InFAMOUS: The Darkness's Daughter di edoardo811 (/viewuser.php?uid=779434)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un altro giorno ***
Capitolo 2: *** Caccia ai diamanti ***
Capitolo 3: *** Scontro nella baraccopoli ***
Capitolo 4: *** Novità ***
Capitolo 5: *** Pioggia ***
Capitolo 6: *** Fare le valigie ***
Capitolo 7: *** Addio Empire... ***
Capitolo 8: *** ... Benvenuta Sub City... ***
Capitolo 9: *** ... o forse no ***
Capitolo 10: *** Safe Travel ***
Capitolo 11: *** UDG ***
Capitolo 12: *** Essere umani ***
Capitolo 13: *** La cima della piramide ***
Capitolo 14: *** Ricercati ***
Capitolo 15: *** Devastatrice ***
Capitolo 16: *** Qualcuno più esperto ***
Capitolo 17: *** Faccende private ***
Capitolo 18: *** Assedio ***
Capitolo 19: *** Soggetto A-16 ***
Capitolo 20: *** Cheshire, storia di una gatta inglese ***
Capitolo 21: *** I segreti dei conduit ***
Capitolo 22: *** Famiglia riunita ***
Capitolo 23: *** Simili, ma diversi ***
Capitolo 24: *** Un nuovo inizio... di nuovo ***
Capitolo 25: *** Tutta la verità, nient'altro che la verità ***
Capitolo 26: *** L'ultima corsa ***
Capitolo 27: *** Fuori controllo ***
Capitolo 28: *** La figlia dell'oscurità ***
Capitolo 29: *** Risposte ***
Capitolo 1 *** Un altro giorno ***
Prima di
iniziare a
leggere, eccovi alcune premesse:
Innanzi
tutto, se non
l’avete ancora fatto vi consiglio di leggere il Prologue di
questa storia, lo
potete trovare nella mia pagina autore. Ha pochi capitoli, solo 6,
perciò non
sarà una lettura molto impegnativa e vi aiuterà a
capire molte cose su questa fanfiction.
La fic
è un crossover
con InFAMOUS e pertanto sarà molto fedele ad esso.
È una sorta di intreccio di
trame tra quella del videogioco e quella dei TT.
I caratteri
dei
personaggi potranno subire variazioni, non inserisco l’OOC,
ma potrebbe darsi
che si verifichi.
Corvina
(Rachel) sarà
la protagonista indiscussa. La storia sarà interamente
raccontata dal suo punto
di vista. Sarà in terza persona, ma saranno presenti diversi
suoi monologhi, proprio
come nel videogioco.
Ah, e
purtroppo gli
altri Titans compariranno in maniera parecchio sporadica, a causa di...
forze
maggiori.
Ho detto
tutto, buon
proseguimento.
inFAMOUS:
The Darkness’s Daughter
PREFAZIONE
Se potessi
descrivere
la mia vita con un aggettivo... credo che opterei per "triste".
Ma diciamo
che tra
alti e bassi più o meno me l’ero sempre cavata.
Fino al giorno dell’esplosione.
Empire City.
La città
in cui sono nata e cresciuta... è morta.
Uno dei tre
distretti,
il Centro Storico, è stato quasi interamente raso al suolo
da quello che
secondo il governo è stato un attacco terroristico. Circa un
terzo della
popolazione è morta, quel giorno. Un altro terzo si
è ammalato poco dopo a
causa delle radiazioni emesse dagli ordigni innescati, mentre il
restante terzo
ora è
costituito per metà da criminali
incalliti. E l’unica vittima è stata la metropoli.
Furti,
tumulti,
stupri, vandalismo. Ormai è la routine qui.
Dall’esplosione
non si
è salvato praticamente quasi nessuno. Quasi.
Conduit.
Così si
chiamano i sopravvissuti. Così chiamano anche me. Un
elegante rimpiazzo della
parola "mostri" o "demoni", non c’è che dire.
Sono
sopravvissuta
all’esplosione, ritrovandomi con dei poteri al limite del
paranormale,
terrorizzata a morte e, soprattutto, senza più un amico.
Non ho mai
avuto una
vera famiglia. Non ho mai conosciuto mio padre e mia madre mi ha
abbandonata
quando ero una bambina. La cosa più simile
all’affetto famigliare che io abbia
mai ricevuto è stato il conforto e il calore offertomi dai
miei amici. E ora
non me n’è rimasto neanche uno. Victor, Garfield,
Wally, Jennifer, Karen...
andati, tutti quanti.
E poi
è saltato fuori
che uno di loro non era morto nell’esplosione, ma era
diventato anche lui un
Conduit.
Richard, il
fidanzato
di Kori, il mio amico d’infanzia, ora fa parte di una delle
tre grosse
organizzazioni criminali che dominano nella città, i
Mietitori. Ormai la sua
mente è corrotta, ma spero ancora di poterlo salvare.
In compenso
ho
conosciuto Lucas, o meglio, Red X. È un delinquente, non
c’è altro termine per
descriverlo, ma se non altro sa il fatto suo. E mi sta dando un enorme
aiuto a
cercare Richard. Lui ha i suoi motivi, io i miei, ma
l’obbiettivo comune è
stato più che sufficiente a persuaderci a stringere
un’alleanza.
Ora stiamo
ancora
cercando. La città è grande, le insidie sono
molte, ma entrambi non smettiamo
di avere fiducia e sperare. Anche perché ormai la speranza
è l’unica cosa che
ci rimane, qui ad Empire.
Mi chiamo
Rachel Roth.
Sono una ragazza adolescente che è stata costretta a
crescere molto più in
fretta del previsto.
Sono
sopravvissuta
all’esplosione, sono una Conduit. E, anche se ho paura ad
ammetterlo
apertamente, forse sono l’unica possibilità di
salvezza rimasta ad Empire, per
non dire al mondo intero.
Spero solo
che non sia
troppo tardi.
E di non
perdere il
controllo.
Capitolo 1: UN ALTRO
GIORNO
L’ultima cosa che avrebbero
voluto fare quel giorno era
mettersi ad inseguire qualcuno.
La figura avvolta
nell’impermeabile marrone si muoveva a
grande velocità lungo il margine della carreggiata,
facendosi strada tra la
folla a suon di gomitate e spintoni. Era alta, snella ed agile, ma il
grosso
borsone grigio che portava a tracolla giocava a suo sfavore, rendendola
più
impacciata e sbilanciandola di lato. E ciò giovava parecchio
a Lucas, il suo
inseguitore.
Sopra le loro teste, Rachel seguiva
tutta la scena volando.
Al loro passaggio si susseguiva
un’ondata quasi senza fine
di grida di sorpresa e di protesta, che prontamente si trasformavano in
urla di
terrore alla vista dell’enorme figura nera che avvolgeva il
corpo della ragazza
corvina.
L’inseguimento si
spostò prontamente in un vicolo, dove le
persone che passeggiavano non avrebbero più rappresentato un
problema. La sfida
si moltiplicò di intensità, quando i due
protagonisti furono costretti a fare
attenzione a non smarrirsi in quella fitta ragnatela di viali. Una sola
svolta
errata equivaleva a finire dritti nel covo di qualche malvivente, o
peggio, per
l’inseguitore avrebbe significato perdere il ladro di quel
prezioso borsone
grigio conquistato con tanta difficoltà.
Rachel notò con sorpresa
che quella era la prima volta che Red X
sembrava davvero trovarsi in difficoltà a tenere il passo di
qualcun altro. Di
solito era sempre lui quello a far sudare sette camice alle persone.
Il ladro svoltò ad un
angolo per l’ennesima volta. Sembrava
quasi si stesse muovendo a casaccio solamente per seminare il proprio
inseguitore, eppure la sicurezza mostrata dai suoi movimenti fulminei
faceva
presagire il contrario.
Corvina osservò per altri
istanti la conformazione dei
vicoli, poi decise di agire. Piombò improvvisamente a terra,
tagliando la
strada al malvivente in fuga. Quando toccò il suolo,
un’esplosione si propagò
attorno a lei e l’oscurità che la avvolgeva si
diradò, rivelando il suo vero
aspetto.
Il borseggiatore fu costretto a
fermarsi di colpo e a
tenersi il cappuccio calato in testa, che per poco si era abbassato a
causa
dello spostamento d’aria generato dall’atterraggio
di quell’altro inseguitore.
Osservò la ragazza in silenzio, lei resse lo sguardo senza
alcun timore. Poco
dopo sopraggiunse anche Lucas, con una vistosa smorfia infastidita
stampata in
volto. Probabilmente non vedeva l’ora di mettere le mani su
quell’individuo che
li aveva fatti scomodare fino a quel luogo.
Entrambi gli inseguitori cominciarono
a muoversi lentamente
verso il ladro, che fu costretto a sua volta a muoversi di corsa verso
un terzo
viale, che però lo portò ad un alto muro. Era un
vicolo cieco. Ora era con le
spalle al muro nel vero senso della parola. Spostò lo
sguardo in ogni
direzione, freneticamente, probabilmente alla ricerca di qualche
appiglio da
usare per scavalcare l’ostacolo, ma non trovò
nulla. Rachel aveva studiato ad
hoc il luogo in cui tagliargli la strada.
«Fine
della corsa.»
La voce
fece irrigidire la figura, che strinse anche i pugni con
rabbia. Si voltò lentamente, verso quei due che
l’avevano incastrata, che ora
si stavano avvicinando a lei con altrettanta calma.
Red X sollevò la mano,
mostrandole il palmo. «Restituiscici
quelle provviste.»
Il ladro
grugnì di disappunto, poi slacciò il borsone
dalla tracolla e
lo gettò a terra, esattamente a metà tra lui e
l’interlocutore. I due
inseguitori si guardarono tra loro e si scambiarono un cenno, poi il
ragazzo si
avvicinò al borsone. Ma non appena si chinò per
prenderlo, il ladro estrasse
fulmineo un oggetto grigio e lucido da una tasca del cappotto e glielo
puntò.
Una pistola.
«Lucas!»
esclamò la ragazza, allarmandosi. Puntò i piedi
ed entrambe
le sue mani si illuminarono di nero. Non avrebbe assolutamente permesso
a
quell’individuo di aprire il fuoco. Se solo avesse sfiorato
il grilletto,
l’avrebbe spedito al tappeto.
Il
ragazzo sollevò le mani. Osservò l’arma
puntata verso di lui per
nulla impressionato, poi si rimise in piedi. «Rilassati
Roth» replicò
tranquillo. «Non sparerà.»
«Cosa
te lo fa credere?!» ribatté la figura,
sorprendendo i due con il
suo tono di voce. Acuto, troppo acuto per appartenere ad un uomo.
Strinse con
più forza l’impugnatura della pistola. Sembrava
teso. Anzi, tesa.
Dopo aver
superato lo stupore, Lucas abbassò le mani e
replicò: «Perché
se quella pistola fosse carica avresti premuto il grilletto
già da un pezzo,
non credi?»
«Forse
volevo solo assicurarmi di non mancare il bersaglio»
sbottò
prontamente la ragazza incappucciata, con tono di voce irritato.
«Trovare
munizioni non è facile di questi tempi.»
«È
inutile che cerchi di fregarmi, conosco i trucchi di voi abitanti
del Dedalo. Anche io vivevo qui.»
Lucas
mosse un passo verso la ladra, ma quella indietreggiò di
scatto,
abbassando il cane dell’arma. «Provaci di nuovo e
ti apro un buco in fronte!»
esclamò. Questa volta sembrava quasi allarmata.
«Sono
proprio curioso di vedere come fai» disse ancora Lucas,
muovendosi di nuovo verso di lei.
Rachel
sospirò di sollievo e abbassò le mani, che si
spensero. La
ladra bluffava, per fortuna Lucas lo aveva capito. Adesso non doveva
fare altro
che aspettare che il suo socio chiudesse la faccenda, poi avrebbero
potuto
andarsene in pace. Non era mai stata nel Dedalo, ma da quel poco che
aveva
visto aveva intuito che prima se ne sarebbe ritornata nel suo Neon,
meglio
sarebbe stato.
«Fermi!»
esclamò un’altra voce, facendola trasalire. Si
voltò di
scatto e rimase interdetta. Un ragazzino era apparso
all’improvviso alle loro
spalle, con un coltello in mano puntato verso di lei e Lucas.
L’aria
determinata che aveva in volto era tradita da un leggero tremore della
mano.
Ostentava sicurezza, ma era chiaro che non rappresentava davvero una
minaccia
per Rachel o Lucas. Ma non era certo questo ad impensierire la corvina.
Il suo
aspetto... era troppo famigliare. Non poteva essere vero.
«Ryan!»
esclamò la ladra, distraendosi. «Che stai facendo,
vatt...»
Non
finì la frase, a causa di Lucas che si avventò su
di lei e le
immobilizzò il braccio, portandoglielo dietro la schiena e
facendole cadere la
pistola di mano. La ragazza gridò di sorpresa.
«Komi!»
esclamò il ragazzino, cercando di andare in suo soccorso, ma
Rachel fu più veloce. Fece comparire dal terreno due
rampicanti di luce nera,
che andarono ad attorcigliarsi attorno alle braccia, bloccandolo. Non
strinse
troppo la presa, comunque. Non voleva fargli del male. Il coltello fece
la
stessa fine della pistola, scivolò a terra rendendo
l’avventore disarmato.
«Agh!»
si lamentò lui, cercando di liberarsi con degli strattoni.
«Che
diavolo è questa roba?!»
«No!»
gridò di nuovo la borseggiatrice. Provò anche lei
a liberarsi
della presa di Lucas, ma era troppo forte per lei. Tese una mano verso
il
ragazzino. «Ryan!»
«Komi!»
Ryan? Komi?
Rachel
osservava sempre più stranita quei due, vagando
dall’uno
all’altra con lo sguardo, mentre la sua mente metteva insieme
i pezzi.
«Cerca
di calmarti, tanto non vai da nessuna parte» disse Lucas con
tono calmo alla ladra, mentre lei continuava a dimenarsi.
Mentre si
muoveva come un’ossessa, il cappuccio si abbassò
scoprendole
il volto. E a quel punto Rachel rimase a bocca aperta. Posò
di nuovo lo sguardo
su Ryan, e a quel punto realizzò dove, in passato, aveva
già visto quei capelli
rossi e quegli occhi verdi. O meglio, su chi.
«Lucas»
esclamò. «Lasciala andare!»
«Cosa?»
domandò lui, stranito.
«Lasciala
ho detto!»
Il suo
partner obbedì, mollando la presa, ma continuò
comunque a
guardare Rachel in cerca di spiegazioni. La conduit, dal canto suo,
lasciò
andare Ryan, che corse dalla ladra, abbracciandola. Lei non
rifiutò il
contatto, ma mentre stringeva il ragazzino osservò con odio
i suoi due
inseguitori. Sembrava un lupo in trappola.
«Rachel,
che sta succedendo? Conosci quei due? Devo ricordarti
cos’è
successo l’ultima volta che hai detto di conoscere
qualcuno?» domandò Lucas
avvicinandosi alla corvina, senza spostare lo sguardo dai due
ladruncoli.
Lei non
rispose. Rimase con gli occhi fissi su quelli della ladra.
Erano identici ai suoi. Anche il colore dei loro capelli era simile. Il
suo
volto invece... ormai non aveva più dubbi.
«Tu
sei... voi due siete... i fratelli di Stella...»
mormorò, quasi
non credendo alle proprie parole. «Komand’r...
Amalia... e Ryand’r...»
Era
impossibile sbagliare, anche se non li aveva mai visti dal vivo.
Amalia era identica a Stella sotto praticamente ogni aspetto, eccezion
fatta
che per il colore degli occhi e dei capelli. Lo stesso valeva per Ryan,
ovviamente tralasciando la distinzione di sesso. E per finire, erano
nel Dedalo,
dove Kori e famiglia avevano vissuto quando si erano trasferiti
lì.
Infatti,
entrambi sgranarono gli occhi. Anche Lucas rimase
sinceramente sorpreso. «E tu... come fai a
saperlo?» domandò Amalia, separandosi
lentamente dal fratellino.
«Io...»
Rachel esitò. Le fece uno strano effetto parlare con loro.
Forse perché entrambi erano in lutto per quella ragazza che
era parzialmente
stata la causa della sua infelicità. Doveva fare attenzione
a non lasciar
trasparire troppo le sue emozioni, o magari quei due avrebbero mangiato
la
foglia. Non riusciva a credere di aver incontrato proprio loro due. Si
era
perfino dimenticata della loro esistenza, fino a pochi istanti prima.
Se non li
avesse visti con i suoi occhi probabilmente avrebbe continuato ad
ignorarli, o a pensare che fossero entrambi morti.
«Io...
conoscevo Kori...» cercò di spiegare.
«Andavamo a scuola
insieme, prima che lei... insomma... prima
dell’incidente.»
Ryan
dischiuse le labbra, mentre Amalia si rabbuiò.
«Ah. Capisco.»
«Scusate,
noi non... sapevamo...» mormorò ancora Rachel, ma
Komand’r
la anticipò con un gesto secco della mano.
«Prendete quelle provviste e
andatevene.»
«Agli
ordini» sbottò Lucas, avvicinandosi al borsone.
Era chiaro che
la faccenda non lo sfiorava nemmeno.
«Fermo
X!»
Il
ragazzo si bloccò e fissò nervoso la partner.
«Cosa? Che c’è
adesso?!»
Rachel si
mordicchiò l’interno della guancia, osservando
pensierosa i
due fratelli. Ora che li vedeva meglio, poté constatare che
erano entrambi
ridotti piuttosto male. Vestiti rovinati, trasandati, entrambi con
diversi
graffi sul volto e chiaramente malnutriti. Era evidente che non
mettevano mano
su del cibo commestibile dall’inizio della quarantena. Gli
Spazzini, come i
Mietitori, si appropriavano di tutte le provviste sganciate dal governo
nel
Dedalo. Se Rachel e Lucas, trovandosi lì di passaggio, non
avessero sgomberato
la piazza dai malviventi per impossessarsene, probabilmente Amalia non
sarebbe
mai riuscita a fregarli e ad appropriarsi di quel borsone.
Annuì
a sé stessa, poi guardò l’amico.
«Lasciagliele. Loro ne hanno
più bisogno di noi.»
«Vorrai
scherzare!» protestò lui. «Con tutta la
fatica che abbiamo
fatto per...»
«Possiamo
procurarcene altre, e tu lo sai meglio di me. Lasciamole a
loro» proseguì lei con calma, guardandolo negli
occhi.
Il
ragazzo incrociò le braccia e resse lo sguardo, chiaramente
meditando se ascoltarla o no. Nonostante non fosse la prima volta che i
due si
confrontavano in quel modo, guardandosi, a Rachel fece comunque uno
strano
effetto osservare le sue iridi blu. Inoltre, era ancora più
insolito vederlo
senza la sua classica pittura facciale, la quale si era del tutto
prosciugata
durante l’inseguimento. Alla fine, Lucas grugnì
infastidito. «Sei una
rompiscatole, lo sai?»
Rachel
sorrise, il suo corpo si rilassò nonostante lei non
ricordasse
di essere mai stata tesa. «Lo so.»
Lucas
sospirò e diede le spalle al borsone, poi
cominciò ad
incamminarsi. «Non avrei mai dovuto diventare tuo
socio...» mugugnò mentre si
allontanava.
La
corvina non si preoccupò di quell’affermazione.
Diceva quello tutte
le volte che lo persuadeva a fare qualcosa che non gli andava. Si
voltò ancora
una volta verso i due fratelli, tornando seria. «Scusate
ancora. Ce... ce ne
andiamo.»
Fece per
mettersi al seguito di Lucas, ma Ryan la fermò:
«Aspettate!»
Entrambi
si fermarono, sorpresi. Anche Amalia si era messa ad osservare
con un sopracciglio inarcato il rosso. Lui parve sentirsi a disagio
sotto gli
occhi della sorella, di Rachel e sotto quelli ben più severi
di Lucas, ma
proseguì comunque, tra un’esitazione e
l’altra:
«Potremmo... dividercele... no?»
«Cosa?!»
domandò Komand’r, incredula. Non aveva detto nulla
in merito
all’iniziativa di Rachel di lasciare a loro le provviste, ma
era più che
evidente che "condividere" non era una parola presente nel suo
vocabolario.
Ryan
sembrò intimorito dalla sorella, ma rispose comunque:
«Beh... era
un’amica di Kori... e ci hanno lasciati andare senza farci
del male... non
troppo, perlomeno...»
Rachel
nel frattempo, non sapendo come reagire, cercò nuovamente
una
conferma nello sguardo di Lucas. Provò nuovamente quella
strana sensazione, ma
questa volta durò molto di meno. Svanì non appena
l’espressione confusa del
partner non divenne di soddisfazione. Con un sorriso compiaciuto
spostò lo
sguardo dalla corvina e lo indirizzò verso di Amalia.
«Mi
sembra un’ottima idea.»
Fece per
incamminarsi verso di loro, ma un’altra voce, questa volta
dal timbro molto più grave, provenne dalle loro spalle,
facendoli trasalire
tutti quanti. «Fermi voi!»
Un uomo
armato di fucile era apparso alle loro spalle. Era grosso e
alto, vestito come uno straccione, con un sacco della spazzatura
strappato
indossato a mo’ di mantello. Il volto era coperto da un
passamontagna bianco e
logoro. Uno Spazzino.
Sollevò
il fucile e lo puntò contro i ragazzi. «Restituite
immediatamente quel...»
Non
terminò mai la frase. Un raggio di luce nera lo
centrò in pieno
petto, scaraventandolo a decine di metri di distanza e schiantandolo
contro un
muro. Crollò a terra, esanime. Il fucile cadde a terra,
innocuo.
Rachel
abbassò la mano, un tenue bagliore nero le illuminava ancora
il
palmo, poi spostò lo sguardo su Lucas. «Qui non
è sicuro. Se quello ci ha
trovati ne arriveranno presto altri.»
Il
ragazzo annuì, rispondendo con un mugugno. La corvina si
voltò
verso Amalia e Ryan, i quali la fissavano sbalorditi, forse perfino
intimoriti.
Sorrise. «Allora, che ne dite di andarcene da qui?»
***
Non
appena vide la casa di Amalia e Ryan, Rachel realizzò che il
suo
appartamento non era poi così male.
La
baracca non sembrava quasi nemmeno in grado di reggersi sulle
proprie fondamenta. Così come tutte le altre abitazioni
presenti in quella
strada.
Erano
nella periferia del Dedalo, uno dei pochi luoghi ancora
tranquilli di quel distretto, dove gli Spazzini non facevano alcun tipo
di
ronda. I due fratelli erano stati molto fortunati a vivere in quel
luogo.
L’interno
dell’abitazione, tuttavia, era molto ben tenuto. Era pulito
e non c’era quasi traccia di crepe su pareti o sul pavimento.
In compenso, l’assenza
di mobilio era quasi totale. Un divano cencioso nel salotto, un
tavolino da
caffè, una cucina quasi completamente spoglia in cui erano
presenti giusto un
tavolo e qualche armadio, e non c’era traccia di
elettrodomestici.
Rachel
non fece domande a riguardo, ma si augurò per loro che il
bagno
funzionasse. Un’altra cosa che notò era che non
c’era presenza di fotografie o
altro riguardanti i due fratelli e la loro famiglia. Ora che si
ricordava, Kori
aveva detto di avere un amico di famiglia lì ad Empire, ma
in casa, di lui, non
c’era alcuna traccia.
I quattro
ragazzi si radunarono attorno al tavolo della cucina. I due
fratelli da una parte, i due partner dall’altra. Amalia
posò il borsone. Prima
di aprirlo, osservo prima la corvina, poi Lucas, sul quale si
soffermò molto
più a lungo. «Dividiamo questa roba e poi sparite,
ok? Non voglio altri problemi.»
«Gentile
da parte tua dare ordini dopo che ti abbiamo salvato la pelle
da quello Spazzino» ribatté Lucas, incrociando le
braccia.
«Potevo
benissimo cavarmela da sola» insistette Amalia, indurendo la
sua espressione.
«Sicuro.
Magari usando quella pistola scarica come una clava.» Red X
sogghignò. «Sono certo che avresti avuto
molte...»
«Finiscila,
Lucas» lo interruppe Rachel, scoccandogli
un’occhiataccia.
Lucas roteò gli occhi, ma rimase in silenzio.
«Komi,
basta, ti prego...» mormorò Ryan a sua volta,
tirando la
sorella per la manica del cappotto. «Avrebbero potuto
ucciderci, ma non lo
hanno fatto, dovresti essere grata di...»
«Sì,
sì, ho capito...» sbottò la sorella,
irritata, poi sospirò. «E va
bene, facciamola finita.» Abbassò la zip del
borsone, rivelandone il contenuto.
E non appena il tutto fu completamente visibile, i quattro sgranarono
gli
occhi.
Non
state
sognando, sono di nuovo io. Lo so, è passato un bel po' di
tempo. Lo
so, sono stato un bastardo ad andarmene in quel modo. Ma dopo questi
tre mesi di pausa penso di poter ricominciare. Non più ai
livelli
dell'ultima volta. Cercherò di essere più preciso
e puntuale possibile,
ma naturalmente non sarà così nel caso si
verificassero contrattempi.
Non
so ancora come mi comporterò, ma questa volta
cercherò di lasciarvene
almeno uno ogni dieci giorni. Poi studierò meglio come e
quando
pubblicare.
Potrei
dire milioni di cose. Scuse, ringraziementi, auguri, eccetera, ma non
me ne viene in mente neanche una. Posso solo dire che, nonostante mi
sarebbe piaciuto azzardarmi a scrivere in altri fandom, il pensiero di
ricominciare da qui è stato il primo che mi è
venuto, e che sono felice
di essere tornato.
Avevo
altre storie in cantiere, ma alla fine ho deciso di scrivere questa
qui, nonostante io stesso avessi detto che non ero intenzionato a
continuare dopo il Prologue. Ma questa volta, a differenza di The Good
Left Undone (pace all'anima sua) un sequel ci sta alla perfezione. Come
mi disse una recensitrice, in The Darkness's Daughter c'era tutto un
mondo da tirare fuori, e in effetti aveva ragione. HoS non necessitava
di un seguito perché aveva un inizio e una fine ben
delineati, certo
c'erano delle questioni ancora aperte, ma non in modo vasto come in
TDD. E poi, inFAMOUS ha avuto un seguito, il 2, e non ha per niente
deluso, quindi perché TDD non poteva averne uno a sua
volta?
E
comunque, le altre storie che avevo in mente alla fin fine non erano
nulla di che.
So
che vedere Rachel come protagonista potrà essere un po'
banale e
ripetitivo, ma lei era l'unico personaggio in grado di abbracciare
così
bene questo ruolo, in questa storia. Il fatto che lei abbia paura dei
suoi poteri non è una novità, non sono stato
costretto a stravolgere
troppo il suo carattere. E comunque, personaggi come Red X e gli stessi
Amalia e Ryan non saranno solo dei cameo, anche loro avranno una storia
da raccontare, ma tutto ciò lo vedrete dagli occhi di
Rachel. E con il
passare del tempo ne arriveranno anche altri, alcuni conosciuti, altri
un po' meno, alcuni amati e altri non proprio.
Ho
riletto il
capitolo diverse volte, ma se notate errori segnalatemeli, grazie. Con
questa storia sto osando, e anche molto, voglio che sia il
più perfetta
possibile. Come inizio è un po' fiacco, ve lo concedo, ma vi
assicuro
che molto presto di salirà di intensità.
Ok,
credo di aver finito. Dubito che mi leverò mai questo vizio
di mettere i puntini sulle i...
A
presto, spero di leggervi nelle recensioni. Mi piacerebbe rivedere le
mie vecchie conoscenze e perché no, farne anche di nuove.
So
che questa non è la classica storiella romantica a cui molti
saranno
abituati, ma, ahimé, io prediligo tre cose: violenza,
suspance e
parolacce. Anche un pizzoco di fluff, ma giusto un poco, pochissimo. In
questa storia sarà quasi assente, ma non mancheranno quelle
scenette
che vi faranno pregare che Tizio si metta insieme a Tizia ed
eccetera... ;)
Un
abbraccio a tutti voi, è bello essere di nuovo qui!
Edoardo811
Post Scriptum. Siccome voglio fare una cosa ben fatta, e siccome ogni opera che si rispetti ne possiede una, questa è la colonna sonora principale di questa fic:
Rise Against - Give It All
Perché ho scelto proprio questa canzone? Beh, il motivo è molto semplice: perché i nostri eroi ce la mettono tutta, sempre. E avrete modo di scoprirlo ;)
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Capitolo 2 *** Caccia ai diamanti ***
Capitolo 2:
CACCIA AI DIAMANTI
«Porca
puttana!» esclamò Amalia scaraventando a terra il
borsone, che
cadde con un tonfo metallico. Pezzi di ferraglia arrugginita e
ingranaggi si
riversarono al di fuori di esso, sommergendo le piastrelle nere. Di
cibo,
neanche l’ombra.
La
ragazza si premette le mani sulle tempie e cominciò a
tormentarsele, con una vistosa smorfia stampata in faccia. Si
voltò, dando le
spalle a Rachel e Lucas. «Tutta quella fatica per rubarlo...
per niente...»
«Komi...»
Ryan si avvicinò a lei, cercò di confortarla, ma
la ragazza
lo respinse con un gesto rabbioso. Il minore ammutolì.
Rachel
osservò senza dire una parola il contenuto del borsone.
Sbuffò,
irritata. Ma quale imbecille lo aveva riempito con tutte quelle
cianfrusaglie?
Scosse la
testa, cercando di ignorare quanto accaduto. Non era un
problema poi così grave, per lei. Di provviste ce
n’erano altre in città,
tanto.
Il suo
sguardo cadde poi sui due fratelli. Solo in quel momento
realizzò che per loro due vedere quella robaccia non doveva
essere stato molto
bello. Lei e Lucas avrebbero potuto procurarsi altro cibo senza
problemi, vero,
ma Komand’r e Ryand’r come avrebbero fatto?
Provò
pena per loro, in particolare per Ryan. Cercava di tranquillizzare
la sorella, ma era evidente che il primo a necessitare di aiuto era
lui. Quanti
anni aveva? Sedici? Diciassette? Aveva ancora tutta la vita davanti a
sé, eppure
i suoi occhi emanavano uno sconforto e una tristezza che solamente chi
aveva
vissuto una vita lunga e difficile poteva provare.
Quel
ragazzino, a causa della rovina di Empire, aveva provato una
tristezza, una sofferenza e probabilmente anche una rabbia che nessun
ragazzo
avrebbe mai dovuto provare. E quello valeva non solo per lui, ma per
lei, per
Amalia, per Lucas e per chiunque altro orma in quella città.
Era
questo, dunque, ciò che l’esplosione aveva
causato. Una civiltà in
rovina, costretta a lottare con tutte le proprie forze contro bande di
criminali semplicemente per poter mettere le mani su del cibo, un
qualcosa
dapprima così scontato, ora prezioso come un diamante per
chiunque.
Ragazzi
come Ryan, come lei, come Lucas, costretti a vivere allo
stremo, costretti a lottare.
Feste,
discoteche, viaggi in macchina, divertimento, svago, tutti
vaghi ricordi di una troppo breve adolescenza.
Amalia
aveva rischiato la vita per rubare quella borsa, convinta di
trovarci delle provviste. Aveva rischiato la vita per del cibo che non
aveva
trovato. E adesso sembrava in procinto di prendersi a pugni da sola.
Rachel
avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva assolutamente cosa.
Intuì che la cosa migliore da fare, a quel punto, fosse
semplicemente togliere
il disturbo. Non avevano più motivo di restare
lì. Cercò allora lo sguardo di
Lucas, per dirglielo, ma quando si voltò non lo vide
più accanto a lei. Si
guardò intorno allarmata, poi lo vide inginocchiato accanto
al tavolo, intendo
a rovistare in mezzo al contenuto del borsone.
Sollevò
un sopracciglio. «Lucas, che stai...»
«Dubito
fortemente che gli Spazzini si siano dati tanto da fare per
proteggere e cercare di recuperare un borsone pieno di merda
inutile» la
anticipò lui, continuando a frugare tra il cumulo di
ferraglia. «Qui dentro c’è
sicuramente qualcosa di prezioso.»
La
corvina dischiuse le labbra. Lucas non sembrava minimamente
preoccupato da quella situazione, anzi, non credeva di averlo mai visto
così
tranquillo. E ora che ci ripensava, aveva senso ciò che
diceva. C’erano almeno
dodici Spazzini a guardia di quella borsa. E quando li avevano
sconfitti era
apparsa Amalia, che l’aveva rubata sotto il loro naso. Si
erano allontanati
parecchio dal luogo in cui erano partiti, eppure gli Spazzini avevano
comunque
continuato a cercarli, uno li aveva perfino trovati. I conti tornavano.
E non
passò molto prima che Lucas trovasse effettivamente
qualcosa. Un
foglio di carta, all’apparenza inutile, ma decisamente troppo
fuori luogo in
mezzo a tutta quella ferraglia. Lo afferrò e lo
osservò per un breve attimo,
dopodiché sollevò lo sguardo, verso Rachel.
«Jackpot.»
Le porse
il foglio. La ragazza lo afferrò e lo esaminò a
sua volta,
curiosa di sapere cosa potesse esserci sopra di tanto importante.
Una
piantina. Una piantina del Dedalo, in bianco e nero. Sembrava
stampata. Per un momento non notò nulla di interessante,
fino a quando non si
accorse di una zona cerchiata di rosso, probabilmente con un
pennarello, a nord
del distretto. Sollevò un sopracciglio. «Ma
cosa...»
«Sembrerebbe
una zona calda» osservò Red X, avvicinandosi a
lei. «Magari
ci custodiscono qualcosa di importante.»
«Per
esempio... un magazzino?» chiese lei.
«Può
essere. Non possiamo saperlo finché non andiamo a
vedere.»
«Ma
non è detto che ci sia del cibo...»
«Preferisci
aspettare un altro mese per il prossimo sgancio?»
interrogò Lucas, afferrando di nuovo la piantina.
«È l’unica cosa che abbiamo,
Rachel. Non mi va di morire di fame senza nemmeno andare a dare
un’occhiata.»
Incrociò le braccia e la guardò negli occhi.
«Vieni con me? Altrimenti faccio
da solo, non mi pongo certo dei problemi.»
Rachel
fece una smorfia. Odiava quando era lui ad avere ragione. E
odiava le domande retoriche. «Certo che vengo. Ti sembra una
cosa da chiedere?»
Lucas le
rivolse un sorrisetto. «Non saprei. Ultimamente mi sembri un
po’ rammollita.»
La
corvina fece per ribattere, ma fu interrotta da Amalia.
«Posso
vederlo anch’io?»
Komand’r
sembrava essersi ripresa dal nulla di colpo. Probabilmente
aveva sentito lo scambio di battute tra i due partner e aveva sbollito
la
rabbia. E anche Ryan sembrava più acceso e speranzoso di
poco prima.
Red X la
osservò stupito, poi sogghignò e le
passò il foglio. «Cos’è
questo tono calmo? Il ciclo t’è passato tutto ad
un tratto?»
Amalia
ringhiò, poi gli strappò il foglio di mano con un
gesto
furente. «Crepa.»
«Ops,
è tornato» ribatté il ragazzo.
Rachel
roteò gli occhi, mentre la mora lo ignorò
direttamente,
concentrandosi sul foglio. «Conosco questa zona»
disse. «C’erano molti Spazzini
che andavano e venivano da là, qualche giorno
fa’.»
I due
partner si scambiarono un’occhiata, poi Lucas
annuì. «Jackpot.»
«Vengo
con voi» asserì Amalia, alzando lo sguardo verso
di loro.
«Sicura?»
domandò il moro, inarcando un sopracciglio. «Se
sono in
tanti sarà pericoloso per te.»
«Non
mi serve la babysitter» rispose lei con tono sicuro,
restituendo
il foglio. «So perfettamente badare a me stessa.»
Lucas
corrucciò la fronte, poi scrollò le spalle e
riafferrò la
piantina. «Tsk. Come vuoi.»
«Vengo
anch’io!» esclamò Ryan a quel punto.
«Scordatelo»
ribatté Amalia, secca. «Tu resti qui, al
sicuro.»
«Cosa?!
Ma perché?!»
«Perché
non è posto per te» proseguì lei.
«Non sei ancora pronto per
una cosa simile.»
«Ma...»
«Non
discutere, Ryan. Ormai ho deciso.» Amalia liquidò
la faccenda con
un gesto della mano. Il ragazzino incassò la testa tra le
spalle, contrariato e
abbattuto. «Però non è
giusto...» mugugnò.
«Sì,
sì, lo so» ribatté Kom, con il classico
tono esausto di chi
doveva aver avuto quella discussione già un centinaio di
volte. Si rivolse poi
a Lucas e Rachel. «Datemi un minuto per
prepararmi.» E detto quello uscì dalla
cucina.
Furono
dei secondi carichi di imbarazzo, per la corvina. Avere Ryan
accanto a lei la turbava e non poco. Anche l’idea di andare
in missione insieme
ad Amalia non la faceva impazzire. Le somiglianze con Kori erano
troppe, e
rievocavano in lei centinaia di emozioni contrastanti. Inoltre, anche
la
precedente discussione tra i due fratelli l’aveva messa a
disagio. Si sentiva
come se avesse visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Lucas
invece non
sembrava troppo preoccupato, visto che smanettava con il cellulare con
grande
enfasi.
«Mi
tratta come un bambino...» sbottò il rosso,
all’improvviso.
Rachel lo
guardò. Non capì se lo aveva detto per rompere il
ghiaccio
con loro due o per sfogarsi. Un po’ le dispiaceva per lui,
voleva solo aiutare
la sorella, dopotutto. Le bastò solo uno sguardo per capire
che non era la
prima volta che Komand’r rifiutava il suo aiuto. Doveva
essere parecchio
frustrante per lui.
Avrebbe
voluto dire qualcosa, ma Amalia rientrò proprio in quel
momento, con un fucile a pompa tra le mani. «Fatto. Possiamo
andare.»
«Wow...»
commentò Lucas mettendo via il telefono, quando vide
l’arma. «Sicura
di saperlo usare?»
«Posso
fare un po’ di pratica su di te, se vuoi»
ribatté lei
freddamente, caricando un colpo.
«Hai
controllato se almeno quello è carico?»
«Scopriamolo
insieme.» Amalia gli puntò il fucile.
«Se premo il
grilletto e la testa ti esplode come un’anguria vuol dire che
è carico.»
«Prima
però devi colpirmi.»
«Oh,
non preoccuparti, non avrò problemi nel farlo.»
«La
volete piantare?» sbottò Rachel, piazzandosi in
mezzo a loro per
calmare le acque. «Serbate i rancori per quando affronteremo
gli Spazzini.»
«Ha
cominciato lui!» protestò Amalia, abbassando
l’arma.
«Non
metterti a piangere adesso» borbottò ancora X,
avviandosi verso
l’uscita. «Andiamo.»
«Ma
come diavolo fai a sopportarlo?» domandò Komi alla
corvina, una
volta che il ragazzo si fu sufficientemente allontanato.
Rachel
sorrise senza nemmeno rendersene conto, guardando la porta da
cui Lucas era uscito. «A volte me lo chiedo
anch’io.»
***
«Mi
ripetereste i vostri nomi?»
«Io
sono Red X, lei è Corvina.»
Amalia
inarcò un sopracciglio e guardo il ragazzo che camminava
accanto a lei. «Sul serio?»
«Lui
è Lucas, io sono Rachel» spiegò
pazientemente la conduit. «Ma
Lucas è fissato con i soprannomi...»
La
ragazza mora osservò stranita i due partner.
«Oh... ok...»
Ecco, ci ha
presi per pazzi...,
pensò Rachel, notando il suo sguardo.
«Non
pensi... di essere stata un po’ troppo severa con
Ryan?» domandò,
cercando di cambiare argomento. «Insomma... voleva solo
aiutarti...»
Komand’r
fece una smorfia, riportando lo sguardo sulla strada. «Cerco
solo di proteggerlo. Ho già perso troppo a causa
dell’esplosione, non voglio
che lui corra dei rischi inutili. Non potrei mai perdonarmelo. Lui
è... l’unica
cosa che mi è rimasta.»
Rachel
percepì una fitta allo stomaco udendo quelle parole.
Provò
molta empatia verso di Amalia. Per l’ennesima volta avrebbe
voluto uccidere
colui che era stato la causa dell’esplosione e di tutto il
male generato da
essa.
Procedettero
dunque in silenzio per un altro centinaio di metri.
Era
pomeriggio inoltrato, probabilmente le cinque, lo si evinceva dal
cielo che da azzurro e limpido aveva cominciato a striarsi di
arancione. Erano ancora in inverno, le giornate erano corte. Era
chiaro che avrebbero finito di svolgere il loro lavoro solamente verso
la sera.
Quella
zona era della periferia era particolarmente tranquilla. Non
c’erano automobili, né pedoni intenti a
passeggiare. La strada era occupata
solamente da loro tre.
Era
strano per Rachel. Ma forse era semplicemente troppo abituata a
vivere nel Neon, dove, bene o male, qualcuno in giro c’era
sempre. Da quando
lei e Lucas avevano cominciato ad eliminare i Mietitori per trovare
Richard,
buona parte di Empire si era spostata nel Neon, che era diventato il
distretto
più sicuro e popolato tra tutti.
Il Dedalo
era quasi disabitato, a causa delle pessime condizioni di
vita e degli Spazzini. Nonostante fosse la sede del carcere di Empire,
e dunque
della più massiccia forza di polizia rimasta, era il
distretto con il più alto
tasso di criminalità.
Il Centro
Storico, invece... era un’altra storia.
Rachel
sospirò. Non doveva pensare troppo a quelle cose, o avrebbe
finito con il rievocare brutti ricordi che spesso sperava di
dimenticare.
Doveva solo concentrarsi su quello che dovevano fare in quel momento.
«Potresti
togliermi una curiosità?» le domandò
all’improvviso Amalia.
«Certo,
dimmi.»
«Hai
detto di andare a scuola con Kori, e ora che ci penso lei mi
aveva parlato di qualche sua amica...» cominciò
Komand’r, con voce calma.
Troppo calma. La corvina cominciò a sentirsi a disagio, e
quando Amalia spostò
il suo sguardo glaciale su di lei, rabbrividì.
«... ma allora tu dov’eri il
giorno dell’esplosione?»
La
conduit sentì il proprio corpo irrigidirsi a tal punto da
trasformarsi in un palo. Distolse lo sguardo da lei, esitò.
«Ecco... io...»
Amalia si
parò davanti a lei, costringendola a fermarsi, la sua
espressione dura non mutò minimamente. «E,
inoltre, non mi aveva mai parlato di
conoscere qualcuno con poteri sovrannaturali come i tuoi.»
«Beh...»
«Tu
eri là. L’esplosione avrebbe dovuto ucciderti.
Come hai fatto a
sopravvivere? Che cosa sei tu?!» Il fucile nero e lucido tra
le mani di Amalia
sembrò improvvisamente dieci volte più
pericoloso, il suo tono di voce mutò
improvvisamente. «Parla!»
«Io
non lo so!» esclamò alla fine Rachel, con il cuore
che martellava
nel petto. «Non... lo so...»
Sospirò.
Sollevò entrambe le mani, mostrandole ad Amalia.
«So bene che
l’esplosione avrebbe dovuto uccidermi, ma... non è
successo. L’unica cosa che è
cambiata è che...» Si concentrò,
entrambe le mani si illuminarono di nero, di
fronte alla mora, che schiuse le labbra. «... ora posso fare
questo. Io... non
chiedermi i dettagli, perché non ti saprei rispondere.
Nessuno sa rispondere. È
successo... e non posso fare nulla per cambiarlo. L’unica
cosa che posso fare,
è sfruttare questo... dono... per cercare di cambiare le
cose. In meglio, si
spera.»
Le due
ragazze si guardarono negli occhi. Rachel notò che dopo le
sue
parole, l’espressione di Amalia era mutata, ora non
c’era più rabbia nel suo
sguardo, solamente una profonda tristezza.
«Scusa...»
mormorò Komand’r, distogliendo lo sguardo
abbattuta. «Sono...
esplosa di nuovo... n-non volevo, è solo che...
che...»
«Credevi
che se io ero sopravvissuta, allora forse lo era anche Kori,
giusto?»
Amalia
annuì lentamente, chinando la testa. «Mi... mi
manca così
tanto...»
Rachel le
si avvicinò, posandole una mano sulla spalla. «Non
preoccuparti. Ti capisco. Lei era... era anche mia...»
Esitò.
Ripensò al suo rapporto con Koriand’r. Amica. Non era proprio la parola
migliore con cui l’avrebbe mai
potuta definire, visto quello che era successo tra lei e Richard.
Però...
Kori era sempre stata gentile con lei. Nonostante tutto, la
invitava sempre a pranzo al suo tavolo, le chiedeva di studiare
insieme, le
chiedeva di accompagnarla a fare shopping. Cose che di solito fanno le
amiche.
E per quanto Rachel si era sempre sforzata di rifiutare i suoi inviti,
la rossa
non si era mai arresa. Era sempre stata convinta che la corvina le
avrebbe dato
una possibilità, forse aveva addirittura pensato che
gliel’avesse già data, in
passato.
Forse
Rachel non aveva mai visto Kori come un’amica, ma di sicuro
Stella lo aveva fatto con lei. E ora che ci ripensava, forse non si
sarebbe mai
fidanzata con Richard, se avesse saputo che Rachel ne avrebbe sofferto.
Per
l’ennesima volta in quelle settimane, la corvina si
sentì la ragazza più
stupida di quell’universo.
Kori era
una brava ragazza, non aveva mai agito per farla soffrire,
mai. Corvina annuì impercettibilmente, poi concluse la
frase: «Era anche mia
amica.»
Amalia si
pizzicò un labbro, con gli occhi bassi.
«Sì, giusto. Scusa
ancora.»
«Tranquilla.
Le volevi bene, d’altronde, sei più che
giustificata.»
Rachel sorrise. «Sei una brava sorella.»
«No,
invece...» Komand’r scosse la testa. «Non
lo sono affatto.»
Rachel
inarcò un sopracciglio. Fece per parlare di nuovo, ma Amalia
riprese a camminare. «Dai, sbrighiamoci. Il tuo amico se
n’è già andato...»
Aveva
ragione, Lucas era già a centinaia di metri di distanza da
loro.
Corvina fece una smorfia, a volte detestava proprio il suo
comportamento
strafottente. Senza dire altro ripresero a camminare.
***
Rachel
aveva sempre pensato che il Neon fosse ridotto male, ma dopo
aver visto il Dedalo con i propri occhi, dopo aver attraversato strade
deserte,
vicoli angusti, ammirato in tutto il loro splendore edifici decadenti e
grattacieli così malridotti che sembravano stessero per
crollare da un momento
all’altro, aveva cominciato a ricredersi. Non riusciva
davvero a credere che
solamente un ponte dividesse il suo distretto da quello completamente
diverso in
cui era cresciuto Lucas.
Ed era
anche molto probabile che non l’avrebbe mai visitato, se solo
non fosse stata costretta. Nel Neon non avevano più trovato
alcuna traccia di
Richard, nonostante lo avessero perlustrato da cima a fondo,
così avevano
dovuto spostare le ricerche nel Dedalo. E poi era successo tutto quello
che li
aveva portati fino a lì.
Dopo
quella che parve un’eternità, finalmente
arrivarono al luogo
indicato dalla piantina, a nord.
«Ok,
dovrebbe essere...» Lucas si interruppe di colpo. Per poco la
piantina gli cadde di mano. «... oh, cazzo...»
Rachel
non credette ai propri occhi. Di fronte a loro, nel luogo
segnato dalla mappa, una torre altissima, costruita con quelli che
sembravano
enormi ammassi di rifiuti e rottami si ergeva alta nel cielo. Attorno
ad essa
era innalzata un’ enorme muraglia realizzata con telai,
lamiere, ferraglia e altra
immondizia. Sembrava una fortezza di spazzatura e ruggine. Doveva
occupare
almeno metà della zona nord del Dedalo. Per accedervi
occorreva salire una
lunga rampa di scale, che dalla strada portava a quello che
probabilmente un
tempo era un cavalcavia.
«È
qui» confermò Amalia, l’unica per nulla
impressionata. «Gli
Spazzini agivano qui, qualche giorno fa’.»
«Mio
Dio...» sussurrò Lucas, avvicinandosi con sguardo
vitreo. «Prima
della quarantena qui c’era un parco! Da dove accidenti salta
fuori tutto
questo? Che diavolo è?!»
«Se
non sbaglio è una baraccopoli, anche se non ho idea di cosa
se ne
facciano di quella torre. L’hanno costruita gli Spazzini,
credo... forse questa
era la loro base.» Amalia scrollò le spalle.
«A chi importa?»
«A
noi. Se ci fosse un esercito che ci aspetta?»
«Se
hai fifa puoi sempre tornare indietro, Rosso.»
Komand’r cominciò a
salire le scale. «Ma io non tornerò a casa a mani
vuote. E comunque, sembra
tutto deserto.»
Lucas
guardò Rachel, perplesso. Ma se si aspettava che lei dicesse
qualcosa, allora aveva preso un granchio. La corvina era rimasta
ammaliata da
quell’enorme baraccopoli sospesa sopra la strada. Non aveva
più dubbi, gli
Spazzini avevano cominciato a costruirla sopra il cavalcavia, per poi
espandersi fino a ricoprire almeno due o tre quartieri. Non riusciva a
credere
ai propri occhi, quando vedeva delle macchine e dei pedoni passarci
accanto
come se quella fortezza non esistesse.
Ma la
domanda che più la preoccupava era un’altra. Come
avevano fatto
gli Spazzini a costruirla in appena qualche mese di quarantena?
Dubitava che
fosse perché erano dei muratori prodigiosi. C’era
sotto qualcosa. Qualcosa di
brutto.
Tuttavia,
la zona sembrava deserta. E la curiosità di sapere
chissà
quali tesori gli Spazzini potessero averci portato era alta.
Perciò, non le
restò altro che seguire Amalia, la quale era già
a metà della scala. Fece un
cenno ad X, il quale probabilmente aveva pensato le stesse cose,
perché non
ebbe nulla da discutere.
In cima
li attendeva una grossa parete di un telaio di alluminio; alla base di questa, si trovava un grosso arco che permetteva
l’accesso alla struttura. Non appena furono dentro, Rachel poté constatare
che la grossa
muraglia che circondava la baraccopoli, come la baraccopoli stessa, era
davvero
realizzata con scarti di ogni tipo. Pezzi di case, di automobili,
perfino
quelli che avevano l’aria di essere dei componenti di
aeroplani.
Una
piccola piazza di cemento con attorno un prato d’erba
ingiallita e
alcuni lampioni spenti li accolse. Probabilmente un resto del parco che
era
stato sacrificato.
I tre
ragazzi proseguirono, continuando a guardarsi intorno
meravigliati. Perfino Amalia ora sembrava impressionata.
Scesero
lungo un marciapiede di mattoni, allontanandosi dal piccolo
parco per arrivare dentro la baraccopoli vera e propria. Un ammasso di
casupole
realizzate proprio come tutto il resto, che non sembrava avere fine. Un
enorme
labirinto di scarti, simile ad una favelas, con rifiuti di ogni genere
sparpagliati un po’ ovunque.
Procedettero
nelle viscere di tale luogo, in silenzio, per diversi
minuti. Alla fine, fu Rosso a rompere il silenzio: «Mh...
trovare qualcosa qui
non sarà molto...»
«INTRUSI!»
Lucas
sobbalzò, interrompendo la propria frase. Amalia e Rachel si
guardarono intorno, allarmate. «Che diavolo è
stato?!»
La terra
tremò improvvisamente, colpita da un forte scossone. Poi
tremò ancora, colpita da un altro. Poi un altro. E poi
ancora uno.
«Che
cos’è, un terremoto?!»
domandò Lucas, faticando a restare in
piedi.
«Io
non...» Rachel si interruppe di colpo, restando a bocca
spalancata. Da una delle numerose vie di fronte a loro,
sbucò fuori la causa di
quegli scossoni.
Non
so neanch'io come sia possibile. Sono riuscito a scrivere un capitolo
in appena un pomeriggio e mezzo, tra una puntata di Shameless e Breaking Bad e
l'altra. Spero sinceramente di continuare di questo passo, ma ne
dubito... in ogni caso, spero che vi sia piaciuto.
Ci
tengo a precisare che la baraccopoli di cui si parla qua sopra esiste
davvero nel videogioco, e mi rendo conto che descritta a parole non
rende molto bene.
Purtroppo
non ho trovato immagini a riguardo, sono riuscito a trovare
però video in cui viene mostrata la missione riguardante
tale baraccopoli. Il link è qui, per quanto ve ne possa
fregare, naturalmente.
inFamous - La Baraccopoli
Voglio fare subito un
ringraziamento, così, di botto, perché
sì. Ringrazio Carlotta e Corvina per aver recensito il primo
capitolo. So già che non raccoglierò tutto questo
gran successo con questa storia, perciò ogni recensione,
anche quelle più brevi, saranno tenute in grande
considerazione. Grazie!
Al prossimo capitolo! (data da destinarsi)
|
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Capitolo 3 *** Scontro nella baraccopoli ***
Capitolo 3:
SCONTRO NELLA BARACCOPOLI
«Oh-oh...» sussurrò X
quando la vide.
Amalia
deglutì rumorosamente ed aumentò la presa attorno
al fucile.
Un
gigantesco robot era sbucato fuori dall’ammasso di baracche.
Era
alto almeno tre metri. Il busto rotondo, parte delle gambe e delle
braccia
erano formati da pezzi di ferraglia e non aveva la testa.
L’intero corpo era
attraversato da un’abbagliante luce gialla, che filtrava tra
le placche dell’armatura
di rottami.
«INTRUSI!
VI PENTIRETE DI ESSERE ENTRATI QUI!»
Un
esercito di creature comparve ai suoi piedi. Erano molto simili a
lui, erano formati da pezzi di metallo e da quella strana luce, ma a
differenza
del golem erano un ibrido tra un granchio ed uno scorpione, ed erano
poco più
grossi di un cane di media taglia.
«Che...
che cazzo è quel coso?!» domandò Lucas,
interdetto. «Come
diavolo fa a parlare?!»
Rachel
non rispose. Non credeva alla loro sfortuna. Erano appena
entrati, e si erano già ritrovati addosso il comitato di
benvenuto. Rimase in
silenzio, ed osservò meglio quel bagliore giallo di cui le
macchine di fronte a
loro erano costituite. Si arrovellò per cercare di capire
che cosa diavolo
avesse di fronte a sé.
Sembrava
proprio quella luce a tenere uniti gli arti dei robot al
busto. Senza di essa, infatti, gambe e braccia avrebbero fluttuato
letteralmente nell’aria. Era una specie di collante, eppure
non era
assolutamente solida. Ma allora...
«Energia
telecinetica...» sussurrò, quasi incredula.
«Cosa
diavolo c’entra la telecinesi adesso?!»
«SCARTIGRANCHI!»
tuonò
ancora il golem con la sua possente voce metallica. Puntò
l’indice contro i tre ragazzi. «ATTACCATE!»
Gli
automi ai suoi piedi scattarono in avanti non appena finì di
ordinarlo. Erano piccoli e avevano minuscole zampe, ma si muovevano
comunque
parecchio rapidamente.
In un
lampo furono addosso ai ragazzi. Rachel serrò la mascella e
scagliò alcuni raggi di energia, abbattendone alcuni, ma
diversi di loro
schivarono l’attacco.
Diversi
boati risuonarono accanto a lei. Era Amalia che aveva aperto
il fuoco su di loro. Anche Lucas aveva estratto la sua arma bianca e si
era
lanciato nella mischia, colpendoli uno dietro l’altro,
sbattendoli via come
pupazzi di pezza.
I
piccoletti non sembravano affatto un problema. Era il gigantesco
golem di fronte a loro quello che preoccupava Rachel.
La
conduit decise di lasciare i granchi ai suoi compagni. Qualunque
cosa fosse quell’enorme automa di fronte a lei, era
sicuramente opera di un
conduit, pertanto se ne sarebbe occupata lei. Calò il
cappuccio della felpa
sulla testa, distese le braccia e si concentrò
profondamente. Percepì l’energia
oscura fuoriuscire dal suo corpo e avvolgerla come una coperta. In poco
tempo
assunse la sua forma da rapace oscuro e partì
all’attacco.
Il robot
la vide avvicinarsi ed esplose in un urlo di battaglia,
dopodiché afferrò un rottame di automobile da
terra e glielo scagliò addosso.
Rachel lo
schivò con un avvitamento, dopodiché rispose al
fuoco
sferrando i suoi attacchi di energia nera. I raggi colpirono il golem
sul
petto. L’energia telecinetica sfarfallò un paio di
volte, ma il colosso resse bene
i colpi.
Devo
colpirlo più forte, osservò
la ragazza, avvicinandosi ulteriormente
e seppellendolo con un’ondata di raggi neri.
L’automa
ululò di rabbia e sollevò una grossa mano verso
di lei. Dalla
punta delle dita si generò una raffica di pezzetti di
ferraglia simile alla
scarica di una mitragliatrice.
Il rapace
nero deviò traiettoria per non farsi colpire, ma non
cessò
di sparare a sua volta.
Cominciò
una battaglia terra-aria. Il golem cercava di colpire Rachel
con tutto quello che trovava per terra, con le sue raffiche di scarti o
con
palle di fuoco generate chissà come, mentre la conduit lo
bombardava con i suoi
molteplici attacchi.
Mano a
mano che i raggi neri si infrangevano sull’automa, la luce
gialla che teneva unito il suo corpo sfarfallava e cambiava colore,
segno che,
forse, si stava indebolendo. All’inizio era gialla
sfavillante, ora era quasi
arancione. Il problema era che, tra il volare e l’attaccare,
le energie di
Rachel stavano cominciando ad esaurirsi, mentre il suo avversario,
nonostante
tutti i colpi subiti, sembrava essere ancora perfettamente in grado di
combattere.
Corvina
tentò di avvicinarsi, per cercare eventualmente un suo punto
debole, ma l’unica cosa che vide fu l’ennesimo
ammasso di ferraglia che si
dirigeva verso di lei. Lo evitò e colpì ancora
l’automa. La luce dapprima
gialla, poi arancione, ora si fece rossa. Rachel lo notò, e
nascosta nel suo
aspetto di volatile, sorrise.
Forse ci
siam...
La
distrazione le costò cara. Un’altra raffica di
mitragliatrice
sfuggì alla sua vista, e le colpì la sua coda.
Rachel gridò. Di solito il corpo
da rapace era immune agli attacchi delle persone, o comunque li
incassava
parecchio bene. Rachel lo aveva scoperto quasi per caso, quando, in uno
scontro
con dei Mietitori, era stata colpita da un’arma da fuoco
senza subire nessun
danno. Ogni volta che si trasformava, la ragazza si credeva in una
botte di
ferro, anche se più veniva colpita, più le sue
forze diminuivano. E spesso e
volentieri alla fine di un combattimento si era ritrovata con molti
più tagli e
ferite di quante ne immaginasse.
Quella
volta tuttavia la sua armatura di oscurità non
riuscì a
proteggerla. Forse perché era stata colpita troppo forte, o
magari perché era
stato proprio un altro conduit a farlo. Perse la concentrazione,
complice anche
la stanchezza, e si ritrovò a precipitare. Non stava volando
parecchio in alto,
ma l’impatto fu ugualmente doloroso. Per sua fortuna non
precipitò sul suolo,
ma sul tetto di una baracca che non si sfondò per miracolo.
Tossì,
udì la terra tremare e la voce tonante esplodere di nuovo: «ORA PAGHERAI!»
Gemette,
cercò di rimettersi in piedi. Si voltò e vide
l’automa
avvicinarsi minaccioso alla catapecchia, sollevando altri enormi
detriti con le
proprie mani. La corvina attinse alle proprie energie rimase e fece per
generare uno scudo con cui proteggersi, ma un’altra
esplosione si sollevò in
aria e qualcosa impattò contro la corazza del golem.
«UH?»
Rachel si
voltò e vide Amalia ed X avvicinarsi a loro, la prima con il
fucile alzato, il secondo con in mano le proprie lame esplosive.
Raramente la
conduit lo aveva visto usarle, il che significava che la situazione era
molto
più grave del previsto.
Poi
notò la cosa peggiore. La luce del golem era di nuovo
diventata
arancione. Stava recuperando le forze.
Cazzo!
Il lato
positivo era che dei granchi di poco prima non restava più
alcuna traccia. Ma restava il più pericoloso.
Il grosso
conduit gridò e scagliò le proprie munizioni
contro i suoi
nuovi bersagli, che dovettero scattare di lato per evitarli. Amalia
rotolò a
terra e con molta maestria si rimise in ginocchio, continuando a
sparare con il
fucile. Non sbagliava un colpo, ogni rosata centrava perfettamente il
busto
dell’automa.
Lucas
scagliò alcune lame, che si conficcarono sulla spalla del
golem,
proprio vicino al punto in cui la telecinesi teneva unito il braccio al
busto.
Gli esplosivi detonarono e il risultato fu sorprendente. Il braccio si
staccò
dal corpo, crollando a terra con un boato.
Il
conduit ululò di rabbia, bloccando per un breve attimo la
sua
offensiva.
«Sì!
Beccati questo!» esclamò Lucas, per poi voltarsi
verso di Amalia.
«Hai visto, bellezza? Impara dal sottoscritto!»
«Idiota,
non esaltarti!» replicò la mora, continuando a
sparare. «Non
è ancora finita!»
«Tutta
invidia!»
L’automa sparò
altre raffiche di metallo con l’unica mano
che gli era rimasta, ma ormai Rachel aveva capito il trucco. Era la
telecinesi
il punto debole che stava cercando. Il robot si teneva in piedi grazie
ad essa,
di conseguenza bastava eliminarla per eliminare anche lui.
La ragazza annuì a se
stessa, poi guardò le proprie mani.
Un’idea malsana le attraversò la mente. Sorrise.
Aveva male dappertutto, ma se
volevano uscire vivi da quella baraccopoli doveva stringere i denti.
Lucas e
Amalia non lo avrebbero mai potuto farcela da soli. Il golem non dava
loro più
un attimo di tregua, era chiaro che sotto quell’enorme
offensiva celava una
strategia difensiva atta a non farsi più colpire.
Rachel trattenne il fiato, prese la
rincorsa e saltò giù dal
tetto, per poi trasformarsi in rapace.
L’automa riuscì
quasi a colpire Amalia, che era stata
costretta ad abbassare la guardia per ricaricare. Fu Lucas a salvarla,
gettandosi su di lei e facendole evitare una raffica di proiettili.
Entrambi si
ritrovarono a terra, con il golem torreggiante su di loro.
«ADESSO
DITE LE VOSTRE ULTIME...»
Non
terminò la frase. Rachel piombò su di lui,
tornando in forma umana
ed aggrappandosi ad una delle scaglie di metallo della sua schiena.
Gridò. La
placca era caldissima, sicuramente si ustionò le mani. Era
per via dell’energia
telecinetica, emanava un calore immenso. La corvina sentì la
propria faccia
sciogliersi.
Ma non si
sarebbe arresa così. Si concentrò profondamente e
sentì
ancora una volta l’energia nera liberarsi fuori dal proprio
corpo. Questa volta
però fece qualcosa di totalmente nuovo.
«CHE STAI
FACENDO?! SCENDI SUBITO!» Il golem percepì che qualcosa di anomalo
stava
accadendo alle sue spalle e dimenò il suo unico braccio per
cercare di
staccarsi la ragazza di dosso.
Tuttavia
era tardi. Rachel gridò e liberò
l’energia che ancora
possedeva, concentrandosi affinché entrasse tutta nel corpo
del robot. La
placca metallica a cui era aggrappata funse da tramite tra lei e
l’automa. La
luce nera si insinuò nel corpo del conduit, liberandosi in
tutte le direzioni.
Il golem urlò per la sorpresa.
L’energia
telecinetica cominciò poco per volta ad essere rimpiazzata
da quella nera della giovane, fino a quando il bagliore arancione non
svanì del
tutto, sostituito da quello oscuro della conduit.
«NO!
NOOO!!!»
L’ululato
del golem svanì poco dopo, offuscato
dall’esplosione che si
susseguì. Pezzi di metallo e lamiere volarono da tutte le
parti. Rachel sentì
il mondo attorcigliarsi su sé stesso. Precipitò a
terra. Un male lancinante le azzannò
la schiena.
Per un
attimo pensò di essere morta, poi si ricordò che
i morti non
potevano provare più il dolore.
Le
orecchie le fischiavano, il sapore metallico del sangue
toccò il
suo palato. Sentiva la testa leggera, come se stesse fluttuando per
aria.
Stava da
schifo. Ma sicuramente meglio del golem. O di qualsiasi cosa
restasse di lui.
«Rachel!»
Qualcuno la chiamò. Si sorprese parecchio di riuscire ancora
a sentirci qualcosa. Lucas apparve nel suo campo visivo, accovacciato
vicino a
lei. Sembrava preoccupato. «Stai bene?»
La
aiutò a sedersi. La ragazza fece una smorfia per ogni
millimetro
mosso.
«Certo
che sta bene, guarda!» si intromise Amalia, sarcastica,
arrivando in quel momento. «È il ritratto della
salute, non vedi?»
Normalmente
Lucas avrebbe risposto a tono, ma quella volta no. Non la
considerò nemmeno, comportamento che sorprese parecchio
Rachel. Doveva essere
davvero preoccupato per lei, dato che non sembrava voler toglierle gli
occhi di
dosso.
«T-Tranquillo...»
disse, trovando chissà dove la forza di parlare.
«Lasciami...
qualche minuto... per recuperare un po’ di forze... poi mi
curerò da sola...»
Il
ragazzo sembrò tranquillizzarsi. «Ok... ehi,
ricordi quando ti ho
detto che ti eri rammollita?»
Rachel
annuì lentamente con la testa. Lucas sorrise. «Mi
rimangio
tutto. Sei stata fantastica.»
Anche la
ragazza sorrise. Avrebbe voluto rispondere, ma le parole le
morirono in gola dopo l’ennesima fitta di dolore. Lucas si
avvicinò a lei e le
prese il braccio, avvolgendoselo attorno al collo. «Forza, ti
aiuto ad alzarti.»
Con molta
fatica ed aggrappandosi all’amico, Rachel si rimise in
piedi. Incrociò per caso anche lo sguardo di Amalia. La mora
le sorrise, poi
sollevò il pollice. La conduit ricambiò il
sorriso anche a lei e le rivolse un
cenno d’intesa con il capo.
Né
Amalia né Lucas sembravano feriti. Non troppo, almeno.
Meglio per
Rachel, almeno non avrebbe dovuto sprecare ulteriori energie per curare
anche
loro. Non credeva che ce l’avrebbe fatta.
Diversi
rumori di metallo provenienti dai resti del golem li fecero
voltare tutti quanti di scatto, facendoli trasalire.
«No,
non di nuovo...» sussurrò Amalia.
Anche
Rachel temette il peggio. Se quell’automa si fosse riformato,
per loro sarebbe stata la fine.
Non
accadde. Da sotto il cumulo sbucò fuori un uomo vestito con
abiti
verdi rovinati: uno Spazzino. Si levò i detriti di dosso,
che caddero sopra gli
altri producendo quei tintinnii metallici che poco prima avevano
preoccupato i
ragazzi.
Tossì,
poi si rimise in piedi, barcollando. Si voltò verso di loro,
mostrando una quantità industriale di ferite e tagli. Il
volto era rovinato,
sporco e ricoperto da una folta barba incolta, grigia come i capelli.
Digrignò
i denti giallognoli, poi indicò i tre ragazzi.
«Maledetti! Pagherete per ciò
che avete fatto! Costruirò una tonnellata di scartigranchi e
vi farò sbranare
da loro!»
Urlò
di rabbia e spalancò entrambe le braccia. «Anzi,
raccoglierò una marea
di detriti e vi seppellirò vivi!»
Chiuse
gli occhi e piegò la testa, rimanendo immobile. Nessun
detrito
si spostò di un centimetro.
Lucas,
Amalia e Rachel si guardarono tra loro perplessi. «Quel tizio
era nel robot?» domandò il ragazzo, inarcando un
sopracciglio.
«Boh,
forse» rispose Rachel, altrettanto confusa.
Nel
frattempo, lo Spazzino sembrò accorgersi che qualcosa non
stava
funzionando. Riaprì gli occhi e si guardò
intorno, sorpreso. «Ma che diavolo?
Perché non succede niente?! Ha sempre funzionato!»
Richiuse gli occhi e distese
di nuovo le braccia. Nulla accadde. «Che sta succedendo?! La
telecinesi non
funziona più!» urlò, frustrato.
«Com’è possibile?!»
«Vuoi
una mano per caso?»
Lo
Spazzino si voltò di nuovo verso i ragazzi. Lucas
sogghignò. «C’è
qualche problema?»
Il
criminale impallidì. «Ehm...» Intuendo
che forse combattere era
fuori discussione, si voltò e cominciò a scappare
con la coda tra le gambe.
«Oh
no, tu non vai da nessuna parte.» Amalia tirò
fuori una pistola
dalla tasca interna del cappotto e gli sparò, colpendolo ad
una gamba. L’uomo
cadde a terra, ululando di dolore ed imprecando come uno scaricatore di
porto.
Lucas
fischiò ammirato. «Wow. Bella mira.»
Komand’r
soffiò via il fumo dalla canna, poi rinfoderò la
pistola,
sfoggiando un sorriso altezzoso. «Hai visto che era
carica?»
«Tsk.
L’avrai caricata prima di venire qui.»
«Ti
piacerebbe.»
«Ragazzi...»
mugugnò Rachel, sospirando esausta.
«Che
c’è? » replicarono in coro.
La
corvina indicò lo Spazzino, che ora si era messo a
strisciare per
allontanarsi. «Il tizio sta ancora cercando di
scappare.»
«Non
credo proprio» ribatté Lucas.
I tre
ragazzi raggiunsero l’uomo, con Rachel che venne aiutata nei
movimenti dal partner. Arrivarono a pochi passi da lui, poi Amalia
sollevò il
fucile e alzò la voce. «Un altro millimetro e sei
morto.»
Lo
Spazzino sussultò, poi si voltò verso di loro,
restando sdraiato
sulla schiena. Deglutì rumorosamente, poi sollevò
entrambe le mani. «Cosa
diavolo mi avete fatto?! P-Perché i miei poteri non
funzionano più?!»
«Noi
non abbiamo fatto un bel niente ai tuoi poteri. Siamo qui per
questo.» Lucas gli mostrò il foglio di carta con
la piantina del Dedalo, che
fino ad allora aveva tenuto in tasca. «Vedi, le cose sono
due: o ci dai tutte
le tue provviste, oppure di gonfiamo di cazzotti. Scegli tu.»
Lo
Spazzino sgranò gli occhi. «Chi diavolo siete?!
Sbirri?
Primogeniti? Altri Mietitori?! Lo volete capire che qui non
c’è più niente?!»
«Che
cosa?!» domandò Lucas, incredulo. Anche Rachel e
Amalia
sussultarono.
Il
vecchio digrignò i denti, mettendosi a sedere.
«Siete arrivati
tardi. Gli Spazzini si sono spostati alla zona di import/export dei
container
del Dedalo. Hanno portato via tutto quello che c’era, anche
le cose più inutili,
e quella piantina serviva ai più dementi per ricordarsi dove
andare a prendere
la roba. Questa base è abbandonata da quando il nostro capo
Alden è morto...
non è vissuto molto a lungo, quel vecchio bastardo...
Comunque, io sono l’unico
che non ha voluto andarsene, anche per impedire a parassiti come voi di
venire
a saccheggiare questo posto che avevamo costruito con tanta fatica.
Poi, due
giorni fa’...»
Lo
Spazzino strinse i pugni, soffiando furibondo dal naso. «Un
gruppo
di quei cazzoni di Mietitori vestiti di bianco ha fatto irruzione e
rubato quel
poco che era rimasto. Ho cercato di difendermi, ma erano in cinque
contro
uno... ho dovuto fingermi morto per salvarmi la pelle. Qui non
c’è più niente.
Questo posto è stato prosciugato fino
all’osso.» Sorrise beffardo.
«Perciò mi
dispiace, avete fatto un buco nell’acqua.»
Mietitori...
vestiti di bianco?, si
domandò Rachel, mettendo insieme i pezzi.
«Vuoi
dirmi che non c’è niente in nessuna di queste
baracche?!»
L’uomo
si cacciò un dito nell’orecchio, abbandonando
l’aria intimorita
di poco prima. «Setacciate pure tutta la baraccopoli, se
siete così idioti da
non credermi. Non troverete un accidente.»
«E
allora perché ti sei dato tutto quel da fare per
ucciderci?»
«Perché
mi sta in culo il fatto che dei mocciosi irrispettosi mettano
piede in casa mia! Proprietà privata, hai presente,
no?»
Red X
serrò la mascella e strinse i pugni. Fece per replicare, ma
Rachel lo anticipò: «Dove sono andati?»
«Chi?»
domandò lo spazzino, spostando pigramente lo sguardo su di
lei.
«I
Mietitori vestiti di bianco. Dove sono andati?»
«Ma
che ne so...» sbottò lo Spazzino, ripulendosi il
mignolo
ingiallito sulla canotta. «Probabilmente se ne sono ritornati
alla loro base
nel Jefferson Tunnel...»
«Il
Jefferson Tunnel? Ma non era crollato?»
«Sì,
ma non del tutto. I Mietitori sono sempre rintanati la sotto, in
attesa che quella merda del loro capo ordini loro cosa
fare...» Un sorriso
sadico si dipinse sul volto del vecchio. «Poveri fessi, non
possiedono nemmeno
una loro volontà... almeno noi Spazzini abbiamo...»
Rachel
smise di ascoltarlo. Tutto quello le sembrò
un’enorme presa in
giro. Non poteva crederci. Lei ed X avevano setacciato ogni millimetro
del
Neon, senza trovare uno straccio di indizio. E ora saltava fuori che
l’unico
luogo che non avevano controllato, perché credevano fosse
completamente
inagibile, era quello che stavano cercando. Il Jefferson Tunnel, dato
per
distrutto dopo una potente scossa sismica generata
dall’esplosione.
Strinse i
pugni. Non poteva crederci. E quello Spazzino glielo aveva
rivelato come se fosse la cosa più ovvia e banale del mondo.
Tutte
quelle settimane passate a combattere, a sperare di poter
rivedere Richard in tempo, prima che anche lui fosse completamente
soggiogato
dai poter del suo capo... e gli Spazzini avrebbero potuto dire loro
dove andare
fin da subito. La ragazza sentì l’impulso
irrefrenabile di colpire quell’uomo vestito
di verde di fronte a lei con tutta la forza che aveva. Colpirlo
ripetutamente,
senza dargli un attimo di tregua. Colpirlo fino a quando non sarebbe
più
riuscito ad alzarsi. Poi realizzò che non era più
lei a pensare quello, ma
erano i suoi poteri, che per la prima volta dopo tanti giorni stavano
cercando
di soggiogarla.
Chiuse
gli occhi, inspirò profondamente, poi espirò,
cercando di
tranquillizzarsi. Uccidere quello Spazzino non avrebbe risolto
assolutamente
nulla. Aveva altro da fare. Perfino la fame non la preoccupò
più. Doveva agire,
e alla svelta.
«Rachel...»
Red X le posò una mano sulla spalla, facendola voltare
verso di lui. «... pensi che forse...»
Non ebbe
bisogno di finire la frase. La ragazza lo guardò con
determinazione,
poi annuì. «Sì.»
«Allora
non ci resta che andare» osservò Lucas.
«Ehm...
mi sono persa qualcosa?» chiese Amalia, che per un attimo era
rimasta in disparte.
«Storia
lunga...» sbottò X, massaggiandosi le palpebre
esausto. «Dai,
andiamocene da qui... questo posto puzza.»
«Aspetta,
e le provviste?» domandò ancora la mora, sorpresa.
«Quel
tipo dice che non ce ne sono... e io non ne ho voglia di giocare
alla caccia al tesoro.»
«Ma...»
«Se
vuoi restare fa’ pure, noi ce ne andiamo.»
Lucas e
Rachel cominciarono ad allontanarsi, sotto gli sguardi
interdetti della mora e dello Spazzino. «Quindi... mi
lasciate andare?» chiese
ancora l’uomo, sorpreso. «Sul serio?»
«Sul
serio?!» fece eco Amalia. «Ha cercato di
ucciderci!»
I due
partner non risposero nemmeno. Passarono accanto all’uomo e
tirarono dritti. Con quel posto e quel criminale avevano chiuso. Rachel
tuttavia riuscì a sentire ancora una parola uscire dalla
bocca di
quell’individuo. Un flebile "grazie", che a malapena fu udito
dalla
corvina. In quel momento non poteva dirlo con certezza, ma sembrava
quasi
sincero.
Lucas
aiutò Corvina a camminare senza dire neanche una parola,
così
fece lei. Giunsero in prossimità del parco,
all’uscita. Procedettero in
silenzio, fino a quando una voce giunse alle loro spalle:
«Però non è giusto!»
Si
voltarono. Amalia stava camminando verso di loro a grandi falcate,
con un’espressione molto eloquente stampata in faccia.
«Ho sprecato un mucchio
di munizioni in questo cesso di posto e non ho ottenuto un bel niente!
Non
posso tornare per l’ennesima volta da Ryan a mani vuote!
Vaffanculo! Cazzo!»
Lucas
roteò gli occhi e si girò di nuovo, continuando
ad aiutare
Rachel a camminare.
Fu
così che abbandonarono quel luogo al calar della sera: con i
due
partner stretti l’una nell’altro, immersi nel
silenzio, con alle spalle la ben
più chiassosa Komand’r, che non smise di
lamentarsi della sua sfortuna per
almeno altri dieci minuti abbondanti.
Ben
ritrovati al mio angolo.
Oggi
parleremo degli Spazzini. Nati sotto il comando di un unico individuo,
tale Alden, gli Spazzini sono la banda di criminali che controlla il
Dedalo.
Prima
dell'esplosione erano tossici, barboni, nulla tenenti, i classici
abitanti del Dedalo, insomma. A differenza dei Mietitori, gli Spazzini
sanno quello che fanno, non sono sotto il controllo mentale di
nessuno.
Alden
ha deciso di crearli per poi, un giorno, farla pagare all'uomo che ha
rubato la sua eredità. I conduit degli Spazzini sanno usare
la telecinesi e con essa sanno costruire golem come quello descritto
nel capitolo oppure dei bizzarri granchi chiamati "scrap crab", che io
ho italianizzato in "scartigranchi." Trovate immagini a riguardo su
Google, se vi interessa. I granchi sono dotati di capacità motorie proprie, mentre i golem, per camminare, necessitano di un Conduit al loro interno.
La
stessa baraccopoli è opera loro e dei loro poteri. Alden
è quello che meglio di tutti sa padroneggiarli, e lo
dimostra nel videogioco costruendo un golem grosso almeno il triplo
rispetto a quelli normali.
Ok,
ho finito con le spiegazioni. Probabile che non ve ne fregasse, nulla.
Volevo solo che voi sapeste queste cose, per rendervi più
partecipi e magari per chiarire eventuali dubbi che potessero esservi
sorti durante la lettura.
Fatemi sapere le vostre opinioni
sul capitolo, io ho paura di aver descritto il susseguirsi gli eventi
in maniera troppo veloce.
Bene, torno alle mie mansioni,
alla prossima!
p.s.
Ringrazio Corvina, Nanamin e Calimetare per le recensioni.
Grazie!
Edit: Niente, ho cambiato idea. Le immagini le metto direttamente io. Non ringraziate, non serve. Se siete con il cellulare e le immagini sono tagliate ruotate lo schermo ;)
|
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Capitolo 4 *** Novità ***
Capitolo 4:
NOVITÀ
Il cielo
semibuio aveva cominciato a striarsi di nuvole grigie e nere,
quelle cariche di pioggia. Presto un acquazzone si sarebbe abbattuto
sulla
città.
Mentre
camminavano, Lucas e Rachel raccontarono brevemente la loro
storia ad Amalia. Non scesero troppo nei dettagli, si limitarono
semplicemente
a dire che avevano una faccenda in sospeso con un Mietitore vestito di
bianco e
che erano settimane che lo cercavano. Non dissero che si trattava di
Richard,
visto che era probabile che pure Amalia lo conoscesse, visto che era
fidanzato
con sua sorella. Non volevano sconvolgerla troppo.
«Quindi...
volete andare al Jefferson Tunnel?»
«Proprio
così.»
«Ma...
la tua amica nemmeno si regge in piedi...»
«Sto
bene...» mugugnò Rachel,
infastidita. «Devo... devo solo...»
Si
staccò da X e si posò una mano sul petto. Aveva
cercato di
recuperare le
energie fino a quel
momento, ora doveva essere in grado di riuscire a curarsi. Chiuse gli
occhi ed
inspirò profondamente, poi diede l’ordine ai suoi
poteri. La mano si illuminò
di nero, una nube oscura si levò al di fuori di essa e le
avvolse il corpo. A
quel punto sentì la pelle formicolare. Contusioni e ferite
cominciarono a
sparire lentamente. I tagli si richiusero, la pelle nera dei lividi
assunse di
nuovo il colore pallido della carnagione della ragazza.
Non si
era vista ad uno specchio di recente, ma a giudicare da quanto
ci stava mettendo per guarire non doveva essere proprio nella migliore
delle
forme. Di sicuro, non poteva più essere quella ragazza che
ai tempi del collegio
veniva soventemente invitata ad uscire dai maschietti più
intrepidi.
«Ca...
cavolo...» sussurrò Amalia, guardandola
all’opera.
Finalmente
l’operazione terminò, e la nube nera si
ritirò da dove era
arrivata. Rachel espirò, poi riaprì gli occhi. Un
tenue sorriso si dipinse sul
suo volto, quando riuscì a voltarsi verso i suoi compagni
senza avvertire
nessuna fitta di dolore. «Visto? Come nuova.»
Lucas
ricambiò il sorriso, rivolgendole un cenno del capo.
La
corvina gli porse una mano. «Forza, andiamo al Jefferson
Tunnel.»
Spostò lo sguardo su di Amalia. «Tu
vieni?»
Komand’r
scosse la testa. «No grazie. Per oggi ne ho abbastanza di
basi nemiche. Ma se trovate qualche provvista fatemi sapere.»
«D’accordo.
Ti porto io Lucas, afferra la mia mano.»
«Rallenta un
attimo, Roth» fece
Lucas, tornando serio. «Adesso non andiamo proprio da nessuna
parte.»
«Cosa?
Ma...»
Il
ragazzo posò la sua mano ruvida e fredda su quella della
ragazza,
abbassandogliela. La guardò negli occhi, serio in volto.
«So che adesso che ti
sei curata stai decisamente meglio di prima, ma andare adesso al
Jefferson
Tunnel sarebbe un suicidio. Hai a malapena recuperato le energie per
curarti, e
ora vorresti volare fin là e combattere ancora?
Già te la sei vista brutta con
quello Spazzino. Non esagerare Rachel. Pretendi troppo da te stessa. So
che vuoi
andare da... loro, ma non adesso.»
Rachel si
mordicchiò l’interno della guancia, senza
distogliere lo
sguardo. Una parte di lei concordava con lui. Era esausta, non sarebbe
riuscita
a sostenere un altro scontro. Non contro un ingente numero di Mietitori
Conduit,
non contro il loro capo. Ad un’altra parte di lei, tuttavia,
tutto ciò non preoccupava
minimamente. Doveva rivedere
Richard, doveva
cercare di salvarlo. Doveva farlo e basta.
Eppure,
lo sguardo di Red X sembrava intransigente. Era la primissima
volta che lo vedeva così. Era preoccupato per lei, era
chiaro. In quegli ultimi
giorni la conduit aveva davvero esagerato. La sua ossessione per i
Mietitori
era cresciuta esponenzialmente, al contrario di Lucas, il quale,
più passavano
i giorni, più sembrava disinteressato alla faccenda. Il
ragazzo l’aveva seguita
per settimane, senza fare storie, quando, all’inizio della
loro collaborazione,
era sempre lui quello a decidere cosa fare. E Rachel se ne rese conto
solo
allora.
Distolse
lo sguardo da lui, imbarazzata. «Da quando ti preoccupi
così
per me?»
«Abbastanza»
replicò lui, posandole una mano sulla spalla. Restarono
in quel modo per un breve attimo, e la ragazza si godette la mano di
lui posata
su di lei.
«Oh,
che dolci che siete» commentò improvvisamente
Amalia,
sghignazzando.
Lucas si
incupì, poi si voltò verso di lei.
Sollevò il medio della
mano e glielo mostrò in tutto il suo splendore.
«Lo vedi questo? Ricordatelo
bene, ok?»
«Aspetta
Rosso, come hai fatto a farlo?» chiese lei con una finta
espressione da pesce lesso, mostrandogli a sua volta il dito medio.
«Così?»
«Accidenti,
come sei perspicace! Ed io che credevo che fossi un’oca
senza cervello!»
«Prego?!»
Rachel
ridacchiò questa volta, guardandoli litigare, ringraziando
il
proprio cappuccio per aver celato l’espressione che aveva
fatto quando aveva
udito le parole di Amalia.
***
Accompagnarono
Komi fino a casa sua. Non dovettero nemmeno allungare
il tragitto, tanto sarebbero dovuti passare lì in ogni caso.
La mora
entrò nel vialetto
della propria abitazione senza nemmeno dire una parola.
«Ciao,
eh» la rimbeccò Lucas, incrociando le braccia.
«A
mai più» sbottò allora la ragazza,
voltandosi verso di lui e
rivolgendogli un cenno della mano.
Il
ragazzo scosse la testa, fingendosi infastidito. «Tsk. Che
manier...»
Una
risata sommessa si diffuse nell’aria, facendo trasalire i
tre.
Proveniva da casa di Amalia. Di sicuro non era di Ryan, dato che il
timbro
sembrava quello di una voce femminile. E anche Komand’r
sembrò realizzare ciò,
perché si voltò verso la porta, per poi estrarre
lentamente la pistola dalla
tasca del cappotto.
«Amalia,
che stai...» Rachel cercò di chiederle cosa aveva
in mente,
ma la mora era già partita alla carica. Entrò in
casa sua come un tornado.
«Andiamo»
fece X, andandole dietro. A quel punto, a Rachel non restò
che imitarlo.
Varcata
la soglia, udirono grida spaventate, soffocate dalle minacce
di Amalia. I due partner corsero in salotto, aspettandosi il peggio,
ritrovandosi invece di fronte ad una scena che aveva quasi del comico.
Ryan si
stava sbracciando come un ossesso, cercando di far ragionare la
sorella, mentre
Amalia lo ignorava bellamente, puntando la pistola contro una ragazza
bionda
dall’altra parte del tavolino da caffè, che dal
canto suo stava cercando di
dire che era tutto un malinteso.
Il
risultato era un affollamento di voci dal quale non si riusciva a
carpire mezza frase di senso compiuto e un caos senza precedenti.
«Tara!»
esclamò Rachel incredula, rivolta alla ragazza bionda.
«Che
cavolo ci fai qui?»
«Ops.
Colpa mia...» borbottò Lucas, grattandosi la
guancia.
«Ragazzi!»
esclamò la bionda sollevata, quando li vide.
«Potreste
aiutarmi?»
«Cosa?
Vi conoscete?!» gridò Amalia, voltandosi verso di
loro.
«Abbassa
la pistola Komi!» esclamò a sua volta Ryan.
«Come
hai fatto a venire qui?» domandò Rachel a Tara.
«Io...»
«Le
avete detto dove abito?!» urlò ancora Amalia.
«Ragazzi...»
«Perché
avete...»
«Komi!»
«RAGAZZI!»
sbraitò Lucas, ergendosi con la voce sopra a tutti gli
altri. «Tappatevi la bocca!»
Il
gruppetto tacque improvvisamente. Si generò un silenzio
quasi
irreale dopo quel breve attimo di caos.
«Grazie.»
Il ragazzo in nero guardò Amalia ed indicò Tara
con un cenno
della testa. «Le ho detto io che eravamo qui, qualche ora fa,
ma non pensavo
che sarebbe venuta dal Neon.»
Tara
annuì come una forsennata. «Mi ha mandato un
messaggio!»
Rachel
inarcò un sopracciglio. Poi si ricordò. Lucas
stava usando il
cellulare qualche ora prima, quando erano in cucina in quella casa.
Dunque
stava massaggiando con lei. Perché quel pensiero le
suonò terribilmente
sgradevole?
«E
cosa ti fa credere di poter dire a cani e porci dove vivo,
Rosso?!»
domandò nel frattempo Amalia, avvicinandosi minacciosa al
ragazzo,
puntellandolo al petto con la canna della pistola.
«È
nostra amica, puoi fidarti di lei come ti fidi di noi»
replicò lui,
con calma.
«Non
ho mai detto di fidarmi di voi!»
«E
allora perché sei rimasta con noi per tutto questo
tempo?»
La
ragazza fece una smorfia. «Perché pensavo che
avreste potuto
aiutarmi, invece di...»
«Ascolta,
Komand’r...» si intromise Tara, avvicinandosi con
calma e
tenendo le mani bene in vista, per non allarmarla ulteriormente.
«Non volevo
assolutamente spaventarti. Io conoscevo tua sorella, Kori, e quando ho
saputo
che i suoi fratelli stavano bene, beh, ho voluto conoscerli.»
Sorrise guardando
Ryan, che dal canto suo distolse lo sguardo, arrossendo imbarazzato.
«Tuo
fratello mi ha fatta entrare. È stato molto
gentile.»
Amalia
osservò la nuova arrivata, con espressione dubbiosa. Non
sembrava ancora convinta al cento percento.
«E
poi...» Tara si avvicinò al divano, dove era
appoggiato uno
zainetto nero. Lo afferrò e lo aprì, per poi
rivolgere uno sguardo eloquente
alla mora. «Ho saputo della vostra caccia alle provviste... e
ho deciso di dare
il mio contributo.» Tirò fuori un barattolo di
cibo in scatola dallo zaino,
sorridendo.
Tutti i
presenti rimasero a bocca aperta. La bionda allargò il
sorriso, notando i loro sguardi. «Spero vi piacciano i
fagioli.»
***
Quella
casa non sembrava aver mai visto così tanti ospiti. In
cucina
non c’erano nemmeno abbastanza sedie per tutti loro,
così erano stati costretti
a mangiare nel salotto.
Tara e
Ryan erano seduti sul divanetto, mentre Amalia, Lucas e Rachel
sulle sedie, attorno al tavolino da caffè, ognuno di loro
intento ad ingurgitare
quanto più cibo possibile. I tintinnii metallici dei
cucchiai che affondavano
nei barattoli erano gli unici suoni presenti.
I fagioli
in scatola, freddi oltretutto, visto che non c’era
elettricità in casa, non erano il piatto preferito di
Rachel. Probabilmente
nemmeno quello degli altri presenti, ma non c’era molto da
fare gli
schizzinosi. E poi, quel cibo era stato davvero una manna dal cielo per
la
conduit. Solo mettendosi in bocca quel cucchiaio pieno di fagioli aveva
realizzato quanta fame e quanto bisogno di mettere qualcosa sotto i
denti
avesse.
Komand’r
sembrava ancora piuttosto riluttante all’idea di avere
così
tante persone in casa sua, ma di fronte al cibo doveva aver deciso di
fare buon
viso a cattivo gioco. Anche se non aveva smesso per un solo istante di
lanciare
occhiatine furtive a Tara. Ryan invece sembrava molto più a
suo agio, mentre
era seduto accanto alla stessa. A sua volta, la bionda cercava di tanto
in
tanto di attaccare bottone con i due fratelli, ma con scarsi risultati.
Il
rosso era piuttosto riservato, mentre Amalia non sembrava per nulla in
vena di
discutere.
Lucas e
Rachel erano seduti accanto, entrambi con gli occhi fissi sui
barattoli, immersi nel silenzio. Finché Corvina non decise
di romperlo,
approfittando anche dell’ennesimo tentativo di Tara di
chiacchierare un po’ con
i due fratelli di Kori. Parlò anche a bassa voce, per non
farsi sentire dagli
altri. «Così... messaggi con Tara...»
Il
ragazzo si voltò verso di lei, con ancora il cucchiaio
ficcato in
bocca, perplesso. Tirò fuori la posata, poi
domandò: «Sì, ogni tanto...
perché?»
Rachel
scrollò le spalle, rimestando il contenuto del suo
barattolo. «Così...
per curiosità...»
«Ah...
ok...»
Tra i due
scese di nuovo il silenzio. Lucas riprese a mangiare
tranquillo, finché Rachel non domandò di nuovo:
«E cosa vi dite?»
«Cosa
dovremmo dirci? Ce la contiamo, tutto qui.» Red X si
voltò di
nuovo verso di lei, posando il cucchiaio nel barattolo ormai vuoto, con
un
gesto che sembrava quasi infastidito. «Lei vorrebbe che tu le
raccontassi cosa
facciamo durante le nostre indagini, ma siccome tu non lo fai, allora
chiede a
me. Tutto qui. Ma poi, a te cosa importa? Saranno anche fatti
nostri.»
«C’è
un motivo se non le racconto nulla» replicò
Rachel, quasi
sibilando di rabbia. «Non voglio che sappia troppo, o che,
peggio, anche lei
decidesse di aiutarci. Finirebbe col farsi ammazzare!»
«Non
fare la moralista adesso, proprio tu che prima avevi detto ad
Amalia di non essere troppo severa con Ryan. Tara è grande,
e tu non sei sua
madre, tantomeno sua sorella. Può fare quello che vuole. E
comunque...» Lucas
sorrise, dando un colpetto al suo barattolo. «... non mi
sembra che il cibo che
ci ha portato ti sia dispiaciuto...»
«Questo...
è diverso...» mugugnò la corvina,
distogliendo lo sguardo
da lui.
Non
riusciva a crederci. Quando Lucas si era presentato al suo
appartamento per parlarle e si era ritrovato di fronte Tara, tra loro
era stato
odio a prima vista. Anzi, prima la bionda era quasi svenuta per lo
spavento,
quando si era ritrovato di fronte il brutto muso truccato di X. E
ciò,
ovviamente, aveva comportato diverse battute taglienti provenienti
dalla bocca
di Rosso. Insomma, il loro rapporto era cominciato parecchio male.
E ora,
dopo appena qualche settimana, saltava fuori che non solo i due
erano amici, ma si scrivevano pure. E Rachel nemmeno sapeva che i
telefonini
funzionassero ancora, in quella maledetta città.
Nel giro
di poco tempo Lucas era diventato più amico di Tara di
quanto
la corvina avesse fatto in anni. Forse era per quello che la faccenda
le dava
tutto quel fastidio. Di solito se ne sarebbe allegramente infischiata,
anzi,
era sorpresa che la cosa la punzecchiasse così tanto. O
forse davvero non
voleva che Tara si immischiasse nei suoi affari. O forse entrambe le
cose.
«A
proposito, Tara...» cominciò Red X, posando il
barattolo sul
tavolino. «Dove hai trovato questa roba?»
«Beh...»
La bionda finì di masticare, poi si ripulì le
labbra e
raccontò: «Diciamo che... mi ero preparata per
un’ eventuale fuga dal Neon, e
che queste erano le scorte d’emergenza che tenevo nascoste e
che avevo messo da
parte con il tempo. Ma poi mi hai detto che la situazione stava
peggiorando,
così ho deciso di condividerle... tanto non sarei mai
scappata da là...» Guardò
Rachel, quasi imbarazzata. «Lo avrei fatto anche prima, se
avessi saputo, ma tu
non mi avevi detto niente...»
«Rachel!»
esclamò Lucas, fingendo un odioso tono sorpreso.
«Perché non
glielo avevi detto? Lei voleva solo aiutarci!»
La
corvina gli rivolse un’occhiata incendiaria. Odiava quando si
comportava
così con lei. «Devo essermelo
dimenticato...» sibilò a denti stretti, in
risposta.
«Nessun
problema, davvero.» Tara le sorrise gentile.
In quel
momento Rachel avrebbe voluto soffocarla con un cappio di
energia nera. Tara si fingeva tanto buona e brava con lei, davanti agli
altri... peccato che nessuno di loro sapesse dell’odio
reciproco che quelle due
ragazze covavano dentro di loro.
La
biondina poteva incantare chi voleva con il suo bel faccino, ma non
avrebbe mai fregato la corvina. Non avrebbe mai dimenticato i loro
trascorsi.
Ed era certa che nemmeno Tara li avrebbe mai dimenticati.
Non era
colpa di Rachel se Garfield all’epoca era un adolescente in
piena tempesta ormonale che ammiccava a tutte le ragazze che vedeva. La
Markov
aveva ben poco da essere gelosa e attribuirle la colpa di tutto.
«Beh,
comunque...» La ragazza bionda posò il barattolo a
sua volta,
per poi tornare a guardare i presenti uno per uno, seria in volto.
«Il cibo non
è l’unico motivo per cui sono venuta
qui...»
Lucas
inarcò un sopracciglio. «Ah no?»
Tara
scosse la testa. «Vedete, questa mattina alcuni manifestanti
sono
andati a protestare al posto di blocco sul ponte South Bridge, avete
presente,
no?»
«Sì»
fecero i due partner.
«Io
no, che manifestanti?» domandò Ryan, perplesso.
«In
poche parole, alcune delle persone che odiano restare qui ad
Empire vanno tutti i giorni a protestare al posto di blocco del South
Bridge,
che come sai è il ponte che da Neon conduce fuori
città» cominciò a spiegare la
bionda, sistemandosi una ciocca di capelli ribelle dietro
all’orecchio. «Cercano
di convincere gli agenti di guardia ad aprire il cancello e farli
passare, in
sostanza. Non serve che ti dica che non ottengono mai nessun risultato,
ma,
questa volta, questa mattina, è stato diverso.»
Rachel
sgranò gli occhi, così fecero anche Lucas e
Amalia.
«Vedete,
questa mattina...» La Markov non sembrò riuscire a
reggere
tutti quegli sguardi posati su di lei, ed abbassò lo
sguardo. Tutti pendevano
dalle sue labbra, anche Rachel. «Questa mattina... non
c’erano guardie.»
Sollevò di nuovo lo sguardo, incrociando quello della
corvina. Non sembrava mai
stata così seria. «E il posto di blocco era stato
smantellato.»
«Cosa?!»
esclamarono tutti, in coro.
«È
la verità. All’inizio i manifestanti non erano
certi sul da farsi,
così hanno avvisato la polizia, che è subito
andata a controllare. In passato
alcune persone erano riuscite a superare il primo cancello, ma erano
state
fermate da un muro di mitragliatrici. Questa volta si voleva evitare un
altro
massacro, così gli agenti hanno proseguito con prudenza...
ma quando sono
arrivati al fondo hanno trovato l’avamposto vuoto e
smilitarizzato. Non c’è più
nessuno di guardia al ponte.»
Rachel
deglutì. Le orecchie cominciarono a ronzarle.
«Q-Questo
significa che...»
«Sì»
la anticipò Tara, annuendo lentamente. «Possiamo
uscire da
Empire.»
***
Shock.
Questa fu la sensazione che provocò Tara, dicendo quelle
parole. Un silenzio irreale era caduto nella stanza. Perfino Rachel era
sconvolta.
Nonostante lei avesse sempre avuto la possibilità di
andarsene in qualsiasi
momento, l’idea che il South Bridge fosse stato
smilitarizzato e che ora c’era
una possibilità di fuga vera e propria da
quell’inferno di città le infondeva
un misto di emozioni contrastanti. «Ma... e gli
elicotteri, la
contraerea, le guardie costiere, i...»
«Nemmeno
loro. Niente di niente.» Tara
incrociò le braccia. Perfino lei sembrava
turbata dalle sue stesse parole. «È sparito tutto.
Nessuno ha idea di cosa sia
successo... nemmeno la polizia. I notiziari non ne hanno parlato,
perfino
quell’agitatore che avvertiva dove venivano sganciate le
provviste non si è
fatto vedere. Non appena è giunta la notizia, nel Neon si
è scatenato un
putiferio. Voi eravate qui nel Dedalo, quindi non potevate saperne
nulla. La
gente ha impacchettato tutto quanto, è salita in auto e se
n’è andata. Non vi
dico la fatica che ho fatto per arrivare fino a qui, è stato
come nuotare
controcorrente. Il South Bridge è praticamente inagibile, a
causa di tutte le
persone che lo stanno percorrendo tutt’ora. Praticamente
l’intera città sta
uscendo da quel ponte. Gli agenti di polizia stanno cercando di far
evacuare la
zona con ordine, ma ci sono troppe persone. Credo che ne avranno ancora
fino a
notte inoltrata, forse anche fino a domani mattina.»
«E
gli altri ponti, invece?» domandò Lucas.
«Anche loro sono stati
smilitarizzati?»
«Nessuno
ha avuto il coraggio di andare a vedere» rispose la bionda.
«Con
gli Spazzini e i Primogeniti ancora a piede libero nel Dedalo e nel
Centro
Storico sarebbe stato pericoloso controllare. Se non altro nel Neon non
ci sono
più Mietitori.»
Rachel
sgranò gli occhi. I
MIETITORI!
La
ragazza saltò dalla sedia di colpo, facendola cadere a
terra. I
presenti si svoltarono verso di lei, con aria interrogativa.
«Ehi,
fa attenzione» sbottò Amalia. «Quella
sedia non è tua.»
Corvina non la sentì
nemmeno. Guardava la stanza, i volti
attorno a lei, ma non assimilava davvero le varie informazioni. Aveva
uno
sguardo spiritato.
«Rachel?» domandò Red X, perplesso,
quasi preoccupato. «Stai bene?»
«I-Io...»
La ragazza incrociò il suo sguardo. La guardava come se
avesse visto un fantasma. «Io...»
Non
terminò la frase. Diede le spalle a tutti loro e corse via.
Sentì
gli altri chiamarla a gran voce, ma lei non si voltò
nemmeno. Uscì di casa, le
grida dei ragazzi si confusero con i rimbombi provenienti dalle nuvole
nere
come la pece. Un’aria fredda e pungente si abbatté
su di lei, facendola
rabbrividire.
Piegò
le ginocchia, l’energia nera cominciò ad
investirle il corpo.
«Rachel!»
la chiamò ancora qualcuno dietro di lei. Si
voltò. Vide
Lucas uscire dall’abitazione, questa volta sembrava davvero
angosciato per lei.
«Che cavolo stai...»
Troppo
tardi. La corvina aveva già terminato di trasformarsi. Si
alzò
in volo un attimo prima che il ragazzo potesse terminare la domanda.
Svanì
nella notte buia, accompagnata dalla caduta delle prime gocce di
pioggia.
L'avevo
detto che altri personaggi sarebbero apparsi. E avevo anche detto
"alcuni amati e altri un po' meno". Purtroppo per lei, Tara
è una di quei personaggi che rientrano nella seconda
categoria. Amen.
Avrete
notato la diffidenza che c'è tra la nostra beniamina Rachel
e la nuova arrivata. Questo perché volevo essere fedele alla
serie animata. Io sono uno che propende di più verso
l'amicizia tra loro due, ma mi rendo conto che far partire la storia
con loro due come migliori amiche sarebbe stato un po'... fuori luogo.
Ma non voglio espormi troppo, solamente con il tempo ogni retroscena
sarà chiaro.
E
ora abbiamo i nostri Teen Titans 2.0.: Rachel, Lucas, Amalia, Tara e
Ryan. La protagonista silenziosa ma letale, il leader che ancora non sa
di esserlo, la maestra d'armi arrogante... e Tara e Ryan.
Questo
capitolo ora apre un mucchio di scenari plausibili. Niente
più posti di blocco, fine della quarantena ed eccetera.
Restate aggiornati, perché siamo solo all'inizio!
Fatemi
sapere le vostre opinioni, mi raccomando. Sono la cosa che
più mi piace. Visto e considerato che sto spendendo non poco
su questa fanfiction. In questo momento dovrei studiare Tecnologie
Applicate, ma sono qui a scrivere questa nota che non sembra destinata
a concludersi...
Sì,
insomma, avete capito. Siete un numero a due/quasi tre cifre a leggere,
fatevi sentire!
|
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Capitolo 5 *** Pioggia ***
Capitolo 5: PIOGGIA
La pioggia si infrangeva contro di
lei. Sferzava l’aria
fredda, abbattendosi sull’oscuro rapace. Lampi e tuoni si
susseguivano l’un
l’altro, senza fine. Il cielo sembrava voler rigurgitare
tutta la sua collera
su di lei.
Ma a Rachel non importava.
Le parole di Tara continuavano a
ronzarle in testa. Il fatto
che il ponte forse smilitarizzato, il fatto che c’era una
possibilità di fuga
dalla città, il fatto che migliaia e migliaia di persone se
ne stavano andando
proprio in quel momento.
Il tutto si sommava a ciò
che aveva scoperto quello stesso
giorno, dalla bocca di quello Spazzino.
Non ci aveva messo molto a mettere
insieme le cose e a
capire che doveva sbrigarsi. Prima che fosse troppo tardi.
Aveva freddo, era fradicia a causa
della pioggia, e non
aveva ancora recuperato del tutto le forze. Era stanca, esausta, ma non
si
sarebbe fermata nemmeno se si sarebbe trovata sull’orlo di un
collasso.
Mentre volava le ritornò
in mente tutto quello che lei ed X
avevano fatto in quelle settimane. Le persone che avevano affrontato,
le domande
che avevano fatto, le piste che avevano seguito, i luoghi che avevano
visitato.
Il tempo perso e la fatica fatta. Ora non poteva perdere tutto quanto,
di
nuovo.
Arrivò nel Neon. Al rumore
della pioggia e al fragore dei
tuoni si sommarono numerose e poderose voci sovrapposte, provenienti da
più
punti del distretto. Sembravano degli altoparlanti.
Le luci che un tempo caratterizzavano
le strade sotto di
lei, le insegne dei locali, i tabelloni, i neon, ora erano spenti,
rimpiazzati
da dei molto più sgradevoli lampeggianti blu e rossi. Erano
ovunque, a perdita
d’occhio. Sicuramente erano le volanti della polizia, che
ancora cercava di
mantenere l’ordine tra i palazzi grigi e neri. Un simile
trambusto non si
vedeva dai tempi dei primi tumulti.
Tutto ciò non fece altro
che incitarla ulteriormente a
sbrigarsi.
Finalmente la sua destinazione giunse
nel suo campo visivo.
Qui non c’erano lampeggianti, ma di tanto in tanto dei fasci
di luce bianca e
azzurra comparivano, per poi svanire rapidi com’erano
arrivati. Forse era
ancora in tempo.
Sorvolò infine la strada
che portava all’ingresso del
Jefferson Tunnel. Qui decine e decine di figuri armati stavano
correndo, muovendosi
talmente veloce da
far credere che si
stessero teletrasportando. Erano proprio questi la causa dei fasci di
luce.
I conduit uscivano dal tunnel,
correvano per un breve tratto
di strada, poi saltavano compiendo balzi alti decine di metri ed
atterravano
sui tetti dei palazzi, dove poi riprendevano a correre e a saltare.
Rachel
intuì immediatamente dove si stavano dirigendo: al South
Bridge.
Devo
sbrigarmi a trovarlo!
Scese in strada, tornando in forma
umana. I Mietitori
vestiti di bianco continuavano a correre, lasciandosi dietro le scie di
luce,
ignorandola bellamente. Probabilmente attaccarla non rientrava nei loro
incarichi.
Rachel strinse i pugni; avrebbe
dovuto fare da sola. «Richard!» gridò, a
gran voce, rivolta al gruppo di criminali. «Richard! Lo so
che sei lì in mezzo!»
Dal
tunnel continuavano ad uscire volti incappucciati su volti
incappucciati. Nessuno sembrava badare a lei. La ragazza
cominciò ad irritarsi
sul serio. Non aveva fatto tutta quella strada per essere ignorata in
quel
modo. Sollevò una mano, essa si illuminò di nero,
pronta ad attaccare. «Giuro
che se non ti fai vedere te ne farò pentire amaramente! Hai
sentito?!»
La
sgradevole idea che Richard si trovasse lì in mezzo a loro,
ma che
non potesse sentirla perché anche lui ormai era stato
completamente soggiogato
da quei maledetti liquami neri che controllavano la mente dei
Mietitori,
cominciò ad insinuarsi nella mente di Rachel.
Rabbrividì, e non fu né per il
freddo, né per la pioggia.
Gli
ultimi Mietitori ormai erano usciti dal tunnel. La ragazza fece
per chiamare di nuovo il ragazzo, ma fu interrotta da una voce che
giunse alle
sue spalle, una voce molto familiare: «Che diavolo vuoi,
Rachel?»
La
ragazza sussultò e si voltò, abbassando la mano.
«Richard...»
Il suo
vecchio amico d’infanzia era lì, di fronte a lei.
Vestito
proprio come l’ultima volta che lo aveva visto, con un lungo
cappotto bianco e
nero, con pantaloni neri, i sandali e le garze. La pioggia si
infrangeva sul
suo volto incappucciato, e da sotto la visiera raffigurante un teschio
con i
denti affilati riusciva solo a scorgere parte della sua bocca e del suo
mento.
Rabbrividì. Non riusciva a vederlo in faccia, ma era chiaro
che il suo aspetto
doveva essere peggiorato ulteriormente.
«Richard
non esiste più, Rachel. Te l’ho già
detto» rantolò il
Mietitore, apatico.
«Cosa...
cos’hai intenzione di fare... Robin?»
domandò allora Rachel,
titubante. Osservò gli ultimi Mietitori lasciare il tunnel,
per poi saltare
via, lontani da loro. Deglutì, poi riportò lo
sguardo su di lui. «Vuoi lasciare
Empire?»
«Non
abbiamo molta scelta...» ribatté lui, stringendo i
pugni. Sollevò
lo sguardo, i suoi occhi azzurri brillarono sotto la luce
dell’ennesimo lampo. «Tu
e il tuo amico avete eliminato tutti i miei compagni umani. Solamente
noi
Conduit siamo sopravvissuti. Nemmeno Sasha ce l’ha
fatta.»
«Sasha?
Chi è Sasha?!»
«Colei
che ci ha creati. Colei che ci dice cosa è giusto e cosa
è
sbagliato» rispose Richard, quasi come se stesse
cantilenando. Come se lo
avessero obbligato ad imparare quelle parole e a ripeterle testualmente
se
necessario.
«Il
Neon non è più posto per noi, così
come non lo è Empire. Ce ne
andremo, e io prenderò il controllo della fazione.
Ricostruirò i Mietitori da
cima a fondo.»
Rachel
non credette alle proprie orecchie. «Cosa?! Non puoi
farlo!»
«Posso
invece. E lo farò. Sentirai presto parlare di noi, Rachel. I
Neo Mietitori rinasceranno dalle ceneri dei Mietitori di Sasha.
Usciremo da
Empire e ci espanderemo, città dopo città.
Uccideremo chiunque si opporrà al
nostro passaggio. Troveremo un modo di riutilizzare i poteri di Sasha
ed
eserciteremo il nostro controllo mentale su milioni e milioni di
persone.»
La
corvina deglutì. Quello di fronte a lei non era Richard. Non
lui,
non il ragazzo che amava. «Ma... e Kori?»
domandò, disperata a tal punto da
cercare di farlo rinsavire parlando proprio della stessa ragazza per la
quale
aveva provato così tanta gelosia. «Non volevi
vendicare la sua morte?»
«Anche
lei fa parte del passato, ormai.»
Corvina
rimase a bocca aperta. Tra tutte le rivelazioni di quel
giorno, quella fu la più scioccante. A Richard non importava
più niente nemmeno
di Kori. Le parole che si erano scambiati mesi prima, ora non
avevano più
valore alcuno. Possibile che i liquami che lo controllavano lo avessero
portato
a cambiare idea in quel modo? O forse era proprio lui ad essere
cambiato?
Sinceramente,
la conduit non sapeva quale delle due opzioni fosse la
migliore. «Ma... credevo che tu
l’amassi...»
«L’amore...
che emozione stupida» replicò il Mietitore, quasi
disgustato. Rachel ammutolì.
«Cos’è
l’amore, se non una delle tante cause della sofferenza che
imperversa questo mondo? Niente di niente. Cosa siamo tutti noi, se non
schiavi
di quell’inutile sentimento? L’amore che in passato
nutrivo per Kori ora per me
non significa più nulla. Così come quello che
anche tu provi nei miei
confronti. Le emozioni, per me non significano più
nulla.»
Rachel si
sentì morire. Quelle parole furono più dolorose
di qualsiasi
ferita avesse mai subito. Richard sapeva. Sapeva che lei lo amava
ancora,
nonostante tutto quello che era successo. E ora glielo aveva detto
apertamente,
lui non la ricambiava. Per lui, lei non significava nulla. E
probabilmente non
avrebbe mai più significato qualcosa.
Qualcosa
si incrinò dentro di lei. E fece male. Ne fece parecchio.
Credeva
che sarebbe stata pronta, nel caso in cui
quest’eventualità si
fosse verificata. Credeva che sarebbe riuscita ad accettare il fatto
che
Richard potesse non amarla. Si era sbagliata.
Osservò
i suoi occhi, incapace di fare altro. Quegli occhi che un
tempo la guardavano con affetto, con felicità, come per
dire: "sono
contento che tu sia qui", e che ora, invece, la scrutavano con
indifferenza, come se lei non avesse mai infuso queste emozioni dentro
di loro.
«Onoreró la memoria di Sasha»disse ancora lui, prima di darle le spalle.
«E ora addio Rachel.
Per sempre.»
Non appena finì di parlare, il suo corpo
si
caricò di energia e saltò.
Rachel lo osservò impotente, incapace di
sopportare quella scena. Avrebbe voluto fermarlo, ma la
verità era che ormai
non poteva fare più nulla. Nonostante Sasha fosse morta,
Richard era divenuto
ugualmente un Mietitore a tutti gli effetti. Riportarlo indietro era
impossibile.
Lo vide allontanarsi, sentì la sua presa
scivolare via dalle sue mani. Le sembrò di perdere
l’unica ragione per cui
ancora combatteva in quel mondo infernale.
Ora non le era rimasto più niente, per
davvero.
Le
sue
parole erano state micidiali per lei. Dopo l’abbandono di sua
madre, Richard era
stata l’unica persona che per lei avesse mai rappresentato
qualcosa. Lui per lei
era tutto. Era il suo punto di riferimento, la sua ancora, la mano che
la aiutava
a salire quando rischiava di precipitare. Era il mondo, per lei. Ma lei
non era
niente per lui.
Cadde in ginocchio, inzuppandosi i pantaloni, ma
non ci fece nemmeno caso.
Incapace ormai di trattenersi, scoppiò
in
lacrime.
Si sentì una stupida. Non avrebbe dovuto
piangere in quel modo, non dopo tutto quello che aveva passato. Ma non
riusciva
comunque a fermarsi. Era disperata.
La sua vista appannata cadde sulle sue mani, ora
immerse in una pozzanghera. Odiò quella vista.
Odiò quelle mani, odiò ciò che da
dopo il giorno dell’esplosione erano in grado di fare.
Odiò il suo corpo, odiò
i suoi poteri. Era tutta colpa loro. Non sarebbe stata li, se non fosse
stato per
loro. Non avrebbe mai dovuto trovarsi lì, poteva esserci
chiunque altro, ma non
lei. Il suo ruolo era altrove. Anche lei sarebbe dovuta morire
nell’esplosione.
Strinse i pugni. Lacrime salate ed amare
scivolarono
lungo le sue guancie, insieme alla pioggia. Serrò la
mascella, alzò lo sguardo
al cielo, dove tuoni e lampi continuano a dominare incontrastati.
Chiuse gli
occhi ed urlò. Urlò con quanto fiato avesse in
corpo, rivolta al mondo intero.
Lunghi, interminabili momenti dopo, una mano si
appoggiò all’improvviso sulla sua spalla. Si volto
lentamente, sorpresa. Lucas era
lì, accanto a lei. La guardava, preoccupato, anche lui
bagnato fradicio. Rachel
non seppe spiegarsi come avesse fatto a trovarla, ma non le
importò.
Singhiozzò di nuovo e si
gettò tra le sue
braccia. Lui ricambiò la stretta, avvolgendola con fare
protettivo.
Appoggiò il mento sul suo capo e le
accarezzò la
schiena. Non disse una parola, e a lei andò bene
così.
E poco prima che il resto di quella nottata si
confondesse
con l’oscurità della città, la corvina
riuscì a realizzare che, infondo,
qualcuno che ancora teneva a lei esisteva ancora.
***
Rachel si
risvegliò in un letto. Per un attimo rimase sorpresa quando
se ne accorse, notando le coperte nere e le lenzuola grigie. Non
ricordava di
essere andata a dormire. E, per finire, si trovava in una stanza che
non era
assolutamente la sua.
Dalla
finestra filtravano i raggi del sole mattutino, illuminando le
pareti bianche della camera da letto. Si mise a sedere, massaggiandosi
la
testa. Uno sbadiglio scivolò fuori dalla sua bocca, ma lo
coprì con una mano.
Si
sorprese di nuovo, per la seconda volta di fila, quando si accorse
dei suoi abiti. Era vestita con una maglietta dalle maniche corte
grigia che
rimpiazzava la felpa con cappuccio, e un paio di pantaloni da
ginnastica che
sostituivano i jeans. Non ricordava nemmeno di essersi cambiata.
Confusa,
stropicciò le proprie palpebre, cercando di destarsi.
Provò a
fare mente locale, a riordinare le idee e ricordare cos’era
successo quella
notte. E quando ci riuscì, in parte se ne pentì.
Forse sarebbe stato meglio se
non si fosse più ricordata l’accaduto.
Strinse
con forza le lenzuola tra le sue mani. Le labbra tremolarono.
Chiuse gli occhi e scosse la testa, cercando di scacciare via quei
pensieri, di
allontanare per sempre dalla sua mente le parole che Richard le aveva
rivolto,
quelle stesse parole che ormai sembravano marchiate a fuoco nei suoi
ricordi e che
probabilmente mai sarebbe riuscita a dimenticare.
Uno
scricchiolio le fece alzare improvvisamente lo sguardo. Di fronte
a lei, accanto ad un armadio di legno, si trovava la porta. Questa
stava
venendo aperta, causando di conseguenza il rumore che aveva attirato la
sua
attenzione.
La testa
mora di Lucas fece capolino nella stanza. Il ragazzo sorrise
quando si accorse di Rachel. «Ehi! Sei sveglia!»
«Ehi...»
Un abbozzo di sorriso si dipinse anche sul volto della
corvina. Vederlo la fece sentire più tranquilla. Ovunque
fosse, se non altro
c’era anche lui insieme a lei.
Red X
entrò nella stanza, andando a sedersi su una sedia situata
accanto al letto. Si accomodò, guardandola con attenzione.
La ragazza lo seguì
con lo sguardo, e notò che si era cambiato. Non aveva
più la sua tuta
attillata, i copri avambracci e tutta la sua classica bigiotteria. Era
vestito
con una giacca di pelle nera e dei jeans, come un comunissimo ragazzo.
Non
aveva nemmeno il trucco.
La
sorprese vederlo così. Le uniche volte in cui aveva visto il
suo
volto era stato quando la pittura facciale si era prosciugata da sola,
a causa
del sudore o della pioggia. Questa volta no, era al naturale, davanti a
lei.
Notò
alcuni dettagli nel suo volto dapprima sempre sfuggiti alla sua
attenzione. Graffietti, piccole cicatrici sparse qua e là,
ed anche un lieve
principio di barba, segno che si radeva soventemente.
Era
così... normale. Era strano per lei, vederlo in quel modo.
Fu solo
in quel momento che realizzò che Lucas non era solo Red X,
era anche... Lucas.
Un ragazzo come tanti, con la barba, i brufoli, l’acne ed
eccetera. L’aveva
visto con indosso il suo travestimento talmente tante volte che ormai
si era
convinta che quello era il suo vero lui, quando la realtà,
invece, era molto
diversa.
Si rese
conto solo dopo diversi istanti di essere rimasta immobile ad
osservarlo senza dire una parola. Distolse lo sguardo di colpo,
imbarazzata.
Improvvisamente,
l’idea di essere sdraiata su un letto di fronte a
lui, con indosso una maglietta molto più attillata di quanto
si fosse resa
conto, la mise a disagio.
«Stai
bene?» domandò infine lui, inarcando un
sopracciglio.
«Io...
sì, credo di sì...» rispose lei,
massaggiandosi la testa. Si
appoggiò meglio con la schiena alla tastiera del letto,
aiutandosi con i
gomiti. Una volta messasi più comoda, domandò:
«Ma... dove siamo?»
«Siamo a casa di
Amalia» spiegò
il ragazzo, con un sorrisetto sarcastico. «È stata
molto felice di farti
dormire nel suo letto.»
Rachel si
sentì in imbarazzo, nonostante Komand’r non fosse
lì in quel
momento. Più che altro, la fece sentire in colpa il fatto di
avere di nuovo
coinvolto nei suoi problemi la sorella di Kori. Doveva averne fin sopra
ai capelli,
di lei. «E... cos’è successo ieri notte?
Dopo che... insomma...»
Dopo che ti
sei gettata su di lui piangendo disperata?
Rachel
sentì le goti arrossarsi e non concluse la frase.
«Sei
svenuta.» Lucas scrollò le spalle, come se la cosa
non lo avesse per
nulla preoccupato o infastidito. «Così ti ho
riportata qui, dove Tara si è
presa cura di te.»
«Tara?!»
Il
ragazzo annuì. «Lei e Amalia ti hanno cambiata e
dato una ripulita.
Non potevano coricarti altrimenti, i tuoi vestiti erano bagnati
fradici.»
Corvina
annuì, in parte ancora incredula. Se non altro, ora si
spiegava i vestiti nuovi. E se non altro non era stato Lucas a
svestirla. Un
brivido le percorse la schiena all’improvviso, quando ebbe
quel pensiero. Non
seppe spiegarsi se era perché quell’idea la
preoccupava, o se invece era
l’esatto contrario.
«As...
aspetta! Mi ha portata fino a qui dal Neon?!» La ragazza
spalancò la bocca, quando si rese conto di quel dettaglio.
«Sei impazzito?!
Pioveva a dirotto!»
«La
pioggia non ha mai ucciso nessuno, Roth.» Lucas
incrociò le
braccia, guardandola con un’espressione di
superiorità. «E comunque non sei
certo nella posizione di dirmi cosa dovevo o non dovevo fare.»
Rachel
fece una smorfia e distolse lo sguardo da lui. Poi realizzò
che
comportarsi così non era affatto sinonimo di riconoscenza.
Sospirò, poi gli
sorrise, cordiale. «Beh... allora grazie, Lucas.»
«Nessun
problema.»
«A
proposito, come facevi a sapere che ieri notte ero...»
«Al
Jefferson Tunnel?» la anticipò lui, sorridendo di
nuovo beffardo. «Ti
prego. E dove altro saresti mai potuta andare, in quel
momento?»
La corvina non rispose.
Sentì nuovamente le guancie in
fiamme e, di nuovo, pensò di essere la ragazza
più idiota di quell’universo.
Chissà cos’avevano pensato gli altri, quando
l’avevano vista scappare via in
quel modo. Il suolo pensiero di rivedere Tara dopo tutto quello che era
successo le faceva contorcere le viscere dall’imbarazzo.
«Eri
davvero esausta, sai?»
proseguì il ragazzo, interrompendo il
breve silenzio che si era andato a creare. «Hai dormito
tredici ore, circa...»
«C-Cosa?»
Corvina spalancò le palpebre. «Così
tanto?»
Lucas
annuì. «Sì, ma non preoccuparti troppo.
Mentre riposavi noi
altri ci siamo organizzati. Io e Amalia siamo andati a controllare il
West
Bridge, per vedere se anche quello era stato smilitarizzato, mentre
Tara e Ryan
ti hanno tenuta d’occhio mentre dormivi. Hanno detto che ti
sei agitata
parecchio nel sonno.»
«Davvero?»
domandò la ragazza, perplessa. Lei non ricordava di avere
avuto incubi o altro. L’unica cosa che ricordava di aver
sognato... era
stranamente la baraccopoli che aveva visitato insieme ad Amalia e
Lucas. Nessun
incubo sulla partenza di Richard o altro.
Strano..., pensò.
Ma
forse era meglio così. Degli incubi sarebbero stata
l’ultima cosa che avrebbe
voluto.
«In
ogni caso, proprio come il South Bridge, anche il West è
libero.
Ma lì non c’è traffico.»
Lucas cominciò a dondolarsi sulla sedia, guardandola
serio. «Dopo esserci riposati, questa mattina Tara ed io
abbiamo deciso di
andarcene dalla città, con quel ponte. Non abbiamo
più nulla da fare qui,
ormai. Vengono anche Amalia e Ryan, e naturalmente tu sei la benvenuta.
Allora,
che ne pensi? Vieni con noi?»
Quelle
parole lasciarono la ragazza di stucco. Avevano davvero deciso
di andarsene dalla città, così. Certo, era
piuttosto prevedibile, ma fu
comunque una sorpresa per lei. In effetti, avevano tutti i motivi per
farlo.
Lasciare Empire, probabilmente, era la cosa più saggia che
si potesse fare
ormai. C’erano troppi brutti ricordi legati a quella
metropoli, e la cosa
riguardava tutti loro. E, inoltre, ora che la zona non era
più in quarantena,
era probabile che il governo avrebbe smesso di sganciare del tutto le
provviste.
Eppure,
la scelta di Lucas la sorprendeva. «Ma... credevo che volessi
ancora vendicarti dei Mietitori per aver...»
«Sinceramente,
lasciare la città per me ora ha la
priorità.» Il
ragazzo allargò le braccia, ritornando con le gambe della
sedia a terra. «E
comunque, i Mietitori sono scappati da Empire, ho visto con i miei
occhi quei
dannati fasci di luce che si lasciano dietro. Dubito che li rivedremo
mai più.»
Rachel si
mordicchiò l’interno della guancia, perplessa. Le
parole di
Richard le tornarono improvvisamente in mente. Non era davvero finita
con i
Mietitori. Avrebbero presto sentito di nuovo parlare di loro.
Guardò
Lucas. Valutò se dirgli o no ciò che aveva
scoperto, poi si
interruppe. Al ragazzo non sembrava importare davvero la faccenda, ora
che ci
faceva caso non le aveva nemmeno chiesto cosa fosse successo con
Richard prima
che lui arrivasse. Forse lasciare Empire era davvero diventata per lui
la cosa
migliore da fare. E forse lo era davvero.
Andarsene,
lasciarsi tutto alle spalle.
Ricominciare.
In effetti Rachel ne aveva davvero, davvero bisogno.
L’America era grande, e a dire il vero dubitava che avrebbe
mai più avuto a che
fare con Robin e i suoi pseudo Neo Mietitori.
Eppure...
c’era qualcosa di davvero strano sotto tutto quello.
Perché
i posti di blocco erano stati smantellati così,
all’improvviso? Nessuno aveva
detto niente. I notiziari non ne avevano parlato, non era circolata
nessuna
voce o notizia prima di tutto quello, niente di niente. Era davvero
così sicuro
andarsene?
Ed
inoltre, sia il capo degli Spazzini che quello dei Mietitori erano
morti, coincidenza, poco prima che la quarantena terminasse. Era
davvero una
combinazione, o le cose erano collegate?
Corvina
sentiva una forte puzza di bruciato, riflettendoci meglio. Ma
le alternative quali erano? Restare lì? Da sola, visto che
Lucas e gli altri
sembravano davvero intenzionati ad andarsene?
No di
certo. Stranezze o meno, abbandonare Empire era l’unica cosa
che
le restava da fare. Prese la sua decisione: avrebbe tentato la sorte.
La vita
era come un’ enorme roulette, ormai lo aveva capito. Aveva
sempre scelto i
numeri sbagliati, questa volta invece, forse, avrebbe preso quelli
giusti.
Cacciò
tutti i suoi dubbi dalla testa. Annuì e si tolse le coperte
di
dosso, mettendosi a sedere sul bordo del materasso, davanti a Lucas. I
loro
sguardi si incrociarono e la ragazza sorrise determinata.
«Beh, allora cosa
stiamo aspettando?»
