Just another game - Mistero a Londra

di Emy Potter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Nel posto sbagliato al momento sbagliato ***
Capitolo 3: *** Quando la neve nasconde ogni traccia ***
Capitolo 4: *** Intervento reale ***
Capitolo 5: *** Quel famoso campo di papaveri ***
Capitolo 6: *** La vedova di Windsor ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Il ragazzo correva a perdifiato, i polmoni che gridavano in cerca di più aria, i muscoli che gli dolevano, il cuore che batteva come non aveva mai fatto e il cervello che scaricava adrenalina. Svoltava in ogni vicolo che vedeva, non sapendo nemmeno dove stava andando, voleva solo vivere.
Sentiva perfettamente i passi stranieri dietro di lui, ma non osava voltarsi o avrebbe rallentato.
Si infilò nell'ennesima strada secondaria, cominciando già a sentire più in lontananza quel terrificante schioccare di scarpe sulle pietre. Non si fermò però, anzi riprese a correre ancora più in fretta, temendo che appena si sarebbe fermato, avrebbe sentito la terribile e fredda lama squarciargli la gola. Solo quando riuscì a sentire nient'altro che i suoi di passi e il suo respiro si fermò, inginocchiandosi a terra per riprendere fiato.
Vomitò tutto quello che aveva nello stomaco, compresi i succhi gastrici, sentendo le viscere rivoltarsi su se stesse. Quando finì si ritrovò a gattonare debolmente verso il muro, le gambe praticamente immobili, scaricate di qualsiasi energia che possedevano. Appoggiò la schiena contro i duri mattoni di una delle case di Londra e vi si accasciò mollemente.
Sentiva il cuore battere ancora forte e per un attimo temette che sarebbe esploso.
Quando finalmente riuscì a calmarsi, fece pressione con le mani sulle ginocchia, alzandosi con grande difficoltà che lo portò a gemere per il dolore che sentiva ovunque.
Controllò un attimo il vicolo, gli occhi fissi agli angoli, terrorizzato di ritrovarsi quella nera figura che lo guardava, lo sguardo pazzo e assetato di sangue, per poi voltarsi e dirigersi verso casa, una mano appoggiata ancora al muro per sostenersi.
Dopo qualche secondo sentì un atroce dolore partire dalla schiena e passare per tutto il busto, un verso strozzato lasciò involontariamente le sue labbra. Il fiato gli si smorzò in gola quando si rese conto di essere stato trapassato da parte a parte da un coltello, un coltello che aveva visto solo una volta, ma la sua immagine si era impregnata nella mente come un marchio di fuoco. Le gambe cedettero, ritrovandosi nuovamente in ginocchio e poi sdraiato a terra.
Sentì una mano girarlo e metterlo supino, permettendogli di vedere il cielo notturno di Londra.
Sto per morire; pensò e una lacrima gli solcò il volto. Non voleva, desiderava ardentemente osservare ancora quella distesa infinita di blu, la quale non gli era mai parsa così bella e incantevole in tutta la sua povera vita, quella vita che fino a quel momento trovava insopportabile, ma ora voleva viverne ogni singolo istante.
Sentì una stretta al cuore quando quella visione venne sostituita da una figura incappucciata, dove solo quei terribili occhi scintillavano nella notte e lo fissavano con una follia che non credeva possibile; in mano la stessa lama che era affondata nella sua carne poco prima ed ora imbrattata di un caldo color cremisi.
Stava per chiamare aiuto, ma l'atroce dolore e le energie scomparse gli impedirono di fare qualsiasi cosa, mentre la gola secca non aiutava a realizzare quel volere.
Riuscì solo a vedere la spaventosa lama alzarsi e dopo scendere su di lui. Poi fu solo buio.

 
-O-

I suoi occhi erano come quelli di un falco mentre osservavano come affamati la sua preda, attenti e scrutatori. Era in perfetto equilibrio su uno dei tetti di Whitechapel, la parte più malfamata di Londra. Il vento freddo le passava tra i corti capelli castani creandone piccole onde che danzavano nell'aria, ma non fece caso all'umido clima inglese, poiché troppo concentrata a osservare ogni singolo movimento della sua "vittima".
L'uomo in questione proveniva da una benestante famiglia, anche se che passava spesso per Whitechapel, ritenendo che lì i "servizi" venivano offerti a poco prezzo. Lo vide fermarsi davanti ad una donna poco vestita, le ossa leggermente sporgenti per l'insufficiente quantità di cibo messo sotto i denti, ma comunque di un certo fascino. Anche facendo la prostituta non si guadagnava tanto da permettersi una vita di lusso.
La vide entrare nello stesso palazzo su cui lei stava e, con passi svelti e sicuri, si diresse verso il bordo del tetto, lasciandosi cadere sul balcone sottostante, dove sapeva che si sarebbe tenuto il "servizio".
Nulla era fatto a caso.
Sapeva che quella donna sarebbe entrata proprio in quel palazzo, così come sapeva che lui avrebbe scelto lei. D'altronde i suoi acuti  e attenti occhi non avevano potuto non notare che era un suo "cliente" abituale.
Si infilò in fretta all'interno del fatiscente salotto, avendone già studiato precedentemente i dettagli. Con sicurezza si nascose in quello che doveva essere il piccolo bagno della donna, cosciente del fatto che non sarebbero passati di lì. Studiava sempre le proprie vittime prima di derubarle, in modo di poter escogitare un piano perfetto.
A quel punto attese che la prostituta entrasse nell'appartamento con l'uomo e lo portasse in camera da letto.
I suoni osceni che si sentivano dall'altra stanza erano la prova che l'amplesso era cominciato e di conseguenza che lei poteva entrare in azione. Era a conoscenza del fatto che si badava poco al mondo esterno in quel tipo di situazioni, così per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Uscì dal bagno e cominciò a passare lo sguardo da un capo all'altro della stanza, sorridendo soddisfatta quando vide la costosa giacca dell'uomo posata accuratamente sul tavolo, la quale sembrava stonare con il sudicio ambiente in cui stava.
Cominciò a frugare nelle tasche con un'attenzione e un silenzio degno di lei, trovandone con fierezza un fazzoletto di seta ricamato e un portafoglio in pelle nera.
Pensa se non ha ancora pagato? Sarebbe ancora più divertente; si disse ridacchiando tra sé e sé. Se fosse stato così ci sarebbe stata sicuramente più soddisfazione. Lo prese e uscì dal palazzo, un sorriso trionfante che stazionava sulle labbra mentre si rigirava tra le mani il bottino.
Bisognava festeggiare.
 
-O-

"Dovresti seriamente smetterla di rubare" la rimproverò Thomas bevendo un altro sorso del suo vino.
"Ti ho portato a festeggiare, non a farmi la predica" commentò la mora copiando il gesto.
Nancy Phillips era una ragazza di venticinque anni che viveva nella zona Est di Londra. Non era mai stata una persona del tutto normale, forse per il fatto che rubava più per svago personale che per bisogno, o forse perché si spacciava per un uomo solo per portare un paio di pantaloni.
Le piaceva sentire l'immensa soddisfazione che provava tutte le volte che uno dei suoi piani era riuscito, mentre si rigirava avidamente tra le mani il bottino guadagnato in modo sporco, osservandolo come un dolce squisito. No, per lei i soldi erano sicuramente meglio di qualsiasi cibo esistesse sulla Terra.
I suoi inganni però non rispecchiavano il suo aspetto dolce e ingenuo. Alta solo 165 centimentri, Nancy aveva un viso tondo dai lineamenti gentili, corti e mossi capelli castani e profondi occhi verdi che parevano esprimere solo uno spirito infantile. Ma erano più quelle tenere fossette che le comparivano ogni volta che sorrideva che la facevano apparire una ragazzina.
Solo Thomas, il suo unico e migliore amico, aveva visto la furbizia sul quel volto, d'altronde erano cresciuti insieme. Thomas Dixon aveva un anno in meno di lei, alto 177 centimetri, un fisico asciutto, occhi di un bellissimo azzurro intenso e capelli biondi che ricordavano il colore del grano d'estate. Era sempre stato gentile con lei, sin da quando erano bambini aveva sempre preso le sue difese in qualsiasi situazione e questo lo portava spesso a mettersi nei guai. Ma a lui sembrava non importare, finché stava con lei tutto andava bene.  
"Sai che non posso farne a meno" continuò la ragazza ghignando.
"E se ti prendessero? Non voglio vederti con il cappio al collo, Nancy" la avvisò l'amico prendendole la mano.
"Non succederà" la mora alzò gli occhi al cielo, rifiutando quel contatto. "Non mi è mai successo e mai succederà"
"Come puoi saperlo? Sei sempre stata troppo sicura, questo ti si rivolterà contro un giorno"
"Sì, sì, come vuoi, ora festeggiamo sì o no?" ribatté facendo cenno con la testa al bicchiere ancora pieno di vino.
Thomas si arrese, sapendo che, per quanto le avrebbe ripetuto qualcosa, lei non lo avrebbe mai ascoltato, era fatta così. "Va bene, Miss Phillips, ma poi non dire che non ti ho avvisato"
"Accetto con piacere, Mr. Dixon, mio dolce compagno di vita" recitò Nancy portando la mano all'altezza del cuore come per dimostrare la sincerità delle sue parole. Per un attimo parve una donna dai modi aggraziati come quelli di una lady.
Brindarono felici di quel momento insieme.
Se Nancy avesse potuto vedere il futuro non sarebbe sicuramente mai uscita da quel pub.
 
-O-

NOTA AUTRICE: Salve a tutti! Mi presento, sono Crazyemy, ma potete chiamarmi Emy. E' la prima volta che scrivo una storia originale, quindi, per favore, siate clementi.
Spero che vi abbia incuriositi e vogliate continuare la lettura. Aspetto con pazienza i vostri pensieri, accettò anche critiche costruttive.
Kisses, Emy.

