Il Bersaglio. di David89 (/viewuser.php?uid=68109)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Parigi. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Scacchi. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. Viva gli Sposi. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Croissant e Caffè. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
Capitolo
1.
Era lì. Potevo ucciderlo, fargli saltare il cranio. Premere il grilletto. Si, era lontano, ma in Russia addestrano anche i migliori cecchini del pianeta. Dicono.
Cosa, cosa m'ha spinto a non ucciderlo? La croce del mio M40 con la sua bella faccia in mezzo.
Vento leggermente da Ovest. Stavo mirando alla donna a fianco a lui, sapendo che tanto avrei colpito la sua fronte, un buco in testa. PUM! Un lavoro pulito. Sarei ora in qualche isola del Pacifico. Sole, caldo, soldi e donne. Cosa potevo desiderare di più?
Avevo affittato una camera di un alberghetto in una città vicina a Los Angeles, che dava proprio sul piazzale del municipio. Una camera spartana, niente di che. Un fottuto curioso alla reception che m'ha fatto domande su cosa ci facevo, cosa m'aveva spinto fin li, e balle varie. Se qualcuno si facesse i cazzi suoi, una volta ogni tanto...
Penso che non saprò mai neanche come si mangiava lì, in quella topaia. Avevo preso un panino in un bar poco distante dal mio obiettivo. Cos'era? Insalata e forse della carne dentro, non ricordo.
Ehi, però la donna delle pulizie... Un bel balconcino...
Uomo sui 50. Baffi, occhiali da vista. Veste sempre con una giacca blu scuro. Niente cravatta.
Così mi parlò Vlad al telefono. Il mio obiettivo.
Quando arrivai, con il binocolo riuscii ad intravederlo, mentre saliva le scale del municipio, con lui quattro bodyguard.
Vive sotto scorta. Ogni mattina alle 7 esce di casa, e va al lavoro. Esce dal lavoro dai cinque minuti prima ai cinque minuti dopo le 19. Casualmente, a discrezione di chissachì. Sono i bodyguard quasi a portarlo via di forza. E i percorsi fino a casa cambiano sempre, per evitare attentati. Solo una volta hanno ripetuto lo stesso percorso. Guidava Mark Leby, uno dei migliori uomini.
Lo trovarono morto, la macchina in fondo al fiume.
Non poteva fare due volte lo stesso percorso. Neanche a distanza di una settimana.
Quante cazzo di strade ci sono in quel quartiere? Ho provato a perdermi un giorno, di mia spontanea volontà. Ho percorso vicoli stretti, strade apparentemente senza via d'uscita. E sbucavo quasi sempre davanti al municipio, cazzo. Una volta finii nella strada parallela. Chiesi ad un passante dove mi trovavo.
-E' vicino al Municipio, guardi... E' proprio la via parallela. Neanche due minuti, hombre-.
Gli avrei staccato la testa con un cavatappi. Aveva dannatamente ragione.
Dopo due giorni in quella città mi arrivò una telefonata.
Me la passò quel cazzone del receptionist.
-E' una linea sicura?- mi domandò una voce scura dall'altro capo del filo.
-Si- risposi, ingenuamente.
-Appena uscito dall'albergo, a destra percorri 400 metri. Svolta l'angolo. Sentirai suonare una cabina telefonica.-
Riattaccò.
Scesi e feci come mi disse di fare.
Svoltai l'angolo. Stavo per arrivare al telefono, quando iniziò a suonare. Alzai la cornetta.
-Domani. 19.02. La macchina arriverà neanche un minuto prima. Hai esattamente 15 secondi per dirgli Ciao. Non un secondo di più.-
"Finalmente" pensai.
Riattaccò.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Il Bersaglio. Capitolo 2
Dedicato a chi ha apprezzato il
primo capitolo.
Capitolo
2.
Cling.
Cling... cling.
Porca vacca.
I proiettili erano
caduti al suolo, producendo quell'inconfondibile rumore metallico.
7.62 mm NATO.
Piotr, il mio
fornitore di fiducia, li chiamava anche “supposte per il
culo”.
Dovevo chinarmi
dalla sedia e rischiare di capottarmi per dei fottutissimi
proiettili? Due li avevo visti, lì davanti ai miei occhi, a
fianco
del comodino. L'altro chissà dove era finito. Presi quelli a
vista. La mano sinistra a reggersi sulla gamba del tavolo. Il terzo
era probabilmente rotolato sotto al letto.