Di nuovo io, con un altro
capitolo. Lo so, sono fastidioso. Sono sempre qui a rompere le scatole.
Non posso far passare una settimana come fanno tutti? Bah...
Comunque, ho delle cose
importanti da dire. Volevo avvisarvi che, per evitare di rovinarvi sorprese varie, dovreste
evitare di spoilerarvi infamous su Wikipedia, se non lo avete mai
giocato. So che io sono sempre stato il primo a dire che se volevate
potevate farlo, ma ora mi rendo conto che ci sono alcuni punti in
comune tra la mia storia e il videogioco che è meglio non
approfondire, se siete estranei alla trilogia della Sucker
Punch.
D'ora in poi, ogni volta che ci
sarà qualcosa che dovete sapere sul videogioco per aiutarvi
a capire meglio la trama, sarò io a spiegarvela nelle note.
Per esempio ora posso parlare di
Sasha.
Sasha è il capo dei
Mietitori, per l'appunto. Era una "merda" (così definita da
Cole, il protagonista di Infamous) prima dell'esplosione, e dopo
è diventata anche peggio. E' una conduit in grado di
produrre questo liquame che è in grado di controllare le
menti delle persone. Inoltre, sempre grazie a questo liquame, possiede
anche capacità illusorie.
L'unica persona in grado di
resistere ai suoi poteri, nel videogioco, è Cole, ma io
credo che tutti i conduit potrebbero resistere, eccetto quelli che
decidono di lasciarsi soggiogare per diventare i famosi Mietitori
vestiti di bianco.
Comunque sia, anche lei
è morta, insieme al capo degli Spazzini, Alden. Coincidenza?
E no, purtroppo i nostri eroi non
avranno a che fare con i Primogeniti e il loro capo, Kessler. Anzi,
Kessler non verrà nemmeno mai nominato nella fic. Credo,
magari forse sì, in futuro, ma dubito.
Ora, parlando del proseguimento
della trama. Avvenimenti legati ad Empire in particolar modo non
verranno più citati, visto anche che i protagonisti
lasceranno la città. Buona parte di tutti gli elementi di
Infamous saranno messi da parte, tranne alcune piccole ma fondamentali
cose, quelle che, per l'appunto, fareste meglio a non
spoilerarvi.
Da adesso in poi sarà
quasi tutta terra inesplorata. Se non si fosse capito, nel videogioco i
posti di blocco non vengono smantellati e l'unico luogo visitabile
è, appunto, la città.
Un'altra cosa, nel capitolo di
parla di un "West Bridge", ma nel gioco non esiste. Esistono due ponti,
quello del Neon, a Sud, e quello del Centro Storico, ad Est. Il Dedalo
non ha ponti che conducono fuori città, ma ho deciso di fare
uno strappo alla regola, anche per rendere più credibile il
tutto.
Per finire, Empire City in teoria
è situata nello stato di New York, vicino al New Jersey. Ve
lo dico ora, perché tanto ci ritorneremo su la prossima
volta.
Bene, ho finito! Grazie per non
esservi tagliati le vene, ci becchiamo alla prossima!
|
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Capitolo 6 *** Fare le valigie ***
Capitolo 6:
FARE LE VALIGIE
Amalia e
Ryan sembravano essersi trasformati in due addetti di una
ditta di traslochi. Andavano e venivano da tutte le stanze,
raccogliendo tutto
quello che poteva servire e portandolo in due grossi borsoni che
avevano
lasciato in cucina. Anche Tara li stava aiutando a mettere la roba nei
bagagli.
Lucas
disse a Rachel che era già da un po’ che andavano
avanti in quel
modo.
Entrarono
in cucina. Qui Ryan stava armeggiando con un borsone. Si
accorse di loro e alzò lo sguardo. Sorrise a Rachel.
«Ciao, stai meglio?»
«Io...
sì, grazie...» rispose lei, sorpresa. Non
ricordava di avergli
ancora parlato.
«Bene.»
Il rosso le rivolse un cenno del capo, poi tornò a sistemare
la sua roba.
Rachel
guardò con aria interrogativa Lucas, lui si
limitò a sollevare
le spalle.
«Ma
guarda chi ci ha degnati della sua presenza»
sbottò una voce alle
loro spalle. I due si voltarono e si ritrovarono di fronte ad Amalia,
la quale
aveva un’aria alquanto scocciata. E il fucile in mano.
«Se hai ancora sonno
puoi benissimo tornare a dormire nel mio letto, non
c’è problema!» si rivolse a
Rachel. «E magari ti do anche qualche altro vestito,
perché no!»
«Scusa,
io non volevo disturbarti...» mormorò la corvina,
mortificata.
«Ignorala,
in realtà ci è grata per aver deciso di lasciarla
venire
con noi» si intromise X, guardando con sguardo provocatorio
la mora.
«Va’
al diavolo, Rosso» replicò Amalia, passando in
mezzo a loro due e
dando una spallata al ragazzo. «Potevamo anche cavarcela da
soli.»
«Non
è vero...» mugugnò Ryan, tenendo la
testa bassa sul suo borsone.
«Zitto
tu!»
Un
sorriso scappò dalle labbra di Rachel, quando
osservò quella scena.
Poi entrò anche Tara. Si fermò di colpo, quando
notò la conduit di nuovo in
piedi. «Oh... ben svegliata...»
«Grazie...»
Non era sincera, ma nemmeno Tara lo sembrava.
Lucas si
piazzò in mezzo a loro due, posando le mani sulle spalle di
entrambe. «Bene, stavo proprio per venire a chiamarti, Tara.
Ora che Rachel è
sveglia, potete andare al vostro appartamento e prendere tutto quello
che vi
serve per il viaggio.»
Sia
Rachel che Tara sgranarono gli occhi, udendo quella frase.
«Intendi...
insieme?» domandò la bionda.
«Sì.»
«Ehm...
vieni anche tu?» chiese a quel punto Rachel.
«No,
io la mia roba già sono andato a prenderla, questa mattina.
Non
ho voglia di fare trecento viaggi. E poi è meglio che dia
anche una mano a quel
tesoro di Amalia...»
«Crepa»
sbottò la mora, passando di nuovo accanto a loro in quel
momento.
Lucas la
ignorò. «Coraggio, Rachel...» Le diede
qualche pacca sulla
spalla, sogghignando. «La porti tu in volo, ci metterete un
lampo ad andare e
tornare.»
Le due
ragazze, a quel punto, si guardarono tra loro. Era ovvio che
l’idea non andasse a genio a nessuna delle due. Ed era anche
ovvio che Lucas
stava tramando qualcosa. Rachel fu quasi tentata di dire che lei non
aveva
bisogno di andare a prendere nulla, poi realizzò che in quel
momento nemmeno
aveva addosso i suoi vestiti, ma quelli di Amalia.
Non era
affatto in vena di portare Tara fino a casa loro, ma non
poteva certo lasciare la città senza niente da mettersi
addosso, al di fuori
dei vestiti che aveva prima di dormire. Almeno un cambio le serviva.
Sospirò.
Non aveva nemmeno fatto colazione e già doveva ricominciare
ad usare i poteri. Indicò la porta a Tara con un cenno del
capo. «Dai, andiamo.»
Prima
finiamo, meglio è.
Senza
dire altro, le due ragazze uscirono. Rachel non vide Lucas
stirare ulteriormente il suo sorrisetto, ma era convinta che lo avesse
fatto.
Quando fu
fuori, la corvina poté constatare che il temporale della
notte precedente sembrava solo un lontano ricordo. Se non fosse stato
per le
enormi pozzanghere sparse qua e là per la strada,
probabilmente non avrebbe
nemmeno potuto dire con certezza che la sera prima avesse piovuto.
Il sole
era alto nel cielo limpido, contornato da nuvole bianche come
la neve. Sembrava quasi che il tempo variasse a seconda dello stato
d’animo di
Rachel. Burrascoso nei momenti bui, come quello della sera precedente,
sereno
quando le cose sembravano essere più tranquille.
«Allora...
che si fa?» domandò Tara, riportandola alla
realtà.
Rachel
soffocò una smorfia. Per tre meravigliosi secondi si era
dimenticata di doverla trasportare fino al Neon. «Mettiti
qui, davanti a me»
ordinò. «Di spalle.»
La bionda
obbedì titubante, piazzandosi di fronte a lei. La conduit
sospirò di nuovo, poi si strinse a lei, avvolgendole le
braccia intorno alla
vita. La sentì irrigidirsi con quel contatto. E nemmeno per
lei fu una bella
sensazione, abbracciarla in quel modo. I lunghi capelli biondi e setosi
di Tara
le stuzzicarono il volto e in quel momento Rachel ricordò di
essere più bassa
di lei. Era più bassa di tutti, ora che ci pensava. Perfino
di Ryan.
«E...
e adesso?» chiese ancora la ragazza priva di poteri, cercando
di
guardarla con la coda nell’occhio.
Rachel
nascose un sorriso meschino. «Se cadi, muori.»
«Eh?!»
La luce
nera investì i corpi delle due, al comando della conduit. I
poteri sembravano di nuovo essersi tranquillizzati, anche se
più tardi Rachel
avrebbe fatto meglio a meditare un po’. Era meglio non
rischiare dopo tutto
quello che era successo.
La
corvina assunse la sembianza di rapace, con al suo interno anche
Tara. Sentì la bionda sussultare quando
l’oscurità le avvolse entrambe, ma non
le diede importanza.
Si
concentrò profondamente, e pochi istanti dopo presero il
volo,
accompagnate da un urlo di sorpresa dell’altra ragazza.
***
Tara non
sembrò gradire il viaggio. L’aveva implorata di
rallentare
almeno un milione di volte, o giù di lì, e quando
erano atterrate era sembrata
quasi in procinto di vomitare. Rachel non aveva assolutamente idea di
cosa
vedessero gli altri quando volavano insieme a lei, ma a giudicare dal
comportamento della bionda, e anche da quello di Lucas alcune volte,
non
sembrava una bella esperienza.
Soffocò
un altro sorriso, mentre guardava l’altra ragazza barcollare
verso l’ingresso del loro condominio.
Entrarono
in casa loro e si separarono, dirette entrambe verso le
rispettive stanze. A Rachel fece una strana impressione il pensiero che
quella
era probabilmente l’ultima volta che vedeva
quell’appartamento. La stessa
sensazione provò quando vide la porta di camera sua. Si era
sentita così tante
volte imprigionata da quelle quattro mura sporche e crepate, eppure
l’idea di
andarsene per sempre da lì la metteva a disagio.
Scosse la
testa, cacciando quei pensieri dalla sua testa. Era tardi
per tornare indietro, ormai.
Aprì
l’armadio nel corridoio, quello in cui teneva tutte le poche
cose
che aveva, ovvero qualche vestito e alcuni libri. Mentre frugava tra i
pantaloni ritrovò perfino il suo vecchio cellulare. Lo
schermo si era crepato
quando il boato generato dall’esplosione l’aveva
spedita a terra, ma funzionava
lo stesso. Ricordava ancora come lo aveva avuto: era stato un regalo di
compleanno che le avevano fatto i suoi amici.
Nessuno
di loro poteva permetterselo ai tempi, così avevano fatto
una
colletta, mettendo insieme quel poco che avevano. Tutto per lei. Quel
pensiero
le fece venire un enorme peso allo stomaco. Sospirò, poi
prese il telefono e lo
cacciò in tasca. Doveva ricordarsi di toglierlo quando
avrebbe restituito i
pantaloni ad Amalia.
Finì
di rovistare tra le sue cose, e con l’amaro in bocca
scoprì di
non avere un borsone o uno zaino in cui mettere tutta quella roba.
Soffocò
un’imprecazione, poi decise di andare a controllare in camera
sua. Controllò
sotto il letto, l’unico posto in cui poteva aver messo il suo
vecchio zaino
scolastico, ma non trovò nulla.
Sbuffò.
A quanto pareva avrebbe dovuto chiedere a Tara se aveva
qualcosa per lei. Fece per rimettersi in piedi, quando il suo sguardo
catturò
un dettaglio dapprima sfuggito alla sua attenzione. Sotto il materasso,
all’altezza del cuscino, c’era qualcosa di piccolo
e sottile. Inarcando un
sopracciglio, Rachel allungò la mano e la
afferrò.
Si
rialzò e controllò ciò che aveva
trovato. Un verso sorpreso uscì
fuori dalla sua bocca quando realizzò di cosa si trattasse
ciò che teneva tra
le mani.
Una
vecchia foto. Era stata scattata all’aperto, in un parco, di
fronte ad un albero. Due persone erano raffigurate: una bambina con gli
occhi viola
e i capelli neri, assieme ad una giovane e bella donna con le sue
stesse
caratteristiche. La bambina aveva un sorrisetto allegro stampato in
faccia,
mentre la donna aveva un’espressione gentile e serena.
Rachel
sentì gli occhi inumidirsi. Lei e sua madre, Arella.
Chissà
quanti anni aveva quella foto. Almeno quindici. Era l’unico
ricordo di sua madre che le era rimasto. Solo in quel momento la
ragazza si
ricordò che aveva custodito quella foto sotto il cuscino per
tutto quel tempo.
Probabilmente era finita sotto il letto per sbaglio.
Strofinò
il polso sopra le palpebre chiuse, per ripulirle dalle
lacrime che fortunatamente non erano scese, poi mise anche quella foto
in
tasca. Non l’avrebbe lasciata lì nemmeno per tutto
l’oro del mondo.
Il suo
sguardo cadde poi su un angolo della stanza, dove trovò il
suo
vecchio zaino. Roteò gli occhi, sospirando esausta, poi
andò a prenderlo. Era
conciato parecchio male. Certo, anche lui era presente al momento
dell’esplosione.
Finì
così di sistemare la sua roba, e si cambiò anche,
dato che quello
era il momento migliore per farlo. Una volta finito andò in
salotto. Qui trovò
Tara, con il cellulare attaccato all’orecchio. Le dava le
spalle, ma sembrava
comunque agitata. Lo intuì da come molleggiava con una
gamba. «Andiamo,
rispondi...» mugugnò, infastidita.
Rachel
inarcò un sopracciglio, ma non fece nulla. Dopo diverso
tempo,
la bionda sospirò. «Ciao Brion, sono ancora io...
lo so che ti ho già mandato
altri messaggi e che se avessi potuto mi avresti già
chiamata, però... fallo
appena puoi, ok? Ti voglio bene... mi... mi mancate...»
Allontanò
il telefono dall’orecchio. Piegò la testa e si
posò una mano
sul volto. Quando Rachel la sentì singhiozzare si
irrigidì come un chiodo.
Intuì ben presto di trovarsi nel posto sbagliato al momento
sbagliato.
Indietreggiò lentamente, tornando nel corridoio. Attese che
Tara si calmasse.
Fortunatamente, il suo pianto non durò molto.
Aspettò che si soffiasse il naso,
poi si presentò nel salotto, facendo finta di niente.
Tara la
sentì arrivare e si voltò. Aveva gli occhi ancora
lucidi. «Hai...
hai già finito?» domandò, cercando di
usare un tono tranquillo, mettendo via il
fazzoletto.
«Io...
sì. Possiamo andare.»
«D’accordo...
ma questa volta potresti volare più piano? Credo di
avere il mal d’aria...»
Un lieve
sorriso apparve sulle labbra di Rachel. «Vedrò
cosa posso
fare.»
***
Dovevano
essere circa le tre del pomeriggio quando tutti loro si
trovarono di fronte al West Bridge.
Alle loro
spalle si trovava il Dedalo, e ancora più indietro
l’intera
Empire City. La città in cui tra loro c’era chi
era nato, chi ci aveva
trascorso tutta una vita e chi invece era arrivato da più o
meno tempo. Ma
soprattutto, era la città che aveva causato loro molteplici
sofferenze, che
aveva procurato delle cicatrici che mai sarebbero sparite.
Lucas
aveva perso i genitori, Rachel gli amici, Tara il fidanzato,
Amalia e Ryan la sorella.
Davanti a
loro c’erano le sconfinate terre dello stato di New York.
Campi, fattorie, l’infinita autostrada verso il New Jersey ed
oltre. Davanti a
loro c’era un mondo nuovo. C’era un nuovo inizio
per tutti loro.
Si
guardarono tutti tra loro un’ultima volta, per scacciare gli
ultimi
dubbi, poi mossero i primi passi verso l’ignoto. Lucas e
Rachel avanzavano in
testa al gruppo, fianco a fianco, mentre alle loro spalle Tara, Ryan e
Amalia
parlottavano tra loro.
Sfortunatamente
erano a piedi, visto che tutte le auto funzionanti di
Empire erano probabilmente già state utilizzate per lasciare
la città. Non
avevano ancora un’idea ben precisa su cosa avrebbero fatto una volta attraversato
quel ponte.
Sicuramente, la prima cosa da fare era recuperare
un’automobile. Non potevano
camminare in eterno.
«A
proposito, qual è la destinazione?»
domandò Rachel all’ex Red X.
Il
ragazzo sollevò le spalle. «Potremmo andare alla
prossima città,
per prima cosa, e vedere se la situazione lì è
migliore.»
«Lucas...
lo sai, vero, che la prossima grande città è a
sessanta
chilometri da qui? Prima ci sono solo campi e fattorie...»
«Gli
altri non lo sanno, però. Aspettiamo di trovare una
macchina, poi
non sarà più un problema la
destinazione.»
«E
dove vorresti trovarla una macchina?»
«Beh...
per adesso andiamocene da qui. Poi vedremo. Ricorda che tu sai
volare, perciò nel peggiore dei casi potremmo scappare solo
io e te.»
Rachel
ridacchiò. «Non sarebbe male...»
Volse lo
sguardo attorno a sé. Il ponte era deserto. Decine e decine
di transenne, container, sacchi di sabbia e postazioni per
mitragliatrici vuote
erano sparpagliati un po’ ovunque. Una grossa rete era
sollevata alle due
estremità del ponte, probabilmente per impedire alle persone
di fuggire
saltando.
Era
impressionante vedere tutta quella roba abbandonata. Chissà
quanti
soldi erano stati spesi per allestire tutta quell’area in
quel modo, e chissà
quanto tempo c’era voluto. Sembrava davvero che chiunque
fosse stato a guardia
di quel posto fosse stato richiamato d’urgenza.
«Strano,
vero?» Lucas sembrò leggerle nel pensiero. Anche
lui si stava
guardando intorno, sospettoso. «Chissà cosa li ha
spinti ad andarsene
all’improvviso...»
La
corvina annuì. Le tornarono in mente le parole di Richard.
Si
mordicchiò l’interno della guancia, meditando se
riferire ciò anche a Lucas,
poi decise di farlo. Glielo doveva, dopotutto. «A
proposito... non te l’avevo
detto prima, ma ieri sera Richard mi ha detto che... che il loro capo,
Sasha,
era morto. E che lui avrebbe preso il suo posto.»
«Il
capo dei Mietitori era una donna?» domandò il
ragazzo, sorpreso.
«Sì,
ma... Richard ha detto che...»
«Dimenticalo,
Rachel. I Mietitori sono fuggiti per il South Bridge,
noi per il West. Non li incontreremo mai più.»
«E
Sasha, allora? Non trovi strano il fatto che sia lei, che il capo
degli Spazzini, siano morti poco prima che i posti di blocco venissero
smantellati?»
«Pensi
che le cose siano collegate?»
«Non
saprei... penso che comunque ci sia qualcosa che non quadra.»
Red X
rimase per un attimo in silenzio. Il fragore del fiume che
scorreva sotto di loro rimase l’unico suono che si
udì.
Camminarono
per un altro breve tratto, poi il ragazzo scrollò le
spalle. «Direi che ormai non ha più importanza.
Siamo qui, adesso, no?
Lasciamoci il passato alle spalle.»
«Ma...»
«Chi
vivrà vedrà, Rachel.» Il ragazzo
spostò il suo sguardo su di lei,
serio in volto. «Ora non pensiamoci.»
«Sto
solo dicendo che secondo me è meglio non abbassare la
guardia, tutto
qui.»
«E
non lo faremo, di questo puoi esserne certa. Fino a quando non
saremo al sicuro in un’altra città, ci
comporteremo esattamente come se fossimo
ancora ad Empire.»
Con
quelle parole Rachel sembrò riuscire a tranquillizzarsi,
eppure
continuava ad avere una pulce nell’orecchio. Non riusciva a
toglierselo dalla
testa, c’era qualcosa di strano nell’aria. Di
davvero strano. Ma quella era
l’unica scelta che aveva. Restare ad Empire non sarebbe
servito a nulla. Quella
città era distrutta, così come la sua economia.
Non ci si poteva più vivere là,
a meno che lo stesso governo che sembrava averla abbandonata non ci
avesse
messo personalmente la mano. Non restava altro che proseguire.
Chi vivrà
vedrà, aveva
detto Lucas. Per quanto macabra, purtroppo era la frase più
adatta da usare.
Proseguirono. Ormai si erano
lasciati la città alle spalle, ma fu solo quando arrivarono
alla fine del ponte
e videro un cartello con sopra scritto: "State lasciando Empire
City", che la conduit riuscì a tirare un sospiro di sollievo.
Ora erano
fuori dalla metropoli, per davvero. Rachel inspirò. Erano
fuori, al punto di non ritorno. Ovunque la strada di fronte a lei
l’avesse
portata, la conduit sapeva che quello sarebbe stato il suo futuro.
Sorrise.
Era ora di scoprire cosa il futuro riservava per lei.
***
Erano ore
che ormai andavano avanti. Dovevano essersi allontanati di
una manciata di chilometri, almeno. Il sole aveva già
ricominciato a calare,
era quasi sera ormai. Fino a quel momento non aveva fatto molto caldo,
ma ora
che stava per calare del tutto avrebbero dovuto prepararsi ad un clima
molto
più mite.
Amalia e
Ryan camminavano fianco a fianco, parlottando. Lo stesso
facevano Lucas e Tara. A parte il moro, tutti quanti sembravano
piuttosto
stanchi. Pure Rachel, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Era stufa di
apparire debole, ed inoltre non voleva rompere troppo le scatole al suo
partner.
Come se
non bastasse, aveva paura di sembrare pazza, ma per tutto il
tempo si era costantemente sentita come se qualcuno li avesse
osservati. Il che
era strano, perché oltre a loro non c’era
nessun’altro. Non era passata nemmeno
una macchina, in tutto quel tempo. Sembrava quasi che il resto del
mondo fosse
scomparso all’improvviso, anche se era normale in quella zona
del paese. Non
c’era mai nulla, lì. Eppure, quella sensazione non
aveva smesso di tormentarla.
«Per
quanto abbiamo intenzione di camminare, Rosso?»
sbottò Amalia
all’improvviso.
«Finché
non troviamo una macchina» replicò lui,
tranquillo. «Non
possiamo certo fermarci qui, nel bel mezzo del nulla, in
prossimità della sera.»
«E
ti aspetti che un’ auto piova dal cielo?!»
esclamò la ragazza,
accigliata.
«Beh...
non so se sei una veggente, ma...» Lucas si fermò
all’improvviso, indicando un punto imprecisato di fronte a
sé. «... quella
laggiù sembrerebbe proprio ciò che ci
serve...»
Rachel
aguzzò la vista e sgranò gli occhi quando
notò ciò che il
ragazzo stava indicando. Un pick-up grigio chiaro, abbandonato sul
ciglio della
strada. «Grazie al cielo...» mugugnò.
«Che
fortuna!» fece eco Tara.
«Non sappiamo se
funziona
però...» commentò ancora Amalia.
«Ma
non puoi fartene andare bene una?» la rimbeccò
Lucas, mentre si
dirigevano verso la vettura. Komand’r replicò con
il dito medio.
Raggiunsero
la macchina. Naturalmente la trovarono chiusa, ma non fu
un problema per Red X forzarla. Dopodiché entrò e
si mise a smanettare sotto al
volante.
«Aspettate,
ma... la stiamo rubando?» domandò Ryan
all’improvviso,
osservando il ragazzo in nero mentre cercava di farla partire.
Rachel si
sorprese di udire ancora la sua voce. Era sempre così
silenzioso, spesso si dimenticava che ci fosse anche lui.
Lucas
intanto scrollò le spalle. «Se il proprietario ha
qualcosa in contrario
può venire a dircelo...» Continuò ad
armeggiare con il cruscotto. Il veicolo
sembrava funzionare, però continuava a fare i capricci. Il
motore dava segni di
avviamento, ma non si azionava mai del tutto. Diversi
tentativi dopo, il ragazzo sbuffò e
diede un colpo al volante. «Cazzo! È a
secco!»
«E
adesso?» domandò Tara.
«Dobbiamo
cercare del carburante.» X sospirò esausto.
«Non ci sono
stazioni di servizio qui vicino?»
«Forse
è per questo che il proprietario non
c’è...» osservò Ryan.
«Magari
è andato a cercare aiuto.»
«E
non avrebbe potuto chiamare un carro attrezzi?»
interrogò Lucas,
con un sopracciglio alzato.
«Beh,
magari...»
«Quest’auto
è stata abbandonata qui già da un bel
po’...» Red X scese
e si inginocchio accanto ad una gomma anteriore. «Guarda
questo battistrada. Fa
schifo. E qui è pieno di ruggine» disse ancora,
indicando sotto il parafanghi. «Solamente
trascurandole per un sacco di tempo le auto si riducono
così. Mi sorprende che
la batteria regga ancora. Ma senza benzina...» Lucas scosse
la testa. «Non si
va da nessuna parte.»
«E
allora che facciamo? Continuiamo a camminare?»
domandò Komand’r,
chiaramente infastidita.
Rosso non
rispose. Incrociò le braccia e si appoggiò alla
vettura,
chiaramente intento a rimuginare sul da farsi.
Rachel
osservò prima lui, poi tutti gli altri. A giudicare dalle
loro
espressioni, era chiaro che non avrebbero retto un solo istante di
più. A quel
punto, capì cosa fare. Era stanca anche lei, vero, ma non al
punto da non
reggersi più in piedi. Poteva ancora farcela. «Voi
restate qui» disse,
slacciandosi lo zaino. «Vado avanti io e cerco una
stazione di servizio.»
«Non
sei costretta a farlo, Rachel» le disse Lucas, guardandola
serio.
«Possiamo riposare qui per un po’ e andare
più tardi tutti insieme...»
«Tranquillo,
ce la faccio.» Si voltò verso di Amalia, Tara e
Ryan, poi
sorrise. «E poi devo ancora sdebitarmi con voi per il vostro
aiuto.»
«E
per i vestiti» aggiunse la mora.
«Sì...
giusto.» Corvina riportò lo sguardo sul ragazzo in
nero. «Farò
in fretta. Vado e torno.»
Red X
sembrava riluttante all’idea, ma poi sospirò e
scrollò le
spalle. «Come ti pare, Roth.»
La
conduit gli sorrise. «Tenete questo» disse poi,
posando lo zaino ai
piedi dei tre ragazzi.
Si
allontanò di una decina di metri da tutti loro.
Piegò le gambe e si
preparò a partire, ma prima si voltò
un’ultima volta verso i ragazzi. X le
rivolse un cenno del capo, così fece lei, poi
riportò lo sguardo di fronte a sé
e si trasformò.
***
La sera
calante non la aiutava certo a vedere bene cosa ci fosse sotto
di lei, ma solo un cieco non avrebbe notato quella stazione di servizio
sulla
sinistra della strada.
Non aveva
dovuto viaggiare molto per trovarla, ma doveva considerare
che aveva volato. Camminando ci avrebbe sicuramente messo
un’altra mezzora per
raggiungere quel luogo. Fu enormemente soddisfatta della sua idea. In
quel modo
aveva evitato un’ulteriore camminata ai suoi compagni.
Avrebbe voluto farlo fin
dall’inizio, a dire il vero, cercare una macchina e
riportarla indietro.
Peccato che non sapesse guidare.
Atterrò.
Fu parecchio sorprendente per lei trovare una macchina
parcheggiata lì, tra i distributori. Era nera con una
striscia bianca al
centro, vecchia decrepita e anche piuttosto malridotta.
Notò
che la porta della stazione era aperta e che dentro c’era
accesa
una luce. Forse quella zona di mondo non era deserta come avevano
creduto.
Si
avvicinò cautamente alla macchina e notò con
enorme sorpresa che i
sedili posteriori erano stracarichi di borse, zaini e valigie. Chiunque
fosse
il proprietario, era uno previdente. Si domandò se anche lui
venisse da Empire.
Decise di
andare a vedere chi ci fosse lì oltre a lei. Si
avvicinò
alla porta, cauta. «Ehm... c’è...
c’è qualcuno?»
Fece per
entrare, ma un’ombra sbucò fuori
all’improvviso e la ragazza
si ritrovò con una pistola puntata a tre centimetri dalla
testa. Urlò per la sorpresa ed indietreggiò di
scatto, finendo con
l’inciampare. Ruzzolò a terra, mugugnando di
dolore.
«Ops,
scusa dolcezza...»
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Capitolo 7 *** Addio Empire... ***
Capitolo 7:
ADDIO EMPIRE...
La
ragazza fece immediatamente per rialzarsi e fronteggiare la
minaccia, ma si rese conto che ciò non era necessario.
L’individuo abbassò la
pistola e le porse lui stesso la mano. «Aspetta, ti
aiuto.»
Osservò
la mano perplessa, poi si concentrò sulla persona di fronte
a
lei. Era un ragazzo, probabilmente sulla ventina. Capelli e occhi
castani,
giacca e jeans simili a quelli di Lucas e un mezzo sorrisetto stampato
in
faccia. «Non ti sei fatta male, vero?»
«No,
no...» mormorò la ragazza, decidendo di accettare
l’aiuto. Quel
tizio non sembrava pericoloso, nonostante la pistola. E poi, prima
Rachel era
stata colta alla sprovvista, ma ora era pronta, se le cose si fossero
messe
male avrebbe potuto difendersi. Fu aiutata ad alzarsi, poi il suo
interlocutore
ritirò la mano.
«Perdonami,
non volevo spaventarti, ma sai com’è...»
Il ragazzo carezzò
la canna della pistola, lentamente. «... di questi tempi
è meglio fare
attenzione... non si può mai sapere chi ci può
capitare di fronte...» Mise via
l’arma, ridacchiando. «È pieno di pazzi
qua fuori...»
«Ehm...
sì...» convenne la corvina, annuendo lentamente.
Forse era
meglio non abbassare troppo la guardia. Ora che lo osservava meglio,
quel tipo sembrava
uno di quei pazzoidi che tanto andava decantando.
«C’è
qualcosa che posso fare per te?» chiese lui.
«Io...
ecco...»
«Ehi,
amico, che diavolo sta succedendo lì fuori?» Un
altro ragazzo
uscì dalla stazione, fermandosi non appena vide i due.
Sogghignò. «Dannazione,
potevi dirmelo che avevi compagnia, non ti avrei disturbato!»
Anche lui
aveva una pistola, ma la mise via immediatamente,
nascondendola dentro i pantaloni da ginnastica. Sotto un cappellino
nascondeva
i capelli castani come quelli del suo compare, e aveva gli occhi color
ambra. Teneva
una sigaretta accesa tra le labbra.
«Allora,
che ci fa una bella pupa come te in un postaccio come
questo?»
domandò, dandosi un colpetto alla visiera del berretto.
«Cer...
cercavo del carburante...» spiegò lei, sentendosi
parecchio a
disagio sotto gli sguardi di quei due. Doveva essere contenta di avere
finalmente incontrato qualcuno, in quelle lande desolate, ma in quel
momento
provava l’esatto contrario. Quei due la guardavano come se la
stessero
studiando centimetro dopo centimetro. Sperò di non aver
incontrato due maniaci.
«Carburante,
eh?» Il ragazzo con la giacca nera si prese il mento,
guardandosi intorno perplesso. «Beh, mi spiace dirtelo, ma
questo posto è...»
«Questo
posto è più vuoto delle palle di un adolescente,
se capisci
cosa intendo...» sghignazzò quello col cappello.
«Suvvia,
Kev. Siamo in presenza di una donzella, evita certi
discorsi.»
Il castano avvolse un braccio attorno al compare, tornando a guardare
la
conduit con quel suo sguardo inquietante. «Perdonalo, ha
avuto un’infanzia
difficile...»
«Vaffanculo
Dom» sbottò l’altro. «Ho avuto
un’infanzia meravigliosa,
io.»
Rachel li
osservava sempre più stranita. Una vocina nella sua testa le
disse improvvisamente che avrebbe fatto meglio ad andarsene da
lì al più
presto.
«Comunque,
la signora ha fatto tanta strada per avere un po’ di
benzina, noi non vogliamo certo che rimanga a mani vuote! Forza amico,
dalle un
po’ della nostra!»
«Sul
serio amico?»
«Ma
certo.»
L’altro
ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso, ma poi
scrollò le
spalle. «Come ti pare.»
«Davvero
mi date la vostra?» domandò la ragazza,
sinceramente sorpresa.
«Grazie, ma... non vorrei mai...»
«Non
preoccuparti. La prossima città non è lontana, ci
potremo
rifornire di nuovo là.» Il castano le sorrise di
nuovo, gentile, anche se
l’espressione folle nei suoi occhi non svanì del
tutto. «Tu ne hai più bisogno
di noi.»
Rachel
dischiuse le labbra. Non sapeva più cosa pensare di quei
due,
di quello di fronte a lei in particolare. Quella voce nella sua testa
le stava
semplicemente ripetendo di accettare quella benzina e scappare da
lì più in
fretta che poteva, nonostante avesse i poteri.
Il
ragazzo col cappello, Kev, tornò poco dopo, con una tanica
di
benzina in una mano e la sigaretta ancora accesa nell’altra.
«Prendi e non
rompere le scatole.»
«Ehm...
grazie...» La conduit prese il dono, preoccupata dalla
presenza di quella sigaretta così vicina al carburante, poi
tornò a guardare l’altro.
Il campanello d’allarme nella sua testa trillava sempre
più forte man mano che
i secondi passavano e lei continuava a restare in quel posto.
«Ecco... allora
io vado, ok? Grazie... grazie ancora...»
«Figurati.»
Quello piegò leggermente il capo e distese il suo sorriso.
Divenne ancora più inquietante. «È
stato un piacere.»
Corvina
si voltò e diede loro le spalle. Cominciò ad
allontanarsi, con
la tanica stretta tra le sue braccia. Prima di usare i suoi poteri
voleva
assicurarsi di non essere vista da quei due. E non solo
perché non voleva
allarmarli, ma soprattutto perché sospettava che usarli di
fronte a loro
sarebbe stata una pessima mossa. Davvero, davvero pessima.
Quando fu
convinta di essersi allontanata a sufficienza e la stazione
di servizio si confuse con l’oscurità dietro di
lei, sentì ancora la voce del
castano provenire dal buio: «Spero di rivederti presto,
Rachel!»
La
ragazza sussultò e si trasformò
all’istante, decollando più in
fretta che poté e volando veloce come non aveva mai volato.
Solamente
dopo diversi minuti, realizzò di non aver mai detto come si
chiamava a quei due.
***
«Rachel,
stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma...»
osservò
Lucas, quando la ragazza ritornò dai suoi compagni.
«Non
farci caso...» mugugnò lei in risposta,
consegnando la tanica. «Ho
preso ciò che ci serve.»
«Ottimo.»
Red X la prese e cominciò a fare il pieno al camioncino.
«Bel
lavoro.»
«Grazie...»
mugugnò la corvina, per poi sbadigliare. Nonostante avesse
dormito più di chiunque altro tra loro, era esausta,
completamente.
Inoltre,
l’aver incontrato quei due tizi non aveva per nulla aiutato.
Il
primo dei due, soprattutto, lo avrebbe rivisto nei suoi incubi, ne era
certa.
Pregò di non incontrarlo mai più, a discapito di
ciò che lui le aveva augurato.
Forse anche lui era un conduit, questo magari avrebbe potuto spiegare
come
facesse a sapere il suo nome. Magari era una specie di veggente. O
magari era
lei ad essersi immaginata tutto. Non sapeva quale delle due alternative
fosse
la migliore, a dire il vero. Sapeva solo che aveva bisogno di dormire,
e che
non avrebbe mai e poi mai parlato di ciò che aveva visto con
nessuno.
Lucas nel
frattempo gettò la tanica ormai vuota nel cassone dietro al
pick-up, assieme a tutti i borsoni. «Forza, tutti a
bordo.»
«Io
sto davanti!» esclamò Ryan scavalcando il cofano
della macchina
con una scivolata e precipitandosi dalla parte del sedile da
passeggero.
Uno dopo
l’altro i ragazzi salirono. Lucas si mise al volante e questa
volta, dopo diversi tentativi e altrettante imprecazioni,
riuscì ad avviare il
veicolo. Rachel si sistemò dietro, vicino al finestrino.
Accanto a lei c’era
Amalia, la quale si abbandonò contro il sedile con un
sospiro esausto, e per
finire Tara.
L’auto
cominciò a muoversi poco dopo. Dopo aver camminato per tanto
tempo, a Corvina parve surreale spostarsi in quel modo senza
più fare alcuna
fatica. E poi i sedili erano davvero comodi, ed inoltre
l’interno era molto
spazioso. Guardò fuori dal finestrino. Non riusciva a
scorgere granché, a causa
del buio, ma fu molto rilassante per lei osservare il paesaggio oltre
quel
vetro.
Non
passò molto tempo, prima che i suoi occhi si chiudessero del
tutto
e si addormentasse, vinta dalla stanchezza.
***
Chi
l’avrebbe mai potuto dire? Lei, Rachel Roth, la ragazza
più fredda e distaccata
di tutto il collegio, con un abito da sera addosso.
Continuava
a rigirarsi di fronte allo specchio cercando di auto convincersi che
quel
vestito le donasse, quando in realtà pensava
l’esatto opposto. L’unica cosa che
la convinceva di quell’abito era il colore. Blu, come il suo
preferito. Per il
resto... beh, l’elenco di ciò che la infastidiva
non sembrava avere fine.
Non le
piaceva il fatto che schiena e spalle fossero così scoperte,
a stento le
arrivava alle ginocchia ed era troppo scollato. Ma come potevano essere
così
costosi quegli abiti se a malapena coprivano metà del corpo?
Fu solo
pensando al suo obiettivo che riuscì a smettere di
rimuginarci su. Poteva
piacerle come non, fatto stava che una volta uscita con
quell’abito addosso,
tutti gli occhi sarebbero stati posati su di lei. Quelli di una persona
in
particolare.
Sorrise di
fronte al suo riflesso. Non appena Richard l’avrebbe vista,
avrebbe realizzato
quanto bella fosse la sua amica d’infanzia. E a quel punto si
sarebbero messi
insieme, come già avrebbero dovuto fare anni prima.
A stento
conteneva la sua eccitazione. Era da anni che non si sentiva
così vitale. Ma
era questo l’effetto che lui aveva su di lei, le metteva il
buon umore, nel
bene e nel male, col sole e con la pioggia.
Fu con
quell’ultimo pensiero che uscì dalla stanza e
raggiunse i suoi amici, nella
palestra del collegio, dove si stava tenendo il ballo di fine anno.
Dove
finalmente avrebbe aperto il suo cuore a Richard.
Come aveva
immaginato, molti sguardi caddero su di lei quando raggiunse la sua
destinazione. Ma il fatto che la festa fosse già cominciata
da un po’ e che
l’illuminazione fosse piuttosto scarsa giocò a suo
favore. E comunque, il
pensiero fisso di Richard nella sua mente la aiutò ad
ignorare tutte le
occhiate indiscrete.
Si fece
strada nella palestra, allestita come discoteca per
l’occasione. Luci
stroboscopiche, musica ad alto volume, open bar e
un sacco di ragazzi sudati che ballavano
scatenati. Non fu proprio una bella esperienza per lei. Se non avesse
dovuto
fare ciò che aveva intenzione di fare, probabilmente non ci
avrebbe mai messo
piede lì dentro.
Finalmente
raggiunse l’angolo della palestra dove aveva deciso di
incontrasi con i suoi
amici. Qui trovò i migliori: Victor e Logan, insieme alle
fidanzate, Jennifer e
Tara. Anche loro due erano vestite con due fazzoletti come quello di
Rachel,
cosa che fece sentire molto più tranquilla la corvina.
Jennifer aveva un abito
rosa, come la tinta dei suoi capelli, mentre Tara ne aveva uno rosso,
come il suo
colore preferito.
«Accidenti,
guarda un po’ chi è uscita dalla tana!»
esclamò la rosa con un sorrisetto,
vedendola arrivare. «E con che classe!»
«Ciao anche
a te, Jenni» replicò Rachel, ricambiando il
sorriso. Poi si guardò l’abito. «Ti
piace? Io non ne ero molto convinta...»
«Sei uno
schianto...» commentò Garfield, per poi beccarsi
una poderosa gomitata da Tara.
«Ouch!»
«Grazie Logan.»
Rachel sorrise anche a lui. «Tara» disse anche alla
bionda, rivolgendole un
cenno del capo. La ragazza ricambiò, senza mutare la sua
espressione
indifferente, poi tirò il fidanzato per la manica.
«Tesoro, mi accompagni a
prendere da bere?»
«Cosa,
adesso? Non potremmo aspettare che arrivino anche...»
La ragazza
lo interruppe, tirandolo per il braccio verso di lei. I loro volti si
sfiorarono, lo sguardo di Tara era carico di intensità.
«Magari potremmo anche
andare a fare un salto nel ripostiglio...» suggerì
maliziosa, facendogli
scorrere le dita sul petto.
Garfield
rimase a bocca socchiusa. Spostò lo sguardo sugli altri
ragazzi, i quali
osservavano la scena divertiti, poi si schiarì la gola.
«Ehm... scusate gente,
ma... devo proprio andare. Sapete com’è, no?,
quando la sete arriva, bisogna...»
«Sì, sì,
hanno capito» lo interruppe Tara trascinandolo via.
Rachel li
seguì con lo sguardo fino a quando non sparirono in mezzo
alla folla, sotto le
risatine di Victor e Jennifer. Nonostante Tara non le andasse molto a
genio, nonostante
quei due avessero in testa solamente una cosa, ovvero copulare, i due
ragazzi
biondi facevano una bella coppia, ed era sinceramente felice per loro.
Adesso,
però, toccava anche a lei trovare il suo uomo.
«Allora,
come mai sei tutta in ghingheri?» domandò intanto
Victor, tirando a sé
Jennifer.
«Ecco,
volevo fare una sorpresa ad una persona...» rispose la
corvina, arrossendo.
«Se è un
ragazzo allora credo che funzionerà...» si
intromise Jennifer. «Non appena
vedono una scollatura vanno fuori di testa. E tu ne sai qualcosa,
vero?»
domandò all’afroamericano con tono
mellifluo,accarezzandogli una guancia.
«No, ti
sbagli. Non ho assolutamente idea di cosa tu stia dicendo»
replicò lui,
chinando il capo per poterle stampare un bacio sulle labbra.
Rachel
roteò gli occhi e distolse lo sguardo. «Vi prego,
almeno voi evitate di fare
certe cose...»
«Aspetta,
Rachel...» fece Victor, una volta separato dalla rosa.
«Per caso la persona di
cui parli è... Richard?»
La ragazza
arrossì ulteriormente. Era così evidente ormai la
sua cotta per lui? Si voltò,
osservando il pavimento imbarazzata. «Beh... sì...
perché?»
«Oh-oh»
mugugnò Jennifer.
«Cosa?»
domandò Rachel, alzando lo sguardo allarmata. «Che
significa quel verso?»
I due
fidanzati si guardarono tra loro, chiaramente a disagio.
«Ragazzi,
mi state spaventando, che sta succedendo?»
«Ecco,
vedi...» cominciò Victor, sospirando.
«Lui...» Si interruppe di colpo,
guardando ad occhi sgranati un punto alle spalle di Rachel.
«Vic? Che
cavolo ti...» La ragazza si voltò, cercando di
capire cosa diavolo avesse
appena trasformato il suo amico in un baccalà.
Vide Richard
in mezzo ad una folla di studenti. Sorrise, non capendo cosa potesse
aver visto
Victor di tanto allarmante, finché poi non notò
la presenza di un’altra
persona, che teneva il ragazzo moro per mano.
Una
ragazza. Alta, slanciata, bella.
Rachel rimase a bocca aperta. La riconobbe all’istante,
quella era Koriand’r,
la nuova studentessa.
Il suo
cervello faticò a capire cosa stesse succedendo
finché la bomba non esplose. I
due ragazzi si baciarono. Richard e Kori, lì, in mezzo alla
palestra, di fronte
a lei. Il ragazzo che amava, il suo amico di infanzia... e quella nuova.
Il mondo le
crollò addosso. Rimase ferma, paralizzata, di fronte a
quella scena. Non seppe
più cosa pensare.
«R-Rachel?»
la chiamò Victor, titubante. La ragazza riuscì a
riconoscere il suo nome,
perché si voltò verso di lui.
Il ragazzo
la guardava preoccupato, così come Jennifer. Poi entrambi
divennero
improvvisamente sfocati. Tutto quanto si fece meno nitido agli occhi di
Rachel.
Lacrime salate scesero dai suoi occhi, mentre realizzava di avere perso
la sua
occasione di dire a Richard cosa provava per lui.
A quel
punto tutto si fece scuro attorno a lei. Non vide più nulla.
Corse via,
lasciandosi alle spalle Jennifer e Victor. I due cercarono ancora di
chiamarla,
ma lei a malapena li sentì. Scappò, impacciata
nei movimenti a causa dell’abito,
delle scarpe con i tacchi e della vista appannata.
Raggiunse
l’uscita di emergenza, dall’altro lato della
palestra. Voleva solo più tornare
nella sua stanza e piangere.
Rischiò di
cadere diverse volte, ma alla fine raggiunse la porta. Si
buttò sul maniglione
antipanico e uscì.
Ma non si
ritrovò fuori dall’edificio. No, si
ritrovò in un’enorme distesa di immondizia.
Ovunque guardasse vedeva solo cumuli di rottami e rifiuti, accatastati
per
terra, o messi insieme per ricreare delle specie di baracche.
Non capì
cosa stesse accadendo. Cercò di guardarsi intorno, di
muovere la testa, ma con
sua enorme sorpresa ciò le fu impossibile. Tentò
di gridare, ma anche quello
non le riuscì. A quel punto provò a compiere
anche il più banale dei movimenti,
ma non fu in grado di fare neppure quello.
La sua mano
si azionò all’improvviso, ma non era lei a
controllarla. Quando entrò nel suo
campo visivo, notò con suo enorme orrore che quella non
poteva essere la sua.
Era molto più grossa e grinzosa. Non riusciva a capire cosa
stesse succedendo,
dove si trovasse, chi diavolo fosse, ma non riuscì a
rimuginarci più di tanto,
perché qualcuno parlò: «Maledizione!
Perché non riesco più ad usarli?! Che
razza di conduit è uno che non riesce ad usare i suoi
poteri?!»
La ragazza
rabbrividì. Quella voce era quella di un uomo. Il timbro era
aspro e
sgradevole, simile a quello di un vecchio becero. E la cosa peggiore
era che le
suonava terribilmente familiare. Perfino la distesa di immondizia e
baracche di
fronte a lei le suonava familiare.
La sua mano
continuò a muoversi convulsivamente, mirando un cumulo di
rifiuti sparsi a
terra. Continuò finché quella voce non si fece
sentire di nuovo, questa volta
prostrandosi in un grido frustrato. «Cazzo! Non funziona
niente! Cazzo!»
E fu allora
che Rachel realizzò un’altra orribile cosa. Quella
voce... quella voce anziana,
maschile... proveniva dalla sua gola. Era lei che stava parlando, era
lei che
muoveva quella mano...
Eppure non
era lei.
Lei era lì...
ma in realtà non c’era affatto.
E non
appena si rese conto di ciò, l’oscurità
inghiottì ogni cosa.
***
Rachel
riaprì gli occhi di scatto, boccheggiando quasi
disperatamente.
Si guardò intorno, freneticamente. Ciò che vide
fu semplicemente l’interno giallo
di una macchina.
Quando
riconobbe quella moquette, si abbandonò contro il sedile,
sospirando rumorosamente. Il cuore batteva forte nel suo petto, ma se
non altro
riuscì a stabilizzare il respiro. Era quasi andata in
iperventilazione.
Rimase
per un attimo accasciata contro il poggia schiena, a riprendere
fiato e ad aspettare che il cuore smettesse di martellare.
Si
passò una mano sulla fronte, imperlata di sudore. Si diede
un’asciugata, poi abbandonò il braccio sulla
gamba. Si sentiva come se le
avessero tappato il naso mentre dormiva. Continuava ad inspirare ed
espirare, come
per cercare di colmare un’improvvisa carenza
d’ossigeno.
Realizzò
in quel momento che la macchina era ferma. L’unico presente
all’interno era Ryan, intento a sonnecchiare, appoggiato
contro il finestrino.
Lucas non
c’era, così come Amalia e Tara.
Decise di
scendere a respirare una boccata d’aria fresca. Era ancora
sera, le stelle brillavano alte nel cielo, accanto alla luna. Si
appoggiò alla
portiera ed inspirò ancora una volta, profondamente.
«Rachel»
la chiamò una voce, facendola voltare. Tara e Amalia erano
poco distanti dalla macchina, sul ciglio della strada. Era stata la
bionda a
chiamarla. «Tutto ok? Sei scesa come una furia...»
«Io...»
la corvina si massaggiò una tempia, avvicinandosi a loro.
«Sì,
sto bene... ho solo avuto un incubo...»
«Accidenti»
commentò Amalia. «Un incubo in due ore di sonno?
Certo che
tu e la sfiga andate a braccetto...»
Rachel
fece una smorfia e non rispose, mentre Tara ridacchiò piano,
coprendosi
leggermente la bocca. Solo dopo averla vista compiere quel gesto, la
conduit si
rese conto che stringeva una sigaretta accesa tra le dita.
«Da
quando fumi?» domandò, sorpresa.
«Beh...»
La bionda si scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
«Da circa...
dopo l’esplosione... so che fa male, ma è un buon
modo per scaricare lo
stress...»
«Puoi
dirlo forte» replicò Amalia, portandosi anche lei
una sigaretta
accesa alle labbra, per poi soffiare una nuvola di fumo sopra di
sé.
Corvina
spostò lo sguardo su di lei. Vederla fumare in quel modo le
riportò alla mente il ragazzo che aveva incontrato alla
stazione di servizio.
Sentì le budella contorcersi a quel pensiero. Tra quei due e
i sogni che aveva
fatto, non sapeva più dove sbattere la testa.
«Che
c’è?» domandò la mora,
accorgendosi del suo sguardo. Le porse la
sigaretta. «Vuoi fare una nota?»
«Cosa?
No, no...» rispose Rachel, scuotendo leggermente la testa per
eliminare quei pensieri che la tormentavano.
«Meglio.»
E Amalia fece un altro tiro.
«Dove...
dov’è Lucas?»
«Cristo,
non sopravvivi senza di lui per cinque secondi?»
sbottò
Komand’r, torva.
La
corvina ammutolì. Sperò che Amalia non avesse
frainteso.
«Doveva
fare pipì...» spiegò Tara,
pazientemente, mentre dava dei
colpetti alla sigaretta per eliminare la cenere superflua.
«Tra poco dovrebbe
tornare.»
«Grazie.»
Rachel accennò un sorriso di riconoscenza.
«Sul
serio, non sei stanca di essergli sempre appresso?»
interrogò
ancora la mora. «Saranno mesi che non si fa una doccia! Hai
sentito che puzza
quando gli stai vicino?»
«Beh,
lui è stato il primo ad aiutarmi con i miei problemi, dopo
l’esplosione...» cominciò a spiegare
Corvina. «... abbiamo lavorato insieme per
tanto tempo, ci... ci siamo dati una mano a vicenda, per questo ora gli
sono
molto riconoscente... e comunque l’acqua mancava in quasi
tutta la città, tutte
noi abbiamo bisogno di una doccia...»
«Sì,
in effetti...» commentò Tara, per poi annusarsi il
colletto della
maglietta e ritrarre immediatamente il naso. «Wow... che
schifo...»
Amalia
rise, gettando il capo all’indietro, e anche Rachel sorrise
di
fronte alla smorfia semidisgustata della bionda.
«Ci
sarà tempo per la doccia, comunque»
proseguì Komand’r, gettando a
terra e pestando la sigaretta ormai ridotta ad un mozzicone.
«Ciò che conta
adesso, è allontanarsi il più possibile da
Empire. Ho perso fin troppo a causa
di quella città maledetta.» Spostò lo
sguardo verso l’auto, dove Ryan dormiva
ancora indisturbato. «Ancora non riesco a crederci che ce ne
siamo andate da
quell’inferno, sapete? Ma per fortuna ora siamo qui, al
sicuro. Mio fratello, è
al sicuro. Non avrei mai sopportato di perdere anche lui.»
«Gli
vuoi proprio bene...» le sorrise Tara.
Amalia
annuì, senza guardarla. «Sì...
sì, è così... e ne volevo anche
a Kori...» Strinse i pugni, cambiando improvvisamente umore.
«Mi dispiace
solo... di non averlo mai detto anche a lei...»
Sospirò
pesantemente. Sembrava stesse per piangere. «Dio... ma che
diavolo c’è che non va in me?!»
«Ehi,
ehi, calma...» Tara le posò una mano sulla spalla,
cercando di
rassicurarla, prima che esplodesse di nuovo. «Non sempre due
fratelli sono
espansivi l’uno con l’altro, ma anche se non
gliel’hai mai detto, sono certa
che Kori sapeva che le volevi bene. Chiunque gliene avrebbe
voluto.»
Komand’r
non parve convinta da quelle parole. Scosse lentamente la
testa. «Credimi, non è così
semplice...» mormorò, per poi tacere con un altro
sospiro.
Rachel e
Tara si scambiarono un’occhiata perplessa, ma nessuna delle
due disse nulla.
«Ehi
voi!» Una voce giunse alle loro orecchie
all’improvviso.
Le tre
ragazze si voltarono. Rachel fu grata di vedere Lucas dirigersi
verso di loro in quel momento. Non avrebbe sopportato quel silenzio
imbarazzante che stava per crearsi poco prima.
«Che
cavolo fate lì fuori?»
«Stavamo
fumando» replicò Amalia, ritornando
improvvisamente in sé. Fu
sorprendente la velocità con cui riprese il tono apatico che
usava con Lucas. «Tu
piuttosto, quanto cavolo ci hai messo?!»
«Scusami
se ti ho fatta aspettare!» esclamò il ragazzo,
fingendosi accigliato.
«Se vuoi la prossima volta puoi venire a controllare che
faccia più in fretta!
Magari poi gradisci anche la vista, che ne dici?»
«Ti
piacerebbe» ribatté Komand’r, per poi
distogliere lo sguardo da
lui con un verso di disappunto. «Avrai una pulce
là sotto...»
«Oh
ma davvero? Quanto sei disposta a scommettere?»
«Ti
prego, se il tuo coso fosse al di sopra della media ce ne saremmo
già accorte mentre indossavi la tua tutina nera
attillata...»
«Che
ne dici se ci facciamo un giretto solo tu ed io? Così
vedremo chi
avrà l’ultima parola.»
I due
cominciarono a discutere, con le continue risatine di sottofondo
di Tara.
Rachel
sospirò, assistendo al loro ennesimo battibecco. Diede le
spalle a tutti loro e se ne ritornò in auto. Almeno Ryan non
avrebbe rischiato
a mettere in scena teatrini imbarazzanti come quello a cui aveva appena
assistito.
Ma
mentre camminava un sorriso scappò
dalle sue labbra. Anche i suoi vecchi amici si comportavano esattamente
come
loro. Infondo... erano ragazzi. E alla fin fine non le dispiaceva
nemmeno poi
tanto.
Prima
di salire di nuovo in macchina, osservò la strada di fronte
a lei. Era fuori da Empire, diretta verso una nuova meta, con una
compagnia tutto sommato buona.
Le
sembrava di essere tornata a cinque anni prima, quando era con i suoi
amici e con un Richard che ancora non l'aveva tradita, quando tutto
quanto le sembrava non perfetto, ma quantomeno sereno.
Quando
aveva poco per volta imparato a superare la perdita di sua madre e di
suo padre e, in un certo senso, aveva cominciato a rinascere, aiutata
dal buonumore incessante di Logan e di Victor, dalla compagnia di
Richard e dalle serate tra donne con Jennifer e Karen.
Tutto
quanto poi era svanito dopo l'esplosione, anzi, ancora prima. E aveva
pensato quella volta che sarebbe stato per davvero, che non avrebbe mai
più avuto modo di rinascere nuovamente. Ma dopo aver
incontrato Lucas aveva cominciato a ricredersi, poi erano arrivati la
ben più chiassosa Amalia, il timido Ryan e per finire anche
Tara.
Certo,
non poteva definirli i migliori amici che avesse mai avuto, forse
nemmeno "amici", ma erano comunque la sua compagnia di
viaggio.
Si
sedette sul sedile posteriore, questa volta con un sorriso
più marcato.
Se
non altro, sapeva che su qualcuno al di fuori di lei stessa poteva
contare, in quell'immediato futuro pieno di incertezze che l'attendeva.
Per chi se lo stesse
domandando:
Jennifer è Iella (mi pare di aver letto, tempo orsono, che
questo è il suo vero nome, ma ultimamente cercando non ho
trovato notizie in grado di approvare questa teoria. Nel dubbio, io
continuo a chiamarla Jennifer);
Karen è Bumblebee;
Victor e (Garfield) Logan sono Cyborg e BB;
So che già lo sapevate, però io ve lo dico lo
stesso perché sono un rompiballe.
E beh, Richard, Kori e Tara li conoscono anche i muri ormai.
Visto che il monologo si è rivelato parzialmente
fallimentare, ho optato per qualcosa di un po' più classico,
ovvero i classici sogni/flashback. Non so quale sia il loro termine
tecnico, perdonatemi. Ci sta qualche scorcio del passato di Rachel, dopotutto.
E poi, ovviamente, la seconda parte del sogno di Rachel. Spero che si
sia ben capito cosa accade in essa e sopratutto dove si svolge e chi
sia il protagonista di tale scena, al di fuori di Rachel. Ma ci
ritorneremo su, non preoccupatevi.
E, per finire, alla categoria di personaggi meno conosciuti che si
aggiungono alla storia ecco che appaiono i due ragazzi alla stazione di
servizio. Potranno sembrare due semplici cameo (in particolare per chi
già li ha conosciuti nelle mie altre storie), ma non
è così, ve lo assicuro...
Prima di andare, vorrei ringraziare quelle 52 anime pie che leggono
costantemente i miei capitoli. Un numero un po' in ribasso,
effettivamente, dopo i quasi 200 fissi di HoS (in alcuni casi anche
300-400), ma, ormai si è capito, altro genere di storia,
altro pubblico.
Comunque, vi ringrazio, voi 50 circa.
E ora posso passare ai saluti.
Al prossimo capitolo, bye!
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Capitolo 8 *** ... Benvenuta Sub City... ***
Capitolo 8:
... BENVENUTA SUB CITY...
Erano
circa le due del mattino quando riuscirono finalmente a scorgere
prime luci della periferia di Suburb City, la grande città
più vicina ad Empire,
situata ad un centinaio di chilometri di distanza dal confine con il
New
Jersey.
Per tutto
il tragitto le altre auto avevano continuato imperterrite a
non farsi vedere. Era come se fossero tutti spariti dal resto del
mondo.
Certo,
non c’era tanto di anomalo in tutto ciò. Quello
era un tratto
di strada non molto frequentato, complice anche il fatto che Empire e
Sub City,
entrambe due grandi metropoli, avevano sempre goduto di una loro
autonomia e
non avevano mai necessitato scambi con l’esterno.
Ma alla
luce di tutto ciò che era successo, dopo
l’esplosione, la
quarantena ed eccetera, Rachel si sarebbe aspettata di vedere qualcuno.
Invece
niente, solo quei due ragazzi alla stazione di servizio. Ragazzi che
avrebbe
volentieri fatto a meno di incontrare, se solo non le avessero almeno
dato la
benzina.
Come se
non bastasse, pure il sogno che aveva fatto continuava a
tormentarla. Non tanto la prima parte di esso; quello, per quanto
sgradevole,
era solo un brutto ricordo che a volte riemergeva. Era quello che aveva
visto
dopo che non le dava pace. La baraccopoli nel Dedalo, quella voce
scorbutica,
quelle mani grinzose, il fatto che non fosse lei a controllare il suo
corpo...
Forse
avrebbe dovuto chiedere in proposito di ciò a qualcuno.
Un’idea,
un’opinione, qualsiasi cosa che avesse potuto aiutarla ad
interpretare quel
sogno, ma non voleva rischiare di sembrare una pazza. Se si fosse messa
a
decantare tutte le stranezze che aveva visto nel mondo onirico,
probabilmente
l’avrebbero chiusa in un manicomio, se ancora esistevano da
qualche parte.
La cosa
migliore che restava da fare era tenersi quelle informazioni
per sé, e divulgarle solo nel caso in cui sogni come quelli
fossero divenuti un
fenomeno abituale. E poi, più ci pensava e più le
veniva difficile ricordarsi
cosa avesse visto con esattezza. Era tutto così... confuso.
«Ci
fermiamo qui?» domandò Tara guardando fuori dal
finestrino, mentre
la periferia della città era sempre più vicina.
Lucas
annuì. «Vediamo se sono disposti ad ospitare
alcuni poveri
rifugiati di Empire.»
Penetrarono
nella metropoli. Superata la zona industriale, strade
prive di traffico, lampioni sfarfallanti e automobili abbandonate sul
ciglio
della strada li accolsero.
Gli
edifici non erano come quelli di Empire, erano tutti in buone
condizioni, così come le auto, e sui marciapiedi non
c’erano né crepe, né
erbacce, né cadaveri.
Fu
sorprendente per tutti loro vedere una città che aveva
l’aspetto di
una vera città, dopo aver vissuto ad Empire. Sembrava
davvero che nulla di
tutto quello che era successo alla loro vecchia casa avesse sfiorato
Sub City.
Eppure
non c’era nessuno in giro. E con nessuno, si intendeva
proprio nessuno. La strada era
deserta, così
come i marciapiedi, e tutte le luci nelle case erano spente. Ad Empire,
a
qualsiasi ora, qualcuno in giro lo si incontrava sempre. Lì
no.
Quel
dettaglio non poté non arrivare agli occhi di Rachel.
«Ma... dove
sono tutti?»
«Non
lo so... tenete gli occhi aperti» rispose Lucas, anche lui
guardingo. «Magari c’è solo qualche
coprifuoco...»
Proseguirono.
Giunsero a quella che con tutta probabilità era la parte
storica della città. Un cartello di indicazioni li accolse,
recitando le parole: "Old Sub".
Gli
edifici erano più rudimentali, la strada era
interamente piastrellata e i lampioni avevano l’aspetto di
quelli più antichi,
a cherosene. E nemmeno qui c’era l’ombra di
qualcuno.
Tutto
ciò suonava terribilmente sgradevole alla vista di Rachel.
Cos’era, a Sub City era esploso un altro ordigno che aveva
cancellato la vita,
ma non le costruzioni? Rabbrividì quando si pose quel
quesito.
La
macchina si fermò all’improvviso. Il motore si
spense, così come i
fanali. Rachel sussultò, mentre Amalia si
incavolò direttamente, ma anche lei
aveva un tono di voce piuttosto nervoso. «Che cavolo fai,
Rosso?!»
«Io
nulla, è questa macchina che è un cesso con
quattro ruote» sbottò
il moro alla guida. Tentò diverse volto di riaccendere
l’auto, ma sempre senza
successo. Dopo l’ennesimo tentativo a vuoto sferrò
un colpo al volante,
grugnendo irritato, poi aprì la portiera. «Forza,
andiamo avanti a piedi.
Cerchiamo un posto per passare la notte, domattina cercherò
di capire che
diavolo ha che non va l’auto. Poi potremo dare
un’occhiata migliore alla città.»
«Usciamo...
qui?» domandò Ryan, svegliatosi da poco,
guardandosi
intorno con aria piuttosto titubante.
«Hai
idee migliori, genio?» domandò Lucas, uscendo e
sbattendo la
porta senza nemmeno attendere una risposta. Fu parecchio scorbutico, ma
Rachel
sapeva il perché; faceva così tutte le volte che
era teso. E se anche lui era
angosciato per qualcosa, allora non era nulla di buono.
«Ehm...
no.» Il rosso seguì nel frattempo
l’esempio di Red X, così
fecero anche le tre ragazze. Anche se Rachel non era molto entusiasta.
Ma di
sicuro andarsene dalla strada era una proposta molto più
allettante che
rimanerci, anche in auto.
Sul muro
esattamente di fronte a loro, a malapena illuminato dalla
luce dei lampioni, trovarono un’enorme scritta con le
bombolette, di colore
nero. All’inizio la corvina pensò che si trattasse
di qualche stupido atto di
vandalismo, ma quando lesse quelle parole, queste si conficcarono nella
sua
mente come una lancia:
I
vigliacchi sognano, i sognatori cambiano il mondo.
Rachel
deglutì. Rimase con gli occhi fissi a quella frase, cercando
di
cogliere il significato celato sotto di esse.
«Tsk.
Piccoli ribelli crescono...» commentò Lucas,
arrivandole di
fianco all’improvviso. Scosse la testa. «Che spreco
di vernice spray...»
La
conduit non fu molto d’accordo con quelle parole, ma decise
di
tenersi quell’opinione per sé. Chiunque fosse
l’artefice di quel graffito, non
poteva certo essere un adolescente ribelle.
Prese il
suo zaino dal retro del pick-up, poi insieme ai suoi
compagni, chi armato di tutto punto e chi no, si avviò verso
l’ignoto di quella
città.
***
Incontrò
decine di graffiti simili a quello che aveva visto per primo.
Ognuno di essi recitava più o meno le stesse parole del
primo, segno che
chiunque fosse l’autore, si era dato parecchio da fare.
Sperare
in un mondo migliore è un diritto, lottare per averlo
è un dovere.
Scegli
la giusta causa. Cosa sei, vigliacco o sognatore?
La
vita ci è stata data per un motivo. Noi sappiamo quale.
Queste
erano solo alcune delle frasi che la corvina aveva letto.
Ognuna di loro l’aveva lasciata di sasso. C’era
qualcosa di tremendamente
sbagliato in tutto ciò. In quei graffiti, nel silenzio di
quelle strade, in tutte
quelle abitazioni senza nemmeno una luce accesa all’interno.
Sperò di non
trovarsi in un’altra città piena di psicopatici,
ma più cercava di scacciare
quel pensiero, più quello la infastidiva.
Anche
Lucas sembrava sapere che nell’aria c’era qualcosa
di strano,
perché non aveva smesso di guardarsi intorno con fare
sospettoso per nemmeno un
attimo.
Si
trovarono di fronte ad una casa a due piani non molto distante dal
luogo in cui la macchina li aveva lasciati a piedi. Una specie di
monolocale
incastrato tra due condomini grossi il triplo di lui, con una facciata
parecchio rudimentale e un arco a volta sull’ingresso.
Un
cartello sbiadito, appeso sotto alla finestra accanto
all’ingresso,
recitava le parole "Vendesi, per informazioni telefonare al..." e poi
il numero di telefono in questione. A giudicare dalla polvere e dallo
sporco
sulle finestre, era ovvio che chiunque avesse voluto vendere quella
casa non
aveva avuto molta fortuna.
Dopo
essersi assicurato che non fossero presenti sistemi di allarme di
qualche tipo, Lucas scassinò la serratura di ingresso ed
entrarono.
Una
sensazione di piacevole tepore accolse il corpo di Rachel, quando
la ragazza fu all’interno. Le spesse mura fortunatamente
avevano trattenuto un
po’ di calore. E anche la puzza di chiuso, ma a quello la
corvina era abituata.
Di fronte
all’ingresso c’era la scala che portava al piano
superiore.
I ragazzi posarono a terra i loro bagagli, mentre Lucas
cercò un interruttore
per la luce. Quando lo trovò lo premette, ma nulla accadde.
Imprecò, poi guardò
i compagni. «Fuori i cellulari, dovremmo arrangiarci alla
vecchia maniera.»
Si
spostarono per la casa, utilizzando le luci dei cellulari a
mo’ di
torce.
A
sinistra della scala il salotto, a destra la cucina. Di sopra il
bagno e due camere da letto. Di elettricità, gas o acqua
nemmeno l’ombra, ma
c’era da aspettarselo essendo una casa in vendita.
«Dunque,
che si fa?» domandò Amalia quando furono tutti di
nuovo nel
salotto, per decidere.
«Beh...»
Lucas sollevò le spalle. «Voi ragazze dormite in
una stanza,
noi ragazzi nell’altra.»
«C’erano
solo due letti matrimoniali, Rosso! Noi ragazze siamo in tre,
come facciamo a starci?»
«Se
vi stringete ci state senza problemi. Oppure preferisci fare
coppie miste?» domandò allora X, con un sorrisetto
idiota rivolto alla stessa
Amalia. «Sorteggiamo. Magari finiamo io e te nello stesso
letto, che ne dici?»
«Te
lo scordi!»
Lucas
sogghignò alla mora, poi tornò serio.
«Ok, ok... allora io resto
qui sul divano, voi potete andare. Amalia e Ryan da una parte, Tara e
Rachel
dall’altra, ok?»
Rachel si irrigidì.
L’idea di
dormire insieme a Tara non era molto ok per, ma decise di non
discutere. Di
tutt’altro avviso sembrava invece Komand’r.
«Molto
meglio» disse la mora,
sorridendo al ragazzo con aria di superiorità, per poi dare
le spalle a tutti
loro. «Prendiamo la stanza a destra. Sogni
d’oro.» E si allontanò.
Lucas
scosse impercettibilmente la testa, vedendola mentre saliva le
scale. «Che stronzetta... ehm... senza offesa,
Ryan...»
«Tranquillo...»
replicò il rosso, con un sospiro. «Non sei primo e
non
sarai certo l’ultimo a chiamarla così... con lei
ci vuole solo un po’ di
pazienza.» Salutò tutti loro con un cenno della
mano. «Beh, buona notte.»
«’Notte.»
Anche
Tara sbadigliò. «Aspettami, vengo
anch’io.»
Si
allontanò, raggiungendo Ryan. Non appena gli si
avvicinò, il rosso
distolse lo sguardo da lei, grattandosi una guancia chiaramente
imbarazzato.
Salirono anche loro le scale, mentre Corvina si sedette sul divano.
«Tu
non vai?» le domandò il ragazzo, inarcando un
sopracciglio.
«Non
ho molto sonno...» Tra incubi, pensieri che la tormentavano
ed
eccetera, dormire era diventata l’ultima preoccupazione per
lei. E poi, aveva
già dormito per quasi un giorno, giusto ventiquattro ore
prima, non le serviva
davvero riposare ancora.
«Ok,
beh, ti consiglio comunque di riposare... domattina avremmo un
bel po’ da fare...» Lucas si avvicinò
alla finestra, guardando fuori con aria
piuttosto corrucciata.
«Cosa
ne pensi di Sub City?» domandò Rachel, seguendo i
suoi movimenti
con lo sguardo ed intuendo cosa stesse frullando per la sua mente.
Il moro
sospirò, allontanandosi dal vetro. «È
tutto... troppo
tranquillo.» Spostò gli occhi su di lei, serio in
volto. «Vediamo di superare
in fretta la notte. Non mi piace questo posto al buio.»
«Pensi
che ci taglieranno la gola mentre dormiamo?» La conduit
abbozzò
un sorriso per sdrammatizzare, ma la prima che si sentiva tesa era lei.
Una lieve
risata uscì dalla gola del ragazzo. «Diavolo,
speriamo di
no. Non sono ancora pronto per svegliarmi elegante...»
Si
appoggiò alla parete, sbadigliando. Rachel se ne accorse, e
realizzò solo allora che se c’era uno che doveva
essere stanco, quello era
proprio lui. «Perché non vai tu a dormire un
po’?»
«Perché
sei seduta sul mio letto...»
«No,
intendevo di sopra. Ti serve un letto, non questo affare.»
Rachel
molleggiò sul cuscino del divano, per poi fare una smorfia.
«Sembra di stare su
della carta vetrata...»
«Sei
sicura?» interrogò ancora lui.
«Perché davvero, se vuoi posso...»
Si interruppe, per strofinarsi una palpebra, gesto che lo
tradì
definitivamente. «Se vuoi posso...»
«Tranquillo.
Vai a riposarti. Sei quello che ne ha più bisogno. Io non
sono stanca, non sarà un problema per me stare
qui.»
Il
ragazzo annuì. «Ok... ma non appena hai sonno
vieni pure a...»
«Vai.
Ora.» Rachel si alzò dal divano e
iniziò a spintonarlo verso le
scale, guidata dalla lieve luce che filtrava dalla finestra.
«E sbrigati.»
Lucas
continuò ad insistere e a dirle di non preoccuparsi troppo
per
lui, ma era ovvia la sua stanchezza. Corvina sorrise comunque, di
fronte a
quella testardaggine.
«Un
momento, lo sai che l’unico posto libero è nel
letto con Tara,
vero?»
«Sì.
Perciò vedi di tenere a freno gli ormoni» fece la
ragazza,
dandogli un piccolo pugno scherzoso sul braccio.
Red X
ridacchiò, cominciando a salire le scale. «Non
garantisco nulla.»
Rachel
roteò gli occhi, ma il sorriso non svanì dalle
sue labbra.
Chissà che faccia avrebbe fatto Tara vedendoselo comparire
nel letto. Le venne
da ridere a pensarci.
Tornò
in salotto, sul divano. Aveva detto che era fatto di cartavetro,
ma in realtà non era poi così scomodo. Quello che
aveva omesso di dire a Lucas
era che in realtà, restando lì in salotto, voleva
assicurarsi che nessuno
entrasse. Voleva fare la guardia, in pratica.
Si
sedette e si abbandonò con la testa sullo schienale,
sospirando e
chiudendo gli occhi. L’ultima cosa che voleva in quella
città erano altri
problemi. Sub City era l’ignoto, il futuro, per lei, e di
certo non voleva che
anche quella città si rivelasse essere l’ennesima
delusione.
Ed era
abbastanza sicura di non essere l’unica ad averne fin sopra
ai
capelli dei problemi. Aveva trascorso relativamente poco tempo con i
suoi nuovi
compagni Amalia, Ryan e Tara, ma aveva subito intuito come stavano le
cose. A
neppure loro sarebbe piaciuto finire in altri casini.
Eppure,
c’erano troppe cose che ancora le suonavano strane. La morte
di Alden e Sasha, la fine così repentina della quarantena,
quei due ragazzi
alla stazione di servizio e ora la calma irreale e i bizzarri graffiti
che
aveva notato nelle strade di Sub City.
Era
stanca di ripeterselo, ma c’era qualcosa che non andava.
I suoi
occhi caddero poi sul tavolino da caffè di fronte al divano.
Qui, un foglio bianco era posato. La ragazza lo prese e
scoprì che non era
bianco, era solo girato. Lo voltò e lo esaminò
con attenzione.
Raffigurava
un immagine e alcune scritte. Non riuscì a distinguere
nessuna delle due, a causa della penombra. Strizzò gli occhi
e cercò di mettere
a fuoco, ma un rumore improvviso la fece sobbalzare.
Si
voltò di scatto, allarmata. Lo udì di nuovo.
Sembrava una specie di
tonfo. Sollevò lo sguardo, e realizzò che era
arrivato dal piano superiore. A
quel punto si tranquillizzò. Sicuramente era stato uno dei
suoi compagni.
Magari qualcuno che era caduto dal letto.
Riportò
l’attenzione al foglio ed estrasse il cellulare dalla tasca,
per illuminarlo. L’immagine apparve ben nitida. Raffigurava
un uomo con indosso
una maschera da hockey, sembrava di ferro. Era nera da una parte,
arancione
dall’altra. Aveva solo un occhio aperto, azzurro, dalla parte
arancione. Dalla
parte nera, invece, sotto al foro non si intravedeva nulla. Ciocche di
capelli grigi
argentati ricadevano in parte sulla zona superiore della maschera. Il
suo
sguardo era severo e colpì la ragazza come una scarica
elettrica.
Rachel
ebbe un sussulto quando lo vide, ma non era ancora finita.
Lesse le scritte:
Obbedire
o morire.
Gli
Underdog non scenderanno a patti.
Corvina
deglutì. Un altro tonfo proveniente dal piano superiore la
fece saltare dal divano. Il telefono le scivolò dalla mano e
cadde a terra,
insieme al manifesto, spegnendosi e immergendo la stanza nel buio. Il
suo cuore
cominciò a battere all’impazzata.
Si
chinò a terra, per cercare di recuperare il cellulare e
scacciare
quel buio maledetto, ma un altro tonfo la fece irrigidire di colpo. Le
scappò
un gemito. Trovò il telefonino e lo riaccese. Probabilmente
la batteria si era
spostata, per questo si era spento all’improvviso.
Riacquistò
un barlume di sicurezza quando l’ambiente tornò
illuminato.
Un altro
tonfo, questa volta accompagnato dal rumore di alcuni passi.
Rachel cominciò a guardarsi intorno, illuminando ogni angolo
del salotto con la
luce del dispositivo, perle di sudore freddo cominciarono a scivolarle
lungo la
fronte. Cominciò ad agitarsi.
Il buio
non le era mai dispiaciuto, soprattutto da quando aveva
ottenuto i suoi poteri oscuri, ma in quel momento pensò
l’esatto contrario.
I rumori
dal piano superiore non cessarono. La ragazza sollevò allora
una mano e si concentrò. Una fioca luce nera le
illuminò il palmo. Inspirò
profondamente, poi si avvicinò alle scale.
«R-Ragazzi?»
chiamò ad alta voce. Forse quei rumori erano solo uno
stupido scherzo. Una parte di lei pregò davvero che lo
fosse, l’altra asserì
che avrebbe ucciso i suoi compagni, se davvero erano loro
l’origine di quei
tonfi.
Nessuno
rispose. I suoi ambigui tacquero per un breve istante, ma poi
se ne udirono altri.
«O-Ok...»
sussurrò Rachel. «Ora sono
preoccupata...»
Puntò
la mano di fronte a sé e la luce nera si fece più
intensa. Sicura
di poter contare sui suoi poteri lasciò che il bagliore
oscuro svanisse,
dopodiché, illuminando la strada con il cellulare,
cominciò a salire le scale.
I rumori
non cessarono e, anzi, si fecero sempre più insistenti.
Arrivò
al piano superiore, con il cuore che stava per esploderle nel
petto. Un’ondata di aria gelata la travolse, facendola
rabbrividire. Non capì
come fosse possibile ciò fino a quando non notò
la finestra al fondo del
corridoio che dava sulle scale spalancata, con la tenda che sventolava
a causa
della corrente. Sgranò gli occhi. Non ricordava che qualcuno
l’avesse aperta e
dubitava che i suoi compagni lo avessero fatto prima di andare a
dormire.
Un altro
tonfo e la ragazza sobbalzò di nuovo. «L-Lucas?
Sei tu?»
Mosse la
luce verso il corridoio. Tre porte bianche anonime e la
moquette blu del pavimento apparvero alla sua visuale.
Nient’altro.
«C’è...
c’è qualcuno?» Rachel pregò
che la sua voce non sembrasse
troppo spaventata.
Avanzò.
I suoi amici non rispondevano e i rumori andavano avanti.
Sperò definitivamente che tutto quello si trattasse di uno
scherzo. Si avvicinò
alla prima porta, quella che portava alla camera in cui avrebbero
dovuto
trovarsi Tara e Lucas.
Bussò
un paio di volte. «R-Ragazzi? Tutto bene?» Nessuna
risposta,
solo l’ennesimo bizzarro rumore.
Altri
passi, questa volta venivano dalle sue spalle. Rachel si
voltò
di colpo, trasalendo e puntando la luce in tutte le direzioni. Non vide
nessuno.
Si
appoggiò alla porta, sospirando esausta e asciugandosi la
fronte
sudata con il dorso della mano. «Ok, ok, calmati Rachel,
calmati...»
Entrambe
le sue mani si illuminarono di nero all’improvviso e alla
ragazza scappò un mezzo gridolino spaventato.
Lasciò andare la presa dal
cellulare e questo cadde nuovamente a terra con lo schermo rivolto
verso
l’alto.
Rachel
inspirò ed espirò profondamente per diverse
volte, fino a
quando il bagliore oscuro delle sue mani non svanì. Ci
mancavano solamente i
suoi poteri che si comportavano in maniera autonoma. Ma era normale,
agitata
com’era.
Non
riusciva a capire perché si sentisse così
vulnerabile
all’improvviso. Aveva affrontato così tanti
pericoli che ormai nulla avrebbe
più dovuto spaventarla, invece...
Altri
tonfi, altri passi. Un brivido gelato le percorse la spina
dorsale, e non era per colpa della finestra aperta. Quei rumori si
insinuarono
nelle sue orecchie, nella sua mente, come dei parassiti. Rimbombano
tutti
accanto a lei, come dei sussurri provenienti dall’ombra, come
il fruscio di un
milione di insetti che correvano da tutte le parti. A quel punto la
corvina
gridò, staccandosi dalla porta. «Ragazzi! Se
è un scherzo non è divertente!
Finitela!»
I rumori
tacquero di nuovo. E poi ricominciarono. Rachel si mise le
mani nei capelli.
«Smettetela! Vi ho detto
di smetterla!!»
Si
fiondò contro la porta, spalancandola e illuminando entrambe
le
braccia di nero, pronta a scatenare tutti i suoi poteri. «Ho
detto di...»
Tacque
all’improvviso, mentre i suoi arti superiori ritornavano
immediatamente
normali. La finestra della camera da letto era anche aperta, e tra le
tende svolazzanti
riusciva a passare abbastanza luce da permetterle di vedere il letto
matrimoniale completamente vuoto e con coperte e lenzuola tutte a
soqquadro. Di
Tara e Lucas nessuna traccia. «Ra... ragazzi?»
domandò, questa volta di nuovo
titubante.
Si
avvicinò al materasso, guardandolo sbigottita.
«Ma... ma cos...»
Qualcuno
la afferrò all’improvviso dalle spalle. Rachel
gridò per la
sorpresa, ma il suo urlo fu ben presto offuscato da un panno bagnato
che le fu
premuto sopra bocca e naso.
Corvina
si dimenò come un’ossessa, per divincolarsi da
quella presa di
ferro. Fece per usare i poteri, poi commise l’errore di
respirare. Un odore
acre, pungente, si insinuò nelle sue narici, percorrendole
fino al cervello.
Sentì tutto il setto nasale bruciare, come se stesse andando
a fuoco, e un
forte senso di nausea la assalì.
Senza
rendersene conto smise di lottare per liberarsi, ma la presa
attorno a lei si allentò comunque. Cadde a terra, tossendo e
boccheggiando alla
ricerca di aria pulita che le permettesse di scacciare
l’odore nauseabondo che
le impregnava il naso.
Strisciò
sul pavimento ed alzò lo sguardo. Da ogni angolo buio della
stanza cominciarono ad uscire delle inquietanti figure vestite di nero.
Rachel
aveva la vista appannata, non riusciva a concentrarsi, ad usare i
poteri o a
mettere a fuoco anche solo uno di quegli individui. Ma di sicuro non
erano i
suoi amici.
A quel
pensiero qualcosa scattò dentro di lei come una molla.
Tentò di
chiamare i suoi compagni, temendo che qualcosa fosse successo anche a
loro, ma
quando aprì la bocca anziché le parole uscirono
solo dei rantolii.
Le figure
scure si avvicinarono a lei. Ovunque guardasse, vedeva solo
stivali, pantaloni e grossi impermeabili neri. La circondarono.
Rachel
gemette. Non riusciva più a ragionare in modo lucido, non
riusciva più a capire cosa stesse succedendo, dove fosse,
come si chiamasse.
Un altro
paio di stivali neri apparve di fronte a lei. La ragazza si
aggrappò ad essi e tossendo e rantolando cercò di
rialzarsi. Riuscì a malapena
a drizzare la testa e a vedere il volto pallido del proprietario di
quelle
calzature, colui che dall’alto la stava osservando.
Il suo
volto era confuso, una macchia indistinta dove occhi, naso e
bocca erano altre macchie indistinte più scure. Eppure,
nonostante non
riuscisse a vederlo, riusciva perfettamente a sentire le sue iridi
puntate su
di lei.
Aprì
ancora la bocca e cercò di parlare, ma non uscì
altro che
l’ennesimo verso senza alcun senso. A quel punto, la macchia
che quel tizio
aveva al posto della bocca si incurvò in una strana
posizione. Riuscì a
metterlo a fuoco per un breve istante, e realizzò che quello
era un sorriso. Un
sorriso distorto a causa della vista appannata, quasi un ghigno, rivolto proprio verso di lei.
Rachel
provò ancora di dire qualcosa, poi le sue palpebre si
chiusero
contro il suo volere e accasciò la testa sul pavimento.
Suburb City, eh già.
Questo risponderà al quesito che alcuni di voi si saranno
sicuramente posti: userò ambientazioni reali oppure
immaginarie? Immaginarie, anche se, comunque, tutto quanto sta
accadendo nell'Est degli Stati Uniti. Diciamo che mi sto ispirando
anche in questo caso ad Infamous, in cui le città
rappresentate (Empire e New Maries) sono inventate, ma comunque
ispirate a città vere.
Quindi, sì Suburb City
me la sono inventata io, ma non aspettatevi che mi metta a descriverla
mattone dopo mattone, eh, alla fine è una città
come le altre. Tuttavia spero che la descrizione della "Old Sub" abbia
reso abbastanza l'idea. Anche se, comunque, presenterà
alcuni elementi in comune sia con Infamous, che con i Teen Titans veri
e propri. Immagino che uno degli elementi in comune con questi ultimi
lo abbiate già intuito leggendo il capitolo...
E spero anche che la parte in cui
Rachel viene messa k.o. sia di vostro gradimento. Ho cercato di
renderla più angusta e dark possibile, anche se non sono
proprio un esperto del settore e immagino che si sia già
notato.
Presto le cose si faranno davvero
intricate, restate sintonizzati, perché ho intenzione di
creare un intreccio con la I maiscola. Il prossimo capitolo
è uno di quelli a cui tengo di più.
Dunque, fatemi sapere cosa ne
pensate, se trovate errori segnalatemeli e niente, spero di
sopravvivere alla prossima settimana di scuola e di poter ritornare
sano e salvo alla prossima!
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Capitolo 9 *** ... o forse no ***
Capitolo 9:
... O FORSE NO
Si
risvegliò sopra un pavimento di piastrelle marroni, in un
luogo che
non conosceva. Di nuovo.
Tossì,
mettendosi a sedere. La testa le girava ancora un po’, ma se
non altro ora riusciva a ragionare in maniera lucida e a mettere a
fuoco con la
vista.
Quella
attorno a lei era una stanza minuscola, di pochi metri
quadrati, completamente spoglia. Un ronzio proveniva da sopra la sua
testa,
dove una lampadina penzolante attaccata al soffitto buttava della fioca
luce
sulle pareti realizzate interamente in mattoni.
Una porta
di ferro si trovava di fronte a lei, chiusa e senza alcun
foro per guardare al di fuori di essa.
Rachel si
alzò, continuando a guardarsi attorno; le sembrava di
trovarsi in una specie di segreta. Di una cosa, se non altro, era
certa: era
viva.
La prima
cosa che fece fu quella di mettersi una mano nella tasca
posteriore. Trattenne il fiato per un momento, poi espirò
rasserenata. La foto
di lei e sua madre c’era ancora.
Decise di
meditare sull’accaduto. L’ultima cosa che ricordava
erano
quegli inquietanti individui che uscivano da ogni angolo buio della
casa in cui
aveva cercato di passare la notte. Uno di loro l’aveva colta
alla sprovvista e
l’aveva messa fuori gioco usando l’unico sistema
possibile con una come lei,
ossia drogandola. E poi... l’uomo che aveva visto prima di
svenire. Non aveva
visto né Lucas né Tara nella camera da letto,
però. Sperò che stessero entrambi
bene, così come Ryan e Amalia.
E ora si
trovava in quella stanza, senza sapere né dove si situasse
con esattezza, né da quanto tempo vi fosse. Sicuramente
erano stati gli stessi
individui vestiti di nero a portarla lì.
Fece una
smorfia. Si sentì un’emerita idiota per come si
era fatta
catturare, con i poteri che si ritrovava. Tuttavia, ora che
l’effetto del la droga
era passato, sentiva l’energia oscura dentro di lei di nuovo
disponibile.
Osservò
la porta di ferro. Se davvero speravano che quella sarebbe
bastata a tenerla chiusa lì dentro, allora si sbagliavano di
grosso. Sarebbe
uscita e avrebbe scoperto dove si trovava e, soprattutto, sei i suoi
compagni
stavano bene.
Sollevò
una mano e la puntò contro l’unico ostacolo tra
lei e l’uscita.
Stava per farlo saltare in aria, quando un rumore metallico proveniente
proprio
da esso la fece esitare; qualcuno stava per entrare. Udì i
meccanismi della
serratura muoversi uno dietro l’altro, fino a quando non
cessarono con un
ultimo clack. Dopodiché,
la porta si
aprì con un lento cigolio.
Rachel
piegò le gambe, pronta ad attaccare chiunque gli si parasse
davanti.
«Non
fare stupidaggini, Conduit.»
Una voce
parlò all’improvviso, facendola trasalire. Il
timbro era
basso, offuscato, come se chiunque avesse detto quelle parole avesse
avuto
qualcosa di fronte alla bocca.
La porta
si aprì del tutto, permettendole di vedere due figure che la
fecero sussultare.
La prima
era sicuramente uno di quegli individui che aveva visto. Un
uomo interamente vestito di nero, con un lungo cappotto che gli copriva
il
corpo fino alla vita, dei calzoni del medesimo colore e degli stivali.
Indossava un cappello a tesa larga, sempre nero, e una maschera che gli
copriva
il volto. Rachel rimase shoccata quando la vide. Era a forma di becco,
argentata, con due soli fori per gli occhi. Maschere come quella le
aveva viste
solamente nei libri di storia, sul volto di quei medici che durante la
peste
del 1300 tentavano invano di curare le persone.
Subito
dopo la corvina notò l’altra figura, che
l’uomo stava
stringendo a sé tenendogli una pistola premuta contro la
tempia: Ryan.
Rachel si
portò una mano di fronte alla bocca, sconvolta. Il ragazzino
teneva gli occhi chiusi e la testa abbandonata verso il basso. Tracce
di sangue
ormai secco gli coprivano il labbro superiore e parte del naso.
Emetteva dei
gemiti e di tanto in tanto muoveva il capo di scatto, come se avesse le
convulsioni. Quel particolare permise alla ragazza di assicurarsi che
almeno
era vivo.
«Sappiamo
che puoi uscire da qui in qualsiasi momento...» disse un
altro individuo entrando in quel momento. Questo era vestito proprio
come
l’altro, ma indossava una maschera diversa, con tutti i
tratti fisici del volto
umano, completamente bianca. E la sua voce era quella di una donna.
«...
ma per il bene dei tuoi amici ti sconsigliamo di provarci»
concluse il primo, premendo con più insistenza
l’arma sulla tempia di Ryan,
facendolo mugugnare di dolore.
La
corvina rimase interdetta, facendo vagare lo sguardo dalle due
figure al ragazzino ferito. Non ci mise molto a mettere insieme i pezzi.
«Chi
siete?!» domandò, stringendo i pugni.
«Cosa volete da noi?!»
«Vieni
con noi senza fare storie, e lo saprai.»
I due
individui uscirono dalla stanza, trascinandosi dietro il rosso.
Rachel serrò la mascella, ma non le restò altro
che obbedire. Avevano Ryan come
ostaggio, e probabilmente avevano anche Lucas e gli altri. Avrebbe
potuto
scappare senza problemi, come gli stessi individui avevano detto, ma
non poteva
rischiare che qualcuno si facesse del male a causa sua. Non lo avrebbe
sopportato.
Uscì
dallo stanzino, trovandosi in un corridoio freddo e pieno di
spifferi d’aria, con pareti di mattoni e pavimento di marmo
grigio. Diverse
file di lampadine illuminavano l’ambiente.
Ad
attenderla c’erano altri uomini vestiti di nero, ognuno con
un
fucile o una pistola in mano e una maschera sopra il volto... e infine
i suoi
amici.
Tara,
Lucas, Amalia e ora Ryan erano lì, nel corridoio, ognuno di
loro
circondato, immobilizzato e con un’arma puntata addosso. Le
due ragazze
sembravano illese. Parecchio sconvolte, ma illese, mentre Lucas era
conciato
anche peggio del fratello di Komand’r. Era chiaro che avesse
opposto non poca
resistenza, prima di arrendersi.
Non
appena la videro uscire, tutti loro sgranarono gli occhi, e lo
stesso fece lei. «Ragazzi!» esclamò.
Avrebbe voluto andare da loro e
abbracciarli uno per uno, anche Tara, ma si ritrovò con
decine di armi puntate
addosso in tempo zero, e le fu intimato di mantenere la calma.
Rachel si
rabbuiò. Odiava quella sensazione, essere con le mani
legate, costretta ad agire contro il proprio volere.
Incrociò lo sguardo di
Lucas, ma lui non disse nulla. Non le rivolse nemmeno un cenno, niente.
Il suo
sguardo... era spento. La guardava, ma non sembrava che la vedesse
davvero. Era
la prima volta che Corvina lo vedeva così... abbattuto. Fu
una pugnalata al
cuore per lei. Giurò a sé stessa che sarebbero
usciti da quella situazione, in
un modo o nell’altro, e che nessuno si sarebbe fatto del male.
Solo...
non in quel momento. Prima doveva inventarsi qualcosa.
Iniziarono
a guidarla lungo il corridoio, seguendola con attenzione
con lo sguardo e tenendo sempre sotto tiro i suoi compagni, che quasi
venivano
trascinati di peso dagli uomini mascherati.
Più
li osservava e più quelli le ricordavano i Mietitori. O gli
Spazzini. E forse anche i Primogeniti. Insomma... a quanto pareva,
Empire non
era l’unica città in cui si erano formate delle
bande. La sgradevole teoria che
Rachel aveva avuto si rivelò veritiera. Anche Sub City
celava le sue insidie.
Non
riusciva a spiegarsi il perché di tutto ciò.
Perché anche quella
città possedeva una banda? Anche lì era esplosa
una bomba? Quante metropoli
erano state colpite, allora? E quali altre bande erano presenti?
Le
tornò in mente il manifesto che aveva visto, con
quell’uomo
mascherato sopra. Che ci fosse un collegamento con tutto quello?
Rimase
così immersa in quei pensieri che nemmeno si accorse della
strada che le fecero percorrere. Continuò semplicemente a
camminare, fino a
quando non riuscì a scorgere in lontananza una porta
tagliafuoco.
Quando giunsero in
prossimità di essa, due degli uomini la
spalancarono. Rachel rimase senza fiato.
Un’amplia sala si estendeva
di fronte a tutti loro. Al suo
interno, decine, centinaia, forse migliaia di quegli uomini vestiti di
nero,
tutti in piedi e armati. Erano divisi in due grossi gruppi ai lati
della sala,
disposti in modo da lasciare uno spazio in mezzo a loro, dove Rachel fu
scortata.
Passò accanto a tutti
loro, in quella sorta di corridoio
improvvisato. I cappotti che avevano indosso erano tutti identici,
così come i
loro cappelli, ma le maschere erano quasi tutte diverse le une dalle
altre.
C’erano quelle a becco, quelle bianche inespressive, quelle
veneziane color
oro, altre nere, altre ancora grigie. C’era perfino chi, non
possedendone una,
portava mascherine bianche da dottori e occhialoni spessi, da aviatore,
per
restare anonimo.
Oppressa da tutti i loro sguardi,
Rachel spostò lo sguardo
sul fondo della sala. Qui vide un palco, su cui si trovavano altri
quattro
individui in nero, disposti due a due accanto ad una specie di trono,
su cui
era seduto un altro individuo.
L’attenzione di Rachel si
focalizzò su quest’ultimo. Era vestito come tutti gli altri, con un lungo ed elegante cappotto
nero
che gli arrivava alle ginocchia. Era chiuso nella regione toracica, ma
non
dalle gambe, sulle quali era posato un paio di pantaloni del medesimo
colore
nero, che terminavano con degli stivali, sempre neri. Una cintura con
la fibbia
argentata brillava sotto le luci penzolanti della sala.
Teneva il capo chinato e il grosso
cappello nero a cilindro
impediva di scorgere ulteriori dettagli del suo volto. Tra le mani
stringeva un
lungo bastone da passeggio, alla cui estremità si trovava
una sfera color oro.
Corvina e
compagni furono scortati fino a quando non giunsero di
fronte all’intero gruppo di uomini in nero, poco distanti dal
palco. Qui furono
disposti uno accanto all’altro, formando una specie di fila
parallela.
«Benvenuta,
demone di Empire City.»
Rachel
trasalì. L’uomo seduto sollevò il capo,
incollando lo sguardo
proprio su di lei. «Ti stavo aspettando.»
Il suo
volto era scoperto da qualunque tipo di maschera, ed era
bianco, nel vero senso della parola. Probabilmente era coperto da
pittura. I suoi
occhi erano di un verde scuro penetrante, ciocche di capelli castano
chiaro,
quasi biondi, scivolavano sulla fronte, al di fuori della visiera del
copricapo. Osservandolo meglio, era chiaro che quello non era un uomo,
era
impossibile. Era molto più giovane.
Le labbra
sottili erano dipinte di bianco, con disegnate sopra diverse
righine nere verticali, che si assottigliavano man mano che si giungeva
alle
estremità di esse. Andavano poi a piazzarsi sopra a due
linee orizzontali che
si accentuavano verso l’alto, lungo le guancie, facendo
sì che sembrassero i
prolungamenti di un inquietante sorriso. Il naso era dipinto di nero,
la zona
intorno agli occhi era violacea. Pareva quasi che avesse due lividi.
Era quasi... attraente, nonostante
tutto. Rachel si sorprese
di pensare una cosa del genere, ma era la verità.
Quell’individuo, quel...
ragazzo, possedeva un qualcosa, nei suoi tratti, nel suo sguardo,
perfino in
quelle zone di volto truccate, che impediva letteralmente alla corvina
di
staccargli gli occhi di dosso. Era... magnetico, non c’era
altro termine per
descriverlo.
E fu osservandolo in quel modo che
realizzò la scioccante
verità: era lui la figura che aveva visto prima di svenire,
quella che le aveva
rivolto quel ghigno.
«Finalmente
ho l’opportunità di conoscerti di persona» disse
ancora lui, alzandosi.
Cominciò
a camminare, aiutandosi con il bastone da passeggio
anche se non ne aveva alcun bisogno. La sua voce era molto diversa da
quella
degli uomini che l’avevano condotta di fronte a lui. Era
molto più mite, quasi
cordiale.
Scese dalla struttura attraverso una
rampa di gradoni
laterali
e la raggiunse, seguito dai suoi uomini. Per tutto il tempo non
separò gli
occhi da lei. Sembrava le stesse leggendo nell’anima.
La
ragazza si sentì soffocare sotto quell’ennesimo
sguardo. Migliaia
di domande frullavano nella sua testa, ma alla fine scelse la
più banale. «Chi
sei tu?»
Una
leggera risata fuoriuscì dalle labbra di lui.
«Immaginavo una
domanda simile da parte tua. Non temere, ogni cosa a suo tempo. Prima,
però,
lascia che ti illustri come stanno le cose... Rachel, giusto?»
La
corvina schiuse le labbra. «Come sai il mio nome?»
«Come
mi giungono le informazioni a te non interessa. Sappi solo che
in questo momento tu e i tuoi amici vi trovate nel mio impero, nella
mia casa.»
Il ragazzo allargò le braccia, rivolto all’enorme
platea di fronte a lui. «Quelli
che vedete qui, queste persone vestite di nero, sono miei amici. Sono
miei
fratelli.» Cominciò a camminare, passando accanto
a ciascuno dei ragazzi
intrappolati, osservando loro uno per uno negli occhi.
«Uomini,
donne, giovani, anziani, riuniti qui con un obiettivo comune.
Stanchi di essere oppressi, stanchi di essere comandati. Visionari,
sognatori,
guerrieri, desiderosi di cambiare le cose, di cambiare il mondo,
di...»
«Risparmiati
il curriculum, stronzo...» sbottò Lucas
all’improvviso,
interrompendolo. «A nessuno frega un...»
«Silenzio!»
L’uomo che gli puntava contro la pistola lo colpì
con il
calcio sulla tempia. Il moro mugugnò di dolore e
tossì. Rachel sussultò, così
fecero tutti i suoi altri amici. Volle intervenire, ma mantenne i nervi
saldi
non appena notò la canna dell’arma di nuovo
premuta sul lato della testa del
suo partner. Non poteva fare nulla, o gli avrebbero sicuramente sparato.
Il
ragazzo vestito di nero, nel frattempo, si parò di fronte a
colui
che lo aveva interrotto. Lo osservò per quelli che parvero
decenni, non una
sola emozione trapelò dal suo volto, poi sorrise quasi
intenerito da lui. «Ne
ho conosciuta di gente come te, sai? Gente che finge di essere forte,
agguerrita, che cerca di far credere di non avere paura di nulla, che
nulla
possa anche solo sfiorarli...» Avvicinò il viso a
pochi millimetri da quello
dell’interlocutore. «Ma credo che tu sappia meglio
di me il perché di questo
vostro comportamento, ho ragione? Dimmi... quanti abusi hai subito da
bambino?»
«VAFFANCULO!»
sbraitò Lucas avventandosi addosso a lui, venendo
trattenuto all’ultimo momento per le braccia.
Cominciò a divincolarsi e a
scalciare, ma l’altro non parve minimamente impressionato.
«Tu non sai niente
di me!
NIENTE! Come cazzo ti permetti di...» Lo colpirono ancora,
questa volta con
molta più forza. Il ragazzo tacque con un lamento,
abbassando la testa e
tossendo nuovamente.
Rachel fu
costretta a distogliere lo sguardo da lui, prima di farlo
ammazzare agendo d’impulso. Tara si lasciò
scappare un gemito spaventato,
mentre Amalia chinò la testa, i suoi lunghi capelli neri le
coprirono il viso, rendendo
impossibile capire cosa stesse pensando.
«Ehi,
ehi, stai tranquillo...» Il ragazzo carezzò con il
dorso della
mano la guancia di Lucas, sussurrando quelle parole con tono
rassicurante. Era
chiaro che fingesse, eppure... sembrava quasi che cercasse davvero di
tranquillizzarlo. Era dannatamente bravo a parlare. «... ora
è tutto finito... quelli
sono giorni lontani, vero? Ora sei grande, sei forte, niente e nessuno
possono
intimorirti...»
Red X non
rispose. Rimase immobile, a lasciarsi accarezzare. A
lasciarsi umiliare. Rachel lo conosceva abbastanza per capire che in
quel
momento doveva sentirsi davvero da schifo. Ma le alternative quali
erano, farsi
picchiare ancora, o peggio?
«Bene.
Qualcun altro ha intenzione di interrompermi?» chiese
l’individuo, allontanandosi dal moro e voltandosi verso le
tre ragazze. «Tu,
forse?» domandò ad Amalia, puntellandola con il
bastone da passeggio. La
ragazza strinse con forza i pugni, ma non rispose.
«Saggia
decisione. Mi sarebbe dispiaciuto parecchio uccidere tuo
fratello di fronte a te, dopotutto.»
Komand’r
drizzò la testa di colpo, osservando con occhi spalancati
prima
il fratellino ancora semisvenuto, poi il ragazzo di fronte a lei.
«Se provi
solo a sfiorarl...»
L’uomo
dietro di lei le premette il piatto di un coltello contro la
gola, costringendola a serrare la mascella e a non dire più
nulla. Rachel si
morse un labbro fino a farlo sanguinare, pur di tenere a freno le mani.
Accanto
a lei, Tara singhiozzò terrorizzata.
«Già...»
fece l’individuo, scuotendo la testa quasi deluso.
«Lo
immaginavo. Dunque, stavo dicendo...» Riprese il discorso,
incurante dello
stato d’animo di coloro a cui stava parlando. «Noi
tutti siamo sognatori, siamo
visionari, desideriamo un mondo migliore, un mondo libero da
oppressioni,
soprusi, tiranni. In questo momento potremmo sembrarvi i cattivi della
situazione, ma non è così. Non è
affatto così. Noi siamo i buoni e agiamo
contro coloro che da anni si credono i padroni di questa
città.»
Appoggiò
a terra il bastone con un colpo secco, che rimbombò per
tutta
la sala. «Perché noi non siamo dei vigliacchi, noi
desideriamo un mondo
migliore e lottiamo per averlo, noi sappiamo per quale motivo siamo
stati messi
al mondo.» Si posò una mano sul petto, sorridendo
quasi con orgoglio. Tutte
quelle parole suonarono sgradevolmente familiari a Rachel.
«Noi
siamo Visionari. E io sono Il Visionario per eccellenza. Sono un
sognatore, un guerriero, poco più che un adulto, certo, ma
con il cuore di un
eroe. Il mio nome di battesimo non ha importanza alcuna, voi potete
chiamarmi
Dreamer. Jeff Dreamer, Il Visionario. Ed è un
onore...» chinò leggermente il
capo, abbassando la visiera del cappello con la punta delle dita,
rivolto proprio
verso di Rachel. «... fare la tua conoscenza,
Demone.»
«Perché?»
domandò Rachel. «Perché vuoi
conoscermi? Come fai a sapere
che sono una Conduit? Come facevi a sapere che ero qui a Sub
City?!»
«Mi
pare di aver già detto che come mi giungono le informazioni
non è
affatto affar tuo, Demone.» Jeff posò entrambe le
mani sulla sfera del bastone,
il sorriso cominciò a svanire dal suo volto.
«Sappi solo che in questa città i
conduit come te non vivono a lungo. Ed è proprio per questo
motivo che ti ho
fatta portare qui. Voglio farti una proposta.»
«Una...
una proposta?»
«Alleanza,
per meglio dire.»
La
corvina cominciò a non capirci più nulla.
«Perché?!»
«Perché
coloro che vedi qui, accanto a te, me compreso, sono la tua,
la vostra, unica
possibilità di
sopravvivenza, qui a Sub City. Delle teste calde come voi non
durerebbero molto
a lungo. Wilson è intransigente su certe cose.»
Dreamer sogghignò. «Obbedire o
morire... ti dice nulla?»
Rachel
sgranò gli occhi. Improvvisamente tutto le fu chiaro. La
realtà
delle cose fu una doccia gelata per lei.
«Ormai
siete qui, a Suburb City. Andarsene è praticamente fuori
discussione. Ciò che entra, qui, non esce più. A
meno che non arrivino
ordini... dall’alto.» Jeff indicò il
soffitto, ridacchiando, per poi tornare
serio quasi immediatamente. «Noi abbiamo deciso che questa
storia deve
concludersi. Ma è con profonda amarezza che ti dico che con
le nostre sole
forze non possiamo riuscire a realizzare ciò che
desideriamo. Il nostro
avversario è troppo potente, perfino per noi. Ed
è per questo motivo che ci servi
tu...»
Il
ragazzo cominciò a camminare e a gesticolare, distogliendo
lo
sguardo da lei. «Vedi, avere un conduit dalla nostra potrebbe
giovarci
parecchio. Riusciremmo a sorprendere i nostri avversari, potremmo
perfino
rimescolare tutte le carte in tavola. Potremmo detronizzarli. Siamo
sullo
stesso fronte, Rachel. La città è sotto la
tirannia degli Underdog, e dal
momento stesso in cui ci siete entrati, anche voi lo siete. Secondo
loro avete
due possibilità: obbedire o morire. Noi invece ve ne
concediamo una terza:
combattere. Per la libertà. Una guerra sta per scoppiare,
Rachel. A me piace
chiamarla Guerra dei Cambiamenti. E tu ci aiuterai a raggiungere la
vittoria.»
Rachel
ascoltò interdetta tutte quelle parole, come in trance. Una
follia, ecco cosa le sembravano. «E se io mi
rifiutassi?» domandò, osservandolo
con aria di sfida, anche se purtroppo già sapeva dove
sarebbero andati a
parare.
Dreamer
ridacchiò. «Beh, nel caso in cui ti rifiutassi, o
nel caso in
cui accettassi e poi decidessi all’improvviso di voltarci le
spalle...» Rivolse
un cenno del capo ai suoi uomini. Quelli colpirono i suoi amici, uno
per uno,
anche le ragazze. Urla di dolore si sollevarono nell’aria.
Ognuna di esse fu
una pugnalata per la corvina.
Il
Visionario osservò la sua reazione, e sorrise compiaciuto.
«Come
vedi non hai molta scelta...»
«Non
farlo, Rachel...» mugugnò Lucas, sputando una
macchia di sangue a
terra. «Non darla vinta a questi bastardi...»
L’individuo
dietro di lui sollevò la pistola. Fece per abbatterla
nuovamente su di lui, ma si bloccò dopo un cenno di Dreamer.
«Aspetta.» Si parò
di nuovo di fronte al ragazzo, e lo scrutò con molta
attenzione, piegando il
capo. Red X ringhiò di rabbia, ma non mosse un muscolo.
Mantenne i nervi saldi
e lo sguardo fisso su di lui. Corvina ammirò la sua forza
interiore.
«Coraggio,
continua» lo incalzò Jeff. «Che
cos’hai da dire alla tua
amichetta?»
Lucas
serrò la mascella, poi proseguì, continuando a
guardare il Visionario
di fronte a lui. Gli soffiò letteralmente in faccia quelle
parole, con
disprezzo. «Questi tizi sono come i Mietitori. Sono
senz’anima, dei mostri. Non
appena lascerai questi porci entrare nella tua vita, loro non se ne
andranno
mai più. Pur di obbligarti a restare con loro ci
tortureranno tutti, uno ad
uno, fino a quando non moriremo.»
«Lo
sai che se non lo fa voi morite comunque, vero?»
domandò Dreamer,
sollevando il bastone e premendo un tasto sopra la sfera. Una lunga
lama
comparve all’estremità dell’asta e
andò a sfiorare la gola di Lucas. Il moro
digrignò i denti e sollevò il capo, per cercare
di non farsi graffiare o
tagliare.
«Io
credo proprio di no, Jeff.»
Dreamer
si voltò verso Corvina. «Come hai detto?»
Rachel
strinse i pugni, chiudendo le palpebre. «Ho
detto...» Riaprì
gli occhi, diventati completamente bianchi. «Che non
moriranno!»
Allargò
le braccia di scatto. Un’ondata di energia nera si riverso
fuori dal suo corpo e come un enorme boato scaraventò a
terra tutti i presenti
nella sala, i suoi amici e Dreamer compresi. Le pareti tremarono.
Non fu un
attacco di grande impatto, più che altro era servito come
sotterfugio per far guadagnare alla conduit un po’ di tempo.
Gli uomini vestiti
di nero cominciarono a rialzarsi quasi subito, ma Amalia fu
più rapida di loro,
perfino di Rachel.
La mora
si rimise in piedi, tenendo tra le mani una pistola che
probabilmente aveva raccolto da terra, e si fiondò su
Dreamer. Lo sollevò da
terra avvolgendogli un braccio attorno al collo, poi gli premette la
canna
della pistola contro la tempia. «Tutti fermi o lo stronzo
muore!» esclamò.
Il
ragazzo era quello che per primo era rimasto sorpreso da
quell’azione così repentina, ma
l’espressione sbigottita durò poco sul suo
volto. Scoppiò a ridere. «Accidenti a te, sotto
l’aspetto da gattino nascondi
una pantera, non è vero?»
«Vai
a farti fottere!» esclamò la sorella di Ryan,
colpendolo con
forza sulla tempia e mettendolo a tacere con un verso soffocato.
Rachel
rimase a bocca aperta di fronte a quella scena. Quello non era
proprio ciò che aveva in mente, ma poteva funzionare
comunque.
L’esercito
di uomini si rimise in piedi, sollevarono tutti le armi
contro di loro. Rachel piegò le gambe e si
preparò a combattere.
«State
indietro, schifosi!» gridò ancora Amalia, premendo
con ancora
più forza l’arma sul suo ostaggio.
«Allontanatevi! O il pavimento si bagnerà
del cervello del vostro capo!»
I
Visionari esitarono, alcuni di loro abbassarono perfino il fucile.
«Giù
le armi, forza. E allontanatevi» ordinò Dreamer,
con tono di voce
ancora divertito. «Obbedite.»
Gli
uomini abbassarono le armi, chi più convinto chi meno e si
allontanarono
dai ragazzi, che uno dopo l’altro si misero accanto ad
Amalia.
«E
ora che si fa?» domandò Tara, aiutando Ryan a
stare in piedi.
«Ah,
se non lo sai tu...» replicò Jeff, continuando a
ridacchiare
sommessamente, prima di beccarsi un’altra legnata da Amalia.
«Usciamo
da qui. Amalia, tu vai per prima. Se vedi uno solo di loro
muoversi di un millimetro, aprigli un buco in testa»
ordinò Lucas, indicando
Dreamer.
Komand’r
annuì con determinazione, poi cominciò a
muoversi,
trascinandosi dietro di peso l’ostaggio.
«Fatevi
tutti da parte» esclamò Red X, mentre il gruppetto
avanzava. «E
se qualcuno di voi prova a seguirci, vi ritroverete senza
capo.»
«Avete
sentito il signore? Tutti immobili!» fece ancora una volta
eco
l’ostaggio, sghignazzando. Amalia lo colpì ancora,
ma Rachel dubitò che tutto
ciò servisse davvero a qualcosa, con lui.
Uscirono
dalla sala, sotto gli sguardi di tutti gli uomini inermi, poi
Lucas si fermò sulla soglia, per ripetere: «Avete
capito? Se vedo solo uno di
voi venirci dietro, ammazziamo quello stronzo di Dreamer!»
Affrettarono
il passo. Obbligarono il capo dei Visionari ad indicare
loro la giusta strada per uscire, minacciando di farlo fuori nel caso
li avesse
condotti in una trappola, e nel frattempo Lucas continuò ad
assicurarsi che
nessuno li seguisse.
«Volete
andarvene senza nemmeno riprendervi le vostre valige?»
domandò
Jeff, mentre percorrevano l’ennesimo corridoio.
«Le
valige?» domandò Rachel, perplessa.
Il
ragazzo annuì, sogghignando. «La roba che avete
lasciato in quella
bella casetta... l’abbiamo presa noi e messa in un nostro
deposito. Non la
rivolete indietro? Ecco, è proprio lì.»
Ed indicò una porta di ferro sulla
destra. «La porta è aperta.»
I ragazzi
si fermarono e si guardarono tra loro, perplessi. Rachel
cercò lo sguardo di Lucas, come usava fare in casi come
quello, ma il ragazzo
sembrò volerla evitare. Anzi, fu proprio lui ad andare a
controllare la porta.
Non appena la aprì, si voltò verso di loro.
«È vero. C’è la nostra roba
qui.»
«Visto?»
domandò Jeff, con tono innocuo, mentre Ryan, ripresosi da
poco, e Lucas iniziavano a tirare fuori zaini e borsoni dallo stanzino.
«Perché
ce l’hai detto?» lo interrogò Rachel,
ancora diffidente.
«L’ho
già spiegato. Io sono il buono, qui. E lo scoprirai non
appena
tu e i tuoi amici metterete piede nelle strade della
città.»
«Un
buono non rapirebbe mai delle persone!» esclamò
Tara, pestando un
piede a terra. Si passò una mano sulla guancia, dove un
piccolo taglio si era
aperto, poi gli mostrò il suo palmo macchiato di sangue.
«E non le farebbe di
certo malmenare!»
Il
Visionario sospirò, questa volta sembrava abbattuto.
«Purtroppo
abbiamo dovuto agire alla svelta, prima che fosse Wilson ad arrivare a
voi per
primo. Non saremmo mai stati così grezzi con voi, se
avessimo avuto altra
scelta. E inoltre dovevo accertarmi che tu avessi avuto modo di udire
la mia
proposta, Rachel. Ma... non avrei mai potuto immaginare che la vostra
scaltrezza potesse arrivare così in alto. Sono sorpreso, in
senso positivo.
Davvero» concluse lui, ridacchiando di nuovo.
«L’uscita è al prossimo bivio, a
destra. Prendete la vostra roba e andatevene. Nessun male vi
sarà fatto, ve lo
prometto. A fare ciò ci penseranno gli Underdog non appena
vi troveranno a
bazzicare nel loro territorio.»
«No
invece» rispose Rachel. «Perché noi
lasceremo la città.»
«Questa
l’ho già sentita» ribatté
Dreamer, cominciando a ridere di
gusto, gesto che irritò parecchio Amalia.
«Devi
smetterla di ridere, hai capito?! O giuro che...»
«Santo
cielo, certo che voi ragazze amanti del sesso debole siete
davvero insopportabili...» si lamentò lui,
interrompendola.
«Come?!»
La voce della mora si alzò di un’ottava. Lo
spintonò via,
facendolo ruzzolare a terra, osservandolo con aria sconvolta. «Ma che diavolo stai
dicendo, razza di maniaco?!»
Il
Visionario si rialzò ridacchiando e spolverandosi.
«Come non
detto...»
«Dammi
un buon motivo per non aprirti un buco in fronte ora, dopo quello
che ci hai fatto e dopo che hai anche minacciato di uccidere
Ryan!» esclamò
Komi, puntandogli la pistola e abbassando il cane.
«Lui
cosa?!» domandò il rosso, scioccato, mentre lui e
Lucas
terminavano di portare fuori dal deposito i loro pochi averi.
Dreamer
sollevò le mani in segno di resa. «Darò
ordine ai miei uomini
di non cercarvi. Ma se mi elimini... allora rastrelleranno tutta la
città pur
di trovarvi e farvi pentire di tale scelta. E vi posso assicurare che
non vi
servono altri nemici.»
«Come
posso credere che tu davvero darai quell’ordine?!»
«Una
settimana.»
«Che
cosa?»
Dreamer
sorrise. I suoi occhi scintillarono sotto la luce delle
lampadine. Il suo sguardo sembrava quello di una persona molto sicura
di sé,
come se anche in quel momento stesse agendo secondo i suoi piani.
«In questo
momento esatto potrei obbligarvi con le sole parole a restare qui ed
aiutarmi.
Con un solo sguardo posso capire tutto di voi. I vostri segreti, le
vostre
ossessioni, le vostre paure. Con
una
sola parola potrei rievocare i vostri demoni interiori, quelli che da
sempre vi
tormentano. Ve ne ho già dato un assaggio, poco
fa’. Avrei perfino potuto
uccidere la vostra amica, mentre mi puntava contro la pistola. Ma non
l’ho
fatto.
«Vedete,
vi ho fatti catturare anche per conoscervi. Volevo studiarvi
più da vicino, e con quel poco che ho visto, sono riuscito a
capire molte cose.
Siete forti, ma non abbastanza per Wilson. Tuttavia, la vostra forza
è
sufficiente per permettervi di sopravvivere il tempo necessario per
capire che
io sono la vostra unica possibilità. Perciò
potete stare tranquilli: avete
sentito la mia proposta, e dunque potete essere certo che io
sarò qui ad
attendervi, quando realizzerete di non avere altra scelta se non quella
di
accettarla.
«Non
serve che io ordini ai miei uomini di cercarvi, perché
tornerete
ad implorare il mio aiuto entro una settimana. Ve lo posso garantire.
Ammesso
che Wilson non vi catturi prima e vi usi come cavie per i suoi
esperimenti.»
Rachel
dischiuse le labbra, lo stesso fece Amalia. Le due ragazze
rimasero immobili, ad osservare il volto bianco di Jeff.
«Noi
da soli non possiamo sconfiggere Wilson, e lo stesso ha valenza
per voi. Solamente unendo le forze le nostre possibilità si
fanno più concrete.
Pensavate che l’inferno fosse ad Empire? Oh no, mie care.
L’inferno è ovunque.
E lo è anche qui.»
Corvina
fece per parlare ancora, interdetta, ma Lucas arrivò
all’improvviso, anticipandola. «Ora basta.
Lasciatelo perdere, con lui abbiamo
finito. Andiamocene. Ma prima...»
Scattò
di colpo verso il ragazzo, per poi sferrargli un potentissimo
gancio destro sul volto. Scaraventò Jeff a terra,
procurandogli una vistosa
perdita di sangue da labbra e naso. Il Visionario mugugnò di
dolore, portandosi
una mano sulla parte di volto martoriata.
Lucas
sollevò il pugno con le nocche macchiate di rosso, fissando
con
odio il nemico. «... hai ancora voglia di parlare di cose che
non ti
riguardano?! Ah, e comunque, il face painting era il mio marchio,
stronzo!»
Dreamer
lo guardò mentre era sdraiato a terra, cercando di ripulirsi
del sangue che grondava inesorabile. Per un attimo sembrò
davvero infuriato con
lui, ma poi tutto svanì con l’ennesima risata.
Rovesciò il capo all’indietro e
rise, rise e rise ancora.
Red X
serrò la mascella. Parve quasi volergli saltare addosso, ma
all’ultimo gli diede le spalle. «Andiamocene,
presto.»
Corvina
osservò il proprio partner, seriamente preoccupata per lui.
Tuttavia non disse nulla, visto che quello non era affatto il momento
giusto.
Afferrò il suo zainetto e insieme a tutti i suoi amici corse
via, il più
lontano possibile da quel luogo maledetto e quell’individuo
che ancora non
aveva smesso di ridere.
Sembrava impossibile, ma
ce l'abbiamo fatta. Citazione semicasuale.
Allora, rieccomi. La settimana di inferno non è ancora
finita, ma sono già a buon punto. Perciò, ecco a
voi uno dei capitoli a cui ho lavorato più minuziosamente e
che ho anche modificato numerose volte.
Spero che vi sia piaciuto!
Per la serie dei personaggi che ancora dovevano entrare in scena, ecco
che si aggiunge allo schieramento dei meno conosciuti il Visionario.
In questo caso potrei anche dire "sconosciuti", ma direi che meno
conosciuti si sposa bene con costui, visto che... no, non lo dico,
altrimenti che gusto ci sarebbe?
Ora avrete capito che Sub City è una città
proprio come Empire, che possiede anche le sue bande di criminali, con
l'unica differenza che, questa volta, le bande sono inventate da me.
Questo riportato qui di seguito è il prestavolto di Dreamer,
anche se questo ha i capelli castani. Non l'ho disegnato io,
tutt'altro, è una fan art raffigurante un cantante (Mark
Crozer) che si è truccato così in una sua
prestazione dal vivo, a cui mi sono ispirato, appunto, per l'aspetto
del Visionario. Anche i Visionari sono ispirati alla band di questo
medesimo cantante, i quali hanno suonato nel medesimo evento con queste
maschere a forma di becco.
Il suo nome invece è formato per metà dalla
parola "sognatore", la quale si sposa bene con la sua indole da
visionario, per l'appunto, mentre il nome Jeff è ispirato da
uno dei miei wrestler preferiti, ossia Jeff Hardy. In teoria, anche
Dreamer è il nome di un wrestler, ma sorvoliamo.
Naturalmente questo è solo un alias, il suo nome vero deve
ancora arrivare, e credo che sarà una bella sorpresa. Spero
di averlo presentato bene, questo sarà un personaggio su cui
voglio puntare, proprio come feci con Metalhead ed Edward all'epoca
(chi dimentica è complice).
Ok, ho concluso. Spero davvero di ricevere qualche opinione in merito,
non solo, ovviamente, su Jeff, ma su tutto quanto in generale. Ho
gettato le basi per ciò che verrà più
avanti, e sarà un qualcosa di grosso. Segnalatemi anche gli
errori se ne trovate, e se vi va di farlo, naturalmente.
Alla prossima!
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Capitolo 10 *** Safe Travel ***
Capitolo
10: SAFE TRAVEL
Uscirono
da una specie di galleria che conduceva verso l’alto e si
ritrovarono in una strada nel cuore di quel quartiere storico, lontani
da quel
pazzo truccato da teschio messicano e vestito come se lo steampunk
andasse
ancora di moda.
A quanto
pare erano stati condotti nei sotterranei di una grossa
cattedrale, a giudicare dall’imponente costruzione antica che
si trovava alle
loro spalle. Le sue guglie e torri svettavano alte nel cielo e decine
di gargolla
li scrutavano dall’alto, sopra le loro postazioni realizzate
in coppi.
Il cielo
era di un colorito rossastro, con sfumature arancioni. L’alba
era giunta.
Cominciarono
a correre, trascinandosi dietro zaini e borsoni. Vollero
allontanarsi il più possibile da quel luogo, prima che
Dreamer si rimangiasse
la parola e sguinzagliasse tutti i suoi uomini. Ammesso che davvero
avesse
ordinato loro di non cercarli.
Rachel
continuò a far vagare lo sguardo attorno a sé,
alla ricerca di
qualsiasi possibile attentatore. Fu solo dopo aver percorso diversi
isolati che
si tranquillizzò. Non si vedeva ancora nessuno in giro, tra
i vicoli e le
costruzioni di mattoni e ciottoli. Né cittadini,
né Visionari. Per la prima
volta in assoluto, la corvina fu contenta di vedere quelle strade
così deserte.
Il
gruppetto non smise di correre per quello che le parve almeno un
chilometro. O forse era molto meno, ma non essendo affatto abituata a
simili
sforzi fisici, per lei fu proprio come se lo fosse.
Fu solo
quando si fermò Lucas, rimasto in testa per tutto il tempo,
che anche gli altri poterono concedersi di farlo.
«Cazzo!
E ora che diavolo si fa, Rosso?» domandò Amalia,
abbandonandosi contro una parete per riprendere fiato. «Come
lasciamo la città?
Siamo senza macchina! E non possiamo certo tornare...»
«Zitta
dannazione, sta zitta!» urlò Lucas,
interrompendola.
Corvina
sgranò gli occhi, udendo quella reazione. Perfino Amalia,
dopo
tanti battibecchi con lui, ammutolì.
«La
devi smettere...» cominciò il ragazzo, puntandole
contro un dito. «...
di rompermi le palle. Hai capito?! E anche voi!»
Si
voltò verso di Tara, Ryan e Rachel. I primi due trasalirono
quando
notarono la sua espressione furente. «Dovete piantarla di
rivolgermi a me come
se io avessi sempre la risposta pronta a tutto! Io non sono
onnisciente! E non
ho mai detto di essere il vostro capo, quello a cui chiedere aiuto per
ogni
dannata cosa! Avete un cazzo di cervello, no? Beh, usatelo! O devo
spiegarvi
anche come funziona quello?!»
«L-Lucas,
calmati...» mormorò Rachel, cercando di sfiorarlo
con una
mano, ma quello si ritrasse, ringhiando come un cane rabbioso.
«Non
toccarmi Roth. Non provarci mai più»
sibilò, con voce carica di
odio.
«Lucas...»
La
conduit non seppe cosa pensare. Perché si comportava
così, tutto ad
un tratto? Perché con loro? Perché con... con lei?
«Falla
finita, idiota» sbottò Amalia, separandosi dal
muro.
Rachel si
trasformò in una statua di marmo quando notò
l’espressione
che assunse Lucas udendo quelle parole.
«Come
mi hai chiamato?» domandò lui, sussurrando
minaccioso le parole,
parandosi di fronte a Komand’r.
La
ragazza non batté ciglio quando se lo ritrovò a
pochi centimetri da
lei. «Mi hai sentita. Finiscila di comportarti da moccioso
arrabbiato con il
mondo.»
«Adesso
sarei arrabbiato con il mondo?» Lucas piegò il
capo,
squadrandola da cima a fondo, pugni stretti e mascella contratta.
La mora
incrociò le braccia, avvicinando il volto al suo. Pochi
millimetri li separavano. «Stammi bene a sentire, demente.
Non sei di certo
l’unico che ci è rimasto di merda dopo quello che
è appena successo, e immagino
anche che le parole che ti ha detto Dreamer abbiano...»
«ZITTA!»
sbraitò il ragazzo, piantandole l’indice contro
l’addome. «Quello
che ha detto non c’entra un...»
«Ma
ciò non ti autorizza a prendertela con noi!»
gridò la ragazza, tirandogli
uno schiaffo alla mano. Poi fu il suo turno di puntare il dito, dritto
al collo
del ragazzo. «Noi non siamo il tuo sacco da boxe, hai
capito?! Sei incazzato?
Bene, prendi un muro a testate finché non ti calmi, non mi
interessa. Ma lascia
in pace noi altri.»
