This is our land

di The Writer Of The Stars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Homecoming ***
Capitolo 2: *** Bolero ***
Capitolo 3: *** The night we met ***



Capitolo 1
*** Homecoming ***


This is our land
-Homecoming
-

I polpastrelli minuti correvano sulle corde con la rapidità di un giaguaro che azzanna la propria preda, l’orgoglio proprio della fiera riverberato anche nella potenza con cui l’archetto andava a graffiare lo strumento. Una piccola goccia di sudore scivolò giù per il viso ancora acerbo e puerile, schiantandosi contro il legno rovinato del vecchio violoncello, che per essere comprato aveva necessitato una dose indescrivibile di quello stesso sudore. Il piede infilato nella vecchia scarpa da ginnastica ingrigita batteva il tempo contro il pavimento con precisione e potenza, quasi come a voler distruggere tutto il mondo circostante. Il capo minuto, riconoscibile per quell’acconciatura così insolita per un bambino, si muoveva con rabbia, con un tic involontario, doloroso eppure ipnotizzante, capace di catalizzare su di sé tutta l’attenzione.
Osservare quel bambino suonare era una goduria; era bravo, accidenti se era bravo, Asuma lo sapeva, ma non si trattava solo del talento naturale che traboccava da ogni accordo, non era quello ciò che lo portava quasi alla commozione. Era il notare come quegli stessi gesti, quelle stesse particolari caratteristiche si riverberassero anche nella figura più minuta seduta al fianco del bambino, a spiazzarlo. Anche lei aveva talento, e ne era ben consapevole. Non sarebbe mai stato in grado di affermare chi tra i due fosse il migliore, probabilmente non esisteva una risposta. Shikamaru, sebbene rigettasse una passione non indifferente nel suonare, manteneva comunque una concentrazione e una lucidità disarmanti. Ino, invece, non poteva fare a meno di evidenziare la sua superbia anche con il violoncello troppo grande per lei stretto tra le braccia e, sebbene avesse solo otto anni, era innegabile quanto intrigante quel sorrisino e quello sguardo altezzoso risultassero ad occhi esterni. Eppure, dopo due anni passati con quei piccoli genietti, Asuma si era reso conto di come, nel momento in cui gli sguardi dei bambini si incrociassero, avveniva un cambiamento. Era certo di non essere il solo a percepirlo, perché quella sintonia era palpabile e le occhiate che Ino e Shikamaru perseveravano nello scambiarsi durante le loro esecuzioni non sarebbero sfuggite nemmeno a un cieco. Quando suonavano insieme v’era qualcosa di diverso in entrambi; sorridevano, eppure non era il sorrisino strafottente di lei, o quello sardonico di lui. Era semplicemente il sorriso di due bambini che avevano creato una propria dimensione per evadere da quella reale a cui si trovavano costretti.

Asuma si rendeva conto che non potevano andare avanti così. Quando lui, sua moglie Kurenai e il suo amico Kakashi erano tornati nel loro quartiere natio dopo l’ennesima tournee con l’orchestra sinfonica di cui facevano parte, avevano pianto. Non vedevano Konoha da dieci anni, o forse non avevano più voluta vederla, ma l’ambiente degradato che si erano ritrovati davanti non aveva fatto altro se non schiaffare loro in faccia la realtà: Konoha era un sobborgo di periferia, la delinquenza aveva raggiunto livelli insostenibili, così come la povertà e la crisi economica stavano divorando gli abitanti sino alle ossa. La cosa più triste era stato, di certo, vedere bambini e ragazzini correre per le strade come delinquenti in vere e proprie bande, sfruttati per loschi traffici e il più delle volte dall’epidermide emaciata e costellata di lividi.  Perciò avevano deciso che se loro ce l’avevano fatta anche quei bambini meritavano un futuro, ne avevano il diritto e loro avevano il dovere di concederglielo. Così il seminterrato della scuola elementare del quartiere aveva preso lentamente le sembianze di un’aula musicale e con un impegno estenuante erano riusciti a raccattare una discreta quantità di vecchi strumenti musicali di seconda mano, ma perlomeno ancora utilizzabili. Era stato difficile persuadere i bambini a frequentare le lezioni di musica che si erano offerti di impartire, e di certo Kakashi non avrebbe mai dimenticato l’occhio nero rimediato nel tentare di convincere un gruppo di ragazzi, che si divertivano a saccheggiare negozi nel vicinato, ad abbandonare il loro traffico illecito e a prendere in mano uno strumento musicale. Eppure, col tempo, i bambini che frequentavano la scuola, attirati dalle melodie provenienti dal seminterrato, avevano iniziato ad avvicinarsi all’aula e in qualche mese un discreto numero di partecipanti aveva imparato a leggere le note musicali dal pentagramma. Fu così che conobbe Ino e Shikamaru. Asuma si era offerto di impartire lezioni di violoncello a chi fosse interessato, e sebbene dubitasse che qualcuno desiderasse conoscere quello strumento, si era scoperto piacevolmente sorpreso nel trovarsi davanti una biondina esuberante e un annoiato ragazzino dalla buffa acconciatura, a cui poi si era aggiunto un bambino paffutello e sempre intento a sgranocchiare patatine e cibo spazzatura. Ino e Shikamaru non potevano essere più diversi; la bambina sprizzava allegria ed entusiasmo da ogni parte ed era assurda la voglia di vivere che quegli occhioni azzurri emanavano, seppur celata dalla superbia e un pizzico di arroganza. Shikamaru, invece, che pure era superbo, si mostrava perennemente sofferente ed irritato da ogni cosa, con una propensione all’annoiarsi e alla pigrizia non indifferente. Choji invece brillava per semplicità e simpatia, e per quanto avessero legato, si rendeva conto di non poter far parte del loro universo. Shikamaru e Ino avevano dimostrato sin da subito un talento indescrivibile per la musica, il violoncello era letteralmente il loro strumento e la velocità con cui compivano progressi era quasi spaventosa. Era il loro mondo a cui nessuno aveva accesso, la dimensione in cui si perdevano e non restavano due figure separate ma si fondevano insieme in una sola anima, metafora quasi inconcepibile, a considerare la loro età. Erano un portento, e un talento come il loro non poteva essere sprecato tra quelle mura decadenti, in quel quartiere ai limiti dell’invivibile. Per questo aveva pensato all’Accademia Internazionale di Musica. Erano piccoli, vero, ma avevano talento e non sarebbe stato impossibile per loro conquistare una borsa di studio. Ma il problema risiedeva proprio lì; Asuma si era informato, e con rammarico aveva scoperto che vi era una sola borsa di studio disponibile, ergo, Shikamaru e Ino avrebbero dovuto competere tra di loro per ottenerla. Ma poteva davvero portare quelle due anime inconsapevoli, eppure complementari, a scontrarsi?

