Cronache dal Quartier Latin

di Winry977
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Marienne, 1. ***
Capitolo 2: *** Marienne, 2. ***
Capitolo 3: *** Jin, 3. ***



Capitolo 1
*** Marienne, 1. ***


La prima volta che varcò la soglia del Quartier Latin, Marienne era rimasta affascinata e impressionata allo stesso tempo.

Forse per via della polvere e del disordine, d'altro canto l'edificio era popolato fondamentalmente da ragazzi, ma ciò che le era piaciuto non appena ne aveva varcato la soglia era stata l'aria di cultura e di vissuto che travolgeva chiunque; era come se l'edificio pulsasse di vita. Ogni discussione, ogni voce che rimbombava per le scale del Quartier Latin faceva venire voglia di iscriversi ad ogni club.

In un certo senso, Marienne si era subito sentita a casa entrandoci. Era la stessa sensazione che le dava entrare in una biblioteca.

-Oi!- si sentì chiamare.

Non si era resa contro di essersi imbambolata a fissare l'enorme struttura che si ergeva attorno a lei, così come non si era accorta del ragazzo occhialuto che da un piccolo soppalco la stava fissando incuriosito della sua presenza.

-Hai bisogno di qualcosa?

In realtà non sapeva perché era entrata lì dentro. Quel pomeriggio, una volta finite le lezioni, Marienne non aveva avuto alcuna voglia di tornare a casa e così aveva cominciato a girovagare per la scuola, alla ricerca di qualcosa di più interessante. Anche perché, sola com'era, non aveva di meglio da fare.

-Ehm…- cominciò. Forse le serviva una buona scusa per poter restare lì. In effetti, rifletté, non sapeva se si poteva stare lì senza essersi iscritti a qualche corso. -Vorrei iscrivermi a qualche corso, ma non so quale, potrei fare un giro?

La perplessità e la curiosità crebbero nello sguardo nascosto dalle grandi lenti del ragazzo, ma acconsentì.

Bene, si disse, guardandosi attorno. Da dove avrebbe potuto cominciare? L'edificio aveva così tanti piani che se fosse dipeso da lei, ne avrebbe esplorato uno per giorno. Beh, pensò, cominciamo dal piano terra.

Entrando, aveva attraversato un piccolo corridoio, pieno di oggetti di studio e di cose inusate che in quel momento proprio non avrebbe voluto toccare. Non davano proprio il senso del pulito. Invece, nella sala in cui si trovava, che doveva essere il cuore della struttura, erano ammucchiate cose ben più interessanti: libri, pergamene, strumenti per l'osservazione delle stelle o di qualche altra materia scientifica…

Si sarebbe soffermata a studiare un qualsiasi oggetto lì presente, ma l'idea di essere iperscrutata dal ragazzo occhialuto sul soppalco non la ispirava per niente.

Alla fine optò per salire la prima rampa di scale, la cui prima tappa era il club di filosofia. Club per così dire, considerato che si trattava di uno stanzino in legno costruito su uno scalino più ampio rispetto al resto delle scale (così come altri club). Si e no, avrebbe potuto occupare tre metri quadrati. Non ebbe nemmeno il tempo di bussare sul legno sgualcito dal tempo, che la tenda che fungeva da porta fluttuò nell'aria con un movimento brusco e ne uscì un ragazzo alto almeno il doppio di Marienne. -Benvenuta!

Le era quasi preso un colpo. -Sei qui per unirti al mio club, vero? Di cosa ti andrebbe di discorrere?- il tipo era così incalzante che Marienne non aveva nemmeno il tempo di rispondergli. -Potremmo iniziare da Talete di Mileto sino ad arrivare ai giorni nostri, o magari ti interessa qualche filosofo in particolare? Come Hegel, per esempio, oppure…

Un forte rumore proveniente dal piano superiore lo interruppe. Una porta sbatté e dei piedi corsero frettolosi giù per le scale, ma come se la vista di una ragazza li avesse impressionati, si fermarono di botto. -Oh, qualcuno è rimasto intrappolato, qui!- si trattava di un gruppetto di chimici, sopra le divise indossavano dei camici e, in viso, delle mascherine.

