Di spiriti, tesori e tempo

di MadogV
(/viewuser.php?uid=894323)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** L'ocarina del passato ***
Capitolo 3: *** Cappellai,barbieri e altri a Londinium ***
Capitolo 4: *** Il sopra è sotto e viceversa ***
Capitolo 5: *** Tigre, oh tigre ***
Capitolo 6: *** Luce del palco ***
Capitolo 7: *** Nodus Gordi ***
Capitolo 8: *** Long John Silver ***
Capitolo 9: *** Intermezzo ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Ed eccomi con una nuova long che prometto di non abbandonare, in quanto ho già tutto pronto nella mia testa. Appena arrivato al capitolo 4, riprenderò la long di Arendelle.

Questo è solo il prologo.

 

La battaglia di Heiligenstadt era stata lunga e dolorosa, molti suoi amici erano morti e molte cose erano state cambiate, se non stravolte.

In quella battaglia però aveva trovato un inaspettato alleato, nonché un amico sincero, e un altro ne aveva ritrovato e di un altro ancora aveva saputo la fine.

E vent’anni passarono dall’allora, senza che Jim non ci ritornasse con la mente ogni giorno.

Ora che era prossimo alla pensione, che gli impegni militari non lo ingombravano più, decise di salpare, una lunga crociera, prima di ritirarsi di nuovo al Benbow Inn di Montressor, per non salpare più.

I venti dell'Etherium soffiavano placidi spingendo la goletta Horfes lungo le correnti, a largo della massa del Cigno e tutto sembrava andare tranquillo.

Anche il cielo, di un colore rosato, sembrava promettere quiete; e se non fosse stato per il ronzio delle vele solari, avrebbe regnato sovrano il silenzio.

Jim Hawkins, coi capelli ingrigiti, col volto solcato dalle intemperie, stava scamiciato a prua, immerso nei suoi pensieri, aveva avuto di che discutere col suo secondo.

Lo scricchiolio leggero delle assi del ponte rivelarono l’arrivo di qualcuno.

Si girò di scatto ed era Wendy Moira Angela Darling, radiosa come non mai, in una camicetta alla marinara e calzoni alla zuava.

Anche con lei il tempo non era stato clemente, ma nei suoi occhi si leggeva ancora tutta la sua fermezza e il suo coraggio.

 Jim accennò un sorriso nella sua direzione, poi la giovane esplose un colpo dal fulminatore, che aveva in mano, prendendolo in pieno petto.

 A quel punto Jim emise un rantolo e stramazzo al suolo

Poi dalla cambusa emersero gli uomini di scorta, richiamati dallo sparo.

Wendy lasciò cadere l’arma e si consegnò senza fare storie, mentre in cima all’albero maestro un gatto violaceo, dall’inquietante sorriso, disse prima di evanescere:” Il gioco è cominciato”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'ocarina del passato ***


Capitolo piuttosto breve, lo so, ma è così che deve andare e no, non c’entra la fretta e una mia scelta, anche i prossimi capitoli saranno piuttosto brevi, perché preferisco creare una certa atmosfera e quindi meglio un capitolo breve, ma compendioso, che uno lungo e sconclusionato, con troppe informazioni.

“when there is no more rum, comes Belzebù Yo-oh-oh Yo-oh-oh

corsair you are, you have to sail the sea

hoist the color, forge your honor

but be attenction to your actions

because when  ends rum, comes Belzebù Yo-oh-oh Yo-oh-oh. “

Era la canzone che ormai cantava anche lui, era la canzone della ciurma di Capitan Uncino.

Sulla coffa se ne stava, suonando l’ocarina, quando fu chiamato d’abbasso.

“Giovanotto.” Incominciò Uncino:” Mozzo sei arrivato e pirata sei diventato, grazie alle tue impareggiabili doti, ma ora basta cincischiare. Spugna provvedi ad informare il giovane della missione.”

Spugna si schiari la gola e incominciò con tono solenne, ma lievemente nasale:” Tu e tre dei migliori pirati scenderete sulla terra ferma, dove tu suonerai la tua ocarina e loro si apposteranno. Quando Pan, attirato dalla tua musica si presenterà, noi lo uccideremo.”

“E cosa vi fa pensare che Pan verrà?” Chiese

Uncino batte forte il pugno sul tavolo e disse:” Tuoni e fulmini, nei siamo certi. Vedi mentre tu suonavi ci siamo accorti, che furtivo scivolava Pan e veniva per ascoltare te, Jim Hawkins.”

“Capisco.” Disse Jim e poi, direttosi sul ponte, chiese quali fossero i suoi compagni di ventura.

Spugna gli indicò, allora, un pirata color del mogano, dagli scintillanti baffi neri e dallo sguardo torvo: il suo nome era Montblanc.

Poi un altro pirata, simile in tutto e per tutto a un grosso tronco sbozzato con l’accetta e con una la guancia segnata da una livida cicatrice: Bourbon lo chiamavano.

E infine, quello che da tempo era diventato il miglior amico di Jim, Shanks, detto il rosso per via dei sui capelli, ma era conosciuto anche come capello di paglia, per via del suo inseparabile cappello fatto di quel materiale e che a suo dire lo aiutava nel prendere meglio la mira.

Cosi fu calata una scialuppa, con abbordo un piccolo cannoncino, giusto nel caso l’approdo riservasse sorprese.

 A Jim l’Isola che non C’è dava, nonostante la lussureggiante e colorata natura, sempre un’impressione di cupezza, di morte, di angoscia profonda e i suoi sogni non l’aiutavano.

E cosi, schioppo alla mano, seduto sulla canoa, che furtiva scivolava, lanciava lunghe occhiate di qua e di là, e così anche i suoi tre compagni di barca, a un certo punto Shanks si avvicinò al ragazzo e gli poggiò una mano sulla spalla con fare paterno: Ancora quello strano sogno, ragazzo?”

“Si vecchio mio, ancora quello strano sogno, con quella strana e triste ragazza e quello strano e inquietante gatto.” Rispose Jim.

Stava di nuovo per piombare in uno stato di ambascia, quando vide di fronte a sé un movimento sospetto nella radura che avrebbe funto loro d’approdo e rapido fece caricare il cannone a mitraglia e per tre volte piovve morte, sollevando ogni volta una densa polvere di sabbia fina.

Quando la polvere si fu posata, lo scenario che si parava innanzi era quello di una dozzina di pellerossa crepati dalle suddette cannonate.

