The Lake

di Raymox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



 
Capitolo 1
§

 
L’acqua si tinse di rosso sotto i miei occhi increduli: non si trattava di un fenomeno comune ad un qualsiasi lago, tant’è che una sola volta l’anno quello specchio naturale diventava scarlatto.
Mi ricordai delle storie che mi raccontava mio nonno a tal proposito riguardanti la sua leggenda, della principessa che ancora giaceva sul fondo riempiendolo di mistero e domande prive di risposta.
Mi tornarono alla memoria i momenti in cui, quando ero piccolo, mio nonno mi metteva sulle sue ginocchia accanto alla finestra dicendomi – Lo vedi quel lago laggiù?- e indicava il lago a qualche chilometro da casa nostra – Quello è il lago di Tovel, ed è magico.- a quelle parole sgranavo gli occhi.
- Quel lago una volta all'anno cambia colore diventando rosso.- mi diceva.
- E perché, nonno?-
- Ora ti spiego...- e cominciava a raccontare.
Una leggenda che mi aveva sempre appassionato sin da quando ero bambino. Non è una storia qualunque, questa è la storia del lago di Tovel…
“Alle sponde opposte del lago si ergevano due castelli uno di fronte all'altro. Ad Est il castello del re Alejandro, un uomo duro nei modi ma bello d'aspetto: i suoi occhi verdi come smeraldi incantavano ogni donna. Al suo fianco regnava la moglie Heather: una donna fredda e perfida che sapeva incutere terrore nei suoi nemici con un solo sguardo, ma nonostante ciò rimaneva molto affascinante. Attraversavano entrambi i trentacinque anni ed erano legati in matrimonio da quindici. Il loro unico figlio si chiamava  Duncan: egli era dotato di un corpo atletico come quello del padre e occhi di ghiaccio, malgrado fosse molto più socievole e pacifico dei genitori.
Dall’altra parte del lago si trovava il castello del re Geoff, un re dai capelli biondi e gli occhi azzurri con un fisico asciutto, e la regina Bridgette, una ragazza dai lunghi capelli biondi e dagli occhi dello stesso colore di quelli del marito con un corpo armonioso. Erano sposati da dieci anni ed avevano trentadue anni. La loro figlia Courtney aveva lo stesso fisico di Bridgette, gli occhi neri e i capelli marroni ereditati dal nonno ma, diversamente dai due, aveva un innato spirito guerriero anche se  non bramoso di battaglia.
Da molte generazioni i due popoli erano in conflitto, rendendo ogni tentativo di  pace vano. Ma tutto   sarebbe stato deciso in un ultima battaglia  svoltasi presso il lago di Tovel, una battaglia che avrebbe decretato le sorti dei regni.”
§
 
Nel castello a Ovest…
- Mio re!- esclamò un soldato mettendosi sull'attenti davanti al trono reale, sopra al quale era ben visibile lo stemma del regno di Ragoli dai vivaci colori rosso e blu. Sbatté  la lancia sul pavimento. Il rumore rimbombò per tutta la sala reale distraendo i nobili dalle loro discussioni.
- C'è un messaggero da parte del re Alejandro.- annunciò il soldato ad alta voce.
Il re e la regina si guardarono un momento preoccupati. Geoff fece un gesto con la mano per dire di scansarsi al soldato – Fatelo passare.- disse poi.
Ad una trentina di metri le grandi porte di legno scuro si aprirono facendo passare un uomo ben vestito con un cappello dal quale spuntava una piuma sul lato destro. Teneva saldamente una pergamena nella mano destra la quale era chiusa da un nastro rosso che dondolava ad ogni suo passo. Si avvicinava sempre più verso Sua Maestà passando esattamente al centro delle due parallele file di colonne in marmo, ciascuna delle quali era dotata di una torcia.
Quando fu a pochi metri dal trono fece un profondo inchino. Con una mossa rapida srotolò la pergamena che aveva in mano e si schiarì la voce. - Il re Alejandro vi porge i suoi saluti.- cominciò il messaggero – Durante questi lunghi anni i nostri popoli hanno vissuto in continue guerre, ma il re vi propone la soluzione a questo problema. Vi offre la possibilità di arrendervi immediatamente senza condizioni e Sua Altezza lascerà intatto il castello, ma voi dovrete rinunciare al trono.- e lì si bloccò guardando il re. A quelle parole la sala si fece agitata e si levò un chiacchierio dalla folla.
- E se non accettassi?- chiese il re.
- In tal caso il re vi propone un’altra opzione.- continuò l'uomo che si era guadagnato l'attenzione di tutti – Vi propone una battaglia, ma non una qualsiasi. Sarà un ultimo scontro per decretare il più forte tra questi due regni e in palio si metteranno le terre e il popolo. Inoltre chi perderà verrà esiliato da queste terre per sempre -.
La tensione saliva sempre di più e le persone all'interno della sala erano sempre più preoccupate, compreso il re.
- La scelta è tra queste.- concluse il messaggero – Vivere o morire.-
Subito dopo queste parole richiuse velocemente la pergamena, si voltò e, con il suo passo sicuro, tornò verso il portone.
I sovrani lo guardarono andare via fino a quando le porte non si furono chiuse dietro di lui. Dalla sala si era levato un brusio in cui tutti si chiedevano quale decisione avrebbe preso il loro re.
L’uomo si reggeva il capo con una mano appoggiata al bracciolo del trono e Bridgette vedendolo in quello stato gli portò una mano sul braccio accarezzandolo dolcemente. Lui alzò lo sguardo verso di lei - Indossavi lo stesso abito quando ci siamo conosciuti.- disse lui ritornando assorto nei suoi pensieri. La regina guardò il suo lungo vestito celeste e con un sorriso gli disse – Ormai ci sono affezionata -. Si guardarono per qualche istante stando in silenzio. Poi l’uomo si alzò dirigendosi verso una delle due porte ai lati del trono che conducevano nei corridoi del palazzo.
§
 
