Giustizia, fortezza, prudenza e temperanza

di Juliet88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome back, Sana! ***
Capitolo 2: *** Welcome back, Sana! (II part) ***
Capitolo 3: *** Friends ***
Capitolo 4: *** Art for art's sake ***
Capitolo 5: *** Corsi e ricorsi ***



Capitolo 1
*** Welcome back, Sana! ***


vhgj "I signori passeggeri sono invitati ad allacciare le cinture di sicurezza. Il pilota è pronto per la fase di atterraggio" fu la frase pronunciata dall'hostess, che suonò come meccanica a causa del microfono.
Non ci potevo davvero credere. Ero così felice di poter tornare a casa, così felice di respirare di nuovo l'aria di casa mia. Mi sembrava fossero passati secoli invece che sei anni.
A pensarci bene, erano già passati sei anni. Sei anni da quando per impegni lavorativi dovetti trasferirmi a Beverly Hills. Sei anni da quando salutai e vidi per l'ultima volta il viso di mia madre, del mio agente Rei, i visi dei miei amici. Sei anni in cui la mia carriera aveva decisamente preso la piega giusta, contratti su contratti che mi portarono, appunto, a trascorrere tutti questi anni lontano dal Giappone. Lontano da casa mia.
Non mi pentivo affatto della scelta che avevo preso, trasferirmi in America era stata una scelta eccellente per la mia carriera, me l'aveva sempre detto anche Rei... anche se non si potesse dire lo stesso per i miei affetti.
Ero talmente legata a casa mia che riusciva a mancarmi persino la signora Shimura.
E adesso che finalmente ero sulla strada del ritorno, sentivo come se ogni terminazione nervosa del mio corpo stesse per collassare.
Era una sensazione così piacevole, e anche così destabilizzante. Avevo timore, timore che io fossi rimasta così legata alla mia vita precedente, ma che la mia vita precedente non fosse più legata a me. Avevo timore di capire quante cose fossero cambiate, rendermi consapevole del tempo che passava. Paura di sapere come i miei amici avessero continuato le loro vite.
Avevamo continuato a telefonarci l'un l'altro, eppure non era così semplice continuare a mantenere i contatti e l'amicizia immutata con tutta quella lontananza, ce ne eravamo resi conto autonomamente.
Nonostante tutto, il mio affetto era sempre rimasto immutato. Aya e Fuka avevano persino organizzato una piccola vacanza a mia insaputa un anno prima, e per me fu una meravigliosa visita inaspettata. Sorrisi al ricordo delle mie due folli amiche davanti la porta di casa mia con una decina di valigie e dei sorrisi che mi scaldarono il cuore.
L'aereo posò le ruote sulla pista d'atterraggio e finalmente la trepidazione lasciò che il timore passasse in secondo piano, i miei occhi erano più luminosi ad ogni piccolo centimetro che mi portasse verso l'aeroporto.
Casa. Ero a casa.

"Rei? Rei!" dissi, con il telefono contro il mio padiglione auricolare.
"Sana? Oh, Sana, finalmente sei arrivata! Dove sei?" domandò, con una sfumatura di preoccupazione.
"Beh, sto aspettando che arrivi la mia valigia al ritiro bagagli. Ci vediamo all'uscita?"
"Niente affatto. Sono praticamente davanti l'aeroporto, ti sto aspettando da un'ora. Vengo subito e ti aiuto con tutte quelle valigie" pronucniò, come se fosse già a conoscenza del reale numero di valigie che avevo fatto imbarcare.
Mi conosceva.
"Grazie, Rei" fu ciò che dissi, anche se non riuscì a sentirmi dato che aveva già riattaccato.
Il solito iperattivo, pensai.
La mia valigia sembrava non volesse arrivare, ed io ero già pronta a dosare i miei decibel per inveire contro quel pover'uomo all'assistenza su cui avrei riversato la mia rabbia.
Picchiettai ancora la punta del mio piede sul pavimento.
Pazienza, una virtù che probabilmente non sarà mai mia, riflettei.
Stavo proprio per dirigermi verso l'uomo in cravatta blu, quando sentii urlare il mio nome.
"Sana! Oh, Sana! Non sai quanto sono felice di vederti!" gridò, Rei, dietro di me, con gli occhi probabilmente commossi e celati dietro i suoi occhiali da sole.
"Rei! Sono felice anche io, non immagini quanto, ma..."
La sua espressione divenne interrogativa.
Si distese quando capii a cosa potessi riferirmi. Non avrebbe dovuto gridare così il mio nome, subito fummo circondati da persone, in cerca di una foto o una semplice firma sulla maglia.
Lo guardai in cagnesco, anche se poi gli sorrisi immediatamente, non riuscivo ad essergli arrabbiata, e quando portò la sua mano dietro la testa, per mimare un debole "scusa" mi sembrò addirittura impossibile.
Subito cercai di sorridere, cercando di accontentare quelle persone che volevano dimostrarmi il loro affetto.
Inutile dire che perdemmo più tempo del previsto in aeroporto, e che le mie valigie, finalmente arrivate, girarono a vuoto per non meno di un'ora.
Quando finalmente fummo liberi lo abbracciai talmente forte da poter notare il suo viso divenire più cianotico, e subito gli chiesi informazioni su mia madre, sulla signora Shimura, su lui ed Asako, che sapevo essersi sposati.
Lui fu orgoglioso di ripeterlo, e di raccontare quanto sapeva su tutte le persone che gli avevo nominato.
Trascorremmo così tutto il viaggio in macchina, con un Rei che cercava di aggiornarmi su qualsiasi novità potesse riguardarmi, o che potesse interessarmi, ed io che ascoltavo attenta le sue parole, consapevole che anche il suo timbro vocale mi fosse mancato, seppure talvolta mi venisse straordinariamente semplice distrarmi e guardare le luci della splendida città che mi aveva visto germogliare.
Mi voltai verso Rei, e lo guardai con più attenzione. I capelli ai lati sembravano voler abbandonare quel castano a cui i miei occhi erano abituati, sostituendolo con un leggera ombra di grigio. Un velo di barba sul suo volto, qualche ruga che faceva capolino. Il tempo era trascorso, ma gli donava.
Dovrò dirgli di quei capelli grigi. Rei è invecchiato, mi divertirò a prendermi un po' gioco di lui, pensai, con un sorriso malizioso.
E se Rei cominciava ad avere qualche segno del tempo, Sana, Sana seppur con qualche dato di registrazione di maturazione avrebbe continuato a conservare quel suo carattere tutto pepe, inarrestabile, testardo e adorabile al medesimo tempo. Ne era consapevole.
"E comunque, Sana...hanno ripreso a girare "Il giocattolo dei bambini". Lo sapevi?" continuò, riprendendomi dalla distrazione che rappresentarono i miei pensieri.
"Sul serio, Rei? Oh, dovrò sicuramente passare a fare un saluto, quanti ricordi ho tra quelle mura..." sospirai, improvvisamente malinconica.
"A volte ho desiderato che potessi tornare ad avere undici anni, con quelle codine ramate e quell'aggeggio rosa odioso con cui facevi della musica ogni tanto" disse, ridendo.
Lo guardò socchiudendo gli occhi.
"Anche io, mi mancano quei giorni. Ho avuto un'infanzia stupenda."
"E Rei..." continuai, io.
"Si?" fu la sua risposta, ancora un sorriso di nostalgia.
"Quell'aggeggio rosa...ce l'ho ancora, è proprio nella valigia rossa" dissi, avvicinandomi al suo orecchio.
E ridemmo insieme.

"Perfetto. Credo di aver chiamato tutti i nostri amici informandoli di vederci al parco, vicino al nuovo bar. "Sand and breeze" credo dica l'insegna."
"Finalmente ci siamo, Aya! Non riesco a non contare i minuti che mancano prima di poter riabbracciare di nuovo quella testolina color ciliegia" quasi urlò, Fuka.
"Nemmeno io, Fuka! Mi è davvero mancato aver quel piccolo terremoto che gira intorno"
Risero entrambe.
"Sono le 15.30...dovrebbe essere già atterrata" verificò Aya, con le sopracciglia che si irrigidirono lievemente.
"Beh, forse l'aereo non è stato proprio puntuale...e poi, la conosci Sana! Avrà dimenticato di inviare un messaggio quando sarebbe giunta all'aeroporto come le avevamo chiesto" rispose Fuka, senza riprendere ossigeno.
Aya fece un borbottio di risposta, poco convinta, e un po' preoccupata.
"Sempre con la tua iperprotettività! Dai, mammina, sono sicura scriverà tra poco" la prese in giro Fuka, con quell'accento così irritante e allo stesso tempo meraviglioso ancora presente.
Un piccolo suono, arrrivato dalle borse di entrambe, si arrogò la loro attenzione. Era arrivato un messaggio ad entrambe. Si guardarono consapevoli di aver compreso chi fosse il mittente.
"Visto?" domandò con finta presunzione, Fuka, mentre Aya si affrettò a leggerne il testo.
"Aya, Fuka! Scusate se non vi ho scritto immediatamente, ma sono stata bloccata da alcuni fan. Sono in macchina con Rei, direzione casa. Ho bisogno di rinfrescarmi. Ci vediamo nel pomeriggio?"
Fuka sorrise con malizia.
"Oh, vedrai se ci vedremo e quello che abbiamo in serbo per te, Sana!"

Rei scese di marcia, e sentii la macchina scendere di velocità fino a fermarsi completamente, e anche se un po' assonnata aprii immediatamente gli occhi per verificare se ci trovassimo esattamente nell'unico posto in cui in quel momento sarei voluta andare. E fu così. I miei occhi videro dopo ben sei anni il cancello di casa mia. Il cancello della casa dove ero cresciuta, e che sapevo bene, dava su un vialetto in pietra, con un meraviglioso prato, sempre curato con fiori e piante di cui mia madre stessa si occupava. Eccolo lì il cancello che aveva visto partire la Sana quindicenne, e tornare una donna ventunenne, certo, la mia personale versione di "donna", ma pur sempre una donna.
Presi le chiavi di casa, felice di aprire di nuovo quella serratura, e subito davanti a me vidi mia madre correre verso l'entrata per regalarmi un abbraccio unico, di queli che solo una madre può donarti e che mi era mancato ogni minuto di ogni giorno trascorso lontano.
"Mamma, credo di non riuscire a respirare..."
"Hai ancora la cassa toracica fragile, cara? Mi sei mancata" rispose, con il suo solito modo strambo, ma materno.
Le alzai un sopracciglio.
"Fragile la mia cassa toracica? Guarda come è resistente" le feci notare, stringendo le nocche e battendo due colpi sul petto.
Lei alzò gli occhi al cielo, sorridendo.
"Ciao, Sana. Sono così contenta di vederti!" esclamò una voce più bassa, meno squillante rispetto il timbro vocale di mia madre.
"Signora Shimura! Oh, che bello potervi rivedere tutti nuovamente. Soprattutto lei, signora Shimura...saranno almeno cinque le volte in cui sono finita in ospedale per una lavanda gastrica dopo aver tentato di cucinare i suoi piatti!" le pronunciai, abbracciandola e provocando i sorrisi di mia madre e Rei.
"Su, andiamo. La signora Shimura sarà felice di poter prepararti di nuovo quel tè al ginseng che tanto adori" sospirò, mama.
Annuii, seguendola verso il divano.
Era tutto così uguale, niente sembrava essere cambiato. La disposizione dei mobili, l'odore di rosa e zenzero che poteva avvertirsi appena entrati in casa, persino i cappelli eccentrici di mama erano i medesimi.
Non potei che essere contenta, adoravo la mia strana famiglia, e per niente avrei voluto che cambiasse di un solo punto.
Mentre la signora Shimura entrava in salotto con un vassoio decorato, biscotti e thè, sentii il mio cellulare produrre un suono. Un messaggio.
Aya.
"Certo, Sana. Io e Fuka siamo impazienti di vederti. Al parco hanno appena aperto un nuovo bar "Sand and breeze", ti va se ci incontriamo in questo posto?"
Sorridendo, risposi positivamente, mentre lasciavo che lo schermo si scurisse.
Passai qualche ora a raccontare tutto ciò che avevo fatto negli Stati Uniti. Dai film, al teatro, ai primi tappeti rossi, alle collaborazioni con Kamura, di cui mia madre chiese notizie.
Fra me e Kamura durante i sei anni che avevo vissuto si instaurò una fantastica amicizia, seppure sapessi che lui continuasse a sperare di riuscire a trasformarla in qualcosa di differente. Io fui sempre chiara con lui, che capì immediatamente accettando di starmi comunque vicino, seppure in modo fraterno. Gli volevo bene davvero.
"Scusa mama, adesso vorrei proprio farmi una doccia, dopo devo vedermi con Aya e Fuka."
"Va' pure, cara. Rei porterà le tue valigie in camera in modo da sistemarle" disse lei, con tono elegante.
Rei la guardò con le labbra schiuse, e gli occhi che, riuscivo quasi a vedere dagli occhiali, sorpresi e sconvolti.
"Ma...ma signora, saranno almeno cinque valigie. Ha idea di quante cose Sana abbia messo all'interno?" domandò, nel tentativo di trovare una mano di sostegno.
"Beh? Sono sicura che Asako non ti avrebbe sposato se sapesse che razza di femminuccia tu sia! Su, sfodera quei muscoli" quasi urlò, alzandosi in piedi, con le mani all'altezza della testa chiuse in un pugno, e una luce strana negli occhi.
Risi, mentre Rei andò verso la macchina con andatura lenta e di rassegnazione.

Salendo al piano di sopra non potei fare a meno di venir investita da ricordi. Ricordi di ogni tipo, positivi o negativi, che divennero più intensi quando oltrepassai la porta della mia stanza.
Sembrava fosse tutto esattamente come sei anni prima, sembrava nessuno fosse entrato in quella stanza da quel giorno. Forse era la realtà.
Aprii le finestre, e subito la luce rese la stanza più chiara, più reale. Alle pareti e sopra la scrivania cornici con foto dei miei amici, foto di splendidi momenti trascorsi nella mia città natale. Riconobbi anche un'immagine che mi fu regalata da Zenjiro al momento in cui lo show "Il giocattolo dei bambini" sembrò volesse spegnere i riflettori. Sorrisi al pensiero di quell'uomo che riusciva a tollerare la mia indisponenza, e ciò che mi aveva detto Rei in macchina. Chissà se ci sarebbe stato anche quello strampalato.
I miei occhi andarono però su una cornice, una cornice bianca, sistemata vicino il portatile, che ritraeva me insieme a tutti i miei amici. Passai l'unghia su ognuno dei volti che quella foto mi aveva permesso di rivedere. Aya, Hisae, Tsuyoshi, Fuka, Gomi.
Indugiai con quel mio leggero sfiorare quando i miei occhi passarono alla Sana undicenne, con quelle terribili codine, e la mia gonna preferita, seduta accanto un viso familiare e dei capelli color dell'oro. Il mio braccio intorno ad Akito Hayama, mentre lo stringevo a me per costringerlo a farsi ritrarre dall'obiettivo. Il mio solito sorriso infantile, ma allegro, e i suoi occhi fermi in un punto in alto, l'espressione lievemente contrariata e le labbra chiuse, come se volesse fischiettare.
Mi ricordai di averlo colpito lievemente dopo per la sua scelta d'espressione, intestardita dal fatto che volessi vederlo sorridere.
"Io non sorrido spesso, Kurata" era stata la sua risposta, indifferente come al solito.
Eppure i miei occhi non si erano spenti, al contrario, cominciarono a diventare più sottili, e lui capì che probabilmente stavo per mettere in atto un piano.
"Ah sì? Hayama, ne sei sicuro?" chiesi, con fare sospettoso.
Lui mi guardò, senza dire nulla, un espressione tra l'interrogativo, e la certezza di doversi aspettare qualcosa di folle da parte mia.
"Beh, allora..." dissi, mentre gli diedi le spalle.
Indossai in qualche secondo il naso finto che ricordai fosse l'unica mia imitazione che lo divertisse davvero, mentre cominciai ad urlare "Mi chiamo Tony! E vengo dal Far West, di mestiere faccio il cowboy, adoro i cavalli e il mio piatto preferito è la zuppa di fagioli!".
Lo vidi piegarsi per le risate, sotto il mio sguardo che brillava per il trionfo, e lo shock di tutti i nostri amici.
Sorrisi a quel meraviglioso ricordo. Gli anni successivi furono complicati dai nostri sentimenti, e dalla nostra mancanza di capacità di confessarli. Era uno scappare e un inseguirsi perpetuo, come se fossimo stati consapevoli di non poter stare vicini, e neppure lontani.
Ma crescendo tutto sembrò essere più complesso, ricordai Fuka, il mio lavoro, anche Naozumi, tutti ostacoli che ci mettevamo davanti pur di non esporre le nostre debolezze. Continuavamo ad esserci l'uno per l'altra, ma non riuscivamo a dirci ciò che eravamo, o che volevamo essere. Tutto ciò fino ai quindici anni, quando sia io che lui capimmo di essere diversi, troppo amici per poter stare insieme. Fu questa la spiegazione che utilizzammo per cercare di non mettere a rischio la nostra relazione. L'America fu solo la ciliegina, la prova che il destino non ci volesse insieme, ma che volesse allontanarci, che si divertisse a prendersi gioco di noi.
Un bacio rubato all'aeroporto fu l'ultimo ricordo che lui decise di regalarmi, e farmi portare con me negli Stati Uniti.
Il ricordo di Akito sembrò seguirmi ovunque andassi per i due anni che seguirono da quell'ultimo contatto, consapevole di provare dei sentimenti per lui così nuovi e antichi allo stesso tempo. Mi mancava averlo accanto a me, e questo fu impossibile da negare. Sapere cosa gli passasse per la mente, leggere dietro quegli occhi color ambra, la nostra capacità di darci una mano e sostenerci l'un l'altro. Non era soltanto per via di ciò che provavamo, persino non poter essere più così amici mi provocava sofferenza.
Eppure feci ciò in cui da sempre ero stata bravissima, ciò che lui non perdeva occasione di rimproverarmi, senza che io potessi cercare di oppormi perchè sapevo avesse ragione. Scappai, e mi buttai sul campo del lavoro.
E così, il tempo, quel tempo che prima sembrava essere avverso si rivelò mio amico, mio alleato attenuando quel dolore provocato dalla sua assenza. Attraverso la mia carriera avevo conosciuto molte persone, molti ragazzi, eppure nessuno ebbe mai il potere di sostituirlo, e subentrò la ressegnazione, la rassegnazione di non poter più scorgere dei capelli dorati accanto a me. Qualche piccolo flirt, qualche piccola storia fu quel che riuscì a concedermi, anche se sapevo nessuno si sarebbe mai fatto posto nel mio cuore così come era riuscito Akito.
Ma adesso ero cresciuta, adesso ero una donna, lui un uomo. La situazione era cambiata, noi eravamo cambiati. So che ne conserverò sempre il ricordo, ma da tempo avevo preso la decisione di andare avanti.
Scelsi di regalarmi un bella doccia d'acqua calda, mentre mi preparavo per rivedere le mie due amiche Aya e Fuka.
Canticchiando un ritornello mi vestii, e indossai una camicetta chiara, in viscosa, ecrù, con delle applicazioni sulla manica, e una gonna a ruota blu. Completai l'abbigliamento con delle scarpe decollète, lasciando i capelli sciolti sulla schiena.

