbandonò la tuta sulla cassapanca e, a piedi nudi, incominciò a girare per la stanza.

“Benvenuta.” Le disse alle sue spalle una voce profonda.

Si girò e apparve il suo salvatore: un uomo alto, che indossava anche lui una sottotuta ma di color nera, che metteva in risalto i muscoli del suo corpo, ben torniti da anni di palestra o di battaglie. L’uomo portava un passamontagna leggero, dello stesso colore della tuta, come se volesse nascondere le sue fattezze alla ragazza.

“Grazie, con chi ho l’onere di parlare?” chiese lei, dolcemente.

“Non ha molta importanza, non crede. Piuttosto, lei che ci fa su questo pianeta?”

“La nostra nave ha avuto un problema e siamo state costrette ad abbandonarla. Purtroppo l’atterraggio non è stato dei migliori.”

“Dei migliori? Non mi prenda in giro. La sua scialuppa aveva il simbolo, o meglio, il marchio dell’Impero. Era stata colpita da un bel cannone laser, direi di qualche nave pirata. E poi?” chiese l’uomo alla ragazza.

Non rispose la ragazza, ma si sedesse vicino alla tigre, accarezzandole il pelo in avanti e indietro, in modo naturale, canticchiando sotto voce.

L’uomo si allontanò. Torno dopo un po’, con un vassoio pieno di cibo caldo e fumante.

Si sedettero al tavolo, uno di fronte all’altro, e cominciarono a mangiare in silenzio.

Alla fine del lauto pranzetto, l’uomo accompagnò la donna in una stanza al piano superiore.

Mentre chiudeva dietro a sé la porta, sopraggiunse la tigre che entrò nella stanza.

L’uomo sorrise e se ne andò.

“Elsa, sei sfacciata!” disse la donna alla tigre.

“Giulia cara, sfacciata io! E tu, con il bel giovanotto?” le rispose la tigre.

“Interessante, niente di più. Adesso dormiamo: il nostro ospite potrebbe ascoltarci.”

L’uomo, intanto, al piano inferiore, stava sparecchiando la tavola.

“Non ti vergogni. Portare qui una che non conosci. Dove finiremo?” Disse l’orso bianco, alzandosi  a quattro zampe davanti al camino.

“Parli tu! Che cosa ci facevi con la tigre vicina?”

“Cercavo di capire ..”

“Sì, di capire. Bravo .. che cosa dovevi capire?”

“Non so .. chi sono .. da dove vengono ..”

“Non ti preoccupare. So già chi sono. Non hai visto la tigre? è Elsa, la tigre dell’Imperatore, che fa la guardia a sua figlia, alla più grande, al suo successore. Per cui la ragazza ..” L’uomo stava finendo di pulire la tavola.

è Giulia .. bravo .. e adesso?”

“Sentiamo i ragazzi poi decideremo.”

L’uomo e l’orso si diressero verso una stanza del terzo piano di quella specie di grotta.

All’interno vi erano delle apparecchiature di trasmissione video molto sofisticate.

L’uomo ne accese uno: l’apparecchio gracchiò e su di un monitor a colori apparve la faccia di un enorme gorilla bianco.

“Qui Black chiama Invincibile .. mi sentite?” chiese l’uomo.

“Ti vedo e ti sento, Black: cosa vuoi?” rispose il gorilla

“Abbiamo un ospite importante. Necessita che Invincibile sia pronto. Quanto potete venirmi a prendere?”

Il gorilla si girò, oscurando il video con il suo testone. Quando si rigirò rispose: ”Uno o due giorni. Stiamo caricando gli ultimi accessori. Potete resistere?”

“Lui sì, io no.” Rispose l’orso.

Il gorilla emise una sonora risata.

L’uomo rispose con un sorriso sarcastico.

“Ok. Un giorno. Vi avviserò quando saremo da voi. Chiudo.” Disse il gorilla

“Chiudo” disse l’uomo, che girandosi guardò l’orso. ”Scusa se comando io, Roson.”

“Non ti preoccupare.” Disse l’orso uscendo dal locale.”Ti perdono”

L’uomo si alzò e diede un sonoro calcione al sedere dell’orso, urlando subito dopo dal dolore.

“Ti devo ricordare che sono bionico, somaro?” disse l’orso, allontanandosi ciondolando la testa, mentre l’uomo si strofinò il piede, cercando di farsi passare il dolore.

Il mattino seguente, quando la ragazza e la tigre scesero al piano inferiore, trovarono già la tavola imbandita.

L’orso bianco era davanti al camino e la tigre si diresse verso di lui senza esitare e gli si accucciò vicino.

La ragazza guardò la tigre, ma capì che qualsiasi cosa avesse detto, l'animale non avrebbe risposto.

L’uomo entrò in quel mentre, portando un vassoio con alcune leccornie e un liquido scuro e caldo.

“Caffè?” chiese l’uomo.

“Sì, grazie” rispose la ragazza, anche se non sapeva cos’era quello strano liquido caldo.

Si sedettero l’uno di fronte all’altro e incominciarono a mangiare.

“Ci vengono a prendere.” Disse l’uomo ad un certo punto. “Dobbiamo andare via di qui”

“Grazie. Se ci potesse portare in un luogo più civile, potremmo trovare una nave che ci porti a casa.”

“Casa? Quale casa? Il Palazzo Imperiale di vostro padre o la villa delle vacanze di vostra madre?” chiese l’uomo, sogghignando sotto il passamontagna.

La ragazza rimase sconcertata

“Sapete chi sono?” chiese infine.

“Chi non vi conosce, Giulia. E di certo la vostra tigre Elsa non passa di certo inosservata.”

“Capisco. Siccome siete così bravo, chi secondo voi chi ha assalito la nostra nave spaziale e perché?”

“Chi sia stato non so. Di certo hanno preso solo vostra sorella, che conta ben poco. Ma a quanto pare loro non lo sanno. Si sono allontanati dopo aver distrutto la vostra nave e non si sono molto interessati dei poveracci che vi erano a bordo.” Disse l’uomo

“La nave .. distrutta .. perché? Si è salvato qualcuno?” chiese la ragazza preoccupata, mentre la tigre alzava la testa scrutando il volto della ragazza.

“Nessuno si è salvato. E credo che l’abbiano distrutta per far sì che nessuno trovasse prove contro chi vi ha assalito. Pirati, forse.”

Il volto della ragazza fu solcato da gocce di acqua uscite dagli occhi. La tigre gli si avvicinò e non poté tacere.

“Non ti preoccupare, Giulia” le disse “Tuo padre troverà chi è stato!”

L’orso alzò la testa sorpreso.

“Cosa credevi, Ronson, non sei il solo bionico.” Gli disse l’uomo, che intanto si era alzato e si era avvicinato alla ragazza per consolarla.

La giornata passo in modo tranquillo, mentre fuori il tempo peggiorava e i guardiani continuavano a controllare la zona.

 

Invincible

Lo spazio: infinito, forse, con troppo tempo per percorrerlo e poco tempo per modificare gli avvenimenti che vi succedono affinché nulla cambi.

E per poter andare avanti e indietro per uno spazio così grande, l’ideale sono navi spaziali sempre più potenti e grandi.

La maggior parte, ovviamente, sono sotto il controllo dell’Impero, ma altre, piccole e non molto armate, sono di proprietà di privati, piccoli armatori che portano a spasso persone più o meno importanti dell’Impero.

Di certo, però, avendo un bel po’ di soldi o tempo, uno potrebbe possedere una bella nave spaziale, ben armata.

In una delle lune di Termos, sesto pianeta del sistema solare Trhone, una luna piena di vulcani, in una grotta nascosta sotto terra, molte persone, macchinari, robot stavano lavorando intorno ad una nave spaziale.

Per essere una nave spaziale aveva una forma insolita. Le navi spaziale che di solito circolavano nello spazio erano per lo più di forma cilindrica, con i cannoni disposti nei quattro punti cardinali, con il motore da una parte del cilindro e dell’altro, di solito, il ponte di comando.

Questa nave non rispecchiava i soliti canoni.

Era composta da tre dischi, posti sul piano a forma triangolare, ognuno dei quali aveva montato una testa di animale, completamente sconosciuti ai più della galassia: una sembrava la testa di un uccello rapace del pianeta Rudux, un’altra di un carnivoro del pianeta Saock.

L’ultima assomigliava molto ad un animale estinto, ma era difficile dargli un nome: una enorme testa conica, con tre corni (due sulla testa ed una sulla punta del naso), un enorme osso di forma circolare a protezione del collo. Strano animale.

Dietro ai tra dischi vi era un enorme corpo parallelepipedo ove, posteriormente, uscivano i condotti di scarico dei gas che aiutavano la nave a solcare il cielo a velocità veramente inusuali.

L’enorme nave, lunga centinai di metri, era adagiata sul fondo della grotta, leggermente inclinata verso l’alto.

Nella grotta il lavoro era febbrile.

Centinaia di uomini e robot gli ruotavano intorno, montando apparecchiature, saldando, caricando altre macchine.

La grotta in alcuni punti era rinforzata con enormi arcate di strutture in acciaio, ascensori verticali scendevano dalla superficie del pianeta fino al fondo della grotta.

In uno di quegli ascensori vi era un enorme gorilla bianco.

Giunto in fondo alla grotta, scese e si diresse verso un gruppo di persone e robot che stavano discutendo intorno ad un tavolo, pieno di disegni tecnici.

“Signori” disse con fare riverente “mi dispiace informarvi che il Conte Black ha chiamato e si prega di raggiungerlo entro domani.”

Tutti lo guardarono con sguardi interrogativi, ma poi scoppiarono a ridere.

“Chi .. lui o l’orso?” disse un uomo in fondo al tavolo

“L’orso.” Disse il gorilla, mettendosi a ridere anche lui.

Le risate rimbombarono all’interno della grotta, soffocate dai rumori dei macchinari.

“Perché tanta urgenza? Ci sono problemi?” richiese l’uomo in fondo al tavolo

“E sì. E’ in compagnia di Giulia e della sua tigre.” Disse il gorilla.

L’uomo in fondo al tavolo uscì dalla penombra.

Aveva un volto vecchio, solcato da rughe e cicatrici, con barba e capelli bianchi e lunghi, ben curati, un viso lungo, occhi incassati e neri, una vesta nera lo ricopriva, mostrando alcuni parti del suo corpo, braccia e gambe, che davano l’idea di un fisico sì anziano, ma atletico.

“Perché sono con lui? è  già tempo?”

“Non lo so. Ma ha detto di andare.”

“Va bene” disse un ometto magro, insignificante, con enormi occhiali con lenti spesse un dito” la nave è pronta per il varo” e qui qualcuno tossì “sì .. insomma .. per essere lanciata. I robot da guerra sono a bordo, le armi anche. I motori sono pronti, ma ci vorranno almeno dodici ore per prepararli alla partenza. Vettovaglie a bordo. Tenuto conto dove sta il Conte Black ci vorrà almeno altre dodici ore di viaggio. Direi di comunicare a caricare le ultime cose e partire. Le finiture interne le eseguiremo in viaggio.”

“Bene.” Disse il gorilla “Allora tutti a bordo dell’Invicible e partiamo”

“Piccolo problema” disse uno dei robot con voce metallica “Stamattina i radar hanno segnalato in zona una nave dell’Impero, una nave per ricerche vulcaniche in zona. Cosa facciamo?”

“Non c’è problema! “ disse l’uomo anziano “Lasciamo che l’Imperatore sappia che qualcuno di nostra conoscenza è in circolazione.”

“L’Imperatore .. o l’Imperatrice?” sottolineò l’omino insignificante.

“Purché qualcuno sappia” disse il gorilla

La riunione si sciolse silenziosamente, tutti le persone e i robot si diressero in varie zone della grotta, dando ordini a chiunque incontrassero.

Il gorilla salì sulla nave e si diresse verso il ponte di comando, posto nella testa del rapace, nel disco centrale.

La sala di comando era enorme.

I panelli porta strumenti, il soffitto e il pavimento erano bianco avorio, gli strumenti tutti digitali, con numeri di color rosso su sfondo nero.

Nel centro della stanza c’erano console anche loro bianco avorio, con sedie occupate da uomini, robot ed in alcuni banchi erano visibili scimmie nere.

“Secondo” urlò il gorilla entrando da una delle tante porte nella sala comando.

Il secondo era praticamente sdraiato sotto un pannello di comando.

“Sono qui!” Rispose agitando la mano da sotto un pannello di comando.

“Harold, sei sempre per terra.” disse il gorilla

“Piantala e dammi una mano. Prova a schiacciare il pulsante verde.”

Il gorilla, con il suo enorme dito indice, premette il pulsante verde.

“Niente?” Chiese

Un urlò uscì da sotto il banco: un robot, uscendo dalla parte opposta a quella dove di trovava il gorilla, fu lanciato contro la vetrata della sala che dava vero l’esterno, l’uomo disse frasi inconsulte, prima di usciere anche lui da sotto il banco, con la tuta bruciacchiata.

“Che genio che sei?” disse l’uomo al gorilla “Fai vedere a papà il tasto che hai schiacciato?”

Il gorilla capì che qualcosa non era andato per il suo verso giusto e si ritrasse.

“Che fai scappi?” Disse l’uomo, roteando nell’aria una specie di chiave inglese di dimensioni non indifferenti “Se ti smontassi?” Urlò.

Ma il gorilla, furbescamente, fuggì verso la parete opposta alla vetrata, ove vi erano altri banchi posti su una gradinata.

“Ho schiacciato il bottone verde!” Urlò il gorilla, mostrando i denti all’uomo.

La calma tornò subito: il robot venne tolto dalla vetrata, l’uomo torno sotto il banco, il gorilla gli si avvicinò, timoroso.

“Il Conte Black ha detto di andarlo a prenderlo domani.” Disse umilmente all’uomo sotto il banco.

“Va bene. Sparisci. Fa scaldare i motori. Tra dodici ore partiamo.”

Il gorilla se ne andò e la sala tornò al suo trambusto.

 

Il ricatto

Anno galattico 12538.

Anno di riferimento Imperiale 12 dell’era dell’Imperatore Federickoson II

Pianeta Pokdfin, quinto pianeta del sistema solare Nebulous.

Il pianeta su cui viveva l’Imperatore e la sua corte era semplicemente meraviglioso, a detta delle dame di corte.

Era un pianeta abitabile, con molta acqua di un color blu intenso e le terre emerse erano divise quasi equamente tra praterie e colline di un acceso color verde, mentre le montagne che delimitavano alcune zone del pianeta erano molto alte, quasi sempre ricoperte di neve.

La città ove risiedeva l’Imperatore era posta in riva all’oceano Grokjh, il più esteso del pianeta.

La città era molto colorata, aveva enormi viali, molti alberi di vario tipo e giardini tenuti in modo eccezionale.

Le altre città del pianeta rispecchiavano più o meno lo stile della capitale Pokdfin, anche se erano meno estese.

I villaggi sparsi qua e là per il pianeta, ove risiedevano i contadini che mantenevano verdi i giardini e coltivavano quanto serviva per mantenere l’Imperatore e la sua corte, erano ben tenuti e manutenzionati.

Sembrava un paradiso, tranne quando arrivò la notizia del rapimento della principessa.

L’Imperatore si trovava nei suoi appartamenti privati e si stava vestendo per far colazione, circondato da paggi e vari burocrati dell’Impero che lo stavano informando sull’andamento dell’Impero.

L’Imperatore Federickoson II non era un bell’uomo: era di statura media, capelli marroni, occhi color nocciola, viso ovale, naso dritto, narici piccole, labbra piccole, mento rotondo. Decisamente un tipo insignificante.

E di certo la pensavano così anche i suoi genitori, cha avevano fatto di tutto perché il figlio fosse un buon Imperatore e non uno smidollato.

Ma Federickson non se ne era mai preoccupato troppo: l’Impero era in mano ai burocrati e qualsiasi cosa lui avesse deciso, qualcun altro gliela avrebbe ribaltata, smussata, cambiata e modificata purché non fosse attuabile.

“Fa niente”, pensava spesso Federickson “Mi godrò la vita.”

E così aveva fatto: si era sposato, con chi volevano i suoi genitori, ma di certo non disdegnava la compagnia di fanciulle giovani e gentili che cercavano di consolarlo in ogni modo e in ogni luogo.

La notizia all’Imperatore fu portata dal suo attendente, il generale Harrydkon, decisamente il contrario dell’Imperatore: alto, corpulento, bello, biondo, occhi azzurri, una vera star, così dicevano le donne. E di certo lui non si sottraeva a tutto ciò, tranne in presenza dell’Imperatore.

“Che succede, generale, la vedo affannato. Prenda fiato e mi dica.” Disse l’Imperatore.

“Sua figlia ..  mio Imperatore .. è stata rapida ..” disse il generale ansimando

“Quale figlia?” chiese l’Imperatore, per niente preoccupato.

“La principessa Noemi, mio Imperatore.”

L’Imperatore, che si stava vestendo e nel contempo rimirando nello specchio, si fermò, impietrito.

“E .. Giulia ..?” chiese

“Sparita.” rispose il generale.

L’Imperatore indossava dei pantaloni lunghi rossi, scarpette di velluto rosso e una camicia bianca con ricami un po’ eccentrici: si mise le mani in tasca e, girandosi verso il generale, gli scaglio una delle scarpe, scuscitando nei presenti un attimo di smarrimento. Mai l’Imperatore aveva fatto una cosa del genere.

“Idiota. Ti avevo detto di averne cura come fossero le tue figlie. Dove sono adesso?” urlò l’Imperatore, diventando rosso in volto.

“Non ne ho idea” Disse il generale inginocchiandosi di fronte al suo Imperatore.

“Cosa succede, caro. Perché urlate?” Una voce femminile giunse da un corridoio laterale della stanza in cui si stava discutendo: era la voce dell’Imperatrice Musata.

“Hanno rapito le nostre figlie, cara” disse in tono pacato l’Imperatore “e questo idiota non sa dove sono” urlò verso il generale, tirandogli l’altra scarpa e colpendo sul viso.

Il generale non si mosse, anche se la scarpa gli aveva segnato il volto, procurandogli un taglio che cominciò a sanguinare.

L’Imperatrice ebbe un attimo di smarrimento, le sue ancelle le si avvicinarono per sorreggerla, ma lei, con un cenno della mano, le allontanò.

“Vi prego, andate tutti via, lasciateci soli!” Disse infine l’Imperatrice in modo autoritario.

I presenti si allontanarono.

“Voi no, generale Harrydkon. Rimanete.”  Disse l’Imperatore.

Quando tutti si furono allontanati, l’Imperatrice si diresse vero il generale.

“Lascialo sanguinare” disse l’Imperatore “Così impara il tuo amante a occuparsi un po’ di più delle sue mansioni e un po’ meno del tuo letto.”

“Caro, non capisco .. “ disse l’Imperatrice.

“Lasciamo stare. Allora, generale, chi le ha rapite, perché, cosa vuole?” chiese l’Imperatore mentre il generale si alzava in piedi.

“E’ giunto un messaggio tramite fonti ignote che vogliono, in cambio della principessa Noemi, molto oro.” Disse il generale

“E Giulia?” chiese l’Imperatrice, preoccupata, che nel frattempo si era seduta su una poltrona di color rosso posta in un angolo della stanza.

“Non sappiamo niente. Una nave scientifica era nei paraggi e ha potuto vedere e registrare l’attacco alla nave, la nave pirata che abbordavana la nave, che scappava e che faceva esplodere il Bellatrix, ma nulla di più. Ha, sì: una scialuppa è scampata alla distruzione, ma non sono riusciti a rilevare chi vi era sopra. Almeno, dicono che vi era un umano e un .. come lo hanno chiamato .. bionico.” Disse il generale.

“Elsa .. meno male .. Giulia è salva!” esclamò l’Imperatrice.

“E dove si è diretta la scialuppa?” chiese freddo l’Imperatore.

“Sul pianeta Oleg, signore” Rispose il generale.

L’Imperatore guardò la moglie, che ricambiò, stupefatta.

“Oleg, proprio là. Non avete più notizie di quel nostro amico, cara, vero?” disse l’Imperatore avvicinandosi all’Imperatrice e sedendosi su un divano posto di fronte a lei.

Non aveva fatto molto caso al vestito della moglie, l’Imperatore: strano, di solito lo notava sempre, ma quel mattino le sembrava che fosse vestita come una contadina, con come una Imperatrice: il vestito bianco lungo, stretto, che mostrava bene le rotondità della moglie e che mostrava il suo seno procace non gli dispiaceva, ma qualcosa non quadrava.

“No, caro, certo che no.” Disse la moglie decisa.

“Già. Come no. Lui non si è fatto più sentire” Disse l’Imperatore “e mia cara, non ci credo. Ti preoccupi più di Giulia che di Noemi, fai finta di niente, mandi in giro le tue amiche in cerca di chissà che cosa. Mi dice cosa stai combinando?”

“Se volete scusarmi “disse il generale “io andrei a vedere cosa posso fare per le principesse.”

“Sì. Vada, vada” disse l’Imperatore facendo un cenno con la mano, senza distogliere gli occhi dall’Imperatrice.

Quando il generale si fu allontanato, l’Imperatore proseguì.

“Cosa cercano le tue dame di compagnia da un anno a questa parte per tutta la galassia. I miei servizi segreti mi dicono che stanno prendendo contatti con persone non solo che non fanno parte della nostra cerchie, ma che addirittura sono state allontanate dal palazzo. Cosa cerchi?” disse l’Imperatore, sporgendosi verso la moglie.

“Niente.” Disse la donna, alzandosi “ Niente di importante. Ci sono dei movimenti da parte di alcuni tuoi parenti che mi preoccupano.” Mentre parlava la donna si diresse verso una delle vetrate nella stanza che davano su un giardino interno del palazzo, e il sole ormai aera così alto che rischiarava l’interno della stanza, in cui le luci si spensero automaticamente.

L’Imperatore, che aveva seguito l’Imperatrice con lo sguardo, si alzò e la seguì alla vetrata.

“Come sarebbe a dire dei movimenti? E quali parenti?” chiese l’Imperatore.

“Tuo cugino Makarre sta facendo di tutto per mettersi d’accordo con gruppi strani: anch’io non riesco a capire. Ma se nessuno ci dà una mano, il tuo Impero prima finirà in mano a tuo cugino e poi verrà suddiviso in tanti pezzi. E’ già difficile tenerlo unito.” Disse l’Imperatrice e si mise a piangere.

“E tutte queste cose da chi le hai sapute? Dal club delle amiche? Bella cosa.” Disse l’Imperatore, alzando mani e testa al cielo. Si voltò e si diresse allo specchio.

“Sei solo un idiota!” Inveì la moglie “Non te ne frega di niente e nessuno. Non ti interessa di me, delle tue figlie, dell’Impero ..” Mentre parlava, degli occhi lacrime scendevano, copiose, sul viso dell’Imperatrice.

“Non posso farci niente! Comandano i burocrati! Pensi davvero che se potessi cambiare le cose non lo farei. Ma non posso!” Disse marcando le ultime parole “Non posso. L’Impero non è mio, lo comando soltanto, lo tengo insieme: finché sarò utile mi terranno vivo. Quando non lo sarò più o morto o in esilio. Cosa credi che non ci ho pensato. Ho vagliato tutte le possibilità. Anche quella della leggenda. Ma no. La tana delle tigre dice che non serve. Il tuo club mi rema contro e poi ti lamenti. Oh, mi dimenticavo, poi c’è Black. Sparito quando serve e, quando apparirà, non servirà più a niente e nessuno.” Concluse l’Imperatore, dirigendosi verso un armadio e prendendo una giacca lunga, di color nero.

“Pure daltonico” disse l’Imperatrice, dirigendosi verso un altro armadio e prendendo una giacca che faceva pandand con i pantaloni.

L’Imperatore si mise a ridere.

Anche l’Imperatrice, porgendo la giacca al marito esplose a ridere. E si abbracciarono.

 

In viaggio

“Ti muovi ..”

“Stai calma .. non ne posso più ..”

“Oh, poverina .. non ne può più .. colpa tua ..”

“Scusa? Colpa mia? Sei insopportabile.. “

“Basta.. muoviti..”

“Ho capito..  ma perché proprio di qua..”

“Perché nessuno ci deve vedere..”

“In mezzo al deserto? Ma chi vuoi che ci veda?.”

“Qui non passano satelliti.. muoviti..”

“Ma chi vuoi che sappia di noi..”

“Tutti.. idiota.. cammina “

 

E la fuga continua

Gli astroporti sul pianeta Pokdifin erano enormi: di solito erano al centro delle principali città, esclusa la capitale, ove gli astroporti erano quattro e situati alla periferia della medesima.

Evane era in quello a nord, nella periferia decisamente meno socievole che esistesse sul pianeta. Era l’astraporto dove arrivano i detenuti per essere processati. Era strano, ma l’Imperatore, o forse i burocrati, voleva che i processi, almeno quelli più eclatanti, si tenessero nella capitale dell’Impero e venissero trasmessi su canali televisivi riservati in tutta la galassia.

La sorveglianza era enorme: ad ogni angolo vi erano uomini armati, animali a quattro o sei zampe che, mostrando spesso i denti, tenevano sotto controllo i viaggiatori. La scorta ai detenuti era enorme e le guardie gli facevano passare attraverso speciali zone riservate, ove armi automatiche, in torrette appese al soffitto, li seguivano.

Evane, i suoi bagagli, il suo futuro: tutto era lì, ai suoi piedi e cercava un passaggio.

Spesso, in quell’astroporto, atterravano anche persone con pochi riguardi per la legge, come contrabbandieri e pirati, alcuni autorizzati dall’Impero.

Ed era di quelli che cercava Evane. Ne aveva contattato uno, senza dargli molti spiegazioni, per un viaggio verso un pianeta ai confini della galassia.

L’appuntamento era stato fissato in un locale dell’astroporto, posto alcuni piani sotto terra.

Evane vi entro, circospetta: si era vestita come una mendicante, con vestiti trasandati, le stesse borse che contenevano quanto gli era di più caro erano sporche e malridotte. Ma se qualcuno avesse fatto caso al suo viso, avrebbe visto una graziosa donna, con una mascella un po’ troppo mascolina per una del suo sesso.

Il suo uomo era in un angolo del locale, che stava tranquillamente bevendo qualcosa da una bottiglia.

Evane lo riconobbe dalla foto e gli si avvicinò.

“Sei tu .. Samuel?“ Chiese Evane, controllando la foto che aveva in mano.

“Sì sono io.” Disse l’uomo guardandola fissa negli occhi. Di certo non era un bell’uomo: il volto era solcato da cicatrici, gli occhi spenti, stanchi, i vestiti più conciati dei suoi e seduto sembrava pure basso di statura.

“Bene, se vogliamo andare.” Disse Evane.

“Non ti dimentichi qualcosa, carina?” chiese l’uomo, fregandosi il pollice e l’indice.

“Oh sì!” rispose Evane ed estrasse da sotto il vestito un pacchetto e lo porse all’uomo.

L’uomo lo aprì, richiudendolo immediatamente.

“Spero per te che siano giusti. Sarà un viaggio lungo. Non vorrei che ti capitasse qualcosa.” Gli disse, alzandosi.

In piedi non sembrava così piccolo: era molto più alto di Evane e di corporatura robusta o almeno così sembrava.

Evane seguì l’uomo fuori dal locale, trascinando le sue borse.

L’uomo si diresse con passo deciso verso un veicolo a ruote posteggiato vicino alla piazza di fronte al locale. A bordo vi era già qualcuno che l’aspettava e che gli chiese “Allora?”

“Tutto a posto.” Rispose l’uomo. “Carica i tuoi bagagli di dietro.” disse ad Evane.

Il portellone posteriore si aprì ed Evane carico da sola le borse, poi si diresse verso una portiera che si era aperta sulla parte del passeggero e salì sul veicolo.

L’uomo fece postare il conducente e si sedette al posto di guida mettendo in moto il veicolo senza dire una parola.

I veicoli usati nell’Impero erano comodi, veloci, silenziosi: talmente silenziosi che su quello di Evane e delle sue misteriose nuove conoscenze si sentiva solo il loro respiro.

Il veicolo si diresse verso una strada in discesa e la percorse per parecchio tempo.

Evane all’inizio si preoccupò, ma poi gli venne in mente che alcuni nave, di piccole dimensioni, potevano usufruire di alcune piste poste sotto terra, seguendo un percorso ben preciso.

E infatti, la nave dei suoi “amici” era in un parcheggio inferiore.

Vicina alle altre era un vero disastro quella nave: aveva una forma circolare, meglio ovale. Un piatto ovale, con i motori posteriori, la cabina di comando anteriore, alcune vetrate a destra e sinistra.

Armi non se ne vedevano, e l’esterno dell’astronave non era per niente curato. La superficie era piena di toppe e buchi, alcuni vetri erano rattoppati alla bene e meglio.

Evane stava per chiedere dove volevano andare con quella .. cosa, ma il guidatore e il suo compare non gliene diedero il tempo.

“Siamo arrivati. Prendi la tua roba e sali.” Disse il guidatore.

Evane scese dal veicolo, raggiunse il bagaglio e prese le sue borse.

Salì sul veicolo spaziale da una passerella posta sotto il motore posteriore, che la portò in un corridoio del ponte inferiore, che attraversava tutta la nave per la sua lunghezza

Un uomo, appena salita, gli indicò la scala. Evane la prese e salì al ponte superiore. Un altro uomo la aspettava davanti ad una porta. La aprì ed Evane entro nella stanza, il cui l’arredamento era molto spartano.

Vi era un letto, un tavolo, una sedia: il mobile di sicuro era nascosto all’interno di una parete, che Evane trovo subito e dove vi buttò le sue borse.

Un finestra correva lungo la parete che dava verso l’esterno: Evane vide la gente che si muoveva all’interno dell’astroporto, come tante formiche.

L’uomo che la aveva prelevata entrò nella stanza.

“Come sta?” Le chiese

“Bene, grazie.” Disse Evane, accennando ad un sorriso nervoso

“Sì ..“ Disse l’uomo “Tra poco partiamo: sarà meglio che scendete al ponte inferiore nella sala grande. Per sicurezza, ovviamente”

“Ovviamente” rispose Evane.

L’uomo uscì dalla stanza. Evane si tolse i suoi ingombranti e laceri vestiti: la sua corporatura da guerriera apparve in tutta la sua magnificenza dentro una tuta da battaglia nera.

Il suo viso dolce cozzava decisamente con il suo corpo, ben sviluppato con muscoli e bicipiti più da culturista che da donna di corte.

Da una borsa tolse un camicia e un paio di pantaloni di lavoro dello stesso colore e un paio di scarpe leggere, che indossò immediatamente.

Sotto tale vestiario vi nascose uno strano oggetto.

Evane batté la mano sull’oggetto, che tintinno, rassicurandola.

Uscì dalla stanza guardinga e raggiunse la sala al ponte inferiore.

Nella stanza strani ceffi facevano bella figura di sé, chi in carne ed ossa chi appesi alla parete come quadri ben incorniciati.

Gli uomini la guardarono, o meglio, la desiderarono. Ma chi entrò non era dello stesso parete. Ad Evane parve l’altro passeggero che era con lei sul veicolo che li aveva condotti alla nave.

Entrando si tolse il cappuccio e il pastrano; la sorpresa per Evane fu enorme: era una donna come lei.

Bhe, dire donna era un eufemismo. Il viso era sicuramente di una donna, ben truccato e curato, ma il corpo, in confronto a quello di Evane era decisamente muscoloso, massiccio, quasi un armadio.

La donna si accorse dello sguardo di Evane e sogghignò.

“Che ve ne pare del mio corpicino?” chiese, guardando Evane.

“Fantastico!” rispose uno dei presenti, facendo scoppiare del ridere tutti, pentendosene un attimo dopo per la reazione sproposita della donna, che lo colpì con forza inaudita con un frustino che teneva tra le mani.

L’uomo fu colpito sul volto, ove apparve un taglio lungo e profondo che gli segnava tutta la guancia destra e una parte della mano destra, con cui aveva tentato di deviare il colpo.

I presenti si ammutolirono immediatamente, mentre il povero malcapitato fuggì via, forse in direzione dell’infermeria, pensò Evane.

“Come potete vedere, non sono molto docile con i miei uomini!” disse la donna, girandosi verso Evane. Indossava anche lei una tuta da battaglia, un vecchio modello, con alcune modifiche qua e là.

“Certo. Buono a sapersi. Potrei sapere quando mi condurrete via di qua verso il luogo che vi ho indicato?” chiese cortesemente Evane.

“Ora. Prima vi sbarco, prima mi libero di voi, prima sono felice.” Rispose l’uomo che era apparso dietro alla donna.

“Vieni, dobbiamo partire:” disse l’uomo alla donna.

Uscirono insieme dalla stanza, lasciando Evane con gli altri dell’equipaggio, che continuavano a guardarla.

“Se pensate che non abbia il coraggio di fare quello che ha fatto lei, sbagliate di grosso signori. Lei il vostro compagno lo ha lasciato vivo: io potrei non essere dello stesso parere.” Disse Evane, sbattendo la mano sopra alla strana cosa che aveva nascosto sotto i vestiti.

Gli uomini si sedettero sui divani presenti nella stanza, mentre un fischio richiamò la loro attenzione. La nave, scuotendosi, si alzò dal suolo e partì. In pochi minuti fu fuori dall’astroporto e poi si diresse verso lo spazio.

Evane guardò fuori da uno dei finestrini, vedendo il pianeta che si allontanava: una lacrima corse giù per il viso, subita asciugata dal palmo della mano destra.

“Quando ti vedrò, mi cara patria.” Disse sottovoce.

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Capitolo 4
*** La ricerca ***


Lo scambio

La nave pirata Excellent, dopo la distruzione del Bellatrix, si diresse a tutta velocità verso un sistema solare posizionato verso l’interno della galassia.

Ci vollero alcuni giorni di viaggio, che sulla nave trascorsero senza troppi problemi.

La nave, giunta in prossimità di un sistema solare con tre soli, rallentò la velocità.

Si diresse verso il sesto pianeta, un pianeta con degli enormi anelli che lo circondavano sul piano equatoriale, fatti di massi ghiacciati

La nave girò intorno al pianeta parecchie volte, prima che un’altra nave apparisse nei suoi radar.

“Sono arrivati!” urlò uno degli addetti ai pannelli di comando.

“Silenzio!” urlò il comandante. “Chiamateli e mandategli i codici di identificazione.”

Uno degli addetti inviò i segnali codificati e la nave rispose.

Da una delle telecamere che guardavano vero l’esterno, tutti videro la nave avvicinarsi: la sorpresa fu enorme.

Uguale era dire poco. Simile non dava l’esatta idea di quello che gli uomini della nave stavano guardando.

Una gemella: quello era decisamente la parola esatta.

Il comandante non capiva e non si dava pace.

“Ho ucciso di persona quel maledetto progettista! Com’è possibile che ne esista un’altra?” urlò il comandante guardando il secondo.

Le due navi si misero con il muso dell’una contro l’altra. Era uno spettacolo indescrivibile: gemelle fin nel più piccolo particolare, con sullo sfondo il pianeta bianco luccicante con gli anelli che lo circondavano.