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Capitolo 2
*** Nel posto sbagliato al momento sbagliato ***


Capitolo 1: Nel posto sbagliato al momento sbagliato


Quando uscì dal sudicio pub fu eternamente grata al freddo e umido clima di Londra, il quale le fece dimenticare il forte odore di alcool e sudore che sentiva fino a qualche secondo prima.
Inspirò profondamente, gli occhi chiusi, mentre un'ondata di calma scivolò giù tra le membra e la riscaldava, in perfetto contrasto con il freddo vento notturno.
Quando riaprì le palpebre vide il vasto cielo scuro sopra di lei, le stelle che a malapena si potevano scorgere a causa delle grandi nuvole che perennemente coprivano la città come un grigio lenzuolo.
"Stai andando via?" la voce di Thomas la destò dai suoi pensieri, così dolce e premurosa che sembrava quasi irreale in confronto ai trattamenti a cui era ormai abituata.
"E tu rimani qui?" ribatté la ragazza, gli occhi ancora fissi sul cielo, sentendo comunque l'amico affiancarsi a lei.
"Sì, credo che rimarrò ancora un pò" rispose lui abbassando lo sguardo. Sembrava preoccupato.
"Va tutto bene?" chiese Nancy  finalmente posando gli occhi su di lui, una mano posata sulla sua spalla.
"Sì, solo...fa' attenzione sulla via di ritorno. Sarà ormai mezzanotte circa e questa zona è poco raccomandabile di giorno, figuriamoci ora"
La mora alzò gli occhi al cielo "Come se non lo sapessi. Tranquillo, so cosa fare".
Thomas era sempre stato molto protettivo nei suoi confronti, forse perché lei era stata l'unica persona che gli fosse mai stata vicino. Si erano sempre sostenuti a vicenda, dipendevano da loro stessi, dalla loro amicizia, come se fossero sempre uno davanti all'altro, il corpo inclinato in avanti e le mani giunte per impedire al rispettivo compagno di cadere. L'equilibrio di lui dipendeva da quello di lei, e viceversa.
"Stai comunque attenta, okay?" continuò lui.
Le venne spontaneo stringerlo a se, malgrado solitamente odiasse il contatto fisico. Forse Thomas era l'unica persona che lei avesse mai abbracciato veramente.
"Stai diventando noioso, Tommy" ridacchiò Nancy.
Per tutta risposta, Thomas la strinse più forte, mentre sorrideva nel sentire quel soprannome che da lei suonava perfetto. Amava quando lei pronunciava il suo nome.
La mora non era per nulla stupida e intuiva che per lui potesse esserci più di un'amicizia, ma si limitava a comportarsi come aveva sempre fatto e lasciandole i suoi spazzi. Se un uomo flirtava con lei e la giovane accettava le sue avance, Thomas si limitava a stare in disparte senza mostrare alcun segno di gelosia.
Finalmente, Nancy sciolse l'abbraccio e gli diede una pacca sulla spalla.
"Ci vediamo, Mr. Dixon" ridacchiò per poi girare i tacchi e cominciare a camminare per le pericolose strade di Whitechapel, mentre vecchi ricordi le scorrevano nella mente come un fiume.
 
-O-

"Per l'amor del cielo, Nancy, quello è un Do, non un Sol!"
La bambina sbuffò rumorosamente, le piccole dita ancora sui tasti del pianoforte.
"Suvvia, non è signorile sbuffare in quel modo. Sei una lady" la rimproverò la signora Phillips. "Ricomincia"
"Da capo?!" esclamò esterrefatta la piccola.
"Sì, da capo"
Meredith Phillips era una giovane e bellissima donna di soli ventiquattro anni, famosa per il suo lavoro: cantante lirica. Il suo splendido e pallido viso era incorniciato dai lunghi capelli biondi, in quel momento raccolti in un'elegante chignon, gli occhi di un verde tanto chiaro e intenso che ricordava i prati in cui la figlia amava giocare, il corpo formoso nascosto da un lungo abito dorato.
"Non posso uscire?" chiese per l'ennesima volta la ragazzina di soli sei anni. Era completamente diversa dalla madre, probabilmente anche a causa dei suoi modi di fare più maschili che femminili. Aveva sempre preferito rotolarsi giù dalle colline che giocare a prendere il té con le sue coetanee.
"No" rispose secca la donna. "Ricomincia"
Nancy obbedì e, in un attimo, le dita tornarono a premere i tasti del pianoforte, a volte veloci e altre lenti. Per quanto lei odiasse la musica, era senza dubbio un talento naturale, forse a causa della madre, ma se ne vergognava profondamente. Spesso aveva fatto scappare i suoi insegnanti di pianoforte perché sbagliava volontariamente le note, così Meredith si era sentita costretta ad istruirla lei stessa. La povera bambina rimase delusa quando scoprì che le sue lezioni non erano saltate.
Quando finalmente la canzone finì, la signora Phillips sospirò. "Finalmente! Non era difficile, vero?"
La bambina alzò gli occhi al cielo e, senza rispondere, corse fuori, sapendo che finalmente la tortura era giunta al termine.
Quando aprì la porta, non si stupì di trovarsi davanti un bambino biondo riccioluto sui cinque anni, indosso una semplice camica bianca e un paio di pinocchietti verdi che mostravano le sue fragili e magre gambe. Appena la vide fece un brillante sorriso, mostrando il dente davanti mancante.
"Eccoti finalmente!" saltellò felice il bambino.
"Ciao Tommy" sorrise Nancy.
"Hai finito adesso le lezioni?"
"Sì, noiose come al solito" sbuffò lei, prendendo il nastro che teneva solitamente appeso alla cinturina del vestito rosso a quadri, e cominciando a legarsi i capelli in una pratica coda bassa.
Per Thomas, quello era il segno che lei voleva giocare. Senza dire nulla, le prese la mano e la trascinò di corsa fino ad Hyde Park, dove giocarono per quasi tutto il pomeriggio arrampicandosi sugli alberi, facendo risuonare per l'intero parco dolci e gioiose risate che venivano direttamente dal cuore.
"Thomas" cominciò Nancy seduta su un ramo basso, la schiena appoggiata al tronco e le mani intente a intrecciare una corona di margherite, la quale le stava venendo un disastro.
"Sì?" chiese il ragazzino seduto affianco a lei,  le gambe a penzoloni nel vuoto mentre guardava i petali bianchi volare lentamente verso il basso.
"Saremo sempre amici, vero?" domandò la bambina. Thomas era l'unico che non aveva mai giudicato i suoi modi poco aggraziati, quello che poteva aspettarla anche ore sotto casa e che era sempre e comunque dalla sua parte.
"Certo!" esclamò il biondo sorridente "Te lo prometto".

 
-O-

Nancy sussultò quando vide di sfuggita un'ombra passarle di fianco, scattante e furtiva.
Quando si voltò verso il vicolo affianco, la figura sconosciuta era completamente scomparsa, lasciando solo un debole rumore di passi che risuonavano nell'aria.
Non sapeva se lo fece per curiosità o per istinto, stava di fatto che si era ritrovata a seguire l'ombra, scoprendone dalla forma che era un uomo- o donna- incappucciato.
Lo vide svoltare vari angoli di corsa, tenendo sempre lo stesso andamento e ritmo come se non fosse in grado di stancarsi. Fu per questo che la ragazza lo perse di vista.
Cominciò a vagare per gli stretti vicoli londinesi, finché non si ritrovò davanti ad uomo che vomitava sulla strada tutto quello che probabilmente aveva nello stomaco.
Il solito ubriacone; pensò scocciata Nancy. Si stupì lei stessa di quel pensiero. Cosa voleva trovare? Uno straniero che scappava da qualcuno e che stava vivendo un'entusiasmante avventura? Quello non era un entusiasmante libro di Alexandre Dumas, ma la realtà.
Lo vide alzarsi dopo un pò e guardare attentamente se non c'era nessuno. Sembrava spaventato, come se qualcosa o qualcuno dovesse spuntare da un momento all'altro per attaccarlo.
Nancy si voltò per andarsene, quando sentì l'uomo emettere un gemito dolorante e strozzato. Quando si rigirò, quello che vide le fece gelare il sangue nelle vene.
Dietro di lui c'era la figura incappucciata, in mano un coltello che aveva passato da parte a parte lo sconosciuto.
L'uomo cadde a terra, mentre l'altro si sedette a cavalcioni su di lui e alzò la lama al cielo, la quale luccico alla luce della notte, maligna e letale. Ancora una volta, affondò nel corpo della vittima con un tonfo umidiccio e rivoltante. Nancy dovette portarsi una mano alla bocca per fermare un conato di vomito. Se prima l'uomo stava tremando leggermente, ora era completamente inerme. Era morto.
Ma l'assassino non sembrava soddisfatto, poiché alzò nuovamente il coltello e lo affondò ancora, e ancora, e ancora, e ancora...
Nancy rimase come ipnotizzata da quel raggelante movimento, gli occhi spalancati, il corpo che tremava più per l'orribile visione che per il freddo.
Una parte di lei voleva gridare, urlare, strillare, piangere, voltarsi e correre via più veloce che poteva, ma l'altra le diceva di rimanere lì, ad assistere a quell'orrore disumano, a quella testimonianza di crudeltà, che se avesse fatto un solo rumore avrebbe fatto la stessa fine.
Il tempo in cui si compì il delitto le parve infinito, mentre all'assassino pareva non bastare mai dati i ripetuti colpi che affliggeva all'uomo ormai morto. Lo vide ad un certo punto alzarsi ansante dal corpo martoriato, immerso in un vero e proprio mare di sangue, il viso girato mollamente di lato.
Cominciò ad allontanarsi, prima lentamente e poi sempre più veloce, fino a che non si mise a correre.
Per ancora qualche istante, Nancy rimase immobile, gli occhi fissi sul cadavere mentre si stringeva in se stessa più forte che poteva. Quasi in trance si avvicinò, ogni passo fatto con uno sforzo che pareva sempre troppo per lei.
Solo quando vide gli occhi spalancati  e privi di vita dell'uomo, urlò.
 
