Faithful Doubt

di shalalahs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buchanan, James Barnes ***
Capitolo 2: *** Digression ***
Capitolo 3: *** The Science of Living ***
Capitolo 4: *** Ghosts' Stories ***



Capitolo 1
*** Buchanan, James Barnes ***


Parole: 3750

Bucky non è riuscito a restare più a lungo di qualche mese all'interno della camera criogenica. Non è stato il sonno tranquillo che si sarebbe aspettato, dato che ogni mese veniva svegliato per tentare nuove terapie, tutte fallimentari. Tornare sotto stasi, poi, era un piccolo trauma che lo riportava indietro e ne tormentava il sonno finché gli scienziati di T'Challa non lo avessero svegliato. Un loop in cui Bucky scopre non era davvero disposto a ricadere.
Qualche mese fa, Bucky ha scelto di non rientrare nella camera criogenica.
Qualche mese fa, Bucky ha scelto di rischiare che il Soldato d'Inverno potesse riprendere il controllo in ogni istante della sua vita.
Qualche mese fa, Bucky ha scelto che ne sarebbe valsa la pena, se questo significasse guarire.
Fino ad oggi, per Bucky è stata una lotta continua.
Domani, per Bucky è l'incognita più grande.

Ambientato nell'anno 2017.


FAITHFUL DOUBT

James Buchanan “Bucky” Barnes. Barnes, James Buchanan, detto Bucky, alias Soldato d'Inverno. James o Barnes? Barnes o James? Domande e decisioni. Decisioni, decisioni, decisioni. Il corpo sembra reagire in modo violento quando ripete le quattro parole, la psiche ancora peggio. Sarà per questo che la prima volta che lo ha detto ha vomitato l'anima? Ah ah ah, quale anima? – non ha riso davvero, non ha neanche provato a dare intonazione. Avesse saputo come farlo, non l'avrebbe ugualmente fatto. Perciò diciamo solo succhi gastrici. Solo succhi gastrici sembra più appropriato.

Barnes, James Buchanan oggi è al comando della truppa, sembra reggere, ma non sa ancora per quanto. Non molto, in ogni caso. Si è alzato dal letto ed ha riconosciuto Rogers, Steven Grant, detto Steve, alias Capitan America senza troppi problemi, o quantomeno meno dell'ultima volta. Il primo record in mesi – nota mentale che prende voce e forma sulla carta dei suoi quaderni, man mano che li riempie in silenzio. È seduto sul divano dell'appartamento di Rogers, Steven Grant come se fosse casa sua, come se potesse permetterselo. Sbagliato, può permetterselo. La psiche si è appena guadagnata un altro tentativo di alimentare propriamente il corpo, non appena finirà di scrivere. L'abitazione è semplice, difficile da individuare i gusti personali del suo abitante in quanto vuota di ogni soprammobile, od oggetto che potrebbe personalizzare e svelare segreti inappropriati. L'unica cosa che la psiche ha potuto analizzare sono i libri che affollano una delle tre librerie della casa, utilizzata a mo' di parete fra il salotto e l'ingresso. Il divano “piace” alla psiche e al corpo, soprattutto l'angolo destro che forma una L col resto della struttura: è vicino alla finestra, ma non troppo. Uno dei punti ciechi della casa che permette a Barnes, James Buchanan di – fingere di, almeno – sentirsi al sicuro, oltre che capace di controllare una buona fetta di vicinato e dell'appartamento.

Barnes, James Buchanan non ha abiti propri, solo abiti “presi in prestito” da Rogers, Steven Grant. Sbagliato, offerti. Il corpo sembra prediligere abiti comodi e morbidi. La psiche è “contenta” di obbligare, non rifiutando tale capriccio. Il corpo è, inoltre, contraddittorio in certe occasioni: la prima volta che successe, Rogers, Steven Grant ebbe quasi “un infarto” – come aveva detto – per via dello spavento.

La psiche ed il corpo, a volte, sembrano sciogliersi quando Barnes, James Buchanan non riesce a mantenere il controllo su di essi. L'unica cosa che sembra tenerli assieme è l'uniforme dell'HYDRA, fredda e compatta. Così, nel cuore della notte, il corpo si è mosso e la psiche era troppo debole per impedirgli di fare diversamente. Ha indossato l'uniforme e si è seduto in un angolo della stanza di Rogers, Steven Grant, aspettando che l'uomo si svegliasse. Rogers, Steven Grant si svegliò quasi di soprassalto – nota: non agitazione post-incubi, ha notato la psiche, quella era qualcosa di più freddo e controllato – e poi aveva sobbalzato un'altra volta quando i suoi occhi erano caduti sulla figura del Soldato d'Inverno. Barnes, James Buchanan non aveva aperto bocca neanche una volta, quel giorno, fin quando Maximoff, Wanda non era stata introdotta nella stanza per parlargli, assieme a Wilson, Samuel. Barnes, James Buchanan è “grato” che i due siano riusciti a farlo tornare indietro, quel giorno.

Adesso Rogers, Steven Grant sa perfettamente cosa deve fare e come deve farlo quando la psiche ed il corpo perdono contatto con Barnes, James Buchanan. La psiche ed il corpo ne sono “felici”, proprio come Barnes, James Buchanan.

Durante i giorni in cui scrive Rogers, Steven Grant non ha mai cercato di parlargli, né di imporre la propria presenza a Barnes, James Buchanan – proprio come oggi. Una parte della psiche è sollevata: inspiegabile, è un errore ricorrente negli ultimi mesi, ogni qual volta Rogers, Steven Grant sembra agire in tale modo. Così ha formulato un piano d'azione per quando “inspiegabile” diventa una costante ricorrente nella psiche: continuare a fare ciò che voleva fare quando si è alzato, cercando di ignorare qualunque significato nascosto possa celarsi dietro tale parola. Un giorno, forse, chiederà spiegazioni – ma non a Rogers, Steven Grant. Il nome numero uno della lista, fino ad oggi, rimane Romanov, Natasha Alianova, detta Nat, alias Vedova Nera.

Il corpo, d'altro canto, ha una reazione diversa, se non addirittura opposta: due specifici organi si restringono, quali cuore e stomaco. Questo ha necessitato di una spiegazione immediata da parte di Rogers, Steven Grant. Il metodo adottato è stato, a detta della psiche, impreciso e dubbioso. Impreciso in quanto Rogers, Steven Grant non ha mai dato una risposta esaustiva ed esauriente; dubbioso in quanto “non ti preoccupare, Buck, è normale” non rientra nei protocolli generali, men che meno quelli che devono decidere se una minaccia è esistente, od inesistente. La psiche ha deciso di “fidarsi” del giudizio di Rogers, Steven Grant in quanto più esperto in materia di Barnes, James Buchanan.

Nota: Rogers, Steven Grant non si allontana mai del tutto quando Barnes, James Buchanan ha il controllo del corpo e della psiche. Risposta del corpo e della psiche: positiva. Conclusioni riguardo tale comportamento: ammissibile. Barnes, James Buchanan è “contento” della situazione con Rogers, Steven Grant.

— James? — Rogers, Steven Grant vuole intrattenere una conversazione con la psiche, ma non con il corpo. Motivazione: Rogers, Steven Grant rimane a debita distanza dal corpo, ma cerca di richiamare l'attenzione della psiche, in più non utilizza il solito “Bucky” o “Buck” di quando vuole parlare con Barn- Bucky.

Prima parte: inaccurata. Seconda parte: fuorviante. Il corpo si volta comunque, stabilendo un mero contatto visivo e la psiche ignora la seconda parte di prepotenza.

Rogers, Steven Grant acquisisce il contatto visivo, ma attende ugualmente, per controllare se la psiche trasgredirà agli ordini.

Inaccurato. Rogers, Steven Grant non dà ordini, né è affiliato in alcun modo con HYDRA. La psiche non ha ragione di credere che trasgredirà a qualche ordine, parlando.

Rimane in silenzio comunque. Rogers, Steven Grant comincia il discorso esattamente 12 secondi dopo.

— Sam e Wanda hanno gli allenamenti oggi. —

— Puoi andare, la psi-.. posso cavarmela da solo. — la voce del corpo è bassa, quel che basta per coprire la reazione del corpo e della psiche: negativa. — Quanto ci vorrà? —

Rogers, Steven Grant rimane in silenzio per più di 12 secondi, stavolta. Scruta il corpo con diffidenza ed attenzione. Sospetto. La psiche commette il primo errore: interrompe il contatto visivo. Il corpo si volta così che gli occhi possano guardare fuori dalla finestra. Manovra evasiva attuata.

Rogers, Steven Grant sospira.

— Buck. —

No.

— Errore di cognizione. —

Rogers, Steven Grant sospira di nuovo.

— Disdico l'allenamento, ci può pensare qualcun altro. —

Barnes, James Buchanan sta esprimendo forte “disappunto”. La psiche sta “esultando”..? Conflitto d'interessi. Il corpo concorda con Barnes, James Buchanan. La psiche non si arrenede, nonostante l'assenza di prove a supportare la propria tesi. La psiche è molto, molto fastidiosa. Barnes, James Buchanan non sembra essere in grado di ignorarla. Senso di colpa: inspiegabile. La psiche si sta comportando meno razionalmente di quanto avrebbe fatto in precedenza. A Barnes, James Buchanan “manca” la vecchia psiche. Sbagliato, deve essere “felice”, HYDRA non farà più qualcosa del genere, adesso è libero di fare ciò che vuole.

Paura: Barnes, James Buchanan ha “paura”. Informazioni insufficienti per stilare un rapporto preciso e dettagliato. Importanza: nulla. La psiche può ignorare tale elemento, per il momento.

— Sam? Sì, sono io-.. Sì, esatto. Grazie per la comprensione. — Rogers, Steven Grant si è allontanato giusto quel che basta per impedire al corpo di sentire cosa sta rispondendo Wilson, Samuel dall'altro capo della cornetta. Rogers, Steven Grant è a conoscenza dell'udito sviluppato che arriva col siero del supersoldato. Dispettoso, la psiche e Barnes, James Buchanan sono “contrariati”.

— Ecco fatto. —

Rogers, Steven Grant esce dalla stanza e poggia il telefono sul primo mobile che capita, prima di avvicinarsi al divano e sedersi nell'angolo sinistro di esso, le mani rimangono posate rispettivamente sul bracciolo e sulla stoffa di un viola scolorito, quasi grigio, vicino alle sue gambe. Sta fissando il corpo, ma non i suoi occhi, qualcos'altro.

— Cosa stai facendo? — la voce del corpo è roca, bassa, ha un lieve accento russo che non vuole andarsene, Santo Cielo, perché non se ne va? E gli ricorda che conosce molte più lingue di quante pensava di poterne imparare. È graffiata e bassa, proprio come i suoi detentori gli avevano imposto di fare. Il corpo e la psiche non riescono ancora a sfuggire all'imposizione. Rogers, Steven Grant non ne è a conoscenza per ovvie ragioni.

È stato Wilson, Sam a dirglielo. “Non sei da solo, ma forse risolvere qualcosa da solo potrà aiutarti e darti una sicurezza in più,” aveva detto al Soldato d'Inverno. Barnes, James Buchanan gli ha dato retta. La psiche non ha comunicato a nessun altro, neanche alla fonte del suggerimento, di quel problema. Wilson, Sam aveva anche detto che non doveva “preoccuparsi” di farlo subito, che aveva tempo. Perciò sta prendendo tempo. Inaccurato: non si sente ancora in grado di affrontare qualcosa del genere. La psiche e Barnes, James Buchanan hanno “paura”.

Informazioni raccolte: una. Informazioni ancora insufficienti per stilare un rapporto preciso e dettagliato. Importanza: nulla. La psiche può ignorare tale elemento, per il momento. Barnes, James Buchanan non riesce ad ignorare l'elemento, per il momento.

— Posso farti un ritratto? — la risposta di Rogers, Steven Grant non combacia con una risposta, men che meno soddisfa la domanda posta dalla psiche.

La psiche si prende la libertà di riflettere. Barnes, James Buchanan la batte sul tempo.

— No. — la psiche è infastidita. — Ma non hai risposto alla domanda. — la psiche è soddisfatta.

Rogers, Steven Grant sta osservando il corpo e trattenendo un sospiro, ma non è altrettanto bravo a celare il piccolo lampo di tristezza che ne spegne i tratti. Stavolta ricerca e mantiene il contatto visivo col corpo. Il corpo ha una reazione inspiegabile. La psiche non comprende tale reazione. Barnes, James Buchanan sembra “identificarsi” con essa. Forse adesso Barnes, James Buchanan può ritornare ad essere “Bucky”.

— Se rispondo, posso almeno fare una bozza? —

Rogers, Steve è un piccolo stronzetto. Barnes, Bucky lo sa. Il corpo sorride involontariamente, la psiche sa di star nascondendo il disagio. Barnes, Bucky non è bravo ad avere a che fare col disagio.

— Può darsi. — ma è bravo ad essere un piccolo stronzetto, proprio come Rogers, Steve.

Rogers, Steve sorride. No, non è abbastanza. Rogers, Steve sorride. Il corpo, la psiche e Bucky hanno una reazione molto positiva. Il corpo ha di nuovo problemi con il cuore. Lo sente stringersi – non si “preoccupa”. Il corpo cerca di abbinare il sorriso di Rogers, Steve con il proprio.

Rogers, Steve smette di sorridere.

Abortire.

— No, no, no! È okay! — Rogers, Steve agita le mani. Rogers, Steve-.. Steve è agitato, mentre si sporge in direzione del corpo, prima di bloccarsi e fermarsi. La psiche è confusa, nonché infastidita da tale decisione.

Barnes, James Buchanan non apre bocca. In realtà, ci ripensa. — Mi dispia-.. —

— Non devi, davvero. Buck. — il corpo ristabilisce il contatto visivo. — Pensavo che non l'avresti fatto più. Non così presto. —

Bucky fa capolino, fissa Steve con aria scettica ed analitica, trovando solo incoraggiamento disinteressato. Nessuna pressione, un angolo del suo cervello sembra inoltrargli questo friendly reminder. Nessuna pressione.

— Okay. — esala la voce nel solito tono basso, ma stavolta con l'aggiunta timida tipica di chi sta cercando di capire. La psiche sta lottando contro sé stessa.

Steve torna a sorridere, annuendo, prima di allungarsi e sporgere le mani sul tavolino che separa il divano dalla televisione a schermo piatto per poter afferrare il suo sketch pad, con tanto di matita all'interno. Steve abita in una casa abbastanza spaziosa, bella perfino. Ma impersonale. Barnes, Bucky non ha idea come mai Steve non abbia mai trovato niente con cui riempire quella casa, né sembra che la psiche abbia intenzione di fargli sorgere la domanda. Ogni volta che Barnes, Bucky tenta un approccio con Rogers, Steve, la psiche si intromette ricordandogli che non è suo compito fare domande.

Bucky decide di infischiarsene comunque.

— Da quant'è che abiti qui? —

Lo chiede dopo qualche attimo di silenzio ed aver sbirciato – controllato – cosa stesse disegnando Steve. Non Bucky, appunto.

Bucky è contrariato.

Steve si ferma per poter soppesare la domanda, fare qualche calcolo mentale, e infine rispondere con un: — Un anno? — decisamente poco sicuro.

— Se non lo sai te. — ribatte Bucky, il tono è quasi sarcastico. Piccoli passi, ripete il friendly reminder.

Può ancora essere Bucky Barnes. Steve lo ha aiutato a convincersi di ciò. La psiche non ne è altrettanto sicura. Un angolo della sua mente continua a ricordargli che no, no, hanno tolto Bucky Barnes e ci hanno messo qualcos'altro al suo posto. Natasha dice che è normale, che anche lei se l'è ripetuto per così tanto tempo da aver raggiunto un punto di rottura, prima o poi l'avrebbe raggiunto anche Yasha, perché Yasha non è tanto diverso da lei, se non per il tempo trascorso all'interno dell'HYDRA.

A Bucky piace Natasha. Non perché lo ha perdonato seduta stante su quanto avvenuto l'anno scorso – la odia per quello, per aver superato con così facilità l'accaduto ed essersi abituata ad una situazione nuova. La psiche è solo “sollevata” di non vedersi rivolgere altri sguardi diffidenti come è successo con Wilson, Samuel quando Rogers, Steven li ha presentati.

Alla psiche ed al corpo piacerebbe Natasha, se solo Barnes, James Buchanan e Barnes, James e Barnes, Bucky e Bucky e Yasha non avessero dei grossi problemi ad ammettere che Rogers, Steven Grant e Rogers, Steven e Rogers, Steve e Steve e Stevie sono l'unica persona a cui riesce ancora ad avvicinarsi senza rischiare un un malfunzionamento, o “crollo emotivo” come piace definirlo a Wilson, Samuel.

Alla psiche, al corpo e a Bucky piace Natasha entro certi limiti. Precisamente, a non più di tre metri dal corpo. Più precisamente, a non più di tre metri dal corpo e quando non cerca di forzare informazioni scomode all'interno dell'argomento. Natasha “predilige la terapia d'urto”, come gli è stato spiegato da Sam. Sam “preferisce andarci coi piedi di piombo”. Inaccurato, incomprensibile: la psiche è tutt'ora frustrata da una simile affermazione. Non comprende come mai “andarci coi piedi di piombo” equivalga ad “andarci piano”.

Internet è stato utile. Andare contro i protocolli un po' meno. Il corpo non deve avvicinarsi ad un computer se non in caso di necessità. Per esempio: per raccogliere intel fondamentale per il proseguimento e conclusione della missione. Specifica: in caso di contatto con tale materiale, la psiche dovrà interagire e cercare unicamente materiale missione-correlato.

Internet è stato difficile. Tutt'ora la psiche dimentica che i protocolli non sono più in vigore, perciò chiede a Steve se ha il permesso di utilizzare il proprio dispositivo per cercare articoli su internet. Steve ha sempre garantito l'accesso. La psiche poco a poco si è abituata a non dover più chiedere il permesso, per quanto a volte cada in qualche tranello della programmazione.

Informazioni raccolte: Steve è interessato a ciò che Bucky guarda su internet. Steve ha comprato molte cose a Bucky, all'insaputa di Bucky, dopo aver sbirciato cosa stava guardando – sempre dopo aver chiesto il permesso a Bucky di poter guardare. La psiche è sempre stata “felice” di questa scelta comportamentale. Bucky ed il corpo sono stati soggetti a tale felicità in silenzio, senza darne apparente sfogo. La psiche ha sempre troncato di netto il tutto a causa di sensazioni contrastanti. I mostri non dovrebbero essere felici.

Come mai Steve compra regali ai mostri? Bucky e la psiche devono ancora giungere ad una risposta che abbia senso. Che non includa una parte sentimentale nella risposta. Perché Steve lo ripete spesso, molto spesso che vuole “bene” a Bucky. Non solo Bucky, a tutto Bucky. Bucky lo sa, ma non sa mai come rispondere a simili frasi. Steve continua a ripeterle. Bucky ne è “grato”.

I regali di Steve sono dai gusti contrastanti: a volte sono morbidi, altre sono aggressivi. La psiche si sente contrastante. Bucky continua a sbirciare siti e, a sua volta, far sbirciare Steve. Così che Steve possa poi comprargli tutto ciò che vuole. È un compromesso che sembra far felici entrambi. Un compromesso contrastante, ma risolto per il momento.

— Non faccio senso. — aveva detto il corpo mentre si guardava allo specchio. Il pacco di Amazon era appena arrivato, Steve lo aveva porto a Bucky e Bucky lo aveva aperto, tirando fuori la maglietta nera con sopra stampate delle lettere frastagliate che recitavano “F X C K – Y ' A L L” ed un dito medio di sfondo. La maglietta era “aggressiva”, per i gusti di Steve. (A Steve piacciono le magliette aggressive, proprio come a Bucky.) Bucky l'aveva indossata subito, prima di andare a guardarsi allo specchio. Steve lo aveva seguito. Bucky si era dimenticato di star ancora indossando una bandana azzurra, con sopra disegnate delle nuvole più scure, sfumate, stilizzate. La bandana era graziosa, amichevole. (A Bucky piacciono gli oggetti amichevoli, proprio come a Steve.) La psiche lo fece notare. La maglietta era troppo aggressiva, la bandana troppo “amichevole”.

Conflitto d'interessi.

— Che significa? — aveva chiesto Steve.

Il corpo si era indicato, tirando la maglia e poi togliendosi la bandana. Anche la bandana era un regalo di Steve, sempre comprato da qualche sito online.

— Non ci stanno. — aveva spiegato Bucky. La psiche che urlava: informazioni insufficienti, stai dando informazioni insufficienti!

— Sì che ci stanno, solo che devi usarli con altra roba. — Steve vedeva sempre il lato ottimista della questione.

Bucky aveva smesso di rispondere e si era rinchiuso in un silenzio fin troppo lungo. Steve, dopo due giorni, aveva esatto una risposta. Bucky aveva cacciato fuori una delle pagine dei quaderni e gliel'aveva mostrata.

Non so a cosa rinunciare.

Steve aveva detto che lo voleva abbracciare, ma non si era mai mosso. Aveva aspettato che Bucky prendesse la sua decisione e, alla fine, l'aveva rispettata.

— Non troppo stretto. — era l'unica condizione di Bucky.

Steve lo aveva abbracciato, ma Bucky non era riuscito a restituire l'abbraccio. Non del tutto. Continuava a tenersi pronto nel caso sarebbe dovuto sfuggire ad una presa. Quel giorno, Bucky scoprì due cose importanti su di sé. La prima era che il contatto fisico con Steve non era così male od insostenibile come avrebbe creduto. La seconda arrivò direttamente da Steve.

