We aren't perfect

di Ramosa12
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I ***
Capitolo 2: *** Chapter II ***
Capitolo 3: *** Chapter III ***
Capitolo 4: *** Chapter IV ***



Capitolo 1
*** Chapter I ***


 
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 

Capitolo 1

 
  New York City,                         
 May 12,2015.                          
 
In quella giornata primaverile di maggio il tempo a New York non era uno dei migliori.
Grossi nuvoloni coprivano il cielo azzurro, attribuendogli un colore grigiastro, la pioggia scendeva fitta e le temperature erano diminuite notevolmente.
Appoggiata  sul davanzale della finestra di un appartamento non poco lontano dal centro vivo della città, c’era una fotografia scattata in un giorno estivo di qualche anno passato.
Ritraeva tre persone.
Tre persone che vivevano una vita felice, spensierata, senza alcun problema grosso.
Tre persone che non conoscevano ancora il dolore.

Una donna, sulla quarantina, abbracciava da dietro due ragazzi che sorridevano.
Il ragazzo, dalla pelle abbronzata e capelli corvini, guardava l’obbiettivo con occhi verdi profondi come gli abissi di un oceano.
La ragazza, invece, aveva più o meno l’età del ragazzo e lunghi capelli rossi incorniciavano il volto candido in cui vi erano stati incastonati due splendidi smeraldi.
Ma le cose erano leggermente cambiate, rispetto a quando i tre avevano scattato quella foto.
Gli smeraldi della ragazza avevano smesso di scintillare, lasciando un vortice di dolore nel cuore del ragazzo e della donna.
Rachel Elizabeth Dare era morta due anni fa segnando definitivamente il cambiamento del suo migliore amico, Percy Jackson.
Il dolore della perdita, prima del padre e successivamente di Rachel, era stato talmente forte da fargli respingere ogni energia positiva che lo toccava.
Abbandonò la scuola che frequentava con la sua migliore amica, navigando in un mare di sofferenza.
E, come ogni ragazzo alla deriva, approdò sull’isola dell’illegalità.
Iniziò a spacciare e, nel giro di un anno, riuscì a crearsi una propria banda criminale formata da ragazzi come lui, da chi cercava di guadagnare qualcosa attraverso atti illegali o chi reclamava l’esigenza di potere.
I mesi passavano e il clan di Percy finalmente fu ritenuto uno dei più pericolosi in giro, soprattutto per la loro giovane età.
Si creò anche una faida con la banda di un certo Luke Castellan, ma il ragazzo riuscì sempre a cavarsela al meglio.
Intanto, però, se la sua vita “lavorativa” procedeva al meglio, quella privata non proseguiva per la via giusta.
Si lasciò andare alle droghe varie, alle serate nelle discoteche e quando la donna sulla quarantina della fotografia, non altro che sua madre e matrigna di Rachel, iniziò a intuire cosa stesse combinando suo figlio decise di andarsene, stanca della situazione, e si trasferì in una località poco distante da New York.
Percy non prese bene la decisione della madre, ma in cuor suo sapeva bene che era tutta colpa sua quella situazione.
Purtroppo il lutto viene elaborato in modo diverso da persona a persona e il ragazzo non aveva intrapreso quello più giusto per condurre una vita "normale".
Quando un cellulare iniziò a squillare il ragazzo, steso sul letto accanto la finestra, si sbrigò a rispondere.
- Jason, dimmi- disse con la voce impastata dal sonno.
Sembrava quasi che la notte prima non avesse per niente dormito.
-Percy, senti, che ne dici se mi vieni a prendere e andiamo insieme alla base?- gli chiese Jason urlando leggermente per farsi sentire dalla confusione dei ragazzi a causa del cambio d’ora.
-Va bene, tra un’ora sono fuori la tua scuola- sbadigliò Percy stiracchiandosi e riattaccando.
Sì alzò dal letto, rinunciando all’idea di dormire almeno per un’ora, e si avvicinò alla fotografia accarezzando con il dorso della mano quelle due donne che erano state le più importanti della sua vita.
Scosse la testa e, afferrando al volo il giubbotto di pelle poggiato su di una poltrona, uscì di casa.
Aprì l’automobile che aveva rubato qualche mese prima e riverniciato di un nero pece e guidò verso la scuola di Jason.
***
Jason Grace era uno dei ragazzi più belli del clan di Percy e la sua bellezza, ovviamente, non veniva ignorata neanche dalle matricole della Goode High School.
Alto, fisico scolpito, occhi azzurro cielo e capelli biondo dorati come un campo di grano.
Soprattutto se a tutto questo si aggiungeva l’idea del cattivo ragazzo che aveva sempre attirato ogni ragazza.
Il problema era forse il suo carattere un po’ troppo protettivo e pignolo e per questo Leo Valdez, un altro ragazzo della banda, gli aveva attribuito il soprannome di “mamma orsa” della comitiva.
Si preoccupava sempre di tutto e tutti, mettendo i suoi amici al primo posto. E Percy lo invidiava per questo aspetto del suo carattere. Cercava, a volte, di essere come lui ma con scarsi risultati.
Parcheggiò di fronte alla scalinata di marmo della scuola aspettando l’arrivo del suo amico, tamburellando le dita sul volante cercando di restare sveglio.
Manca solo qualche minuto, forza Perce” pensò sbadigliando forte.
D’improvviso il suono assordante della campanella svegliò definitivamente il ragazzo e dal finestrino notò tutta l’orda di teen angels, che scendevano le scale.
Il suo sguardo però si soffermò su una ragazza che gli dava le spalle.
Si toccava i capelli biondi, probabilmente commentandone con le amiche che la circondavano mentre con l’altra mano reggeva l’ombrello per ripararsi dalla pioggia.
Proprio in quel momento una di quelle ragazze si accorse dello sguardo perso di Percy e sussurrò all’orecchio della bionda che si girò nella sua direzione per confermare la versione dell’amica. Il ragazzo distolse subito l'attenzione, concentrandola poi sulle sue mani che stringevano forte il volante.
Dallo specchietto laterale continuò ad osservare la ragazza bionda, sentendosi quasi imbarazzato, notando come sorrideva alle amiche, immaginando il suono della sua risata.
-Ehi, Perce, sei vivo?- gli picchiettò la spalla Jason, che si era intanto accomodato sul sedile accanto.
-Mh? Sisi, scusami…- rispose lui risvegliandosi dallo stato di trance.
-Che stai guardando? O meglio dire, chi? - domandò malizioso notando il gruppetto di ragazze che sembravano uscire da una sfilata di moda per la loro bellezza –Ah, Percy, loro non fanno per te- aggiunse poi, rendendosi conto dell'oggetto dell'interesse dell'amico.
-Cosa? E perché?-chiese perplesso il ragazzo continuando ad osservare la ragazza come uno stalker.
-Quelle sono l’opposto di te, di noi- gli disse il biondo – E la bionda, quella di spalle, ha una relazione con Luke Castellan-
- E’ lei Annabeth Chase?- chiese incredulo Percy, sbarrando gli occhi.
Ne aveva sentito parlare molto, negli ultimi giorni, da quando Leo aveva visto Luke al parco con quella ragazza.
- Bella, vero? Non capisco perché non si accorga di quanto stronzo sia quel Castellan- 
- Be', prima o poi dovrà capire pur qualcosa- commentò il ragazzo lanciando un’ultima occhiata alla ragazza.
- Speriamo, amico - gli diede un colpo sulla spalla –Dai, andiamo-
Percy accese il motore e sfrecciò via per le strade bagnate di New York, prima di imbattersi nel traffico tipico di quell’ora. 

 