"Ciao mama, ci vediamo a cena!" dissi, urlando, per permetterle di ascoltare le mie parole.
"A dopo, tesoro. Fa' attenzione" fu la sua risposta.
Ricalpestare quella strade, quelle vie, era una sensazione che mi provocaca emozioni ad ogni passo, ogni passo che mi conduceva verso il parco. Mi resi conto d'aver sentito la nostalgia di casas mia ogni attimo trascorso in California.
Fortunatamente per me, il cielo chiaro, senza nuvole, ebbe la capacità di rassicurarmi, di rendermi più tranquilla, avevo sempre adorato il calore e la vitalità che il sole riusciva a infondere nelle persone.
Quando arrivai all'ingresso cominciai a girarmi intorno, in cerca di visi familiari, gli occhiali da sole come protezione allo scopo di non essere vista dai fan.
"Sana! Eccola lì, Aya!" urlò una voce alle mie spalle che riconobbi come Fuka.
Subito andai verso la loro direzione.
"Oh, amica mia. Ancora non riesco a credere che tu sia davvero tornata!" sussurrò Aya, mentre ci stringevamo in abbraccio.
"Nemmeno io, Aya! Sono così, così...ah, mi siete mancate da morire!" dissi, con le lacrime agli occhi.
Sia Aya che Fuka risposero dicendomi quanto io fossi mancata a loro e atutti i nostri amici, mentre mi resi conto quanto dall'esterno questa scenetta apparisse quasi stucchevole. Decisi di non curarmene.
"Beh? Dove si trova questo nuovo posto di cui mi avete parlato?" domandai, sciogliendo il nostro abbraccio, con ancora gli occhi bagnati.
Loro risero, mentre mi mimarono di seguirle.
Il verde del prato del parco ebbe la capacità di potenziare l'effetto di cui prima avevo goduto osservando il cielo sereno, il periodo primaverile non fece altro che dare la giusta cornice a quello spettacolo mozzafiato.
Il locale era effettivamente una nuova costruzione, in stile occidentale, con l'arredamento sui toni del beige e del marrone, mi sembrò davvero carino.
Ordinammo tre caffè, e trascorremmo il pomeriggio discutendo di qualsiasi argomento. Dalla mia carriera, ai film che avevo girato, agli attori che avevo conosciuto, alle loro vite e come erano cambiate dalla mia partenza.
Fuka stava studiando giurisprudenza, e mi sembrò che avesse scelto la professione davvero perfetta per la sua personalità. Era una ragazza sveglia, con un porfondo senso della giustizia, e di certo possedeva anche una bella e spigliata loquacità. Sarebbe stata un bravissimo avvocato.
Aya, invece, aveva studiato per diventare mestra di scuola media, e insegnava proprio nella scuola che avevamo frequentato quando eravamo delle piccole adolescenti.
"Beh, Aya...non riesco a immaginare un lavoro più adatto per te! Insomma...non ho mai conosciuto una persona con senso materno già a 11 anni?" dissi, ridendo.
Lei rise con me.
"Allora è tutto pronto per quel giorno?" domandai maliziosamente, conferendole delle piccole gomitate al braccio.
Lei abbassò poco il capo, cercando di mascherare le guance rosse.
Io e Fuka ci guardammo, con un sorriso d'intesa.
"Beh, sì...Abbiamo già spedito le partecipazioni, e fatto la prenotazione alla chiesa" bisbigliò, portandosi un gruppo di capelli biondo cenere dietro l'orecchio.
Sia io che Fuka rispondemmo con un "uuh" insinuante, con gli occhi che brillavano, al solo scopo di farla arrossire.
"Siete due sciocche...Sana non sei cambiata di una virgola!" asserì Aya, mentre io annuivo, consapevole che fosse davvero così.
E la realtà era che ne ero felice. Ero felice di non aver mutato personalità durante gli anni della crescita, sebbene in America fossi sempre un po' meno allegra.
"E...ci sarebbe un'ultima cosa. Io, ecco...io..." annaspò Aya.
Poggiai il mio viso sul dorso delle mie mani, mentre la incalzavo a continuare con la mia conoscita delicatezza. "Tu cosa, Aya? Non vorrei dover cominciare ad avere i capelli bianchi"
Lei alzò gli occhi al cielo, mentre cominciò a parlare. "Io vorrei che voi foste le mie testimoni! Certo, sempre che voi ne abbiate vogl..."
"Davvero?" urlai, interrompendo la mia amica.
"Certo che ci va, Aya! Oh...sarà il matrimonio più bello del Giappone!" continuai, con le dita strette, saltando da un momento all'altro in piedi, e poggiandone uno sulla sedia.
Ridemmo tutte e tre insieme, e sembrò come se non fossi mai partita.

Il cielo cominciò a divenire più blu, e la sera cominciò a calare, così dissi alle mie amiche che era giunto il momento di tornare a casa. Feci per prendere la borsa, ma si scambiarono un veloce sguardo e tentarono di convincermi a restare per qualche minuto.
Io accettai, anche se non ne capii la ragione, ci saremmo viste anche il giorno successivo.
"Aya, Fuka...che avete in mente? Sembra che mi stiate celando qualcosa..." informai, un po' sospettosa.
"Cosa? Oh, no...non c'è nulla, Sana!"
Io sollevai le sopracciglia.
Vidi i loro sguardi posarsi non più sui i miei occhi ma su qualcosa alle mie spalle. Mentre il mio sguardo si fece interrogativo.
"Sana? Girati" dissero le due mie amcihe allo stesso tempo.
Quello che si presentò dietro di me fu totalmente imprevedibile per me.
Tutti i miei amici erano lì, con dei sorrisi che abbero il potere di far arrivare veloce la commozione, e sentire una morsa al petto.
C'erano proprio tutti. Tsuyoshi, Hisae, Gomi, Mami, tutta la classe con cui avevo condiviso le elementari.
Mi girai verso quelle due folli di Aya e Fuka, mimando un "siete incredibili!", apprestandomi poi ad abbracciare i vecchi amici che avevano reso qui la mia vita felice.
Mi meravigliai di come fosse fisicamente cambiato Tsuyoshi. Mantenne la montatura che portava sin da bambino, era come se fosse il suo tratto unico, ma la mascella divenne più delineata, le spalle più mascoline, la barbetta che non immaginavo potesse crescere sul quel visetto innocente che avevo portato con me nei miei pensieri. Adesso era un uomo.
Lo abbracciai con una forza tale da soffocarlo, e lui ricambiò, con gli occhi anch'egli commossi. Nonostante quel corpo cambiato aveva mantenuto la sua fantastica sensibilità e non potei che essere allegra per ciò.
"Mi stavo cominciando a chiedere se saresti più tornata, Sana!" pronunciò, la voce che rimarcava quanto il tempo fosse trascorso.
"Avrei potuto mancare ad un evento così bello per i due miei amici?" dissi, retorica.
Lui sorrise.
"E sai, Aya mi ha chiesto di farle da testimone!" urlai, sempre sprovvista dell'abilità di mantenere un segreto.
Salutai tutti, scambiando qualche parola, qualche frase. Fu quando terminai di abbracciare Gomi, che mi resi conto anche di un altra persona, rimasta poco in disparte, con le braccia incorociate, e un piede poggiato sul muro.
Anche lui, come tutti gli altri mostrò d'essere cresciuto nei tratti. Era più alto, forse più alto di tutti i nostri amici, le labbra sempre carnose, mentre dalla maglia blu che indossava si riuscivano a notare dei muscoli ottenuti con evidente costanza ed esercizio. Solo due aspetti notai rimasero immutati, il color miele dei suoci capelli, portati con lo stesso taglio di sei anni prima, e gli occhi. Quegli occhi ambrati, talmente intensi da perdersi.
Nonostante parlassi con Gomi, non potei non lanciargli qualche sguardo, mentre pensavo come fosse meglio che ci salutassimo. Avrei dovuto abbracciarlo? O sarebbe stato meglio salutarlo con un gesto? E cosa più importante, perchè mi creavo tutte queste domande su come fosse più consono che lo salutassi? Io sono Sana Kurata, mi comporto sempre come l'istinto mi comunica di comportarmi! Lui durante la breve conversazione con Gomi non tolse mai gli occhi dai miei.
Quando anche Gomi andò a parlare con Hisae, vidi tutti intenti a parlare con qualcuno. Chi del matrimonio tra Aya e Tsuyoshi, chi di semplici e banali argomenti di circostanza.
Io mi avvicinai a lui e sembrò irrigidirsi, nonostante parve che si fosse preparato nei minuti precedenti.
Sciolse le mani intrecciate sul petto, e spostò la gamba poggiata sul muretto, portandola accanto all'altra.
"Hayama" fu ciò che riuscii a pronunciare.
"Kurata..." scelse di rispondermi, e se avessi puntato dei soldi su quali sarebbero state le prime parole che mi avrebbe dedicato avrei certamente trionfato.
Gli sorrisi poco, mentre fui travolta da un velo di imbarazzo che non era mai stato presente tra me e lui.
Non capivo davvero perchè dovesse esserci adesso. Eppure sapevo che, seguendo l'Akito Hayama che ricordavo, e che sembrò essere rimasto il medesimo, quel pronunciare il mio nome sarebbe stato l'unica parola che mi avrebbe dedicato in quell'occasione. L'avevo conosciuto a quel che bastava per prevedere i suoi comportamenti.
Ma forse lui non riuscì a prevedere ciò che invece fu il mio gesto.
Lo abbracciai, così come avevo abbracciato tutti i miei amici, e lui lo era...non avrei stabilito un'eccezione. Mi resi conto di averlo stretto con un po' più con forza rispetto gli altri, ma non me ne curai. Seppure non potessi vedere il suo viso, riuscì a sentire quel lieve "Oh" che fuggì alle sue labbra, e passò qualche secondo prima che le sue mani si portassero alle mie spalle. Proprio in quel momento scelsi di sciogliere l'intreccio, eliminando le lacrime che avevano preso la fuga dai miei occhi, inidonea a trattenerle. Fu un abbraccio breve, eppure riuscì a sembrarmi come assordante.

"Hey, Sana!" urlò Fuka, per avere la mia attenzione.
"Sì?" Mi girai verso lei, offrendo le spalle ad Hayama.
"Comunque, sappi che questo è l'antipasto...ci siamo già accordate con tua madre, abbiamo organizzato una festa di bentornato a casa tua per domani!" pronunciò, entusiasta.
"Dici sul serio? Fuka, Aya, non avresto dovuto darvi tutto questo disturbo..."
"Sta' zitta, Sana! Vedrai che ti divertirai!".


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Capitolo 2
*** Welcome back, Sana! (II part) ***


ghnh "Akito! Akito! Ma dove ti sei cacciato?"
Alzai gli occhi al cielo. Odiavo essere disturbato quando leggevo, e quella vocetta stridula non potè che aggravare il mio disappunto.
L'ospite indesiderata continuò a urlare il mio nome, come se non gli importasse se avessi da fare o meno. Il mio sguardo fermo sulla porta, consapevole che prima o poi si sarebbe aperta, e tanti saluti al relax a cui  mi stavo dedicando.
"Akito! Ti ho trovato! E' da cinque minuti che tento di trovarti. Potresti anche rispondere, che razza di fratello strambo che ho"
"Nat, stavo leggendo, come puoi vedere. Dì quello che hai da dirmi e poi lasciami in pace"
Lei ripetè il gesto fatto da me poco prima, quando sapevo che sarei stato distolto dalla mia solitudine. Tuttavia non desistette dal raccontare qualsiasi diavoleria le circolasse per il cervello, dato che conoscesse bene il mio carattere non proprio socievole.
"Ti è arrivata la notizia? L'ho appena saputo da Aya, in realtà non voleva lo dicessi a nessuno, e per questo devi promettermi di mantenere il segreto" disse, su di giri.
La osservai, con la mia solita indifferenza.
"Se si tratta di un segreto forse non dovresti divulgarlo così" cercai di tagliare.
Mia sorella si portò le braccia al petto, e si avvicinò verso di me, prendendo posto sul mio letto, mentre io, di malavoglia, mi spostai per permetterle di farlo.
"Quasi sicuramente Aya l'avrà detto a quel tuo amico occhialuto di Tsuyoshi, quindi lo sapresti comunque..."
"Nat, per amor del cielo, vuoi deciderti a parlare? Stavo leggendo e sai bene quanto voglia stare in pace quando lo faccio" riposi, forse un po' bisbetico, ma sincero.
"Beh...indovina un po' chi  tra qualche giorno tornerà qui in Giappone direttamente dagli Stati Uniti!" quasi gridò, entusiasta.
E non ci volle molto prima che realizzassi l'unica persona possibile di cui potesse parlare Nat. Il mio sguardo si spostò dai suoi occhi a un punto qualsiasi della stanza, evidentemente sorpreso e sconvolto. Sentii una morsa allo stomaco, ma la soffocai immediatamente, avrei dovuto continuare a parlare prima che lei potesse dire il suo nome. Avevo capito di chi stesse parlando, ma non avevo alcuna voglia di udire dopo anni quel nome che con sforzo e dolore avevo cacciato dalla mia testa e dal mio cuore.
"Mmh, ho capito di chi stai parlando. Sono contento per lei" mi rivolsi a mia sorella, tornando a leggere, o fingere di farlo, ostentando quella solita tranquillità, quella solita noncuranza di cui mi vestivo.
Lei si alzò.
"E' tutto quello che hai da dire, Akito? Mi sembrava foste molto amici qualche anno fa" esclamò, arrabbiata e amareggiata dalla mia reazione.
"Nat, non prenderò a saltellare e urlare per tutta la stanza con te, se è questo ciò a cui stavi pensando. Lascio queste cose a voi del genere femminile. Va' da Aya, se ne senti il bisogno"
"Ah, sei veramente irrecuperabile, Akito! Ci vediamo." Con queste parole si voltò e lasciò la mia stanza, facendo ondeggiare più del normale i suoi capelli ormai lunghi fino a metà schiena. Voleva farmi notare quanto fosse arrabbiata dalla durezza delle mie frasi, ma sapevo che avrebbe dimenticato tutto entro qualche minuto.
Sorrisi appena, divertito da quella sua recita, mentre sbatteva la porta, riportandomi a quella solitudine iniziale a cui tanto auspicavo da quando fu rotta da mia sorella. Una solitudine diversa però. Una nuova sfumatura. Adesso i pensieri e le preoccupazioni sostituirono la tranquillità e la pace di poco prima, e non potei fare a meno di odiarmi. Odiarmi perchè quella ragazzina fastidiosa avesse ancora la capacità di sconvolgere e destabilizzare il mio stato d'animo.
I miei pensieri, che stavano già salpando, furono interrotti da qualche piccolo colpo alla mia porta.
"Chi è?" domandai, con evidente fastidio.
Aprì piano la porta, mentre i capelli e il viso di mia sorella sbucarono, facendo capolino.
"Ho preparato il sushi stamattina, so che ne vai matto, per cui te ne ho lasciato un po' sul tavolo in cucina. Io vado...ciao Akito" disse, mandandomi un bacio.
Sapevo l'arrabbiatura le fosse già passata, conoscevo abbastanza mia sorella per poter immaginare quasi con precisione chirurgica i suoi gesti e i suoi pensieri.
La ringraziai, e guardai la porta chiudersi, stavolta in modo permanente.
Chiusi il libro, mi sembrò ridicolo anche solo pensare di poter tornare a dedicarmi alla lettura, seppure del maestro di karate Funakoshi, quando nella mia testa avevo solo un viso che era tornato a tormentarmi.
Un volto. Un volto che era stato con me durante tutti i primi anni dell'adolescenza. L'unica persona che aveva il potere di scombussolarmi così. Mi concentrai sull'ultima immagine che il mio cervello aveva registrato di lei. Un viso così armonioso, con occhi color cioccolato sempre luminosi e amichevoli, resi ancor più splendenti dalle lacrime che in quella giornata di sole bagnavano il suo viso. I dettagli ancora acerbi, ma meravigliosi. Sorrisi amaramente quando ricordai che il contesto fu proprio l'aeroporto. Tipico.
"Ragazzina egoista" bisbigliai a me stesso.
Dimenticare quella voce, quel carattere tanto odioso quanto adorabile fu probabilmente la cosa più difficile che feci durante la mia vita, ma ci ero riuscito, avevo messo da parte Sana, per pensare un po' anche a me, esattamente come lei pensasse a quel suo dannato lavoro e solo a se stessa. Grazie anche a Tsuyoshi, sarebbe da codardi negarlo, e alla sua pazienza, al karate, la rabbia che provai inizialmente fu sostituita dalla rassegnazione, la rassegnazione fu sostituita dall'accettazione, Kurata apparteneva al mio passato. Un passato che avrei sempre portato in un piccolo spigolo del mio cuore, inevitabilmente, ma pur sempre passato e non poteva nè avrebbe dovuto fare parte del mio futuro.
I miei occhi andarono verso l'ultimo cassetto del mio comodino, dove sapevo avrei trovato un'oggetto che per tutti quegli anni avevo scelto di non guardare più.
Andai lentamente verso quel cassetto di legno chiaro, abbassandomi sulle ginocchia. Eccolo lì, quel piccolo dinosauro che quella testa rossa inarrestabile aveva pensato di donarmi quando avevamo appena 12 anni.
Come sarebbe stato rivederla? Avrei provato indifferenza? Avrei provato insofferenza?
Durante quegli anni il mio carattere era andato migliorandosi, grazie anche alla maturazione, nonostante fossi fermamente dell'idea che io un bambino vero e proprio non lo ero mai divenuto. Ma Kurata mi aveva aiutato in questo, e le sarei stato sempre riconoscente. In fondo la mia vita di adesso era anche merito suo. Avevo Tsuyoshi, mia sorella, mio padre, tutti miei compagni di classe delle elementari con cui non avevamo mai sciolto i legami. E anche Kurata era una mia amica, la mia prima vera amica. Ricordai come risultasse naturale aiutarci a vicenda, essere presente quando l'altro stava male, quando ne avevamo bisogno. Le cose divennero complicate solo quando non riuscimmo a evitare che il nostro legame diventasse qualcos'altro, permettendo che i sentimenti, prima miei che suoi, ad essere sinceri,  mettessero a dura prova il nostro rapporto.
Ma adesso ne ero sicuro, quei sentimenti avevano cessato di esistere, saremmo potuti tornare ad essere amici come un tempo. Forse.
Mangiai il sushi di fretta, mentre mi preparai per andare nella mia palestra, per tenere la lezione con quei marmocchi desiderosi di apprendere l'antica nobile arte del karate.
Al termine della lezione, salutai tutti i bambini, mentre mi accorsi di un paio di occhiali da vista intenti a fissarmi fuori la porta.
Tsuyoshi.
Se quella mezza cartuccia comincia a parlarmi di Kurata gli assesto un bel destro, promisi a me stesso, anche se ero perfettamente consapevole che l'avrebbe fatto, e perfettamente consapevole che non avrei mai avuto la forza di fargli del male.
"Akito, ciao!"
"Ciao, Tsu"
Qualche secondo di silenzio dopo il mio saluto, mentre osservai lui  sfregarsi nervosamente le mani.
Mi fece sorridere vederlo così impacciato, consapevole del motivo per cui lo fosse. Così decisi di giocare un po' su questo.
"Beh? Sei venuto per osservare il parquet? Ha delle belle sfumature, effettivamente..."
Sorrise istericamente.
"N-no..in realta sono venuto per dirti una cosa..."
Poggiai le mie spalle alla parete, intrecciando le mie mani, cercando di non ridere.
"Ti ascolto" gli risposi, cercando di incoraggiarlo.
I suoi pugni si strinsero.
"Ma ti avverto Tsuyoshi, non ho tempo da perdere. Quindi, prima che ti lasci qui a parlare con chi pulisce la palestra, dimmi quello per cui sei venuto"
"S-si...ecco...Oggi ho parlato con Aya"
Sollevai le sopracciglia.
"Hai parlato con la tua ragazza. Bene. Lo appunterò nel mio diario segreto"
Continuò a fingere di ridere.
"Ehm, ecco, Akito, ti andrebbe di prendere un caffè?"
Lo guardai con indifferenza, mentre nascondevo una risata per via del suo atteggiamento. Gli feci cenno con la testa di dirigerci verso il bar più vicino, accontentandolo. Lui mi seguii per il tragitto senza dire nemmeno una parola. Non che ne fossi infastidito.
Quando arrivammo in quel piccolo locale prendemmo subito posto, ordinando due espressi. Quando anche la cameriera andò a comunicare ciò che avevamo richiesto, gli feci cenno di cominciare a prendere parola, spazientito.
"Come stavo per dirti...ho parlato con Aya, e...in realtà mi ha chiesto di non rivelare questo segreto, anche se lei e Fuka sono talmente contente da non riuscire a mantenerlo nascosto quasi con nessuno..."
Continuai a guardarlo, ostentando sempre il solito disinteresse a cui si era abituato, afferrando la tazzina in vetro che intanto era giunta al mio tavolo.
"Sai che io e Aya, beh, ecco, ci sposiamo, no?"
"Mi hai chiesto anche di farti da testimone, Tsuyoshi. Mi sembra chiaro."
"Beh, prova a immaginare chi vorrebbe Aya come sua, di testimone"
Presi un'altro sorso dalla tazzina.
"Bene, ho capito" dissi semplicemente, voltandomi per andare a pagare il conto e tornare alla palestra per allenarmi date le vicine competizioni al livello agonistico che mi aspettavano.
Come fu prevedibile mi corse dietro.
"Cosa? Hai capito? E' tutto quello che vorresti dirmi?" domandò, con una nota di disappunto.
"Sì. Cosa ti aspettavi che facessi? Dei salti perchè Kurata torna dagli Stati Uniti?"
"No, ma...pensavo avresti avuto una qualche reazione"
"Tsuyoshi, tu, più di qualsiasi altra persona, sai quanto mi sia impegnato per dimenticarla, e quando ti ho confidato d'esserci riuscito non mentivo affatto. Continuo a volerle bene, o forse voglio bene il suo ricordo, non ne sono sicuro. Rivederla sarà come vedere una vecchia amica, tutto qui" gli spiegai, tranquillamente.
Magari si era anche fidanzata con quel damerino di Kamura, chi poteva saperlo. Questo mio ultimo pensiero non lo riferii a Tsuyoshi.
Il suo viso sembrò acquietarsi.
"Sì, beh...hai ragione. Ormai siamo adulti, e le cose sono cambiate. Mi sono preoccupato solo perchè conoscevo la profondità del rapporto che vi legava, nonostante la giovane età. Tutto qui"
"Non c'è motivo di preoccuparsi" risposi, incamminandomi nuovamente.
Tsu rimase per qualche secondo fermo a fissare la mia figura che si allontanava, per poi voltarsi e riprendere anche lui il passo. Fu proprio in quel momento che mi voltai per richiamare la sua attenzione.
"Tsuyoshi" urlai.
Lui si fermò, girandosi velocemente.
"Comunque, lo sapevo già" dissi, sorridendo, e beandomi dei suoi occhiali che cominciavano a diventare sempre più specchiati, e i suoi occhi più accesi.
Durante la passeggiata di ritorno solo un "Cosa?!" urlato talmente forte da sorprendermi del fatto che la gola non gli si fosse squarciata, e la mia risata, abilmente velata, ma impossibile da uccidere.