“Maestro Asuma! Maestro!” la voce acuta e tendenzialmente allegra di Ino lo richiamò alla realtà, distogliendolo dalle sue elucubrazioni. Si era talmente perso tra i chiaroscuri della sua mente, da non essersi accorto della fine dell’esecuzione e di come ora i due bambini lo stessero osservando, in attesa di un responso. Asuma sorrise dinanzi allo sguardo perennemente scocciato di Shikamaru che eppure nascondeva un velo di ansia e irritazione, per poi posare i propri occhi sulla figura agitata di Ino.

“Siete stati grandiosi.” Esclamò solamente, stirando le labbra – dove un’immancabile sigaretta posava- in un sorriso soddisfatto. Ino saltò su dalla sedia, portando il proprio strumento con sé e cinguettando allegra, mentre Shikamaru si limitò ad un sorrisino strafottente e un’alzata di spalle con fare superiore.

“Hai sentito, Shika? Se suoniamo così anche all’audizione, potremmo farcela!” esultò, fissando l’amico con occhi luccicanti di gioia e speranza. Shikamaru annuì, e al vederli, una fitta al cuore costrinse Asuma ad alzarsi e ad uscire dalla stanza con la scusa del bagno. Entrambi i bambini non ci fecero caso, troppo ebbri di gioia e adrenalina per la loro opportunità di riscatto sempre più vicina. Ino abbandonò il proprio violoncello in terra, fiondandosi senza preavviso tra le braccia di uno Shikamaru impreparato e decisamente sconvolto.

“I-Ino! Che stai facendo?” bofonchiò, tentando di celare l’imbarazzo e le gote arrossate per quel gesto. In risposta la bambina si strinse ancora di più a lui, sorridendo sinceramente.

“E’ che sono felice di avere te, Shika.” E per tutta risposta, vincendo l’imbarazzo e la riluttanza iniziale, Shikamaru ricambiò l’abbraccio, stringendola a sé con la vaga consapevolezza che presto qualcosa sarebbe cambiato.

“Mendekouse…” bofonchiò, percependo però il cuore colmarsi di gioia all’udire la risata cristallina di Ino.
 

10 anni dopo
 
Shikamaru espirò una grossa boccata di fumo, allontanando la sigaretta ormai consumata dalle labbra sottili. Lo strombazzare del clacson di quello squallido autobus da cui era appena sceso lo riportò in un lampo alla realtà, mentre la sonora bestemmia di un passante gli perforò i timpani. Gettò il mozzicone della sigaretta in terra, perdendo tempo nello schiacciarla con la suola della scarpa e osservando la piccola fiammella spegnersi con lentezza angosciante. Afferrò la propria valigia con la mano destra, correndo a tastare con l’altra la custodia del violoncello sulla propria schiena per accertarsi quasi della sua presenza, come fosse possibile non notarla. Poi sospirò, osservando la via principale che conduceva a Konoha.

“Bentornato a casa, Shika.”
 
****
Konoha non era cambiata affatto. Si vergognava ad ammetterlo, ma appena messo piede nella via principale del quartiere, aveva percepito lo sguardo offuscarsi e gli erano quasi mancate le forze. L’asfalto restava lo stesso di dieci anni prima, consumato e sempre sul punto di cedere ma ancora senza il coraggio di farlo; il parchetto dove di solito i ragazzi andavano per bucarsi aveva ancora l’erba incolta che mal celava le siringhe inutilizzate e che aumentavano di giorno in giorno; il bar dove suo padre passava le serate tra shot di alcolici, gioco d’azzardo e debiti era ancora aperto e al vederlo pieno di gente, aveva percepito lacrime di rabbia salirgli agli occhi al pensiero che suo padre fosse ancora lì, attaccato alle slot machine come lo aveva lasciato dieci anni prima. Un gruppetto di ragazzini indubbiamente sbandati erano passati di lì correndo, chissà per scappare da quale ennesimo furto, e non sembrarono nemmeno fare caso a lui quando uno di questi andò a scontrarsi contro la custodia del violoncello, venendo sbalzato all’indietro e cadendo in terra.

“E levati dalle palle!” gli imprecò contro, rialzandosi e mandandolo a quel paese senza tante cerimonie. Shikamaru non rispose, forse per quell’attacco d’ansia che, non avrebbe mai ammesso, gli aveva appena abbrancato l’anima, obnubilandogli la mente. Non si rese conto del tempo passato così, immobile e con lo sguardo perso nel vuoto, e probabilmente se qualcuno non fosse giunto a salvarlo, sarebbe rimasto lì per l’eternità.

“No, non ci credo!” sobbalzò all’udire una voce alle sue spalle, e riacquistando un minimo di autocontrollo, si voltò leggermente.

“Shikamaru!” soffocò un gemito di sorpresa non appena si ritrovò il volto premuto contro lo sterno di Chioji, che gli era subito saltato addosso senza troppe cerimonie. Riuscì a scostarselo di dosso solo dopo pochi secondi, e per un po’ lo studiò in silenzio, mentre un vago sorriso gli prendeva le labbra.

“Choji.” Disse solamente, con uno sguardo che diceva esplicitamente “mi sei mancato”. Choji, sebbene all’apparenza sembrasse un sempliciotto, era sempre stato attento a queste cose e per ciò non poté fare a meno di recepire quel messaggio implicito.

“Mi sei mancato anche tu, amico.” Esclamò infatti, sorridendogli vagamente commosso. Per diversi secondi nessuno dei due fiatò e Shikamaru si chiese se non fosse lui quello sbagliato e fosse suo dovere parlare ora.

“E’ assurdo rivederci solo per una disgrazia.” Eppure, per la seconda volta fu Choji a salvarlo, o forse ad ucciderlo ancora di più ricordandogli che se era tornato a Konoha non si trattava di una visita di piacere. Shikamaru distolse lo sguardo, puntandolo all’insegna decadente del bar tanto odiato.

"Ha sofferto molto?” chiese con apparente freddezza.

“Due settimane e se n’è andato. Lo abbiamo scoperto troppo tardi, non c’è stato nulla da fare.” Nel tono di voce dell’amico, Shikamaru percepì con un brivido la consapevolezza effettiva di ciò che era accaduto e un senso di colpa inspiegabile gli divorò l’anima.

“Andiamo.” Riprese poi Choji, sforzando un sorriso triste.  “Ti stavamo aspettando.”
 
****
Anche la scuola elementare di Konoha non era mutata affatto; Shikamaru non faticò a riconoscere le mura scalfite e colme di crepe e in un istante si chiese se nell’aula al secondo piano, dove aveva imparato a leggere, ci fosse ancora quella frase scarabocchiata sul muro dietro il suo banco.

Ultima fila a destra, e chi se lo dimentica.
 
