Blow up louder!

di ShioriKitsune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Blow up louder!


(ssak da bultaewora, pow wow wow)




1.

Jeongguk fu svegliato da un insistente bussare alle prime luci dell'alba.

«Jeon».

Non rispose.

«Jeongguk».

Ancora nulla.

Yoongi sospirò, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. «Apri la porta, moccioso. Adesso».

E quel tono basso e minaccioso il minore proprio non poteva ignorarlo.

Aprì gli occhi e scalciò via le coperte, facendo scattare la serratura con il viso metà tra l'addormentato è il crucciato. «Cosa, hyung?».

Non usare quel tono con me, lo minacciò l'altro con gli occhi. «Namjoon ti vuole pronto in venti minuti. Hai un lavoro».

Jeongguk lanciò uno sguardo all'orologio appeso alla parete e grugnì. «Sono le sei del mattino! Non avrebbe potuto aspettare qualche ora in più?».

Yoongi serrò la mascella e assunse una postura così imponente che la differenza d'altezza svanì per qualche secondo. «Hanno dovuto svegliare me, per venire a svegliare te, e sai come reagisco quando i miei occhi sono aperti prima delle undici. Quindi, se non vuoi che questo hyung ti modifichi le connotazioni facciali, ti conviene presentarti alla base senza lamentarti».

Il minore sospirò, tornando dentro per prepararsi.

 

 

«Di cosa si tratta?».

«Un hacker sta cercando di penetrare il sistema di un'importante industria che, presumibilmente, ha troppe faccende losche alle spalle per potersi permettere un problema del genere. Vogliono che tu lo faccia fuori nel minor tempo possibile».

Jeongguk roteò gli occhi, incrociando le braccia. «Non avrebbero potuto farlo loro? È un nerd, quanto pensi ne sappia di autodifesa?».

Namjoon alzò un sopracciglio. «Se tutti ragionassero in questo modo, il nostro lavoro sarebbe inutile e ci ritroveremmo tutti a dormire sotto un ponte».

La base della loro organizzazione era un modesto ufficio al secondo piano di un palazzo, al centro della città. Era stata un'idea del loro capo, Kim Namjoon, evitare posti isolati che potessero attirare l'attenzione. In fondo, la loro attività non era propriamente legale.

«Okay, okay, e dove posso trovare questo tizio?».

«Hoseok lo sta rintracciando proprio adesso, ma quell'hacker è abbastanza in gamba: usa connessioni criptate e difficili da scovare, ma confido nel talento della nostra squadra».

Jeongguk lanciò un'occhiata ad Hoseok, che alzò lo sguardo dal computer per un momento e gli rivolse un sorriso luminoso.

«Cosa sappiamo di lui?».

«Molto poco. I database non hanno trovato un riscontro facciale né anagrafico, quindi non sappiamo cosa aspettarci. In effetti, non sappiamo neanche se sia un uomo o una donna».

Il minore aggrottò la fronte. «E come dovrei liberarmi di questo tizio se non so neanche quale sia il suo aspetto?».

Namjoon sospirò, sfogliando i documenti fornitigli dal cliente. «Sappiamo che sul web è conosciuto con lo pseudonimo V».

Giusto, adesso il cerchio si restringe.

Jeongguk si limitò a sistemarsi la giacca e nascondervi la pistola all'interno, evitando di dar voce ai suoi dubbi. Ma Namjoon, da bravo capo qual era, non aveva bisogno che la sua squadra parlasse per capire cosa passasse loro per la testa.

«Non preoccuparti, Gukkie, sono certo che farai un ottimo lavoro. Sei il nostro miglior sicario per una ragione».

La ragione era che era l'unico sicario del gruppo, a parte Yoongi che però era troppo pigro per scendere in campo se non in situazioni di estremo bisogno.

«Certo, uhm, grazie hyung».

«Ti manderò le informazioni tramite email quando aggancerò il server da cui si connette V», aggiunse Hoseok. «Per ora puoi andare».

Jeongguk annuì, allontanandosi dall'ufficio senza aggiungere altro.

 

 

Se qualcuno gli avesse chiesto come diamine si fosse trovato, a soli vent'anni, a fare il sicario di professione, Jeongguk avrebbe semplicemente fatto spallucce. Per quanto ne sapeva, era cresciuto con la pistola in mano.

La famiglia di Namjoon svolgeva quest'attività da anni ed era stato un fortuito caso che suo padre, il signor Kim, avesse trovato il piccolo Jeongguk nascosto in un angolo della sua stanza, le braccia strette intorno al corpo e le minute mani che nascondevano il viso in lacrime, dopo aver assistito all'omicidio dei suoi genitori da parte di una qualche associazione criminale.

Jeongguk all'epoca non sapeva che la sua famiglia fosse invischiata con la mafia, ma dopo quel giorno decise di non voler essere più tenuto all'oscuro di nulla.

Il signor Kim era stato chiamato dal padre di Jeongguk quella stessa sera, perché quest'ultimo aveva bisogno di commissionargli un lavoro. Ma i suoi avversari erano stati più veloci di lui e il signor Kim era arrivato quando non c'era più nulla da fare.

Decise di portare il bambino con sé e crescerlo con la sua famiglia e, qualche anno più tardi, si scoprì soddisfatto di quella decisione.

