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di SamuelCostaRica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Casa ***
Capitolo 3: *** Le Congregazioni ***
Capitolo 4: *** Tecnologia ***
Capitolo 5: *** Il Laboratorio ***
Capitolo 6: *** La Nave ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Se gli dei avessero voluto che l'uomo volasse alto come le aquile, gli avrebbero donato le ali.

Se gli dei avessero voluto che l'uomo corresse veloce come il ghepardo, gli avrebbero donato le zampe.

Se gli dei avessero voluto che l'uomo nuotasse in profondità nel mare come gli squali, gli avrebbero donato le branchie.

Se gli dei avessero voluto che l'uomo vedesse cose lontano come il falco, gli avrebbero donato occhi grandi.

Se gli dei avessero voluto che l'uomo vedesse tutto ciò che succede intorno a lui, gli avrebbero donato gli occhi del camaleonte.

Gli dei misero insieme tutte queste cose e si accorsero di aver creato un mostro e videro che ciò non era buono.

Allora decisero di donare all'uomo un cervello evoluto con tanta intelligenza: pensarono che, se l'uomo avesse avuto un cervello di adeguata intelligenza, avrebbe creato qualcosa per volare più in alto di un'aquila, per correre più veloce del ghepardo, per nuotare più in profondità di uno squalo, per vedere più lontano di un falco e guardare tutto intorno a lui meglio del camaleonte.

Gli dei videro che ciò era buono e, con madre natura, crearono un universo dove l'uomo sarebbe cresciuto e avrebbe comandato sulle altre creature.

Ma l'uomo non capì l’importanza del dono.

Gli uomini crearono la tecnologia e madre natura vide che alcuni di essi non la usavano per il bene di tutti, e si accorse che ciò non era buono.

Allora andò a lamentarsi dagli dei e loro decisero di scendere dalla loro montagna per parlare con quegli uomini.

Ma quegli uomini non capirono gli dei e li distrussero con la tecnologia.

Madre natura attese a lungo che gli dei tornassero sulla montagna, ma poi, preoccupata, anche discese dalla montagna e vide gli dei morti.

Allora scatenò tutta la sua furia su quegli uomini, ma quelli, con la tecnologia, la distrussero.

Gli altri uomini, allora, si accorsero che ciò che alcuni di loro avevano fatto era male e decisero di fare la cosa migliore per tutti: ucciderli.

Ma la tecnologia difese ancora quegli uomini, uccidendo tutto il resto dell’umanità.

Ma quei uomini, con il cuore duro come pietra e, pur avendo le mani lorde del sangue dei loro simili, non si arreso all'evidenza e proseguirono per la loro strada, fino a che, nell'universo creato apposta per loro, non rimasero che da soli.

Solo a quel punto, accortesi del male fatto, gli uomini rimasti cercarono di tornare indietro, ma ormai era troppo tardi: l'universo collassò e trascinò con sé loro, la loro tecnologia, il loro sapere e lo loro malefatte.

Se non vogliamo finire come quegli uomini, dobbiamo rispettare ciò che non conosciamo, dobbiamo rispettare ciò che ci circonda, dobbiamo utilizzare al meglio la tecnologia e aiutarci l'un con l'altro.

(anonimo)

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Capitolo 2
*** Casa ***


Il vento faceva rotolare i granelli di sabbia.

L’uomo guardava dritto davanti a sé, piegato sulla sporgenza di una rupe: il piede della gamba sinistra era appoggiata su una enorme roccia, la gamba era piegata al ginocchio, il gomito del braccio sinistro appoggiava sul ginocchio della medesima gamba e il mento del viso dell’uomo era posato sul pugno della mano sinistra.

Lo sguardo era perso nel nulla, come se fosse in meditazione: davanti a sé un deserto, immenso, piatto, senza alcuna duna, bianco e luccicante, di cui si vedeva solo la linea dell’orizzonte verso l’infinito, mosso dall’aria calda che da esso saliva verso il cielo.

Il vento caldo saliva anche dal deserto verso la montagna, investendo l’uomo.

Alle sue spalle si era lasciato delle alte montagne, con enormi distese di verde e le vette innevate da nevi perenni, da cui un’aria fredda scendeva lungo il crinale.

Era nell’emisfero sud di un pianeta, in piena estate, a lui sconosciuto e quella zona del pianeta era secoli che non vedeva acqua.

L'uomo, all’improvviso, sentì uno sbuffo di calore sulla sua spalla sinistra: passò il dorso della mano destra sulla quella spalla più volte, come per scacciare via qualcosa.

Riportò la mano destra sul pomolo della sua spada, che aveva un’elsa elaborata ed era inserita in un fodero nero, con una riga di color rosso scuro nel mezzo: l'impugnatura era nera come la pece, con degli strani riflessi blu, mentre il pomolo della spada era costituito da un rubino rosso, grosso quasi come il pugno dell’uomo.

L'armatura dell'uomo era anch’essa nera, con strani riflessi blu, formata da varie placche sovrapposte una sull'altra, dando però l’impressione di una struttura unica, che la rendeva resistente ai colpi di molteplici armi, sia da fuoco che da taglio, ma anche leggera e pratica da utilizzare.

Il mantello, che gli copriva la schiena dalle spalle fino quasi ai piedi, era di colore rosso scuro, con uno stemma d’orato, disegnato sulla spalla destra.

L'elmo era di forma cilindrica, che finiva a cono, con la visiera che copriva completamente il volto: la particolarità di quell’elmo era che non vi era nessun tipo di fessura e al posto dei fori per gli occhi vi erano due rettangoli di un colore più chiaro dell'elmo.

Lo sbuffo caldo giunse ancora una volta sulla sua spalla sinistra dell’uomo e i due rettangolari dell'elmo dell'uomo passarono da un blu scuro al rosso vivo.

L'uomo si rialzò dritto, torse il busto verso sinistra e alzò verso sinistra la testa: il muso triangolare di un enorme drago, con la pigmentazione nera, completamente ricoperto di una armatura dello stesso colore e dello stessa struttura di quella dell’uomo, gli stava davanti a pochi centimetri dalla sua testa.

Il drago sbuffò ancora dell’aria calda dalle narici, leggermente colorata di nero.

L’uomo fu investito da quell’aria calda, nauseabonda e gli occhi dell'uomo divennero gialli, così come gli occhi dell'elmo del drago.

L’uomo si girò completamente verso il drago, muovendo la mano sinistra davanti all’elmo, cercando di allontanare quell’aria scura e puzzolente.

I due si guardarono per alcuni secondi.

Poi l'uomo si accorse di una figura, posta alla destra del drago, con una armatura simile alla sua, ma di colore rosso, con un mantello di color oro.

La figura era decisamente femminile, date le sue forme e la grazia con cui si muoveva: a sinistra della cinta aveva una spada, con un’elsa elaborata e un pomolo formato da una pietra di color blu cobalto, grossa quasi come un pugno; il fodero era rosso con una riga nera che la percorreva per tutta la lunghezza.

Dietro a lei, un po' più in alto, un altro drago fece capolino da dietro una rupe, con una pigmentazione rossa e una armatura del medesimo colore.

L'uomo guardò la donna, mentre il drago, poggiato solidamente sulle sue quattro zampe fornite di zampe con dita provviste di poderosi artigli, alzò completamente la testa e il suo lunghissimo collo, aprendo contemporaneamente le enormi ali: il drago era lungo più di venticinque metri dalla punta del naso alla coda, la quale terminava con un palla piena di aculei, mentre ogni ala era lunga quanto il suo corpo, formata da una dura membrana.

Il drago, muovendo le ali, lanciò un urlo che echeggiò contro le pareti della montagna.

Più in alto un'altra armatura, di color blu, fece capolino da dietro un masso, accompagnato dal testone di un drago dello stesso colore.

La donna vestita di rosso si avvicinò all'uomo.

“Perché ci hai portato fino a qui? Non ti andava bene la pace o il solo suono di quella parole continua a darti  fastidio?”

Gli occhi dell'uomo divennero azzurri.

“Sai benissimo che non avremmo avuto un futuro, se non quello di morire in silenzio, chissà quando.”

“Preferisci, allora, portarci a  morire lontano da casa?” Disse lei, con voce suadente.

L'uomo non rispose.

“Allora, ci muoviamo?”

L’urlo, roco, arrivava da un uomo posto il alto, a destra del cavaliere nero: era un tipo piccolo, tarchiato, con un elmetto verde scuro in testa, con il sottogola slacciato, un tuta di color kaki e un enorme sigaro in bocca, che bucava una maschera collegata, con un tubo, ad un parallelepipedo legato alla cintura.

Il cavaliere si ricordò di quando aveva conosciuto quell’uomo, sul suo pianeta.

Era arrivato in un giorno di inverno, per l’emisfero nord del pianeta ove vi era la capitale, freddo, anche se era una giornata priva di nuvole e con il sole a picco sopra lo zenit del castello del re, su un veicolo che solcava nel cielo.

Lui aveva visto solo i draghi volare e di oggetti che volavano ne aveva sentito parlare solo dai maghi più anziani, come leggende: ma quelle che aveva davanti a lui non erano leggende, ma cose vere.

L’uomo, che sembrava un militare, era sceso da quel veicoli, camminando in modo strano, con le gambe arcuate, trattando tutti, compreso il re, con fare superiore.

Data la struttura del pianeta, con una bassa densità ed una atmosfera rarefatta, il militare e i suoi uomini si muovevano sempre con quella strana maschera in faccia e un macchinario che faceva si che non si alzassero in volo senza ali. Quella cosa aveva divertito tutti, ma si erano anche resi conto che rispetto a quegli uomini, loro erano molto più alti, grossi: per quanto riguardava la forza fisica, se non fosse stato per le loro dimensioni (il cavaliere era alto più di tre metri, quasi un persona normale su quel pianeta) spesso, in una lotta corpo a corpo con gli uomini del generale, anche se pur piccoli a loro confronto, avrebbero miseramente perso.

Il militare voleva sfruttare il pianeta per l’estrazione di qualche oscuro e raro materiale, se mai esisteva.

Di certo era una scusa bella e buona per sottometterli.

Ma il cavaliere aveva pensato che, anziché essere sfruttati, l’ideale era di usare i nuovi arrivati e cogliere l’occasione che da tempo aspettavano lui e i suoi simili.