Si meravigliò nel notare come nel cortile il vecchio scivolo di plastica economica fosse ancora in piedi, perché ricordava bene che le maestre li avvisavano di stare lontani da lì, “non giocate su quello, potrebbe crollare”, e chissà come mai allora era rimasto ancora in piedi dopo dieci anni. Forse gli altri bambini erano più obbedienti, e loro erano stati gli unici ribelli. Il cancello d’ingresso continuava, contro ogni pronostico, a spaventarlo come quando era un bambino, e il metallo era sempre lo stesso, perché il cigolio conservava quella parvenza inquietante la quale gli ricordava i film horror di scarsa produzione che davano al cinema del quartiere, all’epoca vietati per loro, ma chi non si era mai infilato tra le vecchie poltrone decadenti e sbirciato con un occhio quei fotogrammi che parevano oro? Choji non la smetteva un secondo di parlare, e per quelle poche frasi che riuscivano ad abbattere il suo muro e interrompere il flusso di pensieri, gli era sembrato di tornare ai vecchi tempi, a quando anche se lì faceva tutto schifo loro perseveravano nell’osservare il cielo e sperare di guardare quelle stesse nuvole da un’altra parte del mondo.

“Il funerale si terrà domani mattina.” Quella frase aveva fatto saltare in aria il suo stupido muro come una granata e l’aveva riportato alla realtà a cui sfuggiva da dieci anni. Annuì solamente, chiudendo per qualche secondo gli occhi perennemente stanchi.

“Parlami di lui.” Gli chiese, e a Choji non vollero che pochi istanti per iniziare a raccontargli tutta la vita che si era perso in dieci anni. Gli raccontò di come, dopo la sua partenza per l’Accademia Internazionale di Musica, il maestro Asuma aveva continuato a portare avanti il progetto musicale nel seminterrato, insieme a Kurenai e Kakashi; si emozionò e sorrise nel raccontare di come loro, da piccoli allievi, erano passati ad essere maestri per i nuovi bambini che si avvicinavano alla musica e si adombrò nel mormorare di come poco tempo prima ad Asuma era stata diagnosticata una forma rara di cancro ormai in fase terminale. Troppo tardi, le ultime sigarette e gli ultimi sorrisi, e il giorno prima non aveva aperto gli occhi. Poi si era fermato, e lui era rimasto in silenzio per due minuti necessari ad assorbire tutte quelle informazioni così fondamentali di cui aveva fatto a meno sino ad allora. Choji non l’aveva nominata, ma Shikamaru sapeva che in quel loro, dove erano compresi tutti i suoi coetanei e amici di allora, c’era anche lei. Lei che, dopo dieci anni, ancora non sapeva se odiare o amare, lei che di certo era diventata bellissima, che era cresciuta come giusto che fosse, perché per quanto amasse la favola di Peter Pan sapeva che loro non vivevano in un libro per bambini. Per dieci lunghi anni non aveva smesso un solo momento di chiedersi che cosa diavolo fosse accaduto e l’ansia di sapere perché lei quella mattina non si era presentata all’audizione finiva sempre col sopraffare la paura per un esame imminente; la sua mancanza alla stazione, quando se n’era andato, lo tormentava ogni maledetta notte. E se lo chiedeva, certo che se lo chiedeva, se lei fosse fiera di lui, se quando a Konoha era giunta la notizia del suo diploma col massimo dei voti all’accademia, lei avesse sorriso arrogante, come sempre, e avesse esclamato con la sua solita superiorità che quello era il suo migliore amico, colui con cui aveva iniziato ad impugnare un violoncello. Sperava addirittura che si fosse commossa alla notizia del suo imminente concerto presso il teatro più prestigioso della nazione, e quando il giorno prima era venuto a sapere della scomparsa del suo maestro e si era precipitato a Konoha, a due settimane dall’evento, il suo subconscio gli aveva meschinamente fatto presente che almeno stavolta avrebbe potuto riferirle ogni cosa di persona e vederla emozionarsi come una bambina. Ma la morte del suo maestro gli stava schiacciando l’anima con una potenza inaudita, e lui doveva essere arrabbiato con lei, perché non l’aveva nemmeno salutato, l’aveva lasciato partire come se fosse un estraneo, e di certo non era pronto ad incontrarla proprio ora, con tutto quello che stava accadendo.
“Andiamo”. Choji però lo richiamò , e nonostante non fosse pronto, lo seguì comunque all’interno dell’edificio.

****

Anche l’aula musica, come aveva immaginato, era rimasta invariata nell’aspetto. Imboccando le scale che conducevano al piano inferiore gli era salito un nodo fastidioso alla gola, e Choji sembrava aver capito tutto, perché non aveva smesso di parlare per un minuto, per colmare quella sua mancanza. “C’è sempre un sacco di umidità qui sotto” aveva esclamato con un risolino esasperato, e Shikamaru si era trovato concorde, perché quella sensazione di intorpidimento alle ossa e brividi di freddo persino in piena estate non lo toccava da dieci anni. Per le scale poi si scontrarono con una ragazza dai buffi capelli rosa, che Shikamaru riconobbe subito; Sakura, l’eterna amica/nemica di Ino, quella di cui- la biondina non aveva mai ammesso- non avrebbe mai potuto fare a meno. Erano l’uno l’opposto dell’altra, Shikamaru se lo ricordava bene; Ino con i suoi capelli biondi e i begli occhi azzurri impugnava fieramente l’enorme violoncello dinanzi alle iridi smeraldine e spaurite di Sakura, che con il suo violino si sentiva minuscola al confronto, e litigavano spesso, ma erano quei litigi che non portano lacrime ma solo sorrisi nei volti di chi assiste.
Sakura lo squadrò per appena due secondi, sgranando poi gli occhioni, ancora più verdi di quanto si ricordava, e constatò pigramente che si era fatta proprio carina, era davvero bella, e chissà se quel ghiacciolo di Sasuke Uchiha si fosse finalmente accorto di lei. In dieci anni cambiano tante cose.

“Shikamaru!” esclamò lei, dandogli un fugace abbraccio, timida come quando era bambina. Si staccò subito, sorridendogli un po’ nervosa, chiedendogli le solite cose, come stava, che vita si faceva lassù nell’uptown, cose così a cui rispose annoiato come al solito, forse addirittura un po’ colpevole di parlare di certe cose a loro che non avevano mai visto un teatro nemmeno dall’esterno. Poi alle spalle di Sakura apparve la figura imponente di un ragazzo i cui occhi trasudavano stanchezza e mal celata esasperazione, e Shikamaru lo riconobbe subito; era più alto e sembrava aver messo su una certa muscolatura, ma era sempre il solito Sasuke Uchiha. Accolse quasi con gioia il vedere la mano di Sakura stringersi a quella del moro, che ricambiò senza troppe moine, e con un pizzico di stupore realizzò che alla fine quella ragazzina era riuscita a raggiungere il proprio obbiettivo e far abdicare il bell’ Uchiha. D’un tratto un acuto chiacchiericcio giunse a perforare le loro orecchie e Choji fu rapido a chiedere cosa stesse accadendo all’interno dell’aula di musica, davanti alla quale si erano fermati.

“I bambini stanno facendo lezione.” Rispose apatico Sasuke, indicando la porta alle sue spalle. Choji sgranò gli occhi, confuso.