“Ci sai fare con quel cannone, ragazzo.” Si complimentò Bourbon, una volta sbarcati.

Intanto Shanks stava sforacchiando, con la sua spada, i cadaveri dei trucidati, il che non piacque a Jim.

“Non c’è più rispetto per i morti?” Chiese indignato.

“Sei morti non sono morti diventano pericoli, per questo conviene fare dei morti, dei morti molto morti.” Rispose Shanks con pacatezza, anzi quasi con distacco.

Poi continuò:” Anche se le cannonate hanno allarmato le nostre prede, occorre che tu Jim raggiunga il punto prestabilito e che non ci appostiamo. Il cannone lo lasciamo qui, sarebbe sprecato contro quel demonio di Pan.”

Il punto prestabilito era una radura con una gorgogliante cascata e uno specchio d’acqua limpidissimo in cui nuotavano pesci di variopinti e cangianti colori, e qui arrivò Jim, sedendosi su di una roccia che permettesse una visuale su ogni punto di agguato o di fuga.

Suonò l’ocarina fino a farsi venire mal alla faccia, ma di Pan non c’era traccia; poi all’improvviso se lo vide apparire, con le gambe incrociate, a mezzaria, tutto sorridente.

“Sei bravo, pirata” Disse

“Grazie” Fu la risposta.

“Ho due domande da farti, pirata.”

“Spara?”

“Dove hai preso quell’ocarina? E, quei simpaticoni li nascosti, immagino siano il comitato di benvenuto, giusto?”

“Non ricordo dove l’ho presa o se qualcuno me l’ha data e si quello è il comitato d’accoglienza.” Rispose Jim, facendo un lieve cenno con la mano.

Bourbon li appostato era pronto a sparare, ma fu fermato da Shanks.

“Che c’è?” Mugugnò il pirata.

E il rosso rispose:” Andiamo, siamo circondati e meglio evitare lo scontro.”

Ma Bourbon non gli diede retta e spuntò dal suo rifugio, sparando a tutto spiano, ma in quel momento sbucarono i bambini perduti e i pirati furono costretti a battere in ritirata.

Purtroppo lungo la fuga, nel tentativo di salvare Shanks, fu Jim a rimetterci le penne, che si accasciò al suolo ferito al fianco.

Fu portato sulla barca, dove però le sue condizioni erano così gravi che non si poté fare niente e in breve spirò.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cappellai,barbieri e altri a Londinium ***


Altro capitolo breve, come il prossimo e poi basta, saranno tutti belli lunghi e corposi gli altri

Era uscito da Sottomondo, o il Paese delle Meraviglie, perché urgeva il suo aiuto nel Mondo di qui, ma ora si sentiva perso, Londinium era completamente triplicata dal suo ultimo viaggio e le vie perdevano lentamente la loro familiarità; solo la pioggia e l’umidità sembravano dargli la certezza che quella fosse ancora la Londinium di tanto tempo fa.

La sua Alice era stata chiara: “Cappellaio, mio fedele amico, c’è una persona del Mondo di qui che abbisogna urgentemente del nostro aiuto, perché un suo amico si è perso.”

Cosi lesto come poteva, cilindro d’ordinanza, si era presentato al varco e aveva poi raggiunto il Mondo di qui.

Chi doveva cercare era Wendy Moira Angela Darling, che si trova in prigione per l’omicidio del capitano della Horfes, Jim Hawkins.

Solo che, per tutti i tessuti sfavillanti, quella maledetta prigione non era più al suo posto, era stata demolita e spostata in un’altra zona: Fleet Street.

Ora, preso Oakenshield Allen e sbucati in Pequod Place, sede dell’accademia della marina, il Cappellaio aveva dato di matto, perché non sapeva più dove andare dato che Impasse street era stata chiusa e c’era una biforcazione: Hyde Road e Seek Street, ma dove andare?

Fu costretto a chiedere e un londinese, con la faccia di ratto, che gli indicò la via da prendere, che era Snare Avenue.

E cosi, cercando di confondersi, alla meglio e peggio, con i londinesi (fatica sprecata, perché per questi è l’ordinario a essere straordinario) si lanciò verso Snare Avenue, ciondolando allegramente il bastone, con il cappello calato a tre quarti.

Giunto alla fine della strada, incappò in un monello che gli disse che Ichabod Crane lo attendeva al solito posto e che il guaio del Cappellaio era risolto, dato che Wendy era libera.

Contento come una pasqua, quasi come nel giorno Gioiglorioso, si avviò quindi verso la vecchia fabbrica abbandonata Winka Wonky, un cioccolataio finito al gabbio per, accuse non affatto speciose, di pedofilia.

Ma una volta arrivato lì, di Crane non c’era traccia, c’era invero traccia di un altro uomo: ossuto, dai capelli, di un colore cinereo, scarmigliati e con un pallore mortale che gli aleggiava nel volto, ma non negli occhi, carichi di un livore che prometteva morte.

“Mr Sweeney Todd.” Disse con affettazione il cappellaio:” Credevo di averla esiliata durante il giorno Esiliante. Che ci fa qui, una schifobrancicosa cosa come lei?”

“è colpa del guaio, che l’amica della tua amica ha combinato” Disse sorridendo malvagiamente:” Ora tutti noi siamo liberi e tutti i mondi sono vicini al collasso.”

“Acciderbolina, questo è un guaio.” E si lanciò verso l’uscita, alla ricerca del varco per tornare a Sottomondo e avvertire Alice e gli altri, che la situazione era più pericolosa di quanto pensasse.

Ma mentre era alla porta, un lampo argento gli passo a pochi centimetri dal volto e lo fece voltare verso il barbiere, che era ritto in piedi, con le mani sui suoi fedelissimi amici.

“Rasoi contro stocco, allora.” Gridò giubilante il Cappellaio.

E rapido si scagliò contro il suo avversario, ma questi si rivelò più lesto e lo feri ad un braccio.

“Sciocco Altocilindro, mentre tu teavi (come dici tu-teare=darsi al tè) e giocavi, io mi allenavo.” Ribatte divertito Todd:” Ora, qui, regoleremo il nostro conto.”

Nonostante la situazione non fosse certo facile, il Cappellaio, matto come un cavallo, rideva divertito, sarebbe stata una giornata memorabile.

Quindi di nuovo si rilanciò contro l’avversario, il quale pensando di poter colpire di nuovo di rapina, rimase invece a sua volta ferito.