Da tempo, anzi da secoli, la discussione tra l’uso della magia e della tecnologia sul suo pianeta era in corso tra coloro che possedevano la magia e quelli che, per un volere del fato, o di chissà chi, non ne avevano il dono.

E spesso si era fantasticato su un pianeta da cui tutti provenivano: quello su cui vivevano non era, a detta di molti documenti in possesso dei maghi, il loro pianeta natale.

L’idea del cavaliere era andare sul loro remoto pianeta natio, ammesso che ancora esistesse, la cui posizione era stata scoperta per caso guardandolo su antiche mappe da parte di alcuni scienziati non maghi: scoprire cosa era realmente successo e tornare con qualcosa di concreto alle innumerevoli domande che da tempo si facevano, abbandonando, poi, eventualmente, al suo destino il militare e chi era con lui.

Al cavalieri gli ci volle parecchio per convincere tutti, anche perché l’idea non era piaciuto a nessuno: il militare, oltra  a dover modificare le navi per trasportare gli abitanti del pianeta, abituati ad atmosfera e gravità diverse dalle sue, doveva portare i draghi sulle astronavi cargo e poi sbarcarli sul pianeta, con non si sa quale mezzo (i draghi erano enormi per qualsiasi traghetto spazio/terra in uso alle navi spaziali); i cavalieri non volevano viaggiare con i draghi rilegati in spazi angusti, (diventano poco socievoli e, comunque, si dovevano trovare dei volontari, che quasi sicuramente sarebbero stati i più scavezzacolli delle tribù); i maghi avevano paura di scoprire cose non gradite e i non maghi erano in pensiero perché il loro poco potere, se scoperto qualcosa di importante, avrebbe potuto finire nel nulla.

Il cavaliere, alla fine di parecchi giorni di discussione, riuscì a mettere tutti d’accordo, promettendo al generale un compenso in oro ragguardevole, di cui, ovviamente, il generale non ne fece parola con nessuno.

Il generale, su dei disegni segreti in possesso solo dei maghi, fece costruire alcune navette per il trasporto dei draghi dal pianeta a delle navi cargo speciali, fatte venire apposta da un pianeta miniera, uniche navi spaziali che potevano trasportare quegli animali.

Quindi partirono solo pochi cavalieri, circa un centinaio, con i loro draghi, alcuni maghi, nessun non mago (il cavaliere nero si era “prestato” a far da giudice sul materiale raccolto), il militare, i suoi uomini e tutto il personale addetto alle parecchie navi spaziali che presero parte alla missione.

Il pianeta fu subito identificato e rintracciato nello spazio cosmico.

Era un pianeta simili a quello da cui provenivano i maghi e i cavalieri, con bassa densità e aria rarefatta.

Il luogo di discesa per il primo approccio sul pianeta lo aveva scelto il generale.

“E’ un posto carino e simpatico!” Aveva detto: cosa ci vedesse di carino e simpatico in una pianura, circondata da alberi, vicino ad alte montagne, lo sapeva solo lui.

Ma nessuno discusse e furono scaricati tutti i draghi con i cavalieri e molte macchine terrestri che procedevano alcune con enormi ruote, altre con cingoli e con torrette, alcune rotanti e altre fisse, armate da armi diverse per forma e grandezza.

Scavalcarono le montagne in men che non si dica, senza trovare nulla di interessante, e senza che nessuno gli fermasse, seguendo le indicazioni che provenivano dalle navi spaziali.

Ora bisognava attraversare quel deserto, enorme: un tipo di terreno che sul pianeta dei maghi non esisteva.   

La donna risalì la montagna e accarezzò il muso del suo drago, salendogli sulla sella, posta davanti all’attaccatura delle ali.

L'uomo fece lo stesso, dando poi un leggero colpo coi tacchi degli stivali al corpo del drago, che, lanciando l’ennesimo urlo contro il cielo, aprendo d’improvviso le enormi ali, si alzò in volo.

Lo seguì la donna con il drago rosso, il cavaliere con il drago azzurro e tutti gli altri draghi, di colore, dimensioni dei corpi e forme delle ali diverse, tutti cavalcati da cavalieri con armature colorate e armi, alcune poste sul fianco delle selle, di vario tipo.

Intanto, dalla montagna, incominciarono a scendere, verso il deserto, i vari mezzi corazzati.

In uno dei veicoli ruotati vi era l'uomo che aveva sollecitato la partenza, con due donne e, oltre all'autista e al motorista, alcuni uomini armati.

“Cosa ti è venuto in mente di metterti d’accordo con questi tizi?” disse la donna vicino all'uomo, togliendosi momentaneamente la maschera, sporgendosi verso di lui e sottolineando la parola “accordo”: la donna indossava una tuta aderente di colore nero e stivali alta con tacco, con la solita cintura con attaccata la scatola.

Portava lunghi capelli neri, la pelle del viso era chiara, indossava occhiali scuri con le lenti riflettenti di forma ovale e le labbra, carnose, erano ricoperte da un rossetto rosso fuoco e faceva di tutto per non nascondere tutta la sua femminilità.

L'uomo girò la testa verso la donna, con quell'enorme sigaro puzzolente stretto tra i denti, passante per un foro della maschera e, con un fare da padrone, picchiettò la sua mano sinistra sulla coscia destra della ragazza.

La ragazza cacciò la mano dell'uomo e lo guardò di traverso, rimettendosi la maschera e ansimando rumorosamente.

“Non ti preoccupare!” disse l'uomo “Io so come trattare con certe persone. Ho mai tradito la tua fiducia e quella della compagnia?”

La donna fece una strana smorfia con il viso e si voltò verso l'altra donna, in ombra all’interno del mezzo, che giocava distrattamente con un'astina di metallo lunga circa cinquanta centimetri.

La donna sbuffò, girò la testa verso l'autista e appoggiò la testa allo schienale, chiudendo gli occhi, cercando di dormire un po’, mentre il blindato, durante la discesa, sbatteva di qua e di là i suoi occupanti.

I draghi volteggiavano nel cielo, in ordine sparso, a varie quote e distanziati tra di loro.

L'uomo sul drago nero non fece caso alla disposizione dei suoi compagni, preoccupato più di curare il cielo e la terra, con i mezzi corazzati che correvano sotto di lui, verso il deserto, uno dietro l’altro.

Si erano già allontanati parecchio dalla montagne, ma la colonna dei mezzi corazzati continuava a scendere dalle montagne.

Cosa serviva un tale schieramento con così tanti mezzi, quando sarebbero bastati lui e metà dei suoi compagni inviati sul pianeta per sottomettere qualsiasi tipo di  primitivo nemico?

L'uomo si girò a guardare i suoi compagni: subito gli ultimi quattro draghi si alzarono di quota, facendo ampi cerchi sopra gli altri draghi.

L'uomo riguardò giù e controllò la colonna dei blindati, che aveva finito di scendere dalla montagna, e ora si disponevano a ventaglio sul terreno, alzando alte nuvole di sabbia.

Il cavaliere si alzò di quota, per poter vedere il più lontano possibile.

A poco a poco incominciò ad intravvedere la fine del deserto, con delle alte montagne che si avvicinavano lentamente, di un colore, per colpa del sole alto e del riflesso di esso sulla sabbia, non ben definito.

Ma una cosa, mano a mano che si avvicinavano alle montagne, attirò la sua attenzione: una struttura, enorme, di forma semi sferica, che si stagliava davanti a lui, all'inizio di una profonda gola posta tra le montagne.

Il cavaliere rimase stupido da quanto enorme fosse quella struttura, adagiata su una roccia a strapiombo sul deserto, mentre, dietro ad essa, una nube, prodotta dall’acqua che cadeva dalle alte montagne, formando una enorme cascata, creava un incredibile arcobaleno nel cielo.

Era la cosa più strana che avesse visto: si chiese subito dove tutta quell’acqua andava a finire, visto che davanti alla cascata vi era quell’enorme terra bruciata dal sole.

Proprio in quel mentre, la seconda ragazza all'interno del blindato smise di giocherellare con il pezzo di metallo, alzando la testa, come se si stesse mettendo all'ascolto di qualcosa.

La donna in nero notò quello strano cambiamento nella ragazza e, spaventata, continuando a guardare la ragazza, cercò a tentoni la spalla destra dell’uomo e la picchiò, con la mano sinistra: l’uomo si girò da quel lato, guardandola la donna con il suo solito fare sgradevole: la donna girò la testa verso il militare e indicò, con un cenno del capo la ragazza e l'uomo, fissandola, si tolse il sigaro dalla bocca e dalla maschera.

Sulla astronave madre, posta in orbita bassa del pianeta, successe lo stesso ad uno dei maghi presenti sul ponte di comando.

Si chiamava Joirk: era alto, magro, con il viso scavato e un naso adunco, occhi azzurri, e stava fissava il nulla.

Lui ed altri maghi erano in una zona confinata della sala comando, rivestita di vetro per poter vedere tutto quello che succedeva nella sala, con un’atmosfera e gravità modificata apposta per loro.

Il comandante della nave, un certo Kirk Delano Koneig, che stava controllando su alcuni video il viaggio dei draghi e dei blindati sul pianeta, non si accorse subito del fatto: glielo fece notare una attendente, che tocco la manica al comandate e gli indicò il mago.

Il comandante si avvicinò ad un punto della parete in vetro dove vi era un interfono, ma fu anticipato da una figura, più bassa del mago, incappucciata e con una abito nero lungo fino ai piedi, che blocco l’interfono.

Il comandante si fermò e rimase lì, incapace di capire cosa stesso succedendo.

Ad un certo punto il mago si risvegliò dal suo torpore e si avvicinò all’interfono, mandando via il nuovo venuto con un cenno della mano.

“Cosa è quella cosa sul fondo di quella gola?” chiese Joirk, indicando un monitor dove veniva visualizzata quanto visto da una telecamera posizionata sul primo blindato della colonna.

L'animazione nella sala controllo fu grande: quella struttura era visibile sul video, ma non era stata evidenziata dai rilievi del terreno effettuato dai satelliti messi in orbita per mappare velocemente il terreno del pianeta.

Ad un più attento esame, la struttura aveva una base a forma ovale, con le mura di cinta a strapiombo delle rocce, con strani pilastri semi curvi, che si alzavano sopra la struttura, verso il cielo: all'interno del recinto della struttura vi erano palazzi, grattacieli, ogni altro tipo di abitazione, vie, piazze e fontane ancora funzionanti.