I messaggi che le due navi continuavano a scambiarsi divennero più frequenti.

Alla fine il comandante fece portare la prigioniera.

“Bene. Caricatela sulla navetta.” Ordinò

La ragazza fu portata a forza da ben quattro pirati nella navetta preparata per lo scambio.

La dovettero legare, tanta foga lei ci metteva nel tentativo di scappare al suo destino.

Alla fine la scialuppa fu sganciata e guidata verso la nave gemella.

Nel contempo, un’altra navetta si era staccata dall’alta nave.

“Cosa contiene?” disse il vice comandante a un tecnico sul ponte di comando.

“Oro, signore.”

Il comandante lasciò il ponte di comando e si indirizzo verso l’hangar della nave.

Quando vi giunse, i marinai stavano ormeggiando la navetta sul ponte degli hangar.

Ma, purtroppo per il comandante, l’apertura della navetta era a tempo.

L’altra nave, appena ebbe caricato la scialuppa con la prigioniera, se ne andò.

“Maledetti, dovevamo pensarci anche noi!” ringhiò il comandante

“E ci abbiamo pensato!” disse un omino piccolo, cicciotello. “Ho sistemato un sistema di rilevazione a lunga distanza sulla navetta. Se qualcosa non và la rintracceremo ovunque, in questa galassia.”

“Bene.” Disse il comandante e si sedette ad aspettare che la porta di quella maledetta navetta si aprisse.

Ci vollero ben dodici ore galattiche standard prima che la porta si aprisse. E quando la porta si aprì, il comandante vi ci si buttò a pesce, o qualcosa del genere: la navetta era vuota.

Quello che successe nei minuti che seguirono fu peggio di una esplosione nucleare.

La navetta, anche se fissata saldamente al ponte, incominciò a dondolare pericolosamente, trasmettendo il suo ondeggiare a tutta la nave.

I pirati che erano sul ponte caddero per terra, compreso il vice comandante.

Dovettero sparare al comandante più di cinque frecce piene di sonnifero prima che si placasse la sua ira.

Quando, infine, riuscirono a tirarlo fuori dalla navetta, il comandante aveva una faccia stralunata e dalla bocca gli usciva della bava.

Il medico di bordo lo guardò con aria preoccupata.

Ci vollero altri tre giorni prima che il comandante riprendesse le sue normali attività.

Alla fine diede l’ordine di inseguire quella maledetta nave, ovunque fosse.

 

Il ritorno di Invicible

Non ci vollero dodici ore per far scaldare i motori della nave.

Quando venne dato l’ordine di sganciare i fermi della nave, ormai la grotta era vuota e a terra erano rimasti solo alcuni macchinari inutilizzabili.

Il gorilla, nella sala di comando, diede l’ordine di partire.

La nave spaziale si mosse dando scossoni da tutte le parti.

Un fascio di luce blu uscì dalla testa dell’animale carnivoro posto a destra della sala comando.

La volta della grotta esplose, cedendo e aprendo un varco appena sufficiente per far passare la nave.

Con un contraccolpo, la nave partì ed uscì dalla grotta, dirigendosi verso lo spazio.

Dietro di sé, Invincible lasciò che la grotta crollasse, tutto d’un colpo, e al suo posto apparve un vulcano, che iniziò ad eruttare lava.

Invincible solcò lo spazio verso la sua destinazione, inosservato.

Sì, quasi inosservato. Una navetta spaziale Imperiale per rilievi dei venti solari era in zona e la vide.

***

Black e Giulia stavano giocando a carte, quando un forte rumore uscì dalla stanza posta all’ultimo piano.

Black fece le scale velocemente, mentre Giulia riuniva le carte e sistema il tavolo, sotto gli occhi vigili della tigre e dell’orso.

“Qui Invicible chiama Conte Black .. rispondete”

“Qui Conte Black .. avanti Invicible .. ”

”Siamo in zona. Quando volete, potete raggiungerci.”

“Ricevuto.”

“Sono arrivati?” Chiese Giulia.

“Sì. Quando volete possiamo partire.” Disse l’uomo.

La ragazza scese e si diresse verso la sua stanza, seguita dalla tigre che nel frattempo era salita dal piano terra.

L’uomo uscì dalla stanza, guardò in basso e vide l’orso che guardava in su.

“Partiamo?” chiese l’orso

“Partiamo.” Gli rispose l’uomo “Punta i timer degli esplosivi. Meglio far sparire tutto.”

“Come se lo avessi già fatto.” Rispose l’orso.

Ci vollero alcuni minuti perché Giulia e la tigre scendessero al piano terra: Giulia aveva indossato la tuta bianca con zaino incorporato che aveva quando era arrivata, per resistere al freddo del pianeta.

L’uomo aveva indossato il pastrano con cui Giulia lo aveva visto al prima volta.

“Bene. Da questa parte.” Disse l’uomo, e spostò un armadio della cucina, dietro a cui vi era un passaggio sufficientemente largo, scavato nella roccia.

Vi si infilò, seguito dall’orso, dalla tigre e per ultima Giulia, un po’ titubante.

Percorsero il corridoio per alcuni minuti in piano, poi incominciò a salire. Il freddo incominciò a diventare pungente.

Alla fine della salita si ritrovarono in una grotta, dove vi era una navetta spaziale. Giulia fece fatica a vederla nel buio, data la colorazione scura del mezzo.

Black schiaccio un pulsante posto su una specie di scatoletta nera che aveva in mano: la nave si illuminò e una passerella si staccò dal fondo della nave.

L’orso con un balzo salì la passerella, seguita dalla tigre: Black fece cenno a Giulia di salire e la seguì sulla nave.

Non ci volle molto ad accendere i motori, farli scaldare e partire.

La navetta uscì dalla grotta e si trovò nell’aria fredda del pianeta.

Black la indirizzo subito verso lo spazio, mentre alcuni robot guardiani facevano fuoco cercando di distruggere la nave.

Alcuni secondi dopo, una esplosione squarciò la notte del pianeta e mezza montagna venne distrutta.

“Toh..” disse Giulia, accarezzando l’orso “.. non hai più casa, Ronson.”

“Non mi serviva più.” rispose l’orso

Black diresse la navetta spaziale verso il sole.

Giulia vide il sole che veniva incontro alla nave. Lo superaro e all’improvviso gli si presentò davanti una nave spaziale enorme.

“Eccola!” Esclamò Black.

La nave spaziale su cui stavano viaggiando sembrava quasi una pulce in confronto a Invicible.

Black parlò con qualcuno della nave via radio ed entrarono in uno degli hangar, da uno portello posto sotto la nave, verso i motori

Quando la navetta spaziale fu agganciata all’interno dell’hangar, i passeggeri scesero, accolti dal gorilla e da alcuni uomini dell’equipaggio.

“Chiedo il permesso di salire a bordo.” Disse il Conte Black al gorilla.

“Permesso accordato.” disse il gorilla.

“Come stai, Krain” disse Black.

“Bene.” Disse il gorilla abbracciandolo, quasi soffocando Black.

L’orso scese dalla navetta e diede una forte pacca sulla schiena del gorilla.

“Ronson.” disse il gorilla ”Come stai vecchia pellaccia.” Restituendo la pacca all’orso.

“Carini.” Disse la tigre scendendo davanti a Giulia.

“Krain, ti presento Giulia e la sua tigre Elsa.” Disse Black.

Il gorilla guardò la tigre con fare sospetto.

“Io a te ti conosco.” Disse il gorilla “Ma non riesco a metterti a fuoco. Dove ci siamo già visti?”

“Forse .. dal costruttore?” disse la tigre, facendo una strana smorfia con il muso.

“No. Me lo sarei ricordato.” Disse il gorilla.

“Se avete finito i convenevoli” disse Giulia “vorrei un posto dove cambiarmi.”

“Si, certo.” Disse Black.

Si diressero verso una porta dall’altra parte dell’hangar, passando davanti a degli enormi macchinari coperti con teloni e fissati con cavi di acciaio.

 

La ricerca

Louk e Rachel si svegliarono al mattino mentre fuori pioveva ancora.

Nessuno dei due aveva voglia di uscire dal letto.

Louk guardò Rachel, sempre pensierosa.

“A cosa pensi? Qualsiasi cosa sia a me puoi dirla.” Disse Louk

“Qualsiasi? Sei sicuro?” gli disse Rachel, guardandolo fisso negli occhi.

“Sì, certo.”

“L’Imperatrice è preoccupata. Qualcuno sta cercando di eliminare l’Imperatore e di prendere il suo posto.” Disse Rachel

“Questo lo so già.” Gli disse Louk “Ma l’Imperatore non è preoccupato di questo. La tana delle tigri veglia su di lui. No, deve essere qualcosa d’altro che preoccupa l’Imperatrice e il vostro club. Qual’è, cara?” disse Louk in tono sarcastico.

Rachel rimase pensierosa.

“L’Imperatrice ha paura che la leggenda si avveri.” Disse infine Rachel

“Leggenda? Quale leggenda?” chiese Louk

“La leggenda delle due gemelle, quella che viene raccontata nelle preghiere il primo giorno dell’anno galattico.” Disse Rachel, alzandosi dal letto e andando verso la sedia su cui era riposta la sua vestaglia.

“Ah, quella leggenda. Ma chi vuoi che ci creda. E’ anni che ormai nessuno ci fa più caso. Pensa che il sommo sacerdote la voleva togliere dalla preghiera su proposta dell’Imperatore.” Disse Louk, senza dare troppo peso alle parole dette dalla moglie.

Rachel aveva indossato la vestaglia e si sedette sulla poltrona, guardando il marito.

“Caro mio, non era dello stesso avviso Doc quando l’Imperatrice lo ha incontrato a Pokdfin sei mesi fa. Dimmi, pensi ancora ad uno scherzo?” disse Rachel.

Louk guardò la moglie. Decise che di certe cose a letto era meglio non parlarne e si alzò, indossando la sua vestaglia posta ai piedi del letto.

Si sedette sul sofà posto davanti alla poltrona dove si era seduta la moglie e la guardò, cercando di capire se stava mentendo o no.

“L’Imperatrice ha incontrato Doc su Pokdfin sei mesi fa? Interessante. Ma non capisco le paure dell’Imperatrice per quanto riguarda la leggenda. Non ci hanno creduto le sue amiche, ci deve credere lei. Per quale motivo?” chiese Louk

“La leggenda dice:” disse Rachel “Due ragazze simili ma non uguali

Due navi simili ma non uguali

Due pianeti simili ma non uguali

Due imperatrici simili ma non uguali

Quando il tempo verrà

Quando il tempo sarà

Quando si incontreranno

Niente sarà come prima

Tutto sarà come adesso

Cambiare sarà necessario

“E allora?” chiese il marito.

“Qualcuno ha costruito due navi uguali, senza sapere dell’altra. L’università spaziale ha trovato due pianeti uguali. L’Imperatrice sa che esiste una sua sosia su questo pianeta. E per finire la sua figlia Noemi assomiglia alla figlia di suo cugino Strozzen su Lokijn.” Rispose la moglie.

“Coincidenze.“ Disse il marito “Nulla che possa riferirsi alla leggenda. Solo coincidenze.”
”E perché Doc non ci crede alle coincidenze?” gli domandò Rachel. “E, visto che sono solo coincidenze, come mai Freddy è qui?”

“Per controllare che non siano coincidenze!”

Freddy apparve sulla soglia della porta della stanza, con addosso una vestaglia un po’ troppo corta per i gusti di Rachel, che la squadrò.

“Come al solito i tuoi vestiti lasciano un po’ a desiderare.” La rimproverò Rachel

“Vorrei ben vedere.” Gli rispose freddamente Freddy “E’ il modo migliore per tenere lontane le mogli e sotto controllo i mariti.”

“Smettetela di litigare.” Disse Louk, sorridendo alla battura di Freddy. “Fate le buone per una volta tanto nella vostra vita. Abbiamo altro da fare che discutere sui vestiti (a quel punto Rachel scosto la vestaglia e mostrò le sue gambe) o sulle .. Oh. Smettila Rachel e copriti!” Esclamò Louk “Sei impossibile. Tu e l’Imperatrice sembra che lo facciate apposta a mostrare le vostre grazie ogni volta che si parla di uomini con presenti delle ragazzine come Freddy.”

Freddy guardò Louk in modo torvo e Rachel mosse la vestaglia per coprire le gambe.

“Io non sono una ragazzina.” Disse Freddy “Come ti permetti?”

“Basta, Freddy. Lo sai come la pensa l’Imperatore di te. Adesso vediamo di capire bene cosa succede. E siediti, Freddy!” Concluse Louk.

Freddy si sedette sulla poltrona rimasta libera.

“La storia della leggenda non ha senso. ”Continuò Louk “Doc mi ha sempre detto che era una baggianata, costruita apposta per tenere unita la famiglia Imperiale e per tenere sotto controllo tutti quei burocrati inutili e rompiscatole. Nessuno, dico e ripeto, nessuno crede che quelle quattro fasi messe insieme per caso o per errore possano modificare, cambiare o deformare le cose: l’Imperatore è per discendenza diretta, al momento, e se qualcuno volesse subentrare all’Imperatore dovrebbe fare una strage, un massacro, senza tenere conto che i burocrati dovrebbero essere d’accordo con lui. Ora, siccome i burocrati non hanno nessuna intenzione di cambiare Imperatore, e meno che meno trovarsi Makarre Imperatore (qui Louk fece una pausa guardando le espressioni del volto delle donne), mi spiegate cosa volete che l’Imperatrice trovi su questo pianeta, che esiste solo per il piacere del Barone Chijyu e non dell’Impero?” finì Louk.

“E chi ha detto che Makarre vuole fare l’Imperatore?” incalzò Rachel.

“Perché è l’unico che continua a chiedere di sostituire il capo dei burocrati non per promozione, ma tramite un editto dell’Imperatore!” gli rispose Freddy.

“Peccato che l’Imperatrice non la pensa così. Lei pensa che in realtà Makarre non vuole sostituire i burocrati, ma vuole che alcuni burocrati che lui conosce bene arrivino nei punti chiave dell’Impero. Il problema è che alcuni dovranno essere eliminati. E l’Imperatrice crede che la cosa sia già iniziata. Due burocrati sono già morti in strane circostanze. E sono stati sostituiti con qualcuno che preferisce Makarre all’Imperatore. (Rachel emise un lungo sospiro) Come vedete c’è da preoccuparsi.” Concluse Rachel.

Rimasero tutti in silenzio, pensierosi.

“E chi sono stati uccisi fino ad ora?” Chiese Freddy.

“Uno era il capo della divisione passaporti, l’altro dell’immigrazione.” Rispose Rachel.

“Già. È vero. Passaporti ed immigrazione.” Disse Louk “Fai andare la gente dove vuoi, con il passaporto che vuoi. Chi lo controlla se è un militare, un civile ..”

“Una spia, uno che porta bombe. L’importante che i documenti lo coprano ..” continuò Rachel

“O meglio, che lo renda immune da un controllo. Passaporti imperiali.” Disse infine Freddy.

Louk si alzò e si diresse verso il camino, dove ravvivò il fuoco buttando dentro un ceppo di legno. La temperatura dell’ambiente si alzò lentamente, in modo gradevole.

Louk prese un attizzatoio e si mise a giocare col fuoco nel camino.

“Bel disastro. Come faremo a fermare tutto ciò?” chiese Rachel.

“Uccidendo i burocrati!” disse Freddy

“Ci penserà Doc. Ora è meglio se ce ne andiamo.” Disse Louk.

“E all’Imperatore (disse Freddy guardando Louk) e all’Imperatrice (e guardò Rachel) chi glielo spiega?”

“Per il momento, meno sanno meglio é. Qualcuno potrebbe parlare a sproposito e riferire a chissà chi. Ci penserà Doc. Facciamo le valigie.” Concluse Louk.

“La colazione è pronta.” Urlò la vecchia dal piano inferiore.

“Spero che la porta fosse chiusa.” Disse Louk, giocando ancora col fuoco nel camino.

“E’ fidata!” disse Freddy

Louk la guardò. Freddy capì.

“Non farai sul serio?” Chiese Rachel.

Lo sguardo di Louk non ammetteva repliche.

 

La tana delle tigri

I pianeti posizionati ai bordi della galassia erano veramente strani. Non erano di dimensioni elevate, i soli facevano fatica a scaldarli, la gente che li abitava pensava che tutto fosse contro di loro. La stessa natura aveva lasciato che su quei pianeti nascesse il peggio che un pianeta vorrebbe voluto avere addosso: animali tra i più carnivori, piante che crescevano lasciando tra loro lo spazio per infilare una mano (ammesso che uno fosse tanto sconsiderato per farlo).

L’astronave che stava portando Evane lontano da casa era diretta su uno di quei pianeti, posto nel quadrante D3 della galassia.

Il comandante entrò nella cabina di Evane, per avvisarla che erano arrivati.

“C’è un messaggio di Doc. Dice che i tempi sono cambiati” disse l’uomo

“Che ne sapete voi di Doc?” Chiese Evane, spaventata.

”Non siete mica l’unica ad vere un appuntamento qui.” Disse l’uomo e se ne andò.

Evane rimase pensierosa, mentre preparava i suoi bagagli, buttando nell’inceneritore i vestiti usati per camuffarsi.

Il pianeta su cui Evane era diretta più che un nome aveva un numero di identificazione: PY253YU.

Il nome era difficile da ricordare e il pianeta era inutile al sistema in cui era situato, dato che il pianeta era il terzo su cinque esistenti (gli altri erano giganti gassosi) e girava intorno ad una stella gialla, che incrociava la sua orbita con un sole blu.

Il pianeta era piuttosto buio, una spessa coltre di nubi nere lo ricopriva per la maggior parte del tempo. Gli animali erano del tipo notturno e le piante, parecchie di piccole dimensioni, non avevano un color diverso dal verde scuro e le loro inflorescenze erano quasi inesistenti.

Un pianeta abitabile solo da matti o, meglio, un pianeta ideale per nascondere la sede di una delle società segrete più famosa e impenetrabile della galassia.

I suoi accoliti avevano fatto di tutto perché nei secoli nessuno sapesse cosa facevano, chi aiutavano, a chi avrebbero permesso di comandare.

Sì, serto, di altre società segrete la galassia ne era piena: gente che si riuniva per decidere cosa era meglio o peggio per questo o quel pianeta, ma la tana delle tigri era quella che era riuscita a raccogliere le persone più importanti e influenti della galassia, insospettabili a tutti, mogli, amanti, concubine comprese.

Evane non ne faceva parte da molto.

Era stata iniziata, se così si può dire, quando era all’università Imperiale su Pokdifin da un suo amico, un certo Blak Stefan, un tipo strano e pericoloso: aveva troppe idee e troppa gente che gli dava ascolto.

Di certo quando Evane decise di seguirlo in questa sua avventura, tutto avrebbe creduto ma non di trovarsi in quella situazione.

Black era figlio di un alto funzionario di corte a cui l’Imperatore Federickson I aveva affidato un sistema solare da governare per avergli salvato la vita durante una scaramuccia con l’Imperatore di una galassia  vicina.

L’alto funzionario in questione era Black Corson, generale di carriera, chiamato da tutti Invicible, per il fatto che sotto un bombardamento di bombe atomiche a effetto limitato, lui rimase in piedi, ritto di fronte al nemico, mentre le bombe esplodevano intorno a lui, guidando la carica dei suoi uomini fin dentro una roccaforte avversaria, espugnandola e catturando alcune persone vicine all’Imperatore avversario.

Di certo questi e altri episodi lo resero ben voluto dalle truppe, un po’ meno dai burocrati e l’Imperatore fu costretto a salvarlo dandogli da controllare un sistema solare ai confini dell’Impero e lontano dai burocrati imperiali.

In quel sistema solare era nato Stefan, che aveva avuto una istruzione militare, contro la sua volontà. Lui preferiva le poesie ai fucili, o almeno così diceva.

Certo, quando Evane lo conobbe all’università Imperiale, dopo l’ascesa del nuovo Imperatore, Stefan era tutto tranne un poeta.

Spesso le proteste degli universitari verso l’Imperatore erano guidate da lui.

Ma come sempre succede, una volta qualcosa andò storto.

Durante una manifestazione, l’Imperatore, ormai esausto di doversela vedere con gli universitari (e i burocrati), fece sparare ad altezza uomo contro i manifestanti.

I feriti e i morti furono parecchi e, dopo che le manifestazioni di piazza furono interrotte, Stefan si calmò e fu allora che Evane lo conobbe.

Si conobbero alcuni giorni dopo gli scontri, Stefan con alcun ferite fisiche poco evidenti ed Evane sconvolta per quello che era successo.

Si incontrarono, o meglio, scontrarono in una delle numerose biblioteche dell’università Imperiale.

Evane stava cercando un libro a cui era interessato anche Stefan: quando lo videro nessuno si accorse dell’altro e fecero una corsa per prenderlo dallo scaffale: lo scontro fu inevitabile, con libri e appunti che volavano da tutte le parti, i ragazzi e le ragazze presenti che si misero a ridere, la bibliotecaria che urlava di far silenzio, ed Evane sotto Stefan.

Scena edificante per Stefan, meno per Evane che divenne rossa e si scrollo d’addosso Stefan assestandogli un colpo con un ginocchio al linguine.

Stefan cadette per terra senza fiato, mentre Evane gli chiese scusa.

Ci volle un pò perché Stefan si riavesse.

Ognuno raccolse le sue cose, il libro rimase dov’era, dimenticato, ed Evane e Stefan fecero amicizia.

Il come e il perché Stefan parlò della tana delle tigri a Evane neanche lei se lo ricorda, o perché andarono sul pianeta a incontrare Doc e parlare della necessita della salvaguardia dell’attuale Imperatore: dopo tutto Federickson II era solo suo fratello maggiore, che diamine.

La nave spaziale, quando venne a contatto con l’atmosfera del pianeta, diede parecchi scossoni, risvegliando Evane dal torpore dei suoi ricordi e riportandola alla realtà.

La nave si diresse verso un punto del pianeta ove vi erano parecchie montagne.

Evane riconobbe la zona: ora avrebbero passato un picco, sceso in una valle stretta ed avrebbero atterrato in un astraporto della tana delle tigri.

Quando la nave fu atterrata e i motori furono spenti, Evane uscì dalla sua stanza e scese al piano inferiore.

L’uomo e la donna la stavano aspettando.

“Doc ci riceverà subito.” Disse la donna.

“Capisco. Ma voi come conoscete la tana delle tigri? Io non vi conosco.” Disse Evane.

La donna accennò ad un sorriso senza rispondere, ed insieme all’uomo scese dall’astronave.

Evane, sconcertata, gli seguì.

L’astroporto non era molto grande: altre tre o forse quattro navi come quelle con cui era arrivata e l’astroporto sarebbe stato pieno.

In fondo vi era un gruppo di persone che li aspettava. Avevano tutte un mantello nero, con bordi d’orati. Un uomo era di schiena e si vedeva distintamente la testa di una tigre in color oro disegnata nell’angolo alto a sinistra del mantello.

Evane e gli altri andarono verso il gruppo: l’uomo di spalle si giro e li saluto amichevolmente.

“Samuel.. Angel.. che piacere vedervi.” Così dicendo l’uomo abbracciò affettuosamente l’uomo e la donna che aveva accompagnato Evane.

“Come stai Doc?” chiese la donna.

“Bene, bene.. oh, Evane, vedo che ci sei anche tu. Come stai?” le chiese l’uomo abbracciandola.

“Bene, Doc. Ma come fai a conoscere queste persone?” Chiese Evane sorpresa.

“Non ti preoccupare. Sono amici. Vedrai, tutto si sistemerà. Bene, andiamo, non mi sembra il caso di parlare di certe cose qui.” Così dicendo l’uomo invitò tutti verso una portone in fondo all’astroporto.

Samuel si girò e fece un cenno con la mano agli uomini che erano rimasti sulla nave spaziale. Tutte le luci della nave furono spente, le pedane ritirate e la nave parve morta.

Il gruppo di persone attraversò il portone che si richiuse rumorosamente alle loro spalle.

Il corridoio che presero fu illuminato improvvisamente con luci artificiali.

Camminarono per un bel po’, senza parlare. Alla fine del corridoio entrarono in una enorme grotta a forma di cupola. In alto, in cima alla grotta, faceva bella mostra di sé una testa di tigre come quella che era disegnata sulla spalle del mantello degli uomini: doveva essere enorme per essere così visibile dal basso.

Tutto intorno alla grotta vie erano delle specie di balconate, che avevano alle loro spalle delle porte. Da alcune di esse apparvero strane persone, che Evane riconobbe come alcuni degli abitanti dei vari mondi facenti parte della galassia. Altri per lei furono una rivelazione: non erano di quella galassia, o almeno non li aveva mai visti in quella galassia.

Samuel ed Angel andarono incontro ad alcuni di loro.

“Doc..” disse Evane “non mi hai detto tutto.. chi sono quelli.. non sono della nostra galassia..”

Doc era anziano, capelli bianchi, lisci, lunghi fino alle spalle, viso quadrato, di un colore rosso scuro, labbra grosse, occhi piccoli e di color nero, statura normale.

“Cosa credevi, Evane? Se una galassia è in pericolo, anche le altre ne risentono. Se una galassia muore, le altre di certo non sono felici. Non puoi pretendere che l’intero universo non ne risenta di quello che avviane qui. Se un singolo neutrone smette di ruotare, pensi che l’atomo resti lì, fermo, instabile, senza risentirne?” le rispose Doc.

Evane guardò Doc come persa, come se il futuro della galassia non dipendesse dalla singola decisione di uno, ma dalla decisione presa da tutti su un argomento in modo diverso.

Doc la guardò dolcemente, sorridendole, la abbraccio alla vita e la accompagnò verso gli altri, facendole coraggio: dopotutto era in ballo e come diceva sempre Doc “finchè la musica non si ferma si balla, mia cara.” Doc ballava malissimo, si ricordò Evane, e sorrise, cercando di dimenticare.

 

Il Barone Makarre

Se la vita nel palazzo Imperiale era il massimo della vita, per qualsiasi persona che abitava la galassia, la vita nel palazzo del Barone Makarre era la cosa più spregevole che poteva capitargli.

Il Barone Philips Mortorious Makarre aveva il governo di alcuni sistemi solari posizionati nel quadrante C3 della galassia, nella zona di confine, e viveva sul pianeta Klack.

Ovviamente il Barone aveva fatto di tutto perché il suo pianeta fosse bello, splendente, radioso, vivibile: il terreno era stato per la maggior parte reso coltivabile, l’acqua era stata portata in tutto il pianeta con l’uso di canali e deviando il corso dei fiumi principali. Alcune montagne erano state modificate, in modo da permettere al vento fresco del nord di lambire lande desertiche per renderle fertili.

Le città erano state modificate, rese più a misura degli abitanti: alcune erano state addirittura costruite su cascate, su montagne innevate perennemente, in mezzo a terreni verdeggianti, collegate da un fitto sistema di trasporti, sia su terra, sotto terra o per aria.

Un pianeta sorridente. Almeno.

Il sorriso Makarre lo tolse al suo bel pianeta quando decise di farla finita con suo cugino, che nel frattempo era diventato Imperatore.

Di certo il Barone non fece nulla perché fosse modificato morfologicamente il pianeta: così come lo aveva sistemato era quasi perfetto.

No. Modificò la gente, le persone, i suoi abitanti e gli abitanti degli altri sistemi solari che governava, o meglio, comandava con pugno di ferro.

Un pugno di ferro che all’inizio aveva provocato morti, molti morti, affinché tutti la pensassero come lui.

L’Imperatore aveva cercato in tutti i modi di calmarlo, ma la guerra contro la galassia vicina ai tempi di suo padre lo aveva costretto a non infastidire un uomo che aveva dovuto combattere in prima linea contro il nemico, che gli era piombato letteralmente in casa all’improvviso, che aveva fatto strage dei suoi cari e degli abitanti dei pianeti, che aveva dovuto subire le angherie prima del nemico e poi degli amici, che lo aveva considerato un vigliacco perché non aveva difeso il confine della galassia morendo in battaglia.

Di certo il padre di Makarre di morire non ne aveva voglia: era sceso a compromessi con il nemico pur di salvare la sua vita, ma non poté salvare quella dei parenti, di alcune mogli, concubine, figli.

Quando poi il nemico fu sconfitto, al padre di Makarre venne ordinato di non inseguirlo, di non accanirsi verso un nemico vinto e non più in grado di nuocere, che la sua vendetta doveva aspettare, morire con lui: e così avvenne.

Ora non ne poteva più. Quando aveva combattuto con suo padre ne aveva poco più di vent’anni, ora ne aveva quaranta e la sua voglia di vendetta, più il tempo passava, più aumentava.

Nel suo palazzo, costruito sopra una cascata di alcune centinaia di metri, con ai suoi piedi la capitale del pianeta, Amihsorih, attendeva notizie sugli ultimi eventi.

Makarre era un uomo di media statura, ingrassato, con un viso tondo, occhi sporgenti di un blu cobalto. Portava una vestaglia dai colori sgargianti e uno strano copricato, formato da una striscia di stoffa dello stesso colore della vestaglia avvolta intorno alla testa.

Al collo aveva un ciondolo di color verde smeraldo con una catena di platino e alle dita della mani aveva anelli dalle forme e grandezze più diverse.

Faceva su e giù nella stanza enorme, con vetrate che davano sulla cascata e da cui si vedeva in lontananza la città.

Divani e poltrone di varia dimensione, forma e colore riempivano la stanza. Alle pareti vi erano quadri immensi. Diversi lampadari illuminavano la stanza di notte.

Makarre ad un certo punto di fermò davanti ad uno delle enormi finestre e guardò una nave spaziale che stava atterrando in uno degli astroporti della capitale.

Emise un leggero sospiro.

“Perché sospiri così, mio signore?”

La voce femminile alle sue spalle lo prese di sorpresa, ma lui non lo diede a vedere. Si girò: di fronte a lui c’era una ragazza giovane, alta, snella, con un viso ovale, occhi grandi e verdi, ciglia lunghe, labbra piccole e quel nasino con la punta in su che lo faceva impazzire, come i vestiti che Gloria indossava. Quel mattino Gloria indossava una tuta aderentissima, in pelle, di color rosso e un cappellino intonato alla tuta. Aveva inoltre un mantello, stessa stoffa e colore del vestito.

“Mia cara” disse Makarre ”ogni volta che ti vedo mi riempi di gioia il mio cuore!”

“E sicuramente qualcosa d’altro, mio signore.”

“Mia cara, sei sempre la solita. Ti vesti così e mi prendi in giro. Sei la mia peggiore concubina. In tutti i sensi.” Disse Makarre avvicinandosi a lei.

“Fermo lì, mio signore!” disse Gloria, tenendolo a distanza con un nerbo di tendine di rouk, un quadrupede selvaggio del pianeta. “I nostri accordi sono chiari. Niente sesso e solo potere, fino a che non diventerete Imperatore:”

Makarre rise sotto i bassi, che spesso lisciava con le dita delle mani.

“Certo, cara.” Disse in tono sarcastico “Ma lo sai che la mia pazienza ha un limite piccolo piccolo.”

“E la mia voglia di potere è così grande!” replicò Gloria.

“Lei… dov’è?” Chiese il barone

“E’ giunta a destinazione. Tutto và come abbiamo previsto, mio signore.” Così dicendo Gloria si avvicinò a Makarre e gli sfiorò il grosso mento con la mano destra.

“E quegli idioti di generali, cosa fanno?” chiese Makarre

“Sono pronti a fare un disastro, loro e tutti i nostri amici.” Replicò Gloria, andandosi a sedere su un divano in pelle nere, sdraiandosi sopra.

In qualsiasi posizione, il corpo di Gloria era una cosa fantastica e il Barone avrebbe venduto l’anima, il potere, l’Impero per lei e lei ne avrebbe di certo approfittato: ma Makarre sapeva che Gloria gli sarebbe stata fedele fino al trono dell’Impero. Ma dopo, fino a che punto la sua spregiudicatezza sarebbe giunta? Dopo tutto era così giovane e così bella? Un vero peccato sprecare una tale bellezza.

“Come al solito sogni l’impossibile, Makarre!” un’altra voce di donna si udì alle spalle del Barone: Gloria di sedette subito sul divano, coprendosi con il mantello e l’uomo capì.

“Cara moglie, come stai stamattina? Hai dormito bene?” domandò Makarre, voltandosi in modo leggiadro verso la donna, di statura bassa, grassa, con addosso un vestito che risaltava ancora di più la sue rotondità.

Fiola, questo era il suo nome, fu sposata da Makarre per una questione di stato, più che per amore. E il risultato era stato che Makarre aveva una moglie, cento concubine, innumerevoli amanti e un numero imprecisato di figli: nessuno da Fiona.

E questo a Fiola pesava, parecchio. E di certo l’ultima arrivata, Gloria, non faceva niente per passare inosservata agli occhi del Barone.

Ma ormai Fiona si era abituata a tutto ciò: al fatto che Makarre avesse tutte quelle donne, che con lei non dormiva più, ma per questo ultimamente neanche con le altre, che Gloria aveva vestiti così sconci che spesso un mantello non bastava a ricoprirla.

E poi quei strani viaggi quasi giornalieri in una zona del vicino deserto, dove vi era la sede dei servizi segreti del Barone: Makarre non si era mai molto interessato di quelle cose, visto che lui, da giovane, preferiva combattere il nemico guardandolo negli occhi.

Di certo stava succedendo qualcosa e quel continuo chiacchericcio nel club delle amiche non le piaceva.

Fiona si avvicinò al marito, baciandolo sulla guancia.

“Ho dormito bene, grazie caro. Vedo che sei in dolce compagnia, stamattina. Cara Gloria, come stai? Non pensavi di vedervi stamane?” disse Fiona

“Oh, no, mia cara. Era solo passata a vedere il Barone Makarre e per sapere se aveva bisogno di me.” Rispose Gloria.

Fiona la guardo torva, sapendo benissimo che ormai da alcuni mesi Makarre e Gloria facevano coppia fissa fuori dal palazzo.

“Bene. Allora vado ai miei impegni giornalieri.” Così dicendo Fiona si girò e si allontanò dal marito. “Ah.. dimenticavo, caro..” riprese Fiona, girandosi a metà verso il marito “mi continuano ad arrivare lamentele dai sindaci per strani avvenimenti… sai.. gente che sparisce… ragazzi che partono per la zona Imperiale senza dare notizie di sé… cose così. Ne sai niente?” concluse

“No di certo, cara. Ti pare che mandi ragazzi nella zona Imperiale per cosa poi?” rispose Makarre.

“Già. Per cosa?!” disse Fiona, girandosi e andandosene.

“Sa qualcosa!” disse Gloria appena la donna si fu allontanata. Si alzò dal divano, buttandosi indietro il mantello e mostrando il suo corpo al Barone.

“Smettila! Lo so benissimo cosa ha in testa. Quella rompiscatole dell’Imperatrice continua a chiamarla. Dovrebbe partire tra alcuni giorni per il palazzo Imperiale per un incontro tra loro. Queste rompiscatole!” si girò guardando Gloria “Meno male che tu sei solo un concubina. Un problema di meno.”