I giorni successivi trascorsero molto velocemente, decisamente più velocemente del previsto. Cercai di tenermi occupato quasi ogni minuto per tentare di scacciare quel pensiero fisso che avevo preso prepotentemente posto nella mia mente. A volte avrei persino voluto avere quel martelletto che Kurata amava portare sempre con sè, per picchiare da solo la mia testa che sembrava non seguire più le mie direttive. Chissà se lo possiede ancora...
Pensavo a come sarebbe stato davvero rivedere quel viso, e riscoprirlo più cresciuto, maturato. Quanto sarebbe cambiata in questi anni? E il carattere? Era rimasto lo stesso? Era ancora la Sana Kurata sempre allegra e incapace di stare ferma? Avrebbe parlato con un fastidioso accento occidentale? Mi ritrovai persino a domandarmi se ogni tanto facesse ancora quelle ridicole codine.
Il rumore di una telefonata proveniente dal mio cellulare imterruppe il mio "flusso di coscienza", gliene fui, in parte, grato. Guardai chi fosse a telefonarmi, mi sorpresi di leggere il nome di Fuka.
"Pronto, Fuka"
"Akito! Ciao!"
"Che succede? Va tutto bene?" domandai.
"Oh, sì. Ti chiamo semplicemente per un appuntamento a cui dovrai tenere fede per domani pomeriggio. Non accetto risposte negative." disse, con entusiasmo, il tipico entusiasmo di Fuka.
"Un appuntamento?" chiesi, con sospetto.
"Sì, non farti idee strane. Come saprai domani torna Sana, e volevamo farle una sorta di rimpatriata a sorpresa...verrai, non è così?"
Meditai qualche secondo, e Fuka se ne accorse. Stava cominciando a parlare con tono di rassicurazione e di persuasione, quando la interruppi prima di sentire qualcuna delle sue insopportabili frasi.
"Ok. Dimmi solo dove e a che ora."

Il pensiero che tutte quelle domande avrebbero avuto termine solo il giorno successivo mi fecero sentire un po' di nervosismo. Un nervosismo che non avvertivo da tempo, d'altronde non ero un tipo da stupide paranoie, non lo ero mai stato. Ma quando si parlava di Kurata, per quanto mi impegnassi, per quanto fossi certo di aver chiuso quel cassetto, nulla mi sembrava razionale, nulla si sembrava acquistare senso. Lei era stata una delle persone più importanti della mia vita, sebbene non l'avrei ammesso nemmeno se torturato dall'inquisizione spagnola, ed era assolutamente normale che i miei occhi diventassero vuoti per qualche secondo quando sentivo pronunciare quel nome. Quando la vedevo in una di quelle stupide pubblicità in televisione. Quando trasmettevano uno dei suoi film.
Sebbene odiassi registrare ancora queste piccole reazioni, non riuscivo a evitarlo.
Decisi di bloccare i miei piensieri su Kurata, almeno per quella sera. Decisi di non pensare a come sarebbe stato il nostro rapporto adesso, dopo questo tempo di lontananza. Non me ne sarei curato.

La mattina successiva feci colazione con Nat e la piccola Koharu, in un suggestivo locale che dava su un laghetto artificiale. L'atmosfera era primaverile e, sebbene preferissi l'inverno, davvero piacevole. Fare colazione, tuttavia, non si rivelò per niente una cosa semplice, dato che Koharu, la mia deliziosa nipotina di appena quattro anni, non volle scendere dalle mie gambe nemmeno per un istante. Quei piccoli e biondi boccoli al profumo di camomilla, e quel visetto, tanto simile a mia madre ebbero la capacità di infondermi un po' di calma nonostante l'evento che quel pomeriggio mi avrebbe aspettato.
"Koharu, scendi dalle gambe dello zio, e lascialo fare colazione" ordinò, con tono materno, Nat.
"No, mamma. Voglio stare qui con lo zio Akito"
"Lasciala, Nat." dissi, con semplicità. Non mi piaceva ammetterlo a voce alta, ma adoravo avere intorno quella graziosa bambina a cui volevo un bene incondizionato.
"Joshua dov'è?" chiesi, cambiando discorso.
"Tornerà nel pomeriggio a casa, è stato due giorni fuori per lavoro, e sia io che Koharu ne abbiamo sentito terribilmente la mancanza" rispose, con gli occhi che mi sembrarono assumere la forma di un cuore. Decisamente stucchevole, ma adoravo vederla così felice.
Alzai gli occhi al cielo, mentre Nat mi diede un piccolo pizzico sul braccio.
"Come stai tu?" domandò all'improvviso, facendomi smettere di giocare con Koharu.
"Bene, sto bene" risposi, secco, riprendendo a stuzzicare quella piccola e vispa bimba. Nat mi guardò di sottecchi.
"Sei sicuro, Akito?" chiese, come se non avesse creduto nemmeno per un istante alle parole di poco prima.
Poggiai le mie spalle sulla sedia. "Nat, cosa vorresti che ti dicessi, con precisione?" sussurrai, con tono seccato.
"La verità, fratellino."
"Non lo so. Non so come sto. Sento un po'...un po' la testa per aria, ma passerà"
In risposta alla mia frase Nat mi strinse le mani, con occhi comprensivi, come se fosse a conoscenza che ci fosse dell'altro, ma che non riuscissi a dire altro, nonostante si trattasse della punta dell'iceberg. Non fece nessun'altra domanda, ed io fui grato e riconoscente per ciò.
Le accompagnai a casa, e le salutai, anche se non prima di aver consegnato quel piccolo peluche che avevo portato in dono a Koharu. Appena lo vide cominciò a fare i salti di gioia, stringendomi con quelle sue piccole manine il collo, per poi fuggire e andare a chiudersi nella sua stanzetta.
"Akito, ti prego...praticamente casa mia è diventata un magazzino per tutti i regali che fai a Koharu!"
"Faremo costruire una soffitta" risposi, sorridendo.
"Crescerà viziata" sussurrò, nel tentativo di persuadermi di nuovo.
"Me la cavo bene con le bambine viziate" fu la mia risposta, con un riferimento che, ovviamente, non fu indifferente a Natsumi.
"Adesso vado, devo allenarmi e poi prepararmi per oggi pomeriggio"
"Va' pure, ci vediamo domani!"

"Perfetto, così"
"Mantieni la schiena dritta"
"Bene, Hayama. Per oggi abbiamo finito."
Mi sedetti per terra, sfinito. Il maestro sembrò leggermi nella mente quando mi passò l'asciugamano che non avrei preso prima di almeno dieci minuti, dato che mi sarei dovuto alzare per farlo.
"Maestro, lei crede che potrò ottenere il decimo dan tra tre settimane?"
"Akito..." si sedette vicino a me, incrociando le caviglie.
"Penso che tu abbia una predisposizione innata per questa disciplina. Non ne passano ogni anno, di allievi come te. Io fido molto nelle tue abilità, e anche tu devi"
Guardai  il pavimento, non guardando davvero ciò che i miei occhi avevano messo a fuoco.
Il Karate era una delle cose che mi aveva salvato da quell'inettitudine, da quell'accidia continua da cui ero affetto. Non provavo interesse, passione per nulla, e mi detestavo. Mi detestavo perchè non trovavo una sola ragione per vivere, ed ero codardo al punto di non scegliere di morire. Ma il karate, il karate mi aveva dato esattamente ciò che stavo cercando, una ragione per cui esistere. Insieme la mia famiglia, per cui dapprima provavo astio, adesso erano praticamente inseparabili da me, avrei protetto la loro vita con la mia senza dubitare un secondo.
La mia mente scelse di accarezazre nuovamente quel ricordo, uno di quelli che custodivo con più gelosia dentro di me. Io e Kurata, al parco, nel nostro gazebo. Il mio capo poggiato sulle sue gambe, le sue mani tra i miei capelli, viglili nel darmi piccole e delicate carezze. Quella svitata che voleva a tutti i costi interpretare mia madre. Sorrisi.
Ricordai ogni emozione, ogni vibrazione di quell'istante. Fu come un cubetto di ghiaccio sciolto sotto un cielo blu estivo.
Sì, deve essere stato quello il momento in cui Kurata divenne così importante per me.
"Lo faccio, maestro. Credo in me, e credo in questa disciplina."
"Lo so, adesso riposati, ci vediamo domani mattina." asserì, dandomi una piccola pacca sulla spalla.
Tornai a casa, e guardavo già il cielo diventare più bruno. Accidenti, dovevo sbrigarmi.
"Tsu, faccio una doccia veloce. Passi da qui e andiamo insieme?" scrissi velocemente in un sms.
"D'accordo" fu la semplice risposta del mio amico occhialuto.
Andare di fretta l'avevo sempre detestato, ma quella volta fu decisamente una buona cosa. Prepararmi e vestirmi in modo veloce mi permise di tenere la mente lontana da riflessioni e pensieri, che avrebbero portato solo a un nervosismo ingiustificato.
Quando fui pronto, uscii dalla porta, mentre intravidi la sagoma di Tsu avvicinarsi verso di me.
"Possiamo andare?" domandò, con tono sereno.
Io annuii, e ci incamminammo verso quel nuovo bar di cui non riuscivo a ricordare il nome.
"Come stai?" chiese, all'improvviso. Non era una banale domanda di circostanza, lo si avvertiva dal tono. Tsuyoshi sapeva bene quanto non sopportassi la banalità del fare conversazione.
"Io, io sto bene, Tsu. Non preoccuparti, davvero."
"Pensa piuttosto alla libertà cui stai rinunciando, sposandoti" dissi dopo, con tono ironico.
Lui rise, consapevole che stessi scherzando e fossi contento per i miei due amici.
"Bene, ecco Gomi, Hisae e tutti gli altri, raggiungiamoli" asserì, indicando un punto del parco.
Salutammo tutti, e ci dissero che ci saremmo dovuti avvicinare quando Fuka avrebbe fatto uno squillo a Gomi. Nemmeno il tempo di terminare quella frase, che...ecco lo squillo.
Cominciammo a camminare, mentre la mia testa iniziò a ricordare tutti i miei momenti con Kurata, in modo così arbitrario da innervosirmi. Quella volta al parco, i nostri abbracci, il nostro rapporto, quell'ultimo bacio che rubai all'aeroporto.
Tuttavia sapevo che ormai quei sentimenti fossero soltanto un ricordo, e ne ero convinto, anche se l'affetto nei suoi confronti, per me come per tutte le mie amicizie, era rimasto immutato.

"Sana? Girati!" fu l'esclamazione di Fuka, con gli occhi che brillavano per la consapevolezza di aver fatto questa sorpresa alla sua amica.
Quella testolina rossa si girò, alzandosi di poco, e mostrando i lunghi capelli rossi. I suoi occhi si illuminarono quando capii a cosa si riferisse Matsui. Si girò nuovamente verso le due amiche, sussurandogli qualcosa che non riuscii a capire, mentre si avviò verso noi per salutarci singolarmente. Cercai di scrutare bene la sua figura, sebbene fosse quasi impossibile a causa di tutte le persone che le si ritrovarono accanto. Decisi di starmene un po' in disparte, con le mani intrecciate sul petto, e indossando la mia solita maschera di indifferenza. Vidi i suoi occhi fare capolino di tanto tanto e diventare quasi bagnati per la commozione, esibendo una voce diversa rispetto quello che la mia mente aveva. Ovviamente crescendo anche la voce le era cambiata, e sembrò essere meno acuta, meno stridula, seppur femminile e ben accordata. I saluti intanto procedevano, avvicinandosi a me,  mentre si fermava a parlare con ognuno dei nostri amici, sinceramente interessata ai loro cambiamenti e alle loro vite. Fu solo quando salutò Gomi, che notai i suoi occhi sui miei, e potei vedere bene la Kurata ventunenne.
La gonna blu le cingeva bene la vita stretta, mentre la camicetta chiara che aveva scelto le lasciava scoperte le clavicole, facendo anche intravedere il reggiseno sotto, a causa del colore candido del tessuto. Era decisamente cresciuta di statura, le lunghe gambe snelle e toniche incrociate tra loro. Era innegabile che fosse bella e attraente. D'altra parte ero sempre un uomo.
Il viso aveva conservato ancora quegli occhi così espressivi, dal color cioccolato che da bambino adoravo guardare, seppure fosse evidente anche sul volto l'opera svolta dal tempo. Le labbra erano decisamente più carnose, colorate da un rossetto che mi faceva ricordare le ciliegie nella bella stagione.
Quando finalmente mi vide, continuò a parlare con Gomi, lanciandomi ripetuti sguardi. Chissà a cosa pensava, chissà se il suo carattere era maturato.
La chiaccherata con Gomi volse al termine, e la rossa concentrò immediatamente i suoi occhi sui miei. Sentii una piccola morsa allo stomaco quando cominciò a camminare nella mia direzione. "Hayama, smettila di fare il ragazzino" mi ordinai, sciogliendo le mie mani e facendole cadere sui fianchi. Mi irriigidì un po', e probabilmente se ne accorse, ma questo non la intimidì nemmeno per un istante.
Arrivò esattamente di fronte a me, mentre mi rivolse uno dei suoi sorrisi che erano come fonte di vita per me durante la prima adolescenza.
"Hayama" fu tutto ciò che mi disse, con una sfumatura di imbarazzo, e le guance diventate improvvisamente rosate.
Feci un sorrisetto abbozzato, mentre in modo assolutamente scontato mi preparai a rispondere al saluto.
"Kurata..."
Ci osservammo entrambi per qualche secondo, senza che nessuno dicesse qualcosa. Sembrò cercare di voler interpretare le mie emozioni, capire come comportarsi o cosa fare. Sempre la solita...farsi mille problemi per mettere a proprio agio gli altri era proprio da Kurata. La osservai anche io, sembrò volesse rivolgermi parole e parole che però trovavano la loro fine in gola, a causa dell'imbarazzo.
Un'imbarazzo che scoprì essere nuovo nel modo di fare della ragazza che ricordavo. Forse il nome giusto con cui descriverlo sarebbe stato "buonsenso".
All'improvviso registrai un piccolissimo movimento nei suoi occhi, rappresentò il segno di una qualche decisione presa seguendo un filo logico che non potevo conoscere, il filo dei suoi pensieri e di ciò che le frullava in testa.
In uno scatto quasi felino, mi strinse a sè, alzandosi sulle punte per portare il mento all'altezza della mia spalla. Mi curvai leggeremente per facilitarle l'impresa, sebbene fossi sorpreso da questo inaspettato gesto. Fu talmente inaspettato che sarebbe stato impossibile per me impedire che le mie labbra si schiudessero in un eloquente "Oh", che ovviamente non le fu indifferente.
Mi strinse talmente forte che mi sorpresi della forza di cui quel corpicino snello poteva disporre, le mie mani ancora sui miei fianchi adesso si stavano muovendo verso le sue spalle, per ricambiare l'abbraccio. Appena un secondo dopo il contatto delle mie mani sulla sua schiena, Kurata scelse di riprendere le distanze.
Ne fui quasi dispiaciuto, e mi maledissi per questo.
"Hey, Sana!" urlò una terza voce, che feci presto a riconoscere come quella di Matsui.
Subito si voltò, asciugando leggermente una lacrima.
"Sì?"
"Comunque sappi che questo è solo l'antipasto...ci siamo già accordate con tua madre, abbiamo organizzato una festa di bentornato a casa tua per domani!" gridò Fuka.
Perfetto, ci mancava solo questa.
"Dici sul serio? Fuka, Aya...non avreste dovuto darvi tutto questo disturbo!"
Per una volta io e Kurata eravamo della stessa opinione.
"Sta' zitta, Sana! Vedrai che ti divertirai" sentenziò Matsui.
Ci avvicinammo verso il resto dei nostri amici, mentre fu impossibile ai miei occhi impedire di tanto in tanto di andare verso il suo viso, scoprendo anche d'essere ricambiato, mentre lo sguardo preoccupato di Tsu bloccato sui miei occhi mi fece sorridere per il carattere timoroso del mio amico.
In questo lui e Aya erano quasi gli stessi.
Lo rassicurai con un mezzo sorriso, mentre ripresi la mia discussione sul Karate con Gomi.