— Non devi rinunciare a niente, Buck. Puoi avere ed essere ciò che vuoi. E se vuoi essere più cose, puoi esserlo. Non devi per forza ridurti ad un'unica cosa. —

Poi, Steve lo aveva lasciato e si era allontanato, lasciando i tre metri di spazio fra sé e Bucky. Bucky ebbe il coraggio di chiedergli di provare ad avvicinarsi solo qualche giorno dopo. Steve accettò di buon grado. Piccoli passi, e dopo qualche mese sentì d'aver fatto più progressi di quanti ne avesse fatti fino a quel punto.

Adesso Bucky può avvicinarsi a Steve proprio mentre sta disegnando senza paura di interromperlo, riesce ad appoggiare il lato sinistro del proprio corpo a quello di Steve e poggiare la testa sulla spalla dell'uomo, riuscendo a godere dell'odore di sapone e shampoo da quattro soldi che l'altro compra sempre – stessa marca di settant'anni fa, solo con un logo più accattivante. Adesso Bucky sa che gli piacciono le cose aggressive perché una parte di sé vuol far capire al mondo che non si lascerà più annullare come aveva permesso di fare all'HYDRA. Adesso Bucky sa che gli piacciono le cose amichevoli perché una parte di sé non vuole più essere visto come uno degli assassini più pericolosi del globo, ma come una semplice persona.

La psiche ed il corpo reagiscono bene quando leggono le parole scritte su uno dei tanti quaderni – uno dei suoi “preferiti”, fra l'altro –, ma la psiche e Barnes, James Buchanan non sono ancora pronti a far leggere a nessuno simili parole.

I suoi quaderni sono suoi. L'unica cosa che sembra appartenergli al giorno d'oggi.

— Non hai risposto alla domanda. — fa eco alle sue parole, senza però spostare la testa dalla spalla di Steve.

Steve smette di disegnare, ma non si volta. Bucky sente un sospiro riempire il silenzio, prima che il corpo di Steve scivoli sotto il proprio, sistemandosi per bene a sedere. La psiche comincia a dare segni di allarme. Il corpo la segue di rimando. Bucky continua a fingere di non essersi accorto di nulla. Bucky ha paura.

Informazioni raccolte: due. Informazioni ancora insufficienti per stilare un rapporto preciso e dettagliato. Importanza: minima. La psiche può ignorare tale elemento, per il momento. La psiche non se la sente di ignorare più tale elemento. Bucky ha l'improvvisa sensazione di star ignorando un elefante nella stanza, ed è proprio davanti a lui.

— Stavo pensando che mi sei mancato. — Steve rompe il flusso di parole e supposizioni che imperversa nella mente di Bucky, facendo scomparire un po' di quella tensione, lentamente, man mano che le parole permeano nel profondo.

Il silenzio si protrae a lungo, troppo a lungo, forse. Il corpo non vuole muoversi, per quanto le domande si affollino sulla punta della lingua, il corpo non si muoverà.

Fin quando Steve non emette un sospiro, almeno. Fin quando, cosa ben più preoccupante, Steve non cerca di alzarsi e di far spostare Bucky di dosso a sé.

— Steve? — chiama la voce del corpo, persa, fin troppo simile a quella di una persona. Inammissibile, il Soldato d'Inverno non è una persona.

Errato. Errato, errato, errato. Errato. Il Soldato d'Inverno era una persona. Il Soldato d'Inverno sarà di nuovo una persona, un giorno.

— Scusami, non avrei dovuto.. —

— Anche tu mi sei mancato. — interrompe Bucky, ignorando le volontà del corpo e della psiche. Silenzio, continuano a ripetergli, in ogni modo possibile.

Steve s'interrompe in blocco. Bucky ha di nuovo paura.

Informazioni raccolte: tre. Informazioni minimamente sufficienti per stilare un rapporto, ma non preciso o dettagliato. Importanza oggettiva: minima. Importanza soggettiva: elevata. La psiche può ignorare tale elemento, per il momento. La psiche e Bucky scelgono di ignorare tale elemento per il bene comune.

Steve gli rivolge un sorriso debole, annuendo con amarezza.

— Adesso ti farai fare questo ritratto? —

Bucky ci riflette su, cogliendo al balzo il cambio di argomento. Fra due disagi, la psiche sceglie quello minore.

— Okay. —


Author's Corner:
Salve a tutti~ è da un po' che non pubblico niente qua sopra e.. well, che dire. Oggi ho avuto lo schiribizzo di scrivere in italiano, quindi ecco qua.
Avverto da subito che non so se e quanti capitoli avrà la storia, né dove voglia andare a parare. Nel caso, i tag aggiuntivi stanno in cima al capitolo, assieme al conteggio delle parole.
I feed on feedback - ba dum tss -, quindi se avete idee/critiche/cose da dirmi, pls commentate che mi fa un piacere assurdo.

Pazzo e chiudo,
Shà <3

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Capitolo 2
*** Digression ***


Parole: 5252
Warning: la storia, da qua, contiene spoilers su Civil War, perciò sconsiglio a chiunque di leggerla, nel caso fosse facilmente infastidito da eventuali spoilers.

 


FAITHFUL DOUBT


Dolore. Tanto dolore. Ricevuto. La psiche non riesce a mantenere la calma che avrebbe dovuto. Barnes, James Buchanan è sveglio, le immagini sono dolorose. Il corpo si contorce, ma le manette lo tengono ben stretto ed immobile. Nessuno libererà il corpo, neanche la psiche, neanche Barnes, James Buchanan. Nessuno.

— Желание. —

Comincia sempre lentamente, fra le fitte di dolore, quando il cervello è troppo distratto da esso per potersi difendere in qualunque altro modo. Impara la lezione e fa le sue associazioni. Una parola, un dolore insopportabile. Una parola e potranno fargli così tanto male da farlo svenire. La psiche ha imparato nel corso degli anni che neanche svenire servirà a molto. Aspetteranno sempre che ritorni in sé, prima di far ripartire la giostra dell'orrore.

— Ржaвый. —

Continuano, nonostante il corpo urli dal dolore e la psiche perda di vista l'allenamento serrato. E si arrende. Urla e molla la presa. Impara la propria lezione.

— Семнадцать. —

Non potrà mai vincere, non contro di loro. La psiche sa che cosa deve fare: deve tenere sotto controllo quella parte del corpo e di sé che continua a riemergere per lottare. Barnes, James Buchanan è ancora lì da qualche parte.

— Рассвет. —

Sta soffrendo con loro, ma esiste ancora, forse esisterà per sempre. La psiche ha imparato ad accettare anche questo: sarà una lotta senza fine per mantenere il controllo. Essa stessa è la propria nemica. Non può fidarsi di sé, mai.

— Печь. —

Perciò ogni anomalia viene riportata. Anche quando sono piccolezze, ha imparato a riportare ogni, minimo dettaglio. Anche il più insignificante. Farà male, ma avrebbe fatto più male se non l'avesse detto. Un giorno i suoi carcerieri riconosceranno la sua lealtà e, anziché dolore, lo premieranno per averli avvertiti, per continuare ad essere dalla loro parte. Anche dopo tutto il male che gli hanno fatto.

— Девять. —

Il corpo sta urlando di nuovo. Fa male. La sedia lo tiene fermo e la psiche non riesce più a controllarlo. Ci sono solo confusione e.. “tradimento”.

— Добросердечный. —

La psiche non è più sicura quale parte valga la pena mantenere. Ma non può essere egoista, va contro i protocolli, il dolore aumenterà se infrange i protocolli.

— Возвращение на родину. —

Eppure non smette. Non riesce a smettere di sperare. Pregare. Senza rendersi conto che il corpo sta lasciando andare tali parole.

— Один. —

Я готов отвечать. Я готов отвечать. Я готов отвечать!

— Грузовой вагон. —

Я ГOТOB OTBEЧATЬ!

Buck.

Una voce irrompe nel silenzio, non parla russo. Americano, la psiche elabora velocemente, nonostante il sollievo del corpo. Il dolore se ne sta andando, la psiche sembra riuscire a pensare con più lucidità. Il corpo sbatte velocemente le palpebre, le iridi che si muovono alla ricerca della fonte sonora. Alla sua destra. Gli occhi trovano una sagoma antropomorfa, in mezzo alle altre familiari: mobili. Un letto.. un comodino, una porta socchiusa.

— Pronto ad ubbidire. — la psiche ed il corpo reagiscono. Deve seguire il protocollo. Nonostante il corpo sia agitato ed il fiato pesante, lo forza a prendere due respiri profondi, deglutire – la gola è secca, disidratazione minima – e calmarlo. La psiche esegue lo stesso processo finché il battito cardiaco smette di assillare le tempie e pulsare come un tamburo da guerra.

La figura davanti al corpo si irrigidisce sotto gli occhi di esso. La psiche lo studia meglio. Maschio, caucasico, corporatura massiccia. Minaccia: medio-alta, informazioni insufficienti sulle capacità del soggetto per effettuare una stima precisa. L'uomo trattiene il respiro e lo rilascia andare lentamente. Nervoso, suggerisce subito la psiche. Sembra nervoso.

— Metti via l'arma, Soldat. — esordisce poi, in un tono autoritario, pronunciando l'ultima parola come se fosse davvero russo.

Il corpo abbassa lo sguardo e la psiche prova “disappunto”, notando come il corpo abbia reagito in assenza di restrizioni: ha estratto uno dei Gerber Yari II. Inammissibile, la psiche esegue l'ordine. Il corpo esegue l'ordine. Barnes, James Buchanan è “dubbioso”. La psiche lo forza ugualmente. Il coltello viene sistemato sulla superficie.. morbida su cui è seduto.

— Quali sono gli ordini? — domanda, l'accento russo forte nella sua voce. La psiche è “insoddisfatta” dall'imperfezione. Il corpo dovrebbe essere in grado di adattarsi ad ogni situazione lo richieda necessario. Se questo carceriere è americano, dovrebbe parlare Inglese alla perfezione.

Il corpo non riesce a correggere l'errore. L'uomo davanti a sé si muove, scomodo, sul.. letto?

La psiche rifiuta di muoversi, il corpo la ignora ugualmente. Confusione crescente quando gli occhi incrociano meglio le sagome di una stanza, una camera da letto immersa nella penombra, rischiarata a tratti dai raggi della luna ed un lampione. La finestra è alle spalle del Soldato, mentre la porta socchiusa si trova sulla parete di fronte, troppo lontana – e, ancora più importante, fra il Soldato e la porta attualmente si trova l'uomo sconosciuto. La finestra è l'unica via d'uscita, ma chissà a che piano si troveranno.

Informazioni insufficienti. La psiche non ha un piano preciso. La psiche sceglie di non scartare l'opzione di fuga principale: la finestra. La psiche sceglie anche di non muoversi subito. La psiche ricorda il protocollo.

Il corpo si forza con uno scatto improvviso, così da tornare a fronteggiare il carceriere. Ed il carceriere sobbalza.

Errore di cognizione.

Nessun carceriere è mai sobbalzato davanti al Soldato. A quest'ora, lo avrebbero già fatto inginocchiare a terra e punito per aver infranto il protocollo. La psiche è “confusa”. Il corpo è teso. Il cuore riprende a martellare come un tamburo di guerra. Fastidioso, la psiche non riesce a concentrarsi, né tanto meno a tenere fermo Barnes, James Buchanan.

Il carceriere prende un altro respiro, esita, prima di parlare.

— Non ci sono ordini, Buck. —

Il corpo e la psiche piombano nel silenzio più totale.

Il carceriere ha un nome. La psiche ne è conscia, anche Barnes, James Buchanan lo sa. Nessuno dei due riesce a tirarlo fuori.

— Errore di co-.. —

— Bucky, sono io, Steve. Sei al sicuro, sei con me. Ti ricordi cos'è successo? — domanda il ca-.. Steve. La psiche non è sicura, ma qualcosa sa di familiare in tali parole.

Come se le avesse già sentite.

— Io.. — mormora il corpo, guardandosi di nuovo attorno. Forse il motivo per cui non è stato punito è questo: è al sicuro, può agire.

Steve non è un carceriere. Steve non è correlato in alcun modo ad HYDRA. Steve. Steve..

— Rogers, Steven Grant? — emette la voce del corpo, meccanica.

— S-sì, sì, sono io. — la voce di Rogers, Steven Grant ha cambiato tono. Speranza, la psiche non ha la benché minima idea da dove sia saltato fuori un tale aggettivo.

— Non ho portato a termine la missione. — è il primo pensiero che la psiche riesce a formulare. Ricorda, adesso, il corpo doveva uccidere Rogers, Steve Grant, alias Capitan America. Il corpo e la psiche hanno fallito per colpa di Barnes, James Buchanan. La missione è stata compromessa. La psiche deve fare rapporto. Deve avvertire i carcerieri che Barnes, James Buchanan ha compromesso la missione. Deve-..

— Non c'è più nessuna missione, Yasha, sei a casa. Non devi più portare a termine nessuna missione. —

Barnes, James Buchanan è di nuovo sveglio. Con un forte sobbalzo. Il corpo si tende e poi rilascia tutta la tensione accumulata. Poco a poco, i ricordi cominciano a riaffiorare. Ed un anno intero di avvenimenti si forza all'interno della psiche, rendendola incapace di pensare qualsiasi cosa, se non cercare di dare ordine e senso all'immensa marea di informazioni perse, chissà dove, solo pochi minuti prima.

— Steve. — chiama il corpo, Bucky, all'improvviso, costretto a poggiare le mani sul materasso per potersi reggere a sedere.

— Sei a casa Buck, sei a casa con me. Sono io. — sente Rogers, Steve ripetergli dopo qualche istante in cui riesce a riprendere possesso del proprio corpo. Gli occhi si spostano sul biondo, guardandolo con aria dispersa, prima che il corpo si inclini appena, scivolando addosso all'altro senza dire niente.

Rogers, Steve s'irrigidisce appena, ma non rifiuta il contatto. Solo quando le mani del corpo gli si avvinghiano attorno ai fianchi Steve si prende la libertà di poggiare le sue contro le spalle del corpo, trasmettendogli calore. Il corpo è più rilassato, per quanto “rilassato” possa essere utilizzato parlando del corpo di Barnes, Bucky.

— Posso abbracciarti? — chiede Rogers. Steve. C'è rispetto nella sua voce, preoccupazione forse.

Bucky annuisce, nascondendo il volto contro la spalla di Steve. La confusione che gli riempie la mente. È sicuro di aver sentito le parole del suo carceriere, ne è più che convinto, non ha mai avuto allucinazioni così vivide e vere in vita sua.

— Cos'è-.. — la voce del corpo si spegne, quando la psiche si rende conto di aver parlato. Un respiro ed un'iniezione di (falso) coraggio. — Cos'è successo? Ho fatto qualcosa? —

Barnes, James Buchanan ha “paura”. Informazioni raccolte: quattro. Barnes, James Buchanan ha paura di molte cose, principalmente correlate alla percezione del mondo ha di sé. Importanza: medio-bassa. La psiche dovrebbe ignorare tale piccolezza e mantenerla tale finché possibile. Barnes, James Buchanan non riesce ad ignorarla. Barnes, James Buchanan vuole solo essere una persona normale. La psiche non glielo permette.

Rogers, Steven Grant scuote la testa. Barnes, James Buchanan è “sollevato”.

— Non ricordi? — il silenzio che segue la domanda di Steve è ovvio, così l'uomo si limita a continuare, passando le mani sulla schiena di Bucky con movimenti circolari, rassicuranti. Caldi. — Wanda ha cercato di rimuovere la sequenza dalla tua mente. Non volevi mettere piede nel laboratorio, nessuno voleva obbligarti. — le mani di Steve sono grandi. Adesso, almeno. Bucky ricorda quando erano piccole, quando poteva ancora tenerle strette fra le proprie, riscaldandole con difficoltà, quando d'inverno non riuscivano a dormire da nessuna parte, se non nella stanza più calda dell'appartamento. — Wanda si è proposta, ma qualcosa è andato storto e sei entrato in.. non lo so neanch'io, ma è stato simile a quando —

Steve s'interrompe. Bucky smette di essere rilassato.

— Quando..? — chiede Bucky, quando ormai il silenzio si è protratto per qualche secondo di troppo e tutto ciò che è riuscito ad ottenere da Steve è stato un sospiro.

— Non è sempre stata un membro degli Avengers. L'abbiamo combattuta qualche anno fa, prima del disastro di Sokovia. Ci ha aiutati a fermare Ultron. — spiega Steve, e Bucky comincia a capire come mai Steve abbia preferito fermarsi. — Non sta a me raccontarti tutto, ma diciamo solo che, beh, ha usato i suoi poteri contro di noi. —

Bucky rimane in silenzio, preferendo discostarsi da Steve e lasciargli spazio. Non sa perché, ma lo fa. Sembra qualcosa di difficile, il discorso che l'altro sta mettendo in piedi.

— La sua manipolazione può funzionare per molte cose, ma fino ad oggi non l'ha mai davvero utilizzata per fare qualcosa del genere. Magari deve solo imparare. —

Bucky storce le labbra. “Manipolazione” non sembra una parola contemplabile nella sua, di mente. Se solo non cominciassero a riaffiorare i ricordi, i pensieri che gli sono sovvenuti poche ore fa, all'interno della hall, assieme a T'Challa, Steve e Sam. Wanda era capitata lì per caso ed aveva sentito “per caso” – a detta sua – il resto della conversazione.

Le mani ce le devono mettere ugualmente, tanto vale che sembri il meno possibile un esperimento di laboratorio, aveva pensato alla proposta della ragazza dall'accento straniero.

Così, contro le aspettative di chiunque, se n'era uscito con un — Okay. —

Un okay che aveva portato il silenzio nella stanza. Tutti, eccetto T'Challa, lo avevano guardato con una tacita domanda nello sguardo. Wanda più per sorpresa e preoccupazione, che confusione e diffidenza.

— Sicuro? — Steve aveva dato voce ai pensieri suoi e di Sam, forse anche quelli di Wanda.

Quando Bucky si era limitato ad annuire, i presenti si erano guardati negli occhi. E T'Challa era stato il primo a rompere il silenzio, avvertendo che lo avrebbero fatto accomodare in un'altra stanza. Senza restrizioni di ogni sorta.

Wanda lo aveva seguito, dicendo che era un'idea nuova, sovvenutale dall'uso che aveva fatto dei suoi poteri sulla pietra di Visione. Aveva promesso che avrebbe rovistato con cautela e rispetto, che se Bucky voleva farla finita, avrebbe solo dovuto pensare alla parola “stop”. Poi, il vuoto lo aveva travolto, quando le spire d'energia rossa lo avevano sfiorato sulla nuca, le dita di Wanda che danzavano una danza macabra, scoordinata, ma stranamente aggraziata a pochi centimetri da essa.

Il vuoto si era tradotto in nero, la sedia su cui era seduto si era tradotta in quella della base in Siberia. Wanda non esisteva, davanti a lui c'erano gli scienziati incaricati di svegliarlo. Sapeva di essere in un'illusione, fin quando la macchina non gli venne calata addosso, nascondendo in parte la sua vita e dando via alle scosse elettriche, rendendolo incapace di far altro, se non ascoltare le parole che gli venivano pronunciate con calma.

Ricorda vagamente la voce di Wanda, preoccupata. Sta scivolando via, sta scivolando via. E poi il silenzio, fino a pochi minuti fa. Fino a quando Steve non lo ha riportato a questo mondo.

— Non lo sapeva. — conclude la voce del corpo in un tono roco, graffiato. La psiche e Bucky non sono arrabbiati, né delusi. Non prova davvero niente, se non sollievo.

— Non so cos'ha visto, ma è rimasta con te tutto il tempo. Ho dovuto condividere la sedia con lei. — risponde Steve. — E Natasha. — aggiunge subito dopo.

Bucky rimane in silenzio per qualche minuto, gli occhi persi nel vuoto a poca distanza dalla sagoma di Steve. Una sensazione di pesantezza lo trascina all'interno di un mare di pensieri vuoti e stagnanti. Wanda ha fatto qualcosa alla sua testa, ma non sente risentimento o tradimento. La sua testa aveva già messo in conto che questo sarebbe successo. C'è solo.. delusione.

Non avrebbe potuto essere così facile, no? Non lo sarebbe stato.

— Dove sono adesso? — domanda invece, sollevando lo sguardo e puntandolo su Steve.

Steve sorride, per quel che riesce a vedere Bucky nella penombra potrebbe essere solo una sua idea. — Dormono, più o meno. — il timbro della voce di Steve conferma tale idea.

Bucky non capisce come mai Steve stia sorridendo.

Bucky opta per limitarsi ad annuire, Steve non sembra accorgersi che il suo sorriso non è ricambiato – dare le spalle all'unica fonte di luce è una buona posizione per evitare che l'altro si accorga di simili piccolezze.

Il silenzio si protrae per qualche minuto, ma nessuno dei due sembra voler dire niente a riguardo. Steve guarda Bucky e Bucky guarda Steve, prima di abbassare gli occhi per ritrovare la propria mano metallica, ora poggiata sul materasso. Sta tormentando un lembo della coperta, con lentezza, passandoci e ripassandoci sopra con le placche metalliche.

Il nuovo braccio è stato l'ennesima incognita nella sua vita. Per quanto avesse scelto l'ibernazione, piuttosto che al restare libero e in attesa delle prossime parole, o situazioni, che avrebbero fatto scattare il Soldato d'Inverno, è stata una scelta che non ha davvero apprezzato fino in fondo.

