La leggenda di Aldric l'intrepido

di Old Fashioned
(/viewuser.php?uid=934147)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


LA LEGGENDA DI ALDRIC L’INTREPIDO


Capitolo 1

Il principe Wieland sembrava avere ricevuto in dono dalla sorte ogni fortuna: era bello, valoroso, di nobili natali ed erede al trono di uno dei più ricchi e prosperi feudi del Nord, il Regno di Theoburg, sito ai confini delle pianure di Konorian.
Eppure da qualche tempo egli era così triste che neppure l'ombra di un sorriso aleggiava sul suo volto pallido.
Un tempo era amante delle feste e dei divertimenti, non c'era caccia a cui non partecipasse o torneo che non lo vedesse tra i vincitori, ora invece era diventato raro vederlo in compagnia di qualcuno. Più spesso galoppava in solitudine per i boschi in sella al suo fido destriero, oppure trascorreva lunghe ore chiuso nella sua camera, rifuggendo feste e divertimenti.
Il Re suo padre, Sire Warmund il Generoso, e sua madre la Regina Hytwinna avevano consultato innumerevoli saggi e studiosi, ma il giovane principe sembrava inconsolabile e il suo struggimento si faceva di giorno in giorno più profondo e straziante.
Il motivo di tanta pena era peraltro ben noto: la sua promessa sposa, una fanciulla di ineguagliabile grazia e bellezza che portava il nome di Lady Amilda, era stata rapita dal Signore dei Morti, che invaghitosi di lei l'aveva ghermita e condotta seco al Palazzo dell'Eterno Dolore.
Nessuno era mai tornato da quel luogo infausto, quindi a tutti coloro che l'avevano amata era stato detto di rassegnarsi al fatto che ella fosse perduta per sempre.

Una delle poche cose che ormai erano in grado di distrarre il principe Wieland dalle sue disgrazie era vestirsi come un popolano e girare per le vie della città confondendosi con la gente comune. Per quanto la sua statura e il suo portamento fossero senza dubbio quelli di un nobile, tenendosi un po' curvo e con un cappuccio sul volto che gli nascondeva i lineamenti riusciva facilmente a passeggiare per le strade senza destare sospetti nella popolazione.
Da quando Lady Amilda non era più al suo fianco, infatti, la corte coi suoi marmi e i suoi ori gli appariva soffocante come un sarcofago. Tutto gli ricordava lei: nelle aiuole dei giardini c'erano i fiori che ella preferiva, e che lui aveva fatto giungere appositamente dai Parchi Splendenti di Erwayn; la ninfa che versava acqua dal centro della fontana era stata scolpita a sua immagine; in un angolo del salone giaceva ancora la sua arpa d'argento, che nessuno aveva avuto il coraggio di toccare.
In città almeno non doveva sopportare lo sguardo compassionevole dei dignitari di corte, né doveva fingere una tranquillità che non provava per evitare che sua madre si preoccupasse eccessivamente.
C'era una taverna che gli piaceva, proprio dietro il mercato. Si chiamava Al Drago Fiammeggiante, nell'insegna ormai sbiadita dagli anni si poteva ancora distinguere l'immagine di un animale alato che emetteva fuoco dalle fauci spalancate.
A dispetto del nome, era un posto tranquillo e Wieland amava sedersi in un angolo e restare semplicemente lì a contemplare il viavai degli avventori.
Un mercante si rallegrava per aver concluso un buon affare, mentre magari un altro inveiva contro un terzo che gli aveva venduto per buono un cavallo in realtà privo di valore. In un angolo ci potevano essere viaggiatori che narravano di paesi lontani suscitando la meraviglia degli astanti, oppure conduttori di carovane che da lungi avevano portato spezie e stoffe pregiate e ora si riposavano dopo il lungo percorso.

Normalmente il principe Wieland se ne andava sul fare della sera per rientrare al palazzo, ma una volta si trattenne presso la taverna fino a notte fonda. Fuori stava piovendo forte e il giovane non aveva avuto voglia di lasciare il piacevole tepore della stanza per affrontare gli scrosci gelidi e un vento così impetuoso da strappare di dosso i mantelli.
Stava sonnecchiando in un angolo tranquillo quando un soffio d'aria fredda attirò la sua attenzione. Si girò verso la porta e vide entrare un vecchio dalla lunga barba bianca e dal portamento solenne, carico d'anni, ma anche colmo di saggezza e dignità. Si avvide che portava le vesti dei Maghi Veggenti di Rhias e ne fu stupito, perché era assai raro incontrare uno di quei sapienti fuori dalle mura del Monastero di Denon-Lor, detto anche Tempio della Pietra Parlante.
Essi abbandonavano il Recinto Sacro unicamente quando ricevevano un Presagio che il Consiglio dei Nove Illuminati riteneva appropriato rivelare all’esterno. Interi regni, si narrava, erano stati salvati da Maghi Veggenti che avevano comunicato nel momento e nel luogo opportuno le loro percezioni mistiche.

Il vecchio entrò nella sala riscaldata con soddisfazione. Appoggiò il mantello fradicio e si avvicinò al camino, verso il quale tese le mani ossute.
Gli astanti avevano a loro volta riconosciuto i paramenti del nuovo arrivato e gli si fecero rispettosamente intorno. L'anziano sacerdote pronunciò parole di benedizione, accettò una coppa di vino che gli veniva porta dall'oste, quindi si guardò intorno come alla ricerca di un tavolo al quale sedersi.
Wieland notò che volgeva lo sguardo nella sua direzione ed accennò ad un gesto di deferenza nei suoi confronti.
Il vecchio si mosse allora verso di lui. “Salute a te, giovane signore,” lo apostrofò. “Con una notte del genere, capisco l'apprensione di Dama Hytwinna che non ti vede rientrare. Ma stanne certo, il temporale durerà ancora poco e presto potrai correre a rassicurarla.”
Il principe non fu ovviamente stupito del fatto che l'altro l'avesse così facilmente riconosciuto. “Certo un cappuccio e un mantello non possono ingannare un Mago Veggente,” rispose con un sorriso, poi si alzò rispettosamente e gli porse la sedia vuota accanto alla propria. Quando l’anziano sapiente si fu seduto, gli chiese: “Cosa ti porta qui a Theoburg, Venerabile?”
In verità sono qui principalmente per te, giovane Wieland. Il consiglio dei Nove Illuminati ritiene che tu debba venire a conoscenza di una divinazione che ti riguarda.”
Esiste una divinazione su di me?” chiese il ragazzo stupito. Aveva sempre pensato che i Maghi Veggenti si occupassero solo di grandi eroi e antichi regni.
Ne esistono molte, ma non sono qui per dirti che compirai grandi gesta o che regnerai a lungo donando pace e giustizia al tuo popolo.”
Vuoi dire... che tutto questo non mi accadrà?” gli occhi dorati del giovane furono attraversati da un bagliore di apprensione.
Questo non posso rivelartelo,” rispose il vecchio con un sorriso paziente, “sono cose che dovrai scoprire da solo.” Bevve un sorso di vino e proseguì: “Quello che sono incaricato di riferirti è che Lady Amilda può tornare dal Palazzo dell'Eterno Dolore.”
Il ragazzo rimase per qualche secondo ammutolito dalla sorpresa, poi, stentando a contenere la propria gioia, chiese: “Può tornare? E quando? Quando tornerà da noi?”
Il sorriso del Mago assunse una nota di paterna benevolenza. “Non correre troppo, mio giovane amico,” gli rispose, “dovrai recarti tu stesso al Palazzo dell'Eterno Dolore a reclamare la tua promessa sposa. Dopo il lungo viaggio e le prove che ti saranno poste dinnanzi riavrai la fanciulla, ma ti avverto che il prezzo da pagare sarà molto alto.”
Che significa molto alto?” chiese dubbioso il principe.
Perderai la persona che ami di più.”
Wieland rimase perplesso. La persona che amava di più era senza alcun dubbio Lady Amilda. Come poteva essere che venisse riconquistata e persa allo stesso tempo?
Il suo volto assunse comunque un'espressione risoluta. “Non importa” disse con decisione “riavrò Lady Amilda a qualsiasi costo.”
Sai quello che dovrai pagare.”
Pagherà un prezzo più elevato chi cercherà di fermarmi.”
Il Veggente non disse nulla. Chi conosce tutte le cose che sono state, sono e saranno deve essere estremamente cauto nel parlare. Si limitò a finire la propria coppa di vino, quindi si volse nuovamente verso il principe Wieland, che nonostante tutto appariva esaltato dalla notizia appena ricevuta.
Ti prego, vieni a palazzo, il Re mio padre deve sentire queste cose!” esclamò infatti il giovane. “Ti darà grandi doni, sarai alloggiato con tutti gli onori e potrai restare fino a che lo riterrai opportuno.”
L'altro scosse la testa. “No, Wieland, questa missione è compiuta. Il Consiglio dei Nove riteneva che tu dovessi essere informato. Tu e non altri. Ho fatto quel che mi era stato chiesto, ora sta a te decidere che uso fare di ciò che ti ho detto, mentre io andrò a compiere la seconda missione che il Consiglio mi ha affidato.”
Si alzò lentamente in piedi e si guardò intorno alla ricerca del mantello.
Venerabile, non andartene così presto,” lo pregò il principe, “resta almeno a narrarmi qualcosa dell’impresa che dovrò compiere.”
Non mi è concesso. Ci sono cose del proprio futuro che è bene conoscere e altre che devono rimanere sconosciute.”
Ma tu sai cosa accadrà?” insisté Wieland sempre più accorato “Lo sai, vero?”
Sì, lo so.”
Allora dimmi solo se riavrò Lady Amilda.” Il principe lo stava letteralmente implorando. “Dimmi se potrò riabbracciarla.”
Il Mago lo fissò a lungo dall’alto della sua imponente statura, infine gravemente disse: “Sì, la riavrai.”
Oh, grazie, Venerabile!”
Ma il vecchio era già scomparso nella notte.