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Capitolo 3
*** Friends ***


bhgbjk "Sana? Sei ancora a letto? Non è possibile! Sono quasi le dieci del mattino!"
Udii in lontananza una voce, accompagnata da un rintocchio ben scandito, il suono di passi scala dopo scala. Bene, questo era un evidente segno che il mio sonno sarebbe stato completamente disturbato da lì a pochi secondi.
"Sana!" urlò quella voce udita poco prima, giunta alla mia porta, dopo averla aperta senza un minimo di delicatezza. Mi chiedevo chi potesse essere ad avere così poco rispetto per il mio riposo.
Poi mi ricordai che al mondo esisteva Fuka Matsui, e smisi di farmi delle domande.
"Fuka, che accidenti vuoi alle nove e trenta del mattino?" dissi debolmente, il sonno ancora lì, pronto ad abbracciarmi di nuovo.
"Che accidenti voglio? Hai dimenticato della festa di questa sera? Dobbiamo fare in modo che sia tutto perfetto!" quasi gridò, con le mani strette in due pugni.
Mi portai le coperte sin sopra l'attaccatura dei capelli, in modo da farle intuire quanta voglia avessi realmente di abbandonare il mio giaciglio, anche se la Fuka che conoscevo non avrebbe nè rinunciato, nè si sarebbe persa d'animo.
E infatti fu proprio così.
"Sana, di sotto ci sono i dorayaki..." mi informò, con tono malizioso.
"Colpo basso" sentenziai, rimuovendo almeno per quella mattina le coperte calde, e dirigendomi in bagno a fare una doccia veloce, mentre la mia strana, strana amica mi avrebbe aspettato al piano di sotto.
La festa di stasera, aveva detto. Una festa per il mio ritorno qui in Giappone. Ero contenta di notare che l'affetto dei miei amici sembrava aver sviluppato immunità al trascorrere del tempo, a pensarci bene, era tra le cose che più mi preoccupava al mio ritorno. Avevo timore che mi avessero dimenticata, timore che fossero in collera con me per tutti gli anni passati all'estero, timore che non mi riconoscesero più come la Sana di un tempo. In realtà, il giorno prima, tutti mi avevano dimostrato affetto. Sorrisi al pensiero di quella nuova immagine di Tsuyoshi, più uomo, più maturo, con gli occhi sensibili e commossi come erano da bambino. Lui e Aya formavano davvero una coppia perfetta, e il loro matrimonio era certamente la conseguenza più giusta per l'amre che provavano l'uno per l'altra.
Ripassando con a mente gli avvenimenti del giorno prima, sotto la doccia, non potei impedire che la mia mente mi portasse al saluto con Hayama.
Un Hayama anch'egli cresciuto, anch'egli diventato uomo. L'abbraccio che ci eravamo scambiati era stato talmente intenso da farmi quasi male, seppure durò pochi secondi. Desiderai sapere come era cambiata la sua vita dalla mia partenza, parlare un po' con lui sotto quel nostro gazebo come facevamo quando eravamo solo dei bambini, riavere il mio migliore amico. Mi era mancato, e sarebbe stato impossibile e falso negarlo.
"Eccomi" dissi, con la solita vitalità a cui tutti coloro che mi conoscevano erano abituati.
"Vieni a fare colazione, Sana!" urlò Fuka.
La salutai con un abbraccio, scusandomi per la mancanza di gentilezza che le avevo regalato pochi minuti prima, appena sveglia.
"Tranquilla, so quanto tu sia difficile da far svegliare, e quanto amore provi verso il letto" rise.
Risi anche io, mentre salutai anche Aya, e mia madre.
"Cara, fa' colazione, la signora Shimura ha preparato tutto con tanta gioia, canticchiando qualche strana canzone, da svegliarmi all'alba"
"Proprio con te volevo parlare! Mamma!"
"Tu eri a conoscenza delle diavolerie che queste due stavano mettendo in atto, e non mi hai detto nulla!" continuai, dopo, fingendo offesa.
Lei si avvicinò a me, portando il suo ventaglio alle labbra.
"Mia cara, un segreto è un segreto" rispose, per poi tornre a scrivere nel suo studio, ridendo per la mia espressione.
"Beh, quale sarebbe allora il programma di oggi?" domandai, mentre tagliavo un pezzo di dorayaki.
Osservai prontamente Aya recuperare un piccolo block notes, dove aveva sicuramente appuntato tutta la lista di cose da fare.
Mi chiesi perchè non riuscissi ad essere organizzata come lei.
"Allora, dovremmo verificare la presenza del catering, farti sapere il menu e se andrà bene darai la tua conferma, poi dovremmo passare a prendere le decorazioni, e le casse per la musica, e..."
"Va bene! Va bene, va bene tutto Aya. L'importante è che tu abbia ritagliato qualche minuto per prendere un caffè, altrimenti perderò coscienza e non potremo fare la festa e, oh! Povera me" dissi, interrompendo la mia amica, e recitando un po' di pathos per convincerle a fare una piccola pausa, portando anche la mia mano alla fronte.
Quando sollevai lo sguardo notai entrambe le espressioni delle mie migliori amiche con un sopracciglio inarcato, e le labbra portate da un lato. Non mi avevano presa sul serio nemmeno per un istante, e di certo avevano fatto bene. Risi, provocando anche una risata generale.
"Non sei cambiata per niente, Sana!" tentò di dire Aya, tra una risata e l'altra.
"D'accordo, Sana, prenderemo un caffè. Non vorremmo mai che tu avessi uno svenimento per colpa nostra. Anche se, a pensarci bene...così potresti rimanere in silenzio per qualche minuto..." furono le parole di Fuka.
E riprendemmo le risate lì dove erano rimaste. Mi erano mancate davvero.
"Su, sbrigati, abbiamo la lista di Aya che ci guarda in cagnesco" continuò, dopo aver ripreso la naturale espressione del viso, Fuka.
Come fu prevedibile, il resto della mattiinata trascorse tra negozi, impegni, e tutto ciò che richiedeva l'organizzazione di una festa. E sebbene fossimo esauste, nessuna di noi emise un solo piccolo lamento, neanche solo per un istante.

Arrivata a casa, dopo una mattina così frenetica come quella appena vissuta, non potei fare a meno di gettare il mio viso sui cuscini del divano pastello di casa mia, esausta.
"Oh, cara. So che non appena riesci a identificare un divano nel raggio di tre metri senti l'esigenza di testarlo, ma non è questo il momento. Devo consegnare un'altro capitolo del mio nuovo libro, e quell'Oliver non fa che starmi con il fiato sul collo..."
"Ma signora Kurata, il termine era già stato fissato per due giorni fa" la interruppe, con tono esasperato, il rappresentante della casa editrice che, a pensarci bene, era diventato quasi una persona di famiglia.
Mia madre mi lasciò velocemente il manoscritto, chiedendomi di leggerlo e darle una mia opinione, mentre con quella macchinina rossa driftava per il corridoio nel tentativo di scappare da quell'uomo, già ansimante per la fuga.
Risi al pensiero di quella stramba, ma unica, donna che era mia madre.
Lessi quel manoscritto, in cui mia madre aveva scelto di raccontare una meravigliosa tragicommedia, e mi sembrò essere quanto mai adatto a lei. Il ritmo era incalzante, la storia con una trama ben disposta. Sarebbe stato certamente un successo.
Mia madre fu felice di sentire la mia opinione, e si rallegrò quandò noto che ne rimasi sinceramente coinvolta. Era proprio quello lo scopo che lei si poneva. Al di là della scrittura corretta, della sintassi, lei voleva far innamorare i lettori di ciò che narrava, ed ero convinta lei avrebbe trionfato.
"Che farai nel pomeriggio?" domandò, mentre eravamo stavamo per pranzare.
"Credo andrò a casa di Rei, mi piacerebbe vedere Asako, e portare qualche regalo alla piccola Gigi"
"Sono d'accordo, Asako è affezionata a te"
Sorrisi, continuando a mangiare il delizioso pasto preparato dalla signora Shimura, parlando di futili argomenti io, mia madre, e...Onda, della casa editrice.
Appena terminato, salii immediatamente nella mia stanza pronta per vestirmi e andare nella nuova casa del mio manager Rei. Mi fermai a riflettere su che tipo di regalo avrei potuto dare alla loro figlioletta, che sapevo essere una bambina di sei anni, allegra e sveglia.
Avrei potuto darle una di quelle solite bambole, ma volevo fosse qualcosa di più originale e prezioso. L'idea mi venne ripensando a quella conversazione in macchina, appena fuori dall'aeroporto, tra me e Rei.
"A volte ho desiderato che potessi tornare ad avere undici anni, con quelle codine ramate e quell'aggeggio rosa odioso con cui facevi della musica ogni tanto"
Sorrisi. Ecco cosa le avrei portato, mi dissi, pregustando l'espressione di terrore per la futura confusione che Gigi avrebbe sicuramente fatto.

"Asako! Non sai che bello rivederti!" esclamai, in modo sincero, appena venne ad aprire la porta.
"Oh, Sana! E' magnifico poterti rincontrare! Entra pure, stavo giusto per servire un buon thè"
E con queste parole quella magnifica donna alta, ma sempre snella e ben vestita, si scostò di qualche passo per consentirmi di prendere posto nel suo salotto.
L'arredamento era moderno, in stile occidentale, decisamente gradevole per la luce che riusciva a illuminare tutta la stanza dalle vetrate, e che a loro volta si affacciavano su un delizioso giardino. Il bianco sembrava essere il colore predominante, e questo non faceva che enfatizzare la luminosità della stanza, seppure si potesse scorgere qualche dettaglio color caffè.
Non potei che farle i complimenti per lo stile e il gusto dimostrato.
Asako mi ringraziò, sorridendomi, mentre con attenzione versava il thè per servirlo. Fu a quel punto che vidi Rei incedere verso il salotto, con una bambina dai capelli biondo cenere tra le sue braccia.
"Sana, non sapevo fossi qui!" mi salutò lui, seppure il mio sguardo fosse rivolto solo a quell'angioletto. Non si meravigliò che fossi talmente rapita da Gigi a tal punto da non rispondere nemmeno al saluto.
"E così tu sei Gigi!" esclamai, con gli occhi che brillavano.
"Anche io so chi sei tu!" furono le prime parole che mi rivolse, con occhietti furbi.
"Ah, sì?" chiesi, alzando poco un sopracciglio, divertita.
"Sì! Tu sei la zia Sana! Papino parla spesso di te"
Non potei fare a meno di ridere al sentire quelle parole, dette in modo talmente amabile da fare sciogliere chiunque. La invitai a sedersi in braccio a me, acconsentendo immediatamente.
Continuai a parlare con Asako di vecchi ricordi, del nostro film, girato tanti anni prima, "Mizu no Yakata", di cosa avessi fatto in America, e di quanto fossimo contente di esserci riviste. Mi chiese anche di Hayama, se l'avessi rivisto o meno. Le risposi raccontando l'accaduto del giorno prima, assicurando che, però, nè io, nè sicuramente lui, provassimo sentimenti simili a quelli della mia partenza.
Consegnai anche il piccolo regalo a Gigi, provocando in Rei la precisa reazione che avevo previsto, e risa in me ed Asako. Erano davvero quella che poteva definirsi una famiglia ideale, con l'amore che essa porta inevitabilmente.
sarei rimasta lì anche per cena, ma decisi che fosse l'ora di lasciare un po' da soli Asako e Rei, e per me che fosse l'ora di prepararmi per l'evento che mi aspettava da lì a due ore.

Rimasi quasi mezz'ora dinanzi la porta di casa, frugando nella mia borsa nel disperato tentativo di trovare le chiavi giuste. Mi rimproverai per la mia abituale distrazione, che non faceva un minimo cenno ad abbandonarmi nonostante l'età ormai adulta, o quasi, a cui appartenevo. Eppure quel portachiavi a forma di pipistrello bianco dovrebbe facilitarmi il compito, pensai. Qualche sospiro isterico, per poi trovare dinanzi a me mia madre, seduta sul suo maggiolino rosso, con un paio di chiavi tra le mani. Le mie chiavi.
"Cerchi queste, cara?" domandò, con l'ovvietà che meritavo.
Un lieve colpetto sulla mia fronte le diede la risposta che voleva.
"Entra, tra poco arriveranno tutti i tuoi amici. Sapevo non saresti mai tornata in tempo per dare una piccola sistemata al salotto, così mi sono data da fare con le tue amiche Aya e Fuka."
Feci qualche passo verso la stanza in questione, ringraziando l'assoluta conoscenza su di me che mia madre aveva sviluppato negli anni.
Le mie due amiche erano già sistemate di tutto punto per ricevere gli ospiti. Aya con un grazioso abito floreale stretto in vita, che continuava poi con una gonna a ruota. Fuka optò, piuttosto, per un abito blu, senza spalline, portato con una giacca da tailleur in tono pastello. Erano davvero bellissime.
Feci i complimenti ad entrambe per lo stile prescelto all'occasione, mentre per tutta risposta, nonostante la mia gentilezza così adorabile, mi minacciarono d'essere pronta entro un'ora, o mi sarei dovuta presentare in accappatoio.
Seguendo gli ordini delle mie due migliori amiche mi concessi una doccia in un lampo, truccandomi leggermente, così come era mia abitudine fare, e indossando una tuta nera, elegante al punto che il tipo di serata voleva, con delle trasparenze puntinate sul decollete, e gambe. Lasciai i capelli sciolti, e mi accinsi a uscire dalla stanza.
Quando scesi al piano sottostante vidi già Gomi e Hisae essere arrivati, con accanto le espressioni seccate di Fuka e Aya. Mimai un "ho fatto più in fretta possibile", con un'espressione dispiaciuta, mentre rassegnate si avvicinavano a me, complimentandosi per l'abito che avevo indossato.
Cominciavo a sentire un po' di nervosismo, che mio malgrado crebbe quando Aya ci avvisò che un sms di Tsu le aveva anticipato l'arrivo di lui e Hayama entro qualche minuto. Odiavo quella sensazione di imbarazzo, di timore nel comportamento da assumere che provavo solo nei suoi confronti. Con tutti gli altri era stato così naturale, così spontaneo. Con Hayama invece non era affatto così, e ne avevo avuto prova solo il giorno precedente.
In realtà me l'aspettavo, più o meno, che il rapporto con lui non sarebbe stato il medesimo, conoscevo abbastanza il suo carattere chiuso e riflessivo, in realtà ero sempre stata io a rompere i ghiacci che ogni tanto si creavano tra noi due. Ma avevo nostalgia, nostalgia della nostra amicizia, non sopportavo di stare ad osservare che la nostra amicizia si perdesse così. Dovevo assolutamente fare qualcosa. Il mio carattere non mi permetteva di stare ferma.
Due piccoli pugni alla porta mi svegliarono da quel momento di introspezione. Erano lì.
Vidi Fuka concentrata nella scelta di un brano musicale, Aya intenta nel preparare l'aperitivo e disporlo a tavola. Così, da buona padrona di casa, andai verso la porta.
"Ciao Sana!" esclamò, nel suo solido modo affettuoso, Tsuyoshi.
Gli sorrisi, e ci abbracciammo per qualche secondo, per poi permettergli di entrare e, senza bisogno che lo vedessi, andare immediatamente verso la sua promessa sposa.
Quando mi voltai, per salutare anche Hayama, mi accorsi di un piccolo dettaglio che i miei occhi, ormai abituati alla distrazione, non avevano notato precedentemente.
Una ragazza, graziosa in volto, un po' bassina ma snella, era avvinghiata al suo braccio.
Rimasi ferma per qualche secondo, senza che potessi dire nulla, osservando prima lei, poi Hayama, che rispondeva allo sguardo, evidentemente curioso di leggere ciò che stavo provando.
"Hayama, io, io non sapevo che..." fu tutto quello che riuscii a dire.
"Ma allora è vero! Non dicevi bugie, Akito! E' davvero Sana Kurata!" urlò, interrompendo ciò che stavo per dire ad Hayama, e lasciando che i nostri occhi si concentrassero su di lei.
Fece qualche passo verso di me, abbandonando le mani del mio biondo amico.
"Che piacere di conoscerti, Sana! Non riesco quasi a credere di essere a casa del mio mito d'infanzia! Ti seguivo sempre, e anche fino al tuo ultimo film con Depp, era meraviglioso" continuò, senza perdere nemmeno una sfumatura d'entusiasmo, e stringendomi le dita.
Io sorrisi, un finto sorriso, è chiaro, e la ringraziai piano.
"Sai, Sana, se posso chiamarti in questa maniera..."
"Chiamami pure Sana" fu la mia risposta, senza intonazioni, ancora davanti l'uscio. Quella piccola mora non lasciava un secondo per parlare a nessuno.
"Ero sicura che Akito mi stesse prendendo in giro, non riuscivo a credere potesse davvero conoscerti. Ogni volta che parlavo di Sana Kurata, mia attrice preferita, o che volevo vedere un tuo film lui rifiutava ogni volta, dicendomi che sarei anche potuta andare da me! Il solito gentiluomo" asserì, tutto d'un fiato, ridendo.
Fu l'unica che rise a quelle parole.
Rimasi sorpresa dalle ultime frasi quasi urlate da quella ragazza. Hayama provava forse odio nei miei confronti? Mi detestava? Il pensiero che potesse farlo mi innervosì, mi dispiacque. Sentivo il bisogno di parlare con lui.
"Sì, beh...noi ci conosciamo da quando eravamo solo dei bambini" la informai, riportando i miei occhi su di lui, e i suoi occhi piantati su di me.
Qualche secondo di silenzio fu la conseguenza a quelle parole, senza che neanche la ragazza accanto a me potesse avere il coraggio di dire qualcosa.
"Siete venuti a casa mia per rimanere davanti la porta? Su, entrate. Ehm, non ricordo il tuo nome, Hayama non ci ha presentate." dissi, poi.
"Il suo nome è Harumi" furono le prime parole che quella sera scelse di dedicarmi, nel tono più indifferente che potesse sfoderare. Non mi scoraggiai.
"Piacere di conoscerti, Harumi" dissi, sorridendo, e chiedendomi anche come mai nè Fuka, nè Aya mi avessero detto di questa nuova ragazza.
Avevano forse paura della mia reazione? Paura che provassi ancora qualcosa per quell'Hayama? Ah, che errore, che cosa ridicola da credere!
Risi piano, seguendo il filo dei miei pensieri, sotto lo sguardo confuso di Hisae. Feci qualche svolazzo per aria con la mano, per farle intuire che non fosse nulla, nulla di fondamentale.
Bisognava ammettere, però, che lì sulla porta mi ero come impietrita, vedendoli abbracciati così intimamente...
Era sicuramente stata colpa della sorpresa, non potevo davvero aspettarmi una cosa del genere. Sì, sarà stato sicuramente per quello, meditai.
Entro qualche minuto tutti gli invitati arrivarono alla festa, ed era meraviglioso vedere la mia casa così gremita di persone, di tutti i miei affetti. Quasi ci avevo perso l'abitudine, abitando negli Stati Uniti.
Tutti si avvicinarono per rivolgermi qualche frase. Curiosità, frasi d'affetto, piccoli gossip, informazioni su come fosse la vita in Occidente. Fui felice di rispondere a quelle domande, mi piaceva vedere che i miei amici si interessassero di me, e di ciò che avevo fatto esattamente come io ero interessata alle loro vite.
Inutile a dirlo, che l'unica persona con il quale fino a quel momento non parlai neanche un solo secondo fu Hayama, che spesso guardavo, scoprendomi interessata di verificare se potessi beccarli in atteggiamenti intimi con quella Harumi, anche se sembrava più concentrato nello scegliere il tipo di sushi da mettere nel piatto.
Se ne stava lì, seduto, con il solito sguardo incapace di tradire qualsiasi emozione, con la sua ragazza al fianco, presa dal dirgli qualcosa a cui mi sembrò non dare molta attenzione.
Intanto la musica si era alzata di volume, le luci erano leggermente più basse, e molti dei miei amici e vecchie conoscenze cominciarono a danzare su del ritmo da discoteca. Mi gettai in pista presto anche io.
"Scusaci, Sana" sussurrò al mio orecchio, Aya, vicino anche Fuka.
Il mio sguardo si fece interrogativo.
"Per, beh, sì...Akito. Non ti abbiamo riferito nulla su Harumi...ma non sapevamo come dirti questa cosa, e...e entrambe avevamo pensato che fosse meglio lo scoprissi da te" furono le parole di Fuka, dette sempre quasi attaccate al mio orecchio per consentirmi di capire qualcosa visto il volume della musica.
Risposi come da sempre ero abituata a fare, con una risata, e se Hayama utilizzava l'indifferenza per farsi scudo, e non lasciar intendere ciò che provasse, io invece avevo sempre fatto uso delle risa, e di questo me ne accorsi solo qualche anno precedente.
"Non importa, davvero! Sono contenta abbia avuto qualcuno che gli sia stata vicino, spero solo lei lo apprezzi come merita. Hayama non è un tipo a cui ci si affeziona immediatamente." risposi, sincera.
"Da quanto tempo stanno insieme?" chiesi.
"Da due anni. Anche se non lo ammetterebbe nemmeno se lo torturassimo, ha sofferto tanto la tua partenza"
Era così? Aveva sofferto il fatto che io fossi lontana? Provai un sentimento antitetico di fronte all'ultima frase pronunciata da Aya. Se da un lato ero triste a saperlo sofferente, consapevole che la persona a causargli questo dolore fosse proprio la sottoscritta, dall'altro lato ero quasi contenta, contenta di sapere che lui tenesse a me.
"E' stato complesso per entrambi" fu il mio pensiero a voce alta, che naturalmente non sfuggì nè ad Aya, nè a Fuka.
Entrambe mi abbracciarono, e per qualche secondo scelsi di abbassare la guardia, incapace anche di analizzare esattamente quali emozioni avertissi in quell'istante.