Jeongguk era un fenomeno: tutto ciò che le sue mani toccavano diventava oro e sembrava avere un talento innato per l'omicidio a sangue freddo. Non c'era nulla che il minore non sapesse fare e questo aveva fruttato molti guadagni alla loro attività.

Si potrebbe pensare che non avesse un cuore, per essere così indifferente davanti alla morte, ma la verità era che aveva capito una cosa sola della vita, ed era quella giusta: uccidi o verrai ucciso.

 

Jeongguk camminava con le mani nelle tasche, indeciso su cosa fare in attesa delle informazioni.

Optò per una breve sosta in caffetteria, dato che il suo organismo aveva ancora problemi a realizzare il fatto di essere in piedi alle sette del mattino e aspettò pazientemente che la ragazza al bancone prendesse il suo ordine.

Ma quando si voltò, la tazza fumante in mano, pronto a tornare ai suoi obblighi, si scontrò con qualcosa.

Beh, qualcuno.

«Oh mio Dio! Mi dispiace! Stai bene?»

Jeongguk sospirò, abbassando lo sguardo sulla sua maglietta pulita che adesso sfoggiava un'enorme chiazza di caffè proprio al centro. Il ragazzo, in piedi di fronte a lui, gli stava rivolgendo uno sguardo colpevole.

«Uhm, sì, sto be-»

«Te la ricomprerò! E ti ricompro anche il caffè! Mi dispiace così tanto, sono sempre sbadato e non guardo mai dove metto i pie-».

«Ehi», lo interruppe Jeongguk, aggrottando la fronte. «Ho detto che sto bene, non preoccuparti. È solo una maglia».

L'altro sporse il labbro inferiore, passandosi una mano tra i capelli. Erano di un tenue lilla, un colore insolito per un ragazzo, ma Jeongguk pensò che non gli stessero affatto male. «Permettimi almeno di offrirti il caffè», mormorò, stringendosi nelle spalle.

L'altro guardò il cellulare. Non aveva ricevuto ancora nessuna informazione da Hoseok e aveva del tempo da ingannare, quindi...

«Va bene».

Il viso dello sconosciuto s'illuminò in un sorriso rettangolare. «Arrivo subito!», disse, fiondandosi verso la cassa e ordinando due caffè da portar via.

Qualche minuto dopo, camminavano fianco a fianco per la strada, le bevande calde in mano.

«Io sono Taehyung, comunque», si presentò il ragazzo, allungando la mano.

«Jeongguk».

Taehyung sorrise.

I due passeggiarono per un po', chiacchierando del più e del meno.

In quel breve lasso di tempo, Jeongguk scoprì che Taehyung era più grande di lui di qualche anno e che studiava all'università, che quell'anno si sarebbe laureato in lingue straniene e che amava i bambini e gli animali più di ogni altra cosa al mondo.

«E tu invece, cosa fai nella vita?».

«Uhm», Jeongguk esitò. «Lavoro per l'azienda di famiglia».

Taehyung annuì, interessato, sorseggiando il suo caramel macchiato. «E di cosa ti occupi?».

Niente di che, giusto qualche omicidio qui e lì. «Relazioni pubbliche».

«Wow! Devi essere davvero talentuoso per ricoprire un ruolo così importante alla tua età!».

Il minore fece spallucce.

In quell'istante, il telefono nella sua tasca vibrò.

 

» Nuova email da: Hoseok-hyung

Rintracciato, ah! Segui l'indirizzo allegato alla mail. Buon lavoro, Jeonggukie!!”

 

«Ehi, adesso devo andare. Il lavoro chiama».

«Ah, certo! Mi dispiace per averti trattenuto così a lungo, Jeongguk-ah!».

Jeongguk fece un cenno con la mano. «Grazie per il caffè».

Ma quando si voltò per andare via, la voce dell'altro lo trattenne. «Uhm! Beh, so che ci siamo appena incontrati e tutto il resto, ma ti andrebbe, non so, di scambiarci i numeri? Così potremmo vederci per un altro caffè o... non so». Taehyung ridacchiò, imbarazzato.

In quel momento, Jeongguk fu colto dall'indecisione.

Non aveva amici, escludendo la sua squadra, perché era rischioso avvicinarsi a gente esterna. Ma quel ragazzo sembrava a posto e forse, pensò, non gli avrebbe fatto male fingere di essere normale, una volta tanto.

«Uhm, certo».

L'altro gli rivolse uno dei suoi sorrisi rettangolari, porgendogli il proprio telefono. «Salva pure il tuo numero come preferisci, io e la tecnologia non siamo proprio in ottimi rapporti».

Jeongguk sollevò un sopracciglio, prendendo l'apparecchio dalle sue mani mentre cercava di reprimere un ghigno. «Sei un po' all'antica, per essere così giovane».

Taehyung fece spallucce.

Il minore salvò il suo numero sotto il nome di “Jeongguk” - non aveva proprio voglia di invetare qualcosa e poi quello era il suo nome, maledizione – e gli restituì il cellulare.

«Allora ci vediamo».

«Ci vediamo, hyung».

E Jeongguk si allontanò mentre l'altro agitava la mano a mo' di saluto.

 

 

«Sono davanti all'ingresso», mormorò.