Il fatto che T'Challa lo avesse fatto uscire dalla camera criogenica perché sperava di aver trovato un metodo per rimuovere la sequenza, esattamente un anno fa, ha fatto sì che Bucky si rendesse conto di quanto svegliarsi col freddo addosso ed il ricordo di lacci che lo stringevano e tenevano fermo fossero una sensazione con cui non voleva aprire gli occhi. Perché avrebbe aperto gli occhi più e più volte, nel corso del tempo, ed avrebbe dovuto fare sempre ritorno alla camera cryogenica, alla fine di ogni seduta. Non si aspettava che gli scienziati di T'Challa avrebbero scoperto facilmente, se non subito, una cura per la sua mente labile. E così non fu, infatti.

La prima volta, tornò nella camera criogenica, riuscendo a darla a bere sia a Steve che a T'Challa. Era riuscito ad ignorare la sensazione di costrizione e forte ansia che gli dava quella cella di vetro e ghiaccio. Il suo cervello non faceva altro che propinargli idee su come questa non fosse altro che un'organizzazione più gentile e rispettosa di HYDRA, ma che alla fine erano in grado di compiere le stesse cose, ora che erano in possesso della tecnologia.

Bucky si addormentò pensando con più forza possibile che Steve non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Perché Steve era l'unica persona – assieme a T'Challa, per quanto il suo cervello escludesse l'uomo per qualche strano motivo, in quel momento – che aveva rinunciato ad una parte della sua identità per poter portare via Bucky dalla base HYDRA in Siberia. Aveva gettato lo scudo a terra e raccolto invece il corpo malridotto e goffo, aiutandolo a camminare e tornare al quinjet.

Bucky si svegliò con quel pensiero ancora piantato nella mente, come un chiodo malamente attaccato. Ed aveva ripetuto il processo per altre due sedute, finché i primi segni di cedimento non avevano cominciato a far insospettire T'Challa. Il Re del Wakanda era una persona perspicace. Forse più di Steve, per certe cose. D'altronde, T'Challa non doveva affrontare una miriade di “se” e “forse” collegati a chissà quale idea Steve avesse del vecchio Bucky, del vero Bucky. T'Challa era interessato a conoscere ed osservare qualunque cosa ci fosse al posto di Bucky ed il Soldato d'Inverno. Qualcosa a metà fra i due, ma mai completamente definita.

Neanche Bucky era riuscito, ai tempi, a capire come a sentirsi più sé stesso.

Così, alla quarta seduta, Bucky aveva passato tutto il tempo ad arrovellarsi su cosa fosse giusto fare e cosa volesse davvero fare con tali convinzioni. Era arrivato a convincersi che la sicurezza degli altri era più importante di un mero capriccio personale, che anche se Steve aveva dato dimostrazione di sapersi difendere contro il Soldato d'Inverno più e più volte, non era detto che un giorno sarebbe arrivato il momento che tale condizione avrebbe cessato di valere.

Si era convinto, sì. Finché non è stato di nuovo scortato da Steve, T'Challa, Sam e tutto il resto del gruppo – Wanda, Clint, Scott e Natasha, per quanto Clint e Scott si fossero allontanati dopo avergli dato una pacca sulla spalla, lasciando Natasha e Wanda ad affiancare Sam. Una volta giunti davanti alla porta del laboratorio, era stato seguito al suo interno solo da Steve e T'Challa, per quanto il Re del Wakanda fosse rimasto in disparte ad osservare gli scienziati lavorare, chiedere entro quanto sarebbero stati pronti e concedere un po' di spazio a Bucky e Steve.

Era perfino riuscito a liberarsi della felpa che gli aveva offerto Steve per tenersi al caldo e guardarsi nel riflesso del vetro, vestito di bianco, con ancora il moncherino del braccio meccanico coperto da una benda nera elastica.

E poi si era irrigidito di colpo, quando il portellone era stato sollevato dai pistoni con un suono sibilante, prima di chetarsi del tutto.

— Tutto okay? — aveva chiesto Steve.

Bucky non aveva risposto. La psiche ed il corpo erano come pietrificati, mentre gli occhi viaggiavano a destra e a manca, notando gli occhi di una delle scienziate sollevarsi e bloccare qualsiasi sequenza stesse inserendo all'interno del programma, qualunque cosa regolasse i sistemi della camera cryogenica.

— Mi dispiace. — aveva cominciato a farneticare Bucky in direzione della donna pochi secondi dopo, giusto quando la pazienza e la preoccupazione di Steve stavano cominciando una a finire e l'altra ad emergere.

— C'è qualcosa che non va? —

La voce di T'Challa lo aveva fatto voltare in sua direzione, deglutendo malamente e facendo una smorfia. Steve era rimasto in silenzio tutto il tempo, guardando i due e restando vicino a Bucky.

— Non — Bucky aveva chiuso gli occhi e trattenuto il respiro. Non sei più là, si era ripetuto. — Non posso. — aveva cacciato fuori con debolezza, tanto che solo Steve era riuscito a capire cos'avesse detto. — Non posso. —

— Hey. — qualunque cosa Steve volesse dire era stata interrotta quando il biondo aveva cercato di toccare la spalla di Bucky.

Bucky si era allontanato di scatto, senza dare modo a Steve di sfiorarlo in alcun modo, lo stomaco contratto e messo a dura prova da un improvviso senso di nausea. Si era scusato di nuovo, ma non poteva. E Steve aveva allontanato le mani, assumendo una posizione non ostile.

La testa di Bucky stava lavorando troppo velocemente. Era perso e concentrato allo stesso modo, i pensieri che correvano ad un miglio al minuto, accelerandone il respiro e gettando solo panico, man mano che pensava che avrebbe dovuto andare di nuovo incontro a tutto il risveglio. Di nuovo e di nuovo e di nuovo.

Aveva paura. Paura che non sarebbe più finito. Paura che non avrebbero più trovato una cura. E allora che senso avrebbe avuto restare rinchiuso là dentro per riavere una vita, quando una vita non l'avrebbe potuta riavere ugualmente?

La psiche era occupata a trovare colorate offese che fossero sinonimo di “egoista”. Bucky era in lotta contro sé stesso.

— Va tutto bene Buck, nessuno vuole farti del male. — aveva rassicurato Steve, guardandolo con attenzione e velata preoccupazione.

Bucky gli aveva creduto.

— Non posso. — aveva ripetuto e poi, subito dopo, aveva corretto il tutto odiando come la sua voce era suonata lagnosa e supplichevole allo stesso tempo. — Non voglio, Steve. — l'astio che sgorgava dalla voce come un fiume in piena.

— Mehret, disattiva la macchina per favore. — aveva interrotto T'Challa, parlando volutamente Inglese per farsi sentire chiaro e tondo da Bucky.

Sia Steve che Bucky si erano voltati ad osservare l'uomo, prima che Bucky adocchiasse la donna che, con un cenno affermativo del capo, si era messa a digitare sulla touchboard.

Pochi istanti ed il portellone era scivolato a posto, le luci si erano spente e la macchina si era chetata, ritornando silente.

La psiche aveva finalmente smesso di infierire su Bucky, ma il senso di colpa non se n'era andato davvero, quando realizzò cos'aveva fatto T'Challa. Solo quando l'altro parlò di nuovo, si sentì ripetere la stessa scusa a voce bassa.

— Non c'è niente di cui tu debba scusarti, Barnes. — aveva interrotto T'Challa, prima di aggiungere qualcosa di ancora più assurdo. — Ti ringrazio. —

Steve aveva espresso, visivamente, tutta la confusione che si era riversata nella testa di Bucky.

— Avevo fatto preparare una stanza da molto tempo, in vista di una simile possibilità. Vorresti vederla? — aveva continuato T'Challa, come se niente fosse successo, come se Steve non gli stesse chiaramente rivolgendo una miriade di domande tacite e silenziose nella speranza di una spiegazione.

Bucky era rimasto interdetto, concentrato sull'uomo, a corto di fiato e ancora titubante. Non era ancora in grado di formulare un discorso ben preciso, non in Inglese almeno. Perciò si limitò ad annuire, dopo aver lanciato un'occhiata dubbiosa a Steve.

Steve, semplicemente, aveva messo da parte la confusione ed aveva annuito un'unica volta, tentando di far sembrare il gesto quanto più incoraggiante possibile.

Almeno, era quello che sperava Bucky.

T'Challa non se l'era fatto ripetere due volte, ma aveva invitato solo Bucky a seguirlo, lasciando a Bucky stesso la decisione se voleva dare modo a Steve di entrare dentro la propria stanza.

Bucky era riuscito a dire di sì fino all'ingresso della porta. Non appena T'Challa gli aveva consegnato la chiave magnetica, l'aveva afferrata e si era rinchiuso all'interno della stanza in silenzio. Per poi scoprire che chiamarla “stanza” era decisamente riduttivo.

Sembrava più un loft, a conti fatti. T'Challa aveva tenuto da parte una delle “stanze” che si affacciavano direttamente sulla vallata del Wakanda, permettendo perfino di scorgere la statua della Pantera Nera situata davanti alla struttura. Eppure, Bucky era stato in grado facilmente di trovare punti ciechi che potessero nasconderlo da occhi esterni, o che si sarebbero potuti rivelare ottimi per nascondersi e cogliere di sorpresa eventuali intrusi provenienti dalla porta d'ingresso.

Aveva passato tutto il pomeriggio a controllare la stanza-che-non-era-davvero-una-stanza. Cimici, telecamere nascoste, qualunque cosa potesse monitorarlo o segnalare la sua posizione all'interno del luogo. Aveva solo trovato i pannelli di controllo dell'aria condizionata, del riscaldamento e probabilmente qualche linea telefonica interna alla struttura, con tanto di legenda per la composizione di determinati numeri, con tanto di elenco di chi occupava quale stanza e quale fosse il suo numero.

Aveva passato la prima parte della serata a memorizzare i numeri e la piantina del loft, nascondendo coltelli presi direttamente dalla cucina in punti strategici e svuotare quasi tutto il guardaroba per poter poi ridere degli abiti che T'Challa – o chiunque avesse incaricato – aveva scelto per lui. Ridere fu quasi shockante, oltre che strano. Non era propriamente una risata ben definita, quando qualcosa di più debole ed accennato. Uno sbuffo.

Finché qualcuno non aveva bussato alla porta.

Finché non si era scoperto camminare in direzione della porta con un coltello nascosto nella manica della felpa di Steve – l'aveva portata con sé, quando erano usciti dal laboratorio, e l'aveva tutt'ora indosso.

— Arrivo. — aveva borbottato, correndo a poggiare il coltello in cucina ed andando a spiare l'ologramma apparso davanti alla porta. Le porte del futuro sono inquietanti, ricorda di aver pensato mentre fissava uno Steve in miniatura, colorato da un'immensa gamma di pixel azzurri.

— Hey. — aveva detto Steve non appena la porta era stata aperta.

— Hey. — aveva ribattuto Bucky, con molta meno gentilezza.

— Non sapevo che T'Challa avesse tenuto una stanza per te. — confessò Steve, forse con quello che potrebbe definirsi rammarico, proprio stampato in volto. — Ti piace? — chiese alla fine, distogliendo l'attenzione da qualunque cosa sembrasse averlo reso pensieroso.

Bucky si era stretto fra le spalle, prima di guardare alle spalle di Steve, controllando che non ci fosse nessun altro.

— Non l'abbiamo ancora detto a nessuno. — anticipò Steve. — Cioè, se.. Insomma, immaginavo volessi dirlo tu, o gestirla da solo-.. Non —

— Grazie. — aveva troncato corto Bucky, suonando molto più scocciato di quanto fosse davvero, ammorbidendo l'espressione quando il volto di Steve si era contratto ancora di più in un'espressione di panico e confusione.

— Okay, allora se — si scharì la voce. — Se hai bisogno di qualcosa, io sto due stanze più in là.. Beh, diciamo anche isolati, questo posto è immenso. —

Bucky era improvvisamente ben conscio di come la parola “carino” si fosse presentata con prepotenza fra i suoi pensieri. Facendolo inciampare mentalmente un paio di volte, prima di sgranare gli occhi e parlare di nuovo.

— Vuoi entrare? —

E quasi gli era sembrato di tornare a respirare, quando Steve si era illuminato, annuendo ed avanzando verso di lui con un “permesso” impastato sulle labbra, troppo basso per essere sentito a grandi distanze. Bucky si era solo scostato, andando a chiudere la porta dietro le proprie spalle dopo aver controllato un'ultima volta che non ci fosse nessuno a spiarlo in lontananza. Come se il posto non fosse pieno di telecamere, nei corridoi.

— Wow. — aveva detto Steve, guardandosi attorno all'interno del salotto.

Ed il salotto era davvero la prima stanza che si vedeva una volta entrati nel loft: uno spazioso open space con una vetrata oscurata, ma che lasciava capire facilmente di come, di giorno, dava modo a chiunque di ammirare il panorama. Un tappeto circolare, grigio antracite, austero e semplice, era disteso sul parquet riscaldato di mogano, tanto che Bucky era libero di camminare scalzo e non sentire neanche un po' di freddo. Era la prima cosa che aveva settato una volta messe le mani sul pannello di controllo della stanza: caldo, sempre e comunque caldo.

Steve si ere avvicinato al divano nero, anch'esso abbastanza grande da permettere a persone così alte di distendercisi sopra senza rimanere rincalzati da qualche parte, o costretti a piegare le ginocchia per incastrarcisi dentro. Davanti ad esso, un tavolino basso, anch'esso di mogano, con sopra un piccolo posacenere di metallo. Sulla parete di destra, un televisore a schermo curvo con sottostante mobile pieno zeppo di libri e DVD. La parete di sinistra era inesistente, per quanto tale funzione era svolta da un'isola-bar con quattro sgabelli sistemati davanti. Separava il salotto dalla cucina, anch'essa richiamante i colori dei muri, dei mobili e del pavimento – grigio chiaro, antracite e nero, assieme al metallo.

— Com'è che a te è capitato il posto più figo? — aveva chiesto Steve, voltandosi a fissare Bucky con aria sorpresa.

— Non lo so, è chiaramente sprecato 'sto posto. — per uno come lui.

Steve aveva riso sommessamente, ma di gusto, infilandosi le mani nelle tasche e lanciando poi un'occhiata alla cucina.

— Hai qualcosa da mangiare là dentro? Io ho ancora degli avanzi di ieri sera, se hai fame e non ti va di cucinare. — aveva avanzato poi, voltandosi ed osservando Bucky.

— Cucinati da chi? Te? — aveva risposto Bucky con aria di scherno.

— Per tua informazione, le mie doti culinarie sono migliorate. —

— Nope. Neanche se lo vedo. —

E così la situazione era diventata più leggera, sopportabile. Quasi divertente. Spensierata.

Adesso è più normale scivolare in simili atteggiamenti, ritrovare la pace e la tranquillità che avevano da piccoli. Per quanto Bucky non la senta davvero come sua, sta imparando a trovare nuovi aspetti del nuovo Steve – e viceversa – da apprezzare e da prendere in giro.

— Vuoi tornare a dormire? — chiede Steve, avvicinando la propria mano alle dita metalliche e sfiorandole con un tocco delicato. I sensori di pressione registrano il tutto minimamente, lanciando un impulso quasi impercettibile.

Bucky ritorna a guardare il biondo davanti a sé. Ricorda di nuovo come mai non si trova nel proprio loft, ma in quello di Steve. La sua testa fa senso di nuovo.

Due giorni fa era stato preda dell'ennesimo attacco di panico, seguito dall'inesorabile bisogno di ritrovare pace ed equilibrio. Il Soldato d'Inverno era l'unica fonte di silenzio e quiete, per quanto fosse ben lontano dalla rappresentazione di pace ed equilibrio.

Steve è stato tutto il giorno con lui, facendolo tornare lentamente in sé, preparando tisane a non finire, mettendo stupidi telefilm e lanciandogli pop corn dalla cucina quando lo vedeva incantato per troppo tempo. Principalmente, Steve si muoveva. Bucky restava immobile sul divano finché le membra non gli si intorpidivano.

Ieri – o forse la stessa mattina? Che ore sono? – aveva deciso di provare di nuovo a togliersi le parole dalla testa. Wanda si era offerta e poi il vuoto.

Steve deve averlo portato in camera da solo, optando per il posto più vicino, dato che trascinare cento e passa chili di super-soldato a peso morto fra le proprie braccia non deve essere esattamente il massimo. E Bucky sa come diventa Steve quando si preoccupa. Non avrà permesso a nessuno di toccarlo o muoverlo.

Bucky ha chiesto a Steve di fare così, quando ha visto che il biondo era della stessa opinione.

Adesso, può solo guardarlo ed annuire, sospirando leggermente.

— Ti ho svegliato? — gli chiede, prima di sistemarsi sul letto, sul proprio cuscino, fissando Steve mentre si distende con lui.

— Per tua fortuna, la mia testa ti ha anticipato di una mezz'ora. — risponde Steve, l'ombra di un sorriso sulle labbra.

Bucky risponde a quel sorriso, per quanto non dica niente, né altro.

— Buona notte, Buck. — lo sente mormorare, prima di accomodarsi sul letto su un fianco, rivolto sempre verso bucky.

— Buona notte, Stevie. —
 


Author's Corner:
Salve! Contro ogni aspettativa, oggi mi è preso l'estro ed ho finito anche il capitolo.
Vorrei scrivere un sacco di cose extra, ma ho un talento pessimo per gestire storie troppo lunghe (senza contare che voglio uppare tutto e subito, al più presto possibile, sigh).
In ogni caso, spero sia piaciuta!
As always, I feed on feedback. Se avete qualcosa da dirmi - che sia anche solo un "AAAAAHH" insensato o cose del genere, commentate pure perché è davvero una delle poche cose che aiutano la mia voglia di scrivere e che non mi danno l'idea di star qui a perdere tempo(?).
Grazie a chi ha messo la storia fra i preferiti ed i seguiti e Aching heart che s'è presa la briga di scrivere la prima recensione (e fangirlare piangere in separata sede con me su Civil War)
Prendete esempio da Aching heart, grazieprego(?)

Now! Passiamo alla parte nerd/ossessionata della fanfiction - perché, diavolo raga, so che suona folle, ma quando le cose vanno fatte per bene, vanno fatte per bene, no?
Per chi ancora si stesse chiedendo cosa significhino le parole in Russo all'inizio della fanfiction, non sono altro che la trigger sequence per annullare Bucky e tirar fuori il Soldato d'Inverno all'interno di Civil War:
- Желание [Zhelaniye] = Appartenenza
- Ржaвый [Rzhavyy] = Arrugginito
- Семнадцать [Semnadtsat'] = Diciassette
- Рассвет [Rassvet] = Alba
- Печь [Pech'] = Fornace
- Девять [Devyat'] = Nove
- Добросердечный [Dobroserdechnyy] = Benigno
- Возвращение на родину [Vozvrashcheniye na rodinu] = Ritorno (a casa)
- Один [Odin] = Uno
- Грузовой вагон [Gruzovoy vagon] = Vagone merci

Ed ecco, invece, anche quello che risponde Bucky in Russo:
- Я готов отвечать [Ya gotov otvechat'] = Pronto ad ubbidire
Mentre invece, quando Steve lo chiama Soldat altri non è che la pronuncia Russa di soldato (солдат).

Pazzo e chiudo,
Shà <3

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Capitolo 3
*** The Science of Living ***


Parole: 7728
Warnings: linguaggio forte, gore appena descritto.


FAITHFUL DOUBT


Il corpo apre gli occhi. È mattina presto, ma abbastanza tardi perché le prime luci dell'alba. Accanto a sé, la sagoma di Steve è coperta da un solo lenzuolo sottile, ancora addormentato. Steve sembra un uomo grande e grosso, ma la verità è che un angolo della mente di Bucky, quella malinconica e nostalgica del vecchio sé, riconosce ancora i tratti del ragazzino secco e magrolino dalla salute troppo cagionevole. Lo stesso modo in cui dorme gli ricorda di come erano soliti addormentarsi sul divano disfatto, in mezzo alle coperte, vicini quanto più possibili all'unica fonte di calore che potevano trovare durante l'inverno – oltre a sé stessi.

Steve sembra un uomo, ma la verità è che quando dorme sembra un bambino, raggomitolato nelle coperte, pronto ad invadere anche il posto di Bucky non appena si renderà conto di avere più spazio per potersi allargare e muovere.

Bucky sceglie di non svegliarlo.

Si alza con lentezza, scivolando giù dal materasso e poggiando i piedi nudi sul parquet riscaldato dell'appartamento. Steve tiene sempre il riscaldamento acceso quando Bucky passa del tempo da lui. Bucky sospetta che abbia spiato una volta di troppo quando lo ha invitato, perché la temperatura impostata è la stessa che ha lui nel proprio loft.

Si sofferma solo per togliere la sveglia, sia sua che di Steve, disattivandola per un giorno ed incamminandosi fuori dalla stanza. Il corridoio porta in due direzioni separate: un ripostiglio ed un bagno da favola a sinistra, la cucina ed il salotto a destra. Bucky svolta a sinistra, infilandosi in bagno ed accendendo le luci, prima di cominciare a spogliarsi e girare la manopola dell'acqua, impostando la temperatura ed aspettando quei pochi minuti per permettere all'acqua di riscaldarsi.

Lo sguardo evita con accuratezza lo specchio mentre poggia i vestiti sulla toilette, tornando a voltarsi in direzione di esso e prendendo un respiro profondo. Solleva lo sguardo ed eccolo lì, un estraneo che lo sta fissando con aria vuota, quasi apatica. I tratti del volto sono affilati e marcati, duri, proprio come quelli del padre che ricorda a malapena. La mascella è squadrata, disegnata da una linea forte, ed anche coperta di barba incolta di qualche giorno. Gli zigomi alti e delineati infossano le guance quel che basta da sottolineare la struttura ossea del volto. I capelli sono un disastro: racchiusi in una coda sfatta, vedono ciuffi scappare a destra e a manca, mentre il cipollotto è racchiuso malamente fra due giri d'elastico nero. Solo gli occhi risaltano, in mezzo a tutte le tonalità scure ed il pallore della pelle. Grandi ed azzurri, sono forse l'unica cosa che ricordava di avere con certezza. Sempre stati così, dalle sopracciglia folte e lunghe, scure, ad incorniciare un paio di pupille azzurro-grigio come il cielo.