“Notevole.” Mugugnò e poi fece roteare i suoi rasoi.

Nonostante la differenza d’arma, i due contendenti combattevano ad armi pari, alla maggior portata dello stocco del cappellaio, il barbiere rispondeva con una velocita di schivata notevole e alla sua velocità, il cappellaio rispondeva con una difesa quasi impenetrabile.

La vecchia fabbrica di cioccolata risuonava ed echeggiava tutta del clangore delle lame e delle risa follemente divertite del Cappellaio.

Ogni colpo, ogni stoccata era schivata e ogni schivata diventava una finta o una parata, da cui sbocciava un nuovo attacco.

Purtroppo la superiorità tecnica di Todd non poteva reggere a lungo contro la superiorità dell’arma del Cappellaio e infatti, perse prima l’uno e poi l’altro rasoio.

A quel punto il Cappellaio rinfoderò il suo stocco e disse:” Se permetti, ora me ne andrei. Cioè, non ti offendere, mi sono divertito, ma vedi, tu sei il problema e io devo avvisare Sottomondo della tua esistenza.”

Poi fece per andarsene, ma si rigirò, estrasse lo stocco e trapasso Toad alla gamba.

“Giusto per sicurezza.” Disse sorridendo con garbo.

Ma quando fu alla porta, si trovò di fronte ad un’ombra, che, sgarbatamente, gli sparò a bruciapelo.

“Capitan Jack Sparrow, comprendi?” Disse

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il sopra è sotto e viceversa ***


Ultimo capitolo breve e dal prossimo, gettata la trama, si comincia a fare sul serio.

Ps. Da sherlockiano sfegatato, ho inserito una citazione di Holmes, palese e al limite del plagio (spero che questo non mi crei problemi, se si avvertitemi senza cancellare il lavoro o bannarmi e provvederò a modificare il tutto)

Ps.ps. Ci sono citazioni come si piovesse.

Ps.ps.ps. Le idee espresse in questa opera appartengono all’epoca in cui sono collocate e ai personaggi, io non sostengo in alcun modo le idee espresse. (Come diceva Oscar Wilde- l’autore non deve essere ritenuto colpevole dell’agire dei suoi personaggi.)

La casa correzionale Pie Vergini Assassine, che sorgeva sul i resti del vecchio Arkham Asylum, era niente più che una grossa serie di umidi e sbozzati cuboni di pietra grezza, connessi fra loro da una lunga serie di corridoi angusti; l’unica struttura che si staccava dalle altre era la Casa del Custode.

La Casa del Custode era una “simpatica” struttura in stile vittoriano, che serviva da sala di cura, leggasi meglio di tortura, per le pazienti.

Infatti le donne sono troppo stupide e passionali per poter pianificare un assassinio che non abbia altra ragione che la follia amorosa e quindi piuttosto che condannarle alla prigione, le si dichiarava isteriche e le si mandava in questa casa correzionale.

Sulla stupidità e la passionalità delle donne aveva dubbi, e anzi contestava questa faciloneria di giudizio Ichabod Crane (ma anche l’autore alza le mani e si dichiara non solo estraneo, ma anche contrario al giudizio espresso poc’anzi).

Non che lui avesse una qualche attrazione verso le donne, la sua mente fredda e puntigliosa, ma mirabilmente equilibrata, aborriva tutti i sentimenti, soprattutto l’innamoramento.

Lui era, devo ammetterlo, la più perfetta macchina dotata di capacità di ragionamento e osservazione, eppure quando arrivò lì, anche lui cominciò ad avvertire una certa tensione, che lo ghermiva, ma si fece coraggio.

Sapeva di essersi giocato, per via dei suoi metodi e delle sue scelte, molte amicizie importanti e di essersi fatti altrettanto potenti nemici, che non avrebbero aspettato un minuto per farlo a pezzi, al minimo passo falso.

E questo, più che un passo falso, sembrava una lunga camminata di passi falsi: far evadere una condannata, reo confessa per giunta, sfruttando un falso lascia passare.

Comunque era lì, perché un suo vecchio amico, a cui doveva molto, aveva fatto questa richiesta e non poteva in alcun modo venir meno, ne sarebbe andato del suo onore.

Intanto nella sua stanza/cella Wendy era in attesa che arrivasse il suo primo turno di terapia: elettroshock, immersioni in acqua gelida e altre “amorevoli” cure, dello stesso stampo delle citate; inoltre sapeva che, tanto gli infermieri, quanto i, così detti, dottori, si prendevano pesanti libertà nei confronti delle pazienti.

Ma quando si aprì la porta rimase sorpresa: la figura che era dinnanzi non era un medico, né un infermiere.

“Chi siete?” Chiese

“Il vostro avvocato.” Rispose, con un sorriso cortese.

Wendy lo squadrò e poi rispose:” Avete una faccia troppo onesta e pulita, per essere un avvocato.”

“Touché” Rispose questi, affabilmente, e poi riprese:” Io sono Ichabod Crane e le assicuro che non ho cattive intenzioni.”

“Oh, di questo ne sono sicura.” Rispose sicura, ma poi rimase perplessa da quello che lo sconosciuto si era messo a fare: aveva tirato il suo taccuino e si era messo a scribacchiare.

“Che stai facendo?” Chiese incuriosita.

“Ti sto catalogando.” Rispose lui, riprendendo: Wendy Moira Angela Darling. Esemplare di femmina umana di età, mmh, circa 27/ 28 anni. Condannata per l’omicidio del Capitan Jim Hawkins.

“Che vuol dire “esemplare di femmina umana” Chiese stupita lei:” Perché tu non lo sei?”

“Ah, scusami, certe volte lo scordo.” Rispose lui divertito, per poi spostare i suoi capelli, rivelando due lunghe orecchie a punta:” Sono un vulcaniano e sono amico di Jim Hawkins, mi manda lui.”

“Il mio Jim, come sta?” Chiese lei con un tono fra la gioia e l’ansia.

“Come potrebbe stare uno che si è preso un colpo di fulminatore in pieno petto.” Rispose impassibile.

“Ah” Fu il suo commento.

“Ora, però, mi duole darle fretta, ma tempus fuggit.” Disse, leggermente allertato e poi si rivolse alla guardia:” Porto la prigioniera 24601 a Pequod Place, perché il suo caso venga esaminato.”

