Giustizia, fortezza, prudenza e temperanza di Juliet88 (/viewuser.php?uid=232926)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome back, Sana! ***
Capitolo 2: *** Welcome back, Sana! (II part) ***
Capitolo 3: *** Friends ***
Capitolo 4: *** Art for art's sake ***
Capitolo 5: *** Corsi e ricorsi ***
Capitolo 1 *** Welcome back, Sana! ***
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"I signori passeggeri sono invitati ad allacciare le cinture di
sicurezza. Il pilota è pronto per la fase di atterraggio" fu la
frase pronunciata dall'hostess, che suonò come meccanica a
causa del microfono.
Non ci potevo davvero credere. Ero così felice di poter tornare
a casa, così felice di respirare di nuovo l'aria di casa mia. Mi
sembrava fossero passati secoli invece che sei anni.
A pensarci bene, erano già
passati sei anni. Sei anni da quando
per impegni lavorativi dovetti trasferirmi a Beverly Hills. Sei anni da
quando salutai e vidi per l'ultima volta il viso di mia madre, del mio
agente Rei, i visi dei miei amici. Sei anni in cui la mia carriera
aveva decisamente preso la piega giusta, contratti su contratti che mi
portarono, appunto, a trascorrere tutti questi anni lontano dal
Giappone. Lontano da casa mia.
Non mi pentivo affatto della scelta che avevo preso, trasferirmi in
America era stata una scelta eccellente per la mia carriera, me l'aveva
sempre detto anche Rei... anche se non si potesse dire lo stesso per i
miei affetti.
Ero talmente legata a casa mia che riusciva a mancarmi persino la signora Shimura.
E adesso che finalmente ero sulla strada del ritorno, sentivo come se
ogni terminazione nervosa del mio corpo stesse per collassare.
Era una sensazione così piacevole, e anche così
destabilizzante. Avevo timore, timore che io fossi rimasta così
legata alla mia vita precedente, ma che la mia vita precedente non
fosse più legata a me. Avevo timore di capire quante cose
fossero cambiate, rendermi consapevole del tempo che passava. Paura di
sapere come i miei amici avessero continuato le loro vite.
Avevamo continuato a telefonarci l'un l'altro, eppure non era
così semplice continuare a mantenere i contatti e l'amicizia
immutata con tutta quella lontananza, ce ne eravamo resi conto
autonomamente.
Nonostante tutto, il mio affetto era sempre rimasto immutato. Aya e Fuka
avevano persino organizzato una piccola vacanza a mia insaputa un anno
prima, e per me fu una meravigliosa visita inaspettata. Sorrisi al
ricordo delle mie due folli amiche davanti la porta di casa mia con una
decina di valigie e dei sorrisi che mi scaldarono il cuore.
L'aereo posò le ruote sulla pista d'atterraggio e finalmente la
trepidazione lasciò che il timore passasse in secondo piano, i
miei occhi erano più luminosi ad ogni piccolo centimetro che mi portasse
verso l'aeroporto.
Casa. Ero a casa.
"Rei? Rei!" dissi, con il telefono contro il mio padiglione auricolare.
"Sana? Oh, Sana, finalmente sei arrivata! Dove sei?" domandò, con una sfumatura di preoccupazione.
"Beh, sto aspettando che arrivi la mia valigia al ritiro bagagli. Ci vediamo all'uscita?"
"Niente affatto. Sono praticamente davanti l'aeroporto, ti sto
aspettando da un'ora. Vengo subito e ti aiuto con tutte quelle valigie"
pronucniò, come se fosse già a conoscenza del reale
numero di valigie che avevo fatto imbarcare.
Mi conosceva.
"Grazie, Rei" fu ciò che dissi, anche se non riuscì a sentirmi dato che aveva già riattaccato.
Il solito iperattivo, pensai.
La mia valigia sembrava non volesse arrivare, ed io ero già pronta
a dosare i miei decibel per inveire contro quel pover'uomo
all'assistenza su cui avrei riversato la mia rabbia.
Picchiettai ancora la punta del mio piede sul pavimento.
Pazienza, una virtù che probabilmente non sarà mai mia, riflettei.
Stavo proprio per dirigermi verso l'uomo in cravatta blu, quando sentii urlare il mio nome.
"Sana! Oh, Sana! Non sai quanto sono felice di vederti!" gridò,
Rei, dietro di me, con gli occhi probabilmente commossi e celati dietro i suoi
occhiali da sole.
"Rei! Sono felice anche io, non immagini quanto, ma..."
La sua espressione divenne interrogativa.
Si distese quando capii a cosa potessi riferirmi. Non avrebbe dovuto
gridare così il mio nome, subito fummo circondati da persone, in
cerca di una foto o una semplice firma sulla maglia.
Lo guardai in cagnesco, anche se poi gli sorrisi immediatamente, non
riuscivo ad essergli arrabbiata, e quando portò la sua mano
dietro la testa, per mimare un debole "scusa" mi sembrò
addirittura impossibile.
Subito cercai di sorridere, cercando di accontentare quelle persone che volevano dimostrarmi il loro affetto.
Inutile dire che perdemmo più tempo del previsto in aeroporto, e
che le mie valigie, finalmente arrivate, girarono a vuoto per non meno
di un'ora.
Quando finalmente fummo liberi lo abbracciai talmente forte da poter
notare il suo viso divenire più cianotico, e subito gli chiesi
informazioni su mia madre, sulla signora Shimura, su lui ed Asako, che
sapevo essersi sposati.
Lui fu orgoglioso di ripeterlo, e di raccontare quanto sapeva su tutte le persone che gli avevo nominato.
Trascorremmo così tutto il viaggio in macchina, con un Rei che
cercava di aggiornarmi su qualsiasi novità potesse riguardarmi,
o che potesse interessarmi, ed io che ascoltavo attenta le sue parole,
consapevole che anche il suo timbro vocale mi fosse mancato, seppure
talvolta mi venisse straordinariamente semplice distrarmi e guardare le
luci della splendida città che mi aveva visto germogliare.
Mi voltai verso Rei, e lo guardai con più attenzione. I capelli
ai lati sembravano voler abbandonare quel castano a cui i miei occhi
erano abituati, sostituendolo con un leggera ombra di grigio. Un velo
di barba sul suo volto, qualche ruga che faceva capolino. Il tempo era
trascorso, ma gli donava.
Dovrò dirgli di quei capelli grigi. Rei è
invecchiato, mi divertirò a prendermi un po' gioco di lui, pensai, con un
sorriso malizioso.
E se Rei cominciava ad avere qualche segno del tempo, Sana, Sana seppur
con qualche dato di registrazione di maturazione avrebbe continuato a
conservare quel suo carattere tutto pepe, inarrestabile, testardo e
adorabile al medesimo tempo. Ne era consapevole.
"E comunque, Sana...hanno ripreso a girare "Il giocattolo dei bambini".
Lo sapevi?" continuò, riprendendomi dalla distrazione che
rappresentarono i miei pensieri.
"Sul serio, Rei? Oh, dovrò sicuramente passare a fare un saluto,
quanti ricordi ho tra quelle mura..." sospirai, improvvisamente
malinconica.
"A volte ho desiderato che potessi tornare ad avere undici anni, con
quelle codine ramate e quell'aggeggio rosa odioso con cui facevi della
musica ogni tanto" disse, ridendo.
Lo guardò socchiudendo gli occhi.
"Anche io, mi mancano quei giorni. Ho avuto un'infanzia stupenda."
"E Rei..." continuai, io.
"Si?" fu la sua risposta, ancora un sorriso di nostalgia.
"Quell'aggeggio rosa...ce l'ho ancora, è proprio nella valigia rossa" dissi, avvicinandomi al suo orecchio.
E ridemmo insieme.
"Perfetto. Credo di aver chiamato tutti i nostri amici informandoli di
vederci al parco, vicino al nuovo bar. "Sand and breeze" credo dica
l'insegna."
"Finalmente ci siamo, Aya! Non riesco a non contare i minuti che
mancano prima di poter riabbracciare di nuovo quella testolina color
ciliegia" quasi urlò, Fuka.
"Nemmeno io, Fuka! Mi è davvero mancato aver quel piccolo terremoto che gira intorno"
Risero entrambe.
"Sono le 15.30...dovrebbe essere già atterrata" verificò Aya, con le sopracciglia che si irrigidirono lievemente.
"Beh, forse l'aereo non è stato proprio puntuale...e poi, la
conosci Sana! Avrà dimenticato di inviare un messaggio quando
sarebbe giunta all'aeroporto come le avevamo chiesto" rispose Fuka,
senza riprendere ossigeno.
Aya fece un borbottio di risposta, poco convinta, e un po' preoccupata.
"Sempre con la tua iperprotettività! Dai, mammina,
sono sicura scriverà tra poco" la prese in giro Fuka, con
quell'accento così irritante e allo stesso tempo
meraviglioso ancora presente.
Un piccolo suono, arrrivato dalle borse di entrambe, si arrogò
la loro attenzione. Era arrivato un messaggio ad entrambe. Si
guardarono consapevoli di aver compreso chi fosse il mittente.
"Visto?" domandò con finta presunzione, Fuka, mentre Aya si affrettò a leggerne il testo.
"Aya, Fuka! Scusate se non vi ho scritto immediatamente, ma sono stata
bloccata da alcuni fan. Sono in macchina con Rei, direzione casa. Ho
bisogno di rinfrescarmi. Ci vediamo nel pomeriggio?"
Fuka sorrise con malizia.
"Oh, vedrai se ci vedremo e quello che abbiamo in serbo per te, Sana!"
Rei scese di marcia, e sentii la macchina scendere di velocità
fino a fermarsi completamente, e anche se un po' assonnata aprii
immediatamente gli occhi per verificare se ci trovassimo esattamente
nell'unico posto in cui in quel momento sarei voluta andare. E fu
così. I miei occhi videro dopo ben sei anni il cancello di casa
mia. Il cancello della casa dove ero cresciuta, e che sapevo bene, dava
su un vialetto in pietra, con un meraviglioso prato, sempre curato con
fiori e piante di cui mia madre stessa si occupava. Eccolo lì il
cancello che aveva visto partire la Sana quindicenne, e tornare una
donna ventunenne, certo, la mia personale versione di "donna", ma pur
sempre una donna.
Presi le chiavi di casa, felice di aprire di nuovo quella serratura, e
subito davanti a me vidi mia madre correre verso l'entrata per
regalarmi un abbraccio unico, di queli che solo una madre può
donarti e che mi era mancato ogni minuto di ogni giorno trascorso
lontano.
"Mamma, credo di non riuscire a respirare..."
"Hai ancora la cassa toracica fragile, cara? Mi sei mancata" rispose, con il suo solito modo strambo, ma materno.
Le alzai un sopracciglio.
"Fragile la mia cassa toracica? Guarda come è resistente" le
feci notare, stringendo le nocche e battendo due colpi sul petto.
Lei alzò gli occhi al cielo, sorridendo.
"Ciao, Sana. Sono così contenta di vederti!" esclamò una
voce più bassa, meno squillante rispetto il timbro vocale di mia
madre.
"Signora Shimura! Oh, che bello potervi rivedere tutti nuovamente.
Soprattutto lei, signora Shimura...saranno almeno cinque le volte in
cui sono finita in ospedale per una lavanda gastrica dopo aver tentato
di cucinare i suoi piatti!" le pronunciai, abbracciandola e provocando
i sorrisi di mia madre e Rei.
"Su, andiamo. La signora Shimura sarà felice di poter prepararti
di nuovo quel tè al ginseng che tanto adori" sospirò,
mama.
Annuii, seguendola verso il divano.
Era tutto così uguale, niente sembrava essere cambiato. La
disposizione dei mobili, l'odore di rosa e zenzero che poteva
avvertirsi appena entrati in casa, persino i cappelli eccentrici di
mama erano i medesimi.
Non potei che essere contenta, adoravo la mia strana famiglia, e per niente avrei voluto che cambiasse di un solo punto.
Mentre la signora Shimura entrava in salotto con un vassoio decorato,
biscotti e thè, sentii il mio cellulare produrre un suono. Un
messaggio.
Aya.
"Certo, Sana. Io e Fuka siamo impazienti di vederti. Al parco hanno
appena aperto un nuovo bar "Sand and breeze", ti va se ci incontriamo
in questo posto?"
Sorridendo, risposi positivamente, mentre lasciavo che lo schermo si scurisse.
Passai qualche ora a raccontare tutto ciò che avevo fatto negli
Stati Uniti. Dai film, al teatro, ai primi tappeti rossi, alle
collaborazioni con Kamura, di cui mia madre chiese notizie.
Fra me e Kamura durante i sei anni che avevo vissuto si instaurò
una fantastica amicizia, seppure sapessi che lui continuasse a sperare
di riuscire a trasformarla in qualcosa di differente. Io fui sempre
chiara con lui, che capì immediatamente accettando di starmi
comunque vicino, seppure in modo fraterno. Gli volevo bene davvero.
"Scusa mama, adesso vorrei proprio farmi una doccia, dopo devo vedermi con Aya e Fuka."
"Va' pure, cara. Rei porterà le tue valigie in camera in modo da sistemarle" disse lei, con tono elegante.
Rei la guardò con le labbra schiuse, e gli occhi che, riuscivo quasi a vedere dagli occhiali, sorpresi e sconvolti.
"Ma...ma signora, saranno almeno cinque valigie. Ha idea di quante cose
Sana abbia messo all'interno?" domandò, nel tentativo di trovare
una mano di sostegno.
"Beh? Sono sicura che Asako non ti avrebbe sposato se sapesse che razza
di femminuccia tu sia! Su, sfodera quei muscoli" quasi urlò,
alzandosi in piedi, con le mani all'altezza della testa chiuse in un
pugno, e una luce strana negli occhi.
Risi, mentre Rei andò verso la macchina con andatura lenta e di rassegnazione.
Salendo al piano di sopra non potei fare a meno di venir investita da
ricordi. Ricordi di ogni tipo, positivi o negativi, che divennero
più intensi quando oltrepassai la porta della mia stanza.
Sembrava fosse tutto esattamente come sei anni prima, sembrava nessuno
fosse entrato in quella stanza da quel giorno. Forse era la
realtà.
Aprii le finestre, e subito la luce rese la stanza più chiara, più reale.
Alle pareti e sopra la scrivania cornici con foto dei miei amici, foto
di splendidi momenti trascorsi nella mia città natale.
Riconobbi anche un'immagine che mi fu regalata da Zenjiro al momento
in cui lo show "Il giocattolo dei bambini" sembrò volesse
spegnere i riflettori. Sorrisi al pensiero di quell'uomo che riusciva a
tollerare la mia indisponenza, e ciò che mi aveva detto Rei in
macchina. Chissà se ci sarebbe stato anche quello strampalato.
I miei occhi andarono però su una cornice, una cornice bianca,
sistemata vicino il portatile, che ritraeva me insieme a tutti i miei
amici. Passai l'unghia su ognuno dei volti che quella foto mi aveva
permesso di rivedere. Aya, Hisae, Tsuyoshi, Fuka, Gomi.
Indugiai con quel mio leggero sfiorare quando i miei occhi passarono
alla Sana undicenne, con quelle terribili codine, e la mia gonna
preferita, seduta accanto un viso familiare e dei capelli color
dell'oro. Il mio braccio intorno ad Akito Hayama, mentre lo stringevo a
me per costringerlo a farsi ritrarre dall'obiettivo. Il mio solito
sorriso infantile, ma allegro, e i suoi occhi fermi in un punto in
alto, l'espressione lievemente contrariata e le labbra chiuse, come se
volesse fischiettare.
Mi ricordai di averlo colpito lievemente dopo per la sua scelta
d'espressione, intestardita dal fatto che volessi vederlo sorridere.
"Io non sorrido spesso, Kurata" era stata la sua risposta, indifferente come al solito.
Eppure i miei occhi non si erano spenti, al contrario, cominciarono a
diventare più sottili, e lui capì che probabilmente stavo
per mettere in atto un piano.
"Ah sì? Hayama, ne sei sicuro?" chiesi, con fare sospettoso.
Lui mi guardò, senza dire nulla, un espressione tra
l'interrogativo, e la certezza di doversi aspettare qualcosa di folle
da parte mia.
"Beh, allora..." dissi, mentre gli diedi le spalle.
Indossai in qualche secondo il naso finto che ricordai fosse l'unica
mia imitazione che lo divertisse davvero, mentre cominciai ad urlare
"Mi chiamo Tony! E vengo dal Far West, di mestiere faccio il cowboy,
adoro i cavalli e il mio piatto preferito è la zuppa di
fagioli!".
Lo vidi piegarsi per le risate, sotto il mio sguardo che brillava per il trionfo, e lo shock di tutti i nostri amici.
Sorrisi a quel meraviglioso ricordo. Gli anni successivi furono
complicati dai nostri sentimenti, e dalla nostra mancanza di
capacità di confessarli. Era uno scappare e un inseguirsi
perpetuo, come se fossimo stati consapevoli di non poter stare vicini,
e neppure lontani.
Ma crescendo tutto sembrò essere più complesso, ricordai
Fuka, il mio lavoro, anche Naozumi, tutti ostacoli che ci mettevamo
davanti pur di non esporre le nostre debolezze. Continuavamo ad esserci
l'uno per l'altra, ma non riuscivamo a dirci ciò che eravamo, o
che volevamo essere. Tutto ciò fino ai quindici anni, quando sia
io che lui capimmo di essere diversi, troppo amici per
poter stare insieme. Fu questa la spiegazione che utilizzammo per
cercare di non mettere a rischio la nostra relazione. L'America fu solo
la ciliegina, la prova che il destino non ci volesse insieme, ma che
volesse allontanarci, che si divertisse a prendersi gioco di noi.
Un bacio rubato all'aeroporto fu l'ultimo ricordo che lui decise di regalarmi, e farmi portare con me negli Stati Uniti.
Il ricordo di Akito sembrò seguirmi ovunque andassi per i due
anni che seguirono da quell'ultimo contatto, consapevole di provare dei
sentimenti per lui così nuovi e antichi allo stesso tempo. Mi
mancava averlo accanto a me, e questo fu impossibile da negare. Sapere
cosa gli passasse per la mente, leggere dietro quegli occhi color
ambra, la nostra capacità di darci una mano e sostenerci l'un
l'altro. Non era soltanto per via di ciò che provavamo, persino
non poter essere più così amici mi provocava sofferenza.
Eppure feci ciò in cui da sempre ero stata bravissima,
ciò che lui non perdeva occasione di rimproverarmi, senza che io
potessi cercare di oppormi perchè sapevo avesse ragione.
Scappai, e mi buttai sul campo del lavoro.
E così, il tempo, quel tempo che prima sembrava essere avverso
si rivelò mio amico, mio alleato attenuando quel dolore
provocato dalla sua assenza. Attraverso la mia carriera avevo
conosciuto molte persone, molti ragazzi, eppure nessuno ebbe mai il
potere di sostituirlo, e subentrò la ressegnazione, la
rassegnazione di non poter più scorgere dei capelli dorati
accanto a me. Qualche piccolo flirt, qualche piccola storia fu quel che
riuscì a concedermi, anche se sapevo nessuno si sarebbe mai
fatto posto nel mio cuore così come era riuscito Akito.
Ma adesso ero cresciuta, adesso ero una donna, lui un uomo. La
situazione era cambiata, noi eravamo cambiati. So che ne
conserverò sempre il ricordo, ma da tempo avevo preso la
decisione di andare avanti.
Scelsi di regalarmi un bella doccia d'acqua calda, mentre mi preparavo per rivedere le mie due amiche Aya e Fuka.
Canticchiando un ritornello mi vestii, e indossai una camicetta chiara,
in viscosa, ecrù, con delle applicazioni sulla manica, e una
gonna a ruota blu. Completai l'abbigliamento con delle scarpe
decollète, lasciando i capelli sciolti sulla schiena.
"Ciao mama, ci vediamo a cena!" dissi, urlando, per permetterle di ascoltare le mie parole.
"A dopo, tesoro. Fa' attenzione" fu la sua risposta.
Ricalpestare quella strade, quelle vie, era una sensazione che mi
provocaca emozioni ad ogni passo, ogni passo che mi conduceva verso il
parco. Mi resi conto d'aver sentito la nostalgia di casas mia ogni
attimo trascorso in California.