Lo sconosciuto lo sta fissando con attenzione, esaminando ogni centimetro di pelle, abbassando gli occhi sul braccio meccanico che gli si fonde alla carne lacerata, frutto di ripetuti esperimenti e tentativi all'interno dei laboratori HYDRA. Sono dei flash minimali, ma ricorda di aver avuto un moncherino più accentuato, più lungo. Sicuramente non aveva perso fino alla spalla. Eppure, ogni volta che era cosciente, il braccio era sempre più corto. Cristo, si era perfino svegliato nel bel mezzo di una delle operazioni, proprio mentre gli stavano segando la pelle e l'osso.

Ci sono voluti anni per ottenere il braccio definitivo, quello che Stark ha disintegrato con uno schiocco di dita. Anni di protesi che rovinavano l'osso e creavano problemi, che lo vedevano finire ogni volta sotto ai ferri, facendosi togliere pezzo per pezzo il braccio, finché non capirono che era inutile attaccarlo all'osso troncato, che sarebbe stato meglio rimpiazzare parte dello scheletro ed attaccarci direttamente una protesi che partisse direttamente dalla spalla e, perché no, ricostruisse perfino parte del torace e della spalla.

Il corpo gli è andato a fuoco per giorni, dopo tutta la serie di iniezioni, operazioni, mutilazioni.

E Stark lo ha disintegrato.

Hanno dovuto aspettare settimane prima che Bucky decidesse di farsi toccare da qualcuno degli scienziati, solo per vedere, solo per controllare. Mesi per convincerlo a farsi addormentare e farsi mettere su un lettino d'ospedale, in mezzo ad una sala operatoria un po' meno inquietante di quella HYDRA.

Il braccio, adesso, è fatto completamente di vibranio. Non era sicuro di volerlo, ma T'Challa aveva insistito e Steve sembrava tutt'altro che scontento di un possibile braccio indistruttibile.

Bucky vorrebbe solo riavere il proprio braccio. Quello vero, in carne ed ossa. Non.. questo.

Aveva guardato i prototipi con aria scettica, quel giorno, prima che la nausea arrivasse e lui fosse improvvisamente costretto a sgusciare via dal laboratorio, rinchiudendosi per l'ennesima volta nel proprio loft.

L'acqua è calda quando si posiziona sotto il getto, tenendo la testa bassa e socchiudendo le palpebre e tenendole chiuse tutto il tempo. Preferisce ancora la vasca da bagno, ma non ha così tanto tempo a disposizione stamattina, non se vuole davvero incontrare T'Challa e la sua equip di scienziati che stanno curando la sua protesi. Ha rimandato questo giorno già abbastanza e non vuole rischiare qualche malfunzionamento.

Datti una calmata, Barnes, si ripete mentalmente, man mano che l'acqua gli picchietta addosso, risvegliando brividi e vecchie sensazioni di quando veniva – se veniva – lavato con un getto d'acqua tiepida, ma che finiva sempre per essere fredda per quando avevano finito di pulirlo. E se le prime volte era rinchiuso in una gabbia, incapace di nascondersi dietro niente, se non aderire con quante più parti del corpo possibili, il tutto è andato peggiorando, quando hanno cominciato ad usare i guinzagli per i cani o le bestie rabbiose, tenendo il manico di metallo lontano dal carceriere per permettergli di strattonarlo e voltarlo su sé stesso, quando un fianco era stato pulito.

Più lottava, più impiegavano contromisure dolorose, sempre più difficili da evadere e contrastare. Più lottava, più perdeva di vista il motivo per cui stesse lottando. Finché non ha smesso di lottare, lentamente.

Riesce a tornare in sé prima di distruggere l'ennesimo muro – sarebbe il terzo, questo mese – con il proprio braccio di vibranio, nuovo di zecca. La rabbia brucia, proprio come il fallimento e l'irrazionale idea di essere stato un codardo ed un debole, per essersi arreso ed aver permesso a così tante persone di spezzarlo e rimetterlo assieme come più faceva loro comodo.

Almeno adesso è cosciente del fatto che un sentimento del genere è irrazionale. Almeno adesso riesce a fermarsi e capire che non aveva molte altre scelte, se voleva sopravvivere.

Nonostante ciò, si sente debole. Un nervo scoperto che ha solo bisogno del giusto tocco per contrarsi e reagire proprio come si vuole. Un burattino nelle mani maldestre di un creatore sadico e privo di empatia verso il prossimo.

Il cellulare vibra dentro la tasca dei pantaloni, poco più in là nella stanza. Bucky riesce a sgusciare via dal loop di pensieri, girando la manopola della doccia ed imprecando quando le dita deformano il metallo. Tre oggetti rotti in un mese, T'Challa sarà così felice di dover buttare via altri soldi, sempre che qualcuno sceglierà di dirglielo. Bucky non ha intenzione di avvertirlo, ma ha già preso la decisione che convincerà Steve a fare lo stesso.

Afferra l'accappatoio, asciugandosi prima di tutto le mani, prima di camminare scalzo in direzione della pila di abiti, afferrando il telefono e notando la sveglia secondaria che aveva inserito. Ricordati del fottuto lab, Barnes, lampeggia sul display, prima che il pollice in carne prema il touchscreen, spegnendo la sveglia. Storce le labbra, poggiando il cellulare su un angolo disponibile della toilette, così da non rischiare di dimenticarselo.

— Fottuta tecnologia. — bofonchia man mano che si asciuga i capelli ed il resto del corpo, fissando storto la manopola deformata e, subito dopo, il proprio braccio, non riuscendo a fare a meno di roteare le iridi al soffitto e sbuffare in un attimo di esasperazione.

Certe volte vorrebbe avere solo un braccio normale. Meccanico, sì, ma che non rischi di disfare qualunque cosa che tocca solo perché non è ancora abituato ai nuovi sensori di pressione, o a dosare la propria forza. L'unico lato positivo? T'Challa ha avuto l'accortezza di far installare un regolatore termico, così da non far diventare le lame metalliche schifosamente calde dopo una giornata passata sotto il sole cocente, ma neanche fredde come la morte durante l'inverno, evitando sia a Bucky che Steve brutti risvegli per contatti casuali e tutt'altro che volutamente fastidiosi.

Ciò non toglie che Bucky abbia completo accesso su tale “aggeggio”, come ormai ha preso a chiamare tutto ciò che c'è di tecnologico, e lo disinstalli regolarmente per poter far prendere qualche colpo a Steve, quando ha la forza ed il coraggio di avvicinarsi e toccarlo con fare scherzoso, senza aver paura che rischierà di rompergli l'osso del collo – o almeno provarci – per via della programmazione del Soldato d'Inverno.

Rientrando nella stanza di Steve si ferma per qualche istante a fissare la sagoma dell'uomo massiccio e muscoloso, ora disteso sulla propria pancia e in procinto di stritolare il cuscino fra un paio di braccia fin troppo grandi, che non coincidono decisamente col ricordo che ha del suo Steve.

La prima volta che ha ricordato, c'è quasi rimasto male. Non che abbia avuto molto altro tempo, poi, se non per correre verso uno dei propri quaderni, aprirlo e scrivere in fretta e furia ciò che aveva appena ricordato. Finché il pensiero non gli era scivolato dalla mente, come se si fosse appena svegliato da un sogno, lasciandolo con una frase completata a metà e nessuna fine o senso logico da conferirle. Quando se ne rese conto, ruppe il tavolino di legno che aveva comprato con i pochi risparmi messi da parte, raccolti facendo piccoli lavori part-time e per diverse persone, lavori che lo avrebbero tenuto lontano dalle persone.

La seconda volta che ha ricordato, fu quando Steve gli chiese con quale dei due “Bucky” stesse parlando. E, seppure la bile e l'amaro avessero deciso di rovinargli la salivazione, si era trattenuto dal rispondere “tu che dici? Quanti Bucky conosci oltre a me?” e ridere in faccia a Sam per la faccia che avrebbe fatto.. o per la battuta che avrebbe rifilato. Beh, non che Sam non lo abbia fatto.

La terza volta risale a qualche settimana fa, mentre Steve cucinava e lui guardava la televisione. Fu più un flash, che un vero e proprio ricordo, ma di punto in bianco si voltò e gli occhi gli caddero sulla linea dei glutei di Steve, costringendolo ad esclamare un — Steve! — e far voltare di conseguenza il biondo.

— Che succede? — Steve aveva chiaramente frainteso la natura dell'esclamazione, mettendo subito su la sua faccia preoccupata e guardandosi attorno.

— Il tuo culo! Il siero ti ha dato un culo nuovo di zecca! — aveva risposto Bucky, prima di scoppiare a ridere e buttarsi a schiena in giù sul divano.

Quella fu una delle poche volte in cui rise.

Quella fu anche una delle poche volte in cui Steve scoppiò in una crisi isterica, fra pianti e risate, costringendo Bucky ad andare da lui ed abbracciarlo, prima di unirsi all'isteria e piangere come una vite tagliata.

Natasha li aveva trovati così dopo aver aperto la porta d'ingresso all'appartamento di Steve, richiudendola dopo qualche istante e tornando a bussare dieci minuti dopo, dando tempo a Steve e Bucky di riottenere un certo equilibrio.

Natasha, da quel giorno, bussa sempre alla loro porta, prima di entrare. Che siano soli o assieme.

Bucky azzarda un piccolo sorriso, prima di voltarsi e far scorrere l'anta dell'armadio. Steve ha richiesto esplicitamente un armadio piccolo – per quanto “piccolo” sia inappropriato, dato che l'idea di “piccolo” deve essere “medio-grande” nella mentalità del Re del Wakanda. Non è una cabina-armadio, ma poco ci manca, dato che Bucky potrebbe entrarci comodamente dentro e non batterci la testa, o girare su sé stesso.

Nonostante abbia un'anta tutta sua, ruba sempre alcuni vestiti a Steve. Oggi non è diverso. Oggi è anche uno dei Friendly!Bucky Days, dato che opta per una felpa grigio chiaro, con una stampa blu scuro sulla schiena, qualcosa a proposito di chissà quale Università delle Belle Arti, borbottando l'ennesimo “Tipico, Steve, molto tipico” fra sé e sé, infilandosi prima una canottiera bianca e poi la felpa, lasciando la zip aperta ed il cappuccio sulla schiena. I pantaloni del pigiama vengono rimpiazzati da un paio di sweaters neri, comodi e morbidi, per poi infilarsi un paio di calzini ed avviarsi fuori dalla stanza.

Si affaccia in bagno solo per prendere uno dei suoi elastici, così da poter raccogliere i capelli sulla nuca, in un codino lento e disfatto.

Infine, il tocco di classe: i suoi anfibi preferiti, coi quali non esce quasi mai.

Reprime l'istinto di far scivolare un coltello in una delle tasche, socchiudendo le palpebre e riportando il braccio al proprio fianco, man mano che afferra la propria chiave magnetica – aggiornata coi permessi per aprire anche la porta di Steve – e controlla di avere il cellulare in tasca. A volte si dimentica di fare il cambio delle tasche, quando si cambia. Ma i coltelli non li dimentica mai. Sia mai che si dimentichi di portare con sé un coltello, dovesse anche soltanto andare a mangiare fuori con Natasha, o Sam.


[…]

 

— Come va il nuovo braccio? —

La voce di T'Challa è sempre calma e controllata quando parla con Bucky. Più di una volta il moro si è trovato a pensare che il Re del Wakanda assomigliasse davvero ad un gatto, in certi modi di fare ed esprimersi.

Il registro alto e la scelta accurata di ogni parole, accompagnati dalla carezza delicata della sua voce, gli hanno sempre fatto pensare di trovarsi davvero davanti ad una sorta di felino gigante, col quale non è saggio scherzare. E, non per scherzare, ne ha davvero avuto prova e dimostrazione pratica, durante il loro inconveniente iniziale.

Bucky pensava che si sarebbe fidato con difficoltà di T'Challa, ma la realtà dei fatti è che Steve gli ha raccontato cosa l'uomo era disposto a fare per loro, pur di rimediare agli errori ed alle scelte compiute in preda alla rabbia.

— Leggero. — osserva Bucky, spogliato della propria felpa. — Molto più leggero. — mentre tira su e giù il bicipite, permettendo agli scienziati di testare la risposta agli impulsi nervosi da parte delle fibre. — E decisamente forte. — gli occhi azzurri che si spostano in quelli neri dell'uomo.

— Sì, i muri dell'ala Est concordano con te. —

Bucky chiude le palpebre ed abbassa la testa, reprimendo il bisogno di sorridere a quella frecciatina.

— Stiamo lavorando per installare un blocco regolabile, così non dovrai preoccuparti di rompere niente quando sei sovrappensiero. — aggiunge la donna di colore al suo fianco, occhi fissi sullo schermo ed aria concentrata, professionale.

Nessuno lo ha mai trattato diversamente, da quando ha rifiutato la camera cryogenica. Nessuno si è comportato diversamente o lo ha guardato in modo diverso da quando ha cominciato a girellare per l'enorme struttura che lo ospita.

— Potrò anche staccarlo e lanciarlo al primo che mi chiede di dare una mano? —

Sta cercando di scherzare da qualche mese, ormai. A volte gli riesce, altre la frase esce fuori come un orribile racconto dell'orrore che porta, generalmente, chiunque a tapparsi la bocca e fissarlo per un attimo, prima di ricordarsi le buone maniere e ridere con fare nervoso, o magari ridere affatto, più mettere su un sorrisetto tirato nel pessimo tentativo di fingere di non aver sentito una parte di ciò che HYDRA ha fatto durante i suoi settant'anni di libertà incondizionata coi suoi giocattoli.

Stavolta deve essere riuscito, uno degli scienziati sbuffa ed arriccia le labbra, senza distogliere lo sguardo dallo schermo e lasciando che la donna di poco prima risponda.

— Ci sono delle giunture che faciliteranno eventuali cambi futuri, dovesse.. — si prende un attimo di tempo per soppesare le seguenti parole. Bucky sa già cosa tirerà fuori. — Dovesse succedere un altro inconveniente come è successo con Stark, per quanto lo dubitiamo, adesso che le fibre sono state ricostruite col Vibranio. — spiega con voce pacata. — Ciò non toglie che, dovesse presentarsi la necessità, alcune giunture potranno essere intercambiabili all'altezza delle articolazioni. —

— Quindi, tecnicamente, potrei staccarmi il braccio e lanciarlo. — insiste Bucky cercando di mantenere un tono leggero.

— Non dubito che un braccio di Vibranio, manovrato nella giusta maniera, risulterebbe un'arma impropria non indifferente, ma dubito esistano ancora delle tecniche per un simile tipo di combattimento. — T'Challa ha un sorriso leggero e misurato, come sempre, nonostante il suo tono sia vicino a quello di Bucky.

Bucky si prende la libertà di sorridere. Ridere è un'opzione che si presenta solo in compagnia di Steve e, alle volte, di Natasha e Sam. Quando l'Altro non è ai comandi, almeno. Le persone sembrano prediligere Bucky al Soldato. Bucky non le biasima davvero, anche lui preferisce sé stesso al Soldato. Ogni volta che torna indietro gli sembra di aver passato dieci anni all'interno della camera cryogenica.

Una degli scienziati – Mehret, suggerisce una parte del suo cervello – si avvicina con degli aggeggi che Bucky non conosce, ma rimane sempre a tre metri di distanza, attenta a non innescare involontariamente un altro attacco di panico.

L'equipe presente è stata personalmente selezionata da T'Challa, Bucky e Mehret, la prima che si sia guadagnata un minimo di fiducia da potersi anche solo permettere di chiedere a Bucky “posso toccarti?” senza ricevere un'occhiata diffidente ed un'offesa trattenuta a fior di labbra.

— Veloce ed indolore. — mormora Bucky, storcendo le labbra e mettendosi a sedere accanto al tavolo, prima di allungare il braccio e poggiarlo sui vari ganci di metallo, così che questi possano tenerlo in posto quando sarà disattivato e privo di controllo, perciò soggetto a gravità e poco attrito su superfici lisce.

Mehret annuisce, andando a rimuovere alcune delle placche, mostrando un marasma di fili e circuiti in cui inserisce gli aggeggi, armeggiando con chissà cosa. Bucky non è interessato a continuare. Si volta e le lascia interrompere momentaneamente i circuiti collegati ai nervi.

Bucky sente sempre quando il circuito viene chiuso, impedendo agli impulsi nervosi di raggiungere il resto dell'arto. Fa male, non è insopportabile, ma non può fare a meno di accigliarsi quando il cervello comincia a registrare la mancanza dell'arto, per quanto non sia davvero carne ed ossa, la sensazione è scomoda e fastidiosa, seguita da un formicolio che s'impossessa di tutta la spalla – o almeno, i tessuti che ancora la compongono.

Prende un respiro profondo, man mano che sente i rumori delle fibre, dei cavi e delle piastre metalliche che entrano in contatto con gli aggeggi della scienziata.

T'Challa si è ritirato nell'altra stanza, parlando a voce bassa con uno degli uomini dell'equipe, annuendo e controllando dei fogli. Bucky sa che non è niente che lo riguardi davvero. T'Challa parla di costi, tempi e comfort, preoccupandosi che Bucky non aspetti e non sia mai troppo a disagio durante le sessioni in laboratorio, od in generale con il nuovo braccio. Una cosa che ha fatto storcere il naso di Bucky è il rifiuto di renderlo parte di quanti soldi abbia dovuto spendere per costruire un braccio del genere da capo.

Nessuno degli scienziati dell'equipe sembra voler condividere l'informazione e Bucky si è ripromesso che non avrebbe cercato di scoprirlo sfruttando le conoscenze inculcate nella mente dell'Altro. Perciò, ha solo scritto su uno dei suoi notebook che, probabilmente, il suo debito-a-vita con T'Challa si estenderà forse anche più in là di essa.

Steve non fa altro che cercare modi di ripagare la generosità dell'uomo, così come tutto il team di ex-Avengers che si sono portati dietro dopo averli aiutati ad evadere dal Raft. Soprattutto Scott e Clint, con cui ha parlato poco, ma quel che basta per comprendere lo stato d'animo dei due: un misto di rabbia e preoccupazione per le loro famiglie. Wanda e Natasha sembrano avere una situazione molto simile alla sua: nessuna famiglia, nessun posto a cui far ritorno che non sia Steve, un amico vicino – nel caso di Natasha – ed una sottospecie di fratello maggiore – per Wanda.

Bucky non sa molto sulla storia di Wanda, ma sa che anche lei ha perso qualcuno a cui era molto, molto vicina.

Sam e Sharon, invece, sono due casi totalmente a parte. Sharon ha rifiutato l'invito di T'Challa, mentre Sam si è più visto costretto – un po' come Scott e Clint – per via della sua amicizia stretta con Steve.

A Bucky piace Sam, una parte di Bucky adora Sam, non solo come persona, ma per essere stato vicino a Steve durante questi ultimi anni. La parte meno dignitosa di Bucky, invece, lo invidia per aver preso un posto che, un tempo, era solo suo. Perché Bucky è sempre stato il migliore amico di Steve, la persona speciale nella sua vita. Adesso, quella parte di sé si sente come lasciata indietro per un'età a cui non appartiene, per una persona che magari può aiutare – ed ha aiutato – Steve ad andare avanti, ad ambientarsi ed accettare che, ormai, il ventesimo secolo non è che acqua passata. Farà sempre parte di Steve, ma non avrà più il permesso di condizionarlo così a fondo.

Bucky si sente parte di quel fardello che ancora Steve a tempi andati e persi, un fardello che Steve non sembra pronto a lasciar andare. Cristo, Steve ha abbandonato il suo scudo per portare via Bucky dalla base siberiana dell'HYDRA.

Ci sono tante parti di Bucky. Una concorda con la parte invidiosa, concorda sul fatto che Sam porterà via Steve da Bucky, ma ne è quasi contenta e crede che sia la cosa giusta da fare per Steve. Un'altra parte gli ricorda che non dovrebbe essere invidioso di una cosa del genere, perché Steve sta conoscendo altre persone di cui potersi fidare e non avrà solo un unico amico come avveniva quando erano piccoli e Bucky era la sua unica famiglia ed amicizia. Un'altra, decisamente più debole ed insicura, cerca di trovare un modo per incastrare anche Bucky in un quadro futuro in cui Steve è circondato di persone di cui si fida ed ha una vita sana e piena di alti e bassi.

L'ultima volta che Bucky si è perso in simili pensieri ha quasi avuto un attacco di panico, facendo preoccupare Steve a morte e rinchiudendosi nella stanza di Steve per poi rifiutarsi categoricamente di parlargli di cos'era successo. L'ansia di venir lasciato indietro, la speranza che avvenisse e – al tempo stesso – che Steve si ricordasse di lui, si voltasse e gli tendesse la mano. Bucky ha cercato di calmarsi così tante volte pensando che Steve, teoricamente, aveva fatto esattamente ciò che la parte più debole ed insicura di sé aveva sperato facesse. Steve è rimasto con lui e, tutt'ora, ha alzato un paio di dita medie al mondo per restare con lui.

Non appena l'ansia ha ricominciato a montare, Bucky ha decretato l'argomento come tabù. Pensare che Steve sta praticamente buttando via la sua libertà, la sua vita, se non perfino una parte di sé stesso per aiutare Bucky è.. qualcosa che non è disposto ad accettare, né a volere. Men che meno essere la ragione per cui tutto questo stia avvenendo.