-O-

NOTA AUTRICE: Rieccomi con il primo vero capitolo di questa storia. Che ne pensate? Spero vivamente che vi sia piaciuto.
Per chi non sapesse chi è Alexandre Dumas (ma non credo ci sia nessuno che non lo sappia) è l'autore de "I tre moschettieri", di cui penso che tutti abbiano almeno sentito il titolo.
Ad ogni modo, ringrazio tutti quelli che stanno seguendo questa storia, spero vivamente che questo capitolo raggiunga le vostre aspettative.
Alla prossima!
Kisses, Emy.

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Capitolo 3
*** Quando la neve nasconde ogni traccia ***


Capitolo 2: Quando la neve nasconde ogni traccia


Prima che qualcuno potesse vederla davanti al cadavere, Nancy cominciò a correre lontana da quell'orribile luogo, nella testa ancora le orribili immagini del delitto. Poteva vedere perfettamente quell'inquitante lama affondare dentro il corpo della vittima; sentiva ancora quel rivoltante tonfo. Le venne difficile riuscire a non vomitare per tutto il tragitto.
I tacchi degli stivali schioccavano sulle pietre della strada, i quali quasi non si sentivano in confronto al chiasso che veniva poco lontano da lì. Avevano trovato il cadavere, ne era sicura. Ricordava ancora i capelli del ragazzo imbrattati di sangue, gli occhi vitrei portati all'indietro, la bocca spalancata in una smorfia di dolore mortale.
Non sapeva nemmeno dove stava andando, voleva solo allontanarsi il più possibile, dimenticare quell'esperienza che le aveva fermato il cuore in più momenti.
Si ritrovò dopo poco davanti casa, la quale non le era mai parsa così confortevole e sicura. Con le mani tremanti, prese le chiavi che teneva nella tasca destra del suo cappotto nero, troppo leggero per il freddo clima invernale di Londra. Fece fatica ad infilare la chiave nella toppa, ma quando ci riuscì la girò in fretta, aprì la porta e fece per entrarci.
Non riuscì, poiché una mano le afferrò il braccio.
Istintivamente, Nancy urlò, un urlo breve, come un sussultò. Si voltò di scatto solo per vedere il volto di una donna anziana.
"Signorina Phillips, state bene?" domandò lei.
La ragazza la conosceva molto bene. Era Prim Williams, la sua vicina di casa.
Nancy la soprannominava "Fili d'argento" a causa dei suoi lunghissimi capelli grigi che risplendevano alla luce lunare. Sembravano vere e proprie cascate d'argento. Più di una volta le era anche capitato di chiamarla Argentea, un nome che a parer suo le era cucito su misura. Inutile dire che la donna si indispettiva tutte le volte che accadeva.
"S-sì, sto bene" balbettò la ragazza tentando di calmarsi "Forse ho solo bevuto troppo".
"Beh, voi siete giovane. Goditi la vita finché puoi" cominciò a fare conversazione Prim mentre si infilò all'interno del palazzo, "Ho visto il vostro amico al pub prima, stava parlando con Boris, il barista". Era sempre stata una grande frequentatrice di bordelli, forse per rivivere la sua amata giovinezza perduta.
Per fortuna lui sta bene; pensò Nancy ripensando a Thomas.
"Mi sono meravigliata che non eravate con lui, siete sempre così unit-"
"Mi scusi se la interrompo, signora Williams, vorrei davvero rimanere a parlare con voi, ma ora non sono in vena di una chiacchierata" la interruppe bruscamente la mora.
Inutile dire che lo sguardò dell'anziana si indurì. "Sempre di fretta e scortese, dovreste seriamente rivedere questo vostro comportamento. Buonanotte, signorina Phillips" disse, per poi entrare in casa tutta impettita.
Stupida pettegola, non ho voglia di ascoltare i tuoi fastidiosi giudizi; pensò tra sé e sé Nancy entrando nel suo appartamento.
Si richiuse la porta dietro facendo fare più di tre giri di chiave. Si tolse il cappotto e lo posò sul tavolo. La mente corse di nuovo alla vista di quella sera, vedeva le immagini come se fosse ancora lì, a guardare quello sconosciuto accoltellare con una follia inumana il povero ragazzo.
Il ragazzo.
Solo in quel momento si rese conto che, guardando il suo viso, era tremendamente familiare, come se...lo conoscesse. Era così presa dal panico che non se n'era nemmeno resa conto. Tentò di ricordare dove lo avesse visto, ma tutte le volte che ci provava gli tornavano in mente i suoi occhi privi di ogni luce vitale.
Corse in un angolo della cucina, prese una larga bacinella e, senza riuscire a resistere ancora, vomitò, un pò per la quantità di emozioni e un pò per il disgustoso odore di sangue che sentiva impregnato dei vestiti e nella gola.
Quando ebbe finito si ritrovò seduta a terra, spalle al muro mentre tremava come una foglia.
Gli occhi si posarono sulla finestra, notando che aveva cominciato a nevicare. I bianchi fiocchi scendevano lenti, dolci, coprendo tutto quello che si trovava sotto di loro. Se non si fosse fermato presto, sicuramente tutte le tracce serebbero scomparse nel giro di un quarto d'ora, dando maggiore possibilità all'assassino di farla franca.
Con passo lento e pesante, si diresse verso il suo letto e, senza svestirsi, si sdraiò tentando in tutti i modi di riuscire ad addormentarsi. Solo dopo due ore venne finalmente accolta dalle braccia di Morfeo, il quale la cullò per rassicurarla, per poi ingannarla mostrandole ricordi tristi, ma che le facevano provare una leggera fitta di nostalgia.
 
-O-

Era sempre stata la pecora nera della famiglia, specialmente perché i suoi fratelli sembravano perfetti in confronto a lei, i  figli modello.
Nancy era la secondogenita dei Phillips, i quali avevano avuto ben cinque eredi.
La primogenita era Magdalena Phillips, la quale si toglieva solo un anno con Nancy. Aveva gli stessi splendidi capelli biondi della madre, così come i suoi occhi smeraldini. Inutile dire che era l'essenza stessa dell'eleganza, dai modi di fare aggraziati e dolci che sembravano appartenere a quelli di un angelo. Peccato che fosse viziata e presuntuosa, il tipo di persona a cui piace vantarsi del suo canto da usignolo.
Il terzogenito era Alfred Phillips, due anni più piccolo della mora, il quale le assomigliava a parte gli occhi verdi. Nancy lo aveva sempre visto come un ruffiano, un adulatore, il quale riusciva sempre ad ingraziarsi chiunque per scopi personali, ma comunque ben visto nella società. Aveva un'incredibile talento nelle arti pittoriche, riusciva a catturare su un foglio qualsiasi cosa vedesse e riprodurlo fedele alla realtà.
La quartogenita era Sophia Phillips, anche lei mora, ma dai splendidi occhi azzurri che aveva preso dalla nonna, Agatha. Studiosa ed educata, desiderava sin da piccola studiare medicina o giurisprudenza, anche se era a conoscenza che per una donna fosse difficile sopravvivere in un campo tanto maschile. Il suo portamento era perfetto, la schiena sempre dritta in ogni occasione. Nancy, la quale aveva quattro anni in più, l'aveva soprannominata "Marmo".  
Il quinto e ultimo figlio era Oscar Phillips, cinque anni più piccolo della secondogenita. Anche lui era biondo, ma aveva gli stessi occhi e le stesse fossette di Nancy. Oscar era ferrato negli sport, riusciva a imparare tutto e subito, e per questo molto popolare tra i suoi coetanei.
Certo, Nancy si era dimostrata sempre come una bambina molto intelligente e curiosa, ma il suo essere iperattiva e scontrosa con tutti, la portava ad essere vista come un errore, la figlia che non sarebbe mai dovuta nascere.
"A cosa pensi?" chiese Thomas guardandola.
"A quanto non sopporto quella scema di Magdalena" sbuffò la ragazzina.
Ormai aveva undici anni ed era stanca di quella situazione. La verità è che, se tu dici a una persona di essere una cosa per tanto tempo, questa finirà per pensarlo lei stessa. Ed era questo che era successo a Nancy, la quale era ormai convinta di essere solo un terribile errore.
Solitamente, qualsiasi ragazzino di origini benestanti si sarebbe allontanato da lei sentendo una parolaccia uscire dalla bocca di una coetanea, giudicandola una poco di buono, ma Thomas non sembrò nemmeno sentirla.
"Che ha combinato questa volta?"
Nancy si mise in piedi, lasciando l'amico ancora seduto sul prato, e cominciando ad imitare la sorella con la voce volontariamente acuta e lamentosa. "Mamma, lo sai che Nancy ha detto quello? Mamma, Nancy oggi ha rubato il giocattolo di un bambino. Mamma, Nancy non sta al suo posto. Ci manca solo che si lamenti del fatto che respiro!" esclamò alterata.
"Hai rubato un giocattolo?" chiese Thomas, ma non c'era derisione o disapprovazione nel suo tono di voce, solo curiosità.
"Mi ascolti quando parlo?!" ribatté Nancy sbattendo indignata un piede sul terreno.
"S-sì, scusami" si corresse subito il più piccolo mortificato. Era sempre stato soggetto a lei, per questo i suoi genitori non volevano la frequentasse. Eppure, anche se a volte Nancy lo trattava male, era felice di stare con lei. La sua libertà e voglia di vivere lo facevano sentire incredibilmente bene, lo contagiavano.
La ragazzina abbassò lo sguardo e tornò a sedersi affianco a lui. "No, non devi scusarti. Piuttosto sono io che ti tratto sempre male" la mora non poté fare a meno di portarsi le ginocchia al petto, come per proteggersi dal mondo esterno. "Perché stai sempre con me? Se ti allontanassi avresti moltissimi altri amici, e scommetto anche che ci saranno sicuramente tantissime altre che farebbero la fila per stare con te. Se tu non stai con me, saresti più felice"
"Vuoi che me ne vado?" domandò rattristito e preoccupato il bambino.
"No, non dico questo, anzi mi fa piacere che passi il tempo con me, ma staresti meglio se-"
"Ma io non voglio stare con loro, io sto bene con te. Sono tutti sempre che puntano alla perfezione, sono noiosi. Tu no però, con te so che posso fare quello che voglio" spiegò Thomas.
Nancy lo guardava assente, mentre considerava con attenzione ogni sua singola parola. Poi sorrise, un sorriso tanto allegro e dolce che fece sussultare il piccolo Tommy. "Andiamocene di qui"
"C-cosa?" balbettò il ragazzino.
"Scappiamo insieme. Adesso magari è troppo presto, ma magari, fra qualche anno, possiamo partire. Comincerò a rubare qualche spicciolo dal borsellino di papà e, quando ne avremo abbastanza, ce ne andremo" spiegò la piccola Nancy.
Gli occhi di Thomas si illuminarono a quella proposta. Riusciva a vedersi: un uomo indipendente che poteva fare quello che voleva. Ma soprattutto, sarebbe stato insieme a Nancy per tutto il tempo che voleva, senza nessuno che fosse in grado di allontanarla da lui.
"Sì" annuì entusiasta, la mano che si posò istintivamente su quella di lei.