«Perfetto», rispose Hoseok, a telefono. «Prendi le scale fino al terzo piano, il server mi ha indirizzato alla seconda porta sulla sinistra».

Il minore annuì, concludendo la telefonata senza perdere tempo in saluti.

Seguì le istruzioni fornitegli, forzando la serratura ed entrando il più silenziosamente possibile nell'appartamento.

Sembrava vuoto, ed era strano, ma Jeongguk aveva un udito abbastanza sviluppato da percepire il lievissimo rumore di passi proveniente dall'altra stanza. Impugnò la pistola tenendola davanti al viso, pronto a mirare, e quando aprì la porta con un calcio, si ritrovò davanti un ragazzo in pigiama dallo sguardo assonnato.

«Non urlare o sei morto». Non aggiunse che sarebbe morto comunque.

Questi, preso alla sprovvista, sgranò gli occhi e sollevò le mani in segno di resa. «Cosa? Che sta succede-chi diavolo sei?!».

Jeongguk si avvicinò lentamente, senza abbassare l'arma. «Fine dei giochi, V, ti abbiamo beccato. A qualcuno non sono andati giù i tuoi ultimi tentativi di hackeraggio al sistema».

All'altro quasi cadde la mascella. «Hackeraggio? V? Mi chiamo Jimin, maledizione! Park Jimin! E non sono capace di hackerare neanche il mio stesso profilo facebook!»

Jeongguk aggrottò la fronte, studiandolo. In effetti, non sembrava chissà quanto furbo o intelligente ma Hoseok non si era mai sbagliato.

«Per favore, signor assassino! Giuro che non sono io la persona che sta cercando! La prego, non mi uccida! Non posso morire prima di aver scoperto cosa c'è nella maledetta cantina di Eren Jaeger!».

A quello, il sicario sollevò un sopracciglio. Nello stesso istante, il telefono vibrò e si accinse a tirarlo fuori, portandolo all'orecchio senza spostare la mira dal ragazzo in ginocchio di fronte a lui.

«Hyung?»

«Il segnale si è spostato, Jeonggukie. Credo di aver fatto un buco nell'acqua».

Jeongguk sospirò. «L'avevo vagamente intuito».

«Che intendi?»

Jeongguk abbassò la guardia, rimettendo la pistola al suo posto mentre il ragazzo di fronte a lui riprendeva a respirare. Gli si avvicinò, decidendo cosa fare prima di rivolgersi nuovamente al suo interlocutore.

«Abbiamo un nuovo problema, Hoseok-hyung. E questo problema pare chiamarsi Park Jimin».

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Blow up louder!


(ssak da bultaewora, pow wow wow)




2.

«Per la settima volta, non sono io l'hacker che state cercando! Aish!».

Park Jimin grugnì, passandosi le mani tra i capelli.

Jeongguk l'aveva portato alla base qualche ora prima e, insieme agli altri, l'aveva sottoposto ad un serrato interrogatorio. Namjoon e Yoongi fissavano la scena in silenzio, pensierosi, mentre Jeongguk e Hoseok si occupavano delle domande.

«Okay, ascolta, ti crediamo», disse Hoseok all'improvviso, beccandosi un'occhiataccia da Jeongguk. “Cosa c'è?” gli domandò con lo sguardo, gli occhi grandi e falsamente innocenti. Il minore si limitò a sospirare e tornò a focalizzare la sua attenzione sull'intruso.

«Ammesso che tu stia dicendo la verità, devi dirci esattamente chi ha accesso al tuo appartamento. Se il segnale proveniva da lì, ci sarà un motivo».

Jimin si grattò la testa, curvando le piccole spalle. «Vivo solo da circa tre anni, da quando il mio ragazzo mi ha lasciato...».

Hoseok emise uno strano suono. «Mi dispiace, Jiminie! Dev'essere stato brut-».

«Hyung».

Questi si schiarì la voce, avvertendo la minaccia in quell'unica parola da parte di Jeongguk e fece segno all'altro di continuare.

«I miei genitori vivono a Busan e non vengono a trovarmi spesso, e i miei due unici amici non hanno proprio l'aspetto di hacker-»

«Questo sta a noi deciderlo», s'intromise Namjoon. «Dacci i nomi».

Jimin sospirò. «Kim Taehyung e Kim Seokjin. Conosco Taehyung praticamente da quando eravamo nella culla e vi posso assicurare che è un completo idiota, forse più di me».

«Non credo sia possibile», borbottò Jeongguk, ma l'altro finse di non sentirlo.

«Seokjin ed io siamo amici da meno tempo, e nonostante lui sia bello ed intelligente non credo che...». Si bloccò, all'improvviso, sgranando gli occhi e portandosi una mano al petto. «Oh mio Dio, non sarà mica Seokjin questo V che state cercando!».

Gli altri si scambiarono un'occhiata. «Quand'è stata l'ultima volta che è venuto a casa tua?»

«Uhm... ieri sera. Si è fermato fino a questa mattina, prima di andare a lavorare».

Hoseok si lanciò verso la sua postazione. «Potrebbe essere lui», disse, inserendo i dati nel database per scaricare tutte le informazioni possibili su questo nuovo indiziato.

«Dite che...? Aigoo! Mia madre mi ha sempre detto di stare attento alle mie amicizie!»