- Che vigliacco! Alejandro mi mette davanti a un bivio aspettandosi che io scelga se arrendermi o combattere – borbottava il re mentre, con passo veloce, si dirigeva verso le sue stanze. I corridoi erano illuminati dalle finestre che permettevano di osservare la città che sorgeva ai piedi della fortezza e all’orizzonte il lago di Tovel. Spalancò la porta, come sempre sorvegliata ai lati da due soldati, facendo riecheggiare la sua frustrazione tra i muri di pietra.
Si appoggiò con le mani sul tavolo accanto alla finestra che dava sul cortile del castello con appoggiati sopra qualche foglio ed un candelabro. Era molto agitato: non si aspettava una tale mossa da parte del suo nemico e ora si trovava in una difficile situazione.
Non voleva arrendersi ad Alejandro poiché sapeva che gli sarebbe spettata una brutta fine, malgrado avesse promesso il contrario, ma non voleva nemmeno far andare in guerra i suoi uomini, la sua gente, condannandoli ad un massacro. Andò con uno scatto dal tavolo al letto, separati dall’armadio, e si mise a sedere sulle rosse lenzuola di seta guardando in terra, assorto nei pensieri.
Si sentiva come un masso sulle spalle; se non fossero scesi in guerra il suo popolo avrebbe vissuto sotto la tirannia dei due re nemici e lui e sua moglie avrebbero perso il trono e ogni forma di nobiltà, ma almeno non ci sarebbero state vittime e non si sarebbe sparso sangue.
Sollevò lentamente lo sguardo fino a guardare il suo riflesso nello specchio sul comò, come se contenesse la soluzione, la scelta giusta da fare.
La porta della camera si aprì dolcemente, rivelando un volto ben noto al re.
- Ho sentito cos’è successo, va tutto bene?- chiese Courtney guardando il padre. Entrò e chiuse la porta alle sue spalle. La sua tunica di pelle produceva un lieve rumore mentre si avvicinava a Geoff, che rimaneva seduto avvolto nel mantello rosso.
- Si, sto bene. Sono solo preoccupato per il regno –
- Se provassimo a inviare un messaggio di pace?- chiese lei speranzosa.
- Conosci Alejandro, impiccherebbe il messaggero -.
Tra i due calò il silenzio. Nessuno dei due sapeva cosa dire o cosa pensare.
Alla fine Courtney spezzò il silenzio:- Cosa faremo quindi?-.
Dopo alcuni secondi il re si alzò dirigendosi verso la ragazza. La prese tra le mani e la baciò sulla fronte per poi guardarla negl’occhi.
- Fino alla fine – le sussurrò prima di uscire dalla camera.
§
 