 
-O-

"Nancy?" la profonda voce di Thomas la svegliò, una mano posata dolcemente sulla sua spalla, seduto su un lato del suo letto.
"Uhm?" mugulò Nancy ancora assonnata.
"Stai piangendo?"
A quelle parole, gli occhi della ragazza si spalancarono, mentre altre lacrime calde bagnavano il cuscino ormai fradicio. Si sedette di scatto e cominciò ad asciugarle in fretta con le mani.
"Sto bene" disse prima che lui gli domandasse come stava.
"Sei sicura? Ho visto del vomito in cucina"
"Sì, ho solo bevuto un pò troppo probabilmente" rispose ridacchiando. Scese dal letto e, quando si guardò allo specchio, si accorse di essere andata a dormire vestita.
Era pallida, i capelli attaccati al viso, zuppi di sudore, sotto gli occhi un paio di evidenti occhiaie, gli occhi gonfi e rossi. Di certo non doveva essere stato difficile per Thomas capire che c'era qualcosa che non andava, il suo aspetto era terrificante, pareva uscita dal romanzo "Frankenstein".
"Credo di avere bisogno di un bagno" scherzò Nancy. "Prepari la colazione?"
"Già pronta. Ti conviene prima mangiare e poi lavarti"
La ragazza accettò e si fece strada verso la cucina, dove sul tavolo c'era un piatto di uova strapazzate, toast, salsiccia, pomodori e bacon.  Normalmente lo stomaco avrebbe brontolato a tale visione, ma i ricordi del giorno precedente si erano riaccesi nella sua testa, togliendole ogni voglia di mangiare.
Si sedette pigramente sulla sedia e cominciò a giocare con il cibo. Prese qualche forchettata di uova, ma si rifiutò mi mangiare la salsiccia. Le ricordava le interiora del cadavere.
"Non mangi?" chiese Thomas.
"Non ho fame, mangiala tu" disse la ragazza alzandosi e chiudendosi in camera.
Cominciò a spogliarsi, per poi posare una bacinella piena d'acqua gelida sul comò. Rabbrividì nel sentire quel freddo a contatto con la pelle, ma piano piano riuscì ad abituarsi.
Quando finì, indossò una semplice camicia bianca, stretti pantaloni neri e il suo fedele paio di stivali marroni.
Sentì bussare alla porta proprio mentre stava asciugando i corti capelli con un asciugamano. "Sei vestita?" la voce di Thomas risuonò nella stanza.
Invece di rispondere, Nancy gli aprì la porta.
"Cos'hai in programma di fare oggi?" domandò curioso.
"Tornare al pub. Ho bisogno di dimenticare un paio di cose"
"E' successo qualcosa?" il biondo tornò preoccupato, temeva che ieri sera le avessero fatto del male.
"Sì. Devo parlarti"
 
-O-

"Sembra un racconto degno di un libro dell'orrore" rabbrividì il ragazzo evidentemente scosso da quella faccenda.
"Già" mormorò lei bevendo un altro sorso di vino.
"E ora cosa intendi fare?"
"Dimenticare" rispose secca.
"Scherzi? Devi andare a dirlo alle autorità" continuò Thomas.
"Certo, rischiando che arrestino me per furto o perché pensano che l'assassino sono io. Non ci penso proprio" Nancy bevve un altro sorso di vino. "Voglio semplicemente dimenticare, è stato solo un altro spiacevole momento della mia vita, niente di più"
"Quell'assassino è ancora in circolazione, potrebbe uccidere ancora" cercò di convincerla, ma nel suo profondo sapeva che lei non avrebbe mai accettato di fare una cosa simile.
"Non sono affari miei" continuò la ladra. "Se sapevo che avresti reagito così non ti avrei detto niente..."
Thomas non poté fare a meno ad abbassare lo sguardo dispiaciuto. "Okay, non insisto"
"Grazie"
Passarono il resto del tempo al pub come se nulla fosse successo, entrambi che fingevano che tutto quello che Nancy aveva visto non fosse mai successo, che quella storia sarebbe finita lì e sarebbe stato davvero solo un ricordo spiacevole.
Non potevano sapere che c'era una persona, oltre a Thomas, che aveva ascoltato tutta la conversazione.
 
-O-

NOTA AUTRICE: Rieccomi con un nuovo capitolo di questa storia. Spero davvero vi stia piacendo!
Ringrazio ancora tutte le persone che la stanno seguendo. Se c'è qualcosa che non va come possibili errori di svista, fatemelo sapere con una recensione, ogni vostro pensiero è un'incoraggiamento per me.
Sto anche lavorando sulla lunghezza dei capitoli, gli altri li ho trovati abbastanza corti, sto cercando di migliorare.
Alla prossima!
Kisses, Emy. 

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Capitolo 4
*** Intervento reale ***


Capitolo 4: intervento reale


"Sei proprio sicuro di aver sentito bene?"
La donna stava guardando fuori dalla finestra, appannata a causa della differenza di calore da dentro a fuori, lei avvolta nei suoi costosi abiti neri e gioielli.
"Sì, Vostra Maestà"
L'uomo si era inchinato dietro di lei e non aveva la benché minima intenzione di alzare il proprio sguardo da terra, troppo rispettoso nei confronti della sua sovrana per sentire di avere almeno il diritto di poter guardare quegli occhi tanto maestosi e regali. Solo se lei gli avesse dato il consenso avrebbe avuto il coraggio di guardarla in viso.
"Capisco"
Un istante di religioso silenzio aleggiò nella grande sala, quella che la donna usava come proprio studio. Era lei che dirigeva ora il suo adorato regno, da quando il suo amato marito era morto da un anno. Da quel giorno si era sempre vestita di nero e non si era presentata nuovamente in pubblico, troppo afflitta per quella cara perdita.
Si era ritirata definitivamente nella Osborne House, a Windsor, proprio dove lui aveva perso la vita ed ora, per questo, veniva chiamata "La vedova di Windsor". Non avrebbe mai accettato la sua morte, e lo sapeva. Ogni mattina faceva preparare ai domestici i suoi indumenti come se lui fosse ancora lì, affianco a lei, come era sempre stato.
"Sono a conoscenza di quanto solitamente non vogliate vedere volti a voi sconosciuti, ma credo che farla recare qui sia la scelta più appropriata. Ovviamente questo è solo un mio umile consiglio, Vostra Maestà, la decisione spetta a voi" si affrettò a precisare l'uomo.
"Sì, credo che tu abbia ragione" rispose lei, gli occhi fissi verso il grande giardino. "Prima di congedarti, ti chiedo se potresti chiamare Florance per me."
"Certo, Vostra Grazia" era a conoscenza di quanto quella bambina fosse importante per lei, e sperava in cuor suo che almeno lei sarebbe riuscita ad alleviare il dolore della sua signora. Fece un ultimo inchino, per poi uscire dalla stanza e recarsi negli appartementi della signorina Florance Trevelyan.
Quando la donna rimase sola, un sospiro stanco sfuggì dalle sue labbra sottili. Per qualche motivo, la regina Vittoria sentiva che quel caso sarebbe stato un altro duro colpo per il suo paese, e sperava che forse l'anima di Alberto le avrebbe consigliato qual'era la cosa giusta da fare.
 