Fortunatamente per me, il cielo chiaro, senza nuvole, ebbe la
capacità di rassicurarmi, di rendermi più tranquilla,
avevo sempre adorato il calore e la vitalità che il sole
riusciva a infondere nelle persone.
Quando arrivai all'ingresso cominciai a girarmi intorno, in cerca di
visi familiari, gli occhiali da sole come protezione allo scopo di non
essere vista dai fan.
"Sana! Eccola lì, Aya!" urlò una voce alle mie spalle che riconobbi come Fuka.
Subito andai verso la loro direzione.
"Oh, amica mia. Ancora non riesco a credere che tu sia davvero
tornata!" sussurrò Aya, mentre ci stringevamo in abbraccio.
"Nemmeno io, Aya! Sono così, così...ah, mi siete mancate da morire!" dissi, con le lacrime agli occhi.
Sia Aya che Fuka risposero dicendomi quanto io fossi mancata a loro e
atutti i nostri amici, mentre mi resi conto quanto dall'esterno questa
scenetta apparisse quasi stucchevole. Decisi di non curarmene.
"Beh? Dove si trova questo nuovo posto di cui mi avete parlato?"
domandai, sciogliendo il nostro abbraccio, con ancora gli occhi bagnati.
Loro risero, mentre mi mimarono di seguirle.
Il verde del prato del parco ebbe la capacità di potenziare
l'effetto di cui prima avevo goduto osservando il cielo sereno, il
periodo primaverile non fece altro che dare la giusta cornice a quello
spettacolo mozzafiato.
Il locale era effettivamente una nuova costruzione, in stile
occidentale, con l'arredamento sui toni del beige e del marrone, mi
sembrò davvero carino.
Ordinammo tre caffè, e trascorremmo il pomeriggio discutendo di
qualsiasi argomento. Dalla mia carriera, ai film che avevo girato, agli
attori che avevo conosciuto, alle loro vite e come erano cambiate dalla
mia partenza.
Fuka stava studiando giurisprudenza, e mi sembrò che avesse
scelto la professione davvero perfetta per la sua personalità.
Era una ragazza sveglia, con un porfondo senso della giustizia, e di
certo possedeva anche una bella e spigliata loquacità. Sarebbe
stata un bravissimo avvocato.
Aya, invece, aveva studiato per diventare mestra di scuola media, e
insegnava proprio nella scuola che avevamo frequentato quando eravamo
delle piccole adolescenti.
"Beh, Aya...non riesco a immaginare un lavoro più adatto per te!
Insomma...non ho mai conosciuto una persona con senso materno
già a 11 anni?" dissi, ridendo.
Lei rise con me.
"Allora è tutto pronto per quel giorno?" domandai maliziosamente, conferendole delle piccole gomitate al braccio.
Lei abbassò poco il capo, cercando di mascherare le guance rosse.
Io e Fuka ci guardammo, con un sorriso d'intesa.
"Beh, sì...Abbiamo già spedito le partecipazioni, e fatto
la prenotazione alla chiesa" bisbigliò, portandosi un gruppo di
capelli biondo cenere dietro l'orecchio.
Sia io che Fuka rispondemmo con un "uuh" insinuante, con gli occhi che brillavano, al solo scopo di farla arrossire.
"Siete due sciocche...Sana non sei cambiata di una virgola!"
asserì Aya, mentre io annuivo, consapevole che fosse davvero
così.
E la realtà era che ne ero felice. Ero felice di non aver mutato
personalità durante gli anni della crescita, sebbene in America
fossi sempre un po' meno allegra.
"E...ci sarebbe un'ultima cosa. Io, ecco...io..." annaspò Aya.
Poggiai il mio viso sul dorso delle mie mani, mentre la incalzavo a
continuare con la mia conoscita delicatezza. "Tu cosa, Aya? Non vorrei
dover cominciare ad avere i capelli bianchi"
Lei alzò gli occhi al cielo, mentre cominciò a parlare.
"Io vorrei che voi foste le mie testimoni! Certo, sempre che voi ne
abbiate vogl..."
"Davvero?" urlai, interrompendo la mia amica.
"Certo che ci va, Aya! Oh...sarà il matrimonio più bello
del Giappone!" continuai, con le dita strette, saltando da un momento
all'altro in piedi, e poggiandone uno sulla sedia.
Ridemmo tutte e tre insieme, e sembrò come se non fossi mai partita.
Il cielo cominciò a divenire più blu, e la sera
cominciò a calare, così dissi alle mie amiche che era
giunto il momento di tornare a casa. Feci per prendere la borsa, ma si
scambiarono un veloce sguardo e tentarono di convincermi a restare per
qualche minuto.
Io accettai, anche se non ne capii la ragione, ci saremmo viste anche il giorno successivo.
"Aya, Fuka...che avete in mente? Sembra che mi stiate celando qualcosa..." informai, un po' sospettosa.
"Cosa? Oh, no...non c'è nulla, Sana!"
Io sollevai le sopracciglia.
Vidi i loro sguardi posarsi non più sui i miei occhi ma su
qualcosa alle mie spalle. Mentre il mio sguardo si fece interrogativo.
"Sana? Girati" dissero le due mie amcihe allo stesso tempo.
Quello che si presentò dietro di me fu totalmente imprevedibile per me.
Tutti i miei amici erano lì, con dei sorrisi che abbero il
potere di far arrivare veloce la commozione, e sentire una morsa al
petto.
C'erano proprio tutti. Tsuyoshi, Hisae, Gomi, Mami, tutta la classe con cui avevo condiviso le elementari.
Mi girai verso quelle due folli di Aya e Fuka, mimando un "siete
incredibili!", apprestandomi poi ad abbracciare i vecchi amici che
avevano reso qui la mia vita felice.
Mi meravigliai di come fosse fisicamente cambiato Tsuyoshi. Mantenne la
montatura che portava sin da bambino, era come se fosse il suo tratto
unico, ma la mascella divenne più delineata, le spalle
più mascoline, la barbetta che non immaginavo potesse crescere
sul quel visetto innocente che avevo portato con me nei miei pensieri.
Adesso era un uomo.
Lo abbracciai con una forza tale da soffocarlo, e lui ricambiò,
con gli occhi anch'egli commossi. Nonostante quel corpo cambiato aveva
mantenuto la sua fantastica sensibilità e non potei che essere
allegra per ciò.
"Mi stavo cominciando a chiedere se saresti più tornata, Sana!"
pronunciò, la voce che rimarcava quanto il tempo fosse trascorso.
"Avrei potuto mancare ad un evento così bello per i due miei amici?" dissi, retorica.
Lui sorrise.
"E sai, Aya mi ha chiesto di farle da testimone!" urlai, sempre sprovvista dell'abilità di mantenere un segreto.
Salutai tutti, scambiando qualche parola, qualche frase. Fu quando
terminai di abbracciare Gomi, che mi resi conto anche di un altra
persona, rimasta poco in disparte, con le braccia incorociate, e un
piede poggiato sul muro.
Anche lui, come tutti gli altri mostrò d'essere cresciuto nei
tratti. Era più alto, forse più alto di tutti i nostri
amici, le labbra sempre carnose, mentre dalla maglia blu che indossava
si riuscivano a notare dei muscoli ottenuti con evidente costanza ed
esercizio. Solo due aspetti notai rimasero immutati, il color miele dei
suoci capelli, portati con lo stesso taglio di sei anni prima, e gli
occhi. Quegli occhi ambrati, talmente intensi da perdersi.
Nonostante parlassi con Gomi, non potei non lanciargli qualche sguardo,
mentre pensavo come fosse meglio che ci salutassimo. Avrei dovuto
abbracciarlo? O sarebbe stato meglio salutarlo con un gesto? E cosa
più importante, perchè mi creavo tutte queste domande su
come fosse più consono che lo salutassi? Io sono Sana Kurata, mi
comporto sempre come l'istinto mi comunica di comportarmi! Lui durante
la breve conversazione con Gomi non tolse mai gli occhi dai miei.
Quando anche Gomi andò a parlare con Hisae, vidi tutti intenti a
parlare con qualcuno. Chi del matrimonio tra Aya e Tsuyoshi, chi di
semplici e banali argomenti di circostanza.
Io mi avvicinai a lui e sembrò irrigidirsi, nonostante parve che si fosse preparato nei minuti precedenti.
Sciolse le mani intrecciate sul petto, e spostò la gamba poggiata sul muretto, portandola accanto all'altra.
"Hayama" fu ciò che riuscii a pronunciare.
"Kurata..." scelse di rispondermi, e se avessi puntato dei soldi su
quali sarebbero state le prime parole che mi avrebbe dedicato avrei
certamente trionfato.
Gli sorrisi poco, mentre fui travolta da un velo di imbarazzo che non era mai stato presente tra me e lui.
Non capivo davvero perchè dovesse esserci adesso. Eppure sapevo
che, seguendo l'Akito Hayama che ricordavo, e che sembrò essere
rimasto il medesimo, quel pronunciare il mio nome sarebbe stato l'unica
parola che mi avrebbe dedicato in quell'occasione. L'avevo conosciuto a
quel che bastava per prevedere i suoi comportamenti.
Ma forse lui non riuscì a prevedere ciò che invece fu il mio gesto.
Lo abbracciai, così come avevo abbracciato tutti i miei amici, e
lui lo era...non avrei stabilito un'eccezione. Mi resi conto di averlo
stretto con un po' più con forza rispetto gli altri, ma non me
ne curai. Seppure non potessi vedere il suo viso, riuscì a
sentire quel lieve "Oh" che fuggì alle sue labbra, e
passò qualche secondo prima che le sue mani si portassero alle
mie spalle. Proprio in quel momento scelsi di sciogliere l'intreccio,
eliminando le lacrime che avevano preso la fuga dai miei occhi,
inidonea a trattenerle. Fu un abbraccio breve, eppure riuscì a
sembrarmi come assordante.
"Hey, Sana!" urlò Fuka, per avere la mia attenzione.
"Sì?" Mi girai verso lei, offrendo le spalle ad Hayama.
"Comunque, sappi che questo è l'antipasto...ci siamo già
accordate con tua madre, abbiamo organizzato una festa di bentornato a
casa tua per domani!" pronunciò, entusiasta.
"Dici sul serio? Fuka, Aya, non avresto dovuto darvi tutto questo disturbo..."
"Sta' zitta, Sana! Vedrai che ti divertirai!".
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Capitolo 2 *** Welcome back, Sana! (II part) ***
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"Akito! Akito! Ma dove ti sei cacciato?"
Alzai gli occhi al cielo. Odiavo essere disturbato quando leggevo, e
quella vocetta stridula non potè che aggravare il mio disappunto.
L'ospite indesiderata continuò a urlare il mio nome, come se non
gli importasse se avessi da fare o meno. Il mio sguardo fermo sulla porta,
consapevole che prima o poi si sarebbe aperta, e tanti saluti al relax
a cui mi stavo dedicando.
"Akito! Ti ho trovato! E' da cinque minuti che tento di trovarti.
Potresti anche rispondere, che razza di fratello strambo che ho"
"Nat, stavo leggendo, come puoi vedere. Dì quello che hai da dirmi e poi lasciami in pace"
Lei ripetè il gesto fatto da me poco prima, quando sapevo
che sarei stato distolto dalla mia solitudine. Tuttavia non desistette
dal raccontare qualsiasi diavoleria le circolasse per il cervello, dato
che conoscesse bene il mio carattere non proprio socievole.
"Ti è arrivata la notizia? L'ho appena saputo da Aya, in
realtà non voleva lo dicessi a nessuno, e per questo devi
promettermi di mantenere il segreto" disse, su di giri.
La osservai, con la mia solita indifferenza.
"Se si tratta di un segreto forse non dovresti divulgarlo così" cercai di tagliare.
Mia sorella si portò le braccia al petto, e si avvicinò
verso di me, prendendo posto sul mio letto, mentre io, di malavoglia,
mi spostai per permetterle di farlo.
"Quasi sicuramente Aya l'avrà detto a quel tuo amico occhialuto di Tsuyoshi, quindi lo sapresti comunque..."
"Nat, per amor del cielo, vuoi deciderti a parlare? Stavo leggendo e
sai bene quanto voglia stare in pace quando lo faccio" riposi, forse un
po' bisbetico, ma sincero.
"Beh...indovina un po' chi tra qualche giorno tornerà qui
in Giappone direttamente dagli Stati Uniti!" quasi gridò,
entusiasta.
E non ci volle molto prima che realizzassi l'unica persona possibile di
cui potesse parlare Nat. Il mio sguardo si spostò dai suoi occhi
a un punto qualsiasi della stanza, evidentemente sorpreso e sconvolto.
Sentii una morsa allo stomaco, ma la soffocai immediatamente, avrei
dovuto continuare a parlare prima che lei potesse dire il suo nome.
Avevo capito di chi stesse parlando, ma non avevo alcuna voglia di
udire dopo anni quel nome che con sforzo e dolore avevo cacciato dalla
mia testa e dal mio cuore.
"Mmh, ho capito di chi stai parlando. Sono contento per lei" mi rivolsi
a mia sorella, tornando a leggere, o fingere di farlo, ostentando
quella solita tranquillità, quella solita noncuranza di cui mi
vestivo.
Lei si alzò.
"E' tutto quello che hai da dire, Akito? Mi sembrava foste molto amici
qualche anno fa" esclamò, arrabbiata e amareggiata dalla mia
reazione.
"Nat, non prenderò a saltellare e urlare per tutta la stanza con
te, se è questo ciò a cui stavi pensando. Lascio queste
cose a voi del genere femminile. Va' da Aya, se ne senti il bisogno"
"Ah, sei veramente irrecuperabile, Akito! Ci vediamo." Con queste
parole si voltò e lasciò la mia stanza, facendo
ondeggiare più del normale i suoi capelli ormai lunghi fino a
metà schiena. Voleva farmi notare quanto fosse arrabbiata dalla
durezza delle mie frasi, ma sapevo che avrebbe dimenticato tutto entro
qualche minuto.
Sorrisi appena, divertito da quella sua recita, mentre sbatteva la
porta, riportandomi a quella solitudine iniziale a cui tanto auspicavo
da quando fu rotta da mia sorella. Una solitudine diversa però.
Una nuova sfumatura. Adesso i pensieri e le preoccupazioni sostituirono
la tranquillità e la pace di poco prima, e non potei fare a meno
di odiarmi. Odiarmi perchè quella ragazzina fastidiosa avesse
ancora la capacità di sconvolgere e destabilizzare il mio stato
d'animo.
I miei pensieri, che stavano già salpando, furono interrotti da qualche piccolo colpo alla mia porta.
"Chi è?" domandai, con evidente fastidio.
Aprì piano la porta, mentre i capelli e il viso di mia sorella sbucarono, facendo capolino.
"Ho preparato il sushi stamattina, so che ne vai matto, per cui te ne
ho lasciato un po' sul tavolo in cucina. Io vado...ciao Akito" disse,
mandandomi un bacio.
Sapevo l'arrabbiatura le fosse già passata, conoscevo abbastanza
mia sorella per poter immaginare quasi con precisione chirurgica i suoi gesti e i
suoi pensieri.
La ringraziai, e guardai la porta chiudersi, stavolta in modo permanente.
Chiusi il libro, mi sembrò ridicolo anche solo pensare di poter
tornare a dedicarmi alla lettura, seppure del maestro di karate
Funakoshi, quando nella mia testa avevo solo un viso che era tornato a
tormentarmi.
Un volto. Un volto che era stato con me durante tutti i primi anni
dell'adolescenza. L'unica persona che aveva il potere di scombussolarmi
così. Mi concentrai sull'ultima immagine che il mio cervello
aveva registrato di lei. Un viso così armonioso, con occhi color
cioccolato sempre luminosi e amichevoli, resi ancor più
splendenti dalle lacrime che in quella giornata di sole bagnavano il suo viso. I dettagli ancora
acerbi, ma meravigliosi. Sorrisi amaramente quando ricordai che il
contesto fu proprio l'aeroporto. Tipico.
"Ragazzina egoista" bisbigliai a me stesso.
Dimenticare quella voce, quel carattere tanto odioso quanto adorabile
fu probabilmente la cosa più difficile che feci durante la mia
vita, ma ci ero riuscito, avevo messo da parte Sana, per pensare un po'
anche a me, esattamente come lei pensasse a quel suo dannato lavoro e
solo a se stessa. Grazie anche a Tsuyoshi, sarebbe da codardi negarlo, e
alla sua pazienza, al karate, la rabbia che provai inizialmente
fu sostituita dalla rassegnazione, la rassegnazione fu sostituita
dall'accettazione, Kurata apparteneva al mio passato. Un passato che
avrei sempre portato in un piccolo spigolo del mio cuore,
inevitabilmente, ma pur sempre passato e non poteva nè avrebbe dovuto fare parte del mio futuro.
I miei occhi andarono verso l'ultimo cassetto del mio comodino, dove
sapevo avrei trovato un'oggetto che per tutti quegli anni avevo scelto
di non guardare più.
Andai lentamente verso quel cassetto di legno chiaro, abbassandomi
sulle ginocchia. Eccolo lì, quel piccolo dinosauro che quella
testa rossa inarrestabile aveva pensato di donarmi quando avevamo appena 12 anni.
Come sarebbe stato rivederla? Avrei provato indifferenza? Avrei provato
insofferenza?
Durante quegli anni il mio carattere era andato
migliorandosi, grazie anche alla maturazione, nonostante fossi
fermamente dell'idea che io un bambino vero e proprio non lo ero mai
divenuto. Ma Kurata mi aveva aiutato in questo, e le sarei stato sempre
riconoscente. In fondo la mia vita di adesso era anche merito suo.
Avevo Tsuyoshi, mia sorella, mio padre, tutti miei compagni di classe
delle elementari con cui non avevamo mai sciolto i legami. E anche
Kurata era una mia amica, la mia prima vera amica. Ricordai come
risultasse naturale aiutarci a vicenda, essere presente quando l'altro
stava male, quando ne avevamo bisogno. Le cose divennero complicate
solo quando non riuscimmo a evitare che il nostro legame diventasse
qualcos'altro, permettendo che i sentimenti, prima miei che suoi, ad
essere sinceri, mettessero a dura prova il nostro rapporto.
Ma adesso ne ero sicuro, quei sentimenti avevano cessato di esistere,
saremmo potuti tornare ad essere amici come un tempo. Forse.
Mangiai il sushi di fretta, mentre mi preparai per andare nella mia
palestra, per tenere la lezione con quei marmocchi desiderosi di
apprendere l'antica nobile arte del karate.
Al termine della lezione,
salutai tutti i bambini, mentre mi accorsi di un paio di occhiali da vista intenti a fissarmi fuori la
porta.
Tsuyoshi.
Se quella mezza cartuccia comincia a parlarmi di Kurata gli assesto un
bel destro, promisi a me stesso, anche se ero perfettamente consapevole
che l'avrebbe fatto, e perfettamente consapevole che non avrei mai
avuto la forza di fargli del male.
"Akito, ciao!"
"Ciao, Tsu"
Qualche secondo di silenzio dopo il mio saluto, mentre osservai lui sfregarsi nervosamente le mani.
Mi fece sorridere vederlo così impacciato, consapevole del
motivo per cui lo fosse. Così decisi di giocare un po' su questo.
"Beh? Sei venuto per osservare il parquet? Ha delle belle sfumature, effettivamente..."
Sorrise istericamente.
"N-no..in realta sono venuto per dirti una cosa..."
Poggiai le mie spalle alla parete, intrecciando le mie mani, cercando di non ridere.
"Ti ascolto" gli risposi, cercando di incoraggiarlo.
I suoi pugni si strinsero.
"Ma ti avverto Tsuyoshi, non ho tempo da perdere. Quindi, prima che ti
lasci qui a parlare con chi pulisce la palestra, dimmi quello per cui
sei venuto"
"S-si...ecco...Oggi ho parlato con Aya"
Sollevai le sopracciglia.
"Hai parlato con la tua ragazza. Bene. Lo appunterò nel mio diario segreto"
Continuò a fingere di ridere.
"Ehm, ecco, Akito, ti andrebbe di prendere un caffè?"