Lucas
ringhiò e scostò la mano della ragazza con un
gesto rabbioso. I
due si fissarono intensamente negli occhi, come due animali pronti a
lottare
per il loro territorio, e avvicinarono ulteriormente i loro volti.
Rachel li
osservò, interdetta. Come lei, anche Tara e Ryan sembravano
impossibilitati a
staccare loro gli occhi di dosso. Ma fu solo quando la corvina vide le
loro
fronti così vicine da sfiorarsi, che intuì che se
non avesse fatto qualcosa
alla svelta le cose si sarebbero messe male.
Fece per
muoversi, ma una voce la anticipò, facendole gelare il
sangue
nelle vene: «Problemi di coppia?»
Tutti si
voltarono di scatto, anche Lucas e Amalia, verso un vicolo
poco distante da loro, da dove le parole erano provenute. Un ragazzo
uscì fuori
dall’ombra, con indosso un berretto a visiera e una sigaretta
accesa in bocca. «Peccato,
sembravate così carini insieme...»
Rachel
rimase a bocca aperta quando lo vide. Non poteva essere vero.
Non di nuovo lui. Non lì. Non in quel momento.
«Chi
diavolo sei tu?» domandò Lucas, guardandolo di
traverso. «Ti
consiglio di lasciarci in pace, o non tornerai più a casa
sulle tue gambe.»
Il
ragazzino ridacchiò, per poi fare un tiro di sigaretta.
«Tranquillo
amico, non sono qui per infastidirvi. Voglio solo...
aiutarvi.»
«Definisci
aiutare» disse Amalia, estraendo la pistola con cui aveva
minacciato Dreamer e puntandogliela. «Perché dove
vivevo io, quando qualcuno
diceva di volerti aiutare si abbassava i pantaloni davanti a
te.»
«Non...
credo di avere certe intenzioni...» Il ragazzino sorrise,
quasi divertito, poi cominciò ad avvicinarsi al gruppetto.
«No, no, potete
stare tranquilli. Mi chiamo Kevin.» Porse una mano a Lucas.
Non appena notò che
il moro non era affatto intenzionato a stringergliela, la
ritirò, senza
smettere di sorridere. «Ecco, non ho potuto fare a meno di
notare che... siete
arrivati parecchio di corsa... dalla Old Sub.»
Indicò la via da dove erano
provenuti, per poi storcere la bocca in un’espressione quasi
di dolore. «Brutto
posto. Davvero brutto. Gira... certa gente...»
«Taglia
corto» lo interruppe Lucas. «Che diavolo
vuoi?»
«Sentite,
avremo circa la stessa età, voi forse siete un filino
più
giovani di me.» Kevin buttò fuori una nuvola di
fumo, prima di proseguire,
gesticolando con la mano. «Mi... spiacerebbe parecchio vedere
dei ragazzi come
voi finire nei guai, di nuovo.» Sollevò lo
sguardo, osservandoli serio in
volto. «C’è un magazzino abbandonato
nella zona industriale, apparteneva ad una
ditta di trasporti. Si chiamava Safe Travel, o una roba del genere.
Penso che
potrebbe essere un buon posto per rifugiarvi, se vi
interessa.»
Rachel
sollevò un sopracciglio. Fino a quel momento Kevin non
sembrava
nemmeno averla notata, forse nemmeno si ricordava di averla vista
giusto la
sera prima. E ora che ci faceva caso, sembrava quasi un’altra
persona. Era
molto più... socievole. E inoltre, dove diavolo era
l’altro ragazzo? Dom, se
non ricordava male. Perché lui non c’era?
Volle
domandarglielo, ma poi si morse la lingua. Chiederglielo in quel
momento l’avrebbe portata a fornire non poche spiegazioni ai
suoi amici, e
proprio non le andava di rievocare il pessimo stato d’animo
che aveva avuto
durante quell’incontro alla stazione di servizio.
«Perché
ci stai dicendo queste cose?» domandò ancora
Lucas, scettico. «E
perché dovremmo fidarci di uno sconosciuto?»
Kevin
sollevò le mani, in segno di resa. «Ehi, io
cercavo solo di
aiutarvi. Siete nuovi di queste parti, è giusto che sappiate
le cose prima che
vi ritroviate svenuti in una vasca piena di ghiaccio e con quale organo
in
meno. Gli Underdog controllano la città ed uccidono tutti
quelli che infrangono
il coprifuoco. E voi lo state decisamente infrangendo. Ma alla fine,
fidarsi è
bene, non fidarsi è meglio. Potreste ascoltare il mio
consiglio, andare al
magazzino e ritrovarvi addosso un branco di maniaci. Oppure potrebbe
non
succedervi nulla e trovare un rifugio sicuro, per il momento. Scegliete
cosa vi
pare, ma ricordate che non vi resta molto tempo. Tra poco comincia
l’ultima
ronda.» Il ragazzo sorrise poi sollevò una mano.
«Buona fortuna.»
Buttò
via la sigaretta e diede loro le spalle, allontanandosi. Ma
prima di farlo, volse una rapida occhiata in direzione di Rachel. E non
appena
lo fece, un sorriso complice, come se volesse farle capire qualcosa, si
dipinse
sul suo volto. E a quel punto la corvina capì che lui non si
era affatto
dimenticato di lei. Poco dopo, Kevin svanì nel vicolo dal
quale era saltato
fuori.
La
compagnia rimase immobile, ad osservare quel punto come se da
lì
avessero appena visto sbucare un fantasma. Rachel cominciò a
credere che non
fosse totalmente errato pensarla in quel modo.
Solamente
dopo diversi istanti, Amalia si riscosse. «Bene. Ora
sappiamo cosa fare.»
«Che
intendi dire?» domandò Tara, ancora con la bocca
semiaperta per
lo stupore e gli occhi posati sul vicolo.
«Mi
sembra chiaro.» Komand’r scrollò le
spalle. «Abbiamo un magazzino
da controllare.»
«Che
cosa?!» Red X si voltò verso di lei di scatto.
«Vuoi davvero dare
retta a quel tossicomane?!»
«Abbiamo
altra scelta, Rosso?» domandò la mora, inarcando
un
sopracciglio. «E comunque aveva sicuramente un volto
più ben messo del tuo.»
Il
ragazzo si portò d’istinto una mano su uno dei
numerosi tagli
presenti sulla sua faccia, poi fece una smorfia e distolse lo sguardo
da lei.
Scese
nuovamente il silenzio. Rachel rimuginò per diversi istanti.
Kevin sembrava averla riconosciuta, e quel sorriso non le era affatto
piaciuto.
Eppure... malgrado tutto, quel ragazzino l’aveva
già aiutata una volta,
offrendole quella benzina. Forse potevano davvero fidarsi di lui.
C’era solo un
modo per scoprirlo.
«Amalia
ha ragione» fece, spostando lo sguardo sulla mora.
«Andiamo a
controllare questo posto.»
«Anche
tu, Rachel?» domandò Lucas, quasi esasperato.
«Ci
serve un posto per leccarci le ferite, prima che accadano altre
cose spiacevoli. Non so tu, ma io non vorrei essere nei paraggi quando
questi...
"Underdog", ci beccheranno ad infrangere il loro coprifuoco.»
«Infatti»
convenne Tara, annuendo. «Per oggi ne ho abbastanza di pazzi
psicotici.»
«Idem.»
Ryan si mise accanto alla sorella, stringendo forte la
tracolla del borsone.
Lucas
fece vagare lo sguardo su tutti loro, dal primo all’ultimo,
interdetto.
«Se
non vuoi venire nessuno ti costringe, Rosso»
incalzò ancora
Amalia, sfidandolo nuovamente con lo sguardo.
Anche la
corvina lo osservò dritto negli occhi, senza dire nulla. Non
si sarebbe certo dimenticata facilmente il modo con cui le aveva
risposto, poco
prima. Probabilmente le parole di Dreamer avevano aperto in lui qualche
cicatrice, ma come anche Amalia aveva detto, prendersela con loro non
era il
modo giusto di comportarsi. Tuttavia, avrebbe preferito che anche lui
decidesse
di dare un occhiata a questo magazzino. Arrabbiato o no, Red X era una
risorsa
preziosa per quel gruppetto di ragazzi.
L’ultima
persona su cui il moro si soffermò con lo sguardo fu proprio
lei. Il viola e il blu dei loro occhi si scontrarono. Rachel mantenne i
nervi
saldi, ma anche lui non sembrava intenzionato ad arrendersi facilmente.
Non fare lo
stupido, Lucas. Vieni anche tu.
Il
ragazzo la osservò ancora per un breve momento. Rachel
strinse i
pugni. Fece quasi per dirgli a voce ciò che aveva appena
pensato, quando lui
grugnì di disappunto, chiudendo le palpebre e scuotendo la
testa. «So già che
ci faremo ammazzare...»
La
conduit sentì i propri nervi sciogliersi non appena
udì quelle
parole. Solamente in quel momento realizzò quanto davvero
sperasse che lui
rimanesse insieme a loro.
Amalia,
accanto a lei, sorrise soddisfatta. E anche Tara sembrò
tranquillizzarsi.
E senza
perdersi in ulteriori indugi, proseguirono verso la loro nuova
meta, in quella città che con molto meno di quanto ci si
sarebbe aspettati,
aveva già fatto rimpiangere Empire a Rachel.
***
«Safe
Travel. Eccoci qua.»
Era ormai
mattino quando i ragazzi si pararono di fronte ad un grosso
cancello, con appiccicata sopra un’enorme insegna, che
recitava le parole
appena lette da Lucas.
Il cielo
era di un limpido azzurro, il sole quasi accarezzava con i suoi raggi i giovani
rifugiati di
Empire.
Rachel fu
costretta ad allungare il collo per riuscire a vedere quanto
enorme fosse quel posto. Non il magazzino in sé, quanto
più tutto il cortile
intorno ad esso. Doveva essere una compagnia davvero grande quella, per
possedere un tale stabilimento.
Scavalcarono
la recinzione ed entrarono. Per fortuna la zona
industriale non era molto lontana dal luogo in cui avevano incontrato
Kevin, e
grazie alle indicazioni stradali non era stato difficile giungere fino
a lì.
Erano stati fortunati, alla fine. Riuscire a trovare in così
poco tempo un
luogo in una città che non si conosceva non era cosa che
capitava sempre.
Rachel ricordava di essersi persa almeno un migliaio di volte nel Neon
e nel
Centro Storico.
Camminarono
sul cortile ricoperto da terriccio arancione. Era davvero
uno spazio enorme, dovevano starci almeno un centinaio di veicoli, tra
camion,
rimorchi e furgoni.
Il
magazzino era un lungo capannone, di almeno due o più piani,
con
un’alta torre con in cima una cisterna che svettava accanto
ad esso. L’enorme
portellone era chiuso con due giri di una spessa catena, ma a Rachel
bastò poco
per farla saltare via.
Quando
furono dentro rimasero senza parole. Visto dall’interno
l’edificio sembrava ancora più grande.
Un
immenso spazio si stagliava di fronte a loro, occupato da decine di
macchinari e scaffali. Alcuni avevano ancora della merce sui ripiani,
altri
erano deserti. Accatastati contro il muro si trovava un incalcolabile
numero di
scatoloni, diversi erano per terra, molti altri contenevano ancora
delle merci
imballate al loro interno.
Una rampa
di scale conduceva al piano superiore e ad una fitta rete di
passerelle sopraelevate, e ancora più in
profondità si notavano alcuni piccoli
locali, probabilmente degli uffici.
Non
sembrava esserci nessuno in giro. Il rumore dei passi di Rachel e
dei suoi compagni era l’unico presente.
«Strano»
commentò Lucas, avvicinandosi ad uno degli scaffali ed
esaminandolo, mentre si slacciava lo zaino dalle spalle.
«Cosa?»
domandò Rachel portandosi accanto a lui, mentre gli altri
ragazzi davano un’occhiata per conto loro. Ryan e Tara
sembravano meravigliati
da ogni cosa che vedevano, mentre Amalia si guardava intorno con
più
diffidenza.
«Guarda
quanta roba c’è qui.» Lucas
sollevò una matassa di cavi ancora
chiusa dal ripiano e gliela mostrò.
«Perché non se la sono presa quando questo
posto ha chiuso i battenti?»
«Forse
per loro non era poi così importante»
replicò lei, posando una
mano sulle sue e costringendolo ad abbassare l’oggetto.
Sorrise e cercò il suo
sguardo, ma lui lo evitò come la peste. Il sorriso
svanì dal suo volto.
Per tutto
il viaggio il ragazzo aveva mantenuto quel comportamento.
Non aveva aperto bocca, se non per dire quelle tre o quattro cose. E
per tutto
il tempo aveva lasciato che fosse Amalia a guidare il gruppo.
All’inizio Rachel
un po’ con lui ce l’aveva ancora, ma dopo aver
notato il suo silenzio e anche
la sua aria afflitta aveva cominciato a dispiacersi. Era ovvio che si
stesse
rimproverando da solo per come si era comportato con loro quel mattino.
«Che
c’è, Lucas?» chiese a quel punto la
corvina, sospirando. «Pensi
ancora a quello che hai detto prima? Guarda che devi stare tranquillo,
non sono
arrabbiata con te...»
Il moro
posò la matassa, sempre senza guardarla. «Beh...
potevo
comunque evitare di trattarti in quel modo...»
«È
stato Dreamer, Lucas. È normale che dopo tu ti fossi
arrabbiato. Se
avesse detto le stesse cose a me, ma usando Richard o i miei genitori
come
soggetto, probabilmente nemmeno io l’avrei presa bene... a
proposito, come
faceva a sapere che...»
«Questo
è il punto. Non ne ho idea.» Lucas
sospirò. «Credo... che
l’abbia capito da solo che... il mio passato è
stato un tantino turbolento...
ma d’altronde, tu che penseresti guardandomi per la prima
volta? Con il muso da
criminale che mi ritrovo...»
«Certo,
ridotto come sei...» sospirò Rachel, per poi
posargli una mano
sulla guancia e farlo voltare verso di lei. Lo avevano conciato davvero
male,
in effetti, i Visionari. Aveva diversi lividi, ognuno dalle sfumature
violacee,
ed era ricoperto di sangue secco. Chiunque sarebbe stato scambiato per
un poco
di buono, così.
La mano
di Corvina si illuminò di nero, e cominciò
l’operazione di
guarigione sul volto del ragazzo. Dopo pochi istanti, il buon vecchio
Lucas era
come nuovo.
La sua
pelle dapprima pallida aveva riacquistato un po’ di colore,
ora
che ci faceva caso. Forse stare tutto quel tempo sotto il sole aveva
dato i
suoi frutti, almeno per lui. Rimase così concentrata su quel
dettaglio che non
si rese nemmeno conto di avere ancora la mano appoggiata alla sua
guancia.
Fu solo
quando lui la ringraziò che la ragazza sussultò e
la ritirò.
«Non...
non c’è di che...» Rachel distolse lo
sguardo da lui,
imbarazzata. «E comunque... non hai un volto da
criminale...»
Lo
sentì ridacchiare e ricevette un colpetto sul braccio.
«Grazie
Rachel.»
La
conduit sorrise, poi si voltò. «Meglio che mi
occupi anche gli
altri.»
«Buona
idea. Io invece vado a dare un’occhiata fuori. Voi cercate di
sistemarvi qui.»
«D’accordo.»
I due
ragazzi si divisero. La prima persona
da cui andò fu Amalia. La sorella di Ryan le
stava dando le spalle, ma si voltò di scatto non appena
Rachel fu a pochi passi
da lei. «Che cosa vuoi?»
La
corvina si fermò e notò immediatamente che sul
suo volto non erano
presenti grosse ferite, giusto un lieve ematoma sotto
l’occhio destro e qualche
graffio. «Nulla, volevo solo occuparmi delle tue
ferite...»
«Ah.
Ok. » La mora si voltò di profilo, mostrandole
prima l’occhio
nero. «Comincia da qui.»
«Ehm...
va bene.» Un tono un po’ più cordiale
non le sarebbe affatto
dispiaciuto.
Mentre la
curava osservò con attenzione i suoi lineamenti, e non
poté
non notare quanto fosse simile a Stella, per non dire uguale a lei. Il
suo
stomaco si ingarbugliò quando ebbe quel pensiero. Non sapeva
quanto ancora
sarebbe riuscita ad andare avanti, continuando ad avere sia Amalia che
Ryan nei
paraggi. Ogni volta che li guardava vedeva Stella al loro posto.
Avrebbe
sicuramente finito con l’impazzire continuando di quel passo,
ne era certa.
«Hai
finito?» domandò improvvisamente la ragazza di
fronte a lei,
facendola tornare alla realtà.
«Sì,
sì...» La conduit allontanò la mano e
si massaggiò una tempia,
sospirando. Il viso di Kom era di nuovo liscio, privo di graffi, ferite
ed
imperfezioni di qualsiasi tipo.
Era
proprio bella, ora che ci faceva caso. Nonostante le guancie
leggermente scavate, nonostante l’aria seria che possedeva in
continuazione,
nonostante i capelli spettinati. Nonostante qualsiasi cosa sembrasse
volerla
imbruttire, era comunque bella. Doveva proprio essere una cosa di
famiglia.
Chissà se anche lei, come Kori, ai
tempi
della scuola era corteggiata da tanti ragazzi. Certo, se con tutti loro
si era
sempre comportata come con Lucas, allora Rachel né dubitava.
«Perché
mi guardi?»
La
corvina trasalì e distolse lo sguardo da lei.
«Ehm... niente...»
«Mh.
Bene.»
Amalia
tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne prese
una. Se la portò alla bocca e la accese. La sua punta si
tinse di un rosso
incandescente e la ragazza buttò fuori una nuvola di fumo,
poi le diede le
spalle, sospirando. «È incredibile,
vero?»
«Che
cosa?»
«Tutto
questo.» Amalia indicò il magazzino, per poi
voltarsi di nuovo
verso di lei. «Il fatto che... che abbiamo lasciato Empire
sperando di trovare
un posto migliore in cui vivere, e invece abbiamo trovato un altro
manicomio
travestito da città. Non... non è
giusto.»
Rachel si
mordicchiò l’interno della guancia. Quanta
verità in così
poche parole.
«Certo,
ora siamo al sicuro, ma quanto durerà? Anche in
quell’altra
casa ci credevamo al sicuro, e guarda com’è
finita. No, no...» La ragazza fece
un altro tiro di sigaretta, nervosa, per poi scuotere la testa.
«Questa storia
non può finire bene. Non se non ce ne andiamo al
più presto. Non è che tu puoi
portarci fuori città in volo? Uno per uno,
ovviamente.»
«Beh...
è un’idea. Ma ora come ora non credo che ce la
farei.
Cerchiamo di far passare qualche ora, il tempo di recuperare le forze e
magari
mangiare qualcosa. Dopo, tutti insieme, potremo decidere.»
Komand’r
annuì, con un’espressione così
pensierosa che Rachel dubitò
che l’avesse davvero sentita. «Ok.»
Corvina
abbassò lo sguardo, osservandosi le scarpe da ginnastica,
altrettanto pensierosa.
Empire
per tutti loro aveva rappresentato l’inferno, dopo essersene
andati da quel posto Rachel aveva creduto davvero di poter
ricominciare, e
invece era finita in quel modo. Aveva scelto i numeri sbagliati della
roulette,
di nuovo.
E
probabilmente anche gli altri stavano pensando lo stesso. Dopo tanti
problemi l’unica cosa che desideravano era un po’
di pace, invece avevano
ottenuto l’opposto.
L’aveva quasi
sorpresa il
comportamento di Amalia, tuttavia, quando le aveva detto quelle parole.
Credeva
che l’avrebbe presa molto peggio.
Per
quanto si sforzasse, ancora non riusciva a capire cosa frullasse
nella mente della sorella di Ryan. Il suo umore oscillava costantemente
da un
estremo all’altro. Ma ormai credeva di avere capito il
perché. Komand’r aveva
sofferto molto più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.
Aveva perso i
genitori, la sorella, l’amico di famiglia che si era preso
cura di lei ad
Empire e ora temeva che anche al fratellino accadesse qualcosa. Era
molto più
sotto stress di quanto dava a vedere. Chiunque ad un tale punto avrebbe
perso
la testa almeno in parte.
Tra loro
scese un breve attimo di silenzio. Rachel fece per andarsene,
ma poi le tornò in mente una cosa. Le venne da sorridere.
«Davvero nel Dedalo
quelli che dicevano di volerti aiutare si abbassavano i
pantaloni?» domandò,
sperando anche di riuscire a sdrammatizzare un po’ la
situazione.
Amalia
spostò lo sguardo su di lei. All’inizio parve
sorpresa da
quella domanda, ma poco dopo sorrise anche lei. «O quello, o
cercavano di
rapinarti. O tutte e due le cose se non avevi un soldo con
te.»
«Cavolo...
non deve essere stato molto bello...»
La mora
scrollò le spalle, mentre faceva cadere la cenere dalla
punta
della sigaretta. «Se non altro era molto più
facile colpirli alle palle.»
Rachel
ridacchiò. «Giusto. Però è
strano, Lucas non mi aveva mai
raccontato di questa cosa...»
«Sì,
beh, non è proprio una cosa di cui essere fieri di
raccontare...»
«Immagino
tu abbia ragione...» replicò la corvina, ridendo
nuovamente.
Amalia la
imitò, per poi buttare a terra la sigaretta.
Ritornò seria
quasi all’improvviso, prima di guardarla di nuovo.
«A proposito... ti ho vista
parlare con lui poco fa’. Era ancora arrabbiato?»
«No,
no, anzi, era piuttosto dispiaciuto. Immagino che prima o poi ti
farà le sue scuse.»
«Non
vedo l’ora.» Un sorriso sadico si dipinse sul volto
della
ragazza. «Lo farò strisciare ai miei piedi mentre
implorerà la mia pietà!»
«Dubito
fortemente che ciò accadrà...» disse
Rachel, anche se il
pensiero di quella scena la fece sorridere divertita.
«Fidati,
tu non mi conosci ancora...» rispose Amalia, con aria
compiaciuta. «... prima di trasferirmi qui ho castigato
così tanti ragazzi che
ormai ho perso il conto...»
«Li...
li hai castigati? In che senso, scusa?» domandò la
conduit,
imporporando all’idea della possibile risposta.
Risposta
che tuttavia non giunse. Komand’r si limitò a
distendere il
suo sorrisetto diabolico, per poi distogliere lo sguardo da lei. A quel
punto,
si fece nuovamente seria. «Ehi, ma la biondina e Ryan dove
sono finiti?»
«Cosa?»
Rachel si voltò, guardandosi intorno. Non notò la
presenza né
di Ryan, né di Tara. E ora che ci pensava, anche Lucas era
sparito da un po’.
Impallidì
all’improvviso. «Pensi... pensi che...»
Si
interruppe di colpo, quando un potente tonfo provenne dal fondo del
magazzino. Entrambe trasalirono, poi si guardarono di nuovo tra loro.
La
corvina intuì che i suoi stessi pensieri stessero frullando
anche nella mente
di Amalia.
Senza
dire altro cominciarono a correre verso il luogo d’origine di
quel rumore.
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Capitolo 11 *** UDG ***
Capitolo
11: UDG
Rachel si
precipitò con il cuore in gola verso il fondo del magazzino.
Si maledisse per essere così sfortunata. Com’era
possibile che avevano appena
trovato quel posto e già stava succedendo
qualcos’altro?
Non
doveva fidarsi di quel Kevin, ora l’aveva capito. E
probabilmente
Amalia stava pensando la stessa cosa, mentre correva con la pistola in
mano
accanto a lei.
Ma non
appena raggiunsero il luogo da cui era provenuto il tonfo,
Corvina realizzò che tutti quei problemi mentali che si era
fatta erano
infondati. Tara e Ryan erano là, in piedi, illesi e sereni
in volto. Ai loro
piedi si trovava un materasso, ancora avvolto
nell’imballaggio.
«Ti
avevo detto di fare attenzione» lo rimbrottò la
bionda, mentre il
rosso si grattò dietro alla testa, imbarazzato.
«Lo
so, ma è scivolato...»
Non
appena udì le loro voci, Rachel sentì i propri
nervi sciogliersi. Non
erano stati rapiti, non erano in pericolo di vita, nessun
malintenzionato era
entrato nel magazzino... insomma, non tutti i rumori ambigui
rappresentavano
necessariamente il male assoluto.
«Ragazzi!»
esclamò Amalia, che a differenza di Rachel parve piuttosto
infastidita. «Che cosa diavolo state combinando?! Abbiamo
sentito un rumore
provenire da qui!»
I due si
voltarono verso di loro, sorpresi. Non sembravano averle
notate fino a quel momento.
«Beh,
abbiamo trovato un materasso ancora imballato e volevamo
spostarlo, ma Ryan l’ha fatto cadere»
spiegò Tara.
«Non
l’ho fatto apposta!» protestò ancora il
ragazzino.
«Quindi...
nessuno stava cercando di uccidervi?» domandò
ancora
Komand’r, cauta.
«Ehm...
credo di no...» rispose la bionda, guardandola perplessa.
«Oh...
ok...» Amalia sembrò riuscire a respirare
regolarmente solo
dopo aver udito quelle parole.
«Ehi,
l’avete vista l’area relax dei
dipendenti?» chiese ancora Ryan,
illuminandosi all’improvviso.
«No.»
«Allora
venite, forza!»
Il
ragazzino le guidò verso una porta sul fondo del magazzino.
Non
appena la aprì rivelò al suo interno
un’ampia stanza, con dei divanetti,
qualche tavolo, un televisore fissato contro un angolo in alto e un
piccolo
ripiano con un forno a microonde e un frigorifero.
«Cavolo...»
commentò Rachel. Certo che lì i dipendenti un
tempo
avevano dovuto trattarsi piuttosto bene.
«Vedete? Qui
c’è praticamente
tutto quello che ci serve!» esclamò Ryan,
muovendosi dentro la stanza ed
allargando le braccia.
«Che
ci serve per cosa?» lo interrogò Amalia, apparendo
piuttosto
scettica.
Fu Tara a
rispondere al posto del rosso, ma prima di farlo,
ovviamente, si scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
«Nel caso in cui
dovessimo fermarci qui per più del dovuto. Meglio prevenire
che curare, no?»
«Non
staremo affatto qui più del dovuto. Ne stavamo giusto
parlando
prima io e Roth. Ce ne andremo da Sub City al più presto.
Non voglio avere
nulla a che fare con la gente di questo posto un solo istante
ancora.»
«Ma...
Dreamer aveva detto che lasciare la città non è
molto semplice...»
«Tutte
idiozie.» Amalia indicò fuori dalla porta,
accigliata. «Hai
visto posti di blocco o roba simile mentre venivamo qui? Io no. Ci
serve solo
una macchina e poi...» Abbassò il braccio, un
sorriso soddisfatto apparve sul
suo volto. «Liberi, di nuovo.»
«Se
fosse così facile perché i Visionari ci avrebbero
rapiti?» le
domandò ancora Tara. «Perché avrebbero
voluto così disperatamente l’aiuto di
Rachel?»
«Quei
tizi sono fuori di testa, ecco perché.»
«Dreamer
ha detto che saremmo tornati a chiedere il suo aiuto...»
«Nei
suoi sogni, magari.»
«Tara
ha ragione, Komi» si intromise Ryan, portandosi accanto alla
bionda. «Meglio non prendere le cose sottogamba. Potrebbe
finire male.»
Amalia
roteò gli occhi, quasi esasperata. «Dio, quante
stronzate che
mi tocca sentire. Mi sembrate quasi quel paranoico di
Rosso...»
Rachel
fece una smorfia. Poco prima Komand’r aveva creduto che suo
fratello fosse in pericolo di vita solo perché aveva sentito
un rumore, e ora
lei dava a Lucas del paranoico?
Certo,
forse Ryan e Tara stavano esagerando, ma una parte di lei le
suggeriva che forse avrebbe dovuto dare loro ragione. Il coprifuoco,
Dreamer, i
Visionari, Kevin, gli Underdog e Wilson, chiunque essi fossero. Sub
City...
aveva decisamente qualcosa che non
quadrava. Era meglio non abbassare la guardia.
«Un
momento, ma Rosso dove diavolo è finito?»
La
corvina sgranò gli occhi sentendo quella domanda. Si
voltò verso di
Amalia, la quale sembrava spaesata tanto quanto lei. Aveva detto che
sarebbe
uscito solo per controllare il cortile, ma ora era già da un
po’ che non
tornava...
Si
voltò verso la porta. Cercò di mantenere la
calma, considerando
anche che giusto un attimo prima si era preoccupata nonostante non ci
fosse
stato assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Uscì dalla
stanza, con passo
moderato, senza dire una parola.
«Roth,
ma dove...» Amalia la chiamò, ma ormai la corvina
era già
lontana.
La
conduit attraversò l’intero magazzino, lottando
con ogni fibra del
suo essere per tentare di non mettersi a correre, poi uscì.
Camminò nel
cortile, guardandosi intorno per cercare tracce del suo amico. Fece per
chiamarlo, ma poi frenò la lingua. Meglio non mettersi ad
urlare lì, in quel
momento.
Cercò
in ogni direzione con lo sguardo, ma di Lucas nessuna traccia.
Ecco, ora
posso preoccuparmi.
«Ehi,
Roth! Che diavolo stai...»
Rachel si
voltò, zittendo Amalia con un cenno. «Lucas non
c’è.»
Komand’r
storse la bocca in un’espressione preoccupata.
«Cosa? E dove
sarebbe andato?»
«Non
lo so. Aveva detto che sarebbe uscito un attimo, ma qui non lo
vedo da nessuna parte» disse, cercando di mantenere il
controllo.
«Non
può essere lontano» disse Tara cauta, tirando
fuori il cellulare
e pigiandoci sopra le dita. «Provo a chiamarlo.»
Corvina
fece di tutto per non cominciare a mangiarsi le unghie per la
tensione, mentre la bionda si portava l’apparecchio
all’orecchio. Se l’era
sentito dentro che c’era qualcosa che non quadrava, poco
prima, ma non avrebbe
mai pensato che quella cosa riguardasse proprio Lucas. Eppure... si era
comportato in maniera troppo strana, poco prima. Che fosse scappato? Il
solo
pensiero fece venire i brividi alla corvina. No, non poteva averlo
fatto
davvero. Non poteva averla abbandonata in quel modo. Era impossibile.
«Pronto?
Lucas?» domandò Tara all’improvviso,
dopo quelle che parvero
eternità. L’attenzione di tutti i presenti si
focalizzò su di lei
all’improvviso. «Dove sei? ... Che cosa?! Ehi, no,
non riattacc...»
La bionda rimase con lo
strumento premuto sull’orecchio per qualche istante, come in
trance, poi lo
abbassò. «Mi ha chiuso il telefono in
faccia...»
«Ma
che ti ha detto?» interrogò Rachel, ansiosa della
risposta.
Tara
sospirò. «Che non poteva parlare e che avrebbe
richiamato lui...
e che quindi dobbiamo aspettare qui e non andarcene per nessuna
ragione...»
Rachel
dischiuse le labbra. Si posò una mano sulla fronte e diede
le
spalle a tutti loro. Non credeva alle proprie orecchie.
Ciò
che disse Amalia riassunse perfettamente la situazione:
«È
incredibile!» Il tono a metà tra
l’incredulo e lo scocciato cascava alla
perfezione. «Ma che diavolo ha in testa
quell’idiota?! Bah, spero che non torni
più!»
Se ne
ritornò nel magazzino con passo pesante e la mascella
serrata.
Gli altri
tre la seguirono con lo sguardo, fino a quando non svanì
dalla vista. A quel punto, Ryan domandò: «Lucas
tornerà, giusto?»
«Lo
spero per lui» replicò Rachel, altrettanto
infuriata con il moro. «Perché
se non lo fa, lo vado a prendere io.»
E detto
quello, seguì la mora dentro all’edificio.
Lucas,
giuro che se scappi o ti metti nei guai ti ucciderò io con
le mie mani. Non è
una minaccia, è una promessa.
***
Cominciarono
quasi a perdere le speranze. Anzi, più che altro fu
Rachel a fare ciò.
Sei di
sera. Di Lucas, ancora nessuna traccia. Tara aveva provato a
richiamarlo più volte, sempre senza successo. Gli aveva
scritto, intasato la
segreteria di messaggi vocali, ma nessun risultato.
Il buio
ormai era sceso. L’atmosfera nelle strade attorno al
magazzino
si era fatta ancora più tetra. Come se non bastasse, avevano
finito le scorte
di cibo a pranzo.
Era ormai
certo che avrebbero passato la notte lì. Avevano trovato
diversi materassi ancora imballati, e c’erano anche i
divanetti nell’area
relax, ma senza coperte non se ne facevano nulla, visto che il
riscaldamento
non funzionava.
Se non
altro, almeno c’era l’elettricità, ma
solo dopo che Ryan aveva
smanettato con il quadro elettrico. Per fortuna il ragazzino aveva
fatto
l’istituto tecnico, prima di trasferirsi in America. E per
fortuna c’era ancora
l’allaccio, o sarebbero rimasti al buio anche lì.
Rachel
non aveva smesso di lanciare occhiate alla finestra,
preoccupata. E più passavano i minuti, più si
accorgeva dell’oscurità che
scendeva inesorabile, più il conflitto con sé
stessa si faceva intenso. Era
combattuta tra il desiderio di andare a cercarlo e la fiducia che il
telefono
di Tara potesse squillare da un momento all’altro.
Aveva
ormai spazzolato via metà delle sue unghie quando quella
maledetta suoneria trillò all’impazzata, facendoli
trasalire tutti. In quel
silenzio carico di tensione che si era formato nell’area
relax, quella
musichetta era sembrata una cannonata.
«È
lui!» esclamò Tara osservando il display, per poi
rispondere in
fretta e furia. «Lucas! Che sta succedendo?!»
Qualunque
cosa rispose, doveva essere qualcosa di grosso, perché la
bionda rimase a bocca semiaperta. Allontanò il telefono
dall’orecchio, per poi
spostare lo sguardo sui suoi amici.
«Che
diavolo ti ha detto?!» domandò Amalia, alzandosi
dal divano di
scatto.
«Che
dobbiamo raggiungerlo nel cortile di una fabbrica a qualche
isolato da qui.»
«Quale
fabbrica? Qui ce ne sono un casino!»
«Ha
detto che ci sono due alte ciminiere e che è impossibile
sbagliare, e che...» Tara esitò per un attimo, poi
aggiunse: «... che non ha
molto tempo. E, beh, dal tono che aveva non sembrava che stesse
mentendo.»
Amalia
rimase interdetta. Spostò lo sguardo su Rachel,
probabilmente
in cerca di una sua reazione. Reazione che non giunse,
perché la corvina era
senza parole proprio come lei. Una sola domanda affiorava nella sua
testa,
ovvero che cosa diavolo avesse combinato quell’idiota.
«Dobbiamo
andare a vedere» decise alla fine Komand’r, prima
di perdere
ulteriore tempo.
«E
se fosse pericoloso?» domandò Tara.
«Insomma, perché avrebbe dovuto...»
«Andiamo
solo io e Roth» la interruppe la mora, estraendo la sua
pistola dalla tasca del cappotto. Smontò il caricatore e
controllò che fossero
presenti dei proiettili, poi annuì e lo richiuse. Si
voltò verso di Rachel. «Andiamo.»
La
conduit annuì. In effetti non c’erano molte strade
da prendere, a
quel punto. «Sì, va bene.»
«Voglio
venire anch...» Ryan cercò di alzarsi dal divano,
ma la
sorella lo liquidò di netto con un gesto secco della mano.
«Tu non farai un bel
niente.»
«Ma...»
«Niente
ma! Resta qui e fine della discussione!»
Il rosso
la osservò con un’espressione mista tra
l’incredulità e
l’esasperazione, poi si risedette pesantemente sul divano.
«È incredibile...»
mugugnò contrariato, venendo tuttavia ignorato dalla
maggiore.
Amalia
uscì dalla stanza, passando accanto a Rachel.
«Forza, diamoci
una mossa. E tu...» fece ancora, voltandosi verso di Tara ed
indicandole il
ragazzino sul divano. «... tienilo
d’occhio.»
«Vorrai
scherzare!» esclamò ancora il rosso, venendo
ignorato una
seconda volta.
Corvina
si sforzò di ignorare l’espressione corrucciata di
Ryan,
quella più perplessa di Tara e la discussione appena
avvenuta tra il rosso e la
sorella. Si limitò semplicemente a seguire la mora fuori
dalla stanza.
***
Per tutto
il tratto di strada che percorse correndo accanto ad Amalia,
Rachel non smise di domandarsi perché diavolo stesse facendo
tutto quello. Cosa
cavolo era preso a Lucas, perché era sparito in quel modo e
perché ora le stava
facendo uscire allo scoperto in quel modo in quella città
che nemmeno
conoscevano, dopo tutti gli avvertimenti ricevuti da chiunque avessero
incontrato?
Era forse
impazzito? Rachel sperò di no, ma una parte di lei lo temeva
almeno un po’.
«Ecco,
le due ciminiere» disse Amalia all’improvviso,
indicando verso
l’alto le due alte torri nere e sottili, le quale svettavano
al di sopra di
quella landa desolata formata da grosse fabbriche grigie abbandonate.
Rachel si
era quasi dimenticata della presenza della mora. Fino a quel
momento non aveva più detto una parola, ma le fu di conforto
sapere che ci
fosse anche Komand’r insieme a lei.
Raggiunsero
l’ingresso della fabbrica. Il grosso cancello sembrava
essere stato aperto con la forza bruta, ma a giudicare dalle sue
pessime
condizioni era chiaro che ciò fosse accaduto molto tempo
prima del loro arrivo
a Sub CIty.
Entrarono
nel perimetro della struttura, mettendo piede nel
fantomatico cortile dove avrebbero dovuto incontrare il ragazzo. Una
fitta rete
di tubature e passerelle sopraelevate passava sopra le loro teste,
diramandosi
in tutte le direzioni e coprendo praticamente tutta l’area,
per poi smarrirsi
all’interno dei grossi edifici grigi.
Procedettero
rallentando il passo, guardandosi attorno con la massima
attenzione, fino a quando non udirono una voce molto familiare
chiamarle: «Ehi!
Amalia, Rachel!»
Le due
ragazze si voltarono verso la medesima direzione e videro
sbucare fuori dall’ombra la figura di una persona che
riconobbero all’istante.
«Lucas!»
«Rosso!»
Corvina
si sentì parecchio sollevata quando lo vide. Certo, era
ancora
infuriata per come se n’era andato senza dire nulla a
nessuno, però se non
altro sembrava stare bene.
Amalia
invece non sembrava dello stesso avviso. «Rosso!»
esclamò
ancora, portandosi le mani sui fianchi, accigliata. «Ma che
cosa diavolo ci
facciamo qui?! E dove sei stato per tutto questo...»
«Sentite,
non ho molto tempo» la interruppe lui, zittendola.
«Dovete
seguirmi e sbrigar... ma ci siete solo voi due? E Tara e
Ryan?»
«Ti
aspettavi che li avremmo fatti venire con noi in questo posto,
dopo il tuo strano comportamento?» domandò
Komand’r incrociando le braccia,
fredda.
Il
ragazzo dischiuse le labbra. Sembrò che stesse per replicare
qualcosa, poi liquidò la faccenda con un gesto secco della
mano. «Ah, al
diavolo. Forza, seguitemi.»
Cominciò
a correre, diretto verso una delle tante stradine che
conducevano verso i meandri della fabbrica. Amalia e Rachel lo
seguirono con lo
sguardo, per poi guardarsi tra loro perplesse. Una voce nella testa
della
corvina le suggerì che qualunque cosa Lucas stesse tramando,
era tremendamente
stupida. Ma aveva
altre scelte?
Con un
sospiro, partì all’inseguimento del partner. E
anche Amalia le
venne dietro senza dire una parola.
Più
seguiva il ragazzo, più Rachel si convinceva che quella
fabbrica
desolata e isolata dal resto dell’universo era proprio il
luogo ideale per una
rapina, uno stupro o una violenza ai danni di tutti loro, fino a quando
non raggiunsero
un parcheggio e si fermarono di fronte ad un furgone nero, spento.
Sulla
fiancata era verniciato un marchio giallo-arancione, costituito dalle
lettere
U, D e G incatenate tra loro. Un’aquila
del medesimo colore si stagliava alle loro spalle, distendendo le ali e
le
osservandole con il suo muso privo di tratti quasi come se stesse per
agguantarle con i suoi artigli. Vide Lucas avvicinarsi ad esso e aprire
le
porte posteriori, per poi farle cenno di avvicinarsi.
«Lucas,
ma cosa...» La corvina si avvicinò, seguita a
ruota da Amalia,
e non appena vide cosa il partner volesse mostrarle, sgranò
gli occhi.
Il retro
del veicolo... era straripante di dispenser pieni di
provviste, acqua, coperte, fucili d’assalto e perfino delle
casse di birra.
«Ok,
Rosso...» cominciò Amalia, interdetta, senza
staccare gli occhi
da tutta quella roba. «... comincia a spiegare.»
«Dopo.
Ora aiutatemi a scaricare tutta questa roba.» Lucas
salì sul
furgone e sollevò una cassa di birre, per poi voltarsi verso
di loro, questa
volta accigliato. «E datevi una mossa, visto che siamo solo
in tre...»
«Ma
perché tanta fretta? E non
potevi portare questo furgone fino al nostro magazzino?»
insistette ancora la
mora.
Lucas
sbuffò esasperato, scendendo e posando la cassa.
«Ma non
potresti startene zitta per una volta e aiutare?!»
domandò, mentre saliva una
seconda volta e raccoglieva una cassa con dell’acqua dentro.
«Ha
ragione, Lucas» si intromise Rachel, fermando Komi con un
cenno
della mano, prima che replicasse a tono. «Non puoi chiederci
di aiutarti in
questo modo dopo che sei sparito per tutto il giorno, è
assurdo!»
«Ok,
volete una spiegazione?» domandò lui a quel punto,
cominciando ad
alterarsi. Scese e posò pesantemente a terra la seconda
cassa. «Ho rubato
questo furgone a delle persone a cui non avrei mai dovuto rubarlo,
è probabile
che sopra ci sia piazzato un localizzatore ed è altrettanto
probabile che in
questo momento stiano triangolando la sua posizione, con noi qui
vicino. Vi
basta, o devo raccontarvi tutti i dettagli?»
Rachel
sentì le proprie orecchie fischiare quando finì
di udire quelle
parole. Rimase a bocca semiaperta, non sapendo nemmeno da dove
cominciare.
Dovette di nuovo dare merito alla vocina nella sua testa. Ancora una
volta ci
aveva azzeccato.
«Tu
cosa?!» lo interrogò Amalia con la voce
più alta di un’ottava,
atterrita.
«Te
l’ho appena spiegato. E adesso forza, datemi una
mano.»
Le due
ragazze si guardarono tra loro, mentre Rosso ricominciava a
scaricare la merce. «Non appena avremo finito farò
sparire il furgone, cosicché
non possano più risalire a noi. Semplice, no?»
Corvina
sospirò. Non era più in vena di discutere.
«Va bene,
sbrighiamoci...»
Fece per
salire sul furgone, quando diversi rumori provenienti dalle
loro spalle la fecero trasalire. Sembrava il rombo di diverse
automobili.
Si
voltò. Una mezza dozzina di luci provenienti dalla strada
dalla
quale erano arrivati la abbagliarono. Dei fanali.
«Che
sta succedendo?!»
La
risposta che udì dal ragazzo non le piacque per niente.
«Oh-oh...»
Cinque
fuoristrada grigi scuri apparvero alla loro visuale.
Viaggiavano talmente veloci che sembrava quasi che li volessero
investire
tutti, ma all’ultimo momento frenarono bruscamente,
fermandosi ad una trentina
di metri di distanza da loro tre. Sulle loro fiancate, Rachel
notò un simbolo
arancione che già aveva visto. Il suo cervello non ci mise
molto a fare due più
due.
Dai
veicoli scesero una decina di uomini, tutti armati fino ai denti,
con indosso un’uniforme mimetica grigia scura e giubbotti
antiproiettile. La
prima cosa che fecero una volta tutti radunati fu quella di dirigersi
verso i
tre ragazzi bracciando le armi. Alcuni di loro avevano i volti coperti
da dei
passamontagna, altri invece no, ma una cosa era certa: nessuno di loro
sembrava
avere buone intenzioni.
E quando
Rachel notò le lettere UDG stampate sui loro petti,
capì che
erano finiti in un bel guaio.
Quei tizi
non erano affatto come i Visionari di Dreamer, i Mietitori o
gli Spazzini. Erano chiaramente ad un livello superiore. Non erano una
banda di
criminali qualsiasi, sembravano un’organizzazione
paramilitare.
«Qualcuno
è venuto a reclamare la sua roba...»
mugugnò Amalia, prima
osservando i nuovi arrivati, poi scoccando un’occhiata
omicida a Lucas.
Il
ragazzo serrò la mascella, poi notò la mora
mentre alzava le mani
in segno di resa. «Che diavolo fai?!»
sussurrò.
«Aspetto
che la Roth ci tiri fuori da questo casino...»
«Cosa?!»
domandò la corvina, perfino più sorpresa di Red
X.
«L’hai
fatto con Dreamer, non vedo come tu non possa farlo anche con
loro...»
«Lo
so, ma...» Rachel si interruppe, poi sospirò. Per
la milionesima
volta fu costretta a porsi il solito quesito: aveva altra scelta? O
faceva
qualcosa, o si facevano tutti ammazzare. Dubitava che quei tizi li
avrebbero
dato una pacca sulle spalle e li avrebbero lasciati andare se
riavessero
consegnato loro il furgone.
Che ha
rubato Lucas..., pensò,
mentre una smorfia nasceva sul suo viso.
Inspirò,
poi abbassò il capo e cominciò a prepararsi.
Sentì i passi
degli uomini farsi sempre più vicini. Una voce
parlò: «Voi tre!» Il timbro era
grave, sicuramente era uno degli individui di fronte a loro.
«Siete in un’area vietata
all’accesso, state infrangendo il coprifuoco e avete rubato
uno dei nostri
furgoni, arrendetevi immediatamente e...»
Non
concluse la frase. Rachel sollevò la testa di scatto,
gridando a
pieni polmoni e allargando le braccia. La stessa esplosione nera che
aveva
usato contro i Visionari si attivò, scaraventando tutti gli
uomini di fronte a
lei a terra.
«È
una Conduit!» gridò uno di loro, rialzandosi in
piedi poco dopo e
puntandole addosso il fucile. «Uccidiam...»
Un raggio
nero lo centrò in pieno petto, mettendolo a tacere. E uno
era sistemato. Restavano gli altri dieci.
Rachel
cercò di sfruttare il vantaggio e di colpirli mentre erano
ancora a terra, ma riuscì a metterne fuori gioco soltanto
uno. Tutti gli altri
riuscirono a rialzarsi e a correre ai ripari dietro ai loro
fuoristrada, per
poi rispondere al fuoco.
Una
muraglia di pallottole si abbatté sui tre ragazzi. Lucas e
Amalia
si ripararono dietro al furgone, mentre Rachel si trasformò
in rapace e si
sollevò in aria, schivando la raffica mortale.
Cercò
di aggirarli. I proiettili fischiavano accanto a lei, altri la
colpivano perfino, ma per lei fu come ricevere una puntura di zanzara.
Fastidiosa, anche un po’ dolorosa, ma non mortale. Certo, se
l’avessero
crivellata per dei minuti interi anche lei sarebbe morta, ma fino a
quando
avrebbe continuato a volare non avrebbe corso rischi troppo gravi.
Il buio
della notte alimentava il suo potere, e il corpo da rapace era
una garanzia contro le armi degli uomini.
Li
aggirò e scese in picchiata su uno di loro. Quello
gridò quando
vide la figura nera precipitarsi su di lui. cercò di
respingerla, ma la ragazza
fu più veloce e lo colpì con quanta
più forza possedesse, spedendolo contro la
portiera di uno dei cinque veicoli e accartocciandola.
Concentrò
poi la sua attenzione sugli altri, giusto un secondo prima
che due di loro crollassero a terra all’improvviso. Rachel si
voltò e notò con
enorme sorpresa Amalia con un fucile d’assalto in mano, con
la canna ancora
fumante.
A quel
punto, gli UDG rimasti non seppero più da che parte
voltarsi.
Lucas
piombò fuori dal nulla all’improvviso e ne
atterrò altri due.
Gli ultimi rimasti cercarono allora di sparargli, ma Rachel si
avventò su di
loro, colpendone alcuni o distraendoli e lasciandoli in piena balia di
Red X e
del fucile di Komand’r.
Non
appena tutti gli uomini furono sistemati, un silenzio irreale si
generò.
«E
questi pagliacci chi credevano di spaventare?»
domandò Amalia,
avvicinandosi ad uno dei corpi e punzecchiandolo con la punta del
piede.
Ridacchiò. «Idioti...»
Rachel
sospirò. Non se la sentì di dire alla compagna
che se lei non
fosse stata una conduit, probabilmente non sarebbero riusciti a
scamparla. E
inoltre, la situazione era molto più grave di quello che
sembrava.
Ora
sì che l’avevano fatta grossa. Avevano appena
eliminato quegli
uomini, rubato uno dei loro furgoni e perfino fatta franca. Dubitava
che le
loro azioni sarebbero passate inosservate a persone di rango maggiore
rispetto
a quei tizi che aveva appena sconfitto.
«Tutto
ok Rachel? Ti hanno colpita?» le domandò Lucas
all’improvviso,
facendole distogliere l’attenzione da quei pensieri.
La
ragazza si voltò verso di lui, rivolgendogli un cenno del
capo. «Sto
bene, tranquillo.»
Il suo
socio annuì, per poi sgranare gli occhi
all’improvviso. «Attenta
alle spalle!»
«Cos...»
Rachel si voltò sorpresa, per poi essere colpita in pieno
volto dal calcio di un fucile. Gridò di dolore e cadde a
terra, coprendosi il
naso con una mano.
Sollevò
lo sguardo e vide la canna dell’arma puntata contro di lei,
più lo sguardo infuriato dell’uomo che la teneva
in mano. Lo vide avvicinare il
dito al grilletto, ma Lucas piombò su di lui
all’improvviso, disarcionandolo e
sferrandogli un pugno.
Quello
mugugnò di dolore e barcollò, il fucile gli cadde
di mano, ma
ci mise poco a riprendersi. Evitò un altro colpo di Rosso,
poi afferrò il
ragazzo per le spalle e lo scaraventò contro la portiera di
uno dei
fuoristrada, distruggendo un finestrino. Si fiondò su di lui
e cominciò a
riempirlo di pugni allo stomaco, facendogli emettere dei versi
soffocati ad
ogni colpo.
Lucas si
liberò da quella situazione colpendolo con una testata sul
naso. Si separarono dalla macchina e cominciarono a scambiarsi un colpo
dietro
l’altro.
Il
ragazzo afferrò l’uomo per l’orlo del
giubbotto e gli sferrò
diversi pugni, ma quello estrasse fulmineo un coltello da una fondina
legata al
suo fianco e trafisse il braccio del ragazzo.
Red X
gridò per la sorpresa ed indietreggiò, tenendosi
il braccio
martoriato. L’UDG sollevò il coltello macchiato di
rosso in punta e fece per abbatterlo
su di lui.
Rachel
sgranò gli occhi e cercò di rimettersi in piedi
per scongiurare
la catastrofe imminente, quando una raffica di esplosioni
detonò
all’improvviso. Il coltello cadde a terra con un tintinnio e
l’individuo
stramazzò al suolo urlando di dolore e con diversi fori di
proiettile sul
braccio e sul fianco.
Corvina
sentì il proprio cuore ricominciare a battere. Si
voltò. Amalia
abbassò il fucile in quello stesso istante, per poi
osservare Lucas. «Dannazione
Rosso, perché ti sei messo in mezzo? Non riuscivo a prendere
la mira!» La sua
voce sembrava scocciata, ma il suo sguardo invece sembrava sollevato.
«Fottiti»
replicò il ragazzo, sopprimendo una smorfia di dolore mentre
stringeva la presa attorno all’arto ferito. Fiotti di sangue
vermiglio
filtravano tra le dita della sua mano, mentre la teneva premuta sulla
ferita. «Stava
per sparare a Rachel, dovevo agire in fretta...»
«Non
dovevo abbassare la guardia, è stata solo colpa
mia...» si auto
rimproverò la corvina, mentre si rimetteva in piedi e
guariva la ferita del
moro. Fu tuttavia bello sotto certi punti di vista sentire come il
ragazzo si
fosse preoccupato per lei.
«Non
ci pensare» la rassicurò Lucas, una volta guarito,
appoggiandosi
contro un fuoristrada per poi osservare l’UDG che a terra si
contorceva e
mugugnava per il dolore. «È stata colpa di tutti.
Abbiamo sottovalutato
l’avversario.»
Rachel
annuì, senza rispondere. Il ragazzo aveva ragione,
dopotutto.
Lei non si sarebbe mai aspettata che uno di quegli uomini si potesse
rialzare
così in fretta dopo essere stato colpito da uno dei suoi
attacchi.
«Beh,
ora l’avversario è a terra» disse Amalia
avvicinandosi. «E noi
invece...»
«Non
la farete franca...» biasciò l’uomo
all’improvviso, con voce
roca.
I ragazzi
trasalirono, mentre quello si metteva faticosamente a
sedere, premendosi una mano sul fianco. Si trovava esattamente in mezzo
a tutti
loro e faceva vagare lo sguardo su ciascuno dei tre, ad alternanza.
Aveva il
fiato grosso e stava perdendo parecchio sangue, era chiaro che non
sarebbe
durato ancora a lungo senza medicazioni. «Vi siete messi
contro le persone
sbagliate. Il nostro capo ve la farà pagare molto cara. Gli
Underdog vi daranno
la caccia. Non arriverete alla settimana prossima...»
«Un
momento, sareste voi i famigerati Underdog?»
domandò Amalia, quasi
con tono divertito. «Vi dipingono come i tiranni della
città e poi vi fate
sconfiggere così da tre ragazzini?»
«Sì,
ridi finché puoi...» la minacciò
l’uomo, serrando la mascella. «Quando
il nostro capo ti chiuderà nel suo laboratorio implorerai la
nostra pietà! Vi
farà rimpiangere di essere nati, ve lo posso
garantir...»
«Sai
che c’è?» lo interruppe
Komand’r all’improvviso, chinandosi di
fronte a lui. Lo colpì con forza su una tempia con il calcio
del fucile,
facendolo stramazzare al suolo e mettendolo a tacere con un gemito.
«Mi hai
rotto.»
Si rimise
in piedi, dandosi una spolverata veloce ed una sistemata ai
capelli, per poi guardare Lucas, il quale la osservava a bocca aperta a
sua
volta, imitato da Rachel.
«M’beh?
Che avete da guardare?» domandò lei, sollevando le
spalle.
«Niente,
niente...» rispose Lucas, con tono quasi intontito. Si
schiarì la voce, poi proseguì.
«D’accordo, sarà meglio levarci dalle
scatole
prima che ne arrivino altri, forza, svuotiamo quel dannato
furgone.»
Rachel
annuì. Fece per muoversi, quando un guizzo di luce blu a
malapena percepibile apparve nella periferia più remota del
suo campo visivo.
Si voltò di scatto, sussultando. Non vide nulla.
«Rachel,
che succede?» le chiese Lucas, allarmandosi di nuovo.
«Hai
visto qualcosa?»
«Io...»
La corvina esitò. Ne era sicura al cento percento, aveva
visto
quel bagliore blu, in lontananza tra i meandri della periferia
industriale. Era
stato un lampo, qualcosa di minuscolo, insignificante, qualcosa che
nessun
altro avrebbe mai notato, qualcosa che avrebbe fatto dubitare chiunque
della
sua veridicità. Ma lei lo aveva visto.
Rimase
ferma, ad osservare quel punto, facendo vagare lo sguardo alla
ricerca di eventuali, ulteriori, segnali, ma ancora non vide nulla.
Fu solo
quando si accorse di essere osservata dagli altri due, che
decise di lasciar perdere. Sospirò. «Niente. Non
ho visto niente.»
Per la gioia di pochi,
rieccoci all'angolo delle cose inutili che più inutili non
si può!
Sì, perché se state pensando "ehi, ma quello
è l'angolo dell'autore, di sicuro avrà qualcosa
di importante da dire!", allora vi sbagliate di grosso.
Scrivo questa roba solamente per dire le solite cose, spero che il
capitolo vi sia piaciuto e se trovate degli errori segnalatemeli,
grazie.
Non so, personalmente non sono molto convinto del finale, ho paura di
averlo fatto troppo affrettato. Ma non sapevo in che altro modo farlo,
quindi... boh, non so. Ditemi voi.
Ultimamente questa fic è passata un po' in secondo piano per
me, causa altri impegni (Psycho-Pass...) , ma spero che non si noti
troppo e che sia comunque rimasta sugli stessi livelli dell'inizio.
Spero di poter approfittare delle vacanze per dedicarmi di
più alla storia.
E voglio anche fare un grande annuncio: HoS ha raggiunto 20
preferenze!!
Sono stra felice per questo traguardo e ringrazio queste 20 persone che
hanno preferito quella storia, probabilmente la maggior parte di loro
nemmeno leggerà queste righe, anzi, nemmeno
leggerà questa storia, ma chissene, sono troppo felice
comunque.
E' un grande traguardo per me, considerando anche i gusti dei
lettori... è molto difficile trovare qualcuno concorde con
me, perciò vedere quel "20" sotto la voce "preferiti" mi
riempie di gioia.
Quindi grazie infinitamente, a loro e anche ai lettori di questa
storia. Spero che anche Infamous possa raggiungere un successo simile,
ma sì, lo so, "sogna Edo, sogna..."
E no, stranamente non ho nulla da precisare sulla trama di The
Darkness's Daughter. Leggete e vedrete. Ancora qualche capitolo un po' più lento e poi la situazione degenererà completamente!
Alla prossima!
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Capitolo 12 *** Essere umani ***
Capitolo
12: ESSERE UMANI
«È assurdo
Rachel! Non puoi andare avanti in questo modo!»
sbottò Jennifer, mentre
camminava avanti e indietro nella stanza, di fronte al letto su cui la
corvina
era seduta. Si fermò di colpo, per poi premersi le mani sui
fianchi e abbassare
lo sguardo su di lei. «Ehi, ma mi stai ascoltando?!»
«No...»
Rachel sospirò, abbracciandosi le ginocchia.
«Potete andarvene ora?»
«Rachel,
noi siamo qui per te» disse Karen, osservandola preoccupata
dall’altra parte
della camera.
«Non ve
l’ho mai chiesto.»
«Dannazione
a te, Roth!» esclamò la rosa, afferrandola per le
braccia e scuotendola. «Ti
vuoi svegliare?! Sono due giorni che non esci da questa stanza, tre se
consideriamo che ormai sono le undici di notte, gli altri sono
preoccupati!
Anche Richard lo è!»
La corvina
si lasciò scuotere dalla rosa come un pupazzo di pezza,
senza reagire. Neppure
sentire il nome del ragazzo che aveva amato le fece effetto. Ormai era
completamente sprofondata nell’apatia. Non le importava
più di nulla e di
nessuno.
Jennifer
continuava a parlare, a dire che gli uomini erano tutti degli idioti, a
dirle
di reagire, di fare qualsiasi cosa che non riguardasse il restare in
quella stanza,
ma Rachel a malapena la udiva.
Le parole
scivolavano su di lei e cadevano a terra, come gocce d’acqua.
O lacrime.
Una
reazione. Una qualsiasi reazione chiedevano da lei. Positiva o negativa
che
fosse. Per loro probabilmente qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di
vederla
così incurante. Ma non serviva a nulla. Per Rachel in quel
collegio era sempre
esistita solo una persona. E per lei quella persona era appena morta. E
con
lei, qualsiasi barlume di emozione che avesse mai provato.
«Roth?
Roth!» la chiamò ancora Jennifer, per poi
sospirare esasperata. «Sai che ti
dico? Arrangiati! Non vuoi il nostro aiuto? Bene, resta qui a
marcire!»
La rosa si
diresse a passo pesante verso la porta. «Karen, tu
vieni?»
L’afroamericana
parve esitare. Osservò prima Rachel, poi l’altra
ragazza. Alla fine decise di
seguire Jennifer, salvo poi fermarsi sull’uscio e rivolgere
un ultimo sguardo
alla corvina. «Ci sono tanti altri ragazzi nel mondo, Rachel,
alcuni sono pure
meglio di Richard, devi credermi. Devi solo avere pazienza. Troverai
anche tu
la tua anima gemella, te lo posso garantire.» Un sorriso si
dipinse sul suo
volto, ma svanì non appena si rese conto che nemmeno quelle
parole avevano
smosso l’interlocutrice. A quel punto, sospirò.
«Beh... buonanotte.» E anche
lei uscì.
La porta
fece per richiudersi alle sue spalle. Finalmente Rachel credette di
aver
trovato quella pace che aveva desiderato dal momento stesso in cui le
altre due
ragazze erano entrate in camera sua, quando un braccio si frappose di
colpo,
tenendo la porta aperta.
Un ragazzo
biondo fece capolino nella camera. «Ehm...
permesso?»
Garfield
entrò senza aspettare la risposta. Risposta che tanto non
sarebbe arrivata in
ogni caso. «Tutto ok Rachel?» domandò
lui, mentre si chiudeva la porta alle
spalle.
La corvina
sospirò. Era stanca di sentire quella domanda.
«Non eri nel Neon, da Tara?»
domandò, senza nemmeno guardarlo.
«Ehm, sì,
ma...» Gar arrossì, probabilmente ripensando a
chissà quali porcate avesse
fatto assieme alla fidanzata. «... sono tornato poco
fa’...»
«Potresti
coprirti quel succhiotto imbarazzante, per piacere?»
Il biondo
si portò di scatto una mano sul collo, avvampando
ulteriormente. Solo che si
coprì il lato sbagliato, lasciando comunque in bella vista
quella specie di
morso di vampiro che aveva sotto al mento. Rachel scosse
impercettibilmente la
testa, in segno di disappunto.
«Allora...
hai parlato con Richard?»
«Hai
imparato a farti gli affari tuoi, Logan?»
Il biondo
dischiuse le labbra, fece per replicare, ma poi si interruppe.
Abbassò il capo
e ridacchiò sommessamente.
Rachel lo
udì e strinse i pugni irritata. «Che
c’è di divertente?!»
«Niente,
niente...» Logan scosse la testa, tuttavia continuando a
sorridere. Sollevò lo
sguardo e piazzò i suoi occhi color foglia sulla corvina.
«È solo che... ci
manchi. Ci mancano le tue risposte seccate, ci manca la tua ironia, ci
manca il
tuo sarcasmo... il nostro gruppo non è più lo
stesso senza di te. Per favore
Rachel, devi uscire di nuovo... non puoi lasciarti abbattere
così per colpa di
una cottarella adolescenziale...»
«"Cottarella
adolescenziale"?!» domandò lei, tirandosi in piedi
serrando la mascella. «Pensi
che fosse solo questo?! Pensi che per colpa di una cottarella io mi
sarei
ridotta così?!»
«Penso solo
che il tuo modo di prendere la cosa sia sbagliato. Tutto
qui.» Gar si fece
serio all’improvviso. «Se avessi visto Tara baciare
un altro di fronte ai miei
occhi, non sarei rimasto fermo a piangermi addosso. Vuoi che Richard ti
noti?
Devi andare a parlargli, perché se pensi che sarà
lui a venire a cercarti
allora ti sbagli di grosso. Ormai per lui esiste solamente
Kori.»
«Ed è
proprio per questo che non ho intenzione di andare a
parlargli...» mormorò
Rachel, sedendosi di nuovo sconsolata, la rabbia di poco prima sfumata
nel
nulla all’improvviso. «Finirei solo con il sembrare
un’idiota...»
«Non puoi
saperlo finché non ci provi. Magari anche lui ti
ama.»
«Potrei
rovinare la nostra amicizia...»
«Esiste
ancora la vostra amicizia?»
Per la
prima volta da quando lo conosceva, Gar riuscì ad ammutolire
Rachel. La corvina
rimase interdetta. Osservò gli occhi del ragazzo,
realizzando che, per quanto
immaturo, era molto più sveglio di quello che sembrava.
«Ormai è
tardi, ma scommetto che domattina lo troverai a lezione»
disse ancora il
biondo, per poi voltarsi. «Fai la tua scelta. Ricordati solo
che, comunque
andranno le cose, tu hai ancora degli amici che ti vogliono
bene.»
E
senza dire altro, Logan uscì dalla stanza,
lasciandola sola con i suoi confusi pensieri.
Rachel non
seppe calcolare il tempo che passò rimanendo ad osservare la
porta chiusa della
sua camera. Fu solamente quando la stanchezza ebbe la meglio su di lei,
che
decise che mettersi a dormire era probabilmente l’unica cosa
sensata che le
rimaneva da fare in quel momento.
Lo scenario
cambiò all’improvviso.
La strada
era deserta. Il cielo arancione dava sfumature quasi inquietanti a
quell’ammasso gigantesco di mostri di cemento di fronte a
lui.
Procedeva
per la strada, zoppicando, mugugnando parole senza apparente
significato.
Teneva una bottiglia di alcolici avvolta in un sacchetto di carta in
una mano,
un coltello arrugginito nell’altra.
Empire non
era mai stata così deserta. Era irreale tutto quel silenzio.
Tutto ciò avrebbe
potuto essere parecchio turbante... se solo lui non fosse stato
così impegnato
ad essere arrabbiato.
«Branco di
idioti senza cervello...» rantolò con la sua voce
aspra, rivolto a tutti quei
cittadini che un tempo affollavano quelle strade. «... per
quale diavolo di
motivo sentivano tanto il bisogno di lasciare la città?
Tsk... che cosa ci sarà
di così bello, là fuori...»
Si fermò
per appoggiarsi ad un muro con una mano e prendere un altro sorso di
alcol. Lo
assaporò in ogni sua goccia, per poi separarsi dal collo
della bottiglia con un
verso di approvazione. «Credono che il mondo sia diverso,
oltre i ponti della
città... credono che la vita sia migliore, altrove... certo,
come fa ad essere
migliore se il governo ha appena deciso che tutto quanto deve essere
sotto il
suo controllo, che tutti devono essere suoi dipendenti?! Quei pezzenti
in
giacca e cravatta hanno realizzato che la popolazione mondiale non era
più
intenzionata ad obbedire a loro e PUF, ecco che iniziano le esplosioni,
le
quarantene, gli omicidi...
«Primogeniti,
Spazzini, Mietitori, Conduit... tutto è andato secondo i
loro piani. È successo
esattamente quello che volevano che accadesse. Caos, fame,
disperazione...
cosicché le persone si mettessero in ginocchio a piangere e
a pregare,
appellandosi a quegli stessi bastardi che credono di poter giocare a
fare Dio...
bah...»
Sollevò la
bottiglia per bene un altro lungo sorso. In quei giorni non aveva fatto
altro
che bere. In quel momento stesso, aveva nelle vene più vodka
che sangue. Ma non
aveva alcuna intenzione di fermarsi.
«Ma non
finirà così, certo che no...» riprese,
ripulendosi le labbra con la manica. «...
qualcuno la fuori capirà,
è solo
questione di tempo... la realtà è sotto gli occhi
di tutti, ma tutti sono così
ciechi e disperati che non se ne rendono conto... la nostra vita
è stata appena
sottratta dalle persone a cui ora noi ci stiamo appellando... e se ce
la
restituiscono, allora noi li ringraziamo, perché noi uomini
non siamo altro che
un ammasso di idioti. E loro l’hanno capito.» Una
risata amara uscì dalla sua gola.
«Ohh, accidenti se loro l’hanno capito...
«Dopotutto,
sono riusciti a tagliare ogni collegamento con l’estero, con
le altre città,
non c’è più comunicazione tra una
metropoli e l’altra da anni a questa parte, e
nessuno si è mai chiesto il perché. Soltanto noi
conduit potevamo davvero
scoprire cosa stava accadendo... ma siamo stati talmente idioti da
approfittare
dell’occasione per arricchirci, per rubare, per stuprare...
hanno studiato
tutto a tavolino. Ci reputiamo più intelligenti degli
animali, ma non è così.
Dai una birra ed una bella donna ad un uomo e quello si
comporterà come un
cagnolino al guinzaglio. Oppure togligli cibo, elettricità e
uccidi tutta la
sua famiglia... e il risultato sarà lo stesso, ma con
effetti decisamente
migliori.
«Vizia un
uomo, e quello diventerà pigro e chiederà sempre
di più, fino a quando non
diventerà una seccatura. Spaventalo... e ti
obbedirà ciecamente senza fare
storie.
«E ora
hanno riaperto i posti di blocco. Siamo liberi di andarcene... ma
andarcene
dove? A Sub City? A New Maries? A Washington? All’estero, con
le contraeree
pronte ad abbattere qualunque mezzo? Terroristi... sì,
certo. Bel lavoro
America, ancora una volta sei riuscita a fregare tutti quanti... se
solo avessi
ancora i miei poteri... giuro che me ne occuperei personalmente... e ho
anche
finito la vodka, che cazzo!»
Il vecchio
scagliò a terra il sacchetto, la bottiglia di vetro al suo
interno esplose in
migliaia di frammenti. Si massaggiò poi una tempia,
grugnendo infastidito. Che
schifo di vita, pensava. Un povero vecchio decrepito come lui costretto
a
sorbire tutta quella merda.
Aveva
bisogno di un’altra bottiglia. Immediatamente.
Brontolando
come solo lui sapeva fare, continuò a barcollare, diretto
verso il primo luogo
in cui avrebbe potuto trovare ciò che cercava.
L’unico lato positivo di vivere
da soli ad Empire era che poteva saccheggiare quanto voleva.
Ma non fece
molti passi.
«Ma tu
guarda chi si vede...» fece una voce
all’improvviso, una voce che il vecchio
non aveva mai sentito prima... ma lei invece sì.
Si voltò. Alle
sue spalle era apparso un ragazzo praticamente dal nulla. Era giovane,
sulla
ventina, con i capelli castani e una giacca nera. Il vecchio parve
piuttosto
spaesato dalla sua presenza. Lei, invece, sentì il fiato
mancarle. Il che
poteva essere una cosa possibile quanto impossibile, per quello che ne
sapeva.
Il campanello d’allarme nella sua testa cominciò a
trillare senza sosta. Ma non
poteva fare nulla. Lei non era lì. Poteva solo osservare,
impotente.
«E tu chi
cazzo sei?» mugugnò il vecchio con voce stridula,
sorpresa. Sollevò il
coltello, puntandolo verso il nuovo arrivato. «Ti avverto, se
sei in cerca di
grane allora capiti nel momento sbagliato!»
Il ragazzo
parve trovarlo divertente, perché anziché
apparire intimorito ridacchiò. «Tranquillo,
non voglio guai. Dopotutto, non potrei mai attaccare briga un
gentiluomo del
tuo calibro, Hank.»
«Come sai
il mio nome?!»
«So molte
cose di voi Spazzini» spiegò il ragazzo,
sorridendo. Una strana luce tuttavia
balenò nei suoi occhi, scontrandosi nettamente con
l’aria rassicurante che
cercava di ostentare. «Tu eri uno dei pezzi grossi, secondo
solo al grande
Alden e pochi altri.»
«Beh...
grazie» rispose il vecchio, compiaciuto. Era sbronzo, ma i
complimenti riusciva
ancora a comprenderli bene.
«Dimmi, che
cosa ci fai ancora qui, in questa città dimenticata da
Dio?»
«Una
manciata di fatti miei» mugugnò Hank, tornando
immediatamente burbero. «Potrei
farti la stessa domanda!»
Un’altra
tenue risata provenne dalla gola del giovane. «Hai ragione.
Allora, permettimi di
domandarti un’altra cosa. Ho sentito il tuo splendido
monologo, sul serio, da
far invidia ai più grandi filosofi...»
«E allora?»
«... e mi è
parso di capire che sei rimasto senza i tuoi poteri, ho
ragione?»
«E allora?!»
ripeté Hank, agitando la lama arrugginita. «Posso
ripassarti a dovere anche
senza!»
«Sì, non ne
dubito.» Il ragazzo congiunse le mani, sorridendo al vecchio
quasi come se in
realtà lo trovasse buffo. «Volevo solamente
domandarti come mai non ce li hai
più. Li hai persi in qualche modo?»
«Ascolta
moccioso, perché non vai a comprarti una scatola di
preservativi, così puoi
andare a farti fottere in tutta sicurezza? Non ho alcuna intenzione di
perdere
altro tempo con te!»
Lo Spazzino
gli diede le spalle con l’intenzione di andarsene, ma non
appena si voltò si
ritrovò di fronte un altro ragazzo, questo con il cappello a
visiera e una
maglietta dalle maniche corte bianche. Sgranò gli occhi.
«Hai
fretta, Hank?» domandò quello, accendendosi una
sigaretta.
«E tu chi...»
«Ti ha
fatto una domanda, rispondi.» Lo interruppe quello, indicando
con la sigaretta
il castano con la giacca.
Hank si
voltò di nuovo. Guardò prima l’uno, poi
l’altro, spaesato. Non ci stavano
capendo più nulla, né lui, né lei.
«Tanto, che
altro hai da fare? Non c’è più molto di
interessante, in questo buco di città...»
proseguì Kevin, soffiando del fumo sogghignando.
«Se vuoi un po’ di dolce
compagnia, ti consiglio di visitare New Maries... là
sì che sanno come
spassarsela...»
Lo
Spazzino esitò. Strinse la presa attorno al
coltello, poi la allentò tutta ad un tratto.
Abbassò l’arma, per poi tornare a
guardare il ragazzo più alto. «Ma si
può sapere chi diavolo siete e che cosa
diavolo volete da un povero vecchio?!»
«Solamente
la risposta alla mia domanda» spiegò il castano,
pazientemente. «Hai idea di
come hai fatto a perdere i tuoi poteri?»
«No» sbottò
Hank, irritato. «So solo che prima di affrontare quei tre
marmocchi ancora ce
li avevo. Dopo nulla.»
«Mh...» Il
giovane si prese il mento, riflettendo. «Per caso i tre
marmocchi erano due
ragazzi e una conduit?»
«Sì, loro!»
esclamò il vecchio, pestando un piede a terra. «La
sgualdrina con il fucile, il
bastardo pulcioso e la stronza che si trasformava in uccello! Avevo
assemblato
un automa con la telecinesi, poi l’hanno fatto saltare in
aria! Dopo volevo
fargliela pagare, ma...»
«Sì, ho
capito...» lo interruppe il ragazzo, con un gesto secco della
mano. «Nient’altro?
Non hai proprio nessuna teoria? Niente di niente?»
«Diamine,
sei sordo o cosa? Ho appena detto che l’unica cosa che so
è che...»
«Va bene,
va bene, non serve ripeterlo.» Il ragazzo sospirò,
scuotendo leggermente il
capo. Per la prima volta, parve quasi irritato. «E
com’è successo? Come hanno
fatto a distruggere il tuo automa?»
«La
ragazzina conduit» borbottò il vecchio,
cacciandosi un dito nell’orecchio. «Ha
sovraccaricato
l’armatura con i suoi poteri fino a farla collassare... devo
ammettere che è
stata sveglia, nessun altro ha mai usato questa strategia per... ehi,
mi stai
ascoltando o no?»
Il castano
si era preso il mento, per riflettere, e sembrava non prestare
più alcuna
attenzione alle parole dello Spazzino. «Mh...
interessante...» commentò, per
poi alzare lo sguardo. «Grazie vecchio, sei stato
d’aiuto.»
«Ora posso
andarmene?» domandò lo Spazzino, per poi sollevare
il coltello. «Oppure devo
usare le maniere forti?!»
Il castano
lo ignorò bellamente, spostando lo sguardo sul suo compare.
«Con lui abbiamo
finito Kev, sai cosa fare.»
Il vecchio sgranò
gli occhi. Udì un rumore provenire dalle sue spalle. Si
voltò verso il
ragazzino con il cappello, per poi ritrovarsi una pistola puntata
addosso. «Ma che
diav...»
«Nulla di
personale, nonno. Ci vediamo.»
Lo sparo fu
assordante.
***
Rachel si
svegliò di soprassalto, portandosi d’istinto una
mano sul
petto.
Abbassò
lo sguardo, annaspando. Allargò il colletto della maglietta
e
si esaminò, cercando tracce si sangue e un foro che
naturalmente non potevano
esserci. E quando realizzò ciò, si
lasciò ricadere sul materasso con un enorme
sospiro.
«Cazzo...»
mugugnò, esausta.
L’ultima
cosa che avrebbe mai chiesto... l’aveva avuta. Altri sogni
strani. Altri incubi, per meglio dire.
E questa
volta non riguardavano solamente i suoi flashback o le sue
strane visioni. Di nuovo lui. Di nuovo Kevin, e questa volta anche
quell’altro.
Com’era possibile tutto ciò?
Come
diavolo ci era arrivato Kevin ad Empire, se da Sub City non si
poteva uscire? E perché erano andati proprio da quello
Spazzino? E perché lei
sognava di essere proprio nel corpo dello stesso Spazzino?!
Vedeva
dai suoi occhi, udiva dalle sue orecchie, percepiva le sue
emozioni. Era come se si fosse trovata nella sua testa. Aveva sentito
alla
perfezione la rabbia da lui provata mentre era immerso nel suo
monologo, la
sorpresa quando aveva incontrato i due ragazzi e per finire la paura
quando si
era ritrovato puntato contro la pistola. Non era stato molto bello, per
lei,
vivere quest’ultimo attimo. Quando quel sogno si era
interrotto, insieme allo
sparo, la corvina si era sentita come se qualcosa dentro di lei si
fosse
spezzato. Tutto ciò le infondeva una profonda inquietudine.
Le venne
da piangere. Avrebbe pagato qualsiasi cifra pur di sapere che
cosa diavolo le stava succedendo. Di una cosa, tuttavia, era abbastanza
sicura:
non avrebbe più sognato di impersonare quell’Hank.
Chiuse
gli occhi e sospirò, cercando di calmarsi. Forse era giunta
l’ora di parlare con qualcuno di ciò che aveva
appena visto. Forse. Con tutto
quello che era successo nelle ultime ventiquattro ore, dubitava che
fosse la
cosa migliore da fare. Con la storia degli Underdog, dei Visionari, di
Dreamer,
di tutto quanto, l’ultima cosa che ci voleva erano ulteriori
grattacapi.
I raggi
del sole mattutino filtravano dalla finestra, illuminando la
stanza in cui si trovava, un vecchio ufficio con scaffali, archivi e
scrivanie
vuote, in cui aveva portato uno dei materassi che Ryan e Tara avevano
trovato.
Si
rannicchiò sotto la coperta firmata UDG, sbadigliando.
Nonostante
fosse giorno, aveva ancora una gran voglia di dormire. Non
perché fosse pigra,
lei non lo era mai stata, era semplicemente esausta.
Dopo la
sera prima, dopo aver sconfitto gli Underdog e dopo aver
scaricato il furgone e portato al magazzino tutta la roba, si era
praticamente
buttata su quel giaciglio, senza più l’apparente
intenzione di alzarsi. Era a
pezzi.
Ma per
quanto ci provasse, il sonno non sembrava intenzionato a
tornare.
Improvvisamente
le ritornò in mente la discussione avuta con Logan,
nel sogno. Un profondo senso di amarezza la investì quando
ripensò a quelle
parole. Anzi, non solo. Anche quando ripensò a come si era
comportata dopo aver
ricevuto l’enorme delusione da Richard. Quando Jennifer e
Karen cercavano di
consolarla e lei per ringraziarle non dava loro alcuna considerazione.
Quando
aveva fatto preoccupare i suoi amici a tal punto che erano andati a
prenderla
quasi di forza, e lei aveva comunque rifiutato di uscire con loro.
Ci aveva
messo almeno una settimana per superare quel momentaccio. Che
stupida.
Garfield,
Victor, le ragazze, loro volevano soltanto il suo meglio. E
lei li aveva sempre rifiutati. Solamente dopo averli persi
nell’esplosione
aveva realizzato quanto importanti fossero per lei.
Hai ancora
degli amici che ti vogliono bene.
Queste
erano state le parole di Logan. Queste erano state le stesse
parole di cui mai aveva capito il vero valore. Le parole che avrebbe
per sempre
ricordato e rimpianto.
Per colpa
di Richard lei aveva... no, non era stata solo colpa di
Richard. Era stata anche colpa sua. Non avrebbe mai dovuto passare
tanto tempo
a piangersi addosso, avrebbe dovuto sfruttare ogni singolo istante
della sua
permanenza al collegio con i suoi amici. Avrebbe dovuto goderseli,
sorridere
più spesso, ridere, più spesso.
Trovare
un altro ragazzo, come Karen le aveva suggerito, magari.
Quello l’avrebbe aiutata parecchio.
E
invece... non aveva fatto altro che pensare all’unica persona
che in
quel momento costituiva una delle tante minacce in cui lei e i suoi
compagni di
viaggio avrebbero potuto incontrare.
La sera
prima, il bagliore blu che aveva visto. Non ne era sicura al
massimo, ma era abbastanza certa che fosse una delle scie luminose che
i
Mietitori conduit si lasciavano dietro. E quella era un’altra
delle cose
peggiori che potessero accadere.
Se
Richard e i suoi fossero arrivati a Sub City a loro volta
probabilmente si sarebbe avverato uno degli scenari più
sgradevoli che Rachel
avrebbe mai potuto immaginare.
Come se
non bastasse, anche le parole di Hank, prima che ci lasciasse
le penne, l’avevano lasciata basita. Poteva semplicemente
essere stato il
delirio di un uomo sbronzo, il suo, tuttavia... non sembravano solo
parole
campate all’aria.
Non lo
sapeva, ora che lo Spazzino era morto probabilmente non lo
avrebbe mai saputo. Forse non lo avrebbe mai saputo in ogni caso. Di
una cosa
era certa, però: qualunque cosa era successa ad Empire,
riguardava molte più
persone di quante ne potesse immaginare. Qualcosa che non riguardava
solo la
sua città o Sub City, qualcosa che forse... riguardava il
mondo intero.
Le
tornò in mente la telefonata che Tara aveva fatto al
fratello,
giorni prima, alla quale non aveva avuto risposte. Se non ricordava
male, la
famiglia della Markov viveva all’estero. E suo fratello era
irraggiungibile.
Che fossero davvero stati tagliati tutti i mezzi di comunicazione tra
America e
gli altri continenti? O era solo una coincidenza? L’ennesima,
coincidenza?
Avrebbe
dovuto chiedere alla stessa Tara se aveva ancora avuto notizie
di Brion. Se non altro, si sarebbe tolta uno dei tanti fastidi che la
tormentavano.
Lo
stomaco le brontolò all’improvviso, facendo
nascere una smorfia sul
suo volto. Poi si ricordò che di cibo ce n’era in
abbondanza, dopo la sera
precedente. A quel punto si sentì più serena.
Visto che
dormire era fuori discussione ormai, decise di alzarsi per
andare a fare colazione.
Ringraziò
di essersi portata quello zainetto con i cambi di vestiti,
mentre si spogliava, sostituendo il pigiama improvvisato con i suoi
classici
jeans e felpa.
Si
assicurò di avere con sé la fotografia di sua
madre e il cellulare,
poi scese le scale, giungendo al piano di sotto. Non appena
girò l’angolo per
dirigersi all’area relax, rimase a bocca aperta.
Vide
Amalia e Tara in piedi, poco lontane la lei. La mora si trovava
dietro alla bionda e le stava tenendo una mano su un fianco e
l’altra sotto la
coscia, sorridendo.
Per un
momento la corvina pensò che la stesse palpando, o che
stesse
comunque facendo un qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione, poi
notò la
pistola che Tara stringeva fra le mani, puntata verso un bersaglio
immaginario.
«Ecco,
ora piega un po’ di più le gambe» disse
intanto Komand’r,
facendo una leggera pressione sul ginocchio della bionda.
«Aspetta, sei troppo
tesa, rischi di farti male se spari in questa posizione»
proseguì, correggendo
ancora una volta la sua postura. «Ok, ora va meglio. Distendi
anche un po’ le
braccia...»
A quel
punto Rachel capì. Amalia stava semplicemente illustrando
alla
Markov come si impugnava correttamente una pistola. Forse Tara aveva
deciso di
volersi finalmente mettere in gioco, e stava apprendendo un
po’ di nozioni
base.
«Quando
stai mirando, trattieni il fiato. Così ridurrai
l’oscillazione
del corpo causata dalla respirazione e sarai più
precisa» disse ancora la mora.
«Non appena vedi il bersaglio esattamente in mezzo alle due
stanghette, e la
stanghetta in mezzo sul bersaglio, premi il grilletto e sarai certa di
non
sbagliare. Ovviamente il contraccolpo sarà forte, per te che
non hai mai
sparato soprattutto. Ti sconsiglio pistole come la Magnum o la Desert
Eagle.
Potresti romperti un braccio impugnandole nel modo sbagliato. Come dico
sempre
io, sparare la prima volta è come perdere la
verginità: più la pistola è
grossa, più c’è il rischio di farsi
male.»
A Tara
scappò una risata quando udì quelle parole.
Spostò lo sguardo
sulla compagna, senza modificare tuttavia la sua postura. «Ho
afferrato...»
Anche
Amalia ridacchiò per un breve momento, per poi tornare ad
immergersi nelle sue spiegazioni. «La M9 è una dei
migliori compromessi tra
stabilità, precisione, danno e capienza» disse,
indicando la pistola nera tra
le mani della Markov. «Quella te la puoi tenere, se vuoi.
Tanto ne ho altre...»
«Capito.
Grazie» rispose la bionda, abbassando l’arma e
assumendo una
posizione più normale. Sorrise poi alla sorella di Ryan.
«Certo che ne sai
parecchie tu, eh?»
La mora
scrollò le spalle, anche se parve comunque compiaciuta da
quell’affermazione. «Ho imparato un paio di cose,
sì... sai com’è, dopo
l’esplosione o ti adattavi, o tiravi le cuoia. Io ho
preferito adattarmi, e
sono felice che anche tu abbia deciso di farlo.» Diede un
colpetto alla spalla
della Markov, sorridendo a sua volta. «Mi sarebbe dispiaciuto
vederti crepare
per prima...»
«Non
succederà. Ho una buona insegnante» rispose la
bionda,
strizzandole l’occhio.
Amalia
diede una spintarella scherzosa alla compagna. «Smettila,
così
mi fai arrossire...»
«Ma
è la verità» rispose l’altra
ragazza, dandole un pizzicotto su un
fianco.
«Ah!
Questa me la paghi!»
Cominciarono
entrambe a ridacchiare e a punzecchiarsi a vicenda,
ignare di essere osservate dagli occhi increduli di Rachel.
Corvina
non credeva di aver mai visto qualcuno così... sereno, dopo
tutto quello che era successo in quei mesi. Non riusciva davvero a
spiegarsi
come facessero quelle due ragazze a divertirsi in quel momento.
Improvvisamente,
ebbe una visione. Al posto di Amalia e Tara, c’erano
Jennifer e Karen che ridevano. Erano loro, lì, di fronte a
lei. Come se
l’esplosione non le avesse mai portate via, come se il mondo
non fosse crollato
di fronte ai suoi occhi.
A quel
punto capì.
Tara e
Amalia erano due ragazze tanto quanto Karen e Jennifer.
Potevano vivere in situazioni, mondi, completamente differenti, ma la
loro
natura era comunque la stessa.
Potevano
sembrare entrambe tese, preoccupate, a causa di ciò che
avevano vissuto ad Empire. Ma erano comunque delle adolescenti.
Ridevano,
scherzavano, sorridevano. Erano esseri umani. Erano persone.
E in quanto tali, non rinnegavano ciò che erano solo a causa
di un periodo buio
delle loro vite.
Avevano
avuto un piccolo momento di pace, e lo avevano accolto a
braccia aperte. Per pochi minuti, avevano semplicemente deciso di
essere loro
stesse, di dimenticare ciò che era accaduto e ciò
che le aveva costrette a
trovarsi in quel magazzino, in una città ostile, costrette a
lottare per
vivere.
Non erano
come Rachel. Non pensavano solo al lato negativo delle cose.
E avevano pienamente ragione a fare ciò. E lei avrebbe
dovuto prendere esempio.
«Ehi,
ma tu sei ancora qui?» le domandò Amalia
improvvisamente, quando
la notò dopo aver preso un attimo di tregua dagli attacchi
di Tara. «Non dovevi
andare via con Rosso?»
Corvina
sgranò gli occhi. Era rimasta così presa dalle
sue riflessioni
che si era dimenticata di essersi messa d’accordo con il
ragazzo la sera prima
per andare a fare un giro di perlustrazione della città con
lui, quel mattino.
Inoltre
Lucas aveva detto di aver scoperto un bel po’ di cose mentre
rubava quel furgone degli UDG, e che gliele avrebbe spiegate proprio
durante la
loro ronda.
La
conduit frenò all’ultimo
un’imprecazione, maledicendosi per essere
stata così sbadata, poi corse nella sala relax per mettere
qualcosa nello
stomaco al più presto.
Di solito quando al fondo di un
capitolo leggo le note dell'autore penso: "Wow, le note dell'autore,
sicuramente avrà qualcosa di interessante da dire!"
Non è questo il caso.
Ma vabbé, se volete continuare a leggere fate pure.
Questo capitolo apre la
trilogia dei capitoli un po' più lenti, prima del famoso
degenero di cui già avevo parlato, spero vi sia piaciuto.
In particolare il monologo da vecchio alcolizzato e complottaro di
Hank, quella è stata la parte che più mi ha
divertito mentre la scrivevo.
A proposito di Hank, questo Spazzino era un personaggio su cui avrei
voluto puntare un po' di più, mi sarebbe piaciuto dargli un
ruolo più rilevante, magari perfino aggiungerlo al gruppo
dei Teen Titans 2.0., ma forse sarebbe stato un po' fuori luogo.
Un vecchio rimbambito ci sta sempre bene in un gruppo di
personaggi/protagonisti, però questo forse non era il caso.
In alternativa, mi sarebbe piaciuto fargli fare un bel ritorno di
fiamma verso le fasi finali della storia, schierato dalla parte dei
buoni, ma sarebbe risultato un po' forzato, quindi ho deciso di
eliminarlo e via. Ma questo dopo aver aperto due ulteriori quesiti:
perché Corvina sogna(va) di essere dentro il suo corpo?
Perché ha perso i poteri? Perché Dom e Kev lo
cercavano proprio per quel motivo? Ha ragione sul fatto che le
esplosioni sono state proprio opera del governo? E così via
discorrendo, insomma.
In conclusione, spero di aver fatto sorgere ulteriori dubbi in voi cari
lettori. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, spero di
non aver dimenticato di correggere qualche orrore ortografico e per
finire, sì, il titolo "essere umani" è scritto
volutamente così. Giusto per.
Un saluto e un grazie ad Eustrass_Sara, Calimetare e Corvina che hanno
recensito l'ultimo capitolo. E uno anche a Nanamin, che so che
c'è, ma non ha tempo per farsi sentire.
A presto!
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Capitolo 13 *** La cima della piramide ***
Capitolo
13: LA CIMA DELLA PIRAMIDE
«Cos’è
quella roba?» domandò Lucas alla corvina mentre
lei scartava
uno snack.
«"Barretta
cioccolato e agrumi"» lesse Rachel sopra
l’incarto, per poi porgere la merendina al ragazzo accanto a
lei. «Vuoi?»
«Cioccolato
con agrumi?» domandò lui sollevando un
sopracciglio. «No
grazie...»
«Non
è poi così male...» rispose lei
addentandone un pezzo. «E
comunque dopo mesi di fagioli in scatola e frutta essiccata hai poco da
fare lo
schizzinoso.»
«Ieri
sera ho mangiato della carne in scatola e ho bevuto una lattina
di birra calda come il piscio. Non mi pare che le cose siano cambiate
poi molto...»
«Abbiamo
coperte, cibo, acqua, un tetto sulla testa, e anche un frigo
in cui poter mettere le tue preziose birre. A me pare proprio che
invece le
cose siano cambiate.»
«Siamo
in una città piena zeppa di psicopatici da cui è
impossibile
uscire. Non sono cambiate.»
«Credevo
di essere io quella pessimista...» commentò
Rachel, con un
sorrisetto amaro.
«A
volte è meglio guardare il bicchiere mezzo vuoto. Se si
è troppo
ottimisti si finisce sempre con il restare delusi.» Lucas
fece una smorfia. «Ed
entrambi lo sappiamo bene.»
«Hai
proprio ragione...» rispose la ragazza, sospirando.
Buttò
via l’involucro di quella barretta che era stata la sua
frugale
colazione, poi concentrò la vista sulla strada attorno a
lei.
Pedoni,
automobili, anche animali domestici. Sembrava tutto nella
norma. Lei e Lucas erano solamente due in mezzo alla folla. La gente
passava
accanto a loro, chi a testa bassa, chi con il cellulare premuto contro
l’orecchio. Nessuno li degnava di una seconda occhiata.
Potevano essere
scambiati per due semplici liceali in ritardo per le lezioni.
Erano una
strada normalissima, circondati da persone normalissime, in
una giornata normalissima.
Tutto
quello era surreale. Rachel lo aveva pensato sin dal primo
momento in cui erano arrivati a quell’incrocio. Mentre aveva
chiacchierato con
il suo partner, mentre aveva mangiato la barretta, non appena aveva
visto la
prima macchina, circa mezz’ora prima. Quello era stato un
chiodo fisso nella
sua mente.
Era
passata dal vedere una città completamente deserta... ad un
gigantesco centro densamente popolato.
Forse gli
abitanti di Sub City erano abituati a tutto quello, a
passare la notte in casa a causa del coprifuoco per poi uscire il
mattino dopo,
per andare a lavorare o a svolgere altre commissioni.
Ma a lei
sembrava qualcosa di fuori dal comune. Ad Empire aveva
vissuto le peggio esperienze, certo, ma non era mai stata vincolata da
uno
stupido orologio. Non aveva mai avuto paura di trovarsi per strada ad
un’ora
troppo tarda, anche perché qualsiasi ora poteva rivelarsi
quella sbagliata.
Una cosa
però la stupiva in senso buono: le persone erano tutte
vestite bene, in buona salute e, nonostante sembrassero tutti parecchio
di
fretta, non parevano spaventati o nervosi. Non erano costretti ad avere
dieci
occhi per assicurarsi di non essere accoltellati alle spalle, di fianco
o anche
di fronte.
Il fatto
che una tavola calda di fronte a loro fosse aperta e gremita
di clienti lasciava ben intendere che le condizioni, a Sub City, non
erano
schifose come ad Empire. Un insegna spenta appesa sopra la porta di
ingresso
recitava le parole "Diner".
Un rombo
improvviso proveniente da sopra la sua testa le fece alzare
lo sguardo di scatto, facendola sobbalzare. Un gruppetto di caccia
militari
sfrecciò in mezzo al cielo azzurro, sorvolando la
città e facendo traballare le
vetrine dei negozi, per poi svanire insieme al diminuendo di quel boato
assordante che avevano causato.
Rachel
rimase ad osservare il cielo sbalordita, con gli occhi viola
sgranati e le labbra dischiuse. Anche alcuni pedoni si fermarono per
qualche
istanti, ma nessuno di loro sembrava sorpreso quanto la corvina.
«Semplici
raid di ricognizione» le spiegò Lucas,
probabilmente
accorgendosi del suo stupore. «Ogni tanto li fanno. Mi chiedo
cosa pensino i
soldatini la sopra di tutto quello che sta succedendo qua
sotto...»
Corvina
annuì, perplessa, con ancora gli occhi alzati.
Milioni
di domande affioravano nella sua mente, si sarebbe mangiata le
mani pur di scoprire la risposta a ciascuna di esse, poi si
ricordò che la
persona di fianco a lei faceva proprio al caso suo. Spostò
lo sguardo sul
partner. Prima di parlare, tuttavia, rimase un attimo concentrata sul
suo
aspetto. Era da diverso tempo che non lo faceva.
Era
spigoloso e stanco, come sempre. Questa volta nemmeno
l’assenza
della pittura facciale riusciva a conferirgli un look da adolescente
qualsiasi.
Guardandolo di sfuggita forse l’avrebbe data a bere a tutti,
ma osservandolo
bene si notava perfettamente come tra lui e un ragazzo normale ci fosse
un
intero mondo di differenza.
Tuttavia,
a Corvina non dispiaceva più di tanto. Aveva
un’aria molto
più audace, severa, qualcosa che gli conferiva una specie di
aura di forza ed
indipendenza. Chiunque, guardandolo bene, avrebbe capito che Lucas era
uno che
sapeva il fatto suo.
La
peluria facciale si era accentuata e, seppur corta, ora copriva
buona parte delle guancie, l’intero mento e la parte di pelle
sotto il naso.
Era nera come il carbone, proprio come i suoi capelli arruffati. Un
colore che
si scontrava con il blu dei suoi occhi e che allo stesso tempo ci si
sposava
alla perfezione.
«Allora,
Lucas...» cominciò a dire, appoggiandosi contro al
muro del
palazzo dietro di loro, mentre le persone andavano e venivano dal
marciapiede
di fronte. «... non siamo qui per parlare di merendine.
Cos’hai scoperto ieri
sera?»
«Beh...
non molto, a dire il vero. Giusto un paio di cose.» Rosso
incrociò le braccia e chinò il capo, rimuginando.
«All’inizio gli UDG erano un
semplice gruppo di mercenari, capitanati da questo tizio con la
maschera
bicolore, lo stesso che anche Dreamer ha nominato.»
«Wilson...»
mormorò Rachel, per poi annuire.
«Continua.»
«Una
loro particolarità era che venivano sempre assoldati per
missioni
che sembravano praticamente impossibili da compiere, vuoi per
inferiorità
numerica o per equipaggiamenti più obsoleti, ma in un modo o
nell’altro sono
sempre riusciti a spuntarla, e anche con molto successo. Da qui nasce
il loro
nome. Underdog, ossia il singolare di "svantaggiati". Si dice che
questa loro maestria sia dovuta proprio al loro capo, senza il quale
probabilmente non sarebbero mai arrivati dove sono oggi. In poche
parole,
questo Wilson è uno su un milione.
«Avevano
una base proprio qui a Sub City, dove, poco per volta, hanno acquisito
sempre più potere. Ma il picco massimo della loro forza
l’hanno raggiunta sette
mesi fa. E tu sai cos’è successo allora.»
Rachel
annuì una seconda volta, sentendosi la gola piena di sabbia.
«L’esplosione...»
«Già.
Non sembra che Sub City sia stata colpita direttamente, ma i
fatti di Empire si sono ripercossi anche qui. Alcuni conduit hanno
attaccato la
città, il panico si è scatenato, molti Underdog
sono morti. E questo è stato il
momento in cui Wilson ha deciso di entrare in scena. Ha ucciso tutti i
conduit
e ha preso il controllo della città, eliminando tutti coloro
che hanno cercato
di fermarlo, imponendosi con la forza come un dittatore.
«Così
facendo è riuscito a creare un regime in cui tutti quanti
possono essere al sicuro, l’importante è
sottostare alle regole. Tutti i
cittadini devono versare mensilmente una quota nelle loro tasche, pena
la
morte. Sono una specie di associazione a delinquere, ma molto
più ben armati e
molto più stronzi. Il coprifuoco è solo una delle
tante regole che hanno
imposto, per evitare che qualcuno possa creare problemi.
«I
confini della città sono sorvegliati ventiquattrore su
ventiquattro. Hanno una mezza dozzina di torri di guardia, sensori,
radar,
videocamere. Chiunque cerca di uscire viene beccato in meno di
mezz’ora e viene
inseguito ed ucciso. Oppure paga. Solamente volando ad altissime quote
si
potrebbero aggirare simili controlli. Dubito che perfino tu ci
riusciresti.»
«Quindi...
alcuni conduit di Empire sono riusciti ad arrivare fino a qui, sette
mesi fa? O ci sono state altre esplosioni?»
Lucas
scosse lentamente la testa. «Questo non lo so. Il
tizio che mi ha passato le informazioni non ha accennato ad altre
esplosioni.»
«Quale
tizio?»
Il moro
scrollò le spalle, mentre un sorrisetto si dipingeva sul suo
volto. «Uno che ho torchiato, ieri pomeriggio, quando non
c’era il coprifuoco...
come pensi che abbia scoperto queste cose sugli Underdog?»
«Hai...
hai torchiato una persona innocente?!» domandò
ancora la
ragazza, interdetta di fronte alla noncuranza del partner.
«Ehm,
sì?»
«Incredibile!»
sbottò Rachel, allargando le braccia accigliata ed
osservandolo come se con lui avesse appena perso le speranze.
«Lo
prenderò come un complimento.»
«Ma
che cosa ti dice il cervello?!»
«Che
devo andarmene da questa città. E che per farlo devo essere
disposto a tutto.»
«Santo
cielo, Lucas...» mugugnò la corvina, portandosi
una mano sul
volto e scuotendo la testa. «Sei... sei davvero...»
Si
interruppe di colpo, quando notò qualcosa di insolito alle
spalle
di Lucas. Un baleno rosso, che si mischiò immediatamente in
mezzo alla folla,
probabilmente pensando che ciò sarebbe bastato a
permettergli di rimanere
nascosto. Corvina inarcò un sopracciglio, osservando il
punto in cui lo aveva
visto con insistenza.
Lucas si
accorse del suo sguardo e schioccò le dita. «Ehi,
Roth, che
ti prende?»
La
ragazza lo ignorò e cominciò a camminare,
facendosi strada tra il
viavai di persone, fino a quando non giunse al luogo in cui aveva
intravisto
quella macchia rossa. A quel punto si voltò verso la sua
sinistra, dove un
vicolo all’ombra conduceva verso chissà quali
meandri di Sub City.
Incrociò
le braccia, osservando la stradina scura con aria severa.
«Che
diavolo ci fai tu qui?» disse al vuoto.
Lucas
arrivò proprio in quel momento, guardandola basito.
«Tutto ok,
Rachel? Con chi diavolo stai parland...»
Non
riuscì a terminare la frase. Ryan sbucò fuori da
dietro il suo
nascondiglio improvvisato, dietro un cassonetto dei rifiuti.
«Ma
come cavolo hai fatto a vedermi?» domandò alla
corvina,
imbronciato.
«Non
sono stupida» rispose lei.
«Non
lo metto certo in dubbio...» disse lui massaggiandosi dietro
al
collo, imbarazzandosi.
«Tu?
Ma cosa...?» borbottò Lucas, sbigottito dalla sua
presenza. «Perché
sei qui?»
Il rosso
sospirò, avvicinandosi ad entrambi ed uscendo dal vicolo.
«Volevo
venire con voi... solo che non potevo chiedervelo al magazzino, avreste
rifiutato. Così vi ho pedinati... stavo quasi per rivelarmi
io stesso, ma visto
che mi avete beccato non c’è
n’è più bisogno...»
«Amalia
sa che sei qui, almeno?»
Una
smorfia nacque sul volto del ragazzo, non appena la corvina
nominò
sua sorella. «No, non lo sa. Credo che ci metterà
ancora un bel po’ di tempo
per accorgersi che me ne sono andato.»
«Che
intendi dire?»
«Intendo
dire...» cominciò Ryan con tono di voce irritato.
«... che
era troppo impegnata a ridere e scherzare insieme a Tara per ricordarsi
della
mia esistenza... è così che fa lei...
è così che ha sempre fatto...»
«Ascolta,
Ryan...» Rachel gli posò una mano sulla spalla,
cercando di
essere accomodante. «So che vuoi solo renderti utile e che
hai delle buone
intenzioni, ma c’è un motivo se Amalia non ti
lascia fare certe cose. Le
persone con cui abbiamo a che fare sono senza scrupoli, non si
tratterranno
dallo spararti addosso solo perché sei un ragazzo, lo
capisci? E inoltre, se
Amalia scoprisse che ti abbiamo lasciato venire con noi ci
crocifiggerebbe
tutti...» concluse, con un piccolo sorriso.
Il ragazzino
sospirò,
distogliendo lo sguardo da lei. «Lo so, ma non mi importa.
Sono stanco di
starmene sempre da parte, io voglio essere di aiuto in qualche modo,
voglio
essere reso partecipe. Questa faccenda non riguarda solo voi, ma anche
me.
L’esplosione ha portato via anche la mia vecchia vita, non
solo la vostra. Ne
ho piene le tasche di dover sempre restare fermo a guardare gli altri
mentre
combattono una battaglia che alla fine è anche la
mia.» Il rosso strinse i
pugni, per poi risollevare la testa. «Voglio venire con voi,
e se non me lo
lascerete fare, allora dovrete riportarmi indietro con la
forza.»
Lucas e
Rachel si scambiarono un’occhiata. Alla corvina quella
situazione pareva quasi assurda.
Certo,
Ryan aveva ragione. Aveva assolutamente ragione. Poteva essere
giovane quanto voleva, ma restava sempre il fatto che lui era immerso
in quella
situazione schifosa tanto quanto loro. Anche lui aveva perso molto a
causa
dell’esplosione e anche lui era arrabbiato, nel profondo.
Come i
due partner avevano fatto, anche lui voleva lottare per la
propria sopravvivenza, per scoprire la verità celata dietro
a quel tremendo
scenario che era diventato il loro mondo e, soprattutto, non voleva
dipendere
da nessuno.
Motivi
come quelli sarebbero bastati a Rachel per consentirgli di
venire con loro, ma restava pur sempre il fatto che non spettava a lei
decidere
per lui.
«Perché
non ne parli con Amalia, allora?» gli domandò a
quel punto. «Dille
esattamente le stesse cose che hai detto a noi, e sono certa
che...»
«Credi
che non ci abbia mai provato?» la interruppe lui, facendo una
smorfia. «Le ho detto le stesse identiche cose che ho detto a
te, più e più
volte, ma lei è sempre rimasta inamovibile.»
«E
non potevi insistere?» si intromise Lucas, incrociando le
braccia. «Se
nelle vostre vene c’è lo stesso sangue, scommetto
che non sarebbe stato molto
difficile per te romperle le scatole a dovere...»
«Avremmo
solo finito con il litigare e non potevo permetterlo. Ho
promesso a Kori che ciò non sarebbe mai avvenuto, dopo la
morte dei nostri
genitori. Non posso e non devo litigare con Amalia. Io mantengo sempre
le
promesse.» L’espressione di Ryan assunse una
vistosa vena di determinazione. «Allora,
decidetevi: o vengo con voi, o mi riportate indietro.»
I due
partner si scambiarono un’occhiata per la seconda volta.
Rachel
non sapeva più cosa pensare. Da una parte se la sentiva di
appoggiare il rosso,
ma dall’altra sapeva che Amalia voleva solo proteggerlo e lei
non poteva certo
impicciarsi.
«D’accordo»
disse infine Lucas, sorprendendo sia lei che il ragazzino.
«Puoi venire con noi.»
«Davvero?
Forte!» esclamò Ryan, sorridendo vittorioso.
«Lucas,
ne sei sicur...»
Il moro
interruppe la domanda di Rachel, rivolgendosi ancora al rosso.
«Ma mettiamo in chiaro un paio di cose: in primis, sarai tu a
vedertela con
Amalia al nostro ritorno. Né io né Rachel siamo
assolutamente responsabili
della tua scelta di venire con noi. E in secondo luogo, non abbiamo
alcuna
intenzione di farti da badante. Dovrai cavartela da solo nel caso in
cui le
cose si mettessero male, e ti converrà anche tenere il
nostro passo, perché se
per caso dovessi rimanere indietro, lì ci rimarresti.
Chiaro?»
«Chiaro»
replicò il rosso, continuando a sorridere come se nemmeno
avesse fatto caso al tono severo di Lucas.
«Mh,
bene. Allora faremo meglio a darci una mossa, abbiamo perso
già
tanto tempo e ci sono molte cose da vedere.»
Lucas
cominciò a camminare lungo il marciapiede, facendo cenno
agli
altri due di seguirlo.
Ryan gli
andò dietro senza esitare un solo istante, mentre Rachel
rimase ferma ancora per un momento, non molto convinta dalla scelta del
partner.
«Questa
storia non può finire bene...» mugugnò
tra sé e sé, prima di
recuperare il passo.
***
«Eccolo
là. Il deposito dove ho trovato il furgone.»
Lucas
indicò con il dito un piccolo complesso di edifici che si
trovava al di sotto di loro. Una recinzione circondava la struttura,
mentre
furgoni, jeep, e uomini armati tutti marchiati UDG presidiavano la
zona. Per
entrare nel perimetro occorreva passare per l’ingresso
delimitato da un
cabinato e una sbarra abbassata.
Rachel si
sporse leggermente oltre il bordo del tetto dell’edificio su
cui si erano appostati, per cercare di capire meglio cosa aveva di
fronte. «Sei...
sei riuscito a sgattaiolare lì dentro per rubare il
furgone?!» domandò
incredula, osservando quel quantitativo industriale di uomini armati.
«Ma come
cavolo...»
«Nato
e cresciuto nel Dedalo con genitori tossicodipendenti,
forse?»
la anticipò il ragazzo, guardandola sottecchi. «So
come non farmi beccare.»
La
corvina annuì lentamente. «Sì...
giusto...»
«Come
hai fatto a trovare questo posto?» chiese Ryan, con un
sopracciglio alzato.
Lucas
scrollò le spalle, come se le cose che aveva fatto fossero
roba
da nulla, per lui. «Quando sono uscito dal magazzino sono
andato a dare
un’occhiata per strada, e ho visto passare una di quelle jeep
in strada, non
molto lontana da dove mi trovavo. La prima cosa che ho notato sono
state le tre
lettere, UDG, e il mio cervello mi ha subito suggerito che
c’era qualcosa di
insolito. Così ho voluto scavare più a fondo, e
una cosa tira l’altra mi sono
ritrovato qui, a rubare quel furgone. Il resto lo sapete.»
«Cavolo...
sei un grande!» esclamò Ryan, osservando
sbalordito il
moro.
«No
invece. Sono solo un idiota che si diverte a pestare i piedi a
persone che potrebbero fargli pentire di essere nato.»
«Vedila
come vuoi. Ai miei occhi rimani il ragazzo con più palle che
abbia mai conosciuto.»
Lucas
rispose con un grugnito che poteva voler dire tutto e niente
allo stesso tempo, ma Rachel giurò di aver visto un sorriso
compiaciuto
apparire sul suo volto, per poi sparire rapido com’era
apparso.
«Allora...»
riprese la corvina, riportando l’attenzione sullo
spettacolo sottostante. «... perché siamo
qui?»
«Questo
posto sembra piuttosto importante per gli Underdog. Non credo
che sia la loro base principale, ma forse è una specie di
magazzino in cui
tengono la loro roba, o magari un rifugio. Scommetto che
c’è un sacco di roba
che potrebbe servirci, là dentro.»
«Quindi
che cosa suggerisci? Vorresti rapinare quel posto una seconda
volta?»
«Non
dico questo. Dico solo che faremmo meglio a tenerlo d’occhio.
Potremmo scoprire un sacco di cose interess...» Lucas si
interruppe di colpo, per
poi guardarsi la tasca. «Ma che diavolo...?»
Tirò
fuori dalla tasca il cellulare, il quale vibrava tra le sue dita:
lo stavano chiamando. Il ragazzo lesse sopra lo schermo e
corrucciò la fronte. «Tara?
Che cosa vuole?»
Accettò
la chiamata e portò l’apparecchio vicino
all’orecchio. Parve
pentirsene subito dopo. Nonostante non ci fosse il vivavoce inserito,
Rachel
riuscì perfettamente a sentire la voce di Amalia che
esplodeva al di fuori
dell’altoparlante, mentre ricopriva Lucas di appellativi non
molto gentili.
«Credo
che si siano accorte che te ne sei andato...»
mugugnò al rosso
accanto a lei, il quale, a discapito di qualsiasi pronostico,
ridacchiò.
«Lo
credo anch’io.»
Lucas nel
frattempo cercò di domare la conversazione:
«Amalia...
Amalia per favore... tappati quella dannata bocca, cazzo!
Sì, è qui con noi!
Vaffanculo, sei tu che dovevi impedirgli di venire! Non rompere le
palle, te la
vedrai con lui quando torneremo, io non voglio essere chiamato in
causa!»
Rachel
roteò gli occhi e sospirò, imbarazzata. Diede le
spalle al
ragazzo, concentrandosi nuovamente sul deposito degli Underdog. Certo,
era
difficile restare attenta con Lucas che sproloquiava al telefono dietro
di lei,
ma ci provò ugualmente.
«Simpatico
il tuo socio» le disse Ryan, mettendosi accanto a lei.
«Urca...»
borbottò Rachel.
Ryan
ridacchiò una seconda volta. «Scommetto che ne
avete viste
parecchie insieme...»
«Sì...
sì, è così.» Un piccolo
sorriso apparve sul volto della
ragazza. Ricordò quasi con nostalgia tutto quello che lei e
Lucas avevano
combinato ad Empire, mentre sgominavano bande di Mietitori a destra e
manca e
si mettevano più di una volta nei guai. I brividi di
eccitazione che aveva
sentito scorrere nella sua pelle, quella magnifica sensazione che
solamente
vivendo la vita appieno in ogni suo istante si poteva provare.
Per
quanto pericolosi e ai limiti della follia, quelli erano stati gli
unici momenti in cui, seppur per poco tempo, lei era riuscita a
scordare tutto
quello che aveva provato con la perdita di genitori, amici e la sua
stessa
vita.
Insieme a
Lucas, quello stesso ragazzo che in quel momento stava
sbraitando al telefono come un teenager in piena crisi adolescenziale.
Lo
stesso ragazzo con cui si era confidata, che aveva compreso il suo
dolore e
che, ogni tanto, era anche riuscito a tirarle su il morale con il suo
umorismo
un po’ macabro.
In
effetti... Lucas non era più solo un socio ormai, per lei.
Era un
amico. La persona migliore che avrebbe mai potuto conoscere dopo
l’esplosione.
«Ne
abbiamo passate parecchie, eccome...» ripeté,
quasi più a sé
stessa che a Ryan.
«E
che mi dici di Tara, invece?»
La
corvina inarcò un sopracciglio, voltandosi verso di lui.
«Prego?»
«Sì,
Tara... insomma...» Il ragazzino distolse lo sguardo da lei,
imbarazzato. «Lei... beh... che cosa sai dirmi?»
Rachel
storse la bocca in un’espressione a metà tra la
perplessa e la
divertita. «Che dovei dirti?»
«Andiamo...
so che hai capito...»
Alla
conduit quasi venne da ridere, udendo quella risposta. Sì,
aveva
capito. Ma le sembrava un’assurdità immane.
«Ok, ok... non è il tuo tipo.»
«Cosa?!
Perché?!» domandò il ragazzo,
dimostrando di avere davvero a
cuore la faccenda.
«M’beh,
vediamo...» Rachel si picchiettò su una guancia
con l’indice,
fingendo di pensare alla risposta. «Sei più
giovane di lei, la conosci a
malapena e per finire sta ancora cercando di riprendersi dalla morte
del suo
precedente ragazzo, Logan. Ora come ora, trattare simili argomenti con
lei
finirebbe solo con il riaprire delle sue cicatrici che farebbero meglio
a
restare chiuse. Fidati, lo so per esperienza.»
Il rosso
incurvò le labbra verso il basso. Sembrava quasi che avesse
messo il broncio. «Quindi... tu che consigli?»
«Chiedi
alla persona sbagliata...» replicò lei, con un
sorriso amaro. «Lascia
passare un po’ di tempo. Parlale un po’
più spesso, conoscila meglio, fatti
conoscere meglio. Magari potrebbe interessarsi a te, o magari tu
potresti
cambiare idea su di lei. Ma non correre troppo. Può
sembrarti tranquilla e
serena quando la vedi, ma, credimi, è parecchio tormentata.
Amava Logan e lui
amava lei. Non lo dimenticherà tanto facilmente.»
Ryan si
mordicchiò l’interno della guancia, riflettendo su
quelle
parole. Dopo qualche istante annuì. «Va bene, ci
proverò. Grazie.»
«Prego.»
«Ehi
senti, qui non c’è molto campo, che ne dici di
richiamare... beh,
mai più? Ok, ciao.» Lucas chiuse bruscamente la
telefonata proprio in quel
momento, sospirando esasperato. «Ringrazio ancora una volta
di essere figlio
unico...» mugugnò rimettendo il cellulare in
tasca, per poi lanciare
un’occhiataccia a Ryan. «Le devi un bel
po’ di spiegazioni, lo sai vero?»
Il rosso
scrollò le spalle. «Amen. Mi basterà
chinare la testa e
annuire con un espressione mortificata, chiedendo scusa di tanto in
tanto. Crederà
che la starò ascoltando.»
Lucas
ridacchiò sommessamente. «Astuto.
Complimenti.»
Rachel
spostò di nuovo lo sguardo sul deposito. «Bene,
ora che ne dite
di ritornare al lavor...» si interruppe di colpo, quando
notò un fuoristrada
decisamente diverso dagli altri avvicinarsi alla sbarra
d’ingresso. Era molto
più grosso e squadrato degli altri, anche se il simbolo
degli Underdog non
mancava. Una volta giunto in prossimità del cabinato si
fermò, ed uno degli
uomini di guardia si avvicinò al finestrino del posto del
guidatore per parlare
con il conducente.
«Quello
è un Hummer...» osservò Lucas,
sbigottito. «... deve essere di
qualcuno di importante...»
Gli UDG
lo lasciarono passare. Il grosso veicolo entrò nel
parcheggio
del deposito, per poi arrestarsi e spegnere il motore. Le portiere
posteriori
si aprirono e da esse uscirono due individui.
Non
appena Rachel li vide non credette ai propri occhi. Sentì il
respiro mozzarsi e rabbrividì. Uno di loro aveva una bandana
arancione che gli
copriva metà del volto, fino al naso, con una lunga cascata
di capelli bianchi
che gli sfioravano le spalle, mentre l’altro...
l’altro era l’uomo da
cui li avevano messi in guardia.
Il capo della baracca, il vertice
della piramide,
l’individuo dalla maschera bicolore.
Wilson.
Non so se questa cosa
è già stata accennata nei capitoli precedenti o
no, nel dubbio, la ripeto qui e questa sarà la versione
reale dei fatti, indipendentemente da qualsiasi altra cosa io abbia
scritto in precedenza:
The Darkness's Daughter: Prologue (quelle tre 's' così
vicine non si possono proprio vedere...) è ambientata un mese
dopo l'esplosione di Empire; questa storia, invece, è
ambientata sei mesi dopo il prologue.
1+6 fa 7, e visto che la matematica non è un'opinione,
l'esplosione è avvenuta sette mesi prima degli avvenimenti
di questa fic, come anche è spiegato in questo capitolo.
Poi, parlando degli Underdog. Finalmente abbiamo quale sia il loro
ruolo a Sub City e per quale motivo ci siano regole ferree come quella
del coprifuoco.
Quindi, come avrete capito, Sub City è un tantino messa
meglio rispetto ad Empire City dal punto di vista dell'economia e della
salute delle persone, UDG a parte. Sì, ci sono ancora i
soldi. Almeno, a Sub City è così. Diciamo che
questa città è praticamente diventata una
"comunità" estranea al resto del paese, in cui le cose
funzionano un po' diversamente.
E questo è grazie a, o per colpa di, Wilson. Ecco, voglio
lasciarvi un quesito: secondo voi, Wilson fa bene a governare la
città in questo modo, tenendola sicura, ma allo stesso tempo
imprigionando le persone e uccidendo chi si oppone? Oppure dovrebbe
essere detronizzato per garantire la libertà ai cittadini?
Non serve che mi rispondiate, pensateci solo. In ogni caso, questo
quesito ritornerà più avanti nella
storia.
Poi, Ryan ha finalmente deciso di entrare in azione. Sì, lo
so, a momenti perfino io mi dimenticavo di lui. Non avrà un
ruolo cruciale nell'andamento della storia, ma qualche parola bisogna
pur fargliela spiccicare, no? Un po' di luce sarà fatta
ancora su di lui nel prossimo capitolo, dove ci sarà anche
un pelino di azione.
E basta, non ho altro da aggiungere, se non che vi do appuntamento alla
prossima settimana (sì, direi che ormai il weekend
sarà il periodo in cui pubblicherò ogni capitolo).
Quindi bon, alla prossima!
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Capitolo 14 *** Ricercati ***
Capitolo
14: RICERCATI
«Giù,
giù, abbassatevi» ordinò Lucas
all’improvviso, mentre si
accovacciava. «Non fatevi vedere.»
Corvina e
Ryan obbedirono, cercando di stringersi il più possibile
contro la superficie del tetto.
«Che
succede? Chi è quello?» domandò il
rosso, spaesato.
«Il
capo degli Underdog» rispose Red X, con un soffio di voce.
«È
venuto a controllare di persona il deposito che ho rapinato... mi sento
quasi
onorato.»
«Non
c’è da scherzare, Lucas!»
bisbigliò Rachel, irrigidendosi ogni
secondo di più mano a mano che guardava
quell’individuo.
«Tranquilla,
non può sapere che siamo qui.»
«E
l’altro chi cavolo è?»
domandò ancora Ryan, accennando con il mento
al tizio con la bandana.
«L’altro...»
cominciò Rosso, con tono calmo. «... credo sia una
lei...»
Il
ragazzino sgranò gli occhi, imitato da Rachel.
Osservò meglio
l’individuo che stava accanto al leader degli Underdog a braccia conserte, e non
poté non notare il
suo petto, decisamente troppo gonfio per essere quello di un uomo.
Ryan
deglutì. «Beh, allora... chi è
lei?»
«Lo
sapessi...» mugugnò Rosso, facendo una smorfia.
I due
nuovi arrivati erano subito stati accerchiati da alcuni degli
Underdog di guardia. Deathstroke stava ascoltando un suo sottoposto, il
quale
gesticolava parecchio mentre parlava. Sembrava piuttosto teso mentre
spiegava
al suo capo che un ragazzino era riuscito a rubare uno dei loro
furgoni.
La donna,
invece, faceva da semplice spettatrice.
Passarono
i minuti, gli uomini armati stavano continuando a discutere,
mentre i ragazzi appostati sul tetto non avevano alcuna idea su come
procedere.
«Lucas,
forse dovremmo andarcene da qui, prima che le cose si mettano
male» suggerì Rachel, nervosa almeno il doppio di
quella guardia che parlava
con l’uomo mascherato. Il campanello di allarme nella sua
testa si era acceso
dal primo momento in cui il leader degli UDG aveva messo piede fuori
dalla sua
macchina. Più stavano lì, più si
mettevano in una brutta situazione.
Si
voltò verso il moro. «Allora, ce ne andiam... ehi,
che ti prende?»
Il
partner abbassò la testa all’improvviso,
portandosi una mano di fronte
alla bocca. Il suo corpo cominciò ad essere scosso da alcune
convulsioni, sotto
gli occhi atterriti di Rachel e Ryan, poi il ragazzo si
accasciò a terra,
sorreggendosi con le sole mani.
«Cazzo,
Lucas! Che succede?!»
Per tutta
risposta il moro rigurgitò tutto quello che aveva nello
stomaco, tossendo e facendo versi disgustati molto più forte
di quanto avrebbe
dovuto fare. Chiazze di vomito gialle e nauseabonde riempirono la parte
di
tetto su cui il ragazzo era appostato.
«Ehi,
voi!»
Una voce
si sollevò in aria all’improvviso. Rachel si
voltò di scatto,
allarmata. Sgranò gli occhi. Vide un Underdog in piedi sul
tetto del palazzo
accanto al loro, il quale li osservava basito, bracciando il proprio
fucile. «Che
diavolo ci fate qui?!»
La
sentinella sollevò l’arma, ma Rachel fu
più veloce: lo colpì con un
raggio di luce nero, scaraventandolo a terra. Sistemata la minaccia, la
corvina
si concentrò di nuovo sul partner, il quale ora stava
venendo colpito da un
forte attacco di tosse.
«Oh
merda!» esclamò Ryan.
«Veloce,
aiutiamolo» ordinò Rachel, cercando di avvicinarsi
al moro.
«Non
mi riferivo a quello!» Il rosso si alzò in piedi,
indicando il
deposito sotto di loro. «Dobbiamo andarcene,
subito!»
«Cosa?!»
La corvina osservò il luogo indicato dal ragazzo e
sbiancò.
Li
avevano sentiti. L’uomo mascherato stava osservando con il
suo
unico occhio proprio il loro palazzo, imitato dai suoi uomini, mentre
un UDG
gli porgeva un lanciarazzi carico.
Rachel
non ci mise molto a fare due più due. «Cazzo! Via,
via, VIA!»
Corse da
Lucas, cercò di aiutarlo a rimettersi in piedi, ma il
ragazzo
rifiutò la sua mano con un gesto rabbioso e si
alzò da solo.
Un sibilo
si sollevò in aria all’improvviso, mentre i tre
ragazzi
correvano più veloce che potevano. Il bordo del tetto
esplose un secondo dopo.
La ragazza gridò, mentre fumo nero si sollevava dal nulla e
detriti di cemento
di ogni genere cominciavano a piovere loro addosso. Il boato fu
così assordante
che sentì le orecchie fischiare. Il pavimento
tremò, i tre ragazzi barcollarono.
Raggiunsero
il bordo del tetto. Qui Rachel fece per salire sulle scale
antincendio, ma Lucas la fermò. «La strada
sarà il primo luogo in cui verranno
a prenderci! Dobbiamo seminarli via aerea!»
esclamò, indicando il tetto del
palazzo di fronte a loro. Era più in basso rispetto a loro,
ma in compenso
sembrava anche piuttosto lontano.
«Io
non so se ce la faccio...» sussurrò Ryan.
«Dovevi
pensarci prima!»
«Ma...»
Red X non
attese risposta. Prese la rincorsa e saltò oltre il bordo,
sopra il vuoto del vicolo, per poi atterrare con una capriola sul tetto
successivo. Non li aspettò nemmeno, cominciò a
correre diretto verso il
prossimo tetto.
«E
ora?» domandò il rosso alla corvina, con sguardo
implorante.
«Reggiti
forte.» Rachel si mise alle sue spalle e lo
afferrò
saldamente. «Ti porto a fare un giro.»
Il rapace
nero prese forma. Il ragazzino urlò per la sorpresa. Rachel
si sollevò in aria e cominciò a volare, seguendo
il proprio partner sopra i
tetti.
Nonostante
fino a pochi secondi prima Lucas sembrasse impossibilitato
a fare qualsiasi cosa, ora stava davvero facendo appello a tutte le sue
abilità
di parkourista e arrampicatore.
Sotto di
loro, in strada, nel frattempo una mezza dozzina di
fuoristrada degli UDG si era messa ad inseguirli.
Rachel
imprecò tra i denti quando si accorse di loro.
Volò più veloce,
accompagnata dalle grida di Ryan.
«Rachel!»
la chiamò Lucas, fermandosi di colpo e sollevando la testa
verso di lei. «Dobbiamo dividerci! Fai attenzione,
perché la maggioranza di
loro si concentrerà su di te!»
«E
tu che farai?!»
«Io
me la caverò in qualche modo. Vediamoci tra un’ora
all’angolo dove
ci siamo fermati prima, al Diner. Se uno dei due non riesce ad arrivare
in
tempo, si libera degli inseguitori e va direttamente al
magazzino!»
«E
se ci prendono?!»
«Prega
che non accada.»
Lucas le
diede le spalle saltò oltre l’ennesimo bordo, ma
questa
volta, anziché atterrare sul tetto successivo,
precipitò in un vicolo per poi
svanire dalla visuale.
«Oh
merda! È caduto?» domandò Ryan, da
qualche parte in mezzo all’energia
nera.
«Tranquillo, l'ha fatto apposta» rispose lei,
per poi
deviare improvvisamente traiettoria e preparandosi psicologicamente per
la
volata più veloce che avesse mai fatto. «Ok Ryan,
preparati!»
«P-Per
cosa?»
«Ora
vedrai!»
Cominciò
a sfrecciare come un proiettile. Sotto di lei, alcuni
Underdog avevano aperto il fuoco con i fucili, cercando di colpirla e
di
abbatterla come se non fosse nient’altro che un uccello
qualsiasi. Ma nessuno
riuscì a sfiorarla.