Tutti gli edifici risultavano in ordine e immacolati, come se gli abitanti non se ne fossero mai andati: in realtà non si muoveva una mosca e non si vedevano né mezzi né esseri viventi muoversi sul terreno.

La definizione di enorme, per quella struttura, era esatta: dalle misurazioni di un addetto della sala di controllo, l'ovale era, nella sua direttrice maggiore, lungo più di cinquanta chilometri e, nella direttrice minore, era larga venticinque chilometri e i pilastri semi curvi erano alti alcuni chilometri.

“Come ha fatto a non essere mappata dai satelliti?” Chiese il comandate, guardando l'enorme città.

Uno dei monitor incominciò a emettere uno strano sibilo: l'addetto guardò il monitor e schiaccio subito il tasto dell'allarme.

Il comandante si diresse alla postazione e sul monitor apparvero dei dati non molto rassicuranti.

“Avvisate la colonna!” Urlò agli addetti delle comunicazioni. ”Ditegli di stare lontani da quella città!”

“Non vi preoccupate.” Disse Joirk, con voce calma. “Turk e Nail sono già stati avvisati!”

Sul pianeta l'uomo in nero indicò ai dragoni di indirizzarsi verso destra, per tenersi lontano dalla città, e lo stesso fecero i blindati, indirizzati dalla ragazza con la bacchetta nel blindato.

I draghi erano nervosi e i cavalieri ebbero il loro da fare a tenerli calmi.

I draghi atterrano in una ansa della enorme gola, posta tra le due montagne ai cui piedi vi era la città, dove si formava un enorme altopiano, lontani da quel luogo misterioso, mentre i blindati, seguendo una strada battuta, salivano la gola fino alla zona dove si erano fermati i draghi.

Appena il blindato del generale si fermò, Turk, il cavaliere vestito di nero, e Lyla, la cavallerizza vestita di rosso, si avvicinarono con fare minaccioso.

Turk si era tolto l'elmo e mostrava il suo viso, ovale, senza capelli, con il naso schiacciato e delle enormi narici, con una pigmentazione scura, con una cicatrice verticale sulla guancia destra ed una cicatrice orizzontale sulla guancia sinistra, che partiva dal sotto l'occhio e arrivava all'orecchio.

Lila, invece, aveva un viso rettangolare, mascella squadrata, occhi chiari e capelli neri, legati a coda di cavallo.

Tutte e due erano molto più alti dei soldati del militare, tenevano i loro elmi sotto braccio, mentre le mani libere erano appoggiate sulle elsa delle loro spade.

Dal blindato scesero prima Nail, la ragazza che giocava con la bacchetta, anche lei alta come Lyla, poi la donna, la cui testa arrivava all’altezza della cinta di Nail, e il generale.

Nail si diresse vero la cavallerizza e, prendendosi per mano, si scambiarono un bacio sulle labbra, poi si voltarono verso la donna, che, in pedi, mostrava tutto il suo corpo veramente da mozzafiato.

“Non ci pensate nemmeno!” Disse a loro, con fare preoccupato, tenendosi con la mano la mascherina per respirare, nascondendo il rossore del viso.

Le due donne risero.

“Lei è mia sorella!” Disse Nail indicando Lyla.

Turk fece un mezzo sorriso, ma poi guardò truce l’uomo.

Turk aveva sentito chiamare la donna, che era scesa dal blindato, Hunter, ma non ne era molto sicuro di quello strano nome.

 “A quanto pare i tuoi sistemi tecnologici non funzionano così bene come dicevi!” Disse Turk, guardando torvo il generale.

L'uomo, che arrivava al femore di Turk, alzò la testa, con il suo puzzolente sigaro in mano, guardandolo con fare da uno che sa il fatto suo e si mise ad urlare a causa della maschera.

“Ti avevo detto che poteva non essere un passeggiata, mi sembra. Anzi, ti avevo detto che il pericolo sarebbe stato il tuo solo pensiero! Quello che si cerca prima o poi, se non addirittura spesso, si trova!”

“Sì. Ma quello è più di un pericolo! Non vedi, anche gli animali ne stanno lontani!” disse Lila, indicando degli animali con le ali che, avvicinandosi a quei strani pali, se ne scappavano di gran fretta, urlando con le loro stridule voci.

“Come è possibile ?” disse Nail.

Il Generale si grattò il mento, mentre si girava a guardare quella strana città.

“Tu e i tuoi maghi come mai non lo avete “sentito” il pericolo?” gli disse la donna rivolta a Turk.

“Perché non è un pericolo! Ma di certo c’è qualcosa che non va. Non è abitata, gli animali non si avvicinano e anche i draghi sono nervosi. E non so neanche se sarà possibile usare armi come quelle che avete voi in città!” Gli rispose Nail, sfregandosi il mento pensierosa.

Nail si avvicinò a Turk.

“Sei sicuro che non si senta niente? Io non sono molto esperta, ma Joirk dice che non era visibile neanche ai satelliti. Sei sicuro che la magia in quella città non sia più forte di quello che pensiamo. Non è il caso che...”

Turk la zittì con una mano.

Il sole stava calando dietro le montagne e il freddo e il buio della notte avanzavano, silenzioso e inesorabili.

“Accendete i fuochi! Per stanotte dormiremo qui.” Incominciò ad urlare Turk. “Lyla, organizza turni di guardia tra i nostri e gli uomini del generale. Uno dei nostri, con il suo drago, e tre di loro. Non si sa mai...”.

Il generale non controbatté e con Hunter si diresse verso il blindato.

Sulla nave spaziale il comandante parlò via radio con Hunter, organizzando il controllo della zona con satelliti a bassa quota e droni, inviati di gran fretta nella bassa atmosfera, e decidendo l'invio, per il giorno dopo, di veicoli volanti sul pianeta con altri militari armati.

Turk guardò Nail e Lyla.

“Prendete le bacchette, ditelo anche agli altri! Fate tutto il possibile perché nessuno di avvicini...” disse Turk, mentre un urlo lancinante squarciò il silenzio, seguito da un latrato e poi un altro più lontano.

“Meglio fare presto! La notte sarà lunga.” Disse Turk.

Hunter uscì dal blindato di corsa, verso Turk.

“Cos'era quell'urlo?”

Turk la guardò con dolcezza.

“Non lo so. Ma stia dentro il blindato. Ci pensiamo noi!”

Turk si mise l'elmo e se ne andò.

Lyla guardò con un mezzo sorriso Hunter che entrava nel blindato e eseguì gli ordini di Turk.

I draghi lanciarono alte urla, cercando di far paura a chi latrava.

I latrati si spostarono, poi, verso la città, lasciandosi alle spalle la comitiva.

I fuochi, scoppiettanti, erano stati accesi intorno e dentro al campo dai draghi, che lanciavano fiamme sui fasci di legna raccolti dai militari.

Gli uomini del generale si erano divertiti a quel modo di accendere i fuochi, per poi venire subito richiamati all'ordine dai vari sub-comandanti.

I cavalieri tolsero l'armatura ai draghi che non erano stati messi di sorveglianza del campo.

Turk e altri cavalieri, insieme alla maga Nail, fecero magie tutto intorno al campo per più di mezz'ora e, alla fine erano stanchi, ma soddisfatti del lavoro: nessuno si poteva avvicinare al campo senza mettere in allarme cavalieri, draghi e maga.

La notte trascorse tranquilla, con qualche rumore da parte di animali all'esterno al campo e il brontolio sordo dei draghi che dormivano.

Il Generale, all'interno del blindato, con Hunter, controllò i rilievi in 3D all’infrarosso dei satelliti sull'interno della città, che rilevarono un numero imprecisato di strani esseri che vi si aggiravano in modo sospetto.

Ma non notarono nient'altro e decisero anche loro di andare a dormire: al mattino avrebbero deciso il da fare.

Al primo sorgere del primo sole tutti si svegliarono.

L’animazione per la partenza crebbe.

Ma nessuno si accorse di una figura, piccola, magrolina, che si era avvicinato ai blindati, sistemati sulla parte della gola che dava verso il deserto: aveva i vestiti laceri ed era parecchio sporco.

Uno dei draghi, svegliandosi, lo notò, e incominciò ad emettere strani versi all’indirizzo dello sconosciuto.

Questi si fermo contro uno dei mezzi, cercando di nascondersi, estraendo da sotto i vestiti una strana bacchette in legno, non più lunga di venti centimetri.

Uno dei cavaliere sfoderò la spada e, insieme al drago che aveva notato la figura, con l’ausilio di alcuni soldati, si avventò contro l'essere, che si mise subito ad agitare la bacchetta, sprigionò lampi di luce arancione contro i soldati, che schivarono i colpi, mentre Nail colpì l’essere in pieno petto con un fascio di luce color rosso uscita dalla sua bacchetta.

L'essere venne tramortito e cadde per terra, esanime.

Tutto quel movimento fece sì che il campo fosse, in pochi minuti, già in fermento.

L'essere fu portato vicino al blindato del generale.

Aveva degli strani calzari, dei pantaloni, una camicia e un giacca, tutti alquanto logori.

Turk controllò la bacchetta di legno, alquanto rozza, e la rigirò tra le dita per alcuni momenti, per poi passarla a Nail, che gli si era avvicinata.

“Strana. Non ne ho mai viste così. E penso che neanche i maestri le usano più.” Disse Nail, mentre Turk controllava l’essere: era un ragazzo, forse sui quindici anni, con un taglio degli occhi a forma di mandorla, una pigmentazione della pelle giallognola e le dita della mani erano lunghe e affusolate.

Lyla gli diede una pedata, per vedere se era sveglio.

Il ragazzo non si mosse, ma Nail capì subito che faceva finta di essere svenuto.

“Io direi di ucciderlo subito!” Disse Nail, inginocchiandosi e sporgendosi in avanti verso il ragazzo. “A cosa ci può servire? Vivo o morto per noi è lo stesso.”

Il ragazzo aprì l'occhio destro per vedere cosa succedeva intorno a lui e si ritrovo il muso del drago nero a pochi centimetri.

Il ragazzo non sembrava spaventato e disse qualcosa in una lingua incomprensibile.

Il drago sbuffò, poi si girò verso Turk.

“Parla nella antica lingua!” Affermò il drago.

Tutto i soldati rimasero stupefatti, compreso il Generale e Hunter: non avevano mai sentito parlare i draghi.

Turk guardò il ragazzo: Hunter scrutava tutti i presenti e aveva sempre creduto che Turk usasse la telepatia per parlare con il drago.