Come il mago aveva predetto, quando Wieland si affacciò all’esterno il temporale era finito e una pallida luna brillava nel cielo reso terso dalle recenti piogge.
Normalmente dopo aver trascorso la giornata in giro per la città sotto mentite spoglie, il principe tornava al palazzo muovendosi con cautela, in modo che il suo travestimento non fosse scoperto. Questa volta, invece, ansioso di riferire quanto aveva appena saputo, corse a perdifiato, incurante della sorpresa che suscitava nei suoi sudditi, i quali rimanevano a dir poco stupefatti nel vedere il figlio del loro sovrano passare a tutta velocità con indosso gli umili abiti di un uomo del popolo.
Del resto, non gli importava più mantenere intatta la sua copertura: presto avrebbe riavuto la sua amata e avrebbe finalmente passeggiato assieme a lei per le vie di Theoburg, preceduto dagli araldi e da paggi che avrebbero sparso petali di rosa affinché Lady Amilda non fosse obbligata a posare i delicati piedi sul nudo selciato.

Giunse al palazzo come un turbine, attraversò di corsa il cortile, entrò nell’ampio ingresso dal pavimento di marmo e percorse lo scalone d’onore facendo i gradini a quattro a quattro. Infine si arrestò ansimante di fronte alla sala del trono, che però era chiusa.
Fece un gesto di saluto alle guardie che lo fissavano sbigottite e sorrise fra sé: la notizia l’aveva messo in un tale stato di gioiosa eccitazione che non aveva pensato all’ora tarda: sicuramente Sire Warmund stava dormendo.
Per un attimo prese in considerazione l’idea di svegliarlo, ma vi rinunciò subito. Non voleva che suo padre fosse di cattivo umore quando gli avrebbe annunciato che il suo unico figlio si accingeva a partire per il Palazzo dell’Eterno Dolore, dove avrebbe sfidato il Signore dei Morti in persona per riconquistare la libertà di Lady Amilda.

Il Re suo padre lo ricevette il mattino dopo. Wieland si inginocchiò al suo cospetto e gli narrò per filo e per segno quanto gli aveva spiegato il Mago Veggente la sera prima, quindi solennemente disse: “Dammi la tua benedizione, padre, perché intendo partire oggi stesso per la Valle dei Lamenti.”
A quelle parole la Regina Hytwinna, che era assisa al fianco del consorte, impallidì. “Figlio, hai forse perduto il senno? Nessuno è mai tornato da quell'orrenda valle!” esclamò.
Ebbene, io sarò il primo a farlo, madre. Il Veggente mi ha detto che così è scritto.”
Intervenne a questo punto Re Warmund, che gravemente disse: “Dimentichi che un principe ha dei doveri verso il suo popolo, prima ancora che verso se stesso. Che farà la gente di Theoburg se l'unico erede al trono perirà nell'impresa disperata di strappare la sua promessa sposa al Signore dei Morti?”
Potrei cadere da cavallo in ogni momento, padre, o essere colpito da malattia. Oppure ancora potrei essere ucciso da un sicario.”
Il Re lo fissò poco convinto. “Un conto è accettare quel che ci riserva la sorte, figlio, ben altra questione è andare dissennatamente in cerca della morte.” rispose austero.
Non andrò incontro alla morte, padre, perché il Veggente mi ha detto che riuscirò nella mia impresa!” replicò Wieland impetuosamente.
Non parlò di quello che il vecchio aveva detto a proposito del prezzo che avrebbe dovuto pagare per riavere Lady Amilda. Da una parte gli pareva che non fosse un’argomentazione adatta a convincere il riluttante genitore ad impartirgli la benedizione, dall’altra l’idea gli comunicava un’inquietante sensazione di disagio e preferiva non rimuginarci troppo su.

Infine, tanto disse e tanto fece che Re Warmund si convinse a lasciarlo andare. “Ad una condizione, però,” disse il sovrano con tono che non ammetteva repliche.
Quale sarebbe?”
Che un valente guerriero ti accompagni.”
Wieland avvampò. “Dubiti forse delle mie capacità nel combattimento?” chiese piccato.
Così è deciso,” fu la categorica risposta del Re. “Sarà il capitano delle guardie ad accompagnarti.”
Aldric figlio di Hardwin?”
Così è deciso,” ripeté Re Warmund. La sua espressione accigliata fece chiaramente capire al figlio che non sarebbe stato saggio insistere sull’argomento.
Wieland si inchinò e uscì dalla sala del trono.