Danzai per quasi un'ora finchè, esausta, non scelsi di dirigermi verso il piano con i drink, e bere qualcosa che contenesse alcool. Sentivo la necessità di attenuare i miei pensieri, impossibili da fermare da quando una certa persona aveva fatto il suo ingresso nella mia casa.
Forse un po' d'aria pulita era proprio ciò che faceva al caso mio.
Andai nella piccola veranda esterna, ringraziando in silenzio quell'aria fresca che finalmente sfiorò il mio viso.
"Kurata"
Una voce. Una voce che avrei riconosciuto ovunque.
E tanti saluti alla calma che il vento mi stava donando.
Mi voltai, evidentemente sorpresa che fosse lì. "Hayama, mi hai speventata"
"Hai le gote più rosse dei tuoi capelli. Sembri un pagliaccio" asserì, con tono calmo, anche se era possibile notare una piccola sfumatura di divertimento.
"Che cosa? Sei un maleducato, solo tu potresti anche solo sognare di dire queste cose ad una ragazza, ma è questo il modo di rivolgersi alla mia grazia e..." cominciai a dire velocemente, fintamente offesa dalla sua frase.
Ghignò di divertimento, gli piaceva farmi infuriare.
"Come stai?" domandò, all'improvviso, rendendo l'atmosfera diversa rispetto il minuto precedente.
Mi sedetti accanto a lui.
"Bene. Sto bene" risposi, semplicemente, interrompendo il contatto visivo.
Lui mi osservò, aggrottando un po' le sopracciglia. Quella risposta non era sufficiente per lui. Sembrava avesse conservato quella capacità di andare al di là dei miei sorrisi, della mia allegria, e leggere i miei occhi.
"Davvero, sto bene. E' un po' difficile tornare qui, dopo il tempo che è trascorso. Riprendere le mie abitudini, rivedere tutti voi. E' talmente bello che mi sento...confusa. Ma ho quasi timore di non avere il diritto di tornare nelle vostre vite da un giorno all'altro, fingendo di dimenticare il tempo trascorso" dissi, in un fiato, spostando lo sguardo dai suoi occhi quando smisi di proferire parola.
"Non avrei mai creduto potessi dire una cosa simile, proprio tu"
Tornai ad osservarlo, sembrava...stupito. Lo guardai con confusione.
"La Sana Kurata egoista ed egocentrica che ricordavo, non avrebbe mai detto una cosa del genere"
Pensai a quale sarebbe stata la mia reazione se mi avesse detto quelle parole solo qualche anno fa. Avrei sicuramente tirato fuori il martelletto, offendendomi per la crudeltà delle sue parole. Ma nel viaggio negli Stati Uniti avevo riflettuto su questo mio difetto, ricordando tutte le volte in cui Hayama me lo ricordasse, e cominciando, per la prima volta, a credere che non avesse affatto torto. "Crescere" significava proprio quello, probabilmente.
Sorrisi amaramente.
"Kurata, tutte le persone che questa sera sono venute lo hanno fatto perchè ti vogliono bene, ti considerano loro amica. Nessuno si è sentito in dovere di farti quella sorpresa al parco, o di partecipare stasera." parlò, guardando dritto.
"Sì, forse hai ragione"
"Lei...sembra simpatica" bisbigliai, cambiando argomento, cogliendolo all'improvviso.
Mi guardò, ma non diede alcun cenno di rispondere.
"Hayama, tu, tu mi detesti?" chiesi, con tono un po' fanciullesco.
"Cosa? No, certo che no, Kurata" rispose, con qualche decibel più alto, e con ovvietà.
"Prima, quando Harumi ha detto che non volessi mai vedermi in televisione, o parlare di me...mi è sembrato così"
"No. Non si è mai trattato di quello." furono le sue parole, lasciando intendere cosa in realtà si celasse dietro il suo comportamento.
Qualche secondo di silenzio, furono la più ovvia delle conseguenze alle sue parole. Ma dovevo assolutamente dire ad Hayama una frase che per tanto tempo mi aveva torturato, e che sentivo fosse giusto comunicargli.
"Hayama...io, io devo chiederti scusa." pronunciai, stavolta senza che deviassi i suoi occhi.
Mi guardò, voltandosi repentinamente, come se non si aspettasse che potessi dire una cosa del genere.
Risi debolmente per la sua espressione interrogativa, mentre mi preparavo a continuare.
"Sì, beh, ti chiedo scusa per non aver mai capito niente, e per essere stata così ottusa. E ti chiedo scusa per tutte le volte in cui mi sono comportata da bimba viziata, in cui ho preferito la fuga, piuttosto che scegliere di affrontare tutto, con la solita forza d'animo con cui tutti mi descrivono. Scusa se sono stata una codarda"
Mi ascoltava, la sua espressione concentrata, e i suoi occhi così intensi fermi sui miei, che nel frattempo si erano fatti umidi.
"Grazie" rispose, semplicemente.
Il mio occhio destro ebbe qualche spasmo, e fu inevitabile che io lo colpissi con quel fidato martelletto, da portare sempre con sè, quando si trattava di Akito Hayama.
"Cosa? Io ti chiedo scusa, mostrando tutta la mia maturità e tu mi rispondi con un "grazie"? A volte mi fai proprio saltare i nerv..." gridai, iraconda.
"Ahi! Hai ancora quello stupido martello, non è possibile" rispose, fintamente arrabbiato, toccandosi il punto in cui lo avevo colpito sulla testa.
"E vedi anche come è tornato utile?"
Sorrise.
"Va bene, va bene. Ti chiedo scusa anche io, per quelle volte in cui la mia testardaggine mi ha impedito di comportarmi in modo maturo. E per quelle volte in cui non riuscivo a dirti quelle parole di cui avevi bisogno" continuò, facendo tornare l'atmosfera calma, notai anche quanto risultò difficile per lui riferirmi quelle parole.
"Il passato è un capitolo chiuso, eravamo dei bambini, in fin dei conti... Sono contenta tu abbia trovato qualcuno che ti sia stata vicina in questi anni. Negli ultimi che ho passato qui noi non riuscivamo ad essere amici per via di quello che sentivamo, ma adesso...adesso che non è più così potremo tornare come eravamo. Vorrei riavere il mio amico cocciuto Hayama..."
"Sì, hai ragione, sono d'accordo."
"Però forse sarebbe meglio mettere giù quel bicchiere, le tue guance sono ancora di quel ridicolo colore" disse dopo, ironico.
"Io, Sana Kurata, reggo l'alcool meglio di chiunque altro!" urlai, mettendomi in piedi, con le mani alla vita.
"Io non ci giurerei" rispose, evidentemente come uno sprovveduto, ancora seduto, con le mani dietro la testa.
"Non sfidarmi, Hayama" sussurrai, piegando poco il torace verso il suo viso.
"Non sfidarmi tu, Kurata. Sai bene come finì quando volevi a tutti i costi che mi buttassi con l'elastico".
"E' ora della rivincita" dissi, pregustando il dolce sapore del trionfo.

Angolo dell'autrice
Ciao ragazzi! Volevo ringraziarvi per le bellissime recensioni che mi avete regalato, sono davvero contenta che la storia vi piaccia, e spero davvero di non deludervi! In questo angolo volevo fare qualche piccola precisazione, e mi scuso se le scrivo già al terzo capitolo! La storia segue, più o meno, i fatti del manga, senza però la storia della mano di Akito, e la successiva sindrome della bambola da cui Sana è stata affetta. I due non sono mai stati davvero insieme, e quando Fuka si rese conto di ciò che Sana e Akito sentivano l'una per l'altra, i nostri protagonisti sono stati impossibilitati dal frequentare l'un l'altro per colpa degli impegni di lavoro di Sana, e il solito timore che entrambi avvertivano. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate! Ci vediamo all'aggiornamento prossimo! Un bacio :-*
Nel caso in cui voleste dare uno sguardo, ecco l'abito che ho voluto far indossare a Sana durante il party.
http://3.bp.blogspot.com/-kDN0KVm-kQ8/Tq8McMMJgaI/AAAAAAAACxw/yy0-1gR72wI/s1600/2+stellamccartney.com+-+FW+2011-12.jpg



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Capitolo 4
*** Art for art's sake ***


dfvvfv La mattina successiva il risveglio parve essere più problematico del solito. Fu la suoneria del mio cellulare, a causarlo. Avrei dovuto prendere la buona abitudine di silenziarlo prima di andare a letto.
Cercai di allungare una mano verso il comodino, dove sapevo giacesse il mio cellulare, nel tentativo di afferrarlo, ancora confusa, e con gli occhi fermamente decisi a non aprirsi.
Tastai più volte quella superficie, mentre il suono della chiamata diveniva sempre più fastidioso di secondo in secondo.
Quando finalmente l'ebbi preso, lo portai al mio orecchio, pronunciando un debole "Pronto?" con una voce talmente roca che mi sorpresi potessi essere davvero stata io a parlare.
"Pronto? Sana, sei tu?" fu la risposta, una voce femminile, che non riuscii a riconoscere, intontita com'ero dal sonno.
"Sì, ehm, sono io. Con chi parlo?"
"Ti sei già scordata di me? Ma brava!" esclamò, la donna.
In quell'istante mi sembrò obbligatorio dover finalmente schiudere i miei occhi, per decidermi a controllare se potesse apparire un nome che potesse darmi un indizio sull'identità.
Lessi il nome di Natsumi.
"Oh, scusami, scusami Natsumi! Stavo dormendo, e...ti assicuro che in circostanze come questa non ricordo neanche il mio, di nome!"
Rise per ciò che avevo detto.
"E così tu credi di tornare qui in Giappone e non farmi nemmeno una piccola visita? Sono davvero infuriata con te" rispose, tornando seria, ma con una punta di ironia che mi facesse intuire quanto in realtà arrabbiata non lo fosse nemmeno un po'.
"Hai ragione, davvero. Ma ho avuto così poco tempo! Mi farò perdonare, te lo prometto! Ti va bene oggi, nel pomeriggio?" mi affrettai a rispondere, sinceramente risentita.
Finse di pensarci qualche istante.
"Sì, andrà bene. Non vedo l'ora di riabbracciarti!"
"Allora ci vediamo oggi pomeriggio" le ripetei, preannunciando il termine della conversazione.
"Certo, ma...ehm, Sana? Non riuscirò mai a perdonarti se non porti con te quei mervigliosi biscotti che prepara la signora Shimura!" scherzò.
Risi, per poi accettare la sua ragionevole proposta, e chiudere, stavolta in via definitiva, la chiamata.
Appena posato il cellulare nuovamente sul mio comodino, mi misi a sedere sul letto, improvvisamente colta da uno strano senso di malessere. Emicrania? Spossatezza? Inappetenza?
Mi portai le mani alle tempie, che sembravano voler giocare a scandire i secondi del tempo con il loro pulsare a mio discapito.
Rimasi qualche secondo ferma, a meditare su una qualche ragione che potesse farmi spiegare il motivo della mia indisposizione. Non trascorse molto tempo prima di trovare le risposte a quella domanda.
Tutti quei fastidi erano i classici e banali postumi di una sbornia, la sbornia che mi ero abilmente procurata la sera prima.
Cercai di farmi tornare in mente quanti più dettagli potessi su cosa avessi combinato, ma in risposta a questo sforzo che stavo richiedendo al mio cervello arrivò solo qualche immagine confusa e discontinua.
Riuscii a ricordare solo bicchieri su bicchieri, contenenti i liquidi dai più diversi colori, odori, sapori. Fu inevitabile non avvertire velocemente la nausea assalirmi. Mi domandai se avessi davvero ventun'anni, o sedici.
"Maledetto Hayama, lui e le sue (solo sue) manie competitive. Era tutta colpa sua" bisbigliai, seccata.
Andai verso le tende, determinata ad aprirle per permettere alla mia stanza di illuminarsi, beando anche me, con un po' di Vitamina D che sicuramente non avrebbe fatto che bene. Solo ad azione compita mi resi conto che non fosse affatto una buona idea, quando avvertii i miei occhi bruciare come se mi avessero appena gettato dell'acido in viso.
Subito mi gettai per la stanza, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi a proteggerli. Dovevano pur esserci degli occhiali da sole, da qualche parte.
Con gli occhi obbligatoriamente socchiusi trovai ciò che stavo cercando in un cassetto della mia scrivania, e solo dopo averli portati più vicino mi accorsi di quanto questi fossero ridicoli.
Erano degli occhiali con dei finti occhi disegnati sopra le lenti, di quelli che avevamo utilizzato io, Rei ed Asako per tentare di sfuggire ai paparazzi. Non potei impedirmi di ridere, come era mio solito fare, indossandoli, e cercando di immaginare come sarebbe potuta sembrare la mia figura. La risata si intensificò quando decisi di scoprirlo, dirigendomi verso il bagno della mia stanza.
Avevo un aspetto orribile, con delle occhiaie violacee, quasi cianotiche e capelli arruffati a incorniciare il tutto, come una bella ciliegina.
Doccia. Avevo un disperato bisogno di farmi una doccia.