Nel castello a Est...
Camminava con passo sostenuto verso le grandi porte di legno in cima alle scale di marmo bianco affiancate da quattro uomini. Ai suoi lati, a parecchi metri di distanza, si innalzavano mura del castello con una decina di uomini sopra che si distraevano parlando o giocando ai dadi.
Dritto davanti a lui si ergeva la vera rocca, con ai lati due delle quattro principali torri, divise dall’edificio dal cortile.
Le guardie fecero un umile inchino con la testa quando passò tra di loro il principe dal lungo mantello verde.
Aprì violentemente le porte della sala principale con entrambe la mani spalancando le due grandi metà. La sua apparizione fece molto effetto sui presenti, i quali si voltarono tutti sorpresi da quell’improvvisa comparsa. Alcuni uomini che stavano nella sala accennarono un inchino con il capo senza smettere di guardarlo. Lui, però, non se ne curava e andava spedito verso il padre.
La sala era illuminata da grandi vetrate poste sui due muri laterali al giovane e sulle colonne che riempivano la stanza c’era lo stemma di Tuenno raffigurante tre alberi.
Il re Alejandro, seduto intorno ad un tavolo con alcuni nobili, interruppe le sue discussioni e si mise ad osservare il figlio con aria sorpresa.
- Duncan, è questo il modo di entrare?- disse con tono di rimprovero, ma al ragazzo sembrava non interessare.
Si fermò a pochi passi dal tavolo e non sapendo cos’altro dire domandò solo un “Perché?”.
L’uomo abbassò la testa sui fogli sparsi sul tavolo quasi come se temesse di incrociare lo sguardo di suo figlio.
- È per il bene del regno – tagliò corto.
A quella risposta Duncan perse il controllo di sé. – Come può ad essere per il bene del regno?!­- gridò sbattendo la mano sul tavolo, tenendo lo sguardo fisso sul re. I nobili seduti al tavolo sobbalzarono leggermente quando sentirono la botta, ma nessuno ebbe il coraggio di guardare verso il principe. Calò il silenzio nella sala reale e tutti si misero a osservare la scena.
- Non tollererò un secondo di più questo tuo atteggiamento – disse Alejandro tornando a guardare il ragazzo.
Lui si ricompose. – Padre, rispondimi.- disse e aspettò una risposta che non tardò ad arrivare.
- Non possiamo continuare a vivere nella paura di una guerra contro Ragoli. Una volta tolta di mezzo la città, potremmo espandere il nostro territorio -.
- E sacrificheresti la tua gente per farlo?- chiese Duncan. Tutti i presenti ora si chiedevano cosa avrebbe risposto il re a una tale domanda. Dopo qualche secondo rispose. – Certe scelte sono difficili da prendere -.
Il giovane si guardò un momento intorno a cercare una soluzione.
- Potremmo tentare di fare un’alleanza con l’altro regno- disse già sapendo quale sarebbe stata la risposta.
- Altre volte abbiamo tentato, ma non ci siamo mai riusciti, lo sai bene.-
- Questa volta potrebbe essere diverso; ho saputo che il re e la regina di Ragoli hanno avuto una figlia. Potrei sposarmi con lei e sancire così un’alleanza tra i regni.-
- Non farò sposare mio figlio con una donna di Ragoli!- esclamò il re alzandosi dal posto. Il suo odio per quella città era troppo grande per permettere a suo figlio che tale situazione si realizzasse.
Si fissarono intensamente per qualche istante poi Duncan si girò e tornò sui suoi passi, quasi disgustato dal suo stesso padre.
- È per questo che non sarai mai un vero re -.
 
Angolo Autore
Buongiorno a tutti! ( o buonasera)
Per prima cosa, vi ringrazio per aver letto la storia e per essere arrivati fino in fondo.
Ditemi se vi è piaciuto questo piccolo capitolo con una recensione o anche un messaggio personale di tre parole e di segnalarmi eventuali errori.
Io vi ringrazio ancora e vi saluto.
Ci si vede!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
§
 
