A New Therapy

di alchemie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** N°1: Get Off Dances ***
Capitolo 2: *** N°2: Bye Darling, See You Soon ***



Capitolo 1
*** N°1: Get Off Dances ***


Get Off Dances

Change,
everything you are
and everything you were
your number has been called
fights, battles have begun
revenge will surely come
your hard times are ahead

Muse, Butterflies and Hurricanes


Il dottor Arkham, poggiato alla sua scrivania nel suo ufficio, si massaggió stancamente le tempie. Alzó lo sguardo verso l'orologio blu che si trovava sopra la porta . "le nove e mezza" pensó quasi con rassegnazione. Anche quella sera Lilian, sua moglie, avrebbe mangiato sola nel loro meraviglioso attico con le pietanze fredde che aveva posto in tavola per aspettarlo. In realtá non sá se lei lo faccia ancora. Ma non riesce ad immaginare sua moglie che, a quell'ora, fá qualcos'altro. O forse non vuole farlo.
Il lavoro lo sta risucchiando e ormai non ricorda piú quand'é stata l'ultima volta che é tornato a casa in tempo per incontrarla ancora sveglia. Quanto é passato? Settimane? Mesi? Sperava che avrebbe avuto un pó di tempo per rilassarsi ora. Aveva appena assunto una nuova tirocinante. Era pronto a delegare, finalmente, qualcuno dei suoi innumerevoli doveri ai suoi sottoposti. Ed invece ecco che un altro svitato aveva deciso di farsi prendere da Batman. Cominciava ad odiare quel pipistrello che salvava Ghotam dalla distruzione. Ogni giorno aggiungeva un pazzo per rinfoltire le vaste schiere di criminali racchiuse nell'Arkham Asylum grazie al "protettore nero". Che protettore poi! Puah! Anche lui avrebbe dovuto essere lí con le persone che imprigionava... e la veritá era che o ci andava lui o sarebbe stato il dottor Arkham a subire quel destino. Come suo nonno. Lo sguardo andó involontariamente al grande, enorme dipinto del suo avo appeso alla parete dietro di lui. Il sorriso ancora savio, i folti capelli castani. Eppure negli occhi giá si poteva leggere il suo orrendo destino. E troppe volte l'uomo che guardava ora il ritratto aveva paura di vedere nello specchio la stessa scintilla dentro i propri. Pazzia. Aveva cercato di curarla a lungo in ogni paziente che gli era stato affidato. A volte ce l'aveva fatta altre no. Decise involontariamente che con l'ultimo "regalino" di Batman si sarebbe conclusa la sua avventura in quel posto. Da tempo ormai aveva perso interesse infondo. Tanto valeva concludere la carriera. E poi... chi sá. Forse avrebbe, dopo tanto, mangiato la torta alle noci di Lilian.

Il cavaliere nero osservó dall'alto la sua silenziosa cittá, accarezzando con un sospiro il profilo scuro del vecchio palazzo in cui Rachel aveva lavorato con anima e corpo per fare alla luce del giorno quello che lui faceva nascosto dalle ombre sottili della notte. Sul tetto della sua meravigliosa villa, con un bicchiere in mano non riusciva nemmeno piú a ricordare bene il colore dei suoi bellissimi capelli. Castani forse. Biondo molto scuro? Color caramello? non riusciva a ricordare. Cercó con tutte le forze di aggrapparsi a quel ricordo, al profumo della donna che amava e da cui era stato ricambiato ma tutto ció che riesce a ricordare é una bambina con lunghe trecce, una spruzzata di efelidi sul naso e un sorriso smagliante per la telecamera mentre mostra adorante il pulcino giallo che c'é tra le sue mani. La Rachel della sua infanzia. Cerca ancora dentro il suo martini una ragione per continuare a combattere per quelle sciocche persone di quella sciocca cittá che non riescono a vedere la veritá. Ha giurato di difenderle. Ma per quella sera non ce n'é bisogno. Che se la cavino da soli. Batman il salvatore é morto e nella loro mente é nato Batman l'assassino da catturare, prendere, fermare. Non ha voglia di essere quello. Ma nemmeno l'altro. Per stasera é solo Bruce.
"Alfred" la sua voce risuona di ghiaccio nell'aria fredda della sera. Chissá da quanto il vecchio é appostato a guardare il suo padrone al limite della porta che dá su quell'enorme cortile di piante.
"Si signorino Bruce?"
"Prepara la Porshe e chiama le signorine Alyce e Ania Rowens. Stasera voglio uscire."