Lo guardai con indifferenza, mentre nascondevo una risata per via del
suo atteggiamento. Gli feci cenno con la testa di dirigerci verso il
bar più vicino, accontentandolo. Lui mi seguii per il tragitto
senza dire nemmeno una parola. Non che ne fossi infastidito.
Quando arrivammo in quel piccolo locale prendemmo subito posto,
ordinando due espressi. Quando anche la cameriera andò a
comunicare ciò che avevamo richiesto, gli feci cenno di
cominciare a prendere parola, spazientito.
"Come stavo per dirti...ho parlato con Aya, e...in realtà mi ha
chiesto di non rivelare questo segreto, anche se lei e Fuka sono
talmente contente da non riuscire a mantenerlo nascosto quasi con
nessuno..."
Continuai a guardarlo, ostentando sempre il solito disinteresse a cui
si era abituato, afferrando la tazzina in vetro che intanto era giunta
al mio tavolo.
"Sai che io e Aya, beh, ecco, ci sposiamo, no?"
"Mi hai chiesto anche di farti da testimone, Tsuyoshi. Mi sembra chiaro."
"Beh, prova a immaginare chi vorrebbe Aya come sua, di testimone"
Presi un'altro sorso dalla tazzina.
"Bene, ho capito" dissi semplicemente, voltandomi per andare a pagare
il conto e tornare alla palestra per allenarmi date le vicine
competizioni al livello agonistico che mi aspettavano.
Come fu prevedibile mi corse dietro.
"Cosa? Hai capito? E' tutto quello che vorresti dirmi?" domandò, con una nota di disappunto.
"Sì. Cosa ti aspettavi che facessi? Dei salti perchè Kurata torna dagli Stati Uniti?"
"No, ma...pensavo avresti avuto una qualche reazione"
"Tsuyoshi, tu, più di qualsiasi altra persona, sai quanto mi sia
impegnato per dimenticarla, e quando ti ho confidato d'esserci riuscito
non mentivo affatto. Continuo a volerle bene, o forse voglio bene
il suo ricordo, non ne sono sicuro. Rivederla sarà come vedere
una vecchia amica, tutto qui" gli spiegai, tranquillamente.
Magari si era anche fidanzata con quel damerino di Kamura, chi poteva
saperlo. Questo mio ultimo pensiero non lo riferii a Tsuyoshi.
Il suo viso sembrò acquietarsi.
"Sì, beh...hai ragione. Ormai siamo adulti, e le cose sono
cambiate. Mi sono preoccupato solo perchè conoscevo la
profondità del rapporto che vi legava, nonostante la giovane
età. Tutto qui"
"Non c'è motivo di preoccuparsi" risposi, incamminandomi nuovamente.
Tsu rimase per qualche secondo fermo a fissare la mia figura che si
allontanava, per poi voltarsi e riprendere anche lui il passo. Fu
proprio in quel momento che mi voltai per richiamare la sua attenzione.
"Tsuyoshi" urlai.
Lui si fermò, girandosi velocemente.
"Comunque, lo sapevo già" dissi, sorridendo, e beandomi dei suoi
occhiali che cominciavano a diventare sempre più specchiati, e i
suoi occhi più accesi.
Durante la passeggiata di ritorno solo un "Cosa?!" urlato talmente
forte da sorprendermi del fatto che la gola non gli si fosse
squarciata, e la mia risata, abilmente velata, ma impossibile da
uccidere.
I giorni successivi trascorsero molto velocemente, decisamente
più velocemente del previsto. Cercai di tenermi occupato quasi
ogni minuto per tentare di scacciare quel pensiero fisso che avevo
preso prepotentemente posto nella mia mente. A volte avrei persino
voluto avere quel martelletto che Kurata amava portare sempre con
sè, per picchiare da solo la mia testa che sembrava non seguire
più le mie direttive. Chissà se lo possiede ancora...
Pensavo a come sarebbe stato davvero rivedere quel viso, e riscoprirlo
più cresciuto, maturato. Quanto sarebbe cambiata in questi anni?
E il carattere? Era rimasto lo stesso? Era ancora la Sana Kurata sempre
allegra e incapace di stare ferma? Avrebbe parlato con un fastidioso
accento occidentale? Mi ritrovai persino a domandarmi se ogni tanto
facesse ancora quelle ridicole codine.
Il rumore di una telefonata proveniente dal mio cellulare imterruppe il
mio "flusso di coscienza", gliene fui, in parte, grato. Guardai chi
fosse a telefonarmi, mi sorpresi di leggere il nome di Fuka.
"Pronto, Fuka"
"Akito! Ciao!"
"Che succede? Va tutto bene?" domandai.
"Oh, sì. Ti chiamo semplicemente per un appuntamento a cui
dovrai tenere fede per domani pomeriggio. Non accetto risposte
negative." disse, con entusiasmo, il tipico entusiasmo di Fuka.
"Un appuntamento?" chiesi, con sospetto.
"Sì, non farti idee strane. Come saprai domani torna Sana, e
volevamo farle una sorta di rimpatriata a sorpresa...verrai, non
è così?"
Meditai qualche secondo, e Fuka se ne accorse. Stava cominciando a
parlare con tono di rassicurazione e di persuasione, quando la
interruppi prima di sentire qualcuna delle sue insopportabili frasi.
"Ok. Dimmi solo dove e a che ora."
Il pensiero che tutte quelle domande avrebbero avuto termine solo il
giorno successivo mi fecero sentire un po' di nervosismo. Un nervosismo
che non avvertivo da tempo, d'altronde non ero un tipo da stupide
paranoie, non lo ero mai stato. Ma quando si parlava di Kurata, per
quanto mi impegnassi, per quanto fossi certo di aver chiuso quel
cassetto, nulla mi sembrava razionale, nulla si sembrava acquistare
senso. Lei era stata una delle persone più importanti della mia
vita, sebbene non l'avrei ammesso nemmeno se torturato
dall'inquisizione spagnola, ed era assolutamente normale che i miei
occhi diventassero vuoti per qualche secondo quando sentivo pronunciare
quel nome. Quando la vedevo in una di quelle stupide pubblicità
in televisione. Quando trasmettevano uno dei suoi film.
Sebbene odiassi registrare ancora queste piccole reazioni, non riuscivo a evitarlo.
Decisi di bloccare i miei piensieri su Kurata, almeno per quella sera.
Decisi di non pensare a come sarebbe stato il nostro rapporto adesso,
dopo questo tempo di lontananza. Non me ne sarei curato.
La mattina successiva feci colazione con Nat e la piccola Koharu, in un
suggestivo locale che dava su un laghetto artificiale. L'atmosfera era
primaverile e, sebbene preferissi l'inverno, davvero piacevole. Fare
colazione, tuttavia, non si rivelò per niente una cosa semplice,
dato che Koharu, la mia deliziosa nipotina di appena quattro anni, non
volle scendere dalle mie gambe nemmeno per un istante. Quei piccoli e
biondi boccoli al profumo di camomilla, e quel visetto, tanto simile a
mia madre ebbero la capacità di infondermi un po' di calma
nonostante l'evento che quel pomeriggio mi avrebbe aspettato.
"Koharu, scendi dalle gambe dello zio, e lascialo fare colazione" ordinò, con tono materno, Nat.
"No, mamma. Voglio stare qui con lo zio Akito"
"Lasciala, Nat." dissi, con semplicità. Non mi
piaceva ammetterlo a voce alta, ma adoravo avere intorno quella
graziosa bambina a cui volevo un bene incondizionato.
"Joshua dov'è?" chiesi, cambiando discorso.
"Tornerà nel pomeriggio a casa, è stato due giorni fuori
per lavoro, e sia io che Koharu ne abbiamo sentito terribilmente la
mancanza" rispose, con gli occhi che mi sembrarono assumere la forma di
un cuore. Decisamente stucchevole, ma adoravo vederla così
felice.
Alzai gli occhi al cielo, mentre Nat mi diede un piccolo pizzico sul braccio.
"Come stai tu?" domandò all'improvviso, facendomi smettere di giocare con Koharu.
"Bene, sto bene" risposi, secco, riprendendo a stuzzicare quella piccola e vispa bimba. Nat mi guardò di sottecchi.
"Sei sicuro, Akito?" chiese, come se non avesse creduto nemmeno per un istante alle parole di poco prima.
Poggiai le mie spalle sulla sedia. "Nat, cosa vorresti che ti dicessi, con precisione?" sussurrai, con tono seccato.
"La verità, fratellino."
"Non lo so. Non so come sto. Sento un po'...un po' la testa per aria, ma passerà"
In risposta alla mia frase Nat mi strinse le mani, con occhi comprensivi, come se fosse a
conoscenza che ci fosse dell'altro, ma che non riuscissi a dire altro,
nonostante si trattasse della punta dell'iceberg. Non fece nessun'altra
domanda, ed io fui grato e riconoscente per ciò.
Le accompagnai a casa, e le salutai, anche se non prima di aver
consegnato quel piccolo peluche che avevo portato in dono a Koharu.
Appena lo vide cominciò a fare i salti di gioia, stringendomi
con quelle sue piccole manine il collo, per poi fuggire e andare a
chiudersi nella sua stanzetta.
"Akito, ti prego...praticamente casa mia è diventata un magazzino per tutti i regali che fai a Koharu!"
"Faremo costruire una soffitta" risposi, sorridendo.
"Crescerà viziata" sussurrò, nel tentativo di persuadermi di nuovo.
"Me la cavo bene con le bambine viziate" fu la mia risposta, con un riferimento che, ovviamente, non fu indifferente a Natsumi.
"Adesso vado, devo allenarmi e poi prepararmi per oggi pomeriggio"
"Va' pure, ci vediamo domani!"
"Perfetto, così"
"Mantieni la schiena dritta"
"Bene, Hayama. Per oggi abbiamo finito."
Mi sedetti per terra, sfinito. Il maestro sembrò leggermi nella
mente quando mi passò l'asciugamano che non avrei preso prima di
almeno dieci minuti, dato che mi sarei dovuto alzare per farlo.
"Maestro, lei crede che potrò ottenere il decimo dan tra tre settimane?"
"Akito..." si sedette vicino a me, incrociando le caviglie.
"Penso che tu abbia una predisposizione innata per questa disciplina.
Non ne passano ogni anno, di allievi come te. Io fido molto nelle tue
abilità, e anche tu devi"
Guardai il pavimento, non guardando davvero ciò che i miei occhi avevano messo a fuoco.
Il Karate era una delle cose che mi aveva salvato da
quell'inettitudine, da quell'accidia continua da cui ero affetto. Non
provavo interesse, passione per nulla, e mi detestavo. Mi detestavo
perchè non trovavo una sola ragione per vivere, ed ero codardo
al punto di non scegliere di morire. Ma il karate, il karate mi aveva
dato esattamente ciò che stavo cercando, una ragione per cui
esistere. Insieme la mia famiglia, per cui dapprima provavo astio,
adesso erano praticamente inseparabili da me, avrei protetto la loro
vita con la mia senza dubitare un secondo.
La mia mente scelse di accarezazre nuovamente quel ricordo, uno di
quelli che custodivo con più gelosia dentro di me. Io e Kurata,
al parco, nel nostro gazebo. Il mio capo poggiato sulle sue gambe, le
sue mani tra i miei capelli, viglili nel darmi piccole e delicate
carezze. Quella svitata che voleva a tutti i costi interpretare mia
madre. Sorrisi.
Ricordai ogni emozione, ogni vibrazione di quell'istante. Fu come un cubetto di ghiaccio sciolto sotto un cielo blu estivo.
Sì, deve essere stato quello il momento in cui Kurata divenne così importante per me.
"Lo faccio, maestro. Credo in me, e credo in questa disciplina."
"Lo so, adesso riposati, ci vediamo domani mattina." asserì, dandomi una piccola pacca sulla spalla.
Tornai a casa, e guardavo già il cielo diventare più bruno. Accidenti, dovevo sbrigarmi.
"Tsu, faccio una doccia veloce. Passi da qui e andiamo insieme?" scrissi velocemente in un sms.
"D'accordo" fu la semplice risposta del mio amico occhialuto.
Andare di fretta l'avevo sempre detestato, ma quella volta fu
decisamente una buona cosa. Prepararmi e vestirmi in modo veloce mi
permise di tenere la mente lontana da riflessioni e pensieri, che
avrebbero portato solo a un nervosismo ingiustificato.
Quando fui pronto, uscii dalla porta, mentre intravidi la sagoma di Tsu avvicinarsi verso di me.
"Possiamo andare?" domandò, con tono sereno.
Io annuii, e ci incamminammo verso quel nuovo bar di cui non riuscivo a ricordare il nome.
"Come stai?" chiese, all'improvviso. Non era una banale domanda di
circostanza, lo si avvertiva dal tono. Tsuyoshi sapeva bene quanto non
sopportassi la banalità del fare conversazione.
"Io, io sto bene, Tsu. Non preoccuparti, davvero."
"Pensa piuttosto alla libertà cui stai rinunciando, sposandoti" dissi dopo, con tono ironico.
Lui rise, consapevole che stessi scherzando e fossi contento per i miei due amici.
"Bene, ecco Gomi, Hisae e tutti gli altri, raggiungiamoli" asserì, indicando un punto del parco.
Salutammo tutti, e ci dissero che ci saremmo dovuti avvicinare quando
Fuka avrebbe fatto uno squillo a Gomi. Nemmeno il tempo di terminare
quella frase, che...ecco lo squillo.
Cominciammo a camminare, mentre la mia testa iniziò a
ricordare tutti i miei momenti con Kurata, in modo così
arbitrario da innervosirmi. Quella volta al parco, i nostri abbracci,
il nostro rapporto, quell'ultimo bacio che rubai all'aeroporto.
Tuttavia sapevo che ormai quei sentimenti fossero soltanto un ricordo,
e ne ero convinto, anche se l'affetto nei suoi confronti, per me come
per tutte le mie amicizie, era rimasto immutato.
"Sana? Girati!" fu l'esclamazione di Fuka, con gli occhi che brillavano
per la consapevolezza di aver fatto questa sorpresa alla sua amica.
Quella testolina rossa si girò, alzandosi di poco, e mostrando i
lunghi capelli rossi. I suoi occhi si illuminarono quando capii a cosa
si riferisse Matsui. Si girò nuovamente verso le due amiche,
sussurandogli qualcosa che non riuscii a capire, mentre si avviò
verso noi per salutarci singolarmente. Cercai di scrutare bene la sua
figura, sebbene fosse quasi impossibile a causa di tutte le persone che
le si ritrovarono accanto. Decisi di starmene un po' in disparte, con
le mani intrecciate sul petto, e indossando la mia solita maschera di
indifferenza. Vidi i suoi occhi fare capolino di tanto tanto e
diventare quasi bagnati per la commozione, esibendo una voce diversa
rispetto quello che la mia mente aveva. Ovviamente crescendo anche la
voce le era cambiata, e sembrò essere meno acuta, meno stridula,
seppur femminile e ben accordata. I saluti intanto procedevano,
avvicinandosi a me, mentre si fermava a parlare con ognuno dei
nostri amici, sinceramente interessata ai loro cambiamenti e alle loro
vite. Fu solo quando salutò Gomi, che notai i suoi occhi sui
miei, e potei vedere bene la Kurata ventunenne.
La gonna blu le cingeva bene la vita stretta, mentre la camicetta
chiara che aveva scelto le lasciava scoperte le clavicole, facendo
anche intravedere il reggiseno sotto, a causa del colore candido del
tessuto. Era decisamente cresciuta di statura, le lunghe gambe snelle e
toniche incrociate tra loro. Era innegabile che fosse bella e
attraente. D'altra parte ero sempre un uomo.
Il viso aveva conservato ancora quegli occhi così espressivi,
dal color cioccolato che da bambino adoravo guardare, seppure fosse
evidente anche sul volto l'opera svolta dal tempo. Le labbra erano
decisamente più carnose, colorate da un rossetto che mi faceva
ricordare le ciliegie nella bella stagione.
Quando finalmente mi vide, continuò a parlare con Gomi,
lanciandomi ripetuti sguardi. Chissà a cosa pensava,
chissà se il suo carattere era maturato.
La chiaccherata con Gomi volse al termine, e la rossa concentrò
immediatamente i suoi occhi sui miei. Sentii una piccola morsa allo
stomaco quando cominciò a camminare nella mia direzione.
"Hayama, smettila di fare il ragazzino" mi ordinai, sciogliendo le mie
mani e facendole cadere sui fianchi. Mi irriigidì un po', e
probabilmente se ne accorse, ma questo non la intimidì nemmeno
per un istante.
Arrivò esattamente di fronte a me, mentre mi rivolse uno dei
suoi sorrisi che erano come fonte di vita per me durante la prima
adolescenza.
"Hayama" fu tutto ciò che mi disse, con una sfumatura di imbarazzo, e le guance diventate improvvisamente rosate.
Feci un sorrisetto abbozzato, mentre in modo assolutamente scontato mi preparai a rispondere al saluto.
"Kurata..."
Ci osservammo entrambi per qualche secondo, senza che nessuno dicesse
qualcosa. Sembrò cercare di voler interpretare le mie emozioni,
capire come comportarsi o cosa fare. Sempre la solita...farsi mille
problemi per mettere a proprio agio gli altri era proprio da Kurata. La
osservai anche io, sembrò volesse rivolgermi parole e parole che
però trovavano la loro fine in gola, a causa dell'imbarazzo.
Un'imbarazzo che scoprì essere nuovo nel modo di fare della
ragazza che ricordavo. Forse il nome giusto con cui descriverlo sarebbe
stato "buonsenso".
All'improvviso registrai un piccolissimo movimento nei suoi occhi,
rappresentò il segno di una qualche decisione presa seguendo un
filo logico che non potevo conoscere, il filo dei suoi pensieri e di
ciò che le frullava in testa.
In uno scatto quasi felino, mi strinse a sè, alzandosi sulle
punte per portare il mento all'altezza della mia spalla. Mi curvai
leggeremente per facilitarle l'impresa, sebbene fossi sorpreso da
questo inaspettato gesto. Fu talmente inaspettato che sarebbe stato
impossibile per me impedire che le mie labbra si schiudessero in un
eloquente "Oh", che ovviamente non le fu indifferente.
Mi strinse talmente forte che mi sorpresi della forza di cui quel
corpicino snello poteva disporre, le mie mani ancora sui miei fianchi
adesso si stavano muovendo verso le sue spalle, per ricambiare
l'abbraccio. Appena un secondo dopo il contatto delle mie mani sulla
sua schiena, Kurata scelse di riprendere le distanze.
Ne fui quasi dispiaciuto, e mi maledissi per questo.
"Hey, Sana!" urlò una terza voce, che feci presto a riconoscere come quella di Matsui.
Subito si voltò, asciugando leggermente una lacrima.
"Sì?"
"Comunque sappi che questo è solo l'antipasto...ci siamo
già accordate con tua madre, abbiamo organizzato una festa di
bentornato a casa tua per domani!" gridò Fuka.
Perfetto, ci mancava solo questa.
"Dici sul serio? Fuka, Aya...non avreste dovuto darvi tutto questo disturbo!"
Per una volta io e Kurata eravamo della stessa opinione.
"Sta' zitta, Sana! Vedrai che ti divertirai" sentenziò Matsui.
Ci avvicinammo verso il resto dei nostri amici, mentre fu impossibile
ai miei occhi impedire di tanto in tanto di andare verso il suo viso,
scoprendo anche d'essere ricambiato, mentre lo sguardo preoccupato di
Tsu bloccato sui miei occhi mi fece sorridere per il carattere timoroso
del mio amico.
In questo lui e Aya erano quasi gli stessi.
Lo rassicurai con un mezzo sorriso, mentre ripresi la mia discussione sul Karate con Gomi.
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Capitolo 3 *** Friends ***
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"Sana? Sei ancora a letto? Non è possibile! Sono quasi le dieci del mattino!"
Udii in lontananza una voce, accompagnata da un rintocchio ben
scandito, il suono di passi scala dopo scala. Bene, questo era un
evidente segno che il mio sonno sarebbe stato completamente disturbato
da lì a pochi secondi.
"Sana!" urlò quella voce udita poco prima, giunta alla mia
porta, dopo averla aperta senza un minimo di delicatezza. Mi chiedevo
chi potesse essere ad avere così poco rispetto per il mio riposo.
Poi mi ricordai che al mondo esisteva Fuka Matsui, e smisi di farmi delle domande.