Il silenzio durò alcuni minuti, fino a ché un forte rumore provenne dal cielo.

I mezzi aerei, promessi la sera al Generale dal comandante dell'astronave madre, erano arrivati: erano una cinquantina e alcuni si fermarono su uno spiazzo più in alto del campo principale, mentre gli altri continuavano a ronzare sul campo e tra il campo e la città.

I draghi rumoreggiarono e alcuni, infastiditi, lanciarono delle fiamme verso il cielo.

“Cosa le ha detto?” Chiese Hunter a Turk.

“Non adesso. Dobbiamo prima entrare in città per cercare dei documenti. Voi restate qui al campo..” Rispose Turk, con la faccia preoccupata.

“Non se ne parla!” Disse Hunter, muovendo il dito indice della mano destra verso il naso di Turk. “Vengo con voi! E non ammetto discussioni!”

“Come volete, mia signora!” Disse Turk, facendo un inchino.

“Preparate i draghi, si parte!” Urlò Turk ai suoi uomini e tutti misero le armature ai draghi.

Hunter salì in sella con Turk, il ragazzo sali in groppa la drago di Lyla e Nail rimase al campo, contrariata, a protezione degli uomini del Generale.

Il gruppo partì, in formazione serrata, verso la città.

Da uno dei veicoli volanti scese un mago, anziano, con un bastone munito, in testa, di una strana pietra, e si avvicinò al campo in silenzio, senza farsi sentire.

“Problemi Nail?” Chiese alle spalle della ragazza.

“No, Maestro.” Disse Nail, con fare indifferente, scrollando le spalle. ”Ma non capisco perché siete sceso sul pianeta?”

Nail si girò a guardare l’anziano uomo, con i capelli bianchi, sovrappeso, più alto di lei, l’andatura claudicante e un occhio chiuso da una ciccatrice.

“Devo controllare… devo verificare.. una leggenda..” Disse lui, pacatamente.

“Quale leggenda?” Chiese Nail, preoccupata, scrutando il viso del maestro per cercare risposte.

L'uomo non rispose, andando verso il blindato del Generale, mentre i soli ormai illuminava tutta la valle, scaldando l'aria.

I draghi volavano verso la città: Turk era preoccupato e il ragazzo, con cui parlava mentalmente, lo indirizzò verso una zona della città considerata sicura.

Era una enorme piazza, vero il deserto, su cui si affacciavano degli edifici abbastanza importanti della città.

Turk atterrò nel mezzo della piazza.

Tutto era rimasto intatto: il lastricato di pietra, i palazzi ai bordi della piazza e anche una fontana al centro di essa, anche se senza acqua, non dava la minima idea che la città fosse stata abbandonata da tempo.

Turk suddivise la compagnia in vari gruppi, per controllare gli edifici che circondavano la piazza.

Il ragazzo indicò, scendendo di corsa dalla sella del drago, un edificio basso, posto sul lato nord della piazza: lui lo chiamava “il laboratorio dell'alchimista”.

Turk conosceva alcuni alchimisti del suo pianeta, ma non avevano mai raggiunto grandi successi senza la magia.

Il ragazzo, da quanto aveva capito Turk, era uno dei discepoli di un alchimista, un certo Kilmi, che però non lavoravano più nella città, ma in un remoto paesino al di là delle montagne.

Entrando nell'edificio, Turk notò molti quadri sui muri che ritraevano dei famosi alchimisti di tutti i tempi passati, ma i loro volti erano diversi: alcuni avevano i volti rotondi e i corpi tozzi, altri avevano fisionomie quasi scimmiesche, altri ancora avevano volti lunghi e scarni.

“Uno assomiglia a  Joirk, non ti pare Turk?” Disse Lila, alle spalle di Turk.

Turk si avvicinò al quadro, insieme a Hunter.

Il volto del quadro era esattamente quello del mago rimasto sull'astronave.

“Allora è vero!”

Ma la voce di Turk fu soffocata da uno sbuffo di un drago di color giallo, che aveva infilato la testa attraverso la porta principale.

Il drago riferì un messaggio telepatico e Turk e si ritrasse.

“Meglio uscire da qui! Non siamo al sicuro.”

Turk si incamminò verso la porta, ma Hunter ebbe da ridire.

“Siamo qui, perché andar via?” Urlò Hunter.

“Se volete, spiegatelo voi a quello!” Esclamò Lila, indicando qualcosa che si muoveva dietro a Hunter.

Hunter vide un ombra che si muoveva alle sue spalle: la figura assomiglia vagamente ad un enorme lucertolone.

Hunter evitò di girarsi e corse verso l'uscita, mentre l’animale, rumorosamente, usciva dal suo nascondiglio.

Hunter si girò per vedere l’animale: assomigliava a un grosso varano, lungo dieci metri, che fiutava l'aria con la sua lingua, enorme e biforcuta, aprendo la bocca e mostrando un fila di denti affilatissimi.

“Ma non è un drago!” Disse Hunter a Turk, correndogli dietro verso l’uscita.

“No. Non è un drago! Ma lo poteva divenire, con le cure idonee. Ora è solo un mostro da uccidere!”

Ma il ragazzo, in quel momento, entrò di corsa e andò incontro al mostro, agitando la bacchetta.

Il mostro si fermò, annusando l’aria con la lingua.

Ma all'improvviso, da una finestra del corridoio, il drago nero infilò la testa e uccise il varano, mordendoli il corto collo e soffocandolo.

Il ragazzo urlò inferocito contro il drago, che mollò la presa.

Hunter rientrò cautamente nel corridoio, guardando il corpo dell'animale a terra, ormai morto, mentre il ragazzo lanciava strani anatemi contro il drago, agitando la bacchetta da cui uscivano lampi di ogni colore, vanamente.

Il drago scansò ogni colpo e si ritrasse dalla finestra.

Turk entrò, prese il ragazzo, cercando di calmarlo e portandolo fuori dall’edificio.

Hunter assistette alla scena, non sapendo cosa fare.

Ma a lei interessava ciò che era appeso ai muri del corridoio e incomincio a filmarli con la video camera.

I cavalieri erano intanto accorsi al rumore, con le spade sfoderate, pronti ad intervenire.

Quando videro il lucertole, tirarono un sospiro di sollievo.

“Forza, ragazzi, incominciamo a cercare quello che sapete!”

Turk invitò i suoi amici a cercare i documenti segreti, di cui si parlava da tempo nelle loro leggende.

Tutti incominciarono a guardarsi intorno e, scavalcando il corpo dell'animale, iniziarono a cercare nei vari armadi, dai piani più alti fino alle cantine.

Nei vari armadi trovarono libri, mucchi di libri antichi, non molto ben conservati e con scritte, alle volte, cancellate dal tempo.

Ma le cose più interessanti furono trovate nelle cantine.

In un stanza, con armadi metallici non molto alti e lunghi, sbucarono fuori disegni di strane apparecchiature, disegni in bianco su enormi fogli blu, alcuni piegati altri distesi, stranamente ben conservati.

In un armadio, dei disegni enormi riportavano delle macchine, con all'interno dei draghi.

Turk e tutti gli altri cavalieri, che avevano partecipato alla ricerca dei documenti, fissarono in silenzio quel disegno: le diciture erano illeggibili, scritte in una scrittura non più in uso, ma lo stupore fu, per tutti, grande.

Vedere un drago disegnato in un veicolo spaziale era qualcosa di più di quello che i cavalieri speravano di trovare.

Ma Hunter non era molto interessata a quello che i cavalieri avevano trovato.

Incominciò a cercare, da sola, nei vari locali dei piani seminterrati.

In un armadio trovò prima un modellino e poi dei disegni, formule e documenti ancora più interessanti.

Li guardò con calma, mentre il rumore delle voci dei cavalieri si avvicinavo.

All’improvviso il rumore del chiacchiericcio aumento e Hunter, preoccupata, cercò qualcosa in cui nascondere i documenti.

Trovò lì vicino una borsa e infilò dentro i documenti, alla bene meglio, compreso lo strano modellino.

Cercò una via di fuga attraversando i locali vicino, scivolo alle spalle dei cavalieri, che scendevano le scale, e scappò ai piani di sopra.

Uscì in fretta dall’edificio e si infilò nel blindato del Generale, che era fortunosamente appena arrivato in piazza.

Il Generale la squadrò, ma comprese, quando vide Hunter nascondere la borsa all’interno dell’armadietto armato del blindato, che aveva trovato qualcosa di veramente interessante.

I documenti della cantina furono ammucchiati con gran chiasso da parte dei cavalieri e messi in enormi casse portate dal Maestro con uno dei veicoli volanti.

I cavalieri caricarono le casse sullo stesso veicolo e, insieme alle casse, salirono il Maestro e Nail.

Quando il veicolo partì, tutti i cavalieri con i loro draghi si radunarono sulla piazza, intorno alla fontana, e incominciarono a discutere, mentalmente, con il ragazzo sul destino della città e del suo presunto declino.

Dopo quello che era successo, Turk decise di riportare il ragazzo dal suo maestro: lo fece salire sul drago e partì, anche se lo strano incidente con il varano aveva suscitato parecchio clamore tra i cavalieri e i soldati, ma tutto fu messo a tacere.

Per i giorni seguenti, i blindati del Generale batterono tutta la città, mentre i cavalieri, con i maghi scesi dalle astronavi, continuavano le loro ricerche dei documenti negli edifici, mentre  Hunter continuava a cercare, segretamente, documenti nei vari sotterranei, senza dare notizia del ritrovato ai maghi o ai cavalieri, che non si accorsero di nulla.

Hunter trovò parecchi documenti interessanti, che trafugò su di una astronave logistica, dove i cavalieri e i maghi non avevano avuto accesso.

Cosa trafugò fu visibile solo al Generale, che decise di liberare la principessa del pianeta, da dove provenivano i cavalieri, e uno strano uovo bianco.

Turk tornò dopo alcuni giorni, dopo che tutti i draghi e i cavalieri, oltre cento, portati dalla astronavi, erano scesi tutti sul pianeta.

Le ricerche sul pianeta continuarono per giorni, alla ricerca di qualsiasi cosa interessante per i cavalieri e i maghi, ma oltre a quella città trovarono solo piccoli villaggi, ove vivevano contadini, fabbri, commercianti e qualche mago o alchimista e i loro apprendisti.