Harleen Quinzel era sommersa da milioni di fogli che occupavano tutto il tavolino davanti a lei insieme a scatole di cibo cinese mezze aperte. Aveva piluccato qualcosa ma la fame non era arrivata. Le si era chiuso lo stomaco da quando il dottor Arkham le aveva concesso l'ambito periodo di tirocinio nel manicomio di Arkham. Molti dei suoi ex compagni di corso avrebbero dato una gamba per essere al suo posto.
Doveva essere PERFETTA. Non poteva lasciarsi scappare quell'occasione. Infondo non poteva essere piú difficile di volteggiare sulla trave con eleganza. Passo, passo, giravolta e quando era il momento di far leva si faceva. Spinta, stacco, ritorno perfetto, posizione, saluto. Si, poteva riuscire. La psiche umana era ció che le interessava ed ero ció che avrebbe rappresentato d'ora in avanti il suo lavoro. Per sempre. Lei voleva capirli i pazzi e ci sarebbe riuscita. Un sorriso entusiastico le illuminó il visetto ovale. Tutte quelle menti contorte, chiuse tra quelle pareti bianco avorio. Lei le voleva. Ora. Tra le sue mani. Voleva capirne ogni singola reazione, emozione.
Ricordava lo sguardo scettico di sua madre ed il suo sorriso vago quando le aveva detto che come specializzazione aveva scelto psichiatria. Le sue parole ancora risuonavano chiare nella sua testa provocandole risa inconsulte. "Amore mio, Harley, tesoro, io pensavo che avresti fatto qualcosa come... il medico sportivo... qualcosa di dolce, calmo... come te bambina mia". Dolce? Calma? Harleen aveva ridacchiato. Sua madre aveva dipinto una ragazza che lei non voleva piú essere. Che non poteva piú essere dopo quello che era successo. Voleva diventare indipendente e poteva farcela con la carriera che piú la rendeva felice. Con sguardo distratto accese la televisione che aveva davanti e si distese alla meglio sul divano rosso che ospitava il suo corpicino sottile da ginnasta stirando ogni muscolo indolenzito. Quella sera in palestra aveva spinto troppo. Frugó tra i canali cercando qualcosa che catturasse la sua attenzione. Trovó un documentario sul Joker e, accomodatasi meglio, si mise in ascolto di qual caso tanto particolare. Chissá se lo incontreró mai... pensó con un piccolo sospiro. I suoi pensieri volarono a lui, alle sue teorie... e involontariamente ripenso a Guy. Quello stupido ragazzo. Troppo debole per resistere ad un cosí piccolo esperimento. Ma ora non voleva lui nella sua testa. Tornó alla dottrina del suo criminale preferito, la carta vincente del mazzo. Anarchia. Pazzia. Chaos. Se avesse saputo dove lui era davvero in quel momento non si sarebbe addormentata con la tv ancora accesa che mandava immagini colorate.

Michel Allowerd sudava freddo in quella piccola e discreta camionetta dalla polizia, scelta apposta per contenere lo spietato criminale che aveva davanti. Lui. Il Matto per eccellenza... che per di piú non smetteva di sorridere. Perché. Non. La. Smetteva. Cazzo. Michel aveva paura. I suoi colleghi gli avevano sorriso tranquilli e avevano detto di non preoccuparsi, che lui non poteva battere tutto solo un agente armato di tutto punto. esperto e ben piazzato come lui. Ma Michel sapeva. Lui l'aveva visto all'opera. E l'espressione che era dipinta sul viso di quel... quel... quel MOSTRO lo terrorizzava. Cosa aveva in mente? Non lo vedono gli altri come ci guarda? Sta solo decidendo chi ha la faccia piú antipatica, per ricordarsi di ucciderlo appena riuscirá ad uscire. Ma quanto era lontano quel dannato Manicomio???? Era giá mezz'ora che era li sopra! Come a leggergli nel pensiero l'agitazione il Joker cominció a canticchiare. "Tick. Tack. Tick. Tack. Non abbia paura signor agente. Saró un bravo bambino stanotte. Mi racconti una storia e io non le ruberó il fucile e non le faró saltare il cervello. Suvvia agente 153 695 Michel Allowerd. L'Arkham Asylum é ancora lontano." Allowerd strinse involontariamente l'arma ancora piú forte tra le mani sbriciando leggermente i guidatori della camionetta. Non potevano sentirlo chiedere aiuto da lí. O almeno non potevano sentirlo prima che quel pazzo lo massacrasse. Forse era meglio non contraddirlo.
" Non ha capito agente? Vuole che faccia i capricci?"
"No..." riuscí appena a sussurrare l'uomo. " C'era una volta..."
Il Joker chiuse gli occhi con espressione estatica e scivoló lentamente sulla panca d'acciaio per accomodarsi meglio.