"Fuka, che accidenti vuoi alle nove e trenta del mattino?" dissi
debolmente, il sonno ancora lì, pronto ad abbracciarmi di nuovo.
"Che accidenti voglio? Hai dimenticato della festa di questa sera?
Dobbiamo fare in modo che sia tutto perfetto!" quasi gridò, con
le mani strette in due pugni.
Mi portai le coperte sin sopra l'attaccatura dei capelli, in modo da
farle intuire quanta voglia avessi realmente di abbandonare il mio
giaciglio, anche se la Fuka che conoscevo non avrebbe nè
rinunciato, nè si sarebbe persa d'animo.
E infatti fu proprio così.
"Sana, di sotto ci sono i dorayaki..." mi informò, con tono malizioso.
"Colpo basso" sentenziai, rimuovendo almeno per quella mattina le
coperte calde, e dirigendomi in bagno a fare una doccia veloce, mentre
la mia strana, strana amica mi avrebbe aspettato al piano di sotto.
La festa di stasera, aveva detto. Una festa per il mio ritorno qui in
Giappone. Ero contenta di notare che l'affetto dei miei amici sembrava
aver sviluppato immunità al trascorrere del tempo, a pensarci
bene, era tra le cose che più mi preoccupava al mio ritorno.
Avevo timore che mi avessero dimenticata, timore che fossero in collera
con me per tutti gli anni passati all'estero, timore che non mi
riconoscesero più come la Sana di un tempo. In realtà, il
giorno prima, tutti mi avevano dimostrato affetto. Sorrisi al pensiero
di quella nuova immagine di Tsuyoshi, più uomo, più
maturo, con gli occhi sensibili e commossi come erano da bambino. Lui e
Aya formavano davvero una coppia perfetta, e il loro matrimonio era
certamente la conseguenza più giusta per l'amre che provavano
l'uno per l'altra.
Ripassando con a mente gli avvenimenti del giorno prima, sotto la
doccia, non potei impedire che la mia mente mi portasse al saluto con
Hayama.
Un Hayama anch'egli cresciuto, anch'egli diventato uomo. L'abbraccio
che ci eravamo scambiati era stato talmente intenso da farmi quasi
male, seppure durò pochi secondi. Desiderai sapere come era
cambiata la sua vita dalla mia partenza, parlare un po' con lui sotto
quel nostro gazebo come facevamo quando eravamo solo dei bambini,
riavere il mio migliore amico. Mi era mancato, e sarebbe stato
impossibile e falso negarlo.
"Eccomi" dissi, con la solita vitalità a cui tutti coloro che mi conoscevano erano abituati.
"Vieni a fare colazione, Sana!" urlò Fuka.
La salutai con un abbraccio, scusandomi per la mancanza di gentilezza che le avevo regalato pochi minuti prima, appena sveglia.
"Tranquilla, so quanto tu sia difficile da far svegliare, e quanto amore provi verso il letto" rise.
Risi anche io, mentre salutai anche Aya, e mia madre.
"Cara, fa' colazione, la signora Shimura ha preparato tutto con tanta
gioia, canticchiando qualche strana canzone, da svegliarmi all'alba"
"Proprio con te volevo parlare! Mamma!"
"Tu eri a conoscenza delle diavolerie che queste due stavano mettendo
in atto, e non mi hai detto nulla!" continuai, dopo, fingendo offesa.
Lei si avvicinò a me, portando il suo ventaglio alle labbra.
"Mia cara, un segreto è un segreto" rispose, per poi tornre a scrivere nel suo studio, ridendo per la mia espressione.
"Beh, quale sarebbe allora il programma di oggi?" domandai, mentre tagliavo un pezzo di dorayaki.
Osservai prontamente Aya recuperare un piccolo block notes, dove aveva sicuramente appuntato tutta la lista di cose da fare.
Mi chiesi perchè non riuscissi ad essere organizzata come lei.
"Allora, dovremmo verificare la presenza del catering, farti sapere il
menu e se andrà bene darai la tua conferma, poi dovremmo passare
a prendere le decorazioni, e le casse per la musica, e..."
"Va bene! Va bene, va bene tutto Aya. L'importante è che tu
abbia ritagliato qualche minuto per prendere un caffè,
altrimenti perderò coscienza e non potremo fare la festa e, oh!
Povera me" dissi, interrompendo la mia amica, e recitando un po' di
pathos per convincerle a fare una piccola pausa, portando anche la mia
mano alla fronte.
Quando sollevai lo sguardo notai entrambe le espressioni delle mie
migliori amiche con un sopracciglio inarcato, e le labbra portate da un
lato. Non mi avevano presa sul serio nemmeno per un istante, e di certo
avevano fatto bene. Risi, provocando anche una risata generale.
"Non sei cambiata per niente, Sana!" tentò di dire Aya, tra una risata e l'altra.
"D'accordo, Sana, prenderemo un caffè. Non vorremmo mai che tu
avessi uno svenimento per colpa nostra. Anche se, a pensarci
bene...così potresti rimanere in silenzio per qualche minuto..."
furono le parole di Fuka.
E riprendemmo le risate lì dove erano rimaste. Mi erano mancate davvero.
"Su, sbrigati, abbiamo la lista di Aya che ci guarda in cagnesco"
continuò, dopo aver ripreso la naturale espressione del viso,
Fuka.
Come fu prevedibile, il resto della mattiinata trascorse tra negozi,
impegni, e tutto ciò che richiedeva l'organizzazione di una
festa. E sebbene fossimo esauste, nessuna di noi emise un solo piccolo
lamento, neanche solo per un istante.
Arrivata a casa, dopo una mattina così frenetica come
quella appena vissuta, non potei fare a meno di gettare il mio viso sui
cuscini del divano pastello di casa mia, esausta.
"Oh, cara. So che non appena riesci a identificare un divano nel
raggio di tre metri senti l'esigenza di testarlo, ma non è
questo il momento. Devo consegnare un'altro capitolo del mio nuovo
libro, e quell'Oliver non fa che starmi con il fiato sul collo..."
"Ma signora Kurata, il termine era già stato fissato per due
giorni fa" la interruppe, con tono esasperato, il rappresentante della
casa editrice che, a pensarci bene, era diventato quasi una persona di
famiglia.
Mia madre mi lasciò velocemente il manoscritto, chiedendomi di
leggerlo e darle una mia opinione, mentre con quella macchinina rossa
driftava per il corridoio nel tentativo di scappare da quell'uomo,
già ansimante per la fuga.
Risi al pensiero di quella stramba, ma unica, donna che era mia madre.
Lessi quel manoscritto, in cui mia madre aveva scelto di raccontare una
meravigliosa tragicommedia, e mi sembrò essere quanto mai adatto
a lei. Il ritmo era incalzante, la storia con una trama ben disposta.
Sarebbe stato certamente un successo.
Mia madre fu felice di sentire la mia opinione, e si rallegrò
quandò noto che ne rimasi sinceramente coinvolta. Era proprio
quello lo scopo che lei si poneva. Al di là della scrittura
corretta, della sintassi, lei voleva far innamorare i lettori di
ciò che narrava, ed ero convinta lei avrebbe trionfato.
"Che farai nel pomeriggio?" domandò, mentre eravamo stavamo per pranzare.
"Credo andrò a casa di Rei, mi piacerebbe vedere Asako, e portare qualche regalo alla piccola Gigi"
"Sono d'accordo, Asako è affezionata a te"
Sorrisi, continuando a mangiare il delizioso pasto preparato dalla
signora Shimura, parlando di futili argomenti io, mia madre, e...Onda,
della casa editrice.
Appena terminato, salii immediatamente nella mia stanza pronta per
vestirmi e andare nella nuova casa del mio manager Rei. Mi fermai a
riflettere su che tipo di regalo avrei potuto dare alla loro
figlioletta, che sapevo essere una bambina di sei anni, allegra e
sveglia.
Avrei potuto darle una di quelle solite bambole, ma volevo fosse
qualcosa di più originale e prezioso. L'idea mi venne ripensando
a quella conversazione in macchina, appena fuori dall'aeroporto, tra me
e Rei.
"A volte ho desiderato che potessi
tornare ad avere undici anni, con quelle codine ramate e quell'aggeggio
rosa odioso con cui facevi della musica ogni tanto"
Sorrisi. Ecco cosa le avrei portato, mi dissi, pregustando
l'espressione di terrore per la futura confusione che Gigi avrebbe
sicuramente fatto.
"Asako! Non sai che bello rivederti!" esclamai, in modo sincero, appena venne ad aprire la porta.
"Oh, Sana! E' magnifico poterti rincontrare! Entra pure, stavo giusto per servire un buon thè"
E con queste parole quella magnifica donna alta, ma sempre snella e ben
vestita, si scostò di qualche passo per consentirmi di prendere
posto nel suo salotto.
L'arredamento era moderno, in stile occidentale, decisamente gradevole
per la luce che riusciva a illuminare tutta la stanza dalle vetrate,
e che a loro volta si affacciavano su un delizioso giardino. Il bianco
sembrava essere il colore predominante, e questo non faceva che
enfatizzare la luminosità della stanza, seppure si potesse
scorgere qualche dettaglio color caffè.
Non potei che farle i complimenti per lo stile e il gusto dimostrato.
Asako mi ringraziò, sorridendomi, mentre con attenzione versava
il thè per servirlo. Fu a quel punto che vidi Rei incedere verso
il salotto, con una bambina dai capelli biondo cenere tra le sue
braccia.
"Sana, non sapevo fossi qui!" mi salutò lui, seppure il mio
sguardo fosse rivolto solo a quell'angioletto. Non si meravigliò
che fossi talmente rapita da Gigi a tal punto da non rispondere nemmeno
al saluto.
"E così tu sei Gigi!" esclamai, con gli occhi che brillavano.
"Anche io so chi sei tu!" furono le prime parole che mi rivolse, con occhietti furbi.
"Ah, sì?" chiesi, alzando poco un sopracciglio, divertita.
"Sì! Tu sei la zia Sana! Papino parla spesso di te"
Non potei fare a meno di ridere al sentire quelle parole, dette in modo
talmente amabile da fare sciogliere chiunque. La invitai a sedersi in
braccio a me, acconsentendo immediatamente.
Continuai a parlare con Asako di vecchi ricordi, del nostro film,
girato tanti anni prima, "Mizu no Yakata", di cosa avessi fatto in
America, e di quanto fossimo contente di esserci riviste. Mi chiese
anche di Hayama, se l'avessi rivisto o meno. Le risposi raccontando
l'accaduto del giorno prima, assicurando che, però, nè
io, nè sicuramente lui, provassimo sentimenti simili a quelli
della mia partenza.
Consegnai anche il piccolo regalo a Gigi, provocando in Rei la precisa
reazione che avevo previsto, e risa in me ed Asako. Erano davvero
quella che poteva definirsi una famiglia ideale, con l'amore che essa
porta inevitabilmente.
sarei rimasta lì anche per cena, ma decisi che fosse l'ora di
lasciare un po' da soli Asako e Rei, e per me che fosse l'ora di
prepararmi per l'evento che mi aspettava da lì a due ore.
Rimasi quasi mezz'ora dinanzi la porta di casa, frugando nella mia
borsa nel disperato tentativo di trovare le chiavi giuste. Mi
rimproverai per la mia abituale distrazione, che non faceva un minimo
cenno ad abbandonarmi nonostante l'età ormai adulta, o quasi, a
cui appartenevo. Eppure quel portachiavi a forma di pipistrello bianco
dovrebbe facilitarmi il compito, pensai. Qualche sospiro isterico, per poi
trovare dinanzi a me mia madre, seduta sul suo maggiolino rosso, con un
paio di chiavi tra le mani. Le mie chiavi.
"Cerchi queste, cara?" domandò, con l'ovvietà che meritavo.
Un lieve colpetto sulla mia fronte le diede la risposta che voleva.
"Entra, tra poco arriveranno tutti i tuoi amici. Sapevo non saresti mai
tornata in tempo per dare una piccola sistemata al salotto, così
mi sono data da fare con le tue amiche Aya e Fuka."
Feci qualche passo verso la stanza in questione, ringraziando
l'assoluta conoscenza su di me che mia madre aveva sviluppato negli
anni.
Le mie due amiche erano già sistemate di tutto punto per
ricevere gli ospiti. Aya con un grazioso abito floreale stretto in
vita, che continuava poi con una gonna a ruota. Fuka optò,
piuttosto, per un abito blu, senza spalline, portato con una giacca da
tailleur in tono pastello. Erano davvero bellissime.
Feci i complimenti ad entrambe per lo stile prescelto all'occasione,
mentre per tutta risposta, nonostante la mia gentilezza così
adorabile, mi minacciarono d'essere pronta entro un'ora, o mi sarei
dovuta presentare in accappatoio.
Seguendo gli ordini delle mie due migliori amiche mi concessi una
doccia in un lampo, truccandomi leggermente, così come era mia
abitudine fare, e indossando una tuta nera, elegante al punto che il
tipo di serata voleva, con delle trasparenze puntinate sul decollete, e
gambe. Lasciai i capelli sciolti, e mi accinsi a uscire dalla stanza.
Quando scesi al piano sottostante vidi già Gomi e Hisae essere
arrivati, con accanto le espressioni seccate di Fuka e Aya. Mimai un
"ho fatto più in fretta possibile", con un'espressione
dispiaciuta, mentre rassegnate si avvicinavano a me, complimentandosi
per l'abito che avevo indossato.
Cominciavo a sentire un po' di nervosismo, che mio malgrado crebbe
quando Aya ci avvisò che un sms di Tsu le aveva anticipato l'arrivo di
lui e Hayama entro qualche minuto. Odiavo quella
sensazione di imbarazzo, di timore nel comportamento da assumere che
provavo solo nei suoi confronti. Con tutti gli altri era stato
così naturale, così spontaneo. Con Hayama invece non era
affatto così, e ne avevo avuto prova solo il giorno precedente.
In realtà me l'aspettavo, più o meno, che il rapporto con
lui non sarebbe stato il medesimo, conoscevo abbastanza il suo
carattere chiuso e riflessivo, in realtà ero sempre stata io a
rompere i ghiacci che ogni tanto si creavano tra noi due. Ma avevo
nostalgia, nostalgia della nostra amicizia, non sopportavo di stare ad
osservare che la nostra amicizia si perdesse così. Dovevo
assolutamente fare
qualcosa. Il mio carattere non mi permetteva di stare ferma.
Due piccoli pugni alla porta mi svegliarono da quel momento di introspezione. Erano lì.
Vidi Fuka concentrata nella scelta di un brano musicale, Aya intenta
nel preparare l'aperitivo e disporlo a tavola. Così, da buona
padrona di casa, andai verso la porta.
"Ciao Sana!" esclamò, nel suo solido modo affettuoso, Tsuyoshi.
Gli sorrisi, e ci abbracciammo per qualche secondo, per poi permettergli di entrare e,
senza bisogno che lo vedessi, andare immediatamente verso la sua promessa sposa.
Quando mi voltai, per salutare anche Hayama, mi accorsi di un piccolo
dettaglio che i miei occhi, ormai abituati alla distrazione, non avevano notato precedentemente.
Una ragazza, graziosa in volto, un po' bassina ma snella, era avvinghiata al suo braccio.
Rimasi ferma per qualche secondo, senza che potessi dire nulla, osservando prima lei, poi Hayama, che
rispondeva allo sguardo, evidentemente curioso di leggere ciò
che stavo provando.
"Hayama, io, io non sapevo che..." fu tutto quello che riuscii a dire.
"Ma allora è vero! Non dicevi bugie, Akito! E' davvero Sana
Kurata!" urlò, interrompendo ciò che stavo per dire ad
Hayama, e lasciando che i nostri occhi si concentrassero su di lei.
Fece qualche passo verso di me, abbandonando le mani del mio biondo amico.
"Che piacere di conoscerti, Sana! Non riesco quasi a credere di essere
a casa del mio mito d'infanzia! Ti seguivo sempre, e anche fino al tuo
ultimo film con Depp, era meraviglioso" continuò, senza perdere
nemmeno una sfumatura d'entusiasmo, e stringendomi le dita.
Io sorrisi, un finto sorriso, è chiaro, e la ringraziai piano.
"Sai, Sana, se posso chiamarti in questa maniera..."
"Chiamami pure Sana" fu la mia risposta, senza intonazioni, ancora
davanti l'uscio. Quella piccola mora non lasciava un secondo per
parlare a nessuno.
"Ero sicura che Akito mi stesse prendendo in giro, non riuscivo a
credere potesse davvero conoscerti. Ogni volta che parlavo di Sana
Kurata, mia attrice preferita, o che volevo vedere un tuo film lui
rifiutava ogni volta, dicendomi che sarei anche potuta andare da me! Il
solito gentiluomo" asserì, tutto d'un fiato, ridendo.
Fu l'unica che rise a quelle parole.
Rimasi sorpresa dalle ultime frasi quasi urlate da quella ragazza.
Hayama provava forse odio nei miei confronti? Mi detestava? Il pensiero
che potesse farlo mi innervosì, mi dispiacque. Sentivo il
bisogno di parlare con lui.
"Sì, beh...noi ci conosciamo da quando eravamo solo dei bambini"
la informai, riportando i miei occhi su di lui, e i suoi occhi
piantati su di me.
Qualche secondo di silenzio fu la conseguenza a quelle parole, senza
che neanche la ragazza accanto a me potesse avere il coraggio di dire
qualcosa.
"Siete venuti a casa mia per rimanere davanti la porta? Su, entrate.
Ehm, non ricordo il tuo nome, Hayama non ci ha presentate." dissi, poi.
"Il suo nome è Harumi" furono le prime parole che quella sera
scelse di dedicarmi, nel tono più indifferente che potesse
sfoderare. Non mi scoraggiai.
"Piacere di conoscerti, Harumi" dissi, sorridendo, e chiedendomi anche
come mai nè Fuka, nè Aya mi avessero detto di questa
nuova ragazza.
Avevano forse paura della mia reazione? Paura che provassi ancora
qualcosa per quell'Hayama? Ah, che errore, che cosa ridicola da credere!
Risi piano, seguendo il filo dei miei pensieri, sotto lo sguardo
confuso di Hisae. Feci qualche svolazzo per aria con la mano, per farle
intuire che non fosse nulla, nulla di fondamentale.
Bisognava ammettere, però, che lì sulla porta mi ero come
impietrita, vedendoli abbracciati così intimamente...
Era sicuramente stata colpa della sorpresa, non potevo davvero
aspettarmi una cosa del genere. Sì, sarà stato
sicuramente per quello, meditai.
Entro qualche minuto tutti gli invitati arrivarono alla festa, ed era
meraviglioso vedere la mia casa così gremita di persone, di
tutti i miei affetti. Quasi ci avevo perso l'abitudine, abitando negli
Stati Uniti.
Tutti si avvicinarono per rivolgermi qualche frase. Curiosità,
frasi d'affetto, piccoli gossip, informazioni su come fosse la vita in
Occidente. Fui felice di rispondere a quelle domande, mi piaceva vedere
che i miei amici si interessassero di me, e di ciò che avevo
fatto esattamente come io ero interessata alle loro vite.
Inutile a dirlo, che l'unica persona con il quale fino a quel momento
non parlai neanche un solo secondo fu Hayama, che spesso guardavo,
scoprendomi interessata di verificare se potessi beccarli in
atteggiamenti intimi con quella Harumi, anche se sembrava più
concentrato nello scegliere il tipo di sushi da mettere nel piatto.
Se ne stava lì, seduto, con il solito sguardo incapace di
tradire qualsiasi emozione, con la sua ragazza al fianco, presa dal
dirgli qualcosa a cui mi sembrò non dare molta attenzione.
Intanto la musica si era alzata di volume, le luci erano leggermente
più basse, e molti dei miei amici e vecchie conoscenze
cominciarono a danzare su del ritmo da discoteca. Mi gettai in pista
presto anche io.
"Scusaci, Sana" sussurrò al mio orecchio, Aya, vicino anche Fuka.
Il mio sguardo si fece interrogativo.
"Per, beh, sì...Akito. Non ti abbiamo riferito nulla su
Harumi...ma non sapevamo come dirti questa cosa, e...e entrambe avevamo
pensato che fosse meglio lo scoprissi da te" furono le parole di Fuka,
dette sempre quasi attaccate al mio orecchio per consentirmi di capire
qualcosa visto il volume della musica.