Così dicendo prese Gloria alla vita e la strinse a sé.

“Makarre… Barone… ma cosa fate… la promessa…” si mise a urlare Gloria mentre lui tentava di baciarla.

Alla fine Gloria riuscì a sgusciare dalla presa di Makarre e si mise ad una distanza di sicurezza, sguainando il nerbo, pronta a colpire.

“Sì. Adesso hai vinto tu, ma guardati le spalle. Uno in più o meno in quella maledetta prigione a me non fa né caldo né freddo. Ci farò finire tutti i miei nemici, tutti quelli che si metteranno tra me e l’Impero, Fiona compresa. Dopo tutto, di lei non ho più bisogno.” Disse il Barone, sconvolto in volto, con il fiatone, sedendosi su di un divano a tentoni.

Gloria lo guardò spaventata: non lo aveva mai visto così. Di certo i tempi per il colpo di mano a sfavore dell’Imperatore erano maturi, ma un uomo simile si sarebbe controllato nel bel mezzo di una battaglia, con davanti i suoi denigratori o avrebbe fatto la cosa più empia che un uomo potesse fare: massacrare tutti.

L’uomo si sdraiò sul divano, cercando si calmarsi.

Gloria si allontanò, senza voltargli le spalle. I burocrati avevano ragione: non era un buon Imperatore, ma serviva di certo a modificare le cose, a renderle più malleabili per loro. Gloria uscì dalla stanza e corse via. Era tempo che i suoi contatti a palazzo Imperiale gli dicessero cosa fare. Se i tempi erano maturi, era il momento di intervenire. Ora.

 

Lo scontro

“Che tempo inclemente.”

“Già. Più che inclemente. E’ così da giorni.”

“Pensate che cambierà?”

“Se fossi sicuro che cambiasse ci scommetterei… Quando arriveranno?”

“Tra poco. E’ già tutto pronto. Ha altri ordini?”

“No. Che l’ospite sia accompagnato immediatamente nei alloggi che abbiamo preparato. Che nessuno lo tocchi o guardi.”

“Sarà fatto come voi volete, generale:”

Un enorme vetrata si apriva davanti ai due uomini che stavano parlando.

La vetrata dava la vista ad una enorme distesa di sabbia rossa.

La stanza dove erano gli uomini era all’interno di una montagna che si ergeva, improvvisa, nella pianura che stavano guardando.

“Spero che il Rosso abbia eseguito tutto alla lettera?” chiese il generale.

“Sì, signore. Anche se ha paura che i pirati abbiano fatto lo stesso con lui. Continuano ad avere uno strano segnale a frequenza variabile che parte dalla nave, ma non sanno da dove.” rispose l’altro uomo.

“Da dove?!” disse il generale “Il Rosso sta invecchiando. Da dove vuoi che parte, Stoinker, se non dalla navetta di salvataggio che i pirati gli hanno mandato con la ragazza.”

“Lo devo avvisare, generale?” chiese l’uomo

“No. Mi piacciono le sorprese. Specialmente di quel tipo… Fate approntare tutte le misure di sicurezza e che i Centurion siano pronti all’intervento. Di sicuro i pirati non lasceranno niente di intentato pur di avere quello che vogliono. Ma anche noi vogliamo qualcosa. Quella nave... Bene, Stoinker, puoi andare.” ordinò alla fine il generale.

Stoinker si allontanò dalla vetrata e percorse la stanza piena di consolle e militari che vi lavoravano.

Erano passati alcuni giorni dal rapimento della  principessa, ed era strano che l’Imperatore non avesse fatto di tutto per trovarla. O almeno, così pareva al generale Poissoun, uomo di navigata esperienza, anche se età giovane: aveva circa trentacinque anni galattici standard, ma di guerre ne aveva fatte parecchie.

Aveva seguito il Barone Makarre in alcune scorribande contro la galassia nemica, di cui l’Imperatore non sapeva niente, riportando successi che purtroppo nessun libro di memorie galattiche avrebbe mai descritto.

Il generale era un tipo alto, forse un po’ troppo, naso aquilino, occhi infossati, atletico.

Il suo aiutante, il tenete Stoinker, era invece di statura normale, un tipo qualunque, se non fosse per il fatto che sulle mostrine della giacca militare vi era una strana onorificenza: un aquila o qualcosa del genere che teneva tra le gambe dei fulmini. Il generale sapeva che quell’onorificenza era dell’Imperatore, per qualche operazione segreta ben riuscita, o forse mai fatta: già, pensò il generale girandosi a guardare la stanza con tutta quella attività febbrile, l’Imperatore dava onorificenze anche per non aver fatto niente. Ma Stoinker doveva aver fatto qualcosa, una tale onorificenza non si mostrava senza aver combinato qualcosa; ma cosa?

Stoinker era la spada di Damocle sopra la testa del generale: riferiva la Barone o all’Imperatore o a nessuno dei due? o a quella maledetta setta, la tana della tigre? Poissoun sapeva che non doveva fidarsi di Stoinker, ma era il suo aiutante, lo aveva scelto tra centinaia di ufficiali che aveva servito sotto il suo comando, e lui lo tradiva.

Poissoun scollò il capo per mandare via i cattivi pensieri: ormai era deciso, il Barone sarebbe diventato Imperatore e nulla e nessuno poteva fermarli: lui sarebbe diventato capo dello stato maggiore, un bel salto di grado, e questo a lui bastava.

“Qui Erstalm… qui Erstalm… chiediamo il permesso di atterrare…” la voce usciva dagli altoparlanti posti nella sala.

“Date loro il permesso… fateli atterrare sullo spiazzo 21… “ordinò il generale, guardando fisso negli occhi Stoinker, che rispose alla chiamata radio della nave.

L’Erstalm era la copia esatta della nave dei pirati Excellent.

E copia era un eufemismo.

Identica, in tutto e per tutto alla nave pirata.

Il generale credeva che il Rosso fosse impazzito quando gliela aveva comunicato via video conferenza dopo lo scambio. Ma capì che qualcosa era successo, l’imprevedibile, la possibilità che la leggenda, come la conosceva lui, potesse avverarsi. Il Barone non era dello stesso avviso, lui preferiva non pensare a quella leggenda, ma se era vero, bisognava impossessarsene, possederla, averla.

L’Erstalm iniziò la manovra di avvicinamento all’astroporto militare, provenendo da nord vero sud, dietro alla montagna ove vi era il comando: la montagna si aprì, lasciando uno spiraglio necessario per il passaggio della nave, poi si richiuse. La nave era entrata in una grotta enorme, da cui partivano varie gallerie: si infilò nella prima galleria di destra, con cautela.

In fondo alla galleria la nave trovò lo spiazzo 21 dove atterrò.

Subito la nave fu circondata da robot che la fissarono a terra, mente alcune passerelle veniva calate dalla nave.

Il generale arrivo sul posto con il suo luogotenente utilizzando un ascensore.

Per primo dalla nave scese un tipo piccolo, tarchiato, con una chioma di capelli rossi come il fuoco.

“Rosso!” urlò il generale “Ben arrivato!” e si abbracciarono.

“Come stai, Bell! Tutto a posto?” chiese il Rosso

“Come sempre. Hai portato tutto?” chiese il generale

“Sì. Ma a me non piace rapire ragazzine.. “così dicendo il Rosso indicò la ragazza che veniva trascinata giù dalla nave.

“Non ti preoccupare. E’ solo un’esca…”

“Come no! Ma per chi mi hai preso, Bell, per un.. coso… pesce? L’Imperatore non ha dato ordini in merito, nessuno la cerca. Mi è stato più attaccato al sedere quel maledetto pirata che tutti i militari dell’Imperatore.” Disse il Rosso

“E i servizi segreti?” chiese il generale

“Non sono stati ancora attivati, generale!” disse Stoinker

Il generale e il Rosso lo guardarono.

“Il non essere ancora attivati non vuol dire che non funzionino, caro Stoinker!” lo richiamò il generale

Stoinker insistette, facendo sbuffare il generale. “Il non essere ancora attivati è perché qualcuno sa, qualcuno ha visto, qualcuno si sta movendo più in fretta di quanto lei non creda, generale. Lo sa che tutti stanno cercando un pezzo della leggenda, per vedere se è vera.”

“Questa è buona!” urlò il Rosso “Ancora quella stupida, insignificante, inutile leggenda. Bell, ma chi vuoi che ci creda?”

“Il club delle amiche .” disse il generale, guardando torvo il Rosso.

“Le sceme?” chiese il Rosso, con aria sorpresa.

“Sì, signore.” disse Stoinker, girandosi e dando ordini per portare la prigioniera nel luogo preparato per lei.

Il Rosso guardò Bell, che fece una stana faccia.

“Mi mandi così, alla cieca, e le sceme cercano… cosa… dove… ma sei impazzito? Se quelle vengono a sapere di noi siamo nei guai… lo sai che l’Imperatrice non perdona… e adesso?” chiese il Rosso.

“Calmati. Sappiamo cosa sta combinando l’Imperatrice.” Disse il generale e si girò seguendo la scorta della ragazza “E comunque ormai è tardi, non si torna indietro. Se succede qualcosa, lo sapremo. Il Barone ha fatto si che qualcuno controlli l’Imperatrice. Lui sa cosa fare.” Tagliò corto il generale, mentre il Rosso lo seguiva quasi correndo.

Mentre accompagnavano la prigioniera, successe il disastro.

“Generale, siamo attaccati!” urlò una voce negli altoparlanti della base militare.

“Non si sono fatti attendere troppo quei miserabili!” disse il generale e così dicendo corse nella sala comando.

***

“Allora, dove sono?” chiese il comandante dell’Excellent.

“Su quel pianeta, signore. Quello tutto rosso.”

“Inferno. Bel posticino che si sono trovati:” disse il secondo, leggendo una carta di navigazione alle spalle di uno degli uomini addetti alle consolle.

“E va bene. Se la sono cercata. E chi cerca, trova.” Il comandante era ritto sul ponte di comando e stava parlando con voce calma, pensando a quello che era meglio fare. “Secondo, dia ordine agli uomini di prendere i Platoon e di attaccare da nord. Noi, con la nave, attaccheremo da sud. A est ed ovest le due navi ausiliarie. Che sparino a zero su tutto ciò che si muove. Nessuna pietà. Non ci si comporta così negli affari.”

“Bene, signore. Date ordine agli uomini dei Platoon di muovere da nord. Svelti.”

I Platoon era dei robot di notevole stazza, di solito guidati da un solo pilota, con una forza straordinaria e armi di notevole potenza di fuoco, con una velocità ciclica però lenta. Volavano di solito a pochi metri dal suolo, ma potevano correre e camminare. L’Excellent ne aveva dodici, uno dei quali era pilotato personalmente dal vice comandante, che per renderlo più cattivo lo aveva fatto colorare di nero, mentre gli altri erano colorati con colori sgargianti, di solito rossi o bianchi.

La nave entro nell’atmosfera del pianeta e a circa un chilometro di altezza dal suolo  fece uscire i robor, che si avviarono a prendere posizione a nord della distesa di sabbia. La nave andò a sud, mentre due navette di appoggio si diressero a ovest e a est.

L’attacco dei pirati fu improvviso e potente. Il fuoco dei cannoni dei robot e della nave Excellent colpì in pieno la montagna ove era entrata la nave Erstalm, facendo breccia nella apertura della grotta.

Ma l’attacco dei pirati non ebbe molto successo.

All’improvviso dal nulla comparvero altri robot, classe Centurion, della stessa classe dei Platoon, solo più veloci, e decisamente in numero superiore a quelli dei pirati: il vice comandante dei pirati ne contò almeno cinquanta.

“Ci hanno fregato!” disse il comandante, che dalla sua nave cercava di entrare nella grotta, bombardandola con cannonata al laser e centrando le crepe apertesi sulla montagna.

All’improvviso, almeno quattro navi da guerra apparvero sopra l’Excellent, costringendola a cessare il fuoco e ad arrendersi, entrando nella grotta che tanto impunemente aveva cercato di sfondarla.

I Platoon furono costretti ad entrare subito dopo la nave, mentre le due navette ausiliare furono distrutte da un fuoco incrociato di cannoni laser nascosti tra gli anfratti della montagna.

La nave pirata fu fatta atterrare nella piazzola di fianco alla sua gemella.

Il generale e il Rosso le ammirarono.

“Identiche!” disse il generale, mentre il Rosso annuiva.

I pirati furono fatti scendere, o almeno, ci fu una vera e propria rissa per farli scendere.

Il comandante dei pirati stava maltrattando tutti quelli presenti sul ponte di comando quando gli uomini del generale salirono e ci volle parecchio a mettere a tacere l’omino, infuriato, che brandendo il suo bastone come un’arma, dava botte a tutti quelli che gli capitavano sotto tiro. Dovettero sparargli un tranquillante con un fucile ad aria per calmarlo.

“Maledetti!” gridava, disperato “Mi avete tradito!”

“Bene!” disse il generale, tutto contento di sé “Il Barone sarà contento! Le due ragazze, le due navi.. ”

“Calmati.” Gli disse il Rosso “Non stai mica mettendo insieme uno zoo. È solo una leggenda. Ricordatelo prima di finire male.”

Il Rosso gli voltò le spalle e se ne andò, lasciando il generale a rimirare il suo successo personale. Ma dopotutto, penso il Rosso, se avesse ragione… forse… no, meglio di no. Le guerre fratricide servono ai nemici.

La notte scese su quella parte del pianeta, mentre un vento sollevava la sabbia rossa intono alla montagna e una strana coppia di personaggi, di lontano, scrutava con dei binocoli la montagna.

 

La rabbia dell’Imperatore

“Allora, qual’è la situazione?”

“La principessa Noemi è in mano al Generale Poissuon, fedele al Barone Makarre.”

“La principessa Evane è alla tana delle tigri.”

“La principessa Gloria è in viaggio con il Conte Black.”

“Il Barone Makarre e la sua concubina Giulia stanno ancora convincendo alcuni burocrati a tradirvi.”

L’Imperatore ascoltava attentamente il resoconto dai suoi uomini dei servizi segreti, riuniti in una sala in una zona sotterranea del palazzo Imperiale, con la centro un tavolo di forma ovale allungata.

Oltre all’Imperatore vi era il capo dei servizi segreti militari, il Generale Koisuom, il capo dei servizi segreti civili, un certo Houiol, ed alcuni funzionari con ruoli minori nei servizi segreti, negli apparati militari e civili dell’Impero.

“Sì, ho capito. E le sceme?” chiese l’Imperatore

“Il club della amiche ha spedito… “disse un uomo in fondo al tavolo.

“Lo so cosa hanno fatto. Gli ho dovuto mandare dietro quell’idiota nullafacente del marito a controllarla. Ma non hanno ancora combinato niente. Non trovano niente. Cosa sa più di noi il Barone?” chiese l’Imperatore, infuriato per non avere risposte convincenti.

Il Generale Koisuom, grosso, impettito nella sua divisa piena di decorazione, non sembrava molto contento di dover dare la notizia.

“Sa chi sono le due ragazze, le due navi e le due imperatrici.”

“Ancora quella maledetta leggenda. Ora basta.” Tuonò l’Imperatore alzandosi di colpo dalla sedia, facendola cadere. ”E’ una balla, una storia per i bambini, finita non so come in quella stupida cerimonia di fine anno. Basta. Bisogna a tutti i modi che qualcuno metta fine a questa storia. Se non riuscite a fermare il Barone con le buone, fatelo con le cattive. Non è più un eroe, e solo un malato di potere, più di quello che gli è stato concesso. Ponete fine alle sue voglie o ci penserò io!” L’ultima frase dell’Imperatore suonò ai presenti come una minaccia non solo per il Barone, ma anche per loro.

Era da tempo che l’Imperatore voleva mettere fine a quei burocrati che facevano di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote: l’Imperatore voleva in quel modo migliorare la vita anche a quei sistemi solari troppo lontani dall’influenza benevola della zona Imperiale, dove burocrati egoisti e cattivi vassalli costringevano la gente a vivere in modo quasi disumano, pur di presentarsi davanti al loro Imperatore come gente disposta a far qualcosa, ma non aiutati dalla popolazione, a loro avversa.

L’Imperatore, da diverso tempo, sapeva che molti burocrati finanziavano terroristi contrari all’Impero, e che i suoi vassalli la prendevano come scusa per schiacciare la popolazione con un giogo mortale.

L’Imperatore lasciò la riunione, seguito dal suo aiutante.

Gli uomini presenti alla riunione guardarono il Generale e l’uomo seduto di fronte a lui.

“Credi di faccia sul serio?” chiese l’uomo.

“La tana delle tigri è in fermento. Il Conte Black ha quella nuova nave… Sì “disse il generale pensieroso “penso che faccia sul serio. Se Doc dovesse decidere di appoggiarlo definitivamente, potrebbe fare sul serio. Non possiamo intervenire. Conviene metterci al sicuro. Che ognuno di voi avvisi i suoi contatti. L’Imperatore di persona controllerà questa crisi. Ditegli di inviarmi relazioni giornaliere su tutto quello che succede, specialmente sul pianeta del Barone. E ditegli di tenersi pronti. Sicuramente dovranno sostituire quei burocrati che l’Imperatore non ritiene più indispensabili.”

“E se qualcuno scappa, per errore?” chiese una voce a metà tavolo.

L’uomo di fronte il generale non ebbe esitazione “Niente e nessuno deve scappare all’ira dell’Imperatore. Vivo o morto.”

Il Generale lo guardò fisso negli occhi “Meglio per lui morto che vivo.” Disse, con un filo di voce.

“Meglio per lui morto, certo. Non vogliamo che l’Imperatore sappia più del necessario.” Disse l’uomo, che si alzò e se ne andò dalla parte opposta da cui era uscito l’Imperatore, seguito da alcune persone che aveva assistito alla riunione.

“Generale. Non credo che ci si possa fidare…”

“Taci!” disse il generale al suo giovane interlocutore “Ci sono microfoni in questa stanza.”

Il Generale seguì con lo sguardo l’uomo che si allontana. Sapeva che era una delle pedine del Barone. Ucciderlo… buona idea… ma non avrebbe fermato il Barone. No, meglio vivo, che dicesse al Barone quello che voleva. Utile, dire al nemico tutto. Tutto quello che non deve sapere.

L’Imperatore, da una stanza vicina, aveva sentito tutto. Sapeva di chi fidarsi, non fino a che punto. Ma il Generale non era un pericolo. L’uomo sì. Burocrati, pensò. Dietro a lui la moglie lo chiamò.

“Caro…” gli disse con tono amorevole.

L’Imperatore si girò. Ogni tanto l’Imperatrice lo meravigliava.

“Arrivo.” Disse l’Imperatore.

Lasciando la stanza sotto braccio al marito, l’Imperatrice pensò alle figlie in giro per la galassia, sicuramente non in pericolo. L’Imperatore non lo avrebbe permesso.

 

Il viaggio continua

“Ma tu guarda dove dovevamo finire… togliti… “

“Stai calma, non ci vorrà molto…”

“Come no… siamo in viaggio da così tanto tempo che non mi sento più i piedi… mi dolgono…”

“Ho trovato un mezzo comodo… di cosa ti lamenti…”

“Comoda?… ma ti sei guardata in giro… Comoda!… sei matta…”

“Non potevano fare diversamente…non devono sapere…”

“Ormai non lo sa nessuno dove siamo… figurati… quando arriveremo ti pianto… me ne vado da solo…”

“E dove vuoi andare senza di me… per noi non c’è futuro… ricordatelo…”

“Certo… prima mi devono prendere… poi ne parliamo”

“Adesso basta… io dormo… tu fai la guardia…”

“Ma chi vuoi che ci venga a disturbare qui?”

“Tu fai la guardai e chiamami tra quattro ore…”

“Va bene… fai la guardia… qui…”

 

Trovato!

Dopo colazione, Louk e Freddy uscirono insieme, prendendo la scusa di andare a cercare un mezzo per andarsene dal pianeta.

Rachel rimase solo nella casa, guardando fuori da una finestra del soggiorno la pioggia che continuava a scendere copiosa, con la domestica che stava sparecchiando la tavola e sistemando le stanza da letto al piano superiore.

All’improvviso qualcuno busso alla porta.

Con un tempo del genere, pensò Rachel, chi vuoi che venga qui.

Aprì la porta e si trovò davanti Haras.

“Fammi entrare!” disse Haras “Diluvia ancora su questo maledetto pianeta.”

Haras aveva un mantello con cappuccio che la ricopriva completamente fino ai piedi.

Entrando se lo tolse, bagnando l’ingresso, e porgendolo a Rachel.

Sotto aveva un vestito scuro, lungo.

“Non guardarmi così. Non ho cambiato idea.” Haras lasciò la stupefatta Rachel in corridoio e entrò in soggiorno.

Rachel appese il mantello bagnato ad un attaccapanni dell’ingresso e seguì Haras.

“So cosa vuole l’Imperatrice.” Proseguì Haras, avvicinandosi alla finestra e guardando la pioggia che continuava a scendere “Ma lei mi deve permettere di andare via da qui. Devo lasciare Rodolfo in qualche maniera. Sono stufa di questo tempo, di un marito stupido, di non avere niente da fare tutto il giorno, se non controllare chi mi vuole morta. Voglio viaggiare per l’Impero, capisci?” e così dicendo si girò verso Rachel.

“Ma prego, Haras, siediti!” gli rispose Rachel, un po’ preoccupata.

Haras si sedette sul divano, mentre Rachel si accomodò su una poltrona.

Ci fu un lungo silenzio, interrotto dal ticchettio di un strano segnatempo posto a muro, che ogni tanto emetteva uno strano cu-cu. Gli oggetti bizzarri erano il passatempo di Louk, ma quello…

“Vedi, cara… “ comincio Haras “ lo so che l’Imperatrice ha tanto da fare, che il club delle amiche non può… o non vuole essere coinvolto in certe faccende… ma se vieni qui e mi chiedi aiuto, qualcosa in cambio me lo devi pur dare. Oh, Rachel, non sai che fatica vivere su questo pianeta! Rodolfo è impossibile!” cosi dicendo Haras incomincio a piangere, asciugandosi gli occhi un fazzoletto molto lavorato, che aveva nella manica destra del vestito.

“Certo! Ma se non eri qui, che cosa sarebbe stata la tua vita?” le chiese Rachel “Dopotutto, non sei di famiglia nobile e qualcuno doveva controllare Rodolfo in questo posto…”

“Ah, bene, ora mi rinfacci anche la mia condizione…”

“No, Haras. Ti ricordo cos’eri prima che l’Imperatrice ti facesse sposare Rodolfo. Non lo voleva nessuno, e un uomo solo pensa troppo a certe cose…”

“Cosa vuoi che pensi, quello? Lo sai che gli piacciono gli uomini? Già. Non lo dire a me. Ormai è cinque anni che non mi guarda. E non inventarti scuse sulla mie dimensioni: sono diventata così per colpa sua. Non lo vedi: le ragazze nella mia piscina sono nude e lui, quando viene a trovarmi, quelle poche volte, non le guarda. Anzi, alle volte volge lo sguardo altrove. Non parliamo poi del suo aiutante: sembra una donna. Mi devi aiutare Rachel, devo andare via!” insistette Haras.

“Come se fosse così facile!” gli replicò Rachel, alzandosi dalla poltrona e sedendosi vicino a lei sul divano.

“Qual è il problema?” chiese Haras, preoccupata.

“L’Imperatore vuole che Rodolfo rimanga. Gli è fedele. E in questa zona della galassia non vuole venire nessuno a comandarla. Troppi problemi con la popolazione, troppo diversa. E non c’è nessun di questa regione nel consiglio. Solo nelle delegazioni. Purtroppo , senza Rodolfo, questa zona sarebbe alla sbando, e sai come l’Imperatore Touk continui a pungolare Rodolfo per farlo passare dalla sua parte.”

“Ma Touk è dell’altra galassia! No, il problema non è Touk. Il problema è Makarre. Non so cosa gli sia preso. Continua a chiamare Rodolfo, a fargli domande su una cosa strana… aspetta… ah, sì… la giara della verità… ultimamente continua a chiamarlo per sapere chi la deve aprire e quando. Non so il perché, ma continua a chiederlo in maniera insistente. Tu sai cos’è?” chiese alla fine Haras.

Rachel la guardò preoccupata. Si alzo dal divano e cominciò a passeggiare avanti e indietro per la stanza. Haras cercò più di una volta di fermarla, con un cenno, per capire, ma Rachel era immersa nei suoi pensieri.

“Hai detto che gli chiede della giara della verità. Ma che ne sa Rodolfo della giara?…” Rachel si era fermata nel mezzo della stanza, con fare preoccupato.

“E’ quello che dico anch’io. Non ho mai sentito parlarne di…”

“Tu non devi neanche sapere che esiste. Solo l’Imperatore e i suoi diretti successori sanno della giara. Ascolta.. “disse Rachel, sedendosi ancora sul divano di fianco a Haras “devi assolutamente sapere tutto quello che tuo marito o il Barone Makarre sanno della giara. Forse non è la leggenda che Makarre vuole, ma la giara.”

“Sì. D’accordo. Ma io… non voglio più…”

Rachel interruppe la donna, ponendogli il dito indice della mano destra sulle labbra.

“Tu preoccupati di farci avere notizie, e io mi preoccuperò affinché l’Imperatrice pensi a te. Adesso vai.” Così dicendo, Rachel l’aiutò ad alzarsi dal divano e la sospinse verso l’uscita. “Ti farò sapere io.”

Rachel porse il mantello ad Haras, che incredula, se lo indossò ed uscì sotto la pioggia.

Mentre la pioggia scemava e un pallido sole, ormai al tramonto, faceva capolino tra le nuvole, Louk e Freddy rientrarono a casa.

“Trovato!”  Disse Louk entrando in casa, seguito da Freddy che irruppe in casa sospingendo Louk. I due si misero a ridere, mentre Rachel, scendendo le scale, gli andò incontro.

“Trovato cosa?” chiese Rachel mentre si aggiustava la camicetta.

“Hai visto!” Disse Freddy “Noi a lavorare e lei a dormire.”

“Trovato cosa?” richiese Rachel, stizzita.

“Makarre è in combutta con l’Imperatore Touk della vicina galassia. Vogliono detronizzare l’Imperatore ed ampliare il controllo di…” Louk si fermò. Guardò la moglie stupito: sembrava che non lo ascoltasse, continuando a sistemarsi la camicetta.

Feddy si era già tolta il mantello e lo aveva deposto sulla sedia, all’ingresso, ed era entrata nel soggiorno. Si girò a guardare Louk che si era fermato a metà del discorso, con in mano il laccio del mantello mezzo slacciato.

Tornò indietro e vide Rachel che si stava ancora sistemando la camicetta.

“Cosa sai che io non so?” chiese Louk, guardando la moglie con fare sospettoso ed interrogatorio.

“Niente, caro.” Disse lei, finendo di allacciare l’ultimo bottone e dirigendosi in soggiorno.

Freddy se la vide passare di fianco mentre dalle labbra di Rachel usciva un sorrisetto ironico e Louk la seguiva con lo sguardo , impietrito all’ingresso.

“Chi ti è venuto a trovare?” chiese Freddy.

“Haras.” Rispose Rachel

Louk finì di slacciare il laccio del matello, che lasciò cadere per terra, e di diresse verso la moglie, mentre sul volto di Freddy la meraviglia era molto evidente.

“Haras, qui?” chiese Louk

“Perchè?” gli fece eco Freddy

“Sapete com’é. E’ stanca del marito, di questo posto… la noia… i tradimenti…” disse Rachel con fare superiore.

“Non è possibile. Cosa gli hai promesso, o meglio, cosa gli ha promesso il club della amiche?” chiese Louk, mentre Freddy gli si avvicinò alle spalle e squadrò Rachel, che si stava versando da bere in un bicchiere nero da una caraffa piena di un liquido rosso.

Rachel prese il bicchiere, lo guardo come se cercasse qualcosa nel bicchiere, sorseggiò il contenuto e, con una luce negli occhi decisamente di una che l’aveva combinata furbescamente grossa, disse: “Niente. All’Imperatrice di Haras non gli importa niente. Al club delle amiche meno che meno. Non sa stare al suo posto, fa quello che vuole, sempre… No, miei cari, Haras sa che qui dovrà vivere e morire, ma ci prova… e ci proverà finché avrà vita. Ma sapete com’è l’Imperatrice: una volta tradita la sua fiducia, niente e nessuno può fargli cambiare idea.” Sorseggiò ancora dal bicchiere e si diresse ad una poltrona, dove si sedette con eleganza, facendo volteggiare la sua lunga e larga gonna nera con ricami rossi. “Haras spera che l’Imperatrice la perdoni, ma ormai è passato tanto di quel tempo che l’Imperatrice non sa neanche più che esiste. No, non gli ho promesso niente, ma lei spera… Comunque (continuò Rachel dopo un sospiro) la vera notizia è che qualcuno sa della giara della verità e potrebbe impossessarsene. Avete trovato un mezzo per andare via?” chiese infine Rachel.

Freddy si avvicinò al tavolo, si verso anche lei in un bicchiere nero il liquido della caraffa e lo trangugiò d’un fiato.

“Tutta fatica sprecata.” Disse dopo essersi asciugata la bocca con la maniche del suo vestito.

Louk la guardò mentre compiva quel gesto così sconsiderato, almeno per le donne di corte, e Freddy ricambio con un cenno scontroso del capo.

“Si. Abbiamo trovato un mezzo.” Disse Louk, emettendo un sospiro e guardando la moglie, che se la stava tranquillamente ridendo, con quel sorrisetto beffardo che non si era mai tolta dal viso. “Domani partiamo. Prepariamo i bagagli.” Così dicendo Louk si girò per andare al piano superiore. “Oh cara..” disse voltandosi verso la moglie “.. non ti dispiace se Freddy viene con noi, vero?”

“Figurati, caro.” Disse beffardamente la donna “Come posso rifiutare un passaggio a sua signoria.”

“E’ pronto da mangiare.” La vecchia domestica apparve dal nulla.

Louk trasalì.

“Va bene. Adesso arriviamo.” Rispose Freddy.

La notte stava giungendo su quel pianeta dimenticato da tutti.

Freddy, Louk e Rachel si accomodarono nel soggiorno a cenare.

Nel palazzo la vita scorreva come al solito, tra le mollezze e le agiatezze che solo le persone ricche sono abituate a sopportare.

La popolazione del pianeta da una parte trascorse le serate come al solito, dall’altra si preparava ad un nuovo giorno.

Ma qualcuno, nello spazio, controllava e voleva sapere.

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Capitolo 5
*** La guerra dei burocrati ***


La riunione

Il tempo scorre, imperterrito, inconsapevole, inutile: passa veloce o lento, misurato, indifferente degli eventi che lo compongono. Il rapimento della principessa Noemi fece il giro della galassia lentamente, irrefrenabile.

Quando tutta la galassia lo seppe, era ormai passato un mese, e nulla si muoveva.

O almeno, nessuno voleva che niente si movesse.

L’Imperatore e l’Imperatrice continuavano la loro vita, come se niente fosse accaduto.

I burocrati, più o meno fedeli all’Imperatore, non ne parlavano. Ma ne erano preoccupati. Un capo divisione per l’immigrazione e uno addetto al controllo della navi spaziali private furono trovati morti nei loro appartamenti, apparentemente suicidi.

Ma i servizi segreti non se ne curarono, non investigarono.

L’Imperatrice lo seppe per caso, confabulando con le sue amiche.

Quando ne parlò con il marito, lui fece finta di niente, non era importante: o almeno, per lui era importante che la moglie non si innervosisse più del necessario. Era ovvio, ormai, che qualcuno stava movendosi verso una direzione ben precisa, ma ancora da capire.

Dal pianeta su cui erano stati mandati, Louk e Rachel partirono nello stesso modo in cui erano arrivati, con più interrogativi che risposte. Tornarono al pianeta dell’Imperatore e riferirono ognuno al suo mandate.

Freddy, invece, se ne guardò bene di tornare dall’Imperatrice.

Non ebbe il coraggio di fare ciò che Louk gli aveva chiesto: non era un killer.

Partita dal pianeta, usando vari navi spaziali, che trasportavano materiali vari per la galassia, si fece portare alla tana delle tigri.

Riferì direttamente a Doc.

Alla tana delle tigri, intanto, erano arrivati anche il Conte Black e Giulia, che Freddy fu ben felice di vedere sana e salva.

Doc decise di indire una riunione, per discutere degli avvenimenti dell’ultimo mese, alla presenza di tutti i protagonisti.

“E’ davvero il caso di indire una riunione con tutti?” chiese il Conte Black a Doc.

“Di più mio caro. Siamo obbligati a fare una riunione. Devo chiarirmi le idee. E’ tutto ancora così… fumoso… incontrollabile… Vedremo.” Disse Doc, calmo come sempre.

Samuel incrociò Black in uno dei corridoi della tana.

“Cosa vuole fare Doc? Perché vuole indire una riunione generale?” chiese Samuel a Black.

“E che ne so? La vuole fare per capire. Vallo a capire!”

Samuel fece spallucce e si diresse verso una della stanze della tana.

Nella stanza trovo Angel, sdraiata su un divano, che stava leggendo, su un video di ridotte dimensioni, un libro.

“Cosa leggi?” chiese Samuel

“O, niente di interessante… uno strano libro… La storia di Don Chisciotte della Mancha.. che tipo strano. Divertente… che c’è, Samuel, qualcosa che non va?” Chiese Angel, girandosi a guardare Samuel.

“Black ha detto che Doc vuole fare una riunione con tutti. Strano. Vuole capire… quando mai Doc ha fatto una riunione per capire? A lui non serve…”

“Capire?” concluse Angel

“Sì. Capire. Se sa già tutto, cosa deve capire?” Samuel sembrava angosciato.

“Non è che vuole prendere tempo? Sai, magari… no, non è possibile.”

“Cosa non è possibile, Angel?” chiese Samuel, sedendosi di fianco ad Angel.

“La storia della giara. Dopotutto, se è vero che solo il diretto discendente può guardare dentro la giara, chi è il diretto discendente?”

“Noemi!” Rispose Samuel, ma si accorse di averne detta una troppo grossa.

“Giulia. E’ lei la primogenita. Che scioccone!” Disse Angel, ridendo forte. Samuel era rimasto imbambolato, quasi non capendo. Angel smise di ridere e lo guardò.

Anche Samuel, ancora sbigottito, guardò Angel.

“ E allora, perché hanno rapito Noemi?” dissero insieme.

***

La riunione fu organizzata in meno di una settimana.

La grotta della tana era piena di personaggi provenienti da tutta la galassia. O anche da oltre.

Evane entrò nella sala con tutti gli altri: Samuel, Angel, Black e Giulia e si accomodarono su alcune scranni scavati nella roccia posti in fondo alla sala. Roson, l’orso, ed Elsa, la tigre, si accucciarono ai loro piedi.

In faccia a loro c’erano gli scranni degli anziani della tana: Doc sedeva nel mezzo, negli altri undici posti vi erano personaggi provenienti da tutte le parti della galassia. Ma Evane noto che la metà degli anziani non era di quella galassia.

Dietro agli anziani, nei palchi posti ai vari livelli all’interno dalla grotta, vi erano i saggi.