- Ehi Annabeth, ti sei tagliata i capelli?- domandò Piper McLean, un volta che il suo gruppo di amiche fu fuori i cancelli della sua scuola.
- L’hai notato anche tu? Sì comunque, mi si erano bruciate le punte- le sorrise cordiale Annabeth Chase reggendo con una mano l’ombrello e bloccando con due dita dell’altra mano una ciocca bionda di capelli.
- Stai benissimo, tesoro- commentò Silena Beauregard toccandole i boccoli che incorniciavano il viso abbronzato di Annabeth.
- Grazie mille, Sil- 
- Annabeth quello nell’auto nera ti sta fissando- le sussurrò Piper nell'orecchio.
Annabeth incuriosita si voltò, guardando l’automobile parcheggiata alle sue spalle, facendo però distogliere lo sguardo al ragazzo, imbarazzato come un bambino trovato a mangiare marmellata.
- Sembra carino- disse Silena scostandosi i ciuffi neri che le ricadevano sulla fronte.
- Sto con Luke, non mi interessa molto di come sia- si difese Annabeth lanciando un ultimo sguardo in direzione del ragazzo.
- E’ amico di Jason Grace! Annabeth, lascia Luke e fidanzati con lui, ti prego, così potremo fare le uscite a quattro - esclamò Piper eccitata non appena vide Jason entrare nell’automobile.
- Pips, Grace non fa per te- roteò gli occhi grigi ridendo Annabeth.
- Lo so, ma è così bello!- sospirò.
-Ragazze ora vado, ci vediamo domani- Annabeth si avviò, dopo aver salutato cordialmente le amiche verso la sua automobile.
“Ci mancava solo il traffico” pensò mordendosi il labbro.
Non aveva ancora incontrato Luke, il suo ragazzo, quel giorno.
Forse era malato, o non era potuto venire per qualche motivo che, sinceramente, non si preoccupò più di tanto, visto che era tipico del ragazzo di tanto in tanto assentarsi. 
La loro storia era nata semplicemente per aumentare la loro popolarità, almeno all’ inizio era così, e non provava chissà quale attrazione per Luke.
Ma con i mesi aveva iniziato ad “innamorarsi”.
Osservò l’anellino argentato, su cui vi erano stati incastonati dei piccoli brillantini, che circondava il suo anulare, sorridendo leggermente.
Era stato il suo regalo per il loro terzo mese, passando successivamente una serata magnifica.
Ovviamente non era una relazione stabile, Annabeth era sicura che Luke le nascondesse qualcosa, ma era felice. La sua felicità era più importante di tutto e  le bastava così.
Viveva il presente non pensando al loro futuro e quindi non pensava molto a quando si sarebbero lasciati.
Si legò i lunghi capelli biondi in un chignon ripensando ai complimenti delle sue amiche sul nuovo taglio.
Odiava quelle sceneggiate, odiava tutti quei complimenti e dover ringraziare nei toni più finti di tutti.
Si sentiva finta.
Una barbie fuori luogo e sbagliata.
Lei era l’esatto opposto ma, purtroppo, teneva troppo al giudizio degli altri e preferiva di gran lunga essere in un gruppo così popolare che tra i secchioni.
Quello era il suo posto, poi.
Annabeth non era mai stata una tipa da trucco, borse firmate e profumi importanti, ma aveva imparato a farseli piacere in un modo o nell’altro.
Tamburellò le dita sul volante, ferma ancora nel traffico newyorkese, stanca di stare seduta in quello spazio stretto della sua auto.
Premette leggermente sull’acceleratore sorpassando l’automobile davanti a sé, rimanendo però di nuovo ferma a causa del semaforo.
Osservò le nuvole che coprivano il cielo, dopo un’intera mattinata di pioggia aveva smesso di piovere.
D’improvviso squillò il suo telefono e, per quanto fosse sbagliato rispondere mentre si guidava, accettò la chiamata, visto che il semaforo non sembrava deciso a cambiare colore.
-Annabeth! Dove sei?- domandò la voce di suo padre.
-Ehi, papà, sono bloccata nel traffico. Ma sono quasi a casa, manca poco a Manhattan- 
-Cerca di arrivare prima che puoi, a dopo tesoro- e dopo aver ricambiato il saluto richiuse la chiamata, ricominciando a guidare.
Frederick Chase era forse l’uomo più importante della sua vita.
Era un grande architetto di New York, condividendo il suo lavoro con sua moglie Atena Pallade, e sembrava sempre che gli impegni gli corressero dietro.
Ma Annabeth non aveva mai dato peso di questa cosa, sapeva che lo facevano per lei e i suoi fratelli.
Dopo quasi mezz’ora, Annabeth riuscì ad arrivare finalmente a casa.
-Papà, Mamma, sono a casa!- esclamò non appena aprì la porta di casa.
-Annabeth, eccoti finalmente. Senti, abbiamo avuto una chiamata urgente, il pranzo è sul tavolo, Bobby e Matthew dopo devono andare a calcetto. Se li accompagni mi fai un regalo- l’accolse sua madre, urlando poi - Frederick! Sei pronto?-
In un paio di minuti i suoi genitori uscirono di casa, lasciandola insieme alle due pesti dei gemelli.
-Allora,chi è pronto per la battaglia di cuscini?-

 


Angolo Autrice:


Eccomi qua,come promesso, sono ufficialmente tornata e buon anno a tutti!
Volevo prima di tutto ringraziarvi per chi ha recensito le mie note, e chi non le ha lette faccio un breve riassunto.
Questa è una risivitazione della mia vecchia storia:We aren't perfect.
Ho deciso di lasciare sia il titolo che la trama (che probabilmente cambirò) uguale per ora.
Sono, sinceramente, ancora indecisa sul cancellare la vecchia storia, ma poi si vedrà.
Spero che la nuova versione vi piaccia, ho cercato di finire il primo capitolo più in fretta possibile.
Beh credo che sia meglio terminare qui queste note ahahha.
Buon anno ancora e grazie per aver letto questo stupido capitolo.
Bacioni Ram
 ♡

Ps: vi lascio due gifette(?) come sempre ahahah.
 
 
lei è la mia Annabeth Chase *-*
Niente contro la Daddario  ma non immagino così la mia amata Sapientona.



Per quanto riguarda Percy ho lasciato Logan Lerman.
Anche se neanche lui mi convince molto per il suo ruolo.




 

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Capitolo 2
*** Chapter II ***


 
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Capitolo 2
                                                                                                                                                              New York City,
                                                                                                                                                                                     May,15, 2015.
 
Faceva freddo, quella sera, a New York.

Lo sentiva nelle dita delle sue mani, ben nascoste nel giubbotto di pelle nera, erano congelate, fredde come il ghiaccio.
Le ossa del suo collo scroccarono non appena lo mosse, nel tentativo di scacciare via il dolore.
Aveva passato la giornata ad occuparsi dell’addestramento dei suoi ragazzi, e per quanto si 
fosse divertito, era stremato.
Si appoggiò sul cofano anteriore della sua auto nera, osservando il piacevole panorama che gli si presentava davanti agli occhi.
Con l’indice e il medio si portò una sigaretta alle labbra, mentre le piccole luci della città, brillanti come sole, ne delineavano il profilo dormiente.
Il fumo condensò nell’aria fredda primaverile, mentre il ragazzo ammirava la bellezza della città dei grandi sogni.
La città sognata da tutti.
Rachel adorava sempre definire così New York.
Non la città che non dorme mai, ma la città dei sogni.
Con i suoi boccoli di rosa rossa, Rachel amava osservare il mondo sempre per i suoi pregi, mai per i suoi difetti.
Con lei, quelli non esistevano. Riusciva a rendere tutto magnificamente bello.
Anche agli occhi di Percy.
Quella bellezza che, ormai, lui non riusciva a trovare da nessuna parte.
Aveva provato a trovare la grande bellezza anche nelle piccole cose,nei piccoli gesti, ma senza di lei non c’era più meraviglia nella sua vita, solo orrori.
Aspirò di nuovo il fumo grigiastro della sigaretta, sospirando una volta emesso.
Ripensò alla ragazza di Luke, a quei boccoli perfetti che gli ricordavano tanto quelli ramati della sua amica.
Scosse la testa distrattamente e sorridendo, in quel che era uno dei suoi sorrisi più finti.
Era uno stupido se tentava ancora di ritrovare Rachel Elizabeth Dare in tutte le persone.
Ritrovare quegli smeraldi, il sorriso bianco come la neve, quel suo volto angelico o i Jeans sporchi di pittura.
Era uno stupido se era ancora innamorato di lei dopo due anni dalla sua scomparsa.
Doveva trovare il modo di riuscire a dimenticarla, almeno in quel senso, e secondo Jason il suo cuore avrebbe dovuto ri-iniziare a battere per un’altra ragazza.
Strinse le dite congelate in un pugno, affondando le unghie leggermente lunghe nella carne del palmo della mano.
Era quasi impossibile per lui dimenticare Rachel.
Ci aveva provato, mille volte, per ogni ragazza che aveva incontrato.
Che fosse mora, rossa, bionda, non aveva funzionato con nessuna.
Nessuna gli aveva fatto battere il cuore sul serio.

Soprattutto perché le ragazze come Rachel non si avvicinavano a lui, si tenevano distanza come se fosse un portatore di malattie contagiose.
Forse sul serio il suo cuore era fatto di ghiaccio.
Forse lui non era più in grado di provare sentimenti.
Forse avrebbe amato solo Rachel fino alla fine dei suoi giorni.

Trovò l’ultima possibilità davvero poco probabile.
Era impossibile, per lui, essere innamorati della stessa persona per così tanto tempo.
Soprattutto perché con quella persona, non era successo mai nulla.
Niente baci o altro. Nulla, se non normali abbracci tra due amici.
Rachel, per quanto gli facesse male ammetterlo, apparteneva al passato, ad una parte di lui che in quel momento non esisteva più.
Quel ragazzo con gli occhi sempre allegri e vivaci, ormai era solo un ricordo lontano, ritratto e imprigionato in quella fotografia sul davanzale della finestra  del suo appartamento.
Ma il nuovo lui, non gli dispiaceva per nulla.
Trovava addirittura divertente camminare per strade e notare come intimoriva tutti i passanti.
Sentire quel tremolio o quell’espressione mista tra la preoccupazione e lo spavento delle persone che picchiava.
Sentirsi potente e vivo, provando uno strano senso di libertà.
Quella libertà  che non esigeva di rispettare le regole.
Quella libertà del non dover dipendere da nessun adulto.
Sentirsi vivo anche quando camminava, vivo nello sbagliare.
Tamburellò le dita sul cofano provocando un rumore fastidiosamente metallico alzando, poi, il volto al cielo e contemplando le stelle.
Una volta, quando era ancora nella sua fase d’innocenza, Percy aveva provato a contare tutte le stelle che il cielo conteneva con Rachel, i due bambini erano riusciti ad arrivare fino a mille, prima di cadere in un sonno profondo.
Sorrise leggermente a quel ricordo e provò una leggera fitta al cuore.
Quanto mi manchi.