Lucas
aveva avuto ragione, comunque. Solamente uno dei veicoli degli
UDG non si staccò dal resto del gruppo per inseguirla.
Pessima idea, la loro.
Un solo fuoristrada non sarebbe mai bastato per prendere Red X, mentre
nessun
veicolo al mondo sarebbe stato in grado di tenere il passo della
conduit. Gli
Underdog avevano fatto male i loro conti, di nuovo.
Dopo
appena qualche minuto aveva lasciato tra lei e i suoi inseguitori
almeno dieci isolati di distacco, e non aveva ancora finito.
Continuò
fino a quando non
fu
sicura di aver cancellato ogni sua traccia. Un suo pensiero
andò a Lucas, non
appena la situazione si tranquillizzò. Aveva fiducia in lui,
ma sperò comunque
che se la cavasse.
Atterrò
in mezzo ad una ragnatela di vicoli, lontana da occhi
indiscreti e vicino al luogo in cui avrebbe dovuto rincontrare il suo
partner.
Quando
tocco il suolo, l’oscurità si dissolse attorno a
lei e Ryan. Il
ragazzino si separò dalla ragazza di scatto, per poi
appoggiarsi contro un muro
e riprendere fiato. Sembrava piuttosto scosso, e Rachel non poteva
biasimarlo.
«Cavolo...
è stato... è stato...»
cominciò a dire, annaspando.
Pericoloso?
Spaventoso? La cosa più folle che tu abbia mai fatto?
«...
fantastico!» Ryan le rivolse un sorriso a trentadue denti.
«È
sempre così quando tu e Lucas andate in
perlustrazione?»
Corvina
rimase a bocca aperta. Qualsiasi reazione si sarebbe
aspettata, meno che quella.
«Accidenti,
guarda! Sto tremando!» Il rosso sollevò entrambe
le mani
di fronte a lei. «Questa è adrenalina! Adrenalina
pura! Non l’avevo mai provata
prima!»
Rachel
rimase immobile per un attimo, ad osservarlo. Per un attimo
sperò che il ragazzo stesse scherzando, ma non era affatto
così. Distolse lo
sguardo da lui, evitando di rispondere. Si posò una mano
sulla tempia e
cominciò a respirare profondamente. Solo in quel momento si
rese conto di
quanto fosse stato stancante per lei scappare a quella
velocità dagli
inseguitori.
Anche lei
stava tremando, ma non per l’adrenalina. I suoi poteri non
agivano mai senza pretendere nulla in cambio; dopo l’enorme
sprint che aveva
fatto per salvare Ryan soprattutto.
«Ehi,
tutto bene?» le domandò Ryan
all’improvviso, smettendo di fare
l’esaltato.
La
conduit annuì lentamente, mentendo.
«Sì, sì... sono solo
stanca...»
Si raddrizzò, portandosi entrambe le mani sui fianchi.
«Forza... andiamo al
Diner... dobbiamo rincontrarci con Lucas.»
«Sì
giusto... e grazie per avermi salvato.» Il rosso le
posò una mano
sulla spalla, rivolgendole un cenno di gratitudine con il capo.
Rachel
fece un piccolo sorriso. «Figurati.»
Con le
ultime forze che le erano rimaste, si diresse al luogo
dell’appuntamento insieme al rosso.
***
Dovettero
tenere gli occhi ben aperti e guardarsi alle spalle almeno
una volta ogni dieci metri per poter procedere in tutta
tranquillità.
Rachel si
era calata il cappuccio in testa per non dare troppo
nell’occhio, Ryan invece cercava di camminare lungo il
margine destro del
marciapiede, il più lontano possibile dalla strada.
La
corvina dubitava che gli Underdog li avessero visti in faccia, ma
prevenire era meglio che curare. In ogni caso, la folla nascondeva bene
il loro
passaggio.
Il miglior
nascondiglio è quello sotto gli occhi di tutti..., pensò la
ragazza con un mezzo sorriso.
«A
proposito, secondo te che cos’è preso a Lucas,
prima?» domandò
Ryan, a bassa voce per mantenere il basso profilo.
«Perché è stato male così
all’improvviso?»
Rachel
scosse lentamente il capo, incupendosi. «Non ne ho idea...
suppongo che sia meglio chiederlo direttamente a lui.»
Sperando
che non sia nulla di grave, avrebbe
voluto aggiungere, prima di mordersi la
lingua.
L’immagine
di Lucas che tossiva e vomitava di fronte a lei l’aveva
turbata e non poco. La loro missione era appena andata al diavolo, ma
di quello
non gliene importava nulla. Non quando c’era la salute di un
suo amico di
mezzo.
Finalmente
raggiunsero il Diner. Si avvicinarono ai tavolini
all’esterno, posti sotto a dei tendoni, proprio di fronte
all’ingresso.
«Che...
che facciamo, ci sediamo?» domandò Ryan,
adocchiando tre posti
liberi che facevano proprio al caso loro.
Rachel
scosse la testa. «Dobbiamo ordinare qualcosa per sederci... e
io non ho un centesimo...»
«Beh...»
Il rosso tirò fuori una banconota sgualcita dalla tasca, per
poi osservarla. «Mh... con un dollaro cosa posso
prendere?»
Alla
corvina scappò un sorriso. «Qualche caramella,
forse...»
«Mi
piacciono le caramelle» replicò lui, con enfasi.
Questa
volta alla ragazza venne da ridacchiare. «Ci sediamo per tre
caramelle?»
«Una
a me, una a te e una a Lucas» disse ancora il rosso, mentre
si
avviava verso l’ingresso.
Rachel lo
seguì con lo sguardo, con un’espressione a
metà tra la
divertita e la scettica, poi sospirò e decise di occupare i
tre posti che
avevano adocchiato. Diede un’occhiata all’ora con
il cellulare. Erano passati
circa venti minuti da quando erano scappati dagli Underdog. Lucas aveva
ancora
più di mezz’ora per presentarsi. Altrimenti
sarebbero andati al magazzino.
Temendo
il peggio, ovviamente. O meglio, lei avrebbe temuto il peggio.
In quel momento Ryan sembrava quasi impossibilitato a guardare il
bicchiere mezzo
vuoto.
Inspirò
profondamente, appoggiandosi contro lo schienale della sedia.
Continuava a tremare e sentiva le gambe molli. Avrebbe fatto meglio a
meditare,
una volta tornata al rifugio.
Ryan
riapparve poco dopo, con una manciata di caramelle gommose a
forma di bastoncino in mano. «Indovina un po’?
Costavano dieci centesimi l’una,
così ne ho prese dieci...» Si sedette accanto a
lei, posando quelle schifezze
sul tavolo. «Tre a te, tre a Lucas e quattro a me. Io ne ho
una in più perché,
sai, le ho pagate io...»
«Prendi
anche le mie, se vuoi...» gli concesse la ragazza, sorridendo
di nuovo. «... io non ne vado matta...»
«Fico.»
Il rosso cominciò ad arraffarne una dietro l’altra
e a
mangiare di gusto.
Corvina
lo lasciò fare. Chiuse gli occhi e sospirò,
inarcando il
collo. Sentiva i nervi a fior di pelle.
«Allora,
da quanto tu e Lucas vi conoscete?» le domandò il
ragazzino
all’improvviso, con la voce impastata, probabilmente a causa
della bocca piena.
Rachel
riaprì gli occhi e abbassò di nuovo la testa.
«Da circa dopo
l’esplosione... sei, sette mesi.»
Ryan
annuì, scartando un’altra caramella. «E
per tutto questo tempo
siete rimasti... insieme?»
«Più
o meno. Quasi tutti i giorni, sì, ma di sera ognuno andava a
casa
propria. Io vivevo con Tara, nel Neon, lui in qualche topaia nel
Dedalo.»
Solo in
quel momento Rachel realizzò di non aver mai visto la casa
del
suo socio. Un po’ le dispiacque. D’altro canto,
dubitava di voler davvero
sapere in che razza di condizioni lui vivesse.
«Avete
sempre dato la caccia ai Mietitori?»
«Sì,
esatto. Ma con il tempo lui ha sbollito la rabbia, in qualche
modo. Io invece...» Rachel sospirò, ripensando a
ciò che era successo con
Richard. «... ho capito troppo tardi che quella era una causa
persa...»
Il
ragazzino annuì una seconda volta, ma non indagò
ulteriormente. E
Rachel gli fu grata per questo.
Ora che
lo osservava meglio, realizzò davvero quanto lui fosse
simile
a sua sorella. Guardarlo era come guardare lei. I suoi lineamenti erano
pressappoco identici a quelli di Stella. E lo rendevano altrettanto
bello. Era
come se quei lineamenti si sposassero alla perfezione su chiunque,
maschi o
femmina che fossero.
Ma a
differenza della sorella, lui aveva i capelli più ricci,
crespi,
non lisci e setosi come quelli di Kori. Ma forse la ragazza se li
acconciava in
qualche modo, in passato. O magari erano proprio i capelli di Ryan che
da
lisci, a furia di essere trascurati, si erano ridotti così.
I loro
occhi, invece, erano identici. Erano verdi, ma non come quelli
di Logan, più opachi, come il verde delle foglie. I loro
erano brillanti, come
smeraldi che rilucevano sotto la luce del sole.
«E
prima dell’esplosione la tua vita
com’era?»
Rachel si
strinse nelle spalle. «Triste e noiosa. Diciamo che
è
rimasta per metà uguale. Andavo a scuola, ad un collegio per
l’esattezza. Non
ho mai conosciuto mio padre e mia madre mi ha abbandonata quando ero
ancora
bambina. Avevo degli amici, che sono tutti morti
nell’esplosione. Tranne uno.
Ma di lui non voglio parlare. Poi è cominciata la quarantena
e tutto il resto.
Ed eccomi qui.»
«Cavolo...
non deve essere stato facile...» Ryan poi esitò,
indicandole una mano. «Ehm... insomma... i tuoi poteri,
derivano
dall’esplosione, giusto? Cioè... tu sei
sopravvissuta, dico bene?»
Quando la
ragazza annuì, il rosso sorrise incredulo. «Wow...
ma come
hai fatt...»
«Non
chiedere. Non lo so. Non credo nemmeno di volerlo sapere.»
«Sì,
scusa...» rispose il ragazzino, abbassando lo sguardo
imbarazzato.
«E
tu invece?» chiese lei, sorridendo di nuovo gentilmente.
«La tua
vita com’era?»
«Prima
dell’esplosione o prima di venire qui negli States?»
«Entrambe.»
Rachel
non riuscì a spiegarsi il suo improvviso interesse per Ryan
e
la sua vita. Forse cercava semplicemente di ammazzare il tempo.
Anche se,
comunque, una vena di curiosità la nutriva nei confronti non
di Ryan, bensì della sua famiglia, della loro storia.
Conoscere meglio le
origini di Kori, anche quelle di Amalia, sapere che tipi fossero prima
di
arrivare ad Empire, se erano sempre stati così o se erano
cambiati.
«Beh...»
cominciò il rosso, incrociando le braccia e distogliendo lo
sguardo pensieroso, probabilmente immerso nei ricordi. «Non
saprei nemmeno da
dove cominciare, a dire il vero...
«Nemmeno
la mia vita è mai stata molto entusiasmante. Anzi, quando
vivevo all’estero era parecchio... monotona. Non
c’era mai niente da fare, mi
annoiavo parecchio ora che ci ripenso. Ma se non altro ero sereno. I
miei
genitori non c’erano mai, lavoravano, e anche
Komand’r era spesso assente da
casa. Ho vissuto quasi solamente con Kori. Lei si occupava di me e di
praticamente tutto il resto.
«Poi,
un bel giorno... dei poliziotti bussano alla nostra porta. Kori
apre e... scopriamo che i nostri genitori sono morti in un incidente
d’auto. E
a quel punto tutto è precipitato nel baratro.»
Ryan
sospirò profondamente, prendendo una breve pausa.
«Rimasti senza
genitori rischiavamo di essere divisi, di ritrovarci in tre famiglie
affidatarie diverse. I nostri nonni erano troppo vecchi, mentre zii o
zie hanno
avuto la bella idea di mandare le loro condoglianze per poi sparire
dalla
circolazione. Komi era maggiorenne, lei forse avrebbe potuto cavarsela
in
qualche modo, ma il nostro destino sembrava comunque segnato.
Finché non ci è
giunta voce di questo... zio amico di famiglia che viveva ad Empire,
che era
disposto a prendere le nostre custodie. E a quel punto, pur di restare
insieme,
ci siamo trasferiti.
«Ad
Empire le cose non sono cambiate poi molto. Vita noiosa, monotona,
e ora anche triste. I giorni passavano lenti, tra un po’ di
tv spazzatura e ladruncoli
che si aggiravano nel nostro quartiere. Poi nostro zio si è
offerto di pagare
la retta scolastica per uno di noi, affinché almeno uno
potesse avere un futuro
più... luminoso, così aveva detto. Komi non ne
volle sapere di andare a scuola,
mentre io premetti per far andare Kori, perché era lei
quella che più se lo
meritava. È stata dura, ma alla fine sono riuscito a
convincerla.
«Così
ho passato gli ultimi mesi ad Empire insieme a Komi... non è
stata un’esperienza memorabile. Poi lo zio si è
ammalato gravemente... e poi è
arrivata l’esplosione. Qualche settimana dopo la morte di
Kori è morto anche
lui. E siamo rimasti in due.»
«Mi
dispiace» disse Rachel con sincerità, posandogli
una mano sul
ginocchio. «Anche per voi deve essere stata dura.»
Ryan
annuì, con gli occhi bassi. «Più di
quanto immagini. Per Kori,
soprattutto. Dopo aver visto quei poliziotti... ne è uscita
devastata.»
«E
Amalia, invece?»
Il
ragazzino scrollò le spalle. «Non lo so. Non ho
mai capito cosa
frullasse nella sua mente. Non era mai a casa e quando
c’era... beh... era come
se non ci fosse. Ma credo che anche lei ci sia rimasta male. Solamente
se non
avesse avuto un cuore se ne sarebbe infischiata. Ha quasi smesso di
parlare
dopo il fattaccio, e ha continuato a fare così fino
all’esplosione.»
Rachel
annuì, mordicchiandosi l’interno della guancia.
Scoprire che
cosa fosse successo a Kori e famiglia prima di conoscerla la fece
sentire un
po’ in colpa, per via di quello che aveva pensato di lei
quando si era messa
con Richard.
Si
vergognò quasi di essere lì a parlare con suo
fratello, la stessa
persona che sicuramente l’aveva amata, come se nulla fosse.
Non era giusto nei
confronti di Kori. E nemmeno di quelli di Ryan. Avrebbe dovuto sapere
di che
razza di stronza gelosa avesse di fronte...
«Allora
ce l’avete fatta» disse una voce
all’improvviso. I due ragazzi
si voltarono di scatto e videro Lucas in piedi sul marciapiede, a
braccia
conserte. «Potevate evitare di farvi una cenetta romantica,
però.»
Non
appena lo vide, Rachel sentì sciogliersi uno dei tanti nervi
che
aveva a fior di pelle. Lucas stava bene. Un po’ stanco, e
anche irritato, ma
stava bene.
«C’è
un posto anche per te se vuoi» lo invitò nel
frattempo Ryan,
porgendogli una caramella ancora incartata.
«No,
grazie. Forza, alziamo i tacchi. Ci stanno ancora cercando.»
Red
X si allontanò da loro mettendosi le mani in tasca, senza
nemmeno aspettarli,
come già aveva fatto giusto un’ora prima.
Corvina
sospirò, alzandosi dalla sedia, imitata da Ryan.
«Perché è
così scontroso?» le chiese il rosso, sussurrando
per non farsi sentire.
«Lascia
perdere.» Rachel scosse la testa. «Con lui ci vuole
solo un
po’ di pazienza.»
Il
ragazzino sorrise, cogliendo la citazione. «Chiaro.»
Mentre
camminavano dietro al moro, la conduit si domandò se quello
fosse il momento migliore per domandargli che cosa gli fosse preso sul
tetto,
ma temeva di irritarlo più di quanto già non
sembrasse.
«Ehi
Lucas, perché prima hai vomitato?»
domandò Ryan all’improvviso,
con noncuranza.
Rachel si
irrigidì come un palo. Si aspettò le peggiori
reazioni da
parte del suo partner. Invece il ragazzo più grande
grugnì di disappunto, senza
voltarsi. «Colpa di quella carne in scatola di merda che ho
mangiato ieri sera.
Mi è rimasta sullo stomaco. Probabilmente era scaduta da
mesi.»
«E
stai meglio ora?»
Lucas
scrollò le spalle. «Se per stare meglio intendi
dire che non
devo più sboccare l’anima, allora sì,
sto molto meglio, grazie.»
Sprizzava
sarcasmo da tutti i pori, ma una parte di Rachel si sentì
comunque
sollevata quando udì quelle parole.
Ringraziò
anche Ryan con lo sguardo per averle levato l’impiccio di
scoprire quelle cose da sola. E subito dopo di ciò, si
ripromise che avrebbe
aiutato il rosso a sistemare la sua faccenda con Amalia.
Ryan era
in gamba, meritava di essere reso più partecipe alle loro
faccende.
Non
appena vide il profilo del magazzino stagliato in lontananza si
sentì in pena per lui. Chissà che razza di
gigantesca lavata di capo Komand’r gli
teneva in serbo.
Scavalcarono
la recinzione e si avvicinarono al portone, trovandolo
socchiuso. Lucas lo aprì con una leggera spinta, scuotendo
la testa in segno di
disappunto. «Che cosa costava a quelle due
chiuder...»
Si
interruppe all’improvviso, non appena l’interno del
magazzino fu
visibile. «Oh, cazzo...»
Rachel
sgranò gli occhi e sentì il cuore saltare un paio
di battiti.
L’intero edificio era stato messo a soqquadro. Gli scaffali
erano stati tutti
rovesciati e con essi i prodotti disposti sui loro ripiani. Scatoloni e
merci
imballate erano tutte a terra, sparpagliate ovunque come se fossero
state
scaraventate con forza. Migliaia di frammenti di vetro, plastica e
ceramica
erano disseminati sul pavimento, facendo apparire il tutto come un
gigantesco
mosaico.
Era il
caos, completamente. Neppure un’impresa di pulizie sarebbe
mai
riuscita a sistemare quel gigantesco macello.
«Tara!
Amalia!» chiamò Lucas, entrando e guardandosi in
ogni
direzione. «Che diavolo è successo qui?!»
Nessuna
risposta. Rachel cominciò ad agitarsi, anche se
cercò di non
darlo troppo a vedere. Accanto a lei, Ryan pareva spaventato, mentre
Lucas sembrava
essere un misto di tutto. Avanzarono nel magazzino, schivando le
cianfrusaglie
sparse ovunque, poi il moro strinse i pugni, contraendo la mascella.
«EHI! C’è
qualcuno?!»
Questa
volta qualcosa ruppe il silenzio generatosi dopo la domanda. La
porta dell’area relax si aprì di scatto. Rachel
trattenne il fiato.
Amalia
fece capolino fuori dalla stanza. Corvina provò sollievo
quando
la vide, ma non appena si rese conto della mano impregnata di sangue
che teneva
premuta su un fianco si sentì sbiancare. Il liquido
vermiglio filtrava tra le
dita e le aveva macchiato buona parte della maglietta. Anche il
pavimento ne
era lievemente impregnato.
«Komi!»
gridò Ryan inorridito.
«Cazzo...»
sussurrò Lucas. «Cos’è
successo Amalia?!»
«Hanno...
hanno... preso Tara...» rantolò lei, per poi
crollare a
terra.
Lo so, è un capitolo un po' fiacco, mea culpa. Diciamo che è più l'estensione del capitolo 13 che un capitolo vero e proprio, ma se avessi unito i due capitoli sarebbe venuta fuori una cosa mostruosamente lunga e i capitoli lunghi li riservo per le battute finali della storia. Quindi pace. Comunque il prossimo sarà già un po' più interessante, e se riesco cercherò anche di pubblicarlo prima, magari venerdì. Non lo so, mi aspetta una bella settimana di schifo a scuola.
E no, Lucas non è incinto, nel caso vi sia passata per la mente quest'ipotesi quando avete letto del vomito ed eccetera. Per quanto riguarda Tara, vedrete che cosa ho in serbo... scommetto che ad alcuni di voi piacerà. Ad una in particolare (sì, Nanamin, sei tu).
E sì, insomma, eccetera eccetera. Se trovate errori bla bla bla.
Alla prossima puntata! |
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Capitolo 15 *** Devastatrice ***
Capitolo
15: DEVASTATRICE
«Sta
meglio?»
«L’emorragia
si è arrestata e ha riacquistato un po’ di colore,
dopo
che ho guarito la ferita. Sta recuperando molto bene.»
Corvina si chinò accanto
al materasso su cui era adagiata la ragazza svenuta e le
posò una mano sulla
fronte, per accertarsi che non le fosse venuta la febbre.
«Dalle ancora un po’
di tempo, poi si sveglierà.»
«O-Ok...»
Ryan non
sembrava molto convinto delle parole della corvina. Quando
lei lo notò, cercò di sorridergli. «Non
ti preoccupare, se la caverà. Il
proiettile l’ha attraversata senza danneggiare nessun punto
vitale e per
fortuna siamo arrivati in tempo. Se fosse svenuta in nostra assenza...
beh,
avrebbe rischiato molto di più.»
Il rosso
la osservò ancora per un breve attimo, poi annuì
lentamente,
sospirando. «Va bene... voglio crederti...»
«Stai
tranquillo. Tua sorella è tosta» disse ancora lei
alzandosi e
posandogli una mano sulla spalla, per poi dirigersi verso la porta.
«Dove
vai?»
«Vado
fuori, a cercare Lucas. Tanto qui non c’è
più bisogno di me.
Quando Komi si sveglia avvertici, ok?»
Il
ragazzino annuì, per poi riportare l’attenzione
sulla sorella e
sedersi per terra, vicino a lei.
Rachel
storse la bocca in un’espressione preoccupata, poi
uscì dalla
stanza. Ryan si stava davvero preoccupando per la sorella, la stessa
sorella
che gli impediva sempre e comunque di vivere la sua vita, la stessa che
tante
volte gli aveva fatto storcere il naso, nonostante lei fosse in
condizioni
praticamente ottimali.
Non
c’era bisogno di tanti pensieri, si sarebbe svegliata a
breve. Corvina
sospirò. Chissà come faceva ad essere
così buono.
Nelle sue
vene scorre lo stesso sangue di Kori, dopotutto...
Uscì
fuori. Una folata d’aria gelida la fece rabbrividire.
Cominciò a
camminare, facendo il giro attorno al magazzino. Raggiunse il retro,
dove poco
davanti la recinzione era stata sfondata, probabilmente dagli stessi
aggressori
di Tara e Amalia. Qui credette di trovare Lucas, ma non lo vide da
nessuna
parte.
Inarcò
un sopracciglio. Fece per chiamarlo, ma una voce provenne
improvvisamente da dietro le sue spalle: «Allora, come vanno
le cose da queste
parti?»
Rachel
sobbalzò, trattenendo un grido all’ultimo istante.
Conosceva
quella voce, ma non apparteneva a nessuno dei suoi amici. Si
voltò, per poi
sgranare gli occhi.
Kevin la
osservò con un ghigno beffardo. «Sorpresa di
vedermi?»
«Tu!»
esclamò lei, alzando improvvisamente la guardia.
«Cosa ci fai
qui?! Che diavolo vuoi?!»
«Ero
solo passato a dare un’occhiata» rispose lui con
finta aria
innocente, scrollando le spalle. «Vi piace il vostro nuovo
rifugio?»
Rachel
digrignò i denti e gli puntò contro la propria
mano, la quale
stava cominciando ad illuminarsi di nero. «Hanno rapito una
nostra amica e
sparato ad un’altra, non mi pare un granché come
rifugio!»
«Però
siete ancora qui...» osservò lui, per nulla
intimidito dalla
mano della corvina.
«Questo
perché non sappiamo dove altro andare!» Rachel
quasi gridò per
la rabbia che si stava accendendo dentro di lei come le fiamme di un
incendio. «È
solo colpa tua! Hai detto che questo posto era sicuro,
invece...»
«Non
mi risulta» la interruppe lui, facendosi serio. «Ho
detto che era
un buon rifugio temporaneo, non che era perfetto. E comunque non
c’è da
sorprendersi così tanto, Deathstroke risale sempre a chi lo
fa incazzare, e voi
lo avete fatto incazzare di brutto.»
«Deathstroke?»
domandò lei, abbassando lentamente la mano mentre la
luce si affievoliva. «Chi... chi è?»
«Il
capo degli Underdog, che domande. Credevo lo conoscessi, sai, il
tizio con la maschera.»
Corvina
dischiuse le labbra, incredula. Il pensiero che fossero stati
gli Underdog gli artefici di quanto appena accaduto le aveva sfiorato
la mente,
ma sentirselo dire così le fece tutto un altro effetto.
«A
che cosa vi serve aspettare che la vostra amica si riprenda, quando
sapete meglio di lei che cosa è successo qui? Chi pensavi
che avesse rapito la
tua amichetta?»
L’angoscia
di Rachel tornò ben presto ad essere rancore, quando
udì
quelle parole. Strinse i pugni con forza. «E come accidenti
fai a sapere tutte
queste cose?!»
«Io
mi limito semplicemente ad osservare i fatti»
spiegò lui con
noncuranza, mentre estraeva il suo classico pacchetto di sigarette
dalla tasca.
«E agisco di conseguenza» concluse, accendendosene
una.
«No
invece.» Rachel scosse la testa, quasi disgustata.
«Tu sei solo il
segugio del tuo amico. Agisci solo se è lui ad ordinarti di
farlo. Scommetto
che è stato lui a dirti di venire qui.»
Lo
sguardo di Kevin si trasformò in quello di una statua di
marmo,
quando udì quelle parole. Soffiò del fumo dalla
bocca, chiaramente infastidito.
«Ti sbagli.»
«Ah
sì?» domandò lei, con tono di sfida.
«E allora perché lui non
c’è?»
«Dominick
ha altro da fare» sibilò Kevin. «Cose
importanti, di certo
non deve mettersi a perdere tempo con cinque falliti come voi. Ops, quattro.»
«Dominick?
È così che si chiama il tuo padroncino?»
Kevin
fece un passo verso di lei, con sguardo minaccioso. «Non
provocarmi, pupa. Te lo sconsiglio.»
«Che
vuoi fare? Spararmi come hai fatto con Hank?!» Rachel
allargò le
mani, l’energia oscura cominciò nuovamente a
fuoriuscire dai palmi. Stava
azzardando parecchio, ma era stanca di lui e dei suoi segreti. Se
combattere
era un modo per scoprire di più su quello che stava
accadendo, allora lo
avrebbe fatto.
Ma ogni
intenzione bellicosa svanì da dentro di lei quando vide lo
sguardo di Kevin farsi stupito. «E tu come fai a
saperlo?» le domandò, con tono
sorpreso.
Rachel
sgranò gli occhi. Aveva parlato troppo.
Il
ragazzo la squadrò con la fronte corrucciata e un
sopracciglio
alzato. La sua espressione interdetta le parve ancora più
inquietante di quella
adirata.
I loro
sguardi si incrociarono. Rachel sentì un brivido
percorrerla.
Kevin assottigliò le palpebre, mentre il fumo della
sigaretta fra le sue labbra
si sollevava tra lui e la corvina. La stava studiando, ma era comunque
impossibile riuscire a capire a cosa stesse pensando.
Restarono
entrambi in silenzio per quelle che parvero eternità, fino a
quando non fu proprio il ragazzo a mutare la sua espressione
radicalmente. Le
sue labbra si incurvarono verso l’alto e cominciò
a ridacchiare sommessamente.
Distolse lo sguardo dalla ragazza e scosse lentamente la testa, quasi
come se
si stesse facendo beffe di lei, come se lui sapesse qualcosa che lei
non poteva
nemmeno lontanamente immaginare. «Sei uno spasso Rachel, lo
sai?»
Cominciò
a camminare, passandole accanto con un sorrisetto arrogante
stampato in faccia, dirigendosi verso la recinzione sfondata. Rachel lo
seguì
con lo sguardo e, per quanto avesse trovato irritante la sua risatina,
sentì i
propri nervi allentarsi. Nonostante tutto, aveva comunque provato un
lieve
timore quanto Kevin l’aveva squadrata in quel modo. Poteva
sembrare un ragazzo
qualsiasi, ma la realtà era ben diversa. Ogni volta che lo
aveva visto, sia lui
che Dominick, sia in sogno che dal vivo, Rachel aveva sentito un senso
di
disagio e angoscia che raramente aveva provato. Kevin nascondeva
qualcosa. E
lei non era certa di voler sapere che cosa.
«In
ogni caso...» disse ancora lui, fermandosi
all’improvviso di
fronte al foro nella rete. Rachel si irrigidì, ma lo
lasciò comunque parlare.
«...
questa notte, all’una, un pezzo grosso degli Underdog si
incontrerà con un loro informatore nella High Sub. Se volete
sapere in quale
buco abbiano rinchiuso la vostra amica, vi conviene farci due
chiacchiere. È
l’unica persona, oltre allo stesso Deathstroke, che lo sa e
che è autorizzata a
spostarsi per la città. Nessun Underdog è
informato come lei. Anche se non sarà
molto facile tirarle fuori le parole di bocca. Vi servirà
l’aiuto di un
esperto.»
«Un...
un esperto?» domandò lei, perplessa.
«Vuoi... vuoi dire tu?»
Kevin
scosse la testa, guardandola con la coda nell’occhio.
«Io sono
solo uno spettatore, mi pare di averlo già detto. Non faccio
parte di questa
partita. Non ancora.»
Le ultime
due parole furono più fredde degli spifferi
d’aria, per
Rachel. Kevin si voltò di nuovo e fece per andarsene per
davvero, ma questa
volta fu la corvina a fermarlo. «Aspetta!»
Il
ragazzo arrestò di nuovo il proprio cammino, ma non si
girò.
«Per
caso... Tara corre qualche pericolo? Hai idea di cosa le
faranno?»
«Mettiamola
così» rispose lui, gettando a terra il mozzicone
di
sigaretta per poi calpestarlo. «La morte sarà
l’unico regalo che Deathstroke
riuscirà mai a farle.»
E dopo
quelle parole più dure della pietra, il ragazzo se ne
andò,
passando per l’enorme foro nella recinzione e sparendo dalla
visuale.
Passarono diversi minuti
prima
che Rachel riuscisse a smettere di osservare quel buco come in trance.
***
Trovò
Lucas stravaccato su un divanetto nella sala relax. Fissava il
muro di fronte a lui con aria quasi seccata, come se fosse proprio
quella
parete intonacata la causa del suo malessere.
«Sei
qui...» disse lei, con tono piatto.
Un
grugnito provenne dalla gola del ragazzo, in risposta. Rachel
andò
a sedersi accanto a lui, posandosi le mani sulle ginocchia e rimanendo
in
silenzio. Chinò la testa e si osservò le nocche
per diversi istanti, mentre
meditava sulle giuste parole da dire.
Non
riusciva a credere che Kevin le avesse fatto una simile soffiata.
Certo, era probabile che avesse mentito, ma se così non
fosse stato?
Doveva
anche considerare che Kevin non aveva mentito sul magazzino. Ma
erano comunque stati individuati dagli Underdog, quindi era probabile
che anche
quella notte all’una avrebbero trovato un’insidia
ad attenderli, nella High
Sub.
Per lei
era impossibile decifrare il comportamento di quel ragazzo.
Che cosa voleva veramente da loro? Anzi, era più corretto
domandarsi che cosa
volevano lui e Dominick.
La notte
prima danno la caccia e uccidono Hank dopo avergli posto una
strana domanda, e il giorno dopo uno dei due torna da lei, per la
seconda
volta, per cercare di aiutarli. Perché?
Rachel
cominciava a pensare che più dava corda a quei due,
più si
ficcava in un guaio dal quale uscire sarebbe stato molto difficile.
Ogni volta
che l’avevano aiutata, era successo qualcosa di sgradevole.
Anche quando le
avevano semplicemente regalato quella benzina. Se la macchina non si
fosse fermata
in quel quartiere storico, i Visionari probabilmente non li avrebbero
catturati.
Forse era
solo una coincidenza, ma Rachel aveva sinceramente
cominciato a smettere di crederci. Non potevano esserci così
tante coincidenze
una dietro l’altra, era impossibile.
Prima la
morte di Alden, poi quella di Sasha, poi la fine della
quarantena, Kevin e Dominick alla stazione di servizio, Jeff Dreamer e
i
Visionari, Deathstroke e gli Underdog, Hank e i suoi deliri
cospiratori.
Corvina
si sentiva di fronte ad un gigantesco mosaico che più
cercava
di costruire, più il tutto le diventava difficile. Quando
credeva di essere
riuscita a sistemare un pezzo, ecco che ne saltavano fuori altri dieci
da
montare. Alle sue domande si aggiungevano solo altre domande.
Ma alla
fine rimaneva il quesito dal quale tutto quel ragionamento era
cominciato: doveva fidarsi, di nuovo, di Kevin?
E,
naturalmente, a quella domanda si poteva rispondere solo con
un’altra domanda: aveva altra scelta?
Forse
sarebbero riusciti a scoprire dove Tara si trovava, in qualche
modo, ma quanto tempo avevano, prima che lei morisse tra atroci
sofferenze,
come lo stesso Kevin le aveva fatto intuire?
La
ragazza sospirò. Con le parole non si giungeva mai a nulla.
Occorrevano i fatti. E l’unico fatto, era che avevano una
pista. Una pista
molto traballante, ma pur sempre una pista. Così si
voltò verso di Lucas. Posò
una mano sulla sua gamba, per attirare la sua attenzione.
Il moro
si voltò, restando in silenzio. Osservò prima
lei, poi la sua
mano. Rachel si sentì leggermente imbarazzata. Fece per
spostare il palmo dal
suo ginocchio, ma ciò che fece lui la spiazzò
completamente: posò la sua mano
su quella della ragazza.
La
osservò ancora per un breve momento, cominciando a
tracciarci sopra
degli archi con il proprio pollice. Rachel dischiuse le labbra. Uno
strano
brivido le attraversò il corpo. E le non le dispiacque.
Lucas
sollevò lo sguardo ed incrociò quello della
ragazza. Ora non
sembrava più irritato, ma quasi... abbattuto. A quel punto,
Corvina capì. In
quel momento, per qualche strano motivo, ora lei rappresentava la sua
ancora.
Come la
notte in cui Richard era scappato e lei si era sentita cadere
nel baratro, quando poi Lucas era riuscito a tirarla fuori dalle
tenebre. Ora
era l’esatto opposto.
«Mi
sento un verme...» mugugnò il ragazzo, sospirando
e distogliendo
lo sguardo da lei. La sua mano scivolò lentamente via da
quella di Rachel. Per
un attimo la ragazza fu quasi tentata a fermarla, a stringerla forte,
ma poi si
bloccò, trovandolo un gesto un po’ inopportuno.
«Perché?»
domandò invece, senza staccargli gli occhi di dosso.
Lucas
sospirò una seconda volta, più rumorosamente.
«Io... non lo so.
Ho detto che non ero il vostro capo, che non avevo alcuna
responsabilità su di
voi, che non volevo responsabilità...
ma ora provo l’esatto contrario.»
Fece
schioccare la lingua, questa volta parve di nuovo infastidito.
«Tsk...
mi comporto come un insensibile, come se non me ne importasse di voi.
Mi
comporto da egoista e in effetti credevo di esserlo davvero... una
volta.
«Una
volta non me ne importava niente. Di nessuno. Il desiderio di
vendetta che ho provato quando i Mietitori hanno ucciso i miei genitori
è stato
la cosa più simile all’interesse sentimentale
verso qualcuno, dopo anni e anni.
Ma ora... ora è diverso.
«Non...
non so il perché, ma mi sento in dovere verso di voi. Verso
di
te, verso di Ryan e verso Amalia e Tara. Io... non riesco a spiegarlo
nemmeno a
me stesso, ma è così. Quando ho visto Amalia
ferita in quel modo... mi sono
sentito come se mi fossi spezzato dentro. E quando ha detto che Tara
era stata
rapita... è successa la stessa cosa. Ti sembrerà
strano, ma in questo momento...
vorrei esserci io al posto di Tara, ovunque lei sia stata
portata.»
Scosse
lentamente la testa, chinando il capo. «Avrei... dovuto
comportarmi
meglio con voi. Avrei dovuto proteggervi... e invece...»
Diversi
colpi di tosse lo colpirono all’improvviso, con violenza,
costringendolo ad interrompersi. Rachel si allarmò, ma non
era il caso. Lucas
si riprese quasi subito. Si ripulì le labbra, facendo una
smorfia. «Stupida
tosse...»
Corvina
continuò ad osservarlo, stupita. Le sue parole...
l’avevano
colpita. Raramente aveva visto quel lato di lui. A volte si dimenticava
perfino
che lui fosse capace di simili discorsi, e ciò era
sbagliato. Avrebbe sempre
dovuto tenere a mente che Lucas era molto di più di
ciò che spesso mostrava di sé.
Gli
posò una mano sulla spalla, cercando di rassicurarlo.
«Tu ti sei
già comportato bene. Ci hai guidati fuori da Empire, hai
protetto Amalia in
quella baraccopoli, sei riuscito a trovarci un po’ di cibo
decente e... hai
sempre aiutato me. Per tutto questo tempo sei stato tu la nostra guida.
Ti sei
preso questa responsabilità, senza dire nulla, senza mai
chiedere nulla in cambio.
Tutti commettiamo degli sbagli, ogni tanto. Credimi, io sono la prima a
compierne. E ti capisco quando dici che, a volte, l’unico tuo
desiderio è
quello di mandare tutto quanto al diavolo. Ma devi fidarti di me quando
ti dico
che tu sei tutto, meno che una cattiva persona.»
Lucas
spostò di nuovo lo sguardo su di lei. Dopo un attimo di
sorpresa, parve davvero grato di quelle parole. Le rivolse un tenue
sorriso. «Grazie
Rachel.»
«Prego.»
Rachel ricambiò il sorriso. Non ricordava l'ultima volta in cui sentiva di aver sorriso in maniera così spontanea.
«Ragazzi!»
I due si
voltarono. La voce era provenuta da fuori la porta, la stessa
che si spalancò all’improvviso permettendo a Ryan
di entrare. «Ragazzi!»
esclamò una seconda volta, il tono che faticava a nascondere
il sollievo e
l’eccitazione. «Amalia si è
svegliata!»
***
L’
High Sub era probabilmente il quartiere più benestante di
tutta Sub
City. Edifici alti e fatiscenti, moltissimi locali di classe, belle
auto
parcheggiate sul ciglio della strada e perfino palme. Palme! A
centinaia di
chilometri di distanza dal mare, gli alberi esotici sorgevano nelle
apposite
piazzole sui marciapiedi dalle piastrelle di marmo e sugli
spartitraffico in
mezzo alla strada.
Rachel
non credeva ai propri occhi. Era meravigliata. Come poteva una
città così bella, nascondere simili
mostruosità? Non era come Empire, era
totalmente diverso. Empire aveva il Neon, aveva il Centro Storico,
quartieri
benestanti, certo, ma a rivelare la vera essenza di quella
città che infondo
era sempre stata un po’ marcia nel midollo c’era il
Dedalo.
Lì
no. Sub City non aveva un Dedalo. O, perlomeno, Rachel non lo aveva
visto mentre lei, Lucas e Amalia avevano viaggiato dalla periferia
industriale
fino a lì, schivando le pattuglie degli UDG e i loro
fuoristrada.
Le stelle
erano alte nel cielo e la luna era piena. Sarebbe stata una
serata meravigliosa per poter uscire in quel quartiere. Era quasi
triste vedere
quelle strade così vuote, a causa del coprifuoco, ma allo
stesso tempo era un
sollievo, perché permetteva alla corvina di goderselo in
tutto il suo splendore
dalla cima di quel palazzo su cui erano appostati, senza il caos
generato da
folle e automobili.
«Ci
siamo» disse Lucas all’improvviso, indicando il
convoglio di
veicoli che stava giungendo dal fondo della strada. Quattro
fuoristrada,
disposti due davanti e due dietro ad un veicolo più grosso,
un hummer. Ognuno
di loro possedeva sulla fiancata il marchio che ormai avevano imparato
a
conoscere.
«Non
vedo l’ora di incontrare questo tizio»
sibilò Amalia,
accarezzando il fucile che teneva tra le mani. «Gli
farò sputare sangue fino a
quando non ci dirà tutto quanto.»
«Mettiti
in coda» ribatté Red X.
Rachel
ancora non riusciva a credere a come i suoi compagni avevano ascoltato
senza fiatare ciò che Kevin le aveva detto. E non appena
aveva finito di
parlare, tutti loro avevano voluto agire all’istante.
Evidentemente anche loro
sapevano di non avere altra scelta.
La
corvina provò un altro morso di dispiacere quando
ripensò a come
Amalia aveva proibito di partecipare anche a Ryan, che era stato quello
che più
di tutti aveva desiderato di trovarsi con loro in quel momento.
Ma dopo
quanto accaduto, Amalia aveva avuto più che ragione a
proibirgli di venire con loro. Anche Rachel, che avrebbe voluto
aiutarlo a
spuntarla con la sorella, si era astenuta da quella discussione. Quello
non era
il posto per lui. E il numero così ingente di Underdog che
presto sarebbero
stati presenti nell’area non faceva che convincerla
ulteriormente di quanto
giusta fosse stata la sua scelta.
Il
magazzino non era il luogo più sicuro in assoluto per Ryan,
ma era
comunque meglio di quella strada prossima a trasformarsi in un campo di
battaglia.
Il
convoglio si fermò al fondo della via, proprio sotto il
palazzo in
cui si erano appostati i tre ragazzi. Qui si trovava una piccola piazza
circolare, dalla quale poi sboccavano diverse vie pedonali che si
immergevano
nei meandri dell’High Sub.
Non
appena l’avevano vista, tutti loro avevano capito che se
c’era un
luogo ideale per incontrare qualcuno, quello era proprio quella piazza.
Era
piuttosto isolata e tranquilla, nonché sufficientemente
spaziosa per contenere
tutte le macchine.
Dalle
auto scesero gli uomini armati. Rachel focalizzò
l’attenzione
sull’hummer. Quando da esso scesero tutti gli UDG al suo
interno, la ragazza
corvina sgranò gli occhi. Non ci mise molto a capire quale
fosse la persona che
stessero cercando.
La donna
con la bandana e la chioma di capelli nivei si incamminò a
passo spedito, accerchiata dai suoi uomini, verso il centro della
piazza. Si
guardò intorno diverse volte, con aria furtiva, ma il buio
aiutò a proteggere
bene i tre ragazzi da sguardi indiscreti. Una cosa che Rachel
notò era che costei
era disarmata. O meglio, non aveva né pistole, né
fucili, ma la loro assenza
era ben compensata dalla presenza di due lunghe spade katana rinchiuse
nei loro
foderi, legati sulla sua schiena.
Non
appena raggiunse il punto, da uno dei vicoli sbucò fuori un
altro
individuo, solo, avvolto in un impermeabile nero. Il cappuccio
sollevato
impediva di scorgerlo in volto. Si avvicinò al gruppo di
uomini armati, come se
nulla fosse. Rachel intuì che quello doveva essere
l’informatore. Chissà chi si
celava sotto quel cappuccio.
L’abito
sembrava quello di Dreamer, ma la corvina dubitava che fosse
davvero lui. Non avrebbe avuto nessun tornaconto a parlare con la UDG,
e
comunque Jeff non avrebbe rinunciato alla propria classe per rimanere
anonimo.
Escluso
lui, restavano poche altre possibilità. Magari un Underdog
sotto copertura, o magari perfino un Visionario che faceva il doppio
gioco.
«Bene»
cominciò Lucas, afferrando le armi.
«Pronte?»
«Pronte»
risposero le due ragazze in coro.
«Sei
ancora in tempo per tirarti indietro se vuoi, Amalia. Ti sei
appena ripresa, dopotutto.»
La mora
serrò la mascella, per poi scuotere la testa.
«Quei bastardi
mi hanno sparato. Gliela farò pagare molto cara. E di certo
non ho alcuna
intenzione di lasciarli impuniti dopo quello che hanno fatto a
Tara.»
Lucas la
soppesò con lo sguardo per qualche istante, poi
annuì. «D’accordo.»
Spostò lo sguardo verso la piazza, incollò gli
occhi su quella donna che era il
loro bersaglio. L’asta telescopica si allungò
dalle estremità del palmo della
sua mano. «Andiamo.»
***
Rachel
attese che Lucas e Amalia fossero in posizione, poi scese dal
palazzo in picchiata. Non appena gli Underdog si accorsero di lei, per
alcuni
di loro era già troppo tardi.
«State
attenti!» gridò la luogotenente di Wilson,
estraendo le katana
mentre una pioggia di raggi neri si abbatteva sui suoi uomini.
«È il Demone!»
Gli
Underdog risposero al fuoco; le fiammate dei fucili illuminarono
la piazza.
La
conduit sorvolò tutti loro, facendo da capro espiatorio,
mentre i
suoi due compagni si occupavano del resto.
Red X
attaccò gli uomini armati su un fianco, mentre Amalia li
colpì
dall’altro, trovando riparo dietro ad un fuoristrada. Il
fucile della mora
mieteva una vittima dopo l’altra, mentre Lucas abbatteva
l’asta sulle tempie di
chiunque gli capitasse a tiro. Era passato diverso tempo
dall’ultima volta che
aveva indossato la sua uniforme nera, stivali e protezioni di metallo,
ma da
come si muoveva era chiaro che per lui era come se non se le fosse mai
tolte.
La donna
dai capelli color neve continuava a gridare e impartire
ordini, ma perfino lei era rimasta colta in contropiede
dall’attacco improvviso
dei tre ragazzi.
Corvina
non dava un attimo di tregua agli uomini armati. I proiettili
non la sfioravano nemmeno, mentre i suoi raggi neri erano decisivi per
quasi
tutti loro.
Nella
periferia del suo campo visivo vide Lucas scagliarsi sul loro
obiettivo, sollevando l’asta. «Balliamo,
donzella!»
Mulinò
il bastone ma la donna si difese prontamente con le katana,
incrociandole e bloccando il bastone a mezz’aria.
«Avete commesso un grave
errore a venire qui! Vi sventrerò con le mie mani!»
Lo
attaccò con un fendente, ma il moro saltò
all’indietro e la lama
non sventrò altro che l’aria. Rachel avrebbe
voluto andare ad aiutarlo, ma
c’erano ancora troppi uomini da sistemare.
Dietro al
suo riparo, Amalia continuava a fare fuoco e a lanciare gli
insulti più disparati verso gli Underdog. Quella fu una
delle poche volte in
cui la corvina fu felice di avere la mora dalla sua parte.
Rachel
scese a terra e ritornò in forma umana, dopodiché
si chinò e
premette entrambi i palmi contro il terreno. I suoi occhi divennero
bianchi, gridò
e l’energia oscura si riversò al di fuori di lei.
Decine di lacci di energia
neri comparvero all’improvviso sotto i piedi degli UDG e li
imprigionarono.
Alcuni di loro furono fatti fuori da Amalia, altri invece vennero
stritolati a
tal punto da perdere i sensi.
Nessuno
di loro poteva competere con lei. Uno dopo l’altro caddero
tutti, fino a quando non rimase solo più uno.
Corvina
si voltò verso la vice di Deathstroke. La donna stava
combattendo furiosamente contro di Lucas, stoccata dopo stoccata,
affondo dopo
affondo.
Red X dal
canto suo si difendeva bene, ma con la sua arma non sarebbe
riuscito ancora a lungo a tenere a bada le lame affilatissime delle
katana di lei.
«Hai
una vaga idea di chi io sia?!» ululò la sua
avversaria,
mancandolo per l’ennesima volta con una sferzata che avrebbe
decapitato
chiunque. «Io sono Ravager la Devastatrice, seconda in
comando dopo Deathstroke
il Terminator! Chiunque capiti sotto le mie grinfie...»
«Si
suicida pur di non sentire la tua dannata voce?»
domandò Lucas, interrompendola,
deviando l’ennesimo attacco.
Quelle
parole non fecero altro che far infuriare ulteriormente
Ravager. «Ti pentirai di tanta insolenza!»
gridò, attaccando con ancora più
rabbia.
Rachel
decise di intervenire, prima che Rosso venisse sopraffatto
dalla furia cieca della soldatessa. Puntò la mano contro di
Ravager e un raggio
di energia si scaturì dal suo palmo, ma la vice di
Deathstroke riuscì ad
accorgersene in tempo e ad evitarlo, compiendo un’acrobazia
che la portò ad
allontanarsi da Lucas.
Atterrò
in piedi e strinse la presa attorno alle spade, per poi
rivolgere un’occhiata incendiaria alla corvina. Solo in quel
momento Rachel si
rese conto che anche lei aveva un solo occhio scoperto.
L’altro era nascosto
dalla bandana bicolore, nera e arancione come la maschera del suo capo.
Anche
l’iride era di un azzurro penetrante come quella di
Deathstroke.
«Fine
dei giochi, stronza.» Amalia arrivò proprio in
quel momento, con
il fucile puntato su Ravager. «Dicci dove hanno portato
Tara!»
La donna
osservò la mora per un breve momento, quasi perplessa, poi
un
sorriso sadico si dipinse sul suo volto. Roteò entrambe le
katana con maestria,
tracciando delle circonferenze in aria. «La biondina? Oh
sì, mi ricordo di lei...
urlava come una disperata.»
Amalia
digrignò i denti, aumentando la presa intorno al fucile.
«Se le
fate del male, giuro che...»
«Del
male? Credimi tesoro, male sarà
nulla in confronto a ciò che le accadrà. Vuoi
sapere dov’era l’ultima volta che
l’ho vista?» Ravager sogghignò maligna.
Rinfoderò entrambe le armi, come se si
stesse davvero arrendendo. «Era legata ad un tavolo in un
ambulatorio,
collegata a dei macchinari, completamente nuda.»
Si
inumidì le labbra, come se quel pensiero le infondesse una
sorta di
perverso piacere. Avvicinò una mano alla cintura ed estrasse
un oggetto
cilindrico, di vetro.«Cercava di liberarsi in tutti i modi,
piangeva, implorava
pietà... uno spettacolo meraviglioso...»
«Smettila...»
ringhiò Komand’r. Le sue mani divennero bianche da
quanto strinse la presa sull’arma.
«Calmati
Amalia» suggerì Lucas, avvicinandosi alla donna
bracciando la
sua arma. «Sta solo cercando di farti arrabbiare.»
«E
vuoi sapere qual è la cosa più
divertente?» la canzonò ancora la
UDG, ignorando il moro. Il cilindro nella sua mano emise un fioco
bagliore,
sotto il riflesso dei lampioni. Rachel aguzzò la vista, poi
lo vide: un ago.
Quello nella sua mano non era affatto un cilindro, era una siringa.
«Quando
mi ha chiesto di liberarla le ho riso in faccia.
L’espressione
che ha fatto lei dopo...» La luogotenente fece un verso
deliziato, come se
avesse appena assaggiato qualcosa che le aveva sciolto le papille
gustative. «...
è stata pura estasi per me. Quando avrò finito
qui tornerò da lei e mi assicurerò
personalmente che continui a piangere!»
«VAFFANCULO!»
ululò Komand’r, gridando di rabbia, per poi
prendere la
mira.
L’ago
scintillò di nuovo nella mano di Ravager. Rachel la vide
muovere
di scatto il palmo e sgranò gli occhi.
«Lucas!»
Ma il
moro era già impegnato a correre in direzione di Komand'r.
«Amalia, no!»
«Fregati.»
Ravager si conficcò l’ago della siringa in una
coscia,
mugugnando di dolore quando la punta perforò prima il
tessuto dei pantaloni,
poi la cute. Premette lo stantuffo. Rachel la osservò
pietrificata, mentre il
liquido trasparente dentro la siringa svaniva dentro il corpo della
donna e la
sua espressione di dolore mutava lentamente in una molto più
compiaciuta.
Un
sorriso disumano si dipinse sul suo volto, la sua unica pupilla si
dilatò. Nello stesso istante,
Amalia aprì il fuoco su di lei.
Credo che questa sia la prima
volta che Ravager compare in una fanfic sui TT. Credo, non ne
sono sicuro, per esserne certo dovrei dare uno sguardo a tutte le 250
fic del fandom, ma sinceramente non impazzisco dalla voglia di farlo.
Comunque sono di nuovo qui a
rompere le scatole, che bravo che sono, eh? Mi merito un biscottino. Se
me lo chiedete vi do anche la zampa.
Ora, parlando ancora di aspetti
tecnici. In questa storia ho preferito "adottare" il nome Deathstroke
per Wilson, e non lo Slade che tutti conosciamo. Questo
perché trovo che questo nome si sposi molto meglio con
l'ambientazione della storia. Slade, qui, non è il cattivo
malvagio e subdolo che noi tutti amiamo, all'incirca (cioè,
sì, lo è, tuttavia ci sono diverse differenze).
Diciamo che praticamente è più un mercenario che
un cattivone a tutto tondo, un po' come lo è in Young
Justice, dove parla poco ma picchia tanto e al soldo del miglior
offerente. Cosa, non avete visto Young Justice? Miscredenti, andate
subito a recuperavelo! Via, sciò!
Ravager invece. Allora, mi sono
documentato un po' su di lei, e posso dire che è una persona
molto ossessionata da Slade. Così ossessionata da cavarsi un
occhio solo per assomigliargli un po' di più. E per darle
quel pizzico di grazia in più, l'ho resa sadica, crudele e
spietata. In questo capitolo avete avuto solo un assaggio di queste sue
caratteristiche. Siccome non è una cosa di vitale
importanza, posso dirvi che la roba che si è iniettata
è adrenalina, e non serve che vi spieghi cosa faccia questa
bellissima robaccia sintetica, vero? L'adrenalina inoltre le causa un
invecchiamento prematuro del corpo, questo spiega dunque i suoi capelli
da ultra settantenne. Che però le stanno bene secondo me.
Cioè, le danno un tocco un po' più
esotico.
Nel fumetto Ravager possiede dei
poteri premonitivi, ma siccome lei non è una conduit, in
questa storia, allora ne è priva. Insomma, è
semplicemente una drogata, pazza, assassina crudele e dalla tortura
facile.
Bene, ho concluso. Come al
solito, se notate errori (io ne ho notati parecchi rileggendo, e li ho
corretti tutti, ma sicuramente qualcosa mi sarà sfuggito),
segnalate, grazie. Cioé, segnalateli a me, non segnalate la storia.
E voglio anche dirvi che ormai
sono troppo preso bene con questa storia. Sto andando avanti in quinta
a scriverla, non mi ferma più nessuno. Giuro che questa la
completo. Cascasse il mondo, io la completo. Non me ne frega niente del
resto.
E voglio anche essere onesto, mi
sono affezionato molto a questa storia. Mi sono affezionato alla trama,
ai suoi personaggi, agli intrecci che devono ancora arrivare.
Probabilmente ci sono delle lacune, anzi, ci sono sicuramente, ma non
mi importa, perché ci sto mettendo anima e corpo a scriverla.
Mi sono affezionato un sacco a
Rachel, e a come la sto dipingendo. Mi piace un sacco, mi piace sempre
di più. Di recente mi è capitato di vedere il
film Justice League vs Teen Titans e (a parte il fatto che la BBRae
è stata completamente smontata *lancia i coriandoli che
manco al carnevale di Rio) mi sono reso conto che la Corvina
raffigurata in quell'opera e quella che sto scrivendo io sono davvero,
davvero simili (per quello che riguarda il suo rapporto con gli altri
personaggi, in fatto di poteri ed eccetera sono un pochino diverse). E
la cosa mi riempie di felicità e orgoglio.
Mi sono affezionato a Lucas, ad
Amalia , a Tara, a Ryan, a Jeff (anche se i retroscena di quest'ultimo
devono ancora essere svelati), perfino a Deathstroke, e non solo
loro.
Le storie che ognuno ha da
raccontare, gli intrecci, i loro passati, davvero, sono VERAMENTE
EUFORICO! (cit.)
E spero davvero che tutti voi
possiate godervi questa storia almeno la metà di quanto me
la sto godendo io.
Ok, ho scritto un poema e vi
avrò portato via almeno dieci anni di vita, ma volevo farlo,
era già da un po' che me lo tenevo dentro. E quindi niente,
vi ringrazio tutti di cuore.
Alla prossima (che
arriverà comunque nel finesettimana)!
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Capitolo 16 *** Qualcuno più esperto ***
Capitolo
16: QUALCUNO
PIÙ ESPERTO
Ravager
rise, poi scattò; fu una scena quasi irreale.
Gettò via la
siringa ormai vuota e sguainò le katana, correndo lungo una
traiettoria
semicircolare che puntava proprio verso di Amalia. Rachel non
riuscì a credere
ai suoi occhi. I proiettili non facevano altro che colpire il punto in
cui un
millisecondo prima si era trovata la luogotenente.
Komand’r
continuò a sparare, fino a quando le fiammate dei proiettili
non si interruppero con un click improvviso.
Nello stesso istante, Ravager si ritrovò di fronte a lei,
con la katana diretta
al suo cuore. Amalia sgranò gli occhi per la sorpresa.
All’ultimo istante cercò
di parare il colpo con il fucile. Ci riuscì per il rotto
della cuffia, ma
l’impatto la fece comunque gridare di dolore.
L’arma le cadde di mano e la
ragazza ruzzolò a terra, del tutto priva di difese.
«Hai
fatto male i tuoi conti!» La lama calò sulla mora
inerme con la
velocità di una saetta... e si abbatté su una
barriera di energia nera, apparsa
dal nulla sopra il corpo della ragazza.
Ravager
sgranò l’occhio. «Ma cosa?!»
«Non
farai ulteriore male ai miei amici.»
La donna
spostò appena lo sguardo su di Rachel, la quale teneva
ancora
la mano sollevata e protesa verso di Amalia. Ringhiò
sommessamente, poi
distolse la sua attenzione dalla mora.
«D’accordo» disse chinando il capo,
trattenendo a stento le vene di irritazione presenti nella sua voce.
«Vorrà
dire che...» Drizzò la testa, folgorandola con lo
sguardo. «... eliminerò prima
te!»
Partì
di nuovo alla carica, questa volta verso di lei. Rachel
serrò la
mascella e concentrò l’energia nei suoi palmi. I
suoi raggi neri sferzarono
l’aria, dirigendosi uno dietro l’altro verso la
soldatessa, ma quella li evitò
tutti quanti, ridendo come se per lei fosse la cosa più
banale del mondo.
Lacci di
energia nera si sollevarono allora dal terreno, da ogni dove,
e si fiondarono sull’albina, ma neppure loro riuscirono a
fermarla; Ravager li
respinse tutti, mozzandoli a colpi di katana o evitandoli con agili
mosse.
«Coraggio
Demone, combatti!» esclamò quando si
trovò di fronte a lei,
con le punte delle spade dirette verso il suo cuore.
Le lame
si avvicinarono, ma incontrarono nuovamente la luce oscura
come ostacolo. Rachel avvolse il suo intero corpo con
l’energia nera e si
trasformò in rapace, allontanandosi
dall’avversaria.
«Che
cosa c’è, mostro, hai paura di
affrontarmi?»
Una
smorfia nacque sul volto di Rachel. Non aveva paura, ma non poteva
lasciarsi avvicinare troppo da lei, o l’avrebbe affettata.
«Che
ne dici di affrontare me allora?» si intromise Lucas,
arrivando alle
spalle della luogotenente.
L’asta
saettò verso di lei, ma la soldatessa si girò di
scattò,
sferzando l’aria con la katana e parando il colpo. Il bastone
del ragazzo si
ritrovò sospeso esattamente a metà tra lui e lei.
Ravager sogghignò. «D’accordo
bel fusto, vi affronterò tutti quanti!»
Ravager e
Red X ripresero il combattimento di poco prima. La prima
attaccava furiosamente, mulinando le katana come se non fossero le
spade lunghe
e difficili da maneggiare che in realtà erano, mentre il
secondo schivava e
parava a denti stretti, evitando per un soffio più e
più volte che le lame gli
strappassero via il naso dal volto. Come se non bastasse, ora
l’albina sembrava
muoversi con molta più agilità e precisione di
prima.
Rachel
scese in picchiata verso la donna per cercare di sbilanciarla,
ma quella respinse un fendente di Lucas e balzò
all’indietro, uscendo indenne
dagli attacchi di entrambi. A quel punto la corvina fece inversione e
cercò di
colpirla più e più volte, lo stesso fece il suo
partner menando fendenti su
fendenti, ma nessuno dei due riuscì nemmeno a sfiorare
Ravager.
La
soldatessa schivava fendenti e raggi neri in contemporanea,
rispondendo anche per le rime. Corvina le si avventò
nuovamente addosso, ma
Ravager questa volta fu più veloce: sferzò
l’aria con la katana un momento
prima che Rachel la raggiungesse.
La
ragazza sgranò gli occhi. La lama si abbatté sul
corpo del rapace e
la conduit percepì un’enorme fitta di dolore, che
le fece perdere il controllo
del volo. Gridò e si schiantò sul suolo, la luce
nera attorno a lei si
affievolì. Non aveva tagli o altro, ma era comunque stata
colpita con una forza
tale da farle provare un lancinante dolore al fianco.
«Muori,
Demone!» Ravager
torreggiò su di lei, sollevando le spade.
Rachel
fece per cercare di generare una barriera protettiva, ma non ce
ne fu il bisogno; una lama a forma di X, rossa, si conficcò
sul braccio
dell’albina, sotto la spalla.
La donna
gridò per il dolore e la katana che teneva da quella parte
le
cadde di mano. Barcollò, cercando di estrarre il corpo
estraneo, ma Lucas si
fiondò di nuovo su di lei brandendo l’asta.
Ravager
parò l’attacco con l’ausilio
dell’altra katana, questa volta
ululando di rabbia. Impugnò la spada con entrambe le mani,
poi lo aggredì con
brutalità.
Red X
sollevò l’asta, ma non calcolò la forza
usata dalla
luogotenente. Le due armi cozzarono tra loro, ma fu quella di Lucas ad
avere la
peggio. Il ragazzo, disarmato, barcollò e Ravager ne
approfittò per estrarre la
lama dal suo braccio. Un fiotto di sangue vermiglio schizzò
fuori dalla ferita,
ma la donna nemmeno ci fece caso; scagliò la stessa lama
contro il suo
proprietario, mirando alla testa.
Lucas
sgranò gli occhi e si scansò per evitarla, ma
quella gli sfiorò
la guancia aprendo un grosso taglio. Il moro gridò e
indietreggiò, abbassando
la guardia e l’albina sfruttò la sua distrazione
per sferrare un altro
fendente. Red X riuscì a tirarsi ancora indietro, ma non
poté non farsi aprire
un ulteriore taglio, questa volta sul petto.
Il
ragazzo si portò entrambe le mani sulla ferita facendo un
verso
strozzato, poi la donna lo colpì con un calcio rotante
sull’addome,
scaraventandolo a terra. Un lampo di luce maligna balenò nel
suo unico occhio,
mentre si avvicinava la punta insanguinata della katana alla bocca, per
poi
leccarne il piatto. «Mhh... niente male.» Un
sorriso sadico si dipinse sul suo
volto, le labbra macchiate della sostanza vermiglia.
Si
avvicinò al moro esanime e sollevò la lama.
«Saluta le tue amiche!»
Lacci di
energia neri spuntarono fuori dal terreno all’improvviso,
immobilizzandole il braccio con cui teneva la katana. Ravager fece un
verso
sorpreso. Cercò di liberarsi con degli strattoni, poi si
voltò verso di Rachel.
La corvina teneva ancora appoggiata una mano sul suolo, severa in volto.
«Questa
me la paghi!» minacciò la donna, tirando con
quanta forza
avesse in corpo.
Si mosse
verso di lei, il laccio si piegò. Rachel gemette, ma tenne
stretti i denti. Ravager non poteva essere più forte dei
suoi poteri, era
escluso.
Altri
fasci di luce nera si sollevarono. Le avvolsero le gambe,
l’altro braccio, il busto. La katana cadde di mano dalla
donna, ma quella non
si arrese ugualmente. Continuò a ringhiare, a gemere per lo
sforzo che stava
compiendo e a camminare verso la corvina.
Più
passi faceva, più i lacci si stringevano attorno a lei,
più Rachel
sentiva le forze abbandonarla. E nonostante tutti i suoi sforzi,
Ravager
riusciva ancora a muoversi.
«Ti...
strapperò via... la lingua...»
minacciò, con un soffio di voce.
Rachel
serrò la mascella e mantenne i nervi saldi. Non le avrebbe
permesso di liberarsi così facilmente.
«Ucciderò...
tutti voi... vi... torturerò... vi...»
Un laccio
si attorcigliò attorno al collo della soldatessa, facendole
emettere un verso strozzato.
«Sono
stanca delle tue minacce.» Rachel gli puntò una
mano aperta,
dopodiché la chiuse a pugno all’improvviso. Il
cappio si strinse ancora più
forte, Ravager tentò di gridare ma uscì solo un
altro verso soffocato. Inarcò
il collo all’indietro e si dimenò, ma i lacci la
immobilizzarono del tutto,
stroncando qualunque suo tentativo di salvarsi.
Puntò
il suo unico occhio verso la corvina e per un momento la ragazza
notò un barlume di paura nel suo sguardo.
«Che
succede, Devastatrice?» domandò allora la conduit
con un ghigno. «Sei
rimasta senza parole?»
Il cappio
si strinse ulteriormente. Un altro grido strozzato provenne
dalla donna.
«Potresti
ripetermi che cosa volevi farci? Volevi torturarci? Davvero,
non ricordo.»
L’unico
occhio di Ravager si chiuse. La luogotenente chinò il capo,
gemendo.
«Scusa,
ma non riesco a capire. Sai, hai qualcosa attorno al...»
«Rachel,
basta!»
Quella
voce la fece trasalire. Lucas si era rialzato in piedi, il
sangue che gocciolava ancora copiosamente dalle sue ferite. La
osservava, quasi
basito. «Che stai facendo?! Lasciala andare!»
La
corvina dischiuse le labbra. Osservò prima il partner, poi
la donna
imprigionata. Qualcosa scattò dentro di lei. I lacci avvolti
attorno a Ravager
si dissolsero e la soldatessa cadde scompostamente a terra, priva di
sensi.
Rachel
rimase in piedi, ad osservarla, con il fiato pesante. La sua
mente rifiutava di collaborare con lei.
Lucas era
ancora lì, con gli occhi fissi su di lei; sembrava stesse
cercando di chiederle spiegazioni.
Spiegazioni
che nemmeno lei era in grado di dare. Sapeva solo che lo
scontro era finito. Gli Underdog erano a terra, tutti privi di sensi,
se non
morti; l’informatore misterioso era svanito come nel nulla, e
con lui qualsiasi
tentativo di scoprire la sua vera identità, e per finire la
vice di Deathstroke
era nelle loro mani. E lei quasi l’aveva uccisa.
«Finalmente
le hai tappato la bocca...» mugugnò Amalia,
arrivando
proprio in quel momento. Si avvicinò al corpo esanime di
Ravager, poi la
punzecchiò con la punta del piede. «Ehi, puttana!
Non ti dispiace se ti chiamo
così, vero? Chi tace acconsente.»
«Dacci
un taglio, Amalia...» borbottò nuovamente Lucas,
distogliendo
l’attenzione da Rachel. «Andiamocene da qui prima
che qualcuno di loro si
riprenda...» disse ancora, indicando alcuni degli uomini
svenuti.
«Guastafeste...»
mugugnò Komand’r. Il suo sguardo cadde poi sulla
siringa ormai vuota usata da Ravager. Si avvicinò
all’oggetto e lo raccolse,
attenta a non toccare l’ago, poi lo esaminò.
«Cos’è questa roba? Droga?»
«Adrenalina»
mugugnò Lucas. «Una volta l’ho vista
girare per il
Dedalo. Inutile dire che quella roba ti distrugge completamente la
testa.»
«Wow...»
commentò la mora, gettando via lo stantuffo vuoto.
«Che
schifo.»
Nel
frattempo Rosso si avvicinò a Ravager, per poi sollevarla e
caricarsela su una spalla. Si rivolse alle due ragazze, accennando poi
con il
mento ad uno dei fuoristrada. «Forza, andiamo a farci un
giro.»
***
Si
liberarono del fuoristrada qualche isolato prima del magazzino, poi
proseguirono a piedi.
Avevano a
malapena qualche ora prima che gli Underdog si accorgessero
di quanto accaduto, dovevano sfruttarle appieno. Un solo minuto
sprecato, e
avrebbero potuto dire addio ai loro piani.
Per tutto
il tempo trascorso osservando la donna svenuta, Rachel non
riuscì a smettere di pensare a ciò che le aveva
quasi fatto. Per poco non aveva
fatto fuori l’unica possibilità di scoprire dove
si trovasse Tara, e di
conseguenza salvarla.
Si
guardò le mani. Erano stati i suoi poteri, ne era certa. Si
era
lasciata trasportare troppo dal momento e aveva perso il controllo su
di loro.
Era riuscita a ritornare in sé, vero, ma cosa le garantiva
che ci sarebbe
riuscita di nuovo? Se avesse perso il controllo nel momento sbagliato,
nel
posto sbagliato, come avrebbe potuto impedire a sé stessa di
fare del male a
delle persone innocenti? O a persone a cui teneva, come i suoi amici?
Non lo
sapeva, sapeva solo che più il tempo passava, più
la battaglia
per il controllo del suo corpo tra lei e i suoi poteri volgeva dalla
parte di
questi ultimi.
Arrivati
al magazzino misero Ravager seduta su una sedia in area relax,
dopo Lucas si occupò di immobilizzarla con degli spessi
strati di nastro
isolante.
Fu
durante quella sua operazione, che la luogotenente riprese
lentamente i sensi. Tossì diverse volte, poi
riaprì l’unico occhio scoperto.
Rachel rimase sinceramente sorpresa dalla velocità con cui
rinvenne.
La donna
parve per un attimo spaesata, quando realizzò di trovarsi
nel
magazzino legata ad una sedia, ma nel giro di poco tempo
riacquistò la sua
spavalderia. Spostò lo sguardo su Lucas. Il ragazzo era
inginocchiato, intento a
rinforzare gli strati di nastro che tenevano incollate le gambe dell'
albina con quelle della sedia. Ravager sogghignò.
«Mi leghi ad una sedia dopo
solo un appuntamento? Tu sì che sai come far breccia nel
cuore di una donna.»
«Me
l’hanno detto in molte» ribatté il moro
senza nemmeno sollevare lo
sguardo. Fece passare il nastro almeno una decina di volte attorno allo
stinco
di Ravager, fino a quando non fu sicuro che da lì non
potesse più muoversi.
Dopodiché
Red X si alzò e levò la bandana dal volto della
donna,
scoprendo il suo altro occhio, chiuso, e la scompigliata frangia di
capelli
bianchi. Osservandola meglio poterono constatare che "donna" non era
proprio il termine migliore per descriverla. Era più vecchia
di loro, certo, ma
probabilmente non superava nemmeno i trent’anni di
età.
«Così
potremo guardarci meglio negli occhi» spiegò
Lucas, gettando via
il tessuto nero e arancione.
«Che
gentiluomo.»
«Lo
so.»
«Perché
non mi liberi, invece? Così dopo potremmo divertirci per
davvero.» L’albina si leccò le labbra,
osservandolo maliziosa. «Sei mai stato
con una più grande di te? Potrei insegnarti un sacco di cose
interessanti, sai?»
«E
perché tu non chiudi quella fogna di bocca,
invece?» domandò
Amalia, puntandole una pistola alla tempia.
«Qual
è il problema, ragazzina?» la interrogò
Ravager, per nulla
intimidita. «Sei gelosa? Puoi unirti a noi se vuoi, io non ho
pregiudizi.»
Komand’r
sgranò gli occhi udendo quella frase, poi fece una smorfia.
«Bleah.
Te lo puoi scordare.» Abbassò il cane della
pistola. «Semplicemente voglio che
tu la smetta di parlare.»
«E
allora perché non avete permesso a quel mostriciattolo di
uccidermi?» chiese ancora la soldatessa, accennando a Rachel.
«Così almeno
sarei rimasta zitta per sempre.»
Quelle
parole ferirono la corvina, e non poco, ma lei cercò
comunque
di non darlo a vedere.
«Perché
prima devi rispondere ad alcune nostre domande» disse Lucas,
rispondendo al posto di Rachel, con tono scocciato.
«Oh,
ma davvero?» Ravager parve quasi divertita. «E cosa
ti fa pensare
che io sarò disposta a collaborare? Come intendi avere
queste risposte? Con la
forza? Tu non picchierai mai una donna legata ad una sedia.»
«Lui
forse no, ma io sì!» Amalia le sferrò
un poderoso ceffone con la
mano rivolta dalla parte delle nocche, producendo un suono orribile.
Ravager
piegò il capo, gemendo, ma non ci mise molto a ridacchiare e
a
rialzare lo sguardo, verso la mora. «Tutto qui?»
domandò, con la guancia
arrossata.
«Posso
andare avanti tutta la notte, se vuoi.»
«Ma
certo, così nel frattempo gli Underdog vi
scoveranno.» L’albina fece
correre lo sguardo lungo le pareti della stanza. «Carino
questo posto, davvero,
assomiglia proprio a quello in cui vi abbiamo trovate
l’ultima volta. Chissà
quanto tempo ci metteranno per capire che siete stati così
idioti da tornare
qui. Io dico un’ora.»
«Vorrà
dire che ci dirai subito dove hanno portato Tara»
asserì Lucas,
con tono fermo.
«Tara?
Chi è Tara?»
Red X
strinse con forza i pugni. «La ragazza bionda che avete
rapito.»
«Ah,
già, lei. Un bel tipetto. Non ha smesso un attimo di urlare,
lo
sapete?»
«Sì,
l’hai già detto...» mugugnò
Rosso, infastidito.
Ryan
sussultò. «Che cosa le avete fatto?»
Ravager
rispose con un altro ghigno. «Che cosa non
le abbiamo fatto, vorrai dire.»
Amalia
ringhiò per la rabbia. «Ora mi hai davvero
rotto!»
Sollevò
di nuovo una mano per colpirla, ma Lucas la fermò,
arrivandole
all’improvviso di fianco e afferrandole il braccio.
«Non farlo. Picchiarla non
serve a niente.»
«Se
permetti, voglio essere io a deciderlo!» esclamò
Amalia
liberandosi con uno strattone.
Tuttavia,
prima che potesse davvero infierire su di lei, Ravager parlò
nuovamente, con un sorriso sadico in volto: «Mettiamo in caso
il fatto che io
decida davvero di aiutarvi, che vi dica dove hanno portato la vostra
amichetta,
voi cosa fareste? Eh? Andreste a cercarla nella tana del
ragno?»
I quattro
ragazzi rimasero in silenzio. Solo in quel momento Rachel
realizzò che prima di allora non aveva ancora pensato a cosa
avrebbero fatto
dopo aver catturato Ravager.
«Mettiamo
in caso che riusciate ad attraversare la città, evitando le
centinaia
di pattuglie che presto verranno a cercarmi. Mettiamo in caso che
riusciate ad
arrivare alla base, dove hanno portato la vostra amichetta. Dopo che
cosa avete
intenzione di fare? Combattere, voi quattro soli, anzi...»
Ravager
osservò Ryan, ridacchiando. «Facciamo tre e
mezzo... contro un
intero esercito di uomini armati fino ai denti, tra cui alcuni
sottoluogotenenti? Davvero credete di potercela fare? Ma voglio essere
fiduciosa, mettiamo anche in caso che riusciate davvero a superare le
guardie e
riusciate ad arrivare alla vostra amica, in una stanza che è
sorvegliata con
delle videocamere da Deathstroke in persona. A quel punto che cosa
farete?
Affronterete anche lui? Da soli?»
La
luogotenente ridacchiò nuovamente, scuotendo la testa con
aria di
sufficienza. «A stento siete riusciti a sconfiggere me...
cosa vi fa credere di
poter battere uno come lui? Se è il nostro capo un motivo
c’è, d’altronde.»
«Dimentichi
una cosa» fece Lucas, severo, per poi spostare lo sguardo
su Rachel. «Noi abbiamo un conduit dalla nostra
parte.»
La
corvina incrociò gli occhi del ragazzo. Realizzò
che, in quel
momento, egli stava riponendo in lei una fiducia che probabilmente mai
aveva
risposto in altre persone. Non seppe se sentirsi onorata oppure
spaventata da
quel pensiero.
Un’altra
risata proveniente dalla gola di Ravager la convinse a
lasciar perdere quel dubbio. «Certo, avete la
demonietta...» cominciò a dire,
osservando la diretta interessata senza alcun timore. «... ma
lei non potrà
proteggervi da sola da centinaia e centinaia di uomini con i suoi scudi
magici.
E di certo, lei non riuscirà mai a sconfiggere
Deathstroke.»
La
soldatessa distese il suo sorriso, spostando lo sguardo sui
compagni di Rachel. «Forse penserete che lei è la
vostra unica possibilità di
successo, ma vi posso assicurare che la realtà è
ben diversa. Credete che sia
sicuro stare in sua compagnia? Vi basti pensare a quello che ha fatto
poco fa’,
durante il nostro scontro. Cosa vi fa pensare che un giorno non sarete
voi
quelli con il cappio nero legato attorno al collo?»
Rachel si
irrigidì come un chiodo. E la situazione peggiorò
quando
Ravager spostò lo sguardo su di lei. «Voi conduit
siete la peggior piaga che
questo mondo abbia mai visto. Sviluppate i vostri poteri, pensate di
averli
sotto il vostro controllo, di avere il mondo in pugno, quando in
realtà sono
loro ad avere il controllo su di voi e sul mondo.
«Nessun
essere umano può tenere dentro di sé tanto
potere, nessuno.
Perché il potere dà alla testa. È come
una droga, più ne hai, più ne vorresti.
E più la usi, più il tuo corpo si deteriora... ma
tu sei troppo assuefatto per
accorgertene. E lo stesso accadrà a te, Demone. Userai i
tuoi poteri fino a
quando non ti ritroverai ad uccidere con le tue mani tutti i tuoi cari
amici,
quelli per cui hai tanto lottato, e chiunque ti capiterà a
tiro. O magari
creerai anche tu la tua banda di psicopatici, come è
successo ad Empire, chi
può dirlo.
«Mi
hai visto mentre mi facevo l’iniezione di adrenalina, giusto?
Bene, sappi che le differenze tra me e te non esistono. Entrambe
dipendiamo da
qualcosa, con l’unica differenza che io
dell’adrenalina posso liberarmi se
davvero lo vorrei, mentre l’unico modo che tu hai per
liberarti dei tuoi poteri
è smettere di respirare. Per sempre» concluse
Ravager, con il suo sorriso di
superiorità. Come se volesse in qualche modo dire che,
nonostante fosse legata,
era lei quella che aveva in pugno la situazione.
E infatti
era così, per Rachel. Tutte quelle parole erano state come
una doccia gelata, per lei. Poteva non sembrare, ma la parlantina di
Ravager
era molto persuasiva.
Corvina
pensò a Sasha e ad Alden. Loro erano dunque finiti a
controllare due bande come quelle dei Mietitori e degli Spazzini
perché
ubriachi di potere? Anche loro avevano perso il controllo,
però in maniera
definitiva? Anche loro avevano dovuto convivere tutti i giorni con un
qualcosa
che tentava costantemente di prendere possesso dei loro corpi, qualcosa
che
alla fine era riuscito davvero ad avere la meglio?
La
ragazza cominciò a tremare e deglutì. Il suo
destino era segnato,
dunque? Avrebbe fatto del male ai suoi nuovi amici? Gli stessi che lei
avrebbe
difeso fino alla morte? Lucas, Ryan, Amalia e anche Tara... erano
davvero in
pericolo, con lei?
«Smettila
di dire stronzate.»
Rachel
sgranò gli occhi. Spostò lo sguardo di scatto, su
Lucas, colui
che aveva appena parlato. Osservava con aria quasi truce la donna
legata. «Rachel
non farà mai nulla di tutto ciò.»
Lucas...,
pensò
Rachel, con un moto di gratitudine, ma anche con l’amaro in
bocca. Ammirò il
coraggio con cui la difese, tuttavia... Ravager aveva ragione. I suoi
poteri
erano pericolosi, e su quello non ci poteva piovere. Ma di una cosa,
ora Rachel
era certa: avrebbe lottato fino allo stremo, pur di non perdere il
controllo a
causa loro.
Nessuno
avrebbe sofferto, nessuno dei suoi cari sarebbe mai morto, a
causa sua.
Nessuno.
«Tsk,
uomo avvisato mezzo salvato...» borbottò intanto
la prigioniera,
roteando gli occhi.
«E
adesso...» Red X si posizionò di fronte a lei, con
i pugni serrati.
«... ci dirai ciò che ci serve sapere!»
«Mh...
che ne dici di... no?» Ravager sogghignò per
l’ennesima volta. «Potete
anche uccidermi per quello che mi riguarda. Io non dirò
nemmeno una parola. E
poi, anche se lo facessi... quante possibilità pensate di
avere di salvare la
vostra amica? Senza un esercito dalla vostra, non avete nessuna
possibilità,
nemmeno con la demonietta. Vi consiglio di rassegnarvi e di abbandonare
questo
posto prima che i miei compagni arrivino. Così potreste
guadagnare qualche ora
di vita in più.»
«D’accordo.»
Amalia tirò indietro il carrello della pistola, il
proiettile entrò nella canna, poi premette l’arma
con forza sulla tempia dell’albina.
«Sei tu che l’hai detto.»
Ravager
per tutta risposta rise. A quel punto Komand’r la
colpì con
forza sul naso, gridando di rabbia. Rivoli di sangue scivolarono lungo
le
narici della soldatessa, ma questo non fece altro che aumentare la sua
ilarità.
«Smettila
di ridere!» La mora la colpì ancora, ma di nuovo,
non ebbe i
risultati sperati. Grugnì di frustrazione, e
sferrò un altro destro alla
prigioniera, seguito poi da un’altra scarica di pugni e
schiaffi.
Così non
funziona, pensò
Rachel osservando la scena.
La vice
di Deathstroke non sembrava in alcun modo intenzionata a
collaborare con loro e le minacce verbali e fisiche di Amalia erano
inutili.
Tutto ciò le era parecchio familiare, ora che ci faceva caso.
Inoltre,
come detto dalla stessa Ravager, Tara si trovava in un luogo
non poco sorvegliato, in cui anche lo stesso Deathstroke era presente.
Da soli
non potevano spuntarla. Ma questi pensieri erano superflui, se
tanto nemmeno riuscivano a farsi dire dove andare a cercare la loro
amica.
La
personalità di Ravager era troppo forte per loro. Perfino
Lucas non
sembrava più sapere che pesci pigliare. Amalia cercava di
fare del suo meglio,
ma era tutto inutile.
Loro non
le avrebbero cavato nemmeno una parola di bocca. Soprattutto
usando la violenza come Komand’r stava facendo. La forza era
completamente
inutile con una come Ravager. Più veniva colpita,
più era spronata a resistere.
L’unica vera arma esistente per fronteggiare persone come
lei, a volte, erano
le parole. Le parole mettevano in risalto lati delle persone che nessun
pugno
sarebbe mai riuscito a tirar fuori.
L’unico
modo per avere la meglio su di lei era persuaderla in qualche
modo. Ma come?
Rachel
non era certo una cima in quello, e nemmeno i suoi compagni. E
il tempo stringeva. La corvina rimpianse di non aver chiesto ulteriori
informazioni a Kevin, quando ne aveva avuto l’occasione.
L’aveva lasciato
andare, senza nemmeno lasciarsi dire come interrogare Ravager.
Solo una
cosa aveva detto il ragazzo, che avrebbero avuto bisogno di
un esperto.
Corvina
capì solo allora cosa intendesse dire: ci voleva qualcuno
che
con le parole ci sapeva fare, qualcuno in grado di persuadere Ravager,
di
metterne a nudo la coscienza.
E ci
voleva anche un esercito in grado di attaccare la base in cui
Tara era stata portata.
Un’altra
risata della soldatessa portò la conduit ad osservarla. Il
suo volto era quasi una maschera di sangue, ma non accennava a smettere
di
ridere sotto i colpi di Amalia. Tutt’altro, la incitava
perfino a fare di
peggio.
Improvvisamente
Rachel ebbe un flashback. Osservava quella scena... ma
in realtà ne vedeva tutta un’altra. Qualcosa nella
sua mente scattò, come un
interruttore che da OFF passava ad ON.
Sgranò
gli occhi e realizzò cosa dovevano fare per avere la meglio
non
solo su Ravager, ma anche sugli Underdog.
Ci voleva
un esperto, uno che con le parole ci sapeva fare... e ci
voleva anche un esercito.
Era
rischioso, ma ormai erano quasi con le spalle al muro. Occorreva
un’idea drastica, avventata, e quella che le venne in mente
rispecchiava al
meglio questi due aggettivi.
«Ragazzi...»
chiamò, con cautela. Lucas e Ryan si voltarono verso di
lei, anche Amalia smise di fare la boia di Ravager. I tre la
osservarono con
aria interrogativa, quasi aspettandosi che le sue parole avessero
vitale
importanza. E in parte era anche così.
«Io...
credo di avere un’idea.»
***
«Sei fuori
di testa! È una follia!» gridava Amalia nella sua mente.
«Non
abbiamo altra scelta...» questo era Lucas, che era intervenuto in sua
difesa dopo un’attenta riflessione.
«Lo
facciamo per Tara, Komi. Dobbiamo salvarla, costi quel che costi. Siamo
suoi
amici, e correremo qualsiasi rischio pur di riaverla con noi. Sento che
le cose
andranno bene» per
finire, anche Ryan aveva dato il suo
appoggio a Rachel.
E
così, la corvina aveva ottenuto il via libera. Ma
più si avvicinava
in volo alla sua destinazione, più anche lei credeva che,
forse, la sua scelta
era stata davvero troppo avventata.
Ma ormai era nel ballo, e doveva ballare.
Non
appena giunse al luogo in questione, scoprì che la stavano
già
aspettando. Non fu accolta in maniera clamorosa, certo, ma nessuno le
sparò, il
che era comunque un buon segno.
Fu
condotta in quei corridoi che già l’avevano
ospitata una volta.
Quell’ambiente le faceva venire la claustrofobia.
Più avanzava con i passi, più
sentiva i nervi a fior di pelle.
Si
sorprese di ricordare quasi a memoria la strada, mentre seguiva le
sue guide.
Infine,
giunse nella grossa sala. Qui, accanto a grosse custodie per
strumenti musicali e casse, si trovava una specie di grosso trono.
Sopra di
esso, stava seduto un ragazzo vestito di nero. Non appena lo rivide in
faccia,
Rachel sentì un brivido percorrerla. Ma ormai era tardi per
tornare indietro.
«Ciao
Rachel» disse Dreamer, sorridendole come se fosse il suo
migliore amico. «È bello rivederti.»
Aggiornamento finesettimanale
(è una parola? boh...), eccolo qui! Contenti? Bene, allora
buon proseguimento. Questa volta non ho davvero nulla da dire,
è tutto nel capitolo. Spero che non ci siano errori (o
almeno, non troppi), l'unica cosa che un po' mi lascia così
è la parte finale. Ho paura che la scelta di Corvina di
rivolgersi a Dreamer sia stata un po' troppo forzata, anche se alla fin
fine era l'unica cosa sensata da fare, per lei. Quindi non saprei, sono
un po' indeciso. Vabbé, facciamo che sono al 70% convinto
che la scena vada bene, 30% che invece è un po' forzata.
Ah, un'altra cosa: occhio ai
poteri di Rachel...
Bye bye!
|
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Capitolo 17 *** Faccende private ***
Capitolo
17: FACCENDE PRIVATE
«Bel posticino»
commentò Dreamer, mentre lui e
Rachel entravano nel magazzino. «Certo, avreste potuto
scegliere un luogo in un
distretto che non fosse il più pattugliato dagli Underdog,
però non c’è male.»
Corvina fece una smorfia, ma evitò di
rispondere. «Da questa parte» disse invece,
facendogli strada tra gli scaffali
ancora rovesciati.
Il Visionario la seguì obbediente. La
ragazza
per tutto il tempo cercò di mantenere un aspetto serio e
determinato, ma si
sentiva comunque parecchio a disagio in sua presenza. Riusciva
perfettamente a
sentire gli occhi di lui posati sulle sue spalle, percepiva il suo
piccolo
sorrisetto, riusciva quasi ad immaginarsi i suoi pensieri.
Sicuramente se la rideva sotto i baffi. Lui
aveva vinto, aveva ottenuto ciò che desiderava. Rachel era
tornata ad implorare
il suo aiuto, come egli aveva pronosticato. Giurò a
sé stessa che, una volta
salvata Tara, non avrebbe mai più avuto nulla a che fare con
lui.
Ma allo stesso tempo, sapeva che, insieme a
Dominick e Kevin, Dreamer era un altro ad appartenere alla schiera di
individui
che non doveva assolutamente prendere sottogamba. L’idea di
averlo condotto
fino al loro rifugio continuava a suonarle errata, ma se non altro
aveva
accettato di venire da solo. E comunque, quello era l’unico
modo per
permettergli di parlare a quattr’occhi con Ravager.
Ora che ci pensava, non appena aveva tirato in
ballo la soldatessa, il Visionario era sembrato dieci volte
più entusiasta, nei
suoi standard, all’idea di cooperare con loro.
Raggiunsero l’ingresso della sala relax.
Rachel
inspirò profondamente, preparandosi a ciò che
sarebbe accaduto dopo, ma non
appena si avvicinò alla maniglia, questa fu abbassata
dall’altra parte.
Lucas uscì dalla stanza, richiudendosi
immediatamente
la porta alle sue spalle. Osservò prima Rachel, poi Dreamer.
Il suo sguardo si
indurì quando guardò quest’ultimo.
«Così... l’hai fatto
per davvero...» osservò,
riportando lentamente gli occhi sulla partner.
«Non avevamo altra scelta»
rispose Rachel,
cauta.
Un grugnito provenne dal moro. «Lo so. E
tu...»
Le sue iridi blu caddero di nuovo sul Visionario. «... prova
a fare un solo
passo falso, e ti assicuro che il naso rotto dell’ultima
volta sarà un regalo
in confronto a ciò che ti farò.»
Dreamer ridacchiò, cosa che non sorprese
per
nulla la corvina. «Ricevuto.»
Red X serrò la mascella, naturalmente
non
gradendo quel tipo di risposta. Fissò intensamente negli
occhi il suo
interlocutore. Rachel, esattamente in mezzo a loro, osservava prima
l’uno e poi
l’altro. Lucas contraeva ripetutamente la mano, mentre
l’enigmatico sorriso di
Jeff non accennava a svanire dal suo volto.
«Lucas, tranquillo»
mormorò infine la corvina,
avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla.
«Abbiamo stretto un
patto, non ha cattive intenzioni.»
Il partner non sembrò ascoltarla.
Continuò ad
osservare il Visionario, con aria diffidente. Rachel non lo aveva mai
visto
così, era chiaro che fosse parecchio combattuto. Una parte
di lui probabilmente
voleva dare fiducia alla ragazza e alla sua idea di collaborare con
Dreamer, ma
un’altra invece gli diceva di non fidarsi.
E Corvina di certo non poteva biasimarlo.
Dopo diversi istanti, Lucas annuì
lentamente. «Va
bene. Tanto, ormai, non si può più tornare
indietro.» Indicò con un cenno del
capo la porta al Visionario. «È qui dentro. Buona
fortuna.»
«Ti ringrazio, ma non ne ho
bisogno.» Dreamer si
avviò verso la porta, appoggiando il suo bastone.
«So quello che faccio.»
Lucas fece una smorfia. Mentre Jeff gli passava
accanto, piegò il capo a causa di alcuni secchi colpi di
tosse.
«Ma che brutta tosse...»
commentò Dreamer,
fermandosi, accentuando il suo sorrisetto.
«Sopravvivrò»
mugugnò Lucas, placandosi ed
osservandolo con odio.
«Non ne dubito.»
Il Visionario spalancò la porta, seguito
dai due
partner.
Ryan e Amalia erano seduti su due sedie,
quest’ultima
aveva le nocche fasciate da una garza insanguinata.
Ravager invece era in uno stato di semi
incoscienza, con il capo rivolto verso il basso. Chiazze di sangue
ormai secco
erano incrostate su parte delle sue guancie, del naso e delle labbra.
Era
chiaro che Komand’r avesse ancora cercato di farla parlare,
in loro assenza.
Non appena si accorsero di Dreamer, i due
fratelli si alzarono di scatto. Ryan sembrava intimorito, Amalia,
invece,
solamente arrabbiata.
«Che gioia rivedervi.» Il
Visionario si sollevò
il copricapo, in cenno di saluto.
Per tutta risposta, Komi estrasse la pistola
dalla tasca del cappotto e gliela puntò.
«Non possiamo dialogare tu ed io senza
che io
abbia puntata un’arma alla testa, giusto?»
«Fa quello che devi fare e
basta» tagliò corto
Amalia, accennando con la pistola all’albina.
Dreamer si rimise il cappello in testa.
«Ma
certo.»
Il Visionario si avvicinò alla sedia di
Ravager,
tenuto sotto tiro da Amalia per tutto il tempo. Non appena fu a pochi
passi
dalla soldatessa, questa alzò lo sguardo di scatto.
«Chi diavolo...» Si
interruppe di colpo, sgranando il suo unico occhio quando si accorse di
Jeff. «Tu...»
«Ciao Rose» disse Dreamer,
cordiale. «Ti trovo
in gran forma.»
Ravager diede diversi strattoni ai legacci di
nastro isolante, cercando di liberarsi. Il suo carattere
mutò radicalmente
quando vide il Visionario. I suoi occhi trasudavano di stupore,
sorpresa,
incredulità... e anche paura. «Tu che ci fai
qui?!»
«È questo il tuo modo di
salutarmi, Rose?»
domandò lui in risposta, quasi deluso.
«Così mi offendi...»
Rose. Era già la
seconda volta che la chiamava così, osservò
Rachel.
«Dovresti essere morto!»
esclamò la prigioniera,
con la voce quasi incrinata.
«Sul serio? A me sembra di essere
più vivo che
mai» replicò il ragazzo, osservandosi le mani.
«Sei sparito per anni!»
gridò ancora Ravager.
«Il tempo di mettere a posto un paio di
cose, e
creare i miei Visionari.»
Rose dischiuse le labbra, chiaramente scossa.
«Tu...
tu sei il loro capo?!»
«Davvero sei così sorpresa di
saperlo? Ammettilo
che una parte di te già lo sospettava.»
Ravager esitò. Osservò per un
breve attimo
Dreamer, incapace di fare altro, finché Lucas non si
intromise. «Un momento!»
esclamò, rivolgendosi al Visionario. «Voi due vi
conoscete?»
«Per favore» ribatté
Jeff, quasi infastidito. «Non
interrompeteci. Le spiegazioni a dopo, se non vi dispiace.»
«Sei... sei in combutta con
loro?!» domandò a
quel punto Ravager, mettendo insieme i pezzi e osservando prima Red X,
poi Dreamer.
«Con questi perdenti?!»
Il Visionario sospirò. «Loro
vedono il mondo
dalla mia stessa prospettiva, Rose. E anche tu avresti potuto farlo, se
solo
non fossi stata così cieca.»
«Cieca?! Perché credi che
avessi altra scelta?!»
«Certo che ce l’avevi. Ma tu,
anziché
combattere, hai semplicemente cercato di colmare il vuoto lasciato nel
tuo
cuore da quella stessa persona per cui lavori adesso, e che
tutt’ora ignora la
tua importanza. Non è vero, Wilson?»
«Wilson?» domandò
Rachel, d’istinto. «Ma... ma
cosa...»
«Avanti, perché non lo
ammetti? Perché non
ammetti che tutto quello che fai, lo fai per perseguire un unico folle
ed
irraggiungibile scopo?!»
«Non è un folle
scopo!» si difese la giovane
donna, gridando in faccia al suo interlocutore, la maschera da
guerriera priva
di scrupoli da lei avuta fino a quel momento che cadeva infrangendosi
sul
suolo.
«Davvero ne sei convinta? Per tutto
questo tempo
non hai fatto altro che seguire ciecamente qualsiasi ordine di
Deathstroke,
sperando di entrare nelle sue grazie, quando nelle sue grazie avresti
dovuto
sempre esserci stata, tuttavia non come soldatessa, ma come
figlia!» Ora
Dreamer quasi urlava, di fronte al volto sconvolto di Rose.
«E credi che questo
scopo non sia folle?!»
Corvina sgranò gli occhi, imitata ben
presto da
tutti gli altri.
«A lui di te non è mai
importato niente! Che
cos’è un figlio, per uno come Wilson Slade? Nulla!
Zero!»
Ravager...
è la figlia... di Deathstroke...
«No! Non è vero!»
esclamò nel frattempo Ravager.
«Lui mi vuole bene!»
«Davvero? Te ne vuole a tal punto da
farti
combattere nel suo esercito di mercenari privi di scrupoli, a tal punto
da
darti il nome e la divisa di tuo fratello maggiore, da usarti come suo
rimpiazzo?!»
«Che... che cosa?»
domandò Rose, ammutolendo
tutto ad un tratto.
Jeff annuì lentamente.
«Esattamente. Paparino
non te lo ha mai detto? Anche Grant si chiamava Ravager quando
è entrato a far
parte dell’impresa di famiglia. E quando è morto,
Wilson che cos’ha fatto? Si è
forse sentito in colpa per avergli ordinato di partecipare a quella
missione
suicida? Ha pianto la sua morte, insieme ai suoi famigliari? Ha almeno
chiesto
scusa?! No, non l’ha fatto. Si è dimenticato di
lui, come presto farà anche con
te.»
«G-Grant...»
balbettò Rose, quasi in lacrime.
«Avresti potuto venire con me,
Rose...» Jeff
strinse i pugni, severo, e forse anche un po’ triste.
«Avremmo potuto avere una
vita serena, esserne padroni, e un luogo da poter chiamare casa senza
avere
l’amaro in bocca. E invece tu hai preferito rimanere con quel
folle, che da sempre
ha anteposto il suo lavoro di killer alle persone che lo amavano. Che
ha
anteposto anche a te.»
«S-Smettila...» gemette Rose,
chinando il capo. «Ti
prego, smettila...»
«Lui ti odia!»
«Smettila!»
«Per lui sei solo un peso! Non ti ha mai
voluta!»
«NO! Lui mi ama!»
ripeté Ravager, singhiozzando.
Sembrava che ormai non stesse nemmeno più cercando di
convincere Dreamer, ma di
convincere solamente sé stessa.
«Combatti per lui, obbedisci ai suoi
ordini,
uccidi persone innocenti solamente per compiacerlo, e lui per
ringraziarti di
tratta come uno straccio! Ormai non hai nemmeno più il
coraggio di rivolgerti a
lui chiamandolo "padre"! Lui ormai è Deathstroke perfino per
te! Un
mercenario sadico e crudele che non conosce il vero significato di
parole come
"affetto" e "amore"!»
Ravager continuava a scuotere la testa, ma
sempre con meno convinzione. Più i minuti passavano,
più Rachel faticava a
credere a cosa stava vedendo; Dreamer ci stava riuscendo. Aveva
spezzato la
luogotenente, trovando il suo punto debole: il suo rapporto con il
padre.
Ma c’era di più: Jeff la
conosceva, per davvero.
Probabilmente da prima che Sub City divenisse territorio degli
Underdog. Il
rapporto tra loro era molto più intimo di quanto Corvina
avrebbe mai potuto
immaginare. Forse era questa la chiave del suo trionfo. Lui conosceva
meglio
Rose, conosceva il suo lato nascosto grazie ai ricordi che aveva di lei.
Improvvisamente, Rachel sentì che la sua
idea di
rivolgersi a lui non era più tanto errata.
Il Visionario nel frattempo si chinò,
per poi
ritrovarsi faccia a faccia con Rose. «Aprì
l’occhio.»
«C-Cosa?» chiese Ravager,
tirando su con il
naso.
«Apri l’occhio»
ripeté pazientemente Dreamer.
«Ma... non posso...»
Jeff afferrò Rose per il mento,
costringendola a
fissarlo dritto nelle pupille. «Sì che puoi. Tu
non sei come tuo padre. Aprilo.»
Ravager sembrava titubante. Il ragazzo le
lasciò
andare il mento e lei chinò il capo con un gemito. Ma, poco
dopo, le palpebre
del suo occhio destro, dapprima sigillate, cominciarono a tremolare. E
poi si dischiusero,
rivelando alla luce della stanza il suo altro occhio azzurro, sotto gli
sguardi
increduli di Rachel e della sua compagnia.
«Puoi vestirti come lui, comportarti come
lui,
fingerti spietata come lui... ma non sarai mai, come Deathstroke. E per
questo
lui non ti amerà mai. E quando te ne andrai...»
Dreamer schioccò le dita. «Sarai
dimenticata. Per sempre. Com’ è successo a
Grant.»
Altre lacrime scesero dall’occhio di
Rose, ma
questa volta da quello aperto. Era fatta. Dreamer l’aveva in
pugno.
«Per tutto questo tempo non hai fatto
altro che
crearti dei castelli in aria, pensando che una persona orribile come
tuo padre
potesse davvero realizzare quanto sua figlia sia importante per lui. Ma
la
realtà è molto diversa. Tuttavia, puoi ancora
cambiare le cose.» Dreamer posò
una mano sulla guancia di Rose. Percorse con il pollice il profilo
soffice
della gote, cercando anche di ripulirla dal sangue. «Dove si
trova adesso
Wilson? Dove ha portato la ragazza che ha rapito?»
Ravager alzò il capo. Osservò
Dreamer con
un’espressione devastata. Non c’era più
nessuna traccia della sadica
luogotenente che Rachel aveva incontrato. Ora c’era una
ragazza sola,
abbattuta, che aveva appena realizzato quanto il mondo fosse crudele.
Paura,
disperazione e una gigantesca richiesta di affetto trapelavano dai suoi
occhi
azzurri e lucidi. «Perché... fai tutto questo?
Perché... anche tu...»
«Non potevo restarmene in disparte per
sempre,
mentre Wilson conduceva questa città, e te, alla rovina. Il
tempo, Rose, il
tempo è più forte di qualsiasi cosa, anche della
più ferrea volontà di un uomo.
E il tempo che ho passato attendendo che le cose migliorassero, ha
cambiato
anche me.»
Rose si pizzicò un labbro, continuando
ad
osservare il suo interlocutore. Infine, piegò il capo.
«Papà è al Whiskey Hotel...
nella High Sub... ha chiuso Tara nel laboratorio nel secondo piano del
seminterrato...
lui, invece, lo troverete nel primo, nei suoi uffici...»
Dreamer annuì lentamente, allontanando
la mano
dal volto della giovane donna. Si rialzò in piedi, poi si
voltò verso Rachel.
La ragazza trasalì quando il suo sguardo cadde su di lei. Il
Visionario le
rivolse un piccolo cenno d’intesa con il capo. La corvina
esitò per qualche
istante, poi ricambiò. Dreamer si avviò poi alla
porta. «Ora avete ciò che vi
serve. Il mio lavoro qui è concluso.»
Nessuno dei ragazzi riuscì a dire
qualcosa. Ryan
e Rachel erano senza parole, perfino Amalia sembrava non riuscire
ancora a
credere a ciò che aveva appena visto ed udito.
L’unico che trovò il coraggio
di parlare, fu Lucas.
Il moro si portò accanto al Visionario, afferrandolo per un
braccio. «Un
momento, Jeff. E le spiegazioni? Che cosa sai di Deathstroke che noi
non
sappiamo?»
Jeff sospirò, rabbuiandosi.
«Se ce ne sarà il
bisogno, vi metterò al corrente di tutto ciò che
avrete necessità di sapere. Ma
adesso, più il tempo passa, più il confine tra la
vita e la morte della vostra
amica si assottiglia. Volete davvero sprecare ulteriori minuti preziosi
per
sapere cose che nemmeno vi riguardano?»
Red X ammutolì. Il silenzio che scese
nel giro
di poco tempo, fece intuire al Visionario che le sue parole, ancora una
volta,
erano state efficaci. «Lo immaginavo.» Si
liberò dalla presa del moro e passò accanto
a lui. Spalancò la porta, per poi fermarsi
sull’uscio.
«Io e i miei uomini vi rivedremo di
fronte al
Whiskey Hotel tra un’ora, dall’altro lato della
strada. Noi vi aiuteremo a
salvare la vostra amica, Rachel aiuterà me ad uccidere
Deathstroke. Dopodiché,
sarete liberi di fare ciò che più vi
aggrada.» Si voltò un’ultima volta,
accennando con il mento a Rose. «Lei non liberatela ancora.
In questo momento è
emotivamente instabile. Datele qualcosa da mangiare, poi quando tutto
questo
sarà finito, di lei me ne occuperò io
personalmente.» E detto quello abbandonò
la sala, smarrendosi nei meandri del magazzino.
I quattro compagni si osservarono tra loro,
ognuno più perplesso dell’altro, mentre Ravager
continuava a tenere il capo
chinato e a gemere sommessamente.
***
Lucas ordinò di prendere tutto quello
che
sarebbe potuto servire in vista della missione imminente. Quello che
non poteva
aspettarsi, era che Amalia avrebbe preso alla lettera le sue parole.
La mora era nella sala relax, intenta a caricare
ben due fucili, uno d’assalto e uno a pompa, e altrettante
pistole.
«Ti serve davvero tutta quella
roba?» domandò lo
stesso Red X, guardandola perplesso.
Komand’r grugnì
d’assenso, mentre afferrava il
borsone che aveva ai suoi piedi e lo posava sul tavolo. Lo
aprì, rivelando al
suo contenuto una quantità industriale di caricatori,
cartucce e anche coltelli
a serramanico, probabilmente di gentile concessione del furgone degli
Underdog
che avevano svaligiato. Evidentemente non si erano ripresi proprio
tutto, dopo
il loro attacco ai danni della stessa Amalia e di Tara.
Dopo essersi assicurata di avere con sé
abbastanza potenza di fuoco, la mora richiuse la zip, si
infilò le due pistole
nelle tasche del cappotto, mise a tracolla il borsone e il fucile a
pompa e
afferrò quello d’assalto. «Possiamo
andare» disse, volgendo uno sguardo di
intesa sia a Lucas che a Rachel.
I due annuirono, e insieme si diressero verso la
porta. Uscirono e cominciarono ad allontanarsi.
«Komi, aspetta!»
esclamò Ryan, inseguendoli.
«No, Ryan» sbottò la
mora, prima ancora che lui
potesse parlare. «Tu non vieni.»
«Ma...»
«Ora basta, Ryan!»
esclamò la sorella,
accigliandosi. «Non è un gioco, lo vuoi capire o
no?! Gli Underdog e i
Visionari si scontreranno frontalmente, si scatenerà il
putiferio! Ti rendi
conto di quanto sarà pericoloso? Noi tutti rischieremo la
vita!»
«Io voglio salvare Tara!»
ribatté il rosso,
stringendo i pugni. «Non mi interessa se sarà
pericoloso o no, ma questa volta
voglio esserci anch’io! Lei è anche mia
amica!»
«E io sono tua sorella maggiore, e ti
ordino di
rimanere qui, al sicuro!»
Ryan si zittì. Spostò lo
sguardo su Rachel,
rivolgendole una muta richiesta di aiuto. La corvina si
irrigidì, non avendo la
minima idea su come comportarsi. Lei in certe cose era negata, voleva
semplicemente tenersene alla larga.
Fu con immensa amarezza che decise di distogliere
lo sguardo dal ragazzino. Si sentì una persona orribile,
anche se in parte già
lo era. Il rosso voleva solamente aiutarli, rendersi utile e
soprattutto
salvare Tara, per quello stesso motivo che solamente Rachel e lui
conoscevano.
Ma Amalia aveva ragione; stava per scoppiare una
guerra, nel vero senso della parola. Soldati privi di scrupoli,
Deathstroke, i
Visionari e il loro imprevedibile leader, sarebbe stato non poco
rischioso
prendere parte a quella spedizione. E se c’era uno che
avrebbe rischiato la
vita, quello era Ryan. Il fratello di Komi non aveva nemmeno mai dato
prova
delle sue vere capacità, probabilmente non sapeva nemmeno
combattere, si
sarebbe rivelato semplicemente un peso se fosse venuto con loro.
Ognuno di questi pensieri era un macigno che
cadeva nello stomaco di Corvina, ma purtroppo erano la
verità. Si sentiva
davvero in colpa a riporre così poca fiducia in lui.
Cercò lo sguardo di Lucas,
sperando che, magari, fosse lui a prendere le difese del rosso, ma
anche il
moro sembrava concordare con i suoi pensieri.
Red X teneva le braccia conserte ed osservava il
ragazzino con espressione indecifrabile. Non sembrava in procinto di
intervenire, e molto probabilmente non lo avrebbe mai fatto.
«È per il tuo bene,
Ryan» disse ancora Amalia,
probabilmente per convincerlo del tutto.
Il minore rimase ancora un attimo in silenzio.
Chinò
il capo e strinse i pugni. «Per il mio bene?»
domandò, con tono di voce
improvvisamente duro. «Tu che parli
del mio bene? Tu?!»
Drizzò la testa e osservò la
sorella dritto
negli occhi. «Non ti pare un po’ tardi per
preoccuparti di cosa possa essere o
meno per il mio bene?!»
Amalia ammutolì, colpita dal repentino
cambio di
umore del fratello. Anche Rachel rimase di sasso di fronte a quella
scena.
«Hai passato la vita rendendo quella di
Kori, e
anche la mia, un inferno, e ora credi di potermi dire cosa posso o non
posso
fare solo perché sei mia sorella maggiore?!»
Komand’r dischiuse le labbra.
«R-Ryan...»
«Cos’è, speri per
caso che questo tuo falso
comportamento perbenista possa cancellare quello che hai fatto in
passato? Hai
davvero la faccia tosta di poter anche solo credere di poterti
comportare in
questo modo con me, e pensare che io abbia dimenticato che
cos’hai fatto per
tutti questi anni?!»
Il ragazzino le puntò contro
l’indice, con
un’espressione che mai aveva fatto prima di allora. Rabbia,
frustrazione, quasi
esasperazione. «Tu sei la persona più schifosa che
io abbia mai visto! E non
dovrei nemmeno dirti queste cose perché ho promesso a Kori
che non lo avrei mai
fatto, perché, come diceva lei, con te "ci vuole solo
pazienza"! Beh,
sappi una cosa, io non sono Kori, io non porgo l’altra
guancia, e la mia
pazienza si è esaurita già da un pezzo!
«Ho continuato a seguirti, ad obbedire ad
ogni
tuo ordine come un cane addestrato, perfino a subire le tue sceneggiate
isteriche, solamente perché avevo in mente il ricordo di
Kori che mi chiedeva,
anzi, mi implorava di non mandarti a quel paese per tutte le porcherie
che
facevi, ma ora basta!
«A te non è mai importato
niente di me! Né di
Kori, né di nostra madre, né di nostro padre! Il
tuo unico pensiero era
divertirti, stare fuori casa la notte, andare in discoteca e scopare
qualunque
cosa respirasse! E adesso, visto che Kori non c’è
più, ti senti in colpa per
quello che hai fatto, ma sappi che ormai è tardi!
«Non potrai mai, MAI, rimediare a quello
che hai
fatto! Ci hai trattati come degli zerbini per tutta la vita, facevi
piangere nostra
madre, facevi disperare nostro padre, ti mettevi nei guai coinvolgendo
anche noi
altri, e per tutto questo non hai mai chiesto scusa, neanche una volta!
Tu eri
quella che aveva sempre ragione, nel bene e nel male, e gli altri non
erano
altro che un branco di idioti che volevano solo rovinarti il
divertimento!
«Tu non c’eri quando avevo
davvero bisogno di
aiuto! Tu non c’eri quando mi serviva l’affetto che
solo una sorella può dare,
c’era Kori! Kori era quella che badava a me, Kori era quella
che mi voleva
bene, Kori era mia sorella maggiore. Quella
su cui potevo contare nei momenti difficili. Non tu. Tu non lo sei mai
stata.
«E ora vorresti davvero farmi credere che
tutto
quello che fai è per il mio bene? Il
mio
bene?! Di idiozie ne hai dette nell’arco di questi
mesi, ma questa...» Ryan
si lasciò scappare un sorriso amaro. «Questa le
batte tutte.»
«Ryan... io...»
«Vuoi sapere...» la interruppe
ancora lui,
distogliendo da lei lo sguardo, divenuto all’improvviso
triste. «... quando ho
finalmente aperto gli occhi?»
Amalia rimase in silenzio, impotente. Ryan
proseguì.
«Il giorno in cui la polizia è
arrivata a casa
nostra. Il giorno dell’incidente. Kori era distrutta.
Completamente. E anche io
lo ero. Ma Kori non poteva consolarmi, lei era la prima che aveva
bisogno di
una spalla su cui piangere. L’unica persona che, per una
volta, una sola,
avrebbe potuto aiutarci a superare quel momento, l’unica
persona che avrebbe
davvero potuto dimostrare di volerci un briciolo di bene, infondo...
è tornata
a casa a mezzogiorno del giorno dopo. E nemmeno sapeva che i suoi
genitori
erano morti.»
Ryan riportò lo sguardo sulla sorella.
Una
lacrima solcava la sua guancia. «Quello è stato il
culmine, per me. Tu, Amalia,
non sei mia sorella. Kori lo era. Lei era l’unica famiglia
che mi era rimasta.
E ora non c’è più. Nemmeno lo zio
c’è più. Sono solo.»
Il
rosso
strinse con forza i pugni, voltandosi. «Torno a controllare
Rose. Rachel,
Lucas, conto su di voi. Salvate Tara.»
E detto quello si allontanò, fino a
svanire nella
stanza in cui Ravager era ancora imprigionata.
Un silenzio tombale scese quando la porta si
richiuse alle spalle del ragazzino. Rachel era interdetta. Non avrebbe
mai
immaginato che Ryan potesse tirare fuori un simile lato di
sé.
Ma quella che sicuramente si sentiva peggio di
tutti doveva essere Amalia. La mora era pietrificata, osservava con
sguardo
scioccato la porta della sala relax.
Rachel non poteva certo sapere a cosa si fosse
riferito Ryan poco prima, a ciò che Komand’r aveva
fatto a lui e Kori, sapeva
solo che quelle parole erano un qualcosa che il ragazzino doveva
tenersi dentro
da anni. E, infine, aveva tirato fuori tutto quanto, infrangendo
perfino la
promessa che aveva fatto alla defunta sorella maggiore.
Era esploso, cosa che mai doveva aver fatto in
vita sua. Forse, vedersi portare via l’occasione di salvare
Tara lo aveva fatto
ammattire più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare,
perfino per Rachel che
credeva di conoscere i suoi sentimenti per la ragazza bionda.
Spostò lo sguardo su Amalia, la quale
era ancora
ferma, immobile, interdetta. Non sapeva quale fosse davvero la
verità, ma di
sicuro sapeva che, di qualunque cosa si trattasse, ora
Komand’r ne era
profondamente pentita. Ma ciò non era comunque stato
sufficiente a placare la
rabbia di Ryan.
«Amalia...» cominciò
Lucas, cauto. «... vuoi...
vuoi andare a parlargli?»
Perfino Red X sembrava scosso
dall’accaduto,
anche se non lo dava troppo a vedere. La mora rimase in silenzio per
qualche
altro istante, indecifrabile, poi sospirò e scosse
lentamente la testa. «No...
ha... ha ragione. Tutto quello che ha detto... ha ragione.»
Si voltò,
bracciando il fucile e cominciando ad incamminarsi a testa bassa verso
l’uscita
del magazzino. «Andiamo...»
Lucas dischiuse le labbra. Spostò lo
sguardo su
Rachel, la quale ne sapeva tanto quanto lui su quella faccenda. Si
osservarono
perplessi per un breve istante, poi lui sospirò e si mise a
seguire la mora.
A quel punto, a Rachel non restò che
imitarlo.
***
Non fu facile raggiungere nuovamente la High Sub
evitando tutte le pattuglie, così come non lo fu trovare il
Whiskey Hotel.
Più il tempo passava, più
Rachel temeva che gli
Underdog trovassero Ryan e Ravager al magazzino, per questo voleva
arrivare il
più in fretta possibile alla destinazione; prima avrebbero
cominciato l’attacco
all’hotel, prima avrebbero spostato l’attenzione
degli UDG da quel magazzino a
loro. Ma, in ogni caso, Ryan sapeva cosa fare nel caso lo avessero
trovato. Non
lo avrebbero preso con tanta facilità, Rachel ne era sicura.
Per tutto il tempo che passò a volare e
a
correre in alternanza, né Lucas né Amalia
proferirono parola. Piuttosto
prevedibile dopo quello che era appena successo, ma comunque snervante
per la
corvina. Ma soprattutto era in pensiero per Komand’r. Le
parole di suo fratello
l’avevano scossa, di sicuro anche in quel momento doveva
essere non poco
turbata.
Rachel non le fece domande a riguardo, per paura
di irritarla o di peggiorare solamente la sua situazione, ma si
augurò che
fosse nelle condizioni psicologiche di poter davvero prendere parte a
quella
missione, perché se così non fosse stato, sarebbe
stato un pericolo non solo
per gli altri, ma soprattutto per sé stessa.
Infine, l’imponente costruzione
dell’hotel
giunse dinnanzi ai loro occhi. Un grosso, enorme, fatiscente palazzo,
che
ricopriva quasi un intero angolo di quel quartiere. Non arrivava ai
livelli
della baraccopoli degli Spazzini, ma poco ci mancava.
Si infilarono nella rete di vicoli ed arrivarono
dunque al luogo dell’incontro. Trovarono ad attenderli una
ventina di Visionari
e, naturalmente, il loro leader.
«Ce ne avete messo di tempo»
osservò Dreamer,
con tono apatico, quando li vide arrivare.
«Abbiamo avuto dei problemi con le
pattuglie»
spiegò Rachel.
«Tu piuttosto...» si intromise
Lucas, volgendo
diverse occhiatacce ai Visionari armati. «... come pensi di
essere d’aiuto con
così pochi uomini?»
«Non ci sono solo loro» rispose
Dreamer, per poi
dargli le spalle ed indicare l’hotel con la punta del suo
bastone da passeggio.
Qui, Rachel notò quello che in teoria avrebbe dovuto essere
l’ingresso, al
posto del quale, invece, si trovava una spessa saracinesca di ferro
abbassata.
«I Visionari che vedete qui presenti
sferreranno
un attacco frontale. Cercheranno di abbattere la barricata,
costringendo gli
Underdog di guardia ad intervenire. Con l’attenzione dei
nostri nemici
focalizzata sull’ingresso, tre diverse squadre di Visionari
si introdurranno
nella struttura passando per le uscite di emergenza. Voi
due...» Si voltò,
accennando a Lucas ed Amalia. «... andrete con la mia
luogotenente e vi
introdurrete insieme alle squadre.»
La luogotenente in questione si staccò
dal
gruppo di Visionari e si mise accanto a Dreamer. Indossava un happi
chiuso e
dei pantaloni neri, ma non aveva nessun copricapo e la sua maschera
bianca e
rossa raffigurava una specie di felino che sogghignava in maniera
crudele. Oltre
i fori per gli occhi si potevano scorgere due iridi di un color
talmente scuro
da sembrare quasi quello del carbone. I capelli mori erano lunghi e
scompigliati, l’incubo di qualsiasi pettinatrice. Per finire,
teneva appesi due
sai alla cintura che aveva intorno alla vita.
Si sollevò poi il copri volto. Il viso
era
grazioso, il naso piccolo, le labbra color rosso ciliegia, carnose e
sensuali,
ma la sua espressione severa gravava su quella sua particolare
bellezza, quasi
cancellandola completamente. Il suo aspetto era quasi paragonabile a
quello di
Amalia, o di Rose; una ragazza come tante altre, particolarmente bella
ma
costretta a rinnegare questo lato di sé a causa del mondo in
cui viveva.
Sorrise freddamente ai due che avrebbe dovuto
accompagnare. «Vi avverto, ci sarà da
sudare.»
«Non vediamo l’ora»
borbottò Lucas, incrociando
le braccia.
«Sii gentile con loro, Jade.»
Jeff mise in
guardia la sottoposta, per poi rivolgersi a Rachel. «Infine,
tu ed io saliremo
sul tetto grazie ai tuoi poteri, elimineremo quante più
sentinelle possibili e
cercheremo l’ascensore. Quando i miei Visionari cominceranno
l’attacco noi
scenderemo nel primo piano del seminterrato e cercheremo Wilson, mentre
i tuoi
amici scenderanno nel secondo per cercare la tua compagna. Tutto
chiaro?»
«Ehm... sì» rispose
Rachel dopo un attimo di
incertezza. L’idea di procedere privata dei propri compagni e
con la sola
presenza del leader dei Visionari la metteva non poco a disagio, ma se
volevano
davvero salvare Tara, allora avrebbe dovuto adattarsi e in fretta anche.
«Bene, andiamo.»
Dreamer cominciò ad incamminarsi,
aiutandosi
come sempre con il proprio scettro. Rachel fece per seguirlo, ma
qualcuno la
afferrò all’improvviso per un braccio. Era Lucas,
che avvicinò le labbra
all’orecchio della ragazza. «Fai
attenzione» sussurrò, probabilmente per farsi
sentire solo da lei.
Peccato che lei a malapena lo sentì, a
causa
dell’enorme brivido che la percorse quando percepì
il suo fiato caldo sul suo
volto. Annuì goffamente. «O-Ok. Anche... anche
tu...»
Lucas annuì a sua volta, poi si
allontanò da
lei.
«Rachel» la chiamò
Dreamer all’improvviso, dal
fondo del vicolo. «Sbrigati.»
Corvina non se lo fece ripetere. Si calò
il
cappuccio sul volto e andò dietro al Visionario. Mentre
camminava, rivolse un
ultimo sguardo a Lucas, più un cenno di intesa, uno di
quelli che spesso si
erano fatti durante le loro operazioni di ricerca ad Empire e che lui
ricambiò.
E fu proprio mentre gli rivolgeva quel cenno, che si rese conto che
quella che
stava per arrivare era la prima vera e propria missione che svolgeva in
sua
assenza.
Dopo una lenta, lunga,
strenuante settimana (per voi che avete dovuto attendere il capitolo,
non per me. Io so già come finirà la storia) ecco
a voi. Spero che vi sia piaciuto, questo è uno di quei
capitoli in cui mi sono fatto il mazzo. Non tanto per la lunghezza o
altro, quanto più per il contenuto. Riuscire a trovare il
modo di far cedere Ravager ai "ricatti" di Dreamer non è
stato facile, devo essere sincero. Riuscire a spezzare il personaggio
crudele e spietato di lei che io stesso avevo evidenziato
particolarmente è stato uno dei miei grattacapi
più grandi, anche se, alla fine, la soluzione era proprio
sotto il mio naso.
Sì, Ravager (aka Rose) è la figlia di Slade, ma
non lo dico io, lo dice la DC comics. Guardare per credere. E
sì, Rose ha (aveva, anzi) un fratello di nome Grant, che
è stato, per l'appunto, il primo Ravager.
E quindi niente, a Dreamer è bastato premere sulla sua
ossessione per il padre per romperla. E sì, Dreamer e Rose
si conoscono bene, da mooolto prima del declino del mondo.
Ecco, questo particolare qui, ho paura che non possa essere piaciuto a
qualcuno che magari sperava di vedere un'accesa discussione tra Dreamer
e Rose, una battaglia a botta e risposta, in cui avrebbe vinto il primo
che sarebbe riuscito a scovare una debolezza nell'altro. Insomma,
è facile far sbucare un personaggio fuori dal nulla
all'improvviso, far sì che conosca bene quello che deve
interrogare, e sfruttare questa sua conoscenza per spezzarlo.
Ma, c'è sempre un ma, questo rapporto tra loro non
passerà di certo in sordina. Avrà una sua
rilevanza, in futuro, credetemi. Nulla è lasciato al caso.
Poi, un'altra cosa, è lo sclero di Ryan. Spero che non sia
stato troppo forzato nemmeno questo. Era necessario, ai fini della
storia, per rendere più solido il background di Amalia al
momento del suo chiarimento (in futuro). La scusa della cotta
per Tara potrebbe essere un po' deboluccia, ma possiamo considerarla la
classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
... ecco, vi ho di nuovo fatti addormentare. Chiedo umilmente
venia, spero di non aver fatto nessun orrore ortografico, e vi do
appuntamento alla prossima, dove, finalmente, cominceremo a scorgere
alcuni sprazzi di luce in mezzo a tutte queste tenebre (nel senso, ci
saranno alcune risposte alle miriadi di quesiti che spero di aver
generato).
A presto cari lettori, grazie per il supporto!
p.s. Comunque, Ravager l'occhio se lo cava per davvero per assomigliare a Slade, ma lo fa nel fumetto, o almeno, così dice la cara Wikipedia. In questa storia, invece, lo teneva semplicemente chiuso, come avrete ben potuto capire. E sì, non sapevo che nome dare all'hotel, così ho fatto che chiamarlo come quello che c'è in una missione di MW2.
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Capitolo 18 *** Assedio ***
Capitolo
18: ASSEDIO
Rachel credeva che l’assenza di Lucas
sarebbe
stata la cosa peggiore di quella missione. Si era sbagliata.
Doversi stringere a Dreamer per trasportarlo in
volo sopra il tetto dell’hotel fu peggio di qualsiasi altra
cosa al mondo.
La prima sentinella che incontrarono fu travolta
dal rapace nero, che rimase ben nascosto grazie al buio della notte.
Non appena
atterrò, Rachel si trasformò nuovamente e
l’oscurità di diradò da attorno al
suo corpo e quello di Jeff.
Il Visionario si avvicinò poi alla guardia svenuta e
lo trafisse alla
schiena con la punta del suo bastone, a sangue freddo. L’uomo
sollevò il capo e
gemette sommessamente, per poi accasciarsi nuovamente per sempre.
Rachel
inorridì di fronte a quella scena.
«Perché lo hai fatto?!»
sussurrò interdetta.
«Se si fosse ripreso sarebbe stato un
problema»
rispose Dreamer senza nemmeno guardarla, con noncuranza. «E
ora seguimi e non
fare rumore.»
Cominciò a camminare lungo la superficie
del
tetto, tenendosi accucciato vicino al grosso cornicione al bordo di
esso.
Rachel, non potendo fare altro, lo seguì, muovendosi allo
stesso modo.
Si sporse leggermente con il capo oltre la
sporgenza, e riuscì perfettamente a vedere come fosse
strutturato l’hotel. Era
formato da quattro palazzi lunghi come capannoni, disposti in modo da
formare
un quadrato. Al centro di esso si trovava un enorme spazio vuoto, al
cui fondo
si trovavano due grosse piscine prosciugate, sedie a sdraio e palme, il
tutto
presidiato da un'altra dozzina di guardie.
Centinaia di finestre e balconi si affacciavano
su di esso, sicuramente appartenenti alle varie camere.
Era impressionante vedere un luogo così
grande e
destinato al turismo usato invece come base degli Underdog.
«Concentrati Rachel» la
ammonì Dreamer,
continuando a camminare senza nemmeno voltarsi. «Non siamo
qui in vacanza.»
La conduit trasalì.
«Sì, scusa...»
Passarono accanto ad un giardinetto pensile incolto
e abbandonato a sé stesso e giunsero ad una rampa di scale.
Dreamer fece cenno
alla ragazza di fermarsi, poi cominciò a salire da solo. Con
un gesto secco del
braccio fece scendere un coltello dalla manica del cappotto e lo
afferrò al
volto per l’impugnatura con la mano.
Rachel dischiuse le labbra. Era con lui da
cinque minuti e già l’aveva lasciata di sasso per
tre volte.
Il Visionario salì gli ultimi gradini,
poi si
osservò intorno. Con un altro cenno indicò a
Rachel di raggiungerlo. Non appena
gli fu dietro, Corvina vide un’altra sentinella, intenta a
passeggiare tenendo
saldo il fucile, dando loro le spalle.