Cazzi suoi, pensai,
mentre inserivo le supposte dentro la scatola, che prima sbadatamente
avevo urtato.
Di fronte a me la
mia donna. Il Fucile più bello del mondo, il mio fiorellino.
Lo
pulivo, ad ogni uso. Lo smontavo, pulendo ogni pezzo, con una cura
maniacale. E poi mi divertivo a rimontarlo, come se fossi stato un
ragazzino.
A fianco la custodia
rigida che mi portavo da quando l'avevo fregata a quel trafficante.
Era una valigetta per l'esplosivo, simile a una ventiquattr'ore, solo
un po' più grande, ma dentro ci stava benissimo il mio M40,
e così
non dava neanche nell'occhio.
A sinistra la
finestra che dava al municipio. E prima un piccolo parco, dove
solitamente vedevo bambini giocare, con le madri nei pressi, a
spettegolare come al solito.
Erano le 7.
A quest'ora sarà
uscito di casa, pensai, mentre guardavo l'ora sul mio orologio russo
al polso.
Le 7.01 in
quest'istante, pardon. A quest'ora sarà in macchina.
Staccai il mirino
telescopico Unerlt dal fucile, e lo usai a mo' di cannocchiale. Mi
affacciai alla finestra. Bambini, strade, alberi, altre persone,
macchine, altre macchine.
Erano le 7 e due
minuti, ma c'era già movimento fuori.
Dovevo ancora fare
colazione, ma volevo aspettarlo. Capire quanto ci metteva ad arrivare
al lavoro.
Abbassai le
veneziane, e un buio imperversò nella camera. Amavo stare al
buio.
Solo dei piccoli raggi di luce entravano nella stanza, dalle fessure
delle veneziane.
Rimasi a guardare
fuori, protetto dalle veneziane, cui facevo uscire appena appena il
mirino.
Alle 7.23 arrivò la
macchina. Sempre la solita fottuta giacca del cazzo. Blu come anche
la giacca dei bodyguard. Se non mi avessero dato la Sua descrizione,
probabilmente avrei potuto colpire gli energumeni che lo scortavano.
E lui sarebbe rimasto illeso, già al sicuro. E io fottuto,
come un
coglione.
Basta, ho fame.
Riattaccai il mirino
all'M40. Smontai in due parti il fucile, per farlo entrare nella
valigetta. La chiusi con la combinazione, e la riposi dentro
l'armadio.
Uscii.
Per le strade, la
città era come se fosse nell'orario di punta.
Gente che a passi
svelti, sbucava da dietro gli angoli, probabilmente per recarsi in
tempo al lavoro. Macchine che nel traffico cittadino clacsonavano
all'impazzata, imbottigliate negli incroci, con i semafori impazziti.
Diamine, neanche a New York c'è un casino così.
Alzai gli occhi al
cielo. Era sereno, c'era solo qualche nuvola bianca, appena
accennata, appena dipinta su quel blu che stonava con il grigio della
città.
Riabbassai gli
occhi. Era verde. Attraversai le strisce pedonali, assieme ad altra
gente. Gente d'affari, semplici cittadini, qualche barbone che la
gente evitava con buffi slalom.
Davanti a me un bar.
Varcai la soglia della porta, mentre un campanellino annunciava il
mio ingresso, al tocco con quest'ultima.
Alcune facce mi
guardarono per qualche istante, d'istinto mosse dalla
curiosità di
sapere chi entrava. Non ero tra le loro conoscenze: tornarono a
quello che facevano prima. Mi avvicinai al
bancone.
Caffè e un
tramezzino al formaggio. Il menu meno costoso, e quello più preso dai clienti di quel bar.
Sapevo di aver fatto
la scelta più giusta, nonostante odiassi il formaggio, per
giunta
dentro al tramezzino. Ma sapevo quello che facevo, e sapevo che mi
avrebbe aiutato, nel futuro.
Il proprietario si apprestò a servirmi, senza obiettare. Mi
diede quello che ordinai, e mi guardò,
aspettando di essere pagato. Tirai fuori qualche moneta dal
portafoglio, e gliela posi sul bancone, senza dire niente.