Dopo un mese di ricerca, i maghi, i cavalieri e i loro draghi si riunirono sulla piazza.

Turk guardò tutti e si accorse di non sapere cosa dire.

Per lui parlò il suo drago.

“Siamo noi, maghi, cavalieri e draghi, i diretti discendenti di quelli che hanno vissuto qui.” disse il drago nero.

Tutti annuirono.

Il drago lanciò un alto urlo, seguito da una fiamma lunga e luminosa, così come fecero tutti gli altri draghi.

I maghi alzarono al cielo le loro bacchette e i cavalieri le loro spade.

Dai pilastri semi curvi che circondavano la città, all'improvviso, si sprigionò una luce intensissima, che correva da palo a palo, costruendo una visibilissima cupola di forza intorno alla città.

Dallo spazio la cupola che si formava intorno alla città fu visibile a tutti i componenti delle navi, che si spaventarono e non capirono.

Il Generale ed Hunter guardarono quell’evento dalla loro astronave, alquanto preoccupati.

“Senza di noi non potranno fare molto, Generale.” Disse Hunter.

“Non gli serviamo più, mia cara.” Disse il Generale, voltando le spalle al video. ”Ora hanno quello che volevano!”

“Anche noi ,Generale.” Disse soavemente Hunter.

“Sì. Ma basterà a tenerli a bada? Ora che sanno, chi li fermerà? Non basta la tecnologia, per certe cose.”

Hunter sbuffò, ben sapendo che il Generale aveva ragione: potevano anche aver scoperto qualcosa che potevano usare, ma di certo la potenza della magia dei loro avversari li avrebbe sconfitto in men che non si dica, se non avessero trovato qualcosa di alternativo.

Sul pianeta, tutti festeggiavano e si preparavano a rientrare sul loro pianeta: le loro scoperte avrebbero certamente cambiato il modo di vivere sul loro pianeta.

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Capitolo 3
*** Le Congregazioni ***


Le notizie di quanto avveniva sul pianeta arrivavano in continuazione sul pianeta dei maghi e dei cavalieri.

La necessità di sapere cosa succedeva là era vitale per i maghi come per i non maghi.

Le notizie venivano inviate in formato video da Joirk, il mago presente sulla nave ammiraglia, cercando, ovviamente, di non dare troppo particolari, che avrebbero reso sicuramente entusiasti i maghi, ma avrebbero preoccupato i non maghi.

Molte notizie, inoltre, venivano lette dalle Congregazioni in modo diverso.

Il pianeta si chiama Horker ed era il quarto di circa un quindicina di pianeti che circondavano una stella di colore bianco, che chiamavano Paike.

Il pianeta era ricoperto, per la metà, da acqua azzurra, in alcune zone molto profonda, in cui vivevano animali chiamati kala, di vari tipi e forme, alcuni addirittura facevano paura pure ai draghi, che odiavano profondamente l’acqua.

Per l’altra metà il pianeta, in alcune zone, era costituito da montagne brulle, alte tanto quanto era profondo il mare, vulcani, zone piane, alcune delle quali era verdeggianti, altre tenute a cultura di quanto necessitava alla vita degli uomini, con fattorie ove vi erano allevati animali ad uso degli umani e altri per i draghi: non sembrava, ma i draghi erano molto schizzinosi sul mangiare (forse per darsi più importanza di quanto già non ne avessero).

La struttura politica del pianeta, perché fin dalla loro venuta su quel pianeta si era deciso di non dividere il pianeta sotto governati, che avrebbero potuto in qualsiasi momento destabilizzare il potere principale, era di un re, un non mago, che comandava per un periodo di dieci anni, eletto tra le persone più importanti del pianeta per il loro impegno politico: la carica era più rappresentative che altro, anche se il re comandava l’alto consiglio, costituito da maghi, cavalieri e non maghi, composto per un quarto dai maghi, per un altro quarto dei cavalieri e i loro draghi e il restante dai non maghi.

Tale divisione consentiva ai non maghi di non sentirsi maltrattati dai maghi e dai cavalieri.

Ma il vero fulcro del potere erano le congregazioni e le tribù.

I maghi erano divisi in congregazioni: ognuna si interessava di una branchia della magia, alcune note ed altre meno.

Le congregazioni collaboravano con i non maghi, che avevano delle università, molto simili alle congregazioni, in cui si studiavano varie branchie della scienza, alcune al limite dell’illecito e che avevano preoccupato i maghi.

Ma anche i maghi, alle volte, non facevano un buon uso della magia.

Le tribù, invece, erano la fucina dei cavalieri e dei loro draghi.

Erano divise per colore e alcune, come quella nera e rossa, erano molto importanti, anche se, con l’andare del tempo, senza guerre, l’importanza era stata stabilita da duelli, che spesso si combattevano nelle zone desertiche del pianeta, tanto per tenere in allenamento i cavalieri e i loro draghi.

Per secoli le cose erano andate avanti così, tranquille, con alcune dispute risolte in breve, con piccole battaòglie, molto limitate, alcune volte, forse, un po’ troppe cruente, ma necessarie per l’equilibrio della vita sul pianeta.

In tutto questo si era mossa, per secoli, un congregazione che non era ufficialmente riconosciuta, come invece tutte le tribù dei cavalieri, congregazioni dei maghi e università dei non maghi.

Un manipolo di persone, non si sa di che provenienza (se maghi, cavalieri o non maghi) si era unita ed aveva deciso, segretamente, di far sì che la politica del pianeta spingesse, a seconda delle necessità, più verso una parte o l’altra di colore che facevano parte dell’alto consiglio.

Di certo di quella congregazione così segreta se ne era parlato per molto tempo, ma negli ultimi secoli se ne erano perse le tracce e così anche la sua memoria.

O almeno, così molti pensavano.

In realtà la congregazione aveva continuato ad esistere, ma gli avvenimenti degli ultimi tempi e il voler a tutti i costi scoprire il pianeta di origine di quel popolo, l’avevano costretta ad una maggiore cautela: non sapendo il risultato della ricerca del pianeta natale e cosa su esso ci fosse, il rischio di muovere pedini importanti e farle bruciare era alto e il non far scoprire i propri adepti era ancora più alto. 

Coloro che facevano parte della congregazione si conoscevano ad un o ad uno per nome, con tutti i rischi che un sì tale approccio tra di loro portava con sé: una delle loro sedi, sicuramente la più importante, era in un villaggio posto tra le montagne, non molto lontano dalla capitale: per loro era vitale essere il più vicino ai luoghi del potere principale, per poter meglio manipolare le loro pedine.

Il villaggio, chiamato Crula, era costituito da poco più di una decina di costruzioni, la più importante era quella del rappresentante dell’alto consiglio (ogni paese, anche se sperduto sulle montagne, su un’isola o in oasi in mezzo al deserto ne aveva uno), in cui le persone andavano a pagare le tasse e a farsi rilasciare documenti, licenze e quant’altro necessario alla vita civile di ogni singolo villaggio, paese o città del pianeta.

L’edifico, a differenza di quello di un villaggio simile posto oltre la montagna, era decisamente grande.

Nessuno lo aveva mai capito il perché fosse stato costruito così grande (si diceva per il fatto che un re provenisse da lì).

Nelle sue fondamenta era stato ricavato una enorme sala per le riunioni, con dei locali attigui, usati per secoli dalla congregazione: l’accesso, ovviamente, era celato e per accedervi ci voleva una chiave speciale, qualcosa tra il magico e il tecnologico.

L’uomo, che quella notte si stava avvicinando furtivamente all’edifico, non faceva molto caso né al freddo né alla neve che scendeva copiosa dal cielo: stranamente, al suo passaggio nessuna improntava appariva sul terreno.

L’uomo si avvicinò all’edificio, posto alla fine della via principale del villaggio, verso le montagne.

Si fermò un attimo, per controllare che nessun curioso fosse nelle vicinanze: la luce proveniente dai lampioni della strada, sotto quella violenta nevicata, non illumina molto.

Se lui non vedeva nessuno, nessuno avrebbe visto lui, pensò.

Girò dietro l’edifico e si avvicinò ad una scala che scendeva dietro l’edificio e che portava al locale macchine (i non maghi ci tenevano tanto al fatto che i locali di certi macchinari non fossero all’interno dello stabile, chissà il perché).

L’uomo arrivo in fondo alla scale e guardo il muro davanti a sé.

Era parecchio tempo che non veniva lì: estrasse una tessera, di color nero, di una certo spessore e l’avvicinò al muro.

In quel mentre, un ringhiò alle sue spalle attirò la sua attenzione.

In cima alle scale un paio di grossi hunt, con i denti affilati, in cerca di cibo, lo avevano prescelto per il loro banchetto.

L’uomo rimase immobile nella penombra, anche se sapeva che era inutile: il suo odore era stato sentito da quelle due bestie, che non gli avrebbero dato scampo tanto facilmente.

L’uomo rimise nella tasca sinistrala tessera e cercò qualcosa nella tasca destra: la estrasse con calma e la punto contro gli animali.

Le due bestie emisero il loro ultimo ringhio.

Caddero a terra, morte, e i loro compagni, nascosti lì vicino, saltarono addosso ai loro cadaveri, straziando i loro corpi per banchettare.

L’uomo riestrasse la tessera e l’avvicino al muro, che scomparve, dando l’accesso ad un piccolo corridoio.

L’uomo entrò ed attese che il muro tornasse al suo posto, guardando gli hunt che si spartivano il corpo dei loro compagni morti.

L’uomo, ancora incappucciato, percorse a tentone il piccolo corridoio.

Alla fine del corridoio appoggio la tessera ancora al muro, che si posto, illuminando, con una luce fioca, il corridoi e una piccola scala che scendeva.

L’uomo oltrepassò il varco e incominciò a scendere.

Il muro si richiuse e la luce aumentò, illuminando in modo soddisfacente la scala a chiocciola, scavata nella roccia, che scendeva dolcemente.

Fece solo un paio di giro e si ritrovò in un piccolo atrio, chiuso da altri muri.

L’uomo avvicinò la tessera al muro di fronte alla scala, che si mosse, lasciando intravedere un piccolo locale, non più grande di un metro per due.

L’uomo avvicinò la tessera al muro di fianco al varco lasciato dal muro: il muro di riposizionò e il locale incominciò a scendere velocemente.

L’uomo si aggiustò il cappuccio, in modo che il suo viso non si vedesse.