Jeongguk roteò gli occhi, perché questo ragazzo si rivelava più idiota ogni secondo che passava.

«Park Jimin», richiamò la sua attenzione Namjoon, lo sguardo severo. «Per adesso resterai qui, sotto controllo. Se ciò che hai detto è vero e tu non sei coinvolto, potrai tornare a casa quando questa faccenda sarà risolta, sotto la promessa di non rivelare nulla di ciò che hai visto o sentito. In caso contrario...».

Jimin rabbrividì, tappandosi le orecchie e decidendo di non voler sentire altro.

«Ah, e dovresti consegnarci il cellulare».

Jimin lanciò un'occhiataccia al minore, senza però contraddirlo. Quando gli porse l'apparecchio, Jeongguk si ritrovò a fissare la foto di due volti abbastanza familiari. Uno era proprio lì davanti a lui, ma l'altro...

Non avrebbe potuto dimenticare quel colore di capelli per nessuna ragione al mondo.

Voltò il telefono in direzione del proprietario. «Questo qui è Taehyung?».

L'altro annuì. «Un bel pezzo di manzo, eh? Se solo non fosse il mio adorato bro for life. Ma ehi, non pensarci nemmeno! Sta' lontano da quell'anima innocente e pura, prima di contaminarlo con i tuoi sguardi sexy e ghigni loschi».

Jeongguk roteò gli occhi, infilandosi il cellulare in tasca.

Che stramba coincidenza, pensò vagamente divertito mentre usciva, lasciando che per il momento il resto della squadra si occupasse della faccenda.

 

Una volta a casa, si distese sul letto a pancia in su senza preoccuparsi nemmeno di togliersi i vestiti.

Hoseok gli aveva detto di prendersi il giorno libero mentre loro si occupavano, con la collaborazione di Jimin, di scovare informazioni utili sul loro presunto uomo, Seokjin.

Stanco com'era a causa della sveglia anticipata, era bloccato in quel momento tra veglia e sonno quando il cellulare gli vibrò nella tasca ma no, non era il suo.

 

» Da: Taehyungie

“Minnie!!!! Dimmi che non sei così preso da Shingeki no Kyojin da non potermi neanche rispondere!!!! Devo dirti una cosa!!!!!”

 

Jeongguk fissò il cellulare per tre minuti buoni, chiedendosi perché esattamente avesse deciso di aprire l'sms invece di ignorarlo e basta, come qualsiasi altra persona sana di mente avrebbe fatto.

Non sapeva cosa fare.

Se avesse visualizzato e non risposto, Taehyung si sarebbe preoccupato per il suo amico – dando una rapida sbirciata alle precedenti conversazioni, non c'era stata neanche una volta in cui Jimin non gli avesse risposto – e il solo pensiero lo fece corrucciare.

Così, optò per l'unica soluzione praticabile.

 

« A: Taehyungie

“Bro!! Racconta!!”

 

Il minore storse la bocca a quel modo di messaggiare totalmente non da lui, ma doveva calarsi nei panni di Jimin...

 

» Da: Taehyungie

“Ho conosciuto un ragazzo, Jimothy!! Un Dio greco nel corpo di un ventenne. Ci siamo scambiati i numeri ma ho paura di scrivergli!!!!! >____< Che faccio se non mi risponde??? :( ”

 

Jeongguk esitò, sentendo le proprie guance avvampare.

Dio greco, uh, pensò, cercando di non sentirsi troppo lusingato.

 

« A: Taehyungie

“Dovresti scrivergli TaeTae. Se è veramente così bello come dici non puoi lasciartelo sfuggire, no?? ;)) E poi non puoi sapere se non ti risponderebbe, magari ti avrebbe scritto lui se gli avessi lasciato il tuo numero eheheh”

 

Il moro si rese conto della gaffe nel momento esatto in cui schiacciò invio.

Maledizione.

 

» Da: Taehyungie

“Come fai a sapere che non gli ho lasciato il mio numero???? Sono così prevedibile????”

 

« A: Taehyungie

“Ci conosciamo da quanto, Taehyungie??”

 

Quando la risposta seguente arrivò, ricca di emoticon divertite, Jeongguk si lasciò scappare un sospiro di sollievo.

Non passò molto prima che fosse il proprio cellulare ad illuminarsi, stavolta.

 

» Da: Sconosciuto

“Ehi, Jeongguk-ah! Sono Taehyung, uhm... ti ricordi, vero? Ci siamo incontrati stamattina... :)”

 

Jeongguk alzò un sopracciglio, sorpreso dal cambio di tono del messaggio. Sapeva scrivere come un ventiduenne, quindi. Ghignò, digitando la risposta.

 

« A: Taehyung

“Ciao Taehyung! Certo che mi ricordo”

 

Breve e conciso.

Beh, noioso anche. Il ragazzo storse il naso ma inviò comunque.

 

» Da: Taehyung

“Bene! Ahaha Senti, uhm, non vorrei sembrare affrettato ma non ho niente da fare e mi chiedevo se tu fossi libero... per quel caffè, ecco! :D”

 

Jeongguk non avrebbe mai ammesso, neanche a se stesso, quanto rapidamente rispose a quell'sms.

 

« A: Taehyung

“Okay. Al bar di stamattina tra un'ora”.

 

 

Il minore arrivò prima del previsto e, in quel lasso di tempo, iniziò a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta.