— Ecco fatto. —

Il click che arriva dal braccio è quasi un sollievo, assieme agli impulsi nervosi che viaggiano fino alle dita, non risparmiandolo ancora dalla sensazione formicolante, ma permettendogli almeno di tirare su il braccio e guardarlo da vicino, fissando Mehret e chinando appena il capo in un tacito segno di ringraziamento, nonché di comprensione.

— Per oggi abbiamo finito, ma temo dovremo vederci ancora un paio di volte. — aggiunge la donna in un tono professionale, distaccato, ma non troppo. Non sta trattando Bucky come un oggetto, ma come una persona, un cliente.

Bucky annuisce, prima di voltarsi ed osservare T'Challa fare il suo ingresso all'interno della stanza, l'espressione distesa di chi porta buone notizie.

— Qualche giorno fa ho avuto modo di parlare con Romanov e Shaliq. — un uomo dell'equipe tira su la testa, assieme ad una mano e salutando Bucky, quando T'Challa lo indica. — Ci ha detto che, qualche tempo fa, stava considerando l'idea di mimetizzare la protesi con un braccio vero e proprio e che lo SHIELD le aveva fornito un equipaggiamento in grado di ricreare la struttura facciale di uno dei CEO, giusto prima che Washington venisse distrutta dagli helicarrier. —

Bucky abbassa la testa, ricordi frammentati della lotta con Steve sull'helicarrier che gli riempiono la mente.

— Per fortuna, Romanov è riuscita a recuperare una delle maschere e portarla qui. — e, mentre T'Challa parla, Shaliq gli si avvicina con una valigetta metalizzata con ancora il simbolo dello SHIELD sopra, porgendola al Re del Wakanda. — La tecnologia è la stessa che permetteva agli helicarrier di schermarsi anche ad occhio nudo, per quanto questa sia decisamente più manovrabile, data la scala ridotta. —

— “Sharon ha bisogno di uno strappo,” eh? — sbuffa Bucky, incrociando le braccia al petto, ancora seduto. — Ecco che fine aveva fatto. —

Sapeva che Natasha sarebbe stata via per una settimana, ma non immaginava fosse questo il motivo. Senza contare che Sharon, da quel che Steve gli ha detto, era un agente dello SHIELD. Adesso la cosa aveva decisamente più senso.

— Immagino abbia voluto aspettare, prima di darti delle speranze inconsistenti. — aggiunge T'Challa, poggiando la valigetta sul tavolo ed aprendola, permettendo così a Bucky di osservare una piccola rete composta da piccole, fitte scaglie esagonali al centro di una sagoma ritagliata, le scaglie che rifrangono la luce debolmente, dipingendo striature rosastre ed azzurrine in più punti.

— Sembra più invisibile, che altro. — osserva Bucky, non osando toccare l'ennesimo aggeggio che gli stanno mostrando quest'oggi.

— L'idea principale era quella, ma poi è stata modificata per riflettere il colore della pelle sottostante e ricreare ombre e sagome lì dove c'era bisogno. — spiega Shaliq, intervenendo dal fianco di Mehret. — Ci vorrà un po', ma una volta ottenuta una mappatura completa della protesi, potremmo ricreare una pellicola che alteri il colore e non le forme. — conclude.

— Niente più maniche lunghe o guanti da serial killer, insomma. — “scherza” Bucky, fissando ancora la maschera tecnologica. — Suona come un'ottima idea. — e solleva lo sguardo verso T'Challa e, infine, Mahret e Shaliq. — Quale rene dovrò impegnare a vita per una cosa del genere? —

T'Challa sorride, stavolta uno sbuffo che increspa anche le rughe d'espressione vicino agli occhi. — Nessun rene, mi basterà quell'allenamento che mi promettesti qualche tempo fa. — risponde.

Ma poi è anche vero che T'Challa ha sempre risposto a quel modo. E Bucky si è ritrovato più e più volte all'interno della sala d'allenamento, col culo per terra – a volte pure tutto il corpo, – senza fiato e con un paio di lividi che bene o male sarebbero svaniti entro la serata.

Prima che Bucky possa riprendere col discorso sul non aver fatto abbastanza, T'Challa s'incammina verso l'uscita della stanza, invitandolo a seguirlo con un semplice: — Hai già fatto colazione? Ho ancora mezz'ora, prima del primo appuntamento. — con tanto di occhiata. Furbo ed affilato.

Bucky lo segue all'esterno della stanza, accigliato come sempre, dopo aver salutato l'equipe con un cenno ed aver ricevuto la stessa attenzione minima in cambio.

— Sul serio, ci sarà qualcosa che posso fare. So che sei più ricco di Stark, ma non stai soltanto dando fondo ai soldi per tenerci qui e —

T'Challa si volta di scatto, facendo chetare e tendere Bucky di botto, l'istinto che gli urla di mettersi in posizione ed aspettare il primo colpo.

T'Challa lo nota, nonostante Bucky si forzi quasi subito ad assumere una posizione più neutra, finendo solo col sospirare e distogliere lo sguardo dall'uomo.

— Signor Barnes —

— Bucky. — lo interrompe Bucky, ricordandogli per l'ennesima volta che T'Challa gli ha sempre chiesto di essere chiamato per nome.

— Bucky — si corregge T'Challa, senza dare segni di disagio; qualcosa che Bucky gli invidia, sotto certi aspetti. — so che non sarà mai la stessa cosa, ma anch'io ho delle colpe da espiare nei tuoi confronti. Non ho sentito ragioni, ti avrei ucciso se la signorina Maximoff non mi avesse fermato, o se non avessi seguito Stark fino in Siberia e poi avessi sentito Zemo confessare cos'aveva fatto. —

Bucky deglutisce, il nervoso e l'ansia che ritornano a galla ogni volta che la Siberia viene portata in ballo.

T'Challa non sembra realizzarlo, o magari è troppo bravo a mascherare le proprie reazioni.

— L'ospitalità è il minimo che io possa fare, oltre che aiutarti a recuperare una parte della tua libertà, se non quanta più mi sarà possibile. — continua, calmo e sicuro. Ormai è chiaro che abbia già preso la sua decisione. — Non sono ingenuo, so che un giorno o l'altro anch'io avrò bisogno d'aiuto, che la mia armatura non basterà a proteggermi da qualunque cosa il destino abbia in serbo per me. Ma so che quel giorno, se davvero vorrai sdebitarti di un debito inesistente, non rifiuterò alcun aiuto mi sarà offerto. —

Bucky invidia quest'uomo. La sua calma e capacità di accettare qualcosa di ignoto, se non spaventoso.

— Non ti sto aiutando per approfittarmi della tua bontà, né per tornaconto personale. Beh, non materialmente almeno. — e qui un piccolo sorriso si palesa di nuovo sulle labbra scure dell'uomo. — Mi piacerebbe che tu mi considerassi un amico. Non potrò mai essere all'altezza di Rogers, ma spero quantomeno di guadagnarmi parte di quella fiducia che avete l'uno nell'altro. —

Il suo discorso è interrotto dall'arrivo della sua segretaria – una donna dai capelli rasati, alta e robusta.

— La riunione è stata anticipata di venti minuti, quasi tutti gli ospiti sono arrivati, mancate solo voi ed un paio di persone. — mormora in un tono basso.

T'Challa sospira, annuendo e lanciando un'occhiata di scuse in direzione di Bucky.

— Cercherò di farmela passare. Grazie T'Challa. — lo interrompe Bucky, prima che T'Challa possa dire alcunché. E poi, quando lo vede annuire e sorridere, voltandosi ed incamminandosi assieme alla segretaria — Steve si fida di te. — alza un po' la voce, vedendo l'uomo rallentare e voltarsi. — Prima o poi imparerò anch'io. —

Un solo sorriso riceve come risposta, prima che il Re del Wakanda svolti l'angolo, sparendo assieme al ticchettio dei tacchi della segretaria.

Bucky, rimasto da solo, non può far altro che voltarsi ed incamminarsi in direzione dell'appartamento di Steve, per quanto dubiti che il biondo stia ancora dormendo, non alle nove del mattino.

 

[…]

 

Fare ritorno alla struttura principale, quella dove si trova l'area residenziale, è un percorso lungo, ma piacevole. Bucky si è sempre perso a curiosare in mezzo ai giardini pieni di piante tropicali, senza mai allontanarsi dal viale di piastrelle grige. La sua mente è persa in mezzo ai ricordi della prima volta che Mehret mise mano sul moncherino meccanico, facendolo sobbalzare e tendere come una molla. C'era anche Steve con lui, le prime volte, quando ancora non era sicuro, né troppo volenteroso di farsi sfruttare ancora come cavia da laboratorio.

Bucky non voleva neanche T'Challa all'interno della stanza, ma alla fine aveva ceduto alle sue richieste per la sicurezza dell'equipe – per quanto minima, ai tempi – nel caso in cui la riprogrammazione subentrasse e provocasse danni di cui si sarebbe pentito.

Mehret era stata perfetta, ma lui aveva rischiato di vomitare una volta rientrati nel loft. Steve gli aveva preparato delle bevande calde tutto il giorno, infine aveva mangiato da solo, con Bucky che lo fissava dall'angolo del divano, intabarrato nella coperta più morbida che avessero, la mano buona che reggeva la propria tazza piena di tè.

Ciò che lo aiutò a fidarsi un po' di più di Mehret furono gli incontri assidui che T'Challa aveva richiesto di sostenere. Le prime volte, Bucky era partito con un atteggiamento decisamente poco consono ad un gentiluomo, soprattutto nei confronti di una signora – una parte di lui, ancora incastrata negli anni '40, continuava a ripeterglielo e lui insisteva nell'ignorarla.

Mehret fu paziente, dal primo all'ultimo secondo, rispondendo a domande dall'aria minacciosa e ribadendo la sua etica professionale, finché non cominciò lei a fargli domande, a chiedergli come avrebbe preferito approcciare il tutto, cos'avrebbe dovuto imparare a sopportare e cos'altro si poteva evitare, se ci fosse stata la necessità. La donna aveva chiesto che Bucky parlasse chiaramente, di esprimere fin dal principio quando qualcosa gli era sopportabile e quando invece non voleva velocizzare le cose, ma andare piano.

Il fatto che Mehret, poi, ascoltasse davvero quando Bucky le chiedeva di andare piano, nonostante ciò significasse prolungare l'operazione di qualche ora, non fece altro che aiutare l'uomo ad accettare con più facilità ogni cosa Mehret avrebbe dovuto fare per poter costruire un nuovo braccio meccanico.

Andare sotto ai ferri. Quella fu la parte spaventosa.

— Sicuro di potercela fare, Buck? — aveva chiesto Steve, il suo solito broncio preoccupato, pieno d'ansia che non riusciva a nascondere.

— Ora o mai più, punk. — aveva risposto Bucky, dandogli una pacca sulla spalla e sedendosi sul lettino, prima di prendere un respiro e chiudere gli occhi mentre si distendeva.

La sensazione di poggiarsi su un materasso morbido attutì le immagini dei lettini freddi, metallici su cui gli scienziati dell'HYDRA operavano. Afferrare la maschera con l'anestetico lo aiutò in minima parte, dandogli quel poco controllo che avrebbe voluto avere in diverse situazioni. Tutti avevano aspettato in silenzio, senza mettergli pressione, ma non potendo fare niente per alleggerire quella che già gli gravava sulle spalle. Li stava tenendo tutti fermi per colpa di una stupida anestesia, ma il suo corpo si rifiutava di addormentarsi e perdere coscienza.

Aveva chiesto molte volte se sarebbe stato possibile farlo rimanere sveglio, ma Mehret gli aveva spiegato che avevano bisogno di meno impulsi cerebrali possibili durante il collegamento al sistema nervoso, che avrebbe fatto male e che sicuramente Bucky non avrebbe reagito bene, non dopo aver sentito il numero di terminazioni che avrebbero dovuto collegare e testare.

Si era alzato dal lettino con un — Devo vomitare. — sulle labbra e, per quanto non avesse mangiato niente, furono i succhi gastrici a raschiargli la gola e farlo tremare, quando riuscì a vincere i conati ed impedire che la gola si chiudesse in un nodo, rendendogli difficile la respirazione. Steve era con lui, trattenendogli i capelli ed evitandogli che si sporcassero.

Dopo qualche istante, qualcuno entrò per pulire, mentre lui si sciacquava la bocca all'interno del piccolo bagno, attiguo alla stanza. Steve, da lì, aveva cominciato ad agitarsi ancora di più, finché non gli fu chiesto di uscire, quando videro come il suo umore affliggeva anche quello di Bucky.

— Possiamo aspettare ancora un po', signor Bar —

— No, vi ho fatti aspettare fin troppo. È una questione di principio. — aveva interrotto lui, tornando a distendersi sul lettino e chiudendogli occhi, non guardando la propria mano mentre calava con la mascherina trasparente.

— Andrà tutto bene, James. — fu l'ultima cosa che comprese, aprendo appena gli occhi ed inspirando velocemente, tremolante, solo per osservare la visione sfocata e la sagoma di Mehret avvicinarsi, toccargli debolmente la spalla ed aiutando la propria mano a sostenere la maschera dell'anestetico.

Quando si svegliò, per poco non colpì Steve col suo nuovo braccio di Vibranio, ma riuscì a spaventarlo a morte, dato che stava dormendo affianco del suo letto. Ricorda di essere stato contento, quando realizzò di essere stato riportato nel proprio appartamento, e che nessun altro lo aveva visto nelle condizioni in cui riversava.

— Sei andato benissimo, Buck. Sono tutti fieri di te. — gli aveva detto Steve con un sorriso debole stampato sulle labbra carnose. E, per quanto Bucky fosse segretamente sollevato di sentirselo dire, una parte di sé sperava quasi che anche solo Steve potesse essere fiero di lui, senza bisogno di coinvolgere il resto del mondo nel processo.

— Devo pisciare. — aveva detto Bucky, in risposta, guadagnandosi un vaffanculo ed un aiuto ad alzarsi dal letto, ancora intorpidito per via dell'anestesia, per quanto il siero del super-soldato avesse fatto davvero miracoli. Quantomeno si era evitato l'imbarazzo che seguiva simili tipi di conversazioni, sempre.

Una testolina biondo cenere rompe il fiume di ricordi, riportandolo alla realtà. Ha smesso di camminare da qualcosa come una decina di metri, fermo davanti a dei fiori rosso-aranciato con la punta di un arancione sfumato, quasi tendente al giallo, rigogliosi e forti, circondati da foglie verde scuro.

Bucky solleva lo sguardo, cogliendo il movimento poco più in là l'ennesima volta, e non ha bisogno dei sensi sviluppati per capire che una certa ragazza deve essersi presa uno spavento nel vederlo lì, immobile, come fosse incastrato in chissà quale pensiero. Le piante nascondono il viale trasversale che attraversa il giardino, ma non abbastanza da celare la figura vestita di rosso scuro e nero, men che meno il suono degli stivaletti simil-anfibi che sfregano sul suolo.

Quando nessun rumore arriva dall'altra parte del viale, Bucky si ritrova ad aprire bocca. — Wanda? — chiama, facendo un paio di passi e fermandosi.

Wanda sospira, palesandosi un paio di metri più avanti, sbucando dal viale di sinistra, i grandi occhi verde scolorito che lo scrutano con aria colpevole.

— Heym, uhm. — alza una mano, le dita affusolate che si distendono per un attimo, prima di richiudersi e venir tirate giù assieme al resto dell'arto. — Disturbo, per caso? — c'è un po' di esitazione nella voce.

— No, kid, non disturbi. — Bucky sente l'ombra di uno sbuffo palesarsi nella voce, assieme al tono ironico.

Wanda lo scruta come se avesse davanti un'altra persona. Una persona che non conosce. Non ci vuole un genio per capire che si trovi un po' in difficoltà.

— Volevo scusarmi. — la sente cominciare.

E già alza la mano per fermarla. — Non c'è niente di cui scusarsi, kid, non hai fatto niente di male. Mi dispiace solo che tu abbia dovuto vedere quella merda. Basto ed avanzo io a ricordare certe cose, non serve che ti unisca anche tu al club. — Bucky sta cercando di mantenere il tono ironico, ma la verità è che c'è amarezza nei suoi pensieri, ogni volta che pensa a quanto sia l'unico, assieme a Natasha, a sapere cosa significhi crescere nell'HYDRA.

— Vorrei poter aiutare. Non ero pronta, ho fatto un errore e so di aver visto qualcosa che non avrei dovuto. — insiste Wanda. — So che non ho nessun diritto di dirti che posso immaginare cosa tu abbia passato e che non devi affrontare tutto da solo, ma — la frase s'interrompe, mentre lei abbassa gli occhi chiari sulle proprie dita, fili rossi d'energia che s'intersecano fra loro, ricreando una minuscola perla luminosa e tremolante; la lascia scorrere fra le dita, come una moneta, e infine sospira — ha fatto male anche a me. L'ho provato anch'io, quando.. beh, quando ho visto. — mormora, la piccola sfera d'energia che sparisce. — Sapevo che avrei sperimentato ciò che hai provato tu e non ero pronta. —

Bucky sbuffa, l'amarezza che accompagna la risata che gli sfugge dalle labbra. — Non è esattamente qualcosa per cui qualcuno può prepararsi. —

Wanda rimane in silenzio, guardandolo. — Vorrei comunque chiederti scusa. —

Testarda la ragazza, eh?

— Sai, sei liberissima di prenderlo come un'offesa, ma mi ricordi davvero un teppista biondo, palestrato e con un debole per il vintage. —

Wanda ridacchia, abbandonando un po' della tensione che l'aveva dall'inizio del discorso. — Se è un modo carino per dirmi che non sono perdonata, okay, posso accettarlo. — confessa, infine. — Avevo comunque in mente di prepararti del pollo alla paprica come seconda opzione. —

— Non c'è niente da perdonare, te l'ho detto kid. Smetti di sprecare il tempo coi vecchi ultracentenari e vai a farti insegnare qualcosa di badass da Romanov, sul serio. — come se poi tutta quella roba che fa con le mani non facesse già la sua porca figura.

— Questo è un colpo basso. — Wanda ha quel fare giovanile di chi ha ancora tutta la vita davanti da godersi. Una scintilla che Bucky è sicurissimo d'aver perso molto tempo fa. Sa di nostalgia, ma in senso positivo. Come osservare un vecchio album fotografico e sorridere nel vedere le vecchie fotografie, ridere di quelle buffe ed imbarazzarsi di quelle strane. — Vorresti dire che non sono già abbastanza badass con i miei poteri? —

— Roba. — ricalca Bucky, storcendo la testa.

— Poteri, prego. —

Bucky sospira, incrociando le braccia e spostando il peso sulla gamba sinistra. Avere di nuovo un braccio, ma non sentirlo minimamente così leggero è.. strano. Molto strano. Si sente quasi sbilanciato, sotto certi aspetti.

Whatever. Cos'è il pollo alla paprica di cui parlavi, esattamente? — cambiare discorso è sempre stata un'ottima strategia.

— Non hai mai.. Okay, hai da fare domani? Mi aspetto, no, anzi, esigo di trovarti davanti alla porta d'ingresso con lo stomaco vuoto e neanche una frase schizzinosa in stile Clint “Non Mangerò Altro Che Pizza In Vita Mia” Barton. —

Bucky ride a quella battuta, perché – in effetti – le poche volte che ha incontrato Clint, l'uomo si lamentava sempre di come non ci fosse mai abbastanza pizza nel mondo. E, al momento, per mondo intendeva chiaramente il Wakanda.

— Cercherò di mangiare quel che riesco, ma non prometto niente sul quando e come. — confessa Bucky, infilandosi le mani nelle tasche, prima di cominciare a camminare e passare oltre alla ragazza. — Torni anche tu nell'ala Est? — fermandosi solo per voltarsi appena e rivolgerle un'aria interrogativa.

— Yep, in realtà lo stavo facendo, prima di.. Beh, prima di vederti e sentire il mio cervello che andava totalmente in retromarcia. —

A Bucky piace Wanda. Sta scoprendo che Steve ha davvero buoni gusti in fatto di persone, per quanto un'affermazione simile dovrebbe includere anche Bucky all'interno della cerchia di persone decenti con cui far amicizia. Perciò, si sente in diritto di modificare la cosa in “Steve, nel ventunesimo secolo, ha sviluppato davvero buoni gusti in fatto di persone”. Circa.

— Succede anche a me ogni tanto. Ho scoperto che la chiamano brainfart, di questi tempi. — la voce stessa di Bucky tradisce la confusione nel leggere un termine del genere su internet. — Il mondo ha un sacco di nuovi termini strani, devo dire. Non so se riuscirò mai davvero a farci l'abitudine. — non importa quanti libri comportamentali legga, si sente sempre un pesce fuor d'acqua in mezzo a persone propriamente funzionanti.

— Okay, Steve non mi aveva mai detto che eri divertente. —

— Immagino il suo concetto di privacy si estenda ad informazioni marginali come questa. — Bucky si stringe nelle spalle, man mano che prosegue lungo il percorso.

— Penso sia ancora un argomento delicato, anche per lui. — mormora Wanda, senza ancora guardare Bucky in volto. Tiene gli occhi fissi sul viale e sulla vegetazione. — Ha rischiato di esplodere con Rumlow quando gli ha detto di te. —

Bucky si ferma, guardando la ragazza fare lo stesso, solo dopo un paio di passi. L'espressione confusa sulla faccia della giovane è abbastanza da fargli aprire bocca per spiegare il perché di tale reazione.

— Cos'ha detto..? — le labbra fanno per curvarsi sulla R, anche solo per abbozzare il nome dell'uomo, ma la psiche ha un fermo improvviso. Punta i piedi e lo blocca, chetandolo e facendogli sperare che la minima sfumatura interrogativa faccia capire all'altra che si tratti di una domanda.