 Quando il locale si fermò, il muro alle spalle dell’uomo si posto e l’uomo, si girò, entrando in un’enorme stanzone, debolmente illuminato, di cui non si vedeva il soffitto.

In fondo vi erano altre due figure, incappucciate, che stavano parlando tra loro.

L’uomo si avvicinò a loro, inchinandosi con rispetto.

“Maestro.” Disse, salutando.

“Avete avuto problemi?” Chiese l’uomo alla sua destra.

“No. Solo un branco di hunt affamato, ma stanno allegramente banchettando…”

“Spero non con un essere umano?” Disse l’altro uomo.

“Oh, no no! Con i loro simili.” Disse l’ultimo arrivato.

“Bene.” Disse il Maestro. ”Togliamoci questi ridicolo vestiti.”

Il maestro era un uomo alto, biondo, capelli lunghi, barba e baffi ben tenuti, occhi azzurri, fisico atletico.

L’altro uomo era di media statura, di carnagione bianca ma con capelli marroni, occhi scuri e un fisico molto rotondo.

Il nuovo venuto era anche lui di media statura, di carnagione scura, capelli corpi e neri, fisico atletico.

“Solo noi, Maestro?” Disse l’uomo grasso.

Il Maestro si era, intanto, avvicinato ad un tavolo e incominciò a togliere dei pesanti drappi che coprivano dei macchinari.

“Oh, smettetela, Scimourg, di chiamarmi così!” Disse l’uomo, stizzito. “Piuttosto, datemi una mano a riattivare i macchinari e mette un po’ in ordine. Anche voi, Utilm, datemi da fare, non abbiamo tutta la notte!”

I due uomini si mossero subito, aiutando a scoprire i macchinari nascosti sotto gli impolverati drappi.

“Pensate che funzioneranno ancora, mio re?” Chiese Utilm.

“Fate più luce, Scimourg!” Fu la risposta dell’uomo.

Scimourg si avvicinò ad una parete e attivò parecchi pulsanti: un soffocato ronzio riempi il salone, che incominciò ad illuminarsi.

Il salone era veramente immenso, scavato nella roccia, alto almeno venti metri, lungo cento e largo quasi quaranta metri.

Un affresco riempiva tutto il soffitto e rappresentava un drago che lottava contro uno strano essere, che Utilm non aveva mai visto, ma che il padre gli aveva solo accennato a cosa fosse.

Il ronzio aumentò e i macchinari presero vita.

Su un video incominciarono ad apparire alcune scritte, che Utilm riconobbe e riuscì a leggere, grazie al fatto che suo padre aveva tanto insistito che lui studiasse anche quella lingua.

I tre uomini incominciarono a muovere leve, a battere tasti, mentre una infinità di dati apparivano sui monitor.

“Niente ancora di interessante, mio signore!” Disse Utilm.

“Quanto tempo ci vorrà per sapere qualcosa?” Chiese Scimourg.

Uno strano silenzio riempiva la stanza, anche se il ronzio dei macchinari era salito.

“Non ho tempo di aspettare qui notizie!” Disse il re “Torno a palazzo. Appena avete notizie, Scimourg, venite da me. Per la vostra mancanza, dirò che non siete stato bene e siete andato a curarvi alle terme di…”

“Turgisoun, Signore. Sono qui vicino.” Disse Utilm.

“Bene. Così sia.” Disse il re, dirigendosi verso una delle porte poste dall’altra parte della stanza.

Ma a metà strada si fermò.

“E voi Utilm…”

“Non c’è problema, Signore. Ho preso la scusa di studiare alcune animali che vivono qui vicino. Nessuno chiederà di me per parecchio tempo.”

L’uomo annuì e se ne andò.

“Come prima missione, Utilm, vi vedo preparato.” Disse Scimourg.

è una vita che mi preparo a questo.” Rispose Utilm.

Da dietro una porta, che dava sul salone, una silenziosa figura osservava gli uomini indaffarati sui macchinari.

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Capitolo 4
*** Tecnologia ***


Il viaggio di ritorno verso il pianeta Horker fu tranquillo.

Gli uomini della navi non vedevano l’ora di scaricare quei puzzolenti draghi, i loro cavalieri e i maghi.

L'arrivo sul pianeta fu trionfale.

Dalle navi scesero tutti e il Generale e Hunter, salutati frettolosamente tutti, se ne andarono.

Turk e i suoi cavalieri si riunirono con gli altri nel loro palazzo, situato molto al di fuori di una cittadina non molto lontano dalla capitale Riker.

La cittadina portava un nome strano, Nogard, che nessuno aveva mai capita cosa volesse dire, ma il solo fatto che fosse la capitale dei cavalieri l’aveva resa importante e trafficata.

Le case erano tutte alte, alcuni con due o tre piccole torri, con simboli sulle porte e colori veramente sgargianti: alcuni dicevano che era la dimora dei cavalieri quando erano in visita al loro palazzo, ma era una bugia buona solo per i turisti.

Le strade era lastricate di sassi molto piatti, ricavati da una montagna non molto lontana.

Le strade, invece, che portavano alla cittadina erano in blocchi unici, con il materiale di cui erano fatte colato sul posto: sembrava un unico pezzo da lì fino ai paesi vicini.

Di certo la tecnologia non era sconosciuta agli abitanti del pianeta, ma ne facevano un uso moderato, per non sovvertire le leggi della natura a cui tanto cavalieri e maghi tenevano.

Comunque, sia nella capitale che nelle varie cittadine, v’erano veicoli con strani motori, non in numero così elevato da procurare traffico, ma sufficienti per consentire lo spostamento veloce delle persone da una città all'altra.

Ora, visto il recupero di quei progetti così avanzati e futuristici, i cavalieri decisero di metterli al servizio della comunità, anche se il parere dei maghi era alquanto diverso e il re non si era ancora pronunciato sull'idea.

Ma ora, quello che premeva più a tutti era il trovare la seconda nave spaziale.

Ma il problema era di trovarla.

I cavalieri decisero di ritornare alle loro tribù, per vedere se era possibile setacciare il territorio con l'aiuto dei loro familiari.

Proprio mentre stavano concordando i viaggi, giunse un emissario del re.

“Sua Maestà vuole che i rappresentanti dei cavalieri siano presenti ad una riunione urgente presso il Palazzo Reale nella capitale.”

“Cosa vuole il re?” Chiese Turk, mentre i cavalieri borbottavano tra di loro di una simile presa di posizione del re, che non aveva mai chiesto una riunione urgente presso il Palazzo Reale nella capitale.

Il messaggero fece spallucce e di certo una lettura del pensiero sarebbe servita a poco.

Turk fece cenno a Lila ed ad altri quattro cavalieri e, con i loro draghi, partirono per la capitale, mentre gli altri decisero di rimanere in attesa degli eventi: partire per la ricerca della seconda nave senza sapere cosa voleva il re significava dividere le forze in caso di necessità e di dare ai maghi tutto il potere di controllo sul re e sulle tecnologie trovate.

La capitale, ove viveva il re, era una delle più grandi città del pianeta, anche se non vi vivevano più di un milione di persone.

Aveva larghe strade e gli edifici erano per lo più uffici statali.

Le costruzioni erano tutte basse e molto ampie, con all'interno molti giardini.

Il Palazzo Reale, però, non era al centro della città, ma si trovava verso nord, sopra delle colline che guardavano la città, con un fiume che vi passava sotto, formando un cascata prima di entrare in città.

Il palazzo aveva davanti a sé un enorme giardino, con tante fontane con giochi d'acqua.

L'ingresso del palazzo era un colonnato semicircolare, che dava su una piazza con, al centro, una enorme fontana con sopra dei draghi, che anziché lanciare fiamme lanciavano acqua verso il cielo.

Il drago di Turk aveva sempre avuto da ridire di quella fontana, ogni volta che andavano al Palazzo Reale, e anche questa volta non esitò a lamentarsi.

Turk non ci fece caso e lo diresse verso il retro del palazzo, dove vi erano le scuderie di animali a sei zampe, che venivano cavalcati dagli uomini, per divertimento o per necessità.

Al loro arrivo, gli animali nelle scuderie rumoreggiarono, mentre i draghi si divertivano a emettere alti rumori per spaventare i presenti.

Turk scese dal drago e gli diede forti colpi alla base del collo, per farlo smettere.

Nella sala del re vi erano già presenti tutti i connestabili della città, i maghi, gli alchimisti, le dame e vari altri personaggi che giravano intorno al palazzo del re.

Turk notò che i maghi e gli alchimisti si erano suddivisi in gruppi, circa sei: erano decisamente le correnti di pensiero che esistevano all'interno delle congregazioni.

Turk si fermò all'inizio della sala: il re lo vide e iniziò a parlare.

“Bene, signori. Mi devo complimentare con voi per il successo della missione. Ora il problema è di capire chi deve utilizzare tutte le conoscenze che ci avete portato e come svilupparle. So già che ognuno di voi vorrebbe l’onore di comandare una simile squadra di lavoratori, ma ho deciso, dato che la tecnologia che ci avete portato è per tutti, maghi e no, di costruire, non lontano da qui, in mezzo i monti, anzi, dentro ai monti, dei laboratori per sviluppare le tecnologie e trovare il modo di utilizzarle.

I presenti guardarono stupidi il re: in poche parole aveva messo a tacere mesi di discussione prima del viaggio e dopo che questo si era rilevato un successo.

“Capisco il vostro stupore, ma, come capirete, ci vogliono mezzi e i mezzi costano, anche se sul nostro pianeta non esiste il denaro, ma del materiale dovrà essere acquistato fuori del pianeta, e di certo non vorrete fare una guerra a tutti i nostri vicini.”

Il re guardò di traverso i cavalieri e i maghi, alcuni dei quali, spesso, avevano previsto una tale situazione, ma parecchi dei connestabili erano contrari a questa evenienza.

Turk guardò il Maestro, ma il volto del Maestro non fece una piega

Turk avanzò.

“Mi deve scusare, sire.” Disse Turk, ad alta voce, in maniera tale che tutti lo sentissero, e prima che il re potesse controbattere o fermarlo riprese a parlare.

“Capisco che la tecnologia che abbiamo portato è unica e che il nostro pianeta potrebbe non avere tutto il necessario, ma dobbiamo trovare ancora la seconda nave che atterrò su questi pianeta, e che ormai siamo certi sia atterrata qui. Dobbiamo solo trovarla, e poi tutte queste discussioni saranno inutili.”