Dreamer si sollevò in piedi e
cominciò a
camminare verso di lei per nulla intimidito. Non appena
l’Underdog si voltò e
lo vide sgranò gli occhi, giusto un attimo prima di
ritrovarsi il coltello di
Jeff esattamente piantato in mezzo ad essi. Stramazzò al
suolo, con Dreamer che
ancora teneva il braccio rivolto verso di lui e la mano aperta.
Per la quarta volta, Rachel rimase senza parole.
Il Visionario si avvicinò al cadavere e sradicò
il coltello dalla sua fronte,
poi continuò a camminare senza nemmeno attendere la conduit.
Il resto di quei minuti trascorsero allo stesso
modo. Rachel seguiva Dreamer e lui faceva fuori tutte le sentinelle.
Salivano e
scendevano rampe di scale, continuando sempre a tenersi vicini al
cornicione.
Per quanto incredibile potesse sembrare, la
corvina stava seriamente cominciando a spazientirsi. Jeff non
spiccicava una
parola, non faceva una piega quando assassinava a sangue freddo le
guardie e
non la degnava nemmeno di uno sguardo. E, per finire, si era
già stancata da un
pezzo di ritrovarsi il suo sedere di fronte al naso.
«Senti, quanto manca ancora
all’ascensore?»
domandò infine, interrompendo quel silenzio tombale.
«Non avere fretta» rispose lui,
sempre senza
voltarsi. «Se uno solo di loro ci scopre, possiamo dire addio
alla nostra copertura.»
«E non potremmo semplicemente nasconderci
e
aspettare che i tuoi uomini comincino l’attacco?
L’hai detto tu stesso, dopo
l’attenzione di tutti sarà solo più
incentrata sull’ingresso.»
«Così i miei uomini sarebbero
un facile
bersaglio per le sentinelle, e anche le squadre che entreranno dal
retro
saranno scoperte con più facilità. Meno occhi ci
saranno su questo tetto
all’inizio dello scontro, meglio sarà per il buon
esito di questa operazione.
Io so quello che faccio, Rachel. L’impulsività non
porta a nessun risultato,
sappilo.»
«Cos’è, mi stai
facendo la ramanzina adesso?»
domandò la ragazza, accigliata.
«Sto solo dicendo che io credo di avere
un po’
più di esperienza di te. Ho passato parecchi anni svolgendo
operazioni come
queste.»
«Quanti anni?»
«Di preciso? Ormai vado verso i sei. Da
quando
ne avevo ventuno.»
«Hai ventisette anni?!»
domandò Rachel,
interdetta.
Per la prima volta, Dreamer si fermò e
si voltò
verso di lei per guardarla sottecchi. Sorrise beffardo. «Li
porto bene, vero?»
Si voltò di nuovo, riprendendo a camminare. «Ho
cominciato a fare questo genere
di cose negli anni migliori per fare questo genere di cose.
All’epoca ero come
una spugna, assorbivo tutto ciò che vedevo e sentivo. Ho
impiegato ben poco
tempo per apprendere tutte le nozioni base e anche per crearne di
mie.»
Corvina inarcò un sopracciglio.
«E non avresti
potuto, non so, fare qualcosa di più consono per
quell’età? Magari trovarti una
fidanzata?»
«Fidanzate? Non proprio il mio
genere» replicò
lui con noncuranza.
«Oh... allora... ehm... un
fidanzato?»
Il Visionario si fermò di nuovo e la
guardò per
la seconda volta. Rachel si irrigidì, realizzando che,
forse, aveva detto un
po’ troppo. Jeff la studiò per un breve istante,
probabilmente domandandosi se
l’avesse preso in giro oppure no. Alla fine, distolse di
nuovo lo sguardo da
lei. «Semplicemente, io credo che esistano cose
più importanti del trovare qualcuno,
maschio o femmina che sia, che trascorra la vita insieme a
me.»
«Ma... e Rose allora? Tu e lei
non...»
«Lei è una persona con cui ho
trascorso molti
bei momenti, è vero. Io ero affezionato a lei e lei era
affezionata a me. Ma
poi lei è cambiata... e dunque anche io lo sono. Nulla
è eterno, Rachel,
ricordatelo. Non dobbiamo affezionarci troppo alle cose, o alle
persone. Perché
prima o poi loro se ne andranno, o saremo noi a farlo. E a quel punto
voltare
pagina sarà molto difficile. Troppo tardi io l’ho
capito, non commettere il mio
stesso errore.»
Rachel si sentì come se avesse avuto un
macigno
nello stomaco, dopo aver udito quelle parole. Conosceva fin troppo bene
la
sensazione di cui Dreamer parlava. Sfortunatamente per lei, aveva
già commesso
quell’errore da cui il Visionario l’aveva appena
messa in guardia. Aveva amato
sua madre, e l’aveva persa. Aveva amato i suoi amici, e li
aveva persi. Aveva
amato Richard... e lo aveva perso, per ben due volte.
Ma poi aveva conosciuto Lucas. E Amalia, e Ryan
e c’era anche Tara. E, infondo, si era affezionata a loro.
Nonostante avesse
cercato di non farlo, per non correre rischi, lo aveva fatto comunque.
E tutto
sommato era piacevole avere qualcuno su cui contare, qualcuno a cui
volere bene
sapendo di essere ricambiati.
«Quindi, secondo te... non dovremmo
più amare
nessuno? Mai più, in vita nostra?»
«Non c’è
più posto per l’amore in questo mondo,
Rachel. Troppo dolore, troppa violenza. L’umanità
è condannata a collassare su
sé stessa.»
«E secondo te la cosa migliore
è rimanere da
soli? Per sempre?!»
«Il mondo è finito,
Rachel!» esclamò Jeff,
voltandosi di scatto. «Milioni di persone sono morte, come
foglie spazzate dal
vento, e sempre di più ne moriranno! Intere città
rase al suolo da misteriosi
ordigni, Conduit impazziti che mietono vittime dopo vittime e il
governo che
non muove un dito per fermarli! Vuoi davvero continuare ad avere
fiducia, ad
amare, in un mondo come questo, dove tutti sono destinati a svanire,
prima o
poi?!»
«O-Ordigni? Quanti... quanti ne sono
esplosi
ancora?»
«Non lo so, ma non è questo il
punto.» Il
Visionario le puntò un dito al petto, con fare ammonitore.
«Non essere sciocca,
Rachel, non illuderti con futili false speranze.
C’è solo una persona che devi
amare, solo una persona di cui puoi fidarti ciecamente, e quella sei
tu.»
Un enorme boato si sollevò in aria
all’improvviso, facendogli drizzare il capo. Uno sparo,
seguito a ruota da
molti altri e da grida. L’attacco era cominciato.
«Ci siamo» osservò
Dreamer, per poi riprendere
il passo. «Sbrighiamoci, stiamo perdendo tempo qui.»
Corvina lo seguì dubbiosa, con in testa
milioni
di pensieri e domande che stavano lentamente prendendo forma.
Giunti all’altra estremità del
palazzo trovarono
l’ascensore, accanto ad una lunga rampa di scale. Vi salirono
e premettero il
pulsante del piano terra. Le pareti in vetro permisero a Rachel di
ammirare il
quadrato formato dal Whiskey Hotel in tutta la sua grandezza.
Riuscì anche a
vedere come tutti gli Underdog di guardia presso le piscine vuote si
lanciassero
verso la facciata che stava venendo attaccata dai Visionari.
Un suo pensiero andò a Lucas e Amalia.
Sperò che
entrambi stessero bene e di poterli rivedere sani e salvi a battaglia
conclusa.
«Come... come sai degli ordigni e dei
conduit?»
domandò ancora, mentre Dreamer pigiava il giusto tasto e le
porte
dell’ascensore si chiudevano alle loro spalle.
«Non ero a Sub City quando tutto quanto
è
cominciato. Ero fuori città, molto lontano dal paese. Sulla
strada di ritorno,
ho avuto modo di visitare molte città distrutte.»
«E sai anche perché sia
successo tutto questo?»
«Temo di no.» Dreamer scosse la
testa. «So solo
che gli Underdog hanno approfittato del caos per impadronirsi di questa
città.
E so anche che c’è qualcosa di molto grosso sotto,
qualcosa che sfugge alla
comprensione di noi tutti. Secondo me, gli ordigni e le esplosioni non
sono
state altro che l’innesco di questo qualcosa.»
«Tu hai qualche teoria?»
domandò la corvina, non
sapendo più come sentirsi. Tutte quelle informazioni la
inquietavano e non poco,
ma allo stesso tempo dialogare con Dreamer la affascinava. Se
c’era qualcuno
che probabilmente avrebbe potuto avere una teoria convincente su tutto
ciò che
era successo nell’arco di quei sei mesi, quello probabilmente
era lui.
«Nulla di concreto, purtroppo. Ma resto
del
parere che la nostra nazione abbia preso parte a qualche test indetto
da
qualcuno che sta più in alto di noi, molto
più in alto. Azione e reazione, pensaci Rachel.»
Jeff sollevò una mano. «Azione:
le città vengono colpite dalle esplosioni, milioni di
persone muoiono e le
radiazioni degli ordigni causano un’ondata di malattie che
miete altre
centinaia di migliaia di vittime.
«Reazione: si formano bande criminali,
tumulti,
violenze, il tutto sommato alla presenza di questi nuovi esseri
sovrumani, i
Conduit. Nessuno può fuggire perché le
città vengono sigillate, il governo sa
di tutto questo ma si limita semplicemente ad osservare
dall’alto, senza fare
nulla. Dunque, che cosa ne deduci?»
Rachel sentì la bocca piena di sabbia
quando
rispose: «Le città sono le gabbie, noi siamo le
cavie e il governo è lo
scienziato che fa esperimenti su di noi.»
«Esattamente.»
«Ma... perché?»
Un profondo sospiro provenne da lui. «Per
ogni
diecimila persone che soffrono o muoiono, ne esiste sempre una che ne
trae
profitto. È così anche nelle guerre. Lo
è adesso, lo è stato in passato e
sempre lo sarà.»
«È... è
orribile...»
«Lo so.»
L’ascensore si fermò e le
porte si aprirono su
un atrio immerso nella penombra. Nessuno si era accorto di loro durante
la
discesa. Dreamer uscì, immergendosi nel buio.
«Forza, cerchiamo Wilson.»
Corvina lo seguì quasi timidamente,
ancora
scossa da quanto aveva appena appreso. Ora erano due le teorie giunte
alle sue
orecchie: quella di Hank e quella di Jeff. Non sapeva quale delle due
fosse la
migliore.
Doveva credere in un governo che pur di
mantenere il controllo della popolazione la decimava, oppure doveva
credere di
essere solamente una marionetta nelle mani dello stesso governo, nel
teatrino
più grande e importante del mondo, ossia la vita?
O peggio ancora, se invece le due teorie fossero
state in qualche modo collegate?
Una parte di lei sperava che entrambe fossero
errate... ma se nemmeno quelle erano giuste, allora quale era la
verità?
Dubitava di volerlo sapere davvero.
Percorsero un lungo corridoio illuminato dalla
fioca luce dei neon sfarfallanti. L’aria era gelata, Rachel
fu costretta in più
di un’occasione a doversi scaldare con le braccia. Dreamer
non sembrava affetto
dallo stesso problema, invece, o forse non lo dava semplicemente a
vedere.
C’erano diverse porte ai lati del
corridoio,
tutte sigillate. Passarono accanto alla lavanderia, al magazzino e
chissà
quanti locali per la manutenzione.
Per tutto il tempo, tuttavia, Dreamer
continuò a
guardarsi intorno con aria nervosa, come se avesse percepito qualcosa
che non
andava. Rachel intuì che quello era un gran brutto segno.
Arrivarono di fronte all’ultima porta, al
fondo
del corridoio. Il Visionario la aprì lentamente, fino a
sgusciare nella stanza
dietro di essa. Corvina lo seguì, con una certa titubanza.
Non appena entrò nella nuova stanza, la
prima
cosa che saltò al suo occhio furono un gruppo di macchinari
ospedalieri,
situati accanto ad un fanale che buttava luce su un unico punto.
Quando Rachel vide che
cosa il fascio giallo stava illuminando, inorridì.
Un tavolo di ferro, da ambulatorio. Il pavimento
attorno ad esso era imbrattato da una sostanza di un colore rosso
orribilmente
familiare.
Ma era ciò che si trovava sopra
al tavolo ad averla sconvolta. Lì, sulla
superficie di ferro,
giaceva supino un corpo nudo, la cui pelle pallida era macchiata da
molteplici
rivoli della stessa sostanza vermiglia già presente sul
pavimento.
Corvina si portò entrambe le mani di
fronte alla
bocca. Pensò che avrebbe perfino potuto vomitare.
Credeva che in quel piano avrebbero trovato
Wilson... invece avevano trovato il suo laboratorio. E Tara.
«Mio Dio... cosa... cosa...»
Rachel faticava
perfino a parlare. «Cosa le hanno fatto?»
Non si aspettava davvero una risposta. Si
avvicinò alla ragazza sdraiata sul tavolo con orrore
crescente.
«Rachel, aspetta!» la
chiamò Dreamer, sottovoce,
ma la corvina era già lontana.
Con profonda amarezza, Rachel constatò
che
avevano messo su un bel laboratorio in quella stanza buia, segno che
Deathstroke credeva veramente in qualunque follia stesse tramando
là
sotto.
Il corpo di Tara era orribile. Ferite, tagli,
abrasioni, non c’era quasi nessun lembo di pelle lindo da
tracce di sangue
rinsecchito o croste. Il suo volto era smorto, i capelli color grano
erano arruffati,
sparpagliati ovunque e in maniera confusa sul viso e attorno al capo.
Caviglie
e polsi erano bloccati, assicurati con delle manette alle gambe del
tavolo. E,
per finire, anche la sua dignità era stata portata via,
assieme ai suoi
vestiti.
Seni ed interno coscia erano ben visibili, anche
se passavano quasi in secondo piano a causa delle ferite sparpagliate
ovunque.
Non sembrava per niente la ragazza che aveva
conosciuto, quella a cui si era legata tramite un rapporto alquanto
astioso.
Rachel si sentì quasi in colpa anche solo per aver litigato
con lei in passato,
vedendola ridotta in quel modo. Quella fine non gliel’avrebbe
augurata nemmeno
se l’avesse odiata dieci volte di più. Era
mostruosa, per una come Tara in
particolare, che mai aveva fatto nulla di male a nessuno, infondo.
Realizzò solo in quel momento quanto la
Markov
fosse importante, non tanto per lei, quanto più per il
gruppo. Doveva salvarla,
non era il suo scopo in quella missione, ma doveva farlo comunque.
Il suo petto si alzava e abbassava ancora, molto
lentamente, quasi a fatica, ma se non altro significava che era ancora
viva.
Per quanto, tuttavia, Rachel non poteva saperlo, ma era proprio per
quello che
doveva sbrigarsi.
Con i suoi poteri ruppe le manette,
dopodiché le
chiuse le gambe, in modo che almeno metà delle sue
intimità fosse più nascosto.
«Rachel» disse Dreamer,
arrivando alle sue
spalle proprio in quel momento. «Non siamo qui per lei,
l’hai già dimenticato? Rose
si è sbagliata, questo è il piano del
laboratorio, Wilson è sotto!»
«Non posso lasciarla senza
curarla» ribatté la
ragazza, posando entrambe le mani sul bacino della bionda.
L’energia oscura
cominciò a fuoriuscire dai suoi palmi ed andò a
coprire tutte le ferite, che
lentamente cominciarono a rimarginarsi.
Un sospiro rassegnato provenne dalle sue spalle.
«Va bene, ma fai in fretta. I tuoi amici potrebbero essere in
pericolo in
questo momento.»
Rachel annuì, ben consapevole di
ciò, e si
concentrò più profondamente. Fu quasi terapeutico
per lei vedere il corpo di
Tara privarsi delle sue ferite. Un piccolo sorriso nacque sul suo volto
quando
ebbe quasi finito, poi Dreamer si mise accanto a lei, porgendole una
specie di
fagotto. «Tieni.»
Corvina inarcò un sopracciglio e lo
prese, per
poi realizzare che quelli erano i proprio i vestiti della Markov:
pantaloni,
giacca, biancheria e maglietta.
«Erano per terra»
spiegò Jeff, allo sguardo
interrogativo che la conduit gli rivolse. Dopo si voltò,
dando le spalle a lei
e al tavolo. «Ci sono anche le scarpe.»
«Grazie» rispose dunque Rachel,
mentre
cominciava a vestire il corpo ormai perfetto di Tara. Forse il
Visionario non
era proprio senza cuore come aveva creduto.
Sperò anche di essere arrivata in tempo,
ma la
respirazione di nuovo regolare della bionda le fece capire che,
sì, lo aveva
fatto.
Tirò un sospiro di sollievo, poi, una
volta
rivestita la ragazza bionda, notò un contenitore di plastica
posato su un
carrello pieno di strumenti chirurgici accanto al tavolo. Non era tanto
grande,
al suo interno si trovavano alcune provette sigillate, contenenti
liquidi dai
più svariati colori. Incuriosita, Rachel ne
afferrò una, rossa, leggendo
sull’etichetta: "Campione A-02: Fuoco".
Campione...
A-02?
Ne prese un’altra, questa volta blu.
"Campione
A-07: Acqua".
Sempre più perplessa, ne
adocchiò altre.
Telepatia, sabbia, elettricità, fumo, ognuna riportava
sull’etichetta una
determinata sigla riguardante ogni diverso elemento, che nel giro di
poco tempo
Rachel riuscì a riconoscere come i determinati tipi di
poteri dei conduit.
«Ma cosa...»
sussurrò, notando, infine, una
provetta diversa dalle altre. Questa infatti era vuota, senza tappo, ma
con al
suo interno alcuni residui di una sostanza giallognola.
Deglutendo per la tensione, Rachel
afferrò anche
quella, leggendovi sopra: "Campione A-16: Terra".
Rachel dischiuse le labbra. La sua mente
cominciò ad elaborare quelle informazioni appena ricevute.
«Hai finito?»
domandò Dreamer, voltandosi di
nuovo, per poi notarla con la provetta in mano. Sollevò un
sopracciglio. «Che
stai...»
Le
luci
della sala si accesero all’improvviso, abbagliando entrambi.
Rachel assottigliò
le palpebre e spostò lo sguardo sul pavimento, infastidita e
la provetta le
cadde dalla mano.
«Che diavolo... ?!»
sbottò Dreamer, piegando il
capo in modo da attutire la luce con la visiera del cappello.
«Sapevo che vi avrei trovati
qui» disse una
voce, una voce che non apparteneva a nessuno che Rachel conoscesse.
Bassa,
possente, calma, ma anche autoritaria.
Rachel spostò di scatto lo sguardo verso
la
porta, per poi notare un individuo alto e dalla grossa mole. Vestiva
con la
divisa degli Underdog, i manici di due katana spuntavano da oltre le
sue
spalle, e, per finire, una maschera bicolore da cui sbucava un solo
occhio.
Sgranò gli occhi, incapace di fare
altro. Accanto
a lei, Dreamer serrò la mascella, pronunciando quel nome che
Rachel nemmeno
riusciva a pensare. «Wilson.»
***
Wilson entrò nella stanza. Da lui,
Rachel
percepì un’aura di forza, potere e mistero
così grande che nessun altro
individuo incontrato da lei aveva mai emanato.
Quell’uomo avrebbe potuto spezzare come
fuscelli
sia Dominick, che Kevin, che Dreamer, tutto da solo. E questo non lo
pensava
solamente per via della sua enorme stazza.
«Quale onore quello di avere due ospiti
come voi»
cominciò a dire il mercenario, avvicinandosi ai due ragazzi
sguainando una
katana.
«Il leader dei Visionari in persona, e la
Demone
di Empire City. Immagino che alla fine Rose vi abbia detto tutto...
beh,
pazienza. Sapevo che prima poi anche lei avrebbe finito con il
deludermi, non ne
farò un dramma. Dunque, per quale motivo mi avete degnato
della vostra
presenza?» Wilson puntò la punta della spada verso
il tavolo su cui ancora
giaceva Tara. «Per lei, forse? A proposito, grazie per
avermela ripulita. Mi
avete risparmiato una gran seccatura.»
«Siamo qui per te, cane.»
Dreamer sollevò il
bastone, alla cui estremità spuntò fuori la lama
a serramanico.
Slade si fermò, soppesando il Visionario
con il
suo unico occhio. «Dunque, alla fine hai trovato il coraggio
di venire ad
affrontarmi. Certo, mi sarei aspettato un atto meno codardo da parte
tua...»
L’uomo posò lo sguardo su Rachel. «...
se credi che farti accompagnare da una
conduit ti farà apparire più intrepido, allora ti
sbagli di grosso.»
«Disse colui che è
perennemente circondato dalla
sua mandria di leccapiedi» ribatté Dreamer,
tagliente.
«Da quale pulpito.»
Jeff serrò la mascella, aumentando la
presa
attorno alla propria arma.
«Ritira i tuoi Visionari, ragazzo, e
vattene
insieme alla tua amica. Non è me che dovete combattere, ed
io non sono certo
intenzionato a fare del male a voi. Ma lo farò ugualmente,
se non mi lascerete
altra scelta.»
«Se non è te che dovremmo
combattere, allora chi
dovrebbe essere?» si intromise Rachel, guadagnando
improvvisamente un’ondata di
coraggio. «Sei tu quello che ha rapito la mia compagna per
farle cose orribili,
sei tu che tieni sotto controllo Sub City con il pugno di
ferro!»
«Non lasciarti influenzare dalle parole
di cui
non sai la vera fonte, Demone. Stai commettendo un grave errore a dare
retta ad
uno come lui» rispose Slade con calma, indicando Dreamer.
«Non cambi mai, vero Wilson?»
ribatté Jeff, con
un sogghigno, abbassando il proprio bastone per rimettersi in una
posizione più
composta. «Cerchi sempre di rigirare le situazioni a tuo
favore. Ma questa
volta non funzionerà. Rachel non è stupida,
è ben consapevole di ciò che tu e
tuoi uomini siete capaci di fare. E sa che, eliminandoti, Sub City
sarà
finalmente libera.»
«Libera? Libera da chi? Dai suoi
salvatori?»
domandò Wilson, accigliandosi. «Se non fosse stato
per gli Underdog, questa
città avrebbe fatto la fine di Empire City e di tutte le
altre metropoli che
sono sprofondate nell’anarchia. Noi Underdog abbiamo
costruito un sistema che
funziona. Niente criminalità, niente conduit a piede libero,
solo pace. Le
regole ferree a cui i cittadini sono sottoposti e le quote che devono
versare
sono solamente il piccolo prezzo che devono pagare per poter ritornare
tutti i
giorni dalle loro famiglie.»
«Tu sei un tiranno!»
«Io sono un eroe!» rispose
Deathstroke, alzando
improvvisamente la voce.
«Hai semplicemente trasformato
l’anarchia in un
regno del terrore! Sub City non ti obbedisce perché ti
è grata per ciò che hai
fatto, Sub City ti obbedisce perché è costretta!
"Obbedire o morire",
dimmi, queste ti sembrano le parole di un eroe?!»
«Sono le parole di una persona che
farebbe di
tutto per salvare ciò che ama!»
«Uccidendo e rapendo chiunque la pensi
diversamente da te?!»
«Se questo vorrebbe dire tenere lontani
dal
comando persone come te, allora sì, significa questo!
Rachel...» Wilson posò di
nuovo lo sguardo sulla corvina. «... non hai idea di chi stai
aiutando. Lui
vuole prendere il controllo di Sub City, non vuole liberarla
davvero.»
«Non ascoltarlo!» la
richiamò Jeff. «Sta
mentendo!»
«Lui vuole solo giocare secondo le sue
regole!
Se ci fosse lui al comando, sarebbe la fine non solo per Sub City, ma
per il
mondo intero! Io posso salvare questa città, Rachel, e se
avrai pazienza potrò
salvare anche Empire city, e dopo l’intera nazione. Ma se ti
schiererai con i
Visionari... commetterai un grave errore.»
Wilson rinfoderò la katana, per poi
allargare le
braccia. «Pensaci bene, Demone.»
«Rachel...» la
chiamò Dreamer sottovoce,
scuotendo lentamente la testa. «Ti sta ingannando... come ha
fatto con Rose...
come ha fatto con tutti... devi fidarti di me. Empire può
essere salvata anche
senza di lui, esistono molte altre soluzioni oltre al pugno di
ferro.»
Rachel non sapeva più cosa pensare. Il
suo
sguardo vagava da Dreamer a Wilson, ad intermittenza.
Ripensò a Rose, a quella
ragazza così fragile, ma costretta a mostrare un lato di
sé che probabilmente
nemmeno esisteva. Costretta a fingersi sadica, crudele, spietata,
solamente per
poter rimanere accanto ad una persona che amava, suo padre, per poi
essere
perennemente ricacciata da lui.
Questo avrebbe dovuto bastarle per auto
convincersi che lo schieramento dalla parte di Dreamer era quello
più adatto,
eppure... eppure non ci riusciva proprio.
Con le sue parole, Deathstroke aveva mostrato
una sicurezza tale che era quasi impossibile pensare che fosse nel
torto. Anche
se nel torto ci era eccome.
Era un tiranno, rapiva le persone, uccideva
chiunque non gli obbedisse... eppure... Sub City era la prova tangibile
che il
suo stile di comando funzionava.
D'altronde, in quali altri modi si poteva
proteggere un intera città nel mondo in cui vivevano in quel
momento? A mali
estremi, estremi rimedi, ed erano davvero estremi i rimedi adottati da
Deathstroke. Estremi ed efficaci.
Aveva detto che avrebbe perfino potuto salvare
Empire...
Corvina sgranò gli occhi. Empire, casa
sua, casa
delle persone che in passato aveva amato. Poteva essere salva... ma, in
cambio,
furgoni pieni di uomini armati avrebbero dovuto presidiare le strade,
ci
sarebbe stato un coprifuoco e omicidi a carico di chiunque si fosse
opposto a
quel tipo di governo.
Era questo che lei voleva davvero? Voleva che la
sua casa finisse ridotta come lo era Sub City? E, inoltre, lei che fine
avrebbe
fatto? Gli Underdog uccidevano i conduit, e lei era proprio una
conduit. Magari
l’avrebbero lasciata andare, ma era sicura al cento percento
che avrebbe finito
con il ritrovarsi una pattuglia alle spalle ventiquattrore su
ventiquattro,
pronta ad attendere il suo primo passo falso per catturarla ed
ucciderla di
conseguenza.
Quindi, cosa doveva scegliere? L’anarchia
o la
dittatura? Un caos in cui chiunque avrebbe potuto morire, ma se non
altro
ognuno avrebbe potuto scegliere la vita che più lo
aggradava, oppure un ordine
fittizio, in cui in molti sarebbero sopravvissuti per poi semplicemente
sentirsi in prigione e magari preferire addirittura la morte pur di non
esservi
più rinchiusi?
Dreamer, o Wilson?
Un sistema imperfetto, ma che avrebbe potuto
essere perfezionato in qualche modo, oppure un sistema di per
sé già perfetto,
ma dalla morale sbagliata?
«I-Io...» cominciò a
dire, posando lo sguardo
sul pavimento. «Io... io...»
Prese la sua decisione. Inspirò
profondamente.
Prese tutto il coraggio necessario, poi fece un passo avanti e
posò lo sguardo
sulla persona che avrebbe deciso di ascoltare. «Nessun altro
innocente si farà
del male, vero?»
Deathstroke strinse i pugni con forza.
Dreamer sorrise compiaciuto. «Ti do la
mia
parola.»
Rachel annuì, con determinazione.
«Bene. Sappi
che se ti rimangerai questa promessa, allora rimpiangerai di aver
chiesto il
mio aiuto.»
Il Visionario ridacchiò, chinando il
capo. «Va
bene, va bene, ho afferrato il concetto.»
«Sciocca...» Dal fondo della
stanza, Slade
sguainò entrambe le katana. «Vorrà dire
che eliminerò anche te.»
Rachel sollevò una mano, squadrandolo
con aria
truce. Una sfera di energia nera si materializzò al di sopra
del palmo. «Voglio
proprio vedere come farai» rispose, con sicurezza.
Wilson partì alla carica. Dreamer
impugnò il
bastone, Rachel si mise in posizione, pronta a scagliare la granata, ma
un
gemito provenne all’improvviso da dietro le sue spalle.
Deathstroke si fermò di scatto,
sgranando
l’occhio, mostrando un’espressione così
sbalordita che quasi sembrava
impossibile che stesse provenendo da lui. Corvina rimase
così sorpresa dal quel
suo repentino cambio di espressione che si voltò, per poi
rimanere di sasso a
sua volta. Per un momento, si dimenticò perfino dello
scontro imminente.
Tara si stava riprendendo.
Potrei dire milioni di
cose, perdermi in uno dei miei soliti monologhi senza senso che lascio
in genere nelle note in fondo al capitolo, ma, sinceramente, ora come
ora non sono molto in vena. Meglio così per voi, no?
E poi, non c'è molto da dire. Tutto quanto sta nel capitolo,
non c'è bisogno di perdersi in ulteriori chiacchiere.
Finalmente facciamo la conoscenza di Slade, e abbiamo scoperto come
è stata ridotta Tara. Ma che cosa le è successo
davvero? No, davvero, che cosa? Io non lo so. Io non so niente di
niente. Spero che non ci siano troppi errori, sarebbe imbarazzante altrimenti.
Bye bye, alla prossima settimana!
E sì, ho citato Sherlok, nel caso qualcuno che ha
riconosciuto la battuta in questione se lo stesse chiedendo.
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Capitolo 19 *** Soggetto A-16 ***
Capitolo
19: SOGGETTO A-16
La bionda aveva cominciato ad emettere piccoli
fremiti
con gambe e braccia, mentre le sue palpebre tremolarono. Si
girò di scatto,
rimanendo sdraiata su un fianco, mugugnando nuovamente.
Mosse un braccio, lo appoggiò sulla
superficie
del tavolo e fece leva, in modo da riuscire a raddrizzarsi, il tutto
sotto gli
occhi sempre più atterriti dei presenti. Si mise a sedere
sul bordo del suo
giaciglio improvvisato, continuando a tenere gli occhi chiusi e
ciondolando con
la testa, quasi come se fosse sonnambula. Cominciò a
strofinarsi il volto con
il palmo della mano, sempre senza smettere di produrre quei versi
impastati.
«Non è possibile...»
sussurrò Wilson, abbassando
lentamente le katana, fino a rasentare il terreno.
«T-Tara?» domandò
Rachel, cauta, cercando di
avvicinarsi a lei.
La bionda drizzò il capo di scatto,
spalancando
le palpebre, volgendole verso la sua direzione.
La corvina sussultò quando
notò lo sguardo
spiritato ed iniettato di sangue della Markov. Non sembrava in lei, non
lo
sembrava per niente. La bionda aprì la bocca, forse per
parlare, ma da lei non
uscirono altro che monosillabi privi di qualsiasi senso.
Sollevò un braccio,
volgendolo verso la conduit. Perse l’equilibrio e cadde dal
tavolo, ruzzolò sul
pavimento e gemette di dolore.
«Tara!» Rachel si
inginocchiò e cercò di
aiutarla, osservandola sempre più preoccupata. Si mise il
braccio della bionda
intorno al collo e tentò di rimetterla in piedi.
«Tara... stai bene? Tara?»
La ragazza bionda drizzò nuovamente il
capo,
osservò Rachel per un altro breve istante, poi
spostò l’attenzione su Dreamer e
sugli altri dettagli della stanza. Nulla era cambiato nel suo sguardo,
sembrava
quasi che per lei tutto quanto fosse solamente un’illusione:
guardava ciò che
aveva attorno a lei, ma non sembrava davvero focalizzarsi su
ciò.
«Cosa diavolo le prende?!»
domandò Dreamer,
quasi soffiando di rabbia quelle parole.
Rachel scosse la testa. «I-Io
non...»
Si interruppe, quando le labbra di Tara
tremolarono di nuovo. La bionda pronunciò altri monosillabi,
poi accasciò la
testa di lato, finendo con lo sguardo proprio su Wilson. A quel punto,
qualcosa
si modificò drasticamente in lei. Strabuzzò le
palpebre più di quanto già non
fossero e rimase immobile, come una statua, senza scollare gli occhi
dall’uomo
armato che aveva di fronte nemmeno per un istante.
Corvina corrucciò la fronte, poi
osservò anche
lei Slade.
Il capo degli Underdog, dal canto suo, non aveva
occhio che per la bionda. Cominciò a camminare verso di lei,
rinfoderando le
spade e sollevando le mani, quasi come se si stesse avvicinando ad un
animale
pericoloso. «Soggetto A-16... Terra... mi riconosci? Sono
io... sono... sono
colui che ti ha data alla luce.»
Il fiato di Tara cominciò a farsi
più grosso
all’improvviso. Il suo corpo si irrigidì,
completamente, per Rachel fu
impossibile non accorgersene. Il respiro della bionda si
trasformò ben presto
in un’interminabile serie di rantolii, che aumentavano di
intensità di volta in
volta.
«Sei... stupenda...»
mormorò ancora Deathstroke,
così meravigliato che sembrava quasi che lui meno di tutti
si aspettava che la
bionda si sarebbe ripresa.
I versi provenienti dalla gola di lei si fecero
ancora più forti, parevano delle urla soffocate. La Markov
serrò la mascella e
strinse i pugni con forza.
«T-Tara?» la chiamò
Rachel, sempre più
preoccupata.
«Terra, bambina...» fece eco
Wilson. «Devi
mantenere il...»
L’urlo a squarciagola che provenne dalla
bionda
lo costrinse ad interrompersi. Si mise in posizione completamente
eretta, gettò
il capo all’indietro e allargò le braccia di
scatto, costringendo Rachel a
lasciarla andare e ad allontanarsi da lei.
I capelli color oro della ragazza cominciarono a
sollevarsi da soli, come sospinti da qualche corrente d’aria.
La sua pelle
pallida cominciò a scurirsi lentamente. Passò dal
rosa ad un colore molto più
acceso, sembrava un misto tra l’arancione e il marrone.
Chiazze di pelle
cominciarono ad essere separate le une dalle altre tramite delle righe
color
oro brillante, facendo quasi sembrare che si stesse ricoprendo di
squame.
La corvina osservava con orrore misto a stupore
quelle macchie marroni cospargersi lungo tutte le zone di pelle
visibile della
compagna, dalle mani, ai piedi ancora nudi, fino al volto. Le squame
salirono
lungo il collo, circondarono la bocca, coprirono il naso, le guancie ed
infine
giunsero agli occhi, chiusi.
«Devi controllarlo, Terra!»
gridò in quel
momento Wilson, quasi supplicandola. «Devi...»
Tara riaprì gli occhi e
drizzò nuovamente il
capo. Rachel dischiuse le labbra. Non c’era più
traccia delle iridi celesti
della ragazza che conosceva. Ora c’erano due enormi bulbi di
un color giallo
splendente. Assomigliavano quasi a due riflettori ed erano della stessa
intensità delle linee che passavano tra una squama ed
un’altra.
Fu a quel punto che Rachel capì.
Sgranò gli
occhi, basita. Quelle non erano squame, erano... scaglie. Placche, come
quelle
delle armature, ma fatte di pietra.
«Mio Dio...»
sussurrò Dreamer indietreggiando, facendo
un gesto di scongiuro con le mani.
La Markov smise di gridare e puntò lo
sguardo
prima sui due ragazzi, poi su Wilson. Strinse di nuovo i pugni,
digrignò i
denti e cominciò a ringhiare, come un animale braccato dai
cacciatori.
Qualsiasi traccia di umanità sembrava essere svanita da
dentro di lei.
Altre scaglie di pietra spuntarono sulle sue
braccia, strappando le maniche della giacca. Percorsero il tratto dalle
spalle
fino alle mani, coprendo queste ultime e lasciando spazio a due enormi
lame di
roccia. Si accucciò e piantò una di esse nel
suolo, trivellandolo come se fosse
fatto di burro.
Non appena fece ciò, una stalagmite
spuntò all’improvviso
da sotto il pavimento, nel punto in cui si trovava Wilson.
L’uomo parve intuire
che ci fosse qualcosa che non quadrava, perché
scattò di lato un attimo prima
che questa comparisse, ma si mosse troppo lentamente: la lama acuminata
gli forò
uno stinco, trapassandoglielo da parte a parte e facendolo gridare di
dolore.
Fu uno spettacolo orribile agli occhi di Rachel.
Lo spuntone di roccia ora macchiato di sangue si
ritirò e l’uomo cadde a terra, abbracciandosi
l’arto martoriato e gemendo. Ma
Tara non aveva ancora finito. Dopo aver colpito il suo aguzzino
piegò le gambe
come una molla, poi scattò in alto, compiendo un balzo che
dal pavimento la
fece arrivare al soffitto. Sfondò il cemento, un enorme
polverone si sollevò,
seguito da una pioggia di calcinacci.
Rachel si portò una manica di fronte
alla bocca
e cominciò a tossire, alcuni granelli le finirono negli
occhi e fu costretta a
strizzare le palpebre.
Quando la nube di polvere si diradò,
Corvina
osservò atterrita l’enorme voragine, grande quasi
quanto un furgone, che Tara
aveva creato. Oltre ad essa riusciva perfettamente a scorgere il piano
superiore a quello in cui si trovava. Non riusciva più a
credere i suoi occhi.
Tutto ciò le sembrava irreale, un’illusione,
qualcosa che non stava davvero accadendo.
Da piano superiore, grida, spari e tremendi
boati da far tremare le pareti si susseguirono subito dopo. Era chiaro
che
Visionari e Underdog avessero appena fatto conoscenza della nuova
arrivata.
«Maledizione Wilson, cosa diavolo le hai
fatto?!»
esclamò Dreamer, sferzando l’aria con dei gesti
rabbiosi per allontanare i
residui della nube di polvere.
«Wilson?!» ripeté
quando non ottenne risposte,
per poi osservare in direzione dell’uomo. «Che
diav...» Si interruppe di colpo,
sgranando gli occhi.
Corvina lo seguì con lo sguardo, per poi
imitarlo. Wilson era sparito. Al suo posto, sulle piastrelle trovarono
solamente
le enormi chiazze di sangue lasciate dalla sua gamba.
«Maledizione!» ululò
il Visionario, per poi
cominciare a correre verso la porta. «Quel bastardo
è scappato!»
«Jeff, aspetta!» lo
chiamò Rachel, per poi
cominciare a seguirlo.
Corse lungo il corridoio buio, attingendo a
tutte le sue doti atletiche per riuscire a tenere il passo del ragazzo.
Sopra
la sua testa, Tara continuava a scatenare il finimondo in compagnia di
centinaia di uomini armati. Boati su boati si susseguivano
l’un l’altro,
accompagnati dal tremore di soffitto e pareti. Rachel
cominciò a temere che
potesse crollarle qualcosa addosso.
«Dannazione, dovevo aspettarmelo, anche
se aveva
un arto fuori uso!» continuava a dire Dreamer, infervorato
come mai la corvina
lo aveva visto. «Non avrei dovuto staccargli gli occhi di
dosso nemmeno per un
momento! Dobbiamo sbrigarci a raggiungerlo, ridotto com’era
non andrà lontan...»
Il rumore di voci e passi che provenivano
proprio dalla direzione in cui erano diretti lo fece interrompere di
colpo.
«Ma cosa...»
Dall’ombra di fronte a loro sbucarono
fuori tre
individui, che si fermarono non appena li videro. Rachel non avrebbe
potuto sentirsi
più sollevata nel vederli. Due su tre, almeno.
Lucas, Amalia e la vice di Dreamer, Jade, erano
di fronte a loro, i primi due parecchio sbigottiti.
«Rachel!» esclamò
Lucas, avvicinandosi. «Nel
seminterrato non c’era nessuno! Dov’è
Tara? E cosa sono queste esplosioni?!»
Rachel cercò di rispondere, ma Jeff la
anticipò.
«Wilson! Dove diavolo è Wilson?! L’avete
incrociato?»
«No, non lo abbiamo incrociato»
rispose ancora
Rosso, per poi inarcare un sopracciglio. «Perché,
è passato di qui?»
Dreamer non rispose, si limitò a gridare
di
frustrazione. «Figlio di puttana! Deve avere un uscita di
emergenza!» Si
premette una mano su una tempia, gridando ancora più forte,
per poi accanirsi
sulla porta chiusa accanto a lui.
Rachel sobbalzò. Non avrebbe mai pensato
che
Jeff nascondesse un lato così esplosivo di sé,
sotto quella sua perenne
compostezza.
Il suo sguardo cadde poi di sfuggita sul
pavimento. Sgranò gli occhi, poi si avvicinò
cauta al Visionario. «Jeff» disse,
posandogli una mano sulla spalla. Il ragazzo si voltò,
osservandola accigliato.
«Che c’è?!»
«Guarda.» Corvina
indicò il pavimento, dove
diverse chiazze di sangue segnavano il passaggio di Wilson. E queste
chiazze
finivano proprio sotto la porta che Dreamer stava prendendo a calci.
La conduit deglutì, poi
abbassò la maniglia.
Aprì la porta, rivelando dietro di essa una lunga rampa di
scale che conduceva
verso l’alto. Si scambiò uno sguardo perplesso con
Jeff, poi quest’ultimo si avvicinò
ai gradini, con cautela. «Oh... sì...»
commentò quando mise la testa oltre lo
stipite.
Si voltò verso gli altri, per poi
riacquistare
il suo solito sorriso compiaciuto. «L’abbiamo
trovata. Rachel, andiamo, quello
zoppo non può essere lontano!»
«Un momento, e Tara? Non posso lasciarla
qui,
ridotta in quel modo» asserì Rachel, incrociando
le braccia.
Il sorriso sul volto di Dreamer vacillò.
«Cosa?»
«Tara?» si intromise Amalia,
rimasta in disparte
fino a quel momento. «Dov’è? Sta
bene?»
«Non per molto se non interveniamo
subito»
rispose la corvina spostando lo sguardo su di lei.
«Dobbiamo...»
Si interruppe, quando Dreamer la afferrò
per un
braccio la trascinò verso di sé. «Tu ed
io abbiamo un accordo, l’hai
dimenticato?!» domandò il Visionario, puntando i
suoi occhi carichi di collera
in quelli della ragazza. «Non possiamo lasciare scappare
Wilson!»
Rachel sussultò. Nonostante Jeff non
fosse forte
come lei, vederlo così accigliato la intimoriva e non poco.
«E io non posso
abbandonare...» tentò di discolparsi.
«Non erano questi i patti!»
sbraitò il
Visionario, ammutolendola e stritolandola con maggiore forza.
«Dobbiamo...»
«Levale le mani di dosso!»
esclamò Lucas,
avvicinandosi e spintonandolo, liberando Rachel.
«Ma come osi?!»
sbottò Jade, puntando il fucile
contro il moro. «Non fare mai più...»
«Tappati la bocca, oca» la
zittì Amalia,
puntandole a sua volta una pistola alla tempia.
La Visionaria grugnì infastidita,
rivolgendo
un’occhiata furente alla mora, poi abbassò
lentamente il fucile. «Stronza.»
«Battona.»
Dreamer strinse i pugni con forza e
osservò
Rachel con sguardo glaciale. «Se non fosse stato per me voi
non sareste qui, ed
è così che mi ringraziate?! Puntate le armi
contro i miei fratelli e vi
rimangiate la parola data?! Da loro me lo sarei aspettato...»
disse, indicando
Lucas e Amalia. «... ma mai da te, Rachel...»
«Jeff, ascolta...»
cominciò la corvina,
sollevando le mani in segno di resa. «... ti
aiuterò, te lo prometto. Hai
ragione, ci hai dato un enorme aiuto e di questo te ne sono
immensamente grata,
ma adesso ho una faccenda molto più importante da sistemare.
Il motivo per cui
ho deciso di aiutarti è stato perché volevo
salvare Tara, ma non posso
lasciarla a piede libero, conciata com’è finirebbe
con il causare un sacco di
danni e rischierebbe anche di farsi ammazzare! E se lei muore, o si fa
dell’altro male, allora puoi anche dire addio al nostro
accordo.»
Non appena finì di parlare,
l’espressione di
Jeff mutò. Parve rimuginare per un momento sulle parole
della ragazza, e alla
fine si lasciò scappare un grugnito di rassegnazione.
«Io inseguo Wilson, non
appena lo trovo farò in modo che tu lo sappia.
Jade...» spostò lo sguardo sulla
sua luogotenente, severo in volto, poi estrasse una radiolina dalla
tasca. «...
rimani con loro e tieniti in contatto. Farai da tramite tra me e
Rachel.»
La Visionaria annuì. «Va
bene.»
«Quindi dobbiamo trascinarcela ancora
dietro?»
mugugnò Amalia, infastidita, abbassando la pistola.
«Che palle...»
«Non sei l’unica che vorrebbe
tutto meno che
questo» ribatté Jade, distogliendo lo sguardo da
lei.
«Onora il patto, Rachel...»
disse ancora Dreamer,
mentre indietreggiava verso le scale. «... o sarai tu a
pentirti di essere
venuta a cercarmi.» Detto quello, si voltò e corse
su per le scale, svanendo
nell’ombra.
Rachel osservò le scale, perplessa. Non
aveva
idea di come Dreamer avrebbe potuto fargliela pagare, se non facendo
altro male
ai suoi amici. Cosa che lei avrebbe più che volentieri
evitato.
«A proposito, che cosa stavi dicendo di
Tara?»
le chiese Rosso, distogliendola da quei pensieri.
La conduit aprì la bocca per parlare,
quando un
altro scossone proveniente dal piano superiore fece tremare le pareti.
Osservò
il soffitto, sempre più preoccupata. «Ecco,
appunto... seguitemi.»
***
Lucas e Amalia non sembrarono credere alle
parole di Rachel fino a quando le porte dell’ascensore non si
aprirono e non
ammirarono la scena con i loro occhi: Tara... non era più
Tara.
La figura che nella hall dell’albergo
faceva
comparire stalagmiti dal terreno, quella che infilzava Visionari e
Underdog
senza tregua con le sue lame di pietra, quella che urlava in maniera
disumana e
su cui le pallottole si infrangevano senza causare alcun danno... era
il
soggetto A-16.
Era Terra, una conduit creata in un laboratorio
grazie al campione A-16.
«Oh, merda...»
sussurrò Lucas.
«Tara...» fece eco Amalia,
portandosi una mano
di fronte alla bocca. «No...»
La neo conduit attaccava con brutalità
chiunque
le capitasse a tiro, almeno una dozzina di cadaveri tra Underdog e
Visionari si
trovavano ormai nella hall, ai suoi piedi. Il resto
dell’ampia sala, invece era
un pandemonio.
I due eserciti non sapevano più che cosa
fare,
se continuare a spararsi tra di loro, oppure se unire le forze contro
la nuova
minaccia. Nel dubbio, i proiettili volavano in ogni direzione.
L’intera hall, grande come due campi da
tennis, era
stata praticamente rasa al suolo dal conflitto. Fori di proiettile
tappezzavano
pavimento, soffitto e pareti. I divanetti che in passato dovevano aver
ornato
quella sala ora erano rovesciati e usati come rifugi di fortuna. La
reception
in un angolo era diventata una specie di roccaforte, dove
più Underdog si
tenevano al riparo dai proiettili vaganti e dagli attacchi di Tara.
Era un caos totale, mai Rachel aveva visto
qualcosa del genere. Era probabile che tutto l’hotel stesse
assistendo a
scontri a fuoco come quello.
Il tutto, naturalmente, era peggiorato proprio
dalla presenza della stessa Tara. Corvina non riusciva a concepire
perché
Wilson avesse fatto ciò che aveva fatto alla Markov.
Perché un uomo che
possedeva un esercito che eliminava i conduit che comparivano in
città... aveva
creato una conduit?
Quel quesito avrebbe dovuto attendere un bel
po’
per trovare risposta, perché Jade si fiondò
dentro la hall, bracciando il
fucile.
«Ehi, che stai facendo?!» la
chiamò Rachel.
«Sta uccidendo i Visionari!»
rispose la ragazza,
voltandosi. «Non posso permetterlo!»
«Non essere precipitosa» disse
Lucas, uscendo
dall’ascensore. «Tu non puoi fare nulla contro di
lei. Di ai tuoi amici di ritirarsi
se non vogliono diventare carne trita.»
«Non sono questi i miei ordini»
replicò la Visionaria,
fredda, per poi dare di nuovo loro le spalle.
Ma prima che potesse allontanarsi, Rosso le si
fiondò addosso. «Non fare cazzate»
sbottò, afferrandola per un braccio e
costringendola a voltarsi verso di lui. Quel gesto parve sorprenderla
parecchio,
perché sgranò gli occhi da sotto la maschera.
«Vista la situazione, gli ordini possono
anche
andare a farsi fottere.»
Per tutta risposta, Jade si liberò con
uno
strattone e con la mano libera estrasse fulminea uno dei sai dalla
cintura,
puntandoglielo al collo. «Non toccarmi. Mai
più» sibilò. «O ti taglio
quel tuo
bel visetto.»
Lucas serrò la mascella e rimase in
silenzio,
mentre la Visionaria cominciava ad accarezzargli la pelle del volto con
la
punta della lama. I due si osservarono negli occhi per diversi istanti,
rimanendo in silenzio, fino a quando entrambi non furono di nuovo
attratti dal
disastro che stava imperversando nella hall. Sia l’uno che
l’altro dovettero
intuire che discutere in quel momento non era la cosa giusta da fare.
«Va bene allora» convenne Jade,
ritraendo il sai.
«Forse hai ragione tu. E sottolineo il forse. Qual
è il tuo piano?»
Il moro arretrò, strofinandosi il volto
con il
palmo della mano nei punti in cui la lama della Visionaria lo aveva
toccato. «Io
e Amalia ci occuperemo degli Underdog, tu aiuta i tuoi compari ad
alzare i
tacchi.» Si voltò poi verso Rachel. «Tu
te la senti di distrarre Tara?»
La corvina annuì. «Ci penso
io.»
«Bene allora, diamoci una
mossa!»
I quattro si separarono. Mentre Lucas, Amalia e
Jade adempivano ai loro doveri, Rachel corse in direzione della conduit
della
terra. Non si trasformò subito, non era intenzionata a
combattere contro di
lei. Da qualche parte, in quel corpo fatto di pietra, c’era
la ragazza che
conosceva, e lei era intenzionata a riportarla indietro in maniera
razionale.
Trattenne a stento un conato di vomito quando
vide la Markov avventarsi sul corpo già orrendamente
mutilato di un Underdog
per infierire ulteriormente. Gli stava letteralmente aprendo la gabbia
toracica, ignorando gli schizzi di sangue che le macchiavano il braccio
acuminato e il volto.
«Tara» la chiamò,
quando fu abbastanza vicina.
La bionda la ignorò, continuando ad accanirsi sul cadavere
del soldato. «Tara,
ascoltami!» Ancora una volta non ottenne
l’attenzione desiderata. A quel punto,
Rachel si morse un labbro. «Terra...»
La neo conduit drizzò il capo
all’improvviso
udendo quel nome. Posò i suoi raggelanti riflettori gialli
sulla corvina,
stringendo con forza la mascella e ringhiando con ulteriore insistenza.
Rachel deglutì. «Devi calmarti
Terr... Tara. È
questo il tuo nome, ricordi? Tara Markov.»
Tara sfilò la lama di pietra dal ventre
dell’uomo con un gesto secco, trascinandosi dietro cose che
Rachel mai avrebbe
voluto vedere. La corvina distolse lo sguardo dal cadavere, per poi
concentrarsi sulla ragazza bionda. La osservò mentre si
alzava in piedi e la
squadrava dalla testa ai piedi, probabilmente valutando se attaccare
anche lei
oppure no.
Fermamente determinata a non fare la stessa fine
di quell’Underdog, Rachel proseguì:
«Credimi, so cosa ti sta succedendo in
questo momento. Dentro di te ora si cela una forza spaventosa, che
solamente
mantenendo la calma riuscirai a...»
Non terminò mai quella frase. Tara
urlò con
quanto fiato avesse nei polmoni e si scagliò contro di lei a
velocità inaudita.
Corvina riuscì a vederla solamente quando se la
ritrovò a pochi metri di
distanza. Si trasformò in rapace giusto un momento prima che
la conduit della
terra la colpisse, scaraventandola dall’altra parte della
sala. Rachel gridò di
dolore nonostante la corazza nera l’avesse protetta.
Precipitò contro la parete vetrata della
hall,
quella affacciata sul cortile centrale dell’hotel, e
sfondò le finestre.
Migliaia di schegge di vetro si sparpagliarono in aria come pioggia,
cadendo
insieme a lei proprio dentro una delle piscine vuote.
L’impatto fu devastante,
a tal punto che la proiezione del rapace si dissolse procurandole molto
più
dolore di quanto avrebbe mai voluto.
Tossì, sentì il sapore
metallico del sangue in
bocca. Riuscì a malapena a trovare la forza per alzare lo
sguardo, per poi
scorgere i due fari gialli di Terra scrutarla dal grosso varco nella
parete
vetrata. Poi questi scomparvero tutto ad un tratto, per poi ricomparire
da
un’altra parte, esattamente sopra di lei; Tara aveva saltato
e ora si stava
lanciando in picchiata proprio sul suo corpo esanime, puntandole contro
entrambe le lame di pietra.
«Cazzo...» rantolò
Rachel, per poi puntarle
contro una mano. Si sentì quasi svenire, ma
riuscì a scagliare un raggio di
energia, che andò proprio a colpire la Markov, deviando la
sua traiettoria e
facendola precipitare in un luogo imprecisato attorno alla piscina. La
neo
conduit gridò di dolore e per qualche istante non si fece
più vedere.
Rachel boccheggiò e si girò
su un fianco. Vomitò
tutto quello che teneva nel proprio organismo, tossendo e sputando
senza freni,
dopodiché si posò una mano sul petto e
cominciò a curarsi. Era troppo debole
per farlo, ma sapeva che ci sarebbe riuscita comunque. Sentì
un altro conato di
vomito salire, la testa le girò, un profondo senso di nausea
la assalì, come se
l’avessero appena ficcata dentro una centrifuga, ma poco per
volta riuscì a
risanare le ferite più gravi.
Si rimise in ginocchio, con il fiatone, poi con
un ulteriore sforzo si drizzò su entrambe le gambe. La terra
tremò proprio in
quel momento, per poco facendole perdere l’equilibrio. Le
pareti della piscina
attorno a lei cominciarono a riempirsi di crepe, le piastrelle blu
cominciarono
a staccarsi una dietro l’altra, poi, sotto gli occhi attoniti
di Rachel, quella
di fronte a lei fu avvolta da un bagliore giallo e si mosse
all’improvviso.
La corvina riuscì a trasformarsi e ad
alzarsi in
volo in tempo per vedere con i propri attoniti occhi le pareti
stringersi di
colpo come le morse di un demolitore, per poi scontrarsi tra di loro e
chiudendo per sempre la piscina. Se non si fosse scansata,
l’avrebbero
sicuramente spappolata.
Un grido disumano che ormai aveva imparato bene
a conoscere le fece distogliere lo sguardo. Tara era di nuovo in piedi,
sopra
uno dei tanti giardinetti che decoravano il cortile. Il suo intero
corpo era
avvolto dal medesimo bagliore giallo che aveva visto poco prima e i
suoi
capelli svolazzavano come se fossero dotati di vita propria.
Sollevò entrambe
le braccia, che questa volta avevano entrambe le mani alle loro
estremità, e
decine di porzioni di pavimento si illuminarono di giallo, per poi
staccarsi
lentamente dal terreno e cominciare a fluttuare a mezz’aria.
Come facilmente pronosticabile, queste si
scagliarono
contro la corvina come dei mortali proiettili. Rachel cercò
di schivarle e di
distruggere quelle che non riusciva ad evitare. Solamente quando di
ritrovò di
fronte all’ultimo ostacolo, si rese conto che quello non era
più un pezzo di
terreno, ma la stessa Tara.
Le scagliò contro un raggio di luce, ma
la
conduit della terra si protesse con un braccio, poi la colpì
nuovamente con
l’altro arto, scaraventandola sul suolo. Rachel gemette e
ritornò in forma umana.
Cercò di rialzarsi e vide Terra cadere sul pavimento,
piantando le mani su di
esso non appena lo toccò. Nel momento stesso in cui lo fece,
una lunga serie di
stalagmiti cominciarono a spuntare dal terreno dal punto in cui lei lo
aveva
toccato fino al corpo sdraiato di Corvina.
La conduit delle tenebre si scansò di
lato, un
istante prima che una di quelle stalagmiti le facesse fare la stessa
fine dello
stinco di Wilson.
Tara si rese conto di averla mancata,
gridò di
nuovo e ritrasse le mani, facendo svanire di conseguenza le stalagmiti.
Cominciò dunque a correre verso la corvina, trasformando
entrambe le braccia
nelle lame.
Fu il turno di Rachel quello di piantare a terra
le mani. Decine e decine di cappi di energia nera comparvero tra le
piastrelle
ed andarono ad avvolgersi attorno al corpo di Tara, nel disperato
tentativo di
arrestare la sua corsa furiosa, ma neppure loro sembrarono in grado di
riuscirci. Si dissolvevano come miraggi quando Tara usava le proprie
lame per
tranciarli a metà.
Rachel sgranò gli occhi, osservando
sempre più
impotente la conduit della terra avvicinarsi. Fece per rialzarsi, ma
una fitta
di dolore alla tempia la costrinse a rimanere immobile.
Sentì di nuovo un forte
senso di nausea assalirla.
Improvvisamente, i suoi poteri smisero di
obbedirle e tutte le sue energie furono prosciugate. Qualcosa di
anomalo accade
dentro di lei, impedendole di compiere qualsiasi movimento. La vista le
si
appannò, riuscì a stento a vedere una delle lame
di Terra avvicinarsi al suo
volto, prima di chiudere gli occhi.
Le sembrava assurdo morire in quel modo, per
mano di quella ragazza, di quella conduit creata in un laboratorio. Si
era
lasciata battere come un’incapace. Poteva essere forte quanto
voleva contro dei
comuni uomini, ma non appena si presentava una sfida al suo livello, o
superiore, allora ecco che saltavano fuori tutte le sue lacune.
In un certo senso forse si meritava quella fine,
per essere stata così negligente.
«Fermati Tara!»
Una voce esplose all’improvviso. Il tono
acuto, severo,
ma anche titubante. Rachel conosceva quella voce. Riaprì gli
occhi, per poi
ritrovarsi la lama della conduit della terra a due centimetri dal naso.
Deglutì
rumorosamente. Non mosse un solo muscolo, non respirò
nemmeno.
Tara osservò la corvina ancora per un
breve
momento, poi allontanò il braccio e si voltò
lentamente, verso la persona che
l’aveva chiamata.
Rachel strabuzzò le palpebre quando vide
Amalia
poco lontana da loro, disarmata, con un’espressione
angosciata stampata in
volto.
Avrebbe voluto dirle di scappare, di mettersi in
salvo, avvisarla che Tara ormai era fuori controllo, ma non
riuscì a fare
nessuna di queste cose. Era paralizzata di fronte alla vista della neo
conduit
mentre si avvicinava ad Amalia, la quale sembrava attenderla come se
stesse
aspettando il suo turno per salire sul patibolo. «Tara... ti
prego...»
La Markov ringhiò e sollevò
una delle lame,
facendo emettere un gemito spaventato alla mora. «Non farlo,
Tara, tu non sei
così... tu non sei un mostro scatenato...»
«Amalia...» gemette Rachel,
ritrovando il
coraggio di rialzarsi. «Sca-scappa...»
Komi scosse lentamente la testa, sempre senza
staccare gli occhi da Terra. «Non posso farlo. Non la posso
abbandonare.»
«A-Amalia...» Corvina
cercò di camminare, ma le
gambe si rifiutarono di collaborare con lei ed inciampò. Non
poté fare altro
che osservare impotente la morte che si avvicinava alla sorella di Ryan.
La ragazza bionda arrivò faccia a faccia
con
Komand’r, dopodiché fece un altro dei suoi versi
sconnessi e sollevò entrambe
le lame. Ma un secondo prima che potesse fare qualsiasi cosa, Amalia la
scioccò: si fiondò su di lei e
l’abbracciò. «Tara... ti prego...
ritorna in te.
Ti prego.»
Cominciò a singhiozzare. Terra rimase
immobile,
paralizzata, con entrambe le braccia ancora alzate. Nonostante non
riuscisse
più a ragionare lucidamente, capiva comunque che quella
situazione era al
limite dell’assurdo.
«Sono io, Tara, mi riconosci? Sono
Amalia...
sono la tua amica...» disse ancora la mora, per poi
ridacchiare sommessamente. «Sono
quella che ti scrocca le sigarette... ricordi? Lo so che sei
lì dentro, Tara,
lo so che c’è una parte di te che mi conosce e che
non mi farà del male. Per
favore, ascoltala. Ascoltala...»
Rachel cercò di rialzarsi di nuovo. Non
sapeva
se Amalia pensava davvero ciò che diceva, o se il suo era
solo un tentativo di
guadagnare tempo, sapeva solo che doveva fare qualcosa, prima che la
nuova
arrivata ci rimettesse la pelle. Per il momento la sua strategia stava
funzionando, Tara sembrava confusa, ma non ci avrebbe messo molto prima
di
riacquistare la sua furia omicida.
Doveva mettersi in piedi, doveva usare i poteri,
doveva...
«A... malia...»
Corvina sgranò gli occhi. Amalia
sorrise. La
voce che aveva appena parlato... quella voce bassa, roca, disumana...
era
uscita dalla gola di Tara. La Markov aveva riconosciuto la ragazza
mora. Rimase
immobile per un momento, con le labbra dischiuse e gli occhi gialli
posati su
Komand’r.
«Am... alia...»
ripeté, battendo le palpebre.
«Sì, Tara, sono...»
Terra cominciò ad urlare a squarciagola,
interrompendola. Cominciò a muoversi freneticamente,
agitò le lame e colpì la
mora con il piatto di una di esse, scaraventandola a terra.
Komand’r gridò e
cadde su un fianco, tenendosi una mano sull’addome colpito.
La bionda non si fermò.
Sferzò l’aria più e più
volte con le proprie braccia, cercando di colpire chissà
quali avversari
immaginari.
Ritrasse le lame e cominciò a premersi
le mani
sulle tempie, a tirarsi capelli e vestiti, a graffiarsi da sola,
finché non
cadde in ginocchio. Si piegò in avanti, stritolandosi il
capo con i palmi,
gridando sempre più forte.
Merda!
Rachel si mise carponi e cominciò a
strisciare a
fatica verso di lei. La neo conduit era impazzita, forse il riconoscere
Amalia
aveva in qualche modo spaccato in due la sua mente e ora il lato umano
di lei
cercava di prendere il sopravvento su quello conduit.
Proprio come accadeva a Rachel in passato,
anche se lei non era mai arrivata al punto di auto lesionarsi. Doveva
fermarla,
prima che si uccidesse da sola.
Ma non appena fece per raggiungerla, Amalia si
rialzò di scatto e la abbracciò una seconda
volta, bloccandole le braccia ed
impedendole di farsi altro male. «Torna in te, Tara! TORNA IN
TE!»
Terra gridò ancora più forte
e cominciò a
dimenarsi. Fece ricomparire le lame, con le quali graffiò le
braccia di
Komand’r, le sferrò perfino una testata. La mora
grugnì di dolore, un fiotto di
sangue le uscì dalle labbra, ma mantenne comunque salda la
presa. «Tu non sei
così, Tara, tu non sei così!»
La conduit della terra si zittì di colpo
ed
osservò la ragazza per un breve momento, dischiudendo le
labbra. Un verso provenne
di nuovo dalla sua gola, ma questo sembrava quasi quello di un animale
ferito.
Dopodiché, gettò il capo all’indietro e
sigillò le palpebre. Rimase immobile,
smise anche di agitarsi, mentre il suo intero corpo si illuminava della
medesima luce dei suoi occhi, avvolgendo anche Amalia.
Rachel chiuse le palpebre, accecata. Non appena
riuscì a riaprirli, li sgranò completamente.
Terra non c’era più.
Ora c’era Tara.
Non ho niente da dire. Tutti i vari retroscena saranno chiariti e approfonditi dal sottoscritto man mano che la storia avanzerà. Di cose, in effetti, da spiegare ce ne sono, ma ora è troppo presto, visto che queste cose ancora devono accadere.
Spero che la vostra attesa sia stata ripagata e che il capitolo sia
stato di vostro gradimento, alla prossima!
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Capitolo 20 *** Cheshire, storia di una gatta inglese ***
Capitolo
20: CHESHIRE, STORIA DI UNA GATTA INGLESE
Tara era immobile, stretta tra le braccia di
Amalia, teneva la fronte appoggiata sulla sua spalla. Dal sorriso di
sollievo
presente sul volto della mora, Rachel intuì che il peggio
doveva essere
finalmente passato. Corvina si lasciò scappare un sospiro di
sollievo molto più
forte di quanto avrebbe voluto, poi si rimise lentamente in ginocchio.
Ogni
movimento le costava una fatica immane.
Sentì dei gemiti provenire dalle due
ragazze
vicino a lei, e notò che Tara stava singhiozzando.
«Mi dispiace, Amalia...»
sussurrò la bionda, con
voce rotta. «Mi dispiace...»
Sentire di nuovo la sua voce naturale fece uno
strano effetto a Rachel. Ma, se non altro, significava che stava bene.
«Va tutto bene.» Amalia le
accarezzò i capelli,
anche lei con le lacrime agli occhi. Aveva le maniche strappate del
cappotto
intrise di sangue, e anche diversi lividi sul volto. «Non
è stata colpa tua.»
«Sono un mostro...»
sussurrò ancora Tara,
completamente demoralizzata.
«No, non lo sei.»
«Potevo ucciderti...»
«Ma non l’hai fatto.»
La bionda singhiozzò nuovamente,
strusciando la
fronte sulla spalla della mora. Amalia ridacchiò, dandole
qualche colpetto di
incoraggiamento alla schiena, poi si accorse di Rachel. Sorrise anche a
lei e
le rivolse un cenno del capo. La corvina ricambiò,
lasciandosi scappare un
altro sospiro. Si mise a sedere, mugugnando ancora per le fitte di
dolore che
stava ricevendo.
Solo in quel momento si accorse che gli spari
erano cessati nella hall dell’hotel. Un silenzio irreale si
era generato in
tutta quella struttura, interrotto solo dai continui singhiozzi della
bionda.
Chissà come doveva sentirsi in quest’ultima in
quel momento. Beh, Rachel non
doveva scervellarsi molto per intuirlo...
Anche se per Tara la faccenda doveva essere
anche peggiore. Lei non era una vera conduit, lei non era sopravvissuta
all’esplosione o altro. Probabilmente nemmeno sarebbe
sopravvissuta, ora che
Corvina ci pensava. Era una ragazza proprio come lo era stata lei in
passato,
era tranquilla e serena, per quanto lo si possa essere in quel mondo.
Ma poi
l’avevano rapita, legata ad un tavolo, spogliata e fatto
chissà che cosa.
L’avevano usata come cavia, come un’ animale,
ridotto il suo corpo ad un
mosaico di sangue e per finire l’avevano trasformata in una
conduit.
Avevano preso la sua vita, la sua
dignità e per
poco anche la sua stessa umanità.
No, non poteva sapere come doveva sentirsi
davvero. Poteva immaginarlo, basandosi anche su ciò che
aveva provato lei, ma
niente di più.
«Rachel...»
La corvina si voltò di scatto, per poi
ritrovarsi soffocata in un abbraccio che per poco non le ruppe tutte le
ossa.
«Mi dispiace di averti
aggredita...» mormorò
Tara, inginocchiata accanto a lei, posando la fronte anche sulla sua
spalla. «Perdonami...»
Rachel sgranò gli occhi e dischiuse le
labbra. «T-Tranquilla...»
rispose, le guance imporporate per l’imbarazzo.
«L’importante è che tu stia
bene.»
La bionda non parve udirla, perché
rimase
abbracciata a lei per non poco tempo. Ma alla fine sembrò
riuscire a
riacquistare un po’ di autocontrollo. Si separò
dalla corvina, annuendo
lentamente. «Sì... suppongo tu abbia
ragione...»
Rachel si mordicchiò l’interno
della guancia,
perplessa, poi sospirò nuovamente e posò una mano
sulla spalla della Markov. «In
questo momento non devi pensare a noi, ma a te stessa e
basta.» Le posò un
indice sull’addome. «Non lasciare che loro
prendano di nuovo il controllo su di te, hai capito? Non devi
permetterglielo, per il tuo bene e per il bene di tutti noi. Ok? So che
non è
facile, ma ho... ho comunque fiducia in te. Non avere paura, ce la
farai. Ne...
ne sono certa.»
Tara la soppesò con lo sguardo per un
breve
momento. Le sue iridi azzurre sembravano essere molto più
chiare e limpide dopo
aver ripreso il posto dei bulbi gialli di poco prima.
La ragazza bionda annuì lentamente una
seconda
volta, rivolgendole anche un tenue sorriso. «Va... va bene.
Grazie... Rachel...»
Si scambiarono un cenno di intesa. Per la prima
volta da quando la conosceva, Rachel si sentì davvero vicina
a Tara. Molto più
di quanto non fosse mai stata.
«Ragazze!» esclamò
una voce proveniente dalla
parete in frantumi dell’hotel. Le tre si voltarono e videro
Lucas e Jade
saltare, per poi dirigersi verso di loro. «Tutto
ok?» domandò il moro quando le
raggiunse.
«Oh sì, una meraviglia,
guarda!» replicò Amalia,
mostrandogli il braccio insanguinato, anche se il suo sorrisetto
tradì il tono
scocciato.
«Non ti sopporto
più...» mugugnò Rosso,
sospirando esasperato.
Tara ridacchiò sommessamente, poi si
rialzò ed
abbracciò anche lui. «Che bello
rivederti» disse.
Red X ricambiò la stretta, accennando un
sorriso
a sua volta. Sembrava parecchio sollevato di rivedere la bionda.
«Lo stesso
vale per me.»
I due si separarono, poi la neo conduit
notò
Jade. Inarcò un sopracciglio. «Ehm... tu
saresti?»
«Una che ha rischiato la pelle per
salvare la
tua» replicò la Visionaria, togliendosi la
maschera, per poi voltarsi verso di
Rachel. «Alzati Demone. Non è ancora finita. Jeff
ha trovato Wilson.»
***
Rachel non era riuscita a credere ai suoi occhi
quando, molto più vicino alla High Sub di quanto avrebbe
potuto pensare, si era
ritrovata di fronte gli sconfinati meandri dei bassifondi di Sub City,
la Low
Sub. Non c’era traccia d palazzi fatiscenti, belle macchine,
negozi,
ristoranti, discoteche, niente di niente. Solo un oceano di casupole e
condomini grigi e neri.
Un lampione su cinque funzionava, la luce era
molto scarsa, dovuta per gran parte alla luna. Il che sotto certi punti
di
vista era un bene, visto che il buio riusciva a nascondere lo squallore
di quel
luogo.
Corvina e il resto dei suoi compagni procedevano
in silenzio per quella strada malridotta. Jade procedeva in testa al
gruppo,
dietro di lei Lucas e Amalia, per finire la corvina e Tara. La conduit
era
rimasta davvero sorpresa quando la bionda aveva deciso di unirsi al
gruppo per
cercare Wilson, subito dopo essere rimasta quasi in stato di shock dopo
aver
scoperto che i suoi amici si erano rivolti ai Visionari per salvarla.
Ancora in quel momento, Rachel dubitava che
fosse stata una scelta giusta quella di lasciarla venire con loro, ma
era anche
vero che non potevano esonerare la Markov da quella missione.
Dopotutto, era
lei quella che più aveva un conto in sospeso con
Deathstroke.
E inoltre aveva promesso che non avrebbe usato i
poteri, qualunque cosa fosse accaduta, ben consapevole del fatto di non
essere
pronta né fisicamente né psicologicamente per
controllarli.
Se non altro, tuttavia, Rachel era riuscita a
recuperare un po’ di forze. Almeno quelle per camminare.
Più ripensava a quello
che era successo, più le venivano i brividi. In un primo
momento non aveva ben
capito perché si fosse sentita così debole tutto
ad un tratto, ma poi aveva
compreso: era stata colpa dei suoi poteri.
Quando si era curata anche se non aveva le forze
per farlo, aveva in qualche modo scatenato una loro reazione, che
l’avevano
dunque costretta a rimanere quasi immobile, senza energie.
Tutto ciò non faceva altro che
alimentare quegli
oscuri presagi che Rachel aveva sempre avuto su di loro. Per poco non
era
perfino stata uccisa da Tara, l’intervento di Amalia era
stato tempestivo.
Le era andata bene, per quella volta, ma avrebbe
dovuto fare più attenzione. Molta, molta di più.
Se le fosse successa la stessa
cosa, ma contro un altro avversario... sarebbero stati guai. Guai seri.
«Jeff ha detto di aver visto Wilson
nascondersi
qui da qualche parte» spiegò Jade
all’improvviso, mentre continuava a camminare.
Si guardò molteplici volte attorno, con aria schizzinosa.
«Che posto disgustoso...»
«L’unica cosa disgustosa, qui,
sono quei
capelli...» borbottò Amalia.
«Ti ho sentita.»
«E dov’è
Jeff?» domandò Lucas, osservando l’area
circostante a sua volta, ma con aria diffidente.
«Non lo so.» Jade si
fermò ed incrociò le
braccia, spostando lo sguardo su uno dei vicoletti accanto a loro.
«Può darsi
che abbia inseguito Wilson infilandosi in uno di questi vicoli, questo
luogo ne
è pieno. Temo che ci vorrà un po’ di
tempo per trovarli. Faremmo meglio a
dividerci.»
«Dividersi non è mai una buona
cosa in questi casi...»
mugugnò Komand’r.
«... e inoltre ormai Wilson
sarà lontano anni
luce» concluse Lucas.
«Ne dubito. Conciato com’era,
mi sorprende che
sia arrivato fino a qui. Per poco Tara non gli amputava una
gamba» osservò
Rachel, mentre le tornava in mente l’impressionante scena a
cui aveva assistito
nei meandri del Whiskey Hotel.
«Non l’ho fatto
apposta...» mormorò la bionda,
quasi imbarazzata.
«Ehi, non te ne sto mica facendo una
colpa»
sorrise la corvina.
«Va bene allora.» Jade si
voltò verso la
compagnia, concentrandosi su Rachel. «Se colui a cui stiamo
dando la caccia è
un vecchio zoppo, non vedo perché non dovremmo dividerci.
Facciamo due gruppi,
così sarà più sicuro. Demone, tu vieni
con me. Voi altri prendete un’altra
strada. Se incontrate uno tra Wilson o Jeff, avvertitemi
subito.»
«E come dovremmo fare?»
interrogò Amalia,
squadrandola malamente.
«Inventatevi qualcosa.» La
Visionaria cominciò
ad incamminarsi verso il vicolo che aveva visto poco prima.
«In bocca al lupo.»
«Crepi» sbottò
Komand’r. «Anzi, crepa.»
Jade la salutò con un cenno senza
nemmeno
voltarsi.
«Fate attenzione.» Rachel mise
in guardia i
propri amici, poi seguì la ragazza mascherata. Non era
proprio in vena di
rimanere da sola con lei, ma era chiaro che la Visionaria volesse
accertarsi
con i propri occhi che la conduit non si rimangiasse
all’ultimo la parola data.
Le due ragazze proseguirono lungo il vicolo,
rimanendo di nuovo avvolte nel silenzio. A Rachel parve di nuovo di
essere ad
Empire City, mentre si guardava attorno. Cominciò quasi a
temere che qualche
Mietitore potesse sbucare fuori all’improvviso.
Spostò lo sguardo su Jade. Ancora
faticava ad
inquadrarla bene. Non riusciva a capire perché lei fosse una
Visionaria, quali
fossero le motivazioni che la spingevano a fare ciò che
faceva. Ma,
soprattutto, non sapeva se poteva davvero fidarsi di lei. Il suo
sguardo cadde
poi sulla sua maschera. Doveva ammettere che era parecchio inquietante,
soprattutto in quella penombra.
«Posso chiederti una cosa,
Jade?» domandò,
rompendo il silenzio.
La Visionaria rispose con un mugugno di assenso.
«Cosa rappresenta la tua
maschera?»
Jade si voltò verso di lei per scoccarle
una
rapida occhiatina, forse per capire se la domanda fosse seria o meno,
poi
distolse nuovamente lo sguardo. «È inspirata al
Gatto del Cheshire.»
«Cosa?»
«Il Gatto del Cheshire.» La
ragazza la squadrò
nuovamente, inarcando un sopracciglio da sotto il foro per gli occhi.
«Mai
sentito prima? Non hai un po’ di dimestichezza con i
film?»
Rachel sgranò gli occhi.
«Aspetta... quel gatto?
Il gatto di Alice?»
«Ah, allora lo conosci.» Un
sorriso si dipinse
sul volto della Visionaria, ma Rachel riuscì a scorgerne
solamente il profilo
quando lei si voltò. «Di solito devo sempre
mettermi a spiegare nel dettaglio a
chi mi fa questa domanda. Tu e Jeff siete gli unici che hanno
capito.»
«Ma perché proprio
lui?»
Jade scrollò le spalle.
«Perché mi piace. È un
personaggio ambiguo, particolare. È misterioso, potente, sa
tutto, ma non
condivide la sua sapienza in maniera diretta. Non è buono,
ma non è neanche
cattivo. Lui agisce per sé stesso e basta, ed è
libero di fare ciò che più lo
aggrada. Non ha paura dei tiranni, ma non aiuta nemmeno i
più bisognosi. È così
che anche io voglio raffigurarmi. Per unirmi ai Visionari avevo bisogno
di
mostrare il mio valore, far capire che davvero credevo in questa causa,
e ho
deciso di farlo calandomi nei panni di Cheshire. Volevo impressionare
Jeff, e
posso dire di esserci riuscita a pieni voti.»
«Perché hai voluto fare tutto
questo?»
«Perché lo Stregatto
è libero, come anche io
voglio essere. Ma in questa città non potrò mai
essere libera, fino a quando
Wilson avrà vita. Io non sono fatta per vivere in una
gabbia, soprattutto ora
che il mondo è spaccato in due. Devo uscire da qui, devo...
vedere delle
persone.» Un piccolo sospiro uscì dalla sua bocca,
sembrava quasi nostalgico. «Mia
sorella è tra queste... non ci siamo salutate proprio nel
migliore dei modi.
Sono scappata di casa, abbandonandola, lasciandola sola con quello
stronzo di
nostro padre... devo andare in California, trovarla e accertarmi che
stia
almeno bene. Poi sarà libera di continuare ad
odiarmi.»
Si fermò di scatto e abbassò
lo sguardo,
completamente assorta nei propri pensieri. Sembrava quasi
un’altra persona.
«Lo sai, dicono che in California sia
nata una
specie di comunità che accoglie le persone che hanno perso
tutto a causa delle
esplosioni e dei conduit. I rifugiati che stanno scappando dalle
città vanno là
per trovare una casa e per poter ricominciare da capo.» Jade
sollevò la testa,
osservando il ciel attraverso i fori della maschera. «Dicono
che là nessuno ha
paura di ciò che può accadere. Il sole
è sempre alto, così come l’umore delle
persone. Non ci sono conduit malvagi, la gente non muore di fame e non
c’è
violenza. Là è come qui, ma senza
Underdog.»
Una
comunità..., pensò
Rachel, sopprimendo un sorriso amaro. Sicuro.
Aveva visto abbastanza film e letto abbastanza
libri catastrofici per sapere come davvero stavano le cose.
Era un classico: ad East dicevano che esisteva
una comunità ad Ovest, e viceversa. E alla fine di
comunità non ce n’era
nemmeno l’ombra, né dall’una,
né dall’altra parte.
Tuttavia, Jade sembrava volerci credere davvero,
perciò si astenne dal fare la guastafeste. «Tua
sorella è in California, quindi?»
domandò invece.
Jade annuì. «Studiava
laggiù. Non so di preciso dove
sia, ma immagino che avrò molte possibilità di
trovarla nella comunità. Sempre
se esiste davvero.»
«Se esiste davvero, allora
dovrò farci un salto
quando tutto sarà finito» commentò
Rachel, abbozzando un sorriso.
«È per questo che sono una
Visionaria. Devo
trovare Lian, e magari scoprire se la storia della comunità
è una bufala o no. Perché
come dice il nostro motto, noi abbiamo dei sogni, e combattiamo per
farli
avverare. E se oggi posso sinceramente sperare di riuscire ad andarmene
da qui,
è grazie a Jeff. Non sarà molto simpatico, ma
bisogna dargli credito quando
serve: se non ci fosse stato lui, questa città sarebbe stata
realmente spacciata.
Ed io probabilmente sarei morta nel tentativo di scappare da
sola.»
«Ti fidi di lui, quindi.»
«All’inizio pensavo
semplicemente di non avere
altra scelta.» La ragazza mascherata scrollò le
spalle. «Sai com’è... il nemico
del tuo nemico è tuo amico. Credevo che avrei usato lui e i
Visionari fino a
quando non mi sarebbero più serviti, a quel punto li avrei
piantati in asso e
avrei proseguito per la mia strada... ma dopo averlo conosciuto
meglio... sì,
mi fido di lui. Mi fido molto. Ho imparato molte cose rimanendogli
accanto. E
chissà, magari potrà anche darmi una mano a
cercare Lian. Possibilmente senza
quell’orribile trucco e i suoi ridicoli vestiti.»
Le due ragazze si guardarono per un breve
momento, poi entrambe cominciarono a ridacchiare sommessamente. A
Rachel non
dispiacque quel momento. Jade si era aperta con lei, non molto, ma era
comunque
meglio di niente. Se non altro, il clima di tensione tra loro si era
abbassato,
il che era già un buon segno.
«Stai commettendo un grosso errore,
fidandoti di
lui.»
Rachel sobbalzò, riconoscendo
immediatamente
quella voce. Entrambe si voltarono di scatto, con Jade che
sollevò il fucile.
Deathstroke era in piedi, alle loro spalle,
comparso dal nulla. In piedi. Su entrambe le gambe. Corvina
strabuzzò gli
occhi. I pantaloni erano strappati nel punto che era stato colpito da
Tara, ma
non c’era alcuna traccia di ferite o sangue. Era come se non
fosse mai stato
colpito davvero.
«Non frequentare troppo quel
ragazzo» disse
ancora l’uomo, stringendo la katana che aveva fra le mani.
«Non gli interessa
davvero di voi Visionari. Vi sta solo usando.»
«Lui
dov’è?!» domandò per tutta
risposta la
Visionaria, stringendo i denti.
«Non lo so. Probabilmente si è
nascosto
aspettando il momento opportuno per attaccare, come il codardo che
è.»
«Va’ al diavolo!»
gridò Jade, per poi premere il
grilletto. Ma non appena lo fece, Slade scattò in avanti e
sferrò un fendente
con la spada. Pochi istanti dopo, il fucile della Visionaria cadde a
terra,
tranciato in due.
Jade indietreggiò di istinto, sorpresa,
mentre
Corvina puntò le mani contro Wilson, illuminandole di nero.
«Non farlo, Rachel» disse lui,
calmo,
drizzandosi in piedi in maniera composta e abbassando la katana.
«Non devi
combattermi.»
«Ah no?!» Corvina
serrò la mascella e la luce
delle sue mani si fece più intensa. «Dammi un
valido motivo per non farlo!»
«Te l’ho già
spiegato il motivo. Io posso
salvare questo mondo.»
«Sì, me l’avevi
detto. E ricordi cosa ti avevo
risposto? Come pretendi di salvare il mondo uccidendo e rapendo le
persone che
non concordano con te?!» domandò Rachel,
accigliata come poche volte era stata.
Non aveva più timore di Wilson o altro. No. Verso di lui ora
provava solamente
un sincero odio. «Ma non ti bastava solo quello, vero?!
Dovevi anche
trasformare Tara in un mostro!»
«Io le ho salvato la vita»
rispose calmo Slade,
chiudendo il suo unico occhio.
Quella risposta spiazzò completamente
Rachel.
Per un momento quasi scoppio a ridere, peccato che lei meglio di lui
sapeva che
non la stava prendendo in giro, che in realtà lui credeva
davvero a quello che
diceva.
«Fammi capire, hai rapito una ragazza
innocente,
l’hai ammanettata ad un tavolo, l’hai spogliata e
l’hai ridotta in fin di vita
per poi trasformarla in un abominio fatto di pietra, immagino con lo
scopo di
poterla trasformare in una tua specie di soldatessa, e ora mi vieni a
dire che
in realtà le hai salvato la vita?!»
Rachel non riuscì più a
trattenersi. Una risata
nervosa uscì dalla sua gola, per un momento
abbassò la guardia e la luce delle
sue mani si affievolì, ma non ci mise molto a recuperare la
concentrazione.
Osservò l’uomo con quanta rabbia avesse in corpo.
«All’inizio non ne ero molto
convinta, ma ora non ho dubbi: sei tu quello che devo
combattere.»
«Non devi giudicare la realtà
dalle apparenze»
cercò ancora di farle cambiare idea Wilson, ma distendendo
comunque le gambe,
mettendosi in una posizione più comoda per utilizzare la
katana in caso di
attacco.
«Io giudico i fatti, non le apparenze. E
ciò che
è successo a Tara, è un fatto più che
sufficiente.»
«Dunque non hai intenzione di ritornare
sui tuoi
passi, vero?» Deathstroke piantò i piedi a terra,
aumentando la presa attorno
al manico della spada.
«No.» La luce nel palmo della
mano della corvina
aumentò ulteriormente di intensità.
«Questo è il capolinea, Wilson. Per te.»
Slade si sgranchì il collo. «E
sia. Fatevi
avanti.»
«Con piacere!» gridò
Jade avventandosi su di lui,
estraendo i sai.
Mentre la Visionaria attaccava, Rachel
sollevò
la mano, scagliando un potente raggio di luce in cielo, che esplose
come un
fuoco d’artificio. Una volta fatto ciò, si
concentrò nuovamente sullo scontro.
La Visionaria raggiunse l’uomo, menando
due
fendenti con le proprie armi, ma lui li deviò entrambi in
rapida successione
con la katana. Si susseguì una lunga sequenza di colpi da
parte della ragazza.
La Visionaria sfoggiò tutta la sua strabiliante
abilità di combattente,
cercando in qualsiasi modo di riuscire a ghermire la pelle del suo
avversario
con i propri sai.
Rachel le diede ben presto man forte,
consapevole del fatto che ben presto i suoi amici, dopo aver notato il
"fuoco d’artificio", l’avrebbero raggiunta.
Corse in semicerchio e scagliò una
moltitudine
di raggi neri contro il mercenario, sperando di poterlo cogliere di
sorpresa.
Il vicolo non era certo una vasta landa, era spazioso, certo, ma
comunque
piuttosto scomodo per quel genere di combattimenti, e Rachel
pensò che la cosa
potesse giocare a suo favore. Invece, Wilson riuscì ad
evitarli, tenendo allo
stesso tempo bada a Jade, la quale sembrava infuriarsi sempre di
più mano a
mano che i suoi attacchi andavano a vuoto.
I suoi sai sembravano davvero bramare la carne
dell’uomo, ma non incontravano altro che il taglio della sua
katana, o perfino
la semplice aria quando lui evitava l’ennesimo fendente.
Tuttavia, improvvisamente Slade cambiò
strategia. Smise di indietreggiare per schivare gli attacchi e con un
colpo
secco della katana disarmò Jade di uno dei suoi sai. La
ragazza, colta di
sorpresa, tentò un altro grossolano affondo, ma
l’uomo le bloccò il braccio con
la mano libera e le sferrò
una stoccata
al gomito con l’elsa della katana, facendole cadere anche
l’altra arma.
A quel punto la colpì con una potente
ginocchiata all’addome, piegandola in due e facendole
emettere un grido
soffocato. Dopodiché la afferrò per
l’orlo dell’happi e la scagliò contro
una
parete del vicolo. Jade stramazzò a terra, tossendo e
tenendosi a malapena
sollevata sui gomiti.
Rachel gridò e lo tempestò di
attacchi, conscia
del fatto che continuando di quel passo avrebbe esaurito presto le
energie.
Doveva studiare qualcosa, e alla svelta.
Wilson corse, evitando i raggi o respingendoli
con la katana. «Sei ancora in tempo per tornare indietro,
Rachel!»
«Scordatelo!»
Slade si avvicinò pericolosamente, con
la lama
della spada che chiamava a gran voce il corpo della conduit. Corvina si
trasformò in rapace, indietreggiando velocemente dal taglio
della lama, per poi
atterrare a debita distanza. Non appena ritornò in
sé stessa, sentì le proprie
gambe trasformarsi in burro. Gemette.
«Ti senti bene, Rachel? I tuoi poteri
hanno
qualcosa che non va?» domandò Deathstroke,
roteando la katana.
Rachel serrò la mascella, maledicendolo
in silenzio.
«E tu che ne sai?!»
«Lo so meglio di quanto tu possa
immaginare,
credimi.»
La conduit dischiuse le labbra, sorpresa da
quell’affermazione. Ma prima che potesse dire qualsiasi cosa,
Wilson partì
nuovamente all’attacco. Strinse i denti, e riprese a lottare
a sua volta.
Schivò fendenti, affondi, stoccate, si
trasformò
molte più volte di quanto avrebbe voluto per riuscire a
sottrarsi da morte
certa. Cercò di rispondere a sua volta al fuoco, ma tutto
pareva inutile: Slade
sembrava instancabile, e neutralizzava praticamente ogni mossa e
contromossa da
parte della corvina. E tutto con solamente una katana.
Più passavano i secondi, più
Corvina si sentiva
lenta, impacciata, più le costava fatica trasformarsi o
lanciare i più basilari
attacchi. Ormai andava avanti solamente per inerzia, e Wilson non
sembrava
nemmeno dare il massimo di sé. Per lui, quello scontro,
pareva quasi un
semplice riscaldamento.
All’arrivo dell’ennesima
sferzata la conduit
creò uno scudo energetico per difendersi, ma era troppo
debole per poter
davvero respingere quell’attacco. Slade la colpì
con molta più forza di quanto
avrebbe mai potuto immaginare e l’impatto fu devastante per
lei. Lo scudo andò
in frantumi, per l’enorme sgomento di Rachel, che per la
prima volta in
assoluto vedeva i suoi poteri neutralizzati in quel modo.
L’impatto fu tale che
la ragazza cadde a terra, stordita e dolorante.
Tossì e cercò immediatamente
di rialzarsi, ma
Wilson le sferrò un calcio su un fianco. Corvina
gridò di dolore e rotolò sul
suolo, premendosi una mano sul punto colpito dall’uomo.
«Sei una sciocca, Rachel» la
rimproverò
Deathstroke, con tono e sguardo severo. «Non solo hai deciso
di metterti sulla
mia strada, ma lo hai anche fatto mentre i tuoi poteri si rifiutavano
di
collaborare con te. Ti credevo più intelligente. Ma,
d’altronde, chiunque
collabori con quel "Visionario" non brilla certo di arguzia.»
Si voltò di scattò,
sollevando la katana e
deviando uno dei sai di Jade un secondo prima che questo si conficcasse
nella
sua schiena. «Dico bene, Cheshire?» chiese, mentre
osservava per nulla
preoccupato la proprietaria di quello spadino nuovamente in piedi.
Jade strinse i pugni, una crepa gli attraversava
la maschera dalla fronte al mento. «Bastardo...»
«Lo sai, mi duole davvero molto
più di quanto tu
possa immaginare il dover combattere con te, visto l’enorme
rispetto che
nutrivo nei confronti di tuo padre.»
«Mio padre era un bastardo!»
gridò la
Visionaria, lanciandosi all’attacco armata del suo secondo
sai. «E tu lo sei
tanto quanto lui!»
I due combattenti incrociarono nuovamente le
lame, ma ora sembrava esserci una furia ben più grande ad
alimentare l’animo di
Cheshire. «Non mi impedirai di andarmene da questa
città!»
«Credi davvero che la situazione sia
diversa, là
fuori?» domandò Wilson, mentre si dava da fare per
difendersi da tutti gli
interminabili attacchi della Visionaria.
Conficcò la katana in mezzo ai denti del
sai,
per poi strapparlo dalle mani dalla ragazza con un forte strattone. Lo
spadino
cadde a terra con un tintinnio metallico, a pochi metri di distanza da
loro. Wilson
sollevò la lama della spada in direzione della gola
dell’avversaria. «Credi
davvero che, una volta fuori da Sub City, la tua vita non
sarà più in pericolo?
Io vi sto offrendo una possibilità di sopravvivere, qui, in
questa città. Non
esistono comunità davvero in grado di contrastare
l’enorme minaccia che si è
abbattuta sul nostro paese, l’unico che ha davvero la
soluzione in mano sono
io!»
«Sta zitto!» ululò
la ragazza, sferrando un
calcio al piatto della lama della katana, disarmando l’uomo.
Rotolò a terra e
la afferrò per l’impugnatura, per poi rialzarsi,
puntandogliela a sua volta. «Tu
sei solo un dittatore! Ed io non obbedisco ai dittatori!»
Attaccò l’uomo, che fu
costretto ad estrarre la
sua seconda katana, e ripresero il loro furioso combattimento.
Jade era sorprendente, si muoveva con una
velocità inaudita e maneggiava quella katana come se fosse
sempre stata la sua
arma prediletta. Ma per quanto abile potesse essere, non sembrava
davvero in
grado di reggere il confronto con Wilson.
Rachel gemette e si mise in ginocchio, per poi
tentare di usare nuovamente i suoi poteri. Puntò le mani
contro l’uomo e queste
si illuminarono di nero, per poi spegnersi praticamente subito dopo. La
corvina
se ne accorse e sgranò gli occhi.
«No» gemette. «Non
adesso!»
Cercò di nuovo di adoperare
l’energia nera, ma
questa apparve per poi svanire rapida com’era giunta.
Tentò e ritentò più e più
volte, le sue mani, le sue braccia, il suo intero corpo si illuminavano
di nero
e poi ritornavano immediatamente normali.
Non funzionavano. I suoi poteri non
funzionavano. E Jade sembrava sempre più alle strette.
«Perché hai sprecato il tuo
talento servendo un
gruppo deplorevole come quello dei Visionari, quando avresti potuto
diventare
un’eccellente soldatessa?» domandava Wilson, mentre
conduceva la ragazza con le
spalle al muro a furia di stoccate.
«Perché così
facendo avrei seguito le orme di
mio padre» ribatté lei, per poi rotolare a terra
per schivare un affondo e
sottrarsi dalla scomoda situazione in cui si trovava. «Ed io
odiavo mio padre!»
gridò rialzandosi, stringendo qualcosa nella mano non
occupata dal manico della
katana, qualcosa che Rachel riuscì a distinguere solamente
quando la Visionaria
lo scagliò contro Wilson: uno dei suoi sai.
Questa volta Slade parve notarlo con un secondo
di ritardo. Riuscì a deviarlo per il rotto della cuffia,
mugugnando di
sorpresa, ma così facendo cadde proprio nella trappola di
Jade. Cheshire si
fiondò su di lui, puntando la katana verso il suo addome.
Deathstroke sgranò il suo unico occhio.
Questo
fu l’unico gesto che riuscì a compiere, quando la
sua stessa katana lo trafisse
da parte a parte, diventando rossa scarlatta per via del sangue.
Rachel osservò la scena incredula,
incapace di
parlare o anche solo pensare. Jade c’era riuscita. Non le
sembrava vero, non
poteva essere vero.
«Crepa, cane» sibilò
Jade, rigirando la lama
nello stomaco dell’uomo, facendolo gemere di dolore e
barcollare all’indietro. Rachel,
scorgendo il suo profilo, la vide sorridere in segno di trionfo.
Poi accadde. Wilson si rianimò dal nulla
e mosse
di scatto il braccio armato. La katana scintillò come un
fulmine. Rachel
assistette alla scena a rallentatore, il suo stupore che si trasformava
lentamente e nuovamente in orrore.
La Visionaria sgranò entrambi gli occhi,
dopodiché abbassò lentamente lo sguardo, per poi
vedere il proprio ventre
ridotto nelle stesse condizioni di quello dell’uomo. La lama lo
attraversava da parte a parte, fino all’elsa. Deathstroke la
ritrasse poi di
scatto e la ragazza mollò la presa dalla sua spada.
Barcollò all’indietro, tenendosi
una mano sul ventre straripante di sangue, poi inciampò.
Cadde a terra, mentre Wilson rimase in piedi,
con ancora la katana ancora conficcata nello stomaco. Il mercenario
mugugnò
infastidito, sgranchendosi il collo, poi afferrò la spada
per l’impugnatura e la
estrasse senza battere ciglio. Enormi fiotti di sangue uscirono
dall’orribile
ferita che aveva sull’addome, facendosi largo tra la divisa
militare
squarciata, ma lui li ignorò bellamente.
«Guarda come si sono ridotte le mie
spade»
sospirò, osservando entrambe le lame intrise della sostanza
vermiglia.
Corvina rimase a bocca aperta, sempre
più
inorridita mano a mano che i secondi passavano. Per un secondo, per un
solo
secondo credeva che tutto fosse finito. Si era sbagliata. Era appena
cominciato.
Il suo sguardo cadde poi sul corpo esanime di
Jade. Non appena lo fece, qualcosa dentro di lei scattò.
«NO!»
Si rimise in piedi, ignorando il dolore e la
stanchezza, e raggiunse la Visionaria, ignorando anche lo stesso
Wilson. Si
chinò accanto a lei e le sfilò la maschera, per
poi prenderle il volto tra le
mani.
Cheshire aveva un’espressione stralunata
e
apriva e chiudeva la bocca emettendo dei gemiti privi di qualsiasi
significato.
«Jade! Guardami, Jade!
Guardami!»
Le parole della corvina parvero raggiungerla,
perché la mora spostò debolmente le iridi nere su
di lei. «L-Lian...» sussurrò,
a fatica. I suoi occhi si fecero lucidi all’improvviso,
diverse lacrime
cominciarono a scivolarle lungo le guancie. «No...
no...»
«Non dire così, tu la
rivedrai! Ok? Rivedrai tua
sorella!» Rachel posò una mano sul ventre della
Visionaria, macchiandosi di
sangue. «Resta con me!»
Cercò di attingere ai suoi poteri per
poterla
curare, ma l’unica cosa che ottenne fu un’enorme
fitta di dolore alla testa.
Corvina gemette, ma strinse comunque i denti.
Devo
farcela, devo farcela, devo...
«S-Spalle...»
mormorò Jade all’improvviso.
«Che cosa?»
«A-Attenta... spalle...»
Rachel sgranò gli occhi e si
voltò, ma fu troppo
tardi. Ricevette un potentissimo calcio in pieno volto e fu
scaraventata a
metri di distanza dalla Visionaria. La conduit gridò e
ruzzolò sul suolo. Tentò
di sollevarsi sugli avambracci, quasi piangendo per il dolore, poi si
voltò e
vide Wilson avvicinarsi lentamente a lei, con entrambe le katana in
mano. Non
c’era più alcuna traccia di sangue sul suo addome.
Merda...
Per la terza volta, Deathstroke si
sgranchì il
collo. «Temo di aver omesso di dire qualcosa di cruciale
importanza. Anch’io
sono un conduit. E sono immortale.»
Lo
so, nelle risposte a diverse recensioni avevo detto che forse questo
capitolo
sarebbe uscito un pelino prima, ma ciò non è
successo. Sì, sono un bastardo.
Passiamo oltre.
Due
chiacchiere su Jade aka Cheshire, poi sgommo.
Cheshire,
nella serie dei Teen Titans, non è mai stato un personaggio
molto interessante,
per me, al di fuori della sua maschera, che è
l’unica cosa che mi sia mai
piaciuta di lei.
Ma
poi l’ho vista in Young Justice. E sì, beh, la mia
testa è esplosa. Sono
bastate due scene di azione, qualche dialogo qua e là, ed
è subito schizzata al
primo posto dei miei personaggi preferiti, di Young Justice, sia chiaro.
E
quindi niente, ho voluto aggiungerla in questa storia
perché, alla fin fine,
Teen Titans e Young Justice si assomigliano molto, sono quasi
intercambiabili.
Molti
villain di Young Justice ce li vedrei perfettamente in una puntata di
Teen
Titans, la stessa cosa vale per i buoni, e viceversa.
L’unica
cosa che un po’ mi dispiace è quella di non essere
riuscito a caratterizzare
tanto bene Jade, in questa fic. Era un personaggio da cui avrei potuto
tirare
fuori molto di più, ma l’ho aggiunta proprio in
corsa alla storia, proprio
mentre scrivevo il capitolo in cui lei appare la prima volta, senza
avere nulla
di pianificato per lei nel futuro.
La
sua è stata solo una piccola apparizione, in cui ho voluto
riproporre ciò che
più mi è piaciuto di lei, ossia la sua tenacia,
la sua abilità nel
combattimento, la sua presenza scenica e il suo rapporto con la sorella
Lian.
Un rapporto quasi paragonabile a quello tra Amalia e Stella, ma, a
differenza
di Komi, Jade in più di un’occasione dimostra di
tenere davvero alla minore.
Non
mi pronuncio nemmeno molto sul padre solamente accennato da lei e da
Wilson, vi
basti sapere che anche lui è un mercenario, per certi versi
molto simile a
Deathstroke. A Deathstroke, non a Slade dei TT. Occhio a non
confondervi.
Tecnicamente,
Lian non è proprio il nome della sorella, ma solo un secondo
nome. Ho deciso di
evitare di mettere quello vero per evitare possibili spoiler di Young
Justice,
per tutti quei condannati alla pena capitale che ancora non
l’hanno visto. Vi
tengo d’occhio.
Ok,
ho finito. Ci vediamo al prossimo capitolo, dove di cose da dire ne
avrò tante
altre... ehehe.
Alla
prossima!
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Capitolo 21 *** I segreti dei conduit ***
Capitolo
21: I SEGRETI DEI CONDUIT
Raramente Rachel si era sentita così
impotente
di fronte a qualcuno. Con così poche parole, Wilson
l’aveva lasciata
completamente atterrita.
«I-Immortale?»
domandò a fatica, sentendosi la
gola completamente inaridita.
L’uomo annuì. «Dal
giorno in cui una delle
esplosioni colpì me e la mia squadra, non esiste ferita che
il mio corpo non
possa rimarginare. E questa ne è la prova» disse,
indicandosi l’addome ormai
intatto e pulito.
Corvina sgranò lentamente gli occhi,
mentre la
verità appariva sempre più nitida di fronte a
lei. Wilson possedeva un fattore
di guarigione. Questo avrebbe anche spiegato perché la sua
gamba fosse
completamente intatta al momento del loro incontro, nonostante Tara non
l’avesse quasi amputata.
Improvvisamente, le possibilità di
vittoria per
lei si ridussero drasticamente. Non solo Wilson era forte, non solo era
abile
con la spada, non solo era resistente, ma era anche praticamente
immortale.
Potevano ferirlo, sparargli, colpirlo con qualsiasi arma possedessero;
lui si
sarebbe sempre e comunque rialzato.
«Avete commesso
un grosso errore a mettervi sulla mia strada.»
Deathstroke sollevò una
katana, puntandola verso Rachel. «Ora anche tu ne pagherai le
conseguenze.»
La conduit gemette e tentò di rialzarsi,
ma
un’altra fitta di dolore alla tempia la costrinse a rimanere
a terra. Ormai non
riusciva più nemmeno a capire se era stato il calcio di
Slade o se erano
proprio i suoi poteri a farla star male in quel modo. Più ci
provava e più lo
trovava difficile. Non avrebbe retto ancora per molto.
Wilson fu più vicino, la lama della
katana
brillò in mezzo alle chiazze di sangue scarlatte.
Sollevò l’arma, pronto ad
abbatterla su di lei. Le rivolse un ultimo sguardo. «Addio
Rachel.»
La lama si abbassò, Rachel chiuse gli
occhi. Un
esplosione riecheggiò all’improvviso, seguita da
un verso di dolore.
Qualcuno gridò.
La corvina riaprì gli occhi con sua
enorme
sorpresa, e vide Wilson indietreggiare, allontanandosi da lei, per
accasciarsi
a terra. Alle sue spalle vide Lucas e Amalia, quest’ultima
con ancora il fucile
sollevato. «Tutto ok, Rachel?» domandò,
mentre entrambi si avvicinavano.
«S-Sì...»
biascicò Corvina, per poi sentire le
nocche di Deathstroke scrocchiare mentre stringeva con forza le spade.
Sgranò
gli occhi. «Fermi, non avvicinatev...»
Slade si rialzò di scatto, fiondandosi
sui nuovi
arrivati. Komand’r gridò di sorpresa e fece di
nuovo fuoco, ma la sua arma fu
completamente inefficacie sull’uomo. Lo colpì,
brandelli di vestiti e schizzi di
sangue provennero dal mercenario, ma lui non si fermò
ugualmente.
Mulinò una katana, tentò di
affettare la mora,
ma lei riuscì a scansarsi in tempo. La spada
tagliò in due il suo fucile e la
ragazza cadde a terra, gemendo. L’uomo sollevò le
lame, ma Lucas si frappose,
parando con il
bastone l’affondo che
avrebbe sicuramente ucciso la mora. «Sei bello tosto,
eh?» mugugnò, per la
fatica dovuta al tenere bloccate le armi dell’uomo con la sua.
Deathstroke emise un verso simile ad un ringhio
rabbioso, poi gli sferrò una ginocchiata, ma il ragazzo la
evitò saltando
all’indietro.
I
due si
osservarono a vicenda e cominciarono lentamente a camminare in
semicerchio, per
studiarsi.
«Come avrete notato, le vostre armi sono
inefficaci su di me. Ritiratevi adesso e avrete salva la
vita.»
«Ah, sta zitto!»
sbottò Lucas, partendo alla
carica.
Affondi, schivate, parate si susseguirono gli
uni dopo gli altri, in rapida sequenza. Nonostante l’enorme
abisso che separava
i loro stili di combattimento e le loro armi, Lucas vendette cara la
pelle. Non
era uno spadaccino provetto, ma non era nemmeno l’ultimo dei
fessi.
Mentre il loro scontro proseguiva e Amalia si
rimetteva faticosamente in piedi, qualcuno arrivo alle spalle di
Corvina. «Stai
bene Rachel? Sei ferita?»
La conduit si voltò di scatto,
trasalendo, poi
si tranquillizzò nel vedere Tara chinarsi accanto a lei.
«No, no...» mugugnò
a quel punto, massaggiandosi
la tempia. Fece una smorfia. «Però non riesco ad
usare i poteri...»
«Questo... sì che è
un bel problema...» osservò la
bionda, dischiudendo le labbra.
Un verso di dolore le fece voltare entrambe.
Slade era appena riuscito a colpire Lucas con un calcio
all’addome,
costringendolo a piegarsi. Abbatté una katana su di lui, il
ragazzo sollevò il
bastone per difendersi, ma la lama della spada lo tranciò di
netto a metà e gli
raggiunse il volto.
Lucas fu sbalzato all’indietro e cadde a
terra,
con tra le mani due monconi inutilizzabili e un orrenda ferita sulla
fronte,
che per poco non gli aveva strappato via perfino uno degli occhi.
Tossì,
cercando di rialzarsi, ma si
ritrovò ben
presto lo stivale di Wilson sul collo. Il mercenario lo
colpì con forza,
facendolo urlare, poi premette la suola sulla pelle.
«Sei in gamba ragazzo, ma non
abbastanza.»
Schiacciò con più forza, affondando nella carne.
Rosso cercò di gridare, ma
uscì solo un verso
soffocato. Si dimenò, colpì con le mani il piede
dell’uomo, ma le forze lo
stavano abbandonando con rapidità, non sarebbe mai riuscito
a liberarsi.
Rachel temette il peggio. Inorridì, ma
Amalia arrivò
alle spalle dell’uomo e si avventò su di lui
brandendo un coltello, impedendogli
di soffocarlo.
Il mercenario si voltò sorpreso, per poi
ritrovarsi l’arma conficcata sotto al mento.
Grugnì di dolore, poi allontanò la
ragazza con un colpo dell’elsa di una katana, come se la
ferita che lei gli
aveva appena procurato non fosse stata altro che la puntura di una
zanzara. «Mi
state davvero stancando.»
Komand’r cadde a terra una seconda volta,
procurandosi un taglio sulla guancia, ma si rimise subito in piedi,
estraendo
una pistola dalla tasca. «Crepa!»
Fece fuoco, i proiettili si abbatterono
sull’addome dell’uomo uno dietro l’altro,
con estrema precisione. Deathstroke
mugugnò e barcollò dopo ogni colpo. Amalia
svuotò l’intero caricatore, ma Wilson
continuò comunque a reggersi in piedi. Nonostante avesse la
regione toracica
grondante di sangue e un coltello conficcato fino al manico nel suo
collo, era
ancora in piedi. Scrollò la testa, stordito, poi
piazzò il suo unico occhio su
quelli della mora.
«Allora forse non ti è chiara
una cosa...»
cominciò a rantolare, rinfoderando una katana per poi
estrarre il coltello con
un gesto secco della mano. Un fiotto di sangue vermiglio si
riversò fuori dalla
ferita sul collo, ma si arrestò quasi immediatamente.
L’uomo si rigirò l’arma
tra le mani, per poi impugnarla dalla parte della lama con due sole
dita. «...
non esiste arma in grado di uccidermi!» gridò, per
poi scagliare il coltello
contro la ragazza.
Amalia sgranò gli occhi.
Cercò di schivare il
pugnale, ma questo si conficcò nella sua coscia, facendola
gridare di dolore.
La pistola le scivolò di mano e la ragazza crollò
in ginocchio, tenendosi la
gamba martoriata.
Wilson si incamminò a quel punto verso
di lei,
roteando la katana. «Non avreste dovuto
impicciarvi.»
«Vaffanculo...» gemette
Komand’r. «Tu, quella baldracca
di tua figlia e quei bastardi dei tuoi uomini...»
Deathstroke torreggiò su di lei, la lama
della
katana scintillò sotto la fioca luce della luna.
«Gli insulti non ti salveranno
la vita.»
Per tutta risposta, Amalia mostrò il
medio.
«Amalia...» mormorò
Tara, per poi alzarsi in
piedi, stringendo i pugni. «Ora basta, Wilson!»
Il mercenario si voltò verso di lei, per
poi
sgranare l’occhio. Sembrava non essersi accorto di lei fino a
quel momento.
«Tara, no...»
sussurrò Rachel. Volle alzarsi per
aiutarla, ma fu colpita da un’altra fitta di dolore alla
tempia, che la
costrinse a rimanere a terra.
«Sta tranquilla, Rachel»
rispose la bionda, con
sicurezza. «Lui non mi farà del male.»
«Terra...» disse
l’uomo, dopo un attimo di
silenzio. «... vedo... che ti sei calmata.»
«Di certo non grazie a te»
ribatté lei,
incrociando le braccia. «Lascia stare i miei amici.»
«Sono loro che per primi hanno tentato di
mettermi i bastoni tra le ruote. Io mi sto solamente
difendendo.»
«Tu
mi
hai rapita! Sei tu che hai cominciato!» esclamò
Tara, per poi osservarsi la
mano. Deglutì, poi questa cominciò a tramutarsi
lentamente in pietra. Una
lacrima le rigò la guancia. «Mi... mi hai
trasformata in un mostro...»
Slade sospirò, chiudendo
l’occhio, poi scosse
lentamente la testa. «Tu non capisci... ora potrà
sembrarti che la tua vita sia
rovinata, ma credimi, non è così. Tra qualche
tempo mi sarai grata di ciò che
ho fatto.»
«Esserti grata?!»
domandò la ragazza,
osservandolo come se provenisse da un altro pianeta. «Come
potrò mai esserti
grata per questo?! Tu mi hai ammanettata ad un tavolo, mi hai
spogliata, mi
hai... mi hai... torturata...» Si interruppe di colpo,
abbracciandosi le
spalle. Gemette, poi scosse la testa con energia, mentre altre lacrime
scendevano dai suoi occhi. «Non potrò mai esserti
grata per ciò che hai
fatto...»
«Ti sbagli. Io non ti ho fatto alcun
male.»
Wilson rinfoderò la katana, per poi avvicinarsi a lei. Le
labbra di Tara
tremolarono, ma non si mosse mentre l’uomo si faceva sempre
più vicino. «Non
sono stato io a procurarti tutte quelle ferite. È stato il
gene Conduit.»
«Il...
cosa?» domandò la bionda, dischiudendo le labbra.
Anche Corvina sgranò gli
occhi.
«Il gene Conduit. Una frazione di DNA che
non tutti
possiedono, e che consente a chi ce l’ha di trasformarsi in
conduit, come la
tua amica Rachel, o me.»
«Quindi...» biasciò
Tara, incredula. «Essere
conduit... è una questione genetica?»
«Sì. Ma il gene non
può essere trasferito con
facilità sulle persone che non lo possiedono, come te. Chi
nasce senza di esso,
muore senza di esso. Non si acquista con la crescita, non
può trasmettersi
tramite sangue, saliva o sperma, c’è bisogno di un
trapianto. Ma per fare un
trapianto, occorre un campione del gene, e per ottenerlo da un conduit
occorrono una lunga sequenza di complicati passaggi, che vanno ad agire
direttamente sul DNA della persona. Nel corso di questi mesi sono
riuscito a
raccogliere molti campioni, e in contemporanea ho cercato di
impiantarli in
persone comuni.
«Ma nessuno è mai
sopravvissuto al trasferimento.
Il gene è troppo potente. Il sistema immunitario lo
riconosce come nemico, e
cerca di aggredirlo, portando l’organismo ad autodistruggersi
e a deformarsi a
livello cellulare. La stessa cosa è successa anche a te,
Terra. Le ferite e le
abrasioni sul tuo corpo erano dovute proprio alla battaglia che stava
avvenendo
dentro di te. Non sono stato io a causarle, almeno, non direttamente.
Per tutto
il tempo io ti sono rimasto accanto, somministrandoti antibiotici,
immunosoppressori, anestetizzandoti perfino, pur di non farti provare
alcun
dolore. Non ti ho torturata.
«Ho cercato in tutti i modi di impedire
che
anche il tuo corpo implodesse. Non potevo permettere che anche tu
morissi come
gli altri pazienti. Ma tutti i miei sforzi sono stati vani. Ero ormai
convinto
che neanche tu ce l’avresti fatta, quando poi la tua amica
è arrivata e ti ha
curata. Lei, con le sue stesse mani, è riuscita ad ovviare
il problema che più
mi affliggeva, ossia la riabilitazione del paziente. E i
risultati...»
Wilson prese la mano di Tara, che ancora era
trasformata, e la costrinse a sollevarla. La osservò,
completamente ammaliato. «...
sono stati sorprendenti. Tu, Terra, sei stata la prima conduit creata
in un
laboratorio. E dopo di te, ne arriveranno molti altri. Certo, mi
serviranno dei
poteri di guarigione come quelli di Rachel, ma troverò una
soluzione. Vedrai,
bambina.» L’uomo lasciò la presa dalla
mano della ragazza, poi posarle una mano
sulla spalla. «Una nuova era sta per avere inizio. E tu sarai
il simbolo di
essa.»
La ragazza bionda tacque per quelle che parvero
eternità. Osservò Deathstroke a lungo, con aria
indecifrabile.
«Quindi... tu non volevi farmi del
male...»
mormorò.
«No, non volevo.»
«Ma mi hai trasformata in una
conduit.»
«Sì.»
Tara strinse i pugni. «Perché
lo hai fatto,
allora?»
Un altro sospiro provenne dalla maschera
dell’uomo. «Se te lo spiegassi adesso,
probabilmente non mi crederesti. Nessuno
potrebbe credermi, io stesso all’inizio ho faticato parecchio
per farlo. Sappi
solo che essere conduit è l’unico modo per
sopravvivere a ciò che deve ancora
arrivare. Anzi, a ciò che è già
arrivato. Rimani qui, con me, Terra. Sii la mia
discepola. Ti prometto che avrai ogni risposta che desideri, se sarai
paziente.»
«Non abbandonerò i miei amici
per restare con
te. Te lo puoi scordare.»
«Non essere sciocca. I tuoi amici sono
tutti
destinati a morire. Io ti sto offrendo la
possibilità...» Wilson ritrasse la
mano dalla sua spalla e gliela porse. «... di sopravvivere.
Te ne prego,
accetta la mia proposta. Non te ne pentirai.»
La neo conduit osservò quella mano, poi
Wilson,
e poi anche Rachel. La corvina era rimasta in disparte, in silenzio, ad
osservare e ad ascoltare incredula lo scambio di battute tra
l’uomo e la bionda.
Incrociò lo sguardo di Tara, le due ragazze rimasero in
silenzio, ad
osservarsi.
«Tara...» mormorò,
incapace di fare altro.
La Markov si mordicchiò un labbro, poi
si voltò
nuovamente verso l’uomo. «Grazie» disse
infine, per poi fare un passo indietro,
allontanandosi da quella mano ancora tesa verso di lei. «Ma
no grazie»
concluse, con freddezza.
Deathstroke si incupì
all’improvviso. «Terra,
ascolta...»
«No, ascolta tu!»
sbottò la ragazza, sbattendo
un piede sul suolo. «Per prima cosa, io mi chiamo Tara, non
Terra! E poi dovrei
proprio avere la sindrome di Stoccolma per decidere di rimanere con uno
psicopatico che mi ha rapita, legata ad un tavolo e trasformata in un
abominio!
Non ho la più pallida idea di cosa tu abbia in mente, ma
lascia che ti dica una
cosa: io non ho alcuna intenzione di aiutarti. Tu sei un tiranno che
gioca a
fare Dio con le persone innocenti, non ti meriti nulla, né
da me, né da
nessun’altro! Io non sono un oggetto, non sono il tuo oggetto!»
Tara allargò le braccia e
sollevò il capo,
chiudendo gli occhi. «E ora prego, uccidimi pure. Preferisco
morire piuttosto
di trascorrere un solo altro giorno con questi dannati
poteri.»
Slade abbassò lentamente la mano,
continuando ad
osservarla. «Non voglio ucciderti.»
«Ti conviene farlo, invece. Prima che io
perda
di nuovo il controllo e lo faccia a te.»
«Mi metti in una posizione
difficile.»
«Era quello il mio intento.»
L’uomo osservò la ragazza, lei
fece lo stesso.
Rimasero entrambi immobili, non mossero un muscolo. Rachel non aveva
mai visto
Tara così seria e determinata. Osservava
quell’individuo grosso il doppio di
lei senza alcun accenno di timore.
Infine, Wilson estrasse una katana. «Un
vero
peccato che debba finire in questo modo. Ma se non vuoi collaborare, io
non
posso costringerti.»
Rachel sgranò gli occhi. Non
riuscì a credere
alle proprie orecchie. Wilson... era davvero disposto ad ucciderla.
Uccidere
colei per la quale aveva scatenato tutto quel polverone.
«Vedo che hai deciso, dunque. Va avanti
allora.»
Deathstroke avvicinò la mano al volto di
Tara,
per poi scostarle una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
«Non ti
dimenticherò, bambina.»
Sollevò la katana. Tara chinò
il capo e chiuse
gli occhi. «Garfield...» sussurrò.
«... sto arrivando.»
«Addio.»
La lama scese.
«NO!» gridò Rachel,
alzandosi in piedi, animata
all’improvviso da un’enorme quantità di
energia. Scattò verso di loro, Tara
sgranò gli occhi quando si accorse di lei. La corvina si
frappose tra loro,
spingendo Tara a terra e afferrando il polso dell’uomo con
entrambe le mani. «ORA
BASTA!»
Un enorme afflusso di potere percorse il corpo
di Rachel. L’energia nera sembrò rianimarsi tutto
ad un tratto, e cominciò ad
illuminarla.
Wilson sgranò il suo unico occhio.
«Ma cosa...»
«Rachel, ferma!»
esclamò Tara, rialzandosi. Ma
ormai era tardi.
La conduit urlò a pieni polmoni e
liberò tutta
quell’energia che stava crescendo a dismisura dentro di lei.
Percorse le sue
braccia, entrò nelle sue mani e passò dai suoi
palmi al polso di Deathstroke.
Gridò ancora più forte, i suoi occhi divennero
bianchi, per un attimo non vide
più nulla.
Sentì le urla di Slade sovrastare le
sue,
percepì entrambi i loro corpi mentre cominciavano a fremere
e ad essere colpiti
da dei forti scossoni. Rachel avvertì le ultime riserve
della sua energia
esaurirsi, poi vi fu un’esplosione.
Lei e Wilson furono divisi ed entrambi
scaraventati a terra. La corvina sbatté la schiena sul suolo
e mugugnò
infastidita. Sentì la bile salirle in gola, le venne da
vomitare. Un dolore
lancinante le attraversò tutto il corpo, si sentì
come se i suoi muscoli si
stessero atrofizzando. Ma la testa era sicuramente la parte che le
doleva di
più, le parve di avercela stretta in una morsa di ferro.
Tossì e si rialzò
faticosamente sui gomiti. Vide
Tara, la quale la osservava a sua volta, sconvolta. Vide anche Amalia e
Rosso,
con quest’ultimo che aiutava la prima a tenersi in piedi.
Erano entrambi piuttosto
malridotti e pieni di acciacchi, ma almeno erano vivi.
E poi, a distanza di diversi metri da lei...
Wilson. Questi cercava di rialzarsi, proprio come lei. Sembrava
stordito,
confuso, e anche parecchio dolorante. Scrollò il capo e si
massaggiò una
tempia, poi notò la corvina. Non appena lo fece,
sgranò l’occhio. Si passò
entrambe le mani sul petto, freneticamente, come se stesse cercando
qualcosa,
qualcosa che aveva avuto fino a quel momento e che ora sembrava
scomparso
all’improvviso.
«Ma... ma come...»
sussurrò, per la prima volta
sembrando veramente incredulo.
«Bene, bene, bene...» disse
un’altra voce,
provenendo non dal vicolo, ma da sopra le loro teste. Tutti i presenti
sollevarono lo sguardo per poi vedere un individuo sporgersi dal tetto
del
palazzo sovrastante.
Dreamer.
Egli sorrideva beffardo, lo sguardo posato su
Wilson. «Finalmente sei mio, vecchio.»
Schioccò le dita. Decine di Visionari
sbucarono
fuori all’improvviso, tutti quanti armati di fucile, disposti
alcuni accanto al
loro leader, altri sul tetto di fronte. Puntarono tutti le armi contro
l’uomo.
«Maledetto...»
rantolò il mercenario, per poi
osservare Rachel. Sembrò che stesse cercando di comunicarle
qualcosa, ma per la
corvina fu impossibile capire cosa. Poi si rialzò e
cominciò a correre verso il
fondo del vicolo. Nonostante tutto, si mosse con una
velocità quasi sovraumana.
Ma a Dreamer non piacque per niente
quell’iniziativa.
«Sparate, sparategli subito!»
I Visionari aprirono il fuoco. Il mercenario,
per quanto velocemente stesse correndo, non riuscì a
sottrarsi completamente da
quella pioggia di inferno che imperversava proprio su di lui. Alcuni
proiettili
lo colpirono ad un braccio, altri ad una gamba, altri alla schiena. Le
imbottiture militari fecero in parte il loro dovere, ma nemmeno queste
furono
sufficienti. Rachel lo vide trascinarsi dietro diverse chiazze di
sangue, ma
l’uomo non si fermò comunque. Girò
l’angolo, tenendosi un braccio e zoppicando,
quasi trascinandosi di peso, e svanì dalla visuale.
Corvina osservò a lungo il punto in cui
Wilson
era svanito. Il pensiero di inseguirlo le attraversò la
mente, poi decise di
lasciar perdere con un sospiro. Non sapeva se i suoi poteri glielo
avrebbero
concesso. Se non altro erano riusciti almeno a metterlo in fuga.
Dreamer nel frattempo saltò dal tetto ed
atterrò
in piedi nel vicolo, tenendosi il cappello calcato sulla testa per non
farlo
volare via. Fece poi scorrere lo sguardo su Rachel e i suoi amici,
soffermandosi su ciascuno di essi. «Accidenti, ve le ha
suonate di santa
ragione, eh?»
«Dove diavolo eri finito?»
rantolò la corvina,
rimettendosi in piedi, mentre Jeff si avvicinava.
«Ho perso un po’ di tempo
mentre cercavo di
radunare i miei fratelli» spiegò lui, indicando i
Visionari ancora sui tetti, i
quali avevano cominciato a muoversi. «Cercheranno Wilson. Non
andrà molto
lontano, e questa volta per davvero.»
«Come fai a dirlo?»
mugugnò Rachel, con una
smorfia. «Lo sai che possiede un fattore di guarigione,
vero?»
«Davvero? Oh...» Il sorriso si
spense dal volto
di Dreamer. «Ops... errore mio...»
La conduit lo squadrò con diffidenza.
Non
sembrava davvero sorpreso. E, comunque, quella reazione non era per
niente
quella che lei si sarebbe aspettata.
«Che cosa diavolo ti è saltato
in testa, Markov?!»
La voce di Amalia la fece trasalire e dimenticare del Visionario. Si
voltò,
verso la mora. Stava parlando con Tara, sembrava piuttosto arrabbiata.
«Volevi
davvero farti uccidere così?!»
«Fatti gli affari tuoi»
sbottò la neo conduit,
per poi incrociare le braccia e distogliere lo sguardo da lei.
«Cosa? Gli affari miei?!»
Amalia serrò la
mascella. Parve quasi volersi muovere in direzione della bionda, ma la
gamba
ferita glielo impedì. «Ci siamo fatti un culo
titanico per riuscire a trovarti
e salvarti la vita, e tu vai a chiedere a Wilson di ammazzarti?! Cosa
siamo
noi, un branco di idioti?! E mi vieni anche a dire di farmi gli affari
miei?! Bionda,
questi sono affari miei.
Anch’io ho
rischiato la vita!»
«Sta zitta!» urlò
Tara, con le lacrime agli
occhi e la voce rotta. «Tu non sai cosa sto provando! Non
puoi saperlo! Se
fossi nei miei panni, allora anche tu preferiresti morire!»
«Non dire idiozie! Io non...»
«Ehi, ehi!» esclamò
Corvina, frapponendosi tra
loro. «Dateci un taglio! Non dobbiamo litigare tra di noi!
Siamo un gruppo
unito, l’avete dimenticato?!»
«Sì, ma...»
cercò di dire Amalia, per poi venire
zittita dalla corvina.
«Niente ma! Come possiamo pretendere di
potercene
andare da questa città se vi mettete a discutere in questa
maniera per una
scemenza come questa? Amalia, tu non sai come Tara si sente, nessuno
può
saperlo, nemmeno io! E tu, Tara...» Rachel si
voltò verso di lei, puntandole
addosso il dito. «... non ho idea di cosa ti stia passando
per la mente, ma non
pensare per un solo momento che la tua vita debba essere buttata via in
questo
modo!»
Si avvicinò a lei, severa come poche
volte lo
era stata. «La tua vita vale, hai capito! Tu vali! Come pensi
che reagirebbe
Logan se ti vedesse così? Pensi che sarebbe fiero di te, se
tu decidessi di
farti ammazzare solo perché le cose vanno più
male del solito? E ti sei
dimenticata della tua famiglia? I tuoi genitori e i tuoi fratelli, come
credi
che reagirebbero loro se tu morissi così?»
Tara ammutolì. Osservò
Corvina per un breve
istante, quasi intimorita da lei, poi distolse lo sguardo imbarazzata e
annuì
lentamente. «Hai ragione... scusami...»
«Sì, ti chiedo scusa
anch’io...» mormorò Amalia,
osservando il suolo imbarazzata.
Un tenue sorriso si dipinse sul volto di Rachel.
«Bene.» Incrociò poi lo sguardo di
Lucas. Il moro la osservava sorpreso, quasi
ammirato. La corvina allargò il sorriso, poi
sollevò il pollice della mano. A
quel punto, Rosso sorrise a sua volta e rispose con un cenno del capo.
Lo sguardo di Rachel cadde poi prima sulla sua
fronte insanguinata, poi sulla gamba di Amalia. Aveva estratto il
coltello,
fortunatamente non aveva reciso nessuna arteria, ma comunque tutto quel
sangue
era parecchio preoccupante. «Ora, però,
è meglio pensare alle cose importanti.»