Risposi come da sempre ero abituata a fare, con una risata, e se Hayama
utilizzava l'indifferenza per farsi scudo, e non lasciar intendere
ciò che provasse, io invece avevo sempre fatto uso delle risa, e
di questo me ne accorsi solo qualche anno precedente.
"Non importa, davvero! Sono contenta abbia avuto qualcuno che gli sia
stata vicino, spero solo lei lo apprezzi come merita. Hayama non
è un tipo a cui ci si affeziona immediatamente." risposi,
sincera.
"Da quanto tempo stanno insieme?" chiesi.
"Da due anni. Anche se non lo ammetterebbe nemmeno se lo torturassimo, ha sofferto tanto la tua partenza"
Era così? Aveva sofferto il fatto che io fossi lontana? Provai
un sentimento antitetico di fronte all'ultima frase pronunciata da Aya.
Se da un lato ero triste a saperlo sofferente, consapevole che la
persona a causargli questo dolore fosse proprio la sottoscritta,
dall'altro lato ero quasi contenta, contenta di sapere che lui tenesse
a me.
"E' stato complesso per entrambi" fu il mio pensiero a voce alta, che
naturalmente non sfuggì nè ad Aya, nè a Fuka.
Entrambe mi abbracciarono, e per qualche secondo scelsi di abbassare la
guardia, incapace anche di analizzare esattamente quali emozioni
avertissi in quell'istante.
Danzai per quasi un'ora finchè, esausta, non scelsi di dirigermi
verso il piano con i drink, e bere qualcosa che contenesse alcool.
Sentivo la necessità di attenuare i miei pensieri, impossibili
da fermare da quando una certa persona aveva fatto il suo ingresso
nella mia casa.
Forse un po' d'aria pulita era proprio ciò che faceva al caso mio.
Andai nella piccola veranda esterna, ringraziando in silenzio quell'aria fresca che finalmente sfiorò il mio viso.
"Kurata"
Una voce. Una voce che avrei riconosciuto ovunque.
E tanti saluti alla calma che il vento mi stava donando.
Mi voltai, evidentemente sorpresa che fosse lì. "Hayama, mi hai speventata"
"Hai le gote più rosse dei tuoi capelli. Sembri un pagliaccio"
asserì, con tono calmo, anche se era possibile notare una
piccola sfumatura di divertimento.
"Che cosa? Sei un maleducato, solo tu potresti anche solo sognare di
dire queste cose ad una ragazza, ma è questo il modo di
rivolgersi alla mia grazia e..." cominciai a dire velocemente,
fintamente offesa dalla sua frase.
Ghignò di divertimento, gli piaceva farmi infuriare.
"Come stai?" domandò, all'improvviso, rendendo l'atmosfera diversa rispetto il minuto precedente.
Mi sedetti accanto a lui.
"Bene. Sto bene" risposi, semplicemente, interrompendo il contatto visivo.
Lui mi osservò, aggrottando un po' le sopracciglia. Quella
risposta non era sufficiente per lui. Sembrava avesse conservato quella
capacità di andare al di là dei miei sorrisi, della mia
allegria, e leggere i miei occhi.
"Davvero, sto bene. E' un po' difficile tornare qui, dopo il tempo che
è trascorso. Riprendere le mie abitudini, rivedere tutti voi. E'
talmente bello che mi sento...confusa. Ma ho quasi timore di non avere
il diritto di tornare nelle vostre vite da un giorno all'altro,
fingendo di dimenticare il tempo trascorso" dissi, in un fiato,
spostando lo sguardo dai suoi occhi quando smisi di proferire parola.
"Non avrei mai creduto potessi dire una cosa simile, proprio tu"
Tornai ad osservarlo, sembrava...stupito. Lo guardai con confusione.
"La Sana Kurata egoista ed egocentrica che ricordavo, non avrebbe mai detto una cosa del genere"
Pensai a quale sarebbe stata la mia reazione se mi avesse detto quelle
parole solo qualche anno fa. Avrei sicuramente tirato fuori il
martelletto, offendendomi per la crudeltà delle sue parole. Ma
nel viaggio negli Stati Uniti avevo riflettuto su questo mio difetto,
ricordando tutte le volte in cui Hayama me lo ricordasse, e
cominciando, per la prima volta, a credere che non avesse affatto
torto. "Crescere" significava proprio quello, probabilmente.
Sorrisi amaramente.
"Kurata, tutte le persone che questa sera sono venute lo hanno fatto
perchè ti vogliono bene, ti considerano loro amica. Nessuno si
è sentito in dovere di farti quella sorpresa al parco, o di
partecipare stasera." parlò, guardando dritto.
"Sì, forse hai ragione"
"Lei...sembra simpatica" bisbigliai, cambiando argomento, cogliendolo all'improvviso.
Mi guardò, ma non diede alcun cenno di rispondere.
"Hayama, tu, tu mi detesti?" chiesi, con tono un po' fanciullesco.
"Cosa? No, certo che no, Kurata" rispose, con qualche decibel più alto, e con ovvietà.
"Prima, quando Harumi ha detto che non volessi mai vedermi in televisione, o parlare di me...mi è sembrato così"
"No. Non si è mai trattato di quello." furono le sue parole, lasciando intendere cosa in realtà si celasse dietro il suo comportamento.
Qualche secondo di silenzio, furono la più ovvia delle
conseguenze alle sue parole. Ma dovevo assolutamente dire ad Hayama una
frase che per tanto tempo mi aveva torturato, e che sentivo fosse
giusto comunicargli.
"Hayama...io, io devo chiederti scusa." pronunciai, stavolta senza che deviassi i suoi occhi.
Mi guardò, voltandosi repentinamente, come se non si aspettasse che potessi dire una cosa del genere.
Risi debolmente per la sua espressione interrogativa, mentre mi preparavo a continuare.
"Sì, beh, ti chiedo scusa per non aver mai capito niente, e per
essere stata così ottusa. E ti chiedo scusa per tutte le volte
in cui mi sono comportata da bimba viziata, in cui ho preferito la
fuga, piuttosto che scegliere di affrontare tutto, con la solita forza
d'animo con cui tutti mi descrivono. Scusa se sono stata una codarda"
Mi ascoltava, la sua espressione concentrata, e i suoi occhi
così intensi fermi sui miei, che nel frattempo si erano fatti
umidi.
"Grazie" rispose, semplicemente.
Il mio occhio destro ebbe qualche spasmo, e fu inevitabile che io lo
colpissi con quel fidato martelletto, da portare sempre con sè,
quando si trattava di Akito Hayama.
"Cosa? Io ti chiedo scusa, mostrando tutta la mia maturità e tu
mi rispondi con un "grazie"? A volte mi fai proprio saltare i nerv..."
gridai, iraconda.
"Ahi! Hai ancora quello stupido martello, non è possibile"
rispose, fintamente arrabbiato, toccandosi il punto in cui lo avevo
colpito sulla testa.
"E vedi anche come è tornato utile?"
Sorrise.
"Va bene, va bene. Ti chiedo scusa
anche io, per quelle volte in cui la mia testardaggine mi ha impedito
di comportarmi in modo maturo. E per quelle volte in cui non riuscivo a
dirti quelle parole di cui avevi bisogno" continuò, facendo
tornare l'atmosfera calma, notai anche quanto risultò difficile
per lui riferirmi quelle parole.
"Il passato è un capitolo chiuso, eravamo dei bambini, in fin
dei conti... Sono contenta tu abbia trovato qualcuno che ti sia stata
vicina in questi anni. Negli ultimi che ho passato qui noi non
riuscivamo ad essere amici per via di quello che sentivamo, ma
adesso...adesso che non è più così potremo tornare
come eravamo. Vorrei riavere il mio amico cocciuto Hayama..."
"Sì, hai ragione, sono d'accordo."
"Però forse sarebbe meglio mettere giù quel bicchiere, le
tue guance sono ancora di quel ridicolo colore" disse dopo, ironico.
"Io, Sana Kurata, reggo l'alcool meglio di chiunque altro!" urlai, mettendomi in piedi, con le mani alla vita.
"Io non ci giurerei" rispose, evidentemente come uno sprovveduto, ancora seduto, con le mani dietro la testa.
"Non sfidarmi, Hayama" sussurrai, piegando poco il torace verso il suo viso.
"Non sfidarmi tu, Kurata. Sai bene come finì quando volevi a tutti i costi che mi buttassi con l'elastico".
"E' ora della rivincita" dissi, pregustando il dolce sapore del trionfo.
Angolo dell'autrice
Ciao ragazzi! Volevo ringraziarvi per le bellissime recensioni che mi
avete regalato, sono davvero contenta che la storia vi piaccia, e spero
davvero di non deludervi! In questo angolo volevo fare qualche piccola
precisazione, e mi scuso se le scrivo già al terzo capitolo! La
storia segue, più o meno, i fatti del manga, senza però
la storia della mano di Akito, e la successiva sindrome della bambola
da cui Sana è stata affetta. I due non sono mai stati davvero
insieme, e quando Fuka si rese conto di ciò che Sana e Akito
sentivano l'una per l'altra, i nostri protagonisti sono stati
impossibilitati dal frequentare l'un l'altro per colpa degli impegni di
lavoro di Sana, e il solito timore che entrambi avvertivano. Spero che
questo capitolo vi sia piaciuto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!
Ci vediamo all'aggiornamento prossimo! Un bacio :-*
Nel caso in cui voleste dare uno sguardo, ecco l'abito che ho voluto far indossare a Sana durante il party.
http://3.bp.blogspot.com/-kDN0KVm-kQ8/Tq8McMMJgaI/AAAAAAAACxw/yy0-1gR72wI/s1600/2+stellamccartney.com+-+FW+2011-12.jpg
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Capitolo 4 *** Art for art's sake ***
dfvvfv
La mattina successiva il risveglio parve essere più problematico
del solito. Fu la suoneria del mio cellulare, a causarlo. Avrei dovuto
prendere la buona abitudine di silenziarlo prima di andare a letto.
Cercai di allungare una mano verso il comodino, dove sapevo giacesse il
mio cellulare, nel tentativo di afferrarlo, ancora confusa, e con gli
occhi fermamente decisi a non aprirsi.
Tastai più volte quella superficie, mentre il suono della
chiamata diveniva sempre più fastidioso di secondo in secondo.
Quando finalmente l'ebbi preso, lo portai al mio orecchio, pronunciando
un debole "Pronto?" con una voce talmente roca che mi sorpresi potessi
essere davvero stata io a parlare.
"Pronto? Sana, sei tu?" fu la risposta, una voce femminile, che non riuscii a riconoscere, intontita com'ero dal sonno.
"Sì, ehm, sono io. Con chi parlo?"
"Ti sei già scordata di me? Ma brava!" esclamò, la donna.
In quell'istante mi sembrò obbligatorio dover finalmente
schiudere i miei occhi, per decidermi a controllare se potesse apparire
un nome che potesse darmi un indizio sull'identità.
Lessi il nome di Natsumi.
"Oh, scusami, scusami Natsumi! Stavo dormendo, e...ti assicuro che in
circostanze come questa non ricordo neanche il mio, di nome!"
Rise per ciò che avevo detto.
"E così tu credi di tornare qui in Giappone e non farmi nemmeno
una piccola visita? Sono davvero infuriata con te" rispose, tornando
seria, ma con una punta di ironia che mi facesse intuire quanto in
realtà arrabbiata non lo fosse nemmeno un po'.
"Hai ragione, davvero. Ma ho avuto così poco tempo! Mi
farò perdonare, te lo prometto! Ti va bene oggi, nel
pomeriggio?" mi affrettai a rispondere, sinceramente risentita.
Finse di pensarci qualche istante.
"Sì, andrà bene. Non vedo l'ora di riabbracciarti!"
"Allora ci vediamo oggi pomeriggio" le ripetei, preannunciando il termine della conversazione.
"Certo, ma...ehm, Sana? Non riuscirò mai a perdonarti se non
porti con te quei mervigliosi biscotti che prepara la signora Shimura!"
scherzò.
Risi, per poi accettare la sua ragionevole proposta, e chiudere, stavolta in via definitiva, la chiamata.
Appena posato il cellulare nuovamente sul mio comodino, mi misi a
sedere sul letto, improvvisamente colta da uno strano senso di
malessere. Emicrania? Spossatezza? Inappetenza?
Mi portai le mani alle tempie, che sembravano voler giocare a scandire i secondi del tempo con il loro pulsare a mio discapito.
Rimasi qualche secondo ferma, a meditare su una qualche ragione che
potesse farmi spiegare il motivo della mia indisposizione. Non
trascorse molto tempo prima di trovare le risposte a quella domanda.
Tutti quei fastidi erano i classici e banali postumi di una sbornia, la sbornia che mi ero abilmente procurata la sera prima.
Cercai di farmi tornare in mente quanti più dettagli potessi su
cosa avessi combinato, ma in risposta a questo sforzo che stavo
richiedendo al mio cervello arrivò solo qualche immagine confusa
e discontinua.
Riuscii a ricordare solo bicchieri su bicchieri, contenenti i liquidi
dai più diversi colori, odori, sapori. Fu inevitabile non
avvertire velocemente la nausea assalirmi. Mi domandai se avessi
davvero ventun'anni, o sedici.
"Maledetto Hayama, lui e le sue (solo sue) manie competitive. Era tutta colpa sua" bisbigliai, seccata.
Andai verso le tende, determinata ad aprirle per permettere alla mia
stanza di illuminarsi, beando anche me, con un po' di Vitamina D che
sicuramente non avrebbe fatto che bene. Solo ad azione compita mi resi
conto che non fosse affatto una buona idea, quando avvertii i miei
occhi bruciare come se mi avessero appena gettato dell'acido in viso.
Subito mi gettai per la stanza, alla disperata ricerca di qualcosa che
potesse aiutarmi a proteggerli. Dovevano pur esserci degli occhiali da
sole, da qualche parte.
Con gli occhi obbligatoriamente socchiusi trovai ciò che stavo
cercando in un cassetto della mia scrivania, e solo dopo averli portati
più vicino mi accorsi di quanto questi fossero ridicoli.
Erano degli occhiali con dei finti occhi disegnati sopra le lenti, di
quelli che avevamo utilizzato io, Rei ed Asako per tentare di sfuggire
ai paparazzi. Non potei impedirmi di ridere, come era mio solito fare,
indossandoli, e cercando di immaginare come sarebbe potuta sembrare la
mia figura. La risata si intensificò quando decisi di scoprirlo,
dirigendomi verso il bagno della mia stanza.
Avevo un aspetto orribile, con delle occhiaie violacee, quasi
cianotiche e capelli arruffati a incorniciare il tutto, come una bella
ciliegina.
Doccia. Avevo un disperato bisogno di farmi una doccia.
"Buongiorno, mamma" dissi, scandendomi la voce ancora leggermente roca,
e con quegli occhiali ridicoli a cui non avevo voluto rinunciare.
"Buongiorno, cara. Hai un aspetto terribile" furono le prime parole che
mi rivolse, senza staccare gli occhi dalla tastiera del computer.
"Mamma, ti hanno mai detto che sei la persona più carina al
mondo?" domandai, con il tono più sarcastico che riuscii a
donare.
"Sono solo sincera. Maro, qui sopra, ha avuto un tremolio quando ti ha
vista" rispose, altrettando sarcastica, ridendo ma cercando di non farsi
notare.
Mi simbrò quasi che le mie tempie, le stesse tempie che
continuavano a pulsare, adesso avessero anche scoperto la
capacità di fumare.
Mi misi a sedere a tavola, prendendo del latte, e i pancakes che la
signora Shimura aveva cucinato. Mi ero abituata bene alla colazione
americana, lì nella West Coast.
"Che ha combinato ieri la mia ragazzaccia?" domandò, all'improvviso, i suoi occhi ancora sullo schermo.
"Nulla, mamma. Sono solo stanca, ieri i miei amici non sono andati via molto presto..." mentii.
"Sana, sei sicura di fare l'attrice? Non ho creduto neanche per un
millesimo di secondo alle tue parole!" cantò, alzandosi e
portando un'aspirina sul tavolo.
"E' stata colpa di Hayama!"
Con un movimento talmente veloce da rendere difficoltoso seguirla
persino con i miei occhi, mia madre fu accanto a me, con un'espressione
di malizia, e il ventaglio che le copriva le labbra.
"Avete chiarito, voi due?"
"Non farti strane idee. Sto cercando di recuperare il rapporto con lui,
così come con tutti gli altri miei amici. Ma se prima era
più difficile per colpa dei nostri sentimenti, adesso lo
è solo perchè complicato è rimanere amici stando
lontani. Ma sono sicura che ce la farò!"
"I tuoi amici, Akito Hayama compreso, ti vogliono già bene. Non devi riconquistare l'affetto di nessuno, cara."
"Sì, forse. Per tutti sono tornata qui solo per via del
matrimonio di Aya e Tsuyoshi, ma in realtà...in realtà meditavo da prima di
abbandonare per un po' l'America e tornare qui a casa mia. Nessuno di
loro mi ha domandato quando tornerò negli Stati Uniti, forse non
vogliono pensarci...ma io so che non ho voglia di tornare lì,
per adesso. Volevo dirlo a te prima di chiunque altro. Che ne pensi,
mamma?"
Mi osservò per qualche secondo.
"Cara, ho sempre preferito che prendessi le tue scelte da te,
consapevole di doverne poi affrontare anche le conseguenze. Ti ho cresciuta
con questo pensiero, e so che nonostante il comportamento qualche volta
"volutamente" infantile, sei una donna matura. Prendi le scelte in base
a ciò che ti rende più felice.
Felice solo come mia figlia sa essere" asserì, prendendo posto
sulla sedia accanto a me, per poi avvicinarsi con un meraviglioso
abbraccio capace di infondermi benessere e calma.
Dopo quel breve momento, tornai subito guardinga, andando svelta dalla
signora Shimura a chiedere se potesse prepararmi quei suoi famosi
biscotti con le gocce di cioccolato, in modo da portarli a Natsumi.
Salii nuovamente in camera mia, ostinata a cambiarmi d'abito e truccarmi, nel
tentativo di di nascondere quelle occhiaie così determinate, con
una sola destinazione in testa.
Mi ricordai, infatti, delle informazioni che Rei mi aveva fornito sulla
nuova serie de "Il giocattolo dei bambini" che avrebbero girato.
Passare per un saluto mi avrebbe fatto davvero piacere, ed era proprio ciò che avevo intenzione di fare quella mattina.
Presi le chiavi delle macchina, e dopo aver salutato mia madre con un
veloce bacio sulla guancia, sfrecciai verso gli studi televisivi con
tanto di occhiali da sole e copricapo, in modo da non rendermi
facilmente riconoscibile nel caso avessi incontrato qualche paparazzo.
Solo poco prima di scendere dalla macchina mi accorsi che probabilmente
trovarmi nel parcheggio degli studi televisivi non era esattamente un
luogo ideale se l'intenzione fosse non incontrare giornalisti, o farti
scattare qualche foto.
Diedi un ultimo sguardo ai miei capelli, e mi resi conto che un leone
sarebbe stato sicuramente invidioso. Passai le dita tra alcune ciocche,
sperando che questo potesse bastare ma fu tutto inutile. Non mi rimase,
quindi, che sperare perchè non ci fosse nessuno.
"Ehy tu! Ma t-tu sei Sana?" una voce alle mie spalle, a cui cercai
disperatamente di poter abbinare un viso conosciuto, ma la risposta
arrivò quando quell'uomo girò attorno, in modo da vedere
il mio viso.
Ecco che cominciò a scattare qualche fotografia, in cui mi
immaginai già essere apparsa ridicola, dati i movimenti
sgraziati e frettolosi che feci pur di arrivare in quel portone in
fretta.
Fu davvero una soddisfazione quando il buttafuori gli comunicò
che avrebbe dovuto arrestare la sua corsa, permettendomi invece di
rinchiudermi lì dentro. Non potei fare a meno di fargli una
linguaccia, per poi riprendere il mio itinerario.
Sapevo ancora orientarmi bene in quegli studi, sebbene sembrarono
fossero cambiate alcune cose. Lavori di restaurazione avevano,
infatti, reso l'ambiente più grande, più moderno,
luminoso. Era piacevole alla vista.