Duncan raggiunse la scuderia reale: una piccola stalla con tre cavalli al suo interno. Anche se era un posto dedicato ai cavalli della famiglia del re, manteneva una certa modestia: era, infondo, solo una casetta fatta di legno e paglia, ma mantenuta egregiamente. Aprì le due porte alte, così costruite affinché un  uomo a cavallo potesse passare. I due destrieri sui lati erano quelli di suo padre e sua madre, entrambe neri con la criniera del medesimo colore, mentre il purosangue di fronte a lui era il suo. Tutti e tre erano chiusi in un recinto di quattro metri quadrati.
Lo aveva trovato durante una spedizione di caccia, qualche anno prima.
Duncan amava la caccia. Quel giorno erano partiti per catturare qualche cervo o magari dei mufloni, poiché si sarebbe tenuto un banchetto al castello e la carne fresca sarebbe stata più saporita. Lui era ancora giovane, ma non troppo per non saper cavalcare e tirare con la balestra. La giornata stava volgendo al termine e dovevano rientrare, ma sulla strada del ritorno vide una sagoma bianca che risaltava nel verde scuro del bosco al tramonto. Era il cavallo più bello che avesse mai visto: la criniera dorata gli celava il collo e parte del muso. Si stava abbeverando al fiume che scorreva limpido su quelle montagne. Duncan scese lentamente dal ronzino che lo aveva portato fin lì e si nascose dietro un cespuglio. I soldati che lo avevano accompagnato continuarono il loro tragitto senza accorgersi che il principe non li stava seguendo. Lui uscì allo scoperto e si avvicinò ancora di più senza fare movimenti bruschi che avrebbero potuto disturbare l’animale.
Quando gli fu ancora più vicino gli sembrò maggiormente maestoso: era un magnifico stallone.
Ad una decina di metri da lui, l’esemplare si accorse della sua presenza e si voltò a guardarlo con ancora il muso sgocciolante, decidendo se si trattasse di una minaccia o di un uomo curioso. Duncan si sentì come osservato da un dio: i suoi occhi erano di un nero molto profondo. Era lo stesso sguardo che aveva ora di fronte.
<< Sire, cosa ci fate qui? Non è vostra abitudine andare a cavallo a quest’ora >> disse una voce dietro di lui.
<< Perché me lo chiedi, Owen? Non posso?>> chiese sarcasticamente Duncan, girandosi a guardare il suo interlocutore, il suo robusto scudiero dagli arruffati capelli biondi, nonché fidato amico: indossava degli abiti modesti che però si addicevano perfettamente ad uno stalliere. Stava trasportando delle selle con un braccio e con l’altro del fieno da dare ai cavalli.
<< Siete liberissimo di farlo, ma oggi c’è un brutto tempo>>  osservò Owen << Rischiate di prendervi qualche malanno >>. Era appena cominciato l’inverno e cominciavano anche i primi temporali. Dai capelli dello scudiero scendevano delle gocce di pioggia che cadevano sui vestiti bagnati.
<< Non preoccuparti per me, se il tempo peggiorerà rientrerò subito >>. Non aveva alcuna intenzione di farlo, ma non voleva farlo preoccupare.
<< Va bene, Mio Signore. Quale sella volete?>> disse mettendo le due che teneva sulla spalla insieme a un gruppo, appoggiato su una staccionata.
Duncan le squadrò una dopo l’altra osservandole attentamente. Poi puntò il dito << Voglio quella>> disse. Era l’arcione più umile di tutti gl’altri: era di un marrone sporco, logoro e sembrava che potesse rompersi da un momento all’altro. Owen si avvicinò incerto al punto dove il principe stava indicando e appoggiò l’indice << Questa, Sire?>> chiese con un’espressione interrogativa.
<< Esattamente >> rispose. La reazione dello scudiero non tardò ad arrivare:<< Con tutto il rispetto, ma questa è una sella vecchia e avevo intenzione di donarla a qualche contadino o di buttarla via. Ne è sicuro?>> chiese. Poi notò in quel momento che si era vestito con abiti semplici e non con la sua tunica che usava per andare a cavallo. Il tutto era poi ricoperto con un soprabito nero che arrivava sotto alle ginocchia, con un largo cappuccio. Quasi non si riconosceva. Per un momento lo stalliere dubitò addirittura che fosse il vero principe.
<< Sicurissimo. Ora, preparami il cavallo>>.
Lui si mise subito a sellare l’animale. Mentre stava finendo di prepararlo chiese a Duncan:<< Volete andare al confine o nel regno di Ragoli, Sire?>>. Pur essendo solo uno scudiero, aveva intuito che il principe non voleva essere riconosciuto nel luogo dove voleva andare.
<< Non sono affari tuoi >> rispose secco. Owen a quella risposta, rimase in silenzio; aveva già chiesto troppo.
Qualche minuto dopo era sul suo destriero e cavalcava fieramente per i sentieri del fitto bosco che circondava il regno. La strada era disseminata di rocce e pozze di fango e ogni tanto si intravedevano le coltivazioni degli agricoltori e, vicino ad esse, le loro case. Aveva smesso di piovere e ora l’abito del principe era bagnato solo dalle gocce che si facevano strada tra le foglie degl’alberi. Il cielo era ancora nuvoloso, ma prometteva un miglioramento.
Tutto andava come previsto: i contadini non si prostravano dinanzi al suo passaggio, come erano soliti fare vedendo un nobile. Con quegl’abiti nessuno lo riconosceva; a volte gli bestemmiavano anche contro. Il piano stava decisamente funzionando.
 