Una volta che si trovò nell’ampio corridoio, il principe ripensò alle parole del padre.
Conosceva molto bene Aldric. Egli era figlio del precedente capitano delle guardie, Hardwin. Avevano passato un’infanzia spensierata a giocare insieme, poi si erano persi di vista. Lui era stato affidato a maestri e precettori, che con pazienza gli avevano insegnato tutto ciò che gli sarebbe servito come futuro sovrano di Theoburg, mentre Aldric aveva seguito la dura Via dell’Acciaio ed era diventato un valente guerriero, generoso ed impavido. Quando il padre era perito nella battaglia di Hayda egli, ancora molto giovane, ne aveva preso il posto, rivelandosi ben presto abile e capace almeno quanto lui.
Sembrava del resto che Aunus Padre degli Dei gli avesse donato con la più grande abbondanza tutte le virtù che rendevano grande un guerriero: egli era alto, muscoloso, forte come un orso e al tempo stesso agile come una lontra. La Madre Celeste Aranna gli aveva instillato senno e discernimento, così che egli possedeva una naturale autorità ed i suoi uomini lo amavano e lo rispettavano.
Wieland dovette ammettere a se stesso che attraversare le selvagge distese di Morvynnet con lui al fianco sarebbe stato senza dubbio meno sgradevole che farlo in solitudine.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Nonostante la sua impazienza, il principe poté lasciare Theoburg solo dopo un paio di giorni.
Partirono lui e Aldric sul fare dell’alba, in sella a due robusti destrieri, portando seco un candido palafreno per Lady Amilda e un ulteriore cavallo carico del necessario per il viaggio.
Il cammino che li aspettava infatti era lungo e difficile: usciti dalle fertili pianure di Konorian, avrebbero dovuto attraversare il Cadwald, una foresta impenetrabile e infestata di belve, quindi avrebbero dovuto valicare i Monti Vjelen sfidando le nevi del Passo di War-Lye, anche detto degli Eserciti Perduti. Se fossero riusciti nella difficile impresa sarebbero giunti nella desolazione del Morvynnet, oltre la quale, così narravano le saghe, era situata la Valle dei Lamenti.
Non avrebbero trovato nulla lungo la strada, se non ciò che recavano seco. I pochi villaggi disseminati in quelle vuote plaghe, infatti, erano abitati da gente infida e malvagia, che raramente dava aiuto ai forestieri, e in ogni caso mai senza un lauto compenso.
Ma ciò non importava al principe Wieland. Egli aveva una sola cosa in mente: che avrebbe riavuto Lady Amilda. Anche i pericoli e le privazioni gli sembravano poco più di fastidi, ora che stava andando a riprendere la sua amata.

Il tragitto attraverso le pianure di Konorian fu piuttosto tranquillo. La gente lì non era ostile, anzi molti riconoscevano il principe Wieland e gli rendevano omaggio, augurandogli pace e prosperità.
Il luogo inoltre era quanto mai piacevole: vi erano basse colline, pianure leggermente ondulate e immensi campi sui quali le messi cominciavano a maturare. Di tanto in tanto si incontravano mandrie di animali al pascolo e ordinate masserie, a volte isolate e a volte riunite in piccoli borghi.
All'orizzonte vi era la minacciosa linea scura del Cadwald, ma in quel paesaggio agreste e tranquillo quasi non si notava.
Man mano che si avvicinavano al bosco, però, i due si accorgevano che le masserie diventavano sempre più rare, mentre aumentava il numero dei campi lasciati a maggese. Animali al pascolo non se ne vedevano più.
Ad un certo punto scomparvero dal cielo anche i canti degli uccelli. Dappertutto regnava un gran silenzio, nel quale gli zoccoli dei cavalli risuonavano come magli da fucina.
Wieland si guardò intorno a disagio.
È la vicinanza del Cadwald, principe,” disse Aldric, accarezzando il proprio destriero, che scartava nervoso con le orecchie appiattite all’indietro.
Ci sei mai stato?”
Sì, altezza. È un luogo arcano e pericoloso.” Il capitano delle guardie lo disse con tono di banale constatazione. Nel frattempo era riuscito a tranquillizzare la propria cavalcatura e aveva ripreso la marcia.
L'altro scrutò nuovamente l'inquietante linea scura. Ormai vi si distinguevano chiaramente le sagome di alberi solenni, dalla chioma imponente. Notò che non si udiva uno stormire di fronde: la foresta sembrava in silenziosa attesa.

Senza neppure aspettare di giungere in vicinanza delle prime piante, Aldric scrutò il cielo e disse: “Sarà meglio accamparci qui, altezza.”
Perché? Il sole è ancora alto.”
Wieland era impaziente di avanzare, ogni minuto che lo separava dalla sua amata gli sembrava lungo come un'eternità e fermarsi quando c'erano ancora due ore di luce gli pareva un inutile spreco di tempo.
Non è consigliabile farsi sorprendere dal buio all'interno del Cadwald, altezza.” rispose Aldric pazientemente.
Non c'è una locanda nella quale fermarsi?”
Nel Cadwald, altezza?” Il capitano delle guardie non poté evitare di fissarlo stupito. “No, lì ci sono solo lupi... o peggio.”
Cosa ci può essere di peggio dei lupi? Orsi?”
Non sono orsi, altezza.”
Di che stai parlando?”
Le creature del bosco.”
E cosa sono?”
Non saprei.”
Wieland lo fissò stupito. “Come sarebbe a dire che non lo sai? Non le hai viste quando ci sei stato?”
Sì, altezza, ma non saprei dire cosa sono.”
Così parlando, i due erano arrivati agli arbusti del sottobosco, che spuntavano fra i tronchi secolari là dove la luce del sole riusciva ancora a penetrare le fitte chiome degli alberi più alti.
Tutti gli animali si innervosirono e cominciarono a scartare nitrendo. Il candido corsiero destinato a Lady Amilda fece addirittura una mezza impennata e sarebbe fuggito via se Wieland non l'avesse tenuto saldamente per le redini.
E adesso cos'hanno?” chiese il principe faticando per ricondurre all'obbedienza le recalcitranti bestie.
Sentono l'aria malvagia del bosco, altezza. Gli animali percepiscono queste cose meglio di noi.”
Wieland lo fissò severo. “Non avrai paura, voglio sperare.”
Se ho paura è per voi, altezza,” fu la pacata risposta.
Beh, ti dimostrerò che essa è fuori luogo!” esclamò piccato il principe, spronando risolutamente il proprio cavallo.

All’interno del Cadwald l’aria era immobile e aveva un vago sentore di muffa e putrefazione. Vi regnava una spenta luce grigiastra e una pesante bruma strisciava sul terreno attutendo il rumore degli zoccoli.
Che strano posto,” commentò Wieland guardandosi intorno.
Il sentiero procedeva in una sorta di navata il cui soffitto, altissimo, era costituito dai rami degli alberi. Ai lati del percorso c’erano solo tronchi a perdita d’occhio, scuri e velati di nebbia.
Per un po’ avanzarono in silenzio. La luce si faceva sempre più fioca e di pari passo cresceva nei due un penoso senso d’oppressione. Aldric allentò la spada nel fodero.
Il principe, dal canto suo, cominciava a capire che forse avrebbe fatto meglio a dar retta al più esperto capitano della guardia. Si stava approssimando la notte, e con essa la necessità di accamparsi. Ma dove avrebbero potuto riposare, in un luogo dove ogni sasso e ogni foglia sembravano letteralmente sprigionare malvagità?
Come fanno normalmente i viandanti ad attraversare il Cadwald?” chiese sforzandosi di usare un tono indifferente.
Se possono lo aggirano, altezza, ma se come noi sono obbligati a passarvi attraverso, ebbene aspettano l’alba per entrarvi e non si fermano fino a che non sono giunti dall’altra parte, pregando che ciò accada prima del tramonto.”
Perché, cosa succede al tramonto?”
Arrivano quelli.”
Ebbene, se si avvicinano troppo assaggeranno il filo delle nostre spade.” Concluse Wieland risoluto.
Aldric non disse nulla. Continuò ad avanzare attento, scrutando i dintorni che nebbia e crepuscolo rendevano sempre più indistinti.
D’un tratto echeggiò un richiamo. Era una specie di ululato, ma chiaramente non proveniva dalla gola di un lupo. Era più roco, più modulato. Più umano, in un certo senso. Sembrava contenesse parole in qualche lingua antica e sconosciuta.
Sono loro,” disse Aldric, “presto ci saranno addosso.”
Smontò dal proprio cavallo e prese dal bagaglio due torce. Le accese con gesti rapidi ed esperti, poi ne porse una al principe.
Hanno paura della luce, altezza. Non lasciate andare questa fiaccola per nessun motivo.”
L’ululato si ripeté, più vicino. Altri risposero. I cavalli nitrirono spaventati.
Aldric si voltò verso il principe. “È meglio che stiamo vicini, altezza.”
L’altro non se lo fece ripetere. Tutt’intorno era una cacofonia di richiami. Non c’erano solo i lugubri ululati che avevano udito all’inizio, ma anche ansiti, ringhi e strani suoni gorgoglianti. Vi era un diffuso tramestio di foglie smosse.
E finalmente Wieland ne vide uno: difficile dire se fosse bipede o quadrupede. Era più grosso di un uomo, coperto di ispida pelliccia grigiastra. Della testa non colse altro che un confuso baluginare di occhi e zanne.
Avrebbe voluto snudare la spada, ma con una mano era impegnato a reggere la fiaccola, con l’altra stringeva le redini del cavallo, che sgroppava impazzito di terrore. Le due bestie che avevano al seguito, il corsiero bianco e il cavallo con la soma, rampavano e scalciavano in una frenesia di panico.
Non fermatevi, altezza,” raccomandò Aldric, pacato come suo solito ma con un’espressione tesa sul volto.
Ai margini del cerchio di luce comparvero altre di quelle creature, che però scartavano con mugolii che sembravano di dolore non appena uscivano dalla protezione delle tenebre.