-Dannati, come osate…

-Tutti giù!- esclamò l'ultimo della fila, inducendo gli altri a scendere più vicini al ragazzo filosofo e a Marienne; uno di loro, poco più alto, si mise tra di loro, e coprì la ragazza con un braccio, avvicinandola a sé. -Ma che…- si sentì un tonfo provenire dalla stanza di sopra, e poi una nuvola di gas arancione invase tutto il corridoio, sino a scendere su di loro, facendoli tossire.

-Oh voi chimici…- borbottò il filosofo tra un colpo di tosse e l'altro.

Il ragazzo che si era frapposto tra lui e Marienne scrutò prima lei, incuriosito, poi ammiccò e si rivolse all'altro. -Non ti preoccupare, l'arancio svanirà in un paio di giorni!- e ridacchiando salì su per le scale, trascinando con sé la ragazza, mentre il filosofo si era rinchiuso preoccupato nel suo piccolo antro. -Scusa per prima, è che il mio collega la tira un po' per le lunghe di solito.

-Oh, grazie, io…

-Ora va! E poi fai una visita anche da noi!- e sghignazzando con i suoi colleghi rientrò nella stanza da cui era uscito il fumo arancione.

-Mi sento più confusa che persuasa- si disse tra sé e sé Marienne, ma proseguì comunque.

Quasi non inciampò negli scatoloni e nei libri sparpagliati per terra, che tracciavano una scia verso il club di poesia, da cui si udivano delle voci intente a recitare dei versi. Ma quello non era di certo il genere di club a cui avrebbe preso parte, perciò lo oltrepassò senza alcuna cura.

Continuando a salire si imbatté in club o studenti piuttosto insoliti, sia per i tipi di club, sia per come erano integrati all'edificio -alcuni consistevano in tende, altri in stanzini, anch'essi in legno, che avevano l'aspetto di piccole abitazioni. Qualcuno aveva interrotto il proprio lavoro, curioso di capire chi fosse e cosa ci facesse lì, qualcun altro aveva tentato un vago approccio, ma Marienne non si era dimostrata più loquace di quanto non avesse fatto coi chimici del primo piano. Tuttavia, era comunque riuscita a dare uno sguardo a buona parte dei club, eppure nessuno era riuscito a interessarla più di tanto.

Il club di letteratura era affascinante, così come quello di arte, ma Marienne, per la prima volta in vita sua, si accorse di quanto lei potesse essere pignola in fatto di avere compagnia. Era stata da sola sin dal momento in cui si era trasferita in quella scuola media superiore; la cosa non le dispiaceva poi così tanto -fatta eccezione per alcuni momenti di crisi-, anzi si trovava meglio. La vitalità degli altri la contagiava anche senza doverci avere a che fare, ed il Quartier Latin era il posto perfetto in fatto di produttività. Quindi aveva solo bisogno di un posto in cui potesse restare da sola, ma anche dare sfogo alla sua creatività.

Continuò a salire le scale, nonostante più salisse, più si facevano scricchiolanti, finché, sempre tra la polvere ed il disordine, non trovò un'aula vuota. Al solito, la stanza sembrava fungere da ripostiglio, nonostante tutto il Quartier Latin si potesse considerare un enorme ripostiglio in quello stato, ma la cosa che attirò di più la sua attenzione fu un pianoforte posto al centro della stanza.

Appoggiati alle pareti c'erano altri strumenti, come un violino senza corde ed un sassofono semi smontato, mentre il pianoforte era circondato da ogni angolazione da montagne di spartiti. Quasi le mancava il fiato per l'emozione. A lato degli infissi della porta, era affisso un foglio di carta, quasi del tutto strappato, dove era scritto che quella era l'aula di musica. Eppure era strano che non ci fosse nessuno a suonare, considerata tutta quella vivacità.

Entrò, quasi in punta di piedi, e dopo aver scrutato in lungo e in largo la stanza, prese posto allo sgabello di fronte al pianoforte. Fece un respiro profondo, stirò le dita e cominciò a suonare.

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Capitolo 2
*** Marienne, 2. ***


I tasti scorrevano sotto le sue dita, sembrava che li sfiorasse a stento, ma la musica che proveniva dalla stanza, inutilizzata per così tanto tempo, era melodiosa. Il tempo avrebbe dovuto usurare le corde e il pianoforte avrebbe dovuto essere usurato, ma in realtà sembrava più nuovo di quello che sembrava.