Non era da lui cercare contatti con altra gente, né accettare così velocemente un invito. Si disse che era solo per noia, perché quella sera non avrebbe avuto niente di meglio da fare e che magari avrebbe potuto sfruttare l'occasione per scoprire qualcosa in più su Jimin e su Seokjin.

Spostava il peso ripetutamente da un piede all'altro, le mani nelle tasche dei jeans, in attesa. Decise alla fine di sedersi e impiegare il tempo con qualche gioco al cellulare, per evitare di pensare troppo.

«Non ti facevo tipo da LoveLive!»

Jeongguk alzò la testa e Taehyung era lì, sorridente. Forse addirittura più bello di quanto ricordasse.

Arrossì, infilando il cellulare in tasca.

«Cerco di tenere nascosto questo lato di me», ironizzò, ricambiando il sorriso. «Potrei perdere la mia aria misteriosa se qualcuno lo scoprisse, quindi non dirlo in giro».

Il maggiore ridacchiò, accomodandosi di fronte a lui. «Non temere, il tuo segreto è al sicuro con me».

Due bevande fredde e un pezzo di torta diviso in due dopo, i ragazzi sembravano andare più d'accordo del previsto. Jeongguk si stupì della vastità di cose che avevano in comune.

«Sono abbastanza turbato dallo scioglimento delle 4minute», ammise Taehyung con il volto crucciato.

Il minore annuì. «Mi aspetto un comeback di Hyuna con i fiocchi, almeno».

«Esatto! Il mio cuore non reggerebbe ad un'ennesima delusione!».

Ridacchiarono e continuarono a chiacchierare del più e del meno, ed ogni incertezza di Jeongguk sembrò sciogliersi come neve al sole. Come aveva anche solo potuto pensare che uscire con Taehyung non sarebbe stata una buona idea? Se solo avesse potuto, si sarebbe preso a schiaffi.

«Torno subito, Gukkie!», avvisò Taehyung, avviandosi verso il bagno.

Questi annuì, approfittando del momento per mandare un sms ad Hoseok.

 

« A: Hoseok-hyung

“Tutto bene con Park?”

 

Sospirò, mettendo il cellulare a posto.

 

* *

 

Jimin sentiva lo sguardo di Hoseok perforarlo. Si voltò, sollevando le sopracciglia. «Non posso andare da nessuna parte, non serve che tu mi fissi in questo modo. Mi metti a disagio».

Hoseok sbatté le palpebre e distolse lo sguardo, beccato sul fatto. «No, io.. uhm», ridacchiò, nervoso. «Stavo pensando che magari ti stai annoiando qui con me senza niente da fare, quindi magari potevamo fare conversazione per far passare il tempo». Fece spallucce.

Jimin sorrise.

«In effetti sì, mi annoiavo un po'. E tu? Non ti annoi qui, tutto solo ogni volta? Da quel che ho visto, sei l'unico che non ha il permesso di andare via».

Il maggiore si passò una mano sul collo. «Non è che io non abbia il permesso, solo che il mio lavoro è monitorare la situazione da questa postazione. Inoltre, al contrario di Jeongguk e Yoongi, non ho abilità sul campo, né il cervello di Namjoon per districarmi in situazioni complesse. Sono solo bravo con l'informatica», ridacchiò.

Jimin annuì, avvicinandosi a lui. «Dove sono gli altri, adesso?».

«Jeongguk ha la giornata libera, quindi sarà a casa a riposare. Yoongi e Namjoon sono in giro a fare dei lavori, non dovrebbero tornare prima di domattina».

Il sorriso di Jimin si trasformò in un ghigno. «Vuol dire che resteremo soli... fino a domattina?».

Il tono del minore lasciava davvero poco all'immaginazione. Hoseok arrossì, distogliendo lo sguardo. «B-beh, credo di s-sì, perché me lo chie-».

Ma non fece in tempo a terminare la frase che le labbra dell'altro catturarono le sue in un bacio che di casto aveva poco e niente. Sgranò gli occhi, senza però avere la forza di allontanarlo.

Quando Jimin interruppe il contatto, Hoseok rimase a guardarlo a bocca aperta. «C-cosa...?»

«Mi dispiace, Hoseok-hyung», iniziò il minore, un sorrisetto a piegargli gli angoli della bocca. «Sembri una persona interessante e in un'altra occasione mi sarebbe davvero piaciuto uscire con te, ma...». Lo guardò negli occhi, prendendogli il volto tra le mani. «Il lavoro è lavoro».

Detto questo, gli assestò un colpo così potente che Hoseok non ebbe neanche il tempo di chiedersi cosa stesse succedendo, prima di finire al tappeto.

Jimin si guardò intorno, l'espressione ingenua di prima ormai sparita dal suo viso. Legò il maggiore alla scrivania e lo imbavagliò, sicuro che non sarebbe comunque riuscito a riprendersi per un po'.

Dopodiché, tirò fuori dalla tasca una penna USB, infilandola nel computer.

 

COPIA DATI IN CORSO

 

Ghignò.

Era stato davvero facile, più del previsto.

In quell'istante, il cellulare di Hoseok vibrò.

 

» Da: Jeonggukie

“Tutto bene con Park?”