Avanzarono in quel modo per un tempo che a Wieland parve interminabile. Egli non era mai stato pavido, ma quel tragitto nelle tenebre popolate da mostri con una torcia come unica protezione lo stava rendendo piuttosto nervoso. Per distrarsi cominciò a pensare a Lady Amilda e stabilì per prima cosa che nel viaggio di ritorno con lei avrebbero aggirato il Cadwald.
Al suo fianco, solido e apparentemente tranquillo, Aldric procedeva in silenzio, la torcia saldamente stretta in mano.
Improvvisamente echeggiò alle loro spalle un alto nitrito di dolore. Wieland si voltò bruscamente e vide che il corsiero bianco, che era rimasto più indietro e parzialmente fuori del cerchio di luce, aveva uno di quegli esseri sulla groppa, che si stava apprestando a dilaniarlo con artigli che parevano lame.
La bestia scalciò come impazzita, ma subito una seconda sagoma scura le fu addosso e altre si stavano avvicinando avide.
Senza pensarci due volte, Wieland smontò da cavallo, estrasse la spada e si precipitò ad attaccare i mostri.
Quello che seguì fu solo un turbinio confuso di bagliori d’acciaio, schizzi di sangue e corpi che cadevano a terra, il tutto reso ancora più indistinto dalla luce incerta e rossastra della torcia.
L’aria era piena dei versi gorgoglianti di quei mostri e dei nitriti disperati del cavallo. Per quanto Wieland lottasse strenuamente per proteggerlo, per una creatura che uccideva altre due ne arrivavano, rese pazze di bramosia dall’odore del sangue fresco. Il principe notò con raccapriccio che quegli esseri famelici divoravano addirittura i loro compagni che lui aveva abbattuto a fendenti.

Ad un tratto Wieland si sentì afferrare da dietro. Cercò di girarsi convinto che fosse uno di quei mostri, ma era Aldric, che con forza sovrumana lo stava issando sul proprio cavallo.
In un attimo il principe si ritrovò di traverso sulla sella, mentre il capitano delle guardie spronava il destriero lanciandolo al galoppo sfrenato.
Aspetta, i cavalli!” esclamò angosciato Wieland. Non potevano lasciarli indietro. Come avrebbero proseguito il viaggio senza i loro fedeli animali?
Non c’è tempo, altezza,” fu la secca risposta, “possiamo solo sperare che gli altri due ci seguano mentre quelli finiscono di mangiarsi il bianco.”

La corsa fu lunga e spaventosa. Per un tempo che a Wieland parve interminabile galopparono sullo stretto sentiero. La luce incerta della torcia mostrava solo file di tronchi tra i quali si intravedeva di tanto in tanto la sagoma tozza di uno di quegli esseri.
Quando già il principe stava per convincersi che inseguiti fino allo sfinimento non avrebbero avuto via di scampo, la folle galoppata li portò in una radura disseminata di arbusti secchi. Immediatamente Alrdric appiccò fuoco ad uno di essi, che avvampò crepitando.
I mostri fuggirono via con lugubri ululati di dolore.
I due smontarono da cavallo ansimanti. Per prima cosa diedero fuoco ad altri arbusti, in modo da creare una specie di barriera protettiva, poi valutarono l’ammontare dei danni: il cavallo per Lady Amilda era scomparso, quello con la soma era illeso, anche se il carico era stato parzialmente rovinato. Il destriero di Wieland, un cavallo da battaglia addestrato, era sopravvissuto coraggiosamente ad un assalto di quelle creature, ma aveva segni di graffi sul collo e su una spalla. I suoi zoccoli erano coperti di sangue scuro.
Anche Aldric sanguinava. Aveva segni sul collo, sul volto, sulle cosce e su ogni altra parte che non era coperta dalla cotta di maglia. Doveva essersi battuto furiosamente per riuscire ad arrivare così vicino al principe da poterlo issare sul suo cavallo.
Stai bene?” gli chiese Wieland preoccupato.
Sì, altezza.”
L’altro gli si avvicinò. “Fammi vedere queste ferite, credo sarà necessario fasciarle.”
Non direi, altezza. Sono solo graffi superficiali.”
Ma Wieland non se ne diede per inteso. Avanzò di un altro passo e fece per scostargli il colletto della veste. “Qui, per esempio, hai un taglio profondo,” disse.
L’altro si ritrasse bruscamente. “Non è niente di grave, altezza. Posso fare da solo,” rispose con voce fattasi improvvisamente dura. Gli voltò le spalle.
Wieland rimase stupito, ma attribuì i modi ruvidi del capitano alla tensione accumulata nella precipitosa fuga.
Buttò qualche ramo sui fuochi, controllò i finimenti del proprio cavallo, infine disse: “Aldric, ti posso fare una domanda?”
Certamente, altezza.”
Perché ti ostini a chiamarmi così?”
Perché voi siete il principe, altezza. Questo è il titolo che vi spetta.”
Aldric, giocavamo insieme da piccoli, da ragazzini ci scrivevamo lettere, quando io ero rimasto a Theoburg mentre tu eri andato a Ermyn Goter per seguire la Via dell’Acciaio. Eravamo amici. Lo ricordi questo?”
Sì, certo che lo ricordo.”
Non lo siamo più?”
Darei la vita per voi, principe.”
Non chiedo tanto. Basta che ricominci a chiamarmi per nome come facevi una volta.”
Tra i due ci fu un lungo silenzio, rotto solo dal crepitare dei fuochi e dai mugolii delle creature che si aggiravano intorno colme di rabbia impotente.
Infine Aldric disse: “Farò io il primo turno di guardia. Tu sdraiati qui e riposa.”
L’altro lo fissò negli occhi brevemente, poi annuì. Stese per terra la sua coperta e vi si adagiò con un sospiro di soddisfazione. “Grazie Aldric,” disse in un soffio.
Dormi.”
Prima di chiudere gli occhi, Wieland ebbe la fugace visione del capitano delle guardie ritto in piedi accanto a uno dei fuochi. Con la spada al fianco e una torcia stretta in pugno, i capelli dorati che riflettevano i bagliori rossastri delle fiamme, gli parve come un arcangelo guerriero a guardia di un sacro tempio.