Per fortuna i suoi poteri si erano risvegliati,
o non sarebbe mai stata in grado di curare le ferite dei suoi amici.
Amalia la
ringraziò, Lucas tossì un paio di volte, poi
anche lui fece lo stesso.
Solamente quando ebbe finito, si rese conto che
Dreamer era rimasto un po’ troppo a lungo in silenzio. Lo
cercò con lo sguardo,
poi vide una scena che le fermò il cuore. Jeff era chino
accanto al corpo della
sua luogotenente.
Una sensazione terribilmente sgradevole
assalì la
corvina quando vide il corpo insanguinato di Jade, di cui, fino a
qualche
attimo prima, aveva scordato l’esistenza. Non si muoveva
più, non gemeva più,
non faceva più assolutamente niente. Era immobile, come una
statua.
La conduit sentì le proprie viscere
contorcersi,
quasi le venne da vomitare. Era disgustata. Ma non da quella vista,
assolutamente no. Era disgustata di sé stessa.
Jade era morta per colpa sua.
Aveva combattuto contro un avversario ben oltre
la sua portata, per la propria libertà. Pur di ottenerla,
pur di poter rivedere
sua sorella, aveva messo in gioco l’ultima cosa preziosa che
le era rimasta: la
sua vita.
E Rachel non aveva fatto nulla per aiutarla.
Aveva osservato la scena, incapace di fare altro. Aveva preferito
litigare con
i suoi poteri, anziché darsi da fare per trovare un altro
modo per rendersi
utile.
Una persona era morta di fronte ai suoi occhi.
Una persona che aveva visto le sue speranze infrangersi
all’improvviso. E lei
aveva lasciato che ciò accadesse.
Sentì una lacrima rigarle una guancia.
Stupida
ed inutile, ecco come si sentiva in quel momento.
Dreamer chiuse gli occhi di Jade con due dita.
«Riposa
in pace, sorella» disse, a bassa voce. Sembrava triste, e non
poco.
Corvina rimase immobile, ad osservarlo, incapace
di fare altro. Una mano si posò sulla sua spalla. Si
voltò e vide Lucas accanto
a lei. «Non è stata colpa tua» disse,
leggendole nel pensiero. «Jade conosceva
i rischi che correva, ha scelto lei di essere qui a combattere contro
Wilson.
L’unica cosa che possiamo fare è onorare la sua
morte.»
Rachel si pizzicò un labbro con i denti,
poi
annuì lentamente.
No, non è
vero..., avrebbe
voluto dire. L’ho
lasciata morire.
Sospirò profondamente, poi
appoggiò la testa
sulla spalla di Rosso. Lui la cinse per un fianco e la tenne stretta a
sé. Nessuno
dei due disse altro.
«Un po’ mi piaceva, alla
fine...» commentò
Amalia, osservando a sua volta il corpo di Jade.
«Non puoi fare nulla, Rachel?»
domandò Tara.
La corvina scosse lentamente la testa.
«Quando era
ancora viva, forse... ma ora...»
«Capisco.»
Scese il silenzio nel vicolo, fino a quando
Dreamer non si rialzò in piedi. Si voltò verso il
gruppo, per poi cominciare a
camminare verso di loro. Si ritrovò infine dinnanzi a Rachel
e Lucas. Notò
com’erano stretti e si lasciò scappare un sorriso.
«Fate bene a godervi la
quiete. Sono state delle ore piuttosto pesanti, queste.»
«Abbiamo finito, quindi?»
domandò Lucas, con
tono scettico.
Dreamer annuì, senza far sparire quello
strano
sorriso dal suo volto. «Sì, abbiamo finito. Di
Wilson ci occuperemo noi
Visionari. E non preoccupatevi degli Underdog rimasti, senza un capo
non
andranno lontani. Wilson era il collante che teneva unito il loro
gruppo, era
quello a cui spettava sempre l’ultima parola. Senza di lui,
saranno come pecore
senza un pastore.»
«Possiamo uscire dalla città,
quindi?» chiese
Amalia.
Un altro cenno di assenso. «Direi proprio
di sì.
Vi ringrazio infinitamente per l’aiuto. Ah, e non
preoccupatevi per Rose. Di
lei me ne occuperò sempre io. Più tardi
farò un salto al vostro magazzino per
recuperarla. Immagino che a quel punto voi non ci sarete già
più.»
«Probabile» rispose Lucas.
«In tal caso...» Jeff si
avvicinò ulteriormente
al gruppetto, porgendo la mano. Cominciò da Tara. La bionda
lo osservò piuttosto
titubante, poi accennò un sorriso e gliela strinse.
«Grazie per aver prestato un paio di
braccia in
più ai miei amici» disse, sincera.
«Prego, è stato un
piacere.»
Dreamer passò poi ad Amalia, la quale
gli
stritolò la mano di proposito solo per fargli un ultimo
dispetto. «Mi mancherà
la tua faccia da schiaffi» disse, con un ghigno.
«A me mancherà il tuo dolce
carattere. Salutami
anche il tuo fratellino.»
Toccò a Rosso, il quale la strinse con
parecchia
riluttanza. «A mai più»
sbottò.
«Arrivederci anche a te»
rispose Dreamer,
chinando il capo. «Ah, a proposito Lucas, fai qualcosa per
quella tua brutta
tosse, mi raccomando. Non vorrei mai che tu abbia qualche
malanno.»
«Non
preoccuparti, me la caverò» replicò il
moro, rivolgendogli un sorriso che sembrava
più una smorfia.
Lo sguardo di Dreamer cadde sulla mano che Lucas
teneva premuta sul fianco di Rachel. Il suo sorriso vacillò,
poi si concentrò
proprio su quest’ultima. Si piazzò di fronte a
lei, poi allargò le braccia. «Permetti,
Rachel?»
La corvina sgranò gli occhi. Si
voltò verso di
Lucas, quasi chiedendo conferma nel suo sguardo. Lui si
limitò semplicemente a
sollevare le spalle. A quel punto, Rachel sospirò e
andò ad abbracciare il
Visionario. Si sentì tremendamente
impacciata. Per fortuna, non durò molto.
«Grazie dell’aiuto»
disse infine il Visionario,
una volta separato da lei.
«Ma non ho fatto nulla di che, alla
fine...»
rispose lei, imbarazzata.
«Credimi. Hai fatto molto di
più di quanto avrei
mai potuto immaginare.» Dreamer le diede una pacca sulla
spalla, poi si rivolse
nuovamente a tutto il gruppo. «Addio, dunque.» E
senza dire altro, si voltò e
cominciò a camminare. Fece un cenno a due Visionari che lo
avevano seguito, e
questi presero il corpo di Jade. Svanirono tutti e quattro dietro al
vicolo,
per poi non ricomparire più.
Non appena Jeff uscì dalla sua visuale,
Rachel
si lasciò scappare un profondo sospiro. Era tutto finito.
Finalmente, era tutto
finito.
Sentì qualcuno ridacchiare alle sue
spalle e si
girò, per poi vedere Tara e Amalia entrambe con il capo
piegato e una mano di
fronte alla bocca. Arrossì contro il proprio volere.
«Che cavolo avete da
ridere?!»
«Qualcuno si è preso una cotta
per Rachel...» la
schernì Tara, pronunciando quelle parole canticchiando.
«Per Rachel?»
domandò Amalia, tornando seria. «Io
credevo che Jeff fosse cotto di Rosso...»
Le tre ragazze guardarono il suddetto, il quale
sgranò gli occhi. «Ehm... co... cosa?»
Komand’r e Tara si scambiarono un rapido
sguardo
tra loro, poi entrambe scoppiarono a ridere di gusto, lasciando il moro
atterrito. «Ehi! Non è divertente! Non lo
è affatto!» Accorgendosi di come le
sue parole fossero inefficaci, si voltò verso di Rachel,
quasi disperato. «Rachel
ti prego, di a quelle galline che... oh, no! Anche tu no!»
Corvina aveva cercato in tutti i modi di
trattenersi, ma non c’era riuscita. Nel giro di poco tempo
anche lei si era
ritrovata a ridere, in maniera più leggera rispetto a quella
delle altre due
ragazza, ma comunque a ridere. Fu meraviglioso.
«Scusa
Lucas...» biascicò a fatica, a corto di fiato.
«Vi odio. Tutte e tre.»
***
Mentre tornava al magazzino in compagnia dei
suoi amici, Rachel si sentiva avvolta da un’incredibile
quantità di positività.
Non le sembrava ancora vero che tutto quanto fosse finito.
Avevano salvato Tara, il suo patto con Dreamer
si era concluso e per finire erano riusciti a sconfiggere Wilson, anche
se solo
temporaneamente, ma non le importava. Del mercenario se ne sarebbe
occupato
Jeff; lei non aveva più nulla a che vedere con quella
faccenda. Poteva
andarsene da quella città, che in pochi giorni si era
rivelata essere una
prigione ben peggiore di Empire City, ed essere libera.
Giurò a sé stessa che non
avrebbe più commesso
alcun errore. Nessun altra città l’avrebbe
più imprigionata, da quel giorno in
poi. Non lo avrebbe più permesso in alcun modo. Non sapeva
quante esplosioni ci
fossero state nel paese, non sapeva quanti conduit la attendevano fuori
dai
confini di Sub City, non era minimamente a coscienza di quali altri
pericoli
avrebbe incontrato, ma non le importava nulla. Nessuno le avrebbe di
nuovo
negato la libertà.
Ripensò a quella comunità di
cui Jade le aveva
parlato. Ricordare la Visionaria le provocò una fitta allo
stomaco, ma cercò di
ignorarla, e di concentrarsi di più su quel luogo, ammesso
che esistesse. Forse
avrebbe dovuto fare un tentativo e andare a cercarlo, in compagnia dei
suoi
amici, ovviamente. Avrebbe dovuto parlarne con loro. Certo, potevano
essere
solo favole, come già aveva pensato, ma, infondo, non
c’era molto altro da fare
per lei.
Doveva trovare una nuova casa, e quale luogo
migliore per cominciare se non proprio la California? Forse non avrebbe
trovato
ciò che cercava proprio laggiù, ma
chissà, forse qualcosa di interessante
sarebbe comunque successo.
«Ehi, Rosso, che
c’è?» domandò Amalia
all’improvviso, osservando il moro che per tutto il tempo
aveva camminato
rimanendosene in silenzio e in disparte. «Non dirmi che ce
l’hai ancora con noi
per la storia di prima.»
«No» sbottò lui,
anche se l’argomento parve
irritarlo leggermente. «Sono solo stanco.»
«Ormai siamo arrivati»
osservò Tara.
«Non mi riferivo a quello.» Il
ragazzo sospirò,
esausto, per poi tossire un paio di volte. Scrollò il capo
per ricomporsi, poi
proseguì: «È solo che...» Si
voltò, incrociando lo sguardo delle tre ragazze.
Diede una rapida occhiata a ciascuna di loro, per poi voltarsi e
scuotere di
nuovo il capo. «Niente, lasciamo perdere. Ecco, ci
siamo.»
Il gruppo si fermò di fronte alla
recinzione del
magazzino. Rachel rimase ad osservare Lucas, perplessa. Non ci aveva
messo
molto per capire a cosa si riferisse con quelle parole. Anche lui, come
lei,
era stanco di vivere quella vita. Anche lui sapeva che, una volta
usciti da
quella città, avrebbero dovuto ricominciare a lottare, che
quella quiete era solo
fittizia. Perché ormai era così che quel mondo
funzionava.
Ma, infondo, erano proprio quei momenti a
rendere viva Rachel. La quiete prima della tempesta era sempre quella
che le
permetteva di sperare, seppur per poco, che le cose cambiassero
davvero. Che da
quel momento in poi non sarebbe più stata costretta a
combattere.
Osservò il cielo striato di arancione,
mentre i
primi raggi dell’alba cominciavano a farsi strada tra le
tenebre della notte.
Un nuovo giorno stava per iniziare, e con esso un nuovo capitolo della
sua
vita.
Scavalcarono la recinzione e si avviarono verso
il portone. Mentre camminava, Rachel notò qualcosa cambiare
nell’espressione di
Amalia. Non era più serena, ora sembrava tesa, angosciata.
Solo in quel momento
si ricordò della discussione tra Ryan e lei.
«Ehi, non preoccuparti» le
disse, a bassa voce.
La mora trasalì, poi si voltò
verso di lei. La
osservò per un breve momento, poi sospirò.
«Come posso non preoccuparmi?»
domandò, quasi affranta. «Ryan... lui... aveva
ragione, su tutto. Mi sono
comportata malissimo con lui e con Kori... io... non ho il coraggio di
guardarlo di nuovo in faccia...»
«Tu non sei più come Ryan ti
ha dipinta, Komi»
rispose Rachel, abbozzando un sorriso. «Non so
cos’hai fatto in passato con
esattezza, ma so quello che hai fatto oggi. Hai rischiato la vita per
salvare
quella di Tara. Hai piantato un coltello nel collo di Wilson! Chi altri
può
vantarsi di aver fatto una cosa del genere?»
Amalia ridacchiò sommessamente, tenendo
lo
sguardo basso. «Non molti, immagino...»
«E poi, la cosa più importante
di tutte.» Rachel
le posò una mano sulla spalla, facendole drizzare la testa.
Allargò il sorriso,
guardandola con pura e sincera ammirazione. «Sei riuscita a
far ritornare Tara
in sé. Sei riuscita a fare una cosa in cui io ho fallito
miseramente, senza
combattere, per di più. Se tu non ci fossi stata...
probabilmente sarei morta.
Tu oggi non hai salvato solo Tara, ma hai salvato anche me. Hai
coraggio da
vendere, e sei forte. Ryan lo capirà, vedrai.
Capirà che sei cambiata e ti
perdonerà.»
Komand’r sollevò lo sguardo.
Una scintilla di
speranza si accese nei suoi occhi all’improvviso. Un sorriso
si accentuò sul
suo volto, poi ridacchiò una seconda volta.
«Cavolo, Roth, sei particolarmente
inspirata oggi, eh? Ci provi gusto a far sentire gli altri degli
stupidi con i
tuoi discorsi strappalacrime?»
«Un pochino» replicò
la corvina, con tono
divertito.
La ragazza mora ridacchiò ancora una
volta, poi
le diede un pugno scherzoso alla
spalla.
«Sei forte. Dai, andiamo.»
Si erano fermate senza nemmeno rendersene conto
ed erano state lasciate indietro da Lucas e Tara, i quali ormai erano
dal
portone. Si affrettarono a raggiungerli, poi, tutti insieme, entrarono.
«A proposito, Ryan come sta?»
domandò Tara,
sorridendo. «Devo abbracciare anche lui!»
A Rachel quasi venne da ridere sentendo
quell’affermazione. Sicuramente, il rosso sarebbe stato
più che entusiasta di
ricevere un abbraccio da lei.
«Sta bene, credo...»
borbottò Lucas, mentre si
avvicinavano all’area relax. «Quella che mi
preoccupa di più è la nostra altra
ospite...»
«Altra ospite?»
«Ora vedrai. Un tesoro di donna, davvero.
Simpatica come un coltello nel costato.»
«Quasi peggio di Amalia,
quindi» osservò la
bionda.
Lucas ridacchiò.
«Sì, diciamo di sì.»
«Vi devo ricordare che sono
qui?» domandò proprio
Amalia, incrociando le braccia.
Il gruppo si fermò di fronte alla porta
dell’area relax. Rosso posò una mano sulla
maniglia, per poi volgere uno
sguardo di sufficienza alla mora. «Tranquilla, la tua
presenza non è difficile
da notare...»
Komand’r spalancò la bocca per
rispondere, ma
qualunque cosa volesse dire le morì in gola quando il
ragazzo aprì la porta.
Sgranò gli occhi all’improvviso.
Rachel notò il repentino cambio di
espressione
di Amalia e corrucciò la fronte, poi cercò di
capire cosa le fosse preso e
anche lei guardò oltre l’ingresso della stanza.
Non appena lo fece, si sentì
morire.
Tara si posò entrambe le mani di fronte
alla
bocca, soffocando a malapena un verso inorridito.
«Mio... dio...»
sussurrò Lucas, interdetto.
Rose era ancora legata alla sua sedia, teneva il
capo chinato ed entrambi gli occhi chiusi. Un orribile squarcio ancora
macchiato di rosso le attraversava il collo, e il suo intero petto era
ricoperto da sangue rinsecchito. Perfino i suoi capelli si erano
macchiati.
Ai suoi piedi, invece, riverso in una
pozzanghera della medesima sostanza vermiglia...
Corvina sentì il proprio cervello
bloccarsi. I
suoi occhi si rifiutarono categoricamente di credere a ciò
che stavano vedendo.
Non poteva essere vero. Non poteva assolutamente essere vero. Non
poteva
esserci lui a terra, accasciato in quel modo scomposto. Non lui, non...
Amalia gridò all’improvviso,
con quanto fiato
avesse in corpo, mettendosi entrambe le mani nei capelli.
«RYAN!!!»
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Capitolo 22 *** Famiglia riunita ***
Capitolo
22: FAMIGLIA RIUNITA
Furono ore terribili, quelle. Dal momento del
ritrovo del cadavere di Ryan, fino a quando, stremati, non erano andati
a
dormire.
Per riuscire a dividere Amalia dal corpo esanime
del fratello ci erano voluti Rosso e Rachel insieme. Tara no, lei era
troppo
scossa per riuscire a muoversi anche solo di un millimetro.
Komand’r aveva gridato, aveva scalciato,
aveva
graffiato i due ragazzi e perfino tirato loro i capelli. Lucas, infine,
era
stato costretto a pizzicarle il nervo del collo per farle perdere i
sensi.
Avevano portato la ragazza mora in uno degli uffici e
l’avevano adagiata su un
materasso, dopodiché avevano dovuto occuparsi della
rimozione dei due corpi.
Tara aveva pianto mentre, con i suoi poteri,
creava due fosse nel cortile. E anche Lucas aveva gli occhi lucidi
mentre
adagiava dentro una di esse proprio il corpo di Ryan, tenendolo avvolto
in una
coperta. Seppellirono anche Rose, nella fossa accanto al rosso. Per
quanto
fossero state orribili le cose che aveva fatto, anche lei era pur
sempre stata
una vittima di Wilson, e meritava di poter almeno riposare in pace.
Per non dimenticarsi dove fossero le fosse, Tara
tracciò sul suolo i contorni di esse e su quella di Ryan
lasciò un incisione.
Tempo di concludere tutto quanto, e si era fatto
ormai mattino. I tre ragazzi erano distrutti, sia nel corpo che nella
mente. Non
avevano idea di chi potesse essere stato il responsabile di quelle due
morti,
non avevano nemmeno la testa per cercare di rifletterci su. Senza dire
una
parola erano andati a dormire, chi nascondendo meglio il dolore, come
Lucas,
chi, invece, non riuscendoci affatto, come Tara. Rachel
l’aveva sentita
singhiozzare diverse volte, mentre cercava di chiudere occhio nel suo
materasso.
Miliardi di cose erano passate nella sua mente,
mentre si era girata e rigirata sotto le coperte.
Aveva pensato ad Amalia, a Tara, a Lucas, a come
ciascuno di loro doveva essersi sentito quando avevano visto il corpo
del loro compagno.
Ma soprattutto Amalia. Rachel non poteva nemmeno immaginarlo. Lei non
aveva mai
perso un famigliare in quel modo. Anzi, non aveva mai perso nessuno, in
quel
modo. Certo, i suoi amici erano morti, ma lei non aveva mai visto i
loro
cadaveri; non li aveva visti con gli occhi ancora sgranati e la bocca
semiaperta in un grido di disperazione che nessuno aveva udito, non li
aveva
visti riversi nel loro stesso sangue.
Se per lei era stato scioccante, per Amalia
doveva essere stato terribilmente traumatico. Non si sarebbe stupita se
avesse
davvero perso la testa, dopo l’accaduto.
Aveva pensato poi a Rose, e a come Dreamer
avrebbe reagito quando avrebbe scoperto cosa le era successo. Lui aveva
detto
che si sarebbe preso cura di lei, sembrava tenerci anche molto, a lei.
Il nuovo capitolo della vita di Corvina era
cominciato davvero nel peggiore dei modi. Un suo compagno, un suo
amico, non
c’era più. Non lo avrebbe più rivisto,
da quel giorno per tutto il resto della
sua vita. Ryan si era sempre tenuto per le sue, era vero, ma la sua
mancanza
avrebbe sicuramente generato un vuoto molto difficile da riempire.
Anche Rachel aveva singhiozzato, prima di
riuscire finalmente a chiudere occhio.
***
Rachel
camminava accanto a rastrelliere piene di armi medievali, piedistalli
su cui
erano esposte antiche armature dei tempi delle crociate, bacheche e
scaffali
pieni zeppi di oggetti antichi.
C’era una
quantità industriale di sapere, tutto attorno a lei. Ogni
esposizione, anche
quelle più piccole ed inutili, avevano una didascalia che
spiegava per filo e
per segno cosa fosse quel determinato oggetto, in quale ambito
lavorativo
venisse adoperato e quale persona famosa lo avesse usato.
Ma a lei
non interessava davvero molto tutta quella roba. L’unica cosa
su cui era
concentrata, era su quanto diavolo fosse pesante il suo zainetto. Si
maledisse
per averlo riempito in quel modo. Pesava una tonnellata e la visita al
museo
era praticamente appena iniziata.
Dopo
qualche minuto rinunciò ad ascoltare la guida. Non aveva
proprio la testa per
mettersi a riempirsela di tutte quelle informazioni che, detto con
tutta
onestà, non le sarebbero servite a nulla a meno che non
avesse deciso di andare
a lavorare proprio in quel museo una volta terminati gli studi. O di
fare
l’archeologa, o la storica, o robe di quel genere, insomma.
Certo,
accrescere il proprio bagaglio culturale è sempre una buona
cosa, ma in quel
momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare era Richard.
Richard, la
stessa persona che si trovava ad una manciata di ragazzi da lei e che
teneva
Kori per mano, la quale non smetteva un solo istante di sorridere.
La corvina
strinse i pugni. Quanto la odiava. Quell’oca, quella gallina,
quella...
«Ehi
Roth!»
la chiamò qualcuno, bisbigliando.
Lei si
voltò pigramente, per poi posare gli occhi su un ragazzo dai
capelli color
carota, che la guardava con un sorriso idiota. Wally.
«Ti sei
fatta male, questa mattina?» domandò lui, senza
far svanire quel maledetto
sorriso.
Rachel
inarcò un sopracciglio.
«Perché?»
«Perché
sei
caduta dal paradiso, ecco perché, angelo mio.»
Diverse
risatine si sollevarono da alcuni dei ragazzi presenti attorno a loro.
Anche lo
stesso Wally allargò il suo sorrisetto. Rachel
serrò la mascella, irritata come
mai lo era stata con lui. Fu quasi tentata di sferrargli un cazzotto
sul naso e
far sparire quell’espressione idiota dal suo brutto muso,
quando qualcuno si
frappose tra loro, allontanando il rosso. Logan.
«Falla
finita, Wally» intimò il ragazzo biondo, cercando
di allontanarlo da lei.
«Qual
è il
problema?» domandò quello, sollevando le mani in
segno di resa. «Volevo solo...»
«Abbiamo
capito cosa volevi» si intromise Victor arrivando in quel
momento, affiancando
il suo migliore amico. «E, sinceramente, potevi anche
risparmiartelo.»
«Andiamo,
si ride e si scherza, non voglio offendere nessuno!»
«Non sempre
gli altri sono in vena di sorbirsi i tuoi scherzi, dovresti
saperlo.»
«Oh, ma
dai...»
«Evapora,
Wally» aggiunse Jennifer, aggiungendosi al gruppo in
compagnia di Karen.
Il rosso
parve quasi disperato. «Jenni, anche tu no...»
La ragazza
incrociò le braccia, facendo un verso di disappunto. Wally,
intuendo che forse
doveva aver sorpassato il limite, si ritirò con un sospiro
abbattuto. A quel
punto, i quattro amici si rivolsero alla ragazza corvina.
«Ignoralo,
è solo un buffone» le disse Jennifer, sospirando.
«Io lo so bene...»
Rachel
abbozzò un sorriso. «Tranquilla, lo so
anch’io. Grazie, comunque, a tutti voi.»
Logan
sollevò il pollice. «Puoi sempre contare su di
noi.»
Victor annuì a conferma di quelle
parole, rimanendo in
silenzio.
La corvina
si sentì grata a loro, per il loro intervento. Se non ci
fossero stati,
probabilmente avrebbe preso per il collo Wally. Era sorprendente come
Logan e
Victor fossero intervenuti nonostante fino a qualche minuto prima anche
loro
stessero ridendo e scherzando bellamente, coinvolgendo anche i loro
compagni.
Evidentemente, lei era molto più importante per loro di
quanto non potesse
immaginare. E certo, Richard forse non c’era più,
ma c’erano sempre loro.
Su di loro
avrebbe sempre potuto contare, ne era sicura. Erano come una famiglia,
per lei,
anche se spesso e volentieri se ne dimenticava e credeva di essere
sola. Ma non
era così, lei non era sola. Non con loro.
La visita
per il museo continuò. Rimase in compagnia dei suoi amici,
ai quali ben presto
si aggregarono altri ragazzi che conosceva più e meno bene,
perfino lo stesso
Wally, il quale riuscì ad ottenere il perdono della corvina.
Logan e Victor
ripresero le loro mansioni di spiritosoni del gruppo e tutto quanto
sembrò tornare
alla normalità.
Rachel
rimase sulle sue, non disse più molto, si limitò
a sorridere di tanto in tanto
quando qualcuno dei suoi compagni faceva qualcosa di tremendamente
stupido per
poi beccarsi un richiamo dai professori.
Di tanto in
tanto, tuttavia, il suo sguardo cadeva poco davanti a lei, su Richard e
Kori. E
il suo sforzarsi di essere serena diventava quasi una tortura.
Più cercava
di non pensarci, più quel maledetto bacio tra il suo amico
di infanzia e Stella
le ritornava in mente, provocandole una dolorosa stretta al cuore. Era
successo
un’infinità di tempo prima, ma
quell’avvenimento era ancora perfettamente
nitido nella sua mente. E, di conseguenza, non desiderava altro che
mandare
tutto al diavolo, andarsene da quel museo e restarsene da sola.
Non poteva
andare avanti in quel modo. Avrebbe fatto meglio a parlare con Richard.
Erano
giorni, settimane, mesi che pensava di farlo. Non sapeva ancora cosa
dirgli,
non sapeva nemmeno come si sarebbe comportata di nuovo in sua presenza,
probabilmente nemmeno sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi, ma
qualcosa se
lo sarebbe inventato.
Quando è troppo, è troppo, pensò, annuendo con convinzione.
Prese un
profondo sospiro, poi si allontanò dal gruppo di amici senza
farsi notare. Si
fece largo tra la folla di studenti, avvicinandosi sempre di
più a quella
coppietta tanto felice quanto lei era triste.
Stava quasi
per raggiungerli, quando vi fu un lungo e potente scossone che fece
tremare la
terra. Vi furono grida sorprese, alcuni ragazzi persero perfino
l’equilibrio,
diversi oggetti in mostra caddero dai loro ripiani e si frantumarono
sul
pavimento.
Rachel fu
una di quelli che perse l’equilibrio. Si ritrovò a
terra, in ginocchio,
stordita e confusa. Sollevò lo sguardo, vide altri studenti
cadere, udì le
grida sollevarsi di intensità, alcune bacheche gremite di
oggetti si
rovesciarono, causando danni enormi e ferendo perfino delle persone.
La ragazza
dischiuse le labbra, interdetta. Non riusciva a capire cosa stesse
succedendo,
sapeva solo che stava cominciando a spaventarsi. Una luce di un blu
accecante
cominciò a penetrare nel museo tra le grosse finestre. La
corvina si voltò
verso di queste, per poi sgranare gli occhi interdetta.
Non seppe
spiegarsi con esattezza cosa vide. La luce si fece dieci volte
più intensa,
accecandola completamente.
Le grida si
fecero ancora più forti. Rachel cercò
disperatamente con lo sguardo i suoi
amici, Richard, perfino Kori, ma non vide nulla.
E poi tutto
fu spazzato via.
Le grida
svanirono, i ragazzi svanirono, il museo intero svanì. Agli
occhi di Rachel non
rimase altro che il buio.
Un buio che
l’avrebbe perseguitata per il resto della vita.
***
Il cielo
stellato della notte comparve all’improvviso di fronte a lei,
rimpiazzando
l’oscurità. Un dolore terribile la
colpì ad un braccio e ad una gamba. Gemette.
O meglio, lei lo avrebbe fatto, ma non ci riuscì. Si rese
conto di muoversi
senza il suo volere, e ogni passo le causava una lancinante fitta di
dolore.
Camminava su un tetto, quasi barcollava, tenendosi con una mano il
braccio
ferito. La cosa più scioccante era che aveva solamente un
occhio aperto.
Faticava a
respirare, sentiva come se ci fosse qualcosa di fronte al naso che la
opprimeva.
Si fermò
all’improvviso, appoggiandosi contro la parete di
un’uscita di emergenza. Piegò
il capo e tossì goffamente, graffiandosi la gola. Non appena
quei colpi di
tosse giunsero alle sue orecchie, capì ogni cosa.
Stava
succedendo, di nuovo. Non più con Hank, tuttavia, ma con...
con...
«Wilson.»
Una voce si sollevò in aria all’improvviso,
soffiando quel nome con disprezzo,
come se fosse il peggior insulto esistente sul pianeta.
Rachel si
voltò. O meglio, Wilson, si
voltò. Sotto lo sguardo della sua unica pupilla, apparve
Jeff Dreamer. Il
Visionario osservava l’uomo con sguardo severo e truce,
stringendo con forza la
presa attorno al bastone da passeggio.
«Sei
arrivato, dunque.» L’ultima persona che lei avrebbe
immaginato di vedere, fu
proprio quella che Slade accolse con indifferenza, malgrado la sua
critica
condizione di salute.
«Sì,
Wilson,
sono arrivato.» La lama a serramanico sbucò
dall’estremità del bastone e il
Visionario cominciò a camminare verso di lui.
«Questa è la resa dei conti. Non
mi sfuggirai di nuovo.»
Deathstroke
estrasse l’unica katana
rimastogli con la
mano che poteva ancora utilizzare, ma
ricevette una dolorosa fitta di dolore nel fare ciò.
Mugugnò sommessamente, poi
si mise in posizione. «Non è leale combattere
contro un avversario ferito»
commentò, mentre Jeff continuava ad avvicinarsi molto
lentamente, prendendosi
tutto il tempo del mondo.
Il ragazzo
si fermò, abbozzando un sorriso sadico. «Senza i
tuoi poteri ci impiegherai
almeno qualche settimana per guarire completamente. E io non ho tutto
questo
tempo.»
Slade
sgranò l’occhio quando udì quelle
parole. «Come sai dei poteri?»
«Spirito di
osservazione. Dopo che la tua conduit da laboratorio ha ridotto la tua
gamba in
quelle condizioni così pietose, era praticamente impossibile
che tu riuscissi a
scappare da quell’hotel. C’era sicuramente qualche
trucco sotto. E quel trucco
l’ho scoperto nella Low Sub, quando hai ucciso Jade. Anche
se, francamente, non
avrei mai immaginato che anche tu fossi un conduit. E tutta quella
storia sulla
genetica... ammetto di essere rimasto senza parole.
«Sapevo
già
che attaccandoti non avrei avuto possibilità, considerando
inoltre il tuo
potere, quindi ho lasciato che fossero Rachel e i suoi amici a
combatterti. Io
ho semplicemente radunato i miei uomini e atteso il momento opportuno
per sferrare
il colpo di grazia, e quel momento è stato dopo che Rachel
ti ha sottratto i
poteri. Perché è andata così, dico
bene?»
Wilson
strinse la presa attorno al manico della katana, rabbuiandosi.
«Allora te ne
sei accorto... non credevo che fossi così sveglio.»
«Ho
imparato dal peggiore.» Dreamer si sgranchì il
collo, roteando il bastone. «E
ora, pagherai per ciò che mi hai fatto. Per ciò
che ci hai fatto.»
«Lo sai che
non ti permetterò di uccidermi così facilmente,
vero? Non ho passato tutto
questo tempo a cercare di scoprire i segreti dei conduit per poi farmi
eliminare da un moccioso come te. Non distruggerai tutto il mio lavoro
di mesi.»
«Ne sono
consapevole, vecchio. Ma a me non importa!» Jeff
partì alla carica per primo. «Ne
rimarrà solo uno, e sarò io!»
Sferrò un
fendente con tutta la sua forza verso l’addome di Wilson,
mirando quello che
l’uomo avrebbe faticato di più a proteggere, ma
Slade riuscì comunque a
proteggersi roteando la katana verso il basso e muovendo il busto.
Dreamer
sgranò gli occhi, sorpreso.
«Credevi
davvero che sarebbe stato così facile?» lo
incalzò il mercenario.
Jeff serrò
la mascella, poi tentò un nuovo affondo all’altro
fianco, ma anche questo fu
deviato senza troppe difficoltà dall’uomo.
«Non
ci siamo proprio, moccioso.»
«Silenzio!»
sbraitò il Visionario, cominciando a sferrare un fendente
dietro l’altro,
sempre con più forza, sempre con più rabbia e
sempre con più rapidità.
Dal canto
suo, Wilson continuò a difendersi da ogni attacco, ma fu
anche costretto a
dover indietreggiare. Diverse volte ricevette terribili fitte di dolore
al
braccio e alla gamba, a causa della furia del suo avversario, ma tenne
comunque
stretti i denti.
Continuò a
difendersi, cercando di guadagnare tempo e stancare il proprio
avversario, poi
decise di contrattaccare. Parò l’ennesimo attacco
e le lame rimasero incrociate
a mezz’aria, a quel punto cercò di sferrare una
ginocchiata al Visionario, ma
quello saltò all’indietro, evitandola.
Slade
cominciò ad inferire con altrettanta brutalità,
mulinando quella katana che
chissà quante vite aveva già strappato. Dreamer,
tuttavia, mostrò
un’incredibile agilità evitando tutti quegli
attacchi, scansandosi, rotolando e
saltando. Il giaccone nero svolazzava ogni volta che il ragazzo si
muoveva
bruscamente, ma a questo non sembrava dare molto fastidio.
Jeff evitò
un altro attacco, saltando all’indietro ed atterrando sopra
un grosso cabinato
contenente delle ventole di areazione. A quel punto gridò e
si gettò in
picchiata sul nemico, mirando la sua gola. Slade si scansò,
mugugnando per una
fitta alla gamba, poi ricambiò il gesto con la katana, ma
Dreamer piegò le
gambe e si protesse con il suo bastone.
«Sono anni
che mi preparo per questo scontro, Wilson. Non mi sconfiggerai tanto
facilmente!» sibilò Jeff, roteando con un gesto
secco l’arma, allontanando da
essa la spada di Deathstroke e facendolo indietreggiare.
Si avventò
su di lui, questa volta mirando al torace, ma ancora una volta Slade
deviò
l’attacco. «E io combatto da prima che tu
macchiassi il pannolino, sei tu
quello svantaggiato!»
Abbatté la
lama sull’avversario, che rotolò di lato,
evitandola. Dreamer si rialzò,
partendo alla carica con un attacco rotante. «Ma io ho tutti
e quattro gli
arti!»
Ancora una
volta, le armi si incrociarono e rimasero ferme. I due rimasero fermi
per un
momento, faccia a faccia, lama contro lama. Entrambi mugugnarono per lo
sforzo
di dover tenere salda la presa attorno ai manici, Slade per via degli
handicap
fisici, Dreamer per via della comunque notevole forza
dell’uomo.
Nonostante
le ferite, Wilson stava dando parecchio filo da torcere al Visionario.
Ma allo
stesso tempo, Jeff si era rivelato molto più temibile di
quanto il mercenario potesse
immaginare.
«Credo
proprio... che la tireremo per le lunghe...»
osservò Deathstroke, con il
braccio che tremava per lo sforzo.
«Bene
così.
Non ho impegni questa notte» rantolò il Visionario
in risposta, per poi
ritrarre di scatto il bastone, facendo sbilanciare l’uomo e
sferrandogli un
calcio all’addome. «E tu?!»
Il
mercenario fece un verso soffocato, ma si risollevò
immediatamente, giusto un
secondo prima che la lama di Dreamer gli trafiggesse la schiena. Si
protesse
con la katana, le armi si incrociarono di nuovo. Un minuscolo sorriso
increspò
le labbra di Wilson, velato tuttavia dalla maschera. «I miei
complimenti. Sei
quasi riuscito a farmela, Joe.»
Dreamer
sgranò gli occhi. Parve più colpito da quel
nomignolo, che da qualsiasi altro
attacco. Ma ci mise ben poco per riprendersi. «Non chiamarmi
così!» ululò,
sferrando un altro calcio che questa volta andò a vuoto.
Slade saltò
all’indietro, ignorando il dolore lancinante alla gamba.
Roteò la
katana. I due avversari si osservarono ancora per un breve momento,
entrambi
con il fiatone. Poi, senza dire altro, ripartirono
all’attacco.
Questa
volta Slade non si risparmiò. Fingendo di non avere nessuna
ferita grave,
attaccò il Visionario con tutto quello che aveva, e la
stessa cosa fece Jeff.
La luna
osservò i due nemici mentre si cimentavano in un susseguirsi
quasi infinito di
affondi, stoccate, sferzate, schivate e parate. La loro sembrava quasi
una
danza, con l’unica differenza che il primo a commettere un
errore sarebbe
morto.
Saltarono
da una parte all’altra del tetto, perfino oltre il bordo per
poi atterrare su
altri tetti, spostandosi di palazzo in palazzo. Ogni millimetro mosso
per
Wilson era un’agonia, ma a lui non importava. Non sapeva
nemmeno più come
facesse a continuare a lottare in quel modo, ormai andava avanti
semplicemente
per inerzia. Ma non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe visto
il suo
avversario a terra, sconfitto.
Non sapeva
ancora quanto avrebbe resistito, sapeva solo che doveva vincere e
concludere
quella faccenda di cui da tanti anni sapeva di essere il principale
colpevole,
anche se non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo. Non a lui.
Tantomeno a
lei. Tantomeno a tutti loro.
Le
battaglie per cui il mercenario aveva sempre combattuto non erano mai
state
davvero importanti per lui, ce n’era sempre stata solamente
una che davvero gli
era interessata. E l’aveva persa, forse perché,
all’epoca, non ci aveva creduto
davvero.
E ora ne
pagava le conseguenze. E il tutto alla vigilia di quella che,
sicuramente, era
la minaccia più grande che il loro pianeta avesse mai visto.
Non voleva
combattere davvero, non con quel ragazzo che aveva di fronte, ma non
aveva
altra scelta. Il suo avversario non si sarebbe mai fermato, per nulla
al mondo.
Nessuna parola, o gesto, sarebbe riuscito a placarlo. Ormai era tardi
per
quello. Doveva sconfiggerlo, e se per fare ciò avrebbe
dovuto ucciderlo,
allora, lo avrebbe fatto.
Avrebbe
patito le pene dell’inferno, ma lo avrebbe fatto. Lo avrebbe
rivisto nei suoi
incubi, ma lo avrebbe fatto. Non se lo sarebbe mai perdonato, ma lo
avrebbe
fatto, comunque, in ogni caso.
Così come
aveva fatto quando era stato costretto ad allontanare Rose da
sé. Non era stata
la scelta più facile della sua vita, tutt’altro,
ma anche in quel caso era
stato costretto. Non aveva avuto tempo per lei e non avrebbe nemmeno voluto vederla
ammalarsi. Aveva dovuto
agire, e basta, ignorando le conseguenze, ignorando i sentimenti
altrui,
ignorando perfino i suoi stessi.
E adesso
non gli restava che concludere anche quella faccenda. Per sempre.
Il bastone
di Dreamer si avvicinò. Slade con un grido di rabbia
sferrò un potentissimo
fendente verso quell’arma, colpendola con il piatto della
katana. L’impatto fu
devastante, Jeff fu disarmato e sbilanciato all’indietro.
Barcollò, stordito ed
indifeso. Wilson lo colpì con un calcio allo stomaco,
scaraventandolo contro il
cabinato di un’uscita di emergenza. Il ragazzo
sbatté contro il muro, poi cadde
carponi, tossendo.
«Mi
dispiace» disse Slade, sollevando la katana, pronto per
finirlo.
«No...»
sibilò Jeff, scuotendo la testa, per poi muoversi con una
rapidità
impressionante. «... non è vero!»
Si fiondò
contro l’uomo, placcandolo all’addome. Wilson
mugugnò di dolore, entrambi
caddero a terra, l’uno sopra l’altro, e la spada
scivolò dalle mani del
mercenario.
Dreamer
mosse il proprio braccio di scatto, con un gesto secco, e un coltello
sbucò
fuori dalla manica. Lo afferrò al volo, poi
attentò al collo di Slade.
Deathstroke notò la nuova arma e sgranò
l’occhio. Mosse l’unica mano che poteva
controllare e bloccò l’attacco
dell’avversario afferrandolo per il polso. Il
coltello rimase sospeso a mezz’aria, tra lui e il Visionario.
«A te...
non è mai dispiaciuto niente!» soffiò
Dreamer, mentre digrignava i denti per lo
sforzo.
«Ti
sbagli.»
Wilson si alzò di colpo, sferrandogli una testata. Jeff
gridò e cadde
all’indietro, perdendo il coltello.
Entrambi si
risollevarono, gemendo per la fatica. Dreamer aveva il naso che
sanguinava,
mentre il dolore al braccio e alla gamba di Wilson cresceva inesorabile.
Il
Visionario gridò e si avventò
sull’uomo, sferrandogli un pugno sul lato del
capo, dove la maschera non lo avrebbe protetto. «Io non mi
sbaglio affatto!»
Slade non
riuscì a spostarsi e fu colpito. Barcollò
all’indietro, mugugnando, poi sferrò
un pugno a sua volta, colpendo proprio il naso del ragazzo.
«Sì, invece! A me
importa! Mi è sempre importato!»
Jeff
barcollò a sua volta, facendo un verso di dolore.
Scrollò il capo per
ricomporsi, gocce di sangue caddero dal suo volto, mentre la chiazza
rossa si
allargava. Si toccò con due dita sotto il naso, per poi
ringhiare di rabbia
quando notò il colore scarlatto che queste avevano assunto.
Ripartì alla
carica, sferrando un altro pugno al nemico. «Sei solo uno
sporco bugiardo!»
Ancora una
volta Slade incassò il colpo, avvertendo una lancinante
fitta di dolore alla
tempia. Tossì del sangue, che andò a macchiare la
maschera dall’interno,
riempiendola di un odore nauseabondo. Rantolò di rabbia, poi
colpì nuovamente
l’avversario, questa volta su una guancia. «E tu
sei uno stupido moccioso!»
Questa
volta il ragazzo perse l’equilibrio e cadde a terra, di lato.
Il cappello gli
scivolò dal capo, lasciando scoperti i suoi capelli biondi,
mossi e spettinati.
Tossì a sua volta, rialzandosi sui gomiti. Rimase a terra
per un momento, a
riprendere fiato, mentre Wilson lo osservava barcollando, incapace di
fare
qualsiasi cosa a causa del dolore agli arti.
Poi,
Dreamer gridò a squarciagola per la rabbia e si rimise in
piedi fulmineamente,
voltandosi e sferrando un calcio girato nuovamente alla tempia
dell’uomo. Slade
osservò la gamba avvicinarsi a lui, impotente, e fu colpito.
Ruzzolò a terra,
mugugnando per il dolore. Si rese presto conto che quel calcio gli
aveva
spostato i legacci della maschera da dietro l’orecchio,
facendogliela saltare
via. La gelida aria della notte sferzò sul suo volto e sulla
barba ispida,
punzecchiandolo. Alcuni spifferi scivolarono sotto la benda
sull’occhio,
bruciando sulla cicatrice.
«Se
davvero... ti importava...» rantolò Dreamer, nel
frattempo. «... allora
dov’eri... quando il mondo ci cadeva addosso?!»
L’uomo
sollevò lo sguardo e lo vide in faccia. Sentì le
propria interiora
attorcigliarsi quando notò il suo volto ridotto ad una
maschera di sangue,
lividi e trucco sbiadito. I suoi occhi verdi scintillanti e la sua
bocca
contratta in una smorfia trapelavano un misto di emozioni tra la rabbia
e anche
tra qualcosa di molto, molto più angosciante: la tristezza.
Slade
abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo ancora negli
occhi. «Mi dispiace.»
«Sì...
dispiace anche a me!» Jeff ripartì alla carica,
gridando a pieni polmoni.
Wilson si
alzò nuovamente in piedi, e lo scontro poté
proseguire. Calci, pugni, ginocchiate,
gomitate. Nessuno di loro aveva più la forza di schivare i
colpi. Jeff si
procurò un occhio nero e sputò anche un dente,
mentre il sangue continuava a
scendere dal suo naso.
Dal canto
suo, Slade non era messo molto meglio. Gli si era strappato un
sopracciglio, e
il liquido vermiglio stava colando sul suo unico occhio buono,
impedendogli di
vedere nitidamente il proprio avversario, e gli si erano anche tagliate
entrambe le labbra.
«Ti
odio»
biasciò Jeff, in un momento di pausa nel quale entrambi
rimasero fermi, con le
braccia abbandonate a peso morto accanto ai fianchi, reggendosi in
piedi per
miracolo.
«Immagino...
di meritarmelo...» osservò Wilson, mentre
annaspava.
«Ci hai
abbandonati, e ci hai trattati come spazzatura. Soprattutto me. Certo
che te lo
meriti.»
«Lo so. Lo
so.» Slade sospirò e chinò il capo,
scuotendo lentamente la testa. «Non avrei
mai dovuto fare tutte quelle cose. E avrei anche dovuto... imparare ad
accettarti... per quello che eri.» Risollevò lo
sguardo, osservando quel volto
distrutto che era quello del suo avversario, immaginandosi al suo posto
quello
che aveva il giorno in cui lo aveva visto per la prima volta.
«Non potrò mai
cambiare ciò che ho fatto in passato... ma ora devi capire
che ci sono
questioni... molto più importanti da risolvere. Non dobbiamo
combatterci. Sei
in pericolo, ragazzo. Tu... Rose... tutti quanti.»
«Che genere
di pericolo?»
«Devo...
tornare... al laboratorio...» biascicò
l’uomo, evitando la risposta come in
trance. «Mi servono... altri campioni...»
Le forze
abbandonarono il corpo di Wilson. Il mercenario cadde a terra, con un
lamento
soffocato. Il pensiero di rialzarsi immediatamente nemmeno gli
sfiorò la mente,
esausto com’era. Gli arti non volevano più
rispondere ai suoi comandi. Tossì altro
sangue, sollevò lo sguardo e vide il ragazzo osservarlo
dall’alto, celato
dietro un’espressione indecifrabile.
«Non...
deve... finire così...» rantolò ancora
Slade, cercando a fatica di appoggiarsi
sui gomiti, ogni millimetro mosso era un agonia.
«Hai perso,
vecchio. Ora basta lottare inutilmente.»
L’uomo
sollevò di nuovo lo sguardo, impietrì quando vide
la sua stessa katana in mano
al Visionario. Dreamer aveva il fiatone, il sangue continuava a colare
dal
naso, aveva i capelli arruffati e a malapena si reggeva in piedi, ma si
avvicinò comunque al mercenario.
«No...
aspetta...»
«Ho
già
aspettato... molto più di quanto tu possa credere... ma ora
basta.» Jeff
torreggiò su di lui, sollevando la katana con entrambe le
mani. «Ho passato
tutta la vita... ad aspettare... e le cose sono andate di male in
peggio.
L’unico modo per aggiustare tutto... è
ricominciare da capo. Da zero. Da solo.
Senza di te... e senza Rose.»
Slade
sgranò l’occhio. «Cosa... che... che
cosa hai fatto a Rose?!»
Un sorriso sadico
si dipinse sul volto del Visionario. Fu peggiore di qualsiasi risposta,
per
Wilson.
«Ho fatto
ciò che andava fatto. E ora tocca a te.»
Un
sentimento che mai Deathstroke aveva provato affiorò dentro
di lui.
Paura.
Un
sentimento terribile, straziante, che fece capire al mercenario quanto
impotente fosse in quel momento. «Rose... bambina
mia...» sussurrò, mentre
sentiva l’occhio inumidirsi. «No...»
Sollevò lo
sguardo, osservando quel ragazzo con sguardo implorante.
«Joseph... ti
scongiuro...»
«Joseph
è
morto. Sei stato tu ad ucciderlo. Ora c’è
solamente Jeff Dreamer. E lui...
diventerà l’imperatore di questo mondo marcio che
è rimasto ad osservarlo
mentre la sua vita scivolava nell’oblio!» Nello
sguardo del Visionario balenò
una luce maligna. «Osserva con i tuoi occhi, ciò
che TU hai creato. Hai gettato benzina sulle fiamme
del mio odio per anni e anni! Tu mi hai fatto questo! Tu mi hai
trasformato in
un mostro! E ora tu ne pagherai le conseguenze. Ucciderò te,
i tuoi uomini,
porterò via tutto quello per cui hai combattuto,
farò crollare le tue speranze
come un castello di carte!
«Prenderò
Sub City sotto il mio comando, cancellerò ogni traccia del
tuo governo, la
gente imparerà a rispettarmi, tutti si inchineranno di
fronte a me, volgendomi
il rispetto che merito! Dovranno temermi, amarmi, pregare che io sia
clemente e
che non uccida le loro famiglie davanti ai loro stessi occhi!
Spazzerò via il
tuo impero, e sulle sue ceneri ci costruirò il mio, proprio
come tu stesso avevi
previsto! Da oggi in poi, si giocherà secondo le mie regole.
Il cambiamento è
arrivato, infine. Hai perso la guerra, vecchio. E ora soffri, soffri
come ho
sofferto io!»
Il ragazzo
calò la katana, trafiggendo la schiena dell’uomo,
facendolo gridare di dolore.
Il suo fu un urlo straziante, la cosa peggiore che qualcuno avrebbe mai
potuto
udire. Un urlo fatto di dolore fisico e mentale. L’urlo di un
uomo che aveva
lottato fino allo stremo delle forze per una causa nella quale credeva
fino in
fondo, e che aveva perso. L’ urlo di un uomo che assisteva in
prima persona
alle conseguenze che il suo stesso comportamento avevano provocato.
L’urlo di
un uomo che era stato privato di tutto ciò che gli era
rimasto per mano di una
persona che, in profondo, ancora amava.
Il suo
ultimo pensiero andò a ciò che era sicuramente
stato il suo tesoro più prezioso.
Ciò di cui era sempre stato orgoglioso, ciò che
avrebbe dovuto difendere fino
allo stremo delle forze, e che invece aveva perso nel modo
più orribile di
tutti.
Il dono che
la donna che aveva amato anni addietro gli aveva portato. Tre doni, per
l’esattezza:
Grant, il
primogenito, il suo orgoglio, il suo sé stesso ma
più giovane, testardo,
astuto, forte, incapace di arrendersi e di ammettere la sconfitta.
Rose, la
sua bellissima figlia, leale, coraggiosa, sportiva, sempre con il
sorriso
stampato sulle labbra, gentile e buona come il pane.
E per
finire l’ultimo ma non per importanza, quello che, nonostante
le sue
difficoltà, sicuramente avrebbe potuto essere il
più promettente dei tre, dotato
di un intelligenza sopraffina, un vero e proprio bambino prodigio.
Così volle
ricordare i suoi tre figli nel suo ultimo attimo di vita, ossia per
ciò che
erano stati in passato, e non per ciò che erano diventati
per colpa sua.
«È
sempre
più buio prima dell’alba. Peccato che
l’alba non giungerà mai più a Sub
City»
sibilò ancora Dreamer, in un momento in cui Deathstroke fu
ancora in grado di
sentirlo. «La città ora è mia. E non
preoccuparti per il tuo caro laboratorio,
ci hanno già pensato i miei uomini a bruciare tutto
quanto.»
Jeff
ridacchiò, mentre l’uomo, ormai ad un passo dal
grande salto, gli rivolgeva
un’ultima occhiata carica di sconforto.
«Ci
rivedremo all’inferno, padre.»
La katana
fu estratta dalla schiena. L’oblio avvolse il corpo di Wilson
Slade.
***
Rachel si svegliò di soprassalto,
colpita come
da una doccia gelata. Si alzò di scatto, la coperta
scivolò via dal suo corpo,
lasciandola al gelo.
Un turbinio di pensieri e immagini sfocate e
confuse impazzavano nella sua testa come un uragano. Riuscire a
cogliere
qualcosa di sensato in mezzo a quel pandemonio le fu impossibile.
Gocce di sudore freddo le imperlavano la fronte.
Rabbrividì, ma non solo per gli spifferi d’aria.
Tutto quello che aveva visto,
udito, percepito... non le sembrava minimamente possibile.
Dai sentimenti che Wilson le aveva inviato senza
nemmeno rendersene conto, alle parole che lui e Dreamer si erano
scambiati, al
loro cruento scontro.
Il fatto che lei aveva assorbito i poteri di
Wilson per poi, in seguito, osservare il mondo dai suoi occhi come
anche era
accaduto con Hank, la vera identità di Jeff, Rose, la
terribile minaccia di cui
Slade aveva accennato, la morte dello stesso mercenario.
Improvvisamente, molti più tasselli del
mosaico
andarono a comporsi insieme, e il disegno in esso raffigurato
cominciò ad
apparire più chiaro agli occhi di Rachel. E più
tutto questo accadeva, più lei
sentiva dei brividi percorrerle la spina dorsale.
Jeff Dreamer...
Joseph Wilson. Figlio di Slade Wilson. Fratello
di Rose Wilson. In cerca di
vendetta per i torti subiti in passato... alla disperata ricerca di un
nuovo
inizio, un inizio che comprendeva lui e lui soltanto. Nemmeno Rose, la
sua
stessa sorella, meritava di farne parte.
Rose... la ragazza che Rachel e i suoi compagni
avevano trovato morta nel loro stesso rifugio... assieme a Ryan.
Rachel comprese. Comprese tutto quanto. La
verità fu un pugno allo stomaco, per lei. Anzi, peggio
ancora.
Era stata usata.
Tutto faceva parte del piano di Dreamer, ogni
cosa. Mentre lei tentava disperatamente di salvare la vita di Tara, il
Visionario tesseva la sua fitta ed intricata ragnatela. Aveva permesso
che la
sua stessa luogotenente morisse, la stessa ragazza che invece lo aveva
ammirato
e dipinto come un salvatore.
Jade, Rose, Ryan e chissà quante altre
decine di
uomini e donne che costituivano i suoi Visionari erano morti per
permettergli
di perseguire il suo scopo. Non avevano davvero lottato per la
libertà che era
stata loro promessa, erano solamente stati dei burattini nelle mani del
loro
capo, che in realtà aveva sempre e solo voluto vendetta. E
ora, Rachel dubitava
perfino della colpevolezza di Wilson.
Aveva fatto cose orribili, vero, ma lei era
appena stata nella sua mente. Aveva percepito i suoi sentimenti, le sue
emozioni, il suo profondo dispiacere, e aveva anche capito che tutto
ciò che
Deathstroke aveva fatto, era davvero stato per proteggere le persone da
un
qualcosa di talmente pericoloso e potente che perfino lui stesso aveva
temuto.
Un qualcosa che nemmeno lei era riuscita a comprendere, ma che era
molto più
vicino di quanto potesse immaginare, o che addirittura era
già arrivato.
Qualcosa che avrebbe ucciso tutti i suoi amici, e forse anche lei.
Certamente, Wilson non era buono. Ma non era
nemmeno il cattivo che aveva creduto lui fosse. L’unico,
vero, cattivo che
esisteva a Sub City... era Dreamer. Un folle disposto a sacrificare
tutto
quello che aveva, persone, amici, perfino famigliari, per perseguire
una
stupida vendetta. E lei lo aveva aiutato.
Lo aveva aiutato a vendicarsi, anzi, di
più.
Sottraendo i poteri a Wilson, lei gli aveva le aperto le porte per il
controllo
di Sub City. Ora lui avrebbe dettato le regole in quella
città. Aveva
detronizzato Slade... solamente per prendere il suo posto, per
distruggere
tutte le sue ricerche e poter completare la sua vendetta nel migliore
nei modi.
E Rachel lo aveva perfino abbracciato. Aveva
abbracciato l’assassino del suo amico. L’assassino
dell’unico uomo che, forse,
era davvero in grado di salvare il mondo, anche se non si sapeva ancora
da
cosa.
Non solo Jeff aveva tradito i suoi alleati, ma
aveva anche condannato il mondo privandolo della vita
dell’unica persona che
davvero sapeva cosa stava succedendo, che forse perfino sapeva quale
fosse la
causa delle esplosioni. Wilson Slade... per tutto quel tempo aveva
detto il
vero. Non era lui la minaccia da combattere. Se lei e i suoi amici non
si
fossero messi in mezzo, probabilmente lui non avrebbe mai fatto loro
del male.
La corvina sentì la bile salire in
bocca. E poi
la rabbia. E infine, un profondo senso di vuoto, amarezza e tristezza.
L’immagine di Ryan che ridacchiava
insieme a
lei, seduto al tavolo di quella tavola calda, balenò nella
sua mente. Era
successo il giorno prima, ma a lei sembravano passati anni. Una lacrima
solitaria solcò la sua guancia. Usata, affranta e con un
amico in meno, ecco
com’era. Anzi, non solo lei, ma tutti i suoi compagni.
E la cosa peggiore in assoluto era che era stata
proprio lei a chiedere aiuto a Dreamer. Se non fosse stato per lei,
forse Ryan
sarebbe stato ancora vivo. Sentì una morsa al cuore quando
ebbe quel pensiero.
Era... anche colpa sua. Era soprattutto,
colpa sua.
Inspirò profondamente, poi si
alzò dal materasso
e scese al piano di sotto. Doveva raccontare a tutti gli altri che cosa
aveva
visto. Ad Amalia in primis. Doveva dirlo anche a lei, principalmente a
lei, e
assumersi le sue responsabilità. O così, o non
sarebbe più riuscita a dormire
di notte.
Credeva che forse era troppo presto e che gli
altri stessero ancora dormendo, ma nella sala relax trovò
Lucas, con in mano
uno straccio, intento a strofinare le chiazze di sangue sul pavimento.
Accanto
a lui c’erano due secchi, uno blu e uno rosso, il primo dei
quali aveva altri
stracci appesi sul bordo.
La ragazza dischiuse le labbra quando lo
notò.
Il moro non ci mise molto ad accorgersi della sua presenza e si
voltò verso di
lei. I loro sguardi si incrociarono. Nei suoi occhi, Rachel lesse il
nulla.
«Non riuscivo a sopportare
l’idea che qui ci
fosse ancora il suo sangue» spiegò lui,
sinteticamente, con tono incolore, per
poi rimettersi a strofinare.
Rachel rimase in silenzio, annuendo lentamente.
Prese uno straccio dal secchio blu e lo bagno nell’acqua al
suo interno, poi si
chinò accanto a lui per poi dargli una mano. Cancellava una
traccia di sangue,
spremeva lo straccio nel secchio rosso facendo colare i residui, lo
immergeva
di nuovo in quello blu e ricominciava. L’odore del sangue a
contatto con l’acqua
era alquanto sgradevole, ma si costrinse ad ignorarlo.
Andarono avanti così a lungo, in
silenzio.
Corvina aveva ancora tutte quelle cose da dire, ma decise che prima
avrebbe
atteso anche gli altri.
Malgrado tutto, quel momento con la sua
compagnia di Lucas riuscì a farla sentire più
tranquilla. Se non altro, c’era
anche lui.
Improvvisamente, Rosso smise di pulire il
pavimento per portarsi l’avambraccio di fronte alla bocca.
Tossì parecchie
volte, questa volta piegandosi perfino. Rachel si allarmò e
avvicinò una mano
verso di lui, ma il moro la rifiutò con un cenno. Dopo
diversi altri colpi di
tosse, riuscì a placarsi. «Sto bene, tranquilla.
È solo... quest’odore che mi
da un po’ alla testa. Forza, finiamo... questa
cosa.»
La conduit annuì timidamente, anche se
la sua
risposta non la convinse molto.
Ci misero un’altra buona
mezz’ora, ma poi
finirono tutto. Svuotarono i secchi nel lavandino e buttarono via gli
stracci,
poi si accomodarono sul divano, rimanendo entrambi in silenzio. Le loro
spalle
si sfiorarono, Rachel sentì un brivido percorrerla, ma
rimase comunque ferma
dov’era.
Avrebbe voluto dire qualcosa per smorzare quel
silenzio, ma non le venne in mente niente. Non le fu, tuttavia,
necessario
soffermarsi a lungo su quel pensiero, perché la porta si
aprì all’improvviso.
Entrambi si voltarono, per poi notare la figura
di Amalia in piedi sull’ingresso. Rachel avvertì
una stretta allo stomaco
quando la vide. Aveva il viso smorto, i capelli arruffati e gli occhi
rossi di
pianto. Non c’era più alcuna traccia della ragazza
arrogante che Corvina aveva
conosciuto.
Komand’r entrò nella stanza e
vide i due ragazzi
seduti. Li osservò per un momento, senza aprire bocca, gli
occhi che non
trapelavano alcuna emozione al di fuori dello sconforto.
Lucas si alzò in piedi e si mise di
fronte a
lei. Amalia spostò dunque lo sguardo su di lui. Rimasero
fermi per un attimo,
poi le labbra della mora tremolarono. La ragazza chinò il
capo e cominciò a
singhiozzare. A quel punto, Rosso si avvicinò a lei e la
abbracciò. Il pianto
di Komi si intensificò. La sorella del defunto Ryan
appoggiò la fronte sulla
spalla del compagno e si strinse con forza a lui, continuando a
singhiozzare
sempre con più intensità.
Rachel si alzò a sua volta, anche lei
con gli
occhi lucidi, e si unì a loro. Cinse sia Amalia che Lucas
per i fianchi,
Komand’r separò un braccio da Red X per accogliere
anche la corvina, e poco
dopo si ritrovarono tutti e tre stretti in un unico grande abbraccio.
Alle spalle di Amalia, sulla porta, Rachel
notò
Tara. La bionda era ferma ad osservare la scena, anche lei con i
lucciconi agli
occhi. Non si aggiunse a loro, probabilmente aveva paura di scoppiare
di nuovo
a piangere. Entrò semplicemente nella stanza e attese che i
suoi compagni
terminassero.
Passarono diversi, lunghi, interminabili minuti,
nei quali Amalia espresse tutto il suo dolore, poi, infine,
riuscì a placarsi.
I tre si separarono, la mora cercò di ripulirsi dalle
lacrime.
Quando il silenzio scese nuovamente nella
stanza, la corvina intuì che era giunto il suo momento.
Inspirò profondamente,
raccolse tutta la forza di volontà che quel momento
così grigio riuscì a
concederle, poi attirò l’attenzione dei suoi
compagni.
«Ragazzi...»
mormorò, ricevendo gli sguardi di
tutti i presenti. La corvina esitò, quando
ripensò a come anche Ryan sarebbe
rimasto ad ascoltarla, se solo ci fosse ancora stato.
Deglutì, poi prese
coraggio e andò avanti: «Devo... dirvi una
cosa.»
Con un giorno di
anticipo, perché io vi voglio tanto bene. Spero che siate
ancora tutti interi, dopo la valanga di informazioni appena ricevute.
Se vi sentite un po' spaesati, state tranquilli, è tutto
normale. Personalmente, ho amato questo capitolo. Penso che sia il mio
preferito tra tutti, in assoluto. Qualcun altro sarà di un
avviso differente, ma vabbé, son gusti.
E quindi... bon.
Potrei dire tantissime cose, ma finirei solo con l'annoiarvi. Se volete
avere le idee più chiare, potete cercarvi la biografia di
Deathstroke sull'internet, scoprirete che ha davvero tre figli, e che
non mi sono inventato nulla.
Certo, Joseph in realtà non è per niente come
l'ho dipinto io, anzi, tutt'altro, ma vabbé, è
proprio qui che entra in scena l'autore. Lui può fare
l'inimmaginabile. A dire il vero, all'inizio pensavo di rendere Jeff
solo un vecchio amico della famiglia Wilson, di Rose in particolar
modo, ma poi Joseph mi è balzato davanti agli occhi di
botto, e ho avuto l'illuminazione. Credo, inoltre, che il tutto abbia
reso molto, mooolto meglio. Sia chiaro, questo è quello che
penso io, sono comunque sempre aperto ad ascoltare differenti opinioni.
Naturalmente, il cambio repertino del background di Jeff ha
scombussolato un po' le cose, ma alla fine è stata la cosa
migliore per la trama.
E niente. Abbiamo scoperto la verità - buona parte, almeno -
su Dreamer e Slade, su chi sia veramente chi e cosa. Io non intendo
sbilanciarmi, lascerò che siate voi a decidere chi dei due
abbia ragione, chi torto, chi sia davvero "buono" e chi sia davvero
"cattivo". Questo perché io per primo ammetto che non
è affatto semplice prendere una decisione. Entrambi hanno le
loro colpe, e allo stesso tempo le loro ragioni per comportarsi nel
modo in cui si sono comportati.
Jeff voleva vendetta, Deathstroke voleva "salvare il mondo". Da cosa?
Ottima domanda. Questa, era la domanda giusta. Purtroppo
però le mie risposte sono limitate.
Poi, penso che ormai sia chiaro cosa sa fare Rachel, senza saperlo, con
i suoi poteri.
Ryan non ce l'ha fatta, tantomeno Rose. Immagino sia chiaro chi sia
stato il loro assassino. E posso ben lasciarvi immaginare che cosa
succederà adesso. Per adesso, i capitoli più
frenetici sono finiti, ma manca ancora un pezzettino prima della fine.
Ci sono ancora delle questioni da risolvere, delle identità
da svelare, dei passati da chiarire... insomma, c'è ancora
una bella carrellata di roba.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io mi sono impegnato a mille.
Credo che tutti abbiano capito che, alla fine, Slade sia stato
sopraffato dalla stanchezza, al termine del combattimento, ecco
perché ha perso. Combattere in quel modo con un braccio e
una gamba fuori uso non credo faccia molto bene.
Piccola nota tecnica, durante il combattimento tra i Wilson, io mi
immaginavo in sottofondo questa
canzone, che ritengo sia
la theme perfetta per Dreamer, da qui deriva inoltre la sua
frase"guerra dei cambiamenti".
Ho detto tutto. Come al solito, ditemi la vostra, che io la ascolto
volentieri.
Ora vado a studiare per la matura (ouch), alla prossima!
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Capitolo 23 *** Simili, ma diversi ***
Capitolo
23: SIMILI, MA DIVERSI
Rachel raccontò ogni cosa.
Partì dal principio,
narrando ai suoi amici di come sognasse di trovarsi nel corpo di Hank,
di come
gli aveva sottratto i poteri e di come, in qualche modo, fosse riuscita
a
creare un legame psichico con lui, prima che questi morisse.
La stessa cosa era poi successa con Wilson.
Aveva visto il mondo dai suoi occhi, aveva assistito in prima persona
al suo
combattimento con Dreamer giusto poche ore prima.
Più parlava, più le sembrava
difficile farlo.
Gli sguardi di tutti, l’attenzione di tutti, erano
concentrati su di lei.
Pendevano dalle sue labbra, non sembravano mai essere stati
così vigili e
attenti come lo erano in quel momento. E la cosa peggiore era che non
era
nemmeno arrivata alla fase più saliente.
Il suo corpo cominciò ad opporsi alla
mente,
mentre tentava di spiegare cosa aveva scoperto su Dreamer. La sua bocca
si
muoveva sempre con più fatica, il tono della sua voce si
abbassava
esponenzialmente, ad un certo punto temette perfino che nessuno di loro
riuscisse più a sentirla.
Infine, concluse il racconto. Dreamer era il
figlio di Wilson, il fratello di Rose, e lui stesso aveva ucciso
proprio
quest’ultima, molto probabilmente riservando lo stesso
trattamento anche a
Ryan, che si era semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento
sbagliato.
Erano stati usati, tutti quanti. Non erano stati
altro che pedine nella scacchiera del Visionario.
Un opprimente silenzio scese nella stanza quando
la corvina terminò di parlare. Nessuno disse nulla, nessuno
fece nulla,
continuarono solamente ad osservarla.
Il loro comportamento la fece sentire a disagio,
in particolare quello di Amalia, la quale, tra tutti, sembrava la
più
pietrificata.
«È... colpa mia...»
sussurrò Corvina, chinando
il capo, mentre un misto di rabbia e tristezza di sollevavano dentro di
lei
come un tornado. «Io... io...»
Si interruppe di scatto, quando sentì un
grido
che le fece sanguinare i timpani. Sollevò gli occhi, giusto
un attimo prima che
Amalia si fiondasse su di lei. Rachel urlò per la sorpresa,
ma non riuscì a
fare altro; Komand’r la colpì allo stomaco ed
entrambe caddero a terra.
La corvina sentì il fiato mancarle, poi
drizzò
il capo, semplicemente per ricevere un pugno in pieno volto, che le
fece
sbattere la testa all’indietro, sul pavimento. Gemette per il
dolore, poi
ricevette un altro pugno, sull’altra guancia, e
avvertì il sapore metallico del
sangue in bocca. Tossì, cercò di guardare Amalia,
con le lacrime agli occhi, ma
non ci riuscì perché ricevette
l’ennesimo pugno.
«Lui è morto!
MORTO!» gridò Amalia, con la voce
rotta per la rabbia, colpendola ancora una volta. «Ti odio
Roth! TI ODIO!»
«Mi... dispiace...»
Le dita della mora si attorcigliarono attorno al
collo della conduit e cominciarono a stringere la presa. Corvina
sentì il fiato
mancarle, poi Komand’r le sollevò la testa, per
poi sbatterla nuovamente sul
pavimento. La vista di Rachel si offuscò,
cominciò a vedere solamente del nero
attorno a lei.
«LE SCUSE NON LO RIPORTERANNO
INDIETRO!»
Corvina boccheggiò, impotente. Quella
frase fu
una pugnalata al cuore, per lei. Tentò di parlare ancora,
poi la sua testa
venne sollevata una seconda volta. Sapeva che ricevendo un altro colpo
come
quello, probabilmente sarebbe svenuta, o anche peggio, ma la sola idea
di
difendersi da Amalia le fece salire la bile. Se lo meritava, dopotutto.
Udì delle altre grida, queste andarono
ad
accavallarsi le une sulle altre, impedendole di capire cosa stesse
accadendo.
Improvvisamente, la presa attorno al suo collo fu allentata e
riuscì di nuovo a
respirare correttamente. Le macchie nere cominciarono a svanire dai
suoi occhi,
e poté scorgere la figura di Amalia mentre veniva
imprigionata tra le braccia
di Lucas e trascinata via da lei.
«Lasciami andare! LASCIAMI
SUBITO!» gridò lei,
scalciando e dimenandosi. «Bastardo, questa cosa non ti
riguarda!»
«Certo che mi riguarda!»
ribatté lui per tutta
risposta. «Uccidere Rachel non ti restituirà
Ryan!»
«Zitto, ZITTO!»
Rachel si rialzò sulle ginocchia. Si
sentiva da
schifo, e non per via del dolore al volto e alla testa.
Drizzò il capo, vide
Lucas mentre lasciava la presa dal corpo di Amalia, quasi
scaraventandola via
da sé, lontano da lui e lontano anche da Rachel.
Komand’r barcollò, poi si
voltò verso di lui, ringhiando come un lupo famelico.
«Ryan era mio fratello,
brutto figlio di...»
«Basta!» si intromise Tara,
parandosi di fronte
alla mora allargando le braccia, quasi come a fare da barriera tra lei
e Lucas,
nonostante fosse più bassa di entrambi di almeno cinque
centimetri.
Non appena vide la bionda, Komand’r
sembrò
calmarsi un poco. Smise di ringhiare, ma la sua espressione infuriata
non mutò
minimante. Strinse i pugni. «Tara... non ti ci mettere anche
tu...»
«Non è Rachel quella che devi
accusare» rispose
la bionda, con calma. «E tu lo sai meglio di me. Senza la sua
idea, io non
sarei qui. La colpa è di Dreamer, è stato lui ad
uccidere Ryan.»
«Avremmo potuto salvarti anche senza di
lui!»
urlò Amalia, chinando la testa per poter fronteggiare meglio
la compagna.
«Forse. O forse sareste morti anche voi
nel
tentativo. O magari non sareste riusciti ad arrivare in tempo e sarei
morta io.»
Tara posò una mano sulla spalla di Komand’r,
ammorbidendo la sua espressione. «Ascolta,
so che sei arrabbiata, infuriata, ma litigare con Rachel non ti
porterà a
niente. Lei ha fatto ciò che ha fatto in buona fede, non
poteva sapere che
Dreamer l’avrebbe ingannata in questo modo.»
La bionda allontanò lentamente la mano
dalla sua
spalla, senza staccarle gli occhi di dosso. Amalia fece lo stesso. Le
due
ragazze rimasero ferme, a scrutarsi, in silenzio. Infine, dopo quelle
che
parvero eternità, la mora abbassò lo sguardo e
rilassò le mani, sciogliendo i
pugni. Per un attimo parve che le parole di Tara avessero davvero avuto
effetto
su di lei, ma poi scosse la testa.
«No...» rantolò,
drizzando di nuovo lo sguardo,
trafiggendo Tara con un’occhiataccia carica di freddezza.
«... ti sbagli.»
La neo conduit sussultò.
«Amalia... ti prego...»
Komand’r la ignorò ed
indietreggiò di un passo
da lei. La scrutò ancora per un momento, poi posò
lo sguardo prima su Rosso,
poi sulla stessa Rachel. Quando i loro occhi del medesimo colore si
incrociarono, Rachel vide prima Stella al suo posto, e poi Ryan. E
ciò le fece
male. Gliene fece parecchio.
Non riuscì a dire o fare nulla, mentre
osservava
la mora allontanarsi da Tara e avvicinarsi alla porta. Esattamente
sull’uscio
si fermò, poi indicò proprio la corvina.
«Se ci rincontriamo...» cominciò a
dire, con voce carica di odio e collera. «... spara per
prima.»
E detto quello uscì dalla stanza, per
poi non
riapparire più.
I tre ragazzi rimasti rimasero immobili. Un
silenzio opprimente calò in mezzo a loro. Sembrava quasi che
tutti loro
stessero aspettando che Amalia ritornasse. Cosa che, naturalmente,
Rachel
sapeva che non sarebbe avvenuta.
«A-Amalia...» Tara fu la prima
a riscuotersi,
per poi sgranare gli occhi. «Amalia!»
Fece quasi per mettersi a correrle dietro, ma
Lucas le posò una mano sulla spalla. La bionda si
voltò verso di lui, sorpresa.
Il moro, senza aprire bocca, si limitò semplicemente a
scuotere la testa. Tara
lo osservò perplessa, mordendosi un labbro, poi
sospirò e annuì lentamente.
Chinò il capo, i capelli le caddero di fronte agli occhi,
celando la sua
espressione addolorata. «Komi...»
mormorò, prossima al pianto.
Lucas si passò una mano fra i capelli,
sospirando rumorosamente a sua volta. In quel momento, Rachel
pensò che non
sarebbe mai più riuscita a guardare negli occhi quei due
ragazzi. Quel gruppo
che aveva creduto fosse diventata la sua nuova famiglia di era appena
sfaldato,
per colpa sua. Ryan non c’era più, e
Komand’r se n’era andata, forse non
sarebbe nemmeno più tornata.
Per colpa di Rachel, Amalia aveva perso
l’ultima
persona a lei cara che le fosse rimasta. Ora la odiava a morte, anzi, la voleva morta. Quella ragazza con cui
aveva creduto di aver stretto un legame solido, che pensava quasi di
poter
chiamare amica, ora non avrebbe esitato a puntarle una pistola alla
testa e
spararle un colpo in piena fronte.
Ha perso
tutto, per colpa mia... proteggere Ryan era la sua ultima ragione di
vita... e
ora lui... lui...
Rachel sgranò gli occhi
all’improvviso,
realizzando una cosa di vitale importanza. Dischiuse le labbra,
drizzando lo
sguardo di colpo, verso la porta.
«No...» sussurrò.
«Non può farlo davvero...»
«Come?» le domandò
Lucas, sentendola. «Hai detto
qualcosa?»
La
corvina si voltò verso di lui,
mordendosi un labbro. Lucas. L’aveva sempre difesa, sempre,
anche in quel
momento in cui lei era davvero l’unica da accusare. E lo
stesso aveva fatto
Tara, nonostante i loro difficili trascorsi. Nonostante tutto,
nonostante la
bionda sembrasse aver instaurato un legame molto più
profondo con Amalia che
con lei, l’aveva comunque difesa dalla stessa
Komand’r.
«Ragazzi...»
mormorò timidamente. «Grazie... grazie
di tutto... vi... vi voglio bene.»
«Ehm...» Lucas
inarcò un sopracciglio, anche la
Markov la scrutò perplessa con i suoi tristi occhi.
Qualunque cosa il suo partner volesse dire, lei
non attese che finisse. Si tirò il cappuccio sui capelli e
corse verso la
porta, sguardo basso, pugni stretti e mascella contratta.
«Rachel!»
La ragazza ignorò quel grido e
tirò dritto,
cercando di ricacciare indietro le lacrime. Uscì dal
magazzino e si trasformò
immediatamente. Si alzò in volo, senza più
guardarsi alle spalle, diretta verso
quel luogo che già due volte aveva visitato, e che di
conseguenza sperava di
non dover rivedere mai più dopo quel giorno.
***
Voci, sensazioni, immagini, pensieri, parole, la
sua mente ora era un mix di tutto ciò.
Dall’abbandono di sua madre, al collegio,
al
giorno in cui lei e Richard si erano conosciuti, fino a quello
dell’esplosione.
E poi il dopo. La quarantena, i Mietitori,
l’appartamento che condivideva con Tara, le scorte di cibo, i
suoi poteri che
si manifestavano, Empire che cadeva a pezzi, Lucas e poi di nuovo
Richard.
E successivamente gli Spazzini, Amalia e Ryan,
la baraccopoli nel Dedalo, di nuovo Tara, il Jefferson Tunnel,
l’addio
definitivo di Richard, la partenza da Empire, Kevin e Dominick.
L’arrivo a Sub City, il loro rapimento
per mano
di Dreamer, il magazzino della Safe Travel, la morte di Hank,
l’incontro con
gli UDG, il rapimento di Tara, di nuovo Kevin, Rose, Deathstroke, la
nascita di
Terra, Jade e la storia della comunità, il combattimento con
Slade, la morte di
Jade seguita poi da quelle di Rose, Ryan e dello stesso Slade.
Più volava, più ricordi
affioravano dalla sua
psiche, più si sentiva infuriata.
Sub City era una nuvola confusa di palazzi e
strade che sfrecciava sotto di lei. Un luogo pieno di insidie, marcio,
corrotto, reso tale dalle bande di degenerati che lo popolavano. Un
luogo che
in molto meno tempo di quanto si sarebbe immaginata, l’aveva
fatta soffrire
quasi come aveva fatto Empire City.
Ma ora era tempo di finirla, e questa volta per
davvero.
Era stanca di farsi mettere i piedi in testa
dagli altri. Per tutto il tempo la sua vita era stata gestita dagli
altri come
se lei stessa non avesse nemmeno voce in capitolo. Era sempre stata
condizionata da qualcuno o qualcosa, non era mai stata davvero libera.
Il suo pensiero non aveva quasi mai contato un cazzo, per gli altri. Aveva
fatto
buon viso a cattivo gioco per troppo tempo. Ora era giunto il momento
di darci
un taglio. Basta gentilezze, basta subire, basta essere buoni.
Un’incredibile
quantità di energia la
animò tutto ad un tratto, permettendole di volare a
velocità ben superiore di
quella a cui di solito viaggiava. Voleva arrivare più in
fretta possibile a
destinazione. Voleva farla finita, una volta per tutte.
Ma
soprattutto, doveva arrivare prima di
Amalia. Prima che anche lei si facesse ammazzare inutilmente. Era
l’ultima
possibilità che aveva per impedire che tutto quanto
precipitasse del tutto.
La
cattedrale apparve di fronte a lei.
Vide un’enorme bandiera issata su un’asta attaccata
al campanile, la quale
raffigurava il simbolo degli UDG su uno sfondo nero, ma contrassegnato
con una
gigantesca X bianca: un messaggio fin troppo chiaro quello che i
Visionari
stavano cercando di mandare, mentre lasciavano svolazzare quel grosso
tessuto
nero sotto la luce del sole mattutino.
Rachel
fece una smorfia quasi
disgustata, poi scese in picchiata. La strada si avvicinò a
lei di dieci metri,
poi trenta, poi cinquanta, infine la corvina si raddrizzò e
puntò al portone
laterale che conduceva ai sotterranei dell’antico edificio.
Distrusse
completamente la struttura di
legno e piombò nei corridoi di mattoni, percorrendoli con
precisione
millimetrica, senza nemmeno sfiorare le pareti con le ali, svoltando ad
ogni
angolo seguendo uno schema ben preciso. Incontrò diversi
Visionari al suo
passaggio, ognuno dei quali, non appena la notava, gridava per la
sorpresa e si
gettava a terra per non farsi colpire. Andò avanti in quel
modo, fino a quando,
alla fine, non arrivò ad una porta tagliafuoco.
La
sfondò, esattamente come aveva fatto
con il portone di legno, ed entrò nell’enorme
salone causando uno spostamento
d’aria simile a quello di un elicottero. Atterrò
in picchiata, causando
un’esplosione di energia nera che si propagò tutto
attorno a lei, per poi
svanire insieme alla sua forma da rapace.
Si
drizzò sulle gambe, stirando gli
arti, per poi posare lo sguardo esattamente di fronte a sé.
Le venne quasi da
sorridere sadicamente, quando vide Dreamer seduto sul suo trono
osservarla
sbalordito. Rachel era sicura al cento percento che lo avrebbe trovato
lì, a
gongolare, ma comunque scoprire quanto il suo egocentrismo superasse
tutti i
limiti umani conosciuti, le fece venire il voltastomaco.
Accanto
al leader dei Visionari si
trovava una donna bionda, intenta a ritoccare con alcuni tamponi le
zone del
volto di Dreamer ancora martoriate dalle ferite inflittogli dal padre,
come il
suo occhio nero, o le croste sulle labbra e sotto al naso. Pure questa
era
rimasta atterrita, quando la corvina era piombata nella stanza.
«Va’ pure» borbottò Jeff
alla donna,
invitandola ad allontanarsi con un cenno della mano. «Me
ne occupo io.»
La Visionaria non se lo fece ripetere due volte.
Si voltò, bracciando la propria roba, e quasi corse via.
Dopodiché, Joseph si
alzò dal trono, allargando le braccia e sorridendo
cordialmente. «Rachel! Ma
che piacevole sorpresa! Qual buon vento ti porta...»
«Rose è morta» lo
interruppe lei di colpo, con
tono severo, cominciando ad avvicinarsi a lui. «E visto che
tu avevi intenzione
di venire a riprendertela, prima o poi, era giusto che lo sapessi.
Sarebbe
stato un peccato fare un viaggio a vuoto, no?»
Dreamer assunse un’espressione sconvolta.
«Co...
cosa? Come... com’è possibile?! Che è
successo?!»
Rachel incrociò le braccia, senza mutare
per
nulla il suo sguardo. Ripugnante, ecco come le sembrò il
Visionario. Quel
tentativo di apparire sorpreso fu la cosa più viscida e
schifosa che ebbe mai
avuto modo di vedere in quella sua triste e buia vita.
«Perché non me lo
racconti tu cos’è successo, Joseph?»
Questa volta, Jeff parve realmente sbigottito.
Sgranò gli occhi e serrò le labbra, squadrandola
come se lo avesse appena punto
con un ago incandescente. Poi, il suo sguardo mutò
all’improvviso e stirò le
labbra in un sorrisetto. Chinò il capo, ridacchiando
sommessamente, poi scosse
lentamente la testa. «Rachel, Rachel... sei sempre
più sorprendente. Fammi
indovinare, hai imparato a leggere nel pensiero?»
«No. Ho i miei metodi per scoprire le
cose, e tu
non sei tenuto a conoscerli.»
Il Visionario ridacchiò nuovamente.
«Touché.
Beh...» Sollevò le spalle, chiudendo le palpebre
con una falsa aria di
innocenza. «... cosa posso dirti, Demone, è
successo semplicemente quello che
doveva succedere. Rose era una ragazza stupenda, la sorella migliore
che
potessi desiderare, ma alla fine anche lei si è rivelata per
quello che era,
ossia una persona debole e dalla volontà più
fragile di un cristallo. Ho dovuto
eliminarla, affinché anche lei espiasse alle sue
colpe.»
«Sperare che un padre ricambi
l’affetto di una
figlia è una colpa?!» quasi urlò
Rachel, stringendo i pugni.
«Non è solo questo il
problema, Rachel. Comportandosi
in quel modo Rose ha fatto cose che mai avrebbe dovuto fare,
infrangendo
promesse che aveva fatto a me, a nostra madre, al nostro altro
fratello. Mi ha
deluso, mi ha abbandonato, è stata causa di sofferenza, per
me. Anche lei
doveva pagare, come Wilson.»
«E Ryan, invece?! Lui che cosa
c’entrava in
tutto questo?!»
Jeff scrollò le spalle, con una
noncuranza che
fece ribollire il sangue nelle vene a Rachel. «Si
è intromesso in una faccenda
che non lo riguardava. Ho semplicemente agito d’istinto. Non
avevo intenzione
di ucciderlo, ma lo ha voluto lui.»
«Quindi...» Rachel strinse i
pugni per la
rabbia. «Non c’era nemmeno un motivo?!
L’hai ucciso, semplicemente perché ti
sembrava il caso di farlo?! Hai spento una vita come se non fosse altro
che una
candela?!»
«Immagino che delle scuse non
servirebbero a
nulla.»
«No che non servirebbero!»
gridò Corvina,
pestando con forza il piede sul pavimento. «Ti sei preso
gioco di noi! Hai
ucciso il nostro amico! Come puoi anche solo pensare che delle semplici
scuse
possano...»
«Lascia che sia io a porti una domanda,
prima
che tu finisca di parlare» fece Dreamer, sollevando un indice
e puntandolo in
sua direzione, zittendola con quel gesto.
«Permetti?»
Joseph scese dal palco, per poi avvicinarsi a
lei con calma. Si ritrovarono poco dopo faccia a faccia, un solo metro
li
separava. Rachel notò che il suo trucco da teschio si era
quasi prosciugato del
tutto, il Visionario le stava parlando quasi al naturale, privo della
sua
maschera. Era molto più abbronzato di quanto avrebbe mai
potuto immaginare,
sotto il bianco della pittura. La sua pelle aveva la
tonalità del caffèlatte,
gli occhi verdi erano molto più grandi e penetranti di
quanto ricordasse e i
lineamenti del suo viso erano molto meno spigolosi rispetto a quelli di
Lucas,
o altri ragazzi.
Era bello. Rachel avvertì un nodo allo
stomaco
quando se ne rese conto. Per qualche strano motivo, quella cosa le
diede
parecchio fastidio.
«Dunque, Rachel»
cominciò lui, mentre iniziava a
camminarle lentamente intorno, aggirandola, senza staccarle gli occhi
di dosso.
«Non so come tu ci sia riuscita, ma hai scoperto il mio vero
nome. Hai scoperto
che Rose era mia sorella, che Wilson era mio padre e che Ryan
è morto per mano
mia. Immagino, a questo punto, che tu sappia anche che lo stesso
Deathstroke
non è più tra noi. Ho ragione?»
Corvina annuì lentamente, senza
abbassare la
guardia nemmeno per un istante.
Dreamer continuò a camminarle attorno,
fino a
quando non si fermò nuovamente di fronte a lei. A quel
punto, si sporse in
avanti, per permetterle di udire meglio ciò che
sussurrò: «Allora, dimmi. Se
Ryan non fosse morto... saresti comunque venuta qui da me?»
Rachel ammutolì. Quella domanda la
spiazzò
completamente.
«Dimmi» ripeté il
Visionario. «Se non avessi
fatto del male al tuo gruppo di amici, ma avessi ugualmente proseguito
per la
mia strada, uccidendo solamente Rose e Slade, saresti tornata qui da me
in
cerca di vendetta?»
«Non sono qui in cerca di
vendetta» rispose all’improvviso
lei.
«Rispondi alla mia domanda»
parve quasi un
ordine, quello di Dreamer.
Di nuovo, la corvina non seppe cosa rispondere.
Distolse lo sguardo da lui per la prima volta, sentendosi quasi una
stupida per
quella sua inadeguatezza. Se Ryan non fosse morto... si sarebbe trovata
lì
comunque?
«Magari, quello di farti venire qui era
proprio
il mio intento» suggerì Dreamer, osservandola.
«Magari, volevo solamente farti
capire che, per quanto impossibile ti possa sembrare, io e te siamo
molto più
simili di quanto tu creda.»
La conduit sgranò gli occhi.
«Ma che stai
dicendo? Io e te non siamo affatto simili! Tu sei un pazzo, un
sociopatico, un
egocentrico, un...»
«Ipocrita» suggerì
lui, annuendo lentamente, per
poi sorridere in segno di trionfo. «Proprio come
te.»
«Non... non ti seguo...»
«Tu non saresti mai venuta qui se il tuo
amico
non fosse morto» rispose il Visionario, puntandole addosso
l’indice. «Per tutto
questo tempo, tu hai agito con il solo e unico scopo di proteggere te
stessa e
i tuoi amici. A te non è mai importato di me, di Wilson o
della città. Volevi
solo essere tranquilla. E se Ryan non fosse morto, tu lo saresti stata.
Saresti
stata libera di andartene, sana e salva, infischiandotene di Sub City e
dei
suoi abitanti. Ho ragione?
«Noi siamo simili, perché
entrambi per tutto
questo tempo abbiamo agito per noi stessi. Per poter ottenere quel
misero
sprazzo di felicità in una vita piena di dolore e angosce. I
nostri mondi sono
crollati di fronte ai nostri occhi, tu ti sei trasformata in un mostro,
e anche
io, in un certo senso.
«Per te la felicità
è vivere insieme ai tuoi
amici, per me la felicità era farla pagare a mio padre per
come si è sempre
comportato con me e i miei fratelli, ed entrambi abbiamo usato ogni
mezzo a
nostra disposizione per poterla ottenere. Io ho usato te, ma anche tu
hai usato
me, quando hai chiesto il mio aiuto per salvare Tara.
Perciò, dimmi, saresti davvero venuta
fino a qui, se tu avessi
ottenuto solamente ciò che volevi?»
Improvvisamente, le convinzione di Rachel
crollarono come un castello di carte. Con gli Underdog fuori gioco,
Tara salva,
i suoi amici tutti vivi, i confini della città nuovamente
liberi... sarebbe
comunque tornata da Dreamer? Lui aveva avuto un secondo fine per tutto
il
tempo, li aveva usati come delle pedine, per colpa sua un sacco di
persone
erano morte... però lei e i suoi amici sarebbero stati
comunque liberi di
andarsene, voltare pagina, dimenticarsi di lui e della
città. Ma lei lo avrebbe
fatto? Avrebbe permesso che un essere disgustoso come Dreamer restasse
impunito?
Lei non era un’eroina o altro, che motivo
avrebbe avuto di impicciarsi in quegli affari? Per tutto quel tempo lei
non
aveva fatto altro che agire per proteggere sé stessa e i
suoi amici, cosa che aveva
ancora intenzione di fare. Di Rose, di Sub City, degli Underdog, non le
importava, non le era mai importato assolutamente nulla. Voleva solo
essere
libera. Lei agiva per il suo scopo, il Visionario per il suo. In un
certo
senso, pure lei aveva usato Joseph per perseguire il suo obiettivo di
salvare
Tara. Perciò... chi era davvero lei, per poter giudicare
Dreamer?
Una persona
onesta, suggerì
all’improvviso una voce nella sua testa. Ma non era la sua.
Era la voce di una donna.
Una persona
intelligente, forte e di buon cuore. Una persona che saprà
sempre quando sarà
il momento di fare la cosa giusta, una persona che gli altri
ammireranno.
Questo, sarai, figlia mia. Ne sono sicura.
Rachel dischiuse le labbra. Ebbe un flashback,
di lei da bambina, sotto le coperte, con sua madre seduta sul bordo del
letto. Quella
sera, dopo aver ascoltato la favola della buona notte, lei le aveva
domandato
come sarebbe stata da grande. E Arella le aveva detto quelle parole,
con un
sorriso in grado di rischiarare le notti più buie e
tempestose.
So che un
giorno mi renderai orgogliosa di te.
La vista di Corvina si appannò,
sentì le labbra
tremolare. Quando il ricordo svanì, si ritrovò di
nuovo catapultata in quella
sala, con di fronte il sorriso beffardo di Dreamer. Fu costretta a
ricacciare
indietro la nostalgia, insieme alle lacrime, e strinse i pugni.
«Tu... ci hai mentito»
sussurrò, a denti
stretti, mentre la rabbia cresceva dentro di lei inesorabile.
«Non mi risulta» rispose lui,
serio in volto. «Ho
semplicemente onorato il nostro accordo. Tu mi aiutavi ad eliminare
Wilson, io
ti aiutavo a salvare la tua amica. Non vedo menzogne in tutto
ciò.»
«Tu non volevi solo eliminare
Wilson!» esclamò
la conduit, quasi gridando. «Tu volevi prendere il suo posto!
Volevi Sub City!
Tu non agognavi la libertà come hai sempre fatto credere,
volevi solamente
vendetta! Per tutto questo tempo, tu hai mentito non solo a me e ai
miei amici,
ma a tutti quanti, perfino ai tuoi Visionari! Li hai convinti con
l’inganno ad
allearsi a te, con questa scusa della Guerra dei Cambiamenti, solamente
per
poter creare il tuo esercito personale per poter farla pagare a tuo
padre! Non
c’era assolutamente niente di nobile nelle tue azioni,
NIENTE!
«Uomini e donne che si fidavano di te,
che
credevano che tu li avresti condotti verso la libertà, sono
morti! Hai perfino
osservato la tua stessa luogotenente mentre veniva uccisa da
quell’uomo che
tanto odiavi! Ma hai
la più pallida idea
di cosa tu significavi per Jade?! Lei ti vedeva come un salvatore! Si
sarebbe
gettata nel fuoco, per te! E tu l’hai lasciata morire,
solamente perché non
volevi rischiare che la tua stupida vendetta potesse risentirne! Come
credi che
reagirebbe lei vedendoti così, mentre infrangi tutte le tue
promesse?! Credi che
lei sarebbe rimasta in silenzio? Credi che avrebbe accettato la cosa?!
No, non
lo avrebbe fatto. Si sarebbe sicuramente schierata dalla mia parte!
«Il tuo comportamento è uno
schiaffo nei
confronti di tutte quelle persone che, come Jade, hanno combattuto al
tuo
fianco perché credevano in te! Io stessa ho creduto in te,
per un momento! Sei
solo un verme, un doppiogiochista che crede che la vita delle altre
persone non
abbia alcun valore! Per te uccidere una persona equivale a buttare via
un paio
di scarpe, l’unica persona importante per te sei tu, neppure
la tua stessa
sorella, sangue del tuo sangue, meritava di vivere! Neppure le hai
permesso di
difendersi, l’hai assassinata
a sangue
freddo, mentre era legata ad una sedia! Come puoi vivere in pace con te
stesso
dopo aver fatto una cosa del genere?!
«E per finire, hai ucciso
l’unico uomo in grado
di poter davvero svelare la verità dietro alle esplosioni!
Tuo padre sapeva
cose che noi non possiamo neanche immaginare, e che la cosa ti piaccia
o no,
lui ci serviva vivo! Uccidendo lui e distruggendo il suo laboratorio
hai
cancellato qualsiasi vana speranza di scoprire davvero cosa sia
successo al
mondo intero e quali siano state le cause delle esplosioni!»
Fu il turno di Rachel quello di puntare il dito
al petto dell’interlocutore. «Potremmo anche essere
simili come tu dici, ma c’è
sicuramente una cosa che ci distinguerà sempre: io non sono
una bugiarda. Per
quanto tempo continuerai a tenere in piedi questa ridicola farsa?
Scommetto che
non hai nemmeno detto ai tuoi uomini che Wilson è morto. Ho
ragione?»
Dreamer non rispose. Rimase in silenzio,
impassibile, quasi come se tutte le parole dette da Rachel non lo
avessero
minimamente scalfito.
Corvina continuò a scrutare con odio il
Visionario, mentre lui chiuse le palpebre, sospirando rumorosamente.
«Complimenti,
Rachel» disse, con voce piatta. «Hai colpito nel
segno.»
Un vociare sempre più intenso giunse
alle
orecchie di Rachel, mischiandosi ben presto al rumore di passi. Pochi
istanti
dopo, le porte laterali della stanza furono spalancate e decine di
Visionari si
riversarono fuor da esse, puntando i fucili contro la conduit. A
capitanare
tutti loro, c’era la donna di poco prima.
Rachel si accorse di tutti loro e storse il
naso. «Quando hai intenzione di dire loro tutta la
verità?»
«A suo tempo.»
Quella risposta non piacque molto alla corvina.
La ragazza digrignò i denti, mentre le labbra di Dreamer si
schiusero in un
altro sorriso. «Dunque che intenzioni hai, adesso? Vuoi
uccidermi?» Il
Visionario intimò ai propri uomini di mantenere la calma,
con un cenno della
mano. «Tu non ne hai il coraggio, Rachel.»
«Hai ragione, non ce
l’ho» rispose Rachel, per
poi serrare la mascella. «Ma i miei poteri
sì!»
Emise un urlo disumano ed allargò le
braccia. Il
suo intero corpo si illuminò di nero, mentre i suoi poteri
si manifestavano per
ciò che erano davvero, dopo mesi e mesi di reclusione
all’interno del suo
corpo. Dreamer indietreggiò di scatto, spalancando le
palpebre. Questa volta,
parve davvero intimorito.
«Uccidetela!» gridò,
mentre i suoi uomini si
affrettavano ad accerchiarlo e ad aprire il fuoco sulla conduit.
Pochi millesimi di secondi, e vi fu il caos
più
totale.
Centinaia e centinaia di proiettili si
abbatterono sul corpo di Rachel, tuttavia nessuno di essi le
arrecò il benché
minimo danno. L’energia oscura aveva cominciato a farsi
più forte e ad
avvolgersi attorno al suo corpo, proteggendola da ogni minaccia.
Lacci fatti di oscurità spuntarono da
ogni dove,
afferrando e mettendo fuori gioco gli uomini armati, fulmini esplosero
in
automatico fuori dal corpo della corvina come un temporale, colpendone
altri,
sfere nere si catapultarono in ogni antro della stanza, esplodendo come
granate.
E in mezzo a tutto questo sfacelo, Rachel
continuava ad essere immobile, con il capo gettato
all’indietro, la bocca
spalancata in quell’urlo spaventoso e le braccia distese.
Era stanca, stanca morta, di giocare sempre secondo
le regole degli altri. Era stata usata, tradita, umiliata, ferita sia
nel corpo
che nella mente per mano di molti più individui di quanto
avrebbe mai creduto. Ma
ora era tempo di finirla. Ora, era il tempo di mostrare davvero a
Dreamer e al
mondo intero di che pasta era fatta.
Una quantità di energia mostruosa si
stava
liberando al di fuori di lei, un potere così grande che la
corvina non aveva
mai nemmeno lontanamente immaginato di possedere.
Nessun Visionario, nessuna arma, nessun
proiettile l’avrebbe mai potuta intimidire, in quel momento.
Nulla era in grado
di contrastarla. La cosa la fece sentire bene, tremendamente bene.
Sapeva che
tutto ciò era sbagliato, sapeva che fondere in quel modo i
suoi poteri con
tutta la sua collera repressa non avrebbe portato a nulla di buono, ma
non le
importava. Voleva cancellarsi per sempre il maledetto ghigno beffardo
di
Dreamer dalla testa, voleva rendere giustizia a tutte quelle persone
che erano
morte invano, e lo avrebbe fatto, a qualunque costo.
Lo avrebbe fatto per Jade, per Ryan e perfino
per Rose e Slade.
La resistenza dei Visionari fu ben presto
stroncata. Gli uomini e le donne in nero caddero impotenti sotto ai
duri colpi
della conduit. Non furono, tuttavia, colpiti a morte. Pure loro, alla
fine, non
erano altro che vittime del giogo di Dreamer.
Alla fine, ne restò solamente uno in
piedi:
Joseph.
Il leader dei Visionari indietreggiò,
osservandola sbalordito come probabilmente mai era stato in vita sua.
Corvina mosse un passo verso di lui,
costringendolo ad indietreggiare. In quei pochi istanti, Dreamer si
mostrò per
ciò che era realmente: un codardo che non esitava a
pugnalare i suoi avversari
alle spalle, ma che poi fuggiva di fronte ai nemici più
forti di lui.
Infine, Jeff si ritrovò con le spalle al
muro,
letteralmente. Erano al fondo della sala, accanto al palcoscenico.
Rachel
teneva sotto tiro il Visionario, ancora avvolta nella sua aura di
energia nera
e con la vista rossa, lui rimaneva fermo, immobile, limitandosi ad
osservarla a
bocca semiaperta.
«È finita, Joseph.»
«Non... non puoi uccidermi»
gracchiò Jeff, quasi
balbettando, sollevando le mani in segno di resa. «Non... non
sarai davvero
diversa da me, se ti trasformerai in un’assassina.»
Rachel esitò. Le ritornarono in mente le
parole
di sua madre. Tutto ciò che le aveva detto... avrebbe ancora
avuto un valore,
se lei avesse ucciso Joseph?
Corvina non aveva mai ucciso nessuno, mai. Non di
sua spontanea volontà.
Era capitato, a volte, che qualcuno non
sopravvivesse ai suoi attacchi. Primo tra tutti, quel Mietitore che
aveva
colpito ad Empire City, facendogli esplodere addosso la molotov che
teneva in
mano, ma non era certo stata sua intenzione far sì che
succedesse ciò. E poi,
quell’uomo era praticamente morto, ormai.
Quel pensiero era stata l’unica cosa in
grado di
tenerla ancorata alla sanità mentale.
Non aveva mai colpito con l’intenzione di
uccidere, e di certo non aveva mai ucciso una persona disarmata ed
indifesa
come lo era Dreamer in quel momento così, a sangue freddo.
Quella era un’altra profonda differenza
tra loro
due: Jeff era un assassino crudele, lei no. Lei aveva spento delle
vite, ma
erano sempre state quelle di uomini che avevano cercato di fare del
male a lei
e da cui si era semplicemente difesa.
Incrociò lo sguardo di Dreamer. Si
osservarono
per un breve momento, rimanendo in silenzio.
Infine, Rachel abbassò lentamente la
mano che
teneva puntata su di lui. L’energia oscura che la avvolgeva
cominciò a svanire,
stranamente obbediente. La ragazza smise di vedere rosso, poi
sospirò, chinando
il capo. «Sei un essere ripugnante, Joseph. Ma
l’ultima cosa che voglio sono
altri tormenti. Non ti ucciderò.» Detto quello,
gli diede le spalle. Si voltò
di scatto, scoccandogli un’occhiata truce con la coda
dell’occhio. «Ma sappi,
che farai meglio a raccontare la verità ai tuoi uomini.
Altrimenti sarò io a
farlo, a costo di dover rimanere qui a Sub City per altri sei
mesi.»
Dreamer, dopo un attimo di stupore iniziale,
annuì lentamente. «Va bene Rachel. Hai la mia
parola.»
«Mh. Per quello che vale»
borbottò Rachel, per
poi cominciare a camminare, allontanandosi da lui.
Ma non fece molti passi. Riuscì a
percepire un
movimento fulmineo, proveniente proprio da dietro le sue spalle. Si
voltò di
nuovo, sollevando le mani e puntandole verso il Visionario, ma non
riuscì a
fare nulla.
Un’esplosione rimbombò in
tutta la sala con la
potenza di una cannonata, Joseph gridò e cadde a terra. Il
coltello che fino ad
un attimo prima aveva stretto tra le dita per cercare di pugnalare la
conduit
alle spalle gli scivolò dalla mano e cadde a terra con un
tintinnio metallico.
Jeff gemette, premendosi una mano sul ginocchio sinistro insanguinato.
«Anf...
merda...»
Rachel abbassò di nuovo la guardia,
osservandolo
disgustata. Lo sapeva, sapeva che Dreamer avrebbe cercato di
attaccarla, per
questo si era comunque tenuta pronta. Ma non ce n’era stato
il bisogno.
Si voltò, verso la porta laterale a
destra della
stanza. Qui, in piedi sulla soglia, si trovava una persona che ancora
teneva
puntata la pistola verso il Visionario. Corvina non fu sorpresa di
vederla. Ciò
che, tuttavia, la lasciò comunque di sasso, era il suo
aspetto.
Non aveva il suo classico giaccone a coprirle il
busto. Vestiva solamente con i suoi classici pantaloni e una canottiera
nera
che lasciava in bella vista le braccia e le spalle abbronzate, sulle
quali
erano presenti molti più tatuaggi di quanti Rachel avrebbe
potuto contarne. Teschi,
serpenti, tribali, fiamme e un cuore rosso come il sangue, dipinto
sulla
clavicola.
La lunga chioma di capelli mori era stata
tranciata brutalmente a metà, in diagonale, donandole un taglio asimmetrico.
Komand’r sputò la sigaretta
che ancora stringeva
tra le labbra, poi abbassò la pistola. «Ti ho
beccato, figlio di puttana.»
Salve a tutti, volevo
solamente dire, brevemente, che siccome sono un tantinello impegnato
ultimamente, la pubblicazione della storia potrebbe risentire di
qualche ritardo. Pertanto, ho deciso di spostare di poco l'asticella e,
dal prossimo capitolo in poi, pubblicherò ogni dieci giorni
anziché ogni settimana. Mi dispiace per l'inconveniente, ma
questo è l'unico modo che ho per poter riuscire a fare tutto
quanto senza impazzire male come mi è già
successo. ^^"
Quindi
il prossimo arriverà non più sabato prossimo, ma
un pelino dopo. Se non altro, i capitoli si stanno allungando, quindi
in un certo senso mi sto già facendo perdonare.
Bene,
non mi pronuncio molto sul capitolo appena pubblicato perché
non ne ho tanta voglia, spero che vi sia piaciuto.
Alla
prossima!
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Capitolo 24 *** Un nuovo inizio... di nuovo ***
Capitolo
24: UN NUOVO INZIO... DI NUOVO
Amalia avanzò verso di loro, gli occhi
puntati
sul Visionario. Parve ignorare completamente la presenza di Rachel.
«Tu... schifoso, lurido,
bastardo» sibilò
Komand’r, parandosi di fronte a Jeff, scrutandolo con odio.
«Ho atteso questo
momento dal primo istante in cui mi sono ritrovata di fronte la tua
grossa
faccia da culo.» Sollevò la pistola,
puntandogliela al capo. «Ora sei mio.»
Joseph si tirò a sedere a stento,
appoggiandosi
contro il muro. Tossì un paio di volte, gemendo di dolore.
«Suppongo... che la
ruota giri per tutti, prima o poi...»
«Supponi bene.» Amalia
spostò la mira e fece
fuoco, colpendolo allo stomaco. L’esplosione del proiettile
fu devastante, e lo
fu ancora di più l’urlo disumano di dolore che
fece il Visionario. Joseph gettò
il capo all’indietro, premendosi una mano sulla grossa ferita
all’addome. Tossì
nuovamente, questa volta con molta più insistenza.
Piegò il capo e sputò a
terra un grumo di sangue, poi strizzò le palpebre. Si
drizzò di nuovo,
boccheggiando rumorosamente, mugugnando di dolore.
«Allora, com’è avere
un proiettile nello
stomaco? Fa male?» lo canzonò Amalia, con voce
carica di collera.
Dreamer riuscì lentamente a riprendersi.
Inspirò
ed espirò un paio di volte, poi sogghignò.
Perfino di fronte alla sua stessa
fine, trovò il coraggio di sfoderare quel maledetto ghigno.
La cosa,
naturalmente, non piacque per nulla ad Amalia. «Che hai da
sorridere, bastardo?!»
«Niente» boccheggiò
lui, senza mutare
minimamente la sua espressione. «Avanti, premi il grilletto e
facciamola
finita.»
«Con piacere.»
«Ne sei davvero sicura,
Amalia?» si intromise
all’improvviso Rachel, osservandola severa in volto. Non
aveva alcuna
intenzione di impedire alla mora di fare ciò che voleva
fare, voleva solamente
sapere la risposta a quella domanda. «Sei disposta... ad
abbassarti al suo
livello? Lo sai che... uccidendolo, lui non
tornerà?»
Komand’r chiuse le palpebre, sospirando.
Si
voltò verso di lei, guardandola dritta negli occhi. Ora non
sembrava più
arrabbiata, non con lei, almeno. Era solamente, profondamente, triste.
«Lo so.
Ma non mi importa. Questo bastardo non merita di vivere, e io non ho
paura di
sporcarmi le mani. Questa storia deve avere una fine e quella fine
voglio
sancirla io.»
«D’accordo» convenne
Rachel, con un cenno del
capo. «È una tua scelta, dopotutto.»
«Solo una cosa»
borbottò Dreamer, acquistando
l’attenzione di entrambe. «Prima di andare, volevo
solo... fare un’ultima
domanda a Rachel.»
Amalia scoccò un’occhiata alla
corvina,
inarcando un sopracciglio. Rachel, la prima ad essere stupita,
annuì con
incertezza. «Cosa vuoi?»
Jeff ridacchiò sommessamente, come se la
cosa lo
avesse fatto profondamente felice. Come se, anche in quel momento, la
situazione fosse in mano sua. «Dimmi, cara Rachel, sei
consapevole del fatto
che...» sollevò lo sguardo, piazzandolo sulle
pupille di lei. Quell’occhiata
improvvisa la fece trasalire. «... tutto ciò che
è successo fino ad oggi a te,
ai tuoi amici, tutto quello per cui sei stata costretta a combattere...
è stato
proprio per causa tua?»
Corvina dischiuse le labbra, colta in
contropiede da quell’affermazione. «Co...
cosa?»
Un’altra risata provenne dalla gola di
Jeff. «Dovresti...
vedere la tua espressione.»
«Basta giochetti, bastardo!»
esclamò Amalia,
sferrandogli un calcio e colpendolo proprio all’addome.
Dreamer si piegò in
due, facendo un verso soffocato. Sputò altro sangue, ma la
risatina non ci mise
molto a tornare.
«I tuoi... poteri, Rachel...»
ansimò ancora lui,
cercando di risollevarsi. «I tuoi poteri... e di conseguenza
tu... siete la
causa di tutto.»
Joseph riuscì a guardare di nuovo Rachel
negli
occhi. «A causa... dei tuoi poteri... hai portato molta
cattiva gente sulle tue
tracce. Me incluso. E i tuoi amici, standoti vicino... sono rimasti
coinvolti.
Se tu... non avessi avuto i tuoi poteri, noi non... ci saremmo mai
incontrati.
E non avresti mai avuto a che fare con Deathstroke... e i suoi segugi.
«Tara non sarebbe stata rapita... Ryan
non
sarebbe morto... nessuno dei tuoi amici si sarebbe fatto del male.
Per... tutto
questo tempo, tu hai... hai combattuto a testa alta le disgrazie che...
che ti
sono capitate, tuttavia eri inconsapevole del ...del fatto che la
calamita che
attraeva queste su di te... eri proprio tu.
«Più resterai accanto ai tuoi
amici... più loro
saranno in pericolo. Non faranno altro che... trasformarsi in vittime
innocenti, continuando ad avere a... a che fare con te. Per te la
felicità è...
essere sempre in compagnia delle persone che ami... vivere serena
insieme a
loro... beh, sappi che... che fino a quando avrai i tuoi poteri... non
riuscirai mai, mai, a
raggiungerla.»
Dreamer chiuse gli occhi, sorridendo
un’ultima
volta. «Mi avete sconfitto... io sto... per morire... ma se
non altro... me ne
andrò senza alcun rimpianto. Tu, voi,
invece... continuerete a vivere nel lutto... nell’angoscia...
nella sofferenza.
Perciò, dimmi, cara Rachel...» Il Visionario
riaprì gli occhi di scatto. «...
chi ha vinto, oggi? Voi due? Io non... credo proprio.»
Per tutto il tempo, Rachel era rimasta ad
ascoltarlo come in trance. Ogni frase, ogni parola, ogni sillaba erano
state
come uno schiaffo. Nonostante fossero usciti dalla bocca di un pazzo,
nonostante
questo pazzo fosse ad un passo da quel baratro oscuro che era la morte,
nonostante tutto, l’avevano lasciata atterrita. E la cosa
peggiore di tutte...
era che erano vere.
Lei, o meglio, i suoi poteri, ma sì,
comunque
lei, era la causa di tutto quanto. Il rapimento di Tara, la morte di
Ryan, i
proiettili che si era beccata Amalia, perfino la pugnalata che si era
preso
Lucas al braccio erano avvenuti a causa sua. Indirettamente, certo, ma
comunque
era stata lei a dare origine a tutto.
Dreamer l’aveva fatta rapire
perché lei era la
Demone di Empire City e si era ritrovata nel pieno mezzo di una
battaglia tra
bande. Se non avesse avuto i poteri, probabilmente la guerra tra gli
Underdog e
i Visionari non l’avrebbe nemmeno sfiorata. Probabilmente
nemmeno sarebbe mai arrivata
a Sub City!
Nessuno l’avrebbe cercata, nessuno le
avrebbe
parlato, nessuno l’avrebbe notata. Nessuno avrebbe sofferto
per causa sua, nessuno
di sarebbe fatto del male.
Per tutto quel tempo lei aveva agito con il solo
e unico scopo di proteggere sé stessa e i suoi amici, quando
in realtà... i
suoi amici andavano protetti proprio da lei. O meglio, da tutte quelle
persone
spietate che si sarebbero messe sulle sue tracce.
«Hai finito adesso, checca?» Il
tono di voce
scocciato di Amalia la riportò alla realtà. La
mora osservava con sguardo truce
il Visionario, e non Rachel, come se tutte quelle parole le fossero
scivolate
addosso senza nemmeno toccarla.
«Sì, ho finito.»
«Bene.» Komand’r
sollevò la pistola. «Mi
divertirò un mondo a dare il tuo cadavere in pasto ai
cani.»
Dreamer aprì la bocca per replicare, ma
da essa
non poté uscire alcun suono. Amalia premette il grilletto,
aprendogli un buco
in piena fronte. Schizzi di sangue e sostanze organiche non meglio
definite
imbrattarono il muro alle sue spalle, dopodiché il
Visionario si riversò sul
suolo, con ancora la bocca aperta e gli occhi spalancati.
Accadde tutto in un lampo. Prima era lì,
ora non
c’era più.
La sua morte fu molto meno spettacolare di
quanto ci si sarebbe potuti aspettare, dopo tutto ciò che
lui aveva fatto e
causato.
Vedere il suo corpo privo di vita lasciò
un
profondo senso di vuoto e amarezza dentro di Rachel. Fino a quel
momento non
aveva voluto altro che vedere il Visionario venire punito per
ciò che aveva
fatto, ma adesso, alla luce di tutto ciò che egli aveva
detto, tutto quello non
le faceva né caldo né freddo. La morte di Joseph
non cambiò nulla.
Perché il problema, alla fine, non era
lui. Era
lei.
Non seppe dire quanto tempo passò ad
osservare
quel corpo privo di vita riverso sul suolo. Probabilmente sarebbe
rimasta lì
per delle ore, se solo Amalia non avesse rotto il silenzio
all’improvviso.
«Non sono mai...»
cominciò a dire, con un filo
di voce. «... nemmeno riuscita a dirgli perché mi
sono comportata così con lui,
in passato...»
Rachel trasalì. Batté le
palpebre un paio di
volte, confusa. «Di... di chi parli?»
«Ryan» sussurrò
ancora Komand’r, per poi chinare
il capo. «È morto... odiandomi fino alla fine...
senza nemmeno sapere... il
perché del mio comportamento...»
Singhiozzò, stringendo i pugni. «Io non... non
mi aspettavo certo che mi perdonasse... però... era giusto
che sapesse. Glielo
dovevo... era... la minima cosa che potevo fare per fargli capire che
mi
dispiaceva... che mi dispiaceva davvero. Non l’ho mai detto a
nessuno... né a
Kori, né ai miei genitori... volevo... dirlo almeno a
lui...»
Corvina dischiuse le labbra. Amalia
continuò a
parlare, senza che lei dicesse nulla.
«È che... io... io sono... e
Kori, lei era...
era così... così bella, e io non... non riuscivo
ad accettarlo, e...» La mora
si interruppe di colpo, singhiozzando nuovamente. Drizzò lo
sguardo, osservando
Rachel con i suoi occhi viola prossimi alle lacrime, colmi di
disperazione. «Cosa
c’è di sbagliato in me?! Perché proprio
io?! Perché proprio per... per Kori...?»
Ci volle diverso tempo, prima che Rachel
riuscisse a capire di cosa diamine stesse parlando la mora. E quando
capì, in
parte si pentì di averlo fatto.
Eppure... ora le fu tutto chiaro. Il suo strano
comportamento così poco femminile, il modo che aveva di
rispondere a Lucas e
alle provocazioni, il modo con cui si era sempre approcciata a Tara...
le
parole di Dreamer quando lei lo aveva preso in ostaggio in quegli
stessi
sotterranei...
La storia che Ryan le aveva raccontato, lei che
evitava i suoi fratelli come la peste, i suoi profondi rimpianti nei
confronti
di Kori. Tutto combaciava.
Amalia non era semplicemente stressata. O
meglio, non solo.
«Komi...» mormorò
Rachel, incapace di fare
altro. Probabilmente lei era la prima persona in assoluto con cui la
sorella di
Ryan si era confidata. E la cosa la fece sentire profondamente a
disagio.
Per tutta risposta, Komand’r si strinse
nelle
spalle e gemette di nuovo. «Non mi bastava essere diversa,
dovevo proprio...
proprio...»
«Basta così, Komi»
pronunciò Corvina,
avvicinandosi a lei. Le posò una mano sulla spalla e
incrociò il suo sguardo. «Non
devi rimproverarti per ciò che sei. Non hai scelto tu di
essere così. È
successo e basta.»
«E... e allora... cosa dovrei
fare?» domandò la
ragazza mora, quasi supplicandola con lo sguardo. «Non posso
fare finta di
niente... ci ho già provato, e le cose non hanno fatto altro
che peggiorare.
Non posso... continuare a vivere in una menzogna...»
Corvina sospirò. «Hai
ragione... non puoi. Devi
solo imparare a conviverci. Devi... accettare la cosa... e fare
ciò che ritieni
sia giusto per te. E...» In quel momento, Rachel
realizzò che non stava
parlando solo ad Amalia. Stava parlando anche a sé stessa.
«... devi fare anche
ciò che... è corretto nei confronti degli
altri.»
Komand’r si morse un labbro, rimuginando
su
quelle parole. Infine, annuì lentamente, con un sospiro. E,
senza dire altro,
abbracciò la corvina. «Grazie, Rachel... e...
scusa, per come mi sono
comportata con te.»
«Non preoccuparti.» La conduit
ricambiò
l’abbraccio, dandole qualche pacca di incoraggiamento sulla
schiena. «Me lo
sono meritato.»
Scese il silenzio. Rimasero entrambe ferme,
abbracciate, ognuna sicuramente impegnata con i propri travagli
interiori.
«Che cavolo è successo
qui?» Una voce improvvisa
riportò entrambe le ragazze alla realtà. Si
separarono e videro due persone
avanzare verso di loro, in mezzo al marasma generale di Visionari privi
di
sensi e fori di proiettili: Lucas e Tara. Rachel non si
stupì della loro
presenza; anche loro dovevano arrivare, prima o poi.
«Ragazze! Tutto ok?»
domandò proprio la bionda,
accelerando il passo.
«Sì, stiamo bene»
rispose Amalia, voltandosi per
ripulirsi gli occhi dalle lacrime. Indicò poi Dreamer con un
cenno del capo. «A
differenza di qualcun altro.»
Tara si fermò di scatto, spalancando le
palpebre.
Parve inorridire di fronte a quella vista.
«Dannazione...»
commentò Lucas. «... mi sono
perso lo spettacolo.»
La Markov spostò lo sguardo su di lui,
osservandolo scioccata.
Rosso sollevò le spalle. «Che
c’è? Mi stava sul
culo...»
«Beh... se non altro adesso è
finita...» rispose
la bionda, lasciando perdere con un sospiro.
«Sì... sì
è così» convenne Amalia, lentamente,
per poi guardare Rachel. «È finita.»
Si allontanò dalla corvina,
avvicinandosi ai due
nuovi arrivati. Poi, con enorme stupore di Corvina,
abbracciò entrambi. Disse
loro qualcosa a bassa voce, probabilmente delle scuse. Per tutta
risposta, i
due ragazzi ricambiarono la sua stretta.
Un piccolo sorriso si accese sulle labbra della
conduit, poi realizzò che, prima di andare, doveva ancora
fare una cosa.
Distolse l’attenzione dai tre amici e si avvicinò
ad uno dei Visionari svenuti,
più precisamente, alla donna bionda.
«Svegliati» sbottò,
dandole un calcetto al
fianco. Un gemito arrivò in risposta, al che la corvina si
infuriò ancora di
più. «SVEGLIATI!» Le diede un calcio
più forte, facendola gridare e girare su
un fianco.
La Visionaria spalancò gli occhi, per
poi
osservarla quasi con timore. Rachel si inginocchiò accanto a
lei. Un po’ si sentiva
in colpa per quelle sue maniere così brusche, alla fine
anche quella donna era
stata ingannata, ma si sforzò di ignorare questi particolari
quando le spiegò
la situazione: «Avvisa i tuoi amici che Deathstroke
è morto e che per tutto
questo tempo Dreamer si è preso gioco di voi.»
«C-Cosa?» rantolò la
donna, ma Rachel si era già
rialzata.
«Hai sentito.» E senza dire
altro, la ragazza
ritornò dai suoi compagni.
Si allontanò da quel salone insieme a
loro,
augurandosi di non doverci mai più mettere piede e sperando
anche che il tempo
cancellasse i ricordi che aveva ad esso legati.
Per tutto il tempo, Rachel non fece altro che
ripensare alle parole di Dreamer, nonché a quelle che lei
stessa aveva detto ad
Amalia. Non sapeva ancora cosa fare in proposito, sapeva solo che,
qualunque
decisione avesse preso, non sarebbe più tornata indietro.
***
«Amalia e Tara?»
domandò Rachel entrando nella
sala relax con il suo zainetto.
«Stanno salutando Ryan» rispose
Lucas, ficcando
le ultime provviste che si erano salvate dall’attacco degli
UDG nel suo
borsone. La corvina lo osservò, pensierosa. Fino a quel
giorno, non aveva
desiderato altro che quel momento. Poter fare le valigie e partire da
Sub City,
insieme ai suoi nuovi amici. Ma in quel momento, alla luce di quanto
successo
recentemente... quel pensiero non la attraeva più di tanto.
Tuttavia, Rachel si mise comunque accanto al
partner per imitarlo. Afferrò il suo zainetto e lo
aprì, per poi cercare di
fare spazio tra i vestiti e infilarci in mezzo qualche barattolo.
Dopo qualche minuto, però, si
fermò, valutando
se approfittare di quel momento per dire a Lucas che cosa la stesse
tormentando. Doveva assolutamente parlare con qualcuno di
ciò che era successo
qualche ora prima con Dreamer.
Amalia era con lei quando il Visionario le aveva
detto tutte quelle cose, quindi forse era la scelta più
giusta, ma lei non
sembrava aver davvero sentito le parole che egli aveva rivolto a
Rachel. Tara,
invece... Corvina dubitava di avere con lei un rapporto abbastanza
saldo da
permetterle di confidarle una cosa del genere.
Lucas era senza ombra di dubbio la scelta
migliore.
«Ascolta, Lucas, posso... posso chiederti
una
cosa?»
Un mugugno di assenso provenne dal ragazzo,
mentre era chinato sul suo borsone. «È successo
qualcosa di grave?» domandò,
sollevando lo sguardo.
«Beh...
più o meno.»
Corvina inspirò profondamente, poi
cominciò a
spiegare. Raccontò tutto quanto, senza freni, dal momento in
cui lei e Dreamer
si erano incontrati in quel salone fino a quando lui non era spirato
dopo il
proiettile di Amalia. Non sapeva bene quale reazione aspettarsi da
Lucas una
volta che lui avesse udito tutto ciò, e quel quesito dovette
attendere un bel
po’ per trovare una risposta, visto che, per tutto il tempo,
il suo partner la
ascoltò con espressione indecifrabile.
L’unica cosa che permise a Rachel di
capire che
aveva acquistato la sua totale attenzione, fu il fatto che il moro non
scollò
più gli occhi da lei. La cosa, in parte, la fece sentire a
disagio.
Infine,
concluse il racconto. «E quindi... vorrei sentire la tua
opinione in proposito.»
«Mh...» Lucas
incrociò le braccia, sospirando
pesantemente dal naso. Distolse per un breve momento lo sguardo da lei,
per poi
chiudere gli occhi. «Ti stai facendo dei problemi per niente,
Rachel. Dreamer
era uno psicopatico, non c’è motivo per cui tu
debba essere così ossessionata
dalle sue parole. Il suo era solo un bieco tentativo di renderti
più insicura
di quanto tu non sia già. E devo dire che ci è
riuscito, a giudicare da come ti
comporti.»
«Quindi secondo te non aveva ragione,
giusto?»
Rachel non riuscì a trattenere vene di irritazione piuttosto
accentuate nel suo
tono di voce. «Secondo te, se non fossi stata una conduit, ci
avrebbero rapito
comunque, giusto? E Ryan sarebbe morto, e Tara...»
«Non sto dicendo questo» la
interruppe lui,
serio in volto. «Sto solo dicendo che Dreamer era un verme a
cui piaceva
torturare psicologicamente le persone, cosa che ha fatto anche con te.
Non devi
dargli retta, o impazzirai proprio com’è successo
a lui.»
«Sì, ma lui... aveva
comunque...»
«Dannazione, Rachel!» Lucas si
alzò in piedi di
scatto, per poco rovesciando il borsone. «Perché
diavolo hai chiesto il mio
parere se nemmeno mi stai ascoltando? Non è colpa tua!
Niente di quello che è
successo è colpa tua! Sei stata tu a chiedere a Dreamer di
rapirti? Sei stata
tu a ficcarti in mezzo a questa guerra tra bande?»
Rosso si inginocchiò di nuovo,
osservandola
dritto negli occhi. «Sei stata tu... a chiedere di diventare
una conduit?»
Rachel resse lo sguardo. Uno strano brivido le
percorse la spina dorsale. Non seppe spiegarselo.
«No...» mormorò infine,
chinando il capo. «... non ho chiesto io tutto questo... io
volevo solo...
essere felice...»
«E lo sarai.» Lucas le
posò una mano sulla
spalla. Corvina sollevò di nuovo la testa, sentì
le guance pizzicare.
«Ma come...?»
domandò. «Come farò ad esserlo...
se voi sarete in pericolo? Io... non posso reprimere i miei poteri per
sempre.
Loro usciranno nel posto sbagliato al momento sbagliato e ci metteranno
tutti
in pericolo. Io non voglio che accada. Questa volta è
toccato a Ryan, la
prossima... potrebbe toccare ad Amalia, o a Tara, o... a... a te. Io
non voglio
che qualcuno si faccia male per colpa mia.»
«E Tara, allora? Anche lei ha i poteri,
l’hai
dimenticato? Il discorso dovrebbe valere anche per lei, quindi. E poi
sono
stato io a far incazzare gli UDG la prima volta, ricordi? Quindi
è stata anche
colpa mia. Oppure...»
«Ho detto per colpa mia,
Rosso!» esclamò Rachel
all’improvviso, stringendo i pugni. «Non mi
interessa di quello che farete voi,
non mi interessa di sapere se Tara attirerà attenzioni o no
per colpa dei suoi
poteri, io sto solo dicendo che non voglio che altro sangue innocente
macchi la
mia coscienza! Ryan è
stato
abbastanza, per me, non potrei sopportare di essere la responsabile,
diretta o
meno, di un'altra morte ingiusta!