— Non lo so, sono arrivata.. Aveva finito il discorso, più o meno, qualcosa sul portare Steve con sé. Poi è successo tutto il disastro. — Wanda abbassa lo sguardo, chiaramente a disagio con l'argomento.

Bucky conosce bene la sensazione: una situazione che sfugge di mano e sortisce gli effetti contrari, o quantomeno parzialmente non voluti, senza che nessuno possa fare diversamente. Lei, almeno, ha salvato delle vite nel processo. Lui non può dire di essere stato altrettanto fortunato.

— Non è colpa tua. — si sente dire, lentamente. — Lagos era un ammasso di possibilità, una peggio dell'altra. Un edificio esploso ed una dozzina di casualità sono niente, se pensi a cosa sarebbe successo se non fossi intervenuta. Steve morto, se non addirittura un'allerta mondiale per un possibile attacco chimico chissà dove. — deglutisce, man mano che scivola in un tono più neutro e vacuo, calcolatore. Detesta quando la sua testa fa così, ma tenersi a distanza da determinati avvenimenti è l'unico modo che lo aveva tenuto lontano dalla follia, durante la Guerra. Quel poco che ricorda, almeno.

— Beh, se qualcuno se n'è reso conto, non l'ho minimamente visto, né sentito al telegiornale. — Wanda gli rifila un piccolo sorriso, per quanto sia chiaro che la voglia di sorridere sia poca.

— L'importante è che te ne renda conto tu da sola, kid. — Bucky tira su una mano, ci prova almeno a sfiorare la spalla di Wanda. Un urto di diffidenza e paura lo investe, bloccando il gesto a metà e facendo schizzare via l'arto, ritraendolo e rimettendolo a posto.

Wanda lo nota. Ed ovviamente parla prima che possa farlo Bucky.

— Grazie. — lasciando i “non ti preoccupare” per la parte silente e nascosta fra le righe del discorso.

Bucky annuisce, tira l'angolo delle labbra in un sorriso amaro che sa comunque di scuse, prima che il cellulare si metta a vibrare un paio di volte all'interno della sua tasca. Perfetto, la scusante perfetta per far cadere il discorso ed aprire l'sms da Steve.


Con Nat in palestra ;)
E grazie – neanche un po' – per avermi spento la sveglia.
Stronzo.


 

— Hey, cambio di programma, devo andare da un'altra parte. — caccia fuori Bucky, tirando su lo sguardo alla ricerca di quello di Wanda.

— Okay, basta non ti dimentichi che mi devi un pranzo.. o cena, insomma, come ti torna meglio. — Wanda si stringe nelle spalle, prima di alzare una mano. — Anche Steve è invitato, se vuole! — gli esclama dietro, non appena si sono allontanati.

— Glielo farò sapere! — ricambia Bucky, prima di imbucare uno dei viali lastricati che aveva visto più indietro, incamminandosi verso un'altra parte dell'agglomerato di edifici. — Questo posto è troppo grande. — mormora fra sé e sé, man mano che s'incammina in silenzio.
 


Author's Corner:
EEEED eccoci qui, slave. Come va? Oh boy, oh boy, was that a long chapter.
C'è voluto un po', ma eccomi qui. Dovrei studiare, ma ho paura che la voglia di scrivere passi, quindi niente, scrivo finché posso(?). Help.
Come sempre, I feed on feedback, quindi pls commentate (anche se trovate errori, sOPRATTUTTO se trovate errori), che aiuta davvero uehuehe
Ho cominciato ad introdurre un paio di cose su Clint e Scott, ma anche loro avranno dei capitoli precisi in cui sviluppare i loro problemi. Ho fisicamente bisogno che Bucky diventi amico di Wanda e T'Challa, quindi sappiate che vedrete molto 'sti due apparire qua e là. Senza contare che, dannazione, ci saranno un po' di feels nel prossimo capitolo (non vi dico per quale ship, perché hehe, it's a secret) e che ho intenzione di fare grandi cose(?) con T'Challa, se riesco davvero a finire almeno questo progetto (so far, so good, PLS let it be good 4ever). Plus, visto che siamo tutte persone sane di mente(?) e non #NOHOMO accaniti della Marvel, avverto fin da subito che tengo il bacio fra Steve e Sharon, MA (c'è sempre un ma, uao) la loro relazione è in un punto strano, soprattutto perché.. y'know, Sharon è un po' la nipote di Peggy and ew, Steve, that's so awkward how do you even.. no.

Detto ciò, un grazie galattico ai commenti del capitolo precedente - sul serio, y'all the cutest - e a
vorsakh - (click dems links) di cui dovreste leggere qualcosa, sono tipo due storie, neanche troppo lunghe, cosavicosta - che continua a spammarmi Stucky feels e sorbirsi letture prolungate perché "secondo te questa cosa suona come se fosse detta da Taldetali Personaggio????"

Pazzo e chiudo,
Shà <3

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Capitolo 4
*** Ghosts' Stories ***


Parole: 9255
Warnings: nessuno

 


FAITHFUL DOUBT


La strada per la palestra è corta, ma Bucky si perde ugualmente ad osservare il luogo, ripetendosi che no, non è solo perché – in caso di necessità – avrà più percorsi sicuri già tracciati a seconda del punto in cui si troverà nella struttura. Non che abbia già studiato le piantine situate ad ogni piano ed abbia una mappa del luogo, per quanto sia basata su planimetrie antincendio. Ne consegue che, le poche volte che esce dall'edificio residenziale, si fermi ad osservare i giardini e spiare di tanto in tanto i confini delle recinzioni, stando alla larga dalle telecamere di sicurezza e quant'altro.

La scusa di andare in palestra è, in effetti, un buon diversivo per controllare l'esterno dell'edificio, per quanto la sua mobilità sia limitata – se non vuole che T'Challa venga avvertito, o qualcuno s'insospettisca. Perciò, quando riesce ad intravedere uno stralcio di muro, fra i vari alberi lasciati crescere, si trova automaticamente a fare una stima approssimativa di quanti metri disti dalla facciata dell'edificio, prima di cacciare fuori il telefono dalla tasca e digitare gli appunti sul display, salvare la bozza e bloccare lo schermo, così da poter infilare di nuovo il tutto nella tasca dei pantaloni.

Il passo rallenta appena quando raggiunge l'ingresso dell'edificio, senza davvero sapere perché. Si ferma e prende un respiro tremolante, guardandosi attorno – la sensazione che qualcuno lo stia spiando ritorna ad agitargli i pensieri. Lui, per l'ennesima volta, si limita a socchiudere le palpebre ed espirare. T'Challa ha telecamere ovunque, un intruso non passerebbe inosservato, si ripete lentamente, raddrizzando le spalle e deglutendo, prima di riprendere a camminare. La porta scorrevole gli si apre davanti non appena ha raggiunto una distanza ravvicinata, le lastre di vetro scivolano su carrelli di metallo, silenziosi, con un singolo soffio tipico dei pistoni che comprimono troppa aria tutta assieme, rendendo il movimento della porta più lento e progressivo.

Bucky s'insinua all'interno della hall, notando la reception: un bancone che riprende il gusto tecnologico del luogo, sui toni di grigio metallizzato, dietro al quale siedono una donna ed un uomo intenti a parlottare amabilmente nella loro lingua. Quando vedono Bucky, mormorano entrambi un “buon giorno,” per quanto Bucky si limiti a chinare il capo in segno di risposta, senza davvero aprire bocca. Gli occhi del moro sono dediti a guardarsi attorno, alla ricerca di uno spogliatoio maschile. Una volta trovato, si limita a togliersi la felpa e rovistare nell'unico borsone che trova depositato sulle panche. E poi sorride quando trova un sacchetto di stoffa extra con dentro le sue scarpe da ginnastica ed un cambio, assieme ad una nota scritta di pugno, la calligrafia spigolosa, in stampatello minuscolo:

Porta il tuo culo in palestra, Barnes.
Ti devo ancora rendere tutte le botte,

N.
ps: я бу́ду ждать тебя́ на гимнастический зал.

Bucky corruga la fronte all'ultima frase, rigirando il foglietto, senza però riuscire a trovare nient'altro che possa spiegare quel post scriptum, prima di grattarsi la testa ed infilarsi il biglietto in tasca, fregandosene se si stropiccia. Si sistema il codino sulla testa, raccogliendo il resto dei capelli e tirandoli dietro il volto, prima di cambiarsi, sistemare gli anfibi accanto a quelli di Steve – una delle poche cose che appartiene davvero a Bucky, fra l'altro –, gli abiti nel borsone ed indirizzarsi verso l'uscita degli spogliatoi, così da potersi infilare direttamente in palestra.

Sente i rumori già prima di aprire la porta, tanto che non si sorprende nel vedere il guizzo della chioma rossa di Natasha, prima che la donna compia una delle sue capriole e chiuda il collo di Steve fra le proprie cosce, in una morsa ben più stretta di quel che sembra. Per quanto tutta la spinta che abbia preso non basti del tutto a far cadere Steve, lo sbilancia quel che serve perché Natasha – con una spinta addizionale – lo rovesci sul tappeto, facendolo rotolare via, senza concludere davvero la mossa.

Bucky sbuffa, avvicinandosi al tappeto blu e poggiando la spalla destra su uno degli attrezzi, scuotendo la testa quando Steve si tira su e Natasha gli viene incontro.

— Comincia ad essere vecchio per certe cose, i suoi cent'anni si vedono tutti. — l'ironia nella voce di Natasha è palese, nel mentre che si avvicina a Bucky con disinvoltura, braccia incrociate ed il corpo avvolto da uno strato di sudore palese.

Oggi, la donna indossa un toptank rosso scuro, attillato ed aderente, che ne mette in risalto il corpo muscoloso e sodo, il seno è stato appiattito da quello che ha tutta l'aria essere un reggiseno sportivo più che resistente, mentre le gambe sono fasciate da un paio di collant neri che lasciano visibili i polpacci allenati, concludendo il tutto con delle scarpe da ginnastica nere; i suoi capelli, invece, sono legati in un codino alto, un tempo ordinato – adesso pieno di ciocche sfuggite a causa dei movimenti bruschi.

— Disse al tizio più vecchio di me. — risponde Steve, chiaramente a corto di fiato, tirandosi su e massaggiandosi il collo con una mano, accigliandosi ed avvicinandosi ad una delle panche vicine alla parete così da afferrare una bottiglia d'acqua e cominciare a bere.

— Non ricordo di aver chiesto la tua opinione, granpa. — rispondono Bucky e Natasha quasi all'unisono e quasi con le stesse parole, per quanto Natasha la metta più sul “Chi ha chiesto la tua opinione, granpa?”

Steve rotea gli occhi al cielo, tornando a bere con la chiara attitudine da “che cos'ho fatto?” che lo accompagna.

È risaputo che Bucky e Natasha, soprattutto quando Bucky è Bucky, sono più impertinenti di un abitante di Boston quando incontra degli yankee. E a Boston scoppiano le vere risse, per certe cose. Se poi Bucky sa perfettamente che Natasha conta sul fatto di essere anche lei un ex-spia del KGB, allora lui può fingere che tutta la questione del Soldato d'Inverno sia sotto controllo e che anche lui ci possa scherzare su. Perché quando Bucky è Bucky può scherzare e ridere; la faccenda si complica quando l'Altro decide di prendere in mano i comandi e rovinare la giornata a quante più persone possibili.

— Zitto, Barnes, adesso toccano anche a te. Ne ho per tutti oggi. —

— A proposito di stare zitti, “Sharon ha bisogno di uno strappo”? Davvero, Romanov? — Bucky ignora la frecciatina di Natasha, giusto perché può e perché non vuole ammettere che, molto sicuramente, Natasha non lo risparmierà solo perché ha qualche problema di instabilità emotiva.

Natasha si stringe nelle spalle, scrollandole ed incamminandosi subito verso il tappeto blu. — Nessuno ha detto che Sharon non avesse qualcosa da darmi, Barnes. Mica ti ho mentito. — ed eccolo lì, il sorrisetto da volpe che fa capolino sulle labbra carnose della donna, mentre la voce cela una risata sottile e delicata. Affilata come un coltello.

— Potevi dirmelo che intendevi trovare nuovi modi di svuotare le tasche di T'Challa, almeno oggi sarei sembrato meno stupido quando mi hanno —

— Okay, fermi tutti, mi sono chiaramente perso qualcosa. — Steve s'intromette, interrompendo Bucky e gesticolando in direzione di entrambi, prima di tornare a massaggiarsi il collo con fare accigliato.

Natasha distoglie lo sguardo dall'occhiata interrogativa di Bucky, ignorandolo fin quando Bucky non si decide a guardare Steve, sospirando.

— A quanto pare hanno trovato un possibile modo per camuffare la protesi con un braccio meccanico, ma ci vorranno sicuramente un mucchio di altri soldi. — e gli occhi azzurri si puntano, accusatori, su Natasha di nuovo.

— Suona... fantastico? Ma, davvero, adesso non basterà neanche vendere un rene per ripagare T'Challa. — Steve dà voce ai pensieri di Bucky.

Natasha rotea le iridi al soffitto, voltandosi e degnandoli di un'occhiata. — Vedetela così, se lui riesce ad avere un paio di quei dispositivi, non avrete più bisogno di nascondervi qua e fare i topi in gabbia. Potrete uscire dal Wakanda senza rischiare che Stark o qualcun altro vi sia subito alle calcagna. — spiega la donna. E, Bucky deve dire, non ha davvero tutti i torti.

— Buck? — Steve si volta a guardarlo, come se poi non ne avessero già discusso in separata sede.

Bucky si stringe nelle spalle, prima di scrollarle e sentire di nuovo la pesantezza che gli grava addosso, facendogli incrociare le braccia al petto e passarsi la mano destra sul volto, puntellando il gomito sul polso metallico.

— Non è una cattiva idea. — ha già pensato a tutte le possibilità che avrebbe, se l'equipe di T'Challa riuscisse davvero a mettere su qualcosa del genere. — E poi Clint e Sam si stanno già lamentando, senza parlare di Scott, o Wanda. — mormora, guardando Steve. — Almeno potremmo andarcene e smettere di campare sulle spalle di T'Challa. —

Per quanto T'Challa abbia espresso un sentimento più che positivo a tal riguardo, nessuno ha mai pensato a questa come una sistemazione definitiva. Bucky per primo.

— Clint ha anche sua moglie e sua figlia, ha già detto che intende andare a riprenderle non appena Ross allenta la sorveglianza, senza contare Scott, poi. — aggiunge Natasha poco dopo.

— Lo so, ma non siamo più Avengers, dove potremmo andare? — l'espressione sul volto di Steve è pensierosa, forse un po' tormentata, ma Bucky non ha mai davvero visto Steve privo di quella sfumatura, neanche quando era piccolo e magro. — Voi due conoscete per caso qualche base abbandonata che possiamo riutilizzare? — e gli occhi azzurri sono di nuovo su Bucky e Natasha.

Bucky scuote la testa. È inaffidabile, quando si tratta di informazioni del genere.

— Immagino che chiedere a T'Challa sia fuori discussione. — sia Bucky che Steve annuiscono, alle parole di Natasha.

— Possiamo mandare Scott e Wanda, soprattutto con... tutta quella storia che lui può controllare le formiche e, ew. — la smorfia di Bucky è palese, assieme alla fronte corrugata che esprimono scetticismo. È visibilmente stranito da una tale possibilità. Il futuro è strano, è qualcosa che deve ricordarsi ogni giorno, di recente.

— Vorrei comunque farvi notare che, in un modo o nell'altro, dovremo avvertire T'Challa. Non possiamo certamente sparire da un giorno all'altro senza dare spiegazioni. Non sembra tipo da prendersela, od essere infantile perché lo lasciamo qui da solo, ma comunque sta rischiando grosso per aiutarci. — spiega Natasha, pestando il materasso blu con i piedi e strusciandoli su esso, ripulendo le suole da chissà quale agglomerato di polvere ci sia incastrato.

— Troviamo un posto e poi avvertiamolo, tanto non credo riusciremo davvero a trasferirci in massa da un momento all'altro. — conclude Steve, annuendo.

Sia Bucky che Natasha annuiscono, almeno fin quando Natasha non batte le mani, richiamando l'attenzione di entrambi, per quanto la donna stia chiaramente guardando Steve, che Bucky.

— Okay, pausa finita, vai a procrastinare il nostro allenamento da qualche altra parte. — facendo pure segno a Steve di andarsene, agitando una mano come se poi stesse allontanando un cane un po' troppo appiccicoso. Con tanto di — Scio, scio. — come accompagnamento.

Bucky sbuffa al broncio che Steve mette su, prima che il biondo decida di scuotere la testa ed andarsene, decisamente – falsamente – offeso.

Bucky ritorna con gli occhi su Natasha, l'ombra di un sorriso che gli aleggia sulle labbra. — Dovresti andarci piano, è una persona sensibile, a differenza mia. — risponde, man mano che comincia gli esercizi di riscaldamento.

— Stronzate, è solo geloso che abbia vinto io a shotgun. — risponde Natasha, sciogliendo gli arti.

— Nel senso che voleva tirarmi pure lui dei calci in culo? —

— Nel senso che ormai sembri essere una sua esclusiva, pure negli allenamenti, e sinceramente è ora che ti condivida un po' col resto del gruppo, Barnes. —

Bucky ride di quell'affermazione, per quanto sotto sotto un moto di nausea e fastidio gli sfiori lo stomaco ad una simile eventualità. Si posiziona, seguendo le mosse di Natasha in uno stile che entrambi conoscono fin troppo bene, per quanto sia adattato per diversi fini. Il Soldato d'Inverno è stato addestrato per essere letale nel combattimento corpo a corpo, la Vedova Nera ha ricevuto un insegnamento più sfuggevole, che mira ai punti cardinali per indebolire e concedere un colpo pulito e sicuro. Due stili diversi, efficaci, con delle basi in comune.

Nonostante tutto, ha chiesto lui a Natasha di riprendere gli allenamenti, per quanto riluttante fosse l'idea di rimettersi in campo ed abbandonare una casa ed una vita tranquilla, ormai non sembra esserci una diversa possibilità, né tanto meno un futuro diverso. Perciò, Bucky ha optato per una delle persone con cui riesce a trovarsi un po' più a suo agio. Natasha e, successivamente, anche Sam.

Da quando è ritornato in sé, ben prima che Zemo e l'attentato all'UN avvenisse, non è mai riuscito ad intrecciare rapporti con nessuno. Non per davvero, almeno. Né a Budapest, né in qualunque altro posto si fosse fermato. L'unica persona con cui ha avuto un contatto – per quanto a distanza – era una delle vicine che abitava qualche piano sopra il proprio. Una vecchietta che, da quando ha visto l'appartamento vuoto per sbaglio, gli lasciava dei piccoli regali all'esterno della porta. Un profumo d'ambiente alla lavanda, un sacchetto con dentro dei tipi di cereali, dei biscotti presi da chissà quale supermercato di poco conto. Bucky non ha mai davvero incontrato personalmente la donna, ma sa che si trattava di una vecchietta perché ogni volta la controllava dallo spioncino nel tentativo di calmare la paranoia crescente sulla possibilità che i passi davanti alla sua porta fossero quelli di qualcun altro, anziché di una semplice donna. Magari qualcuno aveva scoperto la sua postazione, magari era addirittura Steve che era tornato a tormentarlo, non accontentandosi di affollarne i sogni ed i quaderni.

Non ha mai cercato di avvicinarsi a nessuno. Non sconosciuti, non facce familiari. Steve non sembra averlo capito, ma è anche vero che Steve aveva ragione, per quanto agli inizi Bucky era riluttante a restare con lui, per quanto la situazione l'avesse reso una necessità, era stato quasi contento di essere catturato e portato via, lontano da Steve, lontano da tutti. La corrente che passava all'interno della sua gabbia era fastidiosa, certo, un costante avvertimento che – avesse provato a scappare – avrebbe dovuto sopportare ben peggio di un fastidio minimale; però, una parte di lui era sollevata che Steve non fosse lì, che non lo vedesse o non cercasse di ficcargli in testa concetti su chi fosse – su chi dovesse essere. Almeno finché i ricordi del vecchio sé non riemersero, dandogli modo di attenuare tale sensazione e pensare – sperare – che forse Bucky Barnes non era davvero perso. Che forse non doveva essere completamente Bucky Barnes, ma qualcosa di diverso, sempre con lo stesso nome e lo stesso passato, ma sempre un po' diverso dal vecchio Bucky Barnes.

Steve ogni tanto è pesante, quando gli racconta storie dal passato, storie di cui Bucky non ha memoria, se non un fastidioso senso familiare, come quando cerchi una parola, sai che è lì, ma non riesci a trovarla. E, per quanto non abbia mai detto niente a Steve, con l'andare del tempo anche Steve ha smesso di parlargli di vecchie storie, a meno che non sia Bucky a domandarglielo, dato che Bucky diventava intrattabile ogni volta che Steve gli domandava se ricordasse qualche cosa in particolare.

A Budapest era quasi riuscito a trovare un metodo, un abbozzo di strada da intraprendere per poter trovare un equilibrio fra la programmazione e la parte umana, quella che lo rimandava a parole come Lucky Strike, signorine ben vestite e risse innocue che cominciavano e finivano in pieno sole, senza che nessuno ne facesse una tragedia; Coney Island, il “santo cielo, Rogers” pieno di schifo mentre le orecchie si affollavano del rumore tipico emesso da una persona che sta vomitando, pneumonia ed un sacco di altre malattie di cui non riesce sempre a ricordare i nomi, ma che ricollega inevitabilmente a Steve.