La guardia non fece motto e li lasciò passare, ma quando furono fuori dalla sua portata, i due, svicolarono per altra via e salirono su di una carrozza, dalle finestre oscurate

“Tempo tiranno e io ho da darle informazioni importanti, quindi mi ascolti e mi segua.”

Wendy non rispose, ma sapeva di potersi fidare di quello strano personaggio, glielo leggeva negli occhi: due palle nere strabordanti di curiosità e ingegno, ma anche di bontà e lealtà.

“Allora mi manda Jim, deve venire con me a Sottomondo, forse lo conosce come Paese delle Meraviglie, perché Londinium non è più sicura per lei, a meno che non ritorni in vita Jim, ma anche in questo caso le probabilità sono del 0,75 %. Per arrivare a Sottomondo sono necessari dei portali, che qui a Londinium sono posti in quasi tutti i punti nevralgici. Ora stiamo andando verso una vecchia fabbrica di cioccolato abbandonata. Li troveremo un conoscente, che la porterà e mi porterà, cioè ci porterà lì dove dobbiamo andare. Il perché è presto detto: io non appartengo a Sottomondo e pur conoscendo alcuni accessi, non ho le “chiavi” per aprirli.”

Parlò per tutto il tempo, anche di altre cose, mentre Wendy, col gomito appoggiato, era immersa nei suoi tristi pensieri.

Quando arrivarono però si accorsero della brutta sorpresa.

“C’è qualcuno laggiù e suppongo che sia ferito. Urge aiuto, buonuomo?” Chiese Crane, avvicinandosi al ferito.

“Non credo che resterò ancora un po' qui a sanguinare.” Rispose l’altro.

“Gradisce del tè per caso?” Richiese di nuovo Crane

“Pasticcini, non lingue di gatto. E un velo di latte.” Fu la risposta dell’altro.

“Ma siete pazzi?” Intervenne allarmata Wendy.

“Lui leggermente, io del tutto,” Rispose il ferito, per poi scattare in piedi:” Sono il Cappellaio Matto, della famiglia degli Alti Cilindri.”

Si rimise però la mano sul fianco:” Crane, la ferita non è guarita del tutto, ma ci sono altri problemi ancor più gravi.”

“Cosa?” Chiese

“Todd e Sparrow, sono tornati. Qualcuno che non è del tutto morto ha squarciato il velo della realtà, rischiamo il tracollo.” Disse lui con una calma raggelante.

“E questo sarebbe il tono di dare le notizie.” Intervenne sbigottita Wendy.

Ma fu zittita da Crane:” Se Todd è tornato, allora anche Turpin…” - “Buon dio. Mi scusi, miss.” Disse rivolto a Wendy:” Ma non posso più accompagnarla a Sottomondo. Ho fatto quanto mi è stato chiesto e il mio debito d’onore è stato pagato, ora però qui stanno sorgendo problemi che richiedono la mia presenza. La lascio nelle sicure mani di Alto Cilindro.”

E detto ciò disparve nella carrozza, lasciando li, un’allibita Wendy.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tigre, oh tigre ***


“when there is no more rum, comes Belzebù Yo-oh-oh Yo-oh-oh

corsair you are, you have to sail the sea

hoist the color, forge your honor

but be attenction to your actions

because when  ends rum, comes Belzebù Yo-oh-oh Yo-oh-oh. “

Era la canzone che ormai cantava anche lui, era la canzone della ciurma di Capitan Uncino.

Sulla coffa se ne stava, suonando l’ocarina, quando fu chiamato d’abbasso.

“Giovanotto.” Incominciò Uncino:” Mozzo sei arrivato e pirata sei diventato, grazie alle tue impareggiabili doti, ma ora basta cincischiare. Spugna provvedi ad informare il giovane della missione.”

Spugna si schiari la gola e incominciò con tono solenne, ma lievemente nasale:” Tu e tre dei migliori pirati scenderete sulla terra ferma, dove tu suonerai la tua ocarina e loro si apposteranno. Quando Pan, attirato dalla tua musica si presenterà, noi lo uccideremo.”

“E cosa vi fa pensare che Pan verrà?” Chiese

Uncino batte forte il pugno sul tavolo e disse:” Tuoni e fulmini, nei siamo certi. Vedi mentre tu suonavi ci siamo accorti, che furtivo scivolava Pan e veniva per ascoltare te, Jim Hawkins.”

“Capisco.” Disse Jim e poi, direttosi sul ponte, chiese quali fossero i suoi compagni di ventura.

Spugna gli indicò, allora, un pirata color del mogano, dagli scintillanti baffi neri e dallo sguardo torvo: il suo nome era Montblanc.

Poi un altro pirata, simile in tutto e per tutto a un grosso tronco sbozzato con l’accetta e con una la guancia segnata da una livida cicatrice: Bourbon lo chiamavano.

E infine, quello che da tempo era diventato il miglior amico di Jim, Shanks, detto il rosso per via dei sui capelli, ma era conosciuto anche come capello di paglia, per via del suo inseparabile cappello fatto di quel materiale e che a suo dire lo aiutava nel prendere meglio la mira.

Cosi fu calata una scialuppa, con a bordo un piccolo cannoncino, giusto nel caso l’approdo riservasse sorprese.

 A Jim l’Isola che non C’è dava, nonostante la lussureggiante e colorata natura, sempre un’impressione di cupezza, di morte, di angoscia profonda e i suoi sogni non l’aiutavano.

E cosi, schioppo alla mano, seduto sulla canoa, che furtiva scivolava, lanciava lunghe occhiate di qua e di là, e così anche i suoi tre compagni di barca, a un certo punto Shanks si avvicinò al ragazzo e gli poggiò una mano sulla spalla con fare paterno: Ancora quello strano sogno, ragazzo?”

“No” Rispose Jim:” Questo era diverso.” Poi si incupì e cerco di richiamare alla mente le chimeriche forme forgiate dal sogno, ma non ci riuscì:” Ma non ricordo, non riesco, eppure e come un presagio.” - “Un pessimo presagio.” Concluse allarmato.

Shanks lo squadrò stupito, in quel ragazzo c’era qualcosa che non era ancora emerso, qualcosa che forse nemmeno lui sapeva cosa fosse e rise, dolcemente, caldamente, rise.

“Non ti angosciare, giovane. Pensa a puntare il cannone verso quell’approdo, abbiamo ospiti.”

 

Jim vide di fronte a sé un movimento sospetto nella radura che avrebbe funto loro d’approdo e rapido fece caricare il cannone a mitraglia e per tre volte piovve morte, sollevando ogni volta una densa polvere di sabbia fina.