«È vero, non ho scelto io di
avere i poteri, non
ho scelto io di trovarmi in questa situazione, ma ormai è
successo! E non posso
fare finta di niente, non posso proprio! Dannazione, fino a ieri
nemmeno sapevo
di essere in grado di cancellare i poteri degli altri conduit! Il mio
corpo è
un incognita perfino per me! Non so mai cosa fare, come comportarmi,
non so mai
quando potrò davvero contare sui miei poteri oppure no!
Wilson avrebbe potuto
ucciderci tutti quanti, per colpa mia!»
«Non
posso credere a ciò che sto ascoltando»
commentò Lucas scuotendo la testa.
«E io non posso credere che la persona di
cui mi
fido di più in assoluto mi stia dicendo di ignorare
semplicemente tutto ciò che
è successo!» esclamò lei, alzandosi in
piedi.
«Quindi preferisci dare retta ad uno
psicopatico
che ormai è schiattato piuttosto che alla persona di cui ti
fidi di più in
assoluto?» Rosso la imitò, alzandosi a sua volta.
«Beh, forse sì»
replicò la corvina. «Visto che, che
ti piaccia o no, lo psicopatico aveva ragione.»
«E allora cosa vorresti fare? Vuoi
andartene?»
«Forse sì»
ripeté lei, sostenendo il suo sguardo
dal basso senza alcun timore.
Per tutta risposta, Lucas distese un braccio,
volgendolo verso la porta. «Va bene allora. Conosci la
strada.»
«Mi stai sfidando per caso?»
domandò la conduit,
serrando la mascella.
«No. Voglio solo vedere fino a che punto
può
spingersi la tua stupidità.»
Quella frase fu una pugnalata al cuore per
Rachel. E, sicuramente, fu la classica goccia che fece traboccare il
vaso. «Bene
allora. Osserva questa stupida che un tempo ti chiamava amico
allontanarsi.»
Distolse lo sguardo da lui. La vista le si
appannò e sentì gli occhi inumidirsi, e si
sentì una vera idiota per questo.
Diede le spalle all’ormai ex partner e si diresse alla porta
senza nemmeno
prendersi lo zainetto. Non si voltò, non disse una parola. E
nemmeno Lucas la
chiamò.
Anche quando uscì dalla stanza,
riuscì a
percepire gli occhi di lui piantati sulla sua schiena.
***
Faceva freddo. Tanto, tanto freddo. Si era alzato
il vento, accompagnato da una di quelle odiose brezze invernali da far
accapponare la pelle.
Rachel si strinse nella felpa e si mise il
cappuccio in testa, ma non servì a nulla. Il freddo
continuò a pungerle il volto.
Fece una smorfia e si allontanò dal
portone, dirigendosi
verso il retro del magazzino, al grosso foro nella recinzione. Non era
affatto
in vena di volare, aveva bisogno di camminare e di schiarirsi le idee.
Sentì lo stomaco in subbuglio, mentre
camminava.
Lei, quella che fino a quel giorno più di tutti aveva
premuto sul fatto che il
gruppo restasse unito, ora se ne stava andando, e nemmeno nel migliore
dei
modi.
Aveva litigato con Lucas e non aveva nemmeno
reso partecipi Tara e Amalia della sua decisione. Nemmeno si era
fermata a
salutarle, né loro, né Ryan. Provò
vergogna, imbarazzo e pensò che quella sua
scelta fosse anche piuttosto codarda. Andarsene in quel modo non era
certo il
modo migliore per aggirare i suoi problemi. Ma, come già si
era detta, non
sarebbe più tornata indietro.
Fino a quando avrebbe avuto i suoi poteri,
sarebbe stata un pericolo sia per sé stessa che per gli
altri, sia in maniera
diretta che non. Non sapeva ancora cosa fare o dove andare con
esattezza,
sapeva solo che sarebbe rimasta sola fino a quando non avrebbe trovato
una
soluzione.
Poi, forse, sarebbe ritornata. Ammesso e
concesso che sarebbe riuscita a ritrovare i suoi amici.
«Deve esserci un’altra
soluzione, Amalia» disse
una voce all’improvviso, facendola trasalire. Era quella di
Tara.
«No invece. Non
c’è.» Questa era Amalia. «Non
posso continuare in questo modo.»
Rachel si fermò. Entrambe le voci
arrivavano
proprio dal luogo in cui era diretta lei.
«Amalia, per favore...»
Corvina si avvicinò lentamente,
inarcando un sopracciglio.
Arrivò fino al bordo del magazzino, poi si sporse
leggermente dal muro. Di
fronte al foro della recinzione vide le due ragazze, una di fronte
all’altra.
Sembrava quasi che la loro discussione stesse andando avanti da un
po’. Amalia
era avvolta nel suo giaccone, e aveva il borsone a tracolla.
Posò proprio in quel momento una mano
sulla
spalla di Tara, la quale sembrava prossima alle lacrime.
«Questo non è più
posto per me, Tara. Mi dispiace. Devo... rimanere da sola... per
pensare.»
«Ti prego, Am...»
Komand’r la interruppe, abbracciandola
con
forza. Dopo un attimo di sorpresa, Tara piegò la testa e
pianse sulla sua
spalla.
«Non te ne andare...»
«Devo. È la cosa giusta da
fare. Sia per me, che
per voi.»
Rachel sgranò gli occhi. Quelle erano le
sue parole...
Amalia, no.
Anche tu no.
Naturalmente, Komand’r non la
sentì. Si separò
dall’abbraccio, sciogliendosi lentamente dalla ragazza
bionda, poi le prese il
mento. Sorrise tristemente. «Non piangere Tara.
Così rovini il tuo bel faccino.»
Tara ridacchiò tra le lacrime, dandole
una
leggera spintarella. «Dacci un taglio...»
Amalia sogghignò, tuttavia la tristezza
nel suo
sguardo era più che evidente. Si allontanò dalla
bionda di qualche passo.
«Non sei costretta a farlo»
mormorò ancora la
neo conduit. «Nessuno di noi ti giudicherà per
quello che sei, dovresti
saperlo.»
«Che intendi dire, scusa?»
domandò Komi,
sorpresa.
La ragazza bionda incrociò le braccia,
guardandola con aria di sufficienza. «Ti prego. Se vuoi posso
fare una foto al
mio sedere e regalartela direttamente, almeno non ti verrà
più il torcicollo...»
Komand’r arrossì vistosamente.
Fu una scena
quasi irreale. Rimase in silenzio per un attimo, chiaramente
imbarazzata, ma
alla fine chinò il capo e si lasciò andare in una
tenue risata. «Sono proprio
irrecuperabile, vero?»
«Un pochino, sì»
convenne Tara, ridacchiando a
sua volta.
«Beh... in tal caso, vi ringrazio per la
comprensione» proseguì Amalia, tornando seria.
«Ma tu non conosci davvero la
verità... credimi, è meglio così.
Ho... bisogno di restare da sola, per capire
che cosa voglio davvero. Mi dispiace, davvero, ma non vedo altre
soluzioni.»
La Markov non sembrava ancora molto convinta, ma
poi si limitò ad annuire. «Va bene allora... se
vuoi farlo io non posso certo
impedirtelo... sappi solo che qui avrai sempre una famiglia ad
attenderti. Spero
di rincontrarti, un giorno o l’altro.»
«Lo spero anch’io. Stammi bene,
biondina.»
«Stammi bene, Komi.»
E senza aggiungere altro, Komand’r si
voltò e cominciò
a correre. Passò oltre la recinzione e svanì
dalla visuale. Se n’era andata
anche lei.
Pochi istanti dopo, Tara piegò il capo e
cominciò a piangere di nuovo, ma questa volta, senza nessuno
in grado di
consolarla, si lasciò andare completamente. Rachel la
osservò, combattuta. Fu
quasi tentata di andare lei stessa a consolarla, ma poi ci
ripensò. Non avrebbe
dovuto assistere a quella scena, non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi
ancora lì.
Il gruppo si era sfasciato molto più di
quanto
credesse, ed era colpa sua. Lei era l’ultima persona in grado
di consolare
Tara.
Inspirò profondamente,
ricacciò le lacrime che
erano salite durante l’addio di Amalia e si fece coraggio.
Lasciò perdere
l’idea di camminare e si trasformò.
Si allontanò dal magazzino fino a quando
questo
non diventò una macchia indistinta in mezzo alla miriade di
palazzi attorno a
lei.
***
Camminava sul marciapiede, testa bassa e
rinchiusa nel cappuccio, ignorando tutte le persone attorno a lei.
Chissà se
queste sapevano di essere libere, ormai. Di certo, lei non aveva
intenzione di
mettersi a sbandierarlo ai quattro venti.
Prima o poi i cittadini di Sub City lo avrebbero
capito, e non era nemmeno detto che se ne sarebbero andati per davvero,
con
Underdog e Visionari fuori dai piedi. Alla fine, Wilson aveva fatto un
discreto
lavoro. Sub City era una città relativamente tranquilla e
con un corpo di
sicurezza adeguato probabilmente sarebbe diventata molto più
vivibile.
Lei stessa avrebbe potuto rimanere in quella
città, se solo non avesse legato ad essa fin troppi brutti
momenti. Momenti che
non erano nemmeno poi così distanti.
Avrebbe potuto lasciare la metropoli e magari
dirigersi verso ovest, a cercare quella comunità di cui Jade
le aveva parlato,
ma c’era tempo anche per quello. Ormai poteva fare qualunque
cosa avesse
voluto, andare in qualunque luogo, senza dover tenere conto di niente e
nessuno.
Tutto era finito come era iniziato, con lei che
camminava per una città senza una meta ben precisa, da sola,
senza più un amico
e con mille rammarichi.
Se non altro, almeno, era indipendente.
L’unica
nota positiva presente in quel lunghissimo percorso solitario che era
stata la
sua vita.
Alzò lo sguardo. Il Diner era
lì, dall’altro
lato della strada, uguale a come lo aveva lasciato la prima volta che
lo aveva
visto, con Lucas, solamente due giorni prima. Sentì le
proprie viscere
contorcersi a quella vista. Non sapeva perché era tornata
proprio in quella
strada, ora che ci pensava. Aveva agito quasi in automatico, forse
perché lei e
Rosso erano capitati di fronte a quella tavola calda proprio in quella
che, di
fatto, era stata la loro ultimissima perlustrazione come partner.
Sospirò e scacciò quei
pensieri. Non c’era più
tempo per essere nostalgici.
Girò l’angolo, abbassando di
nuovo lo sguardo, e
andò a sbattere contro qualcuno. «Mi
scusi...» biascicò, indietreggiando
imbarazzata.
«Tranquilla, cose che capitano.»
Rachel sgranò gli occhi. Quella voce si
conficcò
nella sua testa come la punta di una lancia. Era da tempo che non la
sentiva,
ma non avrebbe mai potuto dimenticarla.
Sollevò lo sguardo, interdetta.
«Tu...»
sussurrò, incapace di pensare.
«Finalmente ci rincontriamo, vero
Rachel?»
domandò Dominick, sfoderando un sorrisetto arrogante da far
invidia a tutti
quelli che lei aveva visto sino a quel giorno.
«Che... che cosa vuoi da me?»
domandò ancora lei.
Indietreggiò ancora di scatto, finendo con lo sbattere
contro un altro
individuo.
«Accidenti Rachel, perché non
fai un po’ di
attenzione a dove metti i piedi?»
Corvina pietrificò. No...
anche lui no...
Si voltò, per poi sbiancare alla vista
di Kevin.
Il ragazzo sorrise, al pari del suo socio. «Come va,
bellezza?»
Per un momento Rachel non ci capì
più nulla.
Rimase imbambolata, ad osservare prima l’uno e poi
l’altro, il cervello che
rifiutava di collaborare con lei, le parole che continuavano a morirle
in gola.
Tuttavia, poi, rimase concentrata sui sorrisetti di entrambi. E a quel
punto
realizzò che era stanca di farsi prendere in giro.
La sua espressione mutò drasticamente e
strinse
i pugni, scrutando il capo della banda con odio. «Vi avverto,
esco da un momento
alquanto turbolento, quindi se non volete ritrovarvi con il sedere
preso a
calci fino al confine della città, farete meglio a dirmi che
cosa diavolo
volete da me una volta per tutte!»
«Wow, non ti ricordavo così
esplosiva, sai?»
replicò Dominick, per nulla intimorito.
Ridacchiò, poi si fece un po’ più
serio. Le posò una mano sulla spalla, per poi accennare con
il braccio al
marciapiede su cui le persone continuavano a marciare ignorandoli
completamente. «Camminiamo un po’. Vuoi?»
Rachel esitò. Non sapeva affatto cosa
stesse
succedendo, ma non le piaceva per niente. Si voltò verso di
Kevin, il quale,
senza levarsi dalla faccia il suo maledetto sorriso, la
invitò con un cenno del
capo ad accettare la proposta.
Corvina fece una smorfia, poi tornò a
guardare Dominick.
«Hai cinque minuti.»
«Me li farò bastare.»
Cominciarono a camminare. Dom e Rachel rimasero
fianco a fianco, mentre Kevin, alle loro spalle, sembrava quasi volersi
accertare che tutto quanto procedesse senza intoppi.
Arrivarono quasi all’incrocio successivo,
prima
che il castano decidesse di prendere la parola. «Innanzi
tutto, permettimi di
ringraziarti.»
«Per cosa?» Rachel
inarcò un sopracciglio,
guardandolo.
«Per esserti sbarazzata di Deathstroke e
Dreamer.»
«Ah.» La conduit
riportò lo sguardo sul
marciapiede, poi scrollò le spalle. «Non sono
stata io ad ucciderli.»
«Tu hai comunque permesso che
ciò accadesse.»
«Sì,
beh,
io non ne vado molto fiera.»
«Poco importa.» Dominick si
voltò verso di lei,
scoccandole un’occhiata complice. «Mi hai comunque
fatto un gran favore.»
«Dacci un taglio, Dominick. Chi sei
veramente?
Che cosa vuoi davvero da me?»
Lui ridacchiò. «Accidenti,
vuoi andare dritta al
punto, eh?»
«Hai ancora quattro minuti»
ribatté lei,
freddamente.
«Va bene, va bene.» Dom
alzò le mani in segno di
resa. «Ho capito. Non hai tempo da perdere.
Allora...» Il castano si fece serio
all’improvviso. Un pugno in un occhio, dopo averlo visto con
quella sua aria da
menefreghista perennemente incollata sulla faccia.
«... cosa penseresti... se ti dicessi che
posso
aiutarti con il tuo problema?»
Rachel sussultò. «Q-Quale
problema?»
«Non fare la finta tonta, Rachel. Sei
stata tu a
voler andare dritta al sodo, e io ti ho accontentata. Sai benissimo di
quale
problema sto parlando. Lo stesso problema che ti ha spinta a separarti
dai tuoi
amici.»
Lo stupore di Corvina tornò ben presto
ad essere
indignazione. Un’altra cosa di cui era stanca, era che
chiunque sembrava sapere
quasi meglio di lei cosa le stesse succedendo.
«Si può sapere come fai a
saperlo?» Rachel si
voltò verso di Kevin, per scoccargli un’occhiata
incendiaria. «Te l’ha detto
Fido?»
Per tutta risposta, il ragazzo sollevò
il dito
medio.
«No, non è stato
lui» rispose intanto Dominick,
con calma. «Ti spiegherò tutto a suo tempo, puoi
stare tranquilla, ma adesso
devi rispondere alla mia domanda.»
Rachel fece scorrere lo sguardo da Kevin a Dom,
non sapendo nemmeno più con chi dei due doveva essere
arrabbiata. «Certo, sì,
vuoi aiutarmi. Mi hai spiata per tutto questo tempo, ma vuoi aiutarmi.
Va bene.
E come vorresti fare, di grazia?»
Dominick ignorò bellamente il chiaro
sarcasmo
con cui lei pronunciò quella frase. Essendo pure lui
decisamente più alto della
ragazza, chinò il capo per osservarla meglio con i suoi
occhi castani. Non
sembrava essere mai stato così serio. «Io posso
cancellarti i poteri» disse,
tutto ad un fiato.
Un fulmine a ciel sereno. Ecco cosa sembrarono
quelle parole alle orecchie di Rachel.
«Tu... tu ne sei in grado?»
domandò lei,
sbigottita. «Ma... ma allora anche tu sei un...
un...»
Lui la zittì posandole
l’indice sulle labbra,
cosa che la scandalizzò a dir poco. Dom, invece, parve non
essere minimamente
imbarazzato. «Tu non sopporti più i tuoi poteri,
ho ragione?» proseguì,
allontanando infine il dito. «Ritieni che siano la causa di
tutto e che senza
di loro potrai finalmente vivere in pace. Vero?»
«I-Io...» Corvina
esitò. Fino ad un’ora prima
avrebbe risposto di sì senza esitazioni. Aveva tentato
perfino lei stessa di
cancellarsi i poteri, visto che, a quanto pareva, ne era capace, ma
ovviamente
non c’era riuscita. Sicuramente, le due volte che era
capitato aveva agito di
istinto, probabilmente i poteri avevano assecondato le emozioni provate
durante
l’urgenza di quei momenti e quindi avevano fatto tutto da
soli.
Di conseguenza, lei non sarebbe mai riuscita a
cancellare i poteri di sua spontanea volontà, né
a sé stessa, né a nessun
altro. Non subito, almeno. Le sarebbe servito parecchio tempo, mesi,
forse
perfino anni, per riuscire a capire come fare. Un po’ come
aveva fatto con
tutte le sue altre capacità.
Tuttavia, nonostante le si fosse appena
presentata di fronte quella possibilità che tanto cercava,
stentava a credere
che non ci fosse qualcosa di sbagliato sotto.
«Naturalmente è una tua
scelta» precisò
Dominick, abbassando le braccia e tornando serio. «Io non
voglio certo
obbligarti ad accettare.»
«Ma perché vuoi
farlo?» domandò ancora la
ragazza. «Perché vorresti... aiutarmi? Qual
è il tuo obiettivo?»
«Io
sono
solo uno spettatore» spiegò lui, abbozzando un
altro sorriso. «Non ho nessun
obiettivo in particolare. Ti ho vista nei guai, e ho deciso di
aiutarti. Tutto qui.»
«Perdonami, ma fatico a
crederci» ribatté la
corvina, con freddezza. «Nessuno fa qualcosa per qualcuno in
cambio di niente. Non
al giorno d’oggi. Tu hai un secondo fine, ne sono
sicura.»
Dopo quell’affermazione, Dominick
sospirò. «D’accordo
allora, facciamo così.» Il castano le
posò una mano sulla spalla, poi accennò con
il capo ad una macchina parcheggiata sul ciglio della strada.
«Permettimi di
darti un passaggio fino alla mia umile dimora per offrirti un
caffè. Nel
frattempo potremo discutere con più calma, e dopo potrai
decidere se accettare
o no la mia proposta. E se rifiuterai, allora ti lascerò
andare con la promessa
di non importunarti mai più. Che ne dici?»
Rachel rimase in silenzio per un istante, a
riflettere su quelle parole. Qualcosa le suggeriva di non fidarsi
davvero di
quelle parole, tuttavia lo sguardo di Dominick sembrava davvero
sincero.
«Io un caffè lo
accetterei» suggerì Kevin, alle
sue spalle. «Soprattutto quando è quel braccino
corto di fronte a te ad
offrirlo. Un’occasione più unica che
rara.»
«Così mi offendi,
Kev.»
Corvina guardò prima l’uno poi
l’altro, con un
sopracciglio sollevato. Non riusciva a capire se la loro
tranquillità fosse
reale oppure solo apparente. Il campanello di allarme nella sua mente
continuava ancora a dare dei cenni di vita, tuttavia... un
caffè poteva concederselo.
Era passata un’eternità da quando ne aveva bevuto
uno degno di questo nome.
Doveva inoltre riflettere sulla proposta di Dom.
Nonostante tutto, un po’ ne era rimasta intrigata. Essere
finalmente libera dei
suoi poteri... quasi un sogno che diventava realtà. Lei non
li aveva mai voluti
e non aveva fatto altro che generare del male con essi, a discapito di
ciò che
aveva sempre creduto. L’unico motivo per il quale era
riuscita a convivere con
loro era il pensiero di poterci fare del bene, cosa che invece si era,
sì,
avverata, ma al contrario.
E in ogni caso, se la situazione avesse
cominciato a farsi più scomoda del dovuto, non avrebbe
esitato un solo istante
ad alzare i tacchi. Dominick aveva detto che non l’avrebbe
fermata, e lei
voleva credergli. Se invece si fosse opposto, beh... allora
l’avrebbe costretta
a fare dell’altro male, questa volta intenzionale, con i suoi
poteri.
«Va bene» asserì
infine. «Andiamo pure a questa
umile dimora.»
«Ottimo» rispose il castano,
sorridendo cordiale.
«Kev, vuoi avere tu l’onore di
scarrozzarci?»
Eccomi,
eccomi, ce l’ho fatta. Incredibile ma vero.
Ok,
ammetto che è stato un capitolo un po’ troppo...
frettoloso. Ma ho tante cose
da fare, e il tempo scarseggia un pochettino ultimamente. Ho deciso di
condensare un po’ le cose. Tanto, alla fine, non
c’è più bisogno di allungare
il brodo. Sapete tutto quello che avete bisogno di sapere, e quelle
poche cose
ancora non chiare verranno chiarite nei prossimi capitoli.
Spero
che questa parte vi
sia comunque piaciuta,
personalmente, sono contento di aver finalmente fatto riapparire Kevin
e
Dominick e di aver finalmente chiarito il passato di Amalia. Ecco, a
proposito
di quest’ultima cosa... si, beh, insomma, chiunque al suo
posto avrebbe un
tantino perso la testa, no? Spero che questa rivelazione non vi abbia
scioccati
troppo.
Poi,
ammetto che forse anche Rachel ha un tantino esagerato, decidendo di
scappare,
però, siate onesti, pensavate davvero che sarebbe rimasta
fino alla fine con i
suoi amici, pur sapendo di essere una minaccia per loro? Io dico di no.
Ora
altre domande troveranno finalmente risposte. Siamo alle fasi finali
della
storia ragazzuoli miei, ormai non manca molto. Spero di riuscire a
finire per
la fine del mese prossimo, massimo massimo ad agosto.
La
verità sta per venire a galla. Stay tuned ragazzi, stay
tuned.
Alla
prossima!
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Capitolo 25 *** Tutta la verità, nient'altro che la verità ***
Capitolo
25: TUTTA LA VERITÀ,
NIENT’ALTRO CHE LA
VERITÀ
Percorsero una lunga strada contornata da decine
e decine di villette a schiera. Un quartiere che Rachel non aveva
ancora visto,
e che per certi versi le ricordava la periferia del Dedalo, con
l’unica
differenza che qui le case sembravano riuscire a reggersi in piedi
senza troppa
fatica. Certo, quasi tutte presentavano una tinta spenta e sporca e i
giardini
erano tutti quanti incolti e dall’erba ingiallita, ma
d’altronde, sarebbe stato
strano se così non fosse stato.
«Che quartiere è
questo?» domandò, con gli occhi
premuti sulle numerose abitazioni.
«Suburbia» rispose Kevin,
soffiando il fumo
della sigaretta fuori dal finestrino. «Un bel posticino.
Tranquillo, senza
vicini rompicoglioni, lontano dal caos del centro... il luogo ideale
per vivere
con la famiglia. Sempre se ne hai ancora una.»
Corvina non seppe spiegarsi se quella di Kevin
fosse una frecciatina nei suoi confronti, o se stesse semplicemente
parlando in
generale. Nel dubbio, ebbe comunque voglia di soffocarlo con un cappio.
Anzi, a
dire il vero, quella voglia ce l’aveva da quando lui le aveva
fatto la soffiata
su Ravager.
«Siamo arrivati»
annunciò nel frattempo
Dominick, seduto sul sedile del passeggero, con il gomito appoggiato al
finestrino.
Kevin accostò, parcheggiando di fronte
ad una
delle numerose villette. I tre ragazzi scesero e gli occhi della
corvina si
posarono immediatamente sul numero civico, dipinto sulla casella
postale
arrugginita.
Dominick nel frattempo si avviò verso la
porta,
estraendo un mazzo di chiavi.
«Questa casa è davvero tua,
oppure hai rubato
quelle chiavi?» domandò Rachel inarcando un
sopracciglio, mentre lo seguiva.
«Non lo definirei proprio
rubare» ribatté lui,
ridacchiando. Girò la chiave giusta nella serratura ed
aprì la porta. «Semplicemente...
il vecchio proprietario non è più tra
noi.»
Rachel gli scoccò un’occhiata
diffidente, ma lo
seguì ugualmente. Entrò dentro la casa e una
piacevole sensazione di tepore la
accolse. Le mura dell’abitazione avevano intrappolato il
calore, fu piacevole
per il suo corpo riuscire a percepirne un po’, dopo il freddo
a cui si era
abituato rimanendo in strada.
Subito di fronte a sé trovò
il salotto, con due
poltrone e un divano color verde stinto, disposti attorno ad un tavolo
da
caffè, davanti ad un televisore rotto.
«Accomodati pure» la
invitò Dom accennando al
divano. «Io torno subito.»
La conduit lo seguì con lo sguardo fino
a quando
questo non sparì dietro una porta al fondo della stanza.
«Cos’è, sei
sorda?» domandò Kevin,
stravaccandosi sulla poltrona più vicina
all’ingresso, appoggiando i piedi sul
tavolino. «Siediti pure se ti va.»
«Ho sentito, grazie.» Corvina
incrociò le
braccia, scoccandogli un’occhiataccia.
Kev alzò le mani in segno di resa.
«Mi perdoni,
sua altezza.»
Più parlava con lui, più la
voglia di Rachel di
soffocarlo non faceva altro che aumentare, ma alla fine decise di
lasciar
perdere con un sospiro. Fece il giro del divano e vi si sedette,
posizionandosi
comunque alla larga dalla poltrona di Kevin.
Il castano nel frattempo tirò fuori il
cellulare
dalla tasca e cominciò a smanettarci, senza più
proferire parola. Il silenzio
calò tra loro e la corvina ne approfittò per
esaminare con più attenzione
l’interno dell’abitazione.
I muri erano dipinti di bianco, ma ricoperti di
aloni neri di sporcizia. Il pavimento era ricoperto da moquette beige,
anch’essa macchiata in più punti. A parte qualche
armadio, non c’era traccia di
mobili. Alle sue spalle, appena dopo l’ingresso, una rampa di
scale conduceva
al piano superiore.
«Allora, Rachel» disse
all’improvviso Kevin,
senza staccare gli occhi dallo schermo del cellulare. «Hai
preso la tua
decisione?»
Rachel ritornò alla realtà,
poi scosse il capo. «Non
ancora.»
Il ragazzo scrollò le spalle.
«Beh, allora
permettimi di darti un suggerimento. Non pensare a ciò che
potresti perdere,
pensa a quello che invece potresti guadagnare. Rinunci ad una cosa che
non hai
mai voluto, e in cambio ne ottieni una che, invece, cerchi da dio solo
sa
quanto.» Kevin sollevò lo sguardo, rivolgendole un
sorrisetto complice. «A me
sembra l’offerta della vita.»
«Perché avete questo desiderio
irrefrenabile di
volermi aiutare?» interrogò Rachel, alquanto
scettica.
«Te lo spiegheremo dopo che ci avrai
comunicato
la tua decisione.»
«Così non mi invogliate certo
ad accettare la
vostra proposta» osservò lei.
«Sì, beh...» Il
castano distolse nuovamente gli
occhi da lei. «... il discorso è sempre lo stesso.
Non è certo facile fidarsi
di qualcuno apparso dal nulla, soprattutto quando questo qualcuno ti fa
una
proposta che potrebbe cambiare per sempre la tua vita. È
come una partita a
poker, non sai quali sono le carte del tuo avversario, tu ti basi
semplicemente
su ciò che hai. E facendo i dovuti paragoni, in questo
momento tu hai una
coppia di due, mentre i tuoi avversari hanno una scala reale a testa.
L’unico
modo che hai per levarti da questo impiccio è uscire dalla
partita, e io e Dom
possiamo far sì che tu ci riesca.»
«I miei poteri sarebbero una coppia di
due?»
domandò lei, inarcando un sopracciglio.
«Non i tuoi poteri.» Kevin
sogghignò,
indicandola. «La tua vita. La tua vita è una
coppia di due. Di picche. I tuoi
poteri sono più un full, o un tris di assi. Sono buone mani,
nulla da dire, ma
non bastano certo per battere una scala reale.»
Il ragazzo si sporse verso di lei, facendosi
più
serio. «Esci dalla partita, Rachel, fai un favore a te
stessa. Tenendoti i
poteri non andrai da nessuna parte e tu lo sai meglio di me. Liberatene
e torna
a vivere serena. Non ti mancano già i tuoi amici? Non
vorresti tornare da loro?
Andiamo, tu non sei fatta per rimanere da sola, te lo leggo in faccia.
Tu hai bisogno di avere qualcuno
accanto. È più
forte di te. O sbaglio?»
Rachel distolse lo sguardo da lui e si
fissò le
ginocchia, senza rispondere. Si sarebbe sentita tremendamente stupida
ed
infantile ad ammettere che aveva ragione, che era davvero, davvero, bisognosa
di
affetto. Era come se fosse ancora una bambina con il perenne bisogno di
stringere la mano di qualcuno per essere guidata.
Non l’avrebbe definita proprio una
debolezza,
semplicemente, quello era il suo modo di essere. Era fatta
così, non poteva
farci nulla. Non le piaceva essere sola. Voleva qualcuno accanto a lei,
qualcuno che la capisse, che la facesse sentire speciale per almeno una
volta
nella sua vita.
Le ritornarono in mente le parole di Ravager.
Lei era un mostro, un abominio, uno scherzo della natura. Tutti si
sarebbero
tenuti alla larga da lei, e quelli che non lo avrebbero fatto, allora
avrebbero
rischiato la vita.
Aveva bisogno di affetto, ma non poteva
riceverlo a causa dei suoi poteri. E l’unico modo per
eliminare per sempre i
suoi poteri, era quello di smettere di respirare per sempre.
Tuttavia, ora aveva trovato una scappatoia,
qualcuno che sarebbe riuscito a farla uscire da quella partita persa in
partenza con la vita.
Non era più posto per lei, quello. Non
lo era
mai stato, anzi. Avrebbe dovuto morire nell’esplosione, ma
non lo aveva fatto e
si era ritrovata in quell’impiccio grande il quintuplo di
lei. Ma ora aveva
un’occasione per mettere la parola fine a tutto quanto,
definitivamente.
Tuttavia, qualcosa le diceva che accettare la
proposta di Dom era sbagliato.
Era bloccata ad un bivio. Aveva due strade da
prendere, ed entrambe avrebbero segnato per sempre le sorti della sua
vita.
La felicità e la libertà da
una parte, la
sicurezza e la consapevolezza di non essere stata raggirata in alcun
modo,
dall’altra, tuttavia con la condanna a rimanere sola.
«Scusate l’attesa.»
La voce di Dominick la riportò
all’improvviso
alla realtà. Il ragazzo era apparso alle sue spalle
all’improvviso, con tra le
mani un vassoio da bevande. Lo posò sul tavolino, appoggiate
su di esso vi
erano tre tazzine contenenti un liquido scuro.
«So che c’è
n’è poco, ma la macchinetta ha fatto
un po’ di capricci» spiegò lui,
sedendosi sulla poltrona rimasta vuota, prendendo
una tazzina.
Anche Kevin ne arraffò una e
cominciò a
sorseggiare. «Accidenti Dom, oggi ti sei superato. Non ha mai
fatto così schifo»
commentò, beccandosi un dito medio dal socio.
«Rachel?» domandò
poi il castano, osservandola. «Tu
non lo prendi?»
Corvina non era più molto in vena di
berlo, ma
decise di non fare storie. Prese l’ultima tazzina rimasta, ma
non l’avvicinò
nemmeno alle labbra. Rimase ferma, a riflettere sulle parole di Kevin.
Anche
se, ormai, non c’era più molto su cui riflettere.
Inspirò profondamente, attirando
l’attenzione
dei due ragazzi. Poi, con lo sguardo basso, cominciò a
parlare: «Se accetto la
vostra proposta... che cosa accadrà? Che cosa farete voi?
Che cosa ci
guadagnerete ad aiutarmi?»
«Il
motivo per cui ho voluto farti questa proposta te lo
spiegherò solamente dopo
che avrai deciso, ma per adesso, posso dirti che nessun male
sarà fatto né a
te, né ai tuoi amici, né a nessun altra persona
innocente» rispose Dominick,
serio in volto. «Io non voglio, assolutamente, ingannarti. Tu
sarai libera e
noi ce ne andremo. Non ci rivedrai mai più. È una
promessa.»
«Perdonami, ma ormai faccio un
po’ fatica a
credere alle promesse.»
Dominick sospirò. «Io non sono
Dreamer. Lui era
un codardo, un vigliacco, un Verme con la v maiuscola. Se non ci fossi
stata
tu, probabilmente sarei stato io stesso a farlo fuori. Quel tizio...
era la
vergogna di tutte quelle persone che, come me e Kevin, inseguono i loro
ideali.
Perfino Deathstroke era una persona migliore di lui, e, credimi, per
essere
peggiori di Deathstroke bisogna proprio impegnarsi. Ma, se non altro,
lui era
leale, a differenza di Dreamer. Quindi puoi stare tranquilla. Se dico
che
nessun male sarà fatto a te e ai tuoi amici, allora
così sarà. Tu accetti, noi
spariamo. Questo è l’accordo.»
Dominick si alzò in piedi, per poi
guardarla
dall’alto. Le porse una mano. «Stringi la mano se
accetti. Altrimenti, puoi
alzarti e andartene.»
Rachel osservò la mano di lui. Il cuore
cominciò
a batterle forte nel petto. Era giunto il momento, doveva decidere,
lì, seduta
stante.
Se avesse accettato sarebbe stata libera di
tornare dai suoi amici, e quel fardello fin troppo pesante per lei
l’avrebbe
abbandonata per sempre. Anche se non era detto che Lucas e Tara
l’avrebbero
accettata, dopo tutto quello che aveva fatto. Ma se avesse rifiutato,
sarebbe
rimasta sola in ogni caso. La sua morale le avrebbe impedito
categoricamente di
avvicinare qualsiasi persona, per paura di ferirla. Se non altro, senza
poteri,
avrebbe potuto essere più tranquilla e in pace con
sé stessa.
In un certo senso, lasciarsi cancellare i
poteri, era un po’ come un’espiazione di tutte le
sue colpe, dirette ed
indirette che fossero.
Era una scappatoia, completamente gratis, che le
avrebbe permesso di abbandonare quella vita infame e di poter tornare
ad essere
una persona normale, cosa che dal momento stesso in cui aveva ottenuto
i
poteri, infondo, aveva desiderato.
E Dominick aveva detto che non le avrebbe fatto
alcun male, e sembrava sincero.
Rachel prese coraggio. Aveva paura. Aveva tanta,
tantissima paura. Ma le alternative quali erano? Rimanere sola per
sempre, a
lottare con il suo stesso corpo, fino a quando non sarebbe impazzita
com’era
successo ad Alden, o a Sasha?
Quella non era la vita che faceva per lei, non
lo era mai stata. Andava messa la parola fine, ed ora aveva
l’occasione per
farlo.
Si alzò dal divano e osservò
Dominick dritto
negli occhi. Infine, senza dire una parola, strinse la sua mano.
Si immaginò gli scenari peggiori
possibili
mentre compiva quel gesto, ma nessuno di essi si avverò.
Dominick ricambiò la
stretta della mano, la sua espressione non mutò minimamente.
L’unica cosa che
fece, fu quella di rivolgerle un cenno di intesa con il capo.
Le mani si separarono e il ragazzo la
invitò con
un cenno del capo a seguirla. Si posizionarono dietro il divano,
davanti
all’ingresso, uno di fronte all’altra. Dom
appoggiò dunque il palmo sulla
spalla di Rachel. «Pronta?» domandò,
lasciandole ben intuire cosa stesse per
accadere.
Dopo un altro attimo di incertezza, Rachel
annuì. «Sì.»
«Bene. Farò in fretta, te lo
prometto.»
Dominick chiuse gli occhi e aumentò la
presa
sulla spalla di Corvina, quasi chiudendola in una morsa. La conduit
trasalì,
cominciando perfino a provare dolore.
Poi, la vide. Vide l’energia oscura, la sua, energia oscura, cominciare a fuori
uscire dal suo corpo, avvicinandosi verso la mano di Dom.
Cominciò a penetrare
al suo interno, fondendosi con lui.
Rachel inarcò un sopracciglio, ma un
secondo
prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, un’atroce fitta
di dolore le
colpì l’intero corpo, facendola esplodere in un
urlo straziante.
Urlò fino a quando non riuscì
nemmeno più a
sentire, fino a quando la vista le si offuscò completamente.
Si sentiva quasi
come se tutta la sua energia vitale stesse venendo drenata dalla mano
di
Dominick, quasi come se egli stesse divorando la sua anima.
Il dolore era atroce, insopportabile. Le
attraversava tutto il corpo, bruciando terribilmente, come se stesse
venendo
arsa viva. Migliaia di tizzoni ardenti premevano sul suo corpo, perfino
sulle
piante dei piedi. Centinaia di serpenti velenosi la stavano mordendo,
iniettando il loro acido nelle sue vene.
La sensazione di tremenda agonia
continuò per
lunghi interminabili momenti, potevano essere passati anche solo pochi
secondi,
ma per lei era già fin troppo. Cercò quasi di
allontanare la presa di Dom dalla
spalla, ma non ci riuscì. Non riusciva più a
controllare il proprio corpo, non
riusciva nemmeno più a pensare nitidamente.
E poi, tutto svanì. Si
ritrovò a terra, in
ginocchio, con il fiatone. Perle di sudore le impregnavano il volto e i
vestiti, il cuore batteva all’impazzata.
Ma era ancora lì. Il dolore era cessato
all’improvviso, quasi come se non ci fosse mai stato.
Stentava perfino a
ricordarselo. Si rialzò lentamente in piedi, tremando come
una foglia. Rivide
le pareti della casa, rivide il salotto, rivide Kevin intento ad
osservarla
inespressivo mentre era seduto sulla poltrona e poi rivide Dominick.
Il castano era in piedi, con il capo chinato e
gli occhi ancora chiusi, anche lui con il fiatone e con i capelli
tirati
all’ingiù a causa del sudore.
Rachel guardò entrambi i ragazzi,
incapace di
pensare qualsiasi cosa, poi sgranò gli occhi. Si
drizzò completamente e si
guardò le mani. Tremavano ancora. Il suo intero corpo era
ancora parecchio
scosso. Ma non stava succedendo niente.
Il cuore batteva all’impazzata, il
respiro era
pesante, il tremolio era costante... ma non succedeva niente.
Non uscivano nuvole di vapore nero dalle sue
mani o dal suo corpo, non sentiva fitte di dolore alla testa, non si
sentiva
più come se avesse un macigno nello stomaco. Le pareva di
essere più leggera
perfino dell’aria, come se le avessero tolto dai piedi una
zavorra di una
tonnellata.
E dunque, realizzò.
«Ci... ci sei riuscito»
mormorò, incredula,
mentre una sensazione di sollievo sorgeva dentro di lei, accompagnata
da un
tenue sorriso.
Passarono ancora diversi istanti, durante i
quali Rachel rimase completamente concentrata su sé stessa.
Tentò diverse volte
di usare i poteri di sua spontanea volontà, ma di questi
nessuna traccia. Erano
svaniti. Ora il suo corpo era di nuovo suo. Niente più
battaglie interiori,
niente sgradevoli sensazioni, niente di niente.
Era finito. Finalmente, era libera.
Ci impiegò ancora qualche momento, per
realizzare, tuttavia, che Dom ancora non le aveva risposto.
Sollevò lo sguardo,
perplessa. «Ehi, hai sentit...» Si interruppe di
colpo, quando lo vide con
ancora il capo chinato e il fiato grosso, così grave da
sembrare quasi un
rantolio.
Inarcò un sopracciglio e
cercò dunque lo sguardo
di Kevin, ma questi distolse lo sguardo da lei immediatamente, la bocca
stirata
in un’espressione indecifrabile, ma a Rachel parve quasi di
sconforto.
Un brivido le percorse la schiena e il sorriso
svanì completamene dal suo volto. Cercò di nuovo
di rivolgersi a Dominick, ma
questa volta lui fu più veloce. Prima che la corvina potesse
aprire bocca, una
sommessa risata cominciò a provenire dal castano, risata che
cominciò a farsi
mano a mano più forte, fino a quando egli non
rovesciò la testa all’indietro,
spalancando entrambe le braccia.
«Meraviglioso!»
esclamò, mentre un’aura di
energia nera fin troppo famigliare alla ragazza cominciava ad
avvolgergli il
corpo.
Rachel sgranò gli occhi. Con suo orrore
crescente, cominciò a capire che cosa stava succedendo.
«Ma come facevi ad essere così
infelice con un
simile potere dentro di te?!» domandò ancora
Dominick, smettendo di ridere, ma
sorridendo ugualmente come un pazzo. Senza nemmeno attendere una
risposta, urlò
più forte e un’onda di energia si
diramò dal suo corpo, causando uno spostamento
d’aria che fece tremare le pareti, sbattere i mobili e per
poco non mandò anche
Rachel a gambe all’aria.
La ragazza a quel punto indietreggiò,
inorridita, ma andò a sbattere contro qualcosa. Si
voltò, per poi ritrovarsi di
fronte l’espressione severa di Kevin, il quale, con un
semplice movimento del
capo, le fece intuire che andarsene era fuori discussione. Corvina
pietrificò,
incapace di pensare.
«Oh, sì...»
borbottò ancora Dom, riportando le
braccia accanto ai fianchi, mentre l’aura si affievoliva.
«... questo... era
esattamente ciò che cercavo.»
«Mi... mi hai rubato i poteri!»
esclamò a quel
punto Rachel, riportando lo sguardo su di lui.
«Errore.» Il castano
negò la sua affermazione
sollevando l’indice, sogghignando. « Come avrai ben
intuito, anch’io sono un
conduit. Tuttavia, non sono un conduit come gli altri. Io non ho
acquisito
alcun potere dopo l’esplosione che mi ha investito.
L’unica cosa che ho
guadagnato, è stata la capacità di copiare i
poteri altrui tramite il semplice
contatto fisico. E la stessa cosa ho fatto con te.»
Rachel dischiuse le labbra, cominciando a non
capirci più niente. «Ma... non puoi solo averli
copiati... io... non li ho
più...»
«Questa è la parte
più bella» ribatté lui,
sollevando una mano per poi osservarsi il palmo, ammaliato.
«Io ho copiato i
tuoi poteri, e poi ho sfruttato la loro capacità per
eliminarteli.» Richiuse la
mano a pugno, riportando lo sguardo su di lei, trafiggendola con quei
suoi
occhi marroni. «Io non sono mai stato capace di cancellare
poteri, Rachel. L’unica
che era in grado di farlo eri tu. O meglio, lo erano i tuoi poteri.
Praticamente, te li sei cancellati da sola. Io ho fatto solo da
tramite. Ma non
temere, ne esiste ancora una copia, e quella, adesso, la possiedo
io.»
La mano tornò ad illuminarsi di nero e
il
ragazzo ridacchiò nuovamente. «Così
facendo, mi hai appena dato la chiave per
raggiungere il successo.»
«Che... che intendi dire?»
«Vedi, Rachel, ho passato mesi girando di
stato
in stato alla ricerca di poteri nuovi. Durante questo lasso di tempo ho
avuto
modo di copiarne decine e decine di diversi. Fuoco,
elettricità, fumo,
sabbia... tu lo nomini, e io ce l’ho. Poi siamo arrivati ad
Empire City. Qui ne
ho appresi due nuovi: il controllo mentale e la telecinesi. Indovina un
po’ chi
me li ha regalati?»
Rachel sgranò gli occhi. Una nuova
tessera del
mosaico andò al suo posto. «Sasha e
Alden...»
Dominick annuì con un sorrisetto di
trionfo. «Esattamente.
Vorrei dire che mi hanno dato parecchio filo da torcere, ma ti
mentirei, ed io
non sono un bugiardo. Ucciderli è stato uno scherzo per il
sottoscritto. Avendo
così tanti poteri, non ho nessun punto debole. O meglio, quasi, nessuno. Esisteva una persona che
forse, e dico forse, avrebbe potuto
rivelarsi
potenzialmente pericolosa per me.»
Indicò la ragazza. «Tu,
Rachel. Non appena sono
giunto ad Empire, le gesta della Demone sono subito arrivate alle mie
orecchie.
Non ci ho messo molto a trovarti. All’inizio volevo copiare i
tuoi poteri ed
uccidere anche te, ma poi ho visto meglio quella tua energia nera che
controllavi. E ho subito capito che quella era un qualcosa di
completamente
diverso dai poteri che ero abituato a conoscere. Tu non controllavi un
semplice
elemento, Rachel, tu controllavi qualcosa di molto più
potente e arcano.
Qualcosa di così misterioso che avrebbe perfino potuto
mettere a rischio la mia
incolumità.
«Così ho cominciato ad
osservarti. Ti ho
studiato per giorni, settimane, mesi. Ovunque tu e il tuo amico Lucas
andavate,
io c’ero. A debita distanza, certo, ma c’ero. Non
potevo certo rischiare di
farmi scoprire, o di immischiarmi nei tuoi affari. E ho notato che
più passava
il tempo, più i tuoi poteri si evolvevano. Ogni volta che si
presentava una
situazione particolare, loro si manifestavano sotto una nuova forma. E
la cosa,
naturalmente, ha suscitato il mio interesse.
«Il culmine lo hai raggiunto il giorno in
cui
hai affrontato Hank e gli hai cancellato i poteri. Ovviamente non
potevo essere
sicuro che fosse andata davvero così, tuttavia... il
sospetto c’era. Ed era
anche piuttosto forte. L’interruzione della quarantena, per
finire, è stata la
ciliegina sulla torta.
«Il mio obiettivo era quello di farti
arrivare
proprio a Sub City, città in cui già ero stato e
di cui conoscevo le insidie.
Ad Empire non esistevano più minacce in grado di mettere
alla prova i tuoi
poteri, ma qui... qui avresti davvero potuto trovare pane per i tuoi
denti,
avendo a che fare con gente come Deathstroke e Dreamer.
«Avevo bisogno di vederti alla prova, di
vedere
di cosa davvero erano capaci i tuoi poteri, di sapere a che cosa stavo
andando
incontro. Gli Underdog non ci avrebbero messo molto a trovarvi in ogni
caso, ma
non mi bastava. Dovevi essere coinvolta in qualcosa di molto
più grosso e
pericoloso, così ho avvisato Dreamer del tuo
arrivo.»
«Sei stato tu?!»
domandò Rachel all’improvviso,
interdetta. Nello stesso momento in cui pose quella domanda, ebbe un
flashback.
Ripensò al suo primo incontro con Dreamer e a ciò
che le aveva detto. Si era
sempre domandata come avesse fatto a trovarla, e ora sapeva la
risposta.
Un’altra tessera andò al suo posto.
Il castano, nel frattempo, annuì
nuovamente. «Per
tutto questo tempo ha creduto di essere una pedina di Dreamer, dico
bene?
Peccato che anche Dreamer non era nient’altro che una pedina
nelle mie mani.
Tutto quello che è successo, è stato iniziato da
me. Sapevo che Dreamer avrebbe
cercato di usarti per arrivare a Deathstroke, e sapevo anche che gli
UDG vi
avrebbero cercati. Il rapimento di Tara è stato
l’unico avvenimento in cui non
ho messo mano, ma è stato comunque provvidenziale.
«Intuendo che avreste cercato di andare a
salvarla, ho fatto un salto dagli UDG e ho fatto in modo di incontrarmi
con
Ravager, quella sera, nella High Sub, promettendole qualche
informazione sui
conduit, informazioni che a Deathstroke servivano come
l’ossigeno. Ovviamente
non sapeva che la stavo raggirando, e non credo che l’abbia
mai capito.
Mettendoti contro un avversario del suo calibro, ho scoperto molte
altre cose
interessanti su di te. Tutto ciò che hai fatto qui a Sub
City, non è servito ad
altro che a prepararti per la battaglia finale con Deathstroke, dove,
finalmente, ho scoperto che i tuoi poteri possono davvero cancellare
quelli
degli altri.
«A quel punto, non mi è
restato che attendere.
Dreamer e Deathstroke sono morti, le loro fazioni distrutte, e tu hai
deciso di
lasciare i tuoi amici. Non mi sarei mai aspettato
quest’ultima cosa da te, ma
devo dire che è stato un bel colpo di fortuna, per me.
Almeno sono riuscito ad
avvicinarti senza avere problemi di troppo. E, beh, credo tu sappia
come le
cose siano finite.
«Ora che ho anche i tuoi poteri, e mi
sono
assicurato che tu non li possieda più, sono ufficialmente il
conduit più
potente che esista. Con le mie abilità di copiatore, e i
tuoi poteri, nessuno
sarà in grado di fermarmi. Copierò
e cancellerò i poteri di tutti i conduit che si metteranno
sulla mia strada,
fino a quando non ne rimarrà solo uno.»
Dominick indicò sé stesso,
sfoderando un ghigno
di quelli che avrebbero fatto rabbrividire perfino il gatto di Alice.
«Una
nuova era sta per sorgere, come il buon Wilson ha anche detto. Ed io,
sarò il
dio di questa era. Vedi, Rachel...» Il sorriso
svanì dal suo volto, lentamente.
«Io non voglio fare del male né a te,
né ai tuoi amici, né alle persone
innocenti. Io voglio solo essere il più forte. Non mi
interessano cose come il
rispetto o la vendetta, non sono
uno di
quegli insicuri che desiderano solo di essere temuti e amati dalle
persone
semplicemente per colmare qualche vuoto lasciato loro dalle loro misere
vite.
Io non ne ho bisogno. Io voglio solo il potere.
Né più, né meno. E ora,
grazie a te, lo avrò. E nessuno potrà
contraddirmi.»
Un silenzio tombale scese quando smise di
parlare. Probabilmente si aspettava una risposta da parte di Rachel, ma
la
corvina era ancora troppo scioccata per poter aprire bocca.
Tutto quanto. In quelle parole, c’era
tutto
quanto. La risposta a tutte quelle domande che avevano attanagliato
Rachel,
quelle risposte che, in parte, aveva sempre voluto sapere.
Per tutto quel tempo... c’era stato lui
dietro a
tutto quanto. Aveva creduto di essere stata la pedina di Dreamer, ma la
realtà
era che perfino Dreamer era stato una pedina.
Dominick era il vero responsabile. Tutto quello
che le era accaduto a Sub City era stato per colpa sua,
perché lui voleva
metterla alla prova. Voleva i suoi poteri, ma prima di tutto aveva
voluto
accertarsi di cosa questi fossero davvero capaci.
E ora, erano suoi. Aveva ottenuto ciò
che
voleva.
Decine e decine di poteri, più i suoi,
ora erano
tutti riuniti all’interno di un unico individuo.
«Come... com’è
possibile? Come puoi... vivere
tranquillo... sapendo di possedere così tanti
poteri?» domandò infine, con un
filo di voce. Non era nemmeno arrabbiata, con lui, no. Era spaventata.
Nessun
essere umano era in grado di sostenere così tanta forza. A
stento era possibile
controllare un solo potere, per lei, come poteva Dominick essere ancora
sano di
mente? Ammesso che davvero ancora lo fosse.
Nessun uomo
può gestire così tanto potere. Perché
il potere da alla testa. Le
parole
di Ravager rimbombarono nella sua mente. Più
ne hai, più ne vorresti.
«Semplice. Basta essere forti»
rispose Dominick,
rivolgendole un’occhiata quasi sbeffeggiatrice.
«Cosa che tu hai preferito non
essere.»
Rachel ammutolì, ferita da quella
risposta. Strinse
i pugni, anche se sapeva che quel gesto non sarebbe servito a nulla.
«Suvvia, Rachel, non te la prendere. Io
non ho
nulla contro di te, anzi, voglio farti un regalo.» Il ragazzo
congiunse le
mani, sorridendole freddo. «Per dimostrarti che ti sono grato
di avermi donato
i tuoi poteri, sistemerò quella vecchia faccenda che in quel
giorno di pioggia
ad Empire ti ha causato tanto dolore, tutto per te. Indovina un
po’ chi è
arrivato in città qualche giorno fa’?»
Non appena udì quella domanda, Rachel
sentì il
respiro mozzarsi. La risposta le arrivò immediatamente, e le
parve tanto giusta
quanto errata.
Ma, d’altronde, chi altro poteva essere
colui
che l’aveva fatta soffrire in un giorno di pioggia?
«Richard...»
sussurrò appena, incapace di
credere lei stessa a quelle parole.
Il ragazzo annuì lentamente, accentuando
il
sorriso. Un brivido percorse la spina dorsale di lei, quando ebbe
quella
conferma.
«Si stava dirigendo a New Maries insieme
alla
sua scorta di Mietitori...» spiegò Dominick.
«... quando ho deciso di tendere
loro un’imboscata. Non sai quanto è stato facile
per me ucciderli tutti. E
ancora più facile è stato lasciarmi dietro delle
tracce per far sì che lui mi
inseguisse fino a qui. Non trovi che sia una cosa meravigliosa, Rachel?
Una
splendida riunione tra vecchi amici. Io, te, lui... Mi mancano ancora i
suoi
poteri, sai? Credo proprio... che mi prenderò anche quelli,
prima di ucciderlo.»
«No!» scattò Rachel
all’improvviso. «Non puoi
ucciderlo!»
«Perché no?»
domandò il conduit copiatore, con
finto tono d’innocenza. «Non dirmi che sei ancora
affezionata a lui.»
La ex conduit sgranò gli occhi,
chiudendosi di
nuovo nel silenzio. Sentì le guancie pizzicare e
pregò di non essere avvampata.
Erano successe così tante cose da quando
Richard
le aveva detto addio che lei lo aveva perfino quasi dimenticato. Quasi.
Malgrado tutto, aveva continuato a sognare i
giorni al collegio trascorsi soffrendo per il suo "tradimento". E,
inoltre, quando aveva visto quella luce, nella zona industriale, aveva
subito
pensato a lui. E adesso, subito dopo aver sentito
l’intenzione di Dom di
ucciderlo, si era immediatamente opposta.
Nonostante Richard l’avesse abbandonata,
non una
volta, ma ben due. Nonostante l’avesse ferita e umiliata.
Nonostante tutto ciò
che lui le aveva fatto, non voleva che qualcosa di brutto gli
capitasse.
In quel momento, si sentì molto
più debole di
quanto potesse immaginare. Con tutto quello che era successo, ancora
riusciva a
provare dei sentimenti verso di Richard. Ancora si sentiva legata a
lui, nonostante,
di fatto, a legarli non ci fosse più assolutamente nulla.
Dominick si avvicinò a lei, per poi
posarle di
nuovo una mano sulla spalla, facendola trasalire e distogliere dai suoi
pensieri. «Quel tipo è uno stronzo, dovresti
saperlo meglio di me. Non è tuo
amico, e di certo non è un innocente.» Il castano
chinò il capo, per osservarla
meglio negli occhi. Lei cercò di reggere lo sguardo, ma non
riuscì a resistere
a lungo. Abbassò gli occhi, sentendosi imbarazzata e stupida
come mai era
stata.
«Io voglio solo farti un favore,
Rachel» disse
ancora il copiatore, sfiorandole una ciocca di capelli. «Lui
non ti merita. Non
ti ha mai meritato. Bisogna essere ciechi, o stupidi, per non
accorgersi di una
come te. Lascia che gli dia una bella lezione.»
«No» insistette ancora lei,
scuotendo la testa
per poi trovare il coraggio di rialzarla. «È vero,
si è comportato malissimo
con me, però... però... non merita di morire. Non
puoi ucciderlo. Se davvero
non hai nulla contro di me, allora dovrai risparmiarlo.»
«Mh.» Il castano
piegò un angolo della bocca,
scrutandola dall’alto con aria pensierosa. Dopo diversi
istanti in cui Rachel
pensò di averlo convinto, quello scrollò le
spalle, allontanandosi da lei di un
passo. «Se non vuoi che io gli faccia del male, pazienza. Io
lo farò lo stesso.»
«Cosa?!» esclamò
lei. «Ma hai detto che...»
Prima che potesse terminare la frase, si
ritrovò
con la mano di Dominick avvinghiata attorno al suo collo. La corvina
sgranò gli
occhi, poi emise un verso strozzato. Cercò di dimenarsi e di
liberarsi da
quella presa, ma il ragazzo era molto più forte di lei.
«Ora mi hai proprio stancato, lo
sai?» domandò
il castano, calmo, per poi sollevarla come una bambola di pezza.
Rachel cercò di scalciare, ma la stretta
attorno
al collo aumentò vertiginosamente, e alla ragazza mancarono
le forze. La vista
le si appannò, respirare le divenne sempre più
difficile.
«Ascolta, Rachel, tu mi piaci, sai? Hai
un sacco
di potenziale, che però non sai sfruttare.»
Dominick le rivolse un sorriso
freddo. «E inoltre sei dannatamente testarda. Tutte le volte
che ti metti in
testa qualcosa, non ti fermi fino a quando non arrivi fino in fondo.
Hai
bisogno che qualcuno ti metta un freno, di tanto in tanto. Credimi, se
riuscissi a capire quando è il momento di fermarsi, non
avresti fatto la metà
delle cazzate che invece hai fatto. E scappare dai tuoi amici
è stata una di
queste.»
La presa aumentò attorno alla gola della
giovane. Il fiato le mancò, smise di dimenarsi del tutto.
Una lacrima le solcò
la guancia. Ma non appena pensò che quella fosse davvero la
fine per lei, il
castano la lasciò andare di colpo, facendola ruzzolare a
terra. Di nuovo libera
di respirare, la ragazza prese enormi boccate d’aria,
intervallate da fragorosi
colpi di tosse.
Rimase a terra, a tossire, a boccheggiare e
anche a singhiozzare. Si sentì vulnerabile come non mai. Era
come se lei fosse
un fuscello di legno che per poco non era stato spezzato da Dominick.
Tutto ciò
le fece capire quanto impotente fosse in quel momento.
«Ora devo andare. Tienila
d’occhio, Kevin.» Il
castano la aggirò, per poi arrivare alla porta. Accanto a
lui, Rachel scorse
Kevin, il quale la osservava con sguardo indecifrabile. La corvina
cercò di
rivolgergli una muta richiesta di aiuto, ma lui la ignorò
bellamente.
«A tra poco, Rachel» disse
ancora Dom,
strizzandole l’occhio, prima di aprire la porta e uscire
dall’abitazione.
Non appena fu fuori, Rachel chinò il
capo e
cominciò a piangere.
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Capitolo 26 *** L'ultima corsa ***
Capitolo
26: L’ULTIMA CORSA
Rachel non seppe dire quanto tempo passò
ad
osservarsi le mani, nei momenti che si susseguirono. Tutto quanto le
stava
crollando addosso, di nuovo. Era stata raggirata, di nuovo.
Certo, Dominick aveva detto che non avrebbe
fatto del male né a lei, né ai suoi amici, ma
poteva davvero fidarsi delle
parole di pazzo conduit assetato di potere?
Ancora non riusciva a capacitarsi di come quel
ragazzo potesse continuare a vivere serenamente nonostante le decine di
poteri
diversi che controllava. Come faceva a mantenere il controllo in quel
modo?
Sul fatto che fosse impazzito non c’erano
dubbi,
tuttavia era parecchio bravo a mascherare la cosa. Ma per quanto tempo
ancora
sarebbe riuscito a portare avanti quella farsa? Quanti altri poteri
doveva
ancora assorbire prima di perdere definitivamente il controllo?
Dominick non si sarebbe mai fermato, fino a
quando il suo corpo non sarebbe imploso. Avrebbe potuto resistere anni,
come
anche solo pochi giorni. Era solo questione di tempo. Prima o poi,
anche lui
avrebbe cominciato ad uccidere chiunque gli fosse capitato a tiro,
senza
distinzioni.
Oggi erano i conduit. Domani... chi poteva
dirlo.
Forse Rachel non era davvero stata raggirata, ma
fatto stava che, donandogli i suoi poteri, gli aveva appena conferito
la
capacità di impedire a chiunque di arrestare il suo cammino.
Ma forse, era ancora in tempo. Non poteva
più
combattere, ma avrebbe comunque potuto tentare di farlo ragionare. Non
solo per
salvare Richard, ma anche per salvare lo stesso Dominick,
nonché chissà quante
migliaia di persone innocenti.
Anche se non sarebbe andata molto lontano, con
Kevin a due passi da lei, stravaccato sulla sua poltrona.
Malgrado avesse la visiera del cappello calata
sugli occhi, Rachel era abbastanza sicura che, se avesse tentato di
scappare,
lui se ne sarebbe accorto. E le conseguenza sarebbero state spiacevoli.
Doveva
inventarsi qualcosa, e alla svelta.
«Non sei stanco di obbedire ciecamente ad
ogni
ordine di Dominick?» gli domandò, tutto ad un
tratto. «Insomma, non vuoi...»
«Non ci provare bellezza, non attacca con
me»
mugugnò Kevin, interrompendola, senza nemmeno alzarsi il
cappello.
«Non ti lascia mai agire di testa
tua?»
insistette ancora lei, sporgendosi verso di lui. «Lo sai che,
in questo
momento, tu sei suo prigioniero tanto quanto me?»
Una risatina sommessa provenne dal ragazzo, il
quale si levò il cappello da davanti agli occhi.
«Ma ci credi davvero alle
stronzate che dici? Credi davvero che io sia lo schiavo di Dom? Lascia
che ti
spieghi una cosa, ragazzina: Dom è mio amico. Siamo
praticamente fratelli. Le
cose che ci sono successe... non le augurerei a nessuno. Le cose che
sono
successe a lui in particolare. Tu non sai niente, né di me,
né di lui. Non
cercare di metterci l’uno contro l’altro,
perché non funzionerà mai, nel modo
più assoluto. E adesso tappati la bocca e non rompermi
più le scatole, o giuro
che ti zittisco io, ed è meglio che non ti dica
come.»
Kevin si rimise la visiera del berretto di
fronte agli occhi. «Ti lasceremo andare quando Dom
avrà finito con Richard,
perciò mettiti l’anima in pace e aspetta, in
silenzio.» Mise parecchia enfasi a queste ultime
due parole.
Rachel strinse i pugni. Immaginò un
cappio di
energia nera legato attorno al collo del suo aguzzino, ma ovviamente
nulla
accadde. Provò un profondo senso di vuoto.
Si riappoggiò allo schienale del divano
e
sospirò. Escluse le parole, non le restavano molti altri
mezzi per poter
convincere Kevin ad aiutarla. Dubitava che dirgli che il suo migliore
amico
fosse pazzo lo avrebbe convinto. Probabilmente, un po’ pazzo
lo era anche lui.
Lo sguardo della ragazza cadde poi sul vassoio
rimasto sul tavolo, e sulla sua tazza di caffè ancora piena.
Spostò lo sguardo
verso la porta. Non era molto lontana. E Kevin non sembrava molto
attento a
lei. Un pensiero le attraversò la mente e
avvicinò la mano alla tazzina.
«Prova a lanciarmela e giuro che te ne
farò
pentire amaramente» borbottò il ragazzo nel
momento stesso in cui lei ne sfiorò
il manico.
Corvina si irrigidì come un chiodo, poi
deglutì.
«Volevo solo berne un sorso...»
«Indubbiamente.» Era
sarcastico, Rachel se ne
accorse immediatamente. Sospirò, poi si avvicinò
la tazzina con mano tremante
alle labbra. Sorseggiò il caffè. Si era
raffreddato, ed era davvero disgustoso.
Posò di nuovo la tazza, trattenendo una smorfia.
«Ascolta... c’è...
c’è un bagno? Dovrei...»
«In teoria c’è, ma
in pratica devi darmi il
cellulare prima di andarci. E devo anche venire a
controllarti.»
«... non mi scappa
più.»
«Brava ragazza.»
Ormai senza speranze, Rachel si
stravaccò di
nuovo contro lo schienale del divano. Odiò con ogni fibra
del suo essere il
ragazzo seduto vicino a lei. Le cose si mettevano male, il tempo
stringeva. Ma se
non riusciva a levarsi
Kevin dai piedi, non sarebbe mai andata molto lontana. Ormai,
l’unica cosa in
grado di aiutarla era un intervento divino.
Passò qualche altro minuto. Corvina
cominciò a
girarsi i pollici, letteralmente, scervellandosi in tutti i modi
possibili per
poter trovare una soluzione, fino a quando qualcuno non
bussò alla porta
all’improvviso. Sia Rachel che Kevin si drizzarono di scatto.
Il ragazzo
sollevò un sopracciglio. «Dom? Ha già
finito?»
I rintocchi contro il legno proseguirono, con
più insistenza.
«Arrivo, arrivo!» Il castano si
alzò in piedi e
andò ad aprire, borbottando qualcosa di incomprensibile.
Corvina lo seguì con
lo sguardo, con il respiro mozzato.
«Che cavolo amico, la prossima volta
ricordati
le chia...» Kevin spalancò la porta, giusto un
attimo prima di ritrovarsi
conficcata una lama rossa in mezzo alla fronte. Nemmeno un millisecondo
dopo,
questa esplose, scaraventandolo dall’altra parte della sala,
facendolo sbattere
con violenza contro la parete. Diverse crepe si diramarono dietro di
lui.
«Ahia...» rantolò,
per poi crollare a terra,
seduto e con il capo chinato.
Rachel aveva osservato la scena quasi a
rallentatore, scioccata. Spostò poi lo sguardo verso la
porta, per poi rimanere
senza fiato. Un individuo si trovava sull’uscio, sicuramente
l’artefice di
quanto accaduto a Kevin.
Corvina intuì ben presto che gli dei non
c’entravano assolutamente nulla con lui.
«Lucas!»
«Rachel! Stai bene?»
domandò lui entrando in
casa.
La ragazza non rispose nemmeno. Si alzò
dal
divano e gli corse incontro, stritolandolo in un abbraccio.
Singhiozzò senza
nemmeno rendersene conto.
«Lucas» ripeté, come
in trance. «Grazie...
grazie...»
«Non dire niente, Rachel. Sta
tranquilla» la
rassicurò lui, accarezzandole la schiena. Quel contatto
così familiare la
rincuorò. E allo stesso tempo la fece sentire tremendamente
in colpa. Era stata
lei ad andarsene, lei gli aveva urlato in faccia, lei si era cacciata
nei guai
come una stupida. Lui non doveva essere lì ad aiutarla.
Avrebbe dovuto
lasciarla stare, dimenticarla.
«Perché sei qui, Lucas? Io...
io ti ho... ti ho...»
«Perché gli amici fanno
questo» la interruppe
lui, a voce bassa. Quel sussurro così vicino al suo orecchio
la fece
rabbrividire. «Si supportano nei momenti facili, ma anche, e
soprattutto, nei
momenti difficili. E comunque è stata anche colpa mia. Non
avrei dovuto
lasciarti andare in quel modo.»
«Come hai fatto a sapere che ero
qui?» domandò
allora Rachel, il tono carico di sensi di colpa.
«Te l’ho detto. Non avrei
dovuto lasciarti
andare in quel modo. Quando sei uscita, ho pensato per un momento che
saresti
tornata, ma non rivedendoti più sono uscito
anch’io, e ti ho vista volare verso
il centro. Anche se comunque...» Lucas si interruppe di
colpo. «Ma che diavolo
gli succede?»
«Cosa?» Rachel
sollevò lo sguardo, e vide quello
di Rosso inchiodato in un punto alle sue spalle. Si voltò,
per poi sgranare gli
occhi.
Qualcosa stava succedendo al corpo di Kevin. Il
castano era ancora immobile, seduto sul pavimento e accasciato contro
la
parete, così come Lucas lo aveva lasciato, tuttavia da ogni
centimetro del suo
corpo si stavano staccando frammenti molto sottili di quella che
sembrava
essere polvere. Un mucchietto di questa si era già
accumulato ai suoi piedi, e
non accennava a smettere di aumentare di volume. Le sue mani si erano
quasi
completamente spolpate, diverse dita mancavano all’appello, e
anche il volto
era molto più prosciugato.
La polvere grigia e nera si staccava per poi
riversarsi a terra, come una cascata. Sembrava cenere. Si stava
dissolvendo,
letteralmente.
«Ma... ma che diavolo gli hai
fatto?» sussurrò
Rachel, inorridita.
«Non... non lo so... ho usato una lama
uguale
alle altre...» rispose Lucas, per poi scattare
all’improvviso. Afferrò Rachel
per una mano, poi cominciò a trascinarla verso la porta.
«Dobbiamo andarcene,
subito. Non mi piace per niente questa storia.»
Rachel si lasciò trascinare per pochi
passi,
ancora troppo stordita dalla visione di Kevin, poi si voltò
e assecondò il
moro.
Corsero fuori dall’abitazione, a
perdifiato.
«Allora, che diavolo è
successo in quella casa?»
domandò Rosso, con affanno, dopo che ebbero percorso qualche
centinaio di metri.
«Quando avevi intenzione di andartene da là da
sola?»
«È... un po’
difficile da spiegare, in questo
momento...» mugugnò Rachel, per lo sforzo.
«Ora... ora devo...»
Si interruppe di scatto, quando un forte
spostamento d’aria si generò attorno a loro,
facendole finire alcuni granelli
di polvere negli occhi e nel naso, infastidendola. Lo stesso accadde a
Lucas.
Entrambi furono costretti a fermarsi per strofinarsi il volto.
Lo spostamento d’aria, nel frattempo,
divenne
più forte, portandosi dietro un’altra ingente
quantità di polvere. I capelli e
le maniche della felpa di Rachel cominciarono a sventolare. La ragazza
si portò
entrambe le braccia di fronte al volto, per proteggersi da ulteriori
granelli,
fino a quando l’afflusso di corrente non cessò.
Riaprì gli occhi, per poi vedere ancora
quella
polvere fluttuare accanto a lei e Rosso, circondandoli da entrambi i
lati, per
poi congiungersi in un unico punto esattamente di fronte a loro, dove
si stava
accumulando lentamente.
Osservandola meglio, Corvina constatò
che non si
trattava proprio di polvere.
Più la guardava, più la
ragazza sentiva un
orrendo presentimento scivolarle dentro. Quella cenere... era la stessa
che
fino ad un attimo prima stava fuoriuscendo dal corpo di Kevin.
Il mucchio di fronte a loro nel frattempo
cominciò
ad alzarsi in altezza, poi si divise alla base, e due protuberanze
spuntarono
fuori dal centro di esso. Alle estremità di queste, i
granelli neri si
congiunsero per formarne altre di più piccole. Per finire,
in cima al mucchio,
se ne formò un’ultima, rotonda.
Rachel sgranò gli occhi, cominciando
lentamente
a capire che cosa stava succedendo.
Accanto a lei, Lucas parve avere lo stesso
pensiero. «Cazzo...» rantolò, stringendo
i pugni.
La cenere smise di circolare, andando tutta
quanta nel mucchio, il quale continuava sempre di più a
prendere le sembianze
di un umanoide. Infine, i granelli si diramarono, e l’essere
cominciò a
muoversi, prima sgranchendosi gambe e braccia, poi il collo.
«Mi hai fatto male prima, lo
sai?» rantolò,
mentre gli ultimi sprazzi di polvere scura trovavano la loro
sistemazione, e
l’umanoide prendeva le sembianze di un corpo umano fatto e
finito, con tanto di
colore della pelle, vestiti e, in quel caso, cappello a visiera.
Una volta completamente ricostruitosi, Kevin
sogghignò, passandosi le dita sulla fronte, dove non era
rimasto alcun segno
del taglio lasciato dalla lama di Rosso. «Ma come puoi ben
vedere, ti servirà
di più di una lima per unghie al tritolo per
fermarmi.»
«È un conduit...»
osservò Lucas, con un
sussurro.
«Perspicace. Ti faccio i miei
complimenti. Ora,
se non ti dispiace, dovresti restituirmi Rachel.»
Rosso strinse i pugni, l’espressione
stupita
svanì dal suo volto, rimpiazzata da una più
determinata. «Scordatelo.»
Il conduit ridacchiò sommessamente,
chinando il
capo. «D’accordo.» Si
raddrizzò di scatto, gli occhi apparvero illuminati da
un’accecante luce arancione. «L’hai
voluto tu!» Sollevò un braccio, puntandolo
verso di loro, e da esso si sollevò immediatamente una
gigantesca coltre nera e
grigia, che si diresse verso i due partner.
«Sei pronta Rachel?»
domandò Red X, per nulla
intimorito, flettendo le gambe.
«Attento!» esclamò
Rachel per tutta risposta,
gettandosi su di lui. I due ragazzi caddero a terra, un secondo prima
che la
nuvola di cenere li investisse. Rimasero entrambi a testa bassa, fino a
quando
la coltre non si diradò.
Lucas scrollò il capo, disorientato.
«Rachel, ma
cosa...»
«Io non posso affrontarlo!»
gridò Corvina, interrompendo
la domanda del ragazzo, quasi con tono disperato. «Dobbiamo
scappare!»
Lui la osservò stranito. Schiuse le
labbra, ma
prima che potesse dire qualsiasi cosa, Rachel si rialzò in
piedi,
costringendolo ad imitarla. «Corri!»
«Credete che sia così
semplice?» li incalzò
Kevin, quando si accorse del loro tentativo di fuga. Un’altra
coltre di fumo
esplose dal suo braccio. «Nessuno può
sfuggirmi!»
Rachel sentì il cuore in gola quando
notò la
nebbia di cenere alle loro spalle. Intensificò gli sforzi,
sentì le gambe
andare a fuoco, ma non si sarebbe lasciata investire da quel fumo per
nulla al
mondo.
Red X si girò di scatto e
scagliò una delle sue
lame proprio nella bocca della coltre grigia. Poco dopo questa esplose,
annientando il cumulo di cenere, che si disperse nell’aria.
«Ho finito le lame»
borbottò, prima che Rachel
potesse anche solo pensare di poter tirare un sospiro di sollievo.
La corvina represse un’imprecazione, poi
si
concentrò nuovamente sulla fuga.
«Tanto vi prendo!»
starnazzò ancora Kevin, alle
loro spalle, molto lontano da loro. Rachel si voltò e a
stento lo vide,
talmente era distante, ma sapeva bene che qualche centinaio di metri di
vantaggio non sarebbero mai bastati per toglierselo dai piedi. Doveva
inventarsi qualcosa, e alla svelta.
Una colonna di fumo si sollevò
all’improvviso di
fronte a loro, esplodendo letteralmente da un tombino. I due ragazzi si
arrestarono di colpo, mentre Kevin si ricomponeva esattamente di fronte
a loro.
Questa volta, però, il suo corpo non
riassunse
colori normali, ma si tenne su tonalità grigie e nere,
intervallato a sprazzi a
piccole scie arancioni. Sembrava quasi essersi trasformato in un
tizzone
ardente. Cappe di fumo e cenere fuoriuscivano dalle braccia in maniera
autonoma, avvolgendolo come una cortina, e, ai suoi piedi,
un’immensa distesa
di polvere e carbone lo seguiva ad ogni movimento, attratta da lui come
da una
calamita.
E in mezzo a tutta quella nube tossica, Kevin si
infilò una sigaretta accesa in bocca. Sogghignò,
sbuffando un’altra nuvoletta
grigia scura dal naso. «E ricordatevi: il fumo fa
male.» Puntò di nuovo il
braccio verso di loro. «Tanto male.»
L’ennesima cappa scura affluì
dal suo braccio,
dirigendosi verso i due partner. Rachel si tuffò di lato per
evitarla, rotolando
sulla strada per attutire la caduta. La scia di fumo la
sfiorò, e, a discapito
di ciò che avrebbe mai creduto, avvertì
un’immensa sensazione di calore. La
nube era rovente, incandescente. Se l’avesse toccata, si
sarebbe presa chissà
quante ustioni.
Si rialzò e buttò lo sguardo
su Kevin. Si
arrovellò per cercare di capire quali punti deboli potesse
avere un conduit
come quello. Era formato da un misto di fumo, cenere, braci e polvere,
quasi
come se stesse incarnando i resti di un falò gigantesco.
«Rachel!» Lucas la
chiamò, una volta che la nube
si diradò. Le corse incontro, afferrandola per il braccio.
«Ho un idea,
seguimi!»
La corvina non se lo fece ripetere. Non perse
nemmeno
tempo a chiedergli che cosa avesse in mente, perché
sicuramente era meglio di niente.
Ricominciarono a correre. Questa volta, il moro
guidò Rachel verso il giardino di una delle villette sul
ciglio della strada.
Corsero sul prato e aggirarono l’abitazione. Passarono
accanto ad una piscina
vuota e scavalcarono la staccionata, entrando nel perimetro della
villetta
successiva.
Non appena la superarono, la recinzione esplose
alle loro spalle, travolta dall’ennesima nube di fumo.
Pezzi di legno carbonizzati caddero come pioggia
su di loro, accompagnati dalla risata di Kevin.
Rachel abbassò la testa, ma
continuò a correre,
imitata da Rosso.
Passarono da villetta a villetta, scavalcando
staccionate su staccionate, attraversando strade dopo strade,
perennemente
incalzati dagli attacchi di Kevin. Anche se il conduit non sembrava
volerli
davvero catturare. Era quasi come se stesse semplicemente giocando con
loro,
come un gatto con il topo. Cercava di dargli l’illusione di
poter davvero
riuscire a scappare, fino a quando non decideva di teletrasportarsi
esattamente
di fronte a loro, ridendo e deridendoli, costringendoli a cambiare
direzione all’improvviso
in quel labirinto di villette di periferia.
Corvina odiò tutto questo. Ogni volta
che
svoltavano ad un angolo aveva il terrore di essere catturata da lui.
Quel
paesaggio di villette ricordava quasi tutte quelle baraccopoli
malfamate in cui
ad ogni angolo si celava un insidia.
Tuttavia, era proprio grazie allo stesso
comportamento di Kevin che Lucas sembrava riuscire ad avvicinarsi
sempre di più
alla sua destinazione, qualunque essa fosse.
Per l’ennesima volta, il conduit
comparì di
fronte a loro. «Che vogliamo fare, ragazzi?»
domandò, facendo un tiro di
sigaretta. Il fumo che soffiò poi dalla bocca
andò a confondersi con quello che
lo avvolgeva. «Una partita a guardie e ladri fino
all’alba dei tempi? Io
comincio ad annoiarmi...»
Lucas serrò la mascella, poi
deviò ancora una
volta direzione. Ritornarono in strada e tirarono dritto. Percorsero
qualche
centinaio di metri, poi Rosso si fermò di scatto,
sorprendendo Rachel, la quale
continuò per ancora un breve tratto prima di fermarsi.
«Lucas? Che stai facendo?!»
domandò lei,
agitata, mentre una nuova coltre di fumo si dirigeva verso di loro.
Per tutta risposta il ragazzo le corse incontro.
«Ok, sei pronta?»
«E-Eh? Pronta per cos...»
Rosso non attese risposta. La spintonò a
terra,
con forza, facendole perfino del male, un istante prima che la nube
oscura li
raggiungesse. Rachel ruzzolò sulla strada, gemendo per il
dolore e anche per la
sorpresa. Sollevò lo sguardo e vide la nuvola di fumo
piazzarsi tra lei e
Lucas, separandoli. Una volta diradata, Corvina costatò con
orrore che il moro
era scomparso.
Dischiuse le labbra, atterrita. Cercò di
rimettersi in piedi, mentre il pensiero che l’avesse
abbandonata per davvero le
passava per la mente. Aprì la bocca, fece per chiamarlo a
squarciagola, ma un
nuovo afflusso di polvere proveniente da i canali di scolo della strada
la fece
ammutolire.
«Ehi, che è
successo?» domandò Kevin, ricomponendosi
di fronte a lei con un sorriso beffardo. «Il tuo amico ti ha
scaricata?»
Rachel serrò la mascella e si
rialzò, ma una
fitta di dolore lancinante alla caviglia la fece gridare di dolore e
ricadere a
terra. Si osservò i piedi, sudando freddo, e notò
una piccola scia di cenere
allontanarsi lentamente dal punto in cui aveva avvertito il bruciore,
per poi
dirigersi di nuovo verso il conduit di fronte a lei.
«Scusa, non volevo farti male»
borbottò Kevin,
mentre la cenere entrava dentro di lui passando per il braccio, per poi
sorridere cattivo. «Non troppo, almeno.»
Si incamminò verso di lei, prendendosi
tutto il
tempo del mondo, ritornando perfino in forma completamente umana. Il
fumo si
dissolse nel nulla, la sua pelle e i suoi vestiti riassunsero colori
normali.
Corvina cercò di rimettersi di nuovo in piedi, ma il dolore
alla caviglia non
le dava tregua. Osservò impotente il conduit avvicinarsi a
lei con terribile
lentezza. Aveva la vittoria in pugno, non c’era bisogno di
essere frettolosi.
Un’esplosione improvvisa li fece
sobbalzare
entrambi. Si voltarono e solo in quel momento Rachel notò
una grossa cisterna
d’acqua situata sul ciglio della strada, circondata da una
recinzione di
metallo. Ed era stata proprio la sua struttura ad essere vittima di
quell’esplosione. La recinzione saltò via,
così come le gambe legno che la
tenevano ferma.
Il grosso contenitore bianco cadde e si
aprì,
rigettando tutto il suo contenuto sulla strada.
Kevin sgranò gli occhi;
l’unica cosa che riuscì
a fare prima che la cisterna si schiantasse su di lui. Il suo urlo di
dolore si
smarrì nel boato che si susseguì.
Corvina fu inondata tanto quanto il conduit, si
sentì fradicia fino alle ossa, ma se non altro ne era uscita
indenne. Osservò
atterrita la cisterna riversa sulla strada, proprio nel punto in cui si
trovava
Kevin un attimo prima. Si voltò poi, atterrita, verso la
recinzione in cui si trovava
la stessa cisterna, per poi sgranare gli occhi.
«Avevo ancora una lama»
spiegò Lucas, sorridendo
in segno di trionfo, in mezzo alla piazzola che lui stesso aveva fatto
saltare
in aria.
Rachel sentì il cuore ricominciare a
battere.
Rosso la raggiunse e la aiutò a rialzarsi. Mentre si
rimetteva in piedi, la
corvina scoprì con enorme sorpresa che l’acqua
aveva cancellato il bruciore
alla caviglia, e che ora riusciva di nuovo a camminare normalmente.
«Il tuo piano era questo,
dunque?» domandò
infine, ancora con il fiatone.
Red X scrollò le spalle. «Ho
dovuto pensare alla
svelta.»
La ragazza inarcò un sopracciglio, per
poi
abbozzare un sorriso. Aprì bocca per rispondere, ma un urlo
lancinante la fece
trasalire. I due ragazzi si voltarono di scatto, per poi vedere Kevin
strisciare lentamente fuori da sotto la cisterna.
Il conduit era fradicio, completamente, e si
trascinava a stento sui gomiti. Gemeva ad ogni minimo movimento, e sul
suo
volto era stampata una smorfia di dolore così grande che
Rachel quasi provò
pena per lui. Quasi.
Kevin si girò sulla schiena, supino, e
si
strinse le braccia attorno all’addome, annaspando e
mugugnando rumorosamente.
Sembrava quasi che non riuscisse nemmeno più a respirare,
come se fosse appena
stato ferito molto gravemente. Eppure non c’era alcuna
traccia né di sangue, né
di contusioni su di lui.
Improvvisamente, Rachel ripensò alla sua
caviglia e a come il bruciore era passato, e a quel punto
capì che cosa fosse
successo. «L’acqua» sussurrò.
Il corpo di Kevin era quello di un tizzone
ardente, la base di un falò, braci e ceneri incandescenti. E
l’acqua, di
conseguenza, lo aveva raffreddato per bene.
Lucas annuì. «Faremo meglio ad
alzare i tacchi
prima che si riprenda.»
Si voltarono entrambi, ma non riuscirono a fare
un solo passo.
«EHI!» sbraitò
Kevin, girandosi su un fianco,
osservandoli con sguardo carico d’odio. «Che
diavolo... pensate di fare?! Voi
non... andate... da nessuna parte!»
Piantò i palmi sul terreno e si rimise
lentamente in ginocchio, mugugnando per lo sforzo. «Io...
devo... fermarvi...»
Grugnì per lo sforzo e strinse i pugni.
Gridò di
rabbia ed entrambi gli occhi gli si illuminarono di nuovo di arancione,
ma non
rimasero così a lungo. Le forze gli mancarono e
crollò di nuovo al suolo,
entrambe le iridi castane di nuovo tornate al loro posto.
«Non... non devo... fallire...»
rantolò ancora,
tentando di rialzarsi nuovamente.
Rachel continuò ad osservarlo. Si
mordicchiò
l’interno della guancia, perplessa. Poi si
incamminò verso di lui.
«Rachel!» la chiamò
Lucas. «Che stai facendo?!»
Lei non rispose. Tirò dritto, fino a
quando non
si ritrovò esattamente di fronte al conduit del fumo.
Incrociò le braccia e lo
guardò dall’alto, con aria severa.
«Perché lo fai?» domandò.
«Cosa?» mugugnò
Kevin, scoccandole un’altra
occhiataccia.
«Perché continui ad insistere?
Perché te l’ha
ordinato Dominick?»
«Ancora con questa storia...»
borbottò il
conduit, distogliendo lo sguardo da lei. «Io non sono il suo
segugio.»
«Allora perché non puoi
semplicemente lasciarci
andare?» insistette lei.
Kevin sferrò un pugno sul suolo, facendo
un
verso frustrato. «Pensi che abbia altra scelta?!»
gridò, strizzando le
palpebre. «Credi davvero che sia così facile per
me?! Credi davvero che io ci
provi gusto a fare tutto questo?!»
Il ragazzo si rimise a sedere, tenendosi per un braccio,
scrutandola con un solo
occhio aperto. «Tutte le persone a cui volevo bene sono
morte! C’era solo più
Dom! E poi anche lui è impazzito davanti ai miei stessi
occhi! Che cosa avrei
dovuto fare, abbandonarlo a sé stesso?! Io non sto obbedendo
ad alcun ordine,
sono qui per mia scelta! Io non voglio...» Kevin
abbassò lo sguardo, la voce si
ridusse ad un sussurro. «... perdere l’ultima
persona cara che mi è rimasta.»
«E pensi che assecondarlo in questo suo
folle
piano possa tornarti utile?» lo interrogò ancora
Rachel, senza mutare la sua
espressione.
Il conduit espirò profondamente,
rimanendo in
silenzio per diversi istanti. «Io... voglio solo... restargli
accanto...
assicurarmi che...»
«Non sei stupido. Anche tu sai che,
continuando
di questo passo, Dominick non farà altro che peggiorare. Se
già non sta bene,
allora vuol dire che le cose sono molto più gravi del
previsto.» Rachel si
inginocchiò vicino a lui, per osservarlo meglio negli occhi.
Gli posò una mano
sulla spalla, giocandosi l’ultima carta che le era rimasta.
Kevin non era
pazzo, non ancora, e le sue parole gliel’avevano appena
dimostrato. Con lui
sapeva di poter riuscire a ragionare, sapeva che, forse, lui
l’avrebbe
ascoltata.
«Se davvero tieni a lui, allora avresti
dovuto
impedirgli di fare tutto quello che sta facendo già da tanto
tempo. Anche tu
sei un conduit, sai bene che cosa significa dover convivere con un
potere che
cerca in tutti i momenti di impossessarsi della tua mente. E Dom ne ha
decine
dentro di sé. Per quanto tempo pensi ancora che possa
resistere, ammesso che ne
sia ancora in grado? Quando avrai intenzione di fare qualcosa per
aiutarlo?
Quando perderà del tutto il controllo, definitivamente? Beh,
sappi che a quel
punto sarà già troppo tardi. Kevin... tu sei
l’unico che può ancora fare
qualcosa per lui. Prima che attraversi il punto di non ritorno. Se vuoi
davvero
aiutarlo... allora non devi permettergli di continuare ad assorbire
poteri.
Dobbiamo fermalo. Devi fermarlo.»
Concluse di parlare. Kevin la osservò
ancor per
qualche momento, senza proferire parola. Sembrava stesse rimuginando su
quanto
detto da lei. Infine, chinò lo sguardo e si
osservò la mano. Una piccola scia
di fumo si generò dalla punta delle dita. «Non sai
quante volte questi bastardi
hanno cercato di fottermi» borbottò, con voce
calma. Chiuse la mano a pugno e
la piccola cappa svanì. Sorrise amaramente. Il suo sguardo
parve smarrirsi nel
nulla all’improvviso, sembrava quasi nostalgico.
«Kevin...»
«Io non sono forte» la
interruppe lui, senza
nemmeno guardarla. «Non lo sono mai stato. Per tutta la vita,
non ho fatto
altro che aggirare i miei problemi. Non ho mai avuto il coraggio di
gettarmi a
capofitto in una situazione difficile per cercare di risolverla.
Aspettavo che
qualcun altro si facesse avanti al posto mio. Gestire i miei poteri...
è stato
un autentico inferno. Dominick, invece, era di tutta un’altra
stoffa. Anche lui
spesso e volentieri evitava i problemi, ma quando non poteva farlo,
allora si
ingegnava per riuscire a risolverli. E se devo essere sincero, era
davvero
abile nel farlo. Le nostre stesse vite ne sono state la dimostrazione.
Lui è
cresciuto tranquillo, sereno. Ha ottenuto tutto quello che un uomo
possa
desiderare. Io, invece, non ho fatto altro che rimanere nella sua
ombra,
desiderando, un giorno, di poter essere anch’io come lui, ma
senza fare mai
davvero nulla di concreto.»
Un altro sospiro. «E adesso, invece,
è proprio
Dom il problema. Per tutto questo tempo ho semplicemente cercato di
aggirare
anche lui. In un certo senso... speravo quasi che, aiutandolo in questa
sua
campagna, si riprendesse da solo. Credevo che assecondando il suo
desiderio...
in qualche modo potesse riuscire a guarire.»
«Sai meglio di me che le cose non possono
funzionare in questo modo» asserì la ragazza,
quasi rimproverandolo. «C’è solo
una cosa che puoi fare, ossia aiutarmi. Dom sarà anche stato
quello bravo a risolvere
i problemi, ma adesso il problema è proprio lui. Per una
volta, Kev, prenditi
le tue responsabilità e fai ciò che devi. O
l’intera città, e forse anche altre,
ne pagheranno le conseguenze. Non puoi lasciare che migliaia di persone
rischino la vita solamente perché non hai il coraggio di
affrontare il tuo
amico. È ora che tu esca dall’ombra di Dom.
È ora che tu ti dia da fare.»
I loro sguardi si incrociarono. Adesso Kevin non
la guardava più con aria assente, ma quasi con sorpresa.
Sembrava...
sinceramente stupito dalle parole di Rachel, dal fatto che nonostante
tutto lei
fosse ancora lì a cercare di parargli, a cercare di
aiutarlo. Con quello
sguardo, parve quasi che lui la stesse rivalutando completamente.
«Tocca... tocca a me...»
osservò infine, a bassa
voce.
Rachel annuì. «Sì,
Kev. Tocca a te.» Si alzò in
piedi, per poi porgergli la mano. «In piedi,
coraggio.»
Il castano spostò lo sguardo sulla mano
della
ragazza. Infine, sospirò e decise di prendergliela.
«Ci faremo ammazzare, lo
sai, vero?»
«Correremo il rischio» sorrise
la ragazza.
«No, sul serio...» Kevin, una
volta in piedi, si
mise una mano dietro il capo, quasi imbarazzato. «Tutto
questo casino... è
successo per colpa mia. Non sei costretta a venire anche tu.»
«Anch’io sono coinvolta in
questa storia. Io
vengo eccome.»
Un sorriso si dipinse sulle labbra del conduit
del fumo. «Beh... in tal caso, grazie. E scusa... per tutto
quello che Dom ti
ha fatto. Non te lo meritavi. Non tu che sei rimasta ad aiutarmi dopo
che avevo
appena cercato di catturarti.»
«Non è ancora troppo
tardi» cercò di
rassicurarlo Rachel. «Forse c’è ancora
speranza per i miei poteri.»
«I tuoi poteri?» si intromise
Lucas, rimasto in
disparte per tutto quel tempo. «Ma di che diavolo state
parlando? Chi è Dominick?»
Solo in quel momento Rachel si ricordò
anche
della sua presenza. «Ecco... è una lunga storia da
raccontare...»
Rosso scrollò le spalle. «Beh,
potrai
raccontarmela mentre andremo a prendere questo tizio a calci.»
Corvina sgranò gli occhi.
«Vuoi venire anche tu?»
«Certo, che domande. Siamo partner,
ricordi?
Dovunque vai, io ti seguo.»
«Ma... non devi per forza...»
«Credimi» la zittì
lui, posandole una mano sulla
spalla. «In questo momento vorrei essere ovunque meno che
qui. Ma ormai ci
sono, quindi tanto vale prendere il toro per le corna e darci un taglio
definitivo con questa faccenda.»
«Lucas...» Rachel
sentì la vista appannarsi. Gli
aveva urlato in faccia, aveva voltato le spalle a lui e al resto dei
suoi
compagni, aveva preferito dar retta ad un pazzo piuttosto che a lui.
Eppure,
lui era comunque tornato da lei. E non solo quello, voleva anche
aiutarla. Dopo
tutti i casini in cui si erano ficcati, in cui lei li aveva
ficcati, era ancora lì, pronto a darle il suo sostegno.
Agì d’istinto, e strinse il
ragazzo in un
abbraccio. Singhiozzò, e si sentì un
po’ infantile per quello, ma non riuscì
proprio a trattenersi. «Grazie... per non avermi
abbandonata... grazie.»
Lui ridacchiò, poi ricambiò
l’abbraccio. «Non
cambi mai, vero? Sei sempre così emotiva...»
Una piccola risatina uscì anche dalla
gola di
lei. «Stiamo avendo un momento qui, non
rovinarlo...»
Rimasero stretti l’una nelle braccia
dell’altro
per diverso tempo, forse anche troppo.
«A quando le nozze?»
I due partner si voltarono, per poi notare
Kevin, il quale li osservava con un sorrisetto beffardo.
«Sbaglio o eravamo di
fretta?»
Corvina sentì le guance in fiamme e si
separò da
Rosso. «Sì, giusto... andiamo.»
Kevin annuì, poi fece cenno di seguirlo.
«Prendiamo
la macchina, muoviamoci.»
I tre ragazzi cominciarono a correre.
***
L’imbarazzo che Rachel provò
nel raccontare a
Lucas ciò che aveva fatto fu un qualcosa di indescrivibile.
Solamente sentendo
quelle parole uscire dalla sua bocca, si rese conto di quanto davvero
stupida
fosse stata a fidarsi. Cioè, quello ormai lo aveva
già capito, ma raccontare
tutto non fece altro che alimentare quel suo pensiero.
Kevin, di fronte a loro, guidava a tutta
velocità, quasi ignorando la loro esistenza. Da quando erano
saliti in macchina
non aveva più detto una sola parola.
Quando Rachel, infine, concluse di parlare,
Lucas si limitò a sospirare profondamente.
«Mi dispiace, Lucas»
mormorò lei, con la vista
appannata, volgendo lo sguardo verso il finestrino e i palazzi che
sfrecciavano
accanto a loro. «Ora... penserai che sono
un’idiota, e non ti biasimo...»
«Non lo penso» rispose lui,
calmo.
«Beh, dovresti»
mugugnò Rachel, stringendosi
nelle spalle.
«Eri confusa, avevi paura di
ciò che i tuoi
poteri potevano fare, non potevi davvero sapere che sarebbe finita
così.»
«Beh, avrei potuto
immaginarlo...»
Rosso strinse i pugni e chinò lo
sguardo,
scuotendo la testa. «Credimi, la colpa è anche
mia. Dreamer ti aveva
scombussolato la mente, avevi bisogno di qualcuno che ti parlasse con
calma,
che ti facesse schiarire le idee, non di un idiota che ti indicasse la
porta...»
«Lucas...»
«I tuoi poteri erano spaventosi, e questo
non lo
nego. Hanno attirato molta cattiva gente, non nego neanche questo.
Capisco
perfettamente tutta la paura e il risentimento che provavi riguardo a
loro. Io
stesso ne sarei stato intimorito. Tuttavia, in quali mani avresti
preferito
vederli? Nelle tue, oppure in quelle di qualche pazzo
assassino?»
Rachel dischiuse le labbra.
«Sono successe molte cose spiacevoli, a
causa
loro. Ma tu, Rachel, tu sei comunque riuscita a tirare fuori il loro
lato
migliore. Tu eri la loro custode, mi capisci? Nelle tue mani, quei
poteri hanno
fatto molte più cose buone di quante io ne ho fatte in tutta
la vita. Tu sei
riuscita a nascondere il marcio che c’era in loro, facendo la
cosa giusta nei
momenti che lo richiedevano, senza mai abusare di loro per un tuo
tornaconto.
Rachel...»
Lucas le posò una mano sulla spalla,
sorridendole flebilmente. «Tu... sei la dimostrazione
tangibile che da tutto il
marcio che è diventato questo mondo, può comunque
ancora nascere qualcosa di
buono. Tu rappresenti il bene che c’è nel male, tu
sei il bene che
c’è nel male. Se non ci fossi stata tu, ma qualcun
altro al tuo posto, quei poteri avrebbero fatto solamente danni. Tu sei
riuscita in un qualcosa in cui chiunque altro avrebbe fallito
miseramente, sei
riuscita a tenere alta la speranza di vedere, un giorno, la luce
tornare su
questo mondo fatto di tenebre. Tu sei la prima e unica conduit davvero
buona
che abbia mai visto. Sei un esempio, Rachel, un esempio da seguire. Una
persona
a cui gli altri dovrebbero ispirarsi» concluse il ragazzo,
prendendola per una
mano.
La sua stretta era forte, calda, rassicurante.
La fece sentire protetta,
apprezzata. Un brivido le percorse la schiena, il respiro le si
mozzò per un
breve attimo. Poi piegò il capo e singhiozzò. Le
parole di Rosso erano state
una doccia gelata, per lei. Ma non in senso negativo, nel senso che,
quelle,
erano proprio le parole di cui aveva sempre sentito il bisogno.
Parole di conforto, supporto, che le facessero
capire che non era davvero sola.
«Però...» mormorò, a
malincuore. «Ormai... i
poteri non ce li ho più...»
«Troveremo una soluzione» la
rassicurò ancora
lui, prendendola per il mento, costringendola a
guardarlo negli occhi. «Credimi, Rachel, ce la
faremo. Ne abbiamo
passate di tutti i colori, non vedo perché dovremmo fallire
proprio adesso.»
Rachel lo osservò per un breve momento,
mordicchiandosi
il labbro, poi riuscì ad abbozzare un piccolo sorriso.
Annuì lentamente, poi
appoggiò la testa sotto al suo mento. «Grazie
Lucas... grazie.»
«Cosa faresti senza di me?»
brontolò lui,
circondandole le spalle con un braccio.
«A volte me lo chiedo
anch’io...»
Ma... per caso
l'esplosione ha colpito
anche i recensori? No perché mi sento un po' solo,
ultimamente.
Comunque sia, volevo solamente chiedere ai lettori di fare un plauso al
sottoscritto, che quando ha iniziato a scrivere la storia non era
nè
maturo, nè patentato, e ora è entrambe le cose
(anche se patentato
ormai lo era già da più di un mese, ma dettagli).
Grazie, grazie, troppo gentili. E vi chiedo scusa per non
avere più lasciato note deliranti come quelle degli scorsi
capitoli, ma a furia di scrivere boiate in grassetto sono rimasto un
po' a corto di munizioni. In ogni caso, spero che il capitolo vi sia
piaciuto. Siamo davvero, davvero agli sgoccioli ormai. Spero di non
dover arrivare da solo alla fine, sarebbe un po' triste.
Comunque sia, ho già un bel po' di idee per quando Infamous
sarà finito, perciò non preoccupatevi: ci
vorrà ancora un bel po' prima che questo fandom possa
liberarsi di me.
Caldi abbraccioni, alla prossima!
|
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Capitolo 27 *** Fuori controllo ***
Capitolo
27: FUORI CONTROLLO
Non doveva più mancare molto alla
destinazione,
ormai. E fu proprio pensando a quello, che Rachel si rese conto di una
cosa.
«E Tara? Lei
dov’è?» domandò a Rosso,
sollevando
lo sguardo verso di lui.
Lui si limitò ad
un’espressione mesta. Il suo
silenzio valse più di qualsiasi altra parola. Per
l’ennesima volta, Rachel si
sentì tremendamente in colpa. Il gruppo si era distrutto,
per colpa sua. Amalia
era scappata, Tara era scappata, Ryan non c’era
più.
«Tornerà, vedrai» la
rassicurò Lucas. «Tara,
intendo. Lei si era affezionata a noi, e di sicuro non vorrà
rimanere da sola
con i suoi poteri. Amalia invece... ho paura che dovremo costringerla a
tornare
con la forza.» Il ragazzo abbozzò un sorriso,
presto imitato dalla corvina, che
annuì in parte più sollevata.
«Questa è la vostra ultima
possibilità» disse
Kevin all’improvviso, dopo minuti e minuti di silenzio, lo
sguardo serio
incollato sulla strada, le mani salde sul volante, la sigaretta ormai
ridotta
ad un mozzicone stretta tra le labbra. «Se volete tirarvi
indietro, potete
farlo.»
«Io resto» rispose Corvina,
decisa a rimediare
al suo errore a tutti i costi.
«E io pure» concluse Rosso.
Kevin scrollò le spalle. «Come
vi pare. Sappiate
che se le cose si mettono male, non sarò io a parare le
vostre chiappette.
Dovrete arrangiarvi.»
«Qual è il tuo
piano?» domandò Lucas di rimando.
Le nocche del conduit del fumo sbiancarono da
quanto strinse il volante. «Prendere Dom a calci in culo
così forte da farlo ritornare
in sé.»
Sembrava molto determinato. Di sicuro, Rachel
non lo aveva mai visto così serio. E, sicuramente, averlo
come alleato in quel
momento era molto meglio che averlo come nemico.
«Kevin» lo chiamò
lei. «Posso farti una domanda?»
«Ti ascolto.»
«Ecco, hai detto che Dominick
è impazzito
davanti ai tuoi occhi, ricordi? Ma... che intendevi dire, di preciso?
È
impazzito per colpa dei poteri?»
Kevin sospirò profondamente, poi scosse
la
testa. «No. I poteri non c’entrano niente. Vedi...
io e lui siamo sopravvissuti
alla stessa esplosione, sette mesi fa’. Tsk... la fortuna
certe volte è proprio
una stronza...»
Rachel sgranò gli occhi per la sorpresa.
Anche
se, in effetti, le cose non potevano essere andate molto diversamente.
Kev e
Dom si conoscevano da una vita, ed entrambi erano conduit. Era ovvio
che
fossero stati entrambi colpiti da un’esplosione, anche se
Rachel non si sarebbe
aspettata che questa fosse stata la stessa per entrambi. A loro due era
successa praticamente la stessa cosa che era accaduta a lei e Richard.
«Tuttavia...» Kevin, nel
frattempo, proseguì. «...
quel giorno, insieme a noi, c’era anche un’altra
persona. Una persona che non
ce l’ha fatta. Dom non ha mai accettato questa cosa. Da quel
momento, ha voluto
scoprire a tutti i costi cosa fosse successo, chi fosse
l’artefice di
quell’esplosione. Così ha copiato i miei poteri
del fumo, ed è andato a cercare
un po’ di risposte. Io... non so dove sia andato con
esattezza, la città era
sigillata, non si poteva né entrare né uscire, e
anche se noi eravamo conduit e
potevamo fare uno strappo alla regola, io ho preferito non andarmene.
Lui però
lo ha fatto, ed è sparito per settimane.
«Prima di partire non era ancora messo
male, ma
quando è tornato... era diventato tutta un’altra
persona. Completamente. Per
giorni non ha fatto altro che blaterare frasi sconnesse sul voler
diventare il
più forte, l’ultimo sopravvissuto ed eccetera.
È arrivato fino al punto di
spaventare a morte la sua ragazza. E quando lei è scappata,
lui ha perso definitivamente
la testa. Io... non so cosa sia successo con esattezza in quelle
settimane in
cui è stato via, ma credo che abbia semplicemente trovato le
risposte che
cercava. E la verità lo ha fatto ammattire. Unendo tutto
quanto alle persone sue
care che sono morte... non è stato per niente facile avere a
che fare con lui.
Credimi, tu non hai visto niente quando lo hai conosciuto. Ti posso
assicurare
che si è trattenuto parecchio, con te. Quando ha scoperto i
tuoi poteri... ne è
rimasto così affascinato che per poco ho creduto che potesse
davvero tornare in
sé. Ma ovviamente non è successo.»
Il ragazzo scosse lentamente la testa, facendo
schioccare la lingua. «Ancora non riesco a credere di essermi
bevuto questa
cazzata...»
Rachel rimase in silenzio, a meditare su quelle
parole. Quindi... anche Dom, forse, sapeva la verità celata
dietro alle
esplosioni. E se era stata proprio quella, unita a diverse perdite, a
farlo
ammattire, allora lei non credeva di volerla davvero sapere.
Nessuno parlò più per il
resto del viaggio.
Superarono la High Sub, arrivando nei pressi di
un enorme cantiere edile, dal quale cominciava già a sorgere
la grossa
struttura di un edificio. Un gigantesco mostro fatto di travi
d’acciaio,
impalcature e colonne di cemento.
La macchina si fermò sul ciglio della
strada,
Kevin spense il motore. «Capolinea»
borbottò, scendendo.
«Pronta Rachel?»
domandò Lucas.
Rachel osservò in silenzio il grosso
edificio,
senza rispondere. Erano lì, dunque. Dominick e Richard,
erano lì. Avrebbe
dovuto affrontare Dom, non fisicamente, sperava, ma soprattutto...
avrebbe
rivisto Richard. Sempre se era ancora vivo. Un brivido le percorse la
schiena
quando ebbe quel pensiero. No, doveva
essere ancora vivo. Non poteva essere altrimenti.
Tutto quanto stava per finire, davvero.
Indipendentemente dal fatto che avesse avuto successo o meno, dopo quel
giorno,
avrebbe finalmente messo la parola fine a tutto. Forse sarebbe riuscita
a
calmare Dom senza dover per forza combattere o forse lui li avrebbe
uccisi tutti
quanti.
Quello era davvero il capolinea. E lei, era
pronta. Avrebbe accettato il suo destino una volta per tutte.
Inspirò profondamente, poi
annuì. «Pronta.
Andiamo.»
I due ragazzi scesero e seguirono Kevin nei
meandri del grosso cantiere. Si addentrarono in mezzo a quel labirinto
di travi
e barriere architettoniche, con la luce del sole ormai calante a
guidarli.
«Sicuro che sia qui?»
domandò Lucas, guardandosi
intorno circospetto. «Questo posto sembra...»
Un boato proveniente da qualche parte di fronte
a loro lo fece interrompere. A quello, si susseguì un altro
rumore, simile a
quello di una frana.
Kevin non esitò un istante; si
trasformò in fumo
e si diresse a grande velocità verso il luogo dal quale il
rumore era provenuto,
senza nemmeno rispondere al moro.
«Ehi!» lo chiamò
Lucas, infastidito.
«Andiamo anche noi, forza!»
esclamò Rachel,
mettendosi a correre.
Il cuore accelerò
all’improvviso i propri
battiti. Il pensiero molto sgradito che Richard potesse essere ferito,
o in
pericolo, si insinuò dentro di lei abusivamente. Se non
altro, quel rumore
significava che un combattimento si stava ancora svolgendo per davvero,
quindi
forse non era troppo tardi per il Mietitore.
Attraversò il labirinto di travi e
colonne, fino
a ritrovarsi in un grosso spiazzale, circondato dall’edificio
ad ogni suo lato,
e dove si trovavano enormi cumuli di detriti, attrezzi e camion
abbandonati.
Vide Kevin poco distante da lei, fermo, di nuovo
in forma umana. Corvina fece per chiamarlo, poi scorse due bagliori
balenare
nel mezzo dello spiazzale, uno azzurrino e l’altro verde.
Sgranò gli occhi.
La luce verde si era appena fiondata su quella
azzurra,
scaraventandola contro una colonna di cemento ai lati del campo di
battaglia.
Questa crollò poi sul bagliore celeste, producendo quel
rumore che aveva
attirato lì i ragazzi. La luce azzurra,
all’ultimo, riuscì tuttavia a
scansarsi, prima di essere investita.
Si spostò a grande velocità
nel centro della
piazza, per poi affievolirsi, rivelando un individuo che si
accasciò su sé
stesso per riprendere fiato. Non appena lo vide, il respiro di Rachel
si mozzò.
Era Richard.
Non aveva più il cappuccio calato sul
viso, ciò
le permise di constatare quanto ulteriormente il suo aspetto fosse
peggiorato.
Ormai i suoi capelli erano quasi bianchi, il volto era sempre
più prosciugato,
quasi del tutto ricoperto dalle macchie nere di Sasha. Pochi sprazzi di
pelle pallida
e cadaverica rimanevano visibili, insieme ai suoi occhi azzurri, che
erano
l’unica cosa di lui che sembrava incapace di mutare con il
tempo e con le
intemperie.
«Richard...»
sussurrò, avvertendo diverse
lacrime rigarle le guancie.
L’aveva tradita, aveva calpestato i suoi
sentimenti, aveva perso il conto di tutte le volte che lei aveva
pensato queste
cose, ma non riusciva ad odiarlo o ad essere arrabbiata con lui. Non
vedendolo
ridotto in quelle condizioni in particolar modo. Ormai era
più morto che vivo,
logorato dal rancore, dalla collera e dal desiderio di vendetta.
Il Mietitore si piegò sulle ginocchia e
tossì
rocamente, sputando diverse chiazze di sangue. Gemette,
cercò di rialzarsi, ma
la luce verde fu di nuovo su di lui.
Dominick si materializzò dal nulla in
mezzo ad
essa e sferrò un pugno in pieno volto al ragazzo,
scaraventandolo contro uno
dei cumuli di detriti. Robin urlò, una pioggia di calcinacci
si abbatté attorno
a lui, un grande polverone si sollevò.
«Perché non ti arrendi e
basta?» domandò Dom,
ridacchiando, tornando in posizione eretta, facendo scomparire il
bagliore
color foglia. «Non c’è più
gusto a picchiarti, ormai...»
Richard si trascinò lentamente fuori dal
mucchio
di frammenti di cemento, strisciando sui gomiti. Con il respiro
affannato, si
rimise lentamente in ginocchio. «Mai...»
rantolò, per
poi rialzarsi con un impeto, tuttavia
barcollando per diversi istanti. Puntò una mano contro il
conduit copiatore, il
suo sguardo pareva spiritato. «Io non... non...»
Si interruppe di scatto, accorgendosi in quel
momento dei tre nuovi arrivati. Dischiuse le labbra, apparendo
sinceramente
sorpreso. «Rachel...» sussurrò, posando
lo sguardo su di lei.
La corvina sentì un brivido percorrerla.
«Richard...»
rispose lei, con un filo di voce.
«Kevin!» chiamò
invece Dom, corrucciando la
fronte. «Ma che diavolo...»
Il conduit del fumo fece un passo verso
l’amico,
zittendolo con un cenno della mano. «Dom, amico, fratello, tu
hai un problema.
Un grosso problema. E io sono qui per sistemarlo.»
Il ragazzo più alto inarcò un
sopracciglio. «Un...
problema? Scusa, ma questo cosa c’entra adesso? E
perché ci sono anche loro?»
domandò, indicando Lucas e Rachel.
«Devi smettere di assorbire
poteri» asserì
quest’ultima, con sicurezza.
Dominick sbatté le palpebre un paio di
volte,
apparendo alquanto confuso. Fece vagare lo sguardo dal suo amico, alla
ragazza,
a Richard e viceversa, per diverse volte, fino a quando le sue labbra
non si
stirarono in un sorriso malizioso. «Altrimenti?»
Rachel strinse i pugni. «Dominick, sei in
pericolo. Tutti noi lo siamo. Hai troppi poteri dentro di te, se
continui di
questo passo rischi di...»
«Non hai ancora risposto alla mia
domanda.» Dom
fece un passo avanti, allargando il sorriso. «Che cosa
succede se non faccio
come dici?»
«Ti ammazzerai da solo» rispose
Kevin al posto
della corvina, severo. «E ammazzerai un mucchio di persone
innocenti.»
«Kevin...» cominciò
il conduit copiatore,
scuotendo lentamente la testa, quasi deluso. «... non dirmi
che ti sei lasciato
influenzare dalle sue parole.» E piantò
l’indice sul Rachel. «Mi deludi...»
«Sei tu che hai deluso me, fratello. E
non solo.
Che cosa direbbe Rick se ti vedesse qui, oggi? Come pensi reagirebbe se
vedesse
il mostro assetato di potere che sei diventato? Ed Hester, invece? Devo
ricordarti che è scappata per colpa tua?»
L’espressione di Dom mutò
radicalmente. Un
fremito gli scosse l’occhio destro, piegò il capo
di scatto, come colpito da un
tic. Squadrò la mascella. «Non... nominarli. Mai più.» Quelle
parole uscirono fuori a stento, parvero un
rantolio.
Kevin, intanto, si sgranchì il collo e
allargò
le gambe. «Chi non devo nominare? Hester, oppure
Rick?»
«Stai giocando con il fuoco,
Kevin» minacciò
Dominick, serio come non era mai stato. «Non credere che solo
perché sei mio
amico non esiterò un solo istante ad ucciderti nel peggiore
dei modi.»
«Perché dovresti uccidermi?
Perché sto dicendo
la verità?»
«No.» La luce verde
tornò ad abbagliare il corpo
di Dom, e in un istante il conduit si ritrovò catapultato di
fronte a Kev. «Perché
non ti fai i cazzi tuoi!»
Sferrò un pugno al conduit del fumo,
che, colto
alla sprovvista, fu scaraventato a decide di metri di distanza,
smarrendosi nei
meandri del cantiere. Il suo urlo si disperse in mezzo ai pilastri di
acciaio,
ma una gigantesca ondata di fumo nero non ci mise molto a riapparire da
dove il
ragazzo era scomparso.
La coltre si abbatté su Dominick, il
quale,
avvolgendosi nuovamente con la luce verde, si teletrasportò,
letteralmente,
lontano da lei.
«Non fare idiozie, Kevin!»
esclamò, in piedi
sulla cima di un’altra pila di detriti. «Lo sai che
ho i poteri dell’acqua, non
hai nessuna speranza contro di me!»
Dalla nuvola di fumo prese forma il corpo di
Kevin, in assetto da combattimento, con gli occhi arancioni, il corpo
grigio e
gli aloni rossi incandescenti. «Lo dici tu»
rantolò, per poi puntare entrambe le
braccia verso di lui. «Io rivoglio il mio migliore amico,
Dom, e se per
riaverlo dovrò rivoltarti come un calzino, allora non mi
farò problemi a farlo!»
Altre due immense cappe di fumo si generarono
dai suoi palmi. Un tornado fatto di cenere e polvere si
generò tra i due
conduit e i restanti tre ragazzi, una vera e propria tempesta tossica
ed
incandescente.
In mezzo ad esso, Rachel riusciva a scorgere
perfettamente la luce verde di cui Dom si ricopriva e gli occhi
arancioni
splendenti di Kevin spostarsi da una parte all’altra con
estrema rapidità.
Il conduit del fumo tentava di colpire il
copiatore con tutto quello che aveva, ma quello non faceva altro che
evitare
tutti gli attacchi con la sua incredibile velocità.
Colonne di cenere e polvere si generavano da
ogni dove all’interno del tornado, avventandosi su Dominick
da qualsiasi
angolazione, sempre senza colpirlo. Bastò un solo sguardo
per permettere a
Rachel di capire che Kevin stava utilizzando tutta la forza che aveva
per poter
competere con un avversario ben oltre le sue capacità.
Infine, il copiatore contrattaccò,
scagliando un
raggio di luce verde smeraldo che andò a colpire Kevin sul
petto, un secondo
prima che questo si materializzasse di fronte a lui per cercare di
colpirlo. Il
conduit urlò di dolore e precipitò. La nube di
fumo si affievolì man mano che
lui precipitava, fino a riversarsi sul suolo. Il corpo del ragazzo di
cenere
svanì in mezzo ad essa.
Dominick, ancora sospeso a trenta metri di
altezza, si gettò in picchiata in mezzo alla nube, puntando
le mani aperte
verso di lei. Si schiantò al suolo, atterrando in ginocchio,
piantando con
forza i palmi sul terreno, e una gigantesca onda di energia verde si
propagò
fuori dal suo corpo, spazzando via tutto il fumo che lo circondava.
Quando ogni
traccia dell’alone oscuro fu cancellata, ritrasse i palmi e
si rimise in piedi.
Il copiatore si guardò attorno, senza
abbassare
la guardia. Una coltre di fumo si generò improvvisamente
alle sue spalle e
tentò di colpirlo, ma lui si voltò e
bloccò a pochi centimetri dal volto il
pugno che Kevin aveva cercato di sferrargli, materializzandosi proprio
all’inizio della cappa.
I due conduit si ritrovarono faccia a faccia.
Kevin aveva la mascella contratta e la luce degli occhi sempre
più accecante,
mentre Dom non aveva più mutato di una virgola la sua
espressione severa. Il
copiatore, poi, aumentò la presa attorno alla mano
dell’ormai ex socio,
stritolandogliela, fino a ridurla letteralmente in cenere.
Kevin mugugnò per il dolore, poi
urlò a pieni
polmoni e il suo corpo esplose in un’altra immensa coltre di
polvere, che andò
ad investire il ragazzo castano.
Dom serrò la mascella e la luce verde lo
investì
di nuovo. Scomparve di fronte agli occhi di Rachel, per poi riapparire
sulla
cima dell’edificio attorno a loro. Kevin non ci mise molto a
mettersi al suo
inseguimento. Lo scontro si spostò sul tetto ancora in
costruzione, con Kevin
che generava le sue nubi tossiche e scagliava proiettili solidi di
fumo, e
Dominick che rispondeva con i suoi raggi verdi scintillanti e si
teletrasportava per evitare ogni attacco.
Rachel osservava il combattimento, meravigliata
e impotente allo stesso tempo. Non voleva che si arrivasse fino a quel
punto,
avrebbe preferito che Dom li ascoltasse senza combattere, ma era chiaro
che
ragionare con lui era impossibile. Una parte di lei avrebbe dunque
voluto fare
qualcosa per aiutare Kev, ma non aveva proprio idea di che cosa. Cosa
poteva
fare senza poteri? Nulla. Poteva solo sperare che il conduit del fumo
riuscisse
a vincere.
«Non ce la farà...»
rantolò Richard
all’improvviso, scuotendo lentamente la testa, anche lui con
lo sguardo
incollato sul combattimento. «Controlla...
l’energia fotonica... è...
letteralmente... impossibile da colpire...»
«E non solo quella» rispose
Rachel, anche lei
senza staccare gli occhi dalla battaglia aerea. Parlare con il
Mietitore
avrebbe dovuto farle uno strano effetto, ma quello non era certo il
momento
adatto per badare a certe sottigliezze. «Se davvero volesse,
potrebbe
cancellare Kevin senza problemi, con i poteri dell’acqua. Sta
solo... giocando
con lui. Come stava facendo anche con te.»
Richard serrò la mascella, infastidito
da quella
affermazione. Poi inarcò un sopracciglio.
«Dov’è finito il tuo amico?»
Rachel sgranò gli occhi e si
guardò attorno. Di
Lucas non c’era più traccia.
«Cazzo...» sussurrò, intuendo cosa fosse
frullato
per la mente di Rosso.
Un urlo la fece distogliere da quei pensieri.
Sollevò di nuovo lo sguardo, per poi vedere il corpo di
Kevin precipitare dal
tetto, schiantandosi sul suolo.
«Kevin!» gridò
inorridita, correndo verso di
lui. Il conduit del fumo gemeva, si muoveva anche con dei piccoli
fremiti,
quindi, se non altro, era ancora vivo. Rachel si avvicinò a
lui per cercare di
aiutarlo, ma Dom si materializzò proprio di fronte a lei. Corvina
sobbalzò ed indietreggiò di
scatto.
Dom sogghignò e mosse un passo verso di
lei, ma
un’ombra si mosse furtiva dietro di lui. Rachel
spalancò la bocca, mentre Lucas
arrivava alle spalle del conduit, per poi spaccargli in testa un
detrito grosso
quanto un segnale stradale.
Rosso rimase con in mano due pezzettini
minuscoli, mentre il copiatore chinò il capo.
Barcollò in avanti, stordito, ma
non ci mise molto a ritornare in sé. Ringhiò e si
voltò di scatto, afferrando
Lucas per il collo. Il ragazzo sgranò gli occhi e fu
sollevato di trenta
centimetri da terra.
«Ma guarda, un piccolo e insulso essere
normale»
osservò Dominick, sogghignando. «Dimmi, cosa
pensavi di fare, con esattezza,
contro un conduit come me?»
Aumentò la presa, affondò le
unghie nella gola
del ragazzo, Lucas gridò.
«Lascialo!» esclamò
Rachel. Fece per correre
verso di loro, senza nemmeno sapere cosa fare con esattezza, ma fu
anticipata
da una coltre di fumo, che andò a schiantarsi sul copiatore;
Dom fu scaraventato
dall’altra parte dello spiazzo, e si schiantò
contro un muro. La presa dal
collo del moro si sciolse, e Rosso cadde a terra tossendo e
massaggiandosi la
gola.
Corvina spostò lo sguardo sbigottita, e
vide
Kevin di nuovo in piedi, con un’espressione di dolore mista a
rabbia stampata
in faccia. «Allontanatevi...» rantolò,
per poi barcollare verso il punto in cui
Dom era finito. «Qui... è pericolos...»
Una luce verde, e Dom si ritrovò di
nuovo di
fronte all’amico. Sorrise, poi gli sferrò un pugno
in pieno volto. Kevin sgranò
gli occhi, poi la testa gli esplose, letteralmente, in un cumulo di
polvere. Il
suo corpo stramazzò poi al suolo e anche quello si dissolse
in un mucchio di
cenere.
Inorridita, Rachel pensò che lo avesse
appena
ucciso, ma dal cumulo si generarono due colonne di fumo che andarono ad
investire le gambe del conduit copiatore.
Dominick sgranò gli occhi e
gettò il capo
all’indietro, mugugnando per le bruciature che il fumo
inflisse alle gambe.
Kevin si risollevò poi dalle ceneri e sferrò un
destro al copiatore, che però
si teletrasportò un secondo prima.
«Dannazione...»
sibilò, quando vide Dom
riapparire a decine di metri di distanza, sorridendo beffardo.
«Te l’ho detto, Kev, non hai
speranze contro di
me» lo punzecchiò.
«Chiuditi la fogna!»
sbraitò Kevin, ripartendo
all’attacco.
Per tutta risposta, Dominick rise.
«Accidenti...
vedo che... ti stai scaldando!»
Il copiatore gli puntò una mano, gli
occhi si
illuminarono di un rosso brillante, e dal suo palmo si
generò una palla di
fuoco gigantesca, che Kevin respinse con un proiettile di fumo.
Un’esplosione
si frappose tra loro, seguita da una nube di polvere.
«Il fuoco non mi spaventa»
replicò il conduit
del fumo, con il fiatone.
«Giusto, giusto... allora, forse,
sarà meglio
raffreddare gli animi!» Gli occhi di Dom divennero blu e dal
suo palmo, questa
volta, si generò un potentissimo getto d’acqua.
Kev sgranò entrambi gli occhi. Rispose
con una
coltre di fumo gigantesca, probabilmente la più grande che
avesse mai creato,
con l’ausilio di entrambe le mani. I due attacchi si
scontrarono tra loro,
rimanendo sospesi a mezz’aria. La situazione iniziale di
parità volse ben
presto a sfavore per il conduit del fumo, il quale sembrava sempre fare
più
sforzo per non cedere, mentre Dom non pareva minimamente affaticato.
Le scarpe del conduit affondarono nel terreno,
il ragazzo serrò la mascella, mentre il getto
d’acqua spazzava via poco per
volta la sua nube di fumo e si avvicinava sempre di più a
lui.
Rachel, che si era chinata accanto a Lucas,
osservò la scena bocca aperta.
Dominick rise di gusto, Kevin gridò
invece per
lo sforzo. L’acqua lo raggiunse. Ma, un istante prima che
ciò si verificasse,
la terra si sollevò dal nulla, andando a creare una barriera
di fortuna tra il
conduit del fumo e il getto. Vi fu un’altra esplosione, e
un’altra coltre di
fumo bianco si sollevò.
Non appena la nube si diradò, un Kevin
piuttosto
confuso apparve dinnanzi agli occhi della corvina, con ai suoi piedi i
resti di
quel riparo di terra improvvisato. Il conduit del fumo fu quello che
più di
tutti parve sbigottito nell’osservare questi rimasugli.
Alzò lo sguardo,
volgendolo in un punto ben oltre le spalle di Dom, per poi sgranare gli
occhi.
Gli altri ragazzi ben presto lo imitarono. E non
appena Rachel lo fece, rimase altrettanto sbalordita. In cima
all’edificio in
costruzione, in piedi su una lunga trave di ferro verticale, si trovava
una
ragazza bionda, con due sfavillanti riflettori gialli al posto degli
occhi. I
lunghi capelli biondi oscillavano sospinti dalla corrente, la pelle,
arancione,
quasi marrone, era ricoperta da scaglie.
«Tara...» sussurrò
Rachel, incredula.
La conduit della terra sollevò un
braccio, il
quale prese la forma di una lama, dopodiché saltò
nel vuoto con un grido.
«Grandioso...»
borbottò Dom, osservandola. «Altri
scocciator...»
«Mai dare le spalle
all’avversario!» urlò una
voce.
Il copiatore si voltò, sorpreso, per poi
beccarsi un calcio in pieno volto da Richard, il quale era di nuovo
avvolto dal
suo classico bagliore azzurro. Dominick barcollò
all’indietro, mugugnando per
il dolore. Robin tentò di nuovo di infierire, ma il conduit
si teletrasportò
lontano da lui per leccarsi le ferite.
Alle sue spalle arrivò Tara, puntandogli
contro
la lama di roccia. «Lascia stare i miei amici!»
urlò. Dom si voltò e digrignò i
denti, per poi teletrasportarsi una seconda volta, alle spalle di lei.
Terra sferzò il vuoto, facendo un grido
di
sorpresa. Il copiatore urlò e sollevò le mani per
colpirla, ma una coltre di
fumo lo centrò in pieno nel fianco, facendolo gridare e
scaraventandolo via.
Kevin si materializzò accanto a Tara, per poi sorriderle e
salutarla dandosi un
colpetto alla visiera del cappello. «Tutto bene,
signorina?»
Dopo un attimo di sorpresa, Tara
ricambiò il
sorriso e annuì. «Sì,
grazie.»
Dopodiché, la bionda si voltò
verso Rachel e
Lucas. Sorrise anche a loro, rivolgendogli un cenno del capo. Rachel
esitò
diversi istanti, prima di riuscire a ricambiare il cenno con
gratitudine.
«Non vorrei fare il
guastafeste» mugugnò Richard
arrivando in quel momento, mettendosi accanto ai due conduit.
«Ma è ancora lì.»
Ed indicò Dominick, il quale si era rimesso in piedi ed
osservava con odio
crescente, dall’altra parte del cortile, il trio di
improbabili alleati.
Kevin si sgranchì il collo per nulla
intimidito,
per poi illuminare gli occhi di nuovo di arancione.
«Vorrà dire che gli
cambieremo per bene i connotati.»
Dominick urlò con quanto fiato aveva in
corpo,
la luce verde lo avvolse di nuovo, poi ripartì
all’attacco. I tre conduit, dal
canto loro, non si fecero attendere. Kevin si avvolse nel fumo, Richard
si
illuminò di azzurro, Tara di giallo.