Era come se Marienne fosse entrata in una sorta di stato di trance o forse di isolamento, nemmeno lei sapeva descriverlo: quando suonava entrava in un mondo tutto suo e non esisteva nient'altro.

Ecco, pensò, ecco cosa farò dopo la scuola.

Ma era solo un pensiero passeggero, effimero e presto annullato dalle note musicali.

Poi, un rumore.

Qualcosa alle sue spalle le fece mancare un tasto, distraendola.

Anzi, qualcuno.

Si voltò di scatto, interrompendo la melodia. Sulla soglia della porta diversi ragazzi si erano ammassati ad ascoltarla. Tra i primi ascoltatori c'erano il chimico, che l'aveva “protetta” dal gas arancione quando era arrivata, appoggiato allo stipite della porta con un mezzo sorriso, e un altro ragazzo, mai visto prima, nemmeno nei corridoi scolastici, alto, dai capelli corti ma leggermente mossi, che la scrutava con un'espressione indecifrabile dietro gli occhiali squadrati. Alcuni ragazzi, quando avevano visto che si era accorta della loro presenza, se l'erano data a gambe, e così facendo, ad ascoltarla erano rimasti circa cinque o sei ragazzi.

C'era pure il “filosofo”, apparentemente commosso. -B-b-bravissima.- tirò sul col naso, spazzando il silenzio imbarazzante.

-Concordo.- sogghignò il chimico. -Che ne dici, Maeda,- diede una gomitata al ragazzo con gli occhiali, -potreste riaprire il club di musica.

Il ragazzo soffermò lo sguardo su quello di Marienne ancora per qualche interminabile istante, accennò ad un sorrisetto e se ne andò.

Marienne si chiese se stesse ancora respirando o se stesse per collassare. Non si era mai sentita tanto a disagio: di rado qualcuno la ascoltava suonare, e da quando si era trasferita nel piccolo ostello in cui soggiornava al momento, privo di pianoforte o di qualsiasi altro strumento, non aveva più suonato.

Strinse i denti, avvampando, sentendosi tutti quegli sguardi addosso. Non sarebbero stati quei quattro ragazzi curiosi a impedirle di nuovo di suonare. Sarebbe tornata. E con questi pensieri, attraversò il gruppetto di curiosi, scese le scale e uscì dal Quartier Latin.

 

 

Passarono diversi giorni, e puntualmente, al termine delle lezioni, Marienne si recava al Quartier Latin per poter suonare, o semplicemente per poter stare da sola. Nelle rare occasioni in cui non suonava, si sdraiava sul pavimento e si lasciava andare ai suoi pensieri, nel tentativo di rilassarsi. Quando ciò accadeva, i curiosi diminuivano, anche se dal corridoio passavano spesso e volentieri il ragazzo del club di chimica e Maeda. Eppure non proferivano parola, né quando si immergeva nel silenzio né mentre suonava.

Il chimico aveva pronunciato solo una frase da quando era salito fin lassù, mentre il ragazzo misterioso non si era nemmeno pronunciato.

Solo a distanza di settimane la situazione cominciò a cambiare.

A lezioni concluse, proprio quando Marienne stava per avviarsi al Quartier Latin, proprio quando cominciò a piovere forte. Avendo dimenticato l'ombrello all'ostello non poté far altro che soffermarsi sull'uscio della scuola.

La pioggia era come un brano ininterrotto, per lei. Era la sua principale fonte di ispirazione, quando si trattava di comporre. Tuttavia, non accennava a smettere, e lei aveva bisogno anche solo di una tregua di due minuti per raggiungere l'edificio correndo.

Proprio non mi va di bagnarmi fradicia, sospirò appoggiandosi ad un muro.

-Devi andare al Quartier?- una voce dietro di lei la fece sobbalzare. Girandosi notò che era Maeda.

-Ecco…- con la coda dell'occhio guardò nuovamente fuori. No, la pioggia non aveva smesso di picchiettare forte sul cemento. -Praticamente si.

L'altro ridacchiò. -E teoricamente?

-Beh,- arrossì lievemente, cogliendo la battuta. -teoricamente avrei voluto correre fin lì in un momento in cui la pioggia si fosse placata un po', ma…- entrambi guardarono fuori. Marienne inspirò il profumo della pioggia per placarsi. Non sapeva nemmeno perché si stesse agitando.