Quando la polvere si fu posata, lo scenario che si parava innanzi era quello di una dozzina di pellerossa crepati dalle suddette cannonate.

“Ci sai fare con quel cannone, ragazzo.” Si complimentò Bourbon, una volta sbarcati.

Intanto Shanks stava sforacchiando, con la sua spada, i cadaveri dei trucidati, il che non piacque a Jim.

“Non c’è più rispetto per i morti?” Chiese indignato.

“Sei morti non sono morti diventano pericoli, per questo conviene fare dei morti, dei morti molto morti.” Rispose Shanks con pacatezza, anzi quasi con distacco.

A quella risposta Jim sbiancò, quelle parole, quelle esatte parole erano proprie quelle del suo sogno.

Anzi tutta la situazione era proprio quella che aveva sognato, perché l’aveva sognata, vero?

Deglutì e si guardo intorno.

L’approdo era una piccola insenatura sabbiosa, in cui nodosi e folti alberi facevano da cupola e riparo dal sole cocente, che cominciava a picchiare.

Nonostante questo approdo sembrasse sicuro, Jim cominciò ad avvertire uno strano presentimento e si rivolse quindi, allarmato, a Shanks:” Rosso, meglio che ce ne andiamo, ho un bruttissimo presentimento.”
Fu però Bourbon a rispondere con fare gracchiante, la sua voce ricordava il cigolio dell’argano,” Moccioso codardo, il sole ti ha dato alla testa.” E poi trasse dalla barca una bottiglia di bourbon:” Fatti un goccio e vedrai che ti passa la calura.”

Fu però Shanks a intervenire, sfoderando la sua spada e affettando la bottiglia.
Poi si sedette su di una piccola pietra, osservando la lama scintillare al sole e solcata da piccolissime gocce dell’alcolico.

Bourbon ringhiò: “Cane.” E snudò il suo coltellaccio, bilanciandolo e preparandosi alla lotta.

Ma Shanks rimase fermo, col sorriso sulla bocca, pulendo la spada con calma e distacco, poi si alzò in piedi e sovrastò di un bel paio di centimetri Bourbon.

Erano l’uno contro l’altro, poi Shanks lo spinse a terra e sorridendo gli porse la sua spada.

Era un’arma curiosa, esotica, diversa da qualsiasi altra avessero visto i pirati: un fodero di cuoio finemente lavorato, intrecciato con strisce di panno rosso cremisi e blu notte, e la lama, dio, la lama: acciaio adamantino, lunga e sottile, ma affilata come nessun’altra, capace di tagliare in due anche le rocce.

“Si chiamo Danzan, che vuol dire separatore.” Disse compassato Shanks:” Taglia tutto, soprattutto carne. Se non vuoi provarla, non minacciarmi più. Chiaro?”

Bourbon sorrise, si rialzò scosso, poi scoppiò in una risata fragorosa, roca e lanciò il suo coltello contro Shanks, ma lo mancò di molto, andandosi invece a piantare contro il cranio di uno di quei pellerossa, che si era miracolosamente salvato.

I due poi andarono l’uno incontro all’altro e si abbracciarono come vecchi amici, poi anche gli altri due si unirono con pacche e spinte.

Si sedettero sulla sabbia calda, ammirando la risacca e il brusio di alcuni uccelli dal piumaggio policromo, mangiando e bevendo alcune provviste, che si erano portati, supponendo che sarebbe occorso molto per far scattare la trappola.

Poi si alzarono, nascosero la lancia e si avviarono nell’interno, alla ricerca del punto prestabilito: una lussureggiante oasi, dove placida gorgogliava una cascata e alcune anfratti offrivano ottimi nascondigli.

Su di una roccia si sedette Jim, estrasse la sua ocarina e cominciò a suonare e a suonare, ma, di nuovo(?), l’attesa fu lunga, molto lunga.

Quando aveva poi perso ogni speranza, ecco che vide un’ombra sopra di lui, ma, questa volta (?), non aspettò che scendesse, fermò di suonare e disse:” Che stanchezza, torno domani.”

Si alzò e fece cenno agli altri di andarsene, Peter Pan non era caduto nella trappola.

Shanks però si accorse con uno sguardo che qualcosa incupiva lo sguardo di Jim, e si preoccupò, cosa poteva mai turbare quel giovane, alla apparenza cosi libero e spensierato.

Poi però raggiunse Montblanc e cominciò a parlargli sottovoce, come due amici di vecchia data di qualcosa, qualcosa di sinistro o qualcosa di divertente, o comunque di qualcosa.

Ma a Jim tutto questo non importava, cercava un modo di sbarazzarsi di quella ocarina, se non ci fosse stata, allora non sarebbe stato obbligato a suonare; quindi, quando fu il momento buono, la gettò via.

Arrivato, poi, sulla lancia, si lasciò cullare dalla risacca e si addormento, ma quando si sveglio si ritrovò nella sua cuccetta ed il sole che era ormai sulla via della sera, stranamente, doveva ancora levarsi.

Uscì, e si ritrovo sotto il cielo terso del primo mattino, quanto aveva dormito?

Poi, come una mano ghiacciata che gratta sulla nuda pelle, un brivido freddo gli attraverso la schiena, una sensazione niente affatto piacevole.

Così si issò, di slancio, lungo le sartie e raggiunse la coffa, apri tutto tremante uno scomparto, che solo lui conosceva.

L’ansia lo stava ghermendo e quando la vide, poco ci mancò che non finisse di sotto, andando a schiantarsi con un forte splash sul immoto mare azzurro, svariati metri più sotto.

L’ocarina era lì, come il giorno prima.

L’ocarina, blu elettrica, scintillava, beffarda, alle prime luci dell’alba.

Jim si accasciò e rimase seduto contro la coffa e cominciò a suonarla, come un automa.

 

“when there is no more rum, comes Belzebù Yo-oh-oh Yo-oh-oh

corsair you are, you have to sail the sea

hoist the color, forge your honor

but be attenction to your actions

because when  ends rum, comes Belzebù Yo-oh-oh Yo-oh-oh. “

 

Sorpresa e ora, ora che cosa accadrà? Dove sono il Cappellaio e Wendy?  Todd e Sparrow, che alleanza hanno? E Jim è vivo, morto o cosa?