-O-

Era passata circa una settimana dalla notte infernale e Nancy stava mandando avanti la sua vita nel modo più normale possibile. Raramente pensava ancora a quelle scene cruente, le quali ora la facevano rabbrividire, ma nulla di più.
Ed ora si ritrovava di nuovo nelle strade di Whitechapel, a rubare fazzoletti e portafogli, entrambi di ottima fattura. Ogni oggetto che rubava, qualsiasi cosa, lo rivendeva al banco dei pegni, dove il signor Hughes e sua moglie Martha aspettavano ogni tipo di gingillo.
Inutile dire che avevano un occhio di riguardo per lei, probabilmente dato che portava sempre cose di buona qualità.
Se c'era una cosa che conoscevano di Nancy era la sua ambiziosità: non si era mai accontentata di un furto di qualche spicciolo, spesso si era ritrovata anche a cambiare quartiere solo per avere qualcosa di più. Rischioso, vero, ma faceva parte del mestiere e rendeva tutto più divertente, più gustoso, come aggiungere un po' di sale a un piatto insipido.
Anche se erano solo le cinque del pomeriggio, le ombre cominciavano già a inghiottire tutto quello che trovavano, dando un'impressone ancora più tetra e inquietante. Fu un attimo e le strade si svuotarono, lasciandola sola tra i suoi pensieri.
L'intera città era rimasta sconvolta per quel caso di omicidio. Non che accadesse raramente, spesso era a causa di qualche debito non ripagato o di una zuffa tra due ubriachi che si era spinta troppo oltre. Ma quelli non erano colpi inflitti per un debito, né per un'occhiata maliziosa fatta ad una donna sposata. Era qualcosa di molto più violento, più malato.
Le persone tenevano gli occhi aperti, raccomandavano la famiglia di stare a casa e non si fidavano più di nessuno. Lei non era da meno. Anche lei aveva deciso di proteggere l'unica persona a cui teneva, ovvero Thomas. Gli aveva esplicitamente raccomandato di rimanere a casa per qualsiasi cosa, mentre gli assicurava che sarebbe tornata prima che il buio prendesse possesso di Londra.
Era infatti sul ritorno di casa e ormai mancava giusto qualche isolato per arrivare al suo appartamento, ma si dovette fermare quando avvertì qualcuno afferrarla per il braccio.
Fischi acuti risuanarono nel vuoto delle strade, mentre due uomini le bloccavano le braccia. D'istinto, Nancy cominciò a divincolarsi, a scalciare, ma le loro prese ferree non volevano saperne di allentarsi. Non era mai stata molto forte, per questo aveva sempre contato sulla sua intelligenza e furbizia per fare qualsiasi cosa.
Vide con la coda dell'occhio, le persone che si affacciavano alla finestra per vedere cosa stesse succedendo, fosse speranzosi del fatto che avessero preso l'assassino che stava terrorizzando la città.
"Lasciatemi, schifosi bastardi!" gridò Nancy mentre continuava a ribellarsi. Per un momento pensò che magari avevano scoperto dei suoi furti, ma poi anche lei credette che magari avessero pensato che lei fosse il colpevole. Che qualcuno l'avesse vista fuggire di corsa nella notte quel giorno? Un nodo le si formò nello stomaco, mentre il respiro le si bloccò in gola. Se davvero fosse stato così, sapeva qual'era la condanna per aver commesso un omicidio.
Al pensiero di lei appesa per il collo ad una corda, prese a divincolarsi con più forza, il corpo si riempì di adrenalina, gli urli si fecero più acuti e disperati.
"Lasciatemi, pezzi di merda! Non ho fatto nulla di male, idioti!" continuò a gridare, ma questi la ammanettarono e la spinsero in una carrozza.
"Muoviti, non abbiamo tempo da perdere!" le urlò uno degli uomini. Era alto circa un metro e ottanta, forse anche di più, il corpo muscoloso, il viso dai lineamenti duri e marcati, ma allo stesso tempo giovani, i quali si sposavano alla perfezione con i suoi occhi color ghiaccio, ma che a loro volta sembravano stonare con i folti capelli neri, i quali scendevano in dolci e morbide onde e si fermavano poco sotto la nuca.
Per un attimo, Nancy era rimasta a fissarlo, suggestionata da quel fisico tanto perfetto, ma poi riprese a ribellarsi. Si sarebbe data mentalmente della stupida per essere rimasta imbambolata in quel breve lasso di tempo davanti a uno sconosciuto, ma quella non era la situazione adatta.
"State prendendo la persona sbagliata!" urlò.
L'ultima cosa che sentì fu la voce disperata di Thomas che chiamava il suo nome, poi furono solo schiocchi di zoccoli sulla pietra della strada.
 
-O-

In un primo momento, non si era chiesta il perché della carrozza a causa del panico che le aveva annebbiato la mente, ma ora tutto quello le sembrava molto strano. Era perfettamente consapevole che ci fosse un ufficio di polizia non tanto distante dal luogo in cui era prima, prendere la carrozza sarebbe stato solo uno spreco di tempo e forse anche più rischioso. Dopotutto, avrebbe potuto buttarsi e scappare, non l'avrebbero mai presa dato che la carrozza doveva avere anche il tempo di rallentare.
Dopo poco, si rese conto che non stavano prendendo la direzione che pensava. La carrozza, infatti, aveva preso una strada totalmente diversa. Cercò di calmarsi e a studiare gli imbocchi che il mezzo stava prendendo fino a che si allontanarono dalla città e le venne in mente solo un luogo possibile: la stazione.
Perché mi stanno portando lì?; si chiese la ragazza, il panico che riprese a montarle dentro a causa del futuro sconosciuto che stava affrontando. Non era abituata a tutto questo, solitamente aveva dei progetti perfetti e precisi, voleva essere pronta in ogni occasione, mostrare quanto era forte in ogni momento, ma non poteva prevedere tutto quello. La sua mente continuava a saltare tra le varie soluzioni possibili, ma nessuna di queste sembrava possibile.
Inizialmente, l'unica che le sembrava davvero possibile era che c'era la sua famiglia a tutto quello, che magari avevano deciso di riportarla a casa, che l'avevano cercata in tutti quegli anni. Ma poi le parve la più inverosimile tra tutte le altre.
Cominciò a fare lunghi respiri, mentre una maschera fredda e calma le scendeva sul volto, tutto il contrario dell'uragano di pensieri ed emozioni che si stava scatenando dentro di lei.
"Tutto bene?" fu la voce profonda e maschile della persona seduta affianco a lei che le permise di distrarsi un attimo, appigliandosi a quella come se da essa dipendesse la propria vita.
Si voltò per incontrare nuovamente gli occhi ghiacciati del poliziotto. Si stupì di quella domanda dato il trattamento che le aveva riservato poco prima. "Dove stiamo andando?" chiese evitando di rispondere alla domanda precedente. Non voleva sembrare troppo sicura, poiché poteva sembrare in qualche modo una minaccia e l'avrebbe forse resa ancora più sospetta, ma nemmeno troppo impaurita, perché anche quello non le avrebbe giovato.
"A Windsor".
"Windsor?!" Nancy sapeva perfettamente chi viveva in quel luogo, e questo la rese ancora più irrequieta. "Dalla regina?"
"Sì. Sua Maestà vuole vederla" rispose ancora l'uomo. "Riguarda l'omicidio avvenuto una settimana fa".
Il cuore della ragazza perse inevitabilmente un battito e pensieri terrificanti le attraversarono la mente, tanto veloci quanto agonizzanti.
"Sentite, io non ho niente a che fare con tutto questo! Non sono io l'assassina!" si difese prontamente, anche se sapeva che la prima parte fosse in un certo senso una bugia.
"Sua Maestà le spiegherà tutto a tempo debito" rispose ancora lui.
Per un attimo le parve di vederlo attaccato a fili invisibili, i quali gli permettervano di essere di essere controllato direttamente dalla famosa e potente "vedova di Windsor".
La carrozza si fermò proprio davanti alla stazione, dove già si poteva udire lo stridio dei treni.
"Scendi" disse l'altro uomo, freddo e serio, mentre la strattonava da un braccio. Non ebbe nemmeno il tempo di studiarne il viso, vide solo i corti capelli rossi nascosti sotto il cappello.
"Mi lasci, so camminare senza sostegno!" ribatté irritata Nancy.
"Stai zitta e cammina" continuò lui tirandola verso la stazione. La ragazza continuò inutilmente a tentare di scrollarsi quella mano di dosso, la quale le dava un enorme senso di fastidio. Odiava davvero il contatto fisico, specialmente da parte di uno sconosciuto.
La scortarono fino ai binari, dove stazionava un treno completamente nero e quell'aspetto le fece immaginare che dovesse portarla in un luogo infernale. Doveva però ammettere che quel mezzo l'affascinava. Non aveva mai preso un treno e una parte di lei era sinceramente curiosa di scoprire a quale velocità riusciva ad andare, sapere com'erano i suoi interni e come riuscisse a muoversi.
Per un attimo studiò le grandi ruote poggiate sulla ferrovia, accarezzandone i raggi con lo sguardo e salendo fino a quella che doveva essere cabina del guidatore. Una volta un uomo le aveva raccontato che, per farlo partire, riempivano una caldaia con il carbone e per un attimo teorizzò che forse era proprio la sua combustione a metterlo in moto.
Presa tanto dai suoi pensieri, non aveva nemmeno sentito la sua scorta dirle di salire, fin quando non le diede una spinta.
"Sei sorda?" le chiese retoricamente il rosso. Nancy provò il forte desiderio di voltarsi e tirargli un pungo dritto nello stomaco. Avrebbe provato sicuramente un'immensa soddisfazione nel vederlo piegato in due con una smorfia di dolore sul volto, magari imprecando sommessamente.
Fu però il corvino a intervenire. "Jonathan, basta" disse, il tono così duro e autoritario che fece rabbrividire la ragazza.
Il poliziotto dai capelli rossi sputò a terra e salì su una delle carrozze, seguito da Nancy e l'altro uomo. Quest'ultimo non la toccò, ma le stette dietro, pronto a scattare se lei avesse tentato di scappare.
Rimase leggermente delusa quando vide solo due lunghe file di panchine di legno, molte già piene, una ad ogni lato. Poi però si chiese lei stessa quali erano le sue aspettative, ma non vi fu risposta.
Presero posto, lei affianco al finestrino. Vicino sedeva quello che sembrava il poliziotto più "gentile" dei due, mentre Jonathan si trovava davanti a lei.  Il treno partì subito dopo un forte suono, un po' per avvisare che stava per allontanarsi. Dedusse che forse era a causa del motore e della pressione del vapore.
Fatto stava che il treno prese a muoversi e in un attimo si ritrovarono in viaggio, andando così spediti che Nancy rimase affascinata nel vedere il paesaggio passarle così velocemente davanti agli occhi.
"Non hai mai preso il treno?" chiese uno dei due uomini, ma lei non rispose, poiché quel movimento la stava quasi cullando e le palpebre si fecero pesanti.
In poco tempo, Nancy sprofondo in un sonno senza sogni.
 