Best,
you've got to be the best
you've got to change the world
and you use this chance to be heard
your time is now

don't,
let yourself down
don't let yourself go
your last chance has arrived

Muse, Butterflies and Hurricanes

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Capitolo 2
*** N°2: Bye Darling, See You Soon ***


N°2: Bye Darling, See You Soon


I was born with the wrong sign

In the wrong house

With the wrong ascendancy

I took the wrong road

That led to the wrong tendencies

I was in the wrong place at the wrong time

For the wrong reason and the wrong rhyme

On the wrong day of the wrong week

I used the wrong method with the wrong technique

Depeche Mode, Wrong

Harleen Quinzel era arrivata da 5 minuti e giá aveva malditesta. Non male come inizio pensó tra se e se la giovane psichiatra chiedendo, per l'ennesima volta, dove era l'ufficio del direttore. Era piú o meno la sesta volta che domandava speranzosa e ogni volta a chiunque interpellasse le rispondeva in modo diverso. Grazie a queste simpatiche persone, che Harleen cominciava a credere non meno folli dei loro pazienti, riuscí in meno di un ora a girare l'intero edificio che. per almeno un anno, avrebbe ospitato il suo lavoro. Passó davanti al reparto schizzofrenici e davanti a quello dei maniaci, da cui ricevette commenti poco piacevoli, soprattutto se immaginava quante ragazze, che li avevano sentiti prima di lei, non erano piú su quella terra. Finí anche in infermeria, dove una donna corpulenta con corti ricci castani aveva insistito perché si fermasse e prendesse con lei una tazza di orrendo caffé d'orzo. Inizialmente la giovane ragazza non aveva potuto far a meno di sorridere pensando che, anche quel giorno, la sua dose di caffeina quotidiana era piovuta dal cielo benedicendola con le sue divine proprietá tonificanti e risveglianti. A casa aveva dovuto rinunciarvi, terrorizzata dal pensiero di tardare. Forse anche li a Ghotam lassú c'era qualcuno, e quel qualcuno voleva bene alle giovani psichiatre insonnolite. Ovviamente, dopo il primo sorso, aveva dovuto ricredersi. Orzo. Lei odiava Il caffé d'orzo. Le sembrava un controsenso. Avevano creato il caffé normale... Cosa se ne faceva l'umanitá di una pseudo bevanda che nemmeno gli assomigliava non l'avrebbe mai capito. L'aveva lasciato lí con educazione defilandosi con la scusa di un lavoro urgente. Tanto quell'enorme infermiera non poteva ancora sapere che lei era solo una tirocinante persa in quel mondo a parte che era il manicomio di Arkham. E sospettava che, quando l'avesse scoperto, quelle pale che la donna si ritrovava al posto delle mani non le avrebbero certo donato carezze amorevoli. Peró alla fine non aveva nemmeno detto una vera bugia. Qualcosa doveva fare. O almeno doveva trovare qualcuno che le dicesse cosa fare. Cercava, cercava, cercava. Eppure continuava a vedere solo inservienti che le riuscivano dire poco o niente su dove fossero gli altri dottori. I "boss", come li avevano chiamati loro, facevano tutto per conto loro e non dovevano far rapporto a nessuno, men che meno a loro. Aveva continuato a percorrere il corridoio buio aprendo tutte le porte non chiuse a chiave e dove era sicura che non ci fosse qualcuno in terapia o cose del genere.
Alla milionesima porta da aprire ormai stanca con il viso sbattutto di chi ha passato la giornata a giocare a nascondino contando sempre ed un'espressione rassegnata stampata in volto aprí la porta e dodici paia d'occhi si voltarono curiosi a guardare la ragazza. Arkham, nel suo impeccabile camice bianco sedeva all'estremo della tavola, presidiando la riunione. Harleen Quinzel richiuse immediatamente la porta con un botto, dandosi della stupida un secondo e mezzo dopo essersi resa conta di che cosa aveva fatto. Prendendo un profondo respiro e fingendo un coraggio che in realtá non aveva Harleen rispalancó la porta sorridendo gentilmente a tutti.
"Buongiorno." disse cercando di impostare una voce squillante e sicura ma che riuscí a far risultare semplicemente un tono sopra il normale livello di una voce umana.
"Salve Quinzel. Abbiamo cominciato senza di lei quando non l'abbiamo vista arrivare. Spero non le dispiaccia, ma stanotte hanno portato un criminale che richiedeva la nostra immediata attenzione Prego scelga un posto e si sieda. Veloce possibilmente."
Scelga un posto. Immagino sia una battuta. Pensó la ragazza posizionandosi comodamente sull'unica sedia libera vicino ad una donna sulla trentina, molto attraente che le concesse un sorriso di compatimento prima di ricominciare ad ascoltare il direttore. Harleen le avrebbe volentieri fatto ingoiare ad uno ad uno quei denti bianchissimi che si permettevano di deriderla cosí ma prima che potesse dire anche solo una parola per lasciare la donna almeno con l'amaro in bocca le parole del dottor Arkham catturarono la sua attenzione.