Gli altri palchi si stavano rapidamente riempiendo di vari personaggi, in modo rumoroso: sembrava che fosse parecchio che non si incontravano e, qualcuno, in modo decisamente gioviale, salutava persone presenti sui palchi dall’altra parte della sala.

Doc, in piedi,  richiamò tutti all’ordine.

“Signori… signori… prego… incominciamo…” la sua voce rimbombò all’interno della grotta.

Il vociare terminò.

“Siete stati chiamati per capire cosa sta in questo momento capitando nella nostra galassia. Capisco che per molti di voi ciò può risultare insignificante, ma nell’ordine delle cose, può essere che le aspettative di molti di coloro che abitano questa galassia non siano esattamente ciò che in pochi vogliono per se stessi. E’ necessario verificare i fatti, confrontarli, capire ed infine intervenire per contrastare chi vuole modificare a suo solo vantaggio le cose.”

Doc si fermo, volgendo lo sguardo a tutti i settori della sala, cercando segni di consenso o di diniego da parte dei partecipanti. Nessuno fiatò.

“I fatti sono semplice. La principessa Noemi, figlia dell’Imperatore di questa galassia, ma non sua erede al trono, è stata rapita. Da chi non ci è dato ancora di saperlo… (un improvviso brusio percorse tutta la sala e Doc si fermò) Sì, lo so… (continuò Doc, movendo le mani per far tacere il brusio) che voi credete che… quella persona.. (il brusio diventò insopportabile e Doc si fermò)”

“Basta!” urlò una voce in uno dei palchi dietro a Doc.”Fate silenzio… (Il brusio terminò) Continui, Doc!” disse infine l’interlocutore.

“Come dicevo, so che voi credete che quella persona sia implicata, e di certo non posso darvi torto. Ma noi sappiamo che non è così. Notizie certe ci dicono che alcuni burocrati dell’Impero di questa galassia e di quella a noi vicina, nemica da tempi immemorabili, sono in combutta. La giara è in viaggio e se il successore non potrà riceverla al momento previsto, non si potrà avere la successione. E’ necessario che il successore ci sia a ricevere la giara.”

Tutti guardarono Giulia.

“Peccato che non sia lei!” Disse Doc e il brusio della sala fu incontrollabile. “Peccato che non sia lei, che non sia sua sorella Noemi, che non sia Evane, sorella dell’Imperatore. Peccato che Makarre con l’Imperatore Touk stia tentando di prendere il potere, senza ragione. Per fortuna. No! Il successore dell’Imperatore presto sarà raggiunto dalla giara della verità. (Nella grotta le voci di protesta e di stupore si alzarono alte) Vi prego… vi prego… signori… silenzio… “ La tigre Elsa alzò il muso interrogatorio verso Doc, mentre l’orso Roson si era messo seduto.

“Silenzio!” urlò la voce dietro a Doc e il silenzio calò come un mannaia nella grotta, un silenzio inspiegabile e preoccupante.

“Vi prego. Capisco.” Continuò Doc “Capisco che la cosa vi preoccupa. Capisco anche te, Elsa. E anche la tua meraviglia, Roson. Ma d’altronde era necessario. Ormai la casa Kioun ha finito il suo ciclo. E’ necessario che altri proseguano, dopo l’Imperatore Federikson, a comandare questa galassia. Necessario. L’Imperatore Touk sta tentando, di fronte all’impossibilità dell’attuale Imperatore di opporsi ai burocrati, di prendere il comando tramite Makarre. Ma noi non possiamo permetterlo. Makarre non può prendere il comando di questa galassia. Sarebbe troppo pericoloso. Comunque, non vi preoccupate. La giara ha ancora molto da viaggiare per essere consegnata. Per il momento, è necessario liberare Noemi, bloccare Makarre e l’Imperatore Touk nel loro tentativo di prendere il comando della galassia. Per questo, a Makarre ci penserà il Conte Black. A liberare la principessa ci penseranno la principessa Evane, il Duca Samuel Costa Rica e Angel Costa Brava. In ogni caso, dobbiamo fare in modo che quando vi sarà la successione, la galassia rimanga comunque unità, per questo è necessario che Invicible sia noto a tutti che può arrivare a bloccare qualsiasi rivolta che potesse esplodere nella galassia. Capisco che la decisione è dura, ma necessaria. Ben sapete il perché, e gli anziani sono tutti d’accordo.” Il vociare dei presenti costrinse Doc a fermarsi, perché il rimbombo nella grotta era diventato insopportabile.

Il solito personaggio nascosto nel palco alle spalle di Doc intervenne.

“Silenzio! E’ necessario! La decisione è stata presa!”

Il brusio terminò. Evane si guardò intorno.La sua dinastia era arrivata alla fine, dopo così tanto tempo. Ma perché Doc era stato così duro? Perché era necessario? Avrebbe voluto chiederlo a Doc, ma la riunione era finita e molti si allontanarono dalla grotta. Doc sparì agli occhi di Evane dietro a numerose toghe incappucciate.

La tigre Elsa guardò Gloria, che aveva gli occhi piani di lacrime. Gli appoggiò il muso sulle gambe, ma Gloria la respinse in modo brusco. Elsa non capì. Dopo tutto le era stata fedele, la aveva difesa da qualsiasi malintenzionato, perché la trattava così?

L’orso Roson guardò il Conte Black, che stava parlando con Samuel ed Angel. Black non sembrava poi così molto sconvolto dalla notizia.

Evane con capiva. Tutto sembrava inutile. Seduta nel suo scranno, guardava i vari mantelli passare, il cappuccio calato sul viso dei vari personaggi, che tra di loro si riconoscevano , ma non volevano farsi riconoscere.Si sentì male. Dopo qualche attimo, Angel le si avvicinò, scotendola dal suo torpore con la mano appoggiata sulla spalla.

“Perché?” Chiese Evane a Angel.

“Lo so che non ti è stato spiegato. Ma ti devi fidare. La tana lo fa per il bene della galassia. Il potere, Evane, il potere di un solo uomo non serve alla galassia. Non serve a nessuno. La gente che la abita, che ogni giorno si alza in tutti i mondi che la compongono e lavorano, piangono, gioiscono, solo quello è importante. Le nostre stesse vite non sono così importanti. Per il bene del futuro della nostra galassia, è necessario cambiare, affinché nella cambi. Per gli altri, ovviamente.” Le disse Angel, sorridendole, per tranquillizzarla.

Evane annuì, silenziosa, ed abbassò il volto. Né lei, né suo fratello Imperatore erano così importanti come coloro che vivevano nella galassia. Senza quei miliardi di persone che vi vivevano, l’Imperatore non avrebbe avuto ragione di esistere. E pure senza il consenso di quei miliardi di persone.

Angel andò a consolare Gloria. Ma ormai Gloria era in preda ad una crisi di nervi. Il Conte Black prese Gloria in braccio, quasi svenuta, e la portò via.

Mentre Evane si alzava dal suo scranno, riconobbe Freddy che usciva con un gruppo di toghe da una uscita secondaria. “Strano.” Pensò ”Anche lei qui. Non sembrava preoccupata.”

Evane scrollò le spalle e si avviò a seguire Angel. Se era tempo di cambiare conveniva stare almeno dalla parte giusta. Forse.

 

L’altra riunione

La luce entrò nella stanza da una tenda scostata dalla finestra, andando a colpire il volto di Louk. Ma lui era sveglio già da un po’. Si girò e vide il volto di Rachel. Stava ancor dormendo, beata, come se nulla potesse darle fastidio. Louk, però, notò un lieve spostamento della palpebra destra di Rachel. Lei aprì l’occhio, guardò Louk e scoppio a ridere.

Louk e Rachel erano in un letto a baldacchino, nudi, sotto un copriletto bianco, lavorato a mano.

Louk si infilo sotto alle lenzuola, abbracciando forte Rachel e trascinandola sotto anche lei.

La lotta sotto le lenzuola durò poco: un calcio di Rachel colpì Louk, che saltò fuori dal letto nudo e dolorante, tenendosi il linguine e rotolando per terra.

Rachel lo seguì, nuda, cercando di calmarlo: in quel mentre qualcuno entro nella stanza senza bussare.

“Buongio…” iniziò la ragazza, che come ogni mattina svegliava la coppia, spostando le tende e facendo entrare la luce nella stanza.

“Sì… sì… adesso fuori!” Le disse Rachel, per niente imbarazzata della situazione.

La ragazza girò sui tacchi e usci, chiudendo dietro di sé la porta.

La stanza ritorno nella penombra, mentre Rachel aiutava Louk ad alzarsi e a tornare nel letto. Il fiato di Louk era pesante, ansimante, e Rachel cercava di calmarlo, mentre lui la guardava con un sguardo che urlava vendetta.

Rachel indosso la sua vestaglia blu cobalto, si avvicinò ai pesanti tendaggi e li apri, facendo entrare la luce del mattino nella stanza.

A Louk passò in fretta il danno provocato dal colpo, ma rimase nel letto.

Rachel lo guardò divertita, poi si avvicinò ad un video appeso al muro, lo toccò con le dita e un menù apparve sul video. Rachel con l’indice toccò “servitù” e sul video apparve il volto della ragazza che era entrata nella stanza.

“Dica, signora… ha bisogno?” chiese la ragazza.

“Sì, Ramona. Potresti portarci la colazione? Grazie.” Le disse Rachel

“Sì… signora.” Rispose la ragazza.

Il video divenne trasparente. Rachel si girò verso Louk, che si era alzato ed aveva indossato una vestaglia nera.

Rachel cercò di avvicinarsi, ma Louk gli fece un cenno che non ammetteva repliche: stai lontana.

Rachel sorrise, ma capì; a Louk non piaceva molto essere maltrattato.

Ramona bussò prima di entrare: Rachel si avvicinò alla porta e la aprì.

“Posso entrare?” chiese Ramona “Il signore è vestito?”

“Entra, entra Ramona.” Disse Louk.

Ramona spinse dentro il carrello pieno di cibo e se ne andò subito, con aria indifferente.

Rachel chiuse la porta dietro a lei, ridendo.

“Tra poco lo saprà anche l’Imperatore!” disse Rachel ridendo.

“Bello. Oh, bello davvero. A casa dell’Imperatore doveva succedere. E’ l’ultima volta che ti do retta. Dovevamo già essere a casa nostra. Ma no, scherzi, lei deve parlare con l’Imperatrice. E’ ormai più di un mese che siamo qui! Ora basta!” Urlò Louk, infuriato. “E’ inutile stare qui. Mangiamo e poi partiamo.”

“Louk, non posso!” Disse Rachel

“Io parto.” Disse Louk. “Tu se vuoi rimani. Ho da fare.”

Louk prese una focaccia dal carrello, se la infilò in bocca e se ne andò in bagno.

Rachel si era appena servita da mangiare e si era seduta al tavolo circolare presente nella camera, quando il video si accese e apparve l’Imperatrice.

“Buongiorno, Rachel. Come va stamattina?”

“Non bene.” Disse Rachel, alzandosi dal tavolo e facendo una riverenza all’Imperatrice.

“Sì, capisco. Louk vuole andarsene. D’accordo.” Disse “Parti con lui. Forse sarai più utile a casa che non qui.”

Rachel annuì e il video si spense. Si risedette al tavolo per finire la colazione.

Louk rimase più di un’ora nel bagno.

Quando uscì trovo la moglie vestita con lo stesso vestito che aveva usato per andare sul pianeta Neerg.

“Hai cambiato idea?” le chiese Louk.

“Sì. Ti dispiace?” lo rimbeccò Rachel.

“No. Andiamo.”

Presero le valige che Rachel aveva preparato ed uscirono dalla stanza.

Louk si voltò a guardare la stanza. Sul carrello del cibo gettò una parallelepipedo lucente.

L’oggetto tintinnò cadendo sul carrello.

Rachel sentì il rumore e si giro verso il marito.

“Cos’era quel rumore?” Chiese Rachel.

“Oh, niente. Le solite orecchie indiscrete.” Rispose calmo Louk.

Rachel si rigirò e prosegui per il lungo corridoio su cui si affacciava la stanza che avevano lasciato.

Louk dovette correre per stargli dietro.

Louk e Rachel presero la loro nave, posteggiata da ormai alcuni mesi nell’astroporto privato dell’Imperatore: un onore dato solo ai più alti ranghi dell’Impero.

Il responsabile dell’astroporto segno sul suo computer la partenza della nave.

L’Imperatore era nel suo ufficio, quando la segnalazione della partenza della nave di Louk arrivò sul suo computer, nel suo ufficio privato.

Si alzò dalla scrivania e guardò fuori. La nave di Louk, una nave da battaglia del tipo Jiok, nera, si stava alzando in volo.

L’Imperatore si strofinò il mento, pensieroso.

***

“Allora. Cosa facciamo?”

“E’ inutile insistere. Non ne vuole sapere. Non vuole sostituire le persone che d’ora in poi verranno per qualsiasi motivo uccise o trovate uccise. Dice che i posti verranno presi dai loro diretti subalterni. Che fregatura!”

“Calmati. Adesso dobbiamo fare in modo che accetti necessariamente che la sostituzione avvenga per nomina e non per successione. Ci deve essere il sistema di farglielo accettare.”

“Non esiste qualcosa nei meandri delle leggi?”

“No. Non esiste.”

“Oh… esiste. Uccidiamo i subalterni più diretti. Li sostituiamo. Uccidiamo i capi…”

“E il subalterno diventa il capo. Bella idea. Ma ci vorrà tempo.”

“Troppo. Ma è l’unico sistema. Ci conviene muoverci. I consigliere dell’Imperatore e dell’Imperatrice se ne sono andati oggi. Non torneranno per almeno sei mesi. Conviene intervenire intanto che non sono qui.”

“Bene. Pensi che Ma…”

“Niente nomi. Idiota! Andiamo via di qui.”

***

L’Imperatore indisse una riunione tra i capi dei servizi segreti nella sala nel sotterraneo.

A tre mesi dal rapimento della ragazza, niente si era mosso ancora. O, almeno, l’Imperatore non aveva voluto che niente si movesse.

Il Generale Koisuom e il Signor Houiol sedevano uno a destra ed uno a sinistra dell’Imperatore, mentre tutti i loro dirigenti dei vari settori sedevano, ognuno per le sue competenze, dalla parte del loro superiore.

L’Imperatore guardò sia a destra che a sinistra, prima di iniziare la riunione. Alcune facce erano nuove: due o tre, pensò l’Imperatore. Il nemico si stava movendo in fretta.

“Bene, signori, notizie?” chiese guardando il generale alla sua destra, ma la voce che gli rispose giunse da sinistra.

“Siamo in attesa di vostri ordini, mio Imperatore.” Disse il signor Houiol.

“Esatto.” Disse il Generale, che l’Imperatore stava ancora guardando.

“Interessante. Peccato che ho detto di non muoversi e di trovare mia figlia. L’avete trovata?” chiese l’Imperatore.

“Sì.” Disse il Generale. “Sappiamo dov’è e con chi é. Non si sono mossi. Attendono ancora ordini.”

“Bene. Nessuno si muova. Controllateli. Che una formazione di attacco si piazzi nella zona e nel caso di una loro fuga… catturateli! In caso di resistenza, portatemi solo mia figlia. Viva!” L’Imperatore serrò forte le mani, guardando i presenti nella stanza.

“E per Makarre e l’Imperatore Touk?” chiese il signor Houiol.

“Dopo.” Disse l’Imperatore dopo una breve pausa. “Dopo. Adesso serve che voi fermiate la morte inutile dei burocrati. Vedo tra di voi facce nuove. Spero che siate fedeli al vostro Imperatore… Sarà meglio Generale che tutte le persone nuove in questa sala siano controllate. Anzi, meglio, niente più facce nuove, in questa stanza. D’ora in poi le riunioni verranno fatte solo con persone che hanno già iniziato questo lavoro. Agli altri non sarà ammesso accedere a queste riunioni.”

L’Imperatore si alzò ed uscì dalla stanza.

Il generale e il suo dirimpettaio guardarono le facce dei loro collaboratori. Tre delle persone presenti furono invitati dal Generale a seguirlo.

“Vi conviene trasferirvi tutti al centro comando fino alla fine della crisi. Siamo tutti in pericolo di morte.” Disse il signor Houiol a coloro che erano rimasti nella stanza.

Ci fu un vociare di proteste, che si interruppe quando il viso del signor Houiol divenne scuro.

“Anche i vostri cari. Per sicurezza, ovviamente.” Concluse.

La riunione fu sciolta e i funzionari uscirono dalla sala. Tranne il signor Houiol. Si accese un sigaro, che aveva tolto da una tasca interna della sua giacca, e l’accese con un accendino enorme e nero.

Il fumo della prima boccata invase la stanza.

Rimase lì, pensieroso, in quella enorme sala, a pensare al da farsi.

Anche uno dei suoi diretti funzionari era morto. E lui aveva deciso di non sostituirlo. Ormai il disegno del nemico era chiaro, e lui era intervenuto, drasticamente. Nessun successore. Nessuna possibilità di sostituirlo se non uccidendolo. E l’Imperatore non lo avrebbe sostituito.

Meglio così, pensò.

Si alzo dalla sedia ed uscì, fermandosi sull’uscio. Si voltò, e vide l’Imperatrice entrare.

Si guardarono un attimo.

Quanto sapeva il club delle… amiche o sceme, come piaceva chiamarle all’Imperatore, di quello che stava succedendo? pensò Houiol. Troppo, sicuramente. Ma erano talmente fedeli all’Imperatrice e, quindi, all’Imperatore, che qualsiasi cosa avessero fatto, era il benvenuto. Qualsiasi aiuto.

Hoiuol saluto l’Imperatrice con un inchino ed usci.

L’Imperatrice sentì l’odore del sigaro del signor Houiol. Si sfregò il naso. Quel puzzo insopportabile. Ma non poteva smettere? L’Imperatrice controllò che non ci fosse nessuno. Si inchinò e cerco sotto il tavolo.

“Sei la solita ficcanaso!” L’Imperatore le giunse alle spalle senza farsi sentire.

“Oh caro, sai com’é. Sto cercando un orecchino che ho perso, ma non mi ricordo dove. Che ci vuoi fare. Lo cercherò altrove.” Così dicendo porse la mano destra all’Imperatore perché la aiutasse ad alzarsi, ma l’Imperatore la lasciò li dov’era e si sedette sulla poltrona, che l’Imperatrice aveva scostato per cercare sotto il tavolo, guardandola con fare circospetto.

L’Imperatrice si sedette sul pavimento di marmo, alzando le vesti e mostrando le lunghe game affusolate.

“Ha ragione, Louk. Tu e Rachel, ogni volta che siete in difficoltà, mostrate le vostre grazie. Allora, dimmi, cosa cerchi, questo?” disse l’Imperatore, mostrando alla moglie un parallelepipedo lucente.

L’Imperatrice parve imbarazzata, ma si trattenne: il suo autocontrollo era insuperabile e molte volte aveva avuto modo di dimostrare che gli insegnamenti ricevuti avevano fatto il loro dovere.

“Ma cosa dici, caro? Io cercare quell’aggeggio? Non so neanche cosa sia.” Disse la donna, sorridendo al marito.

L’Imperatore non era molto contento della risposta della moglie e decise di passare all’attacco.

Si sedette sul pavimento vicino a lei, e gli passo le mani sulle gambe.

“Caro… ti prego… qui no…”

“E perché no. E’ l’unico posto dove non l’abbiamo ancora fatto.”

L’Imperatore passo all’attacco e all’Imperatrice non poté far altro che arrendersi. Era sempre così focoso quando voleva.

Nessuno dei due fece caso al tempo che trascorreva lento, inesorabile.

Quando la foga dell’Imperatore finì e le voglie dell’Imperatrice cessarono, i due erano nudi sul pavimento di marmo, freddo come una lastra di ghiaccio.

“Cosa vuoi, caro?” Disse l’Imperatrice, mentre si alzava dal freddo pavimento e si sedava su di una sedia, certamente più comoda e più calda.

L’Imperatore era di schiena sul pavimento e guardava il soffitto.

“Cosa sai, tu e il tuo club delle..”

“Sceme?” L’Imperatrice non gli fece concludere la frase “Sai, so che la giara della verità è in viaggio per il tuo successore, (fece un sospiro) peccato che non sia una delle tue figlie.”

L’Imperatore si alzo, gettando alla moglie i suoi vestiti e incominciando ad indossare i propri.

“Caro.” Disse l’Imperatrice “Queste sono tue.” Lanciandogli un paio di slip, che gli finirono sulla testa, provocando l’ilarità dell’Imperatrice.

L’uomo, con un gesto di stizza, se li tolse dal capo e li indosso.

“Così il tempo è venuto. La nostra dinastia si ferma qui. A chi toccherà sostituirmi?” disse l’Imperatore.

“Non si sa. Lo sai che non è concesso a nessuno di saperlo.”

“Tranne alla tana delle tigri, o meglio, a Doc. E’ lui che decide a chi va la giara, no?!” disse l’uomo, finendo di vestirsi.

La donna finì di vestirsi e si diresse verso l’uscita.

“Non ti serve?” Le chiese il marito, tenendo il mano il parallelepipedo.

“No. Ho saputo quello che mi serviva. Vogliamo andare?” disse la moglie, facendo segno al marito di seguirlo.

“Già. Ma io non sono lo scemo del villaggio. Spera che non venga mai a sapere cosa state combinando. Non vorrei venire a sapere che qualcuno ha deciso per me.”

“Non ti preoccupare, caro. Prima il bene della galassia, te lo ricordi. Sempre prima il bene della galassia.” Disse la donna in modo amorevole, rimarcando le ultime parole.

L’Imperatore offrì il braccio all’Imperatrice ed uscirono dalla sala.

A terra rimase, non vista, un collant.

Qualcuno, subito dopo l’uscita della coppia, lo raccolse.

 

E il viaggio non si ferma

“Allora… ti muovi…siamo in ritardo…”

“Sì… lo so… in ritardo e lontano… ma chi se ne frega… a chi vuoi che interessi?”

“A me… pesa…”

“Ma va… davvero… poverina…”

“Un cavolo… muoviti…”

“Senti… siamo gia passati per un deserto… viaggiato in modo indecente su astronavi cariche di tutto, tranne di essere pensanti… mi fai attraversare boschi… senza parlare degli animali che ci vogliono magiare… smettila…”

“Sei insopportabile… lo sai che il nostro lavoro è importante… “

“Già… importante… l’unico interessato a questo lavoro é… “

“Niente nomi… quante volte te lo devo dire che qualcuno potrebbe sentirci e vedere…”

“Dove? Qui?! Ti sei bevuta non solo il cervello, ma tutto la massa cervicale che ti ritrovi…”

“Basta… cammina.. ci fermeremo quando finiscono gli alberi… ormai è sera…”

“Come sei buona…”

 

I burocrati

Per comandare un Impero, o meglio, per dirigere un Impero come se fosse una orchestra, oltre a chi si vede (Imperatore, Duchi, Baroni, Conti), servono i burocrati, coloro che controllano le carte, le vagliano, verifichino che siano fatte come le leggi scritte o le usanze del posto prevedono, rilasciano documenti, incassano le tasse. Senza di loro l’Impero si fermerebbe.

Purtroppo, qualcuno dei burocrati, alle volte, forse per troppo zelo, dice ai suoi capi come sarebbe meglio mandare avanti le cose, modificare leggi o usanze, se non addirittura come comandare.

Alle volte alcuni vengono perdonati, altri esclusi dal sistemi o, alla peggio, licenziati.

Ma i più subdoli, sapendo quanto gli spetta per il loro ardire, spesso mandano avanti gli altri a parlare con i capi, dandogli indicazioni su come fare o suoi modi di agire e dire le cose, negando l’evidenza dei fatti in caso di insuccesso, non rimettendoci niente. In caso di successo, si fanno avanti schiacciando in modo ignobile chi hanno convinto a portare il loro pensiero ai capi.

In qualunque caso, fanno sempre bella figura.

Di certo quelli che avevano deciso che la casa dell’attuale Imperatore non doveva più regnare, aveva deciso un modo un po’ troppo ambizioso di sistemare la cosa.

L’idea era venuta ad un burocrate, un certo Dinours Jiolu, assistente del Barone Makarre, che ben conosceva l’avversione del Barone verso l’Imperatore.

Dinours era, per il Barone, molto di più del suo braccio destro: era colui che, in qualunque momento, poteva sostituire il Barone in qualsiasi funzione. Tanta fiducia era dovuta al fatto che Dinours aveva aiutato il Barone quando fu combattuta la guerra con la galassia vicina.

Ma a Dinours, quella guerra aveva fatto comodo. Aveva trattato con i burocrati dell’altra galassia, esponendo a loro l’idea: unire le due galassie sotto un solo Impero, per poter poi meglio comandare a loro piacere. Di certo un Impero così esteso e difficile da controllare, avrebbe messo in difficoltà il nuovo Imperatore, che avrebbe dovuto affidare zone più grandi delle galassie a singoli individui fidati: questi individui avrebbero usato burocrati fidati. Ciò significava per i burocrati avere un certo potere, anche se illegittimo, ma sempre potere di fare quello che volevano. Più o meno.

L’idea era piaciuta sia ai burocrati della sua galassia che agli avversari, e Dinours si era messo al lavoro.

La fiducia del Barone era necessaria: in una zona così lontana dall’Impero centrale, nessuno avrebbe controllato le sue mosse. Il Barone era libero di fare quello che voleva, ma veniva controllato. L’Impero controllava la testa, non aveva tempo per i passacarte.

Fu così che la liberazione del Barone, dopo la morte di tutto il parentato, passo come un atto di totale devozione e Dinours fu premiato: braccio destro del Barone.

Il più era fatto.

I burocrati che Dinours contatto, amici fidati, furono della sua stessa idea, come i burocrati della galassia dell’Imperatore Touk.

Ma riuscire a muovere le pedine giuste nei posti giusti fu difficile, come fu difficile scegliere quale Imperatore scegliere.

A Dinours parve che Touk fosse il più adatto.

Vanitoso, anzi vanesio, capace solo di sentire la sua voce, faceva sue le idee degli altri come se niente fosse: ovviamente, non capiva le idee degli altri, ma li usava a suo piacimento.

Quando uno dei suoi burocrati gli disse che vi era una possibilità, corrompendo alcuni burocrati, di impossessarsi della galassia dell’Imperato Federickson, fece subito sua l’idea, ordinando la ricerca di questi burocrati e la loro immediata corruzione.

I burocrati dell’Imperatore Touk, quel giorno, si ubriacarono in una taverna malfamata della capitale Tornounte: ciò che non aveva potuto la guerra, lo avrebbe fatto la corruzione. Unico neo della cosa era che per i burocrati dell’Imperatore Federickson non vi era posto nei loro piani. Ma era una cosa insignificante: bastava non farlo capire.

Ma Dinours non era così stupido da non averci pensato: la cosa era possibile solo mettendo burocrati fidati nei posti chiavi, e se qualcuno li avesse deposti dal loro incarico, i subentranti non avrebbero trovato niente: il nulla avrebbe causato il cos nella galassia, rendendola ingestibile e costringendo il nuovo Imperatore e rimettere al loro posto i burocrati destituiti.

Sembrava un piano perfetto.

A Dinours ci vollero cinque anni per perfezionarlo, per convincere i burocrati, per sostituire i più intransigenti nei punti chiavi, per convincere il Barone Makarre che il tempo di prendere il posto dell’Imperatore Federickson era giunto.

Ma il Barone era testardo, voleva fare le cose a modo suo.

Riavvicinarlo all’Imperatore Touk fu dura, ma alla fine cedette. O almeno, la sua ingordigia per il potere lo fece cedere.

Il primo incontro con l’Imperatore Touk avvenne su un pianeta che ruotava intorno ad un gruppo di stelle posto nelle vicinanze della galassia dell’Imperatore Federickson. Strani nomi aveva dato gli scopritori a quelle galassie.

Una, quella dell’Imperatore Federickson la chiamavano Milkstreet, quella dell’Imperatore Touk la galassia di Androina.

Dinours partecipò all’incontro tra Touk e Makarre, per meglio definire meglio gli accordi che erano già stati presi tra i burocrati.

L’Imperatore Touk era un tipo di alta statura, di circa cinquant’anni standard galattici, con un corpo atletico e sempre in forma. Ci teneva Touk alla sua forma e tutto di lui era in forma: la sua faccia squadrata, le mascelle voluminose, occhi blu, capelli tagliati corti, un collo grosso, enorme.

Di certo questo suo essere così in forma, lo faceva amare da tutte le donne della sua galassia, che impazzivo per lui. Anzi, più che impazzire, quelle che potevano gli si offrivano in tutti i modi possibili e pensabili, o impensabili.

Spesso le sue guardie erano costrette a controllare le sue camere private più volte al giorno, per evitare che nel suo letto alla sera l’Imperatore trovasse quattro o cinque donne. Essere belli , d’accordo, ma dover trovarsi sempre donne nel letto, no.

Ovviamente, l’Imperatore si era ben guardato da sposarsi, di trovare moglie.

Aveva deciso di avere concubine, amanti, di fare un certo numeri di figli, ma il suo successore avrebbe dovuto superare prove infernali prima di occupare il suo posto. Al tempo debito, ovviamente.

E l’Imperatore Touk aveva intenzione di rimane al comando per parecchio tempo.

L’Imperatore e il Barone si incontrarono sotto una tenda, di uno strano colore, un rosso cupo. Intorno il deserto la faceva da padrone. Come il vento che soffiava, a raffiche, facendo sbattere la tenda rumorosamente.

Touk e Makarre si guardarono, torvi in viso. Makarre ricordava ancora come Touk lo aveva torturato e ritrovarsi davanti il nemico, che lo voleva aiutare a diventare Imperatore, non lo rallegrava. Non sapeva se odiare di più l’Imperatore che aveva da davanti o l’Imperatore di cui voleva prendere il posto. I due uomini si sedettero su delle sedie da campo davanti al tavolo.

Sul tavolo vi erano due libri, in cui vi erano scritti tutti gli accordi che i burocrati avevano definito, limato, aggiustato, sistemato, cucito e stralciato. Vi era il presente di Touk, il futuro di Makarre, il potere che Dinours era riuscito a conquistare negli anni.

Senza parlare, uno uomo aprì il libro davanti a Touk.

Un altro lo aprì davanti a Makarre.

I due estrassero dalle loro vesti due fili rigidi e firmarono i libri di fronte a loro.

Poi, i due aiutanti presero i libri, se li scambiarono e Touk e Makarre li rifirmarono.

Alla fine, i due uomini si alzarono, presero i libri e se li scambiarono, stringendosi la mano.

La stretta di mano di Touk fu forte, tanto che Makarre fece una smorfia con il viso.

Si scambiarono i libri, senza dire una parola.

I presenti guardarono quello che succedeva in modo distaccato.

Touk si girò ed uscì con i suoi uomini.

Makarre, quando l’ultimo degli uomini di Touk fu uscito, si lascio andare sulla sedia davanti al tavolo, sospirando e guardando fisso negli occhi Dinours.

“Cosa abbiamo fatto?” Gli disse.

Gli altri suoi dignitari, capendo il momento, lasciarono la tenda.

I due uomini si guardarono in silenzio.

Dinours si sedette sulla sedia che prima era occupata da Touk.

“Era l’unica cosa da fare!” disse Dinours.

“Per chi?” Gli ribatté Makarre “Per chi? Per me, per te… o per chi altro, Dinours  Per chi altro?”

Makarre non attese la risposta di Dinours. Si alzò e uscì dalla tenda, mentre il vento diminuiva di intensità.

Dinours rimase solo nella tenda a meditare.

Sapeva che aveva tradito il Barone Makarre, l’Imperatore Federickson e non si sa quante altri miliardi di persone che abitavano la galassia.

Ma era l’unico modo.

L’unica cosa che temeva realmente era la tana delle tigri. Ma non lo avrebbe mai saputo. Forse.

***

Dinours aveva indetto la riunione tra i burocrati che avevano deciso di tradire l’Imperatore.

Non erano molti, una cinquantina in tutto, a capo di diverse divisioni su vari pianeti, compreso il pianeta dell’Imperatore.

Uno dei burocrati presenti era il sig. Huoil, dei servizi segreti civili.

Gli altri erano a capo di settori dedicati al trasporto, alla logistica, ai passaporti, alla distribuzione delle materia prime sui pianeti e agli armamenti.

I pianeti che erano interessati, tra i più importanti, oltre a quello dell’Imperatore, vi era Neerg, Tracktan e Outnot.

Erano tutti in un enorme salone, posto in mezzo al deserto del pianeta del Barone Makarre, ove vi era la sede dei servizi segreti.

Ad un capo della tavola vi era Gloria, con un abitino aderente con una gonna cortissima (troppo) e con il suo seno messo in bel risalto. I capelli li aveva raccolti dietro alla luca.

Dall’altro capo vi era il Barone.

“Bene.” Iniziò Gloria. “Siamo pronti. Noemi è ormai saldamente nelle nostre mani. L’Imperatore, come al solito, non si muove. Sono passati ormai sei mesi, ma lui non fa niente. E questo gioca a nostro vantaggio. Più lui aspetta, più noi possiamo muoverci liberamente. Ora, l’importante è che l’Imperatore lasci il suo pianeta. La trappola è ovviamente Noemi: per liberarla interverrà di persona, quando saprà dov’é. Non dobbiamo far altro che tirare i fili e chiuderlo nel sacco. Sul tavolo ci sono le vostre istruzioni. Seguitele alla lettera, nei tempi e modi previsti, e il successo non tarderà.”

Tutti guardarono il Barone, in attesa di un suo cenno.

Il Barone si stava massaggiando il mento, silenzioso. Ad un tratto con la testa fece un cenno, si alzò e uscì dalla stanza, seguito da Gloria che lo raggiunse correndo, mentre tutti la guardarono passare. Un vero spettacolo, pensarono tutti.

Dinours guardò i vari burocrati e prese la parola.

“E’ necessario che nessuno sappia. Nessuno.” Disse in modo molto convincente.

I burocrati si alzarono ed uscirono dalla stanza.

Huoil rimase seduto, accendendosi uno dei suoi pestilenziali sigari.

Dinours lo guardò.

“Non vai?” gli disse

“Troppa fretta.” Disse Huoil “Hai troppa fretta. Pensi davvero di riuscire?”

“Non ti preoccupare. Tu fai il tuo.” Gli disse Dinours, avvicinandosi a Huoil con fare non troppo benevolo.” Fai il tuo dovere e nessuno si farà male, se non l’Imperatore. Hai capito?” gli disse Dinours marcando il finale della frase.

Huoil emise dalla sua bocca una volata di fumo di sigaro che fece tossire Dinours.

“Stai attento. Tutti sanno. Una mossa sbagliata e io ti abbandono. Non sei indispensabile, dopo tutto, e anche il tuo Barone non serve a molto. Specialmente morto.” Gli rimbrottò Huoil.

L’uomo si allontanò dalla stanza, mentre Dinours lo guardava torvo.

Dinours meditò di eliminarlo, così su due piedi, me era inutile.

Dinours se ne andò dall’altra uscita.