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Luce del palco ***


“Signor Sparrow” Disse Todd

“Capitan Jack Sparrow” Lo corresse il pirata, avvicinandosi con lunghe falcate al parrucchiere.

Intanto il Cappellaio, colpito, se ne stava accasciato agonizzante.

“Carissimo Altocilindro.” Intervenne Sparrow:” Se può ridurre i suoi guaiti al limite, io e il signor Todd vorremmo conversare. Grazie.”

Quindi raggiunse il barbiere e lo invitò a salire, negli uffici del direttore.

Il luogo era, come si ricorderanno i miei pochi lettori, la vecchia fabbrica di cioccolato, il cui proprietario, morto ormai da tempo, aveva dovuta chiuderla per, non proprio speciose, accuse di adescamento di bambini.

La sala dove era avvenuto lo scontro fra il Cappellaio e Mr.Todd era la sala macchine, in cui venivano preparate le varie confezioni, ed era un cumulo di rottami, polvere e ragnatele.

Di qui, come infatti fecero Jack e Todd, si poteva prendere una lunga scala di legno, un tempo finemente intarsiata, ora marcia e tarlata, per giungere al gabbiotto della dirigenza.

Il gabbiotto, o ufficio che si voglia chiamare, era una stanza squadrata e fredda, ora ancor più squallida dato il totale abbandono e i mobili violentemente fracassati al suolo.

I due ci sarebbero entrati, se la scala non fosse franata in un cumulo di legno.

“Niente scala.” Mugugnò Todd:” Facciamo in fretta, avremo ospiti.”

“Rilassati Toddy” Disse Sparrow, attirandosi il ringhio del parrucchiere: “Fatti una pipata con me.” Concluse, estraendo dal vestimento da bucaniere, una lunga ed elaborata pipata.

“Fumi?” Chiese stupito

“Molte cose sono cambiate da Heiligenstadt, amico mio.” Soggiunse meditabondo Sparrow.

“Il giorno Esilioso.” Intervenne il Cappellaio:” Se lor signori permettono, ho dei biscotti per condire la conversazione.”
E detto ciò, si rialzò, mantenendosi con la mano la ferita, che più non sanguinava troppo, e si avvicinò loro.

Gli fecero e spazio e ripresero a parlare.

“Turpin è tornato e con lui il messo Banford.” Cominciò Todd.

“Ho come la Perla Nera, un equipaggio e una rotta. Vieni con noi, lascia da parte la vendetta.” Parlò Sparrow

“La mi vendetta, come la tua rotta, o il suo tè, solo un gioco. È tutto un gioco, ma questa volta avremo tutti quello che volevamo.” Disse Todd, infiammandosi.

“Rotta, vendetta e tè.” Intervenne Cappellaio euforico: “Battezzerò questo giorno: gioiappuntamentoso.”

Calò il silenzio e poi fu Todd a parlare:” Cappellaio sa qual è il suo compito: avvertire le altre pedine e mettere in moto le loro mosse.”

“E allora perché mi avete sparato?” Chiese divertito

“Be se lei avvisa le pedine prima che abbiamo finito le nostre mosse, il gioco finisce prima. Il che non è bello.” Rispose Todd

“Comunque, siamo qui perché qualcuno che non è morto, ma neanche vivo, ha dilaniato il velo dei mondi.” Disse Jack, ripulendo la sua pipa.

“E quel qualcuno è colui che tutti stiamo cercando, giusto?” Chiese il Cappellaio.

“Esatto.” Disse Jack.:” Sarà un’avventura che non dimenticheremo.”

Si respirava nell’aria una tensione e un’energia vitale, che avrebbe potuto fornire carica ad un’intera città.

Gli animi erano eccitati e pronti a qualsiasi impresa, ma ognuno aveva un proprio piano, che non avrebbe rivelato a nessuno, ognuno seguiva la propria strada.

E ogni strada si intersecava in un nodo gordiano che avrebbe stritolato tutto, se non fosse intervenuto qualcuno e quel qualcuno era il più ricercato,

Si lasciarono con la promessa di agire l’uno per l’interesse dell’altro, ma non avevano fatto conto con la variante impazzita: Ichabod Crane.

Un solo indizio era sufficiente per lui, e un indizio era stato lasciato.

E ora che le pedine erano tutte pronte, si sarebbe giocato una partita mortale, in cui ogni alleanza sarebbe stata cementificata o spezzata e ognuno avrebbe rivelato la luce e l’oscurità.

L’universo intero avrebbe tremato, come quei giorni a Heiligenstadt.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Nodus Gordi ***


Isola che non C’è

A cavalcioni sul Bompresso, Jim fissava diritto innanzi a sé, tenendo l’ocarina bleu fra le mani.

Un acufene gli trapasso la testa, come il fischio della cuccuma allora del tè.

E, mentre stava per cadere in acqua, ebbe la visione di un uomo, canuto per gli anni, dal volto solcato dalla stanchezza, ma nei cui occhi brillava ancora una scintilla di energia.

Era lui, era il Jim di un lontano futuro o di un remoto passato o solo il Jim di un altro presente, eppure Jim cadendo ebbe la sensazione di uno snebbiamento, come se qualcosa fosse scattato.

Ma non ci fu alcun tuffo, perché Shanks, che da un po’ lo teneva d’occhio, lo afferro all’ultimo.

“Ragazzo, fa attenzione quando…” Ma non concluse di parlare, perché guardandolo si accorse che in lui un mutamento profondo era avvenuto.

Benché dinnanzi avesse lo stesso giovane mozzo, con cui aveva passato lunghe giornate, nei suoi occhi leggeva una profonda vecchiezza, una maturità mai prima manifestata.

“Shanks.” Anche la sua voce era cambiata:” Shanks, io sono morto.”

“Siamo tutti morti ragazzo.” Riprese Shanks.

“SI, ma io ho come la sensazione che la mia morte mi abbia precipitato in un loop.”

E mentre Shanks prendeva Jim sotto braccio, per portarlo dabbasso, a riposarsi sull’amaca, si accorse che una sola ombra proiettava il sole: la sua.

 

Il Mondo di Qui

La menzione al giudice Turpin l’aveva turbato, anche perché si ricordava la caccia spietata che quel feroce giudice aveva avviato contro gli Inumani, gli alieni veri e propri e i Metaumani, gli alieni con sembianze umanoidi.

Caccia che aveva portato ad Heiligenstadt.

E in quella battaglia Crane aveva trovato un amico, il capitano della Horfes: Jim Hawkins.