“Voi credete!” Chi parlava era uno dei dignitari più importanti, un certo Krimiro Lorfed, che partecipava spesso alle riunioni segrete con il re.

“Voi pensate davvero che trovata la seconda nave le discussioni finiranno. Prima dovete trovarla, poi dovete scoprirne il segreto e poi, non so come, dovrete distribuire a tutti la tecnologia. Pensate davvero che sia così semplice, caro Turk, senza un impegno di tutti, un impegno incondizionato, alla riuscita del progetto? O pensate che, appena scoperto il necessario, nasconderete ancora tutto, in attesa di tempi migliori, di una presa di potere da parte vostra…”

“Abbiamo più volte detto che non ci interessa il potere…” Rispose Turk. ”Di quel tipo di potere non sappiamo cosa farcene.. tenetevelo…noi vogliamo solo ampliare la nostra conoscenza…”

“Si certo, la vostra conoscenza.” Il re si intromise, con fare deciso “La vostra conoscenza solo già talmente ampie: che cosa ancora volete non riusciamo a capire. È ora che ci diciate esattamente cosa volete, Turk? Metà del pianeta è sotto il comando delle vostre famiglie e di quelle dei maghi, la gente ha sì la tecnologia necessaria per vivere bene, ma alcuni poveri disgraziati vivono ancora in grotte o in capanne, solo perché le vostre famiglie lì ce li hanno messe e lì ce le vogliono. No, cari cavalieri e maghi, non basta la vostra tecnologia a far tacere il re. No!” Il re si diresse verso il trono e vi ci sedette sopra.

“Volete il vostro sapere? Lasciate liberi i nostri fratelli di tornare da noi e di vivere come devono…”

“Si è già parlato di questo…” Il Maestro avanzò, pericolosamente, verso il trono. “Sono i nostri servitori…”

“Sì, come no…” Lorfed si mosse vero il Maestro. “Tenuti al guinzaglio come cani con la magia. Fino a quando non saranno liberi, veramente liberi di scegliere dove vivere, la tecnologia verrà da noi controllata. Lo sapete benissimo che di gente come il Generale l’universo ne è pieno. Anzi, durante la vostra assenza, siamo venuti in contato con altri, interessati alla nostra tecnologia e a liberarsi di gente come voi.”

Turk si stupì: come era possibile che i suoi, rimasti sul pianeta a controllare, non lo avevano avvisato di ciò.

Turk si avvicinò al Maestro e lo prese per un braccio.

Era inutile litigare senza sapere cosa stava succedendo.

Gli sguardi dei cavalieri e dei maghi incrociarono quelli dei dignitari e del re: un solo cenno e lì dentro si sarebbe scatenato l’inferno.

Turk e il Maestro indietreggiarono, inchinandosi al re.

“Sia come vuole sua maestà!” Dissero all’unisono.

Il re rise beffardamente, ma non sapeva in che guaio si era appena cacciato.

I cavalieri, i maghi e gli alchimisti si allontanarono, lasciando i funzionari e i dignitari a parlottare con il re.

“Lo sai che abbiamo sbagliato!” Disse il Maestro a Turk.

“Non qui!” Rispose deciso Turk.

Il gruppo uscì dalla reggia e si diresse verso le stalle, dove i draghi se la ridevano alla grande, spaventando continuamente gli animali e gli uomini.

“Basta!” Urlò Turk.

Poi, rivolgendosi al Maestro “Qualcuno dei nostri fa il furbo, caro il mio maestro, e non vorrei che fossero i vostri più fidati consiglieri…” Guardando dritto negli occhi alcuni anziani, che si erano messi dietro al mago.

“Non mi sembra il momento di litigare, Turk.” disse Laila, toccando amorevolmente il braccio destro di Turk.

Turk guardò truce il Maestro, che sostenne lo sguardo del cavaliere, ben sapendo che Turk aveva ragione.

I cavalieri si diressero ai draghi e se ne andarono, tornado al loro palazzo, mentre il Maestro faceva un cenno ai suoi di tacere.

Tanta fatica per poi essere traditi, ma da chi e come era ancora da scoprire.

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Capitolo 5
*** Il Laboratorio ***


Come aveva detto il re, alcuni giorni dopo iniziò la costruzione del laboratorio all’interno di una montagna, posizionata non molto lontana dalla capitale.

Scimourg era stato incaricato dal re di supervisionare i lavori.

Mentre Utlim era ancora occupato con i macchinari sotto l’edificio in montagna.

Non che la cosa lo facesse contento, ma la ricerca della seconda nave era diventata per tutti un incubo: le congregazioni e le tribù la cercarono in lungo e in largo per il pianeta, compreso una parte del mare, ove in alcune zone era troppo profondo per qualsiasi mezzo, fino a quel momento, inventato o costruito su quel pianeta.

Turk aveva pensato a quella possibilità, se non addirittura a chiedere aiuto al Generale, ma l’idea non piacque a nessuno di quelli con cui ne aveva parlato e la questione non fu più trattata.

Ma con l’andare del tempo, la possibilità che la nave fosse la in fondo, persa chissà dove, inizio a riempire i pensieri di maghi, cavalieri, alchimisti e non maghi.

Le ricerche, dopo più di sessanta giorni solari, furono abbandonate, per puntare sullo sviluppo del laboratorio, che comunque avrebbe richiesto tempo.

Intanto, nei piccoli laboratori dispersi per il pianeta, tutto ciò che era stato trovato sul pianeta natale veniva studiato e sezionato, cercando di sviluppare una tecnologia simile a quella di cui era in possesso il Generale, visto che la prima nave era inutilizzabile e la seconda era introvabile.

Scimourg e Utlim si ritrovarono con il re nell’enorme salone dopo più di cinque mesi.

“Allora Utlim, scoperto qualcosa?” Chiese il re.

“Mah.. secondo me i macchinari che avete recuperato, sire, non funzionano… anzi… sembrano fuori uso. Ho tentato più volte di controllare i sistemi, di ripristinarli, ma niente. Siete sicuro che questi macchinari funzionavano, ai tempi…” Chiese Utlim, in modo umile.

Il re si fece serioso.

Il fatto che i macchinari funzionassero gli era stata trasmesso dal suo predecessore.

Ma ormai era morto e di certo non lo poteva togliere dalla tomba per chiederglielo.

Il silenzio scese tra i tre uomini, mentre il rumore di sottofondo dei macchinari continua imperterrito, ronzando nelle orecchie dei tre.

“Avete usato tutte le procedure?” Chiese il re.

“Tutte… in che senso?” chiese Scimourg.

“Una volta c’era un manuale…” Il re si avvicinò ai macchinari, tastando con la mano sotto il tavolo, da cui ne tirò fuori un voluminoso libro.

Il re incominciò a sfogliare il libro, con la polvere che voleva di qui e di là, facendo tossire i presenti.

Il re si fermò a circa metà del libro e indicò a Utlim un paragrafo: parlava di un riavvio dei sistemi in caso di mal funzionamento.

Utlim si mese al lavoro e, poco dopo, i macchinari si riavviarono in modo completamente diversa.

Si accesero altri monitor, oltre ad un enorme monitor piatto appeso alla parete di fronte ai tre.

Quello che indicava era sicuramente qualcosa di metallo, posto in mezzo ad un deserto… di acqua.

Il re borbottò, Scimourg lancio vari accidenti e Utlim continuò a leggere il libro, fino a trovare quello che cercava.

“Si può comandare da qui la nave, signore!” Disse Utlim ai due.

“Sì! Così se lo muoviamo da qui, tutti sapranno di questo e di noi. Se non lo muoviamo, bisogna inventare qualcosa per sollevarla, ma i macchinari mancanti si vedranno…”

Utlim fu interrotto, con una mano, dal re.

“I macchinari non erano una parte della nave, per cui nessuno ne noterà la mancanza… erano sulla prima nave. Facciamo così…” Il re rimase un attimo silenzioso. “Ormai hanno smesso di cercarla, le tempeste tra un mese ricominceranno in quella zona.. quando ne verrà una un po’ più forte, la nave verrà sospinta da una corrente sottomarina verso fondali più bassi, dove verrà trovata… si, ma da chi. È in una zona dove non ci va nessuno…”

“Errato, mio sire.” Scimourg si era avvicinato all’enorme monitor. “Non è segnato il nuovo villaggio che, per ordine vostro, verrà costruito lì per aumentare la pesca nella zona, visto che la gente non ha lavoro e lì gli … sono numerosi, in branchi. Magari una università metterà lì una sede per aiutare i pescatori migliorare la pesca.”

I tre si misero a ridere a crepapelle.

“Bella idea, Scimourg. Siete un genio.” Disse il re, con gli occhi piangenti.

“E gli altri.. dobbiamo avvisarli?” Chiese Utlim.

“Sì. Metteteli sul chi vive. Abbiamo solo tre mesi per preparare tutto. Chiamate tutti. Prima ci muoviamo, prima risolviamo questa storia.” Disse il re.

“E gli altri… quelli che sono con il Generale?” Chiese Scimourg.

“Da quanto non li contattiamo?” Il re guardò Scimourg in modo preoccupato.

Utlim abbassò la testa e Scimourg fece lo stesso.

“Non hanno più comunicato da quando sono partiti da qui, con il Generale. Forse li abbiamo persi.. Forse…” Scimourg parlava a bassa voce, prostrato.

“Contattateli e fatevi dire cosa succede. Forse hanno trovato il resto e la cosa non mi piace.”

Il re disse l’ultima frase mentre se ne stava già andando.

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Capitolo 6
*** La Nave ***


Il mare su cui si affacciava il villaggio di pescatori voluto dal re, per editto, era dii uno strano colore verde chiaro, sempre con onde alte, che si infrangevano contro la spiaggia posta proprio di fronte al villaggio.

Scimourg controllava di persona la costruzione dle nuovo villaggio, oltre alla costruzione del distaccamento dell’università per gli studi dei kala.

Insieme a Scimourg era venuto al villaggio anche uno strano ragazzo, magro, vestito con tuniche lunghe, capelli corti, viso scavato, carnagione chiara, che teneva sempre gli occhi bassi, timoroso del mondo che lo circondava.

Scimourg lo guardò e gli si avvicinò, rassicurandolo.

“Che problemi hai, Klimourg? Qualcosa ti spaventa?” Scimourg si mostrò affabile con il ragazzo, che teneva in mano un sacco di fogli.