"... si é in isolamento. Come potremmo mettere il Joker in una cella anche solo vicina ad un altro criminale Dottor Mckean? Si ammazzerebbero a vicenda.. e fin qui forse alcuni di voi non avrebbero nemmeno troppo da ridire..."
Harleen sentí la simpatica dottoressa che stava al suo fianco squittire di approvazione. Forse la matita che aveva in mano avrebbe potuto accidentalmente conficcarsi nella gamba di quell'odiosa donna senza destare sospetti sulla sua colpevolezza? Improbabile. A malincuore rinunció alla sua vendetta per rimettersi ad ascoltare Arkham. Voleva tutti i particolari. Il Joker era lí?
"... ma potrebbero fare comunella, capisce? Come risolveremmo un problema del genere? Quindi rimarrá in isolamento completo, almeno finchè non inizierá un'ipotetica terapia. Ora c'é da decidere a chi toccherá la perizia psichiatrica che c'é stata richiesta dal giudice. Nessuno ovviamente é obbligato ad avvicinare il soggetto in questione. Volevo innanzitutto chiedere chi sarebbe disposto ad adempiere a questo obbligo" Harleen vide molte mani alzarsi compresa quella dalla donna squittente. Sapeva che non sarebbe stata scelta in quanto semplice tirocinante ma provare non costava nulla. Cosí alzó pure la sua mano al livello delle altre.
"Dottoressa Leland lei é interessata? Non l'avrei mai detto" Harleen vide le sottili labbra di Arkham incresparsi nel guardare quella che, a quanto pareva, oltre ad essere la sua vicina di sedia, era pure la dottoressa Leland, capo in seconda dell'istituto Psichiatro Arkham Asylum. " Direi che tutti saranno d'accordo nel dire che lei é la migliore nel campo del recupero di criminali pericolosi. Con Jervis Tetch non avrebbe potuto fare un lavoro migliore. Il caso é suo. E visto che é la migliore... vuole fare da maestra alla nostra nuova tirocinante?"
Meraviglioso. Avrebbe fatto da assistente ad una bambola gonfiata dai complimenti. Proprio quello che sognava quando aveva ottenuto quell'apprendistato. Avrebbe volentieri fatto le capriole di gioia.
"... allora Quinzel? Può farci il favore di venire un attimo qui?"
Da quanto la stava chiamando? Si era persa qualche secondo e giá faceva una figuraccia coi fiocchi. Rapida Harleen si alzó cercando di non far fare rumore alla sedia che peró aveva deciso di non assecondare i suoi desideri riempendo di un rumore infernale la stanza. Arkham l'aveva fatta rimanere in piedi accanto a lui, l'aveva presentata a tutti "ufficialmente" se si vogliono usare le sue esatte parole, come quando un nuovo studente viene presentato alla classe creando più imbarazzo che possibilità di fare nuove conoscenze e poi aveva finalmente detto a tutti che potevano andare e/o tornare a svolgere i loro compiti. Harleen attese che tutti fossero usciti. Era incerta se chiedere ad Arkham se poteva cambiare dottore a cui fare da assistente. Infondo era un'indifesa ragazza, sapeva di ispirare protezione in chiunque la guardasse. questo un pó la disgustava.. ma se poteva usarlo a suo vantaggio... Si stava già avvicinando quando un idea terribile le attraversó la testa. Altro dottore, altro caso. E quindi niente Joker. Con poca voglia, in silenzio, anche lei prese la porta.
Ad attenderla poggiata al muro con una noncuranza studiata nei minimi dettagli c'era la dottoressa Leland che l'accolse con un altro meraviglioso sorriso di scherno.
"Bel maglione" disse, indicando il caldo capo rosa a collo alto che Harleen indossava ed allargando ancora di più l'antipatico sorriso che si era piantato nella sua faccia disse: "Andiamo?"
Ti odio.... non poté far a meno di pensare la giovane tirocinante seguendo la donna. Da in piedi era più alta di quanto avesse potuto immaginare vedendola da seduta. Aveva gambe lunghissime, scattanti, di quelle che fanno correre gli uomini quando le vedono fare joggin nel parco o ballare freneticamente la sera. I capelli erano lunghi, fino alla vita, con vaghe sfumature violacee a metà tra il prugna e il melanzana. tanto si vede che sono tinti stupida gallinella vanitosa si ritrovó a pensare Harleen con un vago sorriso appena accennato sulle labbra.
"Ti muovi?" sibiló la Dottoressa sentendosi osservata e fulminando con lo sguardo la maledizione che le era stata appioppata da Arkham. Forse credeva di farle un favore appioppandole quella bambina tra capo e collo? Proprio ora che la sua carriera era pronta a fare il gran passo quella stupida ragazzina si metteva tra lei e il successo? Tanto con lei, non sarebbe durata più di un giorno in quel posto.