 

«Moccioso insolente», borbottò questi. «Ti farò pentire di avermi dato dell'idiota»

 

« A: Jeonggukie

“Tutto bene, Jeonggukie! Ci vediamo domani”

 

Jimin lanciò uno sguardo al computer ticchettando le dita sulla scrivania, impaziente. Quando la finestra sullo schermo avvisò che la copia era completa, estrasse la chiavetta e se la infilò nuovamente in tasca. Poi, dal cellulare di Hoseok, inviò un altro messaggio.

 

« A: Sconosciuto

“Che la missione abbia inizio”

 

Ghignò, sapendo che V avrebbe apprezzato la sua velocità, ed uscì dall'ufficio senza guardarsi indietro.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Blow up louder!


(ssak da bultaewora, pow wow wow)




3.

» Da: Hoseok-hyung

“Tutto bene, Jeonggukie! Ci vediamo domani”

 

Jeongguk lesse il messaggio e bloccò lo schermo subito dopo, aspettando che Taehyung tornasse dal bagno. Ma non passò molto prima che sulla sua fronte si formasse una profonda ruga d'espressione, mentre le parole dell'sms gli rimbombavano nella testa.

Riaprì l'applicazione, rileggendo quell'unica riga, e quello che era solo un dubbio si trasformò in vera preoccupazione.

Quel messaggio era grammaticalmente corretto e senza emoji. Neanche una.

Era abituato ai messaggi di Hoseok, fuori dal lavoro, ricchi di faccine e punteggiatura inutile. Ma quello era così lineare che quasi non sembrava essere stato inviato da lui.

Sto diventando paranoico, pensò il moro, riponendo il cellulare nella tasca. È solo un sms.

«Hai un'aria corrucciata».

Jeongguk alzò la testa di scatto, sorpreso dalla voce di Taehyung. Non si era accorto del suo ritorno.

Questi gli sorrise, raggiante, poggiando il mento sul palmo della mano.

«Uh? No, uhm, stavo solo pensando, ma non è nulla di importante», rispose il minore, cercando di sviare il discorso. Di certo non avrebbe potuto dirgli cosa davvero lo avesse turbato.

In quel momento, gli venne in mente il vero (beh, più o meno) motivo per cui aveva deciso di uscire con Taehyung: carpire informazioni su Kim Seokjin.

«Ehi, Tae... hai detto di essere di Daegu, no? Quindi sei solo, qui a Seoul?».

«Non proprio», iniziò l'altro. «Qui ho Jiminnie e Jin-hyung, che sono i miei migliori amici. Conosco il primo da tutta la vita, il secondo da meno ma siamo davvero legati».

Sì, questo lo so già, borbottò Jeongguk tra sé e sé.

«Cosa fanno questi tuoi amici?».

Il minore cercò di mantenere il suo tono molto vago, come se quella fosse una banale domanda di circostanza fatta al solo scopo di conversare.

«Uhm, Jimin è un patito di anime e sport. Jin-hyung è il proprietario di un ristorante non molto lontano da qui, ma a parte questo è un vero genio! Quando era più giovane ha perfino vinto il primo premio in un contest d'informatica!».

Bingo!

«Oh, wow». Già, wow. Questa sì che era un'informazione notevole. Avrebbe dovuto comunicarlo a Namjoon e Hoseok al più presto. Se avessero trovato l'indirizzo di quel ristorante, Jeongguk si sarebbe catapultato a finire il lavoro quella sera stessa. Ma, ovviamente, aveva bisogno di conferma prima.

Taehyung annuì, buttando giù l'ultimo sorso della sua bevanda. «Che ne dici di una passeggiata?», propose con un sorriso. «Potremmo fare un giro nel parco».

Era difficile per Jeongguk non rispondere spontaneamente ad ogni sorriso di Taehyung. C'era qualcosa, in quel ragazzo, che lo attirava profondamente.

Ma, nonostante ciò, non riusciva ancora a togliersi dalla mente la questione dell'sms di Hoseok e la sua mania di avere tutto sotto controllo probabilmente lo avrebbe portato a rifiutare l'invito – e a pentirsene subito dopo.

Si passò una mano sul collo, combattuto. «Mi piacerebbe, ma c'è questa cosa di lavoro che dovrei controllare...».

Il volto del maggiore si rattristò per un attimo che sembrò infinito. «Oh... beh, capisco. Se hai da fare non posso trattenerti».

E Jeongguk si ritrovò a pensare di essere più debole di quanto avesse mai pensato. «No», rispose, forse un po' troppo velocemente. «Uhm, voglio dire, posso controllarla anche domani, ecco».

Arrossì lievemente. Da quando era diventato così pappamolle? Certo, Taehyung era un dolce rotolo di cannella e felicità – senza menzionare la sua bellezza eterea – ma lui era Jeon Jeongguk. Non poteva iniziare a balbettare solo per il labbruccio di un bel ragazzo. Sospirò, deluso da se stesso.

Taehyung invece sembrò alquanto felice della sua reazione. «Davvero?», domandò, gli occhi sbarrati. «Menomale! C'è questo posto bellissimo che voglio farti vedere, non è molto lontano da qui, promesso!».

A quell'esuberanza, Jeongguk non poteva che rispondere con l'ennesimo sorriso.

Patetico.