Albeggiava quando Aldric scosse gentilmente Wieland per svegliarlo.
Il principe si guardò intorno ancora un po’ stranito, quasi stentando a riconoscere la radura, ora che la vedeva alla luce. Benché l’ambiente fosse quanto mai sinistro e inquietante, vi regnava di nuovo il silenzio perfetto del giorno prima. Non c’era in giro la minima traccia delle misteriose creature della notte, tanto che se non fosse stato per le ferite di Aldric e per la mancanza del cavallo bianco, avrebbe anche potuto pensare di essersi sognato ogni cosa.
Ma… mi hai lasciato dormire tutta la notte?” chiese perplesso.
Avevi bisogno di riposare.”
Ma anche tu ne avevi bisogno, Aldric,” obiettò l’altro rialzandosi in piedi. Notò che i cavalli erano già sellati e pronti per la partenza.
Io sono abituato.”
Ripresero la marcia.
L’alba era passata da un po’ e ormai doveva essere giorno fatto, ma all’interno del Cadwald vi era comunque una crepuscolare luce grigiastra. Le ormai familiari teorie di tronchi scuri si perdevano nella foschia ammantate di un silenzio ostile.
Appesantiti da quella cappa di oppressione, neppure i due giovani parlavano. Senza scambiarsi pareri in merito, erano partiti di buon passo con tutte le intenzioni di uscire da quel maledetto bosco il prima possibile, e procedevano affiancati sul sentiero, tirandosi dietro il cavallo superstite, con tutte le provviste che erano riusciti a salvare.
Un peccato che abbiamo perso il cavallo di Lady Amilda” buttò lì Wieland dopo un po’. Pronunciare quella semplice frase gli costò fatica, come se il fiato uscisse con difficoltà in quell’ambiente saturo di malvagità.
Pensava che Aldric l’avrebbe rimproverato per la sua leggerezza, in fondo era stato per causa sua che erano finiti nel Cadwald di notte, invece il capitano senza neppure voltarsi gli rispose: “Non importa.”
Wieland avrebbe voluto proseguire la conversazione, forse parlare avrebbe stemperato un po’ quell’atmosfera opprimente, ma Aldric si era chiuso in un mutismo cupo e sembrava assorto nei suoi pensieri.
Pensieri che peraltro non dovevano essere molto piacevoli, a giudicare dalla sua espressione.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Finalmente giunsero al confine est del Cadwald. Pian piano gli alberi si fecero più radi e ricomparve il basso sottobosco. In fondo al sentiero la luce sembrava già più calda e dorata.
Le cavalcature aumentarono spontaneamente il passo e i due si guardarono bene dal trattenerle, ansiosi com’erano di allontanarsi da quella spettrale foresta.
Una volta fuori, essi si trovarono in una sterminata brughiera, disseminata qua e là di chiazze di neve. Non c’erano alberi e l’aria era fredda e pungente. All’orizzonte si stagliava la barriera frastagliata e ammantata di ghiacci eterni dei Monti Vjelen.
Uno stretto sentiero, un camminamento appena visibile nella vegetazione che copriva la pianura, si snodava seguendo le naturali ondulazioni del terreno verso la catena montuosa.
Aldric ne seguì il percorso con lo sguardo schermandosi con la mano dai raggi del sole calante. “È quello che porta al Passo degli Eserciti Perduti,” disse con sicurezza. “Proseguiremo un’altra ora e poi ci accamperemo.”
Wieland annuì senza fare commenti. Dopo l’ultima esperienza, non aveva intenzione di contraddire Aldric un’altra volta.
Ripresero la marcia. Per quanto fredda, l’aria era tersa e limpida. Paragonata all’atmosfera venefica del Cadwald, quella brezza ghiacciata risultava quasi piacevole.
Dopo un po’ che procedevano, Wieland si voltò verso Aldric, che portava evidenti segni dei combattimenti contro le creature del Cadwald. “Stasera cureremo quelle ferite,” gli disse con un tono che voleva essere severo.
L’altro sorrise. “Basterà lavarle con un po’ di neve.”
Con la neve?” ripeté stupito il principe. Sapeva combattere, aveva avuto i migliori maestri di scherma dell’Elbeinn, aveva sempre partecipato con entusiasmo ai tornei, ma quando si faceva male in duello c’era immancabilmente un abile guaritore con erbe e unguenti, pronto a pulire la ferita, a cospargerla di pomate medicamentose e fasciarla con candidi lini.
Aldric sorrise. “Tu non sei mai stato in guerra, vero?”
L’altro chinò la testa vagamente confuso. “No,” ammise.
Beh, scoprirai che le ferite superficiali si lavano molto bene con la neve,” rispose Aldric, poi adocchiò un avvallamento del terreno e aggiunse: “per stasera ci accampiamo qui.”
Wieland smontò da cavallo senza aggiungere altro. Non era mai stato in guerra, non era mai uscito dai confini del Konorian e poteva dirsi fortunato che suo padre l’avesse obbligato ad accettare di essere accompagnato dal capitano delle guardie, altrimenti sarebbe stato già morto.
Cercò di distogliere la mente dalle proprie mancanze rivolgendo il pensiero a Lady Amilda. Rimpianse di non essersi portato il piccolo ritratto della fanciulla che un miniatore gli aveva realizzato all’interno di una conchiglia. L’aveva nascosto per non essere più obbligato a vedere il volto di lei, ma ora che stava andando a riprenderla l’avrebbe contemplato volentieri.
Frattanto Aldric aveva acceso il fuoco e messo finalmente a cuocere un pasto, poi si era sfilato la cotta di maglia con un grugnito di soddisfazione.
Wieland aveva notato che poi si era girato bruscamente e si era tolto dal collo qualcosa che lui non aveva fatto in tempo a vedere, quindi si era diretto alla più vicina chiazza di neve, scegliendo una zona dove essa era ancora relativamente pulita.
Incurante del freddo, si era frizionato con quella, insistendo con particolare attenzione sulle ferite. Poi era tornato indietro scuotendosi come un cane, giusto in tempo per ritirare dal fuoco quello che aveva cucinato.

Aldric rimescolò con cura il contenuto della pentola, poi disse: “Wieland, vieni a mangiare qualcosa.”
Il principe si riscosse, si alzò e andò a sedersi accanto al capitano, che nel frattempo aveva preparato due piatti colmi di una pietanza che somigliava a uno stufato e aveva un buon odore.
Affamati ed esausti, per un po’ mangiarono in silenzio. Nel frattempo era calata la notte e il cielo era come un velluto nero tempestato di gemme. Il fuoco crepitava allegramente riscaldandoli ed illuminandoli.
Gli occhi d’oro antico di Wieland sembravano brillare di una loro luce interna di pietra preziosa, mentre quelli azzurri di Aldric erano diventati chiari e trasparenti come fonti d’acqua tersa.
Sapessi quanto desidero rivederla,” sospirò il principe dopo un lungo silenzio.
Lady Amilda?”
Il mio fiore delicato, sì. È la più soave fanciulla del mondo. Io non chiedo altro che di riaverla tra le mie braccia,” sospirò Wieland. Poi si voltò verso Aldric e gli chiese: “E tu hai una ragazza che ti aspetta a Theoburg?”
Io? No di certo.”
L’altro parve stupito. “No? E perché mai?”
I miei compiti non mi lascerebbero il tempo di occuparmi di una donna.”
Tuo padre l’ha avuta una moglie, altrimenti tu non saresti qui,” obiettò il principe, “e comunque l’amore di una fanciulla è la cosa più bella che un uomo possa desiderare.”
Aldric si voltò lentamente fino a fissarlo in viso, poi con voce stranamente dura rispose: “Non sono d’accordo.” Prima che il principe potesse replicare si alzò dicendo che doveva andare a controllare i cavalli. Scomparve nel buio.
Tornò quasi subito. Buttò una bracciata di legna sul fuoco, stese a terra le coperte e cominciò a sistemare alcune cose per il giorno dopo.
Ora devi dormire però,” gli disse Wieland dopo averlo osservato per un po’, ricordando che la notte prima non aveva chiuso occhio.
Aldric parve ponderare la cosa. Probabilmente capiva di avere bisogno di sonno ma al tempo stesso non si fidava totalmente delle capacità del principe. “Sì, devo dormire,” ammise infine, adagiandosi pesantemente sulla coperta. In effetti si sentiva esausto. Nonostante le rassicurazioni che aveva fornito a Wieland, le ferite gli facevano male e tutto il suo corpo invocava a gran voce un po’ di riposo. Si tirò addosso il mantello e immediatamente si addormentò.
Il principe rimase a fissarlo per un po’, poi allungò timidamente una mano e gli sistemò meglio il mantello. Era come lo ricordava: forte e generoso. Ancora una volta ringraziò suo padre, che gli aveva affiancato un così valido compagno di viaggio.