-Non preoccuparti.- armeggiò lui con la cartella, tirandone fuori un ombrellino. -Per oggi sei salva.

Senza darle il tempo di obiettare, lo aprì e la tirò sotto con sé.

Quasi per tutto il tragitto, Marienne trattenne il fiato. Non era abituata a quel genere di cose, figurarsi stare sotto un ombrello con un ragazzo che le aveva rivolto la parola quell'unica volta.

Una volta arrivati al vecchio edificio, la ragazza si scostò da lui quasi bruscamente, lo ringraziò con un veloce inchino e scappò nell'aula di musica.

Una volta lì, si lasciò andare sullo sgabello del piano, quasi completamente affannata.

Pian piano ristabilì il suo respiro ed appoggiandosi con un gomito ad alcuni tasti del pianoforte emise tre note.

Quasi ebbe un sussulto.

Riprodusse quelle tre note. Ancora, ancora e ancora, finché guidata dal crepitio della pioggia, non si lasciò andare a qualcosa di nuovo. Una musica un po' agitata, ma che si alternava a brevi momenti di tranquillità.

Chiuse gli occhi, e passando da quell'esperimento a un brano conosciuto, riuscì a mescolarli, creando un perfetto mix di classicità e novità.

Continuò imperterrita, perdendo la concezione del tempo, e quando il brano stava per concludersi, lei lo riprendeva da capo. Proseguì su quell'andazzo a lungo, fino a quando le dita non le fecero male ed i polsi non cominciarono a scricchiolare, ma nemmeno quello le importava. Aveva bisogno di stare in pace con se stessa.

Nel suo mix di melodie, ad un tratto se ne aggiunse un'altra. Nuova. Non troppo distante da lei. Un violino.

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Capitolo 3
*** Jin, 3. ***


-Jin! Jin!

Il ragazzo si girò in tempo, la sua ragazza gli era praticamente saltata addosso, abbracciandolo. -Ehi.- sussurrò piano, dandole un bacio sulla guancia.

Erano giorni che non si vedevano. Sia Ayame che Jin erano stati super impegnati con gli esami di fine semestre e non c’era stato alcun modo di incontrarsi: all’uscita ognuno di loro prendeva direzioni diverse -le loro case erano situate rispettivamente agli estremi della città di Yokohama, quella di Ayame a est, quella di Jin a ovest.

Finalmente erano finiti gli esami, il che significava che gli studenti avevano un periodo di tregua, le spiegazioni riprendevano e lo studio, sebbene non assiduo come nell’ultimo periodo, riprendeva. Ma era in queste prime giornate di “tregua” che gli studenti potevano approfittarne per incontrarsi e svagarsi un po’.

E Ayame aveva grandi progetti.

Si erano dati appuntamento fuori dalla scuola, giusto sui gradini dell’entrata, Ayame avrebbe illustrato a Jin i suoi programmi per i prossimi giorni: non aspettava altro che poter passare un po’ di tempo con il suo ragazzo.

-Però,- si fermò a riflettere Jin mentre sorseggiavano un caffè freddo in un piccolo bar di centro. -anche io avrei qualcosa da proporti.- i suoi occhi brillavano di aspettative.

-Dimmi tutto- fece capolino lei, curiosa, tirando su con la cannuccia il caffè nel bicchiere.

-Verrò ovunque vorrai, se per un giorno visiterai il Quartier Latin.

Quasi lei non si strozzò. Il Quartier Latin. Cosa ci sarebbe dovuto essere di tanto romantico in quel vecchio edificio malandato?

-Ma… Jin…- cercò le parole giuste per non offenderlo. Sapeva quanto il suo ragazzo adorasse quel luogo; “Si respira cultura lì dentro” le ripeteva spesso. Forse poteva anche avere ragione, ma era un posto talmente sporco e vecchio che di certo non attirava troppe ragazze. -Tu… tu sai come la penso sul Quartier…- azzardò mordicchiandosi il labbro.

-Precisamente.- si lasciò andare contro lo schienale della poltroncina su cui era seduto. Era sempre Ayame a decidere cosa fare e dove andare. A lui non dispiaceva, lei era una ragazza piena di iniziativa e lui, doveva ammetterlo, era un po’ pigro per mettersi ad organizzare qualcosa. Anche il bar in cui si trovavano in quel momento era stato scelto dalla sua ragazza, ed era carino, ma era arrivato il momento per Jin di cominciare ad avanzare anche lui delle proposte, se non voleva rischiare di scomparire in quella relazione.