-O-

NOTA AUTRICE: Ciao a tutti, sono tornata!
Allora, innazitutto voglio spiegarvi il perché di così tanto ritardo: per prima cosa ho avuto la febbre nella prima settimana, proprio quella piena zeppa di verifiche. Nella seconda sono andata in Austria per una gita scolastica, esperienza a dir poco meravigliosa. Nella terza, invece, ho dovuto recuperare le verifiche che dovevano essere nella prima. Vi lascio immaginare il macello.
Perciò, mi scuso del ritardo e dei possibili orrori commessi in questo capitolo, sono a dir poco mortificata.
Ma ciancio alle bande, voglio davvero ringraziare tutti coloro che stanno seguendo questa storia, ci sto mettendo davvero tutta me stessa per scriverla. Spero che i miei sforzi possano aver dato frutto.
Spero anche che questo capitolo vi sia comunque piaciuto. Se è così fatemelo sapere con una recensione e magari ditemi se ci sono degli errori in giro, provvederò a correggerli.
Alla prossima!
Kisses, Emy.

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Capitolo 5
*** Quel famoso campo di papaveri ***


Capitolo 5: Quel famoso campo di papaveri


Quella notte non tornò a dormire, bensì si sedette davanti alla scrivania, le dita che impugnavano tremanti e con forza una penna stilografica. Tracciava diversi appunti su un blocco di fogli che aveva trovato sulla superficie in mogano e mano a mano li riempiva tutti con parole e disegni.
Cominciò a tracciare i lineamenti del viso della vittima, freddi e contratti in una smorfia di dolore e terrore. In quel momento dovette ipotizzare che, anche se aveva smesso di dimenarsi al primo colpo, una parte di lui era ancora viva, forse addirittura cosciente.
Disegno poi i suoi occhi, le pupille all'indietro e inespressive. Successivamente, su un altro foglio, disegnò la mano dell'assassino, quella che teneva il coltello. Rappresentò con estrema precisione le vene che pulsavano per via della forza che utilizzava in ogni colpo, macchiandosi sempre di più di sangue e colpa, come se una lenta ondata di fango gli scivolasse addosso, depositandosi nel suo cuore e nel resto del suo essere.
Ma la follia l'avrebbe nascosta e forse avrebbe accolto quella sporcizia come un qualcosa di giusto e inevitabile.
Nancy scommise che sarebbe stato così.
Sentiva i muscoli della mano destra farle male dopo una mezz'ora, ma si fermò solo quando rimase solo un ultimo foglio davanti a lei; candido e pulito.
Improvvisamente, la testa cominciò a svuotarsi di ogni pensiero, rendendosi finalmente conto che prima le sembrava di stare urlando nel bel mezzo di un vortice che la trascinava sempre più in basso. La pressione che le schiacciava il corpo sulla scrivania si allentò, permettendole di sedersi dritta sulla sedia; gli occhi ancora fissi sul foglio.
Fece un profondo respiro e tornò a scrivere, stavolta calma e seria. Due parole comparvero subito sul foglio:

Caro Thomas,

Ma quando fece per continuare dovette fermarsi. Non aveva la più pallida idea di dove cominciare. Chiuse gli occhi e un altro sospirò uscì dolcemente dalle sua labbra, disperdendosi nell'aria gelida che stagnava attorno a lei.

La regina mi ha convocata Ti scrivo per farti sapere che sto bene. Quei due agenti mi hanno presa e portata via per ordine della regina. Hanno saputo che ho assistito all'omicidio della scorsa settimana e mi hanno chiesto di collaborare. Chiederò di tornare a Londra per domani sera, poi ti spiegherò tutto. Fai attenzione.
Cordiali saluti,
Nancy.


Posò la penna accanto alla breve lettera e attese in silenzio che l'inchiostro si asciugasse. Il suo sguardo si posò sulla grande finestra, dove la luna si vedeva chiara davanti a lei. Si alzò dalla sedia e si diresse verso la luce, catturata come una falena.
Quando la aprì un vento gelido entrò nella stanza, facendo spegnere la candela che era posata sulla scrivania. Anche se quello che indossava era troppo leggero per proteggersi dal freddo, Nancy rimase a guardare la luna, le mani appoggiate sul davanzale.
Non pensò a nulla, si lasciò solo cullare dal vento e dal silenzio, mentre l'umidità si faceva strada fin dentro le osse. La accolse, perché dopo la vista di quell'omicidio aveva bisogno di sentirsi viva.
Passò minuti interi a guardare quel satellite naturale, finché le palpebre cominciarono a farsi pesanti e il corpo iniziò a formicolare a causa del troppo tempo in cui era stata ferma.
Chiuse la finestra e tornò a letto, sotto le lenzuola diventate ormai fredde. Abituata a quella sensazione, Nancy non ci badò più di tanto e, a parte un fugace brivido che le percorse le schiena, nessuno avrebbe detto che lei sentisse freddo.
Quando le palpebre non le permisero più di vedere, si addormentò all'istante.
 
-O-

Quando riaprì gli occhi dovette richiuderli all'istante, data la fortissima luce sopra di lei. Si mise a sedere, mentre gli occhi guardavano il luogo in cui si trovava. Per qualche motivo non si meravigliò di ritrovarsi in un campo di rossi papaveri che si estendeva fino all'orizzonte.
Non che amasse molto i fiori, ma quelli per lei erano speciali. Ricordava che d'estate correva in un campo simile con...
"Nancy" una voce infantile e gioiosa la chiamo. Conosceva quella voce.
Thomas era davanti a lei, anche se dall'aspetto doveva avere sette anni.
"Sei tornata!" corse verso di lei e l'abbracciò forte. "Sei tornata, sei tornata!" continuava a ripetere gioioso.
"Sì Tommy, sono tornata" sorrise ricambiando la stretta.
Quando però lui sciolse l'abbraccio, la giovane dovette stupirsi nel vedere la sua espressione addolorata.
"Perché te ne sei andata?"
Il vento si alzò improvvisamente, impetuoso e travolgente, mentre nuvole grigie nascondevano lo splendido sole che poco prima la stava riscaldando.
Nancy tremò nella sua camicia da notte leggera.
"Che sta succedendo?" domandò, il viso rivolto verso il cielo. Ma non le arrivò risposta.
Quando tornò a guardare Thomas, lui era tornato al suo aspetto adulto e sul suo petto, all'altezza del cuore, vi era conficcata una lama. La stessa che aveva ucciso il ragazzo di Whitechapel.
"Thomas!" esclamò afferrandolo poco prima che il suo capo sbattesse contro la terra. "Thomas, resisti!"
Lui guardava verso l'alto, la bocca aperta in cerca d'aria mentre il suo corpo era scosso da lievi tremiti.
Attorno a loro, i papaveri cominciarono a farsi liquidi, fino a che formarono un lago rosso attorno a loro. Rosso come il sangue.
"Perché mi hai lasciato da solo?" chiese il ragazzo, gli occhi fissi su di lei, pieni di paura e dolore.
 