Gloria lo guardò uscire dalla sala. Non capiva. Perché dire quelle cose dopo la riunione? Non capiva. Era inutile. Qualcosa non stava andando per il verso giusto. Non sapeva se avvisare o no il Barone. Ma a cosa sarebbe servito? No. I burocrati non servivano più. Non servivano per il fine che si era prefisso. Abbandonare la nave? No. Troppo pericoloso. L’Imperatore non lo avrebbe destituito. E allora, che fare?

Gloria si guardo il vestito: la gonna del vestito si era alzata, mostrando un po’ troppo le sue gambe.

Gloria guardò in basso. Con la coda dell’occhio vide Huoil che la guardava, con un sorrisetto che diceva molto di più di quello che pensava.

Gloria non abbasso la gonna: aveva risolto il suo problema. Ricambiò il sorriso e si avviò verso Huoil.

 

L’Imperatore Touk

L’Imperatore Touk non si fidava di nessuno.

Non che fosse un maniaco dell’ordine, della pulizia, non aveva fobie che non fossero curabili, ma non si fidava di nessuno.

Non si fidava di quelli che mettevano sempre in ordine qualunque cosa, dalla scrivania al letto.

Non si fidava di chi puliva in continuazione qualsiasi cosa, pur di farsi vedere occupato.

Lui non si fidava e basta.

Ormai era lontano da più di un anno dalla sua galassia, e non si fidava dei suoi burocrati e dei suoi vassalli.

Visto che le cose con il Barone Makarre non si muovevano, decise di ritornare a casa. Era un viaggio di un mese, ma controllare cosa succedeva in casa propria era meglio che aspettare che qualcuno facesse una mossa.

Lasciò a dirigere le operazione contro l’Imperatore Federickson il suo vice, un certo Uiopyt, un tipo poco energico, anzi tutt’altro.

Era alto la meta di Touk, magro, grossi occhiali, parlata difficili, capelli neri, bocca e labbra piccole. Alle volte dava l’idea di essere malaticcio, così magro com’era.

Ma Touk sapeva che era fidato.

Proprio perché era così brutto, nessuno lo considerava: anche lui stesso, spesso, non si considerava.

Touk parti con la sua nave, diversa da quelle dell’Impero di Federickson: le  astronavi  delle sua galassia erano ovali, piatte, con i motori e le tolda di comando da una sola parte.

Per armamento non erano certe inferiori a nessuno, ma Touk non se ne preoccupava. Ogni nave aveva montata la sua arma segreta, e questo a lui bastava.

Touk e la flotta partirono, e Uiopyt rimase sul pianeta del Barone, in compagnia di Dinours, con cui condivideva l’ufficio: era meglio controllare tutte e due, pensava il Barone, quando ai due  affidò l’ufficio.

Touk tornò a casa, giusto il tempo per sedare qualche rivolta, cambiare qualche vassallo non troppo ligio ai suoi doveri e non troppo fedele a lui.

Ritorno dal Barone dopo circa quattro mesi.

Era passato ormai un anno dal rapimento di Noemi.

Touk trovò tutto come prima. Quasi tutto.

I burocrati continuavano a morire e l’Imperatore Federickson si rifiutava di sostituirli, lasciando che il loro posto fosse preso dei subalterni.

Touk ebbe un sospetto, che espresse a Uiopyt in una calda sera d’estate, su un pianeta semi abitato, concesso in uso dal Barone, fuori dalle rotte commerciali.

“Qualcosa non quadra, Uiopyt. Il Barone Makarre non ce la racconta giusta.” Iniziò l’Imperatore, seduto su di una poltrona sulla veranda di una vecchia casa colonica, mezza diroccata.

Uiopyt stava sorseggiando un liquido rosso da un grosso bicchiere di pietra.

“Credo che non si muova, perché molto probabilmente la contromossa dell’Imperatore l’ha preso di sorpresa e né lui né Dinours sanno cosa fare.” Rispose Uiopyt, con una voce flebile.

“E allora cosa facciamo? Continuiamo nell’impresa o ce ne andiamo, lasciando il Barone alla mercé di Federickson?” Chiese Touk, mentre anche lui sorseggiava un liquido nero da un vecchio bicchiere di cristallo.

“Se l’Imperato Federickson sa, siamo nei guai. E se lo sa lui, si immagini la tana delle tigri.” Rispose Uiopyt

“Ancora quei dannati… Ma è possibile che non possiamo liberarcene? Cosa ci vuole a far fuori Doc e quella banda di venditori di fumo?” Disse Touk, sbattendo sul tavolo il bicchiere.

Uiopyt sorseggiò ancora dal bicchiere, tenendolo con tutte e due le mani, mentre l’Imperatore si guardava intorno, con fare sospetto.

Videro il sole tramontare, mentre due lune già illuminavano la notte.

Touk, dopo un lungo silenzio, disse: “Facciamo finta di niente. Lasciamo che il Barone si esponga fino al punto che non possa più tornare indietro. Se avrà successo, ne approfitteremo. Se no, lo lasceremo in balia dei suoi nemici.”

Riprese il suo bicchiere e il bevve il resto del liquido in un sol sorso.

Si alzò dalla sedie, fece un cenno ad Uiopyt e se ne andò.

Uiopyt rimase ancora fuori a vedere le lune sorgere fino allo zenit. Pensava a tutto quel tempo sprecato e al fatto che i burocrati della sua galassia non sarebbero stati molto contenti.

Era inutile pensarci adesso. Se davvero Touk doveva diventare imperato di quella galassia, nulla lo avrebbe fermato. Forse.

Ma la tana delle tigri… se si fossero messi in mezzo, nulla li avrebbe fermati. Uiopyt come Touk lo sapeva. Erano troppo forti, organizzati, sapevano quello che altri non capivano. Questa loro forza era controllata da alcuni uomini saggi, che mai l’avrebbe usata in una guerra. No, troppo furbi. E il Barone e Dinours stavano provando ad invertire questa tendenza.

No, era impossibile. Meglio fare come diceva Touk. Aspettare. Ma quanto? Quanto tempo ci voleva? Erano troppo lontani da casa, le loro navi non avrebbero fatto in tempo ad aiutarli in caso di guerra.

Aspettare. Sperando che nessuno guardasse, vedesse, sapesse. Aspettare. Uiopyt guardò ancora le lune. Finì il suo liquido, lasciò il bicchiere sul tavolo e se ne andò a dormire.

Touk lo guardò dalla sua camera allontanarsi. Guardò le lune nel cielo. Illuminavano stancamente la notte. Touk vide, con al coda dell’occhio, ombre che si muovevano, veloci, silenziose.

Chiuse la finestra e se ne andò a letto.

Aspettare. Non poteva fare altro. Ma quanto tempo?

Si addormento, mentre ombre silenziose e veloci si allontanarono dalla casa.

 

I servizi segreti

“Mi fa piacere vederti, Generale.”

“Anche a me, Huoil. Come stai?”

“Bene. Grazie.”

“Fumi sempre quei puzzolenti sigari?”

“Ti dispiace? Sono la cosa migliore della vita.”

Il Generale e Huoil stavano discutendo nella sala delle riunione dell’Imperatore Federickson, nei sotterranei del palazzo Imperiale.

“Lo sai che all’Imperatrice non gli piacciono.” Continuò il Generale, strofinandosi il naso.

“Lo so. Per questo li fumo.” Rispose in modo sarcastico Huoil.

I due erano seduti al tavolo, uno di fronte all’altro, in attesa degli altri per la riunione.

“Strano. Sono tutti in ritardo.” Disse Houil, mentre una voluta di fumo usciva dalla sua bocca e si disperdeva nell’ambiente.

“Già. In ritardo. “ Gli fece eco il Generale, guardandosi intorno. “Un po’ troppo in ritardo.”

L’Imperatore apparve all’improvviso.

I due fecero per alzarsi, ma l’Imperatore fece cenno di stare dov’erano.

“Adesso basta. Mettete fine a tutto. Liberate mia figlia e portatemi la testa del Barone. Ora!”

L’Imperatore si girò ed uscì dalla stanza.

Il Generale guardò Huoil.

Dall’altre parte della stanza entrò l’Imperatrice.

“Huoil. Generale. Che piacere vedervi. Notizie?” Disse l’Imperatrice avvicinandosi a loro.

“Vostro marito ha appena detto di liberare vostra figlia, mia signora.” Disse il Generale

Huoil stava ancora fumando il suo sigaro. L’Imperatrice lo guardò, strofinandosi il naso.

Huoil sorrise e così pure l’Imperatrice.

Il Generale rimase sorpreso.

“Gloria dov’é, Huoil?” Gli chiese l’Imperatrice.

“Al sicuro, mia Imperatrice.” Disse Huoil, facendo un inchino.

“Bene. Un problema di meno. Generale… mi raccomando. Non faccia una strage inutile. Liberi solo mia figlia. Il resto lo lasci fare a Black.”

“Sarà fatto come lei desidera, mia Imperatrice.” Rispose il Generale.

“Bene.” Disse l’Imperatrice, allontanandosi poi dalla stanza.

Il Generale guardò Huoil.

“Che ne hai fatto di Gloria?” Gli chiese.

“Oh… ha fatto un giro… sai com’é… ci teneva tanto… “

“A salvare la pelle!” Finì il Generale.

Huoil aspirò a lungo il sigaro.

“Già. Ci teneva tanto.” Disse, dopo aver espirato il fumo del suo sigaro.

“Macellaio!” disse il Generale, alzandosi dalla sedia.

“E’ viva. Non ti preoccupare. Lo sai che le cose belle non le sciupo.”

“Sì. Però ti piace giocarci.” Disse il Generale allontanandosi.

Huoil continuo a fumare il sigaro. Dopo tutto, un premio spettava anche a lui. Tradire Dinours e il Barone Makarre gli poteva costare caro, se avessero vinto.

Ma gli ordini dell’Imperatore erano chiari.

E il Generale avrebbe fatto il suo dovere.

Fino in fondo.

Si alzò e se ne andò dalla sala. Gloria aveva ancora tante cose da raccontare.

L’Imperatore e l’Imperatrice, dalla stanza segreta, videro Houil lasciare la stanza.

“Sei la solita impicciona. Era il caso di andare a dire certe cose?” Disse l’Imperatore, decisamente alterato.

“Caro, sai benissimo che dovevo dirle. Non vorrai mica che i tuoi Generali si sporchino le mani. Certi lavori lasciali fare agli specialisti.”

“Sì, sì. Va bene. Ma di certo Black non è uno specialista. Solo perché Invicible ha armi di fuoco maggiore di quelle della navi di Touk, non vuol dire che si più bravo.”

“Ma più comodo. Non sarai tu a fare il disastro. Capisci? Non daranno la colpa a te.”
”Sai che differenza. Non l’Impero ma la tana delle tigri sistemerà la cosa.”

“Su adesso basta, caro. Andiamo.”

L’Imperatrice si diresse verso la porta, dove vi si fermò in attesa del marito che gliela aprisse.

Attese un attimo, poi si girò a guardare che cosa stava facendo il marito. Era ancora davanti al vetro, pensieroso, massaggiandosi la mascella.

“Bisogna togliere Gloria dalle mani di Houil. Non vorrei che esagerasse.” Disse l’Imperatore.

“Ci penserò io, caro.”

L’Imperatore si girò, fece un leggero sorriso alla moglie e si diresse verso la porta.

La aprì e la moglie usci.

L’Imperatrice sentì chiudersi dietro di lei la porta, ma quando si voltò porgendo il braccio, il marito non c’era.

Rimase alquanto stupefatta dell’accaduto: non si era mai comportato cosi.

All’interno l’Imperatore rimase ancora più pensieroso.

No. Black non doveva intervenire. Non doveva. Sarebbe stato un disastro. Qualcuno poteva scoprire i giochi, pensò.

Rimase nella stanza, con la mano sulla porta per parecchio tempo.

L’Imperatrice all’esterno rimase lì, ammutolita, sotto gli sguardi della guardie del palazzo.

Arrivò una sua ancella che la cercava: non l’aveva mai vista con quella espressione sul volto. Era sorpresa, ma anche spaventata. L’ancella le tocco le vesti e l’Imperatrice trasalì.

L’Imperatrice incominciò a camminare lungo il corridoi, dalla parte opposta da cui era venuta l’ancella, che la chiamò alcune volte. Niente.

L’ancella fece spallucce, si voltò e se ne andò.

Una delle guardie che erano presenti al fatto non capì, ma evitò di parlarne al suo comandante nelle riunione serale della guardie. Meglio evitare inutili pettegolezzi, pensò.

L’Imperatore da quella stanza usci solo a notte fonda.

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Capitolo 6
*** La guerra contro l'Imperatore Touk ***


La liberazione della principessa Noemi

Il Generale Poissoun era davanti alla vetrata della base, sul pianeta Inferno.

Il tempo era come sempre inclemente.

Era passato troppo tempo dal rapimento della principessa Noemi.

Quasi un anno, incominciò a pensare Poissoun, e ancora niente.

Le tempeste su quel maledetto pianeta duravano così tanto, che non si ricordava quando aveva visto il sole sorgere su quella landa rossa e piana.

Nessuno chiamava, nessuno diceva, nessuna sapeva.

Troppo tempo, pensò, Troppo tempo e nessuno che vuole spostare una sola pedina.

Makarre non riusciva a far avanzare il suo progetto di un millimetro.

Da quando l’Imperatore si era accorto degli stratagemmi impiegati dal Barone per arrivare al potere, aveva messo in atto troppe contromisure.

I burocrati non venivano nominati, ma venivano promossi i subalterni.

Tanta fatica. Il Barone aveva cercato una contromossa, ma più faceva, peggio gli andava.

E lui, Poissoun, era bloccato su quel maledetto pianeta a fare la guardia ad una ragazzina viziata.

La principessa Noemi era impossibile: alle volte sembrava che si divertiva a chiedere le cose.

Questo frutto no, oggi: il giorno dopo lo voleva.

Poissoun aveva cercato di contattare il Barone, ma le notizie che arrivavano non erano delle migliori.

Gloria era sparita senza lasciare traccia.

L’Imperatore Touk scorrazzava per la galassia come un pirata, attaccando navi e tagliando, alle volti per giorni, i rifornimenti a qualche pianeta ostile al Barone.

Ma la cosa durava pochi giorno, poi arrivava o la flotta dell’Imperatore o quella maledetta nave della tana, e bisognava ricominciare.

L’Imperatore Touk aveva cercato di spostare altre navi dalla sua galassia, per favorire il piano di Makarre, ma i suoi burocrati glielo avevano impedito. Troppe spese per un piano che non sembrava molto perfetto. Anzi.

Un allarme improvviso risuonò nella testa del generale.

Quando comprese cosa stava succedendo, distolse lo sguardo dalla vetrata e sentì dietro di lui voce concitate.

Il suo aiutante lo scrollo dal suo torpore.

“Signore! Siamo attaccati!” Gli urlò nelle orecchie.

“State calmi!” Urlò Poissoun, appena si riprese. “Chi ci sta attaccando, prima di tutto!” Urlò in faccia al suo aiutante “E poi mettete in atto le contromisure. Siete degli idioti, Tutte le volte che lo avete fatto in esercitazione aspettate ancora che vi pulisca il sedere!… Muovetevi!”

L’aiutante si allontanò dal generale, distribuendo ordini a destra e a manca.

Il Rosso si allontanò dalla sala, per andare a prendere posto sulla sua nave di battaglia, per attaccare il nemico.

La nave pirata, che era ormai passata a tutti gli effetti sotto il comando del generale Poissoun, era comandata da un giovane comandante, un certo Koilun.

Le due navi uscirono nella tempesta, dirette verso gli assalitori, che si trovavano sulla linea dell’orizzonte.

Le bordate dei cannoni dei nemici si abbatterono sulla sala comando come un spada sul capo del condannato.

La sala fu completamente distrutta da un colpo.

Le persone presente, compreso il generale e il suo aiutante, sparirono nel nulla.

La tempestava non permetteva di vedere chi stava attaccando, ma doveva essere grosso.

Sulle console nella sala comando dell’Erstalm, il Rosso poté vedere la forma dell’attaccante.

Quel maledetto Invincible.

Il Rosso ordinò alle due navi gemelle di sparare in contemporanea sul punto dove Invincible risultava dalla console: le coordinate furono passate in millesimi di secondo alle cannoniera, che fecero fuoco in meno di un secondo.

Ma la velocità non basto alle due navi.

I loro colpi colpirono il terreno, mentre Invincible si spostava verso l’alto.

Quando la nave fu a distanza di sicurezza, Black diede ordine di far fuoco.

Il gorilla stava manovrando, da solo, i tre cannoni laser posti nelle teste degli animali.

I colpi che partirono fecero sussultare la nave, e carbonizzò il Rosso, il comandante Koilun, l’Erstalm e l’Excellent.

Intanto una nave più piccola, con a bordo Samuel, Angel ed Evane, atterrò nella base nemica.

Dei robot, guidati da alcuni componenti della tana delle tigri, fecero da scudo all’arrivo della nave spaziale nell’astroporto,all’interno della montagna.

La resistenza degli ultimi uomini del generale fu strenua, ma inutile.

Gli uomini della nave scesero sparando su tutto ciò che si muoveva e si introdussero nella base.

La ricerca di Noemi durò parecchio.

Alcuni fedeli del generale l’avevano prelevata dalla sua dolce prigione e l’aveva allontanata, ma sempre all’interno della base.

All’improvviso, decisero di dirigersi con la prigioniera in una delle grotte della montagna, fuori dalla base.

Idea buona: nessuno li avrebbe cercati fuori dalla base.

Ma la grotta, lunga e stretta, era abitata da alcuni carnivori del pianeta.

Erano animali lunghi, bassi, con zampe piccole e delle tenaglie al posto delle mani.

Non erano molti, solo due, ma i più di venti uomini che avevano trascinati via la principessa furono attacchi e per poco non perivano tutti.

I quattro rimasti cercarono di riportare la principessa alla base, ma furono attaccati da Angel ed Evane, che gli uccisero senza molti complimenti.

Evane dovette poi lottare con uno dei due animali, che aveva rincorso i fuggitivi e non voleva saperne di andarsene senza avere un'altra pinta di carne.

Evane gli sparo con un fucile laser, tagliandolo in due.

L’altro animale, che era rimasto leggermente indietro, ritornò sui suoi passi, tenendo due dei malcapitati uccisi dalle donne tra le sue fauci.

Noemi stava piangendo disperata, ma quando vide il volto di Evane si tranquillizzò.

La battaglia all’interno della base militare durò ancora per alcune ore.

Parecchi militari, non sapendo la fine del loro comandante, lottarono strenuamente.

I prigionieri furono solo venticinque, sui cinquemila militari presenti nella base.

Il numero di militari presenti nella base fu rilevato da Black da un computer, salvatosi non si sa come in qualche anfratto della base.

Black cercava nomi, dati, fatti.

Ma non trovò nulla nei computer che si erano salvati.

“Avete avuto troppo premura nell’attacco!” Borbottò Evane.

“E cosa dovevamo fare ” Gli rinfacciò Samuel.

“Oh.. smettetela. Non abbiamo notizie noi, ma non ne avrà neanche Touk e Makarre. Se giochiamo bene le nostre carte non se ne accorgeranno per un po’. Così potremo cacciare Touk nella nostra galassia, mettere sotto pressione Makarre e i burocrati ed avere finalmente delle risposte.” Disse Black.

“Quali risposte?” Disse Angel, con sufficienza.

“Tu che dici, Evane?” Black si avvicinò ad Evane, che stava giocherellando distrattamente con un cappello bruciacchiato.

“Cosa?” Disse lei, lasciando cadere il cappello per terra, in mezzo alla cenere presente nella sala comando, riprendendosi dai suoi pensieri pindarici.

“Cosa ci dici di quello che ha combinato tuo fratello?” Incalzò Black.

“Cosa ha combinato mio fratello?” Disse Evane, sempre distrattamente.

“Non fare finta di niente. Sappiamo tutto!” Disse Angel, avvicinandosi ad Evane e prendendola per i capelli, tirandoglieli.

Evane tirò indietro la testa, urlando.

Samuel prese la mano di Angel e gli fece mollare la presa.

“Non so niente!” Urlò Evane. “Non ho idea di cosa voglia fare.” Incominciò a singhiozzare, mentre le lacrime le scendevano dagli occhi. “è da tempo che medita vendetta sui burocrati e sull’Imperatore Touk, ma cosa abbia in mente non lo so!”

Evane si sedette su quello che rimaneva di una sedia di qualche console, nascose la faccia nella mani e incominciò a piangere.

I presenti rimasero in silenzio a guardare quella scena.

Noemi si avvicinò alla zia e le accarezzò la testa, dolcemente. Poi guardò gli altri con uno sguardo di rimprovero.

Black diede un calcio a qualcosa per terra, infuriato.

Samuel lo guardò, sorridendo, più per il calcio mancato che per il momento.

“Non capisco. Ero certo che sapevi qualcosa. Doc continua a dire di fidarmi di te.” Black guardò Evane, che aveva ancora la faccia nella mani e piangeva. “E tu non sai niente! Non dice niente. Anzi, mi piangi pure!”

Black se ne andò dalla sala, seguito da alcuni militari e da alcuni membri della tana.

Altri militari si infilarono in un cunicolo dietro ad alcuni armadi, nella ricerca di qualcosa di utile alla ricerca della verità. Se mai si fosse trovata la verità.

Samuel prese per la mani Evane, la costrinse ad alzarsi e, prendendola sotto braccio, la accompagnò fuori dalla sala, verso la sua nave spaziale.

Angel abbracciò Noemi e seguì Samuel.

Quando entrarono nello spazioporto della base militare, Invincible si stava alzando in volo.

La tormenta che aveva flagellato quella zona del pianeta era improvvisamente cessata.

Altri navi militari dell’Impero incominciarono a levarsi in volo, abbandonando quel luogo, pieno di morte e distruzione.

Mentre Samuel, Evane, Angel e Noemi salivano sulla nave, seguiti da alcuni uomini dell’equipaggio, videro dei militari correre fuori da numerose grotte presenti nello spazioporto.

Correvano a più non posso, alcuni urlando.

Si incominciarono a sentire esplosioni, prima lontane poi sempre più vicine.

La nave militare si alzò da terra a gran velocità, alzando nuvole di polvere rossa tutto intorno.

La piccola nave di Samuel per poco non veniva ribaltata.

Samuel fece mettere subito in moto i motori e la nave partì.

Le esplosioni si avvicinavano sempre di più.

Quando la nave di Samuel fu sopra la montagna, le esplosioni si susseguirono come castagnole.

Lo spostamento d’aria fece sobbalzare la nave e i suoi occupanti.

Il pilota ebbe il suo bel da fare per tenere in assetto la nave.

Quando si furono allontanati dalla montagna, Samuel vide la montagna esplodere completamente in una nuvola atomica.

Samuel capì perché Black voleva risposte alle sue domande da Evane.

Anche perché le domande, se mai ce ne fossero, erano sparite nel nulla.

Il pilota chiese dove dirigersi e Samuel gli rispose: “A Palazzo Imperiale!”

La nave di Samuel ci impiegò più del previsto per arrivare al pianeta dell’Imperatore.

Le navi imperiali di Touk gli davano la caccia, dopo che avevano saputo quello che era successo sul pianeta Inferno.

Invincible, anziché difenderli, li aveva abbandonati, per non si sa quale missione.

Samuel cercò di convincere Black della necessità di scortarlo, ma lui aveva altro da fare. Doveva fare ciò che Samuel non aveva fatto.

Samuel non era riuscito a limitare le manovre di Makarre: primo perché Makarre era scappato, secondo perché Gloria era finita nella mani di Hoiul, e le informazioni erano sparite con lei, nei meandri delle prigioni di chissà quale pianeta.

Samuel riuscì a portare Evane e Noemi dall’Imperatore comunque, con la nave mezza distrutta dalle battaglie, quasi dodici, combattute nel viaggio.

Quando la nave atterrò, il fumo usciva dal motore di destra e riempi l’hangar dove erano atterrati.

Gli addetti agli incendi corsero con schiumogeni e spensero l’incendio che scoppiò nella zona motori.

Tutto l’equipaggio e i passeggeri scesero di corsa dalla nave.

Gli ultimi a scendere, non curanti di quello che gli capitava intorno, furono Samuel ed Angel.

Quella nave ne aveva viste troppe, dentro e fuori di essa: ad Angel piangeva il cuore di doverla perdere. Era stata più di una casa, un vero alcova. Ma si sa, nulla è eterno, men che meno una nave.

Ad aspettarli sulla banchina vi era l’Imperatore e l’Imperatrice, ben contenti di abbracciare la loro figlia Noemi.

Quella sera il palazzo Imperiale si risvegliò dal suo torpore e tutti festeggiarono il ritorno di Noemi.

 

La guerra privata di Invincible

Invincible lasciò la base militare del generale Poussion appena distrutta, in modo alquanto rumoroso.

Samuel ebbe da ridire sul modo di trattare la cosa da Black, ma ormai Invincible era fuori dall’atmosfera e di tornare indietro Black non ne volle sapere.

Il gorilla spense la radio sul ponte di comando, mentre Black infuriato faceva su e giù come un leone in gabbia.

“Non è possibile che non sappia niente. E neanche che l’Imperatore non abbia fatto qualcosa per… o forse sbagliamo persona!” Black si era fermato. Si girò di scatto verso il gorilla e lo guardò con aria soddisfatta, come un gatto che trova il topo a cui ha dato la caccia per tanto tempo.

“Che hai Black?” Chiese l’orso, che si era alzato dalla sua cuccia e si avvicinò a Black.

“Il club delle amiche ha fatto di tutto per eliminare il Barone e l’Imperatore Touk e non l’Imperatore. È stata l’Imperatrice a muovere tutte le pedine. E quando si è accorta che l’Imperatore si muoveva troppo in fretta… ha eliminato tutte le prove che la potevano ricondurre a lei!” Disse Black, soddisfatto.

L’orso e il gorilla si guardarono, scotendo la testa, non capendo cosa Black volesse dire.

“Ma non avete capito. Gloria lavorava per l’Imperatrice, poi ha preferito Makarre all’Imperatrice per amore. E l’Imperatrice si è vendicata con Hoiul. L’Imperatore, invece, pensava di eliminare i burocrati a lui contrari, invece ha solo avvicinato Makarre a Touk. Così facendo, invece di eliminare i burocrati, si è trovato il nemico in casa, chiedendo l’aiuto della tana, anzi di Invincible.” Black riprese a camminare su e giù.

“Bravo. E adesso noi cosa facciamo. Liberiamo Gloria, cacciamo Makarre o eliminiamo l’Imperatore Touk?” Chiese il gorilla.

“Touk sta scappando. Incominceremo con lui. Lasceremo Makarre per ultimo. Gloria ormai è spacciata.” Disse Black, fermandosi davanti alla console e guardando la sala di controllo dalla sua postazione posta in alto.

Il gorilla diede ordine di cercare le navi dell’Imperatore Touk.

I sensori a lungo raggio e i satelliti-caccia, lanciati ormai da giorni, incominciarono a inviare dati da ogni parte della zona della galassia vicino al confine, verso la galassia governata da Touk.

Le navi dell’Imperatore Touk furono scovate una a una.

Quelle che si erano inoltrate troppo nella galassia furono distrutte dalle navi dell’Imperatore.

Quelle al confine, ormai in fuga, furono intercettate da Invincible.

La nave dell’Imperatore Touk fu intercettata da Invincible mentre si stava allontanando dalla galassia, facendosi scudo di una nebulosa scura.

La battaglia che ne seguì fu di una ferocia inaudita.

Invincible si trovò davanti, a difendere la nave del loro Imperatore, ben cinquanta vascelli, ben armati e disposti a tutto.

Invincible dovette correre parecchio, per riuscire a smembrane la flotta e costringerli a disegnare nello spazio profondo una linea di navi lunga parecchi milioni di chilometri.

La flotta si era allungata e curvava verso la galassia, decisamente a sinistra.

Invincible girò, torno sui suoi passi e le affrontò una ad una, come una lunga fila di birilli.

Alcune dovettero difendersi da sole da Invincible, altre si raggrupparono nel tentativo di difendersi e di cercare di sconfiggere la nave di Black.

Ma i comandanti si resero subito conto della disparità tecnologica che esistevano tra le loro navi e Invincible.

Le teste di Invincible sparavano salve di luce che distruggeva quasi immediatamente le navi.

E non la smetteva di fare fuoco.

In una comunicazioni radio, che il gorilla intercettò, i comandanti speravano che i produttori di quel fascio di luce si surriscaldassero, esplodendo.

Il gorilla se la rise. Sapeva benissimo che se si scaldavano troppo i produttori di quella luce nella testa degli animali esplodeva, ma fino a che la nave riusciva a disperdere il calore nello spazio vuoto, non c’era problema.

Invincible continua a muoversi a velocità luce, e la flotta dell’Imperatore Touk fu sbaragliata in alcuni giorni.

Ma Invincible, di quella battaglia, ne risentì molto. E come lei, gli uomini e le donne della tana delle tigri che vi erano a bordo.

Non era previsto che vi fossero tanti morti.

Già una base militare, con tutti quei uomini: ora, una flotta di navi con cinquantamila uomini era stati distrutti.

Black si sentiva le mani lorde di sangue.

La nave dell’Imperatore Touk riuscì a scappare con il resto della flotta, circa venti navi.

Black non se la sentì di fare un’altra strage e li lasciò andare.

Doc raggiunse Black su Invincible, dopo alcuni giorni.

“Cosa ti è venuto in mente di dire certe cose ad Evane? Come hai fatto? Io non ti capisco!” Doc era furioso con Black.

“Senti. È inutile arrabbiarsi. Lo sai benissimo cosa sta succedendo…”

“Non è un tuo problema! Tu devi interessarti solo di Invincible! Non ti devi preoccupare del resto! Non è compito tuo. L’Imperatore se ne è risentito. Samuel ed Angel hanno dovuto dire che la battaglia è stata talmente dura che tu eri troppo eccitato per capire quello che dicevi. Adesso è tutto da sistemare…”

“Ma, Doc…”

“Smettila! Tu devi pensare solo ad Invincible! Il resto non è tuo compito. Metti a testa a posto!” Così dicendo, Doc con una mano prese la testa di Black e la scrollò.

Black si lamentò, ma aveva poco da dire: gli errori alla tana delle tigri si pagavano caro. Molto caro.

“Adesso per colpa tua sarà difficile che Gloria sia lasciata libera. Idiota, sei solo un idiota!” Doc non capiva, e continuava a scrollare la testa.

Black non ebbe il coraggio di dire niente.

La stanza dove avevano discusso così animatamente era nel ventre di Invincible, nel disco di centro della nave.

Era una stanza piena di contenitori ermetici, insonorizzata, lontana da orecchi indiscrete.

“Speriamo che l’Imperatrice sia clemente. Dopotutto …” Doc era pensieroso.

“Ci penso io.” Continuò. “Tu cerca Makarre. Ormai non serve più a nessuno. Almeno vivo. Mano male che l’Imperatore ha mandato Louk e Rachel a sistemare il marito di Haras.”

Black apparve sbigottito.

“Già, mio caro Black. L’uomo che i burocrati volevano realmente mettere sul trono era lui, non Makarre. Adesso vado. E non combinarmi altri guai.” Così dicendo, Doc gli fece un buffetto sulla guancia, alquanto doloroso. Black si lamentò e Doc rise, divertito.

Almeno qualcuno si diverte, pensò Black massaggiandosi la guancia.

 

La fuga di Gloria

Houil aveva portata Gloria in una stanza delle segrete del Palazzo Imperiale, per poterla interrogare con calma, molta calma.

Non l’aveva portata nei soliti uffici dei servizi segreti o sul pianeta prigione di Asol, solo perché non si fidava dei carcerieri.

Erano corruttibili e qualche burocrato, pur di far sparire le prove di un suo eventuale coinvolgimento, era disposto ad uccidere o a far uccidere Gloria.

La stanza in cui Gloria era tenuta era spoglia e poco illuminata.

Un letto di metallo con un materasso duro come un sasso, una sedia e un tavolo erano gli unici arredi: per paura che i prigionieri li usassero come armi, gli oggetti era cementati nel pavimento.

Gloria era seduta sul letto, abbracciando le gambe raccolte contro il corpo.

I duri giorni di prigionia l’avevano provata.

I suoi capelli erano in disordine, spettinati. Il viso era segnato dalle lacrime che gli scendevano copiose.

Il corpo era pieno di cicatrici: Hoiul non aveva avuto molto ritegno nei suoi confronti.

Gloria meditava sul da fare.

Hoiul voleva sapere tutto. Ma già lui sapeva e Gloria non poteva dirgli altro.

E allora perché continuarla a torturarla? Gloria se lo chiedeva ogni giorno che passava, ogni momento che Hoiul si divertiva con il suo corpo.

E stranamente Hoiul non usava le buone maniere. Era come se volesse vendicarsi del Barone sul corpo di Gloria.

Su quel bel corpo che non era stato di nessuno, nemmeno del Barone e men che meno di Houil.

Tutti i tentativi che Hoiul aveva fatto per sottomettere Gloria alla sua volontà erano falliti e lui aveva lasciato sul corpo della ragazza dei segni indelebili della sua ferocia.

Quel giorno Hoiul era in ritardo.

Gloria contava le ore, i minuti, i secondi che mancavano all’arrivo di Hoiul, ma quel giorno era in ritardo. Strano, non lo era mai.

Da oltre due mesi Hoiul arrivava, costringeva Gloria a giochi sadici, cercava di sottometterla in tutti i modi, e lei si ribellava. E il corpo della ragazza veniva segnato, con ferocia, da cicatrici.

Quel giorno Gloria aveva deciso di non essere vittima, ma di trasformarsi in carnefice.

Ma la cosa non le fu possibile.

Aveva nascosto un cucchiaio di latta, che gli davano per mangiare il cibo che gli portavano. Se mai cibo si poteva chiamare quella specie di brodaglia che gli portavano.

Si era tenuto un cucchiaio. Non poteva usarlo certo come un’arma, ma se il coraggio non l’avesse abbandonata, il manico avrebbe potuto infilarlo nella gola del suo carnefice.

Ma quando al porta si aprì, non entro Hoiul.

Nella penombra, Gloria vide una figura decisamente femminile entrare.

E sì, era una donna. Una strana donna.

La riconobbe: era Freddy.

“Freddy?!” Disse tra lo stupore e la gioia.

“Presto. Devi scappare.” Le disse Freddy, entrando guardinga nella stanza.

“Perché ” Chiese disperata Gloria.

“Il tuo lavoro è finito. È meglio se te ne vai.”

“Ma il Barone?”

“Lo sai che per lui non c’è più niente da fare. L’Imperatore lo vuole morto. Vieni, ti farò portare via, lontano.”

“No! Stavolta non ci sto! L’Imperatrice mi deve delle riposte.” La voce di Gloria rimbombò nella stanza.

Gloria si era alzata, con il cucchiaio in mano, nel tentativo di ribellarsi a quest’ultima azione di forza nei suoi confronti, ma Gloria era sfinita dalla prigionia e dalla torture e Freddy riuscì a disarmarle, prima di farla svenire con un colpo ben assestato sulla nuca.