-Voglio che tu conosca meglio questa parte di me.- iniziò lui, deciso. -E poi, scegli sempre tu i posti in cui andare e che cosa fare e…

-Non ti piacciono?- aveva già cambiato espressione, rattristandosi.

-Si che mi piacciono- sospirò, prendendole le mani, abbandonate sul tavolo. -Solo che voglio proporti anch’io qualcosa di interessante.

Lei riprese a mordicchiarsi il labbro inferiore, un po’ nervosa. Jin la stava fissando in attesa di risposta, praticamente pendeva dalle sue labbra e tutto sommato a lei non andava di deluderlo.

-E va bene.- disse non troppo convinta. Il viso di Jin si illuminò.

-Vedrai, non resterai delusa.

 

 

Ora restava solo da organizzare il tutto, rifletté Jin una volta di ritorno a casa. Sapeva già cosa fare, aveva una certa idea da un paio di settimane.

Per prima cosa doveva rivolgersi al presidente del Quartier Latin, Shiro Mizunuma. Jin lo conosceva abbastanza da potergli chiedere un favore o almeno qualche consiglio su come realizzare la sua idea di “regalo” per la sua ragazza. Il giorno dopo, al termine delle lezioni, lo avrebbe cercato.

Così fece: Ayame doveva lavorare ad un nuovo progetto con delle sue compagne di classe, e così avrebbe potuto approfittarne per organizzarsi. Varcando la soglia del Quartier Latin, già abbastanza popolato nonostante le lezioni fossero appena finite, si diresse di volata al club di archeo-ricerca, anche sede del giornalino scolastico, sicuro di trovare lì Mizunuma.

Entrando lo trovò preso da una conversazione con due ragazze poco più piccole di lui e con Kazama, collaboratore del giornale. Vedendolo uscire fuori dalla porta con una delle due, non poté fare a meno di seguirlo.

-Ehilà, Jin.- lo salutò con una mano, mentre teneva l’altra sulla spalla della ragazza più piccola di lui. Quando stavano uscendo, Jin aveva potuto sentire l’invito di Shiro ad accompagnare la studentessa più piccola fuori dal Quartier, in modo da evitare il filosofo.

-Oilà Shiro. Ho bisogno del tuo aiuto.- soffermò poi lo sguardo sulla ragazzina.

Mizunuma si affrettò a presentarli con la sua solita gentilezza. -Jin, ti presento Sora Matsuzaki,- lei fece un sorriso semi imbarazzato. -Signorina Matsuzaki, lui è Jin Sato.

-Molto piacere.- si strinsero la mano.

-S-se è un problema, io potrei andare comunque da sola.- balbettò Sora.

-Ma no, ma no; resta, un parere femminile non guasta mai.- rispose cortesemente Jin, scambiandosi uno sguardo con Shiro. -Or dunque- iniziò -dovrei organizzare una cosa… qui, al Quartier.

-Bene, se ne può parlare all’assemblea di domani.

Cominciarono a scendere le scale scricchiolanti, l’uno dietro l’altro.

-Si, ma non è così semplice.- borbottò Jin, ripensando allo sguardo poco convinto di Ayame. -Si tratterebbe di una cosa per la mia ragazza.- si fermò al penultimo gradino della scalinata. Il filosofo non si era fatto vivo. Si girò a guardare Mizunuma, che aveva già cambiato espressione, ora incuriosita. Sora Matsuzaki era sul suo stesso gradino, e mentre realizzava di cosa stesse parlando, le si illuminò il viso.

-Per la tua ragazza?- Shiro alzò un sopracciglio sopra gli occhiali quadrati.

-Q-quindi si tratterebbe di qualcosa di romantico?- si animò l’altra. Jin arrossì violentemente, però annuì. -Se è per l’assemblea,- Sora guardò Shiro -mi farò in quattro perché si possa realizzare qualsiasi cosa abbia in mente questo ragazzo!- disse tutto di un fiato.

Mizunuma stava riflettendo; poi alzò lo sguardo sull’amico. -E quale sarebbe la tua idea?

Prima che Jin potesse aprire bocca, in tutto l’edificio si diffusero delle note di pianoforte.

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