***
New York,
May 16,2015.

-Allora, ricapitolando, io e Percy andremo a parlare con il capo dell’altro clan, Leo e Nico, invece, dovrete occuparvi di quel moccioso della settantesima…- la voce di Jason risuonava tra le pareti bianche della casa di Percy.
Seduti sul divano i vari componenti della banda ascoltavano –e no- il suo discorso, annuendo di tanto in tanto.
-Hai finito? Stai ripetendo la stessa cosa da un quarto d’ora, quasi. Vorrei uscire di qui per il weekend, mamma orsa- disse Leo Valdez roteando gli occhi scuri e scompigliandosi ancor di più i ricci cioccolato che gli cadevano disordinatamente sulla fronte.
Nico di Angelo ridacchiò leggermente con la testa appoggiata sul ventre di Will Solace.
-Beh, caro Leo, quando deciderai di ascoltarmi, forse smetterò di ripeterlo- ribatté aspramente Jason, lanciandogli un’occhiata torva –E voi due, piccioncini, datevi una sistemata prima che arrivi Percy. Io devo andare- continuò, poi, guardando Nico e Will che subito presero una posizione più composta.
-Dove devi andare?- domandò Leo.
Jason alzò gli occhi azzurri, sospirando –Devo ritornare a scuola, tra venti minuti termina la pausa pranzo-
-Vuoi un passaggio?- chiese Percy facendo la sua comparsa nella stanza.
-Si, mi fai un favore- accettò sorridendogli Jason e salutando poi il resto della banda.
Scesero a piede rapido i vari piani del palazzo malconcio e, una volta usciti, entrarono nell'auto di Percy.
-Ieri non ti ho visto, che hai fatto?- cercò di trovare un argomento, Jason, per rendere più piacevole quel breve tragitto.
-Oh nulla, in giro- rimase vago il ragazzo, osservando la strada e stringendo il volante fra le dita.
-Beato te, ho dovuto subirmi mia sorella e le sue amiche a casa, ieri-
-Da quando Thalia porta delle amiche a casa?- domando Percy, aggrottando le sopracciglia.
-Me lo chiedo anche io- mormorò Jason lanciando uno sguardo verso il suo capo notando le enormi occhiaie violacee sotto i suoi occhi.
-Dormito poco?-il ragazzo annuì, nel tentativo di fermare lì quel dialogo.
Ci mancava solo la preoccupazione di mamma orsa sulle sue poche ore di sonno.
-Ieri è venuta Annabeth a casa, sai? Ho sentito dire che l’inverno prossimo sarà in California, Stanford. Mira in grande- cambiò argomento il ragazzo dai capelli baciati dal sole, odiando ancora di più il silenzio che si stava creando fra i due.
-Chi?-
-Annabeth Chase, quella ragazza che guardavi lunedì, fuori la mia scuola … ricordi? La fidanzata di Luke- spiegò cercando di stimolare il ricordo del suo amico.
-Ah, e io cosa ci dovrei fare?- ribatté Percy, svoltando alla curva.
Si ricordava bene di Annabeth, della sensazione di disagio che aveva provato quel giorno, ma che subito aveva rimosso non trovandosi molto interessato a lei.
-Mah.. non so, parlarle?- tentennò il suo migliore amico, tamburellando le dita contro il vetro del finestrino.
Percy trattenne un sorriso.
I tentativi di Jason Grace di fargli dimenticare Rachel non riuscivano mai a farlo arrabbiare.
Tentava di aiutarlo in tutti modi possibili, facendogli conoscere ragazze o parlandone sempre.
-Jas, quando smetterai con questi stupidi tentativi?- sospirò il ragazzo prendo il piede sul freno e spegnendo il motore dell’auto, fuori i cancelli della Goode.
-Lo sai che lo faccio per te, grazie comunque per il passaggio- si giustificò Jason aprendo la portiera con movimenti quasi imbarazzati e scendendo dall’auto.
-A dopo, capo- lo salutò chiudendo la portiera con un gesto delicato.
-A dopo, mamma orsa- ricambiò lui rimettendo il motore in moto.
 
 

Annabeth si accasciò sfinita sul suo letto.
Quelle due pesti l’avevano letteralmente distrutta, quel giorno.
Dopo essere tornata a casa da scuola, aveva dovuto accompagnare i suoi adorabili fratellini al campetto per l’allenamento di calcetto e, una volta tornati, aveva dovuto costringerli a farsi la doccia.
Sospirò pesantemente nascondendo il volto sotto al cuscino non appena vide la figura del suo fratello maggiore appoggiato allo stipite bianco della porta della sua stanza.
-Se sei venuto a dirmi qualcosa che riguarda i gemelli, pensaci tu- disse contro la stoffa del cuscino bianca –Oggi mi hanno sfinito-
La risata di Malcom Chase le invase le orecchie nonostante esse fossero ben nascoste sotto il guanciale.
-Tranquilla, sono troppo impegnati a giocare con la play nella mia camera- le rispose lui.
Sentì il materasso sprofondare leggermente all'altezza dei suoi piedi, segno che Malcom si era seduto a canto a lei e si tolse finalmente la sua protezione.
-Meno male, se li vedo un altro secondo in più rischio di passare il resto della mia vita dietro le sbarre per fratricidio- rise appoggiando la testa sulla spalla muscolosa del fratello.
-Esagerata! I gemelli sono dolcissimi-
-Quando vogliono loro, lo sono- ribatté lei sorridendogli.
Rimasero in silenzio osservando fuori dalla finestra le automobili che scorrevano sotto di loro.
-Allora come sta andando il tuo ultimo anno di scuola?- ruppe quel silenzio imbarazzante il fratello cingendo la vita della sorella con il braccio.
-Bene- disse solo – Stanford è bella come dicono?-
-Oh altro che! I corsi sono magnifici e la California è magnifica. Vedrai, quando verrai a settembre l’adorerai- rispose Malcom baciandole la fronte.
Settembre.
Sembrava così vicino.
E lei non era assolutamente pronta.
Aveva aspettato tutta la vita quel momento eppure, già sentiva la nostalgia della caotica New York.
Ma Stanford era sempre stata il sogno suo e di suo fratello e avrebbe potuto ricominciare.
Niente Piper o Silena.
Lei e Malcom, proprio come una volta.
Avrebbe potuto dire finalmente addio a quei scomodi tacchi o  a quei vestiti.
Avrebbe potuto mettersi felpe e scarpe da tennis e magari avere una o più amiche tra i vari corsi di architettura.
Non avrebbe avuto più paura dei giudizi degli altri perché, con lei, c’era Malcom  e quando c’era lui andava sempre tutto per il meglio.
-Oh, giusto! Mi sono dimenticato di dirti che ti ho portato un regalo- esclamò il biondo –aspettami qui che te lo porto subito-
Dopo neanche cinque minuti, Malcom tornò con un’enorme scatola grigia tra le mani e porgendola delicatamente.
-Non dirmi che ci hai nascosto uno dei gemelli- scosse la testa ridendo  contagiando anche il fratello.
-Per mia sfortuna no, mi sarebbe piaciuto sentire le tue urla- rispose tenendosi la pancia –Aprilo dai- e Annabeth lo fece.
Sfilò delicatamente l’intreccio rosso del fiocco e alzò il coperchio della confezione.
Ben ripiegata all’interno c’era una felpa grigia.
Non appena la tirò fuori notò subito la sua grandezza, in quanto era tre taglie più grandi, e lo stemma del college, che avrebbe cominciato a settembre, era stampato sopra.
-Ma è magnifica!- gli sorrise Annabeth abbracciandolo – grazie, Malcom-
-Credevo che forse non sarebbe rientrata più nel tuo stile- commentò Malcom  indicando l’armadio strapieno di Annabeth.
-Malc… lo sai- sussurrò lei stringendosi in un pugno la felpa.
-Sei così intelligente Annie, perché vuoi essere quello che non sei?- le domandò dolcemente accarezzandole i capelli e portandole una ciocca dietro i capelli.
-Sono felice così- rispose sforzando un sorriso –E poi è solo un altro mese … poi mi aspetta il caldo sole della California -
-Se sei felice tu, sorellina- 
-Ti voglio bene, Malc- gli disse Annabeth abbracciandolo.
-Anche io, bionda, anche io
-