Gloria svenne nelle braccia di Freddy.

Altri passi nel corridoio e altre persone entrarono nella stanza.

Gloria venne portata via da braccia muscolose.

La stanza non rimase vuota a lungo.

Hoiul arrivò poco dopo: era stato trattenuto da un soldato sulle scale per questioni di poca importanza.

Ma il tempo perso fu fatale: la stanza era vuota e Gloria sparita.

Hoiul imprecò quando si rese conto della fuga di Gloria, ma non poté fare diversamente che sedersi sulla sedia e constatare che per terra c’era il cucchiaio che Gloria voleva usare contro di lui.

Hoiul guardò il cucchiaio: non era riuscito a piegare la volontà di Gloria e qualcuno aveva deciso che la ragazza aveva anche fin troppo sofferto per una parte che non era la sua. L’Imperatrice aveva deciso di ridarle la libertà e Hoiul non poteva opporsi al suo volere.

Hoiul uscì dalla stanza senza chiudere dietro di se la porta della stanza.

Qualcuno sulle scale lo vide uscire, indifeso.

Hoiul vide la fiocca luce del corridoio spegnersi di colpo, per sempre.

Gloria si risvegliò in un letto caldo, comodo, con lenzuola di seta.

Era a casa.

Il Barone, con la sua mole, la sovrastava.

Intorno al letto vi erano altri personaggi, completamente sconosciuti a Gloria.

“Bentornata , cara. Come sta?” Le chiese gentilmente il Barone.

“Come ci sono arrivata qui?” Gloria non capiva cosa ci facesse lì. Il suo corpo era stato sicuramente curato, ma alcune cicatrici non erano andate via. Gloria lo constatò alzando le coperte: sotto era nuda e segni profondi coprivano alcune parti del suo corpo.

“Non lo so cara. Ti abbiamo trovato su una scialuppa alla deriva. L’importante è che sei qui e che stai bene.” Le disse il Barone.

Le altre persone presenti nella stanza sorrisero e, ad un cenno del Barone, uscirono dalla stanza.

“Non ho parlato!” Disse Gloria al Barone, appena furono soli. “Non ho detto a Hoiul, quel traditore!”

“Non ti preoccupare, cara. Non tradirà più nessuno. Comunque il nostro progetto è quasi naufragato. Quasi. C’è ancora una speranza: il marito di Haras. Speriamo che lui riesca nel suo intento.” Disse il Barone. “Anche se non so cosa potrà fare. L’Imperatore Touk ha deciso di abbandonarci. I suoi burocrati ci hanno voltato le spalle. E i nostri si sono ritrovati isolati da tutti.”

Il Barone Makarre era preoccupato.

Gloria cerco di consolarlo. Si sedette sul letto, mostrando il petto nudo e prese la testa del Barone, ponendola sul suo caldo seno.

Il Barone, sorpreso, si lasciò consolare da Gloria.

Tutto il resto svanì, sia per il Barone che per Gloria.

Fuori, il tempo aveva deciso di contrastare anche lui i progetti del Barone: la pioggia e la grandine si susseguivano interrottamente, lasciando dietro a loro, su quella parte del pianeta, morte e distruzione.

 

La consegna della giara della verità

Il pianeta Lokijn, governato dal cugino dell’Imperatore, il Duca Strozzen, era posizionato dentro ad uno dei bracci della galassia. Per dentro si intendente che era al centro del braccio, in una zona densa di soli e pianeti, più o meno evoluti.

Quelli meno evoluti, ove non vi era vita umane, umanoide o almeno con una parvenza di intelligenza, così come la intendevano gli scienziati, erano usati come zone di caccia e di passatempo dall’Imperatore e dalla sua corte, compresi alcuni vassalli che governavano le zone limitrofe del pianeta Lokijn.

A Strozzen ciò non dispiaceva.

Tipo strano Strozzen. Alto, biondo, occhi azzurri, con una pelle chiara, con un tic all’occhio destro. Aveva sposato una dama di compagnia dell’Imperatrice, una ragazza chiamata Alfonsine, di bell’aspetto, ma insignificante, figlia di una dama di corte e di un alto burocrate dell’Impero, uno di quelli che aveva deciso di tradire l’Imperatore.

Ma a Strozzen non gli era dispiaciuto sposare quella donna, ne tanto meno avere dei figli da lei.

La cosa strana di Strozzen era che passava più tempo a studiare, leggere, scoprire cose che non il tempo dedicato a governare la sua zona.

Che poi cosa doveva comandare, si chiedeva sempre. Sembrava più che facesse il guardiano alla zona di caccia privata dell’Imperatore che cercare di migliorare la vita dei suoi sudditi, perché c’era ben poco da migliorare.

Era sicuramente una della zone dell’Impero e dell’intera galassia dove la gente viveva meglio. Proprio perché riserva di caccia, sui pianeti da lui amministrati e su quelli usati come passatempo dalla corte, la vita trascorreva tranquilla.

Anche se l’Imperatore viveva sul braccio della galassia opposto al suo, Strozzen era quasi considerato un Imperatore. E i suoi sudditi erano alle stessa stregua considerati come i sudditi del pianeta dell’Imperatore. Cosa volere di più.

La malavita organizzata non esisteva, come non esisteva in tutto l’Impero. I ladri, costretti più dalla fame o dall’ignoranza a rubare, venivano condotti in prigioni dove erano costretti a lavorare e a guadagnarsi da mangiare e da vivere. Chi non riusciva a studiare, veniva arruolato a forza ed entrava a far parte della fanteria di terra o dello spazio.

Praticamente, non vi era abitante di quella zona della galassia che non lavorasse. Se tutti lavoravano, tutti stavano bene, avevano soldi da spendere per comprare l’utile e il futile. E non disturbavano i sogni dolci e innocenti di Strozzen. Così credeva lui.

Ma il solo fatto che suo suocero si era messo contro l’Imperatore, lo aveva messo sotto pressione e lo aveva preoccupato.

Ma l’Imperatore, e men che meno l’Imperatrice, gliene fecero una colpa. Anzi. Avevano fatto di tutto perché non si sentisse lasciato da parte, o peggio, non si sentisse abbandonato.

L’Imperatore, in quel periodo, si fece spesso sentire da Strozzen, con documenti, lettere o video chiamate. Come l’Imperatrice con sua moglie Alfonsine.

Chi non capiva era sua figlia Fionij. Il suo nonno, tanto amato, abbandonato dalla sua famiglia.

Ma la madre gli fece subito capire il perché non potevano mettersi contro l’Imperatore. E tanto meno contro l’Imperatrice.

La figlia non capì, ma accettò: forse era meglio un nonno in meno che una famiglia sterminata dalla furia dell’Imperatore.

Quel giorno autunnale iniziò nei migliori dei modi.

Era un giorno infrasettimanale e, stranamente, non era previsto nessun impegno per il Duca e la moglie.

E nemmeno per le figlie.

Sembrava quasi una giornata inutile.

Il Duca e la consorte stavano facendo colazione all’esterno, sulla veranda della loro casa, con davanti a loro un giardino con piante basse e fontane con giochi d’acqua.

Le figlie, Fionij e Glocial, giunsero poco dopo. La temperatura era mite ed era piacevole essere lì fuori, mentre un bel sole bianco sorgeva da dietro le montagne, che circondavano quella bellissima vallata.

Mentre allegramente la famiglia faceva colazione, una enorme nave oscurò il cielo.

Strozzen guardò in alto e vide Invincible avanzare, passando sopra il palazzo e dirigendosi verso le montagne.

L’astroporto più vicino dove poteva atterrare quella nave era alla base militare posta a oltre seimila chilometri dalla capitale.

Strozzen capì che qualcosa stava accadendo e si alzò, senza parlare.

La moglie e le figlie lo guardarono allontanarsi, spaventate, mentre alcuni burocrati e dei generali erano arrivati di corsa al palazzo..

Fionji guardò Invincible sparire all’orizzonte e, quando si voltò anche suo padre era sparito.

“Vieni, cara. Ci dobbiamo preparare.” Alfonsine prese la mano di Fionji e la tirò a se.

“Per cosa ci dobbiamo preparare, madre?” Chiese Fionji

“Non ti preoccupare. È venuto il tuo tempo. L’Impero ha bisogno di te.”

Alfonsine e Fionji si diressero verso il palazzo, mentre Glocial, troppo giovane per capire, continuò tranquillamente a far colazione.

Invincible atterrò nell’astroporto militare con un gran rumore.

Dalla nave scesero Doc e alcuni uomini della tana con vestiti da cerimonia.

I loro mantelli erano di color rosso, con bordi dorati.

La testa della tigri rispendeva in color platino sulla loro schiena.

Insieme a loro c’erano Black, Samuel, Angel, l’orso e la tigre.

La gira della verità era portata da Elstam ed Elsam.

La giara era di color argilla, con bande di vari colori orizzontale.

Elstam ed Elsam portavano la giara su una specie di portantina di legno.

La processione, silenziosamente, si diresse verso un grosso veicolo nero, che li aspettava.

Il veicolo, oltre che grosso, non aveva ruote. Viaggiava su un cuscino provocato da un magnete e viaggiava su una rotaia.

Il mezzo si mise in moto lentamente, mentre tutti i passeggeri si sedevano, allacciando le cinture di sicurezza.

Il veicolo si infilò in un tunnel, che lo inghiottì nel buio delle viscere del pianeta.

La velocità che raggiunse il veicolo nel tunnel fu elevata.

Un tachimetro con i display luminoso indicava la velocità di settecentocinquanta chilometri orari.

Il vuoto provocato nel tunnel consentiva al veicolo di viaggiare così veloce.

Ci vollero alcune ore per giungere alla capitale.

Elstam ed Elsam mangiarono qualcosa, affamate dal lungo viaggio, interrotto da Doc in prossimità della capitale dell’Impero.

Non erano le figlie dell’Imperatore le destinatarie della giara.

Ma a loro nessuno lo aveva detto. Ed Elstam ed Elsam avevano girato la galassia, per non farsi scoprire e consegnare la giara della verità al destinatario.

Ora, anche se non capivano il perché, era su quel pianeta a compiere il loro dovere.

Il mezzo, quando raggiunse la capitale del pianeta, uscì dalle viscere della terra e viaggio in un tubo trasparente, e così i passeggeri poterono rimirare la bellezza del pianeta.

Vicino alla capitale un lago, pieno di acqua azzurra, quieta, lambiva le periferia della capitale, fatta di casette piccole e basse, tutte uguali.

La voce dell’arrivo della strana comitiva si era già spersa per la capitale. A darne la comunicazione era stata la radio e il videogiornale planetario.

La gente si era precipitata in strada, avviandosi verso il palazzo del Duca, per vedere e capire cosa stava succedendo.

La capitale non era molto affollata, vi erano circa centomila persone.

Ma la piazza delle manifestazione ne conteneva più di un milione e la gente della città, che vi arrivo in gran fretta, sembrava più uno sciame di cavallette che un popolo esultante e felice per il suo Duca.

Qualcuno della dinastia sarebbe diventato Imperatore.

Quando il mezzo giunse a destinazione, nella stazione della capitale, sotto il palazzo, ad attendere Doc e la comitiva vi era il Duca, la moglie ed alcuni pochi alti dignitari del pianeta.

La cerimonia di accoglienza degli ospiti per quella particolare occasione era piuttosto complicata, e le suo norme risalivano indietro di millenni.

Doc scese dal mezzo e chiese il permesso per lui e la sua comitiva di avanzare sul suolo del pianeta.

“Io, Docilous Tuiofen, supremo capo della tana delle tigri, difensore della legalità galattica, giusto tra i giusti, equo con gli equi, ribelle verso l’ignoranza e la sopraffazione dei poveri, ospite per coloro che non hanno dove andare, vi chiedo di poter venire in pace nei vostri territori planetari, per portarvi la luce della conoscenza e la parola della verità contro coloro che spengono la ragione e accendono l’ignominia. Qui, tra voi, c’è colui che dovrà vedere la verità, sentirla, apprezzarla, odiarla, mai nasconderla ad occhi ed essere pensante della galassia. Colui che dovrà aprire la giara della verità è qui?” Chiese alla fine, con fare maestoso.

“Ma chi è costui?” Chiese, giustamente, uno degli alti funzionari.

“Donna, fai un passo avanti!” Doc indicò Fionji e gli fece cenno di avanzare.

La ragazza si guardò intorno, spesata.

“Chi sono io per essere eletta a tale rango?” Rispose come le era stato insegnato dalla madre.

“Non importa chi sei. Tutto per il bene della galassia!” Rispose Doc.

La piccola folla che circondava Fionji si allargo, allontanandosi sa lei, compresi i suoi genitori.

Tutti, poi, si inchinarono davanti a lei.

Ad un gesto di Doc, il piccolo gruppo di persone della tana delle tigri aprì la processione verso il palazzo, seguiti da Elstam ed Elsam che portavano la giara.

Dietro la giara s’incamminò Foinji, seguita dai funzionari del pianeta. La processione era chiusa dal Duca e la sua moglie e si diresse si diresse verso la grande sale delle adunanze.

Ad aspettarli vi era un folto gruppo di dignitari e dame di corte. Glocial aspettava di fianco al trono.

Quando arrivarono nella sala, di fronte al trono, gli uomini e le donne della tana delle tigri si coprirono il capo con il cappuccio della vesta.

Doc invitò Fionji a sedersi sul trono.

Quando Fionji si fu seduta sul trono, tutti i presenti si inchinarono, in segno di saluto e rispetto.

Elstam ed Elsam portarono la giara davanti a Fionji e l’appoggiarono ai suoi piedi.

“Apri, senza paura e la verità sarà a te permesso di conoscere.” Le disse Doc.

Fionji prese il coperchio della giara e lo alzò, guardandoci dentro.

La sua faccia era nascosta dal coperchio e, siccome tutti erano ancora inchinati in segno di rispetto, nessuno vide la sua faccia di stupore.

Strano, pensò, una giara piena di acqua. E anche un po’ puzzolente, concluse, richiudendo il coperchio.

Strano scherzo. Acqua, solo acqua, nient’altro che acqua. Doc la squadrò da sotto il cappuccio.

Se avesse parlato, per dire quello che aveva visto, non sarebbe diventata Imperatrice. Fionji lo sapeva: era stata ben istruita dalla madre.

“Qualsiasi cosa ci sia dentro” le aveva detto la madre “non devi far trapelare dal tuo corpo che sei sorpresa o spaventata. Sii forte, qualsiasi cosa succede.”

Ma l’acqua, cosa centrava? Fionji era quasi arrabbiata e si accorse dello sguardo da sotto il cappuccio di Doc, ed evitò di far trapelare dal suo viso qualsiasi emozione.

Doc si accorse di quell’attimo di smarrimento di Fionji, ma gli altri no.

Perfetto, pensò Doc.

Magnifico, pensò Black.

Che barba, pensarono Elstam ed Elsam.

Fionji si accorse di aver percepito quei pensieri, attimi sfuggenti che le erano passate nel cervello, in un attimo, e che se ne erano andati via, veloci.

Fionji si guardò attorno, guardinga. Tutti erano ancora inchinati e lei si accorse di sentire i pensieri, di recepire le loro emozioni, le loro paure: sentiva le vibrazioni aure delle persone.

Non era acqua quella nella giara, era come una droga, talmente forte che le aveva amplificato i sensi, non quelli corporei, ma quelli spirituali. Forse.

A Fionji ci volle parecchio per abituarsi a quella nuova sensazione. Difficile da controllare.

Ad un tratto, Doc fece un cenno e i cappucci degli uomini della tana si abbassarono, mostrando volti di uomini e donne che aveva combattuto a lungo per il bene di tutti.

La gente si alzò, guardando in faccia la nuova Imperatrice.

“Vi presento la vostra nuova Imperatrice. Lunga vita all’Impero!” Urlò Doc.

“Lunga vita e prosperità a noi!” Risposero i presenti.

La folla nella piazza urlava. La notizia della nuova Imperatrice corse per ogni angolo della galassia.

Ma il passaggio dei poteri non era così semplice ed immediato.

Il vecchio Imperatore doveva abdicare, ma non era detto che lo avrebbe fatto in poco tempo.

E poi Fionji doveva trovare marito e sposarsi. E anche questo non era così immediato.

Fionji doveva finire gli studi, essere istruita, trovare dame di corte, aiutanti… tante cose da fare.

Doc e i componenti della tana delle tigri se ne andarono, scortando la gira della verità portata da Elstam ed Elsam.

Se ne andarono con lo stesso mezzo con cui erano venuti.

La sera stava calando in quella parte del pianeta.

Invincible ripartì con la piccola comitiva a bordo, dirigendosi verso la tana delle tigri.

Sul pianeta incominciarono i festeggiamenti e nella galassia tutti guardavano alla nuova Imperatrice.

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Capitolo 7
*** L'altra fine ***


Il professore Nietsnie ci impiegò tre mesi per raccogliere e catalogare tutti i documenti riguardanti i tempi e i modi che portarono allo sviluppo degli avvenimenti che l’Imperatrice gli aveva chiesto di cercare.

Trovò non solo una videostoria degli avvenimenti, ma anche documenti, alcune immagini, documenti cartacee dei servizi segreti civili e militari del tempo.

Era passato tanto tempo, ma i documenti, stranamente, erano ben conservati.

Il professore pensò che qualcuno aveva voluto farglieli trovare: erano tutti nella stessa ala della gigantesca biblioteca, tutti catalogati, tutti in ordine.

Mai una ricerca del genere era stata così facile e mai aveva trovato così tanti documenti che ne parlassero. Strano.

Ma i documenti non parlavano chi erano e che fine avevano fatto Doc e il Conte Black.

La storia, le immagini, i dati terminavano nel momento in cui la giara era stata consegnata.

Doc era sparito, letteralmente ingoiato dal pianeta Oleg.

Il Conte Black con Freddy non avevano lasciato tracce sul pianeta su cui erano andati ad  abitare: chi attualmente comanda quella zona della galassia non era neanche un loro diretto discendente.

E Invincible era stata ingoiata dalle fauci fameliche del nulla.

Il professore aveva un sacco di documenti, ma pochi riferimenti reali su cui lavorare.

Sì, aveva indicazione di dove era situata la tana delle tigri, la sua collocazione all’interno della galassia, come raggiungerla: ma perché sulla tana delle tigri tanti dati e niente di Doc.

Il professore continuò la ricerca tra le carte di quella zona della biblioteca. Alla fine trovò un documento con dei riferimenti che non facevano parte di quel lato della biblioteca.

Ci volle un po’ per capire a cosa si riferivano quei documenti, ma alla fine trovò il bandolo della matassa.

Chi gli aveva messo in bella mostra tutti quei documenti, ne aveva lasciato uno, sicuramente per errore, con riferimenti ad un altro lato della biblioteca.

Al professore non ci volle molto per capire a quale zona della biblioteca faceva riferimento il documento, ma la zona della biblioteca indicata era dall’altra parte del pianeta.

Il professore partì alla ricerca degli altri documenti.

Per andare all’ala della biblioteca che gli interessava il professore ci impiegò un giorno, utilizzando i mezzi di trasporto pubblici.

I mezzi di trasporto erano dei cilindri che viaggiavano in tubi sotto vuoto, posizionati sotto terra, ad alcune centinai di metri sotto la crosta del pianeta.

Quel lato della biblioteca era molto antico.

Era dentro un palazzo, un vecchio palazzo.

Il professore, all’ingresso della biblioteca, ebbe come un sussulto. Gli ricordava le immagini viste del palazzo dell’Imperatore Frederickon II.

Era certo che fosse il palazzo Imperiale descritto nei documenti che aveva trovato.

Il professore si ricordò delle piante del palazzo reale e cercò subito la sala dove vi erano state le riunioni dei servizi segreti.

La trovò al piano interrato.

Era proprio come era stata descritta nei libri.

Ma ora era occupata da documenti, che il professore incomincio a guardare.

Vi erano carte, dischi, videolibri.

Ma non erano le carte che cercava.

Erano la storia della galassia dal ventisettemila al ventottomila dell’anno galattico.

Cerano però delle strane immagini.

“Invincible!” urlò il professore.

Si girò per controllare che nessuno lo avesse sentito.

L’immagine era su una carta strana, ma, sul fondo dell’immagine, vi era l’astronave tanta cercata.

Ma che ci faceva una astronave di cinquemila anni fa in una foto vecchia di solo duemila anni?

Il professore controllò meglio la foto: il pianeta su cui era stata fatta assomigliava molto alla tana delle tigri.

Il professore continuò le ricerche in quella stanze e quelle attigue.

Poi passò alle stanze dei piani alti.

Trovò altre tracce in una stanza che sembrava una camera da letto.

Era la stanza da letto dell’Imperatore Federickson II.

Le tracce continuarono in altre stanze.

E le date continuavano a modificarsi.

Alcune erano vecchi di solo cento anni.

E le coordinate in cui le foto erano state fatte spesso distavano anni luce e i tempi erano di sole poche ore.

Il professore lasciò lo stabile, il vecchio palazzo Imperiale soddisfatto, ma con ancora un sacco di domande.

E non aveva nessuna intenzione di tornare dall’Imperatrice senza risposte.

Dei giardini che erano di fronte al palazzo Imperiale, era rimasto solo quello primaverile.

Quello dei documenti, penso il professore.

Vi fece un giro, controllando l’ora: non aveva nessuna intenzione di essere bagnato dall’impianto di irrigazione a pioggia.

Lo attraverso e uscì dall’altra parte.

Si trovò davanti a un palazzo molto più recente, anzi recentissimo.

Era nuovo, appena fatto.

Strano, non era segnato su nessuna mappa generale della biblioteca.

Vi entrò, ma l’edificio era ancora vuoto.

Era enorme: solo l’ingresso era alto più di venti metri.

Spettacolare, con enormi finestre lavorate con colori veramente sgarcianti.

Bello, pensò il professore.

Ma una cosa strana attirò la sua attenzione.

In un angolo vi erano delle casse di legno, contenenti dei documenti siglati top secret.

Il professore si guardò intorno circospetto, poi apri la prima cassa e ci guardò dentro.

Non c’era molto di interessante: foto, vecchi documenti cartacei, lettere… Conte Black.

Il documento non era molto antico, era datato 29540: vi era un documento che parlava del Conte Black e della tana delle tigri, della necessità di controllarli e di sapere cosa stavano combinando.

Un simile documento, lasciato lì così: al professore non parve vero.

Ma un sospetto gli corse nel cervello, fino alle viscere del suo intestino: troppe tracce inequivocabili che collegavano il Conte Black all’Invicible e alla tana delle tigri.

No. Il Conte Black faceva parte della tana delle tigri, questo ormai era assodato, ma… no, non poteva.

Uno dei primi documenti parlava dell’idea di Doc per quanto riguardava Invincible.

Un rumore alle sue spalle lo fece trasalire.

Si girò di scatto, la mano nella tasca, pronto a difendersi.

Forse qualche animale entrato per errore.

Il professore copiò i documenti sul suo mini computer.

Appena ebbe finito, uscì di corsa dall’edificio e ritorno sui suoi passi.

Attraverso il giardino di primavera di corsa, primo che la pioggia lo irrogasse.

Prima di entrare nel palazzo principale si voltò.

Era quasi certo che un’ombra si aggirava in quel posto.

Ormai aveva parecchi documenti da presentare all’Imperatrice.

Alla sera riprese i mezzi pubblici e tornò al suo appartamento.

Fece i bagagli e prese la prima astronave che partiva per il pianeta dell’Imperatrice.

Il professore continuava guardarsi intorno preoccupato.

Il viaggio durò due giorni, nei quali il professore dormì poco.

Quando atterrò all’astroporto della capitale, il professore si rivolse ad uno degli agenti  della sicurezza presenti.

Si fece accompagnare, o meglio scortare fino al Palazzo Imperiale.

Era notte quando arrivò al palazzo Imperiale.

I domestici si innervosirono alla sua presenza: mai nessuno si era permesso di arrivare a quell’ora così discutibile e chiedere dell’Imperatrice.

Ma, stranamente, l’Imperatrice lo ricevette.

L’Imperatrice Koiula aveva quarant’anni galattici standard.

Era una bella donna: alta, magra, con un viso ovale, occhi di un blu intenso, labbra piccole.

Al professore piaceva come vestiva l’Imperatrice in privato: indossava sempre vestiti succinti, che mostravano le sue forme e il seno prosperoso.

“Allora, professore, quali notizie?” Gli chiese l’Imperatrice nel suo salottino privato, seduta su un divano blu notte.

Il professore si sedette su una sedia, davanti ad un tavolo dove appoggiò il suo mini computer e lo collego ad una presa multipla, posta sul tavolo.

Un video, grande quanto la parete posta a destra dell’Imperatrice, si illuminò.

Il professore incominciò a spiegare all’Imperatrice tutto quello che aveva scoperto.

Entro nei più minimi particolari, fin troppo noiosi, ma l’Imperatrice ascolto tutto con attenzione.

Era l’alba quando il professore terminò la sua relazione.

La luce entrava da un pesante tendaggio che chiudeva la finestra.

L’Imperatrice si alzò e aprì la tenda: la luce invase tutta la stanza.

Il professore chiuse gli occhi per la troppa luce.

Quando li riapri l’Imperatrice era davanti allo schermo a giocherellare con i dati della ricerca.

“Quindi, secondo voi, è possibile che siano tutti bionici?” Chiese con noncuranza.

“Sì, mia Imperatrice. Ho paura che Doc sia un vecchio Imperatore, forse esistito cinquecento anni prima degli avvenimenti che tanto ci interessano. E che il Conte Black, o almeno il suo cervello, sia finito a comandare l’Invincible. Non di meno l’orso Ronson e la tigre Elsa sono sicuramente i consiglieri fidati del vecchio Imperatore.” Disse il professore, alzandosi dal divano e avvicinandosi all’Imperatrice.

“Posso chiedere a cosa vi serva questa ricerca?” Il professore lo chiese sotto voce, come se qualcuno potesse sentire.

“Sì. Ma non è detto che abbia voglia di rispondervi, mia caro professore.” Disse l’Imperatrice, giocherellando con i dati sul video.

“Però, potrei fare un’ipotesi.” Insistette il professore. “Voi siete la… settecentocinquantaduesima Imperatrice di questa galassia. Le dinastia che si sono succedute sono circa dieci. Le precedenti dinastie si sono estinte naturalmente e sono state sostituite da altre, in modo del tutto naturale…”

“Lo credete davvero, professore?” L’Imperatrice guardò il professore, con quel sorrisetto furbino che spesso segnava il suo volto, come un bambino che ha rubato la marmellata ma nessuno riesce a scoprire come ha fatto.

“Voi sapete più di quanto credevo. Quindi non è una leggenda. È tutto vero. Ma la vostra dinastia non è tanto che governa, voi siete solo la… quarta. Perché?” Chiese incredulo il professore.

“Perché ho messo al mondo un sola figlia, e invece dovevo mettere al mondo un maschio. Avrebbe sposato la figlia del Conte Koiuyt, continuando tranquillamente la dinastia senza problemi. E tenendo buoni tutti. Invece mia figlia dovrà sposare chi vuole, mischiando, forse, il sangue con un con sanguigno. Sì, lo so. Si possono fare dei controlli. Ma questo rischierebbe di mettere in luce troppe magagne Imperiale, che nessuno vuole. Caro professore, siamo finiti. A meno che mia figlia non sposi il figlio dell’Imperatore della galassia di Androgina. In tal caso il problema sarebbe risolto, ma sa com’è: non si sposa il figlio dell’Imperatore di un’altra galassia. Anche se i due si amano.” Concluse l’Imperatrice, sedendosi sul divano e coprendo il volto con le mani.

“E perché non glielo fa sposare?” Chiese il professore, che si era seduto di fianco a lei.

“Perché la tana delle tigri non vuole. O almeno, quello che rimane della tana delle tigri.”
”E’ sicura che siano rimasti in pochi?”

“Il ricambio c’è sempre stato e sempre ci sarà, caro professore. Non è gente che si ferma davanti a questi problemi.”

“Già. Ma se qualcuno pensasse o, meglio, sapesse che si sono messi contro l’Imperatrice, cercando di detronizzarla…”

“Non sono così stupidi. Non lo faranno mai. Non si metteranno contro di me. Lo faranno solo quando non ci sarò più.” L’Imperatrice si era appoggiato alla schienale del divano. Il professore era sempre più sopraffatto dai desideri di aiutare la sua Imperatrice.

“Perché non li anticipate. Fategli sapere che sapete. Ci penseranno bene…”

“Professore. Uomo di dura cervice. Non è che state esagerando nel vostro volervi aiutare. Non pensate che abbia già fatto le mie mosse. No, è impossibile. Lottare contro la tana delle tigri non è possibile.” Disse l’Imperatrice, guardandolo amorevolmente.

Il professore e l’Imperatrice rimasero sul divano, mentre il sole si alzava sopra l’orizzonte.

“I burocrati. Non è la tana delle tigri, mia signora. Sono i burocrati che decidono chi sarà l’Imperatore. Sono loro che controllano i documenti delle nascite. Loro che sanno tutto e ben se ne guardano di dirlo. No.” Disse il professore, come se avesse capito il mistero. “Non è la tana delle tigri che decide. Sono i burocrati. La tana delle tigri ha sempre lottato contro di loro. La tana delle tigri, se come dite voi è vero, dovrebbe aver già inviato al vostro successore la giara della verità, ma nessuno la mai ricevuta…”

“Mica lo dicono se ricevono la giara, professore.” L’Imperatrice rise rumorosamente. “Non lo hanno mai detto.” Disse infine.

“Oh, no. Questo non è vero. Ho visto un elenco di nomi di imperatori, aspetti…” Il professore si alzò e si mise davanti al video. Cercò qualcosa, per un breve tempo. All’improvviso sul video apparve un elenco di nomi, tutti gli imperatori che avevano comandato su quella galassia. Di fianco ad ogni nome c’erano stani simboli, tra cui una giara.

“Visto!” disse girandosi verso l’Imperatrice, che si alzò e si avvicinò al video. “Tutti i nomi degli Imperatori, con a  fianco il simbolo della giara. Visto, al cambio di dinasta vi é una giara. Tranne al cambio della vostra dinastia. La vostra dinastia è salita al potere senza la giara. Com’è possibile? Di sicuro c’è sotto qualcosa. O la tana delle tigri non ha più proseliti, o i burocrati hanno preso il comando!” Disse il professore.

L’Imperatrice guardò tutti quei nomi, i simboli a fianco di ogni nome, e la giara, messa esattamente al cambio di dinastia.

Davvero i burocrati alla fine avevano preso il sopravvento sulla tana delle tigri e avevano messo un Imperatore scelto da loro, per poter fare quello che volevano, comandare nell’ombra senza dover rendere conto a nessuno?

L’Imperatrice cominciò a capire tante cose.

“Sì, mio caro professore. È proprio così. I burocrati hanno preso il comando. Si sono impadroniti dell’Impero e della galassia. Adesso so cosa devo fare.” Disse l’Imperatrice, battendo una mano sulla spalla dell’anziano uomo, per così tanto tempo fedele servitore.

“E cosa volete fare, mia signora?”

“Andremo alla tana delle tigri e lo chiederemo direttamente agli interessati. Avremo notizie più interessanti e sapremo come sconfiggere il nemico.”

L’Imperatrice spense il video, toccò un tasto rosso e apparve la faccia di un uomo robusto, con il viso pieno di cicatrici, viso rotondo, di stazza grossa, non molto alto, vestito da militare.

“Rudolf, preparate la mia nave da battaglia. Dobbiamo partire. Subito!” Gli ordinò l’Imperatrice, che non attesa la risposta e accese un altro pulsante.

Apparve una donna, minuta, piccola, anziana.

“Delia. Fai preparare subito la mia tuta da combattimento.”

L’anziani, stupida, non ebbe il tempo di rispondere. Il video si spense subito.

L’Imperatrice guardò il professore.

“Bene, professore. Partiamo. La tana delle tigri ci aspetta.”

“Non vorrà ficcarsi in quel guazzabuglio di gente…”

“Di gente fedele alla galassia, professore. Fedele alla galassia, non a se stessi. Se riusciremo ad avere i contatti necessari, pensò che la galassia sarà al sicuro. E credo che l’unione tra mia figlia e l’uomo che tanto ama non sarà così tanto osteggiato come noi crediamo. “ Concluse l’Imperatrice, dirigendosi verso una porta, in fondo alla stanza.

“Cosa volete che faccia?” Chiese il professore timoroso.

“Verrete con me. Fatevi trovare all’astroporto tra due ore. Vedrete che faremo un bel viaggio.” L’Imperatrice sorrise, tranquilla, ed uscì dalla stanza.

Il professore preparò le sue cose (non aveva neanche disfatto i bagagli) e andò all’astroporto.

La nave da guerra dell’Imperatrice era superba. Nei ultimi duemila anni le navi per viaggiare nello spazio erano parecchio ambiate. Ora erano degli enormi dischi, piatti, con i motori arretrati rispetto ai dischi. Le velocità che raggiungevano erano di parecchio volte superiore alla velocità della luce. Di parecchio superiore.

Il professore salì da una passerella posta sotto la zona vicino ai motori.

All’interno dell’astronave fu accolto da una sua vecchia conoscenza.

“Professore.”
”Elisabeth! Che piacere vederti. E il tuo occhio, come sta? ”

“Bendato!” Gli rispose la ragazza. Era un tipo corpulento, alto, viso magro, labbra carnose, capelli lunghi e neri, l’unico occhio aveva una pupilla nera come la notte. La benda copriva l’occhio destro, cavatogli dalla sua sede dall’Imperatrice di persona durante un allenamento con le spade. Da allora l’Imperatrice la aveva elevata al rango di suo attendente.

Indossava una tuta da battaglia nera, talmente aderente che mostrava i muscoli e tutta la sua femminilità. Il professore non riusciva a capire perché l’Imperatrice si circondasse di donne guerriere, come le antiche amazzoni. Gli uomini erano più affidabili, lottatori, guerrieri veri. Poi si ricordò che le tute da battaglia avevano la possibilità di aumentare la forza del combattente di almeno dieci volte: anche una donna poteva spaccare la testa di un uomo distratto davanti alle sue grazie.

“Allora, professore, un’altra avventura? Questa volta cosa cerchiamo? Un pianeta che non c’è? O dobbiamo cercare strani documenti in qualche posto remoto della galassia?”

“Se fossi in te, Elisabeth, non farei troppo la spiritosa. Stavolta, forse, devi sporcarti le mani. E non credo che sarà divertente. Posso andare nella mia solita stanza?” Chiese il professore, dirigendosi verso un ascensore.

“Sì. Come al solito. Sporcarmi le mani? Ma se ogni volta non succede niente. Una viaggio di piacere e torniamo dopo neanche una settimana. Che barba!” Disse Elisabeth, girandosi e dirigendosi verso degli uomini che stavano caricando dei macchinari sulla nave.

Il professore rise.

Prese l’ascensore e si diresse al ponte cinque.

La sua stanza era segnata con la sigla E5010.

La camera era spoglia. Vi era un finestrone, a metà altezza, lungo tutta la stanza che dava verso l’esterno della nave. Sotto di esso vi era divano per metà della sua lunghezza e una tavolo.