Harleen era DAVVERO tanto stanca e non aveva ancora avuto modo di vedere il Joker. Leland si era divertita a farla girare tra milioni di casi insulsi, stupidi, mentre lei si occupava dei veri pazzi, quelli bisognosi di una terapia non di una balia che controlli quante volte urlano di aver visto dio o quante vomitano. Peró le aveva promesso che l'avrebbe portata con sé quando fosse stato il momento di andare dal Joker. Ed Harleen era stata buona per questo. Per lui. Per aver l'occasione di vederlo. Aveva sopportato che quella oca giuliva la chiamasse Harley senza chiederle il permesso solo per essere nella stessa stanza in cui lui sarebbe stato. Le era andata a prendere quel dannatissimo caffé al cioccolato con schiuma bianca che fanno nel bar affianco all'Arkham per sentire la sua voce. Aveva obbedito a miss Gatta-Morta-Leland quando le ha ordinato di uscire dalla stanza proprio mentre Juliet La Francese stava avendo uno dei suoi immaginari monologhi con il suo Romeo per poterlo guardare negli occhi. Aveva sopportato i commenti sui suoi abiti, sui suoi capelli, sulla sua pelle, sui suoi occhi e sulle sue braccia che a quanto pareva erano troppo muscolose per la sua corporatura minuta solo per scoprire com'era il suo viso senza trucco.