***
New York, 
May 17, 2015
 

Quel giorno era iniziato nel meglio dei modi per Annabeth.
Era riuscita a svegliarsi in orario e a prepararsi nel meglio dei modi arrivando alla Goode High School in anticipo.
Camminò per i corridoi quasi deserti portandosi dietro l’orecchio sinistro una ciocca sfuggita dalla treccia a spina di pesce che lasciava poggiata sulle sue spalle magre.
-Ehi Annabeth- la salutò Luke Castellan venendole in contro.
-Ehi Luke- Annabeth gli sorrise radiosa, felice che lui fosse lì con lei.
Incrociò le braccia dietro il collo del suo fidanzato, baciandolo a fior di labbra.
-Quanta allegria, oggi-le  sorrise stringendola.
-Oh beh, oggi è una bella giornata, credo- rispose lei prendendolo per mano e avviandosi verso il suo armadietto inserendo poi la combinazione.
-Come è andata ieri, alla festa?- domandò Annabeth afferrando velocemente i libri che avrebbe usato per la prima ora.
Luke sembrò preso alla sprovvista, come se non sapesse cosa rispondere.
-Oh, tutto bene davvero- cercò di rendere il suo sorriso più sincero possibile.
Ma Annabeth non sembrò farci caso mentre smanettava con il suo smartphone – oh meno male- commentò lei distratta –Stanno per arrivare Pips e Thals…ci vediamo a pranzo?-domandò poi guardandolo negli occhi celesti.
-Va bene, tesoro, a dopo- concordò lui baciandola velocemente e raggiungendo i suoi amici che intanto erano arrivati.
-Ehi Bei Boccoli!- la salutarono Thalia Grace e Piper McLean raggiungendola.
-Ciao ragazze!- salutò lei baciando le guance di tutte e due per completare il saluto.
-Non sapete cosa ho scoperto ieri- esclamò Piper eccitata.
-Se si tratta Jason Grace è meglio non vogliamo sentire nulla- rise Annabeth.
-Ehi Pips, perché parli di mio fratello? E soprattutto in mia presenza- domandò perplessa Thalia Grace osservando l’amica con i suoi zaffiri.
-Oh andiamo, Thals, lo sai che mi piace tuo fratello da due anni, e poi, per una volta che non c’entra nulla, voi lo tirate in ballo- disse imbarazzata lei.
-Ti piace il fisico di mio fratello, nient’altro- ribatté la mora alzando un sopracciglio.
-Non è vero, anche il suo carattere… è così deciso, sicuro di sé…-
-Ma se non c’hai mai parlato! –
-Thals smettila dai, e anche tu Pips- cercò di mettere pace fra le due, Annabeth –Allora cosa ci dovevi dire di così importante?- chiese poi roteando gli occhi tempestosi.
-Ah già…  Annabeth ho scoperto il nome del ragazzo che, qualche giorno fa, ti fissava- rispose Piper sistemandosi i lunghi capelli cioccolato davanti lo specchietto attaccato sull'anta del suo armadietto.
-E io che dovrei farci?- domandò la diretta interessata facendo la sua miglior smorfia perplessa.
-Beh, non è un brutto ragazzo e non sembra neanche noioso, al contrario di Luke- disse chiudendo lo sportello e appoggiandoci la schiena contro.
-Luke non è noioso- commentò Thalia quasi offesa ricevendo un’ occhiataccia da parte della bionda.
Da quando lei parlava di Luke al posto suo?
-
Comunque è Percy Jackson il tuo uomo, Annie- sorrise ammiccando Piper giocando con una ciocca cioccolato dei suoi capelli.
-Perché questo nome non mi è nuovo?-
-Perché è amico di Jason e Luke lo odia. Ecco perché non ti è nuovo- disse la mora scroccando le dita.
-Che bello- commentò ironica la bionda –non capisco come possa interessarmi. Io sto con Luke, no?-
-Si ma stai attenta, girano certe voci su quel ragazzo- l’avvertì Piper mentre un velo di preoccupazione fece strada tra i suoi occhi caleidoscopici.
-Girano anche certe voci su Jason, quindi cosa staresti insinuando?-si accigliò Thalia.
Piper stava per controbattere ma Annabeth la fermò prima del tempo –Grazie per avermi avvertita, Piper, ma stai tranquilla, tra me e Jackson non ci sarà nulla. Mi ha solo guardata, non vedo di farne una tragedia e poi dobbiamo vedere se lo sguardo era rivolto a me o a Silena, perciò basta parlare di questo gossip vecchio, ormai-
-Mh…forse hai ragione- sussurrò Piper.
E in quel preciso istante, per i corridoi della Goode High School, riecheggiò il suono della campanella che avvertiva l’inizio di una nuova giornata.
 


Angolo Autrice:

Hello Everybody!
Finalmente sono tornata ahaha
(dai rispetto l'ultima volta, stiamo migliorando).
Una cosa che avrete capito è che non sarò costante nell'aggiornare,ma, purtroppo, i vari impegni me lo impediscono.
Comunque, tornando al capitolo, è diviso in tre giorni.
Nel primo, è una sera con i pensieri di Percy, che sinceramente ho voluto mettere in risalto.
Nella scorsa versione non l'ho mai fatto, mentre qui vorrei approfondirli di più.
C'è anche una piccola parte di Annabeth, ma penso che nel prossimo, parleremo meglio di lei.
Gli altri due,al contrario, sono scene di vita quotidiana.
State attenti ai piccoli dettagli, soprattutto nell'ultima parte, che forse, andando avanti, capirete meglio.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo, siete delle ciccine, vi giuro!
Alla prossima,
bacii, vostra Ram


Post Scriptum (AnnabethJackson22, mi ha contaggiato, ahahha):
prima di lasciarvi alle gif, volevo chiedervi un parere.
Allora vi piacerebbe se aprissi anche una pagina/account fb o anche un profilo ask?
Vedo che molti lo fanno, e non la trovo neanche una pessima idea.
Ditemi voi, sono curiosa della vostra opinione!

 

    

         
     


 

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Capitolo 3
*** Chapter III ***


 
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Capitolo 3
 
Periferia di New York,
May 17, 2015.
 

Annabeth si sedette sulla panchina della fermata dell’autobus, stringendo lo spillo dei suoi tacchi in un pugno.
Si massaggiò la pianta del piede destro, che le procurava non poche fitte a causa della corsa a piedi nudi che aveva appena fatto.

Ancora con il fiatone, appoggiò le scarpe accanto a sé e si strofinò le braccia infreddolite dal vento che soffiava stranamente freddo in quella sera di metà maggio.
“Ma perché ci sono andata?” si domandò mordendosi il labbro inferiore rischiando di farlo sanguinare.
Quella mattina, Luke aveva deciso di organizzare una festa in una delle sue tante ville sparse per New York, scegliendo quella più in periferia. 
Nonostante questo, aveva deciso di andarci, era comunque il suo fidanzato.
Aveva indossato uno dei suoi più belli abiti neri, si era truccata più del solito e aveva accompagnato il tutto con dei tacchi dal cinturino nero e con i boccoli che le ricadevano ordinatamente sulle sue spalle abbronzate.
I problemi erano giunti quando Luke l’aveva condotta in una delle sue tante stanze, al piano superiore della casa, trascinandola per un braccio.
Rabbrividì pensandoci.
Per fortuna era riuscita a fermare la cosa prima che diventasse altro.
Era scappata letteralmente dalle braccia di Luke, lasciando il ragazzo sul letto che chiamava furente il suo nome.

Per sua sfortuna, con il cellulare scarico e senza auto, si era dovuta mettere alla ricerca di una fermata dell’autobus che la riportasse a Manhattan.
Si morse l’interno della guancia, giocherellando con l’anello argentato che era in bella mostra sul suo anulare, e osservandosi il piedi scalzi sentiva leggermente a disagio.
Aveva di certo fatto una delle sue peggiori figure, non solo con Luke ma anche con le sue amiche, le aveva lasciate lì, senza pensarci due volte.
L’indomani avrebbe dovuto sicuramente prestare una delle sue più sentite scuse e trovare le parole più adatte per giustificare il suo comportamento, poco rispettoso nei loro confronti.
Sospirò sconfortata, rimettendosi l’anello al dito, e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Che figura che hai fatto, Annie, davvero, la potevi evitare” le disse una vocina nella sua testa che la ragazza provò ad ignorare, ma senza risultati.
Non aveva tutti i torti, era lei la stupida che si era comportata in quel modo.
Eppure la trovava, secondo il suo punto di vista, una reazione … giusta.
Senza scusanti, ovviamente, ma era stata istintiva, per proteggersi.
Non era pronta per quello, e non era pronta a viverlo così.
La sua prima volta sarebbe dovuta essere speciale, magica.
E in una fredda stanza dietro la cui porta una moltitudine di ragazzi era intenta a dare una delle feste, che sicuramente sarebbe passata alla storia.
Luke l’avrebbe compresa, pensò, l’avrebbe ascoltata e capita.
Anche se il ragazzo non aveva tutti i torti. Erano da tanto insieme, ed oltre a baci o abbracci affettuosi, non c’era mai stato altro tra di loro, e ovviamente un ragazzo come lui voleva passare ovviamente al un livello successivo.
Un livello a cui lei non aveva mai pensato più di tanto.
“Un altro mese, Annie, un altro mese, e potrai vivere la tua vita in santa pace” pensò sorridendo leggermente.
Era la frase che più la faceva sentire meglio nell’ultimo periodo.
La speranza e la voglia di ricominciare da zero la rendevano al dir poco felice.


La luce del lampione, la quale illuminava la fermata a cui si era seduta, iniziava a diventare sempre più fioca, segno che tra un po’ avrebbe emesso luce per l’ultima volta.
Osservò l’orologio che aveva al suo polso, le due lancette dorate segnavano precisamente l’una di notte.
Oh, i suoi l’avrebbero sicuro scuoiata viva, il suo coprifuoco per le occasioni del genere scadeva esattamente tra un’ora e lei era troppo lontana dal centro della città.
Contemplò per un secondo le stelle coperte da leggeri nuvoloni grigi.
Era così assorta nei suoi pensieri che quando udì delle urla e un rumore metallico che cadeva sul suolo, rischiò un infarto dallo spavento.
Saltò in piedi e, con lo spillo di una scarpa come arma, si avvicinò al vicolo oscuro alle sue spalle.