“E non capisco perché continui a portarti dietro tutta quella carta? Il computer te lo hanno dato in dotazione o no?”

“Sì… ma…” Il ragazzo balbettava sempre e la cosa faceva impazzire Scimourg.

“Io non capisco perché il re tutte le volte vuole che ti porti dietro? Sei più pesante di una pietra!”

Sul tentativo di Klimourg di replicare, Scimourg alzò una mano e si allontanò.

Klimourg risa tra sé: il fatto che sembrasse un genio imbranato lo aiutava, sempre, in ogni occasione.

Klimourg guardò verso il mare e vide qualcosa di enorme fare capolino tra le onde.

Quando cercò di vedere meglio, l’animale era sparito.

Klimourg sentì anche qualcosa di strano, nella testa.

Gli era già capitato, quando stava vicino ai draghi, ma non così forte.

“Klimourg… muoviti… dannato ragazzo!” La voce di Scimourg lo riportò alla ewalta e riprese il suo fare da imbranato, correndo dietro a Scimourg in modo alquanto goffo.

La costruzione del villaggio, del porto e del laboratorio proseguiva alacremente, mentre i pescatori avevano incominciato a pescare nel mare.

I kala erano numerosi, di varie specie, alcune mai viste, ma non proprio tutte erano commestibili per gli umani.

La selezione che fecero gli scienziati aiutarono parecchio i pescatori, che ogni volta ributtavano in mare i kala non buoni, che finivano in bocca di pesci più grossi o degli kajakad, volati bianchi, di grosse dimensioni, con la fine delle ali nere come il carbone.

Un giorno, però, successe l’imprevedibile.

Sul peschereccio, un grosso peschereggio d’altura, c’erano Scimourg e Klimourg, per un giro di controllo sulla pesca.

Tirate le reti da pesca sul peschereccio, i pescatori iniziarono a buttare a mare i pesci non buoni, ma all’improvviso quella enorme creatura uscì dal mare, urlando in contemporanea a Klimourg, che più che per lo spavento urlava per l’enorme mal di testa che gli era venuto.

Il motro aveva un’enorme testone, di forma piatta e ovale, con uan bocca enorme e una fila di denti che uscivano dalle labbre della bocca.

Il corpo era grosso, lungo, con quattro pinne e uan coda piatta e di colore bianco.

Lo stesso animale, all’iurlo di Klimourg, si spaventò, tuffandosi all’indietro nel mare e sparendo alla vista di tutti.

Lo spavento sul peschereccio fu enorme, ma visto il mosgtro andarsene, tutto tornò tranquillo e tutti ripreso a lavorare, tranne Scimourg che portò sottocoperta Klimour, molto provato.

Scimourg aiutò il ragazzo a sdraiarsi su una brandina e si preoccupò subito di capire cosa era successo.

“Mi ha letto nel pensiero!” Disse subito Klimourg

“Ti sei talmente spaventato che ti è sparito il balbettio!” Disse Scimourg.

Klimourg sposto di colpo scimourg.

“Non ho mai balbettato, vecchio idiota” Disse Klimourg, in modo deciso.

“Lo sapevo che facevi apposta, furbone!” Disse Scimourg seduto sul pavimento.

Tutta quella ciccia lo faceva sembrare un enorme cuscino.

“Dannazione! Peggio di avere a che fare co un drago!”

Klimourg continuava a fregarsi la testa con la mano destra, mentre con la sinistra si appoggiava alla brandina.

Scimourg si alzò, con uno scatto felino, dal pavimento.

“Anche voi non sembrate quello che siete!” Disse Klimourg.

Scimourg fece un sorriso e si avvicinò al ragazzo, sedendosi sulla brandina.

I due si guardarono e poi si misero a ridere.

“È meglio se continuiamo a fare gli attori, mio caro Klimourg. Anche se sarò costretto a dire tutto  al re.” Disse Scimourg, accostandosi a Klimourg.

Proprio in quel mentre uno dei pescatori entro nella cabina, urlando qualcosa di incomprensibile.

Mentre Scimourg tentava di calmarlo, Klimourg ricominciò ad urlare, toccandosi la testa.

Scimourg urlò al marinaio di dire al comandante di tornare al porto.

Il marinaio uscì, mentre Scimourg soccorreva Klimourg urlante di dolore.

La nave sbando a destra e si sentì il motore che aumentava di giri, mentre le urla di Klimourg calavano mano a mano che la nave si avvicinava a terra.

Il mostro fece sentire il suo verso ancora per poco, poi sparì negli abissi.

A terra Klimourg fu soccorso da degli alchimisti, presenti sul posto all’interno della università.

Scimourg, invece, si diresse verso la sua capanna, mettendosi in contatto con il re: gli disse del mostro, ma non scese in particolari per Klimourg.

Il re gli disse di rientrare con il ragazzo e di portarlo nella cripta.

Scimourg cercò di far ragionare il re, ma non ne volle sapere: Klimourg non era un mago, non era un cavaliere e non era un alchimista e, qualsiasi cosa fosse, bisognava capire il perché di quello che gli succedeva.

Il mostro si rifece vedere i giorni successivi, finché Klimourg non se ne andò dal villaggio.

Dopo al partenza di Klimourg, il mostro, come era apparso, scomparve.

Con grande felicità dei pescatori, degli alchimisti, degli scienziati e lasciando nella disperazione il re, Scimourg, Utlim e Klimourg.

Klimourg fu accompagnato da Scimourg, bendato, nel salone della congregazione.

Il re personalmente gli tolse la benda, cercando di capire cosa succedeva.

“Allora, Klimourg. Discendi da una famiglia di gente normale, i tuoi sono contadini e sono riusciti, con fatica, a farti studiare. E tu ti sei impegnato, anche se i professori non capivano come tu potessi sapere i risultati in anticipo.” Il re si passo la mano destra sulla barba, pensieroso.

“Comunque” Continuò il re “ ora che sei qui dobbiamo capire. E siccome la cosa potrebbe essere più complicata del dovuto, sei arruolato, contro la tua volontà, nella Congregazione del Futuro. Un po’ segreta, necessariamente, ma viva, da secoli, a far sì che coloro che sono dotati di poteri particolari, ossia i maghi, non sottomettano coloro che non li hanno, cioè i non maghi. Ora, Klimourg, essendo tu un non mago, come è possibile che quel grazioso mostro (e il re sottolineò con la voce il grazioso) ti insegua?”

“Non lo so, Signore.” Disse Klimourg, alquanto preoccupato.

“Sire, nessuno non mago e mai diventato mago.” Disse Scimourg.

“Non ne sono sicuro.” Disse il re. ”Non ne sono sicuro. Qualcosa mi dice che la cosa è già successa, ma è stata messa a tacere.”

Il re si diresse verso i macchinari e incominciò a schiacciare tasti, mentre i monitor incominciavano a presentare dati a più non posso.

“Ecco qui.” Disse Utlim, indicando un monitor.

Tutti i presenti vi si diressero, cercando di capire cosa c’era scritto.

Klimourg stava per dire, balbettando, che riusciva, incredibilmente, a leggere quella scrittura, e tutti lo guardarono.

Per Klimourg fu un colpo e svenne.

I tre uomini lo guardarono afflosciarsi sul pavimento, ridendo a crepapelle.

Quando Klimourg rinvenne, su di lui c’erano due volti femminili che lo squadravano.

Una aveva i capelli scompigliati, l’altra emanava uno strano odore.

Klimourg storse il naso e la ragazza se ne accorse.

“Perché quella faccia?” Disse Layla, guardando Nail che se la rideva.

“Per colpa dei draghi esageri sempre con il profumo, mai cara!” Disse beffardamente Nail.

Layla aveva già messo mano alla spada, quando il re intervenne.

“Sarà meglio alzare il ragazzo da terra!” disse il re, mentre Utlim e Scimourg lo alzavano.

Klimourg continuava a fare quella faccia strana, che dava decisamente fastidio a Layla, ma faceva ridere come una matta Nail.

“Signore, basta!” Disse il re. “Abbiamo un problema più grande di quanto pensate. “È possibile che un mostro marino sia l’evoluzione di un drago?”

“E io che ne so?” Disse Layla, scorbuticamente.

“Ma se sul pianeta madre avete trovato quello strano animale.. cosa cavolo era..?’” Disse Scimourg.

“Un varano… un enorme varano…”Disse Nail con sufficienza.

“Già. Che il drago di Turk ha eliminato in un attimo. Bell’affare!” Disse il re.

Tutti si fecero pensierosi: di certo il drago di Turk aveva colto l’attimo fuggente e aveva ucciso il varano prima che uccidesse Hunter, forse.

Layla si rabbui in volto, pensierosa.

“Sì. Forse avete ragione.” Layla guardò dritto negli occhi il re. “Non è detto che un drago sia per forza qualcosa come i nostri. Potrebbero essersi evoluti in qualche altro essere vivente. L’importante è la natura, non la forma dell’essere che ci aiuta.”

“Quindi il mostro potrebbe essere un drago: non vola nell’aria, ma nell’acqua. Potrebbe essere più utile di quanto non pensiamo. Lui potrebbe trovare la nave!” Disse Utlim.

“Quale nave?” Chiesero in coro Nail e Layla.

Il re sorrise e il volto di Nail si riempì di meraviglia.

è davvero lì?” Chiese Layla.

Klimourg si era alzato e si avvicinò ai monitor.

La nave, l’enorme nave spaziale era lì, in fondo al mare, con parecchi animali acquatici che gli giravano intorno, alcuni piccoli e altri enormi.

Tutti rimasero lì a guardare solo gli animali che sembrava che entravano ed uscivano dalla nave.

Rimasero lì fino a sera, poi tutti partirono.

Nail per tornare al palazzo dei maghi nella capitale.

Layla alla sua casa natale (che se ne dicesse, non si era ancora decisa a sposare Turk).

Il re torno a palazzo.

Utlim tornò ai suoi studi.

Scimourg e Klimourg tornarono sulla città al mare.

Ora che sapevano cosa c’era là sotto, era meglio studiare un piano migliore: se la nave fosse uscita allo scoperto senza controllare quei mostri o draghi marini che erano, sarebbe successo qualcosa di incontrollabile.

Aspettare non era la cosa migliore, ma non si poteva fare diversamente.

Intanto i maghi, i cavalieri e gli alchimisti continuavano nel loro intenso lavoro sui documenti riportati dal viaggio sul pianeta natale.

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