-O-

Si mise a sedere di scattò, il viso umido a causa delle lacrime e singhiozzi che scuotevano il suo corpo.
Nancy portò le ginocchia al petto e vi affondò il viso. Due incubi in una sola notte erano troppo.
Quando però si rese pienamente conto del fatto che stava piangendo, cominciò ad asciugarsi in fretta le guance e il viso con rabbia.
Mi sembri una bambina, una schifosa marmocchia; si rimproverò mentalmente.
Odiava piangere, per lei significava debolezza. Una volta finì per graffiarsi il viso a forza di passarvisi le mani sopra nel tentativo di cancellare ogni traccia delle lacrime. A Thomas non servì chiedere per capire cosa fosse successo, ma non disse nulla. Rimase semplicemente a guardarla, forse sperando che lei gli raccontasse tutto di sua spontanea iniziativa, ma non disse nulla. E a lui andò bene.
Si alzò in fretta e si diresse verso il lavabo, dove si sentì tranquillizzata nel sentirsi l'acqua addosso. Le sembrava di avere il pungente odore del sangue impregnatole addosso, come se poco prima si fosse trovata veramente in un mare di sangue.
Si vestì velocemente, per poi uscire dalla camera. Scese le scale e uscì, trovandosi nel cortile superiore.
Rimase colpita dal prato perfettamente curato, non pensava che la natura potesse mutare così tanto nelle mani dell'uomo. Sembrava più un tappeto. Per un attimo ebbe la voglia di togliersi gli stivali e camminarvici sopra, solo per constatare se la sensazione fosse come quella di stare su un morbido tappeto.
Perché sì, Nancy era sempre stata molto curiosa di scoprire qualsiasi cosa.
"Non credevo di rivedervi così presto" la voce maschile alle sue spalle la fece voltare, ritrovandosi Andarson Butler proprio davanti a lei.
"Credevo foste partito", o almeno sperava lo fosse. Quell'uomo era così gentile nei suoi confronti da farle saltare i nervi.
La sua bontà sarà la sua rovina; pensò.
"No, ho alloggiato da un mio parente che ha dimora qui vicino. Deduco che invece voi siate rimasta qui. Avete passato un tranquillo pomeriggio ieri?".
Perché sembrava così interessato a lei? Certo, aveva capito fosse una persona buona di natura, ma questo non comportava a chiederle di lei. Che fosse curioso o che avesse un interesse amoroso nei suoi confronti lo escluse di principio.
E poi capì.
"Temo che Vostra Maestà non si fidi di me, date le circostanze e la vostra presenza qui" affermò la giovane sapendo già dove il discorso sarebbe andato a finire.
"Cosa intendete?" domandò lui, le sopracciglia che si avvicinarono tra loro in un espressione confusa.
"Che ha inviato voi per tenermi d'occhio. Non siete per nulla bravo a mantenere i segreti, signor Butler" ghignò Nancy vittoriosa. Sapeva che era così.
"O magari siete voi troppo intuitiva, signorina Phillips" ribatté lui sorridendo divertito.
Quindi ci aveva visto giusto: la stava controllando. Beh, questo sarebbe potuto essere un vantaggio. D'altronde non è difficile fare in modo che una persona si fidi di te, lo aveva imparato ormai. Prima doveva farlo lui, e poi la regina.
"Vi ringrazio". Facendo un lieve, ma elegante inchino, Nancy decise che quella visita le avrebbe fruttato parecchio.
"Ad ogni modo, Vostra Altezza ha deciso di farvi ritornare a Londra oggi stesso; intuiva voi avreste preferito così. Quando partire però siete voi a deciderlo" dichiarò solenne l'uomo.
"Oggi pomeriggio" fu la risposta. Chissà quante cose sarebbe riuscita a rubare in così poco tempo. Sarebbe stato un gioco davvero divertente.
 
-O-

NOTA AUTRICE: Perdonate il terribile ritardo, ma il mio computer era andato. So che il capitolo è corto, ma non volevo farvi aspettare ulteriormente.
Mi scuso anche per le possibile sviste, spesso mi capita. Se però ne trovate qualcuna fatemelo sapere che provvederò a correggere.
Comunque, che ne pensate? Spero vi piaccia!
Alla prossima!
Kisses, Emy.

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Capitolo 6
*** La vedova di Windsor ***


Capitolo 5: la vedova di Windsor


Quando Nancy si svegliò, non riuscì a spiegarsi come mai non fosse più sul treno, ma bensì su un'altra carrozza. Che l'avessero portata in braccio? Sperava di no, anche se sembrava l'unica spiegazione possibile.
Per un momento si guardò attorno, la mente confusa che tentava di ricostruire gli eventi della giornata. Fuori era ancora buio, ma il sole cominciava ad alzarsi in lontananza, facendo risplendere il cielo di colori aranciati.
Quasi le venne da ridere quando quella stella le parve un enorme e succoso agrume. Sentì lo stomaco brontolare a quel pensiero, così si ricordò di non aver fatto cena la sera prima.
Il suo sguardo cadde sugli agenti nello stesso mezzo, entrambi addormentati.
Nancy colse la palla al balzo e cominciò ad avvicinare la mano nel borsellino del rosso. Le sue agili ed esperte mani non fecero alcun rumore, a malapena sfioravano il cuoio della borsa. Sorrise quando le sue dita incontrarono un oggetto dalla forma pienamente familiare. Lo afferrò e, con la stessa leggerezza con cui la mano era entrata, ora era uscita, anche se con un portafoglio serrato tra dita pallide e affusolate.
Lo nascose in tasca e si voltò, convinta di ritrovarsi davanti il volto ancora addormentato dell'altro poliziotto. Sussultò quando però incontrò i suoi occhi color ghiaccio, i quali la guardavano con un'espressione tra il freddo e il divertito.
"Vi piace davvero così tanto rubare?"
Nancy fece fatica a nascondere il rossore che si stava manifestando sulle sue guance. Non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata e umiliata nell'essere stata colta il fragrante.
"Quello dovrebbe essere del mio collega" continuò tranquillo lui, allungando una mano per farsi restituire il portafoglio.
La ragazza sbuffò e riprese l'oggetto, posandoglielo svogliatamente sulle dita.
Rimasero per un attimo in silenzio, lei con un espressione che ricordava quella di una bambina a cui non volevano comprare un giocattolo, e lui soddisfatto di aver compiuto al suo dovere.
"Anderson Butler" disse lui dal nulla, catturando la sua attenzione.
"Scusate?"
"E' il mio nome" continuò l'uomo.
"Seriamente? Butler?" Nancy non poté nascondere un ghigno divertito a quel cognome. Butler, infatti, significa letteralmente "maggiordomo". Ecco quale sarebbe stato il suo soprannome; Maggiordomo.
"Sì" rispose lui "Voi invece dovete essere Nancy Phillips".
"Non mi sembra di avervi mai detto il mio nome" il ghigno scomparve, lasciando posto a un'occhiata sospettosa.
"Date le circostanze, siamo stati costretti a fare delle ricerche su di voi. C'è voluta una settimana per sapere dove alloggiavate" spiegò Anderson guardando davanti a lui, in punto indefinito "Phillips...questo cognome mi è familiare".
Nancy rimase a guardare fuori, indecisa se parlargli delle sue origini oppure no.
"Avete per caso a che fare con la famiglia Phillips? Sapete, Charles e Meredith Phillips".
A quei nomi, il suo cuore perse un battito. Quasi non li ricordava più e il sentirli nominare le riporto alla mente immagini che ormai credeva di aver cancellato da tempo. Ma con quei due nomi sentì i cassetti della memoria riaprisi, quei cassetti che aveva deciso di chiudere e gettarne la chiave.
Perché tutti sanno che ci sono cose che devono rimanere nascoste, che l'oblio deve cadere su di loro, così denso e oscuro da non fare nemmeno notare la loro esistenza.
Alla fine, Nancy non rispose, rimase solo a guardare i campi sfrecciargli davanti agli occhi, mentre la carrozza oscillava a causa della strada ghiaiosa che stavano percorrendo.
Anderson non insistette, anche se prese quel silenzio come un probabile "sì".
Solo dopo venti minuti abbondanti, la mora rispose: "Sono i miei genitori".
Era arrivata alla conclusione che sapere una cosa del genere non avrebbe fatto nessuna differenza. Che poteva farle? Riportarla a casa? No, ora era una donna adulta, non erano più i suoi genitori a decidere. Certo, avrebbe sempre potuto contattarli e fargli sapere che la loro figlia era viva e stava bene, ma Nancy sapeva che loro si sarebbero solamente chiesti perché sprecare un così prezioso foglio di carta e così tanto inchiostro per scrivere qualcosa di tanto inutile. E lei sarebbe stata pienamente d'accordo con loro.
Per quanto potesse sembrare strano, non aveva mai sentito il bisogno di piacere ai suoi genitori, il bisogno di dimostrargli affetto, poiché non avvertiva nulla che la legasse a loro. L'avevano solo messa al mondo, poi era stata lei stessa a crescersi. Lei era stata i suoi genitori e Thomas i suoi fratelli.
Anderson, invece, non poté fare a meno di stupirsi a quell'affermazione, ma poi trasse la conclusione che era stata allontanata per qualche motivo o che lei stessa se ne fosse andata. In ogni caso, non ritenne opportuno chiedere altro o intervenire.
Non parlarono per il resto del viaggio, ma quel silenzio tra di loro non fu imbarazzante, sembrò addirittura piacevole. Sarebbe stato molto più scomodo se avessero continuato a parlare.
Anche Jonathan, l'altro agente, non parlò quando si svegliò, si limitò a fumare dalla sua pipa Calabash, lasciando nell'aria odore di fumo e costringendo Anderson ad aprire il finestrino della carrozza per far cambiare aria.
Nancy, però, continuava a guardare le campagne che si estendevano fino all'orizzonte. Sembrava un immenso oceano verde, il quale le dava un senso di calma che non immaginava. Non si era mai veramente soffermata per guardarsi intorno, era sempre di corsa, la  testa che continuava a elaborare qualunque cosa. Ma ora si stava perdendo in quel panorama, mentre si era arresa nel trovare una soluzione a tutto quello che stava succedendo. L'unica cosa da fare era aspettare di vedere la regina, non c'era nient'altro da fare.
Inoltre le cose sarebbero anche potute andare nel verso giusto, dopotutto la regina avrà sicuramente un sacco di ricchezze da poter arraffare. Sorrise a quel pensiero, mentre la carrozza continuava ad avanzare.
Stava quasi per addormentarsi di nuovo, quando non intravide il maestoso castello di Windsor. La costruzione era ben studiata e la sua architettura dallo stile medievale era sorprendente. Esso si ergeva su una collina che però non sembrava naturale, ma quel dettaglio passava decisamente in secondo piano.
Attraversarono la porta di Enrico VIII, la quale era l'entrata principale, e subito si ritrovarono all'interno di un grande cortile che percorsero tutto, per poi passare la Porta Normanna fino ad arrivare ad un secondo cortile, stavolta più grande del precedente. Ricordava che quest'ultimo veniva chiamato "Quadrangolo". Rabbrividì quando vide le lunghe file di guardie dalla giacca rossa, ritrovandosi davanti a loro appena scesa.
"Dobbiamo portare questa ragazza dalla regina" disse Butler dando loro un foglio arrotolato.
Una delle guardie la prese e, dopo aver riconosciuto la firma della regina al fondo, si scostò e li fece passare, ritrovandosi negli appartamenti privati.
Nancy rimase senza fiato quando si ritrovò circondata da tante ricchezze. Ogni singola stanza era colorata, decorata con oggetti dorati e quadri di famiglia dai dettagli mozzafiato. Ogni singola cosa era al suo posto e nessuna di queste sembrava stonare con il resto della stanza, i quali arredi non la facevano risultare pacchiana.
Quella che però colpi di più la ragazza fu la magnifica biblioteca privata, la quale conteneva una tale quantità di libri che gli scaffali coprivano tutte le mura della stanza.
"Eccovi finalmente"
Era così presa nel cercare di leggerne i titoli, che non si era minimamente accorta della donna vestita di nero seduta sul divanetto, al centro della stanza. Doveva aver avuto una quarantina d'anni.
Le bastò osservare gli agenti inchinarsi per capire chi fosse. Seguì gli stessi movimenti, anche se non aveva nessuna intenzione di farlo, ma ci teneva al fatto che la sua anima rimanesse nel suo corpo, così lo fece.
"Voi dovete essere Nancy" disse la donna, la voce dolce come quella di una madre, ma allo stesso tempo autoritaria.
"Sì" rispose, ricordandosi subito dopo di aggiungere: "Vostra Maestà".
Con la coda dell'occhio, la vide alzarsi in piedi, lasciando il libro, che prima teneva in grembo, sul divanetto.
"Andiamo in un posto più appartato".
 