Il cammino per raggiungere le pendici dei Monti Vjelen durò cinque giorni, durante i quali non successe sostanzialmente nulla di insolito. L’aria si fece più fredda, il terreno divenne più accidentato, ma a parte questo non ci furono accadimenti degni di nota.
Il sesto giorno cominciarono a salire. Per non affaticare inutilmente i cavalli lungo i ripidi sentieri di montagna, i due procedevano a piedi conducendo gli animali per le redini.
Giunsero così ad una zona leggermente più pianeggiante, ammantata di nevi perenni. Il sentiero era sparito, coperto dalla candida coltre, ma si vedeva bene in lontananza il Passo di War-Lye, anche detto degli Eserciti Perduti: era una fenditura verticale che sembrava l’effetto di un gigantesco colpo d’ascia vibrato direttamente sulla cresta della montagna.
I due rimontarono in sella e avanzarono con cautela, ma ben decisi ad attraversare il Passo più rapidamente possibile. Quella che da lungi sembrava solo una nuda spaccatura, infatti, era in realtà un concatenarsi di sentieri tortuosi e complicati. In pieno giorno, con la luce e senza nebbia era facile seguire quello dritto, che portava dall’altra parte della cresta, ma in condizioni di scarsa visibilità c’era il rischio di imboccare un sentiero sbagliato e di finire inesorabilmente persi in gelidi labirinti di ghiaccio o giù per spaventosi precipizi.
Interi eserciti, narrava la leggenda, erano stati inghiottiti dai misteriosi cunicoli ed erano scomparsi senza lasciare tracce, anche se c’era chi sosteneva che guardando le ripide pareti di ghiaccio nelle notti di luna piena fosse facile riconoscere le fisionomie dei guerrieri che vi erano imprigionati.
Dobbiamo stare attenti,” disse Aldric, “qui è facile perdersi.” Le sue parole echeggiarono nel silenzio rimbalzando sui possenti contrafforti di roccia, poi il vento sibilò scompigliando le criniere dei cavalli.
Dall’interno della ripida gola il cielo appariva come una lontana striscia di azzurro.
Dicono che ci siano gli spiriti,” replicò Wieland guardandosi intorno.
Nella mia vita di soldato ho imparato che spesso un colpo di spada è una minaccia ben più pericolosa di uno spirito,” rispose Aldric con freddo pragmatismo. Non voleva preoccupare inutilmente il principe, ma sapeva che spesso suoni misteriosi o strane visioni contribuivano a far perdere l’orientamento a chi tentava di attraversare il War-Lye.
Non perdere mai di vista la mia schiena,” disse, quindi spronò il cavallo e procedette verso il passo.

Man mano che avanzavano il sentiero sembrava disperdersi in decine di altri percorsi, separati dal primo tramite sottili sepimentazioni di ghiaccio, semitrasparenti e alte più di un uomo a cavallo. In parecchi punti la via principale sembrava più stretta e dimessa di tante altre che invece da essa si dipartivano per andare poi a perdersi chissà dove nei recessi della montagna.
Mentre stavano ponderando l’ennesimo bivio si alzò la nebbia.
Successe in un attimo, i fenomeni meteorologici in montagna sono notoriamente rapidissimi, e colse i due giovani esattamente a metà del passo.
Aldric si fermò immediatamente valutando il da farsi. Tornare indietro non era pensabile, si sarebbero inesorabilmente persi andando incontro a morte certa. Del resto neppure stare fermi aspettando che la nebbia si diradasse era consigliabile. Sarebbe potuta durare giorni e non sarebbero riusciti a rimanere fermi così a lungo in mezzo a quelle pareti di ghiaccio.
L’unica possibilità era andare avanti, cercando di ricordare qual era la direzione che avevano preso all’inizio.
Il capitano delle guardie cominciò a muoversi lentamente dopo aver ripetuto a Wieland di non perderlo mai di vista. I setti di ghiaccio azzurrino emergevano dalla nebbia nitidi e lisci come lame di coltello. Il vento non entrava nella gola di War-Lye, o se lo faceva finiva comunque per disperdersi a sua volta nel dedalo di corridoi, producendo misteriosi lamenti, che contribuivano a creare una sgradevole sensazione di incertezza.

Stavano avanzando così da un po’ di tempo, quando Wieland fu certo di aver udito il pianto di Lady Amilda. Era lei, era inconfondibile. Nessun’altra voce sarebbe mai potuta essere così aggraziata e melodiosa anche nel dolore. Tirò le redini e attese, il pianto si ripeté. Si girò nella direzione dalla quale gli pareva che provenisse e trattenne a fatica un’esclamazione di stupore: c’era una figura vestita di bianco accoccolata contro una roccia!
Amilda!” chiamò felice, e senza pensarci due volte si mosse in quella direzione.
Solo quando fu a pochi metri da quella che credeva una fanciulla si accorse che si trattava in realtà di un blocco di ghiaccio, che la nebbia aveva reso indistinto al punto da farlo sembrare una forma umana. Il vento aveva fatto il resto creando l’illusione del pianto.
A questo punto si voltò in preda ad un’improvvisa preoccupazione e si accorse che non riusciva più a distinguere il sentiero da cui era arrivato.
Lo colse una sensazione di sgomento: se fosse perito in quell’orribile luogo non sarebbe mai riuscito a giungere al Palazzo dell’Eterno Dolore, e quindi non avrebbe potuto portare a compimento la sua missione.
Dopo un tempo che gli parve infinito, udì nel silenzio spettrale un lontano scalpiccio di zoccoli. “Aldric!” chiamò con quanto fiato aveva in gola “Aldric, sono qui!” L’invocazione turbò la quiete secolare del luogo generando migliaia di echi bizzarri.
Si impose di rimanere fermo. Se Aldric lo stava cercando, muoversi per andargli incontro avrebbe solo peggiorato le cose. Lo chiamò di nuovo, sconvolgendo ancora una volta il silenzio con le sue invocazioni.
Finalmente il capitano delle guardie emerse dalla nebbia dirigendosi verso di lui. Era a piedi e teneva in mano il capo di una corda. “L’ho legata alla sella del cavallo,” spiegò brevemente, “basterà seguirla e torneremo sul sentiero giusto.”
Il principe annuì sollevato, sebbene una parte di lui si stesse augurando che gli spiriti non avessero nel frattempo slacciato la corda dalla sella, o indotto il destriero di Aldric a spostarsi da dove lui l’aveva lasciato.
Fortunatamente non accadde nessuna delle due cose, forse per quel giorno gli spiriti si erano già divertiti a sufficienza, quindi i due riuscirono a ritrovare il sentiero e pur con grande fatica attraversarono il Passo degli Eserciti Perduti.

Quando giunsero ad affacciarsi sull’altro versante dei Monti Vjelen si avvidero che era ormai pomeriggio inoltrato. Probabilmente il valico aveva richiesto più tempo di quanto Aldric avesse previsto, fatto sta che il sole si stava già avviando alla discesa verso la linea dell’orizzonte.
Notarono inoltre che da quella parte della catena montuosa era molto più freddo. Il cielo era terso come un cristallo, ma soffiava un vento gelido e impetuoso, che aveva coperto ogni superficie di un argenteo velo di brina. I cavalli si muovevano incerti, scivolando sul sentiero ghiacciato.
Aldric e Wieland smontarono e procedettero a piedi conducendo gli animali per le redini. Il capitano delle guardie appariva piuttosto serio: non avrebbero avuto ancora molte ore di luce, ed era vitale trovare un punto riparato per accamparsi, oppure loro e i cavalli sarebbero morti di freddo durante la notte.
Il fiato di uomini e bestie si condensava in dense nuvole di vapore e la brina stava cominciando a formarsi anche sul pelame dei destrieri.