"Buongiorno, mamma" dissi, scandendomi la voce ancora leggermente roca, e con quegli occhiali ridicoli a cui non avevo voluto rinunciare.
"Buongiorno, cara. Hai un aspetto terribile" furono le prime parole che mi rivolse, senza staccare gli occhi dalla tastiera del computer.
"Mamma, ti hanno mai detto che sei la persona più carina al mondo?" domandai, con il tono più sarcastico che riuscii a donare.
"Sono solo sincera. Maro, qui sopra, ha avuto un tremolio quando ti ha vista" rispose, altrettando sarcastica, ridendo ma cercando di non farsi notare.
Mi simbrò quasi che le mie tempie, le stesse tempie che continuavano a pulsare, adesso avessero anche scoperto la capacità di fumare.
Mi misi a sedere a tavola, prendendo del latte, e i pancakes che la signora Shimura aveva cucinato. Mi ero abituata bene alla colazione americana, lì nella West Coast.
"Che ha combinato ieri la mia ragazzaccia?" domandò, all'improvviso, i suoi occhi ancora sullo schermo.
"Nulla, mamma. Sono solo stanca, ieri i miei amici non sono andati via molto presto..." mentii.
"Sana, sei sicura di fare l'attrice? Non ho creduto neanche per un millesimo di secondo alle tue parole!" cantò, alzandosi e portando un'aspirina sul tavolo.
"E' stata colpa di Hayama!"
Con un movimento talmente veloce da rendere difficoltoso seguirla persino con i miei occhi, mia madre fu accanto a me, con un'espressione di malizia, e il ventaglio che le copriva le labbra.
"Avete chiarito, voi due?"
"Non farti strane idee. Sto cercando di recuperare il rapporto con lui, così come con tutti gli altri miei amici. Ma se prima era più difficile per colpa dei nostri sentimenti, adesso lo è solo perchè complicato è rimanere amici stando lontani. Ma sono sicura che ce la farò!"
"I tuoi amici, Akito Hayama compreso, ti vogliono già bene. Non devi riconquistare l'affetto di nessuno, cara."
"Sì, forse. Per tutti sono tornata qui solo per via del matrimonio di Aya e Tsuyoshi, ma in realtà...in realtà meditavo da prima di abbandonare per un po' l'America e tornare qui a casa mia. Nessuno di loro mi ha domandato quando tornerò negli Stati Uniti, forse non vogliono pensarci...ma io so che non ho voglia di tornare lì, per adesso. Volevo dirlo a te prima di chiunque altro. Che ne pensi, mamma?"
Mi osservò per qualche secondo.
"Cara, ho sempre preferito che prendessi le tue scelte da te, consapevole di doverne poi affrontare anche le conseguenze. Ti ho cresciuta con questo pensiero, e so che nonostante il comportamento qualche volta "volutamente" infantile, sei una donna matura. Prendi le scelte in base a ciò che ti rende più felice. Felice solo come mia figlia sa essere" asserì, prendendo posto sulla sedia accanto a me, per poi avvicinarsi con un meraviglioso abbraccio capace di infondermi benessere e calma.
Dopo quel breve momento, tornai subito guardinga, andando svelta dalla signora Shimura a chiedere se potesse prepararmi quei suoi famosi biscotti con le gocce di cioccolato, in modo da portarli a Natsumi.
Salii nuovamente in camera mia, ostinata a cambiarmi d'abito e truccarmi, nel tentativo di di nascondere quelle occhiaie così determinate, con una sola destinazione in testa.
Mi ricordai, infatti, delle informazioni che Rei mi aveva fornito sulla nuova serie de "Il giocattolo dei bambini" che avrebbero girato. Passare per un saluto mi avrebbe fatto davvero piacere, ed era proprio ciò che avevo intenzione di fare quella mattina.
Presi le chiavi delle macchina, e dopo aver salutato mia madre con un veloce bacio sulla guancia, sfrecciai verso gli studi televisivi con tanto di occhiali da sole e copricapo, in modo da non rendermi facilmente riconoscibile nel caso avessi incontrato qualche paparazzo.
Solo poco prima di scendere dalla macchina mi accorsi che probabilmente trovarmi nel parcheggio degli studi televisivi non era esattamente un luogo ideale se l'intenzione fosse non incontrare giornalisti, o farti scattare qualche foto.
Diedi un ultimo sguardo ai miei capelli, e mi resi conto che un leone sarebbe stato sicuramente invidioso. Passai le dita tra alcune ciocche, sperando che questo potesse bastare ma fu tutto inutile. Non mi rimase, quindi, che sperare perchè non ci fosse nessuno.
"Ehy tu! Ma t-tu sei Sana?" una voce alle mie spalle, a cui cercai disperatamente di poter abbinare un viso conosciuto, ma la risposta arrivò quando quell'uomo girò attorno, in modo da vedere il mio viso.
Ecco che cominciò a scattare qualche fotografia, in cui mi immaginai già essere apparsa ridicola, dati i movimenti sgraziati e frettolosi che feci pur di arrivare in quel portone in fretta.
Fu davvero una soddisfazione quando il buttafuori gli comunicò che avrebbe dovuto arrestare la sua corsa, permettendomi invece di rinchiudermi lì dentro. Non potei fare a meno di fargli una linguaccia, per poi riprendere il mio itinerario.
Sapevo ancora orientarmi bene in quegli studi, sebbene sembrarono fossero cambiate alcune cose. Lavori di restaurazione avevano, infatti,  reso l'ambiente più grande, più moderno, luminoso. Era piacevole alla vista.
Arrestai il passo solo dinanzi al set che riconobbi essere quello de "Il giocattolo dei bambini", sorridendo guardando quei piccoli banchi dove una volta mi sarei seduta anche io.
"Sana? Non è possibile. Sei davvero tu?"
Mi voltai immediatamente per capire chi sarebbe stato il mio interlocutore, e passarono solo due secondi prima che corressi verso di lui, abbracciandolo fino a quasi farlo diventare cianotico.
"Zenjiro! Oh, Zenjiro! E' così bello rivederti!" esclamai, sincera.
"Non sapevo fossi qui, quando sei tornata?" si affrettò a rispondere.
"Solo due o tre giorni fa"
Mi abbracciò di nuovo.
"Ho guardato ogni tuo singolo film, ogni apparizione, ogni intervista. Meriti davvero il successo che hai avuto." mi rivolse, davanti un caffè che insistette per offrirmi.
"Grazie, Zen. E tu? Sarai sempre tu a presentare la "nostra" cara trasmissione?" domandai, curiosa.
"Beh, sì. Hanno voluto che fossi io a condurre nuovamente questo programma, e ne sono stato felice. Anche se il conduttore non è più bello e affascinante come un tempo..." pronunciò guardando un punto in alto, toccandosi la barba in modo teatrale.
"Oh, sei sempre affascinante, Zenjiro" dissi sarcasticamente, imitando i suoi gesti melodrammatici di qualche secondo prima.
"Vedo che quella lingua saccente sta ancora al suo posto!" esclamò, divertito e dintamente offeso.
Gli sorrisi.
"Sana, ho appena avuto un'idea! E' fantastico! Che ne dici di fare qualche puntata de "Il giocattolo dei bambini" con me, come conduttrice anche tu?"
"Io? Condurre quella trasmissione?" dissi, in tono incredulo.
"Sì, beh, con me" precisò, Zenjiro.
"Oh, mi farebbe tanto piacer...ehm, lasciami prima parlare con il mio manager" asserii, cambiando radicalmente tono di voce dall'inizio, alla fine della frase. Nella prima parte allegro e lusingato, moderato e razionale nella seconda. Parlare con Rei di qualsiasi offerta di lavoro mi fosse proposta era stata sempre una mia buona abitudine, anche durante i miei anni a Beverly Hills.
"E vorrei dirti anche che Hiroshi sta cercando una persona famosa che possa girare una pubblicità per la catena di ristoranti che sta aprendo tra Giappone e Cina. Mi aveva detto di aver bisogno di qualcuno abbastanza in vista, ti dispiace se ti indico?"
"Oh, no, mi renderebbe felice aiutarlo!"
"Perfetto, allora dammi pure il numero del tuo agente Rei, in modo da parlare e accordarmi con lui anche sull'aspetto legale e negoziale"
Annuii decisa, mentre Zenjiro mi passò un pezzo di carta sul quale scrissi il recapito mio e di Rei. Finii l'ultimo sorso di caffè, per poi ringraziarlo e salutarlo allegramente.
La mia passeggiata agli studi televisivi continuò serenamente, incontrando anche Asako, e alcuni ragazzi conosciuti quando con lo show "Il giocattolo dei bambini" giocavo a fare l'attrice, non rendendomi conto che sarebbe stato proprio ciò che avrei fatto anche in età adulta.
Tornai all'uscita, allegra per l'ottimo svolgimento della mattina, stavolta prestando più accortezza nel guardarmi intorno in cerca di paparazzi. Sembrava ci fosse via libera.
Presi il cellulare, cercando in rubrica il nome del mio manager, che, tutt'altro che sorprendentemente, rispose dopo soli tre squilli.
Gli parlai dell'offerta di lavoro che avevo ricevuto, e si dimostrò davvero felice per quanto mi avessero proposto. Rei diceva che tornare a girare qualche puntata speciale dello show che mi aveva lanciata avrebbe dato una buona immagine di me, come una ragazza che non dimentica le proprie radici, e sinceramente riconoscente. Non potei che trovarmi d'accordo con tutte le sue parole. Disse anche che si sarebbe occupato lui dell'organizzazione, quando Zenjiro gli avrebbe telefonato. Chiusi la conversazione, preparandomi a guidare, dritta verso casa, in modo da portare con me i biscotti che Natsumi mi aveva domandato. Guardando l'orologio mi resi conto di quanto avessi fatto tardi, mentre l'ora di pranzo fosse già passate da qualche giro di lancette, avevo perso assoluatmente la cognizione del tempo, non che fosse una cosa nuova per la sottoscritta.
Mangiai velocemente qualcosa fuori, in un ristorante accanto casa, per poi dirigermi verso essa e prendere tutto ciò che la signora Shimura mi aveva accuratamente e pazientemente preparato. Scelsi di andare a piedi, ricordando che casa Hayama fosse solo alla distanza di qualche passo. Camminare un po' mi avrebbe fatto bene. Durante il tragitto, presi la scorciatoia verso il parco, trovandomi senza che davvero l'avessi premeditato proprio dinanzi il gazebo. Quel gazebo.
Il gazebo che aveva visto nascere quella strana, ma sincera amicizia tra me e Hayama, spettatore silenzioso anche di tutte le nostre incomprensioni e successivi chiarimenti. Sorrisi nostalgica, mentre i pensieri e ricordi arrivavano veloci. Non potei fare a meno di sedere, anche solo per pochi secondi, su quella panchina, e con le gambe incrociate, osservare il cielo blu primaverile. Il leggero vento non fece che giovare al mio umore, noncurante della mia capigliatura già precedentemente messa a dura prova.
Rammentai quando, qualche anno prima, finsi di essere la madre di Hayama, per aiutarlo a superare quel dolore che per tutta la sua infanzia aveva portato con sè. Era stato per me un gesto semplice, spontaneo,  di cui avevo capito l'importanza solo qualche anno dopo. Rammentai tutte le nostre chiacchierate, e le nostre litigate, sorridendo amaramente per il tempo e il destino che non aveva mai avuto nessuna pietà per me, e in particolar modo per lui.
Scossi leggermente la testa, per risvegliarmi da quel torpore, da quel flusso di coscienza da cui non mi ero riuscita a sottrarre, fermamente convinta che fossero momenti appartenenti solo ad un passato ormai inesistente. Ripresi a camminare.
Solo qualche altro metro e mi trovai dinanzi la deliziosa casa Hayama, che ritrovai essere, almeno all'esterno, esteticamente la medesima.
Bussai con due piccoli pugni alla porta, con un odore di biscotti che mi stava quasi facendo impazzire. In fondo, era giunta anche l'ora del thè.
"Kurata. Che ci fai qui?" domandò, in segno di saluto, una testa bionda che conoscevo come me stessa.
"Ciao Hayama. Scusa se mi presento in questo modo, ma questa mattina ha chiamato tua sorella per incontrarci...pensavo ne fossi a conoscenza" risposi, ancora con il vassoio in mano.
"Forse non lo ero perchè Natsumi non abita più qui" disse, rendendo la voce un po' più acuta verso la fine della frase, facendo assumere una sfumatura beffarda e ovvia alle sue parole.
"Oh, io..avrei dovuto chiedere! Che stupida! Scusami, allora"
"No, sta' tranquilla, vive in una casa vicina a questa. La chiamo e le dico di venire qui. Entra" mi informò, spostandosi di due passi indietro per consentirmi di entrare.
Mi presi qualche secondo per guardarlo bene, in quella tenuta casalinga. Portava un pantalone di una tuta grigia, e una maglia bianca, leggermente scollata sul collo, che lasciava notare i muscoli sul petto e torace. I capelli sempre volutamente scombinati, le ciglia anch'esse chiare a fare da cornice a quegli occhi intensi. Hayama era diventato davvero un bel ragazzo, era innegabile persino per una cocciuta come me.
"Stai usando un nuovo profumo, o sento odore di biscotti?" domandò, guardando con sospetto il piccolo vassoio che avevo appena posto sul tavolino in salotto.
"Giù le mani, sono per tua sorella" esclamai, arrivando lesta tra lui e ciò che avevo portato.
Alzò gli occhi al cielo, scocciato per l'obbligo che gli avevo imposto.
Si scusò per qualche istante, andando a telefonare alla sorella per informarla della mia solita sbadataggine. Clichè.
Mi offrì un bicchiere d'acqua, mentre aveva già preparato la teiera per quando sua sorella sarebbe arrivata. Mi sedetti sul piano cucina, toccando distrattamente la testa che ancora non desisteva dal farmi male.
Lo sentii sorridere, in modo scanzonatorio.
"Beh? Che hai da sghignazzare?"
"Mi chiedevo se ti facesse male la testa, data la sbornia che ti sei procurata ieri..."
Credetti di divenire un tutt'uno con i miei capelli, rossa di rabbia com'ero.
"E i tuoi capelli...sembri un pulcino!" continuò, prendendosi gioco di me.
"Hayama, razza di stupido! Avrai sicuramente barato, gettando di nascosto i bicchieri che ti passavo"
"Non ho barato, ho solo vinto" susurrò, beffardo, avvicinandosi poco a me.
"Di nuovo..." aggiunse, successivamente.
Voleva farmi infuriare, era più che evidente. Si divertiva a farlo, e non tolleravo ammettere che ci stesse anche riuscendo.
"Hai vinto una battaglia, non la guerra, sprovveduto. Ti batterò!" esclamai, con un pugno chiuso, mentre lui ancora sorrideva per la mia ultima battuta, forse gli era sembrato che scherzassi.
Se ne sarebbe reso conto, avrebbe perso, una volta o l'altra.
"Allora...come vanno qui le cose?" domandai, sviando la discussione.
Si poggiò in un punto della cucina accanto a me, con le gambe incrociate, e portando le mani al petto.
"Intendi con la mia famiglia?"
"Sì"
"Beh, normalmente, credo. Mio padre è fuori per lavoro da quasi tre mesi, nonostante chiami almeno due volte al giorno, mentre Nat...beh, Nat si è sposata"
"Si è sposata?" gridai, scendendo giù dal piano in uno scatto felino per lo stupore.
"Puoi evitare di starnazzare come una gallina, Kurata?"
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
"Sì, si è sposata, e...ha avuto anche una bambina" continuò, poco dopo, accertandosi che non decidessi di parlare.
"Cosa?" urlai, nuovamente.
"E io non ne avevo idea! Oh, che maleducata! Non le ho portato nemmeno un piccolo regalino! E com'è? Somiglia a te? A lei? Al padre? Al signor Hayama?" chiesi, in un solo respiro, curiosa di quel nuovo arrivo nella loro famiglia.
Hayama chiuse gli occhi, evidentemente importunato dalle mie piccole urla.
"Ricordami di sbatterti la porta in faccia, la prossima volta che ti vedrò alla porta di casa mia" si decise a parlare, mantendendo un'espressione accigliata.
"E rinunciare a questi? So che ti piacciono da impazzire" chiesi, provocatoria, facendo ondeggiare quei biscotti profumati dinanzi al suo naso.
"Non mi dispiacciono" mi corresse.
Lasciai cadere quel discorso superficiale, chiedendogli altre informazioni sulla piccola nipotina che avevo appena scoperto avesse.
"Arriverà a momenti, potrai anche conoscerla da sola" tagliò corto, come al solito.
Giusto il tempo di strozzarlo leggermente incastrandolo nell'incavo del mio braccio, intimandogli quanto mi facesse innervosire la sua solita laconicità, per poi sentire il suono del campanello.
Andò ad aprire, liberandosi in pochi secondi dalla mia stretta, sussurrando un "che seccatura" indirizzato, ovviamente, proprio alla sottoscritta.
"Ti ho sentito" lo informai.
"Meglio"
Era incredibile quanto quel ragazzo riuscisse a farmi perdere le staffe. Io non sono un tipo paziente, lo riconosco, ma nessuno, davvero nessuno, riusciva in così poco tempo.
"Ciao, Nat" salutò sua sorella, con un breve abbraccio, per poi piegarsi sulle gambe e schioccare un leggero bacio anche a quel piccolo angioletto biondo.
Vidi  Nat correre verso di me, sinecramente felice e gioiosa nel rivedermi. Parlammo per qualche secondo di quanto ci fossimo mancate, e del fatto che non perdesse mai di recarsi al cinema quando sapeva esserci un mio film. Mi accorsi dei capelli, e di quanto li portasse lunghi adesso. Il fisico fanciullesco era chiaramente andato via, per lasciare il posto ad un fisico più maturo, più femminile, seppure fosse in forma smagliante.
Mi presentò la piccola che, per mia sorpresa, corse affermando con quella voce campanellina di conoscermi molto bene.
Mi piegai sulle ginocchia per permettermi di guardarla negli occhi, che sembravano essere di un bel grigio lucente.
"Mi conosci?" chiesi.
"Sì! La mamma mi ha parlato di te, e ho visto anche gli episodi dello spettacolo che facevi quando eri piccola come me! Sei simpatica!"
"Grazie piccolina, tu invece sei bellissima" le risposi.
"Grazie, zia Sana! E' merito di questo vestito che mi ha regalato il nonno" sussurrò, piroettando.
Mi aveva chiamata "Zia Sana"? Per me fu impossibile evitare che mi si riscaldasse il cuore. Davvero quella bambina sentiva già così affetto per me?
"Oh, io non ho portato nulla per te...Colpa dello zio Akito che non mi ha avvisata" dissi, e subito ci voltammo entrambe verso lui, comodamente seduto sulla poltrona. Seppure utilizzando due sguardi ben differenti; in cagnesco io, curiosità e adorazione per la piccola Koharu.
Poi mi venne in mente un'idea.
"Aspetta, forse qualcosa dovrei avere..." le bisbigliai, cominciando a frugare nella mia borsa, sotto lo sguardo attento e stuzzicato della bimba. Quando ebbi tirato fuori la versione in miniatura del mio piccolo martelletto, sentii Hayama pronunciare un "Oh, no...", mentre io me la stavo proprio spassando.
"No! non darai quell'oggetto infernale a Koharu! Sia mai dovesse trasformarsi in una stramba come te!" esclamò.
Gli intimai di stare zitto, mentre la piccola prendeva già confidenza con il piccolo regalino che le avevo dato, colpendo leggermente il ginocchio dello zio, sotto mio attento consiglio.
Hayama guardò il soffitto, silenziosamente divertito da quella scena.

Così prendemmo il thè tutti insieme, con gli immancabili biscotti, mentre ascoltavo interessata ciò che era successo a Natsumi da quando ero partita.
"E così...era un tirocinante che lavorava con tuo padre? Che romantico..." sospirai.
"Sì!" sorrise. "Adesso sono entrambi all'estero, ma dovrebbero tornare tra qualche giorno. Mio padre sarebbe così contento di rivederti!"
"Farebbe piacere anche a me!" risposi, sincera.
Lo squillo del suo cellulare interruppe la nostra chiacchierata. Si scusò per qualche istante, dicendo che si trattasse di una cosa importante.
Spostai il mio sguardo su Koharu, tutta presa a giocherellare con il nuovo martelletto che le avevo dato. Sorrisi amabilmente.
Impovvisamente la vidi farsi un po' più seria, e guardare sia me che Hayama, che rispondevamo con un'espressione confusa.
"Ehm, io...ho un po' di fame!" tintinnò.
"Hai fame? Hayama cosa possiamo darle da mangiare?" chiesi e mi ritrovai a domandarmi come un'idiota cosa mangiassero i bambini, nemmeno fossero creature di un altro universo.
Mi guardò distrattamente. "Dalle uno dei tuoi biscotti, senza andare in paranoie" soffiò, stendendosi sul divano.
"Cosa? No! Ha bisogno di crescere, deve mangiare qualcosa di sano!"
Bisbigliò qualcosa che non riuscii a interpretare, forse qualche maledizione contro di me.
"Non hai nulla di appropriato in frigo?" domandai, alzandomi dalla sedia.
"Qui ci vivo solo io, e mio padre quando è di ritorno dai viaggi d'affari. Non compro cibo per mocciosi"
Feci un verso di disappunto e d'esasperazione.
Gli intimai di alzarsi, per trovare qualcosa da far mangiare a Koharu, ma sembrò non volesse ascoltarmi. Così, decisi di passare ai miei vecchi metodi, seppure non ortodossi, facendolo cadere dal divano, e provocando anche le risate di Koharu.
"Ahi! Ma sei matta?"
"Su, adesso vieni con me in cucina. Dovrai pure avere un po' di frutta!"
Mi seguì, indicandomi un contenitore con delle pesche, mentre notai anche strane bevande colorate con sali minerali, di quegli intrugli che utilizzano gli atleti. Mi ricordai della sua passione verso il Karate.
Tagliai in piccole parti la pesca, e mentre la consegnavo ad Akito, affinchè potese darlo a Koharu, mi sedetti accanto a lui.
"Non mi hai detto nulla sul karate, Hayama. Come va?"
Sembrò irrigidirsi.
"Ho aperto una palestra mia in cui tengo delle lezioni a bambini e ragazzi" rispose, senza staccare lo sguardo da Koharu.
"Davvero? E' molto bello voler trasmettere una passione a qualcun'altro" gli riferii, incuriosita da ciò che stesse dicendo, ma soprattutto ciò che non stesse dicendo.
Finalmente si girò verso di me, sussurrando un debole "Sì".
"A volte, quando qualcuno dei docenti della scuola media prende dei periodi di assenza dal lavoro, vado anche ad insegnare educazione fisica" continuò.
"Hayama in una struttura scolastica che insegna, non riuscivo a immaginarlo.
"E tu? Non sei più andato avanti con i gradi?"
"A breve dovrò fare l'esame per il decimo dan cintura nera" disse, con il solito tono piatto, ma con qualcosa di diverso nel suo sguardo. Sembrava quasi dovessi tirare le frasi una alla volta, ma ci avevo fatto l'abitudine. Con Hayama era così.
Hayama era davvero impossibile da decifrare quasi per tutti, se non chi lo conosceva davvero bene. Era come se come strumento di comunicazione non utilizzasse mai le labbra, le parole, solo gli occhi, ed era proprio attraverso quelli, mi roicordai, che tentavo di interpretare i suoi sentimenti quando eravamo bambini.
"E cos'è che ti turba, allora?" chiesi, consapevole di aver centrato il punto.
Tornò a guardarmi, dapprima sorpreso, incerto, poi rassegnato, come se si aspettasse che non mi sarei fermata a quella breve frase di prima.
"Non lo so. E' già la seconda volta che tento questo esame, temo di non poter avere le capacità giuste per farlo"
"Se non sbaglio, lo credevi anche quando eri solo al primo dan, eppure li hai scalati tutti, perchè hai del talento, e perchè so che credi in questa arte, esattamente come io credo nella mia. Hai tutte le carte in regola per poter arrivare al tuo obiettivo" gli confidai, stringendogli lievemente il braccio.
Mi osservò intensamente per qualche secondo, per poi stringere la mia mano, ancora poggiata sul suo polso. La breve scossa che avvertii a quel contatto fu inaspettata e terribilmente scontata al tempo stesso, talmente scontata che mi arrabbiai con me stessa.
Ci guardammo per qualche secondo, fortunatamente o sfortunatamente interrotti dallo squillo del mio cellulare.
Subito tornammo alle nostre postazioni iniziali, mentre io mi lazai per prendere il telefono lasciato all'interno della borsa.
"Pronto?"
"Sana, sono Rei. Ho ricevuto la telefonata di Zenjiro, accettando per quelle puntate speciali de "Il giocattolo dei bambini". Dobbiamo solo andare a firmare."
"Perfetto" dissi, felice.
"E...subito dopo anche Hiroshi ha telefonato, per la pubblicità. Ho accettato anche quel piccolo spot, e mi ha chiesto un favore."
Non parlai, curiosa di sentire cosa altro volesse dirmi.
"Mi ha chiesto di procurargli delle comparse, solo piccoli ruoli per la pubblicità nulla di che. Così ho pensato potessi dirlo ad alcuni dei tuoi amici. Che ne dici?"
Immaginai un Hayama tutto impacciato davanti la cinepresa, e risi senza che Rei potesse capirne il motivo.
"Sana?" mi chiamò, facendomi riprendere dalla mia immaginazione.
"Oh, sì, Rei. Beh, posso chiedere cosa ne pensano. Sarebbe...interessante!" dissi, quasi cantando, pregustando già cosa avrei costretto a fare quell'Hayama ancora ignaro.
"D'accordo, ci sentiamo più tardi. Un bacio" riferii, posando il telefono sul tavolo.
Tornai in cucina, dove trovai anche Natsumi.
"Hayama, chiama Aya, Fuka, e Tsuyoshi. Dì di vederci al parco tra mezz'ora. Ho qualcosa di interessante da dirvi."
Mi guardò interrogativo, e fui abile nel riuscire a scorgere anche una sfumatura di preoccupazione, consapevole di non immaginare cosa aspettarsi da me.
"Su, sbrigati!" gli ripetei.
"Sana, che cosa ti frulla in testa?"
"Oh, l'idea non è mia, ma sono sicura vi piacerà. Su, ti aspetto in macchina" riuscii a dire, mentre già riprendevo la giacca e la borsa, dopo aver salutato Natsumi e la piccola Koharu.