La mano destra a
reggere il caffè, contenuto in un bicchiere della Coca, la
sinistra a reggere il tramezzino. Con la punta
del piede aprii la porta, infilandola in una piccola fessura. Poi,
con un colpo di muscoli, tirai la porta verso di me, e questa si aprii quanto
basta per farmi passare, e poi richiudersi immediatamente.
Alternavo il bere e
il mangiare, mentre facevo qualche giro per la città, a
guardar le
vetrine dei negozi, attratto dai manichini femminili, che erano
sempre vestiti con un bikini e un reggiseno.
Nessuno che si
curava di me, che mi guardasse, anche per qualche secondo, o qualche
istante. Ognuno era preso dai suoi pensieri, dai problemi al lavoro,
ai problemi in famiglia, al marito, alla moglie, ai figli, allo
strozzino a cui dare i soldi, al regalo da fare all'amante.
Li guardavo quasi
dall'alto in basso. Io, che stavo con una che era come me, assassina
e spietata. Ci sentivamo solo quando non avevamo niente da fare,
cioè
mai. Quando avevo qualche lavoretto da fare, lei era a riposo; e
viceversa.
Nessuno di noi portava niente dell'altro. Né una foto, una
lettera,
un rossetto, un capo di biancheria come ricordo. Per chiunque fosse
interessato a noi, io e lei non stavamo assieme, e non lavoravamo per
la
stessa Agenzia.
Si chiamava Emily. Ma per l'Agenzia era Agente 34E. Ed E
non stava per Emily.
Io invece ero
l'Agente 12C.
E C non stava per l' iniziale del mio nome, ma per
Cazzone.
Finii di mangiare il
mio tramezzino in fretta, trattenendo una smorfia di disgusto, appena
sentii la sottiletta di formaggio tra i denti, e il caffè
che era
rimasto lo ingurgitai in un colpo solo.
Le 9.56. Avevo tutta
la mattinata per me. Potevo comprarmi qualche vestito, andare al
parco e guardare la gente che passava. Ero sicuro di essere coperto
dal perfetto anonimato. Nessuno in questa città mi avrebbe
riconosciuto, in qualche foto segnaletica, o in qualche mio identikit
sul giornale. Forse il barista? No, avevo preso il menu più
in voga.
Quasi tutti lo prendevano, e di certo non si sarebbe ricordato di me.
Avevo pagato in contanti ovunque. Non potevano rintracciarmi.
Mi guardai attorno, per decidere sul da farsi, ma preferii
tornare in albergo.
Nessuno alla
reception. Salii le scale che portavano alla mia stanza. La 34. Era
un caso?
Il letto sfatto, la
stanza nel completo buio. Avevo dato disposizioni precise, come tutti
dell'albergo del resto. Che nessuno faccia niente in camera mia. Ero
capitato nel posto giusto, perché quasi tutti i clienti
della topaia
non volevano inservienti a rovistar nella loro stanza.
Difatti la figa che
doveva pulire le camere, se ne stava a spazzar polvere nei corridoi,
minacciata dallo stesso proprietario di non azzardarsi ad entrare in nessuna camera dei clienti.
Pensai a lei, e
pensai subito a Emily.
Mi distesi sul
letto.
Mi addormentai.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. ***
Capitolo
3.
Quando mi risvegliai, erano da poco passate
le 16.
Non avevo fame, e l'idea di scendere ancora giù per strada a
cercare qualcosa da mangiare non mi allettava.
Mancavano poche ore all'obiettivo, e io ero dannatamente tranquillo.
Forse troppo.
Strano. Forse ero abituato ormai, nonostante i miei lavori mi
costringessero a cambiare ogni volta
città. Beirut,
Mosca, Berlino, Pamplona, Città del Messico.
Tutte persone uccise, con un colpo in testa, sulla fronte. E subito
dopo un areoporto, verso un posto dall'altro capo del mondo, in attesa
che le acque si fossero calmate. Generalmente un mese di vacanza, con
un passaporto falso, una nuova identità provvisoria, una
storia
da raccontare alle spalle.
Quante mogli che ebbi. Cinque divorzi se non ricordo male. Una madre in
carrozzella, una morta, l'altra ultranovantenne. Classiche informazioni
da dare ai primi curiosi, a cui non puoi non dare una risposta.
Una volta dissi che avevo dei parenti in Spagna, e tirai fuori un
cognome. Con il culo che ebbi in quell'occasione, la persona con cui
stavo parlando ce l'aveva identico e mi chiese anche se non fossimo stati mica parenti.