-O-

Questa volta, Nancy non ebbe tempo di studiare l'ambiente circostante, poiché la regina riprese a parlare appena la porta si chiuse. Intuì solo che si trattasse di uno studio.
"Uno dei miei uomini vi ha sentita parlare ad un pub di Whitechapel riguardo al famoso omicidio che si è tenuto circa una settimana fa" cominciò Vittoria sedendosi sulla poltrona davanti alla scrivania.
Nancy si maledisse mentalmente per non essersi accorta che qualcun'altro, oltre a Thomas, la stesse ascoltando quella sera. A quanto pare i fatti del giorno prima l'avevano scossa a tal punto da annebbiarle la mente e le percezioni.
"Quindi siamo venuti a conoscenza del fatto che voi avete assistito a quel sanguinario delitto" continuò la donna sicura di sé.
La ragazza aveva finalmente capito il motivo per cui l'avevano portata lì, ma attese che la regina finisse di parlare.
"Le tracce sono state completamente cancellate dalla neve, purtroppo, ma il cielo ha permesso che ci fosse speranza per noi, permettendo che qualcuno passasse di lì proprio in quel momento".
"Dove volete arrivare, Vostra Maestà?" lo sapeva perfettamente, ma era stufa di ascoltare altre espressioni inutili. Voleva tornare a Londra il prima possibile.
I pensieri la condussero a Thomas.
Chissà se sta bene; si chiese. Sapeva perfettamente che lui era sicuramente preoccupato per lei e temeva della sua reazione. Che fosse rimasto tutta la notte a cercarla? Quel cretino si sarebbe fatto ammazzare se fosse stato così.
"Vogliamo che voi collaboriate con noi per scoprire chi sia l'assassino" spiegò Vittoria.
"Ed io cosa ci guadagno?" chiese Nancy, ignorando le occhiate stupite che le diedero i due agenti, forse stupiti da quella sfacciataggine "Non potete minacciarmi di morte o ciò che potrei sapere sparirà con me".
La donna non rispose, si limitò ad aprire un cassetto e tirarne fuori delle monete d'oro, le quali caddero sulla superficie della scrivania con un rumore metallico.
"Vedo che parlate la mia lingua, Vostra Maestà" ghignò la ragazza a quella visione. A quanto pare la regina aveva messo in considerazione la possibilità che lei fosse ingorda di denaro, una persona avara, e ci aveva preso.
"Avrete sicuramente visto qualcosa che potrà esserci utile" continuò la donna.
"So solo che l'assassino era pazzo, ma di questo credo se ne siano accorti tutti".
L'espressione della regina si indurì. "Siamo seri, signorina Phillips. Qui si tratta della sicurezza dell'intero regno".
"Non sto scherzando, è davvero tutto quello che so!"
"Vostra Maestà, perdoni la mia intromissione, ma è possibile che il tempo e lo stancante viaggio non le permetta di ricordare con chiarezza quella notte" disse Anderson, la testa ancora china in segno di rispetto.
Al contrario delle sue aspettative, l'autorevole donna non rimproverò l'uomo per il suo parere non richiesto, rimase a guardarlo pensierosa. Alla fine, si lasciò sfuggire un sospiro stanco e riprese a parlare: "Credo abbiate ragione, Mr. Butler. Dirò di preparare una stanza per l'ospite, domani forse potrà fornirci qualche informazione".
 
-O-

Fu così che Nancy passò l'intera giornata a leggere in biblioteca, uscendo da lì solo per mangiare. Non aveva nemmeno prestato attenzione alla splendida sala da pranzo, troppo presa dal voler finire di mangiare presto per tornare a leggere.
Non rivide più né Anderson né Jonathan per il resto della giornata, ma non le importò, anzi lo preferì. In realtà, non rivide nemmeno la regina e non avrebbe fatto nessun incontro significativo se, verso le quattro del pomeriggio, non si fosse presentata in biblioteca una bambina sugli otto/nove anni, dai capelli castani legati in una coda da un nastrino dello stesso colore del lungo abito blu che indossava.
Questa sobbalzò vedendola e per un attimo rimase spaventata nel ritrovarsi uno sconosciuto davanti. Fece per chiamare le guardie, ma Nancy la raggiunse in fretta e le tappò la bocca.
"Mi chiamo Nancy Phillips, sono qui con il permesso della regina Vittoria" spiegò e vide subito la bambina calmarsi. Quando allontanò la mano alla bocca, non urlò, ma rimase a guardarla curiosa.
La ragazza tornò a sedersi per riprendere la lettura, mentre l'altra la studiava per diversi secondi.
"Scusate se domando, ma perché avete un nome da donna?" chiese ingenuamente.
"Perché sono una donna" rispose Nancy senza staccare gli occhi dal proprio libro.
Intravide solo la bambina tapparsi la bocca come se avesse detto qualcosa di proibito. "Perdonatemi, io credevo-"
"Lo so" la interruppe secca lei. Non aveva per nulla voglia di ascoltare quella che per lei stava solo diventando un fastidio, voleva solo stare da sola.
"Il mio nome è Florance Trevelyan" disse poi la più piccola prendendo i lati del vestitino e facendo un'elegante riverenza.
Nancy si limitò a mormorare un "piacere", ma non lo pensò davvero.
Florance rimase in piedi a fissarla curiosa ancora per qualche minuto, dondolandosi sui talloni e tenendo le mani dietro la schiena. Tuttavia, quando vide che l'altra non la degnasse di uno sguardo, prese il primo libro che vide negli scaffali e corse fuori dalla stanza.
A cena, rivide sia la bambina che la regina, ma non scambiò parola con nessuna delle due, mentre la donna ascoltava con sincero interesse la giornata di Florance, esattamente come farebbe una madre amorevole.
Quandò finì di mangiare, si congedò con un inchino veloce e poco aggrazziato, e si diresse verso quella che doveva essere la sua stanza provvisoria. Aveva le pareti coperte da una regale tappezzeria rossa, nascosta in alcuni punti da quadri rappresentanti paesaggi e riunioni politiche e con al centro un alto e largo letto che la invitava solamente a riposarsi. Sembrava guardarla e dirle "tu stenditi, al resto ci penso io".
E fu così che fece Nancy; indossò una lunga tunica bianca e si sdraiò sotto le coperte, attendendo che il sonno la abbracciasse.
Sperò di non sognare nulla quella notte, sarebbe stato molto meglio, ma gli eventi della giornata permisero che orribili e recenti ricordi le ritornassero davanti agli occhi.
Si ritrovò nuovamente in quel vicolo buio, a guardare il ragazzo che vomitava e che poi veniva buttato a terra. Rivide l'assassino salirgli addosso con una furia che non aveva mai visto. Non vedeva l'ora di ucciderlo, desiderava ardentemente vedere il sangue sgorgare fuori e scivolare a terra per creare un lago cremisi, voleva vedere il suo corpo martoriato e irriconoscibile.
E nel momento in cui la mano si alzò per sferrare il primo colpo, Nancy si rese finalmente conto di una cosa che prima non aveva notato.
Fu come se un fulmine la colpisse di colpo, una realizzazione tanto improvvisa che la fece sedere di scatto e spalancare gli occhi, mentre il panico e l'ansia di quella sera tornavano a investirla a causa di quelle immagini.
La fronte era imperlata di sudore, i capelli corti appiccicati al volto e il petto che si muoveva in fretta al ritmo del suo respiro.
Nella testa rivide quella mano che teneva l'arma, la rivide ancora, e ancora, e ancora, e ancora...
Sinistra.
Ripeté quella parola così tante volte che ne perse il conto. Senza rendersene conto cominciò a ridere, mentre si passava una mano sul viso e tra capelli.
Era la sinistra; pensò ancora ridendo a quella realizzazione. Come aveva potuto non rendersene conto? Proprio lei che aveva un occhio tanto vigile, un occhio di falco, non si era resa conto di un dettaglio che poteva risultare molto importante.
L'assassino era mancino.
 
-O-

NOTA AUTRICE: Rieccomi con un altro capitolo. Con questo ci ho messo un po' specialmente a causa delle lunghe ricerche che ho dovuto fare sul castello di Windsor; spero che siano soddisfacenti.
Ringrazio ancora una volta tutte le persone che stanno seguendo questa storia, davvero grazie.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, così potete anche scrivermi se avete notato qualche errore e provvederò a correggerlo.
Beh, alla prossima!
Kisses, Emy.

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