Strinse forte l’oggetto nelle sue mani, mordendosi il labbro inferiore spaventata.
“Non potevo restare lì, ferma?” pensò camminando a piedi nudi sulla strada sporca.
Si nascose dietro la scala di sicurezza dei due palazzi che delineavano il confine del vicolo e, sporgendo la leggermente la testa bionda, cercò di individuare una delle due figure che erano intende a picchiare un povero ragazzo steso a terra che nascondeva la sua nuca tra le braccia, nel tentativo di proteggere la scatola cranica da urti troppo forti.
Annabeth sussultò dalla paura, rischiando quasi di urlare.
Sentiva improvvisamente il vento ancora più forte di prima, che le face aumentare la pelle d’oca sulle sue braccia scoperte e il cuore iniziò ad accelerare il suo battito.
Percepiva il sangue pompare nelle vene ancora più velocemente.
Il suo fiato aveva iniziato ad accelerare, e sedendosi sui gradini della scala di ferro arrugginita tentò di calmarsi, portandosi una mano al petto e facendo respiri profondi.

“Forza, Annie, respira, sei solo finita in una zona di spaccio, che sarà mai, su” provò a pensare più ironicamente possibile a cose positive, ma questo non fece altro che accentuare la sua paura.
-E tu chi saresti?- domandò una voce tagliente .
Annabeth aprì gli occhi, sussultando non appena sentite quelle parole, e con gli occhi sgranati guardò il ragazzo minuto che le era davanti.
Era sicuramente della sua età, forse addirittura più piccolo.
Le due ossidiane, che altro non erano i suoi occhi, risplendevano nel pallore del suo volto e i capelli tagliati corti, ricordavano un colore molto simile alla pece.
-In verità..sono finita qui per puro caso- cercò di rispondere Annabeth tentando miseramente di non balbettare come una stupida – me ne stavo giusto andando- completando con un sorriso innocente.

“Da quando sono così  brava a mentire?” si domandò, ma subito si diede la risposta.
Aveva passato due anni a comportarsi falsamente e ovviamente, ormai, ci aveva preso una sorte di “abitudine”.
-Mi dispiace, biondina, ma devo portarti dal capo- disse il ragazzo afferrandola per un braccio e trascinandola nella direzione dei due ragazzi intenti a sfregiare il corpo di quel poverino.

Annabeth aveva seriamente paura.
Non aveva mai provato una simile emozione, un simile terrore.
Era sempre vissuta al sicuro e al riparo, con un fratello maggiore che la proteggeva sempre e due fratellini più piccoli che tentavano disperatamente di essere le sue guardie del corpo.
Ma in quella situazione, non si era mai sentita più sola.
Non conosceva nessuno e nessuno avrebbe potuto tirarla fuori.
Era semplicemente sola e indifesa.
C’erano soltanto lei, quei quattro ragazzi, di cui il corpo di uno di loro era inerte, in quel vicolo sudicio.
Pregò che non fosse nessuno di pericoloso, come ad esempio un pluriomicida.
Sentiva nei telegiornali, che nell’ ultimo periodo, molti criminali avevano destato terrore nei cuori degli newyorchesi.
Affondò le unghie nella carne del suo palmo, cercando di infondersi coraggio.
Provò a respirare, ma l’aria che vi era nei suoi polmoni non sembrava voler uscire.
-Capo- chiamò il ragazzo che le teneva stretto il braccio nella mano pallida.
-Che vuoi, Nico?- sbuffò il ragazzo più alto girandosi nella loro direzione.
Annabeth  quasi non ebbe un sussulto.
Conosceva quegli occhi.
Erano gli stessi che aveva visto in quell’auto qualche giorno fa.
Quello davanti a sé era Percy Jackson.
E la cosa la fece preoccupare ancora di più.
-Annabeth?- domandò l’altro ragazzo, Jason Grace.
Annabeth tentò di parlare ma sembrava che la lingua le fosse incollata al palato e non intendeva muoversi da lì.
-Che ci fai qui?- chiese ancora Jason, guardando torvo Nico, che subito le tolse la mano dal suo braccio.
-Jason…- finalmente la sua bocca riuscì a formulare una frase guardando imbarazzata il ragazzo dai capelli biondi –Ero con Thalia ad una festa, ma mi sono persa-
Cercò di sorridergli, ma la cosa non gli uscì tanto bene.
Vedere Jason sicuramente l’aveva tranquillizzata, conosceva quel ragazzo sin da quando era una bambina.
Avevano passato pomeriggi interi, lui, lei e Thalia, giocando e rincorrendosi per tutta la villa di Zeus Grace.
- Dov’è la tua auto, te l’hanno rubata? Questa zona non è molto sicura- disse anche lui sorridendole ed avvinandosi.
-Mi è venuto a prendere Luke, quindi è a casa- gli rispose Annabeth – anzi, dovrei proprio rientrare, è stato un piacere incontrarvi ma ora devo proprio andare-
Jason lanciò uno sguardo nella direzione di Percy che roteò gli occhi, rigirandosi nella direzione del ragazzo steso a terra e scroccandosi le dita.
Il biondo capì subito le intenzioni del capo, e afferrando il braccio di Annabeth la trascinò fuori dal vicolo di forza.
-E’ meglio che certe scene non le vedi- le disse dopo facendola sedere sulla panchina dell’autobus.
Un urlo squarciò il cielo notturno di New York.
Un urlo sofferente, dolorante e che invocava pietà.
Annabeth non riuscì a sopportare quel rumore.
Tentò di stringersi le orecchie per ovattare quel rumore e stringendo gli occhi.
Non importava se poteva sembrare una bambina agli occhi di Jason, voleva solo correre da quel Percy Jackson.
Jason le accarezzò i capelli, non appena notò le lacrime nere, per colpa del trucco, che scendevano dal volto della ragazza.
-Fermalo, Jas- provò a dire la ragazza guardandolo con gli occhi lucidi.
-Non posso, Annie, non posso-

 

***
 

Quando Percy Jackson uscì dal vicolo, con le mani nelle tasche dei jeans scuri strappati, Annabeth alzò la testa osservando il ragazzo con gli occhi ancora lucidi.
Jason le era stato accanto, abbracciandola di tanto in tanto.
Fece per alzarsi in piedi, ma il ragazzo la fermò.
-Non fare nulla di sconsiderato, Annabeth, per piacere- le disse rifacendola sedere e raggiungendo Percy.
-Perce, allora?-
-E’ancora vivo, tranquillo mamma orsa, Nico mi ha fermato- roteò ancora una volta gli occhi verde mare parlandogli con un tono molto annoiato.

-Percy, senti non è che potresti dare un passaggio ad Annabeth? Io tra un po’ devo andare a recuperare mia sorella- 
-Perché dovrei, scusa?- Percy guardò la ragazza accigliando poi le sopracciglia.
-E’ sola, non sa dov’è e vuole tornare a casa..-gli spiegò lui –lo farei io ma Thalia mi ha chiamato e devo correre da lei-
Percy sbuffò odiando profondamente il suo migliore amico.
Da quando faceva il tassista samaritano e aiutava tutti?
-Tu, bionda, muoviti, voglio tornarmene a casa prima che il sole sorga- esclamò dopo.
Annabeth si sentì confusa.
-Tranquilla, ti riporto a casa tua, non ci tengo a portarti da me- continuò dopo, capendo i pensieri della ragazza.
La ragazza si alzò dalla sua panchina, e stringendo lo spillo dei suoi tacchi, si avvicinò alla jeep del ragazzo.
-Come posso fidarmi di te, dopo quello che hai fatto a quel ragazzo?- le uscì dalle labbra, e Annabeth si pentì subito dopo di averlo detto.
-E’ mio amico, Annabeth, se ti fidi di me ti fiderai anche di lui- si affrettò a rispondere Jason, cercando di non far agitare troppo Percy.
Chissà come aveva accettato di accompagnarla a casa. Prima di salire sull’auto, la bionda gli lanciò uno sguardo di gratitudine, abbracciandolo.

-Grazie mille, Jason, stasera mi hai salvata- gli sussurrò nell’orecchio.

-Questo e altro per le amiche di mia sorella- le sorrise lui– Sappi che però sei in debito con me, ti devo chiedere un favore un giorno di questi,ma ora non è il momento- le disse poi indicando con lo sguardo Percy che sbuffava rumorosamente nell’auto e stringendo il volante.

Annabeth rise leggermente – Quando vuoi, ci si vede- salutò un’ultima volta il ragazzo e, aprendo la portiera della macchina, si sedette accanto a quel ragazzo che tanto aveva odiato quella sera.

-Bionda, mi devi dire dove abiti, se no sarò costretto a portarti da me- ironizzò il ragazzo, inserendo la chiave e accendendo i motori della sua auto.
La ragazza, sospirò, spiegandogli precisamente il punto dove era situata la casa, poi Percy pigiò sull’ acceleratore, guidando alla volta di Manhattan.

Il viaggio fu abbastanza tranquillo e imbarazzante.
Nessuno dei due aveva proferito parola, Percy guardava la strada davanti a sé e Annabeth guardava fuori dal finestrino la sua amata New York.
Solo un leggero sottofondo dei Muse accompagnava i pensieri dei due ragazzi.