Per fortuna che dovevo ucciderlo.
Mi stiracchiai, e le mie mani andarono a toccare il freddo del
pavimento, in cerca delle scarpe. Sentii qualcosa di metallico nella
mano. Rotondo, affusolato, la punta appuntita, peso leggero ma
consistente. Era il proiettile 7.62 mm NATO. Quello che mi era caduto
in mattinata. Lo presi, e lo guardai a fondo, toccandolo e passandolo
tra le mie dita.
Freddo, gelido, liscio, appuntito, ma spietato. Con un proiettile
così, nelle mani giuste, riesci a uccidere una persona in
testa,
e dargli una morte nobile, senza troppe sofferenze. In testa, un colpo
solo. Una volta riuscii a trapassare 3 angurie, messe una in fila
all'altra. Bei tempi quelli, negli ex uffici del KGB, quando passavamo
il tempo così io, Piotr e altri agenti, a sparare alla
frutta con i nostri fucili, riscaldati dalla buona
vodka, dalla pellicce di montone e dal colbacco grigio in
testa,
il меховая шапка.
E qui invece si moriva dal caldo. Io, abituato alle temperature gelide,
venire qua era come soggiornare ai tropici.
Strinsi il proiettile nel pugno mentre mi giravo e infilavo i piedi
dentro le scarpe, aiutandomi con l'altra mano, usando l'indice come
calzascarpe.
Sul tavolo avevo lasciato la scatola dei proiettili. Dentro ce n'erano
6. Aggiunsi l'ultimo nel mucchio, soddisfatto. Tanto sarei tornato ad
averne 6, di nuovo.
Mi avvicinai alla finestra, alzando con un dito le veneziane. Una luce bianca
mi colpii gli occhi, tirai indietro la testa, un po' accecato. Poi mi
abituai alla luce, e guardai fuori. La giornata era stupenda, e c'erano
un sacco di bambini fuori, a giocare.
Andai a rovistare nella mia giacca. Tirai fuori un biglietto aereo di
sola andata per Ottawa, in Canada. Lì sarei stato al sicuro
per
un po', o almeno finchè la polizia non avesse rinunciato nel
cercarmi. Era l'aereo delle 19.45. Avevo mezz'ora per
arrivare
all'aeroporto. Con il taxi, anche con il traffico più
orrendo,
ci avrei messo 25 minuti. Tutto calcolato. Tutto studiato nei minimi
dettagli.
Lo riposi nella giacca, e mi degnai di rifare il letto. Chiamai quindi,
con il telefono della camera, la reception.
-Un taxi, per le 19.00-
-Ve lo prenoto subito, signore. Camera?-
-34. E mi faccia il conto, parto oggi stesso.
-Ma certo.-
Riattaccai.
Due ore mi distanziavano adesso dall'obiettivo. Andai in bagno, e mi
feci una doccia per rilassarmi, anche se ero fin troppo tranquillo. Il
che mi preoccupava un po'. Forse la facilità dell'uccisione?
In
fondo quei 15 secondi ero fin troppi. Ero abituato a uccidere bersagli
in movimento, anche quando avevo solo 5 secondi di tempo per sparare.
Avrebbe camminato, con passo moderato, senza neanche preoccuparsi di un
attacco da lontano. Le sue guardie del corpo l'avrebbero protetto ai
lati, ma quella scalinata era formidabile. Mi avrebbe dato un bersaglio
ampio. Avrei potuto anche sparargli in mezzo alle palle, se avessi
voluto.
Chiusi l'acqua calda che mi stava ormai cuocendo. Guardai l'orologio.
Quasi le 18.
Mi rivestii in fretta, e scesi giù fino alla reception per
pagare. Non trovai nessuno.
"Dove cazzo è finito?" pensai, mentre mi guardavo attorno.
Non c'era nessuno nella hall.
Neanche un fottuto campanello per avvisare il receptionist.
Merda, devo ancora montare il fucile. Mettere il colpo in canna. E
rilassarmi almeno dieci minuti prima che quel cazzone esca dal
municipio.
Le 18.05. Ancora nessuno.
-Eilà! Di casa! - chiamai, sperando che qualcuno mi sentisse.
Niente.
Cazzo.