"Tu sei matta, Sana!" esclamò, Fuka.
"Sono d'accordo!" fu la risposta di Tsuyoshi.
"Avanti, ragazzi! Non è nulla di brutto! Dovrete solo essere ripresi per qualche secondo. Per favore!"
"Sì, beh...forse non è così male come idea. Potrebbe essere divertente!" si contrappose Aya. Finalmente qualcuno che la potesse pensare come me.
I ragazzi sembrarono pensarci su per qualche secondo. Assaporavo precocemente il fatto di averlo convinti, con l'aiuto di Aya, mentre osservavo Hayama, che non aveva proferito alcuna parola.
Lo richiamai.
"Hayama, tu...tu che ne pensi?"
"Dico che non se ne parla nemmeno. Potrai convincere loro, ma non me." mi informò, deciso.
"Su, Hayama!" parlai, mettendomi di fronte a lui.
"No. Odio le telecamere. Non sopporto quegli aggeggi, e quelle persone strane. Già ho te, e in quanto a stranezze, sei già sufficiente."
"Sei soltanto accecato dai preconcetti"
"No."
Lo tirai per un braccio, allontanandoci un po' dal resto dei nostri amici.
"Ti ricordi poco fa? Quando ti ho detto di credere nella mia arte, così come tu credi nella tua? Non dicevo bugie. Ma oltre a credere in ciò che faccio io, sono tua amica, e credo anche in ciò che fai tu. Per te non è così?" gli domandai, parlando d'un fiato, mentre sentivo Aya e Fuka domandarsi a cosa potesse riferirsi "poco fa".
Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
"Kurata, io...io detesto quelle cose lì, le detesto più o meno da quando avevo tredici anni" mi rivelò, serio, lasciandomi intuire un probabile motivo per cui potesse provare tanta antipatia verso il mondo dello spettacolo. Ma forse era solo uno stupido pensiero che la mia mente si divertiva a fare arrivare.
Continuai a guardarlo, senza dire alcuna parola.
Sospirò. Un sospiro che suonò come un guerriero in ritirata, arreso.
"D'accordo" pronunciò, scocciato.
Gli sorrisi, uno di quei sorrisi luminosi che a poche persone donavo. Tornando, successivamente dai miei amici, dissi che saremmo stati tutti favorevoli, mentre immaginanai di tenere un astratto premio tra le mani.








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Capitolo 5
*** Corsi e ricorsi ***


vhjvgku "Ah ah, Sana, questa foto è, è..."
"ridicola!" quasi urlò, Fuka, rischiando di versare tutto il caffè che quella mattina avevamo deciso di prendere insieme, a causa delle convulsioni delle risa.
Alzai un sopracciglio, seccata.
"Fuka, potresti smettere di infilare il coltello nella piaga? Lo so già da me" le risposi, con un piccolo tic nervoso alle labbra, cercando una calma che non mi si addiceva.
"Ma guardala!" esclamò, ancora vittima delle risate, rivolgendosi ad Aya.
Picchiettai in modo nervoso le lucide unghie sul tavolino.
Guardai la mia amica, non ci volle molto prima che riuscissi a notare che stesse utilizzando tutta la forza che possedeva in quel corpicino per cercare di non ridere anche lei fragorosamente. Lo sforzo, però, durò solo pochi secondi, fin quando la gentile Fuka non decise di passarle quel maledetto giornale, per farle ammirare meglio la foto.
Dannato paparazzo.
"Sana Kurata: follie durante la notte?" era questo il titolo che quello sprovveduto della testata giornalistica aveva utilizzato, descrivendo la foto.
"Potreste finire di ridere, voi due? domandai, retorica. Le labbra assottigliate, le mani sotto il mento.
Presero un sospiro, di quelli che fai dopo uno sforzo fisico, per poi decidere in conclusione di tornare serie.
"Ma ti trovavi agli studi televisivi?" chiese, dopo qualche secondo Fuka.
"Sì. Quel fotografo è comparso all'improvviso. Speravo davvero non fosse riuscito a fare uno scatto decente" risposi, rassegnata, portando nuovamente la tazzina alle mie labbra.
"Amica mia, devo proprio dirtelo. Sei una sciocca! Speri di non farti fotografare da nessun paparazzo e ti rechi agli studi televisivi? Nella tana del lupo?" domandò, in modo sarcastico. Le risate che di nuovo le facevano capolino.
"Lo so, lo so. Sono un'idiota"
Mi presi qualche secondo per ammirare di nuovo quella fanciulla ritratta sul giornale. Capelli arruffati, occhiali neri, un'espressione di sorpresa, mentre era intenta a correre, fuggendo invano dall'obiettivo. Avevano ragione entrambe le mie amiche. Era davvero impossibile non ridere.
E così lo feci anche io. Cominciai a ridere indicando quella ragazza sul giornale, e prendendomi in giro come solo io sapevo fare.
"Comunque, è tutta colpa di Hayama. Devo cercare vendetta" asserii, quando mi fui ripresa.
"Hayama c'entra poco, sei tu che hai voluto fare obbligatoriamente quella stupida gara di resistenza all'alcool" mi rimproverò Aya.
"Gia', e mentre lui è tornato a casa fresco come una rosa, tu...beh, tu..." continuò quella che sembrava la sua più fedele alleata questa mattina.
"Non dirlo. Ho capito, grazie" dissi, secca.
Ed entrambe si portarono le mani alle labbra, incapaci di far morire in gola quelle nuove risate ancora una volta fuori luogo.
Sembrò quasi che le mie tempie avessero ripreso quella strana e soprannaturale capacità di fumare. Bevvi velocemente l'ultimo sorso di caffè, mentre scattavo in piedi, con un'espressione eloquente in viso.
"Sana, non te la sarai presa! Abbiamo detto solo quello che è successo!" esclamò, Fuka.
"Si, però...potremmo anche smettere definitivamente di ridere adesso, Fuka. Scusaci Sana" riconobbi la parte materna e razionale di Aya.
"Non fa nulla. Non sono mica arrabbiata con voi! Sto cercando solo di trovare una vendetta per Hayama" sussurrai, unendo le mani con fare malefico.
Entrambe sospirarono. Un sospiro di...disappunto? rassegnazione?
Andammo a pagare il conto, dirigendoci tutte verso la cassa. Fu proprio lì che Aya notò un piccolo volantino, con giostre e attrazioni raffigurate a scopo illustrativo, in modo da richiamare il pubblico.
"Ehy, guardate! Hanno deciso di montare un nuovo parco divertimenti! Sarebbe fantastico fare le montagne russe che piacciono tanto al mio Tsu!" sospirò, un po' stucchevole, Aya. Inutile dire che io e Fuka alzammo entrambe gli occhi al cielo.
Quest'ultima le rubò gentilmente il volantino, decisa a guardare con i suoi occhi le immagini e diciture.
"Si, sarebbe proprio divertente. Anche Takaishi le adora, e sarebbe una buona occasione per vederci, data la distanza..." pensò ad alta voce."
"Potremmo andarci tutti insieme!" proposi io, con tono entusiasta.
"No, Sana. Ho capito cosa hai in mente" esclamò Fuka, cogliendomi alla sprovvista.
La guardai interrogativa, pensando che potesse bastare. Ma non presi molto tempo prima di chiedere a cosa potesse riferirsi.
"So benissimo perchè vuoi andare lì! Vuoi far salire Akito su una di quelle giostre, sai bene quanto si spaventi delle altezze"
La mia espressione passò in qualche secondo attarverso una miriade di diverse emozione. Passai dalla confusione, al chiarimento, dovuto alla spiegazione di Fuka, all'illuminato, come quando a qualcuno venga in mente un idea brillante, per poi finire in uno sguardo malefico e dispettoso, già eccitato anche solo al pregustare il sapore della vendetta.
Sia Fuka che Aya si accorsero dei miei rapidi cambiamenti umorali, e si resero conto di avremi perfino dato loro l'idea. Si diedero un piccolo colpo sulla fronte.
"Non ci avevo pensato, Fuka. Grazie" dissi piano, sogghignando.
"Sana..." riuscii a sentire solo il mio nome, deformato dall'esasperazione nel loro tono. Ma ero già uscita dal locale per capire quali altre sciocchezze avrebbero voluto dirmi in modo da dissuadermi. Come se non mi conoscessero.
Una volta fuori, Fuka ci salutò immediatamente, disse di dover tornare a casa per studiare "diritto processuale", e di aspettare anche una chiamata.
Non ci volle molto prima che sia io che Sugita potessimo dire in modo fintamente dolce e beffardo "Takaishi..."
Gia un po' distante ci riservò tutto l'affetto che una linguaccia possedeva, per poi voltare le spalle.
"Anche io purtroppo devo correre, Sana. Devo andare a lavoro" mi informò, dispiaciuta.
"A scuola?" chiesi, ricevendo in risposta un delicato cenna di assenso.
"Potrei...potrei venire anche io? Mi farebbe così piacere rivedere alcuni professori e quelle mura..."
"Sì, certo, ma sappi che io dovrò stare in aula...purtroppo non potrò tenerti compagnia"
"Non fa nulla. Ci incamminiamo?" domandai, serena ed elettrizzata.
Mi riservò un gesto con la mano, segno di andare, parlammo del più e del meno durante tutto il cammino.
Appena arrivate dinanzi quei cancelli, a cui un tempo avevo fatto l'abitudine di guardare ogni mattina, o quasi per via del lavoro di attrice, Aya mi salutò, dandomi un veloce bacio sulla guancia, e correndo verso i suoi alunni. La guardai andare via, mentre io mi presi qualche minuto per ammirare quel cortile, qualche minto per ammirare l'albero secolare, ancora lì dove era sempre stato, ricordandomi che fosse il solito punto d'incontro tra me e i miei amici. Sorrisi nostalgicamente.
A volte avrei davvero voluto tornare a quei tempi, ritornare ad essere la Sana tredicenne, per godermi meglio la vita scolastica, sempre minacciata e in eterno conflitto con quella lavorativa.
La scuola media doveva essere una tappa, un ricordo per tutte le persone. Ma per me, per Sana Kurata era un posto che vedevo rararamente, soprattutto nel periodo antecedente alla mia partenza verso gli Stati Uniti.
Mi sedetti sul prato, poggiando le spalle su quella quercia, felice per il leggero vento che mi accarezzava il viso, e il tipico odore di fiori primaverile.
Tante volte, prima di quel momento, mi chiesi come sarebbe andata. Come sarebbe andata se non avessi fatto l'attrice, se non avessi stretto quel patto con mia madre, se avessi frequentato con costanza la scuola media e superiore, se non fossi mai andata in California. Se non avessi mai avuto questo carattare così testardo e la naturale inclinazione ad aiutare le persone accanto a me, se non avessi mai cercato di farlo anche con Hayama.
Più volte, in America, mi ero interrogata su questo, facendo anche un necessario e giusto "mea culpa" su ciò che avevo sbagliato, sebbene gli errori fossero sempre stati il talento di entrambi.
Mi risposi affermando che eravamo inevitabilmente troppo acerbi per sopportare un sentimento così importante, troppo piccoli per portare sulle spalle un macigno così doloroso. Ciò che era nato dal nostro frequentarci, era la naturale conseguenza che accade tra uomo e donna, ma aveva finito per sembrarci un ostacolo, e non una risorsa.
Tornai a guardare la scuola, decidendo che fosse l'ora per una bella passeggiata tra i suoi corridoi. Incontrai molti vecchi professori, apparentemente felici di potermi rivedere e salutare di nuovo. Mi chiesi se si ricordassero di me come loro alunna, o solo come "Sana Kurata, l'attrice". Tuttavia, pensando alla frequenza scolastica di quegli anni, non avrei potuto proprio biasimarli. Osservai tutti quei bambini, intenti a conversare tra di loro, dirigersi verso le loro classi, stringendo tra le mani i libri che avrebbero duvuto utilizzare in quell'ora. Riuscii a udire anche qualcuno che sussurrava il mio nome, avendo riconosciuto chi fossi.
Guardai anche, stavolta sorridendo, una certa bambina, armata di innaffiatoio, tutta presa dall'abbeverare quelle poche piante posizionate sul davanzale della finestra. Ricordai quando fui io ad avere quel compito.
Decisi di scendere nuovamente nel cortile, ero riuscita a scorgere alcuni bambini concentrati nel correre intorno al campo nella loro lezione di ed. fisica. era talmente bello poter ricalpestare quel suolo leggermente sterrato...
Mi poggiai al muretto, decisa a godere quelle voci tintinnanti di bambini, e il sole per qualche minuto.
"Kurata?" una terza voce fuori campo, che certamente non poteva essere la mia, nè quella dei miei pensieri, mi risvegliò, facendomi anche sussultare.
"Hayama? Che ci fai qui?" domandai, davvero stupita nel vederlo.
"No. Che ci fai tu qui" probabilmente più sorpreso della sottoscritta.
"Ho deciso di fare una piccola visita alla vecchia scuola, sono venuta con Aya. Ora tocca a te"
"Te l'ho detto giusto ieri, ogni tanto mi chiamano per coprire qualche assenza, e a me sta bene"
Oh, ecco cosa ci faceva lì. In tuta. Con dei ragazzini vicino.
"Un'altro quarto d'ora di campestre, poi faremo qualche piccolo esercizio" gridò, per permettere a tutti i suoi alunni di ascoltare le sue parole.
"Oh, non pensavo che parlassi anche di adesso. Comunque mi fa piacere, sembri un bravo insegnante!" gli riferii, sorridendo, non appena tornò a guardarmi.
Non disse nulla, ma quando si parlava di Hayama c'era da aspettarselo. Anzi, per tutta risposta alzò gli occhi al cielo.
"Professor Hayama!" un urlo richiamò subito l'attenzione del mio biondo amico.
"Professor Hayama! Toshi si è appena tagliato con del ferro che fuoriusciva dalla rete. Le dispiace se lo accompagno in infermeria?" domandò un bambino dal viso affettuoso, evidentemente preoccupato per il compagno di classe.
Alzai lo sguardo, cercando di intravedere chi potesse essere questo Toshi, in modo da verificare se la ferita fosse superficiale o meno, ma lo trovai seduto solo all'angolo più lontano, volontariamente in solitudine dal resto del gruppo. Era impegnato a osservare la ferita sulla mano, cercando di fermare il sangue, ingorando tutti gli altri ragazzi della sua classe che, preoccupati, gli erano andati vicini.
Vidi Hayama andare velocemente verso di lui, mentre ordinava agli altri alunni di riprendere la corsa. Gli fui accanto in pochissimi secondi.
"Toshi, fammi un po' vedere che ti sei fatto" disse, con tono severo.
Il moro lo guardava, senza nessun accenno a eseguire ciò che il professore gli aveva chiesto.
"Toshi, sbrigati. Vogliamo solo aiutarti, e quella ferita potrebbe infettarsi" si affrettò a dire il ragazzo dagli occhi premurosi di poco prima.
"Non ho bisogno dei pareri, nè dell'aiuto di nessuno" sentenziò, scandendo bene ogni fonema, per poi alzarsi e andare verso l'inferemeria. L'amico lo seguì in silenzio, guardando Hayama in segno di scuse, e di comprensione.
Akito non disse nient'altro.
Non potei fare a meno di pensare a quanto fosse maleducato e arrogante quel bambino. In fondo volevamo solo dargli una mano!
In realtà, riusciva persino a ricordarmi qualcuno.
Stessi occhi duri, stessa espressione vuota, stessa crudeltà nelle parole.
Doveva essersene accorto anche Akito, poichè lo vidi farsi pensieroso per qualche istante. Fu lui, però, a parlare per primo.
"Fa sempre così. Si siede quando ordino ai suoi compagni di correre e corre quando invece gli altri sono fermi o fanno qualche esercizio. Fa sempre confusione in classe, sentendo parlare altri docenti della scuola, anche se con me...sembra starsene sempre solo"
Avevo ragione. Le similitudini c'erano tutte.
"Dico sempre a Ryo, quel bambino che hai visto prima, di stargli vicino, anche quando lo caccia via. Sembra che ne abbia bisogno" continuò, girando leggermente il busto per guardarmi negli occhi.
Avevamo capito l'uno le riflessioni dell'altro. Non c'era nemmeno la necessità di comunicarci il pensiero comune che avevamo fatto.
"Pensi ci sia qualcosa dietro? Qualche problema privato?"
"Ne sono convinto" sputò, spostando lo sguardo verso l'infermeria.
"Allora dobbiamo solo saperlo con certezza" dissi, incrociando le braccia sotto il seno.
Mi osservò, circospetto.
"Che hai in mente?" chiese, sospettoso.
"I buoni vecchi metodi Kurata. Ci vediamo al parco all'imbrunire?" chiesi, con la luce e il fascino dell'indagine mi avevano sempre recato.
Sembrò rifletterci qualche secondo, incerto se impicciarsi delle faccende altrui o meno. A pensarci bene, Akito non aveva mai mostrato interesse per le vite altrui, se non quella di quei pochissimi amici stretti che aveva, ma avevo notato il modo apprensivo che aveva nel guardarlo. Come se sapesse esattamente le emozioni che quel bambino provasse, per un esperienza che la vita troppo presto gli aveva riservato. Tirarlo fuori dall'oblio sarebbe stato come salvarsi anche lui, di nuovo.
"D'accordo. A più tardi" mi salutò, tornando dai suoi alunni, mentre io voltavo le spalle, decisa a dirigermi verso casa.
"Ah, ehm, Kurata?" ripretese la mia attenzione. Mi girai per capire cosa avesse da dirmi.
"Evita i tuoi ridicoli costumi alla Sherlock Holmes, come giusto qualche anno fa"
Sorrisi al ricordo.
"E tu assicurati di mettere una cintura, Hayama"
Lo vidi sorridere debolmente, mentre gettavamo un ultima occhiata verso la porta chiusa che i due bambini si erano lasciati alle spalle.