Un altro da lavoro era nella parete di fianco alla porta di ingresso.

Il computer era acceso e sul video vi era un messaggio interno.

Una riunione di lavoro era fissato dopo la partenza, che era prevista per le ore undici.

Come al solito, l’Imperatrice non aveva perso tempo. Sembrava che ogni volta che il professore tornava con dei dati per la ricerca di qualcosa, l’Imperatrice già sapesse il risultato e cosa doveva fare.

Il professore aveva sempre avuto il dubbio che l’Imperatrice lo spiasse in qualche modo durante le sue ricerche.

Ma la cosa non lo aveva mai preoccupato.

Ma stavolta qualcosa non quadrava.

I macchinari che aveva visto caricare dagli uomini di Elisabeth erano robot da guerra. Non i soliti, però. Alcuni suoi allievi avevano sperimentato la possibilità di guidare i robot con la mente. Cosa che da parecchio tempo si faceva. Ma i suoi discepoli erano arrivati al punto che la menta del pilota quasi si fondeva con la macchina, fino al punto che le reazioni di intervento dei robot erano immediate, con la differenza di intervento così minima, che l’Imperatrice aveva avuto paura a produrre più di qualche esemplare di prova. Per l’esattezza cinque.

Lui ne aveva visti almeno venti.

Il professore prese le sue borse e schiacciò un pulsante sulla parete libera.

Si aprì un armadio e sotto apparve un letto.

Appoggiò le borse sul letto, le apri con calma e cominciò a tirare fuori i vesti, appendendoli con ordine.

Di solito li prendeva e li buttava dentro, ma il pensiero di qualcosa di strano gli fece fare le cose senza rendersene conto.

Svuotata una borsa, iniziò con l’altra.

La sua vecchia tuta da guerra era lì, nera come la pece.

La teneva sempre in ordine. Odiava la guerra, ma troppe volte l’Imperatrice l’aveva trascinato in situazione poco piacevoli. Stavolta si era preparato.

All’interno della tuta faceva bella mostra di sé un disegno stilizzato di una animale. Il professore la guardò con sentimento. Era giunto il momento che quel simbolo tornasse a dire la sua, a dire qualcosa per la galassia?

Sul video del computer apparve la faccia di Elisabeth che lo chiamava.

Il professore nascose la tuta e si diresse al video.

Alzò il volume dell’audio.

“Professore. Come al solito.. il volume… quante volte le devo dire che deve essere alzato al massimo… se no cosa la chiamo a fare…”

“Smettila, Elisabeth. Cosa vuoi?” Disse il professore in modo sgarbato.

“Scusi. L’Imperatrice è a bordo e stiamo per partire. Ha detto di scendere in sala…”

“Va bene. Arrivo.” Rispose il professore sgarbatamente, e chiuse la conversazione spegnendo il video.

Dalla sedia su cui si era seduto per rispondere a Elisabeth guardò la tuta.

Ora il destino dell’universo era nelle sue mani.

Nascose la tuta e il borsone che la conteneva.

Chiuse l’armadio e il letto.

Si diresse verso la porta: prima di uscire si girò a controllare che tutto fosse a posto.

Guardò in alto: la telecamera di sicurezza era accesa: qualcuno spiava, come al solito. Poco male.

Uscì e si diresse in sala riunione.

Anche se Elisabeth non aveva concluso al frase, sapeva che l’Imperatrice era là con tutto lo staff.

La sala era dall’altra parte della nave e gli ci volle un buon cinque minuti per arrivarci.

Odiava quella nave: bisognava sempre camminare per postarsi da un punto all’altro, usare scale: non capiva perché gli unici ascensori che vi erano installati portassero solo al ponte di volo.

Quando arrivò nella sala, l’Imperatrice era già lì, nella sua tuta da guerra blu cobalto. Una meraviglia, penso il professore.

Non così lei, che glielo fece capire con una sguardo meno benevolo del solito.

L’Imperatrice stava parlando con Elisabeth e con un uomo, di media statura, anche lui con una tuta da guerra indossata, con un fregio sul petto: era il comandante della squadriglia di robot. Aveva un nome strano… il professore, come al solito, i nomi stupidi non se li ricordava. Fa niente, pensò, non ci doveva parlare con quello.

Nella sala vi erano altre persone, alcune vestite con tute da lavoro, altri con i vestiti di ordinanza delle navi spaziali.

Riconobbe il comandante della nave, il Generale Kutre e un uomo dei servizi segreti militari, anche lui con un nome strano e stupido.

Quando tutti furono seduti ai loro posti. L’Imperatrice iniziò la riunione. Guardando il tavolo, lei si accorse che un posto era vuoto.

“Dov’è?” Chiese, scocciata.

“E’ il solito ritardatario.” Disse una voce.

Qualcuno rise sottovoce, con l’Imperatrice che stava incominciando a sbuffare come un toro.

Ad un certo punto una porta di aprì di colpo e un omino, di piccola statura, grassoccio, entro nella sala riunione.

Aveva una tuta da lavoro logora, e lei sembrava ancora più trasandato.

“Caro Leonard, non puoi tutte le volte essere in ritardo e conciato come… un animale! Ma ti lavi?” Disse l’Imperatrice, mentre un odore nauseabondo investì tutti i presenti.

“Posso?” Chiese Elisabeth.

L’Imperatrice l’anticipò, schiacciando un pulsante sul tavolo.

Il povero Leonard fu investito da un getto di acqua calda, sceso dal soffitto, che lo lavò completamente.

“Visto, Leonard. Ad ogni problema la sua soluzione.” Disse l’Imperatrice.

“La ringrazio, mia signora.” Rispose Leonard con la sua vocina, mentre con la mano sinistra si toglieva l’acqua che dai capelli scivola sul suo volto. I presenti non riuscirono a trattenere una sonora risata.

“Bene. Dopo questo piccolo fuori programma, torniamo ai nostri affari.” L’Imperatrice schiacciò un pulsante su un pannello posto alla sua sinistra e dietro a lei scese un enorme video, su cui apparse una zona della galassia.

“Come vede” Continuò ”noi dobbiamo andare sul pianeta PY253YU, detto anche la tana delle tigri. Non sarà un viaggio lungo, ma sicuramente quello che troveremo sarà molto importante per tutti noi. Come al solito la segretezza è importante. Solo che questa volta non perdonerò strane comunicazioni (guardò tutti con aria pericolosa, tambureggiando con le unghie sul tavolo) con personaggi equivoci. Questa volta chi si azzarda a disobbedirmi lo sistemo di persona!” Così dicendo sferrò un pugno sul tavolo, che fece trasalire tutti.

Una voce subito si alzò da un posto vicino al professore “Non crederete che tra noi ci siano dei traditori?”

“Mio caro, questa volta i traditori saranno morti! Credo di essere stata molto chiara!” E un altro pugno cadde sul tavolo.

Il professore guardò Elisabeth, che se la stava ridendo silenziosamente: altri, invece, avevano la facci decisamente preoccupata.

I burocrati avevano infiltrato persone a loro fidate sulla nave da guerra dell’Imperatrice.

Il professore cominciò a capire.

Erano arrivati a tanto, pur di comandare la galassia.

La riunione continuò con dati e sistemazioni dei ruoli, fasi di attacco e di protezione all’operazione.

Ma al professore questo non interessa. Anzi, l’Imperatrice per quelle riunioni non lo aveva mai chiamato.

Perché stavolta era diverso?

La riunione durò parecchio. Continuò anche quando la nave partì.

Strano, si parte e il comandante della nave e l’Imperatrice non sono sul ponte di comando.

Sempre più strano, pensò il professore.

Ma era inutile chiedere, nessuno ci fece caso.

Durante la riunione mangiarono qualcosa di frugale, bevvero solo acqua (l’alcool sulla nave dell’Imperatrice era vietato quando si andava in missione) e la riunione proseguì fino alle cinque del pomeriggio di un giorno galattico standard.

Alla fine della riunione tutti se ne andarono alle loro mansioni. Il professore rimase meditandolo.

Elisabeth se ne accorse e si avvicinò.

“Non mi sembra il caso di essere preoccupato. Tutto fila come previsto.” Le disse, dolcemente.

“Tu credi. E allora perché ho dovuto subire questa riunione ”

“Come, non lo sai. Ci aspettano. Non vorrai fare brutta figura.”

Elisabeth si allontanò, scortata dal comandante della squadriglia.

L’Imperatrice stava leggendo sul video dei dati, quando alzò la testa e guardo il professore.

“La riunione è finita, Gorge. Qualche problema?”

“Non mi avete mai chiamato per nome, Koiula. Come mai adesso… “

L’Imperatrice si pose il dito indice della mano destra sulla bocca. Fece un gesto e la sala fu chiusa, sigillata. Il rumore delle porte blindate ce si chiudevano fu quasi assordante. Le telecamere della sicurezza si spensero. Non tutte, ma George notò che a una buona parte di esse la luce rossa si era spenta.

L’Imperatrice si avvicinò al professore.

“So il vostro segreto. So cosa nascondete. E voi avete capito cosa voglio fare. Prima di arrivare alla tana delle tigri, i burocrati dovranno essere spariti su questa nave. Conto su di voi. Non importa come lo farete o come gli scoprirete. Fatelo e basta.”

“Non sono un assassino! Non posso…”

“Non lo farete voi il lavoro sporco. Ci penserà Leonard.”

“Leonard?!”

“Sì, Leonard. Voi trovateli e poi ditelo a lui. Buon lavoro, professore.”

L’Imperatrice si alzò dalla sedia su cui si era seduta. Si volto, facendo un altro gesto.

Le porte blindate si aprirono, forse ancora più rumorosamente di quando si erano chiuse e le telecamera si riaccesero.

Il professore uscì dalla sala e andò nella sua stanza.

Scoperto come un bambino. Era stato stupido. Ma il pensiero si rivolse ad altro. L’Imperatrice doveva essere o chiaroveggente o telepatica. Forse, i burocrati avevano sbagliato qualcosa quando avevano scelto la sua dinastia.

E la tana delle tigri doveva approfittarne.

Il professore si cambiò e se ne andò a letto.

Fuori dalla finestra, le stelle correvano veloci. Dalla parte sbagliata.

Capì che alla tana delle tigri ci sarebbero arrivati dopo almeno due mesi.

Già. I burocrati dovevano scendere dalla nave, possibilmente morti.

Il professore spense le luci e se ne andò a letto.

Si addormento guardando le stelle che scorrevano. Dalla parte sbagliata.

L’astronave incominciò ad andare a zonzo per la galassia.

Le giornate passavano stancamente, tra intrallazzi di potere, strane sparizioni, gente trovata morta nei letti mentre dormiva ed altre dicerie del genere.

L’astronave era grande e le leggende incominciarono a crescere come i parassiti sulle piante.

Il professore individuo solo tre degli uomini inviati dai burocrati. Gli altri si fecero scoprire da messaggi maldestramente inviati ai loro capi burocrati.

Alla fine gli uomini al servizio dei burocrati risultarono venti.

Tutti fecero la stessa fine.

Ma strani messaggi continuavano ad essere spediti da uno strano strumento a bordo dell’astronave.

Nessuno, però, fece niente.

Il professore sapeva che, comunque, era necessario che i burocrati ricevessero notizie, magari anche false, ma l’importante era che il cordone ombelicale non fosse tagliato.

Così, dietro ordine dell’Imperatrice, l’uomo che si salvò continuò ad inviare notizie, controllate in modo indiretto dall’Imperatrice. Peccato che lui non lo seppe mai che faceva il gioco dell’Imperatrice e non dei burocrati.

Dopo circa un mese di viaggio nella galassia, dove l’Imperatrice poté in contemporanea visitare pianeti del suo Impero che non aveva mai visitato, la nave si diresse definitivamente verso la tana delle tigri.

A circa due giorni di viaggio dalla tana, l’Imperatrice fece chiamare il professore.

Era il secondo turno di guardia, in teoria erano le due del mattino in un giorno galattico standard.

Il professore stava dormendo profondamente, quando una delle guardie personali dell’Imperatrice lo svegliò.

Il professore si sveglio alquanto arrabbiato, in quell’ora così indicente.

Per fare in fretta si mise una tuta da lavoro e andò dall’Imperatrice.

Lo sapeva che con lei era inutile discutere, ma a quell’ora, diamine.

Il professore andò diretto verso una sala dell’ultimo ponte.

Il soldato lo fece entrare in un grande stanzone: era la stanza adibita alle carte spaziali tridimensionali.

“Professore. Come sta?” Gli chiese l’Imperatrice, ma prima che lei potesse continuare, il professore incomincio a borbottare.

“Che orario indecente. Ti sembra l’ora di far alzare un povero vecchio come me dal letto per cosa?”

“Perché non troviamo la tana delle tigri, professore.” Gli disse seccata l’Imperatrice. “Non è dove dovrebbe essere. Perché?”

“Perché sono passati cinquemila anni e potrebbe essersi spostato. Rispetto alle carte. Leonard, fai una cosa… immetti i dati per calcolare lo spostamento delle stelle rispetto al centro della galassia..” Disse il professore, ma Leonard non aspetto che la frase fosse finita. Sul cielo virtuale apparve un puntino, spostato di circa dieci gradi rispetto al punto ricavato dai dati da parte del professore.

L’astronave ebbe un sussulto e si diresse verso il punto segnato nella volta.

Il professore si girò ed usci dalla stanza.

“Avvisi i suoi amici, professore. Veniamo in pace.” Disse l’Imperatrice.

Il professore non si volto.

“Lo sanno già.” Disse, oltrepassando la porta, che si chiuse dietro a se con uno scatto, mentre l’Imperatrice lo guardava in modo interrogativo.

Il giorno dopo arrivarono al pianeta.

L’astronave gli girò intorno, facendosi la sua personale eclisse con il pianeta ed il sole arancione.

Il professore salì sul ponte di comando per vedere il pianeta.

Il ponte di comando, anche se ampio, era occupato da un sacco di comandanti, venuti a prendere ordine per la discesa sul pianeta.

Sul grande video si vedeva il pianeta e altre navi, di dimensioni decisamente più piccole di quella su cui avevano viaggiato.

Le informazioni del professore erano esatte.

L’Imperatrice aveva mandato avanti altri navi a controllare la zona.

Ma lui non si preoccupò.

Scese nella sua stanza e indossò la tuta da guerra.

Dalla stesa valigia tolse un mantello, nero, con un cappuccio.

Lo indossò. Sulla spalla destra la testa di tigre d’orata tornò a rivedere la luce.

Uscì dalla stanza. Ma qualcuno, vestito come lui, lo aspettava.

Si diressero verso un hangar secondario e presero una navetta.

Il compagno del professore guidava la navicella, mentre il professore gli dava le coordinate per il viaggio.

Uscirono dall’hangar sotto gli occhi increduli di alcuni tecnici e si diressero verso il pianeta.

Il viaggio durò alcune ore.

L’astroporto verso cui erano diretti era il principale. Il professore pensava che era l’unico modo per entrare senza provocare danni a nessuno e preoccupare in modo illogico gli abitanti del pianeta.

Le coordinate dell’astroporto furono inserite nella navetta, che vi arrivò tranquillamente, senza troppi scossoni e senza che nessuno si facesse vivo.

Quando atterrarono era notte su quella parte del pianeta.

L’astroporto era enorme, ma a nessuno dei due viaggiatori scappo l’ombra che una delle lune stagliava sul suolo dell’astroporto di una nave spaziale di notevoli dimensioni.

“Invincible!” Disse il professore.

I due scesero dalla navetta e si diressero verso la nave. Era li, sopita, dormiente, tranquilla, che spettava di essere svegliata dal lungo sonno.

 Il professore prese per un braccio il suo compagno, che si era diretto decisamente verso la nave.

“Non è il momento. E comunque non spetta a noi svegliarla.” Gli disse.

I due si diressero verso un portone aperto che dava su una grotta. Accesero delle lampade portatili molte luminose ed entrarono della grotta.

Un rantolio veniva dal fondo della grotta.

“Le macchine… si stanno spegnendo… andiamo da questa parte, le riattiveremo…” Disse il professore.

I due percorsero un corridoi stretto, posto a destra dell’enorme corridoio, seminascosto da un enorme arazzo.

Strano disegno: sull’arazzo vi erano vecchie navi spazili che lottavano con un’altra nave, più grande: ma le torce non riuscivano ad illuminare tutto l’enorme arazzo, e il compagno del professore non poté vedere il disegno in tutta la sua interezza.

Il corridoio, stretto, continuava a girare, destra, sinistra, poi incominciò a scendere, girando sempre a sinistra.

Camminarono per almeno due ore.

Il professore, anche se era ben allenato, arrivò ansimante alla fine del corridoio.

La porta che chiudeva il corridoio fu aperta di slancio da lui e il suo compagno.

L’enorme stanza che si aprì davanti a loro era piana di quadri, leve, pulsanti, indicatori.

Il professore si diresse su di una leva.

La abbassò e la rialzò.

Il rumore della macchine, da un borbottio diventò un sibilo continuo ed ininterrotto.

La luce incominciò a tornare in tutta la tana.

Il compagno di viaggio del professore si tolse il cappuccio.

“E’ tutto a posto, adesso, professore?”

Elisabeth si stampo in faccia un sorriso di quelli a cui il professore non sapeva dire di no.

“Non credo. Doc non è qui. Sarà rimasto di sicuro su Oleg, e tu non hai pensato ad andarlo a prenderlo. Invincible è vuota. Mancano Elsa, Ronson e Black. Invece di essere a cercarli, sei qui che ti pavoneggi con me. Sono vecchio, ma non scemo. Adesso me lo spieghi come facciamo?” Il professore sgridò l’allieva in modo alquanto brusco.

Elisabeth si difese.

“Non è che non ci ho pensato. Ho mandato qualcun altro a prelevarli…”

“E che?” la incalzo il professore.

“Un uomo fidato.” Gli disse Elisabeth, con fare da gattona. “Ho mandato la figlia dell’Imperatrice.”

“Ma brava. Se lo sa la madre, salta tutto.”

“Sa già tutto. Quella legge nella mente. Cinquemila anni di manipolazione genetica ci hanno portato ad avere una che legge nel pensiero, che è sempre avanti a noi di un passo. Non serviamo più. Lo capisci, professore. Non serviamo più.”

“Serviamo, sciocca donna. Siamo la sua armata segreta contro i burocrati! Ce l’avevamo fatta a tenerli buoni, ma tu cosa ti sei messa in testa non so. La giara della verità non può mettersi in viaggio senza due che la portano. Sai, due gemelle. E noi le gemelle non ce le abbiamo. Due gemelle fidate non le abbiamo. Quante volte te lo devo dire. Fino ad ora ci siamo arrangiati, ma i burocrati hanno capito. E lo capirà anche lei che non da una dinastia, ma che da ben cinque la giara non viene consegnata. E tu giochi.” Il professore era furibondo. Guardò Elisabeth dritto negli occhi. “E’ inutile parlarne. Adesso sistemiamo le cose a dovere.”

Il professore uscì dal locale, lasciando Elisabeth lì, come uno straccio usato.

Elisabeth si riprese subito e lo seguì.

Quando tornarono nell’astroporto, un’altra nave stava atterrando.

Era una nave di piccole dimensioni, anche lei formata da un disco piatto e i motori separati dalla parte principale dell’astronave.

Era colorata completamente di nero, difficile da individuare nello spazio profondo.

Quando i motori si spensero, una passerella dal lato motori scese, silenziosa.

Poco dopo delle ombre apparvero sulla passerella, mentre le luci tornavano lentamente nell’astroporto.

La prima che scese era una ragazza: aveva circa venticinque anni, alta, viso ovale, occhi neri, i capelli raccolti dietro alla nuca. Assomigliava troppo all’Imperatrice. Era la sua primogenita Giulia. Al professore ricordava qualcosa quel nome, ma al momento non riusciva a collocare dove lo aveva sentito. Indossava una tuta da guerra color blu cobalto e si era coperta con un enorme celata nera con cappuccio, di quelle usate dai soldati durante le battaglie sotto gli acquazzoni di acqua.

Dietro a lei scesero tre figure, coperte fino ai piedi da un mantello nero e incappucciate, come a non volersi far riconoscere.

La principessa Giulia era decisamente più alta del professore e anche di Elisabeth.

Quando fu vicino a loro li guardò con insufficienza.

“Non capisco perché mandare me a prendere queste persone?” Disse. La sue erra moscia era terribile. Il professore aveva tentato, insieme ad altri colleghi, a farla smettere di parlare con quella cadenza. E c’erano anche riusciti. Ma la principessa, ogni qual volta doveva parlare con dei sottoposti in luoghi non pubblici, come ricevimenti o visite ufficiali sui pianeti, si divertiva a parlare in quel modo, e nessuno era mai riuscita a farle smettere.

“Capisco la sua indignazione, principessa, me era necessario andare a prendere queste persone. Scusateci dell’inconveniente.” Rispose amorevolmente il professore.

“Sì, si. Capisco.” Disse la principessa. ”Ma la prossima volta avvisatemi che il pianeta è infestato da robot guerrieri. Abbiamo dovuto battagliare per due giorni per riuscire a portare via quelle persone. Poi, non capisco professore… perché non si tolgono mai il cappuccio. A parte che non hanno neanche mangiato per tutto il viaggio.”

“Gorge caro, come va?” Uno degli incappucciati si era avvicinato a loro. Si tolse il cappuccio e apparve un uomo, completamente pelato, con un viso familiare.

“Doc. Che piacere rivedervi. Spero che il viaggio vi sia piaciuto?” Rispose il professore, sorridendo all’uomo di cui aveva tanto sentito parlare, ma mai visto se non in alcune immagini.

“Oh, sì. Divertente. Se non fosse per quella erre moscia… terribile… veramente terribile…” Disse Doc, facendo l’occhiolino a George.

Elisabeth scoppiò a ridere: sapeva che la principessa avrebbe sbottato per quella osservazione.

Stranamente, Giulia non si infuriò.

“Se vi dava tanto fastidio “ Disse senza la sue erre moscia “potevate anche gentilmente farmelo notare. Non sono una persona indifferente alle necessità altrui. E dopotutto, come vede, so parlare in modo corretto.”

“Bene.” Disse il professore “Se vogliamo metterci al lavoro. Devo avvisare l’Imperatrice che può atterrare.”

“Sa qualcosa…” Doc fu subito fermato con una mano da George.

“Prima entriamo e vediamo se è tutto a posto. L’Imperatrice saprà tutto a suo tempo.”

Il gruppo entrò nella tana.

Ci impiegarono due giorni a controllare che tutto fosse efficienze nella tana.

Alla fine avvisarono l’Imperatrice, che stava già incominciando a spazientirsi: non gli piaceva aspettare. Ma quando seppe che Giulia era nella tana si tranquillizzò. Perlomeno qualcuno di fidato era presente sul pianeta.

L’Imperatrice diede ordine di preparare una navetta; voleva andare alla tana al sorgere del sole sul pianeta.

Quella sera Doc e il professore si ritrovarono nella vecchia stanza di Doc.

“Come stanno le cose?” Chiese Doc.

“Da quello che ne so, sembra che le ultime cinque dinastie siano state scelte dei burocrati, anche se nella scelta, non so certamente chi ringraziare, hanno fatto delle scelte che sono andate e nostro favore. Tutti gli imperatori che sono saliti sul trono della galassia hanno fatto il suo bene, non certo quello dei burocrati. Ma adesso pretendono il dazio, caro Doc. Hanno presentato il conto all’Imperatrice. Lei vorrebbe, dato ormai la vicinanza tempistica con la galassia Androgina, di far sposare sua figlia con il figlio dell’Imperatore. Ma i burocrati hanno paura che ciò comporti cambiamenti e rimescolamenti di ruoli e non vogliono. Sembrano decisi a un colpo di mano. Così facendo, si impadronirebbero del potere e dell’Impero, quindi la galassia, sarebbe smembrata in mille staterelli comandati da crudeli padroni.”

“E noi non possiamo permetterlo, vero professore?” Disse Doc.

“Già. Prima il bene della galassia.”

“D’accordo. Domani sentiremo cosa vuol fare l’Imperatrice. Se sarà il caso useremo Invincible. Ma sarà necessario eliminare i burocrati più pericolosi. Ci penseremo.” Doc finì la frase assopendosi.

Il professore lo guardò. Sapeva che non stava dormendo. Chissà quanto tempo poteva ancora funzionare.

George lasciò la stanza e si diresse verso la sala delle riunioni.

L’aveva vista una sola volta, con le torce elettriche, quando era venuto lì con suo padre anni fa, o forse secoli: era passato così tanto tempo da quando gli era stato dato l’incarico di proteggere la tana delle tigri.

Lui ce l’aveva messa tutta perché il segreto non fosse violato, ma ora era necessario che qualcuno sapesse. Ma quanti sapevano.

Dietro a lui arrivò uno degli incappucciati che lo chiamò per nome.

“George!” Era una voce femminile, soave.

“Evane! Che piacere vederti! Avevi bisogno?”

La donna tirò indietro il cappuccio e il suo volto giovanile apparve in tutto il suo splendore a George.

“Stanno arrivando gli altri. Stanno atterrando negli altri astroporti. Mi raccomando. Ricordati dell’altra volta. Qualcuno potrebbe essere scappato all’Imperatrice ed essere qui a fare il doppio gioco.”

“Non ti preoccupare, Evane. Stavolta non capiterà più. Abbiamo imparato. Noi. Vedrai, stavolta il bene della galassia trionferà senza troppi problemi. Una guerra ogni tanto serva a fare pulizia. Anche se noi vorremmo evitarla. A proposito, Doc è troppo stanco…”

“Si, lo so. Anche noi. È troppo tempo che siamo in queste macchine e non dureremo per sempre. Forse Invincible, ma non ne siamo sicuri. Anche se facciamo continuamente manutenzione, non abbiamo apportato grosse modifiche alla tecnologia usata. Ma siamo anche noi stanchi di essere in queste condizioni. Forse dovremmo riposarci per sempre. Con Doc ne abbiamo già parlato. Cinquemila anni sono stanti. E’ ora di modificare le cose. Un’altra tana con altre tigri deve sorgere, George. Ma di questo ne parleremo dopo.”

“Si. Andiamo ad accogliere gli altri.”

Così dicendo George ed Evane uscirono dalla sala e si diressero verso il punto di raccolta di tutti quelli che stavano arrivando.

La notte, nei cieli della tana, fu trafficata, con astronavi di tutte le forme e grandezze che arrivavano.

L’Imperatrice dalla sua nave guardava le astronavi arrivare. Sapeva che una cosa del genere non era mai stata vista da nessuno. Tutti coloro che facevano parte della tana delle tigri stava arrivando sul pianeta.

Alcune navi non erano di quella galassia, ma neanche di quella vicina.

Con tutto il tempo che ci voleva, quando era partite e da chi erano state avvisate?

Il ponte di comando rimase in subbuglio per tutta la notte del pianeta.

Due turni di guardia passarono, prima che il sole sorgesse sulla tana e che l’Imperatrice decidesse di scendere sul pianeta.

Nell’astroporto principale era stato destinato uno spazio per l’atterraggio della navetta dell‘Imperatrice.

Ad accogliere la navetta vi era solo il professore: gli altri erano già nella sala.

La navetta atterrò, silenziosa. Appena la passerella fu abbassata, l’Imperatrice scese di corsa, seguita da un gruppo di uomini.

L’Imperatrice indossava una mantello nero, con cappuccio, con i bordi dorati. Gli uomini che la seguivano avevano le celate nere.

L’Imperatrice, anche con addosso gli scarponi, aveva sempre una camminata molto femminile.

Passò davanti al professore facendogli un semplice cenno col il capo.

Il professore, girandosi, notò sul mantello dell’Imperatrice il simbolo della tana delle tigri sulla spalla destra.

“Ma… mia signora…” Disse il professore, balbettando.

L’Imperatrice si fermò e voltò la testa verso il professore, sul cui viso si era manifestato lo stupore per ciò che aveva visto.

“Non lo sapete, George. La segretezza dei suoi componenti è l’arma più pericolosa della tana.” Gli disse l’Imperatrice, pacatamente.

L’Imperatrice si rivolto e riprese a camminare con fare deciso.

Il professore gli corse dietro e gli uomini di scorta dell’Imperatrice li seguirono, silenziosamente.

Nella sala vi era un brusio di sottofondo, che cessò quando l’Imperatrice entrò, seguita dal professore.

Doc era al suo solito posto, circondato da quattro personaggi incappucciati.

Evane aveva preso posto sugli scranni di fronte a Doc. Ai suoi piedi facevano bella mostra di sé l’orso Roson e la tigre Elsa. Il tempo non gli aveva invecchiati.

Giulia, la figlia dell’Imperatrice, si era seduta su uno scranno vicino ad Evane.

Il professore si ricordò dove aveva già sentito quel nome. Strano, si era seduta sullo scranno della sua precedettrice.

Il professore si sedette sullo scranno vicino ad Evane.

L’Imperatrice rimase un attimo lì, in piedi, davanti a tutti: poi, con fare molto umile, si sedette vicino alla figlia.

Sedutasi, guardo Doc. Subito, l’Imperatrice fece un cenno e gli uomini di scorta uscirono dalla sala.

Un enorme portone si chiuse dietro loro.

“Per la sicurezza di tutti!” Disse Doc “Qui le armi non sono mai entrate.”

L’Imperatrice accennò ad un sorriso.

“Bene.” Iniziò Doc, alzandosi. “Come sapete, i nostri tentativi di tenere unita la galassia, si stanno mostrando inutili. Ormai non abbiamo più il controllo dei burocrati, che stanno ormai operando a viso scoperto, pur di impossessarsi del potere, che ritengono gli si dovuto. Dobbiamo serrare i ranghi e rimettere il bene di tutti davanti al bene di pochi. Come vedete, la stessa Imperatrice è dovuta uscire allo scoperto, per poter fermare qualsiasi tentativo di successine da parte dei burocrati. Purtroppo, la guerra, che tanto abbiamo voluto evitare, è necessaria. O almeno, cercheremo di far sì che interessi meno individui possibili in questa galassia. Ora, cara Imperatrice, credete che i burocrati che sono qui siano pericolosi?”

L’Imperatrice si alzò. Guardo i personaggi sulle balconate.

“No, Doc. Le persone che sono qui presenti non sono che insignificanti burocrati di poco conto. Non penso che impediranno che si compia il loro destino…e il nostro!”

“Bene. E’ inutile continuare questa riunione. I burocrati si stanno organizzando su un pianeta fuori dalla galassia. Sarà bene attivare Invincible e chiudere la questione in tempi brevi. Per quanto riguarda la giara della verità, Non si muoverà fino al tempo previsto. Che, ovviamente, non è adesso.” Doc fece un sorriso all’Imperatrice, che contraccambiò.

La sala si svuotò.

Alcuni dei membri della tana partirono in gran fretta.

Alcuni burocrati presenti tentarono una mediazione con l’Imperatrice, ma il risultato non fu molto favorevole. Le segrete della tana delle tigri non diedero loro alcun scampo.

George parlò della cosa con Elisabeth.

“Non vedo perché dovremmo sporcarci le mani di sangue!” le disse preoccupato.

“Non è il nostro sangue e non lo stiamo facendo noi. Lascia perdere. Pensa solo ad Invincible.”

La nave da guerra dormiva ancora quando il professore, Elisabeth, Giulia con Roson e Elsa vi salirono.

La tigre seguiva come un’ombra la principessa, mentre Roson faceva sempre compagni ad Elisabeth.

La nave sembrava che respirasse. Ogni tanto si sentiva un rantolo.

Roson prese con la bocca la mano di Elisabeth e lo portò verso un locale vicino ai motori della nave.

Tutti gli seguirono. Elisabeth era spaventata: se Roson avesse chiuse le mascelle la sua bella mano sarebbe diventata solo poltiglia.

Dietro ad una porta blindata vi era una stanza enorme, di forma semisferica.

Aveva un diametro di almeno venti metri, ed era alta almeno altrettanto.

Al centro vi era uno strano macchinario circolare.

Il professore si avvicinò ad un quadro comando.

Un pulsante verde diceva chiaramente “Accensione”.

Il professore non se lo fece dire due volte e premette il pulsante.

Il rantolo divento un sospiro, poi un ansimare, poi un respiro regolare.

Le luci della nave si accesero.

Dopo cinque minuti di terrore dei presenti, il pannello di comando davanti al professore si illuminò come un fuco d’artificio.

I livelli indicati sui quadranti saltavano dai numeri più bassi ai numeri più alti e viceversa.

Quando tutto si stabilizzò, su di un video apparve la faccia di un uomo.

“Conte Black.” Disse il professore.

Una telecamera uscì da quella strana struttura e squadrò il professore.

Poi fece una panoramica sul locale e sui presenti.

“Ronson!” Una voce uscì dal nulla, mentre sul video la faccia muoveva le labbra.

“Ciao, Black.” Disse l’orso “E’ un piacere vederti… vivo!”

“Chi sono questi qui?”

“Oh… amici di Doc… Abbiamo bisogno di te.”

“Meno male che i sistemi si attivano da soli ogni cinquecento anni e mi rimettono in sesto. Bhe, cosa volete?”

La telecamera puntò sulla principessa.

Il professore tossì in modo rumoroso e la telecamera si voltò verso di lui.

“I burocrati hanno tentato un colpo di mano e dobbiamo fermarli. Abbiamo bisogno di voi per stanarli e batterli.”

“Non credo che una guerra farebbe bene alla galassia, mio caro.” La telecamera di avvicinò ancora di più. “Una guerra provoca morti e noi non vogliamo ciò, vero?”

“Sì. Purtroppo non siamo noi che vogliamo la guerra, ma loro. E comunque la zona di intervento sarà limitata. Fuori dalla galassia. Gli unici a rimetterci saranno i burocrati.” Disse il professore.

La telecamera andò su Elisabeth e poi su Giulia.

Controllo Roson e si avvicinò ad Elsa.

“Sei sempre la guardia della figlia dell’Imperatrice, Elsa. Così fedele.” La telecamera si alzò. “Va bene. Avete un equipaggio da mettermi a disposizione?”

“Tutti coloro che sono fedeli alla tana delle tigri parteciperanno a questa azione.” Disse Giulia. La telecamera si tuffò verso di lei.

“Ma tu non avevi la erre moscia? Strano.” Disse Black.

Il rumore di sottofondo diventò più alto.

“Mi ci vorranno quattro ore a mettere tutto in funzione.” La telecamera si spostò sul professore. “Fate salire tutti. E datemi le coordinate di dove andare.”

La telecamera rientro nella sua sede. Il video si spense.

Le luci si abbassarono.

Il rumore di sottofondo incominciò ad essere fastidioso.

Tutti uscirono dalla stanza e la porta blindata si chiuse dietro a loro in modo fragoroso.

Il professore, con Roson ed Elisabeth si avviarono verso gli hangar.

Giulia con Elsa andarono verso il ponte di comando.

Da quando ad Invincible erano state fatte le modifiche, per navigare nello spazio con lui erano sufficienti poche persone.

Quando la nave fu pronta, un suono lancinante di una sirena percorse tutta la nave.