“Lezione? Anche oggi? Ma non c’è nessuno di noi disponibile per le lezioni, avevamo detto di aver bisogno di qualche giorno per riprenderci …” obbiettò e Shikamaru si fece improvvisamente attento. Sakura sospirò con una punta d’esasperazione e tristezza, abbassando lo sguardo.

“Stamattina i bambini si sono comunque presentati a lezione, e Ino non se l’è sentita di farli tornare per strada.” Shikamaru percepì un brivido tremendo solcargli la colonna vertebrale in tutta la sua interezza e si trattenne dallo sgranare gli occhi più del dovuto.

“Quindi lì dentro c’è …” non riuscì a concludere di porre la sua domanda, perché Choji, impulsivo com’era, aveva già spalancato la porta dell’aula e lui non aveva potuto fare a meno di guardare al suo interno.
 
I bambini ridevano ed erano felici, sembrava che nulla potesse distruggerli e togliere loro l’innocenza, e in quei sorrisi e in quegli sguardi Shikamaru rivide il se stesso di dieci anni prima, forse un po’ più pigro e svogliato, ma con quella stessa luce nelle iridi misogine. Le mura segnate dall’umidità e dalle crepe avevano tutta l’aria di non aver mai visto un imbianchino e le vecchie sedie in legno cigolavano fastidiosamente ad ogni movimento dei piccoli musicisti.

“Hide, fai attenzione, devi velocizzare l’andatura altrimenti rischi di andare fuori tempo!”
Shikamaru aveva ragione; Ino era cambiata. La osservò mentre si rannicchiava davanti ad un bambino, sorridendogli con dolcezza per incoraggiarlo e afferrava l’archetto dalle sue mani per mostrargli il giusto movimento da compiere.

“Ecco, così, bravo!” Ino era diventata bellissima. Ne era sempre stato certo, ma constatarlo di persona gli fece male. Da quando i suoi capelli tanto dorati da far invidia al sole erano diventati così lunghi? Come avevano potuto le sue iridi pure inglobare in loro l’infinita vastità del cielo senza nuvole?
Doveva odiarla. Lei lo aveva lasciato partire senza dire nulla. Lei non si era presentata all’audizione, lasciandolo a vivere il loro sogno da solo, un sogno a metà che valeva la metà della pena d’essere vissuto. Ma Ino alzò lo sguardo verso l’ingresso, e sobbalzò al vederlo. Notò, senza fatica, come il suo labbro inferiore, così pieno e carnoso, avesse iniziato a tremare convulsamente e le iridi cerule si erano sgranate con sorpresa e un pizzico di terrore. Sussurrò con un filo di voce, eppure, nonostante la musica a fare da sottofondo, percepì le sue parole come un grido.

“Shikamaru.”

“Ino.”
 


Nota autrice:
A breve- se non in giornata- il secondo capitolo. Ho intenzione di renderla una mini long,tre capitoli al massimo.
Letizia

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Capitolo 2
*** Bolero ***


Bolero

“Non importa se in fondo dovrò partire
è qui che sempre e per sempre sarò.”

 

Choji lo guardò male quando si accese la sigaretta e si lasciò andare a una smorfia delusa mentre si sedeva al suo fianco sui gradini all’ingresso della scuola.

“Così hai cominciato anche tu.” E lo sapeva che quell’ anche tu faceva rifermento ad Asuma, sapeva che c’era rimprovero nella sua voce, come a chiedergli perché lui che poteva ancora salvarsi aveva deciso di ammazzarsi così, lentamente e in maniera asfissiante. Shikamaru sapeva anche che un perché c’era, ma non poteva fare la figura del sentimentale rivelando che aveva cominciato tempo prima perché aveva nostalgia di Konoha e voleva sentirsi legato ad essa almeno in qualcosa, almeno con una persona di quel posto. Così gettò fuori una nuvoletta di fumo, esalando un atono “Già” mentre il catrame gli scivolava nei polmoni.
Ino apparve alle loro spalle silenziosa, ma non abbastanza perché lui non potesse accorgersene. Choji si voltò subito  a guardarla e le lanciò uno sguardo di conforto, ma un conforto triste, come a dire “lo so, siamo tutti nella stessa barca” e Ino gli sorrise talmente flebilmente che Choji non fu nemmeno certo di aver intravisto quell’increspatura delle sue labbra, e pensò razionalmente, mentre si alzava e rientrava nell’edificio, di esserselo solo immaginato. Shikamaru aspirò la quarta boccata di fumo mentre Ino si sedeva al suo fianco, proprio dove prima c’era Choji, e con la coda dell’occhio notò quella magliettina troppo leggera per il freddo di Novembre e un istinto premuroso e così insolito lo inondò in pieno.

“Prenderai un malanno, mendokouse.” Ino lasciò vagare gli occhioni azzurri verso l’asfalto consunto che si stagliava all’orizzonte, baciato dal freddo e sterile tramonto invernale. Sorrise, stavolta per davvero, anche se con una tristezza che avrebbe abbrancato il cuore di chiunque, perfino quello di Shikamaru, se solo si fosse volto a guardarla, e si accarezzò una ciocca di capelli talmente perfetti da non farla sembrare una ragazza di Konoha.

“E’ da tanto tempo che non sento quel nomignolo.” Sussurrò, forse più a se stessa che a lui. Shikamaru strizzò gli occhi lucidi, dando la colpa al fumo che nonostante tutto quel tempo continuava ancora a fargli quell’ orribile effetto, sentendo l’indignazione montargli dentro.

“Lo avresti sentito un po’ più spesso, se ti fossi degnata di presentarti all’audizione.” Era velenoso, ma Ino se lo aspettava e incassò il colpo con fierezza, evitando di guardarlo.

“Shika, per favore …”

“Cosa, per favore? Ti do tanto fastidio?”

“Non è questo!”

“E cos’è allora?” avevano alzato entrambi la voce, si erano accorti di come i toni si stessero scaldando dal modo in cui Ino evitava il più possibile il suo sguardo e dalla ferocia con cui Shikamaru inspirava gli ultimi tiri della sigaretta ormai ridotta a un mozzicone. Ino lo guardò e sbagliò a perdersi troppo tempo nelle iridi brucianti del ragazzo, il labbro tremolante che si lasciò sfuggire un “Io…” strozzato e avrebbe tanto voluto dirgli la verità, ma non in quel momento, non con la morte di Asuma e con i bambini che erano scappati lì per rifugiarsi tra gli strumenti musicali.

“Niente, non è niente.” Esalò, per la prima volta sconfitta. “Devo andare, i bambini mi aspettano.” Farfugliò frettolosamente, alzandosi in piedi e decisa ad allontanarsi il prima possibile da lì.

“Ci tieni tanto, eh?” e forse era una sua impressione, ma la voce di Shikamaru le era sembrata irritata, quasi sprezzante e la cosa la infastidiva e non poco.

“Sì, molto. La cosa ti crea problemi?” Shikamaru avrebbe quasi sorriso, se non si fossero trovati in quella dannata situazione: eccola, la Ino che conosceva, la sua Ino.