§
 
<< Non avviciniamoci troppo ai confini, principessa; gli Orsi - nome degli abitanti di Tuenno - hanno dichiarato guerra, non sappiamo cosa aspettarci>> avvertì un soldato scrutando il bosco. Il  mantello rosso arrivava fino all’inizio della coda del suo cavallo color mogano. L’uomo sfoggiava degli accesi capelli color arancione e sembrava che avesse trent’anni; il suo nome era Scott. Teneva una balestra da caccia in mano e osservava, come ognuno di loro, tra la vegetazione in cerca di qualche preda.
Tutti i cavalieri l’avrebbero detto, ma lui fu il primo.
Courtney guidava quel piccolo gruppo, che si apprestava a cacciare qualche animale per sfamare un intero regno durante il periodo di guerra, o almeno i cittadini più ricchi.
<< Abbiamo già abbastanza selvaggina per far mangiare i nobili per intere settimane, Maestà. Potremmo tornare indietro >> disse un altro, osservando il bottino di caccia che ogni uomo aveva caricato sul cavallo. Nessuno di loro voleva spingersi troppo lontano dalla sicurezza che rappresentava il castello.
<< Non possiamo pensare solo ai nobili,>> ribatté lei << il popolo non può vivere con solo pane e acqua>> affermò, decisa a continuare fino ai confini del regno pur di nutrire la sua gente.
Cavalcarono per un’altra ora nei fitti boschi, fin quando sentirono dei rumori. Dei passi di un animale simili a quelli di un capriolo. Courtney fece cenno di fermarsi agli uomini, alzando la mano, e cominciò a squadrare il bosco con la balestra pronta per colpire e tutti gl’altri fecero lo stesso. Non si udiva più alcun rumore, l’aria era immobile.
<< Se n’è andato?>> sussurrò uno. La principessa pensò che fosse strano che un animale scomparisse così d’improvviso. C’era qualcosa che non andava, lo sentiva.
Senza preavviso, si sentì un sibilo veloce nell’aria e poi un gemito di uno dei soldati. Courtney guardò indietro e vide uno dei cavalieri sdraiato a pancia in giù sulla schiena del cavallo e, conficcata nel suo collo, una freccia. La gola del poveretto spruzzava sangue sulla terra come una fontana. Tutti furono sorpresi e anche spaventati, anche perché non videro chi aveva sparato il colpo.
<< Imboscata!>> gridò un uomo dietro Courtney. In un momento il gruppo si ritrovò sotto una pioggia di saette mortali che uccisero altri due cavalieri, disarcionandoli. << Non so dove mirare!>> gridò un altro che subito dopo venne colpito nel petto.
I soldati erano chiaramente in difficoltà; non sapevano in quale direzione guardare e non potevano fare altro che guardare i compagni perire aspettando che la morte prendesse anche loro.
<< Principessa!>> gridò Scott richiamando la sua attenzione << Dovete andarvene di qui!>> disse e indicò un sentiero alla destra di lei, che voltò subito il muso del suo destriero verso quella direzione, dove si diresse anche lui. Avrebbe preferito che non la chiamasse in quel modo perché così facendo sarebbe diventata il bersaglio principale degli Orsi.
Gli altri uomini si dispersero per la foresta. Mentre fuggiva, Courtney sentì qualcuno dire “ Inseguiamoli! Ai cavalli!”, sicuramente un tuennese.
Il rosso le stava subito dietro e sparava dei dardi ogni volta che finiva di ricaricare; non sparava prendendo la mira, ma cercava di distogliere gli inseguitori dal loro obbiettivo. Loro però non volevano farli fuggire e a loro volta scagliavano frecce contro i due.
Non passò molto dall’inizio della loro fuga che Scott venne colpito all’altezza del polmone sinistro. Lanciò un gemito di dolore. Il colpo non lo uccise, poiché la spessa tunica l’aveva rallentato, ma lo disarcionò facendolo cadere di schiena al suolo, alzando una piccola nube di polvere.
La principessa, sentendo il grido, fermò il cavallo e fece per tornare indietro a prendere il soldato, ma lui la fermò subito, << Correte! Non pensate a me, fuggite!>>. Lei guardò nella direzione da dove erano venuti e vide tre cavalieri con il mantello verde alzato per il vento, galoppare verso di loro. Courtney fu riluttante; non sapeva cosa fare. Rimase ferma per un momento, decidendo il come agire, ma Scott la riportò alla realtà, << Scappate! Non rimanete lì!>>. Nella sua voce c’era una punta di arroganza, come se le stesse impartendo un ordine, ma serviva per convincere la principessa ad andare via.
Sentì una calda lacrima rigarle il viso mentre guardava l’uomo a terra, poi voltò il cavallo e corse nel bosco. In quel momento, provava tantissime emozioni: tristezza, rabbia, rassegnazione e molte altre. Lasciare una persona a morire è forse peggiore che morire te stesso. Non si voltò indietro, galoppò fino a quando i cavalieri non scomparvero dalla sua vista.
 
§
 
Scott si trascinò sotto un albero e vi appoggiò la schiena, respirando faticosamente. Era stordito dal dolore e la sua vista era offuscata, ma riusciva a vedere il sangue che usciva dalla ferita imbrattare la tunica.
Con un movimento, che a lui sembrò molto faticoso, portò la mano intorno alla freccia. La strinse e la tirò fuori con un gesto rapido del braccio. Dolore. Non credeva fosse possibile, ma quella mossa lo fece star peggio.
Sentì gli Orsi avvicinarsi a lui, come un branco di lupi assetati di sangue. Furono bloccati dal destriero di Scott, che, imbizzarrito, dissuase gli altri cavalli ad avanzare. << Dannazione! È fuggita!>> gridò un tuennese che sembrava essere il capo.
<< Capitano, qui ce n’è uno vivo>> disse uno degl’altri due scendendo dall’animale e accostandosi al rosso. Lui li guardava uno dopo l’altro con uno sguardo prepotente anche se era nettamente in svantaggio. Teneva la mano destra sulla ferita cercando di fermare l’emorragia.
Il comandante tra i tre accennò un sorriso e si avvicinò alla sua preda. << Bene bene, sembra che il topo sia in trappola>>. Si abbassò appoggiandosi sul ginocchio destro fino ad avere la sua faccia, sulla quale si dipinse un ghigno presuntuoso, a qualche centimetro di distanza da quella di Scott che non smetteva di fissarlo negl’occhi. <> disse sollevando il labbro, come se la cosa lo divertisse. Il rosso cacciò uno sputo che andò dritto nell’occhio sinistro dell’uomo che sobbalzò leggermente. Il capo si pulì con la mano da quello che definì uno schifo e scoppiò in una grassa risata. << Fa ancora lo stronzo>> disse rivolgendosi ai due uomini che a loro volta sogghignarono.
Poi il capitano mise l’indice nella ferita dell’uomo e cominciò a girarlo dentro il petto di Scott. Lui urlò dal dolore anche se tentava di resistere; teneva gli occhi chiusi stretti mentre gli altri si prendevano gioco di lui, che, debole, non poteva farci nulla. Senza che lui se ne accorgesse, il suo assalitore impugnò il coltello che portava sul fianco sinistro e lo conficcò nello stomaco del ragolese. Lui riaprì di scatto gl’occhi e guardò verso il suo addome dove si vedeva solo l’impugnatura dell’arma stretta nella mano del comandante. Sentì un dolore paragonabile a quello delle pene dell’Inferno.
<< Ecco cosa succede agli stronzi>> disse al corpo ormai quasi senza vita. Estrasse con forza la lama facendo schizzare del sangue anche sulla sua faccia
La vista di Scott si offuscò sempre più. Dal lato della sua bocca scese una riga di liquido rosso che macchiò ulteriormente la tunica. L’oscurità lo avvolse. La morte si prese la sua anima, portandola con sé.
 