Gli astroporti si erano svuotati in parte: le navicelle rimaste erano di coloro che erano saliti a bordo dell’Invincible.

La nave di stacco dal suolo del pianeta sobbalzando alquanto.

Il professore ebbe da ridire qualcosa sul ponte di comando. Di tutta risposta su un video apparve Black lamentandosi di essere un po’ arrugginito.

Quando uscirono dall’atmosfera, la nave si stabilizzò e si diresse verso la nave Imperiale, che si era posizionata al di fuori di una nube galattica, lontana alcuni anni luce dal pianeta.

Black, per sgranchirsi le gambe, superò quella distanza in meno di un secondo.

Fu una cosa traumatica per la persone a bordo. Non esisteva niente nella galassia così veloce.

All’arrivo nella zona, tutti poterono vedere l’enorme flotta che l’Imperatrice aveva riunito.

Oltre alla nave Imperiale, ve n’erano altre dieci grandi quanto lei, accompagnate da innumerevoli navi di dimensioni e stazza più piccola. Era una flotta di circa cento navi.

L’Imperatrice indisse una riunione via video con tutti i comandanti.

Non era solita fare così, ma il tempo stringeva.

Da notizie ricevute dai servizi segreti militari, la flotta che i burocrati avevano messo insieme era diretta fuori dalla galassia, su di un pianeta vicino ad una nebulosa, in direzione della galassia.

La flotta era ben armata e composta da parecchi navi, che erano più di trecento, ben armate, alcune di notevole stazza. Addirittura sembrava che della flotta facessero parti navi militari do altre galassie.

Di certo l’Imperatore dell’altra galassia ne era all’oscuro, ma non si sapeva esattamente fino a che punto la corruzione dei burocrati era arrivata sulle due galassie.

“Il piano è abbastanza semplice.” Disse l’Imperatrice. “Per raggiungere quella zona della galassia ci vorranno due settimane. La flotta dei burocrati potrebbe essere già piazzata e pronta a riceverci. Ritengo opportuno che Invincible ci preceda in zona e incomincia una guerra psicologica, colpendo più navi possibili e ritirandosi dopo ogni attacco. Mi raccomando, Giulia: gli eroi morti non servono alla nostra causa. Anche se le navi sono colpite in modo lieve, non devono essere distrutte, se non in caso eccezionale. So che Black farà di tutto perché siano eseguiti questi ordini.”

Il viso di Black si sovrappose, sul video, a quello dell’Imperatrice.

“Non si preoccupi. Colpiremo le navi in modo da renderle inutilizzabili.” Disse

“Il resto della flotta” Continuò l’Imperatrice “proseguirà a velocità massima. Quando saremo in zona ci divideremo in dieci gruppi ed attaccheremo il grosso della flotta da tutti i lati. Invincible rientrerà nella galassia e procederà secondo il piano che abbiamo già studiato e di cui Giulia è a conoscenza.”

Il volto dell’Imperatrice sparì dal video e, al suo posto, riapparve lo spazio con la flotta pronta a partire.

Il volto di Black apparve sul video in console principale, ove vi era Giulia.

“Quindi, adesso devo ubbidire a voi.”

“No. Io vi devo solo dare le indicazioni. Penso che voi sappiate fare bene il vostro lavoro.” Disse Giulia, facendoli l’occhiolino.

Sotto la console principale vi era tutto il ponte di comando.

Robot e bionici erano al loro posto.

Il gorilla guardò Giulia e a un suo cenno, ordinò la partenza.

La flotta era davanti a loro, che stava prendendo velocità.

Invincible fece una curva larga a destra, inclinando il piano dell’orizzonte virtuale.

Prese velocità in pochi attimi, facendo star male tutti i presenti.

Il gorilla vide le facce di tutti e si mise a ridere sonoramente.

Invincible ci impiegò un’ora ad arrivare nella vicinanze della nebulosa indicata dall’Imperatrice.

Il professore prese i suoi appunti: quella galassia gli ricordava qualcosa.

“Black, fermati!” Urlò alla console.

La nave si fermò di colpo, in mezzo la nulla.

“Cosa c’è professore? Non vi è piaciuto il viaggio?” Chiese Black, apparendo sul video della console di Giulia.

“La nebulosa. È la stessa dove Gloria vi giunse dopo il vostro ultimo attacco. Non può essere un caso. Ma cinquemila anni per una vendetta mi sembrano troppi!” Disse il professore preoccupato.

“No. Credo che sia solo un caso.” Disse Elisabeth. “La zona l’avevo già controllata io anni fa. Su quel pianeta, vedete, quello dietro la nebulosa, vi è una civiltà spaziale non molto evoluta. Non credo che sappiano qualcosa.”

Giulia premette alcuni pulsanti e su di un video laterale apparve la cartina tridimensionale della zona.

Guardò il video, zoomando in più o meno a seconda della zona che stava guardando.

“Sì. Lì c’è una civiltà spaziale, ma questo pianeta ha una civiltà più evoluta. Guardate, anche se non ha atmosfera è colonizzato. Parecchio colonizzato. Forse abbiamo trovato la base dei burocrati. Black, attacchiamoli!” Ordinò Giulia.

Elisabeth intervenne.

“La nostra priorità sono le navi. Quelle dobbiamo attaccare!” Disse a Giulia.

“Sì. Ma quel pianeta è piano di navi. Guarda. Ci sono più di cinquecento navi da guerra sulla superficie. Ci sono segnalatori, torri di controllo, torrette con cannoni laser. No. Dobbiamo attaccarli di sorpresa.” Le rispose Giulia.

“No. Aspettiamo. È troppo pericoloso!” Dietro a loro era apparso Doc. “Attacchiamo le navi. Quando arriverà l’Imperatrice dirà lei cosa vuol fare.”

Giulia se ne fece una ragione e diede l’ordine di attaccare le navi sparse nelle vicinanze della nebulosa.

Invincible fu ingoiato dal buio dello spazio e incominciò ad apparire di qui e di là, confondendo le navi dei burocrati.

Le navi venivano attaccate quasi sempre dalla parte dei motori. Un colpo ben assestato da parte dei cannoni laser sui motori e le navi erano fuori gioco.

In un giorno Invincible mise fuori uso ben cinquanta navi.

Ma le navi di battaglia del pianeta colonizzato non si mossero.

Invincible, nei tre giorni che seguirono, continuò a colpire navi.

Ormai, nello spazio le navi dei burocrati si contavano sulle dita di una mano.

Così credeva Giulia.

Ma la sorpresa non fu delle migliore.

Il quarto giorno Invicible scampò ad una trappola per poco. Una nave era nascosta dietro ad una cometa che stava passando nella zona. Invincible la intercetto, ma nel momento di far fuoco, colpi laser la sfiorarono.

Invincible fece delle manovra elusive. Il piano virtuale della galassia giro così tante volte sul pannello della console di un tecnico, che per poco non gli veniva il vomito.

Fuori si vedevano le stelle continuare a girare.

Dopo un’altra manovra elusiva, Invincible si trovo davanti i suoi attaccanti.

Erano quattro navi, di stazza media, ben armate. Avevano uno strano simbolo sopra i dischi. Lo stupore del professore fu enorme.

Il simbolo era formato da quattro spicchi di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali, collegati tra di loro da un cerchio centrale.

“E’ il simbolo del Barone Makarre. Ma com’è possibile?”

Giulia non ci pensò due volte.

“Fuoco! Distruggetele!”

Il gorilla si precisò ad una console libera e fece fuoco con la testa dell’aquila.

La bordata non perdonò la prima nave di destra.

La seconda bordata colpì la nave vicina a quella colpita.

La altre due navi cercarono di scansarsi, ma Invincible di fermò di colpo e la testa di tigre e del triceratopos fecero fuoco in contemporanea.

Le due navi furono colpite in pieno, disintegrandosi nel silenzio dello spazio.

Le altre due navi colpite esplosero poco dopo.

Tutti i radar incominciarono a controllare la zona intorno ad Invincible.

Nessuno.

“Adesso basta. Pensi ancora Doc che dobbiamo aspettare?” Giulia si era girata a guardare Doc, che stava sdraiato per terra.

Elisabeth si precipitò su di lui.

“E’ inutile. Non posso più resistere. Portami in laboratorio.” Gli disse Doc con un filo di voce.

Elisabeth lo prese in braccio e uscì dal ponte di comando.

Giulia si rigirò.

In quel mentre uno dei robot segnalò la presenza di una grossa flottiglia di navi spaziali.

“E’ l’Imperatrice!” Urlò il gorilla.

Sul video apparve la faccia dell’Imperatrice.

“Tutto a posto, Giulia?” Chiese alla figlia.

“No. Doc è stato male. E c’è un pianeta pieno di navi. Ti invio i dati e le immagini che abbiamo raccolto. Sarà dura questa volta, madre.”

“D’accordo. Invia i dati. Vi richiamerò più tardi.”

Il video si spense. Tutti guardarono Giulia. Il suo volto era segnato da lacrime.

Il professore le si avvicinò e l’abbracciò. Dopotutto essere una principessa e una guerriera insieme non era facile

Dopo un’ora l’Imperatrice chiamò e inviò i dati di battaglia per la distruzione del pianeta.

Le navi sul pianeta erano tante: un gruppo di navi, anche se ben armate, non ce l’avrebbe fatta.

Ma l’Imperatrice sperava che Invincible riuscisse, nel suo primo attacco, a distruggere buona parte delle navi e dei segnalatori.

Invincible partì.

Il professore scese nella sala dove aveva visto Black.

Entro nella sala. La solita telecamera lo punto e Black apparve sul video.

“Penso che tu abbia visto le cose strane che accadono.” Disse il professore.

Black rimase pensieroso sul video, mentre la telecamera guardava in girò, come se cercasse qualcuno.

“L’Imperatrice aveva detto due settimane ed è arrivata in cinque giorni… l’emblema del Barone Makarre sulle navi… qualcosa non quadra.” Disse Black.

Un segnalatore suonò nel locale.

Black spense tutto e la telecamera tornò al suo posto di riposo.

George uscì dalla stanza e si diresse sul ponte di comando.

Anziché andare sul ponte alto, entro dove vi erano tutti gli operatori e il grosso gorilla che dava ordini.

La nave era ormai in vista del pianeta.

Senza l’atmosfera, sferrare l’attacco alla superficie sarebbe stato un gioco per Invincible.

La nave scesa a bassa quota e le tre teste iniziarono a fare fuoco, alternativamente, per circa un secondo l’una.

Altri cannoni, posti in vari punti della nave, di varia potenza, iniziarono a sparare su tutto ciò che si muoveva.

Parecchie delle navi furono distrutte nei loro hangar, che si erano già aperti per permettergli di uscire in volo.

Le navi dell’Imperatrice, più in alto, posizionate tutt’intorno al pianeta, facevano fuoco incrociato su quelli che riuscivano a scappare.

Anche se la flotta dei burocrati era numerosa, pochi riuscirono ad allontanarsi: quelle che scamparono lasciavano dietro di sé una scia di fumo e fuoco. Alcune si distrussero appena oltrepassata la cintura della navi imperiali. Altre esposero nella nebulosa, illuminandola.

Pur con forze superiori, i burocrati vennero sconfitti.

O almeno, questo è quanto gli assalitori pensavano.

Invincible fece parecchie volte la circumnavigazione del pianeta.

All’improvviso una seconda ondata di navi uscì dal sottosuolo: uscendo dagli hangar distrussero buona parte degli edifici che coprivano il pianeta.

Erano navi enormi. Parecchie avevano le dimensioni di Invincible.

Le bordate dei cannoni laser da una e dall’altra parte non si contarono più.

Black incominciò a calcolare possibili soluzioni per sbloccare la situazione.

Gli schemi matematici che calcolava in pochissimi millisecondi diedero un solo responso: un attacco con i robot!

Parecchi uomini della tana delle tigri andarono negli hangar e liberarono dai cavi i robot.

I portelloni degli hangar vennero aperti, e i robot venerano sganciati sul pianeta, mentre Invincible passava a bassa quota sul pianeta.

I robot penetrarono nel sottosuolo del pianeta.

Sferrarono un attacco massiccio ad alcune postazioni di comando del pianeta.

Intanto Invincible continuava i suoi attacchi veloci e silenziosi alle navi nemiche.

Nello spazio freddo e silenzioso che circondava il pianeta, le navi dell’Imperatrice continuavano ad infierire sulla navi da battaglia dei burocrati, che portavano tutte i simboli del Barone Makarre.

Alcune navi dei burocrati riuscirono a scappare, in direzione di un pianeta abitato vicino e il loro pianeta fu conquistato dagli uomini della tana, dopo aver combattuto per alcune ore: dal ventre del pianeta uscivano fiamme e fumo, che circondavano il pianeta come un pianeta quando è circondato dalla nebulosa che lo ha creato.

Dopo la battaglia furono contati i feriti e le navi distrutte.

L’Imperatrice scese sul pianeta con una flotta di robot e un numero imprecisato di uomini pronti a tutto.

Ci volle parecchio perché lei e i suoi uomini trovassero il comando principale del pianeta.

In una sala al quinto livello inferiore (la bellezza di cento metri sotto terra) trovarono il comando.

Le carte sparse sui tavoli, i video e altri tipi di strumenti di controllo segnalavano la presenza delle navi amiche e nemiche per i burocrati.

Ma i video rilevarono anche che altre navi erano nelle viscere del pianeta, e che stavano per partire e sferrare un altro contrattacco.

Le navi stavano scaldando i motori ed alcune stavano già alzandosi in volo.

L’Imperatrice si mise in contatto con le sue navi, che permisero alle navi nemiche di lasciare indisturbate la zona.

Le navi che scapparono alla flotta Imperiale era più di cento.

L’Imperatrice chiamò, da altri navi, altri uomini della fanteria, che cominciare a setacciare tutto il pianeta.

Dopo tre giorni dall’inizio dell’attacco, l’Imperatrice riunì tutti i partecipanti dell’attacco sulla sua nave.

La riunione a George parve una farsa.

L’Imperatrice ringraziò tutti per il valore dimostrato in battaglia.

Furono ricordati i comandanti e le nave distrutte nell’attacco.

Quando la riunione finì, il professore, Elisabeth, Doc, Giulia ed alcuni uomini della tana delle tigri si fermarono.

L’Imperatrice stava dando ordini ad alcuni comandanti, quando guardò storto la strana comitiva che si era formata e fermata in un angolo.

“Cosa c’è, adesso? Non vedete che sono occupata? Giulia, non dovresti essere sull’Invicible ad attendere ordini per l’attacco finale?” Disse l’Imperatrice, con un tono di voce molto arrabbiato.

Doc fece per affrontare l’Imperatrice, ma il professore lo prese per un braccio, fermandolo, ed avanzando vero l’Imperatrice.

“C’è qualcosa che non capiamo, mia Imperatrice.” Disse George “I dati in nostro possesso non sono quelli che voi continuate a darci. Le navi, in numero decisamente superiore al previsto, portavano tutte il vecchio emblema del Barone Makarre. Ci avete messo meno del previsto per arrivare. Senza contare che scendete tranquillamente su di un pianeta prima che sia stato bonificato dai nemici e permette alle navi nemiche più grandi di andarsene. Cos’è, la guerra è stata fomentata dei burocrati o l’avete costruita voi apposta per scaricare sui burocrati qualche problema irrisolvibile senza tagliare qualche testa? Vedete… noi sappiamo molto, ma fino ad ora non ci era mai capitato di non sapere niente. O almeno, Doc e la tana delle tigri non hanno saputo niente di questo fino a qualche tempo fa.”

L’Imperatrice, che prima dava le spalle al gruppo, si girò verso il professore e gli altri. Dietro di sé, i suoi fidati uomini guardarono il gruppo con fare preoccupato.

“Vedo che la cosa le interessa. Vediamo… cosa c’è di così tanto pericoloso da postare l’attenzione di tutti da un pericolo vero ad un pericolo falso… Già, cosa?” Si chiese il professore, girandosi verso Doc.

Doc si avvicinò al professore, scrutando il volto dell’Imperatrice.

“Sì. Perché distrarre tutti verso i burocrati? Cosa c’è che non va?” Disse Doc.

Elisabeth stava per parlare, quando Evane avanzò dal gruppo.

“Caro Doc, cosa c’è di più importante di una tecnologia così evoluta da poter viaggiare non solo nella propria galassia, ma nell’universo intero, con un semplice schiocco delle dita. Ma la tecnologia bisogna averla.” Disse Evane.

“Ma l’Imperatrice c’è là questa tecnologia.” Disse Doc “Se no come poteva impiegarci così poco tempo dalla tana a qui. Sì, può farlo, ma non è perfetto. Le menti usate non sono allenate e quello che a lei serve è la metodologia di allenamento per queste menti. Direi che ha usato menti di galeotti, che non avevano più niente da perdere. Peccato che si sono ribellati. Vero Imperatrice? Le navi che avete lasciato scappare erano le navi guidate da queste menti geniali ma… come si può dire… incontrollabili. Ed ecco che qui entra in gioco la tana delle tigri. Prima servono i dati, per controllare le menti più deboli, poi servono i muscoli per eliminare i ribelli, che intanto sono stati contatti dai burocrati ribelli. Ma i burocrati ribelli sono stati aiutati, dire da una coalizione di galassie. Quali? Oltre la nostra perenne nemica, che voi vorreste ammansire con lo sposalizio di vostra figlia, chi altri non vi vuole libera nell’universo? Voi siete cinquemila anni di generazioni che abbiamo controllato, modificato, relazionato, per avere persone che avessero come solo pensiero la galassia, non se stessi. Invece voi, avete deciso che il bene della galassia era quella di sottometterne delle altre. Stano pensiero. Ma voi ci avete provato. Ma, siccome siete così brava, non avete pensato che qualcuno potesse non solo prevenirvi, ma anticiparvi. Così abbiamo fatto. Sapevano dei vostri poteri, quello di leggere la mente, e ci siamo organizzati.”

Gli uomini fidati dell’Imperatrice circondarono il gruppo.

“Certo. Bravi.” Disse l’Imperatrice. ”Peccato che anch’io vi abbia pensato. In questo momento qualcuno sta assaltando Invincible. Sarà mia, come lo sarete voi e la tana delle tigri, che in questo momento viene messa sotto sopra dai miei uomini. Poveri sciocchi, pensavate di farmela. Le navi che ho lasciato andare sono alla tana delle tigri…”

“Se ci sono arrivate, Imperatrice.” Disse Elisabeth. ”Penso che i vostri uomini avranno una brutta sorpresa. Invincible non è più qui. Da un bel pezzo. E le vostre navi non hanno mai visto la tana delle tigri. Vedete, gli imperatori di alcune galassie vicine sono intervenuti in nostro aiuto, e la vostra flotta in questo momento e distrutta e alla sbando nelle viscere della galassia. La nostra tecnologia è stata data anche agli altri, per il bene delle loro e della nostra galassia. Vi abbiamo fatto credere quello che avete voluto, ma ormai sono anni che la tecnologia più evoluta è stata data agli altri. Ora, cara Imperatrice, cosa volete fare?”

L’Imperatrice ebbe uno scatto d’ira. Stacco con un colpo netto il video dal tavolo e lo sbatté per terra.

I suoi uomini si ritirano in buon ordine dietro a lei.

Giulia non sapeva se andare a consolare la madre o di rimanere lì dov’era.

L’Imperatrice si lasciò cascare sulla sedia. Tutta la sua fatica di anni, i soldi spesi, gli intrighi di palazzo durati per anni, prima come principessa, poi come Imperatrice erano svaniti nel nulla.

Dopo pochi istanti entrarono alcuni uomini portando notizie non molto confortanti per l’Imperatrice.

La flottiglia di navi scappate era stata distrutta da una forza di navi di molto superiore e apparsa dal nulla.

Invincible era corso alla tana delle tigri e aveva distrutto, con l’aiuto di altri navi, quelle che l’Imperatrice aveva mandato dopo la loro partenza.

Alcuni Imperatori ed Imperatrici delle galassie vicine volevano spiegazioni sui suoi atteggiamenti avuti negli ultimi giorni.

Tutto era svanito in un attimo nel nulla.

Giulia si avvicinò alla madre.

“Mi dispiace, madre. Ma forse è il caso che voi abdichiate a mio favore. Non potremmo mai sostenere una guerra contro tutte le altre galassie.” Le disse Giulia, amorevolmente, mentre all’Imperatrice il volto si riempiva di lacrime.

L’Imperatrice firmo un documento, che fu preparato da lei stessa, per la sua abdicazione.

Giulia prese subito in mano il comando della flotta, dando l’ordine di rientro al palazzo Imperiale.

L’Imperatrice fu esiliata su un pianeta vicino alla nebulosa della battaglia. Nessuno ne seppe più nulla.

Giulia fece il suo ingresso a palazzo con tutti gli onori dovuti ad una Imperatrice.

Alla sua incoronazione, a cui seguì il matrimonio con il figlio dell’Imperatore della galassia Androgina, della galassia che per secoli era stata nemica, Giulia sorrideva, come una bambina: così giovane e con il destino di due galassie sulle sue spalle.

Doc, Evane con Roson ed Elsa, dopo i festeggiamenti, si ritrovarono a casa del professore.

Ormai era tutto finito. O almeno, così pareva.

Il professore abitava in una casa monofamiliare, su due piani, in una città distante dal palazzo Imperiale, nell’altro emisfero del pianeta, nel meridiano opposto a quello della capitale, in riva ad un enorme lago .

Doc si era seduto su una sedia posta nel porticato della casa.

Evane si sedette su una sedia a dondolo.

L’orso e la tigre si sedettero ai piedi dei gradini che davano l’accesso al porticato.

La casa era in legno e pareva parecchio vecchia.

George si sedette su una sedia, che aveva preso in casa, e si sedette di fronte a Doc.

Un robot portò agli ospiti da bere.

“Allora, Doc. E’ tutto finito. Cosa farete adesso?” Disse il professore

Evane si stava dondolando sulla sedia.

“Se pensi che tutto sia finito, non sai leggere le cose che ti succedono intorno.” Gli disse Evane, distrattamente.

Doc sorseggiò il liquido caldo che era nel suo bicchiere.

“Non pensi che qualcuno ci abbia giocato?” Disse Doc.

“Sai… pensavo che tu avevi voluto che questo succedesse… o forse ho capito male?” Disse George.

“Mhu…” fece Evane, distrattamente “Secondo te, era meglio la madre o sarà meglio la figlia come Imperatrice?… o forse pensi che sarebbe meglio Elisabeth?… o forse la giara della verità, se si mettesse in viaggio ora, non saprebbe come arrivare a destinazione?”

“Senza le gemelle come si fa a consegnare la giara?” Gli disse il professore.

“L’importante è sapere che è in viaggio e che qualcuno, che non sei te, potrebbe ricevere la giara della verità, fregandoti il posto. Pensi che se qualcuno sapesse che una cosa così importante vada a qualcuno d’altro, non si preoccuperebbe? Anzi, sapendo che tutti penserebbero che tu non sei chi devi essere, ti darebbero retta. O, meglio, ti …” Disse Doc.

“Non capisco.” Disse il professore.

“La vecchia Imperatrice era stata messa al suo posto dai burocrati. La nuova Imperatrice è stata messa dalla madre. Ma nessuno le ha mai accettate. Vedi, la vecchia Imperatrice voleva eliminare i burocrati per salvarsi la testa. Ma non c’è riuscita, né da sola, ne con la tana delle tigri. Perché noi non ci siamo stati al suo gioco. La nuova Imperatrice ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco. Ha accettato di governare la galassia sposandone uno di un’altra galassia, per evitare lotte intestine che l’avrebbero messa in cattiva luce. Ma i burocrati non mollano. L’unica è sconfiggere i burocrati al loro stesso gioco. Dici che una cosa è partita, ma lei non si è mai mossa. Di sicuro i burocrati si muoveranno. E allora scopriremo chi è quello che ha fatto il doppio gioco e chi deve essere gentilmente allontanato.“ Disse Doc.

“Ma ci vorrà tempo.” Disse George.

“No. Si sono già esposti. Ai visto chi era presente ai festeggiamenti e chi invece non c’era?”

“Sì. Erano pochi, ma li ho visti. Certo mancavano… Ah. Ho capito.”

“Bene. Pensa che quelli che non c’erano sono morti. Poveretti. Il Barone Makarre insegna ancora le cattive maniere dopo cinquemila anni. Ora, visto che sappiamo chi è stato, possiamo mascherarli. Direi di incominciare a dire che la giara della verità sarà consegnata entro la prossima settimana. Non di persona, ovviamente. A chi possiamo mettere in bocca tale informazione?” Doc rimase falsamente pensieroso, mentre George disse “Elisabeth.”

Evane si alzò dalla sedia a dondolo.

“Bene. Se avete finito di studiare strategie, direi di andarcene, Doc. E’ meglio se non siamo qui quando succederà il caos. Quando i vassalli sapranno quel che succede, credo che la credibilità di Giulia non la salverà dalla loro rabbia e i burocrati saranno definitivamente messi a tacere.”

Evane e Doc, seguiti dagli animali, si allontanarono.

Calava la sera. Dove sarebbero andati da soli? Il professore non se ne preoccupò.

Sapeva che da qualche parte Invincible sarebbe apparso e li avrebbe portati a casa.

Doveva chiamare Elisabeth e dirle cosa doveva fare.

Il robot puliva la tavola.

Scese lentamente la notte: il professore rimase lì a lungo a vedere la luna sorgere e riflettersi nel lago.

Era una serata calma.

Nel cielo apparve un sciame di meteore. Tutte insieme.

Che bello, pensò George.

Andò a letto tardi.

L’indomani chiamò Elisabeth e gli spiegò cosa doveva fare.

Quando spense il video, uscì sulla veranda, posta nel retro della casa.

Le montagne, lontane, erano imbiancate.

Ormai aveva fatto il suo tempo.

Aveva combattuto battaglie strane. Non certe inutili. Per la galassia.

Aveva dato tutto alla galassia. Non ne aveva ricevuto molto. Ma d'altronde era quello che spettava ad un servitore fedele.

Rimase lì tutto il giorno.

Il robot, alla sera lo scrollò per svegliarlo. Non ebbe risposta.

Elisabeth, dopo la telefonata del professore ebbe paura.

Ma se era necessario farlo, lo avrebbe fatto.

Gli piaceva giocare alla spia, ma questa volta non era un gioco.

Per meglio spargere le indiscrezioni sulla consegna della giara, senza che fosse possibile risalire a lei, cominciò a diffondere la strana voce tra le dame di corte di più basso rango.

Pettegole com’era, non si sarebbe ricordate chi glielo aveva detto, per non trovarsi nei guai.

La voce incominciò a correre, alle volte veloci, altre più lentamente.

Purtroppo Elisabeth non poteva chiedere aiuto a nessuno.

Non era stata abbandonata al suo destino, ma era difficile capire chi era amico o nemico.

La voce si diffuse, lentamente, come un rigagnolo scava nella roccia un passaggio. E quando la roccia cede, dal fiume si passa al fiume.

Elisabeth controllò che il fiume camminasse.

Era stata chiamata dall’Imperatrice Giulia a occupare il posto di dama di compagnia di secondo grado. Non era un posto privilegiato, ma gli permetteva di controllare le informazioni che arrivavano dalla dame o dalle moglie dei vassalli all’Imperatrice.

Alcune notizie Elisabeth le bloccava, altre le faceva passare senza controllarle.

Bloccò tutte quelle notizie che davano per sicuro che nessuno era in viaggio con le giare della verità.

Di certo non poteva fermarle tutte, per non insospettire l’Imperatrice.

Le voci della giara arrivarono all’Imperatrice in una tranquilla giornata primaverile.

Ovviamente, l’Imperatrice non fece caso alle dicerie. Ma si preoccupò.

Decise di indire una riunione dei servizi segreti.

Stranamente, Elisabeth fu convocata dall’Imperatrice prima della riunione.

Giulia attendeva Elisabeth in una saletta al piano interrato.

Giulia si era vestita con una uniforme militare. Ci teneva quanto sua madre a mostrare di poter comandare come un uomo.

“Cara Elisabeth, come stai?” Gli chiese l’Imperatrice.

Elisabeth aveva indossato un vestito lungo, stretto in vita e con una gonna larga.

“Bene. Grazie.” Inchinandosi all’Imperatrice.

“Vorrei che tu ti fermassi qui e seguissi da qui la riunione.” Giulia schiacciò un pulsante ed una parete divenne trasparente, permettendo a Elisabeth di vedere tutta la sala della riunione. “Potrai sentire tutto quello che diciamo. Vorrei un tuo parere alla fine della riunione.”

Giulia era molto sicura di sé.

“Va bene.” Disse Elisabeth.

Giulia le sorrise ed uscì.

Elisabeth non credeva ai suoi sensi: poteva seguire la riunione dei servizi segreti, vedere chi era presente. Piccola problema: cosa avrebbe poi detto a Giulia su quello che succedeva.

Giulia entrò nella sala. Si sedette a capotavola. Entrarono parecchie persone.

Alcune erano conosciute a Elisabeth, per motivi di lavoro o conoscenze varie.

Ma altri, specialmente un omino basso e calvo, che sedeva in fondo al tavolo, quello no. Ma il suo volto gli ricordava qualcosa.

Gli venne in mento solo quando iniziò a parlare, per esporre la sua relazione.

Era il marito di una della dame di corte a servizio di una delle cugine dell’Imperatrice, quella bisbetica che nessuno sopportava, con la lingua lunga.

La relazione dell’uomo era un solo sentito dire, quello che si dice a corte.

Elisabeth se la rideva. Non solo non sapevano se la cosa fosse vera o falsa, ma era proprio come diceva Doc: i burocrati non controllavano mai le voci fino in fondo, anzi, proprio non le controllavano.

Elisabeth capì che il piano era riuscito.

Dopo la riunione, Giulia la raggiunse nella saletta.

Elisabeth si divertì a metterla sulla strada sbagliata. Mentre parlava, controllava le reazioni di Giulia. Anche se Giulia non muoveva un muscolo, Elisabeth capì che era preoccupata.

Alla fine Giulia uscì furibonda.

Elisabeth decise che era meglio per un po’ di tempo stare lontano da palazzo.

L’idea non fu cattiva.

Nel mese che seguì, le dicerie erosero alle fondamenta la fiducia dei vassalli verso l’Imperatrice.

I burocrati tentarono di tenere unite le loro schiere, ma ben presto i burocrati dei sistemi solari più periferici incominciarono ad avere a che fare con i vari baroni, conti, duchi e quant’altri comandassero quei pianeti per conto dell’Imperatrice. Anche se l’Imperatrice non li aveva investiti lei direttamente della carica.

I burocrati nella capitale si spaventarono.

Le dicerie presero il posto della verità.

I servizi segreti non riuscirono più a controllare le voci. Ma non riuscirono neanche più a controllare nessuno, neanche se stessi.

L’Imperatrice decise di andarsene, di fare un giro della galassia per portare un po’ di ordine.

Ma i burocrati, per paura che più che un giro fosse una fuga, minarono la nave.

Con a bordo l’Imperatrice, il marito e buona parte della sua corte, la nave esplose mentre era in viaggio.

I burocrati tentarono, con un colpo di mano, a impadronirsi del potere.

Fu allora che Elisabeth, che nel frattempo si era rifugiata alla tana delle tigri, parti con Invincible per il palazzo Imperiale.

Insieme a lei viaggiavano parecchi uomini e donne della tana.

L’ordine fu riportato a fatica. I vassalli, saputo che Elisabeth, con l’aiuto della tana delle tigri aveva preso il comando, si fecero forti e fecero quadrato intorno a lei.

I burocrati golpisti furono arrestati.

Molti credettero che lei aveva ricevuto la giara delle verità, e fu eletta Imperatrice per acclamazione.

Ma Doc non si fidava e decise di far recapitare lo stesso ad Elisabeth la giara delle verità.

La cerimonia fu molto ufficiale.

La giara fu portata da due donne della tana piuttosto somiglianti.

La giara fu posta davanti a Elisabeth, che la aprì e la richiuse.

Tutti i presenti urlarono di contentezza.

Finalmente una Imperatrice che avrebbe fatto gli interessi della galassia.

Doc ed Evane si fecero accompagnare su Oleg. Con Roson.

Elsa la tigre rimase con Elisabeth: un giorno avrebbe avuto dei figli e lei doveva proteggerli.

Invincible fu posteggiato nell’astroporto privato dell’Imperatrice. Il sistema si spense e il sonno riposo ristoratore del guerriero avvolse l’astronave.

Elisabeth fu l’ultima a scendere a terra dalla nave. Tolse la chiave di apertura della nave e la nascose sotto le sue vesti.

Il tempo incominciò a scorrere tranquillo e silenzioso.

Elisabeth cercò il professore, ma lui non le diede risposta.

Elisabeth si rese conto che ormai era tutto sulle spalle e che non avrebbe mai condiviso quel peso con nessuno.

Strano peso quello del potere, pensò Elisabeth, mentre accarezzava il pelo di Elsa, in una sera d’inverno, seduta su  una poltrona, mentre fuori dal palazzo Imperiale nevicava.

Elisabeth vestiva un accappatoio, dopo un bagno rigeneratore nella vasca di idromassaggio.

Il fuoco scoppiettava del camino, riscaldando l’ambiente dolcemente.

Elisabeth si era versato un liquore in un bicchiere e lo stava sorseggiando.

“Ti manca solo un sigaro.” Gli disse Elsa.

“No. Mi manca un uomo. Dici di cercarlo?”

Elsa fece le fusa.

Elisabeth rise.

Bhe, un uomo. C’era tempo.

Dopotutto nemmeno un uomo forte e bello poteva aiutarla a sopportare il peso.

Il peso delle bugie. Aveva imbrogliato tutti. Aveva raggirato tutti. Dopotutto la sua famiglia era stata usata. C’era voluto così tanto tempo. Ma lei si era vendicata di tutto e di tutti.

Passo la mano sotto l’accappatoio. Sulla sua giarrettiera il simbolo della sua famiglia, un cammeo con quattro spicchi di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali, collegati tra di loro da un cerchio centrale.

Elsa ebbe uno strano movimento ed Elisabeth ritrasse la mano.

Elsa voltò la testa e la guardò.

“Si. Lo so cosi nascondi lì sotto. Cosa credi, che non lo sapevamo?”

Elisabeth rimase come tramortita.

“Sapevi?…”

“Tutti noi sapevamo. Ma era necessario. Era necessario che qualcosa cambiasse. Crediamo che sia la sola che può sottomettere i burocrati, tenera unita la galassia, permettere a tutti di vivere in modo decente, senza troppo spreco. Abbiamo creduto in te, sopra ogni altro. Ora tocca a te. Noi abbiamo fatto il nostro tempo. Possiamo ancora aiutarti, ma di più non possiamo.”

Elisabeth sorrise.

Rimasi la mano sotto l’accappatoio e tocco l’emblema del Barone Makarre.

Dopo tutto i suoi antenati avevano fatto di tutto per salvare la galassia, per mantenerla unita.

Già, la galassia era l’unica cosa che doveva importarle, d’ora in poi.

Le sue dita sfiorano l’emblema della sua famiglia e le scritte, incise sotto lo stemma.

Tutto per il Bene della Galassia.

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