Prima di entrare nella stanza adibita ai colloqui con Lui Joan Leland pone regole ben precise. Harley, se potesse, sbufferebbe o le riderebbe in faccia.
"Non avrai comunicazioni dirette col paziente. Qualunque cosa succeda dentro quella stanza tu limitati a prendere appunti senza interagire. Se avrai qualcosa da chiedere me la chiederai DOPO che la seduta sará finita. In pratica non ti voglio sentire, voglio fingere che tu non sia presente nella stanza. Tutto chiaro o vuoi che ripeta più lentamente?"
Non si fá la linguaccia ai superiori e Harley se la morse per evitare che quella guizzasse fuori da sola. Quella donna era cosí terribilmente indisponente! E le ricordava terribilmente sua madre con quel suo fare saputo mascherato da una finta dolcezza in pubblico. Annuí con fermezza stringendo ancora di piú le labbra per evitare che qualunque frase acida si potesse agitare nel suo cervello vi rimanesse ben rinchiusa.
"Allora entriamo" La Dottoressa si ravvivó i capelli ed entró nella stanza spoglia dove il Joker era giá stato fatto "accomodare". La camicia di forza gli stringeva le braccia intorno alla vita in un abbraccio forzato, la testa era reclinata sul petto, i capelli che Harley aveva tante volte visto di un verde brillante stavano riprendendo il colore originale, il trucco era stato lavato e le cicatrici erano ben evidenti a deturpare un viso bello, fin troppo bello per essere quello di un folle assassino, almeno cosí sembrava ad Harley.
Joan Leland indicó una sedia addossata alla parete alla sua sottoposta e poi si accomodó al tavolo davanti al suo paziente ordinando accuratamente i fogli coi suoi appunti e la scheda del criminale davanti a sé. Voce ferma, sguardo sicuro, inizió a parlare:
"Buon giorno Mister Joker, sono Joan Leland, la psichiatra a cui é stato affidato il suo caso. Lei sá perché é qui?"
"..."
"Strano. Nel suo fascicolo é scritto che lei ha la fama di essere estremamente loquace. Credevo le avrebbe fatto piacere avere la possibilitá di esplicarmi qualcuna delle sue teorie..."
"..."
"...o semplicemente fare le presentazioni... "
"..."
".. non faccia cosí, le ricordo che da me dipenderá il posto in ci passerá il resto della sua esistenza... io ci penserei bene prima di scegliere la via del silenzio"
"Secondo me Joan Leland é una di quelle donne abituate ad avere tutto quello che vogliono non crede?"
Il Joker non stava parlando con la dottoressa. Harley alzó incuriosita la testa dal foglio che si era posata sulle gambe per avere un appoggio su cui scrivere. L'uomo si era rivolto ad uno degli agenti che presidiavano la seduta. "Mister Joker, la prego, si rivolga direttamente a me.... io..." Il Clown, con un buffo sorriso divertito continuava il suo monologo con il poliziotto che lo ignorava caparbiamente:
"Tanto só che anche lei, mio caro amico muto la pensa come me. E lei sarebbe anche disposto a darle quello che vuole non è vero? Fiori, cioccolatini, gioielli...e forse li merita anche... è una donna molto bella. Ma a me non interessano queste donne così... banali... Signorina Leland, sá che lei é destinata a rimanere zitella? Al mondo ci sono sette donne per ogni uomo.... e lei non ha niente di speciale che possa farle vincere la guerra per accaparrarsene uno... non ha marce in piú... lei è troppo superba per amare qualcuno piú di se stessa. Il che é un vero peccato. Le consiglio di andare a vendere il suo corpo. E non dico per offenderla. Io sono molto educatato di solito... é solo una buona attivitá che le suggerisco di intraprendere... Il meraviglioso bon-bon rosa che sta dietro di lei invece chi é? Come ti chiami piccolo marshmellow?"
"Harley non rispondere"
Per la prima volta negli Occhi neri e profondi del Clown si poté veder brillare una scintilla di vivido interesse. E, con profondo disappunto della Dottoressa Leland era tutto dedicato alla ragazza alle sue spalle.
"Ti chiami Harley eh? Harley Harley Harley... Harley e di cognome leggo Quinzel sul suo tesserino? Dimmi, i tuoi genitori avevano senso dell'umorismo mia cara Arlequin?"
"Harley esci... VAI FUORI... ORA!"
Harley si alzó compostamente e si diresse lentamente verso la porta ma senza poter nascondere un sorriso. Lui aveva detto tutto quello che avrebbe voluto dire lei a Joan Leland, solo mille volte meglio.
Il Joker doveva averlo colto perché continuó a parlarle anche mentre lei si incamminava verso l'uscita.
"Torna a trovarmi Harley Quinn... Harley Quinn Harley Quinn Harley Quinn Harley Quinn. Bye darling, see you soon. Harley Quinn Harley Quinn Harley Quinn Harley Quinn...."

La dottoressa Leland non riuscí a fargli dire altro in quella seduta.

NOTE:
1)Grazie moltissime a sychophantwhore per la recensione. Non sai quanto mi ha fatto piacere riceverne una. Non me l'aspettavo giá nel primo capitolo!
2) Per chi non lo sapesse Jervis Tetch non é altro che il "cappellaio matto" che é stato ipoteticamente curato dalla dottoressa qui presente in questa storia. In realtá Tech é il recidivo per eccellenza ed entra ed esce dall'Arkham con una velocitá impressionante.
3) Joan Leland é davvero una psichiatra dell'Arkham Asylum. Viene descritta come gentile ma maliziosa. Ho stravolto un pó il personaggio per adattarlo a "carnefice" di Harley. Chissá... magari un giorno faró che si liberi di lei in modo leggemente... brutale... vedremo :)
4) il dialogo tra il Joker e Joan in realtá si é svolto (almeno nei fumetti) tra Harley e il suo dolce budino. Ma per necessitá l'ho messo in bocca alla psicopatica dottoressa (non só se si é notato ma non mi sta molto simpatica).

There’s something wrong with me chemically

Something wrong with me inherently

The wrong mix in the wrong genes

I reached the wrong ends by the wrong means

It was the wrong plan

In the wrong hands

With the wrong theory for the wrong man

The wrong lies, on the wrong vibes

The wrong questions with the wrong replies


Depeche Mode, Wrong

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