Battei forte sul bancone con il palmo della mano destra. Una voce giunse da lontano - Arrivo, arrivo.-
Finalmente.
-Ah salve, ecco. Il conto.... - mi mostrò una piccola
ricevuta,
e in basso la cifra da pagare. Tirai fuori le banconote, contate giuste
fino all'ultimo centesimo.
-Il vostro taxi sarà qui tra meno di un'ora.-
-Lo spero.-
Sorrisi, per poi salire le scale e aprire la porta della camera.
La chiusi con una mandata, mentre mi apprestavo ad aprire la valigetta
con dentro il mio fedele M40.
Combinazione che cambiavo ogni settimana. Me la ricordai al primo
tentativo, avevo buona memoria.
Davanti a me il fucile spezzato, da ricomporre. Mi aiutai con una
chiavetta che portavo sempre con me, attaccato al portachiavi.
Montai la canna sul corpo del fucile, assicurandolo con dei giri di
vite. Sentii sulle mani i 6 chili e mezzo più belli della
mia
vita.
Lo posai sul tavolo. Tirai fuori da un'altra valigia le gambette che
servivano a tenerlo fermo, e a poggiarlo su una superficie, aiutandomi
a mirare con più precisione. Click, clack. Adoravo
quel rumore, quel rumore metallico, di quando si incastra e si fissa
tutto alla perfezione, senza problemi.
Le 18.30.
Perfetto. Lo lasciai lì sul tavolo, mentre prendevo ogni
cosa
lasciata in camera e la mettevo con cura dentro la valigia. Avevo
ancora tempo.
L'obiettivo, il taxi, l'areoporto, Ottawa. Era così
semplice, quasi di routine.
Un piccolo brivido mi attraversò la schiena. Era quasi
giunto il
momento. Non ero più rilassato come prima. Ero leggermente
agitato.
Guardai l'ora. 18.50. Dieci minuti per rilassarmi, e prendere
confidenza con il fucile.
Presi l'M40, e feci appoggiare le gambette sul bordo di un muretto, che
sporgeva appena sotto la finestra.
Presi un proiettile a caso dalla scatoletta, e in silenzio lo inserii
nello slot. Ta-Clack. Con
un movimento della levetta a fianco dell'Unerlt, preparai il proiettile.
Feci quindi sporgere la canna del fucile appena fuori dalla veneziana,
tra gli interstizi di plastica della veneziana, facendo in modo che dal mirino potessi
vedere bene. Ero in piedi, chinato a mirar verso il municipio.
Ancora non era arrivata la macchina.
Sospirai, mentre adagiavo il polpastrello dell'indice sul grilletto,
pronto a sparare.
Era inutile guardare l'ora. Avevo un maxi orologio sul municipio a
tenermi aggiornato. Le 19.00.
Quando cazzo arriva? Il mio pensiero andò subito
a quel cazzone, che se Vlad era in possesso di informazioni corrette,
tra due minuti sarebbe sceso dalle scale.
Scorsi da lontano un macchina. Scura, i vetri offuscati. Non capivo chi
era alla guida.
Avevo sotto tiro il guidatore, in qualche modo, sebbene non lo vedessi.
Di risposta spostai la mira sul portone dell'edificio. Uscirono alcune
persone incravattate, una donna seguita da un uomo. Eilà,
Buongiorno. Spiacente bellezza, ma oggi non sei il mio uomo. Feci un
profondo respiro, e quasi senza farlo apposta il mio obiettivo mi
comparì nella croce.
Eccolo... Così elegante. I bodyguard che come al solito si
guardavano attorno, stretti attorno a lui, con occhi vigili per
controllare che tutto andasse per il meglio.
E' il momento.
La sua faccia nel mirino. Ma non l'avrei colpito. Dovevo mirare a
qualcuno lì vicino. Il vento spirava da Ovest, leggero.
Stava passando una donna proprio a fianco del coglione.
Qualcuno bussò alla porta della mia camera, insistentemente.
Chi cazzo è?
-Mike, so che sei lì dentro... Cazzo, apri la porta!- Chi
cazzo poteva essere?.... - Mike, apri cazzo. Stanno venendo, sei
nella merda! Apri questa porta!-
Stavo mirando alla donna. Neanche un secondo e avrai sparato. -Mike,
sono Emily...-
Emily? Ma che cazzo...? Sentii una sirena provenire dall'angolo. Il
polpastrello iniziò piano a premere sul grilletto. Non
potevo aspettare ancora.