Il maggiore lo fissò per qualche istante. «Quando sorridi sembri un coniglietto. È carino», ghignò.

E se prima il minore era arrossito, in quel momento era in procinto di prendere fuoco. «G-grazie», balbettò, abbassando la testa.

 

I due si avviarono fuori dal bar – dopo una breve “lite” su chi dovesse offrire, che però aveva vinto Taehyung – e Jeongguk non riusciva a pensare lucidamente con la mano di Taehyung che ogni tanto, casualmente, sfiorava la sua.

Allarme rosso, gridava internamente. Sembro una liceale alla sua prima cotta. Aspetta, ho appena detto... cotta? Ho una cotta per Taehyung?

Lo sguardo del moro, fisso sulla strada, si spostò sul ragazzo al suo fianco. Lo studiò, intensamente, soffermandosi sulla curva delle labbra e la linea della mascella, sulla forma perfetta del naso decorato da quel piccolissimo neo sulla narice sinistra, sugli zigomi e le tempie solleticate dai ciuffi di capelli colorati, che sembravano così morbidi da fargli venir voglia di infilarci le dita dentro.

E quando Taehyung si voltò, accecandolo con uno dei suoi sorrisi squadrati, Jeongguk si rese conto che... beh, forse poteva avere una piccola cotta per il maggiore.

Nuovo record, non sono passate nemmeno ventiquattro ore da quando lo conosco.

Patetico, Jeon.

Veramente patetico.

 

 

Yoongi teneva lo sguardo fisso sulla strada, una mano sul volante e l'altra sul cambio. «Ehi, Namjoon, quanto manca? Penso di dover svoltare tra poco, è corretto?».

Alla radio passava una qualche canzone di un nuovo gruppo di idol e il ragazzo si ritrovò a pensare che non fosse così male, commentando il testo nella sua mente. Dopo qualche secondo, si accorse che l'altro non gli aveva ancora fornito le indicazioni richieste.

«Namjoon».

Si voltò.

Il suddetto dormiva a bocca aperta, la fronte schiacciata contro il finestrino e il cellulare veramente vicino a cadergli dalle mani.

Yoongi inspirò profondamente, avvertendo la vena sulla tempia destra iniziare pericolosamente a pulsargli.

«Yah!»

Namjoon si svegliò di scatto, guardandosi intorno, prima di incontrare lo sguardo furioso del maggiore. «Uhm, c-cosa?».

«Non sei autorizzato a dormire quando io non posso solo perché sei il capo». Non mi farò mai più convincere a guidare, pensò.

«Scusa, Yoongi. Non avevo programmato di addormentarmi così», si passò una mano in faccia, cercando di riprendersi.

Yoongi sospirò. «Siamo quasi arrivati. Dimmi dove devo girare».

Cinque minuti dopo, spensero il motore di fronte a quello che sembrava un ristorante abbastanza costoso. Dall'esterno si notava quanta gente ci fosse.

«Siamo sicuri che sia qui? Mi sembra strano che un hacker possegga un locale di questo livello».

Namjoon controllò nuovamente la mail che Hoseok gli aveva mandato qualche ora prima.

«Hobie ha scaricato tutti i dati di questo Kim Seokjin. Il ristorante si chiama “Eat-Jin”, e non penso ci siano altri “Eat-Jin” a Seoul. Inoltre abbiamo anche una sua foto, quindi sarà facile trovarlo».

I due scesero dalla vettura, camminando verso l'entrata con le mani nelle tasche.

«Dici che dovremmo sederci a mangiare qualcosa, prima di chiedere di lui?».

Yoongi alzò un sopracciglio, sfogliando il menù all'entrata. «Offri tu?».

«Salve, signori. Posso esservi d'aiuto? Avete prenotato un tavolo?».

I due alzarono lo sguardo, trovandosi davanti agli occhi il volto sorridente di Kim Seokjin.

Yoongi non avrebbe mai dimenticato, per tutto il resto della sua vita, lo sguardo che Namjoon rivolse al ragazzo e il rumore del respiro che gli si bloccava in gola.

Se non fosse stato la persona seria che era, si sarebbe messo le mani tra i capelli.

Lavoro con degli idioti. Anche il mio capo è un idiota. Cosa diavolo ci faccio ancora insieme a questi idioti?

Fortunatamente, Namjoon non era il capo per nulla. Si riprese nel giro di qualche attimo, mettendo su la sua faccia seria e permettendo al maggiore di tirare un sospiro di sollievo.

«Kim Seokjin?».

L'altro annuì, confuso, ma senza smettere di sorridere. «Ci conosciamo?», domandò, inclinando il capo.

«Non direttamente, ma conosciamo un tuo amico. A questo proposito, dovremmo farti qualche domanda».

Le sopracciglia del ragazzo si arcuarono dalla preoccupazione. «Siete della polizia? È successo qualcosa?».

Yoongi avrebbe voluto ridere. Polizia, certo. Si avvicinò, minacciosamente, la mano già sull'impugnatura della pistola nascosta nella tasca della giacca. Non lo avrebbe fatto fuori lì, in mezzo alla strada, ma gli piaceva restare cauto. «Cosa ci facevi a casa di Park Jimin l'altra notte? Sei tu V, non è vero?».

Seokjin sbatté le palpebre un paio di volte. «Uh?».