Arrestai il passo solo dinanzi al set che riconobbi essere quello de
"Il giocattolo dei bambini", sorridendo guardando quei piccoli banchi
dove una volta mi sarei seduta anche io.
"Sana? Non è possibile. Sei davvero tu?"
Mi voltai immediatamente per capire chi sarebbe stato il mio
interlocutore, e passarono solo due secondi prima che corressi verso di
lui, abbracciandolo fino a quasi farlo diventare cianotico.
"Zenjiro! Oh, Zenjiro! E' così bello rivederti!" esclamai, sincera.
"Non sapevo fossi qui, quando sei tornata?" si affrettò a rispondere.
"Solo due o tre giorni fa"
Mi abbracciò di nuovo.
"Ho guardato ogni tuo singolo film, ogni apparizione, ogni intervista.
Meriti davvero il successo che hai avuto." mi rivolse, davanti un
caffè che insistette per offrirmi.
"Grazie, Zen. E tu? Sarai sempre tu a presentare la "nostra" cara trasmissione?" domandai, curiosa.
"Beh, sì. Hanno voluto che fossi io a condurre nuovamente questo
programma, e ne sono stato felice. Anche se il conduttore non è
più bello e affascinante come un tempo..." pronunciò
guardando un punto in alto, toccandosi la barba in modo teatrale.
"Oh, sei sempre affascinante, Zenjiro" dissi sarcasticamente, imitando i suoi gesti melodrammatici di qualche secondo prima.
"Vedo che quella lingua saccente sta ancora al suo posto!" esclamò, divertito e dintamente offeso.
Gli sorrisi.
"Sana, ho appena avuto un'idea! E' fantastico! Che ne dici di fare
qualche puntata de "Il giocattolo dei bambini" con me, come conduttrice
anche tu?"
"Io? Condurre quella trasmissione?" dissi, in tono incredulo.
"Sì, beh, con me" precisò, Zenjiro.
"Oh, mi farebbe tanto piacer...ehm, lasciami prima parlare con il mio
manager" asserii, cambiando radicalmente tono di voce dall'inizio, alla
fine della frase. Nella prima parte allegro e lusingato, moderato e
razionale nella seconda. Parlare con Rei di qualsiasi offerta di lavoro
mi fosse proposta era stata sempre una mia buona abitudine, anche
durante i miei anni a Beverly Hills.
"E vorrei dirti anche che Hiroshi sta cercando una persona famosa che
possa girare una pubblicità per la catena di ristoranti che sta
aprendo tra Giappone e Cina. Mi aveva detto di aver bisogno di qualcuno
abbastanza in vista, ti dispiace se ti indico?"
"Oh, no, mi renderebbe felice aiutarlo!"
"Perfetto, allora dammi pure il numero del tuo agente Rei, in modo da
parlare e accordarmi con lui anche sull'aspetto legale e negoziale"
Annuii decisa, mentre Zenjiro mi passò un pezzo di carta sul
quale scrissi il recapito mio e di Rei. Finii l'ultimo sorso di
caffè, per poi ringraziarlo e salutarlo allegramente.
La mia passeggiata agli studi televisivi continuò serenamente,
incontrando anche Asako, e alcuni ragazzi conosciuti quando con lo show
"Il giocattolo dei bambini" giocavo a fare l'attrice, non rendendomi
conto che sarebbe stato proprio ciò che avrei fatto anche in
età adulta.
Tornai all'uscita, allegra per l'ottimo svolgimento della mattina,
stavolta prestando più accortezza nel guardarmi intorno in cerca
di paparazzi. Sembrava ci fosse via libera.
Presi il cellulare, cercando in rubrica il nome del mio manager, che,
tutt'altro che sorprendentemente, rispose dopo soli tre squilli.
Gli parlai dell'offerta di lavoro che avevo ricevuto, e si
dimostrò davvero felice per quanto mi avessero proposto. Rei
diceva che tornare a girare qualche puntata speciale dello show che mi
aveva lanciata avrebbe dato una buona immagine di me, come una ragazza
che non dimentica le proprie radici, e sinceramente riconoscente. Non
potei che trovarmi d'accordo con tutte le sue parole. Disse anche che
si sarebbe occupato lui dell'organizzazione, quando Zenjiro gli avrebbe
telefonato. Chiusi la conversazione, preparandomi a guidare, dritta
verso casa, in modo da portare con me i biscotti che Natsumi mi aveva
domandato. Guardando l'orologio mi resi conto di quanto avessi fatto
tardi, mentre l'ora di pranzo fosse già passate da qualche giro
di lancette, avevo perso assoluatmente la cognizione del tempo, non che
fosse una cosa nuova per la sottoscritta.
Mangiai velocemente qualcosa fuori, in un ristorante accanto casa, per
poi dirigermi verso essa e prendere tutto ciò che la signora
Shimura mi aveva accuratamente e pazientemente preparato. Scelsi di
andare a piedi, ricordando che casa Hayama fosse solo alla
distanza di qualche passo. Camminare un po' mi avrebbe fatto bene.
Durante il tragitto, presi la scorciatoia verso il parco, trovandomi
senza che davvero l'avessi premeditato proprio dinanzi il gazebo. Quel
gazebo.
Il gazebo che aveva visto nascere quella strana, ma sincera amicizia
tra me e Hayama, spettatore silenzioso anche di tutte le nostre
incomprensioni e successivi chiarimenti. Sorrisi nostalgica, mentre i
pensieri e ricordi arrivavano veloci. Non potei fare a meno di sedere,
anche solo per pochi secondi, su quella panchina, e con le gambe
incrociate, osservare il cielo blu primaverile. Il leggero vento non
fece che giovare al mio umore, noncurante della mia capigliatura
già precedentemente messa a dura prova.
Rammentai quando, qualche anno prima, finsi di essere la madre di
Hayama, per aiutarlo a superare quel dolore che per tutta la sua
infanzia aveva portato con sè. Era stato per me un gesto
semplice, spontaneo, di cui avevo capito l'importanza solo
qualche anno dopo. Rammentai tutte le nostre chiacchierate, e le nostre
litigate, sorridendo amaramente per il tempo e il destino che non aveva
mai avuto nessuna pietà per me, e in particolar modo per lui.
Scossi leggermente la testa, per risvegliarmi da quel torpore, da quel
flusso di coscienza da cui non mi ero riuscita a sottrarre, fermamente
convinta che fossero momenti appartenenti solo ad un passato ormai
inesistente. Ripresi a camminare.
Solo qualche altro metro e mi trovai dinanzi la deliziosa casa Hayama,
che ritrovai essere, almeno all'esterno, esteticamente la medesima.
Bussai con due piccoli pugni alla porta, con un odore di biscotti che
mi stava quasi facendo impazzire. In fondo, era giunta anche l'ora del
thè.
"Kurata. Che ci fai qui?" domandò, in segno di saluto, una testa bionda che conoscevo come me stessa.
"Ciao Hayama. Scusa se mi presento in questo modo, ma questa mattina ha
chiamato tua sorella per incontrarci...pensavo ne fossi a conoscenza"
risposi, ancora con il vassoio in mano.
"Forse non lo ero perchè Natsumi non abita più qui"
disse, rendendo la voce un po' più acuta verso la fine della
frase, facendo assumere una sfumatura beffarda e ovvia alle sue parole.
"Oh, io..avrei dovuto chiedere! Che stupida! Scusami, allora"
"No, sta' tranquilla, vive in una casa vicina a questa. La chiamo e le
dico di venire qui. Entra" mi informò, spostandosi di due passi
indietro per consentirmi di entrare.
Mi presi qualche secondo per guardarlo bene, in quella tenuta
casalinga. Portava un pantalone di una tuta grigia, e una maglia
bianca, leggermente scollata sul collo, che lasciava notare i muscoli
sul petto e torace. I capelli sempre volutamente scombinati, le ciglia
anch'esse chiare a fare da cornice a quegli occhi intensi. Hayama era
diventato davvero un bel ragazzo, era innegabile persino per una
cocciuta come me.
"Stai usando un nuovo profumo, o sento odore di biscotti?"
domandò, guardando con sospetto il piccolo vassoio che avevo
appena posto sul tavolino in salotto.
"Giù le mani, sono per tua sorella" esclamai, arrivando lesta tra lui e ciò che avevo portato.
Alzò gli occhi al cielo, scocciato per l'obbligo che gli avevo imposto.
Si scusò per qualche istante, andando a telefonare alla sorella
per informarla della mia solita sbadataggine. Clichè.
Mi offrì un bicchiere d'acqua, mentre aveva già preparato
la teiera per quando sua sorella sarebbe arrivata. Mi sedetti sul piano
cucina, toccando distrattamente la testa che ancora non desisteva dal
farmi male.
Lo sentii sorridere, in modo scanzonatorio.
"Beh? Che hai da sghignazzare?"
"Mi chiedevo se ti facesse male la testa, data la sbornia che ti sei procurata ieri..."
Credetti di divenire un tutt'uno con i miei capelli, rossa di rabbia com'ero.
"E i tuoi capelli...sembri un pulcino!" continuò, prendendosi gioco di me.
"Hayama, razza di stupido! Avrai sicuramente barato, gettando di nascosto i bicchieri che ti passavo"
"Non ho barato, ho solo vinto" susurrò, beffardo, avvicinandosi poco a me.
"Di nuovo..." aggiunse, successivamente.
Voleva farmi infuriare, era più che evidente. Si divertiva a
farlo, e non tolleravo ammettere che ci stesse anche riuscendo.
"Hai vinto una battaglia, non la guerra, sprovveduto. Ti
batterò!" esclamai, con un pugno chiuso, mentre lui ancora
sorrideva per la mia ultima battuta, forse gli era sembrato che
scherzassi.
Se ne sarebbe reso conto, avrebbe perso, una volta o l'altra.
"Allora...come vanno qui le cose?" domandai, sviando la discussione.
Si poggiò in un punto della cucina accanto a me, con le gambe incrociate, e portando le mani al petto.
"Intendi con la mia famiglia?"
"Sì"
"Beh, normalmente, credo. Mio padre è fuori per lavoro da quasi
tre mesi, nonostante chiami almeno due volte al giorno, mentre
Nat...beh, Nat si è sposata"
"Si è sposata?" gridai, scendendo giù dal piano in uno scatto felino per lo stupore.
"Puoi evitare di starnazzare come una gallina, Kurata?"
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
"Sì, si è sposata, e...ha avuto anche una bambina"
continuò, poco dopo, accertandosi che non decidessi di parlare.
"Cosa?" urlai, nuovamente.
"E io non ne avevo idea! Oh, che maleducata! Non le ho portato nemmeno
un piccolo regalino! E com'è? Somiglia a te? A lei? Al padre? Al
signor Hayama?" chiesi, in un solo respiro, curiosa di quel nuovo
arrivo nella loro famiglia.
Hayama chiuse gli occhi, evidentemente importunato dalle mie piccole urla.
"Ricordami di sbatterti la porta in faccia, la prossima volta che ti
vedrò alla porta di casa mia" si decise a parlare, mantendendo
un'espressione accigliata.
"E rinunciare a questi? So che ti piacciono da impazzire" chiesi,
provocatoria, facendo ondeggiare quei biscotti profumati dinanzi al suo
naso.
"Non mi dispiacciono" mi corresse.
Lasciai cadere quel discorso superficiale, chiedendogli altre
informazioni sulla piccola nipotina che avevo appena scoperto avesse.
"Arriverà a momenti, potrai anche conoscerla da sola" tagliò corto, come al solito.
Giusto il tempo di strozzarlo leggermente incastrandolo nell'incavo del
mio braccio, intimandogli quanto mi facesse innervosire la sua solita
laconicità, per poi sentire il suono del campanello.
Andò ad aprire, liberandosi in pochi secondi dalla mia stretta,
sussurrando un "che seccatura" indirizzato, ovviamente, proprio alla
sottoscritta.
"Ti ho sentito" lo informai.
"Meglio"
Era incredibile quanto quel ragazzo riuscisse a farmi perdere le
staffe. Io non sono un tipo paziente, lo riconosco, ma nessuno, davvero
nessuno, riusciva in così poco tempo.
"Ciao, Nat" salutò sua sorella, con un breve abbraccio, per poi
piegarsi sulle gambe e schioccare un leggero bacio anche a quel piccolo
angioletto biondo.
Vidi Nat correre verso di me, sinecramente felice e gioiosa nel
rivedermi. Parlammo per qualche secondo di quanto ci fossimo mancate, e
del fatto che non perdesse mai di recarsi al cinema quando sapeva
esserci un mio film. Mi accorsi dei capelli, e di quanto li portasse
lunghi adesso. Il fisico fanciullesco era chiaramente andato via, per
lasciare il posto ad un fisico più maturo, più femminile,
seppure fosse in forma smagliante.
Mi presentò la piccola che, per mia sorpresa, corse affermando con quella voce campanellina di conoscermi molto bene.
Mi piegai sulle ginocchia per permettermi di guardarla negli occhi, che sembravano essere di un bel grigio lucente.
"Mi conosci?" chiesi.
"Sì! La mamma mi ha parlato di te, e ho visto anche gli episodi
dello spettacolo che facevi quando eri piccola come me! Sei simpatica!"
"Grazie piccolina, tu invece sei bellissima" le risposi.
"Grazie, zia Sana! E' merito di questo vestito che mi ha regalato il nonno" sussurrò, piroettando.
Mi aveva chiamata "Zia Sana"? Per me fu impossibile evitare che mi si
riscaldasse il cuore. Davvero quella bambina sentiva già
così affetto per me?
"Oh, io non ho portato nulla per te...Colpa dello zio Akito che non mi
ha avvisata" dissi, e subito ci voltammo entrambe verso lui,
comodamente seduto sulla poltrona. Seppure utilizzando due sguardi ben
differenti; in cagnesco io, curiosità e adorazione per la
piccola Koharu.
Poi mi venne in mente un'idea.
"Aspetta, forse qualcosa dovrei avere..." le bisbigliai, cominciando a
frugare nella mia borsa, sotto lo sguardo attento e stuzzicato della
bimba. Quando ebbi tirato fuori la versione in miniatura del mio
piccolo martelletto, sentii Hayama pronunciare un "Oh, no...", mentre
io me la stavo proprio spassando.
"No! non darai quell'oggetto infernale a Koharu! Sia mai dovesse trasformarsi in una stramba come te!" esclamò.
Gli intimai di stare zitto, mentre la piccola prendeva già
confidenza con il piccolo regalino che le avevo dato, colpendo
leggermente il ginocchio dello zio, sotto mio attento consiglio.
Hayama guardò il soffitto, silenziosamente divertito da quella scena.
Così prendemmo il thè tutti insieme, con gli immancabili
biscotti, mentre ascoltavo interessata ciò che era successo a
Natsumi da quando ero partita.
"E così...era un tirocinante che lavorava con tuo padre? Che romantico..." sospirai.
"Sì!" sorrise. "Adesso sono entrambi all'estero, ma dovrebbero
tornare tra qualche giorno. Mio padre sarebbe così contento di
rivederti!"
"Farebbe piacere anche a me!" risposi, sincera.
Lo squillo del suo cellulare interruppe la nostra chiacchierata. Si
scusò per qualche istante, dicendo che si trattasse di una cosa
importante.
Spostai il mio sguardo su Koharu, tutta presa a giocherellare con il nuovo martelletto che le avevo dato. Sorrisi amabilmente.
Impovvisamente la vidi farsi un po' più seria, e guardare sia me che Hayama, che rispondevamo con un'espressione confusa.
"Ehm, io...ho un po' di fame!" tintinnò.
"Hai fame? Hayama cosa possiamo darle da mangiare?" chiesi e mi
ritrovai a domandarmi come un'idiota cosa mangiassero i bambini,
nemmeno fossero creature di un altro universo.
Mi guardò distrattamente. "Dalle uno dei tuoi biscotti, senza andare in paranoie" soffiò, stendendosi sul divano.
"Cosa? No! Ha bisogno di crescere, deve mangiare qualcosa di sano!"
Bisbigliò qualcosa che non riuscii a interpretare, forse qualche maledizione contro di me.
"Non hai nulla di appropriato in frigo?" domandai, alzandomi dalla sedia.
"Qui ci vivo solo io, e mio padre quando è di ritorno dai viaggi d'affari. Non compro cibo per mocciosi"
Feci un verso di disappunto e d'esasperazione.
Gli intimai di alzarsi, per trovare qualcosa da far mangiare a Koharu,
ma sembrò non volesse ascoltarmi. Così, decisi di passare
ai miei vecchi metodi, seppure non ortodossi, facendolo cadere dal
divano, e provocando anche le risate di Koharu.
"Ahi! Ma sei matta?"
"Su, adesso vieni con me in cucina. Dovrai pure avere un po' di frutta!"
Mi seguì, indicandomi un contenitore con delle pesche, mentre
notai anche strane bevande colorate con sali minerali, di quegli
intrugli che utilizzano gli atleti. Mi ricordai della sua passione
verso il Karate.
Tagliai in piccole parti la pesca, e mentre la consegnavo ad Akito,
affinchè potese darlo a Koharu, mi sedetti accanto a lui.
"Non mi hai detto nulla sul karate, Hayama. Come va?"
Sembrò irrigidirsi.
"Ho aperto una palestra mia in cui tengo delle lezioni a bambini e ragazzi" rispose, senza staccare lo sguardo da Koharu.
"Davvero? E' molto bello voler trasmettere una passione a
qualcun'altro" gli riferii, incuriosita da ciò che stesse
dicendo, ma soprattutto ciò che non stesse dicendo.
Finalmente si girò verso di me, sussurrando un debole "Sì".
"A volte, quando qualcuno dei docenti della scuola media prende dei
periodi di assenza dal lavoro, vado anche ad insegnare educazione
fisica" continuò.
"Hayama in una struttura scolastica che insegna, non riuscivo a immaginarlo.
"E tu? Non sei più andato avanti con i gradi?"
"A breve dovrò fare l'esame per il decimo dan cintura nera"
disse, con il solito tono piatto, ma con qualcosa di diverso nel suo
sguardo. Sembrava quasi dovessi tirare le frasi una alla volta, ma ci
avevo fatto l'abitudine. Con Hayama era così.
Hayama era davvero impossibile da decifrare quasi per tutti, se non chi
lo conosceva davvero bene. Era come se come strumento di comunicazione
non utilizzasse mai le labbra, le parole, solo gli occhi, ed era
proprio attraverso quelli, mi roicordai, che tentavo di interpretare i
suoi sentimenti quando eravamo bambini.
"E cos'è che ti turba, allora?" chiesi, consapevole di aver centrato il punto.
Tornò a guardarmi, dapprima sorpreso, incerto, poi rassegnato,
come se si aspettasse che non mi sarei fermata a quella breve frase di
prima.
"Non lo so. E' già la seconda volta che tento questo esame, temo di non poter avere le capacità giuste per farlo"
"Se non sbaglio, lo credevi anche quando eri solo al primo dan, eppure
li hai scalati tutti, perchè hai del talento, e perchè so
che credi in questa arte, esattamente come io credo nella mia. Hai
tutte le carte in regola per poter arrivare al tuo obiettivo" gli
confidai, stringendogli lievemente il braccio.
Mi osservò intensamente per qualche secondo, per poi stringere
la mia mano, ancora poggiata sul suo polso. La breve scossa che
avvertii a quel contatto fu inaspettata e terribilmente scontata al
tempo stesso, talmente scontata che mi arrabbiai con me stessa.
Ci guardammo per qualche secondo, fortunatamente o sfortunatamente interrotti dallo squillo del mio cellulare.
Subito tornammo alle nostre postazioni iniziali, mentre io mi lazai per prendere il telefono lasciato all'interno della borsa.
"Pronto?"
"Sana, sono Rei. Ho ricevuto la telefonata di Zenjiro, accettando per
quelle puntate speciali de "Il giocattolo dei bambini". Dobbiamo solo
andare a firmare."
"Perfetto" dissi, felice.
"E...subito dopo anche Hiroshi ha telefonato, per la pubblicità.
Ho accettato anche quel piccolo spot, e mi ha chiesto un favore."
Non parlai, curiosa di sentire cosa altro volesse dirmi.