-Mike, ti prego, apri questa porta!!-
Un bodyguard si stava apprestando ad aprire la porta posteriore della
macchina, per far entrare il mio obiettivo. Era il momento.
-Mike....- Merda... merda!!
Feci scattare la serratura. Emily si riversò in camera,
chiudendosela alle spalle. Mi baciò.
Era vestita da turista. Occhiali neri sugli occhi. Camicetta e jeans.
Stivaletti neri.
-Stanno venendo a prenderti. Lascia perdere il tuo obiettivo.-
Ormai era andato. Perso. Com'era sexy.
-Stanno arrivando, una soffiata, non lo so. So solo che devi scappare.
La sirena continuò a suonare, per poi fermarsi nei pressi
dell'albergo.
-Ma come... Come sei arrivata fin qua? E chi è che mi cerca?
-La polizia. Probabilmente hai fatto qualche errore. Mike, cazzo,
dobbiamo scappare, non abbiamo tempo.
-Devo rimettere l'M40....
-'Fanculo il tuo M40!
Delle voci confuse arrivarono da sotto le scale. Passi lungo il
corridoio.
-Stanno arrivando... La finestra, vieni!-
Mi tirò per un braccio. Alzò con
velocità la veneziana. Entrò una forte luce, che
per poco non m'accecò. Feci in tempo a prendere il mio
giaccone.
Il resto era sparso per la camera. Diamine.
-Aprite la porta!! Polizia!!- Erano arrivati.
-Pronto?- mi chiese, guardandomi negli occhi.
Annuì.
Saltammo dalla finestra. In quel momento sentii che la porta della mia
camera era stata sfondata.
Atterrammo su dei cumuli d'immondizia. Mi guardai attorno. Eravamo nel
retro dell'albergo, vicino alle cucine.
-Presto, seguimi!
Corremmo senza guardare dietro. Giungemmo nei pressi di un parcheggio.
In fondo il blu delle sirene della polizia.
-Di qua! -
Seguii Emily lungo il parcheggio, mentre si stava lanciando verso una
Ford nera.
Le mani andarono sulle tasche della giacca. Poi su quelle dei
pantaloni. I biglietti. Cazzo. La pistola.
-Merda, ho lasciato la mia Glock in camera, sul termosifone.-
-Aveva freddo?-
Accennai un sorriso. Una battuta pessima. La mia Glock. L'avevo sempre con me. Non l'avevo
mai persa. Che cazzo di giornata di merda.
Inserì le chiavi nella serratura.
-Da quanto hai una Ford?-
-L'ho noleggiata.-
Non feci neanche in tempo a chiudere la portiera anteriore che, con una
sgasata mai vista, Emily consumò il battistrada delle gomme,
sgommando e sfondando il cancello del parcheggio.
-Ascoltami bene. Qui ho un biglietto aereo per Parigi. Sola
andata. E' intestato a George Collard. E' il tuo nuovo nome - mi
mostrò il biglietto, che io presi senza indugio.
-E tu?-
-Non far domande, cazzo.-
Evitò con un colpo di volante tre auto davanti a lei,
sorpassandole tutte. Tagliò la corsia sulla destra,
imboccando un sottopassaggio. Eravamo finiti nella strada per
l'aeroporto.
-Parte tra 15 minuti. Il tuo fottuto aereo per Ottawa è
stato cancellato.-
-Cosa?-
-Non c'è nessun aereo per il Canada per tutta la settimana.-
-Ma com'è possibile?-
-Non lo so.-
-Emily.... - la guardai. Volevo dirle tante cose, ma non sapevo da dove
partire. Cosa ci faceva qua? Chi l'aveva informata? Doveva essere a
Londra. Non qui. E poi, era così bella.
Un cartello con il simbolo di un aereo mi passò davanti agli
occhi. Eravamo arrivati.
-Incontreremo polizia? - le chiesi, appena sì
voltò verso di me, sentendosi chiamare.
-Spero di no.-
Fermò la macchina davanti all'ingresso.
Dal bagagliaio tirò fuori un piccolo trolley. Me la
lanciò, lo presi al volo.
Entrammo dentro. Un sacco di gente che andava e veniva. Ma niente
polizia, al momento.