 
Angolo Autore
Ok, forse sono stato un po’ brutale in questo capitolo. Non è bello far morire la gente così! Inoltre ho dovuto anche cambiare il rating della storia da giallo ad arancione, mannaggia a me.
 
Comunque, spero che questo capitolo abbia raggiunto le vostre aspettative, anche se forse poteva essere fatto meglio. Aspetto di sapere il vostro parere.
Ho visto dal mio account che alcuni di voi hanno cominciato a seguire la mia storia. Queste sono le soddisfazioni di uno ““““scrittore”””” :’).
Io vi ringrazio tantissimo per aver letto il capitolo e spero che continuiate a seguirmi in questa folle storia.
Ci si vede!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
§
 
Andava senza pensare, galoppando più veloce possibile. Le lacrime le scendevano copiose sulle guance e doveva costantemente asciugarle con la manica della tunica. Si guardò indietro; i soldati non le davano più la caccia, ma non si fermò. La sua vita era salva e avrebbe voluto dire lo stesso di Scott.
«Maledizione, maledizione » sussurrava tra sé mentre si portava lontana da quel luogo. Sarebbe andata subito al castello per riferire tutto a suo padre, che la guerra era ufficialmente iniziata. Gli Orsi avevano invaso i territori di Ragoli uccidendo uomini senza intenzioni ostili, uccidendo solo perché vestiti con un’uniforme diversa.
Il vento le scompigliava i capelli, le nuvole diventavano di nuovo scure, il sole celava i suoi raggi, l’aria si faceva più fresca. Una raffica, che trasportava granelli di terra, si abbatté su di lei costringendola a chiudere gl’occhi. Con la mano ora si strofinava le palpebre cercando di ridurre quel fastidio pungente che le impedì di vedere un altro cavaliere che veniva da una strada perpendicolare alla sua.
 
§
 
C’era un piccolo ruscello che divideva i due regni; una sottile linea trasparente che delineava la fine di Tuenno e l’inizio di Ragoli. Appena passato, Duncan si sistemò meglio il cappuccio, come se sentisse di essere più osservato in quel momento anche se la sua notorietà poteva solo diminuire, poiché nessuno a Ragoli aveva mai visto il suo volto, fatta eccezione per Geoff e Bridgette, ma aveva il timore che lo riconoscessero ugualmente, magari per qualche dettaglio che a lui sfuggiva. Si diresse verso una via che lo avrebbe portato in poche ore di galoppo al castello. Il percorso era sufficientemente largo da far passare tranquillamente un carro con tanto di scorta; la selva esplodeva a pochi metri – circa due – di distanza da entrambe i lati. Era deducibile che fosse una strada principale, ma, soprattutto in quei tempi, nessuno sarebbe andato nell’altro regno, quindi il percorso non era molto trafficato, o meglio, non vi era nessuno. Per i briganti sarebbe stato un ottimo posto dove tendere un’imboscata, motivo che gli fece accelerare il passo. Intanto pensava al discorso che avrebbe fatto al re quando sarebbe arrivato, cercando di mettere insieme qualche parola convincente.
Il cielo cominciava ad imbrunire come era successo nella mattinata e minacciava ancora di piovere.
Arrivò nei pressi di un grande macigno che celava un ulteriore sentiero sulla sinistra, ma questo Duncan non lo sapeva e continuò a andare rapido senza curarsi di eventuali scontri con altri cavalieri, cosa che successe.
Sbucò fuori dal nulla e si diresse ad una pericolosa velocità contro di lui che, notato sia il sentiero sia il cavaliere troppo tardi, non riuscì a frenare l’animale in tempo. Successe tutto molto in fretta,  l’impatto fu inevitabile. Il destriero della sconosciuta sbatté la testa contro il collo di quello di Duncan facendola cadere in avanti e rotolare nella polvere della strada. Il principe accusò il colpo e il suo cavallo si agitò per lo spavento,  ma l’uomo riuscì a tenersi in sella domandolo. « Che diavolo...? » si riprese per qualche secondo dallo shock e, capendo cos’era successo, immediatamente soccorse la sconosciuta che nella furia dell’impatto aveva perso conoscenza.
Era stesa a terra con la pancia all’insù e aveva il viso sporco di polvere e terra. Sul sopracciglio destro si era aperta una ferita facendo scendere una piccola riga rossa sulla guancia. Duncan prese il coltello dalla fondina sul fianco destro e lo mise di fronte al suo naso per vedere se respirasse. La lama si appannò, anche se poco. Ripose l’arma e fece per aiutare la ragazza, ma sentì un suono che lo bloccò: un ramo spezzato. Inizialmente pensò ad un cervo o ad un cinghiale, quindi non se ne curò molto. Poi il frusciare delle foglie di un cespuglio, ma questa volta veniva dalla parte opposta della strada, dopo qualche secondo un ulteriore rumore. Era confuso, non poteva trattarsi un animale: c’era qualcuno che giocava con lui, e non era solo. Duncan sguainò la spada, pronto per combattere contro chiunque fosse sbucato dalla selva. La sensazione di essere osservato era orribile, come se avesse una benda sugl’occhi e gli stessero puntando contro con degl’archi; non sai quando accadrà, ma sai che prima o poi succederà.
Voleva gridare, sfidarli ad uscire fuori e a combattere, ma lo precedettero. Due sagome uscirono dai cespugli, fissandolo con delle minacciose spade. Indossavano vestiti scuri con alcune foglie sparse sopra e avevano delle maschere sul volto che lasciavano intravedere solo il nero delle pupille. Duncan stava per gettarsi su di loro senza paura, ma un coltello sbucò da dietro di lui avvicinandosi lentamente al suo collo.
« Io non lo farei » disse una voce dietro di lui, come se avesse capito ciò che stava per fare.
Non potendo fare altro, Duncan rimase immobile aspettando il compiersi del suo destino. Improvvisamente e senza preavviso, sentì un forte colpo sulla nuca che gli fece perdere forza nelle gambe e si ritrovò steso per terra. Riuscì solo a vedere che le sagome si avvicinavano a lui, prima di chiudere gl’occhi e lasciarsi trasportare nel buio.
 