“Anche se fosse, non credo ti importerebbe molto ciò che penso.” Era stato gelido e tagliente, lo sapeva, ma sapeva anche che lui si meritava una maledettissima spiegazione, una sola, non la meritavano forse dieci anni di solitudine?

“Non sei cresciuto per niente.” E invece questa sua risposta non se la aspettava, non se la sarebbe davvero aspettata e evidentemente lei si era resa conto della sua sorpresa, perché non tardò molto ad aggiungere:

“Hai iniziato a fumare, ti sei diplomato a pieni voti nell’accademia di musica più importante del paese, sei già un grande violoncellista, eppure continui ad essere egoista come un tempo.” Scoppiò a ridere, Shikamaru, di una risata sprezzante, troppo amara e che aveva gelato il sangue persino a se stesso.

“Tu dai a me dell’egoista? Questa è davvero bella, Ino, complimenti!”

“Tu non sai cosa significa vivere qui!”

“Io ci sono nato qui, o te lo sei dimenticato?”

“Non ci sei stato per dieci anni, non hai idea di quello che abbiamo dovuto passare per andare avanti!”

“Non ci sono stato perché sono riuscito ad andarmene e tu saresti dovuta venire con me, o ti sei dimenticata anche questo?”

“Credi che possa essermi dimenticata di una cosa del genere?” Ormai erano faccia a faccia, in piedi l’uno di fronte all’altra e per la prima volta Ino poté constatare quanto Shikamaru fosse diventato alto, la sovrastava di almeno quindici centimetri eppure non provò la minima inquietudine dinanzi alla sua imponenza, anche se lui urlava, perché lei sapeva urlare più forte di lui.

“E allora per quale motivo non sei venuta con me?”

“Perché l’ho fatto per te, idiota!” Shikamaru sgranò gli occhi, osservando come le tremassero le spalle e avesse il respiro corto, come dopo una folle corsa, e forse era colpa del riflesso del sole, ma gli parve quasi di scorgere i suoi bellissimi occhioni azzurri annacquarsi lievemente. Rimase in silenzio per troppi secondi, tentando di metabolizzare ciò che gli aveva detto, di scomporlo e capirlo, ma Ino già stava scuotendo il capo e imprecava contro se stessa mentre si allontanava verso l’ingresso della scuola, lasciandolo con un misero “Senti, lascia stare” che gli fece arrovellare le meningi. Shikamaru osservò la lunga chioma di Ino sparire dietro il portone, e rabbrividendo per una folata di vento, gettò in terra il mozzicone ormai spento della sigaretta. Lo pestò con violenza, mettendoci tutta la rabbia che si portava dentro da dieci anni. Imprecò poi contro quella dannata città destinata a morire, deciso a chiamare Choji e chiedergli che fine avesse fatto.
 ****
 
La casa di Choji non era cambiata affatto. Shikamaru si era sorpreso perfino nello scoprire lo stesso numero di crepe sul muro, il che da una parte era una bene, almeno non rischiava di crollare tutto ora se non era successo in dieci anni. Il suo migliore amico lo aveva invitato a restare a cena e i genitori del ragazzo non avevano smesso un attimo di osannarlo come una divinità per i suoi risultati conseguiti, per il suo genio fuori dal comune e, soprattutto, per essere riuscito a scappare da lì. Shikamaru aveva risposto educatamente ed era stato felice di passare una serata a casa Akimichi come quando erano piccoli, ma quel discorso gli aveva inevitabilmente richiamato alla mente le parole di Ino e così, terminata la cena, lui e Choji si erano spostati in camera del ragazzo e qui gli aveva chiesto spiegazioni riguardo la situazione.

“Sono sicuro che tu sai qualcosa, Choji” lo aveva redarguito prima di qualsiasi obiezione, “E non mi interessa di eventuali promesse ad Ino o altro; voglio la verità.” Duro e diretto, il solito Shikamaru, e Choji non aveva potuto fare a meno di sospirare pesantemente, prima di iniziare a parlare.

“Senti, non so con precisione cosa sia successo quel giorno e posso assicurarti che Ino non mi ha mai detto nulla.” Aveva, però, nel tono di voce, qualcosa che indusse Shikamaru a credere che sapesse qualcosa, anche solo una minima cosa, e in effetti fu lieto di constatare che fosse la verità.

“Ma tempo fa io e il Maestro Asuma stavamo parlando di te e ci chiedevamo come te la passassi su all’accademia, e il maestro si è lasciato sfuggire un particolare.”

“Quale particolare?” domandò Shikamaru, avido di notizie, ormai pendendo completamente dalle labbra del ragazzo.

“Quando hai sostenuto l’audizione per la scuola di musica, vi era una sola borsa di studio disponibile.”

“Che cosa?”

“Tu e Ino avreste dovuto competere per averla.”

“Aspetta, aspetta, frena un attimo.” Esclamò Shikamaru, l’espressione sconvolta e nervosa ad adombrargli il viso.

“Mi stai dicendo che solo uno di noi sarebbe potuto partire comunque?” Choji annuì.

“Io credo che Ino fosse venuta a conoscenza del fatto.”

“E non si sarebbe presentata per lasciare il posto a me …?” concluse Shikamaru, incredulo. Choji rimase in silenzio, concordando con lui. Shika irruppe in una risata nervosa e sguaiata, incredula e un po’ tremolante, cercando di convincersi che no, non poteva essere possibile.

“Ma è assurdo! Andiamo, stiamo parlando di Ino, la conosci anche tu, è troppo egoista, non le è mai interessato di nessuno!” Choji rimase serio, osservando il proprio migliore amico e ponderando bene come esporre le sue seguenti parole.

“Ma di te sì.”

Shikamaru rimase immobile, portandosi una mano alle tempie come per scacciare un orribile mal di testa, che invece era la spiegazione che cercava da anni. Ino aveva rinunciato davvero al suo sogno per lui? Ino Yamanaka, quell’Ino Yamanaka?

“Credo che dovresti parlarne con lei.” Suggerì saggiamente Choji. “E comunque, posso assicurarti che Ino non è poi così egoista. In dieci anni cambiano tante cose.”

****
 
Il funerale del maestro Asuma fu celebrato nella chiesa del quartiere alle 11.15 del mattino seguente. Quel giorno Shikamaru si era alzato dopo aver trascorso la notte insonne, e come se non bastasse la sera prima, appena rientrato in casa, aveva subito litigato con suo padre. “Proprio come ai vecchi tempi” aveva pensato mestamente mentre sua madre cercava di dividerli e lui lo lasciava urlare, perché sapeva che era ubriaco e nonostante tutto era pur sempre suo padre e in fondo un po’ di bene ancora glielo voleva, sapeva che doveva volerglielo. Eppure non era stata quella la causa per cui non aveva chiuso occhio, lo sapeva perfettamente. Si trattava semplicemente di quel malsano dubbio che Choji aveva insinuato in lui e che ora sembrava la chiave di tutto l’arcano, perché se davvero Ino aveva rinunciato alla borsa di studio per lui, sarebbe cambiato tutto. Aveva un bisogno impellente di parlarle, ma mentre le campane rintoccavano lamentosamente si rese conto che qualunque cosa sarebbe successa, non sarebbe stata in grado di rendere quella giornata meno drammatica. Shikamaru si annodò la cravatta nera con gli occhi lucidi e uscì di casa con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni scuri, camminando a testa bassa verso la chiesa. Ricordava ancora alla perfezione la strada, e decise che dopo la funzione avrebbe parlato con Ino.