Dopo circa un’ora di marcia arrivarono ad una larga spianata di forma vagamente rotondeggiante, circondata da alti bastioni di roccia. C’erano buchi nelle pareti circostanti, cosa che faceva pensare alla presenza di grotte, ma la bianca superficie era inviolata, la qual cosa suggeriva che le stesse fossero completamente disabitate.
Aldric ponderò attentamente la situazione: si sarebbero potute usare come rifugio per la notte?
Avanzò cautamente attraversando lo spiazzo innevato e raggiunse la più grande delle aperture, che immetteva in una grotta larga abbastanza da contenere sia loro che gli animali. All’interno non arrivava il vento e senza dubbio un fuoco l’avrebbe resa decisamente più confortevole di una notte trascorsa all’aria aperta. Tornò indietro per chiamare Wieland, ma quando fu a metà dello spiazzo udì uno schiocco e una sorta di scricchiolio. Immediatamente si immobilizzò: un lago ghiacciato! Ecco il perché di quella superficie perfettamente piana.
A questo punto si accorse con orrore che Wieland aveva cominciato a correre verso di lui.
Fermo!” urlò, “Fermo dove sei, non ti muovere!”
Ma era troppo tardi: la superficie ghiacciata fu attraversata da un fremito e si spaccò con lunghi scricchiolii. Seguirono schiocchi e tonfi, quindi una sorta di scossa tellurica, che minacciò di far perdere l’equilibrio ai due.
Aldric fissò angosciato il principe, che in quel momento si trovava esattamente al centro del lago. “Sdraiati per terra!” gridò, “non restare in piedi!”
Nel momento stesso in cui l’altro si piegava in avanti per fare ciò che gli era stato detto, una grande lastra di ghiaccio si sollevò proprio sotto i suoi piedi, facendolo finire nell’acqua gelida.
Wieland!” gridò Aldric angosciato. Lo vide annaspare appesantito da armatura e abiti di pelliccia. La morsa del gelo gli avrebbe in breve impedito di respirare, senza contare che se le lastre di ghiaccio si fossero richiuse su di lui sarebbe stato impossibile tirarlo fuori.
Non c’era un attimo da perdere: il capitano si tolse il mantello e si avvicinò strisciando sul ventre fino a raggiungere il principe, che stava tentando invano di aggrapparsi al bordo di un lastrone con le mani intorpidite dal gelo. Lo afferrò per la collottola e lo tirò verso di sé, ma non riusciva ad esercitare la forza che sarebbe stata necessaria. Il principe rischiava anzi agitandosi di trascinare sotto anche lui.
Sta fermo, Wieland, lasciami fare!” ansimò Aldric senza abbandonare la presa, ma l’altro spaventato persisteva nei suoi sforzi e sembrava non udire neppure la voce del capitano.
Le lastre si agitavano e schioccavano scontrandosi fra di loro con tremenda forza. Più Wieland si dimenava, più aumentava il moto dell’acqua, che subito si trasmetteva al ghiaccio rendendolo un pericolo mortale.
Infine Aldric si decise. “Perdonami, Wieland, non ho alternative,” disse, e subito dopo lo colpì con un pugno alla mascella.
Il giovane perse immediatamente i sensi. L’altro a questo punto fece appello a tutte le proprie forze e lo estrasse, a peso morto e grondante d’acqua, dal lago gelido. Si abbandonò poi ansimante nella neve, troppo esausto per fare qualsiasi cosa, con i muscoli doloranti e la vista annebbiata per lo sforzo.
Non si concesse che un attimo: Wieland non aveva certo smesso di essere in pericolo di vita. Anzi, ora più che mai rischiava di morire assiderato.
Lo trascinò nella grotta, poi andò a prendere i cavalli, che dovette giocoforza condurre lungo il bordo del lago per evitare che anch’essi finissero nell’acqua. Quando li ebbe portati dentro preparò le coperte e le mise da una parte, poi tolse rapidamente i vestiti fradici a Wieland.
Il giovane principe era inerte, pallido e freddo come il ghiaccio. Non reagì neppure quando Aldric lo frizionò vigorosamente con un panno ruvido per riattivargli la circolazione. Il capitano lo fissò preoccupato: Wieland avrebbe dovuto perlomeno dare qualche segno di ripresa, il suo pugno non poteva averlo stordito più di tanto.
Con mosse febbrili accese un fuoco, e quando esso prese ad avvampare crepitando, sistemò lì vicino una coperta e vi distese il giovane, mettendogli addosso ogni altro indumento caldo di cui disponeva, compresa la propria coperta e il proprio mantello di pelliccia.
Il principe respirava appena, aveva le labbra livide e un’inquietante alone bluastro gli si stava formando intorno agli occhi. Aldric conosceva quei sintomi: assideramento. Wieland aveva bisogno di caldo o sarebbe morto entro poche ore. Già, ma come procurare del caldo in un mondo fatto di ghiaccio?
Aldric l’aveva già visto fare. I popoli del nord avevano quell’usanza, quando qualcuno rischiava di morire di freddo. Si tolse tutti i vestiti, non meno fradici di quelli del principe, e si infilò sotto le coperte a sua volta, facendo aderire il proprio corpo a quello di lui.
Wieland era gelido, come fosse fatto di ghiaccio a sua volta. Aldric se lo tirò addosso e lo strinse a sé, sperando che il proprio calore fosse sufficiente a salvarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Lo svegliò la luce dell’alba, che filtrava ancora fioca all’interno della grotta. Non aveva fatto la guardia, ma probabilmente in quel luogo gelido e inospitale essa era la minore delle negligenze.
Il fuoco era spento da tempo, ma la presenza dei tre cavalli aveva comunque riscaldato il piccolo ambiente.
Wieland era ancora contro di lui, il capo appoggiato al suo petto, i capelli a coprirgli il volto. Lo toccò constatando con sollievo che era tiepido.
Con insospettata dolcezza gli scostò le morbide ciocche corvine dal viso e gli accarezzò una guancia. Gli posò un delicato bacio sulla fronte. A quel tocco il giovane principe aprì gli occhi. Sulle prime parve piuttosto stupito di trovarsi nudo e abbracciato al corpo parimenti nudo del suo capitano delle guardie, poi lentamente gli tornarono in mente gli ultimi avvenimenti. “Il lago era ghiacciato…” mormorò, “stavo annegando…”
Perdonami, ma saresti morto di freddo se non avessi fatto così.”
Perdonarti? Mi hai salvato la vita, Aldric.”
L’avrei fatto a prezzo della mia, se fosse stato necessario.”
L’altro lo fissò colpito, poi appoggiò nuovamente il volto sul suo petto. Evitando di guardarlo sospirò: “Ma poi chi avrebbe badato a me fino al Palazzo dell’Eterno Dolore?”
Sai badare a te stesso.”
Non è vero. Senza di te non sarei nemmeno uscito vivo dal Cadwald. Non saprei dove accamparmi, come preparare i giacigli per la notte, o come sellare il cavallo senza fargli venire una fiaccatura sul garrese.”
Tu sei un principe, non ti serve sapere queste cose.”
Ecco perché ho bisogno di te.”
La frase fu seguita da un lungo silenzio, poi Wieland alzò gli occhi dorati fino a fissarli in quelli celesti di Aldric. “Non lasciarmi,” mormorò in un soffio.
L’altro gli prese il volto fra le mani. Lo baciò di nuovo sulla fronte, però non disse nulla. Il suo sguardo era appassionato ma carico di una struggente amarezza.
Subito dopo si sciolse dall’abbraccio e si alzò. “Sarà meglio che ci prepariamo a partire,” disse con voce dura.