Quella scena, agli occhi di Corvina, ebbe del
surreale. Stavano combattendo contro di Dominick, un avversario ben
oltre la
loro portata, per di più senza nemmeno avere un obiettivo
comune.
Semplicemente, avevano capito che la minaccia da affrontare era troppo
grossa,
e avevano messo da parte schieramenti, rancori, qualsiasi cosa,
solamente per
poterlo sconfiggere.
Terra, Robin e Kevin lo stavano attaccando in
simultanea, usando tutto quello che avevano.
Il Mietitore sfruttava la sua velocità e
la sua
bravura nelle arti marziali per cercare di colpirlo e distrarlo, la
ragazza
bionda usava i poteri da geomante per richiamare a sé i vari
detriti
sparpagliati ovunque, e usarli come proiettili improvvisati, mentre
Kevin
continuava a dissolversi e a riapparire alle spalle del suo ex socio
per tentare
di coglierlo alla sprovvista.
Il copiatore, invece, dava fondo a tutto il suo
arsenale di poteri per poter riuscire a tenere bada ai tre avversari.
Rachel
vide poteri del fuoco, del ghiaccio,
dell’elettricità, del cemento e,
naturalmente, quello dei fotoni.
Per tutto il tempo, Dominick continuò a
teletrasportarsi per evitare gli attacchi, ma non riusciva a sottrarsi
sempre a
tutti quanti. Diversi detriti lo colpirono sul corpo, al petto, perfino
in
faccia, e anche Robin e Kevin riuscirono ad infierire alcune volte, il
Mietitore con le sue combo di calci e pugni, il conduit del fumo con le
sue
cappe di cenere.
Più il tempo passava, più il
copiatore sembrava
infuriarsi. Scagliò diverse schegge di ghiaccio con le mani
verso Kevin, ma lui
si dissolse per l’ennesima volta, consentendo a Richard di
correre in mezzo al
fumo, confondendosi in mezzo ad esso, per poi sbucare fuori
all’improvviso e
cogliere Dom di sorpresa. Il ragazzo albino riuscì a colpire
il conduit al
volto con un altro destro. Il castano barcollò, mugugnando
per il dolore,
tuttavia continuò a combattere senza freni.
Scacciò il Mietitore con
un’onda di energia, poi
si voltò, un attimo prima che Tara potesse infilzarlo con
una delle sue lame. Tramutò
le proprie mani in cemento e bloccò il grosso cuneo di
pietra a mezz’aria, a
pochi centimetri dal suo petto. Terra sgranò gli occhi,
sorpresa dalla forza
del copiatore, mentre lui serrò la mascella.
Il braccio della geomante cominciò a
tremare per
lo sforzo, mugugnò per la fatica, le scarpe le sprofondarono
nel terreno. Era
in svantaggio, non sarebbe mai riuscita a spuntarla da sola.
«Ehi, stronzo!»
Dom si voltò, sorpreso, per poi beccarsi
una
randellata in pieno volto da Rosso.
Non appena vide il partner, Rachel
sgranò gli
occhi, per poi accorgersi che accanto a lei non c’era
più nessuno. Credeva che Rosso
fosse svenuto, invece si era già rialzato, senza nemmeno
dirle una parola, ed
era andato a raccogliere un’altra arma improvvisata, questa
volta un’asta di
ferro per cemento, la stessa che aveva usato per colpire il conduit.
Il copiatore gridò e barcollò
all’indietro,
portandosi una mano sul viso, ma l’urlo fu ben presto
offuscato da un’altra
coltre di fumo, che lo colpì in pieno petto, questa volta
scaraventandolo a
decine e decine di metri di distanza. Finì dritto contro uno
dei pochi muri
interamente edificati, e lo rase completamente al suolo. Fu
completamente
seppellito dalle macerie e dai detriti di cemento.
Lucas, Tara, Kevin e Richard si misero uno
affianco all’altro, tutti quanti con il fiatone e lo sguardo
puntato verso quel
cumulo di calcinacci sotto al quale il copiatore era scomparso. Una
nuvola di
polvere si era sollevata, seguita da un silenzio quasi irreale.
Poi, la figura di Dominick si rialzò di
scatto,
con un urlo furioso, senza nemmeno dare il tempo di poter anche solo
pensare di
cantare vittoria. I frammenti che lo avevano investito schizzarono via,
rovesciandosi gli uni sopra gli altri, producendo un rumore di pietre
che si
sfregavano tra di loro.
«Ora... basta...»
mugugnò, tenendo le braccia
rigide lungo i fianchi, i pugni chiusi e il capo chinato.
«BASTA!»
Drizzò la testa, gli occhi gli si
illuminarono
di un’accecante luce bianca. Non appena li vide, Rachel
inorridì. Conosceva
bene quella luce. L’avrebbe riconosciuta tra mille. Una luce
oscura cominciò a
fuoriuscire dal corpo del copiatore, come una nuvola di vapore.
Dopodiché, tre
tentacoli del medesimo colore si scaturirono da essa, puntando il
gruppo di
ragazzi.
«Attenti!» esclamò
Kevin, scartando di lato,
presto imitato dagli altri tre. Non appena si mossero, i lacci di luce
deviarono direzione a loro volta, ognuno di loro puntando un diverso
conduit.
I tre in questione se ne accorsero e sgranarono
gli occhi. Kevin tentò di dissolversi, ma il rampicante
riuscì a colpirlo lo
stesso, anche in mezzo al fumo. Non appena toccò la coltre,
questa si accumulò
tutta in un colpo solo, e la sagoma di Kevin fu trafitta al petto dal
laccio. Il
conduit del fumo gridò di dolore, la nube che fino ad un
attimo prima lo aveva
avvolto svanì nel nulla e una nuvola di luce nera
cominciò a circondarlo.
La stessa sorte toccò a Richard e Tara.
Il primo
tentò di sfuggire al tentacolo con la sua
velocità, ma fu comunque afferrato ad
una caviglia, mentre Terra commise l’errore di cercare di
tagliare in due il
suo, il quale si avventò sul suo braccio.
Tutte e tre i ragazzi si ritrovarono a terra, a
gridare di dolore, ciascuno di essi investito dalla medesima luce nera.
L’unico
che fu risparmiato fu Lucas, e Rachel capì presto il motivo.
Quelli... non
erano lacci di energia qualsiasi. Non erano quelli che usava lei
abitualmente
quando combatteva. E le parole di Dominick, la aiutarono a chiarire
qualsiasi
dubbio.
«Voglio vedere che cosa farete senza i
vostri
poteri!» urlò il copiatore, avvolto dalla luce
nera, mentre usava gli ultimi
poteri che aveva acquisito, e dunque la loro capacità di
cancellare quelli
altrui.
Robin, Terra e Kevin continuarono a gridare e a
contorcersi per il dolore, mentre i tre lacci strappavano letteralmente
via dal
loro corpo i loro poteri. Lucas, dopo un attimo di stupore iniziale, si
riscosse e cominciò a correre verso di Dominick, bracciando
la sua spranga di
ferro. «Lasciali andare!»
«Lucas, no!» gridò
Rachel, ma ormai era troppo
tardi. Un fulmine di energia nera si scaturì dal corpo del
copiatore, andando
ad abbattersi proprio su Rosso. Il moro urlò dal dolore e fu
sbalzato via. La
sbarra di ferro gli scivolò dalla mano e cadde lontana da
lui. Il ragazzo
rimase accasciato a terra, con gli occhi sbarrati.
«LUCAS!» Corvina si smosse e
corse da lui, per
accertarsi delle sue condizioni. Nel frattempo, le urla dei tre conduit
avevano
cominciato ad affievolirsi. Le placche di pietra erano scomparse dal
corpo di
Tara, la stessa cosa era successa a Kevin, il quale non era
più ricoperto di
cenere e braci.
Rachel raggiunse il proprio partner; nello
stesso momento, Dominick fece scomparire i rampicanti neri, lasciando i
tre
ragazzi che aveva bersagliato a terra, semisvenuti.
«Rosso? Rosso!» La corvina
cercò di scuotere il
moro, il quale rispose con qualche mugugno infastidito, permettendole
di
concedersi un piccolo sospiro di sollievo. Stava bene, anche se con
qualche
livido di troppo e la maglia nera strappata.
Tuttavia, ora doveva concentrarsi su un altro
problema. Dominick era in piedi, con il fiato grosso, le spalle che si
alzavano
e abbassavano ripetutamente. Un sorriso era stirato sulle sue labbra.
Un sorriso
che di buono prometteva poco.
Kevin gemette e tentò di rialzarsi sui
gomiti.
Il conduit copiatore lo notò e non parve per niente gradire
la cosa. Cominciò a
camminare verso l’ex socio.
«Kevin, Kevin, Kevin...»
cominciò a dire,
arrivando alle sue spalle, torreggiando su di lui. «... non
avresti dovuto
metterti contro di me. Credevo che fossimo amici.»
«Dom... ti prego...»
L’ex conduit del fumo si
voltò, sdraiandosi sulla schiena. Lo osservò
implorante, poi scosse lentamente
la testa. «... devi tornare in te! Ti prego fratello, non
puoi...»
«Basta così, Kev. Sono stanco
di queste cazzate.»
«Dom...»
Il ragazzo più alto si
inginocchiò vicino
all’altro e infilò la mano nella tasca dei
pantaloni di quest’ultimo. Kevin lo
guardò con un’espressione a metà tra il
confuso e l’intimorito, fino a quando
Dom non estrasse il suo pacchetto di sigarette. Lo aprì, ne
prese una, e la
cacciò tra le labbra di Kev, dopodiché si rimise
in piedi. Kevin continuò ad
osservarlo ad occhi spalancati, la paura che brillava dentro di essi,
senza
capire dove volesse andare a parare.
«Kevin, che fai? Non la
accendi?» domandò il
copiatore, con aria confusa. «Non puoi fumare se non la
accendi.»
«D-Dom, ma cosa...»
«Accendila» ripeté
Dominick, facendosi severo. «Ora.»
Tremando come una foglia, Kevin si
infilò le
mani nelle tasche. «Non... non trovo
l’accendino...» balbettò, con un filo di
voce.
Dom inarcò un sopracciglio.
«Che cosa? Non lo
trovi? Oh, ma questo è proprio un bel guaio, come farai a
fumare, adesso?»
Una lacrima scese lungo la guancia di Kev.
Terrorizzato era un eufemismo, per descriverlo. «Ti prego,
Dom, ti scongiuro...»
«Ho trovato!» Il conduit
sorrise di nuovo in
maniera folle, poi sollevò una mano, puntandola verso il
ragazzo seduto. «Lascia
che te la accenda io!»
Kevin spalancò le palpebre, un secondo
prima che
una gigantesca lingua di fuoco fuoriuscisse dal palmo del copiatore. Fu
completamente investito dalle fiamme. Le urla strazianti che emise dopo
furono
la cosa più orribile e atroce che Rachel ebbe mai sentito. E
anche la vista non
fu da meno, qualcosa che sicuramente l’avrebbe tormentata nei
suoi incubi per
gli anni a venire, ammesso che fosse sopravvissuta a quel giorno.
Vide Kevin contorcersi, rotolare su sé
stesso,
fare qualsiasi cosa potesse per riuscire a spegnere il fuoco, ma quello
non
sembrava volersi staccare da lui per nulla al mondo.
Continuò a gridare
disperato, fino a quando la sua voce non si ridusse ad un sussurro.
Smise
lentamente di muoversi, per poi rimanere del tutto immobile,
stravaccato sul
suolo. Le fiamme si estinsero poco per volta, lasciando spazio ad un
corpo
carbonizzato e orrendamente ferito. Gli occhi erano ancora spalancati,
la bocca
aperta in quel grido disperato di aiuto a cui nessuno aveva dato retta.
Il fuoco si era spento, e con esso la vita di
Kevin. Rachel dovette attingere a tutta la sua forza di
volontà per non
vomitare quel poco che aveva ancora nello stomaco. Quella visione la
scosse
completamente, per lunghi, strazianti istanti non fece altro che
pensare e ripensare
a ciò che aveva appena visto, incapace di parlare, muoversi,
o concentrarsi su
qualsiasi altra cosa. Kevin... non c’era più. Non
era sicuramente stata la
migliore delle persone che lei aveva mai conosciuto, ma si era comunque
schierato dalla sua parte, aveva accettato di aiutarla, per certi versi
le era
sembrato quasi simpatico, ma soprattutto non era altro che un ragazzo,
come
lei, come Lucas, come tanti altri... e ora non c’era
più. Era morto, bruciato
vivo, per mano di quella stessa persona che lui aveva cercato di
aiutare, che
lui aveva reputato un amico, un fratello.
Questo stesso fratello che gettò un
accendino
spento sul cadavere. «Eccoti l’accendino.»
Dopodiché si voltò, per poi
cominciare a
camminare verso il suo nuovo obiettivo: Tara. La bionda era ancora
sdraiata su
un fianco, probabilmente del tutto priva di sensi. Dominick
ridacchiò, poi il
suo braccio si tramutò in pietra, nella stessa lama che era
solita comparire
per mano di Terra.
Quella vista, fu l’input che concesse a
Rachel
di ritornare in sé. Non avrebbe permesso che anche Tara
venisse uccisa. Si
rialzò in piedi, attingendo a quel poco coraggio che le era
rimasto.
«Fermo Dominick!»
esclamò, cercando di apparire
sicura. Il copiatore si fermò di scatto e si
voltò verso di lei. La ragazza
rabbrividì.
«Rachel! Accidenti, mi ero dimenticato di
te!»
Dom sorrise glaciale, per poi cambiare direzione e dirigersi verso di
lei. «Come
puoi ben vedere, nulla può fermarmi. E grazie ai tuoi
poteri, posso mettere a
tacere per sempre tutte le minacce che mi si presenteranno
davanti.»
«Dominick, ascolta...»
«Santo cielo, che rottura di scatole che
siete
tutti!» la interruppe lui, accigliandosi.
«"Dominick ascolta",
"Dominick ti prego", "Dominick di qua", "Dominick di
là", e dateci un taglio! Non ve lo volete mettere in testa?
Io non
rinuncerò mai a tutto questo!» Sollevò
le mani. Una si incendiò, mentre
dall’altra si scaturirono diverse scintille. Lui le
osservò entrambe,
ammaliato. «Non abbandonerò tutti i miei poteri.
Non mi separerò da ciò che mi
rende unico. Ve lo potete scordare.»
«Sei fuori controllo, Do...»
«Io sto benissimo, invece. Siete voi che
mi
costringete a comportarmi così. Tu in primis,
Rachel.» Dominick la indicò,
facendosi serio. «Avevamo un accordo, ricordi? Tu mi davi i
poteri, io ti
lasciavo stare. Ma se tu continui a tormentarmi, io non posso lasciarti
stare.
Avresti potuto fare finta di niente. Io avrei ucciso il tuo amico
Richard,
Kevin ti avrebbe lasciata andare, e tu saresti tornata dai tuoi amici.
Una cosa
semplice, pulita, senza troppe vittime. Ma no, tu dovevi per forza
ficcare il
naso nei miei affari, dovevi perfino aizzare il mio migliore amico
contro di
me. Beh, mi dispiace per te, ma il tuo piano è fallito
miseramente. E ti sei
bruciata la tua occasione di sopravvivenza. La tua unica, e ultima,
occasione.»
Il cuore di Rachel cominciò a battere
all’impazzata. Non sapeva cosa fare, non aveva più
nessuna idea. Dom non la
ascoltava, non avrebbe ascoltato nessuno. Disperata, provò a
fare un passo
avanti. Alzò le mani, in segno di resa. «Dom...
tu... tu sei meglio di quest...»
Una luce verde, e la corvina si ritrovò
il volto
copiatore a pochi centimetri di distanza dal suo. Trasalì,
per poco non urlò,
ma lui la afferrò per le guancie, tirandola a sé.
Pochi millimetri li
separavano. Corvina non credeva di essere mai stata così
vicina alle labbra di
un ragazzo.
«Sta tranquilla, Rachel...»
cominciò Dom,
accarezzandole i capelli con la mano libera. «Non devi avere
paura. È tutto
normale. Tutti muoiono, prima o poi. Soprattutto quelli che osano
inimicarsi
degli dei. Ma non temere, io sono un dio buono. E in quanto tale, ti
concederò
il dono di una morte rapida e indolore.»
Corvina sgranò gli occhi,
cominciò a tremare, la
paura si insinuò dentro di lei più forte che mai.
«D-Dom, ti preg...»
«Shhh» la zittì
ancora lui, infilandole il
pollice tra le labbra, cominciando a scuoterle la testa contro il suo
volere.
Rachel si lasciò scuotere, incapace di pensare, di muoversi,
di reagire.
Dominick si avvicinò ulteriormente a lei, ormai la ragazza
poteva sentire il
fiato di lui sul viso. «Guardami, Rachel, guardami. Prendi un
bel respiro,
forza. Fatti coraggio.»
La ragazza scosse freneticamente la testa, ormai
sull’orlo di una crisi di pianto. Poi percepì una
tremenda fitta di dolore allo
stomaco. Gemette, mordendo per sbaglio il dito del copiatore, ma lui
non ci
fece caso. Continuò ad osservarla, serio, fino a quando non
sollevò la mano con
cui fino ad un attimo prima le aveva accarezzato i capelli. Una fioca
luce nera
la illuminava ancora. L’aveva colpita. Con i suoi stessi
poteri. A quel punto,
il conduit sorrise di nuovo. «Sogni d’oro, angelo
mio.»
Allontanò la mano dal viso di lei, poi
la spinse
a terra. Corvina crollò al suolo esanime, percependo ancora
quella fitta di
dolore all’addome, che però andava pian piano
affievolendosi. E più il dolore
cessava, più respirare le costava fatica. Il fiato si
ridusse ad un rantolio,
la vista le si appannò. Chiuse gli occhi, incapace di
sostenere ancora il peso
delle palpebre. Il cuore saltò un battito, poi un altro, poi
un altro ancora.
E lentamente, molto lentamente, le tenebre si
impadronirono di lei, fino a quando non la divorarono completamente,
non
lasciandosi dietro altro che oscurità.
Faccio in fretta, non
preoccupatevi. Dunque, come anche per lo scorso combattimento, anche in
questo caso avevo immaginato in sottofondo una canzone, ossia
questa.
In particolare nella parte iniziale dello scontro, quando si tratta
solo di una "resa dei conti tra fratelli", dunque quando gli unici
coinvolti sono Dom e Kev. Poi altro da dire non c'è, se non
che i prossimi capitoli usciranno un po' prima del solito, anche
perché non ho più molti impegni
ultimamente.
Bye bye, alla prossima!
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Capitolo 28 *** La figlia dell'oscurità ***
Capitolo 28:
LA FIGLIA DELL’OSCURITÀ
Era buio e
faceva freddo. Tanto freddo. Le sembrava di essere finita in una
ghiacciaia.
Si mise
lentamente carponi, mugugnando per il dolore al ventre e alla testa,
rabbrividendo come una foglia per colpa di quell’aria gelata
che pungeva la sua
pelle come la lama di un coltello. Riuscì ad alzarsi sulle
ginocchia e si
strinse nelle spalle. Si guardò intorno, confusa. Il suo
sguardo si smarrì
nelle tenebre che riempivano quel luogo, mentre nuvole di condensa
uscivano
dalla sua bocca e dalle narici.
«D-Dove
sono...?» mormorò al nulla che la circondava.
Si drizzò
sulle proprie gambe, continuando a cercare di scaldarsi e a guardarsi
intorno. «C’è...
c’è qualcuno?» Riuscì ad
udire la propria voce echeggiare in mezzo a quella
landa buia e desolata. Percepì diverse vene di paura dentro
di essa. Nessuno
rispose.
Fece un
altro verso di dolore e si toccò una tempia. «Che
posto è questo... come ci
sono arrivata?»
Timidamente,
cominciò a muovere i primi passi. Non riusciva a scorgere
nulla né attorno a
lei, né sotto di lei. Le pareva di camminare sopra il nulla,
ad ogni passo
aveva il terrore di precipitare in mezzo a tutto quel buio.
Cercò di
riflettere, di pensare. Era tutto così confuso. E fu proprio
in quel momento,
che la ragazza realizzò. Spalancò gli occhi e si
fermò di scatto. Allontanò le
mani dal proprio corpo, per poi osservarsele. Passarono quelle che
parvero
eternità, prima che riuscisse ad allontanare lo sguardo da
esse, per poi
deglutire.
«Chi... chi
sono io?»
«Tu sei il
male.»
Una voce
improvvisa la fece trasalire, quasi gridare. Si voltò di
scatto, sempre più
impaurita, per poi ritrovarsi di fronte una figura che, lentamente,
stava
formandosi dalle tenebre, attingendo da esse le forme sempre
più pronunciate di
una donna. Osservare quell’unica macchia di colore in mezzo a
quel mare di oscurità
fu un pugno in un occhio per la giovane. E non appena riuscì
a distinguere i
lineamenti della donna, i suoi capelli lunghi e corvini, i suoi abiti
semplici
e la sua espressione gentile, la giovane spalancò gli occhi.
Istintivamente,
si mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni. Le sue dita
strofinarono
una superficie liscia e dura, poi si chiusero attorno ad una sottile
lamina. La
estrasse lentamente, sempre più basita, per poi portarsela
di fronte agli occhi
quando ebbe finito.
Una
fotografia, due persone raffigurate su di essa. Qualcosa
scattò immediatamente
nella sua mente. «Mamma...» sussurrò,
guardando prima l’immagine scattata, poi
la donna davanti a lei.
La
fotografia scivolò dalla sua mano, mentre tutto riusciva ad
apparirle più
nitido. Lei era Rachel Roth. E quella davanti a lei, era Angela Roth.
Arella.
Sua madre.
«Mamma!»
Rachel sorrise e fece per correrle incontro, ma all’ultimo si
fermò. Abbassò le
braccia che aveva alzato per stringerla e il suo sorriso
vacillò. La donna
continuò ad osservarla sorridendo gentile, senza
né dire, né fare nulla.
«Tu non sei
davvero lei, giusto?» domandò Corvina, con voce
smorta. «Questa conversazione...
non sta accadendo davvero. Ho ragione?»
Ancora
silenzio. La donna con le sembianze di
Angela si limitò a distendere il sorriso. A quel punto,
Rachel strinse i pugni.
«Beh, chi sei allora? E dove siamo?! Parla!»
«Non
riconosci questo luogo?» disse infine la figura, allargando
le braccia. «Non
riconosci questa oscurità?»
Rachel
esitò. Si guardò meglio intorno, concentrandosi
meglio su quella strana nebbia
oscura che la circondava. Un’idea le attraversò la
mente. «Questa è...
l’oscurità che controllavo con i miei poteri,
vero?»
La donna
piegò il capo. «Quasi. Questa è la tua
mente, Rachel.»
«Che
cosa?!»
domandò la ragazza, sconvolta. Osservò ancora una
volta tutto quel mare di buio
che la circondava. No, non poteva essere. La sua mente non poteva
essere così
oscura! O no?
«È
così dal
giorno in cui la donna di cui io ho le sembianze ti ha
abbandonata» proseguì
Arella, sempre senza smettere di sorridere, come
se quello che le stava dicendo non fosse
nulla di che.
«Ma,
paradossalmente, allo stesso tempo era proprio il ricordo di questa
donna che
ti ha permesso di non lasciare che questo posto sprofondasse
completamente
nell’oblio. Io ho scelto di assumere queste sembianze proprio
per rendere più
confortevole per te questa conversazione, ma ci sono diversi altri
panni in cui
potrei calarmi.»
Non appena
finì di dirlo, l’oscurità avvolse la
figura per qualche istante e, non appena
si diramò, al posto di Angela apparve Richard. Ma non Robin,
bensì l’amico di
infanzia di Rachel. Non appena vide i suoi occhi azzurri e penetranti,
i suoi
capelli mori perfettamente ordinati e il suo volto completamente pulito
e privo
di fossette e macchie nere, Corvina spalancò la bocca.
«Questo,
per esempio» disse ancora la figura, questa volta con la voce
del Richard che
conosceva. «Oppure, in questa.»
L’oscurità
lo avvolse ancora una volta. Quando svanì di nuovo, al posto
di Richard c’era
Lucas. «Che dici, questa è più di tuo
gradimento?» domandò, ora con la voce
roca di Rosso X.
Rachel
sentì le guancie bruciare terribilmente. Distolse lo
sguardo, imbarazzata. «A-Arella
andava bene...» biascicò, sentendosi stupida come
non mai.
«Come
vuoi.»
Non appena
la figura tornò ad avere le sembianze di sua madre, Rachel
tirò un profondo
sospiro. «Beh, adesso dimmi: chi sei veramente? E
perché siamo qui? Come ci
siamo arrivati?»
«Non conta
chi sono veramente, quanto più cosa sono
veramente» rispose Arella, allargando il sorriso.
«Io sono una parte di te,
Rachel. Anzi, noi siamo una parte
di
te. Lo siamo sempre stati, e sempre lo saremo. E questo, è
il luogo in cui noi
abbiamo scelto di ricongiungerti a te, tramite questa
visione.»
Più
parlava, più Corvina spalancava le palpebre. Le parole le
uscirono con un filo
di voce dalle labbra. «Tu sei... voi... siete... i miei
poteri...»
Angela
annuì. «Proprio così.»
«Ma come?!
Com’è possibile tutto questo? Come avete fatto
a...»
«C’è
davvero motivo di spiegartelo?» la interruppe Arella, sempre
senza smettere di
sorridere. Era rassicurante, e irritante allo stesso tempo.
«Tu non
controlli un elemento qualsiasi, Rachel, ma immagino che ormai anche tu
lo
avessi capito. Con il tuo potere puoi fare molto di più che
volare o
combattere. Tu puoi entrare nelle menti delle persone, puoi esplorarle,
puoi
mettere a nudo le coscienze. Per te non esistono segreti, Rachel.
Nessuno può
fermarti davvero. Questo perché tu non controlli solo le
ombre e le tenebre
fisiche. Tu controlli anche quelle mentali.
«Tu puoi
controllare i demoni interiori delle persone, puoi plasmare
l’oscurità che si
cela nell’animo umano, puoi crearla, distruggerla, o
semplicemente
trasformarla. Per questo vedevi il mondo dagli occhi di Hank, per
questo l’hai
anche visto da quello di Deathstroke. Per questo ora hai questa
visione. Noi
non possiamo parlare davvero, Rachel, come potremmo? Ma il buio nella
tua mente
ci ha permessi di poter prendere vita, almeno qui dentro. Ed
è questo stesso
buio che per tutto questo tempo ci ha permesso di poterti remare
contro, di
poter funzionare solo quando volevamo, di poter cercare di impadronirci
di te.
Ma tu hai tenuto duro, aggrappandoti a quei pochi ricordi che ancora
riuscivano
a confortarti. Tua madre, i tuoi amici, Richard... Ma è
stato solamente quando
Dominick si è impadronito di noi, che abbiamo capito che tu
e solo tu puoi
possederci.
«Il tuo
gene conduit... è diverso da tutti gli altri, per non dire
unico. Tu, Rachel,
tu e tu soltanto puoi avere questo potere. Questo ti rende, in un certo
senso,
una sorta di prescelta. E nessun altro può ricoprire questo
ruolo. Per questo,
quel copiatore non ti ha davvero sottratto i poteri. Certo, lui
può averli
copiati, e certamente può anche averli usati forse perfino
meglio di te, ma ciò
non cambia che lui non è degno di portarli.
Perché noi e te, Rachel, siamo
stati uniti dal destino. Il fato ha deciso che le nostre strade si
incontrassero. E non esiste persona o conduit in grado di cambiare
davvero il
fato. Dominick non è degno di possederci, così
noi abbiamo deciso di mostrarci
a te.
«Tu sei
noi, Rachel. Tu sei la figlia dell’oscurità. Non
necessariamente malvagia, ma
comunque capace di controllare il male. Sappiamo bene che tu non hai
mai voluto
accettare questo fardello, e noi, di certo, non abbiamo aiutato a
renderti le
cose semplici. Ma ora c’è bisogno che tu faccia la
tua decisione, in questo
momento esatto. Possiamo ricongiungerci qui, ora, e tornare ad essere
un’unica
cosa. Sappiamo che questa rivelazione ti avrà sconvolta, ma
non possiamo
perdere altro tempo; ci serve una risposta, adesso. Perciò
dicci: accetterai di
portare questo fardello sulle tue spalle?»
«I-Io...»
Rachel esitò, faticando a parlare. Tutte quelle cose che
aveva appena scoperto
sui suoi poteri e su sé stessa... era davvero quella la
realtà? O quella
visione non era altro che, appunto, una visione qualsiasi? Magari
qualche
strana specie di sogno. Poteva davvero... controllare il male? Ma
soprattutto...
poteva davvero farlo a fin di bene?
Com’era
possibile? Come si poteva fare una cosa del genere? Come si poteva fare
del
bene... con il male? Era
assurdo! Eppure...
eppure lei lo aveva fatto.
Aveva
combattuto il male con il male, aveva protetto i suoi amici con il
male, aveva...
vissuto con il male. E ora... ora il mondo aveva bisogno di lei.
Dominick aveva
bisogno di lei. Avevano bisogno... del suo male, per essere salvati.
Improvvisamente,
le parole di Lucas le tornarono alla mente. Spalancò gli
occhi. Lei era... il
bene che c’era nel male. Letteralmente. Aveva... fatto del
bene con la cosa più
oscura che potesse esistere, ossia il male stesso. Era riuscita a fare
qualcosa
che all’orecchio umano sarebbe sembrato assolutamente
impossibile. Che a lei
stessa sarebbe sembrato impossibile!
Eppure
c’era riuscita. Ma a quale prezzo? Dal giorno in cui li aveva
ottenuti le cose
non avevano fatto altro che andare di male in peggio. Persone erano
morte di
fronte ai suoi occhi, aveva rischiato la vita così tante
volte che ormai aveva
perso il conto, aveva pianto, sofferto, era stata costretta a
combattere e a
vivere in un mondo che cadeva a pezzi con suo enorme sgomento. E per
cosa, poi?
Per dover essere quella su cui avrebbe dovuto cadere il peso del mondo
sulle
spalle? Per essere quella da cui tutti si sarebbero dovuti aspettare
chissà
quali grandi cose?
I
Mietitori, gli Spazzini, gli Underdog e i Visionari. Era toccato a lei
dover
combattere queste bande per poter proteggere le persone innocenti.
Certo, era
stata aiutata, ma il grosso del lavoro era sempre e comunque spettato a
lei. E
ora doveva anche fermare Dominick. Tutte le volte che pensava che i
suoi
problemi fossero finiti, ecco che se ne presentava uno grosso il doppio
del
precedente. Se avesse scelto di riavere i poteri, che cosa sarebbe
successo?
Avrebbe continuato a combattere, a piangere, a soffrire. Quella non era
roba
per lei. Una parte del suo corpo non si era affatto pentita di aver
ceduto i
poteri a Dominick. Perché avrebbe dovuto riprenderseli,
indipendentemente
dall’uso che poi ne avrebbe fatto?
Perché
proprio lei? Che cosa diamine voleva il mondo, da lei?!
Perché non poteva
essere lasciata in pace per una, dannata, volta?!
Strinse i
pugni per la rabbia. Perfino quando aveva pensato di essere morta, in
realtà
non era finita. I suoi problemi la inseguivano senza darle un attimo di
tregua,
ma era ora di finirla. Era ora di mettere davvero la parola fine a tutto.
«Io non voglio continuare con
questa vita» asserì, con decisione.
«Dunque non
ci rivuoi con te?» domandò Angela, impassibile.
«No.»
«Preferisci
morire, dunque?»
A quella
domanda, Rachel sgranò gli occhi. Questa volta, ci mise un
po’ per rispondere. «Beh...
no...»
«E allora
che cosa vuoi?!» interrogò Arella, questa volta
con venature di irritazione
nella voce. «Non vuoi morire, ma non vuoi nemmeno combattere;
vuoi salvare i
tuoi amici, ma non vuoi che loro dipendano da te; vuoi essere lasciata
in pace,
ma non vuoi rimanere da sola; non fai altro che piangerti addosso, ma
hai il
coraggio di fare la ramanzina agli altri quando loro si lasciano
sopraffare
dalle emozioni; dici di essere diversa da Dreamer, ma anche tu sei solo
un’egoista che vuole solamente che le cose vadano bene per
sé stessa.»
«Io non
sono come...» Rachel cercò di difendersi, alzando
la voce, ma i suoi poteri
ancora non avevano finito.
«Ti lamenti
in continuazione per quello che ti sta succedendo, dimenticandoti che
tutte le
persone attorno a te stanno vivendo situazioni identiche alla tua!
Almeno hai
avuto una madre che ti amava, almeno hai avuto dei veri amici!
Anziché
piagnucolare ripensando a tutto ciò che hai perso, sii grata
per tutto quello
che in passato hai avuto e che persone come Lucas o Amalia, invece, non
hanno
fatto altro che sognare! Ti credi sfortunata? Beh, non è
così! Tu hai avuto
molto più di quanto possa immaginare, ma se preferisci
chiudere gli occhi ogni
volta e fare finta di niente di fronte alla realtà, allora
meriti davvero di
soffrire! Ti comporti come se il mondo ce l’avesse con te,
quando in realtà sei
tu che hai preferito voltare le spalle ai tuoi amici, sei tu che hai
voluto
dare ascolto a quel pazzo di Dreamer, sei tu che hai consegnato i tuoi
poteri a
Dominick mettendo l’intero paese in pericolo!
«Sei stata
tu, con le tue scelte e il tuo comportamento da mocciosa, a peggiorare
la tua
situazione, quando in realtà in più di
un’occasione hai dimostrato non solo di
essere forte, ma di essere anche degna di noi! E questa è
una cosa che tu sai
meglio di chiunque altro! Tu sei
forte,
e lo sei sempre stata, ma hai paura delle responsabilità e
preferisci piangerti
addosso e basta, pregando che qualcuno arrivi a risolvere i problemi al
posto
tuo! Beh, sappi che non succederà mai, perciò
è ora che tu ti decida a prendere
in mano le redini della tua via, una volta per tutte, e accettare il tuo destino. Perciò,
permettici di ripetere la domanda
di poco prima: accetterai di ricongiungerti a noi, oppure preferisci
rimanere
qui a marcire per l’eternità? Sappi che se
sceglierai la seconda opzione,
rimarrai qui per sempre consapevole del fatto che avresti potuto fare
qualcosa
per salvare il mondo, ma hai preferito non farlo, sputando di
conseguenza
sopra tutti quegli ideali per cui hai combattuto fino ad oggi! Non
sarai
diversa da Dreamer, non sarai diversa da Robin, non sarai diversa da
nessuno
dei criminali che hai combattuto fino ad oggi! Ma naturalmente a noi
non
interessa quale decisione prenderai; in ogni caso, noi continueremo a
vivere.
Tuttavia qualcuno avrebbe dovuto dirti, prima o poi, le cose come
stanno.»
Quando finì
di parlare, Rachel sentì le proprie orecchie ronzare.
Nessuno prima di allora
le aveva mai detto simili parole. E la cosa peggiore era che... erano
vere. Forse...
forse era davvero lei la causa di tutto. I suoi blocchi mentali, i suoi
pensieri, tutto ciò di cui era fermamente convinta, forse
era davvero tutto
sbagliato. Forse era davvero lei ad essere sempre stata nel torto.
Improvvisamente si sentì un’emerita idiota.
Era tutto
vero. Arella aveva ragione. Era lei che... che aveva paura. Paura di
ciò che
sarebbe successo, paura di ciò che avrebbe potuto fare,
aveva paura...
dell’ignoto. Forse era sempre stato quello a fermarla e a
farle compiere una
decisione sbagliata dietro l’altra.
Angela, nel
frattempo, fece qualche passo verso di lei. «Sappi che sei
ancora in tempo.
Puoi ancora redimerti, se vuoi.» Le porse una mano, per poi
accennare un
sorriso. «Il bene che c’è nel male,
ricordi? Puoi ancora esserlo, se lo
desideri.»
Quelle
parole riuscirono a rassicurare, in parte, la ragazza. «Il
bene che c’è nel
male...» sussurrò, per poi sospirare pesantemente.
Osservò la proiezione di sua
madre negli occhi. «Mi... mi dispiace...»
«Non
è con
noi che devi scusarti.» Arella agitò la mano,
allargando il sorriso. «E ora
coraggio, facci vedere di che pasta sei fatta!»
Rachel posò
lo sguardo sulla mano e si mordicchiò l’interno
della guancia. Ripensò a tutta
la strada che aveva fatto prima di arrivare fino a quel punto. E
ricordò che
era stata proprio una stretta di mano a farla finire in
quell’ennesimo casino.
Ne aveva fatte di cose, ora che ci pensava. E le aveva fatte con loro,
con i
suoi poteri. Nel bene e nel male, loro l’avevano
accompagnata. E adesso... loro
c’erano, per lei, anche se lei aveva voluto abbandonarli, ed
erano disposti a
ricongiungersi a lei nonostante tutto. Forse... forse avrebbe davvero
dovuto
imparare a ringraziare per ciò che aveva.
Inspirò
profondamente. Sì, lo avrebbe fatto. Era giunto il momento
di cambiare
radicalmente. E anche se lei non era pronta, avrebbe accettato questa
cosa.
Anche perché, se non l’avesse fatto, sarebbe
rimasta in quel luogo per sempre,
e lei non era molto in vena di farlo. Con un gesto secco, in modo da
non avere
ripensamento all’ultimo, allungò la mano e strinse
quella di Angela. La
proiezione di sua madre, in risposta, le rivolse un cenno del capo.
«Sapevamo
che non ci avresti deluso.»
Corvina
abbozzò
un sorriso e ricambiò il cenno, poi lasciò la
mano. Alle sue spalle, un grosso
varco bianco cominciò a prendere forma.
«Con quel
portale ritornerai nel mondo reale. All’inizio sarai un
tantino confusa, ma non
temere: noi saremo lì, con te. Dovrai solo concentrarti, e
il resto verrà da
sé. Sei pronta?»
«Pronta.»
Rachel si voltò verso il portale. La luce bianca quasi la
accecò. Socchiuse le
palpebre, poi cominciò a camminare. Ma dopo soli pochi
passi, tuttavia, si
fermò. Un altro pensiero le attraversò la mente e
si voltò. Se davvero sarebbe
tornata indietro, allora lo avrebbe fatto portandosi con sé
una delle poche
intenzioni che mai e poi mai avrebbe abbandonato.
«Ascolta, so
che non sei davvero mia madre, ma...» Rachel si
fiondò sulla donna, per poi
abbracciarla. Angela fece un verso sorpreso, ma poi
ridacchiò e ricambiò la stretta.
Non era assolutamente paragonabile ad un vero abbraccio. Le pareva di
avere tra
le braccia un palo di ferro congelato. Ma in quel momento a Rachel non
importava. Nella sua testa, in quella che aveva sopra le spalle, non in
quella
in cui si trovava in quel momento, la persona davanti a lei era davvero
sua
madre, e quello non era un luogo buio e freddo, ma uno soleggiato e
caldo.
«Ti
troverò, mamma. Te lo prometto. Noi due... staremo di nuovo
insieme, un giorno.»
«Ne sono
sicura, figlia mia.»
Rachel
sollevò il capo, verso Arella. Osservò sorpresa
la donna allargare il sorriso,
e rispose con un sorriso a sua volta.
Si separò
dall’abbraccio, poi, risolta quella questione,
poté correre verso il portale
senza ulteriori ripensamenti.
***
Rachel riaprì gli occhi di scatto,
boccheggiando
rumorosamente. Drizzò il capo, una folata di aria gelata la
centrò in pieno,
provocandole un brivido.
Si mise lentamente a sedere, gemendo per lo
sforzo. La testa le girava, aveva male dappertutto, le orecchie
fischiavano.
Stava da schifo. Un attacco di tosse improvviso la assalì
all’improvviso,
costringendola a portarsi la mano chiusa a pugno di fronte alla bocca.
Quando si fu calmata, continuò ad
espirare ed
inspirare profondamente, per diversi istanti, senza nemmeno fare caso
al mondo
attorno a lei. Spostò lo sguardo sulle sue ginocchia e le
osservò a lungo,
cercando di riflettere e di riordinare le idee, di ricordarsi che cosa
fosse
successo e che cosa l’avesse portata fino a lì.
Ma fu solo quando una voce parlò
all’improvviso,
che riuscì a ricordare tutto quanto: «Che ci fai
ancora viva?!»
Corvina guardò di nuovo di fronte a
sé; un
ragazzo in piedi, in mezzo ad un cantiere, la stava osservando basito,
come se
tutto si fosse aspettato meno che vederla lì a boccheggiare.
Costui spostò lo sguardo sulla sua mano,
la
quale si illuminò di nero. «Forse non ti ho
colpita abbastanza forte...»
Mentre lui era in preda ai suoi dubbi, Rachel si
rialzò lentamente, a fatica. Una volta di nuovo su entrambe
le gambe, barcollò
per un momento. Il mondo vorticava attorno a lei, era confusa, stanca ,
ma era
viva. E questo le era più che sufficiente.
«Torna giù!»
sbottò il ragazzo, scagliandole un
raggio nero dal palmo della sua mano, colpendola in pieno addome.
Una terribile fitta di dolore mozzò il
fiato di
Rachel, facendola gemere e barcollare all’indietro. Ma rimase
comunque in piedi.
Tossì un paio di volte e scrollò il capo,
intontita, per poi riportare di nuovo
lo sguardo di fronte a sé.
Dominick la osservava sempre più basito.
«Non...
non è possibile...» biascicò.
«Ti ho colpita due volte! Non puoi essere ancora
viva! Non dovresti nemmeno riuscire a reggerti in piedi!»
La ragazza rimase in silenzio, limitandosi
semplicemente a continuare a respirare profondamente. La cosa, parve
quasi
allarmare Dominick, il quale cercò di colpirla una terza
volta. Ma non appena
il nuovo raggio di energia oscura si avvicinò a lei, pronto
a colpirla, Corvina
sollevò una mano di scatto, verso di esso; questo
svanì nel palmo della mano
della ragazza, senza arrecare danno alcuno.
Il conduit copiatore sgranò gli occhi.
«Ma... ma
cosa...»
Rachel, ignorandolo, si osservò la mano.
Questa
si illuminò di nero immediatamente, senza che lei pensasse o
dicesse nulla. A
quel punto, la ragazza si osservò anche l’altra
mano; questa fece la medesima
cosa.
Non ci mise molto a realizzare cosa stesse
accadendo. Un senso di sicurezza che mai prima di allora aveva provato
si fece
largo dentro di lei. Una sensazione calda, rassicurante.
«Ma... come...?»
sussurrò ancora Dominick, di
fronte a lei, il quale probabilmente era arrivato alla sua stessa
conclusione.
Per tutta risposta, Rachel sollevò un
braccio e
un raggio di energia nera si generò dalla sua mano. Il
conduit copiatore sgranò
gli occhi e si teletrasportò di qualche metro, evitando il
colpo per un soffio.
Osservò sempre più basito la ragazza, per poi
serrare la mascella, rimpiazzando
la sorpresa con la rabbia.
«Come hai fatto a riprenderti i
poteri?!» urlò, con
la voce ricolma di frustrazione.
Non appena udì quella domanda, un
sorriso scappò
dalle labbra di Rachel. Finalmente le era tutto chiaro. Dopo mesi e
mesi di
lotte interiori, aveva capito. La sua visione l’aveva aiutata
a farlo. E
rinfacciarlo al suo avversario, fu la cosa più soddisfacente
che avesse mai
fatto.
«Non puoi prendere... ciò che
è mio» rispose,
semplicemente. Dominick inarcò un sopracciglio, mentre la
ragazza abbassò il
braccio, accentuando il suo sorriso. «I miei poteri... hanno
sempre cercato di
prendere il sopravvento sul mio corpo... perché io sono
sempre stata troppo
ingenua per capire la loro vera natura. Ma ora, finalmente, ho aperto
gli
occhi.
«Le tenebre... hanno scelto me, Dominick.
Il
buio mi ha creata. Il mio destino era questo, è sempre stato
questo. Io non
controllo un semplice elemento, io controllo le tenebre, il buio,
l’oscurità
che si annida dentro ognuno di noi. I miei poteri sono la
reincarnazione fisica
del dolore, del tormento, della paura. I miei poteri sono il male. Ed io posso crearlo, distruggerlo
o trasformarlo.
«Posso cancellare i poteri dei conduit,
perché
ognuno di essi non è altro che un surrogato di
ciò che controllo io. Di ciò che
sono io. Posso entrare nelle loro
menti, perché anch’esse sono corrotte, intrise di
tenebre, tormenti, rimpianti.
Io sono... la figlia dell’oscurità. Sono la figlia
del male che imperversa in
questo mondo. E per questo, adesso che l’ho finalmente
capito, ho di nuovo il
pieno controllo di ciò che è sempre rimasto
dentro di me. E, questa volta, ce
lo avrò per sempre.
«Mentre tu, Dominick, non possiedi altro
che una
blanda copia di ciò che i miei poteri sono davvero. Tu non
potrai mai
sfruttarli appieno. Non sei degno di portare un simile fardello sulle
tue
spalle. Per questo non sei riuscito ad impadronirtene completamente.
Per questo,
non hai nessuna speranza contro di me.»
La ragazza fece un passo avanti, seria,
determinata, quasi autoritaria. Non era mai stata così
sicura di sé. «Ora sono
una persona nuova. Ho commesso tanti errori, in passato, e devo
ammettere che
in più di un’occasione mi sono comportata da
emerita ipocrita, ma adesso ho
capito i miei sbagli e non intendo commetterli ancora. Arrenditi ora,
Dom, e
lasciati cancellare i tuoi poteri. Non ha più senso
combattere.»
Il
copiatore strinse con forza i pugni, ostinato. «Te lo scordi!
Io non mi arrenderò
mai, non a te! Non ad una mocciosa incapace, debole, che per tutto
questo tempo
non ha fatto altro che piagnucolare!» Sollevò
entrambe le braccia, per poi
sogghignare. «Sei tu quella senza speranze! Io ho decine di
poteri dentro il
mio corpo! E vuoi sapere la parte migliore?»
Puntò le mani verso di lei, poi
urlò a pieni
polmoni: due gigantesche coltri di energia azzurra fluorescente
fuoriuscirono
dai suoi palmi, andando poi a congiungersi formandone
un’altra alta tre metri.
«POSSO COMBINARLI!»
esclamò il castano, per poi
ridere di gusto, mentre il raggio di energia si fiondava verso la
ragazza. «TI
SPAZZERÒ VIA!»
Corvina osservò impassibile la mostruosa
colonna
formata dall’unione di tutti i poteri del conduit mentre si
avvicinava a lei,
dopodiché serrò la mascella e puntò a
sua volta una mano verso di essa. La luce
nera investì completamente il suo braccio,
dopodiché rispose al fuoco,
scagliando un raggio nero che andò a cozzare contro quello
del copiatore.
Il boato che si susseguì fu devastante,
una grossa
folata d’aria investì tutto il cantiere.
I due getti di energia rimasero sospesi a
mezz’aria, l’uno contro l’altro, mentre i
loro padroni, a debita distanza, si
concentravano per avere la meglio sull’avversario. Ma non
passò molto tempo
prima che l’energia oscura di Rachel cominciasse ad avere la
meglio su quella
di Dominick, nonostante l’enorme differenza di grandezza.
Non appena il conduit se ne rese conto,
ringhiò
per la frustrazione. «Fatti da parte, Rachel! NON PUOI
SCONFIGGERE UN DIO!»
Urlò con ancora più
insistenza, e la sua coltre
di energia si ingigantì ulteriormente, cominciando a
spazzare via quella nera
di Rachel.
La corvina osservò quella mostruosa onda
azzurra
avvicinarsi a lei sempre di più, ma rimase ugualmente
impassibile.
«Hai ragione, non posso battere un
dio» rispose
semplicemente, per poi sollevare anche l’altro braccio.
«Peccato che tu non lo
sia!»
Imitò
il
copiatore, urlando a sua volta con quanto fiato avesse in corpo. Un
altro
raggio di energia nera si scaturì, andando a sommarsi agli
altri due. Vi fu un
altro scossone e questa volta fu quello di Dominick a perdere terreno.
Il
castano fece un grido sorpreso, dopodiché
l’energia oscura di Corvina spazzò
via completamente la sua.
«No! NO!!»
«È ora di farla finita,
Dominick! Per sempre!»
Rachel gridò una seconda volta, concentrandosi con ogni
fibra del suo essere,
infondendo in quell’unico raggio nero quanta più
energia possedesse ancora.
Rabbia, dolore, frustrazione, tristezza e
determinazione. Tutte quelle emozioni che per mesi avevano alimentato e
tormentato l’anima della corvina, ora erano lì,
tutte unite, pronte a spazzare
via per sempre la follia di Dominick.
Lei era le tenebre, era il buio, era
l’oscurità.
E Dominick non era altro che un uomo la cui mente era piena di queste
cose. Per
questo motivo, non avrebbe mai e poi mai potuto sconfiggerla. Il raggio
di
energia raggiunse il copiatore, che, questa volta, non poté
fare altro che
assistere impotente alla sua stessa fine. Nessun potere avrebbe mai
potuto
salvarlo da ciò che aveva di fronte a sé.
E quando anche lui parve finalmente capirlo, era
ormai troppo tardi. La luce lo investì completamente, e il
suo urlo disperato
si smarrì in mezzo ad essa. Vi fu un’esplosione,
l’energia si disperse e una
grossa nube di polvere si sollevò. Rachel
assottigliò le palpebre, fino a
quando la nube non si diradò. E non appena ciò
accadde, vide il corpo di
Dominick sdraiato sul suolo supino, con le braccia e le gambe distese.
Corvina lo osservò inespressiva, poi
sospirò e
cominciò a camminare verso di lui. Entrambe le sue mani si
illuminarono di
nero. Gli avrebbe cancellato i poteri, una volta per tutte. Sperando
che ciò lo
aiutasse a tornare sano di mente.
Lo raggiunse e torreggiò su di lui, poi
puntò il
palmo verso il suo torace. «La tua ingordigia ti ha portato
alla pazzia, Dom.
Hai ferito, rubato, ucciso. La tua sete di potere ti ha portato perfino
ad
ammazzare il tuo migliore amico. Sei un pericolo, sia per gli altri che
per te
stesso. Non so che cosa tu abbia davvero scoperto quando sei andato a
cercare
le risposte che ti servivano, ma ciò non giustifica comunque
le tue azioni.
Devi essere fermato.»
Avvicinò il palmo al corpo del ragazzo,
la luce
nera si fece molto più forte. Ma un attimo prima che potesse
ciò che voleva,
diversi colpi di tosse provennero dalla sua gola.
«C-Coraggio» rantolò,
riaprendo lentamente gli occhi, osservandola con un rivolo di sangue
che colava
dalla bocca. «Fallo! Cancella l’unica cosa che mi
è rimasta!»
Rachel lo osservò sorpresa. Era convinta
di
avergli fatto perdere i sensi. Ma nel giro di poco tempo, la sorpresa
si
trasformò in indignazione. «L’unica cosa
che ti è rimasta per causa tua!»
rispose, accigliata.
«C-Che cosa?»
domandò lui.
La corvina abbassò la mano, stringendola
a pugno
e facendo scomparire la luce nera. «La tua ossessione per i
tuoi poteri ti ha
portato a perdere tutto quanto! Kevin mi ha raccontato tutto, lo sai?
Ha detto
che sei impazzito, che nessuno voleva più avere a che fare
con te, che hai
fatto scappare la tua ragazza! Ha detto che avevi tutto quello che un
uomo
poteva desiderare, ma pur di non rinunciare alla tua
avidità, hai preferito
perdere tutto, fino a quando non ti era rimasta solo più una
persona: Kevin.
Lui è stato l’unico che ha avuto il coraggio di
rimanerti vicino, ma quando ha
finalmente deciso di farsi avanti, di aiutarti,
tu l’hai arso vivo! Dimmi, Dom, sei felice adesso?»
«I-Io... io cosa?»
sussurrò lui, sgranando gli
occhi.
«Non fare il finto tonto!»
Corvina si
inginocchiò di fronte a lui, per poi scrutarlo con rabbia.
«Lo hai ucciso.
Volevi uccidere anche i miei amici!» Puntò
l’indice contro di lui. In parte le
sembrò di parlare con sé stessa, ma se non altro
lei aveva imparato la lezione.
Sperò che anche lui, in questo modo, potesse rendersi conto
dei suoi errori. «Sei
stato tu... l’artefice della tua rovina. Io ho solo cercato
di aiutarti.»
«Non... non è
vero...» Dominick scosse la testa,
per poi alzarsi lentamente a sedere, gemendo per il dolore ad ogni
minimo
movimento. «Io... io non ho...»
«Sì invece!»
gridò Rachel, per poi afferrarlo
per l’orlo della giacca, tirarlo a sé ed
indicandogli il cadavere ancora
fumante di Kevin. Uno spettacolo raccapricciante, di cui Corvina
avrebbe fatto
sicuramente a meno, ma voleva aprire gli occhi di Dom una volta per
tutte,
mettergli in testa che lui era pericoloso.
«Kevin... no...»
mormorò il copiatore, con voce
tremante. «Non... non è vero...»
«Potevi scegliere, Dom. I tuoi preziosi
poteri,
o il tuo migliore amico. E tu hai scelto i poteri. Piangere adesso non
cambierà
le cose.»
«L’ho... l’ho
davvero... davvero...» Il castano
non terminò la frase. Si prese la testa tra le mani e
gemette ancora più forte.
«Cosa... ho... fatto...?»
Corvina si rialzò in piedi e lo
osservò
dall’alto. Un po’ provò pena per lui. Ma
quello non avrebbe certo cambiato
quanto successo, né la sua opinione nei suoi confronti.
«Perché, Dom?» domandò
la ragazza. «Perché hai deciso di fare tutto
questo? Perché eri così
ossessionato?»
«Ho ucciso il mio migliore
amico...» borbottò
lui, ignorando la domanda.
«Dominick...»
«L’ho... ucciso io...»
«Dominick!» esclamò
Rachel. «Ascoltami!»
Lui drizzò il capo, per poi osservarla
sconvolto, quasi confuso. «E tu chi cazzo sei?»
Quella, fu l’ultima goccia. La ragazza
gridò per
la frustrazione e gli sferrò un fragoroso ceffone.
«ASCOLTAMI!»
Il castano fece un verso sorpreso e si
massaggiò
la guancia, dopodiché la guardò di nuovo, ora
quasi intimorito. Rachel inspirò
profondamente, poi ripeté la domanda:
«Perché l’hai fatto, Dom? Che
cos’è
successo... il giorno dell’esplosione? Chi... chi era quella
terza persona che
quel giorno non ce l’ha fatta?»
Questa volta, lui parve capire la domanda,
perché chinò il capo. La sua espressione si
indurì, strinse i pugni. «Lo vuoi
davvero sapere? Vuoi davvero sapere chi è morto quel giorno,
di fronte ai miei
occhi, per la mia disperazione?!»
Il tono quasi minaccioso con cui le pose quella
domanda la fece esitare, ma poi la corvina annuì comunque.
«Sì.»
Il ragazzo tornò a guardarla di scatto.
Sembrava
quasi che stesse per piangere. E quando le diede la risposta, la
corvina ne
capì presto il motivo. «Mio figlio.»
Rachel spalancò la bocca, sorpresa, ma
Dominick
non aveva ancora finito: «C’eravamo io, Kevin e
Rick su quella macchina. Doveva
essere una gita al lago, una cosa normalissima, ordinaria, per staccare
con la
mente per poco, solo per poco, cazzo, dalle responsabilità,
dal lavoro, dalle
bollette, dall’affitto da pagare, dalla spesa da fare e da
tutte quelle
stronzate! E invece mi sono ritrovato a reggere il cadavere di mio
figlio tra
le braccia, mentre il mio migliore amico, accanto a me, urlava come un
pazzo e
si dissolveva in una nuvola di dannato fumo! Dimmi, tu come avresti
reagito?!»
Dominick cercò di rialzarsi, mettendosi
carponi.
«Come avresti reagito, osservando tutto ciò per
cui avevi combattuto andare in
frantumi in così pochi istanti?!»
gridò. «Tu non hai idea... di quanti
sacrifici abbia fatto per poter costruire tutto quello. Trovare una
ragazza,
sposarla, avere una famiglia... dopo un’intera esistenza
passata vivendo come
un ladruncolo da quattro soldi, costretto a truffare, ingannare, rubare
per
vivere... è vero, non sono mai stato una brava persona, ma
ho riconosciuto i
miei errori, e ho deciso di cambiare.»
Non avendo la forza per rialzarsi, il castano
crollò
di nuovo a terra, gemendo. Tossì un paio di volte, per poi
rialzarsi a fatica
sui gomiti, tremando come una foglia per lo sforzo. «E non
appena... ci sono
riuscito, non appena le cose hanno cominciato ad aggiustarsi... sono
stato
ripagato in questo modo. Mio figlio aveva quattro anni, Rachel. Era
solo un
bambino... non aveva mai fatto nulla di male, a nessuno. Ma a quanto
pare, ciò non
gli ha impedito di... di portarmelo via.»
Dom scosse lentamente la testa, riuscendo di
nuovo a rimettersi seduto. Entrambi i suoi occhi erano lucidi, prossimi
al
pianto. «Doveva... salvarsi lui, non io. Io non me lo
merito... non ho mai
fatto nulla per meritarlo...»
Il ragazzo sospirò profondamente.
Chinò il capo
e rimase immobile, ad osservarsi le ginocchia.
Rachel continuò a fissarlo, meditando
sulle sue
parole. Anche lui, dunque, non era stato altro che una vittima delle
esplosioni.
Ma non una vittima colpita direttamente, una vittima come lei. Aveva
perso ciò
che aveva di più caro, quel giorno. Come lei, come Richard,
come Tara, come
Amalia, come Ryan... come tutti quanti. Dominick non era molto diverso
da lei,
alla fine. L’unica cosa che li differenziava, era che lui non
era mai riuscito
a superare il lutto. E ciò lo aveva portato a fare tutto
quello. La rabbia, il
dolore, lo avevano accecato, rendendolo ciò che era
diventato.
«Solo ora mi rendo davvero conto di aver
fatto
cose terribili... e che nessuno potrà mai perdonarmi per
questo... nemmeno io
penso che potrò mai farlo. Ho... ucciso delle persone... e
il mio migliore
amico era tra queste. Avevi ragione, Rachel. Avevate tutti ragione.
Ero... sono...
fuori controllo.» Dominick si prese di nuovo il volto tra le
mani, per poi
scuotere la testa. «Non sono riuscito ad accettare la
realtà, e queste sono
state le conseguenze. Se vuoi davvero cancellarmi i poteri, fallo
adesso. Prima
che sia troppo tardi.»
Corvina si mordicchiò
l’interno della guancia, ponderando
sulle sue parole. C’erano tante cose che ancora voleva sapere
da lui, ma prima
di porgli ulteriori domande, annuì.
«Sì.»
Si inginocchiò di fronte a lui, poi gli
posò una
mano sul petto. Cancellargli i poteri, in quel momento, era la
priorità
assoluta. Non sapeva cosa fare con esattezza, ma non dovette
preoccuparsi
troppo di questo: non appena lo toccò, la luce nera
cominciò a fuoriuscire in
automatico dal suo palmo. Un’aura nera avvolse il corpo di
Dom, che fece un
verso sorpreso.
«O-Ok, sei pronto?»
domandò la ragazza, in parte
intimorita-
Dominick annuì. «Fallo.
Forza.»
Rachel lo osservò negli occhi,
volgendogli un
cenno del capo. Poi, senza dire altro, si concentrò con
maggiore intensità.
L’energia oscura cominciò a fuoriuscire con
più insistenza dal suo palmo,
l’aura nera che avvolgeva il corpo del copiatore si fece
molto più intensa,
dopodiché Corvina avvertì una profonda scossa
attraversarle il braccio. Gemette
di dolore, ma fu nulla in confronto a ciò che fece Dominick;
il ragazzo gettò
il capo all’indietro, cominciando a gridare a squarciagola.
La conduit sussultò per la sorpresa, ma
mantenne
comunque alta la concentrazione. Il castano continuò a
gridare, mentre per
Rachel diventava sempre più faticoso proseguire. Il braccio
cominciò a dolerle
terribilmente, sentiva tutto il corpo indolenzito.
Tuttavia, infine, sentì la propria
energia
affievolirsi lentamente, fino a quando ogni traccia dell’aura
nera attorno a
Dom non svanì nel nulla. La ragazza separò la
mano da lui, mentre questi cadde
a terra, di schiena, ansimando rumorosamente.
«Hai... hai finito?»
domandò poi, tra un
profondo respiro e l’altro.
«Sì, credo di
sì» mormorò Rachel, per poi
osservarsi le mani.
Dominick annuì, per poi chiudere le
palpebre. «Bene...
grazie, Rachel. E... ti chiedo perdono. Per quello che vale.»
Corvina rispose con un cenno di assenso, poi si
abbandonò a terra, sedendosi vicino a lui.
Inspirò profondamente. Ora era tutto
finito, per davvero. Adesso sapeva controllare i suoi poteri, sapeva
come
sfruttarli e sapeva anche che Dominick non sarebbe stato più
un problema per
lei.
Non le restava altro che essere più
cauta, per
il futuro. Era vero, i suoi poteri avevano attirato molta cattiva gente
su di
lei, e sicuramente avrebbero continuato a farlo. Ma finché
sarebbero rimasti in
mano sua, sarebbero stati in un luogo sicuro. Doveva semplicemente fare
attenzione, non
esporsi troppo, per
evitare che altri malintenzionati potessero notarla, e tutto avrebbe
filato per
il meglio.
E per concludere, Rachel aveva ancora una
domanda da porre all’ex copiatore. Spostò lo
sguardo su di lui e osservò il suo
petto alzarsi e abbassarsi con regolarità, mentre il ragazzo
cercava di
riprendere fiato dopo il colpo appena subito. Corvina si fece coraggio
e si
conficcò le unghie nei palmi per la tensione, poi gli pose
quell’ultimo
quesito, quello che da mesi a quella parte non aveva fatto altro che
tormentarla:
«Perché... ci sono state le
esplosioni? Tu lo
sai, non è vero?»
Dominick drizzò il capo di colpo,
sorpreso. «Perché
me lo chiedi? Come fai a sapere che...»
«Me l’ha detto Kevin»
lo anticipò lei. «Mi ha
detto che volevi scoprire la verità, per poter accettare la
morte di Rick. E mi
ha detto che ciò che hai scoperto ti ha dato la batosta
finale.»
Il ragazzo dischiuse le labbra, continuando a
soppesarla con lo sguardo. La questione parve toccare un nervo
scoperto, uno
dei tanti che doveva avere Dom in quel momento. Ma alla fine, il
castano si
rimise lentamente a sedere con un sospiro. «È
vero, io conosco la verità. Ma tu
sei davvero sicura di volerla sapere? A me ha fatto andare fuori di
testa. Vuoi
correre il rischio?»
La domanda fece esitare Rachel. In effetti,
aveva pensato a quella eventualità. E la verità
la spaventava un po’. Cosa
poteva davvero aver spinto il governo nazionale, e forse anche quelli
di tutto
il mondo, a compiere un genocidio di massa con il solo scopo di
attivare dei
geni conduit?
Ma era anche vero che non poteva semplicemente
ignorare l’accaduto. Non poteva rimanere all’oscuro
di tutto, doveva avere
delle risposte, ne aveva il diritto. Lei tanto quanto tutte quelle
persone che
erano state costrette a vivere in quell’inferno di mondo dopo
essersi viste
private di tutto ciò che avevano.
«Sì, Dom. Voglio
saperla» rispose, risoluta.
Dominick continuò ad osservarla, senza
mutare la
sua espressione. Annuì. «Immaginavo che non
avresti cambiato idea. Beh, vedi,
il motivo principale era solo uno, ma per capire tutto appieno
dovrò spiegarti
un po’ di cose. Credo che ci vorrà un
po’.»
«Io non ho fretta.»
Il ragazzo annuì una seconda volta.
«D’accordo. Mettiti
comoda, allora. La tireremo per le lunghe.»
Ok
ok gente, allora. La fine è davvero, davvero vicina. In
questo capitolo abbiamo finalmente ottenuto qualche risposta, e nel
prossimo arriveranno le altre. Altri quesiti verranno aperti, ma ormai
avete capito come sono fatto, non mi piace chiudere una storia senza
lasciare almeno un conto in sospeso.
Spero
che la rivelazione sui poteri di Rachel non sia stata una cosa troppo
forzata, anche se comunque si era capito ormai che i suoi poteri non
sono come gli altri, ma un qualcosa di praticamente unico nel suo
genere. E poi, se la storia si chiama "La figlia
dell'oscurità", un motivo dovrà pur esserci, no?
Questo
capitolo è stato molto... difficile da scrivere, ed
oltretutto è uscito fuori un bel mattone, che ho cercato di
leggere un paio di volte, ma so già che gli errori
salteranno fuori come funghi, pertanto vi chiedo un pizzico di
comprensione nel caso in cui ne notiate alcuni.
Prima
di salutare, ringrazio di cuore chi è giunto fino a qui,
sopportando me e le mie note assurde, chi ha portato pazienza ed
è riuscito a seguire tutta la storia senza dropparla a
metà, chi ha avuto la pazienza di aspettare settimana dopo
settimana l'uscita dei capitoli ed insomma, eccetera eccetera. Non
è stata una storia semplice da scrivere, ma ce l'ho fatta.
Tra alti e bassi, momenti in cui mi divertivo come un pazzo e momenti
in cui mi sembrava di essere sotto tortura, sono riuscito ad arrivare
alla fine. Spero che il finale non mozzi le gambe alla storia. Con HoS
non era successo, ma io ho comunque una paura fottuta ^^
Ah,
due precisazioni prima di chiudere con questa nota:
Dominick
ha 28 anni, sua moglie qualcuno di meno;
Kevin
26;
Ravager
30, Dreamer 27, Wilson over 55 (facciamo anche 60), Grant avrebbe
dovuto averne 31-32;
Tara,
Rachel e Robin (e tutta la compagnia dei defunti) 19-20;
Lucas
22;
Amalia 21, Ryan 17-18;
Jade
(Cheshire, per chi se la ricorda) 24 (età ufficiale);
Hank (RIP) over 55;
Non mi vengono in mente
altri personaggi, anche se so per certo di averne scordato qualcuno,
perché è così per forza. Come quando
vai a fare la spesa senza la lista e credi di avere in mente tutto
quello che devi prendere, poi quando torni a casa e controlli meglio
dici "cazzo, ho dimenticato il cibo per il gatto". Quindi, spero di non
aver dimenticato il cibo per il gatto anche questa volta, ma ne dubito.
D'accordo gente, perdonate i miei deliri e al prossimo capitolo!
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Capitolo 29 *** Risposte ***
Capitolo
29: RISPOSTE
«Queste informazioni le ho reperite da un
dossier che ho trovato in una base militare, circa qualche settimana
dopo le
esplosioni. È successo qualcosa di grosso, talmente grosso
che ha spinto agenti
federali, corpi speciali segreti e perfino l’esercito ad
intervenire» cominciò
Dom, con voce calma, facendo vagare lo sguardo dagli occhi di Rachel
per poi
riportarli al suolo, quasi come se fosse incapace di riuscire a reggere
la
vista delle iridi violacee della giovane.
«Tutto ha inizio circa
vent’anni fa’, quando uno
scienziato di cui si è persa l’identità
scoprì
dell’esistenza di un particolare gene
del DNA che, apparentemente, non serviva a niente. Come ben saprai, il
DNA
racchiude tutte le informazioni necessarie per lo studio del corpo
umano,
mentre questo gene non sembrava possedere alcuna utilità.
«Cominciò allora delle
ricerche, eseguì dei test
su dei pazienti, e scoprì inoltre che questo gene era
estremamente raro,
posseduto solamente da una persona su cento, in media. E lui era uno di
queste
cento. La cosa suscitò ulteriormente il suo interesse,
così proseguì con i suoi
studi. La cosa cominciò ad ossessionarlo, compì
sempre più test ed esami,
arrivò perfino ad operare corpi umani. Per impedire che il
suo comportamento
potesse peggiorare ulteriormente, fu rilasciato dal suo laboratorio e
gli fu
proibito di continuare ad esercitare il suo lavoro.
«Ma la cosa non lo fermò. Si
trasferì in Sudamerica,
con una nuova identità, dove poté continuare i
suoi test utilizzando come cavie
i barboni e i nullatenenti di quel posto.
«Per un anno non riuscì a
trovare niente, decine
e decine di cavie morirono per colpa delle sostanze che iniettava loro,
fino a
quando, un giorno, nemmeno i più disperati vollero
più aiutarlo. L’unica
persona che gli rimase accanto fu la sua assistente, una donna
innamorata di
lui che lo aveva seguito fin dall’inizio dei suoi studi. Ma
lei non poteva
essere usata come cavia, visto che non possedeva il gene.
Così, lo scienziato
arrivò perfino a fare esperimenti su sé stesso.
Ma nemmeno così parve riuscire
a trovare qualcosa. Arrivò perfino ad ammalarsi gravemente,
a causa delle
sostanze che continuava a creare e iniettarsi.
«Una sera si fermò
più del dovuto. La sua
assistente era già andata via, e lui era rimasto solo. Aveva
continuato a
lavorare fino a notte inoltrata e, quando era ormai mattino, decise il
tutto
per tutto: creò un agente patogeno, qualcosa che avrebbe
ucciso chiunque vi
fosse entrato in contatto. Non gli restava molto tempo di vita, a causa
della
malattia, perciò non aveva da preoccuparsi in caso di
fallimento. Se non ci
fosse riuscito nemmeno quella volta, allora lo studio sul gene conduit
sarebbe rimasto
archiviato per sempre.
«Così si iniettò
quella sostanza. Non si sa
altro della sua esperienza in Sudamerica.
«Pare che qualcosa sia andato storto,
quel
giorno, perché quando la sua assistente andò al
laboratorio, l’indomani, non
trovò altro che un cumulo di macerie e fiamme. Intervennero
le forze
dell’ordine locali, e la cosa, ben presto, si
trasformò in una faccenda molto
più seria. Agenti governativi e federali nel giro di poco
tempo scesero sul
campo. La zona fu sigillata, messa in quarantena, a causa di tutte
quelle
sostanze nocive create dallo scienziato che, quel giorno, si erano
liberate
nell’aria. L’intero villaggio nei pressi del
laboratorio fu sgomberato, gli
abitanti portati chissà dove.
«Durante
alcune operazioni di perlustrazione dei resti del laboratorio, gli
agenti
riuscirono a trovare un diario, nella quale lo scienziato aveva
descritto, per
filo e per segno, tutto quello che aveva fatto alle cavie e a
sé stesso, le
sostante che aveva creato ed iniettato e i test e gli esperimenti
fatti. È
stato proprio grazie a questo che sono riusciti a ricostruire la storia
che ti
ho raccontato fino ad adesso. Nemmeno la sua assistente
riuscì a fornire
ulteriori dettagli. L’unica cosa che saltò fuori
da lei, era che era incinta di
lui. Nient’altro.»
«Perché mi racconti
questo?» chiese Rachel,
interrompendolo, in parte confusa. Non riusciva a capire il nesso tra
quanto
successo a lei e ad Empire e la storia di questo uomo, per quanto essa
potesse
essere raccapricciante.
«Per aiutarti a capire meglio il resto
della
storia» le rispose Dom, sospirando. «Vedi, lo
scienziato fu dato per disperso,
visto che il suo corpo non fu mai trovato tra le macerie del
laboratorio, e in
seguito fu dichiarato morto. Ma dopo cinque anni, diversi strani
fenomeni
cominciarono a verificarsi. Calamità naturali, genocidi di
intere popolazioni,
paesi e villaggi interamente rasi al suolo per ragioni inspiegabili,
sempre in
Sudamerica. E fu con questi avvenimenti, che il caso del Soggetto Zero
fu
riaperto.»
«Il... Soggetto Zero?»
«Lo scienziato, Rachel.»
Dominick si strinse
nelle spalle. «Era lui la causa di questi fenomeni. Gli
agenti federali
riuscirono a coglierlo sul fatto. Lo videro all’opera per la
prima volta in
assoluto. Scoprirono che aveva ottenuto dei poteri mostruosamente
forti. Stando
ai rapporti, era in grado di demolire un muro di cemento armato con il
solo
sguardo. Capisci adesso?»
Rachel dischiuse le labbra.
«L’agente patogeno...
lo ha trasformato in un conduit...»
«Non in un conduit qualsiasi. Nel Conduit. Il primo vero conduit che
sia mai esistito, dotato di una forza così spaventosa che
nemmeno tutti gli
eserciti del mondo intero riuniti sarebbero riusciti a fermarlo. Per
questo
motivo, oltre a Soggetto Zero, gli hanno assegnato anche decine e
decine di
altri nomi. The Devil, il diavolo, per dirne uno, e anche il nome di un
demone
dell’apocalisse leggendario appartenente alla folklore di una
popolazione
sudamericana estinta da millenni. Un demone in grado di causare
terremoti,
eruzioni vulcaniche, tsunami e così via. Ciò che
anche il Soggetto Zero è in
grado di fare.»
«E come mai non se
n’è mai saputo niente di
questa cosa? Dei disastri che sono successi, delle popolazioni uccise,
dei...»
«Sicurezza nazionale, Rachel. Se simili
notizie
fossero trapelate, il mondo intero sarebbe sprofondato nel caos
più totale.
L’esistenza di un mostro impossibile da sconfiggere e in
grado di scatenare
l’apocalisse avrebbero spaccato il mondo in due,
letteralmente. Ma siccome i
fenomeni si sono limitati al Sudamerica, sono stati semplicemente
mascherati
agli occhi dei media come semplici calamità naturali, senza
scendere troppo nei
dettagli.»
«Ma allora perché ci sono
state le esplosioni?
Perché hanno evitato di lasciar trapelare queste
informazioni, se poi hanno
comunque gettato il mondo del caos uccidendo milioni e milioni di
persone?
Volevano che con la nascita dei conduit si potesse creare un esercito
in grado
di sconfiggere il Soggetto Zero?» insistette Rachel, sempre
più sorpresa,
curiosa e anche intimorita allo stesso tempo.
Dominick piegò il capo.
«Sì e no. Si è pensato
anche a questa eventualità, ma è un piano
d’azione che è stato archiviato un
anno dopo la ricomparsa del Soggetto Zero.»
«E come mai?»
domandò allora la Corvina, sempre
più perplessa.
«Perché The Devil è
scomparso di nuovo. Non si
fa più vivo da allora.»
«Che... che cosa? Ma... ma sono passati
più di
dieci anni!»
Il castano sollevò le spalle.
«Lo so. Ma è
comunque scomparso nel nulla. Non si sa davvero il perché,
si teorizza che
abbia bisogno di tempo per poter recuperare le proprie forze. Scatenare
decine
e decine di calamità naturali nell’arco di un anno
non deve essere semplice,
neppure per un conduit potente come lui. O forse si è
annientato da solo a
causa della sua troppa energia, ma questa è
un’eventualità a cui stento un po’
a credere.»
«Ma se allora non è nemmeno
per combatterlo...» proseguì
Rachel. «... allora qual è il vero motivo che ha
spinto i governi a causare le
esplosioni?»
«Perché quando il laboratorio
dello scienziato è
saltato in aria, diciannove anni fa’, tutte le sostanze
tossiche in esso
contenuto si sono disperse nell’aria, insieme a
quell’agente patogeno che lui
si era iniettato e che avrebbe ucciso chiunque. Nell’aria si
diffuse un virus,
Rachel. Certo, gli effetti nocivi di quelle sostanze si ridussero
notevolmente
disperdendosi nell’aria, e solamente negli ultimi due anni i
governi si sono
resi conto della sua continua presenza, ma ciò non li ha
comunque resi meno
pericolosi.
«In diciannove anni, tutto il mondo
è arrivato
ad essere infetto. Io, te, Kevin, Rick, tutti quanti lo eravamo. Era
una
pandemia. E in questi unici due anni non sono riusciti a trovare
nessuna cura.
Tutti quanti noi eravamo destinati a morire, prima o poi. È
vero, tu non
ricorderai di essere mai stata ammalata, ma i sintomi dovevano ancora
cominciare a farsi sentire. Negli ultimi mesi prima delle esplosioni,
centinaia
di migliaia di persone avevano cominciato a sviluppare i primi sintomi
più
gravi, una buona fetta di loro, principalmente nella prima zona di
contagio, in
Sudamerica, morì perfino. Il tempo stringeva, di cure
nemmeno l’ombra. Non
c’erano più mezzi e tempo per riuscire a
sviluppare qualche vaccino di fortuna.
Così si optò per il piano B.
«I governi di tutto il mondo si
accordarono.
Grazie agli appunti del Soggetto Zero, cominciarono le produzioni su
larga
scala degli ordigni contenenti l’agente patogeno per attivare
i geni dei
potenziali conduit. E poi, sette mesi fa’, tutte le
città contenenti più di
duecentomila abitanti furono colpite, in modo da attivare il maggior
numero
possibile di conduit, come me, te, Richard e Kevin.»
«C-Che cosa?»
domandò Rachel, basita. «Gli
ordigni... sono serviti per salvare le nostre vite?!»
Dominick annuì, con aria smorta.
«Solamente gli
individui dotati di gene conduit attivo sono immuni al virus,
perché sviluppano
degli anticorpi più potenti del normale, in grado di
depennare qualsiasi
malattia. Nemmeno quelli che possiedono il gene inattivo possono
salvarsi. Ma
per poter attivare il gene non basta semplicemente inalare i gas che si
sono
diramati nell’aria, la loro forma è troppo debole
per poter reagire con il
gene, ma abbastanza potente da uccidere. Grazie agli ordigni... il
numero di
conduit attivi è salito a qualche centinaio di migliaio tra
gli individui
sparsi in tutto il mondo. In questo modo, la razza umana non rischia la
completa estinzione, e inoltre il mondo ha guadagnato un po’
di tempo in più
per cercare una cura. L’obiettivo era quello di tenere
sigillate le città per
un po’ di tempo, per far sì che i conduit
riuscissero a controllare i loro
poteri, per poi smilitarizzare tutti i posti di blocco e lasciare che
questi
nuovi individui potessero cominciare a viaggiare per il
paese.»
«Non... non è
possibile...» Per un momento,
Rachel perse di vista il mondo attorno a sé. Si
isolò nei propri pensieri,
cercando di meditare sulle parole di Dominick, su quella scioccante
rivelazione
che le aveva fatto. «Le esplosioni... avevano lo scopo di...
di salvare il
mondo, non distruggerlo... e i conduit sono... sono l’unica
speranza del mondo...»
«Io le ho
salvato la vita.» Le parole
di Wilson rimbombarono nella sua mente all’improvviso. La
scena vissuta
nell’ambulatorio medico dove Tara era stata rinchiusa
tornò a farsi sentire più
nitida che mai tra i suoi ricordi. «Una
nuova era sta per avere inizio.»
«Deathstroke... era a conoscenza delle
cause
delle esplosioni» mormorò Rachel, mentre ripensava
anche alla visione che aveva
avuto, quella in cui i protagonisti erano stati proprio il capo degli
UDG e
Dreamer.
«Sei in
pericolo, ragazzo. Tu, Rose, tutti quanti.»
«Era l’epidemia ciò
che lo spaventava così
tanto.» Le parole uscivano in maniera autonoma dalle labbra
della ragazza,
mentre, finalmente, tutto le appariva chiaro. «Per questo
rapiva i conduit, per
questo faceva esperimenti sulle persone. Per questo... ha trasformato
Tara...
voleva... voleva...» Corvina deglutì. Mai
pronunciare delle parole le parve
così difficile. «... voleva davvero salvarle la
vita. Voleva davvero... salvare
la città.» La conduit delle tenebre si premette le
mani sulle tempie, per poi
chinare il capo, sconvolta. «Voleva davvero... salvare il
mondo...»
«Deathstroke ha fatto quello che il
governo si
aspetta che anche altri conduit facciano in futuro. Ha cercato di
trovare una
soluzione» annuì Dominick, per poi sospirare.
«Di sicuro il governo non si
aspettava un simile caos, dopo le esplosioni, però
è anche vero che non tutti i
conduit sono malvagi... non dico che Wilson fosse un santarellino,
però è uno
dei pochi che è riuscito a tenere la testa sulle spalle e
che si sia davvero
ingegnato per risolvere questo bordello. E ovviamente ci sei anche tu,
Rachel.
Credo sia anche per questo che i governi abbiano deciso di attivare
tutti i
potenziali conduit possibili, speravano che qualcuno di noi potesse
cercare di
trovare una soluzione, magari anche prima che l’intera
umanità come la
conosciamo cessasse di esistere. Ormai tutto il mondo sta cominciando
ad
infettarsi, non rimane molto tempo.»
Rachel si abbracciò le ginocchia, ancora
piuttosto scossa da quella scoperta. Tutto ciò in cui aveva
creduto... si era
rivelato una bugia. La cosa che credeva le avesse rovinato la vita, in
realtà
gliel’aveva salvata, mentre Deathstroke aveva sempre agito
cercando di fare, a
suo modo, del bene, e lei lo aveva combattuto e aveva causato la sua
morte.
«E tu... tu quando hai scoperto queste
cose hai...
hai deciso di fare tutto quello che hai fatto?»
domandò a Dominick, con voce
tremante. «Come pensavi che... che le tue azioni potessero
servire davvero a
qualcosa?»
«Non lo pensavo, infatti.» Il
ragazzo sospirò
profondamente. «Il fatto è che... scoprire che il
mondo era destinato a finire
in questo modo, che anche se fosse scampato dall’esplosione
Rick sarebbe morto,
il fatto che anche mia moglie e miei amici non ce l’avrebbero
fatta, senza
nemmeno poter avere la possibilità di salvarsi, e che invece
a spuntarla
sarebbero stati dei mostri incontrollabili e assetati di sangue e
potere come il
Soggetto Zero... mi ha fatto ribollire il sangue nelle vene.
«Ho capito che la vita non fa altro che
farti
ingoiare merda, e tu puoi fare solo due cose a riguardo: rimanere
immobile, o
reagire. E io... ho scelto, mio malgrado, la seconda. Non mi aspetto
che tu mi
comprenda, Rachel. Solo adesso ho capito che ci sono diversi modi di
reagire.
Si può fare come ho fatto io, come ha fatto Richard, come
hanno fatto Sasha e
Alden... oppure si può reagire come avete fatto tu e Wilson.
Si può fare lo
stesso gioco della vita... oppure combatterla. Se potessi tornare
indietro,
probabilmente sceglierei di combatterla, questa volta. Ma prima,
sicuramente
cercherei di trascorrere più tempo possibile con la mia
famiglia...»
«Quindi... non ci sono proprio cure per
l’epidemia?»
«Che io sappia, no. Deathstroke
è l’unico che ci
è andato vicino. Anche se la sua idea, a conti fatti, era
davvero
irrealizzabile. Non avrebbe avuto né il tempo, né
i mezzi, per poter
trasformare l’intera umanità in conduit prima che
fosse troppo tardi. Sarebbe
stato fortunato a trasformare mezza Sub City...» Dominick
scosse la testa,
sospirando nuovamente. «Mi dispiace, Rachel. Ormai il mondo
è questo.»
Corvina annuì lentamente, anche se le
sue parole
giunsero a stento alle sue orecchie, e si abbracciò le
ginocchia.
«E quali sono i sintomi
dell’epidemia?» Un’altra
voce si sollevò in aria. Sia Rachel che Dominick si
voltarono, sorpresi, per
poi vedere un malmesso Lucas reggersi in piedi a fatica, tenendosi un
braccio.
Aveva il fiato grosso e un’espressione alquanto infastidita,
ma se non altro
era ancora in grado di camminare. E a giudicare dalla sua domanda, era
evidente
che avesse ascoltato un bel po’ della loro conversazione.
«Come si fa... a
capire chi è malato e chi no?»
«Già, vorrei saperlo
anch’io...» rantolò
un’altra voce ancora, questa volta, proveniente da Richard.
Il Mietitore si
stava rialzando a fatica, mettendosi sulle ginocchia, mentre osservava
Dominick
con odio. «... così dopo potrò
ucciderti.»
«Te lo scordi.» Rachel si
alzò in piedi di
scatto. «Tu non uccidi proprio nessuno.»
«Fatti da parte»
sibilò Richard, stringendo i
pugni. «Questa faccenda non ti riguarda.»
«Dominick non farà
più del male a nessuno» disse
ancora Corvina, calma, indicando al Mietitore il ragazzo ancora seduto,
il
quale osservava con aria assente la loro conversazione.
«È finita. Abbiamo
vinto noi.»
«Non c’è nessun noi» rantolò il
Mietitore. «E questa faccenda non sarà finita fino
a quando non gliel’avrò fatta pagare per avere
ucciso i miei compagni e essersi
preso gioco di me.»
«E come vorresti fare per fargliela
pagare?»
Rachel cambiò strategia, intuendo che Robin aveva bisogno di
altri stimoli per
desistere. «Con i poteri che non hai?»
A quelle parole, Richard sgranò gli
occhi. Si
guardò entrambe le mani, sorpreso, poi serrò la
mascella ed emise diversi
grugniti, contraendo i pugni con forza. Accorgendosi di come nulla
stesse
accadendo, abbandonò le braccia lungo i fianchi con un verso
frustrato. «Com’è
possibile?! Perché tu ce li hai ancora ed io no?! Ce li ha
cancellati la stessa
persona!»
«Semplice. Perché io sono
più forte di te.» Un
sorriso scappò dalle labbra di Rachel, quando vide
l’espressione frustrata del
Mietitore. Una parte di lei aveva desiderato quel giorno da quando
aveva
rivisto Richard, ormai divenuto Robin, la prima volta; fargliela pagare
per
come l’aveva trattata ad Empire City, anche se, naturalmente,
il desiderio di
poterlo riavere dalla sua parte era comunque ancora presente. Ma ormai,
dubitava seriamente che sarebbe ancora riuscito a convincerlo.
«Basta con queste puttanate!»
esclamò Lucas
all’improvviso, facendosi avanti, verso Dominick.
«Dimmi quali sono i sintomi!»
Il castano lo osservò ammutolito,
sollevando le
mani. «Ok, ok, rilassati. Diciamo che la cosa varia da
persona a persona, ma i
primissimi sintomi, durante i primi mesi di contagio, sono
riconducibili a
quelli di un’influenza qualsiasi. Tosse, mal di testa, mal di
pancia, attacchi
di vomito e così via. Dopo un periodo che varia da sei mesi
ad un anno, dipende
dalla resistenza del corpo e da come esso reagisce, le cose cominciano
a
peggiorare. Il fisico inizia a deteriorarsi e ad indebolirsi, ci si
stanca più
facilmente, si fatica a respirare, fino al punto in cui il paziente
è costretto
a letto, impossibilitato a muoversi, obbligato a vedere la propria vita
finire
di fronte ai suoi occhi con una morte lenta e dolorosa. Ecco a te i
sintomi.
Contento?»
Dalla sua espressione, Lucas sembrava tutto meno
che contento. Aveva le labbra dischiuse ed osservava con aria basita,
quasi
intimorita, il castano. Aumentò di colpo la presa attorno al
suo braccio,
facendo sbiancare le nocche, ed indietreggiò di colpo.
Distolse lo sguardo e
fissò il suolo, probabilmente rimuginando sulle parole
dell’ex copiatore.
«E non ci sono cure»
precisò Richard, ottenendo
l’attenzione dei presenti.
«No, non ci sono. Non ancora.»
«E quelli come me, che sono conduit ma
sono
senza poteri? Centra qualcosa?»
«Non credo» rispose Rachel al
posto di Dominick.
«Dubito che i miei poteri rimuovano il gene conduit. E
comunque, ormai i tuoi
anticorpi si sono già sviluppati, quindi dovresti lo stesso
essere al sicuro.»
«Quindi...» Richard
incrociò le braccia,
distogliendo lo sguardo pensieroso. «... tutti i nostri
amici... sarebbero
morti lo stesso. Con o senza esplosione. E anche Kori... non ce
l’avrebbe
fatta.»
Corvina annuì lentamente, intuendo
perfettamente
il suo stato d’animo. «Sì. Saremmo...
tutti morti in ogni caso. Ma... credevo
che non ti importasse più niente di loro. Né di
Kori.»
«Forse...» Robin
piegò la bocca in
un’espressione corrucciata. «... o forse ho
semplicemente detto cose che non
pensavo davvero, ma che cercavo in tutti i modi di auto convincermi che
fossero
vere.»
Rachel inarcò un sopracciglio,
perplessa. «Che
intendi dire?»
Richard sospirò. «Pensare che
Kori non fosse più
importante per me, mi ha permesso di riuscire ad andare avanti, in un
certo
senso. Quando mi sono svegliato in mezzo a quel cratere, nel Centro
Storico, e
ho realizzato cosa fosse appena successo, ho capito che non aveva alcun
senso
avere degli ideali e delle buone intenzioni.»
«Mentre osservavo Empire City cadere in
mano a
dei mostri, ho realizzato che nemmeno con tutta la buona
volontà dell’universo
sarei riuscito a cambiare le cose. Ho capito che... lottare era
inutile. Così
ho abbracciato la mia nuova identità, decidendo che, se non
potevo salvare il
mondo, avrei quantomeno vendicato la persona che amavo. Ma in pochi
mesi... ho
capito che anche quella era stata solo una follia. Trovare i
responsabili, era
pura follia, ma ero stato troppo accecato dai sentimenti per capirlo.
Così ho
semplicemente lasciato che il veleno di Sasha facesse il suo lavoro.
Non potevo
più vivere in un mondo in cui tutto quello in cui credevo
veniva spazzato via.
Volevo... diventare come i Mietitori. Dimenticare tutto, voltare
pagina. Ma con
la morte di Sasha, tutto questo non è successo.
«Così ho cercato comunque di
convincermi che il
mio destino fosse quello di guidare i Mietitori. Volevo... volevo
annegare il
mio dolore in quella causa, per quanto sbagliata fosse. Volevo...
smettere di
pensare. È vero, Rachel, tu sei stata più forte
di me. Io mi sono arreso, ma tu
invece no. E per questo ti ammiro. Ma non credere che adesso le cose
cambieranno.»
«Richard...»
«Robin.»
Corvina ammutolì. Si posò una
mano chiusa a
pugno di fronte al petto, senza parole dopo aver udito quanto detto dal
suo
vecchio amico di infanzia. Così... anche lui si era arreso.
Non ci avrebbe mai
creduto se non lo avesse udito con le proprie orecchie, proprio dalle
labbra di
lui. Era un qualcosa che non sembrava avere del possibile. Era
cresciuta con
lui, lo aveva conosciuto meglio di chiunque altro, sapeva
com’era, sapeva che
era un combattente nato, un testardo, uno che credeva nelle proprie
cause e nei
propri ideali.
Osservò il suo amico di infanzia dritto
negli
occhi. In quei occhi vuoti, privi di emozioni, privi di ogni cosa. Non
era più
Richard. Non le era più da un pezzo. L’esplosione
lo aveva annientato. Aveva cancellato
Richard dalla faccia della terra. E Robin era rinato dalle ceneri del
vecchio sé
stesso.
E Rachel, finalmente, riuscì a capirlo.
«Non... vuoi venire con noi? Con me?
Potremmo...
potremmo...»
«No, Rachel. Ormai è finita. I
nostri destini si
sono incrociati per l’ultima volta. Adesso hai dei nuovi
amici, dimenticati di
me. Fallo per te stessa. Io non sono più il ragazzo che
amavi e che, forse,
avrebbe anche potuto ricambiarti. Non sono Richard. Sono
Robin.»
Rachel chinò il capo, annuendo
impercettibilmente. «Quando... quando hai capito che ti
amavo?» domandò, con
voce tremante.
«Non lo so di preciso. Ho sempre saputo
che tra
di noi c’era un forte legame, ma non ho mai capito se era
solo amicizia o se
era qualcosa di più. E quando mi sono fidanzato con Kori...
credevo di essere davvero
felice. Per questo mi sono dimenticato di te. Anche se il tuo
comportamento,
subito dopo il ballo scolastico, ha destato i miei sospetti, ma non ho
mai
avuto il coraggio di parlartene. E poi, quando ci siamo rincontrati
dopo
l’esplosione, ogni dubbio è stato chiarito. Ma
purtroppo, ormai era troppo
tardi per noi due. E comunque... ormai mi avevi già
rimpiazzato.»
A quelle parole Rachel sgranò gli occhi,
mentre
Richard, con quello che aveva la fioca parvenza di un sorriso, indicava
un
punto alle sue spalle. «Ma forse faresti meglio a
sbrigarti.»
Non capendo cosa stesse dicendo, Corvina si
voltò, per poi avere un tuffo al cuore. Lucas si stava
allontanando,
trascinandosi a fatica sulle gambe, curvo su sé stesso.
Ormai aveva quasi
raggiunto l’uscita del cantiere.
La conduit non riuscì a capire il
perché di
questa sua decisione. Fece per chiamarlo, poi ebbe un flashback. Vide
Rosso
vomitare sulla cima di quel palazzo, il giorno in cui avevano spiato
Wilson.
Poi lo vide tossire mentre camminavano, lo vide fare la medesima cosa
mentre
parlavano con Dreamer, poi ancora mentre erano in missione, mentre
parlavano,
mentre pulivano il sangue di Ryan...
Ripensò ai suoi versi e alle sue smorfie
di
dolore. E, infine, pensò a come aveva domandato a Dominick
quali fossero i
sintomi dell’epidemia. E alla sua reazione allarmata subito
dopo averli
scoperti.
Lucas...
Lucas è... è...
Rachel si portò una mano di fronte alla
bocca.
Gli occhi le si inumidirono. «No...»
mormorò.
«Coraggio Rachel» disse
Dominick, facendola voltare
verso di lui. La osservava con sguardo apprensivo e le rivolse un cenno
del
capo. «Ha bisogno di te.»
Corvina si morse un labbro, poi annuì.
«Sì...
addio, Dominick. Cerca di rimetterti in sesto. E anche tu,
Robin.»
I due ragazzi annuirono a loro volta. E senza
dire altro, Rachel iniziò a correre.
***
«Lucas!»
Il ragazzo si fermò di colpo,
irrigidendosi. «Lasciami
stare.»
«Non posso farlo. E tu lo sai meglio di
me.»
«Ti prego, Rachel. Dimenticami.»
Corvina strinse i pugni con forza, con rabbia,
fino a farsi male. «Come puoi chiedermi una cosa del genere?!
Come puoi pensare
anche solo per un momento che io possa abbandonarti
così?!»
La ragazza cominciò a camminare verso di
lui,
per poi afferrargli una spalla. «Per una sola volta nella tua
dannata vita, non
fare l’egoista e pensa anche a...»
Rachel si interruppe di colpo, quando vide Lucas
voltarsi di scatto verso di lei. Aveva gli occhi lucidi e la mascella
contratta. Sembrava quasi arrabbiato, ma in realtà non era
così. Quella era
un’espressione sofferente.
«Ho paura» sussurrò
lui, semplicemente, con un
tono che lei mai aveva sentito fuoriuscire dalle sue labbra. Sembrava
quello di
un bambino spaventato, bisognoso di aiuto. E non c’era
affatto da biasimarlo,
per quello.
«Lucas...» mormorò
Rachel, per poi abbracciarlo.
Lo sentì irrigidirsi, ma la sensazione durò poco;
ben presto, sentì il suo
corpo duro cominciare sciogliersi, fino a quando le sue braccia non le
percorsero i fianchi. Il moro chinò il capo, fino a
sfiorarle la spalla, poi
singhiozzò.
Ancora una volta, fece qualcosa che mai prima di
allora la ragazza gli aveva visto fare. «Dopo tutto quello
che abbiamo passato
insieme... morire così... non... non è giusto...
dover... essere costretto a...
a passare i miei ultimi giorni sdraiato su un letto e... costringere te
a...
dover subire tutto questo e...»
«Basta così, Lucas. Basta. Ti
prego.» Rachel gli
accarezzò i capelli, sentendo anche i propri occhi
cominciare ad inumidirsi. «Non
dire altro.»
Anche lei cominciò a singhiozzare. Aveva
ragione, non era giusto. Non era giusto che l’unica persona
che avesse mai
avuto il coraggio di fidarsi davvero di lei si fosse ammalato. Essendo
a
conoscenza dell’epidemia, sapeva già che persone
come Amalia e Lucas non ce
l’avrebbero fatta, ma dover vivere l’esperienza in
prima persona, così presto,
la distrusse completamente. Non era pronta, non sarebbe mai stata
pronta per
vedere i suoi amici ammalarsi.
Il corpo di Rosso tremava tra le sue braccia,
mentre anche i suoi singulti aumentavano di intensità. Per
lei era una
pugnalata al cuore vederlo così. Il Red X che conosceva non
era così. Lui non
aveva paura, lui non si tirava indietro di fronte a nulla, nemmeno di
fronte ad
avversari molto più potenti di lui. Lui non temeva la morte.
O almeno, così
aveva sempre creduto. Ma ritrovarsi la realtà spiattellata
in faccia in quel
modo, essere consapevoli del fatto che da lì ad un anno lui
non sarebbe più
stato al mondo... avrebbe demolito chiunque.
Il cuore di Rachel batteva all’impazzata,
mentre
si stringeva sempre di più al partner. Il corpo di Rosso era
caldo, quasi
rassicurante. In un certo senso, era sempre stato così, per
Rachel, da quando
si erano conosciuti. In quei mesi era sempre stato un punto di
riferimento, per
lei. La sua ancora, qualcosa a cui aggrapparsi senza avere paura di
cadere, un
faro dove guardare quando il senso dell’orientamento veniva
smarrito. E doverlo
perdere per lei non poteva essere semplice, in alcun modo.
Come avrebbe potuto, in futuro, alzarsi al
mattino e sapere che lui non era lì con lei?
Aveva passato mesi insieme a lui, e in un
certo senso lo aveva sempre dato per scontato. Teneva a lui, certo,
come non
avrebbe potuto, ma comunque non si era mai posta un problema del
genere. Anche
quando credeva di averlo abbandonato, non aveva mai pensato ad
un’eventualità
del genere. Perché, in cuor suo, sapeva che comunque lui ci
sarebbe stato, da
qualche parte, nel mondo. Come sua madre. Rachel sapeva che Angela
c’era, in
qualche remota località del paese, per questo non si
lasciava sopraffare dal dolore.
Al contrario di quello che sarebbe successo se
Lucas
fosse morto. Perché per quanto si possa ricordare una
persona defunta, lei non
potrà mai davvero esserci. Tenerlo vivo nei propri ricordi,
e sapere che invece
era vivo fisicamente, sono due cose completamente diverse. E lei non
poteva
accettarlo. Non poteva assolutamente accettarlo.
Doveva salvarlo. In qualche modo. In qualsiasi
modo. Mentre passava la mano tra i capelli di Rosso, Rachel vide una
tenue luce
nera illuminarle il palmo. La ragazza sgranò gli occhi,
mentre realizzava che i
suoi poteri, forse, stessero cercando di dirle qualcosa.
Dischiuse le labbra.
Possono...
possono guarirlo?
Ovviamente non poteva saperlo se non ci provava.
Alimentata da una nuova carica di speranza, Rachel si separò
dolcemente dal
ragazzo. «Ascolta, forse... forse ho
un’idea...» disse, prendendogli il volto
tra le mani e guardandolo negli occhi. «Fidati di
me.»
Lui annuì lentamente, mentre lei
inspirava
profondamente e lasciava uscire i suoi poteri. Una nuvola di luce nera
avvolse
lentamente il corpo di Lucas, facendolo gemere, mentre la ragazza, con
il cuore
in gola, cercava in tutti i modi di far sì che quello
funzionasse.
Nel giro di pochi istanti, la luce nera
guarì le
ferite superficiali come i graffi, i tagli e l’ustione sul
petto, dopodiché si
diradò e la ragazza lasciò andare il partner.
«A-Allora?» domandò, incerta.
«Ha...
ha funzionato?»
«Non... non lo so» rispose
Rosso, guardandosi le
mani. «Io non... non sento nient...» Si interruppe
di colpo, per poi chinarsi e
ricominciare a tossire con violenza. Questa volta sputò
perfino del sangue.
Corvina lo guardò con orrore crescente.
Si portò
entrambe le mani di fronte alla bocca, sconvolta, impaurita, questa
volta
temendo davvero di averla combinata grossa. Fortunatamente,
però, la tosse
cessò poco dopo. Ciò permise alla ragazza di
tirare un sospiro di sollievo, che
fu ben presto oscurato quando realizzò di non essere affatto
riuscita a
guarirlo.
«No, no...» mormorò,
mentre Rosso si
raddrizzava, pulendosi le labbra con la manica della tuta.
«Ti ringrazio per averci
provato» biasciò lui,
senza nemmeno guardarla negli occhi. Le suo sguardo perso sul suolo, la
ragazza
notò ancora quell’emozione che mai aveva visto in
lui: la rassegnazione.
«Lucas...»
«Non importa, Rachel. Davvero.
Toccava...» Rosso
esitò, per poi sospirare profondamente. «...
toccava a tutti, prima o poi.»
Rachel lo osservò ancora, incapace di
pensare.
Posò di nuovo lo sguardo sulle sue mani, e vide che erano
ancora illuminate di
nero. Inarcò un sopracciglio.
Che
significa? ,
pensò, perplessa. I suoi poteri cercavano ancora di prendere
il
controllo di lei? Eppure, lei si sentiva bene, fisicamente. Mentalmente
no, ma
non provava le stesse sensazioni di dolore di quando i suoi poteri, in
passato,
avevano cercato di impossessarsi di lei. Ma allora perché la
luce non svaniva?
Perché rimaneva lì, come se
dovesse usarla per
combattere? Che cosa aveva da combattere, in quel momento? Non
c’era
assolutamente nulla da affrontare... o forse no?
Lentamente, Rachel cominciò a capire. La
luce
nera, i suoi poteri, erano lì, si stavano manifestando di
fronte a lei,
cercando di farle capire qualcosa. Ed infine, la ragazza
intuì quale messaggio
volessero lasciarle: non arrendersi. Continuare a combattere.
La luce nera svanì di colpo proprio in
quel
momento. Rachel si osservò ancora le mani, rimuginando su
quel pensiero appena
avuto. Infine, strinse i pugni e sollevò lo sguardo,
determinata. Aveva capito.
I poteri le avevano semplicemente detto di combattere. Di non
arrendersi. E lei
non lo avrebbe fatto. Non era arrivata fino a lì per gettare
la spugna. Lei era
una nuova persona, adesso, non si sarebbe messa a piangersi addosso.
Avrebbe reagito,
e lo avrebbe fatto immediatamente.
«Lucas, ascolta.»
Il moro non parve udirla, fino a quando lei non
gli si avvicinò per poi prendergli la mano. A quel punto
Rosso sussultò, per
poi sollevare lo sguardo.
«Ascolta» ripeté,
per poi sospirare
profondamente. «Anche se non posso guarirti da sola, ti
prometto che farò tutto
quello che è in mio potere per trovare una soluzione. Io non
ti lascerò morire,
non senza combattere. Ti giuro...» Rachel si
avvicinò ancora a lui, prendendogli
anche l’altra mano. «... che non mi darò
pace. Girerò il mondo, affronterò
anche il Soggetto Zero in persona se necessario, pur di non
abbandonarti. E
vorrei che... che tu rimanga insieme a me. D’altronde,
c’è la tua vita di
mezzo, e anche quella di milioni, miliardi di persone. Da sola non
posso
farcela. Mi serve il tuo aiuto. Mi servi tu. Mi serve qualcuno che...
mi resti
vicino.»
Imbarazzata, Rachel aveva distolto lo sguardo
dai suoi profondi occhi blu, e aveva cominciato a strofinare
distrattamente i
pollici sui dorsi delle mani di Lucas. «Io non... non voglio
che tu te ne vada.
Tu sei... sei importante per me, e...»
«E tu per me.»
Rachel si interruppe di colpo, tornando a
guardare il moro, il quale aveva iniziato a sorriderle.
«Anche tu, Rachel, lo
sei per me. Mi hai... insegnato tante cose in questi mesi, senza
nemmeno
rendertene conto. E anche tu hai sopportato la mia presenza, nonostante
all’inizio fossi un po’ pesante, per non parlare
poi di come mi sono comportato
dopo il nostro incontro con Dreamer... e, insomma... non mi pare di
averti mai
ringraziata a dovere per tutto quello che hai fatto. Anche se ero io a
guidare
il nostro gruppo, in un certo senso era comunque la tua presenza che
riusciva a
darmi sollievo. Sapere che c’eri tu... mi sollevava,
perché anche se non te ne
sei mai resa conto, in un certo senso tu eri il collante che ci teneva
uniti. E...
se non ci fossi stata tu, probabilmente avrei ucciso Amalia
già da un pezzo.
Perciò... grazie, Rachel. Per tutto quanto. Per essere stata
così buona
nonostante i tuoi poteri siano tutto il contrario. Davvero.
Grazie.»
Il sorriso sul volto di Rosso si
allargò. Rachel
ben prestò ne fece uno identico. Osservò a lungo
il ragazzo, concentrandosi su
ogni suo piccolo particolare. Era stata così presa dagli
ultimi avvenimenti che
nemmeno aveva più badato al suo aspetto. Si era rasato la
barba, ora che ci
faceva caso. Aveva i capelli un po’ più lunghi e
spettinati. Gli zigomi
pronunciati, come sempre, e gli occhi scavati e dall’aria
stanca.
Era... carino. Bello. Insomma, lei gradiva il
suo aspetto, malgrado spesso e volentieri fosse trasandato e
trascurato.
«Quindi... tu tieni a me?»
domandò lei,
probabilmente avvampando.
«Sì, Rachel. Tengo a te. E
tu... tieni a me?»
Corvina si avvicinò a lui, pochi
centimetri
ormai separavano i loro volti. «Sì»
disse, tutto ad un fiato.
Spesso aveva pensato a Rosso come un amico, ma
in quel momento... le pareva che fosse qualcosa di più. Le
sembrava di avere
con lui lo stesso rapporto che aveva avuto con Richard, in passato.
L’unica
differenza, tuttavia, era che Lucas era meglio di Richard. Molto meglio.
E fu con questi pensieri, che la ragazza
socchiuse le palpebre e cominciò ad azzerare la distanza che
li separava. Sentì
la presa calda di lui aumentare sulle sue mani fredde. Il suo cuore
accelerò i
propri battiti, sentì le guancie bruciare terribilmente e lo
stomaco in
subbuglio.
Era una strana sensazione, molto gradevole, che
prima
di allora forse aveva provato solo per Richard, ma mai così
intensamente. Non
poté non riconoscere quell’emozione. Ma era
davvero quella? C’era solo un modo
per scoprirlo.
«Ahia, ragazzi... mi fa male
dappertutto...»
Un secondo prima che le loro labbra potessero
sfiorarsi, una voce improvvisa ruppe quel momento tanto surreale quanto
meraviglioso.
Entrambi i giovani sobbalzarono, quasi urlando, per poi allontanarsi di
colpo
entrambi con le guancie in fiamme, tuttavia continuando a tenersi per
mano.
Videro Tara barcollare verso di loro,
massaggiandosi la testa, mugugnando. «Mi sembra di essere
stata pestata da un
martello da macellaio per poi essere stata ficcata di peso in una
centrifuga e...»
La bionda si fermò di colpo e
sgranò gli occhi,
osservando le mani ancora intrecciate di Lucas e Rachel e le loro
espressioni
chiaramente imbarazzate.
«Ehm... ho... ho interrotto
qualcosa?»
Rosso e Corvina si guardarono rapidamente tra
loro, poi riportarono lo sguardo sulla nuova arrivata.
«N-No... » borbottò
Rachel, imbarazzata.
«Sì, decisamente
sì» mugugnò invece Lucas,
incupendosi, strappando un risolino alla corvina.
«Accidenti!» sbottò
Tara, sbattendosi una mano
sulla fronte. «Ho interrotto l’unico momento della
vita di Lucas in cui lui ha
deciso di esternare qualche emozione! Scusa Rachel, non volevo,
davvero...»
«Ha. Ha. Divertente»
mugugnò ancora Rosso,
distogliendo lo sguardo da lei.
«Guardatemi, sono Rosso, sono un cyborg,
non
provo emozioni, bzz, bzz.» Terra cominciò a
muovere le proprie braccia in
maniera meccanica, imitando anche la voce robotica.
«Divertente davvero.»
«Ah! La mia falsa scorza da duro
è sotto attacco!
Alzare livello di sarcasmo!»
Un’altra risata scappò dalle
labbra di Corvina,
la quale, poi, sciolta la stretta con Lucas andò ad
abbracciare Tara,
strappandole un verso sorpreso. Un po’ si sentì in
colpa per essersi
dimenticata di lei, ma la scoperta che aveva fatto su Rosso le aveva
fatto
temporaneamente perdere il contatto con la realtà.
«Sono felice che tu stia
bene. E ti ringrazio per essere tornata ad aiutarci.»
La bionda ridacchiò, poi
ricambiò la stretta. «Figurati.
Insomma... le amiche... fanno questo, no?»
Rachel si separò da lei, sorpresa da
quell’affermazione. Osservò il sorriso gentile e
anche un po’ imbarazzato della
Markov, e sorrise a sua volta. «Hai ragione. Le amiche fanno
questo.»
Sollevò una mano, frapponendola tra loro
due.
Tara la guardò incuriosita, poi allargò il
sorriso e la strinse.
«Comunque...» aggiunse,
sottovoce. «Era ora che
tu e Lucas vi metteste insieme...»
Rachel spalancò le palpebre.
«C-Cosa?! N-No, noi
non...»
«Ehi, tranquilla, io non ti giudico di
certo» la
interruppe Tara, strizzandole l’occhio. «Anzi, sono quasi invidiosa...»
Corvina sentiva le guancie in fiamme,
letteralmente. Distolse lo sguardo, sempre più imbarazzata.
«Piuttosto... come
hai fatto a trovarci?» decise di cambiare argomento, sperando
che Lucas non
venisse più nominato per almeno altri trenta secondi.
«Difficile non notare una tempesta di
fumo ed
esplosioni varie con tanto di luci verdi sfavillanti in mezzo al cielo.
Non mi
è stato difficile capire che tu centravi qualcosa.»
Un sorrisetto scappò dalle labbra della
corvina.
«Si, diciamo che Kevin e Dominick ci hanno dato abbastanza
dentro...»
«Quindi quello era lo stesso ragazzo che
ci ha
aiutati a scappare da Dreamer» osservò Tara.
«Mi dispiace che non ce l’abbia
fatta...»
«Anche a me.»
Rachel osservò il punto in cui il corpo
di Kevin
era rimasto, ma con sua enorme sorpresa non lo notò. Non
vide nemmeno più né
Dominick, né Robin. Ma anziché allarmarsi, un
altro tenue sorriso si accese sul
suo volto. Se n’erano andati. Probabilmente Dom aveva preso
con sé il suo
migliore amico, mentre Richard aveva proseguito per la sua strada
solitaria. Un
po’ le sarebbero mancati, tutti e tre. Tolta la corazza dura
e fredda da
conduit, tutti loro dentro nascondevano qualcosa di buono. E
sicuramente, non
avrebbe mai scordato ciò che Richard era riuscito a donarle,
in passato.
«A proposito, Tara... come ti senti
adesso che
hai perso i poteri?» domandò Rachel, in parte
dispiaciuta.
Il sorriso raggiante di Terra, tuttavia, le fece
intuire che non era il caso di essere in pena per lei. «Mai
stata meglio. Sai,
credo che tra tutti noi, l’unica che dovrebbe avere i poteri
sei tu, Rachel. Io
ero una mina vagante.»
Corvina annuì, rasserenandosi. Si
voltò di nuovo
verso Lucas, il quale le sorrise in maniera dolce. «Beh,
ragazzi, direi che qui
abbiamo finito.»
«Dove andremo adesso?»
domandò Tara, per poi
aggiungere, frettolosa. «Ammesso che non vi dispiaccia la mia
presenza,
ovviamente...»
Rachel le scoccò
un’occhiataccia, strappandole
una risatina, dopodiché lasciò perdere con un
sospiro, sorridendo all’idea
della loro nuova missione. «Sai, credo proprio che
ciò che ho in mente ti
piacerà. Sempre se il nostro Lucas qui presente
sarà disposto a farci da
leader.»
«Sei tu che dovresti guidarci,
Rachel.»
«No, invece.» Corvina sorrise,
volgendogli un
cenno di intesa con il capo. «Io non sono in grado di farlo.
Sei tu il leader
nato tra noi, lo sai bene. Ma puoi stare tranquillo, io ti
aiuterò senza
pensarci due volte.»
Un sospiro di falsa rassegnazione uscì
dalla
bocca di Lucas, che poi tornò a sorriderle. «Va
bene, allora. Che cosa hai in
mente di fare?»
«Beh...» Rachel distolse lo
sguardo da lui, per
poi posarlo su Tara, la quale pareva aver intuito cosa avesse in mente,
perché
la guardava con sguardo carico di aspettativa.
«... diciamo che abbiamo una ragazza
parecchio
scorbutica da trovare.»
Il sorriso di Terra si allargò a
dismisura
quando udì quelle parole. Lucas, invece, fece un verso
esasperato. «Oh, no...
stavo così bene senza di lei...»
«Amalia fa parte del gruppo, che ti
piaccia o
no. Dobbiamo trovarla. E, inoltre... dobbiamo starle vicino. Non se la
starà
passando molto bene, in questo momento.»
Rosso sospirò per l’ennesima
volta, poi annuì. «Sì,
hai ragione. Ma giuro che al suo primo cenno di bipolarismo la faccio
fuori.»
Rachel e Tara ridacchiarono.
«La avvertiremo del pericolo»
replicò la bionda,
per poi incamminarsi.
I tre ragazzi si avviarono in silenzio verso
l’uscita del cantiere, per poi trovarsi sul ciglio della
strada. Ormai era
calata la sera e una lieve brezza si confondeva tra i palazzi
illuminati e le
luci accese dei lampioni.
«Direi che potremmo cominciare dalla zona
industriale» iniziò Lucas, incrociando le braccia.
«Non è passato molto da
quando è partita, e dubito che abbia trovato una macchina.
È probabile che la
troveremo attorno al confine della città, se ci
sbrighiamo.»
«Visto perché sei tu il
leader?» domandò Rachel,
scoccandogli un’occhiata complice. Il ragazzo sorrise, poi
ricambiò il suo
sguardo.
«Ehm ehm...» Dietro di loro,
Tara si schiarì la
voce. «Ragazzi? Non dovremmo sbrigarci?»
I due partner trasalirono e distolsero gli
sguardi, strappando un’altra risatina alla ragazza bionda.
Mentre spostava lo sguardo sui suoi piedi, un
nuovo sorriso si accese sulle labbra di Rachel. Pensò che,
anche se non tutto
era perfetto, raramente si era sentita così sicura e libera
dal peso del mondo.
Lucas era in pericolo, vero, però...
sentiva
comunque, dentro di sé, che le cose si sarebbero aggiustate,
in qualche modo.
Non sapeva cosa fare con esattezza per salvare il suo partner, ma
sapeva che
qualcosa lo avrebbe trovato, prima o poi. La soluzione era davanti ai
suoi
occhi, doveva solo riuscire a vederla meglio.
Controllava i suoi poteri, aveva di nuovo degli
amici leali, sinceri, e forse Lucas era diventato perfino qualcosa di
più, per
lei.
Adesso il suo obiettivo era trovare Amalia, la
quale, doveva ammetterlo, le mancava molto più di quanto
avesse potuto
immaginare. Dopo averla trovata... chi poteva dire con esattezza cosa
sarebbe
successo.
Era certa, comunque, che le cose avrebbero
dipeso da lei, come sempre da quando aveva ottenuto i suoi poteri. Ma
quella,
ormai, era una realtà che aveva deciso di accettare.
Dopotutto... tutti gli uomini percorrono un
percorso già stabilito. Ma sta proprio agli stessi uomini,
far sì che questo
percorso si riveli essere più o meno pericoloso.
Solamente il tempo, probabilmente, le avrebbe
dato le risposte che cercava.
***
EPILOGO
Non ho
scelto io di essere una conduit. Non ho scelto io di avere i poteri,
non ho
scelto di essere una dei pochi sopravvissuti dell’esplosione
di Empire. Ma è
successo.
Il destino
ha sempre avuto in serbo questo piano per me. Un piano che io ho sempre
ritenuto sbagliato, crudele nei miei confronti, ma ora, invece, ho
capito. Ho
capito che ho giudicato troppo in fretta i fatti, senza considerare
ciò che li
ha causati. E di conseguenza, adesso so che questo è il
ruolo giusto per me.
Non sono i
poteri che fanno la persona, ma è la persona che fa i
poteri.
Non conta
chi sei, ma ciò che fai. Sono le scelte che facciamo tutti i
giorni, che ci
rendono ciò che siamo.
Buoni,
cattivi, non ha alcuna importanza. Ho scoperto che dietro il male si
può
comunque celare del bene, e che sotto il bene si può
comunque celare del male.
Io? Io sono
il bene che c’è nel male. Io sono la figlia delle
tenebre, non necessariamente
malvagia, ma comunque in grado di controllare ciò di
più oscuro al mondo, ossia
il male stesso.
E se sono
riuscita a fare del bene perfino con esso, non vedo come io non possa,
un
giorno, riuscire a salvare tutte le persone che amo.
Non so cosa
mi riserva il futuro, ma so per certo una cosa: io non mi
arrenderò. Potrei
averlo fatto qualche volta, in passato, ma sono sempre e comunque
riuscita a
ritornare sui miei passi, in un modo o nell’altro, ed
è questo che ho
intenzione di fare anche questa volta.
Io non mi
fermerò fino a quando non ritroverò Amalia, e poi
mia madre, e poi Lian per
portarle i saluti di sua sorella e poi, infine, fino a quando non
sarò sicura
al cento percento che Lucas sarà al sicuro.
Questa è
una promessa, un giuramento, che ho fatto a me stessa: lui non
morirà. Nessuno
morirà, fino a quando potrò fare qualcosa per
impedirlo.
Affronterò
interi eserciti se necessario, ma non mi darò mai per vinta.
Anche a costo di
rimanere da sola. Se dovrò sacrificare me stessa per salvare
i miei amici, lo
farò. Se dovrò farlo per salvare il mondo, lo
farò.
Perché
è
questo che sono io, è questo ciò che faccio ed
è questo il motivo per cui ho
ricevuto i miei poteri.
Non mi
importa se le persone quando mi vedranno scapperanno da me oppure
verranno a
stringermi la mano. Non faccio tutto questo per un mio tornaconto
personale. Io
lo faccio per loro, e loro saranno libere di giudicarmi come vogliono.
Ho capito
di avere un ruolo, nella realtà di tutti i giorni, e questo
ruolo è quello di
aiutare il prossimo, indipendentemente da chi esso sia. Ho salvato
Tara,
un’amica, che se lo meritava in quanto non aveva mai fatto
del male a nessuno,
ma ho anche salvato Dominick, in un certo senso, riportandolo alla
ragione e
cancellandogli i poteri.
Io sono la
speranza di un mondo migliore. Sono ciò a cui, un giorno,
anche altri conduit
spero possano inspirarsi.
Forse da
sola non cambierò il mondo, ma il messaggio che ho
intenzione di lasciare,
quello sì che lo cambierà.
Tante
persone sono rimaste coinvolte. Hank, Jade, Ryan, Rose, Kevin, i
Visionari, gli
Underdog, perfino Joseph e Slade. Non dimenticherò nessuno
di loro. Perché anche
loro, in un certo senso, mi hanno aiutata a crescere. Mi hanno fatto
capire chi
sono.
Io sono la
Figlia dell’Oscurità. Io sono il Male. Io
controllo il Male. E con esso, faccio
del bene.
Mi chiamo
Rachel Roth. Sono una ragazza adolescente che è stata
costretta a crescere più
in fretta del previsto. Sono sopravvissuta all’esplosione e
sono una conduit.
E se
potessi descrivere la mia vita con un aggettivo... penso che opterei
per
"turbolenta".
E la cosa,
alla fin fine, non mi dispiace così tanto.
E questa,
amici miei, non è la fine, ma un nuovo inizio.
Ok, no, non
è vero, è la fine. Ma mi piace pensare che sia un
nuovo inizio per Rachel, Lucas,
Tara e compagnia briscola.
C’è
voluto
tempo, tanto tempo, non è stato facile, non lo è
stato affatto, ma alla fine
siamo giunti sino a qui, a questo giorno, che per alcuni
sarà triste, ma per me
è molto felice. È un sollievo vedere questa
storia giungere ad una spero degna
conclusione. Soprattutto dopo quanto accaduto alla mia vecchia long,
per me è
stato un piacere vedere come io sia riuscito a portare a termine questa
storia
che è, sicuramente, la mia preferita tra tutte quelle che ho
scritto.
Sono
passato al livello successivo, con questa fic. La mia "crescita" come
scrittore è culminata proprio qui, in InFAMOUS: The
Darkness’ Daughter.
Ehi, non
fraintendete, non me la sto tirando od altro, sto semplicemente dicendo
ciò che
penso di me. Andiamo, non potete negare che dal mio esordio a qui le
cose non
siano cambiate. In bene o in male spero che possiate dirmelo voi
lettori e
recensori, proprio qui, nel capitolo finale di questa storia che ho
adorato
scrivere, nei suoi alti e nei suoi bassi.
Non avrò
fatto il botto come con HoS, ma detto proprio papale papale, non me ne
frega un
accidente. Io sono felice così, e le cose non cambieranno
tanto semplicemente.
Non mi
pronuncio sul finale della storia, sappiate solo che era un qualcosa
che avevo
già programmato da un pezzo. La storia
dell’epidemia e degli ordigni che in realtà
hanno salvato il mondo ce l’avevo in mente praticamente fin
dall’inizio, da
quanto ancora stavo scrivendo i capitoli dentro la baraccopoli degli
Spazzini
(ne sono passati di mesi da allora, nevvero?).
Ringrazio
davvero di cuore tutti coloro che mi hanno accompagnato in questi mesi,
davvero,
non ho parole. Senza la presenza di molti temerari di cui presto
farò i nomi,
questa fiction non l’avrebbe notata nessuno. Ha ottenuto un
successo davvero
insperato, considerando il genere e la trama proposti.
E ora
arriviamo ai temerari, ossia: Calimetare, Nanamin, Sara e gli ultimi ma
non per
importanza Rose Wilson e Fabb.
Vi ringrazio
di cuore tutti quanti. Mi scuso se non mi pronuncio su ciascuno di voi
singolarmente come già feci con HoS, ma mi sembra un
po’ eccessivo. Sappiate
che vi sono grato di tutto, e non avete idea di quanto.
Ringrazio
poi chi si è fatto sentire un po’ più
sporadicamente, ma che mi ha comunque
fatto piacere sentire, come playstation, Corvina, Yomi e chi ha
preferito la
storia, ossia, oltre a chi è già stato citato,
Summer15 e daniele pietro.
E sappiate
che questa non è la fine, cioè, lo spero. Ora mi
prenderò un po’ di pausa, ma
spero di poter tornare non troppo tardi. Non aspettatevi tempi da
record, però,
ormai avrete capito che sono diventato più lento di un
bradipo a scrivere e
pubblicare.
Perciò,
GRAZIE! Un abbraccione a tutti voi, ai lettori, ai recensori e a
chiunque sia
arrivato fino a leggere queste righe di questa (ultima, per vostra
gioia)
delirante nota d’autore.
Vi voglio
bene. Sto abbracciando il monitor in questo momento, ma sappiate che in
realtà
l’abbraccio è per voi.
Ah, prima
di salutare... non è che avete voglia di pigiare una
preferenza per questa
storia? So che ho detto che non mi importa del successo,
però... mi piacerebbe
un casino vedere chi tiene davvero ai miei lavori farsi vedere e
aiutarmi ad
emergere di nuovo in mezzo a questo oceano di concorrenza spietata.
Come già ho
detto nella mia fiction parodia, questo è un business
crudele.
Naturalmente
siete liberi di non farlo, se non volete, in ogni caso io
sarò grato a chiunque
si fermerà anche solo dieci secondi per rimuginarci su.
Tolto lo
spam, vi ringrazio calorosamente un’ultima volta, per ora, e
vi dico
semplicemente: alla prossima!
Questa non
è la fine, ma un nuovo inizio, per me. Non so per quanto
scriverò ancora, ma so
di per certo una cosa: fino a quando continuerò,
cercherò di divertirmi, e di
far divertire voialtri.
Perciò,
lettori, recensori, amici, alla prossima!
Vostro,
Edo.
Piccolo extra per voi: THEME SONG DEI PERSONAGGI! Perché sì. Iniziamo:
Rachel: https://www.youtube.com/watch?v=FH-uOCIaxHg
(questa penso sia stata la più facile da scegliere,
è un video con lycris,
purtroppo non in italiano, ma chi mastica un po’
l’inglese sicuramente capirà
la mia scelta).
Lucas: https://vimeo.com/16400008
(questa è stata più il cuore a suggerirmela,
sicuramente ci sarà chi la
apprezzerà parecchio, e chi invece la troverà
irrilevante, ma vabbé, il mondo è
bello perché vario. Mi spiace solo di non aver trovato il
video originale su
YouTube, ma agli Offspring deve essere partita la brocca
perché non si trovano
praticamente più loro video originali sulla piattaforma...).
Tara: https://www.youtube.com/watch?v=1zbUP3h_pcs&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=3
(questa non l’ho scelta per le parole del testo,
bensì per il suo ritmo, molto
tranquillo ma con anche qualche picco più acceso, che
secondo me rispecchia
bene la personalità della biondina nella mia storia).
Amalia: https://www.youtube.com/watch?v=6fVE8kSM43I&index=4&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq
(ok, se non vi piace la roba troppo spinta, forse non gradirete questa
canzone... io, personalmente, la trovo perfetta per Komi, sia come
ritmo che
come testo).
Jeff: https://www.youtube.com/watch?v=nDz5SzpA3Xw&index=8&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq
(questa la conoscete già molto bene, non credono servano
parole aggiuntive).
Rose: https://www.youtube.com/watch?v=O5ZQsf0qiSQ
(una donna forte, feroce, spietata e determinata, proprio come il
protagonista
della canzone).
Slade: https://www.youtube.com/watch?v=wmEU-VypsHo&t=91s
(questa è moooooolto spinta, quindi fate occhio).
Richard: https://www.youtube.com/watch?v=lQHJtA00RJQ&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=7 (boh, mi piaceva, secondo
me rispecchia bene
la personalità del nostro caro Mietitore. Anche questa
è piuttosto spinta,
quindi fate occhio).
Dominck: https://www.youtube.com/watch?v=v3INSQUXH4k&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=6 (la
canzone che parla
di un uomo che ha perso l’amore della sua vita, un triste
sorte molto simile a
quella che è capitata a Dom, il quale ha praticamente perso
tutto per colpa sua
e per colpa delle esplosioni).
Kevin: https://www.youtube.com/watch?v=KWdaDqtPJKk&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=14
(penso sia una delle mie theme song preferite, il testo racchiude molte
cose,
critiche vero la vita che viviamo, verso il mondo in cui ci troviamo,
la nostra
esistenza, un po’ tutto ecco. Tutte domande che Kevin
sicuramente si è posto
mentre vagabondava assieme al suo migliore amico, e che sicuramente si
è anche
posto mentre lo affrontava in quello che è stato uno dei
migliori combattimenti
della mia storia, secondo me ovviamente).
Rachel e Lucas (❤):
https://www.youtube.com/watch?v=C5eQXgZ626M
(questa canzone va ascoltata ripensando a tutti i momenti che questi
due hanno
trascorso assieme, belli o brutti che siano. Magari prima quelli
brutti, poi
quelli belli. Fidatevi, rende centomila volte meglio).
Ebbene, questo è quanto.
Lo so, mancano due personaggi,
ossia Ryan e Jade, ma purtroppo non ho trovato nulla per loro. Mi
spiace. Se
qualcuno ha qualche idea, ben venga.
E niente, ci tenevo a rendervi
partecipi di questa piccola
cosa. Vi è piaciuta come idea? Sono felicio. Non vi
è piaciuta? Non me ne frega
niente (dai che vi voglio bene lo stesso).
Grazie a tutti, alla prossima!
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