§
 
Courtney aveva gl’occhi socchiusi, ancora non in grado di vedere nitidamente. Riuscì a capire di essere legata ad un albero, poiché sentiva una corda sul torace che le immobilizzava le braccia. Fu colta per un momento dal panico e cercò di divincolarsi per fuggire e chiedere aiuto, ma la fune era troppo stretta quindi si calmò. Di fronte a lei, a una decina di metri, c’erano tre individui seduti intorno ad un piccolo fuoco, intenti probabilmente a discutere della sua sorte. Appena la videro agitarsi, si fermarono a guardarla per qualche istante, mentre lei studiava la situazione. Le rivennero in mente le immagini dell’incidente e il volto dell’uomo con cui si era scontrato, che aveva visto pochi attimi prima della collisione, ma non era con loro. Pensò che se la fosse svignata in tempo o che fosse già stato ucciso.
Cercava di carpire qualche parola dei rapitori, ma erano troppo lontani e parlavano a bassa voce.
« Perché mi avete catturata?» esordì dopo qualche minuto, stanca di aspettare che decidessero cosa farne di lei. Uno dei tre, con la pelle scura e capelli anch’essi scuri, si alzò, avvicinandosi con la sua minacciosa spada in mano.
« Credimi, ragazza » disse puntandole l’arma alla gola « se dipendesse da me, saresti già morta » disse con tono minaccioso, fissandola negl’occhi.
« Calma, Lightning » disse poi una voce gracchiante, che Courtney trovò fastidiosa, come se fosse di una rana; sembrava essere di una donna. « Ci serve viva. Da morta non ci è utile ». Quella dichiarazione la fece sentire più serena; se non avevano intenzione di ucciderla, in qualche modo sarebbe riuscita a scappare o comunque a salvarsi la vita.
 Quella fuorilegge sembrava comandare, perché subito dopo l’uomo, che lei aveva chiamato Lightning, abbassò la lama e tornò al suo posto. « Agl’ordini » disse sbuffando, mentre tornava indietro.
Poi fu il turno della donna, che si avvicinò fino a starle a mezzo metro di distanza. « Dimmi, chi sei tu e il tuo amico?» disse facendo un cenno dietro di lei, che non si aspettava di essere in compagnia. Le sue ipotesi la portavano tutte alla stessa conclusione: l’uomo dell’incidente era ancora con lei.
Courtney non rispose, ma assunse uno sguardo incerto, che rivelava la verità senza uso di parole e la Donna Rana capì la sua incertezza. « Sai la risposta, si vede, ma non vuoi darmela. » affermò, facendo cadere la ragazza nel panico, che fino ad allora aveva controllato.
« Sono una serva » dichiarò, senza guardare la donna, che cercò di capire se le stesse mentendo o se stesse dicendo la verità. Non si fidò di lei; in qualche modo, che alla prigioniera sfuggiva, sapeva che stava mentendo.
« Se non mi dici chi sei veramente, qualcuno si farà male.»
Courtney capì che non poteva più inventare, ma non poteva dire di essere la principessa o l’avrebbero usata come ostaggio per un ricatto o l’avrebbero uccisa. Decise si stare in silenzio.
« Brick, vieni qui » urlò la Donna Rana e subito dopo l’ultimo dei tre briganti le venne vicino. « Dammi il tuo coltello » ordinò all’uomo che glielo passò.  Courtney si allarmò vedendo quel minaccioso coltello nelle mani dei fuorilegge. « Comandante, » disse poi facendole cenno di alzarsi « se fosse una nobile, basterebbe farlo sapere al re e ci darà il riscatto senza problemi; perché torturarla?» sussurrò perplesso.
« Non sappiamo chi è, ne da quale regno viene. Se fosse la principessa il re ci darebbe più denaro. »
« Ma come facciamo a sapere se è un’aristocratica?» continuò lui.
La donna fece un cenno con la testa al cavallo della ragazza « Guarda il cavallo, è sicuramente di razza, o guarda la sella o i suoi abiti: questa non è una plebea. » disse sicura, poi gli fece cenno di tornare al proprio posto.
La Donna Rana si rimise davanti alla sua prigioniera, che ora era impaurita, ma non lo dava a vedere. Le passò il coltello sulla guancia, accarezzandola con la fredda lama, che le aprì un piccolo taglio.
« Sto aspettando » disse poi, con voce calma, come se stesse facendo una cosa normale.
« Non ti dirò niente » affermò convinta Courtney, stringendo i denti. Aveva paura del dolore, ma dentro di lei crebbe anche una forte rabbia e se non fosse stata legata, sarebbe subito partita all’attacco.
Si guardarono per qualche istante, intensamente, per scrutare nell’anima dell’altra.
« No, infatti» esordì poi la donna « Non otterrò niente facendoti del male ».
Courtney trovò strana quell’affermazione; si era preparata mentalmente all’idea di dover soffrire, ma quando la sua rapitrice disse di non aver intenzione di torturarla, fu un sollievo.
« Ma se lo faccio a lui... » fece un cenno all’uomo dietro di lei, poi gli si avvicinò. Courtney fu sorpresa e si agitò nella fune, facendo vedere alla donna che non le piaceva; non l’avrebbe sopportato, avrebbe detto tutto. Avrebbe preferito essere straziata e  flagellata, pur di non vedere altri soffrire a causa sua.
 