-I will chasing a starlight- canticchiò distrattamente Annabeth.
-Conosci i Muse?- domandò Percy stanco di quel silenzio.
-Chi non li conosce?- rise lei, come se quella domanda fosse una delle più stupida del mondo.
-Già- concordò lui  alzando leggermente il volume dello stereo – Questa è una delle mie canzoni preferite-
Era la canzone sua e di Rachel.
Avevano passato pomeriggi a cantarla e a ballarla, finendo sempre col cadere sul pavimento ridendo come due pazzi.
Ricordava le spazzole usate come microfoni o i salti di Rachel.
Sorrise  a quel ricordo.
Sembrava essere passata una vita.
-Ti facevo più da Psycho, non da Starlight- commentò lei continuando a guardare le luci della città fuori dal finestrino.
-Solo perché sono un malvivente, non vuol dire che ascolto solo quelle canzoni- strinse i denti Percy.
-Non pensavo questo- tentò Annabeth guardando il profilo del suo volto.
-Oh, eccome che l’hai pensato, bionda- disse lui –So che la domanda che ti preme di più è “perché hai picchiato quel povero ragazzo? Che ti ha fatto quel poverino da essere ridotto in quello stato?”. Voi donne siete cosi fottutamente uguali.-
Aveva ragione.
Annabeth nei suoi pensieri, in quel viaggio, si era chiesta così tante volte perché Percy Jackson si comportasse in quel modo, sapeva che nascondeva qualcosa di più profondo, ma questo non giustificava il suo comportamento.
Nessuno meritava di essere trattato come il ragazzo che aveva picchiato.
-Beh, non è la verità?- fece lei stringendo i pugni.
-Si, e se lo vuoi sapere se lo meritava-
-Quindi ora vale la regola “Se tu mi fai del male, o qualsiasi torto, io ti picchio a sangue” ?- ironizzò Annabeth guardandolo di bieco.
-Bionda, svegliati, il mondo va così da secoli. Tutte le guerre che abbiamo combattuto noi uomini è per colpa di questo-
-Questa non è una risposta sensata, Jackson, se facessimo tutti così, non ci sarebbe più un equilibrio. Tu vuoi far soffrire le persone per quello che ti fanno? Prova a prendertela prima con te stesso però- quel fiume di parole le uscì senza un minimo senso dalle sue labbra.
Pensandoci avrebbe potuto dire qualcosa di più sensato, da poter lasciare a bocca aperta Percy, ma non ci badò molto.

Non valeva ne valeva la pena.
-Parli come se mi conoscessi, mocciosa, ma tu che ne sai. Secondo te, Jason non mi ha già parlato di te? Sei nata in una bella casa e cresciuta con una famiglia unita. Non hai mai avuto alcun genere di problema, finanziario o altro- ribatté Percy spegnendo l’auto sotto il palazzo di Annabeth –Basta guardare dove abiti- continuò dopo sporgendosi fuori dal finestrino.
-Non fare il solito discorso da ragazzo sofferente, Jackson. “Io soffro perciò faccio tutto questo”, sei tu che prendi le decisioni, e sei sempre tu a decidere se quella cosa può farti del male o no. Quel ragazzo di stasera non ti aveva fatto nulla di così terribile da essere trattato così. Sei tu che ha ingrandito la situazione, facendolo passare per una persona malvagia e senza cuore. Ma la verità è che sei tu quella persona. Non sono gli altri a creare i nostri fantasmi e paure, li creiamo noi senza saperlo- disse la ragazza slacciandosi la cintura e aprendo la portiera.

Percy se ne stette zitto.
Era inutile controbattere, tanto ormai quella biondina tinta sarebbe uscita presto dalla sua auto e dalla sua vita.
Che importava ormai.
-E se lo vuoi sapere, il mio nome è Annabeth non bionda o mocciosa- concluse infine con superiorità sbattendo la porta dell’ auto.

-Come ti pare- esclamò burbero Percy, premendo il piede sull’ acceleratore.

 

Angolo Autrice:

Hello Everybody!Prima di iniziare il mio solito ed inutile monologo ci tenevo a ringraziarvi!
Grazie mille, davvero.
Questa volta sono stata molto puntuale, più o meno un mese dall'ultimo aggiornamento.
Ho cercato di scrivere questo capitolo prima dell'inizio di maggio, perché come sapete tutti maggio è un mese abbastanza turbolento e quindi non volevo lasciarvi due mesi senza nulla, anche se questo capitolo non mi soddisfa molto.
Anyway, eccoci qui.
Piaciuto il loro incontro?
Ho cercato di evitare i "Oh i suoi occhi, magnifici, basta io lascio Luke", ma ho cercato di descrivere una situazione più odiosa.
Annabeth indossa la sua veste di superiorità in certi punti e Percy è il solito duro.
Voglio evitare categoricamente, l'amore a prima vista, che invece leggo ovunque.
Non amo descrivere l'amore in quel senso.
E' un sentimento che va coltivato nel tempo, e uno sguardo non ti può far provare certe emozioni.
L'unico punto un po' incerto era l'amicizia tra Jason e Annabeth, mi sembrava troppo espansiva, esagerata.
Ma volevo dirvi che comunque Annabeth ne ha vissute di tutti i colori in questo capitolo, da Luke a Percy e poi comuque sono due amici di infanzia.
(Io avrei fatto anche di peggio al posto suo, but non siamo qui a parlare di me)
Ah, volevo dirvi, che ho deciso di creare un gruppo facebook, così da fangirlare sempre insieme, aggiornarvi sugli aggiornamenti (?).
Devo ancora crearlo ma presto posterò il link nella mia bio di efp.
Spero che la notizia vi faccia piacere!
Detto ciò, vi saluta una Ram del tutto malata.
Bacii
    
mado ciao bellezza *-*


amore de mamma

 

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Capitolo 4
*** Chapter IV ***



Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Capitolo 4

Periferia di New York,
May 17, 2015.
 
 

Luke Castellan scagliò un pugno contro la parete.

Si sentiva così frustrato e arrabbiato.
Annabeth se ne era andata senza dargli una buona spiegazione, lasciandolo come un idiota sul letto e imbrazzandolo davanti tutti i suoi amici.
-Te l’avevo detto, non è facile con quella biondina. Accetta la sconfitta, Luke- commentò in un tono beffardo Travis Stoll.
Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia.
Lui che si arrendeva? Mai.
-Mi ha detto un uccellino che se ne andata con Jackson. Rassegnati Luke, ormai ho già vinto io, se lui si mette tra voi.- continuò Travis –Non ti farà fare un’altra volta lo stesso giochetto che hai fatto con l’altra sua amica-
Luke strinse forte il pugno, scagliandolo nuovamente contro la parete.
Quel Jackson, quanto l’odiava.
Era la sua palla al piede, non poteva divertirsi che lui glielo impediva.
-Che ci faceva Jackson nella mia zona?- domandò stringendo i denti.
-Ho sentito dire che stava picchiando un ragazzo che non l’aveva pagato- rispose Connor Stoll – e non era solo, con lui c’erano anche Grace e Di Angelo- 
-Erano sotto al nostro naso e non avete fatto nulla?- esclamò Luke rosso in viso –Era la volta buona che davamo una lezione a quei tre-
-Avremo perso comunque- bofonchiò Connor incrociando le braccia sotto al petto e appoggiando la schiena contro il muro.
Il capo della banda guardò il ragazzo fulminandolo con lo sguardo.
Gli occhi, che erano quasi sempre sulle sfumature azzurre, assunsero un colore tempestoso sui toni del blu elettrico.
-Invece di preoccuparti di quei tre, pensa a racimolare i soldi per la scommessa- cambiò discorso Travis con un ghigno dipinto sulle labbra –Mi sa che non te la stai cavando così bene con la Chase-
-Sono solo tuoi pensieri, Stoll, vedrai che prima della fine di giugno sarà mia. Non c’è bisogno neanche di preoccuparmi di Jackson, in quanto, molto probabilmente, quei due si sono conosciuti solo stasera ed Annabeth  è una persona molto fedele- disse Luke rivolgendo lo sguardo fuori dalla finestra e scrutando il cielo notturno –Non mi tradirebbe mai. Poi una volta che avrò avuto ciò che voglio, potrò dirle pure addio-
-Mica è come te, Luke, se sapesse con chi la tradisci- rise Travis stendendosi sul letto matrimoniale.
-E’ lei che mi ha cercato e io ne ho solo approfittato, non capita mica tutti i giorni di farti la sorella di un tuo nemico- disse Luke riferendosi alla ragazza che Travis stava parlando.
-Peccato che questa non è stata una cosa occasionale, al contrario, è da tre mesi che ormai va avanti. Quando finirete di farlo nello sgabuzzino del bidello?- domandò Connor estraendo dalla tasca dei jeans scuri un pacchetto di sigarette e accendendosene una.
-Nessuno dei due vuole una cosa seria, quindi ci va bene così- rispose Luke.
-E’ meglio che ve ne andiate, tra un po’ arriva e non vi voglio fra i piedi. Pensate a qualcosa di diabolico per la banda di Jackson, che domani voglio giocare un po’ con loro- continuò poi, assumendo il solito ghigno sfacciato e tenebroso.
Non appena i due ragazzi uscirono, Luke socchiuse per un secondo gli occhi, cercando di pensare come risolvere il suo problema con Annabeth.
Si maledì mentalmente per quella stupida scommessa che aveva fatto con Travis Stoll l’anno precedente.
“Se non avessi bevuto tutta quella vodka e fumato tutte quelle canne, non sarei in questa situazione” pensò Luke massaggiandosi le tempie.
Ma come poteva fare?
Annabeth non si sarebbe mai concessa a lui, neanche da ubriaca.
-Mi ha detto un uccellino che se ne andata con Jackson. Rassegnati Luke, ormai ho già vinto io, se lui si mette tra voi. Non ti farà fare un’altra volta lo stesso giochetto che hai fatto con l’altra sua amica-
Le parole di Travis risuonarono nuovamente nella sua mente.
Poteva sempre optare per il trattamento che aveva usato per l’amica di Jackson, quella ragazza dai capelli rossi.
In effetti non era un cattivo piano.
Sorrise maligno, doveva solo trovare un modo per star solo con Annabeth e forse aveva anche una mezza idea sul come fare.
Doveva giocarsi bene le sue carte, doveva scegliere il giorno e il luogo giusto, così da non essere disturbato da nessuno.
Aveva soltanto Giugno poi tutto sarebbe finito.
La scommessa sarebbe finita e lui non era disposta a perderla.
L’improvviso bussare alla porta, lo distolse dai suoi pensieri, e aprendola una figura femminile entrò nella stanza.
Luke osservò la sua schiena scoperta chiudendosi la porta alle spalle.
I lisci capelli corvini superavano appena le spalle e quando la ragazza si girò nella sua direzione due zaffiri, incastonati nel volto pallido, lo guardavano incuriositi.
Thalia Grace era davanti a lui, con indosso un vestito nero aderente che metteva in risalto le forme atletiche del suo corpo.
-Hai fatto tardi- commentò Luke avvicinandosi a lei.
-Già e dobbiamo muoverci, mio fratello sarà qui tra poco- rispose attirando a sé Luke per il colletto della camicia bianca.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e subito incominciò a baciare le labbra carnose della ragazza.
Era un bacio passionale, nulla di troppo romantico, carico di emozioni varie.
-Dovresti smetterla di metterti i rossetti scuri, non immagini dopo che fatica sia toglierli- commentò Luke sorridendole e spingendo Thalia contro il muro.
-Che dici, la prossima volta prendo anche la briga di struccarmi?- domandò ironica lei –non dovrei neanche essere qui-
-Sensi di colpa, Grace? Ti sembra il momento?- Luke prese a morderle lentamente un punto sotto l’orecchio.
-Ho costantemente i sensi di colpa, Luke- mormorò Thalia stringendo in un pugno i capelli del ragazzo e spingendolo di più contro il suo petto.
- E allora perché ritorni?-  le chiese abbassandole la bretellina del vestitino e baciandole la spalla ricoperta da tante piccole lentiggini.
Thalia non rispose.
Si lasciò cullare dai baci e i tocchi che il ragazzo le riservava.
Perché tornava sempre da lui?
Perché?