"Mi ha chiesto di procurargli delle comparse, solo piccoli ruoli per la
pubblicità nulla di che. Così ho pensato potessi dirlo ad
alcuni dei tuoi amici. Che ne dici?"
Immaginai un Hayama tutto impacciato davanti la cinepresa, e risi senza che Rei potesse capirne il motivo.
"Sana?" mi chiamò, facendomi riprendere dalla mia immaginazione.
"Oh, sì, Rei. Beh, posso chiedere cosa ne pensano.
Sarebbe...interessante!" dissi, quasi cantando, pregustando già
cosa avrei costretto a fare quell'Hayama ancora ignaro.
"D'accordo, ci sentiamo più tardi. Un bacio" riferii, posando il telefono sul tavolo.
Tornai in cucina, dove trovai anche Natsumi.
"Hayama, chiama Aya, Fuka, e Tsuyoshi. Dì di vederci al parco tra mezz'ora. Ho qualcosa di interessante da dirvi."
Mi guardò interrogativo, e fui abile nel riuscire a scorgere
anche una sfumatura di preoccupazione, consapevole di non immaginare
cosa aspettarsi da me.
"Su, sbrigati!" gli ripetei.
"Sana, che cosa ti frulla in testa?"
"Oh, l'idea non è mia, ma sono sicura vi piacerà. Su, ti
aspetto in macchina" riuscii a dire, mentre già riprendevo la
giacca e la borsa, dopo aver salutato Natsumi e la piccola Koharu.
"Tu sei matta, Sana!" esclamò, Fuka.
"Sono d'accordo!" fu la risposta di Tsuyoshi.
"Avanti, ragazzi! Non è nulla di brutto! Dovrete solo essere ripresi per qualche secondo. Per favore!"
"Sì, beh...forse non è così male come idea.
Potrebbe essere divertente!" si contrappose Aya. Finalmente qualcuno
che la potesse pensare come me.
I ragazzi sembrarono pensarci su per qualche secondo. Assaporavo
precocemente il fatto di averlo convinti, con l'aiuto di Aya, mentre
osservavo Hayama, che non aveva proferito alcuna parola.
Lo richiamai.
"Hayama, tu...tu che ne pensi?"
"Dico che non se ne parla nemmeno. Potrai convincere loro, ma non me." mi informò, deciso.
"Su, Hayama!" parlai, mettendomi di fronte a lui.
"No. Odio le telecamere. Non sopporto quegli aggeggi, e quelle persone
strane. Già ho te, e in quanto a stranezze, sei già
sufficiente."
"Sei soltanto accecato dai preconcetti"
"No."
Lo tirai per un braccio, allontanandoci un po' dal resto dei nostri amici.
"Ti ricordi poco fa? Quando ti ho detto di credere nella mia arte,
così come tu credi nella tua? Non dicevo bugie. Ma oltre a
credere in ciò che faccio io, sono tua amica, e credo anche in
ciò che fai tu. Per te non è così?" gli domandai,
parlando d'un fiato, mentre sentivo Aya e Fuka domandarsi a cosa
potesse riferirsi "poco fa".
Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
"Kurata, io...io detesto quelle cose lì, le detesto più o
meno da quando avevo tredici anni" mi rivelò, serio, lasciandomi
intuire un probabile motivo per cui potesse provare tanta antipatia
verso il mondo dello spettacolo. Ma forse era solo uno stupido pensiero
che la mia mente si divertiva a fare arrivare.
Continuai a guardarlo, senza dire alcuna parola.
Sospirò. Un sospiro che suonò come un guerriero in ritirata, arreso.
"D'accordo" pronunciò, scocciato.
Gli sorrisi, uno di quei sorrisi luminosi che a poche persone donavo.
Tornando, successivamente dai miei amici, dissi che saremmo stati tutti
favorevoli, mentre immaginanai di tenere un astratto premio tra le mani.
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Capitolo 5 *** Corsi e ricorsi ***
vhjvgku
"Ah ah, Sana, questa foto è, è..."
"ridicola!" quasi urlò, Fuka, rischiando di versare tutto il
caffè che quella mattina avevamo deciso di prendere insieme, a
causa delle convulsioni delle risa.
Alzai un sopracciglio, seccata.
"Fuka, potresti smettere di infilare il coltello nella piaga? Lo so
già da me" le risposi, con un piccolo tic nervoso alle labbra,
cercando una calma che non mi si addiceva.
"Ma guardala!" esclamò, ancora vittima delle risate, rivolgendosi ad Aya.
Picchiettai in modo nervoso le lucide unghie sul tavolino.
Guardai la mia amica, non ci volle molto prima che riuscissi a notare che stesse utilizzando tutta la forza che possedeva in
quel corpicino per cercare di non ridere anche lei fragorosamente. Lo
sforzo, però, durò solo pochi secondi, fin quando la
gentile Fuka non decise di passarle quel maledetto giornale, per farle
ammirare meglio la foto.
Dannato paparazzo.
"Sana Kurata: follie durante la notte?" era questo il titolo che quello
sprovveduto della testata giornalistica aveva utilizzato, descrivendo
la foto.
"Potreste finire di ridere, voi due? domandai, retorica. Le labbra assottigliate, le mani sotto il mento.
Presero un sospiro, di quelli che fai dopo uno sforzo fisico, per poi decidere in conclusione di tornare serie.
"Ma ti trovavi agli studi televisivi?" chiese, dopo qualche secondo Fuka.
"Sì. Quel fotografo è comparso all'improvviso. Speravo
davvero non fosse riuscito a fare uno scatto decente" risposi,
rassegnata, portando nuovamente la tazzina alle mie labbra.
"Amica mia, devo proprio dirtelo. Sei una sciocca! Speri di non farti
fotografare da nessun paparazzo e ti rechi agli studi televisivi? Nella
tana del lupo?" domandò, in modo sarcastico. Le risate che di
nuovo le facevano capolino.
"Lo so, lo so. Sono un'idiota"
Mi presi qualche secondo per ammirare di nuovo quella fanciulla
ritratta sul giornale. Capelli arruffati, occhiali neri, un'espressione
di sorpresa, mentre era intenta a correre, fuggendo invano
dall'obiettivo. Avevano ragione entrambe le mie amiche. Era davvero
impossibile non ridere.
E così lo feci anche io. Cominciai a ridere indicando quella
ragazza sul giornale, e prendendomi in giro come solo io sapevo fare.
"Comunque, è tutta colpa di Hayama. Devo cercare vendetta" asserii, quando mi fui ripresa.
"Hayama c'entra poco, sei tu che hai voluto fare obbligatoriamente
quella stupida gara di resistenza all'alcool" mi rimproverò Aya.
"Gia', e mentre lui è tornato a casa fresco come una rosa,
tu...beh, tu..." continuò quella che sembrava la sua più
fedele alleata questa mattina.
"Non dirlo. Ho capito, grazie" dissi, secca.
Ed entrambe si portarono le mani alle labbra, incapaci di far morire in gola quelle nuove risate ancora una volta fuori luogo.
Sembrò quasi che le mie tempie avessero ripreso quella strana e
soprannaturale capacità di fumare. Bevvi velocemente l'ultimo
sorso di caffè, mentre scattavo in piedi, con un'espressione
eloquente in viso.
"Sana, non te la sarai presa! Abbiamo detto solo quello che è successo!" esclamò, Fuka.
"Si, però...potremmo anche smettere definitivamente di ridere
adesso, Fuka. Scusaci Sana" riconobbi la parte materna e razionale di
Aya.
"Non fa nulla. Non sono mica arrabbiata con voi! Sto cercando solo di
trovare una vendetta per Hayama" sussurrai, unendo le mani con fare
malefico.
Entrambe sospirarono. Un sospiro di...disappunto? rassegnazione?
Andammo a pagare il conto, dirigendoci tutte verso la cassa. Fu proprio
lì che Aya notò un piccolo volantino, con giostre e
attrazioni raffigurate a scopo illustrativo, in modo da richiamare il
pubblico.
"Ehy, guardate! Hanno deciso di montare un nuovo parco divertimenti!
Sarebbe fantastico fare le montagne russe che piacciono tanto al mio
Tsu!" sospirò, un po' stucchevole, Aya. Inutile dire che io e
Fuka alzammo entrambe gli occhi al cielo.
Quest'ultima le rubò gentilmente il volantino, decisa a guardare con i suoi occhi le immagini e diciture.
"Si, sarebbe proprio divertente. Anche Takaishi le adora, e sarebbe una
buona occasione per vederci, data la distanza..." pensò ad alta
voce."
"Potremmo andarci tutti insieme!" proposi io, con tono entusiasta.
"No, Sana. Ho capito cosa hai in mente" esclamò Fuka, cogliendomi alla sprovvista.
La guardai interrogativa, pensando che potesse bastare. Ma non presi molto tempo prima di chiedere a cosa potesse riferirsi.
"So benissimo perchè vuoi andare lì! Vuoi far salire
Akito su una di quelle giostre, sai bene quanto si spaventi delle
altezze"
La mia espressione passò in qualche secondo attarverso una miriade di
diverse emozione. Passai dalla confusione, al chiarimento, dovuto alla
spiegazione di Fuka, all'illuminato, come quando a qualcuno venga in
mente un idea brillante, per poi finire in uno sguardo malefico e
dispettoso, già eccitato anche solo al pregustare il sapore
della vendetta.
Sia Fuka che Aya si accorsero dei miei rapidi cambiamenti umorali, e si
resero conto di avremi perfino dato loro l'idea. Si diedero un piccolo
colpo sulla fronte.
"Non ci avevo pensato, Fuka. Grazie" dissi piano, sogghignando.
"Sana..." riuscii a sentire solo il mio nome, deformato
dall'esasperazione nel loro tono. Ma ero già uscita dal locale
per capire quali altre sciocchezze avrebbero voluto dirmi in modo da
dissuadermi. Come se non mi conoscessero.
Una volta fuori, Fuka ci salutò immediatamente, disse di dover
tornare a casa per studiare "diritto processuale", e di aspettare anche
una chiamata.
Non ci volle molto prima che sia io che Sugita potessimo dire in modo fintamente dolce e beffardo "Takaishi..."
Gia un po' distante ci riservò tutto l'affetto che una linguaccia possedeva, per poi voltare le spalle.
"Anche io purtroppo devo correre, Sana. Devo andare a lavoro" mi informò, dispiaciuta.
"A scuola?" chiesi, ricevendo in risposta un delicato cenna di assenso.
"Potrei...potrei venire anche io? Mi farebbe così piacere rivedere alcuni professori e quelle mura..."
"Sì, certo, ma sappi che io dovrò stare in aula...purtroppo non potrò tenerti compagnia"
"Non fa nulla. Ci incamminiamo?" domandai, serena ed elettrizzata.
Mi riservò un gesto con la mano, segno di andare, parlammo del più e del meno durante tutto il cammino.
Appena arrivate dinanzi quei cancelli, a cui un tempo avevo fatto
l'abitudine di guardare ogni mattina, o quasi per via del lavoro di
attrice, Aya mi salutò, dandomi un veloce bacio sulla guancia, e
correndo verso i suoi alunni. La guardai andare via, mentre io mi presi
qualche minuto per ammirare quel cortile, qualche minto per ammirare
l'albero secolare, ancora lì dove era sempre stato, ricordandomi
che fosse il solito punto d'incontro tra me e i miei amici. Sorrisi
nostalgicamente.
A volte avrei davvero voluto tornare a quei tempi, ritornare ad essere
la Sana tredicenne, per godermi meglio la vita scolastica, sempre
minacciata e in eterno conflitto con quella lavorativa.
La scuola media doveva essere una tappa, un ricordo per tutte le
persone. Ma per me, per Sana Kurata era un posto che vedevo
rararamente, soprattutto nel periodo antecedente alla mia partenza
verso gli Stati Uniti.
Mi sedetti sul prato, poggiando le spalle su quella quercia, felice per
il leggero vento che mi accarezzava il viso, e il tipico odore di fiori
primaverile.
Tante volte, prima di quel momento, mi chiesi come sarebbe andata. Come
sarebbe andata se non avessi fatto l'attrice, se non avessi stretto
quel patto con mia madre, se avessi frequentato con costanza la scuola
media e superiore, se non fossi mai andata in California. Se non avessi
mai avuto questo carattare così testardo e la naturale
inclinazione ad aiutare le persone accanto a me, se non avessi mai
cercato di farlo anche con Hayama.
Più volte, in America, mi ero interrogata su questo, facendo
anche un necessario e giusto "mea culpa" su ciò che avevo
sbagliato, sebbene gli errori fossero sempre stati il talento di
entrambi.
Mi risposi affermando che eravamo inevitabilmente troppo acerbi per
sopportare un sentimento così importante, troppo piccoli per
portare sulle spalle un macigno così doloroso. Ciò che
era nato dal nostro frequentarci, era la naturale conseguenza che accade
tra uomo e donna, ma aveva finito per sembrarci un ostacolo, e non una
risorsa.
Tornai a guardare la scuola, decidendo che fosse l'ora per una bella
passeggiata tra i suoi corridoi. Incontrai molti vecchi professori,
apparentemente felici di potermi rivedere e salutare di nuovo. Mi
chiesi se si ricordassero di me come loro alunna, o solo come "Sana
Kurata, l'attrice". Tuttavia, pensando alla frequenza scolastica di
quegli anni, non avrei potuto proprio biasimarli. Osservai tutti quei
bambini, intenti a conversare tra di loro, dirigersi verso le loro
classi, stringendo tra le mani i libri che avrebbero duvuto utilizzare
in quell'ora. Riuscii a udire anche qualcuno che sussurrava il mio
nome, avendo riconosciuto chi fossi.
Guardai anche, stavolta
sorridendo, una certa bambina, armata di innaffiatoio, tutta presa
dall'abbeverare quelle poche piante posizionate sul davanzale della
finestra. Ricordai quando fui io ad avere quel compito.
Decisi di scendere nuovamente nel cortile, ero riuscita a scorgere
alcuni bambini concentrati nel correre intorno al campo nella loro
lezione di ed. fisica. era talmente bello poter ricalpestare quel suolo
leggermente sterrato...
Mi poggiai al muretto, decisa a godere quelle voci tintinnanti di bambini, e il sole per qualche minuto.
"Kurata?" una terza voce fuori campo, che certamente non poteva essere
la mia, nè quella dei miei pensieri, mi risvegliò,
facendomi anche sussultare.
"Hayama? Che ci fai qui?" domandai, davvero stupita nel vederlo.
"No. Che ci fai tu qui" probabilmente più sorpreso della sottoscritta.
"Ho deciso di fare una piccola visita alla vecchia scuola, sono venuta con Aya. Ora tocca a te"
"Te l'ho detto giusto ieri, ogni tanto mi chiamano per coprire qualche assenza, e a me sta bene"
Oh, ecco cosa ci faceva lì. In tuta. Con dei ragazzini vicino.
"Un'altro quarto d'ora di campestre, poi faremo qualche piccolo
esercizio" gridò, per permettere a tutti i suoi alunni di
ascoltare le sue parole.
"Oh, non pensavo che parlassi anche di adesso. Comunque mi fa piacere, sembri un bravo insegnante!" gli riferii, sorridendo, non appena tornò a guardarmi.
Non disse nulla, ma quando si parlava di Hayama c'era da aspettarselo. Anzi, per tutta risposta alzò gli occhi al cielo.
"Professor Hayama!" un urlo richiamò subito l'attenzione del mio biondo amico.
"Professor Hayama! Toshi si è appena tagliato con del ferro che
fuoriusciva dalla rete. Le dispiace se lo accompagno in infermeria?"
domandò un bambino dal viso affettuoso, evidentemente
preoccupato per il compagno di classe.
Alzai lo sguardo, cercando di intravedere chi potesse essere questo
Toshi, in modo da verificare se la ferita fosse superficiale o meno, ma
lo trovai seduto solo all'angolo più lontano, volontariamente in
solitudine dal resto del gruppo. Era impegnato a osservare la ferita
sulla mano, cercando di fermare il sangue, ingorando tutti gli altri
ragazzi della sua classe che, preoccupati, gli erano andati vicini.
Vidi Hayama andare velocemente verso di lui, mentre ordinava agli altri
alunni di riprendere la corsa. Gli fui accanto in pochissimi secondi.
"Toshi, fammi un po' vedere che ti sei fatto" disse, con tono severo.
Il moro lo guardava, senza nessun accenno a eseguire ciò che il professore gli aveva chiesto.
"Toshi, sbrigati. Vogliamo solo aiutarti, e quella ferita potrebbe
infettarsi" si affrettò a dire il ragazzo dagli occhi premurosi
di poco prima.
"Non ho bisogno dei pareri, nè dell'aiuto di nessuno"
sentenziò, scandendo bene ogni fonema, per poi alzarsi e andare
verso l'inferemeria. L'amico lo seguì in silenzio, guardando
Hayama in segno di scuse, e di comprensione.
Akito non disse nient'altro.
Non potei fare a meno di pensare a quanto fosse maleducato e arrogante quel bambino. In fondo volevamo solo dargli una mano!
In realtà, riusciva persino a ricordarmi qualcuno.
Stessi occhi duri, stessa espressione vuota, stessa crudeltà nelle parole.
Doveva essersene accorto anche Akito, poichè lo vidi farsi
pensieroso per qualche istante. Fu lui, però, a parlare per
primo.
"Fa sempre così. Si siede quando ordino ai suoi compagni di
correre e corre quando invece gli altri sono fermi o fanno qualche esercizio. Fa
sempre confusione in classe, sentendo parlare altri docenti della
scuola, anche se con me...sembra starsene sempre solo"
Avevo ragione. Le similitudini c'erano tutte.
"Dico sempre a Ryo, quel bambino che hai visto prima, di stargli
vicino, anche quando lo caccia via. Sembra che ne abbia bisogno"
continuò, girando leggermente il busto per guardarmi negli occhi.
Avevamo capito l'uno le riflessioni dell'altro. Non c'era nemmeno la
necessità di comunicarci il pensiero comune che avevamo fatto.
"Pensi ci sia qualcosa dietro? Qualche problema privato?"
"Ne sono convinto" sputò, spostando lo sguardo verso l'infermeria.
"Allora dobbiamo solo saperlo con certezza" dissi, incrociando le braccia sotto il seno.
Mi osservò, circospetto.
"Che hai in mente?" chiese, sospettoso.
"I buoni vecchi metodi Kurata. Ci vediamo al parco all'imbrunire?"
chiesi, con la luce e il fascino dell'indagine mi avevano sempre recato.
Sembrò rifletterci qualche secondo, incerto se impicciarsi delle
faccende altrui o meno. A pensarci bene, Akito non aveva mai mostrato
interesse per le vite altrui, se non quella di quei pochissimi amici
stretti che aveva, ma avevo notato il modo apprensivo che aveva nel
guardarlo. Come se sapesse esattamente le emozioni che quel bambino
provasse, per un esperienza che la vita troppo presto gli aveva
riservato. Tirarlo fuori dall'oblio sarebbe stato come salvarsi anche
lui, di nuovo.
"D'accordo. A più tardi" mi salutò, tornando dai suoi
alunni, mentre io voltavo le spalle, decisa a dirigermi verso casa.
"Ah, ehm, Kurata?" ripretese la mia attenzione. Mi girai per capire cosa avesse da dirmi.
"Evita i tuoi ridicoli costumi alla Sherlock Holmes, come giusto qualche anno fa"
Sorrisi al ricordo.
"E tu assicurati di mettere una cintura, Hayama"
Lo vidi sorridere debolmente, mentre gettavamo un ultima occhiata verso
la porta chiusa che i due bambini si erano lasciati alle spalle.
"Ma devi essere sempre così strana? Posa quella lente d'ingrandimento, Kurata"
"Ma sono un'attrice! Ho bisogno degli strumenti di scena" mi lamentai,
prevendendo già il suo solito sguardo insofferente verso l'alto.
E non mi sbagliai.
"D'accordo, d'accordo...la metto in borsa. Che bambino che sei"
Quasi gridò un sarcastico "dici a me?" indicandosi il torace, ma
io avevo già fatto qualche passo in direzione dell'uscita dal
parco, facendo cadere il discorso con uno dei miei soliti sorrisi.
Gli chiesi se sapessimo dove abitasse quel Toshi, in modo da fare uno
dei miei appostamenti investigativi, ma mi accorsi che mi ebbe
preceduta quando davanti al cancello esterno vidi un bambino, il cui nome credo fosse "Ryo".