La celebrazione durò un’ora spicciola; la chiesa era piena, ma era anche minuscola, perciò Shikamaru non fu in grado di dire cosa potesse significare. In prima fila, nell’ala destra riservata al coro, vide tutti i suoi vecchi compagni della scuola di musica e quasi si vergognava ad unirsi a loro, perché si sentiva come se non avesse nulla a che fare con quelle persone, che dieci anni lontano da lì erano bastati a renderlo un estraneo. Choji lo vide da lontano e lo invitò a raggiungerli con un cenno del capo, così si avvicino a loro, sentendosi forse meno in colpa perché invitato. Ino sedeva in prima fila, da sola; aveva lo sguardo perso nel vuoto dinanzi a sé, ma il capo era ritto e fiero come sempre e Shikamaru ebbe un fremito quando intravide, stretto tra le sue braccia, un violoncello. Ino avrebbe suonato un brano e a quella consapevolezza, nonostante la situazione, non poté fare a meno di provare una sorta d’eccitazione nel rivederla e sentirla al violoncello dopo tanti anni.

“Credo sia il caso di raggiungerla.” Bisbigliò  Choji, prendendolo poi per un braccio e conducendolo verso la panca semi vuota sotto gli occhi rattristati di tutti. Shikamaru tremò a quel gesto, ma quando giunse dinanzi ad Ino tentò di regolare il battito cardiaco. La ragazza lo squadrò per un attimo, con gli occhi già rossi eppure asciutti, e gli sembrò quasi un’implorazione quando chiese loro di sedersi con lei. Non esitò un solo istante e si sedette subito al suo fianco, cercando di mettere da parte il disagio e lottando con tutte le sue forze contro l’impulso di abbracciarla. Choji riapparve poco attimi con due violoncelli stretti tra le mani, porgendone uno a Shikamaru che lo osservò stranito.

“Credo che gli farebbe piacere sentirci suonare tutti insieme per l’ultima volta.” Spiegò con un sorriso tanto triste che contagiò anche lui, e sapeva che Ino stava trattenendo le lacrime con la sua solita fierezza, perché era orgogliosa e non voleva mostrarsi debole davanti a tutti. Shikamaru afferrò il violoncello proprio mentre il sacerdote dava il via alla funzione, e onestamente non comprese molto di ciò che disse, poiché era troppo preso a fissare la bara in legno di ciliegio dinanzi a lui. Non riusciva a realizzare né tantomeno razionalizzare che Asuma, il suo amato maestro Asuma, colui che era stato il padre che avrebbe meritato, ora era chiuso lì dentro, asfissiato in un completo nero ed elegante di quelli che tanto odiava. Forse lo avevano vestito con l’abito che aveva indossato al suo primo concerto, perché di certo ne sarebbe stato felice. Ricordò ancora una volta il suo volto sorridente e nerboruto, con quel mozzicone di sigaretta in bocca e non riusciva davvero ad immaginarlo senza vita, con gli occhi chiusi per sempre, la bocca libera e stirata in una linea dura per l’eternità. Voleva già piangere, ma d’un tratto ci fu un momento di silenzio e capì che stavano aspettando loro, perché Ino strinse il violoncello con talmente tanta forza che temette di vederlo frantumarsi sotto le sue piccole dita chiare e magre. Ma Ino invece iniziò a suonare e Shika comprese subito di quale brano si trattasse, perché il “Bolero” di Ravel non era forse il pezzo più adatto per un funerale, ma era il preferito di Asuma, e ricordava quante volte il maestro li avesse elogiati per la loro esecuzione di quella particolare melodia. Si unì poco dopo alla ragazza, abbassando le palpebre come sempre, perché era così che Asuma aveva insegnato loro a suonare, col cuore e non con gli occhi. Poco dopo udì anche il violoncello di Choji unirsi a loro, e mentre le dita correvano da sole sulle corde pensò che Ino era diventata eccezionale in quegli anni, che forse aveva addirittura più talento naturale di lui, perché è vero, Shika era il genio, ma Ino era stata la prima ad imparare a suonare ad occhi chiusi. Suonarono per almeno quindici minuti e per la chiesa piena non si udiva alcun rumore ad eccezione della loro melodia; alcuni trattennero addirittura i singhiozzi per evitare di disturbare e rovinare il momento.

Quando terminarono di suonare, Shikamaru aprì gli occhi e si volse verso Ino. La scoprì col volto basso e nascosto dietro al violoncello ancora stretto tra le braccia, e tremava talmente tanto che ebbe paura per lei. Così si avvicinò e la abbracciò impacciato, come facevano da piccoli, e insieme a Choji guardarono la bara del loro maestro per l’ultima volta. Anni prima, all’età di sette anni, avevano suonato quello stesso brano durante una festa di beneficienza organizzata nel quartiere e in quell’occasione avevano scattato loro una foto; Shikamaru, Ino e Choji sorridenti e Asuma dietro di loro che li abbracciava commosso.

Qualche sadico aveva poggiato quella fotografia sulla bara.

 

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Capitolo 3
*** The night we met ***


10 anni fa

Shikamaru tirò la cerniera dello zaino con un sorrisino soddisfatto. Afferrò entrambe le cinghie, portandoselo sulle spalle: pesava come se avesse svaligiato i sassi del fondo del fiume alla periferia di Konoha, ficcandoli dentro quella sacca logora. Sua madre gli aveva carezzato la testa con un sorriso a metà tra il rassegnato e lo speranzoso, orgoglio sul labbro superiore, tristezza su quello inferiore.
“Non ha senso che porti tutta quella roba con te domani, Shika. Anche se dovessi…”
Quando, mamma, non anche se.”
Anche se dovessi superare l’audizione, non ti trasferiresti di certo subito. Ci sarà tempo per prendere le tue cose.” Ma Shikamaru aveva alzato le spallucce con la sicumera di un adulto nel corpo di un ragazzino troppo maturo, ma pur sempre ancora colmo di quella fiducia infantile priva di nembi di insicurezze.
Il ticchettio fastidioso contro il vetro della finestra lo distrasse dalle prove generali del primo giorno della sua futura vita con uno zaino – un peso- più grande di lui in spalla. Shikamaru volse gli occhi infastiditi al cielo esterno, ma con sua grande sorpresa si rese conto che non stava piovendo. La raffica di sassolini che Ino stava continuando a scagliare imperterrita contro la sua finestra aveva la stessa cadenza tediante di un acquazzone estivo, pensò Shikamaru aprendo la finestra e affacciandosi. La sua migliore amica lo stava squadrando dal ciglio della strada, la mano destra colma di altre piccole pietruzze, la sinistra già alzata e pronta a caricare il prossimo tiro.