A Budapest era riuscito a raccogliere tante informazioni sul vecchio sé e sul biondo che affollava i suoi pensieri in continuazione, non voluto, in mezzo ad un'epoca che non ricordava così grande, spaziosa, affollata e tecnologica. Quando la programmazione non viene innescata, si sente come svuotato di tante, troppe informazioni. Ha imparato a parlare con le persone senza sembrare una macchina od una persona appena catapultata nel futuro, dritto dagli anni '30; ha imparato a non sgranare gli occhi quando vede un'invenzione che non aveva mai visto prima, ma che riesce stranamente ad usare e comprendere nella sua funzionalità. Ha imparato abbastanza, ma non tutto. E solo perché è riuscito a parlare con Steve, non è detto che riuscirà davvero a parlare anche con Natasha, Scott, Clint, Sam, Wanda o T'Challa come parla con Steve.

— James! — l'avvertimento di Natasha arriva forte e chiaro, ma Bucky riesce solo in parte a farlo sgusciare dal suo stato pensieroso. È il dolore lancinante al lato della testa, portato dal calcio di Natasha, che lo fa sbilanciare e cadere di lato, finendo sul tappetino e lasciando andare un grugnito di fastidio, per quanto la psiche gli ricordi – inutilmente – che non dovrebbe esprimere dolore. Bucky la ignora, le mani che si puntellano sul materassino per aiutarlo a mettersi a sedere.

La testa non gli fa troppo male, ma gli ennesimi flash lo costringono a chiudere le palpebre. Sa che non è più in Siberia, sa che chi ha davanti è Natasha e non un altro dei suoi carcerieri, men che meno qualcuno dei Soldati d'Inverno con cui lo facevano “allenare” per mostrare ai superiori HYDRA quali fossero i progressi del progetto, così come non è più in una delle basi HYDRA, non stanno per trasferirlo o punirlo, né rimandarlo in una delle gabbie per testare la sua resistenza e l'efficacia del siero iniettatogli. Non vuole ritornare là dentro, né ora, né mai...

Яша. — Natasha interrompe il flusso di pensieri, facendogli riaprire gli occhi per poterla trovare davanti a sé, l'espressione indecifrabile: un misto fra preoccupazione e fastidio repressi, in continuo mutamento.

La donna prende un respiro profondo, mettendosi a sedere a gambe incrociate davanti a Bucky, guardandolo male. — Cosa succede, Barnes? — gli chiede, guardandolo diretto negli occhi.

Bucky rimane in silenzio, scrutandola. Non è la prima volta che si sente chiamare a quel modo, Yasha. Ed ora la fronte si corruga, man mano che i pensieri si riversano nella sua testa. Sono memorie tattili e visive, di mani ruvide, mani ruvide a contatto con capelli morbidi, li stringono e li carezzano, e poi si poggiano su un cuscino di poco conto – l'hotel, 27 Settembre 1998, missione autonoma – un corpo sinuoso sotto di sé, sta mormorando qualcosa, ma non riesce a sentirla. Nella penombra della stanza, intravede il colore pallido della pelle, liscia, perfetta. È perfetta, ricorda d'aver pensato. A differenza del proprio corpo, quello della donna è perfetto. Perfetto. Il braccio meccanico rimanda solo dati sulla pressione esercitata, ma l'altro ricorda il calore di qualcosa che andava contro i protocolli. Non ci pensare, gli ripete la voce della donna. Non ci pensare, così smette di pensarci. Ricorda stanchezza e spossatezza diversi da quelli provati dopo un combattimento. Ricorda qualcosa di delicato, un calore che – con sorpresa – non avrebbe mai pensato potesse scaturire dal proprio corpo. Una delicatezza che si è trasformata in tensione, in movimenti violenti, ma non mirati ad offendere. E poi, di nuovo, quel nome. Yasha. Yasha.

Yasha andava contro i protocolli, ma quando lei lo diceva, la psiche si acquietava e lui poteva fingere di essere qualcosa che non sarebbe mai potuto essere, senza che Barnes, James Buchanan rischiasse di riemergere a galla. Yasha era l'eccezione che confermava la regola.

Yasha, aveva detto a Steve quando lo aveva chiamato Bucky una volta di troppo. Adesso, un profondo senso di disagio si avvicina pericolosamente ai suoi pensieri, man mano che ricorda a quali labbra appartenesse tale nome.

— Eri tu. — interrompe la voce del corpo, man mano che gli occhi azzurri si portano in quelli verde sbiadito della donna, il respiro che muore per qualche istante.

Le labbra di Natasha si tirano in un piccolo sorriso delicato, prima di ritornare al loro stato naturale, completando quasi un quadro. Bucky riesce solo a scorgere qualcosa di malinconico al suo interno, qualcosa di umano, un misto di rammarico e dispiacere.

— Ce ne hai messo per ricordare. — gli dice, fingendo quasi un'aria ironica.

Il corpo ha una reazione strana. Di nuovo, simile alla sensazione che prova in presenza di Rogers, Steve. L'ennesima stretta al cuore che non comprende. Per un attimo, la psiche riflette sul fatto che sia davvero qualche tipo di malattia, ma una parte di Bucky ricorda ancora cosa significhi provare qualcosa del genere. La psiche si fa bastare i dati dettati dall'esperienza di un ragazzino nato e vissuto all'interno di Brooklyn per la maggior parte della sua vita.

— Cos'è successo? — riesce solo a chiedere, non appena Bucky realizza quanto a lungo il silenzio si sia protratto.

Natasha sbuffa, scrollando le spalle e sospirando. — Fu subito dopo il periodo di allenamento con te. — Bucky comincia a pentirsi di averle chiesto di raccontargli. — Mi inviarono con te per apprendere sul campo. Andò avanti per qualche anno, finché non decisero che ero pronta per diventare un operativo. — gli occhi di Natasha si abbassano, man mano che racconta. Bucky non distoglie i propri dal volto della donna. Non riesce. — Ci assegnarono ad un paio di missioni. Sapevo perché eri sempre silenzioso... o almeno, pensavo di sapere, per questo non mi sono mai fatta troppe domande. Ero convinta che anche tu avessi avuto il mio stesso allenamento. Pensavo anche di sapere cosa volessi, dato che anch'io volevo la stessa cosa. —

Bucky socchiude le palpebre, le labbra che si serrano ed il petto che si gonfia per poter prendere un respiro lungo, profondo.

— Ho tentato un approccio semplice, ho — la sua voce s'interrompe, Bucky riapre gli occhi solo per vederla distogliere lo sguardo. — Sono riuscita ad intavolare una conversazione quando non mi hai saputo dire il tuo nome. Così, beh, ti ho chiesto chi dicevano che fossi. — gli occhi verdi ritornano in quelli di Bucky, l'ombra di un sorriso amaro sulle labbra carnose e rosee. — Dicesti che non ti piaceva quel nome, che non era un nome Russo. — si scrolla nelle spalle. — Così mi inventai una cazzata, che magari eri stato arruolato da agenti Americani e che, teoricamente, il nome James in Russo si traduce come Yasha. — mormora, gonfiando il petto ed esalando un respiro profondo, misurato. — Hai cominciato a parlare un po' più liberamente, da quel giorno. Penso sia stata fortuna, dato che una missione del genere avrebbe richiesto come minimo un mese intero, anziché un paio di giorni. — il sorriso si accentua, ma non sembra ironico, né allegro.

Bucky non riesce ad aprire bocca, né a formulare qualcosa di senso compiuto nella propria mente.

— Dopo quella missione, ti rividi un'ultima volta. — le mani della donna salgono a sciogliere il codino, liberando i capelli rossi e lasciandoli ricadere attorno al volto. — Sembravi regredito ai tempi degli allenamenti, pensavo facessi finta di non calcolarmi, non mi hai parlato neanche una volta. — deglutisce — Ho provato a parlarti, ma mi hai detto di tornare al mio posto. Quindi ho pensato avessi fatto la tua decisione, che quei giorni avevano avuto un significato marginale. Non ti biasimavo davvero, ma non ebbi il coraggio di dirti niente per paura che facessi rapporto a qualcuno e mi rispedissero in isolamento. —

Bucky sente il volto contorcersi, l'espressione tesa che gli distorce i tratti, la mente che cerca di ricollegare qualcosa, qualsiasi cosa, a quel periodo, riuscendo a trovare nient'altro che vuoto.

— Non sapevo delle macchine. Nessuno parlava mai di te, se non per menzionare la camera criogenica ed io non mi sono mai interessata oltre per scoprire de-... — Natasha s'interrompe, prima di arrivare al punto di non ritorno. — Quando ho incontrato Clint, non ho avuto modo di fare niente, se non scappare in America ed unirmi allo SHIELD. —

Bucky corruga la fronte, inclinando il capo da un lato – la domanda tacita che si fa ben presto ovvia.

— Ti ho lasciato là, pensando che volessi restare. Mi dispiace. —

Lo stomaco di Bucky si contorce, il corpo scatta in piedi. Le rivolge le spalle, man mano che sguscia fuori dal ring, rendendo vani i propri tentativi di calmare il respiro e rilassare la postura. Non vomita, ma la nausea ne attanaglia le viscere, assieme all'ansia.

— Non è colpa tua. — riesce a maneggiare il corpo, cacciando fuori parole amare e secche.

— Lo so. — risponde Natasha, avvicinandoglisi. — Ciò non toglie che avrei potuto fare qualcosa. —

Bucky socchiude le palpebre, allontanandosi quando nota la mano dell'altra allungarsi per potergli toccare la spalla destra. Mormora qualcosa, qualcosa di simile ad un — Non toccarmi, — ma la verità è che non sa neanche lui se l'abbia detto davvero. Il tono deve essere bastato a far capire a Natasha la richiesta, perché la donna si allontana e mantiene i tre metri di distanza, come fa quando è in presenza dell'Altro.

E poi, una piccola, fredda realizzazione immobilizza il mare di pensieri che sta imperversando nella mente di Bucky, facendolo fermare, il colore che abbandona le palpebre. Natasha se ne rende conto, ma non sembra dire o fare niente a riguardo, se non guardarsi attorno.

Prima che la donna possa aprire bocca, però, Bucky riesce finalmente a formulare la domanda che gli è sorta in mente – nonostante il desiderio di conoscere la risposta sia pari a zero.

— Come l'hai saputo? — domanda, la voce bassa e gli occhi che cercano quelli dell'altra, il corpo sembra di nuovo pronto per entrare in una delle celle in cui lo tenevano, se non addirittura nella camera criogenica. Ha freddo.

Natasha esita.

— Natasha. Come? — ripete la domanda, il corpo ci imprime un timbro più deciso.

Natasha sospira, abbassando lo sguardo.

— A Washington ho cominciato ad avere il primo dubbio. Non ho detto niente, era logico che ti avessero inviato anche per farla pagare a me e progredire coi piani. Poi Steve ha detto che ti conosceva, ma avresti dovuto avere... molti anni. Molti di più di quelli che dimostri ora. — uno sbuffo arriccia le labbra della Vedova Nera. — C'è da dire che anche Steve, però, li porta bene. —

Bucky non ricambia il sorriso, per quanto comprenda l'ironia.

— Cominciai a fare delle ricerche con Fury, dopo che dette fuoco al deposito dello SHIELD. Non c'erano molte informazioni su cui lavorare, neanche con l'aiuto degli altri Avengers riuscimmo a trovare molto. Fra Ultron, Rumlow e poi Ross, sia io, che Steve e Sam eravamo arrivati ad un punto cieco. Non sapevamo dov'eri, né cosa ti fosse successo. — Bucky segue Natasha solo con gli occhi, scrutandola mentre si siede su una delle panchine e prende un sorso d'acqua. — Avevamo solo le informazioni che ero riuscita ad ottenere, un vecchio fascicolo... — la voce s'interrompe di nuovo, lo stomaco di Bucky si contorce ulteriormente. — In ogni caso, Zemo ha lasciato un paio di cose in Germania, assieme al cadavere dell'uomo che avrebbe dovuto valutarti. — c'è un attimo di pausa, man mano che Natasha prende un respiro profondo ed unisce le mani. — Era un libro scritto completamente in Russo. Clint mi ha detto ciò che tu hai detto a Steve, prima che lo portassero via. Sono riuscita ad arrivare nell'hotel prima che la cameriera trovasse il corpo. Ho portato via l'unica cosa che avrebbe potuto davvero aiutarli a contenerti come avrebbero voluto. —

Bucky prende un passo di distanza. L'unica cosa a cui riesce a collegare Zemo è un libro rosso con una stella nera stampata sopra, la copertina in pelle e dalle pagine giallognole e l'ombra di scritte che hanno sempre avuto l'idea di essere Russo corsivo.

— Non l'ho detto a nessuno perché ho già rovistato abbastanza nel tuo passato, ma te lo dovevo, in un certo senso. —

— Che cosa? — la voce di Bucky è graffiata, ma bassa, man mano che osserva la donna.

— Ho rintracciato gli scienziati a “cura” — le dita si sollevano a formare delle virgolette. — del progetto. Zemo aveva una pista in caso anche il suo piano fallisse, o magari l'aveva già scartata... in entrambi i casi, era entrato in possesso di una lista. —

Bucky rimane immobile, scrutando la donna con espressione confusa, per quanto sia più una presa in giro, sia all'altra che a sé stesso. Sa perfettamente dove Natasha andrà a parare con questo discorso, ma non riesce a decidere se è qualcosa vuole o non vuole fare.

— Perché dovrei? — domanda, la voce amara e roca.

— Non dovresti, potresti. — precisa la donna, alzandosi e guardandolo negli occhi. — Perché è ciò che ho fatto anch'io, una volta liberatami dagli operativi della Red Room. Ho trovato chiunque fosse correlato al progetto Vedova Nera e l'ho ucciso. — c'è una nota più cruda nella voce di Natasha, una volta conclusa la frase. — I fascicoli sono nel mio appartamento, sono tuoi. Le informazioni saranno buone ancora per una settimana, prima che cambino locazione e facciano perdere le loro tracce un'altra volta. —

Bucky prende un respiro profondo, abbassando lo sguardo, il braccio meccanico che sfocia nella sua visione periferica.

— Non devi fare niente per forza, ma magari sbarazzarsi di simili persone aiuterà tutto il processo di guarigione. Non ti farà sentire meno in colpa per ciò che ti hanno costretto a fare, ma almeno avranno ciò che meritano. — conclude Natasha, troppo vicina ad oltrepassare i tre metri di distanza ed avvicinarglisi un altro po'.

Bucky rimane immobile tutto il tempo, annuendo appena e prendendo un respiro lento, profondo. La vendetta non è mai davvero stata un'opzione. Non da solo, in ogni caso. Adesso non sa se questo potrebbe rappresentare davvero una scelta, non con Steve e la sua moralità, ma nessuno gli vieta di rifletterci, no? Può sempre rifletterci e decidere cosa fare una volta visto cosa c'è nei fascicoli.

— Se decido di andare —

— Verrò con te, dovunque vorrai. — lo interrompe Natasha, un sorriso sincero sulle labbra.

Bucky ritrova una spinta ironica, riuscendo a sbuffare. — Presuntuoso. — le fa notare, non riuscendo a mantenere l'espressione per molto. Pochi attimi e ricade nel posto vuoto e freddo in cui si è trovato per tutta la conversazione.

— È il mio secondo nome. — confessa Natasha, prendendo un passo ed avvicinandosi, senza davvero chiedere il permesso od altro.

Bucky lotta contro l'urto di fastidio e negazione che arriva assieme a tale gesto, accettando il tocco dell'altra sulla spalla destra.

— Nat. — la chiama Bucky, prima che la donna possa fare qualcos'altro. — Non so se —

— Neanch'io. — ed è quasi fastidioso vedere come l'altra riesce a comprendere così bene certe cose. È quasi frustrante. Nessuno capisce come capisce Natasha. E questo lo fa quasi disperare, certe volte, sapere che Natasha è l'unica a cui non deve neanche dire qualcosa perché essa capisca cosa c'è che non va, o cos'è che lo trattiene, o spinge e lo fa comportare in un certo modo.. — Se succederà, succederà. — lo rassicura la donna, allontanandosi di qualche passo. — In più, adesso siamo dei ricercati. Non è proprio l'occasione migliore per pensare a qualcosa del genere. — conclude, il solito sorriso leggero che le si dipinge sul volto.

Bucky annuisce, guardandola afferrare la propria bottiglia ed un asciugamano, poggiandolo sul retro del collo ed avvicinarsi di nuovo.

Bucky esala un sospiro pesante, quando l'altra gli poggia una mano sul volto, proprio lungo la linea della mascella. La guarda negli occhi, in silenzio, non riuscendo davvero a capire cosa dirle, senza sembrare un automa.

Alla fine, storce le labbra in un sorriso, o almeno, qualcosa che dovrebbe rappresentarne uno. — Sono contento che tu sia qua. — mormora.

Natasha gli sorride di nuovo, più contenuta stavolta. — Sei un brav'uomo, James. — e Bucky sa che quelle parole sono un modo indiretto per dirgli che si merita qualcuno accanto, qualcuno su cui fare affidamento. Che lo merita, ma la verità è che fa ancora fatica ad accettarlo. La verità è che non è sicuro neanche un po' che sarà mai in grado di imparare ad accettarlo.

E questo, questo sì che lo fa sbuffare. — No, non davvero. — ammette, abbassando lo sguardo e chinando la testa. — Ma tu sembri essere l'unica a comprenderlo. — il che è vero. Forse anche Clint riesce a capirlo. Steve e Sam, assieme a Wanda, hanno un'idea fin troppo idealistica di Bucky.

Clint e Natasha non si aspettano niente, così come T'Challa e – probabilmente – anche Scott, per quanto Scott sia solo molto, molto distratto per preoccuparsi di argomenti del genere. Bucky non ha mai dovuto affrontare discussioni troppo profonde con Scott, per fortuna.

Natasha gli si avvicina e Bucky ricade in una delle vecchie memorie, ricordandosi come si fa in certe situazioni, quando il volto di una persona si sporge verso il proprio per posare le labbra su una guancia coperta dalla barba incolta di qualche giorno.

Bucky rimane immobile per la maggior parte del tempo, riuscendo solo ad inclinarsi di poco in avanti e permettere il contatto, per quanto i suoi movimenti siano meccanici e controllati, non dice nient'altro quando Natasha lo guarda con un saluto non proferito, allontanandosi verso gli spogliatoi e scomparendo dalla stanza.

Solo, Bucky prende un respiro lento e misurato, guardando il luogo vuoto, l'odore di plastica e gomma che gli riempie le narici e, infine, gli occhi che ricadono sull'orologio. È quasi mezzogiorno, ha rinunciato a mangiare qualcosa di prima mattina quando ha letto l'sms di Steve, ma lo stomaco non ha gorgogliato neanche un po' dalla mattina. A volte, sentire la fame è un lusso che può permettersi, ma altre non riesce semplicemente a comprendere la differenza. Altre ancora, nonostante essa, non è in grado di aprire bocca e masticare alimenti solidi, rifugiandosi su quelli più liquidi o morbidi.

Non esce dalla palestra. Non ancora. Non si è davvero allenato con Natasha, perciò, nella mezz'ora che gli rimane, riprende in mano attrezzi, spolvera vecchie tecniche di riscaldamento, prima di dedicarsi davvero ai sacchi da boxe.

 

[...]

 

Natasha ha già promesso di pranzare assieme a Clint e Wanda, per oggi. La incrocia fuori dagli spogliatoi, fresca di doccia, mentre Bucky gronda sudore e non riesce a parlare per bene senza che il fiato corto gli smorzi le frasi.

Bucky opta per una doccia veloce, notando inevitabilmente come Steve abbia lasciato il borsone con dentro un secondo asciugamano ed una nota:

Io l'ho preso, tu lo riporti.
Lo shampoo è quasi finito.

Non dico che non farebbe
comodo che tu lo prendessi,
ma farebbe comodo ;)
Grazie, eh
—-Steve

Bucky rotea gli occhi al soffitto, accartocciando la nota e buttandola nel cestino più vicino, borbottando qualcosa a proposito sul piccolo stronzetto, per quanto adesso sia in formato gigante.

La doccia è veloce, sia perché non vuole rischiare ricordi improvvisi, sia perché non ci tiene a sperimentare se il fermo installato da Mehret funzioni davvero, adesso che si tratta ancora di una fase sperimentale. Perciò, una volta asciugato e rivestito con gli abiti con cui è uscito di casa, la sua unica deviazione prima di tornare da Steve è, appunto, la reception da cui si possono effettuare ordinazioni. Sia lui che Steve sanno benissimo che potrebbero digitare un messaggio dal pannello di controllo all'interno di uno dei loro loft e farsi consegnare qualunque cosa vogliano entro pochi minuti, ma entrambi hanno concordato che il gesto sembra troppo strano, perciò si limitano a richiedere l'ordinazione e presentarsi con in mano i soldi, per quanto sia sempre più difficile pagare, ora che più o meno tutto il personale ha ricevuto l'ordine di trattare il team di ex-Avengers e non come degli ospiti.

Anche oggi, Bucky riesce a pagare l'uomo situato alla reception e, probabilmente, capisce anche perché Steve mandi lui, certe volte. Nessuno ha davvero paura di Steve, tutti lo vedono come un uomo di buon cuore, troppo innalzato dalla sua moralità per poter fare una faccia minacciosa o non cedere all'insistenza di un'offerta. Bucky, al contrario di Steve, non nega di avere un dono naturale – e l'instabilità emotiva aiuta, sotto questo punto di vista, deve riconoscerlo – nel guardare male le persone, poggiare con un po' troppa irruenza il palmo sinistro sul tavolo e sillabare con calma — Prendi questi cazzo di soldi e non rompere le palle. — prima di afferrare la busta ed andarsene per la propria strada.

— Sei un approfittatore del cazzo, Rogers, lo sai? — Bucky non lascia neanche aprire bocca a Steve quando mette piede all'interno del salotto, poggiando busta e carta magnetica sul tavolino, prima di dedicarsi alla ricerca del biondo.