Yoongi non era famoso per la sua pazienza e non amava i giochetti. Da sotto la giacca, gli puntò la pistola contro il fianco. «Non farci perdere tempo, o la tua morte sarà ancora più lenta e dolorosa».

Il ragazzo si guardò intorno allarmato, poi ridacchiò nervosamente. «Okay, se questa è una candid-camera, non è molto divertente». Cercò di scostarsi da Yoongi, ma si scontrò con Namjoon. I due si fissarono per qualche attimo, prima che entrambi distogliessero lo sguardo. «Non conosco nessun Park Jimin e l'atra notte, come tutte le altre notti di questa settimana, ero proprio qui nel mio locale». Fece un passo indietro, aggrottando la fronte. «Posso provarlo, comunque. Ma chi accidenti siete?»

Namjoon e Yoongi si fissarono, confusi. «Se puoi provarlo», iniziò il minore, schiarendosi la voce. «Ti conviene farlo subito e senza fare altre domande».

E così, in effetti, fù.

Seokjin non aveva lasciato il suo ristorante nemmeno per un minuto, durante quei giorni. C'erano stati degli eventi in programma per tutta la settimana ed ogni notte era rimasto a preparare ciò che gli serviva per il giorno seguente, riposando poi sul divano della stanza di servizio. Tutto ripreso dalle telecamere di sicurezza sparse in tutto il locale.

Così, Namjoon e Yoongi si ritrovarono con una tazza di caffè in mano e delle spiegazioni da dare al proprietario di un locale estremamente – ed adorabilmente, secondo Namjoon – seccato.

«Mi dispiace di averti coinvolto in questa storia, Seokjin. Ma davvero, è meglio che tu non sappia nulla di più».

Yoongi sospirò, poggiando la testa sul tavolo e chiedendosi perché fossero ancora lì quando chiaramente Park Jimin li aveva presi in giro. Maledetto moccioso.

Seokjin sospirò. «Va bene, va bene. Spero non sia nulla di troppo illegale».

Il minore tossì, imbarazzato.

In quello stesso istante, i loro cellulari iniziarono a squillare, ma la suoneria mise in allarme i due ragazzi: non era una chiamata, ma il messaggio S.O.S. dalla loro base.

Yoongi sgranò gli occhi, alzandosi di scatto. «Hoseok».

Abbiamo abbassato la guardia.

I due si precipitarono fuori dal locale senza aggiungere altro, ma la voce di Seokjin li bloccò mentre entravano in macchina. «Namjoon! Ecco... beh, quando finirai di occuparti di questa faccenda top secret, potresti tornare e... lasciare che io ti offra la cena».

Yoongi era troppo preoccupato per Hoseok per dar voce ai suoi pensieri disgustati, quindi si limitò a grugnire mentre si allacciava la cintura.

Namjoon rimase a bocca aperta per qualche attimo, arrossendo, prima di annuire timidamente ed infilarsi in macchina.

L'altro giurò a se stesso di prenderlo in giro a vita per quella reazione, dopo essersi assicurato che Hoseok stesse bene.

 

 

 

Jeongguk e Taehyung erano seduti su una panchina nei pressi del fiume Han, mangiando un gelato. Era ormai notte inoltrata, l'alba era vicina, e Jeongguk si domandò perché il tempo stesse scorrendo così velocemente, quella sera.

La compagnia di Taehyung era inebriante, le storie che raccontava erano divertenti e le sue espressioni buffe assurdamente carine. In tutta la sua vita, non aveva mai riso tanto quanto durante quelle ore.

«Sei assurdo, Tae. Com'è possibile una cosa del genere?», ridacchiò.

L'altro fece spallucce, ghignando a sua volta. «Quando sono salito su quell'albero avevo dimenticato la mia folle paura dell'altezza: quel gatto doveva essere salvato!».

Jeongguk scosse la testa, divertito. «E poi cos'è successo?».

«Poi ho aspettato che mia madre si accorgesse della mia assenza e venisse a cercarmi, ma sono passate ore. Ho seriamente pensato si fosse dimenticata del suo primogenito di soli otto anni».

Il minore rise ancora, portandosi una mano sul collo. Poi si voltò, incrociando lo sguardo dell'altro e le sue risa si tramutarono in un sorriso dolce. «Sei veramente qualcosa, Kim Taehyung».

Jeongguk non vide l'espressione del maggiore a quella sua frase, perché il cellulare nella sua tasca iniziò a squillare.

Un S.O.S.

Aggrottò la fronte, alzandosi di scatto. «Devo andare», disse all'improvviso, infilando nuovamente il cellulare in tasca. Si girò nuovamente verso l'altro, addolcendo un po' l'espressione preoccupata. «Mi ha fatto piacere passare del tempo con te, Tae», e poi, più incerto. «Spero di poterti vedere ancora».

Si chinò per sfiorargli la guancia con le labbra e, senza aspettare la risposta del maggiore, si allontanò in tutta fretta.

 

 

 

 

 

Taehyung rimase immobile per qualche istante, la mano sulla guancia e le labbra dischiuse, mentre nei suoi occhi aleggiava uno sguardo perso.

 

Oh no

Oh no.

Questo non era nei piani.

Questa cosa non era assolutamente nei piani.

 

 

 

 

...Maledizione.

 

 

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