“Hai intenzione di cavarmi un occhio con quello?” sbuffò Shikamaru, appena in tempo perché Ino si accorgesse che l’aveva sentita e si era affacciato alla finestra per lei. La bambina tirò un sorrisino beffardo e Shikamaru non se ne sarebbe mai potuto rendere conto per la distanza da cui si trovava, ma dietro quella smorfia così risaputa le labbra di Ino non smettevano di tremare e i suoi occhioni blu si erano velati di una patina traslucida.

“Hai intenzione di farmi aspettare ancora molto allora?” ribatté comunque ricacciando indietro un groppo di saliva, pesante quanto lo zaino di Shikamaru. Il ragazzino inarcò le sopracciglia e Ino riuscì a ridere sinceramente di fronte a quella fronte corrugata così adulta, così da Shika, e poi a questa stessa consapevolezza percepì un’altra stilettata nel petto. Eppure, mise su un sorriso.

“Ho dimenticato il quaderno di musica a scuola e non posso venire domani senza di quello.” Buttò fuori la ragazzina con una fermezza risoluta, auto imposta, quasi finta. “Mi accompagni a recuperarlo?”
 

Non era la prima volta che entravano di nascosto a scuola, di notte. Era la seconda, a dire il vero. L’occasione precedente era caduta nella notte di Halloween e non erano stati soli, ma c’erano stati anche Choji, Naruto – il figlio del maestro Minato -, Sakura e Sasuke con loro, perché avevano otto anni e quella voglia bambinesca di compiere qualcosa di illecito che sembrava stonare, visto l’ambiente in cui erano cresciuti. Per molti bambini di Konoha intrufolarsi di nascosto a scuola, di notte, era il crimine minore che avrebbero potuto compiere. Sapevano bene in quale punto la recinsione metallica, ormai totalmente arrugginita, si fosse lacerata, era un buco di non più di mezzo metro, ma avevano otto anni, la mente forse era già oltre, ma le ossa rimanevano quelle di due bambini e potevano scivolare lì sotto senza problemi. Shikamaru aveva sbuffato per tutto il tragitto da casa sua alla scuola: inizialmente lo aveva fatto per abitudine, perché non avrebbe mai ammesso di essere felice di passare del tempo con Ino, anzi, la sua espressione doveva gridare esagerato fastidio da ogni lentiggine. Ino, che di solito gli gracchiava dietro che era inutile che facesse quella sceneggiata visto che non lo aveva mica obbligato a seguirla, quella Ino che non perdeva occasione per mettere su uno dei loro soliti siparietti, quella sera non aveva aperto bocca. Non una lamentela, non una frecciatina, non uno spintone. Shikamaru allora aveva continuato a sbuffare nel tentativo di riuscire a infastidirla e a smuoverla da quell’apatia così insolita, osservava la coda bionda dell’amica ondeggiare dinanzi a lui perdendosi in quei fili serici senza capirci nulla.

“Sei nervosa per domani?” sputò infine, convinto che non potesse esserci nessun’altra spiegazione a quell’atteggiamento. Nel frattempo, erano giunti davanti al cancello della scuola. Forse per questo Ino si era bloccata di colpo, pensò Shikamaru, non per la sua domanda, non gli sembrava così sconvolgente, in fondo. Ino rimase immobile, fissando l’edificio fatiscente dinanzi a loro ma i suoi occhi non erano lì, non erano con Shikamaru né con lei. Si erano persi in qualche abisso di cui il suo migliore amico non riusciva a comprendere la profondità.

“Guarda che non c’è bisogno che ti preoccupi. Sei brava, lo sai che sei brava.” Continuò Shikamaru in risposta al suo silenzio. Si strinse un po’ nelle spalle, le gote si arrossarono vagamente per l’imbarazzo di ciò che stava per dire. “Poi ci sono io con te, non sarai da sola. Sta’ tranquilla.”
Ino si voltò di scatto verso di lui e Shikamaru sussultò vedendo le iridi cerule contornate di venuzze rossastre e sanguinolente: ma stava piangendo? Non fu abbastanza rapido nel chiederglielo direttamente, perché Ino gli afferrò prontamente la mano, stringendogliela – stritolandogliela- mentre si voltava verso il cancello sussurrando: “Andiamo.”
 


“Certo che potevi portartela una torcia, mendokuse. Voglio proprio vedere come ritroveremo il tuo quaderno con questo buio.” Sbottò Shikamaru nel tentativo di mitigare lo strano calore al petto che lo stava torturando da quando Ino gli aveva afferrato la mano fuori dalla scuola. Stavano vagando per i corridoi deserti e scuri dell’edificio da almeno sette minuti e lei non aveva ancora mai lasciato la sua presa, nemmeno per un attimo. Ino alzò gli occhi al cielo e Shikamaru esalò un sospiro di sollievo nel vederla finalmente reagire, nel comportarsi da Ino. La ragazzina gli scoccò un’occhiata rapida di sufficienza – ecco Ino, era lei – mentre con la mano libera gli indicava la porta davanti alla quale si erano appena fermati.

“Siamo arrivati, mendokuse.” Ribatté a metà tra il divertito e il risaputo; Shikamaru di rimando sbuffò mentre si lasciava trascinare oltre la soglia. La coppia di banchi dei due ragazzini si trovava in quarta fila sulla destra, proprio sotto alla grande finestra scheggiata e dal vetro sporco dell’aula. Shikamaru dovette mordersi la lingua per un attimo, mandando giù l’orgoglio nel constatare che non avevano bisogno di nessuna torcia: quella notte la luna era così grande che sembrava sul punto di sfondare ogni confine fisico. Era tonda, bianchissima, piena, risplendeva di una luce così nitida che Shikamaru riusciva quasi a scorgere i crateri sopra la sua superficie, gli sembrava un pentolino di latte caldo che iniziava a riempirsi di bolle sopra il fornello acceso. Il banco di Ino, quello attaccato alla finestra, era inondato dalla sua luce e Shikamaru quasi scivolò sul pavimento quando Ino lo trascinò verso di esso, tanto si era incantato per colpa di quel dannato satellite.

Cosa stava succedendo quella notte?