Steve, apparentemente, sta cucinando. Ed anche ridacchiando.

— Stai zitto, che ti diverti pure tu. — gli rifila, voltandosi e poggiando una padella con dentro della pasta saltata su un sottopentola, l'aspetto che tradisce l'odore della pasta.

Bucky si siede a tavola, senza nascondere la sua espressione dubbiosa. Ed ovviamente Steve lo nota.

— Non cominciare neanche, Buck. Ti arriva una spatola in testa. —

Bucky tira su le mani, guardando Steve con aria falsamente innocente. — Non so di cosa tu stia parlando. Stai per caso insinuando da solo che dovrei avere dubbi sulla tua cucina? —

Steve caccia un suono lamentoso. — Ti odio. —

— Nei tuoi sogni più selvaggi. — scherza, scuotendo la testa e, afferrando la pentola, si rovescia un po' di pasta nel piatto. — Sicuro che non saltano fuori dal piatto e cercano di uccidermi? — punzecchia di nuovo.

— Ti fa male vedere Natasha, diventate un unico essere quando vi incrociate. Non so quanto sia un bene. — Steve cambia discorso, chiaramente non volendo ammettere che potrebbe aver sbagliato a seguire la ricetta online.

Bucky, in compenso, storce le labbra ed abbassa lo sguardo, sfruttando gli attimi in cui Steve è ancora voltato di spalle – intento ad infilare ciotole e bicchieri nel lavandino – per poter riacquistare una tranquillità almeno apparente.

— Sì, beh, magari è il marchio di fabbrica. — gli scappa fuori, di punto in bianco, in un tono ironico, ma che comunque lascia trapelare un filo di amarezza. Bucky si maledice mentalmente per aver aperto bocca, nello stesso istante in cui Steve si volta e lo guarda, sopracciglia inarcate ed una tacita domanda nello sguardo. Tutto okay?

— Ha tentato un'altra terapia d'urto? — domanda Steve, cautamente.

Bucky scuote la testa, sospirando e rinunciando a nascondere l'ennesimo problema a Steve. È quasi frustrante. Steve è come un cane da tartufo quando succede qualcosa del genere, così come Bucky lo è nei confronti dell'uomo.

— Ne possiamo parlare dopo mangiato? — ribatte Bucky, invece, senza guardarlo negli occhi. — Non è niente di che, davvero. — promette, infine, quando Steve prolunga il suo sguardo da Sono Costantemente Preoccupato Per Te E Non Importa Cosa Dirai, Non Cambierà.

— Okay. —

Bucky tira quasi un sospiro di sollievo, ignorando il vuoto inconsistente all'altezza dello stomaco, la mente che non segnala neanche il minimo crampo. Afferra la forchetta e comincia a mangiare, riscoprendo lentamente che sì, quel vuoto che sente non è il prossimo conato di vomito, ma solo fame. Molta fame.

Tale realizzazione è un incentivo in più a mangiare. Diamine, Bucky è quasi entusiasta di poter mangiare più liberamente, adesso, nonostante certi giorni non tocchi cibo dalla mattina alla sera e Steve è costretto a forzarlo a mangiare ogni tanto, per quanto Bucky riesca ad ingerire poco, dato che – una cucchiaiata di troppo – e rischia di correre in bagno per rigettare il tutto.

Il pranzo passa in silenzio. L'aria scherzosa e spensierata ha lasciato il posto a qualcosa di più teso e pesante. Bucky sa che Steve vuole delle spiegazioni, per quanto non lo specifichi davvero, né cercherà di forzarlo. È nella natura di Steve, ha imparato, preoccuparsi per Bucky e voler sapere più o meno tutto quello che lo riguarda. Perciò non si sorprende dell'espressione di delusione e fastidio malcelati, quando Bucky suggerisce di finire di guardare una delle serie TV su Netflix, non appena finito di ammontare piatti e bicchieri nel lavandino. Non si sorprende neanche di come Steve annuisca ed accetti tale scelta, chiaramente contrariato da essa, andando ad afferrare un paio di cuscini extra per potersi sistemare sul divano subito dopo che Bucky si è accomodato. Si siedono agli estremi del divano: Steve con un braccio poggiato sul bracciolo destro, Bucky che invece usa bracciolo e cuscini come schienale, solo per potersi togliere gli anfibi e cacciare i piedi sotto la coscia di Steve, quella più vicina, guardando la televisione e sprofondando nella sensazione morbida e calda che il divano, i vestiti ed i cuscini gli trasmettono.

Non guarda davvero la puntata. Si prende quell'ora di tempo per scivolare fra dormiveglia e pensieri disarticolati su come porre la questione a Steve, come se poi dovesse confessare un crimine, o di aver tradito chissà quale aspettativa dell'altro.

Quando i titoli di coda preannunciano il secondo episodio, Steve si sporge per afferrare il telecomando e mettere in pausa, voltandosi verso Bucky e fissandolo.

— Hey. — protesta Bucky, senza voltarsi.

— Buck. — e Bucky conosce perfettamente il tono da Captain America, quando lo sente.

Un sospiro abbandona le labbra del moro, quando si tira su, riacquistando una posizione più consona alla definizione di “seduto”.

— Ricordi quando ti ho detto di chiamarmi Yasha? — domanda, adocchiando Steve per la prima volta dopo un'intera ora di occhiate evitate all'ultimo secondo. Steve annuisce, paziente, ma non apre bocca. — Ho ricordato chi mi ha dato quel nome. —

Steve rimane interdetto, non sapendo chiaramente come interpretare tale informazione, si limita solo a corrugare la fronte ed aspettare, mormorando un semplice — Okay... —

Bucky prende un altro respiro, voltandosi e poggiandosi una mano sul volto, massaggiandolo. — Natasha era una recluta, l'ho allenata io durante gli anni del progetto Vedova Nera. — mormora Bucky, tenendo gli occhi chiusi e nascondendo il volto a Steve. Se si concentra abbastanza, riesce ancora a sentire le voci riecheggiare nelle stanze d'allenamento. Fredde. — Abbiamo fatto delle missioni assieme. —

Steve non emette un suono, ma Bucky riesce a sbirciare la sua espressione confusa dall'altra parte del divano.

— Aveva detto che non ti conosceva. — mormora Steve, dopo qualche istante.

— Non come Bucky Barnes. —

— No, anche come — la voce di Steve muore prima di poter dire di nuovo due parole ben precise. Soldato e Inverno.

— Forse voleva evitare ritorsioni. — ipotizza Bucky, guardando Steve, adesso che il biondo ha gli occhi da tutt'altra parte, concentrato su qualcosa. — Forse pensava fosse un altro dei Soldati d'Inverno. — si stringe nelle spalle, prima di prendere un respiro ed incrociare le braccia al petto.

— Per questo è riuscita a recuperare il fascicolo? —

Bucky si tira su a sedere di colpo, ottenendo l'attenzione di Steve. Non ci aveva fatto troppo caso quando Natasha gliene ha accennato, ma adesso gli sembra quasi ovvio.

— Era per te. —

Steve deglutisce, sbiancando appena. — Era l'unica pista che avevo su di te. —

Lo stomaco di Bucky ha una fitta. Deve alzarsi. Deve alzarsi ed andare a vomitare. Steve sa cosa gli hanno fatto. Se Natasha gli ha dato il fascicolo, Steve sa perfettamente tutto ciò che è successo durante gli sperimenti, tutto ciò che non è stato trasferito sui computer.

Bucky socchiude le palpebre, forzandosi a deglutire ed ignorare la morsa che gli attanaglia le viscere. Okay, può accettare anche questo. Può accettarlo. Può.

— Credo — gli occhi di Bucky non sanno davvero dove posarsi, all'interno della stanza, ma sicuramente non intendono posarsi su Steve. — Credo di aver dimenticato una cosa importante. — caccia fuori all'improvviso, una smorfia che gli si dipinge sul volto. — Quando ero... Quando ero quell'Altro. — si ferma di nuovo, scrutando Steve. — Con Natasha. —

Steve non sembra davvero seguirlo. Bucky sa che vorrebbe parlare un po' di più del fascicolo e del motivo per cui abbia ficcato il naso dove Bucky ha sempre cercato di mantenere un alone di confusione. Bucky stesso non ricorda certe parti del periodo trascorso con gli scienziati HYDRA.

— In che senso, qualcosa di importante? — Steve esita.

Bucky storce di nuovo le labbra, mantiene le braccia incrociate al petto, rimettendosi a sedere e puntellando i piedi sul divano, accovacciandosi quasi. — Mi sono ricordato di una notte. — mormora, senza davvero avere alcuna voglia di scendere in particolari dettagliati. Quasi gli viene da ridere, perché chi diavolo riesce mai a vederci chiaro nei suoi ricordi? — Con lei, durante una missione. — solleva lo sguardo verso Steve. — Natasha credeva che anch'io volessi... — socchiude le palpebre, coprendosi il volto con le mani e massaggiandolo. — Ricordo che quando mi ha chiamato Yasha era come se — la voce s'interrompe, mentre Bucky si ritrova a stringersi nelle spalle. — Mi ha chiamato Yasha e l'unica cosa che ricordo d'aver pensato è stata lo fa suonare come se fossi una persona. Ricordo di averci creduto. — così forte da far male, quando è ritornato alla base per fare rapporto del malfunzionamento, senza coinvolgere Natasha.

Steve rimane in silenzio tutto il tempo, il volto pallido e le labbra appena aperte in un'espressione sorpresa.

Bucky lo lascia stare, in silenzio, senza davvero chiedergli di fare alcunché. Aspetta che l'altro abbia qualcosa da dire.

— Te ne ha parlato solo ora? — chiede Steve, infine.

Bucky annuisce.

— Perché mai? —

Bucky scuote la testa.

— Okay. — Steve si poggia una mano sulla tempia. — Okay. È un- un po' strano, ma almeno non sono altre brutte sorprese. No? —

Bucky si sforza per annuire, prendendo un respiro profondo e riflettendoci.

— Che intendi fare? — chiede Steve, guardando Bucky. — Insomma, Natasha è... Natasha.

Gli occhi azzurri di Steve fanno intendere i suoi intenti: sdrammatizzare. Per quanto possa essere davvero difficile di questi tempi, soprattutto in una conversazione con Bucky.

— Non lo so. — se Bucky deve essere sincero, la sua vita si è ridotta a quelle tre parole. — Non riesco neanche a stare vicino alle persone senza pensare a quale sarebbe il modo più rapido per spezzare loro l'osso del collo. — una smorfia gli si dipinge sulle labbra. — Non so davvero se sono tagliato per una relazione. E Nat ha detto che neanche lei vuole forzare niente, né scoprire chissà cosa. —

Steve annuisce, in silenzio.

— Mi sembra una cosa che direbbe Nat, in effetti. — mormora, infine, passandosi una mano fra i capelli biondi e corti. Steve ha un piccolo accenno di barba, per quanto il colore chiaro la renda difficile da vedere. — Beh, immagino che rimarremo due vecchi single assieme. — e ridacchia, leggero, ma neanche troppo forzato. La risata ha breve durata, difatti, rimpiazzata da un silenzio vago.

— In che senso? — Bucky ricorda bene la bionda che Steve ha baciato sotto il ponte, la stessa donna che ha portato loro le uniformi.

— Ti ricordi di Peggy Carter? — domanda Steve. A volte succede che Steve gli chieda più volte se ricorda qualcosa, perché non sempre parla con lo stesso Bucky, non sempre la mente di Bucky riesce a pescare informazioni. Certe volte spariscono, altre invece rimangono sempre a galla, indesiderate.

Bucky annuisce.

— Beh, salta fuori che ha una nipote. —

Bucky corruga la fronte.

— Sharon Carter. La bionda che ci ha riportato le uniformi. —

Bucky sgrana gli occhi. — Come? —

Steve annuisce, tirando su le mani, chetando Bucky prima che la fiumana di domande lo interrompa troppo.

— È stato un enorme casino. Lo sapevo e non —

— Steve! — Bucky si tappa la bocca con entrambe le mani, mentre il volto di Steve cambia colore, dal rosso più acceso a qualcosa di più livido.

— Lo so, non serve che tu faccia lo stronzo e me lo faccia pesare più di quanto già faccia da solo. Grazie, prego. — e a quelle parole, Bucky deve fisicamente tapparsi la bocca per evitare altri commenti.

Steve lo fissa per qualche istante, finché Bucky non decide di calmarsi, almeno. E poi prende un respiro profondo, riprendendo a parlare.

— Dopo l'evasione del Raft, T'Challa ha offerto anche a lei una casa in questo posto, ma ha detto che aveva un paio di cose di cui occuparsi, senza contare che non voleva davvero starmi troppo vicina. E la capisco, la capisco benissimo. Insomma, io stesso vorrei starmi lontano. — un po' del rossore sul volto di Steve svanisce, per quanto nel contesto rimanga ugualmente rosso. — Peggy era morta da poco-... —

— Peggy è morta? — Bucky sgrana gli occhi, la bocca aperta.

— Oh cazzo, mi dispiace. — stavolta è il turno di Steve di tapparsi la bocca. — Cazzo. —

Bucky non riesce davvero a sentire dispiacere od altro, se non la sorpresa di una notizia del genere. Sa di aver conosciuto Peggy, ma la verità è che ha solo una memoria confusa su di lei. Non visivamente, quanto emotivamente. Ricorda qualcosa simile all'invidia e la rabbia, ma anche la rassegnazione e la speranza, per quanto fossero rivolte tutte a Steve in funzione di Peggy.

— Stevie, che è successo con la nipote? — domanda Bucky, cercando di cambiare di nuovo argomento e riportare Steve alla normalità. O quantomeno, ad un balbettio più cosciente.

Steve sembra risvegliarsi da qualunque pensiero lo stesse tormentando. — Non ricordi davvero Peggy, vero? — chiede, una nota quasi dispiaciuta nella voce.

Bucky non può far altro che scuotere la testa. — So solo che la conoscevo, mi pare di aver letto da qualche parte che soffrisse di demenza? — e Steve annuisce, lentamente. — Ma non ho davvero dei ricordi precisi su di lei. — mente, stringendosi nelle spalle. Non vede davvero altre soluzioni per far scappare via Steve dal brutto posto in cui la sua testa si sta infilando.

Steve annuisce, deglutendo e schiarendosi la voce.

— Beh, per farla breve, il fatto che Sharon fosse la nipote di Peggy era un'enorme fonte di disagio, e ce ne siamo resi conto entrambi quando ci siamo rivisti. — riprende Steve, stringendosi nelle spalle, una punta di rossore che ne tocca le guance. — Così abbiamo deciso di mettere un punto e darci più tempo. Non abbiamo davvero avuto tutto questo tempo per parlare, per conoscerci, non sappiamo praticamente niente l'uno dell'altra e quindi... — Steve prende un respiro profondo, scrollando le spalle e rilassandosi un po'. — Sono nella tua stessa situazione con Natasha, più o meno. — conclude, rivolgendogli un'occhiata quasi complice.

Bucky ne è grato, per quanto non lo dia a vedere.

— Io avrò sprecato tre dollari per Dot, ma tu sei davvero un disastro, in fatto di relazioni amorose, Rogers. — scherza Bucky, cercando di alleggerire la tensione.

Steve sorride, sbuffando e roteando gli occhi al soffitto, fingendo insofferenza. — Quel diavolo di peluche. —

— Fortuna che il siero doveva amplificare tutto, eh?, immagino che a te abbia amplificato l'incapacità di flirtare. — lo punzecchia Bucky.

— Fottiti, so flirtare! — esclama Steve, gonfiando il petto e tenendo la schiena ben dritta.

Bucky gli tira un cuscino in faccia. — Vai a fare il galletto da un'altra parte, Rogers. O forse dovrei dire, “nocciolina?” — è uno dei pochi momenti di cui Bucky si ricorda, ma dà principalmente la colpa al fatto che le ragazze con cui uscivano fecero una faccia disgustata a quella richiesta e Bucky, per quanto infastidito da tale comportamento, cercò di sdrammatizzare il tutto riportando gli occhi sulla macchina appena andata in fiamme di Howard Stark.

— Fra tutte le uscite, proprio quella devi ricordarti?! — Steve emette un suono insofferente.

— Okay, campione, dimmi un'uscita in cui hai davvero fatto colpo. — Bucky si sistema meglio sul divano, poggiando i gomiti sullo schienale e lanciando un'occhiata a Steve in tralice.

Steve rimane in silenzio.

Bucky scoppia a ridere.

Steve diventa rosso.

— Sei pessimo. Ti odio. —

Bucky continua a ridere.

Almeno finché Steve non gli pianta un cuscino in faccia, smorzando la voce di Bucky con un'esclamazione di sorpresa.

Da lì, cercano di stringere l'uno nella presa dell'altro, rotolando giù dal divano e finendo sul tappeto, e ritrovandosi Bucky per terra con Steve che gli preme su un fianco, le mani intrecciate in una presa che si muove in continuazione, lì dove Steve cerca di bloccarlo e Bucky riesce a sgusciare via e riacquistare un punto da cui esercitare forza migliore. Dopo qualche istante, però, Steve ha la meglio, solo perché Bucky non riesce a contrastarlo col braccio meccanico. Nonostante Bucky cerchi di allentare il blocco, il suono che le piastre meccaniche emettono è un sibilo sforzato, finché il braccio non cede e Steve rischia di cadergli addosso fermandosi e guardando Bucky, preoccupato d'aver rotto qualcosa.

— T'Challa mi spellerà vivo. — esala Bucky, prima che il braccio smetta di sibilare e le piastre si sistemino di nuovo. Lo muove, controllandolo e corrugando la fronte, prima di tornare su Steve e prendere entrambi un sospiro di sollievo.

— Credo che il programma di Mehret abbia ancora un paio di migliorie in serbo per me. — spiega Bucky, disteso per terra, i piedi a contrasto con la base del divano e le gambe piegate.

Steve annuisce, tirandosi appena su, sfruttando il gomito e guardando Bucky negli occhi.

Bucky arcua un sopracciglio.

— Che c'è? — domanda al biondo, quando Steve si mette a guardarsi attorno.

— Non so se ricordi, ma — Steve si volta di nuovo, guardando Bucky e sistemandosi di fianco a lui, tirando su le gambe e poggiando polpacci e piedi sul divano. — A volte dormivamo per terra, su un materasso, davanti alla stufa in salotto. — mormora accanto a Bucky, ora intento a fissare il soffitto. — Stavo pensando che mi piacerebbe rifarlo. — e Bucky si volta solo perché la sua vista periferica coglie il movimento di Steve, quando l'uomo muove la testa per adocchiare il bruno.

— Ricordo di avertelo proposto, una volta, ma non ricordo quando. — mormora Bucky, assorto, gli occhi che si perdono in un punto imprecisato fra Steve e la vetrata poco distante.

— Perfino il tappeto è più comodo di uno di quei materassi. — commenta Steve, assieme ad una risata bassa, sottile.

— Beh, nessuno ci vieta di farlo anche subito. — fa notare Bucky, tornando ad adocchiare Steve.

Ogni tanto, Bucky non può fare a meno di guardare gli occhi di Steve e pensare alle parole dette da Zemo. Per lui è quasi sempre stato normale vedere, ma anche ricordare la sfumatura verde negli occhi di Steve, lì dove l'azzurro lascia dei riflessi, più che dei veri colori, ingannando la vista. Ha sempre avuto l'impressione di conoscere alla perfezione quegli occhi, a prescindere del volto che li indossasse – fosse snello o in forma.

Steve s'illumina appena. — Netflix, popcorn per cena e schifezze finché vogliamo. —

Bucky ridacchia, ma annuisce, prima di cercare di allungarsi per poter afferrare il telecomando e far ripartire la lista di episodi, per quanto nessuno dei due sembri intenzionato a tirarsi su e raddrizzarsi davvero per poter guardare la televisione.
 



Author's Corner:
Oooookay, salve! Ci sono - di nuovo - millantamila note da chiarire, visto che 1, il Russo non è decisamente una delle tante lingue studiate e 2, COMICS REFERENCES (per chi invece l'ha già trovata/capita: tvb, you are precious and I luv u). Anyway, no shame in that, partiamo con ordine.
- il post scriptum lasciato da Natasha si legge "a búdu zhdat' tebyá na gimnasticheskiy zal" e vuol dire: ti aspetto davanti alla palestra
- "shotgun" altri non è che il nostro "l'ho detto prima io," ma versione figa. In America si è soliti dire "chiamare lo shotgun" per chi fa prima cosa, quindi il primo che dice "shotgun" vince
- "Яша" altri non è che la forma in Cirillico di "Yasha", cioè "James" in Russo~
- per la reference ai Marvel comics, parlo esattamente dell'ultimo dialogo di Natasha e Bucky, quando lei gli dice che lui è un brav'uomo. Non so se per voi possa risultare OOC, ma la verità è che Bucky è in un momento della sua vita in cui la sua mente gli dice che prova qualcosa di più che semplice simpatia per Natasha. Spero sia di chiarimento u.u

Detto ciò, vorrei ringraziare tantissimo tutti coloro che hanno commentato, segnato fra i preferiti e fra le storie da ricordare. Voi non avete idea di quanto aiuti vedere che qualcuno s'interessi davvero alla storia - aiuta davvero perché mi sento un po' meno come se stessi scrivendo cose a caso e facendo un caos assurdo. I definitely feed on feedback - e questa è la riprova.
Di nuovo, sono una pessima beta-reader (molto impaziente), quindi se trovate degli orrori che non sono riuscita a correggere, segnalate pure via messaggio privato / recensione, che sono lontana dall'essere perfetta çuç

Pazzo e chiudo,
Shà<3

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