"Ma devi essere sempre così strana? Posa quella lente d'ingrandimento, Kurata"
"Ma sono un'attrice! Ho bisogno degli strumenti di scena" mi lamentai, prevendendo già il suo solito sguardo insofferente verso l'alto.
E non mi sbagliai.
"D'accordo, d'accordo...la metto in borsa. Che bambino che sei"
Quasi gridò un sarcastico "dici a me?" indicandosi il torace, ma io avevo già fatto qualche passo in direzione dell'uscita dal parco, facendo cadere il discorso con uno dei miei soliti sorrisi.
Gli chiesi se sapessimo dove abitasse quel Toshi, in modo da fare uno dei miei appostamenti investigativi, ma mi accorsi che mi ebbe preceduta quando davanti al cancello esterno vidi un bambino, il cui nome credo fosse "Ryo".
Hayama lo salutò velocemente, ripetendo a lui la stessa domanda che poco prima avevo posto io. Ryo si dimostrò subito ben disponibile ad aiutare l'amico, indicandoci la strada giusta da prendere.
Il piccolo studente delle medie stava qualche passo avanti a noi, in un quasi religioso silenzio che coinvolgeva tutti. Persino me.
Non ci volle molto prima che potesse esclamare di essere giunti dinanzi la casa verso cui ci muovevamo. Mi presi qualche istante per ammirarla.
Era una bellissima casa, in stile occidentale, con delle vetrate splendenti e della pietra a delinearne il perimetro. Di sicuro era una famiglia benestante.
Mi guardai intorno, cercando un posto adatto per nasconderci tutti. Lo trovai in un cespuglio abbastanza alto, che sembrava essere stato messo lì proprio per noi.
"Quale sarebbe il piano?" sussurrò Ryo, guardando Hayama.
"Per queste cose rivolgiti alla strana ragazza che ho accanto, non sono io ad eccellere in questo campo"
"Hayama, sta' zitto. Sto pensando"
"Vorresti dire che sei venuta fin qui senza pensare ad una linea d'azione? Sei una sprovveduta, Kurata"
"Kurata?" sentii ripetere a Ryo, sottovoce.
"Lo sprovveduto sei tu! Non credi che potessi anche tu pensare a come agire? In fondo è un tuo alunno, lo conosci meglio di me"
"Sei una sprovveduta!" ripetè, mentre alla mia voce e alla sua si aggiunse anche quella di Ryo.
"Ma allora sei proprio tu! Credevo che le somigliassi, ma sei Sana Kurata!"
Continuò con una serie di esclamazione su quanto fosse felice di avermi conosciuta, e di stare addirittura accanto a un'attrice quella sera. Io e Hayama eravamo troppo impegnati a litigare per curarci davvero di ciò che stesse dicendo.
Il quadretto, se osservato dall'esterno, doveva essere proprio divertente. Tre persone appostate dietro un cespuglio con la chiara intenzione di non farsi notare, se non fosse per le voci, e gli urli che stavano facendo, ognuno preso dal dire qualche frase diversa dall'altro.
"Zitti!" ordinò, improvvisamente Hayama, colpendoci improvvisamente con un martelletto in plastica uguale a quelli che solitamente utilizzavo io.
"State tutti e due zitti!" ribadì, con il petto che respirava freneticamente.
"Tu! -disse indicando Ryo- Sì, è quella Sana Kurata, e sì, ce l'hai accanto, respira e vive come te. Non farne una questione di stato"
"Non è nemmeno tutto questo fenomeno..." aggiunse dopo, a bassa voce, quasi per non farsi sentire.
Avrei ripreso a discutere, ovviamente, ma mi resi conto da me che non fosse davvero il momento, così, almeno per quel frangente, gli dedicai soltanto un'occhiataccia in cagnesco.
"E tu! -stavolta indicando me- sei e rimani una sciocca" terminò, tornando a guardare quella casa. Riuscii quasi a sentire il battito di un martelletto, di quelli in legno che vengono utilizzati dai giudici. A pensarci bene anche il piko poteva essere un degno sostituto.
"Era ora che cominciaste a fare un po' di silenzio!" una voce squillante, nuova ci rimproverò.
Tutti ci girammo verso una sola direzione, cercando di capire chi fosse stato ad aver aperto bocca, e spiato le nostre discussioni. Una ragazzina dagli occhi vispi e furbi, con dei leggeri boccoli dorati sulle spalle e deliziose mollettine ai lati a fermarne alcune ciocche, fece capolino -o sarebbe meglio dire sbucò fuori- da un arbusto accanto a quello dove eravamo noi.
"E tu chi sei?" chiese Hayama, indispettito.
"Lei non ha una buona memoria, signor Hayama" rispose sibillina quella graziosa figura.
"Yuki, che...che ci fai qui?" chiese, interrompendo i due, Ryo.
La biondina sembrò avere qualche difficoltà nell'esprimersi.
"Oh, ecco...ehm..."
"Conosco Toshi da quando eravamo solo dei bambini, le nostre famiglie erano amiche tra loro, e uscivamo spesso tutti insieme. Però...con il tempo gli adulti si sono persi di vista, e anche io e Toshi, se non per qualche saluto quando abbiamo scoperto di andare nella stessa scuola. Da un po' di tempo l'ho visto strano, diverso. E così..."
"...E così lo stai spiando" dissi, risultando forse severa, eppure era come se capissi perfettamente le buone intenzioni della bambina.
Abbassò leggermente il capo.
"Vieni avvicinati pure a noi. Forse avendo conosciuto la sua famiglia, potresti darci qualche suggerimento..." pronunciai, rivolgendomi verso Yuki, sebbene guardassi Hayama.
Non ci pensò nemmeno mezzo istante. Subito saltò furtiva dal suo cespuglio al nostro, rivelando anche una scelta d'abiti che chiunque, eccetto me, avrebbe certo trovato stramba.
Vidi Hayama picchiarsi leggermente la fronte con la mano destra, non appena ebbe messo a fuoco quella lente, e quel trench da investigatore privato.
Sorrisi più silenziosamente che potei, beandomi dell'espressione incredula del mio amico.
"Se voi due siete parenti, in qualunque modo questo possa essere possibile, ditemelo adesso" asserì, forse ironico, forse no. Con Hayama non poteva mai essere detto.
Ovviamente non conoscevo quella bambina in nessun modo prima dei minuti precedenti, ma non potei che convenire con lei sullo spirito che stava dimostrando e, ovviamente, sui vestiti che indossava.
Yuki non sapeva molto su come fosse la situazione familiare attuale di Toshi. Da tempo le famiglie avevano smesso di frequentarsi per qualche anno, incontrandosi nuvamente alle scuole medie e, sebbene lei avesse continuato a voler bene a Toshi e voler recuperare il rapporto, lui non si limitava che a rivolgerle un saluto stentato.
Ci informò d'averlo visto diverso rispetto il bambino che conosceva lei. Le sembrò come se alle medie fosse subito diventato più chiuso, più riservato, antipatico... e davvero poco affabile.
Fu quando anche io, come Hayama, tornai a guardare quella casa che notai un particolare forse non proprio irrilevante. Da quelle stesse vetrate così belle, e che avevo ammirato solo pochi istanti prima, riuscii a scorgere due persone, entrambe sulla quarantina d'anni, litigare in modo animato. Una valigia, un trolley, stava accanto alla donna.
E poi avvenne tutto in rapida sequenza.
Una porta che sbatte, Toshi che cammina sul vialetto. Attraversa il cancelletto, sbatte anche quello. Sembra voler andare lontano, eppure è consapevole di non poterlo neanche fare. Mi soffermai sugli occhi, sembravano non vedessero nulla che non potessero essere i suoi pensieri. Occhi talmente vitrei da far dubitare che potessero davvero essere veri. Erano esattamente gli occhi che aveva Hayama quando io e Tsuyoshi, in una situazione simile, qualche anno prima, avevamo cercato di scoprire cosa lo angosciasse a tal punto.
"Vorrei tanto non poter più vedervi, nè sentirvi!" urlò furioso Toshi. Un urlo che parve come se fosse rimasto soffocato per tempo.
Suggerii a Ryo e Yuki di seguire in silenzio l'amico, in modo da capire quale fosse la destinazione che avesse in mente, assicurandosi di fingere poi, d'averlo incontrato per pura casualità. Qualche piccola parola di consolazione gli avrebbe fatto sicuramente bene, malgrado fosse prevedibile la sua incapacità di chiedere aiuto.
Entrambi annuirono immediatamente,  mentre Yuki già trascinava per il colletto Ryo, per poi tornare a camminare in silenzio.
"E noi? Noi due che facciamo?" domandò, dopo qualche istante, Hayama.
"Noi andremo a parlare con quei due. Ti presenterai come il professore di Toshi, e dirai di aver accidentalmente assistito a quanto è appena successo. Il resto sarà spontaneo"
Dall'espressione concentrata che assunse, capii che stesse studiando il mio piano, immaginandosi la scena. Si prese qualche secondo prima che potesse bisbigliare un "Okay, andiamo"
Tre piccoli colpi alla porta diedero l'avviso ai proprietari che ci fossero visite. Ci volle un tempo brevissimo prima che potessero aprire entrambi la porta, con fare nervoso, invocando il nome del figlio.
Ovviamente le facce cambiarono totalmente quando si resero conto che non fossero le mani di chi si aspettavano ad aver colpito la porta.
Cercarono di ricomporsi.
"Desiderate?" domandò piano, la donna.
"Salve, sono Akito Hayama. Professore di vostro figlio Toshi. Ero venuto qui per parlarvi del comportamento che sta assumendo a scuola, e ho involontariamente ascoltato le urla di poco fa"
"Oh" esclamarono debolmente entrambi.
"Ehm, entrate pure" disse dopo, in segno di resa, quella che pareva essere la madre di Toshi, al contrario del marito che non volle dire nulla, limitandosi a seguirci in salotto.
"Mi dica, professor Hayama. Cos'ha Toshi che non va?" disse, con una tranquillità fittizia, talmente falsa da rendere sia me che Akito nervosi. Poteva essere una madre tanto stupida?
"Me lo dica lei, piuttosto" rispose, senza battere ciglio.
Nessuno dava cenno di rispondere a quella domanda. Entrambi, piuttosto, presero a guardare vigliaccamente il pavimento.
"Codardi" sussurrò Hayama.
"Lei, come si permette? Pretende di venire qui e sapere tutto di ciò che accade nella nostra famiglia! Se ne vada, e si faccia gli affari suoi" urlò, parlando per la prima volta, il padre.
Akito non si sottrasse nemmeno per un istante allo sguardo di sfida che si stavano scambiando.
"I miei alunni sono affari miei. Soprattutto quando hanno dei genitori che non sanno essere tali" ringhiò, già in piedi per poter guardare dall'alto in basso quell'uomo sulla quarantina.
Anche quest'ultimo si alzò, arrivandogli a pochi centimetri.
Sia io che la moglie fummo subito tra di loro, cercando di evitare potessero compiere azioni stupide.
"Fermi!" urlai.
"Ritorni a sedersi, lei!-indicai il padre- Hayama, permetti una piccola parola?"chiesi, con un tono che non era proprio adatto a una richiesta.
Mi guardò con noncuranza, mentre lo spingevo verso l'angolo della stanza, allontanandoci da quei due.
"Quando ho detto "Il resto sarà spontaneo" non intendevo dovessi trasformare questa casa in un fight club" sussurrai, allarmata.
"Tu hai i tuoi metodi, Kurata. Io ho i miei"
"Non credo sia solo questo" affermai, secca.
"Cerca di non farti prendere dai ricordi, e non dare per scontato ciò che giudichi, in fondo non conosciamo nè la loro storia, nè i loro problemi. So che è difficile, ma non guardare a tutta questa situazione paragonandola a quella che avevi tu, con la rabbia che avevi tu. Per favore" dissi, intonando le ultime due parole come in una preghiera.
Il suo sguardo parve irrigidirsi, per poi divenire più tranquillo. Tornammo a sederci.
"Signori, ciò che Hayama vorrebbe dirvi è che Toshi è un bambino molto solitario. Sembra non voglia avere nessuno accanto a sè, se non in quei momenti in cui decide di voler fare confusione in classe. E' così distante che sembra essere sempre assente, reagisce in malomodo con chiunque gli si avvicini. E' inevitabile non preoccuparsi stando ad osservare ciò" presi la parola, ottenendo l'attenzione di tutti.
"Io non ne avevo idea" bisbigliarono entrambi, contemporaneamente.
"Toshi non era così." pensò a voce alta, il padre.
"Ma da qualche tempo...io e suo padre non andiamo affatto d'accordo, litighiamo di frequente, arrivando anche a mettere di mezzo nostro figlio e la sua educazione, e persino andarcene di casa." continuò poi, la donna che gli stava accanto.
"Che banalità" osservò, Hayama.
"Siete talmente presi da voi stessi che non riuscite a prendervi cura di vostro figlio. Da quanto tempo non andate a una riunione con i docenti? Da quanto tempo non chiaccherate? Da quanto tempo non guardate insieme qualche film stupido alla televisione?"
I visi di entrambi si abbassarono.
"Non volete lasciarvi perchè Toshi soffrirebbe? Non credete che sia peggio adesso? Costretto a continuare ad ascoltare voi e le vostre supide lamentele?"
Presi io la parola.
"Ascoltate, la famiglia è per un bambino il centro di qualsiasi cosa. Me lo ricordo bene, perchè anche per me era così. Mia madre ed il marito si lasciarono, eppure non riesco davvero a ricordare un momento in cui noi due non siamo state felici, nonostante potessi, a volte, avvertire la mancanza di un padre. Toshi ha, fortunatamente, entrambi. Due genitori che lo amano, sebbene probabilmente non si amino più tra loro. Dov'è il problema? A lui basterà sicuramente riceverlo. E avere di nuovo quella tranquillità che ogni bambino merita."
I due si guardarono tra di loro rimuovendo per la prima volta, da quando io e Hayama avevamo fatto il nostro ingresso in quella casa, quello scudo di ostilità e tormento.
"Io una madre non l'ho mai avuta. Non faccia in modo che anche per suo figlio sia così" pronunciò dopo, e totalmente inaspettatamente per me, Akito. Guardava un punto indefinito nella parete, lo sguardo un po' perso. Credevo non riuscisse a parlarne, era sempre stato un argomento chiuso a chiave per lui. Forse era maturato davvero. Istintivamente gli presi la mano.
"Adesso noi andiamo. Suo figlio in questo momento non è da solo, ma con due suoi amici, lo riporteranno qui tra qualche minuto. Prendetevi questo tempo per parlare civilmente, e prendere una decisione responsabile." li misi al corrente, osservando il sospiro di sollievo che li investì non appena li informai del figlio.
Un debole "grazie", appena soffiato ma proveniente da entrambi, per poi lasciarci alle spalle quell'abitazione, speranzosi di aver contribuito almeno un po' ad aiutare Toshi.
Riprendemmo a camminare, ognuno assorto nelle proprie riflessioni, nessuno che osava prendere parola.
Stavamo così, in silenzio. Ma non per imbarazzo, solo per rispetto dei pensieri altrui. A dir la verità, era anche piacevole, non parlare, qualche volta.

"E lasciami! Sei fastidiosa come lo eri da piccola!"
Un piccolo urlo ci svegliò da quella passeggiata, una voce ancora bianca, ma già sulla via del cambiamento. Entrambi alzammo poco il capo.
"Sta' zitto, e fammi un sorriso!"
Fu impossibile per me trattenere un sorriso dinanzi la scenetta adorabile che ci si era preparata davanti. Si trattava proprio di loro tre, mentre camminavano verso casa di Toshi.
Yuki aveva preso a pizzicare i lati delle labbra del suo amico, nel tentativo di farle assomigliare allo stesso sorriso che sia io, e sorprendentemente anche Hayama, avevamo improvvisato.
"Ecco, contenta?" domandò, ironico, il ragazzo.
"Sì!" fu la pronta risposta, detta all'unisono da entrambi i suoi amici.
Un debole "siete insopportabili" di risposta, sussurrato più a se stesso, che agli altri.
"Su, Toshi. Non c'è bisogno che tu mi dica quanto ti faccia piacere stare qui con me, lo so gia" cantò la bionda, gesticolando con qualche piccolo svolazzo in aria.
Toshi la guardò per qualche istante, portando in alto entrambe le sopracciglia.
"Diciamo solo...che non mi dispiaci, ecco"
Ci avvicinammo a loro, per poterli salutare.
"Professor Hayama. Che ci fa qui?" chiese, insospettito, Toshi.
"Una passeggiata. Torna a casa, Toshi. I tuoi genitori sono preoccupati, e vogliono parlare con te." rispose Akito, lasciando capire cosa ci fosse dietro.
Il moro non parlò, limitandosi solo a guardarci. Solo dopo qualche secondo il suo volto sembrò addolcirsi, gli occhi finalmente liberi da quel velo di tristezza e solitudine.
"Ma tu...io ti conosco" disse poi, guardando me.
"Si, beh..." cominciai io, con fare altezzoso, ma ovviamente auto-ironico.
"Tu sei quella della foto con la ridicola espressione che hanno pubblicato stamattina sul giornale"
Cominciai a balbettare e muovermi  in modo nervoso, fingendo di non sapere di cosa parlasse. Che bambino impertinente.
"Cosa? Ehm...no! Quale giornale! Ah-ah!"
"Di che giornale parla, Kurata?" le mani di Hayama sulle mie braccia, nel tentativo di fermarmi.
"Io non ne ho id..."
"Questo, signor Hayama" vidi l'espressione maliziosa e vergognosamente divertita di Toshi, a cui risposi con una infuocata. Mi venne voglia di picchiare con il piko anche quella testa corvina.
Mi misi una mano tra i capelli, voltandomi per non vedere il solito ghigno che si sarebbe sicuramente modellato sul volto di Akito.
Una piccola pernacchia, artefatta in modo da sembrare che volesse soffocare le risate, mi diede conferma di ciò che solo pochi istanti prima avevo pensato.
"Che espressione ridicola! Sembri un pulcino con quei capelli!"
Mi voltai, per poter infuocare anche Hayama.
Per tutta risposta, non si curò affatto dell'occhiata in cagnesco che gli avevo rifilato, continuando con i suoi commenti irritanti. Gli strappai quel giornale di mano, intimando a Toshi e i suoi amici di dover assolutamente tornare a casa. Mentre io mi allontanavo, con un passo non proprio aggraziato e quel giornale stretto al petto.
Hayama, ancora sghignazzante, poco dietro di me.

"Te l'avevo detto, Kurata. Non sfidarmi..."
Avevamo camminato per qualche metro, anzi, quasi marciato, visto il mio passo.
Hayama aveva lasciato che fossi io a indicare la strada giusta, seguendomi silenziosamente. La strada che intrapresi fu, insapettatamente anche per me, quella del gazebo. Ci sedemmo senza bisogno di domandarcelo a vicenda.
"Sta' zitto. Riuscirò a vendicarmi! E ho anche una piccola idea sul come..." pronunciai, rendendo la mia espressione improvvisamente degna di un cattivo dei fumetti.
"La cosa che più mi spaventa di te è la capacità che hai di cambiare assolutamente espressione in pochissimi secondi..." ghignò.
Mi apprestai a rispondergli per le rime, ma fummo interrotti dallo squillo del suo cellulare.
Harumi.
Poggiai le spalle sulla panchina, in silenzio.
-"Ciao"
-"...Si, scusami. Ho dovuto sbrigare una faccenda"
-"...Ah, già. Il compleanno di tua sorella...mi era passato di mente"
-"...Arrivo subito, a dopo."
Posò il cellulare, rimettendolo nella tasca del suo jeans, mi guardò per qualche secondo.
"Devi andare?" chiesi, io.
Si limitò ad annuire.
"Questo week-end avevamo pensato con Fuka e Aya di andare al nuovo parco divertimenti. Potremmo andarci tutti insieme, ovviamente anche Harumi. Che ne dici?"
Sembrò sorpreso.
"Beh...sì, credo di sì. Ne parlerò con lei"
Gli sorrisi.
"Allora ci vediamo!" lo salutai.
"Ciao Kurata" rispose.
"Ah! ehm, Hayama?"
Si voltò.
"E' molto bello quello che hai fatto oggi per Toshi. Se lo ricorderà per sempre"
"Io l'ho fatto. Ho ricordato e ricorderò sempre quando sono stato io ad essere "salvato"" proferì, con un tono reso straordinariamente ed inaspettatamente dolce.
Gli risposi con un sorriso, riscaldato dai miei occhi improvvisamente lucidi.


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