Il quaderno di Ino si trovava poggiato sul sottobanco e Shikamaru non poté fare a meno di notare una piega sgualcita sul lato destro, in alto. Ino lo afferrò con gli occhi vacui, accarezzò la copertina e poi lo poggiò sulla superficie scarabocchiata del banco verdognolo. Shikamaru si scoprì a trattenere il fiato: la pelle diafana della sua migliore amica, sotto la luce della luna, aveva assunto le sfumature di uno specchio d’acqua spruzzato da ninfee. Il naso piccolino, sottile e all’insù, sembrava un trampolino da cui lanciarsi nelle due pozze d’acqua che erano divenuti i suoi occhi. Giganti, profondi, azzurri come la superficie del mare d’estate; velati da grumi di lacrime, schiuma d’onda sui flutti tempestosi. Un ciuffo sottile e delicato come la più preziosa delle sete sfuggiva ribelle da dietro il suo lobo minuto, dondolando nel vuoto tra i riflessi lunari. Ino e Shikamaru avevano solo otto anni, ma forse per la prima volta in tutta la sua vita Shikamaru si rese conto che la sua migliore amica non era carina, né graziosa; era bellissima. Qualcosa gli ribollì all’altezza del petto mentre lo pensava ma Ino peggiorò la situazione: alzò su di lui gli occhi bagnati, la luna dietro di lei la rendeva simile a una ninfa o a una fata, poi allungò una manina verso il volto del ragazzino e gli carezzò le palpebre con la delicatezza di una madre.

“Sai cosa mi diceva sempre mia nonna?” da quando Ino aveva quel tono così serio, così malinconico, così vissuto? Perché a Shikamaru sembrava che se ne fosse andata via e poi tornata con una scoperta sconvolgente che l’aveva improvvisamente resa matura e triste? Perché lo guardava come se fosse l’ultimo sguardo che gli avrebbe rivolto?

Hai uno sguardo così bello, bambina mia, che l’universo deve essere stato creato per essere visto attraverso i tuoi occhi.” Recitò con una punta di dolcezza. Shikamaru non capiva, ma pensò solo che la nonna di Ino avesse ragione.

“Anche i tuoi occhi sono belli, Shika. Secondo me l’universo è più felice se lo guardi tu. E sono felice anche io se lo fai, soprattutto se guardi il mondo fuori da Konoha.” Soffiò con un sorriso tristissimo e poi lo strinse in un abbraccio improvviso e così urgente che Shikamaru non seppe se il cuore gli stesse esplodendo nella cassa toracica per quello o per tutte le emozioni di cui si trovava vittima. Avvolse le braccia minute intorno alla vita sottile e ancora senza forme di Ino, la sua testa dura sembrava essere stata creata apposta per poggiarsi nell’incavo tra il collo e la spalla ossuta della sua migliore amica. Con la coda dell’occhio intravide qualcosa scritto sul bordo del banco di Ino, non ci aveva mai fatto caso ma doveva essere lì da parecchio tempo perché ora che lo guardava meglio quello non era il tratto di una matita, ma sembravano parole incise rozzamente con un paio di forbici dalla punta arrotondata.

“L’universo è stato creat”

Ino si staccò all’improvviso dall’abbraccio come se si fosse scottata, o come se improvvisamente non riuscisse più a sopportare tutto quello. Aveva gli occhi gonfi ma stirò comunque le labbra rosa come pesche in un sorriso forzato, colpendo la fronte di Shikamaru con un buffetto.

“Dai, andiamo adesso. Dobbiamo riposare per domani.”


Mentre camminavano in silenzio verso casa, Shikamaru non poteva fare a meno di riflettere su tutto ciò che era avvenuto pochi minuti prima, al suo cuore che continuava a fracassargli il petto mentre ripensava all’abbraccio di Ino e a quel suo strano comportamento, alla frase incisa sul suo banco.
L’universo è stato creato per essere visto dai miei tuoi occhi.

***

 
Shikamaru aspirò un’ultima, grande boccata di fumo prima di gettare la sigaretta fuori dalla finestra sulla sua destra. Gli occhi non seguirono la traiettoria del mozzicone, in quel momento sarebbe anche potuto divampare un incendio tra l’erba falciata malamente e lo scivolo di legno marcio nel cortile della scuola. Non gliene sarebbe importato nulla. La bara del maestro Asuma era stata coperta di terra da circa mezz’ora. Gli era venuto un attacco di panico vedendo la pala scheggiata gettare mucchi e mucchi di fango, detriti, vermi e chissà cos’altro sopra al suo maestro, al padre che non aveva mai chiamato così, all’uomo che gli aveva regalato una vita fuori da Konoha. Shikamaru soffriva di attacchi di panico con una frequenza non indifferente, ormai aveva imparato a convivere con quella parte di lui che sapeva di non poter sradicare e allora tanto valeva cercare di non darle troppa acqua per alimentarla e farla crescere a dismisura. Ma la manciata di terra che si infrangeva sul legno di ciliegio aveva avuto lo stesso effetto di una secchiata d’acqua gelida e il germoglio era cresciuto in lui all’improvviso, tutto in un colpo, avviluppando gli steli intorno alla sua gola e stringendo così forte da farlo soffocare. Era scappato via, alle sue spalle i suoi amici, Konoha, Asuma in una bara, restavano immobili mentre lo guardavano correre verso la vecchia scuola.

Non si era nemmeno reso conto di quando e come e, soprattutto, perché fosse corso lì. Non ci aveva pensato forse, c’era stata una voce nella sua testa che lo aveva guidato nel suo stato di trance, come se qualcosa dentro di lui gli avesse risvegliato all’improvviso un ricordo di dieci anni prima sopito nel suo subconscio. Forse per quei dieci anni lo aveva volutamente ucciso, perché era troppo doloroso conviverci, ma ora era davanti ai suoi occhi. Tangibile, chiaro, vivo, luminoso come la luna di quella notte. Shikamaru allungò una mano e quando le proprie dita entrarono nel suo campo visivo si rese conto che stava tremando in maniera spasmodica. Dovette ricordare a se stesso di inghiottire il groppo che gli stava ostruendo la trachea e di respirare. La mano da musicista sfiorò l’incisione infantile e a quel tocco una scarica elettrica gli perforò le meningi, un brivido corse lungo tutta la sua schiena, gli occhi si annebbiarono di lacrime, consapevolezza, tristezza, realizzazione, rabbia forse, amore, ognuna di queste emozioni lo inondava al tocco di ciascuna parola.

“Sapevo che ti avrei trovato qui.”

Shikamaru alzò gli occhi di scatto, incatenandoli alle iridi blu e umide di Ino. Deglutì a forza per la seconda volta e in quei tratti di porcellana, meravigliosi, bellissimi e tristissimi rivide per un attimo il viso della bambina che era stata la sua migliore amica illuminato dalla luce di una luna piena di dieci anni prima. Riportò di nuovo il proprio sguardo sulle parole che le sue dita stavano carezzando nel legno marcio.

L’universo è stato creato per essere visto dai miei tuoi occhi.

“Tu lo sapevi che quella notte sarebbe stata l’ultima in cui ci saremmo visti, vero?”
 

Nota autrice:
Ciao. Sono passati otto anni dall’ultima volta in cui ho aggiornato questa storia. Per parecchio tempo non ho scritto per piacere personale e passione, mi ero persino dimenticata come si facesse. Questa storia è una di quelle che, per piacere e passione, oggi ho deciso si meriti un finale. A presto, lo prometto,
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