-Presto, di qua!-
Diedi un'occhiata al tabellone delle partenze. Il volo per Ottawa delle
19.45 era stato cancellato, e tutti quelli successivi. Che cazzo era
successo?
Davanti a me un cartello con una freccia verso destra. Departures.
Scendemmo le scale che portavano ai check-in. Io con il trolley in
mano. Lei che sembrava conoscere ogni luogo, un po' più
davanti a me. Stavamo correndo lungo i corridoi, come pazzi.
Con un dito mi indicò di svoltare. Giungemmo nei pressi di
una stanza con i metal detector. Una decina di persone davanti a noi.
Finalmente.
Rallentai, e con profondi respiri cercai di calmare il respiro. Mi
sorrise.
-Questo è il ticket del bagaglio che è in stiva.
Dovresti cavartela per un po'. - Mi diede un foglietto.
Si avvicinò a me, e mi baciò intensamente. La
strinsi forte, abbracciandola. Sentii le sue mani sul mio corpo.
-Quando ti potrò rivedere?-
-Spero presto. Io non dovrei essere qui.-
-Lo so... Non vieni con me a Parigi?-
-No. Devo capire cosa è successo, come hanno fatto a
trovarti. Nel trolley hai un'agenda. C'è il numero di un mio
amico. Abita a Parigi. Si prenderà cura di te.
-"Si prenderà cura di me"? - stavo per riderle in faccia.
Ma non lo feci. In fondo mi aveva aiutato a scappare. Senza di lei
sarei finito in commissariato, nella merda fino al collo. Quanto
l'amavo. Le tolsi gli occhiali, per guardarla in viso. I suoi occhi
azzurri mi pietrificarono. Erano stupendi, come lei del resto.
-Sir? Your luggage,
please.-
Era giunta l'ora. Misi il trolley nel nastro e passai sotto il metal
detector. Suonò.
-Any metal object?
Watch, mp3 player, keys?-
Non
avevo nessun'arma, o almeno credevo. Posai l'orologio dentro la
vaschetta alla mia destra, assieme al portafoglio. Tornai indietro.
Passai di nuovo sotto il sensore. Niente.
Il poliziotto mi sorrise, e io
feci altrettanto. Recuperai gli oggetti che avevo lasciato, non appena
uscirono dal rilevatore.
Mi girai verso Emily, ma era scomparsa. Probabilmente era già andata via,
approfittando del mio momento di distrazione.
The fly 345A for Paris
is now landing from Gate B. The fly 345A for Paris is now landing from
Gate B.
Non
potevo aspettare oltre. Stava partendo adesso. Corsi verso l'uscita B.
Potevo ancora prenderlo. Mi feci strada tra la persone, evitandole il
più possibile.
Da lontano potevo vedere l'adetto al controllo dei biglietti, che stava
parlottando con un agente di polizia. Alzai una mano per farmi vedere. Ottenni
quello che speravo. L'addetto prese la cornetta del telefono e parlò per qualche secondo. Potevo farcela.
Giunsi davanti a loro. Mostrai il biglietto al poliziotto, che mi guardò in attesa di qualcos'altro.
-Your passport, mister
Collard.-
Merda, il passaporto. E io ero George Collard.
Alzai il dito indice verso il poliziotto, a dirgli di aspettare un
secondo. Misi le mani nella tasca della giacca. Non ci potevo credere.
Tirai fuori il documento, mostrandoglielo.
-Hurry up, mister
Collard. Your fly is landing.-
-Grazie.-
Presi il biglietto e il passaporto. Mi lanciai verso il tunnel che
portava all'aereo. Svoltai l'angolo.
La hostess davanti al portellone mi lanciò un'occhiataccia.
Sorrisi, dandole il mio biglietto.
-Mi scusi, ma c'era traffico...-
-Fila 13, posto 3. Vicino al finestrino.-
-Grazie.-
Ero arrivato. Mi sedei nell'unico posto libero che trovai nel mio
percorso. I passeggeri mi guardarono, incazzati per l'attesa, ma
sollevati dal fatto che ora si poteva partire. Misi il bagaglio nel
porta bagagli, in corrispondenza del mio posto.
Rombi del motore. Iniziammo a muoverci.
Mi sistemai le cinture. Chiusi gli occhi. Decollammo dopo pochi minuti.
Destinazione: Parigi.
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