***

-Questa è l’ultima volta- sussurrò Thalia indossando i suoi vestiti velocemente.
-Come tutte le altre volte- ironizzò Luke accendendosi una sigaretta steso sul letto, coperto da un semplice lenzuolo bianco.
Thalia l’osservò ancora una volta.
La schiena era appoggiata alla tastiera di legno del letto e i suoi addominali scolpiti erano in bella mostra, facendolo somigliare ad un dio greco.
Si morse il labbro distogliendo lo sguardo e, infilandosi i tacchi alti, cercò di alzarsi in piedi.
Doveva smetterla di sembrare sempre così debole con lui.
-Thalia- mormorò Luke avvicinandosi a lei e baciandole ancora una volta la piccola spalla –Mandami un messaggio quando sei libera-
-No, Luke, non capisci. Questa cosa non deve andare più avanti, sono stanca di mentire ad Annabeth e soprattutto non voglio essere la tua ruota di scorta-
La mano di Luke prese a disegnare cerchietti immaginari sulla schiena della ragazza, facendola rabbrividire leggermente.
Sentiva quei piccoli brividi percorrerle per tutta la schiena e socchiuse ancora una volta gli occhi in balia di delle attenzioni che Luke le stava riservando.
-Thalia, Thalia- sussurrò Luke nel suo orecchio –Sappiamo bene entrambi che in un modo o nell’altro ritornerai da me-
Sentì ancora una volta le mani di Luke che la bloccavano, impedendole di scappare.
-Luke…c’è Jason, mi starà aspettando da tantissimo tempo, devo andare- cercò di allontanare il ragazzo dal suo collo ormai livido.
-Ci vediamo, piccola Grace- le sorrise spingendola fuori dalla stanza.
Thalia sospirò passandosi una mano fra i capelli.
Scese le enormi scale, raggiungendo il pianerottolo dove poco prima si era svolta l’enorme festa.
Oramai la maggior parte delle persone se ne era andata, rimanendo solamente alcuni amici di Luke e qualche ragazza.
Provò ad uscire dall’abitazione cercando di non attirare la loro attenzione, già si sentiva in imbarazzo, non era il caso di aumentare quella sensazione.
-Ciao Thalia, te ne vai senza salutare?- fece Travis, scostandole i capelli dal volto –E’ da maleducati, sai?-
-Stoll, togliti di dosso, non sono in vena- 
Ed eccola, si stava chiedendo che fine avesse fatto per tutta la serata quella sua parte di carattere da ragazza forte.
Perché con Luke non era così?
Perché con lui non riusciva mai a parlare in quel modo, mostrandosi decisa e sicura di sé?
-Andata male con il capo?- ghignò lui.
-Non sono fatti che ti riguardano- 
-Beh invece si, sai, vero, che anche noi ti stiamo coprendo con la tua amichetta?- giocherellò ancora una volta con i capelli di Thalia.
Thalia stava per ribattere ma dalle scale la voce di Luke risuonò per tutta la stanza.
-Lasciala andare, Travis, oppure il suo caro fratellino ci picchia tutti quanti- finse di piangere, portandosi una mano all’altezza dell’occhio sinistro, prima di scoppiare in una grossa risata.
Thalia approfittò di quel momento di distrazione per scappare dalla casa correndo verso l’auto del fratello.
-Scusami, ho perso la cognizione del tempo- disse con il fiatone entrando nell’auto.
-Finalmente, stavo per invecchiare qui dentro- rise Jason mettendo in moto l’auto e uscendo dal vialetto della villa di Luke.
-Mi dispiace- sussurrò ancora Thalia, sfilandosi i tacchi e portandosi le ginocchia al petto e poggiandoci la testa sopra.
-Stanca?- domandò Jason accarezzandole i capelli dolcemente.
-Non immagini quanto- rispose emettendo un piccolo sbadiglio.
-E’ stata una serata pesante anche per me-
-Dove siete stati tu e Percy?- cercò di deviare in tutti i modi la discussione sulla sua serata.
Jason non l’avrebbe capita.
L’avrebbe sicuramente insultata, dicendole che era una stupida a stare insieme ad una persona come Luke Castellan.
L’avrebbe cacciata dall’auto, ricordandole che quel ragazzo era fidanzato con la sua migliore amica.
Trattenne le lacrime.
“Perché ho creato tutto questo?” pensò rivolgendo lo sguardo fuori dal finestrino.
Ricordava quella piovosa serata di tre mesi fa.
Riusciva ancora a riprovare quelle emozioni, a risentire i tocchi di Luke.
Ricordava cosa le aveva detto dopo: “Annabeth non ne deve sapere nulla. E’ stato solo un incidente di percorso”.
Poi qualche settimana dopo lei e Luke si rividero, e dopo qualche bottiglia di troppo, successe di nuovo e  ancora altre volte.
Sapeva che in fondo era gelosa di Annabeth.
Per lei, Luke Castellan, era sempre stato qualcosa di proibito in quanto il fratello le aveva sempre impedito di avere con lui  anche una semplice amicizia.
Luke era un’attrazione fisica e soprattutto la sua trasgressione alle regole che il fratello le aveva imposto.
Quando era con lui riusciva a mettere da parte i sensi di colpa nei confronti di Annabeth, sentendosi forte.
Ma quel ragazzo era anche la sua debolezza.
Con lui non riusciva mai a trovare le parole giuste, non riusciva ad essere la Thalia di sempre.
Era come se il suo carattere forte e sicuro di sé con lui diventasse l’opposto.
Debole e insicuro.
E l’odiava per questo.
Odiava con tutto il cuore tornare da lui, sempre.
Odiava dargli ragione perché sapeva benissimo che sarebbe stata di nuovo con lui, in un modo o nell’altro.