Ma per Crane, Jim era più di un amico, era il suo salvatore, il pazzo capitano che con un pugno di 300 navi aveva retto, a largo di Heiligenstadt, per 3 giorni all’avanzata della flotta, di oltre 3000 navi, di Turpin.

Furono tre duri giorni e quando ogni speranza era al tramonto, la Federazione dei Pianeti Uniti ruppe gli indugi e spazzo via la flotta di Turpin.

Jim Hawkins per la sua azione non ricevette alcun encomio o promozione, ma fu solo graziato dall’essere destituito per insubordinazione.

Questa decisione, portò Crane a lasciare la Federazione e a cominciare quella serie di scelte con cui si giocò la reputazione, facendosi potenti nemici.

Ora, mentre era a metà percorso e pensava a queste cose, Crane si ricordò di un particolare che aveva notato nella fabbrica di cioccolata, in cui aveva incontrato Wendy e il Cappellaio, quindi fece fermare la carrozza e la fece ritornare alla fabbrica.

Scese cautamente e vide, nascosto, il Cappellaio e Wendy che imboccavano il portale per Sottomondo.

 Poi entrò, si avvicinò alla scala franata e vide, in mezzo alla polvere, della polvere di tabacco.

Si avvicinò, la annusò, la scrutò e poi fu certo: Rattigan.

 

Sottomondo

Anche se era un semplice ghiro, Mallymkun, come consorte reale, veniva coinvolta attivamente nei problemi di Sottomondo, ed invero, ora che sua moglie era partita in missione diplomatica ad Osgiliath, era lei che doveva sobbarcarsi tutti i problemi.

Dalle terre che non davano più frutti a strane e improvvise tempeste, dai soldati della Regina Rossa, che cominciavano a riorganizzarsi, alla scomparsa del Cappellaio.

Tutto sembrava dovesse pesare su di lei, povero piccolo ghiro.

Ma poi arrivò la notizia più sconvolgente: un messo di Osgiliath era arrivato, per dire che dell’ambasciata di Sottomondo si erano perse le tracce.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Long John Silver ***


Si trovava di nuovo sulla lancia, di nuovo in direzione dell’isola, quell’isola cupa, tetra e malarica; con le braccia conserte se ne stava a fissare il profilo dell’isola che si avvicinava sinistramente, minacciosamente, morbosamente invitante.

E mentre la risacca sciabordava contro le paratie e i remi annegavano ritmicamente, per poi riemergere con uno sgocciolio snervante, l’isola era sempre più vicina: con i tronchi galleggiante che sembravano coccodrilli voraci, con i rami degli alberi tesi ad artigliare, con la palude putrescente e melmosa.

Poi chiuse gli occhi e si ricordò quello chi gli avevano detto:” L’isola che non c’è non è reale, è solo una percezione delle nostre emozioni, concentrati, cerca un pensiero felice e potrai volare.”

Quando gli riaprì l’isola era completamente cambiata: radiosa, sensuale, succosa.

Poi però si ricordò anche quello che gli aveva detto Wendy:” Non ti fidare degli spirti loro mentono, evita di farti irretire.”

Ancora una volta chiuse gli occhi e quando li riaprì vide per la prima volta l’isola come era davvero: nera, brulla, coi rami grossi e nodosi e spogli da vegetazione.

Jim non sapeva allora di che fidarsi, anche il suo caronte, con il fuoco nei capelli, doveva avere un secondo fine, perché aiutarlo altrimenti.

Ora che aveva memoria del suo “essere” si sentiva ancora più dilaniato, un’anima vecchia, amareggiata e disillusa in un corpo ancora aitante e pieno di possibilità.

Poi sentì la barca sbattere contro la rena e si ridestò dai suoi pensieri, scese e si avviò verso il punto prestabilito.

Non trovarono ostacoli e così arrivarono all’accampamento indiano.

“Sono Shanks, il rosso, vengo a nome di Spugna, colui che tiene il mare.” Disse la sua guida

“E io sono Giglio Tigrato e rispondo per conto di Pan, colui che tiene l’isola.” Rispose un’indiana ammaliante, dai capelli neri, legati da tue trecce a incorniciare il volto.

“E io Shanks il rosso dico a Giglio Tigrato, che risponde per conto di Pan, colui che tiene l’isola, che richiedo di parlare con Toro Castrato, il vostro sciamano.” Riprese Shanks

“Per quale motivo Shanks il rosso, che viene a nome di Spugna, colui che tiene il mare, chiede a Giglio Tigrato, che risponde per conto di Pan, colui che tiene l’isola, di poter parlare con Toro Castrato, nostro sciamano?” Ribatte l’indiana.

Intanto Jim si era seduto su di un piccolo ceppo, perché sapeva che si sarebbe tirato per le lunghe, era stato avvertito di ciò da Spugna.

 “E io, Shanks il rosso, che viene a nome di Spugna, colui che tiene il mare, e che chiede a Giglio Tigrato, che risponde per conto di Pan, colui che tiene l’isola, di poter parlare con Toro Castrato, vostro sciamano perché c’è una interferenza, presento a Giglio Tigrato, che risponde per conto di Pan, colui che tiene l’isola, Jim Hawkins, mozzo non autorizzato della Queen Mary, la nave di Capitan Uncino, terrore dei mari liberi, saccheggiatore di porti, squartatore di nemici, mano d’argento e cacciatore di bimbi sperduti”

Poi fece un cenno a Jim, e il ragazzo si alzò e cominciò a parlare così come istruito.

Si portò una mano sul lato sinistro della gola, e cominciò: “Io, Jim Hawkins, mozzo non autorizzato della Queen Mary, la nave di Capitan Uncino, terrore dei mari liberi, saccheggiatore di porti, squartatore di nemici, mano d’argento e cacciatore di bimbi sperduti, chiedo di poter conferire con Giglio Tigrato, che risponde per conto di Pan, colui che tiene l’isola.”

E l’indiana portandosi anulare e indice sulla tempia destra rispose: Jim Hawkins, mozzo non autorizzato della Queen Mary, la nave di Capitan Uncino, terrore dei mari liberi, saccheggiatore di porti, squartatore di nemici, mano d’argento e cacciatore di bimbi sperduti, Io Giglio Tigrato, che risponde per conto di Pan, colui che tiene l’isola, ti autorizzo a chiedere.”

Trova quello sproloquiale inutile e ridicolo, ma purtroppo doveva stare al gioco o avrebbe finito per essere stritolato o peggio.