§
 
Duncan era ancora stordito dopo il colpo ricevuto alla nuca, che gli provocava un forte dolore. Non riusciva a tenere aperti gl’occhi, ma ogni tanto vedeva piccoli lampi di immagini dell’agguato e degli uomini che lo aggredivano.
Vide di fronte a lui una fitta foresta che gettava un ombra tetra sul luogo, poi vide comparire una sagoma con un coltello. Non distinse il volto per lo stordimento, ma riuscì a vedere che la lama si avvicinava alla sua gamba. Sentì una forte fitta, poi un bruciore si diffuse per tutto il corpo, come se stesse a mezzo metro dal fuoco. Gridò, non voleva farlo, ma non poté trattenersi; la sensazione di avere qualcosa nel corpo che lui non poteva fermare era straziante. Il corpo gli diceva di scappare da quel supplizio, quindi si divincolava nella corda, che però era troppo stretta e impediva qualsiasi tentativo di fuga.
« Devo continuare?» disse la voce, a lui sconosciuta, della torturatrice. Poi una ragazza che, a giudicare dai gemiti, stava piangendo « Ti prego, fermati!». La donna però continuò, girando il coltello nella ferita, che ora spruzzava sangue e che aveva lacerato i muscoli. Duncan stava per svenire ancora, ma lottò per rimanere sveglio, anche se avrebbe sofferto ancora. Non capiva neanche il motivo per cui lo stessero torturando.
Vedendo che la ragazza si ostinava non parlare, la donna le diede un ultimatum: « Se non mi dici immediatamente chi sei, lo ucciderò al tre » disse ed estrasse la spada dal fianco. Non le importava di uccidere, voleva solo sapere ciò che le interessava ad ogni costo. La prigioniera continuò solo a piangere.
« Uno. Due. » Duncan non poteva fare niente; era immobilizzato, ferito e disarmato. Sperava solo che la ragazza le dicesse ciò che richiedeva. Attese, lasciando che gli eventi facessero il proprio corso.
« Tre » urlò la donna, e vibrò il colpo fatale.
 
Angolo Autore
Salve popolo di EFP!
Questo capitolo è arrivato molto tardi rispetto a quanto avessi progettato all’inizio, ma meglio tardi che mai, giusto? Spero vivamente che vi sia piaciuto perché mi appassiona molto scrivere questa storia, anche se molto spesso non trovo il tempo. Mi auguro che appassioni anche voi.
In questi tre capitoli, ho cambiato il simbolo per indicare il discorso diretto ( -,<<,«). Personalmente preferisco il terzo, ma se avete qualche preferenza, dite pure.
Io vi ringrazio tantissimo di aver letto e vi invito a darmi il vostro parere.
Ci si vede!
 
p.s. Ringrazio Princess_Moon e Madness17 per le loro recensioni.

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