-Nei paraggi, visto che ti dovevo venire a prendere non mi sono voluto allontanare molto- disse distrattamente Jason, facendola distogliere dai suoi pensieri.
-Jason?- chiamò lei, cercando lo sguardo del fratello.
-Dimmi-
Era tentata di dirgli tutto: di Luke e di Annabeth per togliersi quell’ orribile macigno sul cuore che portava da tre mesi ormai.
Tentò di aprire la bocca ma le parole non le uscivano, la vergogna era troppo grande –No, nulla di importante, ti voglio bene-
-Anche io te ne voglio, testona- le sorrise Jason baciandole velocemente la fronte per poi riprendere a guidare.
-Non capire con chi ho lasciato Percy- disse lui trattenendo una risata.
-Chi?- domandò Thalia leggermente curiosa.
-Annabeth- raccontò velocemente il loro incontro omettendo la parte del ragazzo che Percy aveva picchiato facendolo sembrare il loro  incontro come uno occasionale.
Thalia sentendo quel nome provò tante piccole lamette che le pugnalavano il cuore.
“Sto rovinando una mia amicizia storica per un ragazzo” pensò “Che razza di mostro sono?”
-Quindi Annabeth si è fatta accompagnare da Percy a casa? Questa mi suona strana- commentò infine lei, tentando di allontanare dalla sua testa quei pensieri opprimenti.
-Era disperata, non so per quale motivo, volevo accompagnarla io ma dovevo venire a prendere te e Percy era l’unico disponibile in quel momento- spiegò Jason parcheggiando nel parcheggio riservato alla sua famiglia.
Thalia annuì distratta.
Chissà cosa le era successo per essere così disperata da accettare un passaggio da uno sconosciuto, non era per nulla nel suo stile.
Era preoccupata, Percy non era sicuramente la persona più affidabile della Terra.
-Dai ti porto in braccio- disse Jason prendendola a mo’ di sposa.
-Ah, grazie, questi tacchi mi stanno distruggendo i piedi- rise lei beandosi del profumo  forte da uomo del fratello.
Mentre Jason la trasportava sentiva sempre di più la sua testa farsi più pesante e chiuse gli occhi cullata dalle forti braccia del fratello.

 

New York,
May 17, 2015
.

Annabeth si specchiò nel piccolo specchietto attaccato alla porticina metallica del suo armadietto.
Si ritoccò leggermente il trucco passandosi lo scovolino del mascara tra le lunghe ciglia ormai nere pece.
Con una salviettina struccante, che portava sempre nella sua borsa, si risistemò il trucco ormai colato sotto gli occhi, ricalcandosi con la matita il contorno interno.
Subito i due occhi grigi tempestosi assunsero una sfumatura diversa, più forte e più sicura.
Si spruzzò un po’ di profumo sui polsi  chiudendo  dopo l’anta del armadietto.
Camminò a passo deciso per i corridoi della Goode.
Aveva dormito ben poco la notte precedente, troppi pensieri che le invadevano la testa.
Aveva pensato tutta la notte a dei buoni discorsi  di scuse da fare con le sue amiche e con Luke soprattutto.
Ripensò ancora una volta al suo ragazzo, chissà se si era chiesto come fosse ritornata a casa.
Ne dubitava, forse era così arrabbiato con lei che non le avrebbe rivolto più la parola.
Cercò di farsi forza.
Voleva solamente dimenticare quella serata, perciò prima ne parlava e prima avrebbe potuto rimuoverla dalla sua testa.

-Annabeth!- una voce  femminile chiamò più volte il suo nome, raggiungendola.
Piper McLean, le apparve davanti gli occhi, sorridendole.
-Ti stavo cercando- le disse Annabeth ricambiando il sorriso.
Si sedettero su una panchina del cortile della Goode, in quanto era ora di pranzo.
-Senti ti volevo parlare di ieri- incominciò Annabeth -Principalmente mi devo scusare con te, ti ho lasciato lì da sola e mi dispiace un sacco, Pips-
Piper era una delle sue più care amiche sin dai tempi dell’asilo.
Erano cresciute praticamente insieme loro due e Thalia.
Era forse per questo che, una volta alle superiori, aveva deciso di cambiare.
Non voleva essere tagliata fuori dalle vite delle due persone più care.
Ma il continuare a fingere di essere ciò che non era, la stava opprimendo.
Non vedeva l’ora di andarsene da New York, di andarsene da loro e ricominciare da zero.
Non è vero quando le persone dicono che essere famose o popolari ti senti padrone del mondo.
Lei si sentiva un uccellino in gabbia, che cinguettava la voglia e il desiderio di libertà.
-Tranquilla Annie, non me la sono presa così tanto. No okay forse un po’ si, ma è passato ormai, sul serio- le sorrise Piper poggiando la testa sulla spalla dell’amica- Mi devi raccontare cosa è successo di tanto disastroso da lasciarmi lì da sola, non è da te-
Annabeth le raccontò tutto riguardo Luke, omettendo però il suo incontro con Jason Grace e Percy Jackson.
Se le avesse raccontato anche di quello, avrebbe perso sicuramente l’attenzione dell’amica e lei aveva bisogno dei suoi consigli.
Piper era infondo una brava ascoltatrice, le dava sempre delle ottime dritte con i ragazzi, specialmente con Luke.
-Se non ti sentivi pronta, hai fatto benissimo, ma gli devi parlare perché questo argomento non può essere il vostro tabù- disse infine Piper.
Anche Piper lo diceva, prima ne avrebbe parlato prima si sarebbe risolta quella soluzione.
Annuì arrotolando una ciocca di capelli con le dita.
-Sei felice con lui?- le domandò l’amica.
Annabeth non seppe risponderle subito.
Nessuno le aveva mai fatto quella domanda.
Era felice con Luke? Sarebbe stata forse la risposta più ovvia di tutte, ovvio che era felice con lui.
Era il suo ragazzo, come poteva non esserlo?
Ma quel si non le usciva tanto facilmente dalle labbra e non ne capiva il perché.
Amava Luke, erano insieme da quasi un anno.
Ma era davvero quella la felicità?
Luke non l’amava neanche per come lei era veramente.
Stava con la sua maschera, il suo alter ego, ma non amava la vera se stessa.
Uno come lui non avrebbe mai amato una persona come Annabeth.
Troppo appassionata alla lettura e con la voglia di scoprire il mondo.
Luke  le si era avvicinato soltanto per il ruolo che lei aveva studiato a scuola.
Inizialmente stava con Annabeth solo perché era popolare, certo, non come le sue amiche, ma anche lei era conosciuta nella scuola.
E, quindi, Luke era sul serio la sua felicità?
Lo era, ma solo in parte.
-Si, ovvio, se non ci starei insieme- mentì Annabeth.
Era più facile dire quello, piuttosto la verità.
Piper sicuramente l’avrebbe bombardata di domande dopo.
-Perché Jason Grace ti sta sorridendo?- le chiese Piper.
Annabeth guardò nella stessa direzione dell’amica notando il sorriso del ragazzo.
Jason alzò la mano in segno di saluto e lei ricambiò.
-Tranquilla, Pips, non ho intenzione di rubartelo, siamo solo mezzi amici- 
-All’improvviso?-esclamò Piper guardandola accigliata.
Annabeth fece spallucce.
Piper non parlava mai da piccola con il ragazzo, al contrario di Annabeth.
Ricordava delle lunghe chiacchierate che faceva con lui commentando i loro libri preferiti.
Annabeth e Piper passarono il resto del pranzo a chiacchierare e quando la campanella suonò, Annabeth decise che avrebbe parlato con Luke dopo scuola.



Angolo Autrice:

Hello Everybody!
Sono di nuovo qui, più carica che mai.
Sono sopravvissuta, non so come al stressante mese di maggio e ora spero di passare l'estate in santa pace, cercando di aggiornare con più regolarità.
Anche perché, se continuo con gli aggiornamenti di ogni volta al mese, finisce nel 2020 questa storia, e non mi sembra il caso.
Piaciuto il capitolo?
Lo so, di Percy ed Annabeth c'è ben poco, ma morivo dalla voglia di descrivere la storia dal punto di vista di Luke.
Scrivere ciò che pensa, i suoi piani malvagi.
E poi...*rullo di tamburi* THALIA!
Sono curiosa di sapere se vi aspettavate una cosa del genere, fatemi sapere se vi piace quest'intreccio che ho creato.
La mia unica preoccupazione (come sempre, in ogni capitolo Ram ha la sua preoccupazione) era far passare Thalia per una poco di buono.
Ho cercato di descrivere al meglio le sue emozioni e spero che questo non si sia frainteso.
Annie e Pips, aw, io le amo.
In ogni mia storia loro due sono sempre migliori amiche.

Volevo ringraziarvi ancora una volta.
Davvero, è meraviglioso leggere le vostre recensioni, siete fantastici!
Alla prossima semidei,
Bacii vostra Ram
♡♡

Post Scriptum:
Ho creato degli account per alcuni social.
Se volete parlarmi, sclerare con me, o semplicemente chiedermi qualcosa basta contattarmi sul mio profilo di fb.
Sul gruppo, invece, metterò qualche anticipazione, parleremo di tutto ciò che riguarda le mie storie.
Ask l'ho creato perché lo trovo molto carino, quindi se volete farmi qualche domanda, non esitate!
Vi adoro
|Ask| Profilo Facebook| Gruppo Facebook|



Nel angolo gif di oggi vi presento alcuni personaggi della storia:

Ovviamente come Thalia non poteva non essere che Kaya Scodelario.
Chi ha seguito Nascosta dietro una maschera conosce benissimo il mio amore per lei *-*


Per quanto riguarda Luke, ho deciso di lasciare Jake Abel.
Mi convince, ma non al cento per cento.
Lo trovo troppo tenerello :3


*rullo di tamburi*
la mia Piper perfetta è sicuramente Victoria Justice.
E' così bella e ricordo ancora i bei tempi di Victorious.


Infine, per Jason Grace, eccovi il bellissimo Alex Pettyfer.
Scontatissimo nel suo ruolo, ma lo trovo perfetto per Jason *-*






 

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