“Io, Jim Hawkins, mozzo non autorizzato della Queen Mary, la nave di Capitan Uncino, terrore dei mari liberi, saccheggiatore di porti, squartatore di nemici, e cacciatore di bimbi sperduti, che chiede di poter conferire con Giglio Tigrato, che risponde per conto di Pan, colui che tiene l’isola…”

Ma non poté continuare che si trovò una lancia puntata alla gola.

“Hai perso mozzo non autorizzato della Queen Mary, la nave di Capitan Uncino, terrore dei mari liberi, saccheggiatore di porti, squartatore di nemici, mano d’argento e cacciatore di bimbi sperduti.”

“Perché?”

Ma non ebbe risposta e fu condotto in una capanna fatto di fango e dal tetto di foglie intrecciate.

Una volta dentro, fra puzza e oscurità, ebbe subito contezza di non essere solo e mise, così, mani al suo coltellaccio.

“Chi è la?”

“Jimbo.” Rispose una voce familiare, e dall’ombra infatti sbucò il faccione del vecchio cyborg Long John Silver.

“Silver” Gridò di gioia Jim, correndo ad abbracciarlo.

“Non sei invecchiato di un giorno, Jimbo.” Rispose Silver carezzandogli paternamente la testa.

“è una lunga storia, vecchio pirata.” Rispose Jim, liberandosi dall’abbraccio.

“Racconta su abbiamo tutto il tempo.” Disse Silver

E Jim si sentì in quel momento più sicuro che mai che se la sarebbe cava, se la cavava sempre, ma in quel momento, col suo vecchio amico affianco, sapeva che se la sarebbe cavata senza alcun dubbio.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Intermezzo ***


Erano seduti a terra dentro una capanna, prigionieri dei pellerossa e senza sapere che fine avrebbero fatto, ma continuavano a parlare cose nulla fosse.

“Allora ho afferrato la mia sciabola e mi sono fatto largo attraverso una muraglia umana. Quando sono arrivato al timone, quasi non riuscivo ad afferrarlo tanto avevo le mani lorde di sangue.” raccontava tutto accaldato Silver

Poi fu il turno di Jim:” Io invece con la mia goletta Horfes ho sfondato le linee nemiche e, balzando con una cima sulla nave ammiraglia, mi sono aperto la strada sparando all’impazzata, poi con la spada meno fendenti a destra e a manca. Quando mi sono voltato il pontile era un tappeto di cadaveri.”

Si raccontavano le loro storie in attesa di una soluzione, tanto non potevano ammazzarli, come aveva detto Spugna.

Il racconto di Spugna.

“Il mio nome non ha importanza, un tempo ero un capitano ambizioso e disonesto, un vero sanguinario. Ho trovato la morte in mare per colpa della marina, ma molti ho portato con me di quei cani.

Poi mi sono ritrovato qui, su quest’isola, infatti da Sottomondo sono stato inviato qui per equilibrare lo spirito guardiano Pan, ormai fuori controllo.

Con lui e con la sua compagna, Giglio Tigrato, mi sono accordato per un gioco: pirati e bambini.

Un gioco in cui non moriva nessuno perché, privi dell’ombra, diventavano pirati, bambini o pellerossa se colpiti e uccisi.

Tu Jim, stranamente, hai come me e Pan un’ombra, il che ti impedisce di trasformarti e quindi di morire, sei l’eccezione alla regola.

Uncino non conta niente, è solo una pedina per innescare il gioco.

Questo è quando puoi e devi sapere.

Ah un’ultima cosa: l’isola non è che la proiezione delle nostre emozioni, guardala sempre con occhi nuovi per trovare una strada diversa.”

Intanto, mentre Jim e Silver si dilettavano a raccontarsi le loro avventure, da un’altra parte dell’isola qualcuno si annoiava.

“Mi annoio.” Stava borbottando Pan:” Piumino che mi dici?”

Il bambino sperduto, che rispondeva a quel nome, rispose:” Niente, nessun pirata all’orizzonte. Rispettano la tregua.”

“Stupidi pirati e la loro tregua.” Mugugnò allora Pan

“Fratellino.” Disse poi:” Raccontaci una storia.”

Il bambino che rispondeva a quel nome si sistemò il cilindro sulla testa, si sistemò gli occhiali col mignolo destro e afferrò il suo ombrello, brandendolo come se fosse una bacchetta da concerto.

La storia di Fratellino

Nel Mondo di qui vivevano tre fratelli che si volevano bene, ma venne la guerra e tutto cambiò.

Non c’era che miseria, non c’era che disperazione e tuttavia i tre fratellini no avevano perso la loro gioia.

Anche quando a i genitori li avevano abbandonati in campagna, anche allora i tre fratellini non persero la loro gioia, grazie ad un libro di fiabe e al fratello maggiore che le raccontava.

Poi venne il signore del lago e dell’isola sul lago e donò al fratello più grande una ocarina bleu, perché allietasse le sue notti suonandole.

Fratellino stava continuando a raccontare quando Pan gli lanciò contro una brocca piena d’acqua, facendolo stramazzare al suolo.

“Finiscila.” Squittì come un bambino infastidito:” La tua storia non mi piace.”

Intanto altrove anche altri stavano parlando.

“E dimmi Silver come facevi a sapere che nella Nebulosa del Cigno ci fosse una falla?” Chiese Jim

“Non faccio la spia io.” Rispose piccato Silver e poi chiese.” E tu, come hai fatto?”

“Non faccio la spio io.” Ribatté ironico Jim e poi disse:” Mi sei mancato tanto, vecchio mio. Ma ora dimmi sinceramente che sei venuto a fare qui?”

“Il Tesoro di Kormandù.”

“Quel tesoro?” Chiese Jim esterrefatto:” Ma non era solo una leggenda?”

“No, il tesoro di Kormandù esiste ed è il bottino più grande, alla pari solo al bottino dei mille mondi.”

“Non ho visto forzieri o luoghi segreti qui, però.” Ribatté Jim

“No, nessun forziere, ma questi pellerossa hanno la mappa. “Disse Silver, dando poi di gomito a Jim, come un segnale d’intesa:” Troviamo la mappa. Troviamo il tesoro. Spartiamo il tesoro. Viviamo da re.”

Intanto a Sottomondo, dove erano arrivati, Wendy e il Cappellaio Matto erano stati accolti da un attacco del Ciciarampa.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3459008