Hayama lo salutò velocemente, ripetendo a lui la stessa domanda
che poco prima avevo posto io. Ryo si dimostrò subito ben
disponibile ad aiutare l'amico, indicandoci la strada giusta da
prendere.
Il piccolo studente delle medie stava qualche passo avanti a noi, in un
quasi religioso silenzio che coinvolgeva tutti. Persino me.
Non ci volle molto prima che potesse esclamare di essere giunti dinanzi
la casa verso cui ci muovevamo. Mi presi qualche istante per ammirarla.
Era una bellissima casa, in stile occidentale, con delle vetrate
splendenti e della pietra a delinearne il perimetro. Di sicuro era una
famiglia benestante.
Mi guardai intorno, cercando un posto adatto per nasconderci tutti. Lo
trovai in un cespuglio abbastanza alto, che sembrava essere stato messo
lì proprio per noi.
"Quale sarebbe il piano?" sussurrò Ryo, guardando Hayama.
"Per queste cose rivolgiti alla strana ragazza che ho accanto, non sono io ad eccellere in questo campo"
"Hayama, sta' zitto. Sto pensando"
"Vorresti dire che sei venuta fin qui senza pensare ad una linea d'azione? Sei una sprovveduta, Kurata"
"Kurata?" sentii ripetere a Ryo, sottovoce.
"Lo sprovveduto sei tu! Non credi che potessi anche tu pensare a come
agire? In fondo è un tuo alunno, lo conosci meglio di me"
"Sei una sprovveduta!" ripetè, mentre alla mia voce e alla sua si aggiunse anche quella di Ryo.
"Ma allora sei proprio tu! Credevo che le somigliassi, ma sei Sana Kurata!"
Continuò con una serie di esclamazione su quanto fosse felice di
avermi conosciuta, e di stare addirittura accanto a un'attrice quella
sera. Io e Hayama eravamo troppo impegnati a litigare per curarci
davvero di ciò che stesse dicendo.
Il quadretto, se osservato dall'esterno, doveva essere proprio
divertente. Tre persone appostate dietro un cespuglio con la chiara
intenzione di non farsi notare, se non fosse per le voci, e gli urli
che stavano facendo, ognuno preso dal dire qualche frase diversa
dall'altro.
"Zitti!" ordinò, improvvisamente Hayama, colpendoci
improvvisamente con un martelletto in plastica uguale a quelli che
solitamente utilizzavo io.
"State tutti e due zitti!" ribadì, con il petto che respirava freneticamente.
"Tu! -disse indicando Ryo- Sì, è quella Sana Kurata, e
sì, ce l'hai accanto, respira e vive come te. Non farne una
questione di stato"
"Non è nemmeno tutto questo fenomeno..." aggiunse dopo, a bassa voce, quasi per non farsi sentire.
Avrei ripreso a discutere, ovviamente, ma mi resi conto da me che non fosse davvero
il momento, così, almeno per quel frangente, gli dedicai
soltanto un'occhiataccia in cagnesco.
"E tu! -stavolta indicando me- sei e rimani una sciocca"
terminò, tornando a guardare quella casa. Riuscii quasi a
sentire il battito di un martelletto, di quelli in legno che vengono
utilizzati dai giudici. A pensarci bene anche il piko poteva essere un
degno sostituto.
"Era ora che cominciaste a fare un po' di silenzio!" una voce squillante, nuova ci rimproverò.
Tutti ci girammo verso una sola direzione, cercando di capire chi fosse
stato ad aver aperto bocca, e spiato le nostre discussioni. Una
ragazzina dagli occhi vispi e furbi, con dei leggeri boccoli dorati
sulle spalle e deliziose mollettine ai lati a fermarne alcune ciocche,
fece capolino -o sarebbe meglio dire sbucò fuori- da un arbusto
accanto a quello dove eravamo noi.
"E tu chi sei?" chiese Hayama, indispettito.
"Lei non ha una buona memoria, signor Hayama" rispose sibillina quella graziosa figura.
"Yuki, che...che ci fai qui?" chiese, interrompendo i due, Ryo.
La biondina sembrò avere qualche difficoltà nell'esprimersi.
"Oh, ecco...ehm..."
"Conosco Toshi da quando eravamo solo dei bambini, le nostre famiglie
erano amiche tra loro, e uscivamo spesso tutti insieme.
Però...con il tempo gli adulti si sono persi di vista, e anche
io e Toshi, se non per qualche saluto quando abbiamo scoperto di andare
nella stessa scuola. Da un po' di tempo l'ho visto strano, diverso. E
così..."
"...E così lo stai spiando" dissi, risultando forse severa,
eppure era come se capissi perfettamente le buone intenzioni della
bambina.
Abbassò leggermente il capo.
"Vieni avvicinati pure a noi. Forse avendo conosciuto la sua famiglia,
potresti darci qualche suggerimento..." pronunciai, rivolgendomi verso
Yuki, sebbene guardassi Hayama.
Non ci pensò nemmeno mezzo istante. Subito saltò furtiva
dal suo cespuglio al nostro, rivelando anche una scelta d'abiti che
chiunque, eccetto me, avrebbe certo trovato stramba.
Vidi Hayama picchiarsi leggermente la fronte con la mano destra, non
appena ebbe messo a fuoco quella lente, e quel trench da investigatore
privato.
Sorrisi più silenziosamente che potei, beandomi dell'espressione incredula del mio amico.
"Se voi due siete parenti, in qualunque modo questo possa essere
possibile, ditemelo adesso" asserì, forse ironico, forse no. Con
Hayama non poteva mai essere detto.
Ovviamente non conoscevo quella bambina in nessun modo prima dei minuti
precedenti, ma non potei che convenire con lei sullo spirito che stava
dimostrando e, ovviamente, sui vestiti che indossava.
Yuki non sapeva molto su come fosse la situazione familiare attuale di
Toshi. Da tempo le famiglie avevano smesso di frequentarsi per qualche
anno, incontrandosi nuvamente alle scuole medie e, sebbene lei avesse
continuato a voler bene a Toshi e voler recuperare il rapporto, lui non
si limitava che a rivolgerle un saluto stentato.
Ci informò d'averlo visto diverso rispetto il bambino che
conosceva lei. Le sembrò come se alle medie fosse subito
diventato più chiuso, più riservato, antipatico... e
davvero poco affabile.
Fu quando anche io, come Hayama, tornai a guardare quella casa che
notai un particolare forse non proprio irrilevante. Da quelle stesse
vetrate così belle, e che avevo ammirato solo pochi istanti
prima, riuscii a scorgere due persone, entrambe sulla quarantina
d'anni, litigare in modo animato. Una valigia, un trolley, stava
accanto alla donna.
E poi avvenne tutto in rapida sequenza.
Una porta che sbatte, Toshi che cammina sul vialetto. Attraversa il
cancelletto, sbatte anche quello. Sembra voler andare lontano, eppure
è consapevole di non poterlo neanche fare. Mi soffermai sugli
occhi, sembravano non vedessero nulla che non potessero essere i suoi
pensieri. Occhi talmente vitrei da far dubitare che potessero davvero essere veri. Erano esattamente gli occhi che aveva Hayama
quando io e Tsuyoshi, in una situazione simile, qualche anno prima,
avevamo cercato di scoprire cosa lo angosciasse a tal punto.
"Vorrei tanto non poter più vedervi, nè sentirvi!"
urlò furioso Toshi. Un urlo che parve come se fosse rimasto
soffocato per tempo.
Suggerii a Ryo e Yuki di seguire in silenzio l'amico, in modo da capire quale
fosse la destinazione che avesse in mente, assicurandosi di fingere
poi, d'averlo incontrato per pura casualità. Qualche piccola
parola di consolazione gli avrebbe fatto sicuramente bene, malgrado
fosse prevedibile la sua incapacità di chiedere aiuto.
Entrambi annuirono immediatamente, mentre Yuki già
trascinava per il colletto Ryo, per poi tornare a camminare in silenzio.
"E noi? Noi due che facciamo?" domandò, dopo qualche istante, Hayama.
"Noi andremo a parlare con quei due. Ti presenterai come il professore
di Toshi, e dirai di aver accidentalmente assistito a quanto è
appena successo. Il resto sarà spontaneo"
Dall'espressione concentrata che assunse, capii che stesse studiando il
mio piano, immaginandosi la scena. Si prese qualche secondo prima che
potesse bisbigliare un "Okay, andiamo"
Tre piccoli colpi alla porta diedero l'avviso ai proprietari che ci
fossero visite. Ci volle un tempo brevissimo prima che potessero aprire
entrambi la porta, con fare nervoso, invocando il nome del figlio.
Ovviamente le facce cambiarono totalmente quando si resero conto che
non fossero le mani di chi si aspettavano ad aver colpito la porta.
Cercarono di ricomporsi.
"Desiderate?" domandò piano, la donna.
"Salve, sono Akito Hayama. Professore di vostro figlio Toshi. Ero
venuto qui per parlarvi del comportamento che sta
assumendo a scuola, e ho involontariamente ascoltato le urla di poco fa"
"Oh" esclamarono debolmente entrambi.
"Ehm, entrate pure" disse dopo, in segno di resa, quella che pareva essere la madre di
Toshi, al contrario del marito che non volle dire nulla, limitandosi a
seguirci in salotto.
"Mi dica, professor Hayama. Cos'ha Toshi che non va?" disse, con una
tranquillità fittizia, talmente falsa da rendere sia me che
Akito nervosi. Poteva essere una madre tanto stupida?
"Me lo dica lei, piuttosto" rispose, senza battere ciglio.
Nessuno dava cenno di rispondere a quella domanda. Entrambi, piuttosto, presero a guardare vigliaccamente il pavimento.
"Codardi" sussurrò Hayama.
"Lei, come si permette? Pretende di venire qui e sapere tutto di ciò che
accade nella nostra famiglia! Se ne vada, e si faccia gli affari suoi"
urlò, parlando per la prima volta, il padre.
Akito non si sottrasse nemmeno per un istante allo sguardo di sfida che si stavano scambiando.
"I miei alunni sono affari miei. Soprattutto quando hanno dei genitori
che non sanno essere tali" ringhiò, già in piedi
per poter guardare dall'alto in basso quell'uomo sulla quarantina.
Anche quest'ultimo si alzò, arrivandogli a pochi centimetri.
Sia io che la moglie fummo subito tra di loro, cercando di evitare potessero compiere azioni stupide.
"Fermi!" urlai.
"Ritorni a sedersi, lei!-indicai il padre- Hayama, permetti una piccola
parola?"chiesi, con un tono che non era proprio adatto a una richiesta.
Mi guardò con noncuranza, mentre lo spingevo verso l'angolo della stanza, allontanandoci da quei due.
"Quando ho detto "Il resto sarà spontaneo" non intendevo dovessi
trasformare questa casa in un fight club" sussurrai, allarmata.
"Tu hai i tuoi metodi, Kurata. Io ho i miei"
"Non credo sia solo questo" affermai, secca.
"Cerca di non farti prendere dai ricordi, e non dare per scontato
ciò che giudichi, in fondo non conosciamo nè la loro
storia, nè i loro problemi. So che è difficile, ma non
guardare a tutta questa situazione paragonandola a quella che avevi tu,
con la rabbia che avevi tu. Per favore" dissi, intonando le ultime due parole come in una preghiera.
Il suo sguardo parve irrigidirsi, per poi divenire più tranquillo. Tornammo a sederci.
"Signori, ciò che Hayama vorrebbe dirvi è che Toshi
è un bambino molto solitario. Sembra non voglia avere nessuno
accanto a sè, se non in quei momenti in cui decide di voler fare
confusione in classe. E' così distante che sembra essere sempre
assente, reagisce in malomodo con chiunque gli si avvicini. E'
inevitabile non preoccuparsi stando ad osservare ciò" presi la
parola, ottenendo l'attenzione di tutti.
"Io non ne avevo idea" bisbigliarono entrambi, contemporaneamente.
"Toshi non era così." pensò a voce alta, il padre.
"Ma da qualche tempo...io e suo padre non andiamo affatto d'accordo,
litighiamo di frequente, arrivando anche a mettere di mezzo nostro
figlio e la sua educazione, e persino andarcene di casa."
continuò poi, la donna che gli stava accanto.
"Che banalità" osservò, Hayama.
"Siete talmente presi da voi stessi che non riuscite a prendervi cura
di vostro figlio. Da quanto tempo non andate a una riunione con i
docenti? Da quanto tempo non chiaccherate? Da quanto tempo non guardate
insieme qualche film stupido alla televisione?"
I visi di entrambi si abbassarono.
"Non volete lasciarvi perchè Toshi soffrirebbe? Non credete che
sia peggio adesso? Costretto a continuare ad ascoltare voi e le vostre
supide lamentele?"
Presi io la parola.
"Ascoltate, la famiglia è per un bambino il centro di qualsiasi
cosa. Me lo ricordo bene, perchè anche per me era così.
Mia madre ed il marito si lasciarono, eppure non riesco davvero a
ricordare un momento in cui noi due non siamo state felici, nonostante
potessi, a volte, avvertire la mancanza di un padre. Toshi ha,
fortunatamente, entrambi. Due genitori che lo amano, sebbene
probabilmente non si amino più tra loro. Dov'è il
problema? A lui basterà sicuramente riceverlo. E avere di nuovo
quella tranquillità che ogni bambino merita."
I due si guardarono tra di loro rimuovendo per la prima volta, da
quando io e Hayama avevamo fatto il nostro ingresso in quella casa,
quello scudo di ostilità e tormento.
"Io una madre non l'ho mai avuta. Non faccia in modo che anche per suo
figlio sia così" pronunciò dopo, e totalmente
inaspettatamente per me, Akito. Guardava un punto indefinito nella
parete, lo sguardo un po' perso. Credevo non riuscisse a parlarne, era
sempre stato un argomento chiuso a chiave per lui. Forse era maturato
davvero. Istintivamente gli presi la mano.
"Adesso noi andiamo. Suo figlio in questo momento non è da solo,
ma con due suoi amici, lo riporteranno qui tra qualche minuto.
Prendetevi questo tempo per parlare civilmente, e prendere una
decisione responsabile." li misi al corrente, osservando il sospiro di
sollievo che li investì non appena li informai del figlio.
Un debole "grazie", appena soffiato ma proveniente da entrambi, per poi
lasciarci alle spalle quell'abitazione, speranzosi di aver contribuito
almeno un po' ad aiutare Toshi.
Riprendemmo a camminare, ognuno assorto nelle proprie riflessioni, nessuno che osava prendere parola.
Stavamo così, in silenzio. Ma non per imbarazzo, solo per
rispetto dei pensieri altrui. A dir la verità, era anche
piacevole, non parlare, qualche volta.
"E lasciami! Sei fastidiosa come lo eri da piccola!"
Un piccolo urlo ci svegliò da quella passeggiata, una voce
ancora bianca, ma già sulla via del cambiamento. Entrambi
alzammo poco il capo.
"Sta' zitto, e fammi un sorriso!"
Fu impossibile per me trattenere un sorriso dinanzi la scenetta
adorabile che ci si era preparata davanti. Si trattava proprio di loro
tre, mentre camminavano verso casa di Toshi.
Yuki aveva preso a pizzicare i lati delle labbra del suo amico, nel
tentativo di farle assomigliare allo stesso sorriso che sia io, e
sorprendentemente anche Hayama, avevamo improvvisato.
"Ecco, contenta?" domandò, ironico, il ragazzo.
"Sì!" fu la pronta risposta, detta all'unisono da entrambi i suoi amici.
Un debole "siete insopportabili" di risposta, sussurrato più a se stesso, che agli altri.
"Su, Toshi. Non c'è bisogno che tu mi dica quanto ti faccia
piacere stare qui con me, lo so gia" cantò la bionda,
gesticolando con qualche piccolo svolazzo in aria.
Toshi la guardò per qualche istante, portando in alto entrambe le sopracciglia.
"Diciamo solo...che non mi dispiaci, ecco"
Ci avvicinammo a loro, per poterli salutare.
"Professor Hayama. Che ci fa qui?" chiese, insospettito, Toshi.
"Una passeggiata. Torna a casa, Toshi. I tuoi genitori sono
preoccupati, e vogliono parlare con te." rispose Akito, lasciando
capire cosa ci fosse dietro.
Il moro non parlò, limitandosi solo a guardarci. Solo dopo
qualche secondo il suo volto sembrò addolcirsi, gli occhi
finalmente liberi da quel velo di tristezza e solitudine.
"Ma tu...io ti conosco" disse poi, guardando me.
"Si, beh..." cominciai io, con fare altezzoso, ma ovviamente auto-ironico.
"Tu sei quella della foto con la ridicola espressione che hanno pubblicato stamattina sul giornale"
Cominciai a balbettare e muovermi in modo nervoso, fingendo di non sapere di cosa parlasse. Che bambino impertinente.
"Cosa? Ehm...no! Quale giornale! Ah-ah!"
"Di che giornale parla, Kurata?" le mani di Hayama sulle mie braccia, nel tentativo di fermarmi.
"Io non ne ho id..."
"Questo, signor Hayama" vidi l'espressione maliziosa e vergognosamente
divertita di Toshi, a cui risposi con una infuocata. Mi venne voglia di
picchiare con il piko anche quella testa corvina.
Mi misi una mano tra i capelli, voltandomi per non vedere il solito
ghigno che si sarebbe sicuramente modellato sul volto di Akito.
Una piccola pernacchia, artefatta in modo da sembrare che volesse
soffocare le risate, mi diede conferma di ciò che solo pochi
istanti prima avevo pensato.
"Che espressione ridicola! Sembri un pulcino con quei capelli!"
Mi voltai, per poter infuocare anche Hayama.
Per tutta risposta, non si curò affatto dell'occhiata in
cagnesco che gli avevo rifilato, continuando con i suoi commenti
irritanti. Gli strappai quel giornale di mano, intimando a Toshi e i
suoi amici di dover assolutamente tornare a casa. Mentre io mi
allontanavo, con un passo non proprio aggraziato e quel giornale
stretto al petto.
Hayama, ancora sghignazzante, poco dietro di me.
"Te l'avevo detto, Kurata. Non sfidarmi..."
Avevamo camminato per qualche metro, anzi, quasi marciato, visto il mio passo.
Hayama aveva lasciato che fossi io a indicare la strada giusta,
seguendomi silenziosamente. La strada che intrapresi fu,
insapettatamente anche per me, quella del gazebo. Ci sedemmo senza
bisogno di domandarcelo a vicenda.
"Sta' zitto. Riuscirò a vendicarmi! E ho anche una piccola idea
sul come..." pronunciai, rendendo la mia espressione improvvisamente
degna di un cattivo dei fumetti.
"La cosa che più mi spaventa di te è la capacità
che hai di cambiare assolutamente espressione in pochissimi secondi..."
ghignò.
Mi apprestai a rispondergli per le rime, ma fummo interrotti dallo squillo del suo cellulare.
Harumi.
Poggiai le spalle sulla panchina, in silenzio.
-"Ciao"
-"...Si, scusami. Ho dovuto sbrigare una faccenda"
-"...Ah, già. Il compleanno di tua sorella...mi era passato di mente"
-"...Arrivo subito, a dopo."
Posò il cellulare, rimettendolo nella tasca del suo jeans, mi guardò per qualche secondo.
"Devi andare?" chiesi, io.
Si limitò ad annuire.
"Questo week-end avevamo pensato con Fuka e Aya di andare al nuovo
parco divertimenti. Potremmo andarci tutti insieme, ovviamente anche
Harumi. Che ne dici?"
Sembrò sorpreso.
"Beh...sì, credo di sì. Ne parlerò con lei"
Gli sorrisi.
"Allora ci vediamo!" lo salutai.
"Ciao Kurata" rispose.
"Ah! ehm, Hayama?"
Si voltò.
"E' molto bello quello che hai fatto oggi per Toshi. Se lo ricorderà per sempre"
"Io l'ho fatto. Ho ricordato e ricorderò sempre quando sono
stato io ad essere "salvato"" proferì, con un tono reso
straordinariamente ed inaspettatamente dolce.
Gli risposi con un sorriso, riscaldato dai miei occhi improvvisamente lucidi.
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