Nei giorni successivi abbandonarono le nevi eterne dei Monti Vjelen per addentrarsi nella desolazione del Morvynnet. La regione, quanto mai selvaggia e inospitale, era essenzialmente una pianura che si perdeva all’orizzonte, coperta di radi arbusti spinosi e disseminata di pietre dai bordi taglienti. Ogni tanto vi erano degli avvallamenti, lunghi e stretti come canali, nei quali si immaginava potessero passare corsi d’acqua in un’ipotetica stagione delle piogge, ma che comunque erano secchi e polverosi al pari del resto.
Gli unici abitanti della zona, per quanto Aldric ne sapeva, erano i Morvan, un popolo nomade dedito alla caccia e alla pastorizia, ma che non disdegnava la razzia qualora se ne presentasse l’occasione. Poiché normalmente attaccavano solo se in superiorità numerica di almeno venti a uno, era di vitale importanza evitare ogni contatto.
Per giorni comunque non incontrarono anima viva. Sembrava che neppure gli animali vivessero nel Morvynnet, gli unici suoni che si udivano erano il sibilo del vento e qualche raro grido di rapace.
All’inizio vi era anche qualche sorgente d’acqua, ma procedendo verso la Valle dei Lamenti esse si erano fatte sempre più rare, e l’acqua al loro interno sempre più fetida e contaminata.
Nessuno dei due aveva più fatto allusioni a quello che era successo nella grotta. Per la verità, non avevano praticamente più parlato. Col passare dei giorni Aldric si era fatto sempre più cupo e capitava spesso che cavalcasse qualche lunghezza avanti a Wieland, come per fargli capire che non desiderava essere interpellato.
Questo naturalmente dispiaceva al principe per più di una ragione, non ultima quella che avrebbe voluto sfruttare le conoscenze del capitano della guardia sulla Valle dei Lamenti. Aveva sentito dire molte cose su quella morta contrada e nessuna di esse rassicurante.
Si narrava per esempio che quel luogo maledetto fosse popolato di mostri che non erano né vivi né morti e che il Palazzo dell’Eterno Dolore potesse essere trovato solo spargendo il sangue di qualcuno che fosse nobile e intrepido, ma soprattutto disposto a morire per amore. La leggenda non specificava però come dovesse essere utilizzato tale prezioso fluido per trovare la dimora del Signore dei Morti.
La verità era che nessuno era mai stato nella Valle dei Lamenti ed era tornato per raccontare ciò che aveva visto, quindi Wieland non sapeva neppure se augurarsi di essere sufficientemente nobile e intrepido per riuscire nell’impresa.

La Valle dei Lamenti fu infine raggiunta. Aldric e Wieland si fermarono prima di discendervi, fissandola con sgomento. Per quanto il Morvynnet fosse desolato e inospitale, esso sembrava un giardino al paragone del luogo che i due giovani stavano con orrore contemplando. L’aria era resa opaca da esalazioni fetide e tutt’intorno vi era uno sterile ribollire di fanghi. Dove era più solido, il terreno era solo una crosta screpolata e polverosa, nella quale non avrebbe attecchito neppure la più disperata delle piante.
Erano ancora fermi sul ciglio della discesa che menava a quella desolata miseria quando Aldric notò dei movimenti all’orizzonte. Subito li indicò a Wieland, che li scrutò a sua volta preoccupato.
Arriva qualcuno,” disse poi il principe.
Lo vedo,” ringhiò l’altro, “e non è una buona cosa.” Valutò rapidamente il da farsi. Quelli in avvicinamento erano senza dubbio Morvan, il che significava che entro breve si sarebbero trovati addosso una torma di guerrieri urlanti armati di archi e lance. Non che quel popolo fosse composto da combattenti di valore, anzi tendevano piuttosto alla viltà, ma una sproporzione di venti a uno aveva comunque il suo peso.
Abbiamo un’unica possibilità,” disse infine, “li dobbiamo attaccare noi per primi e fare più morti possibile, sperando che si spaventino e preferiscano rinunciare alla cattura di due prede troppo ostiche.”
Non credi sia meglio andare subito nella Valle dei Lamenti? Secondo me non oseranno seguirci lì dentro.”
Vuoi trovarteli addosso quando uscirai con Lady Amilda al seguito?”
No, certo che no,” rispose il principe senza esitazione.
Allora tira fuori la spada e seguimi.”
Ora i Morvan erano più vicini. Erano un’accozzaglia disordinata di uomini scuri su piccoli cavalli dal pelo ispido. Non sembrava neppure esserci un capo, davano piuttosto l’impressione di un branco di belve che si sarebbero azzuffate anche fra di loro una volta abbattuta la preda, per accaparrarsi i pezzi migliori.
Aldric spronò il grande destriero da battaglia, che subito balzò in avanti con un nitrito. Sapeva che Wieland era alle sue spalle, ma sperava di distanziarlo almeno di qualche lunghezza, in tal modo sarebbe stato lui il primo ad impegnare i Morvan in combattimento.
Arrivò sui nemici al galoppo sfrenato, incurante delle frecce, che rimbalzavano sulla sua cotta di maglia e sulla corazzatura pettorale del cavallo. Travolse quelli che gli si erano fatti incontro per fermarlo ed entrò direttamente in mezzo alla torma di cavalieri. Il primo che osò opporglisi cadde a terra decapitato di netto, un altro fu abbattuto con un fendente, il terzo perì passato da parte a parte, ma già l’orda che al suo arrivo si era dispersa urlando si stava stringendo inesorabile intorno a lui.
Wieland, che era rimasto più indietro, si era accorto della cosa. Per quanto possibile cercò di impedirlo, in modo che l’altro avesse comunque una via aperta per la ritirata.
Si scatenò una battaglia violentissima. Furiosi per non riuscire a prevalere su due soli avversari, i Morvan li attaccavano con impeto suicida, finendo talvolta per essere abbattuti per troppa brama di colpire i più forti antagonisti.
Come Aldric aveva previsto, però, dopo un po’ si videro i primi cavalieri spostarsi ai margini della mischia abbandonando la contesa. Alcuni addirittura misero gli animali al piccolo galoppo e tornarono da dove erano venuti, ritenendo evidentemente il valore della preda sproporzionato allo sforzo effuso per conseguirla.
In breve non restarono che pochi Morvan a combattere, sfortunatamente i più forti e i più esperti.
Ve n’era uno particolarmente robusto. Aveva il volto coperto di tatuaggi, un segno di valore presso la sua gente, e portava una rozza lorica di cuoio decorata con punte di freccia e artigli d’animale. Stringeva in pugno un giavellotto dalla lucida punta di metallo.
Avanzò al piccolo trotto, Aldric s’accorse con orrore che stava puntando verso Wieland. Il principe non poteva vederlo, e anche se l’avesse visto aveva altri due nemici che lo stavano impegnando in combattimento. Sarebbe stato trafitto.
In un attimo si liberò dei suoi antagonisti, quindi spronò il cavallo per raggiungere Wieland. In quello stesso momento il Morvan tirò il giavellotto. C’era solo una cosa che Aldric potesse fare, e la fece: si parò davanti al principe.
Lanciata con forza terribile, l’arma gli penetrò nel petto per almeno quattro dita, squarciando la cotta di maglia e l’imbottita come fossero state di carta.
Il capitano delle guardie riuscì a strapparsi via la lancia e ad abbattere con un fendente colui che l’aveva colpito, poi continuò a combattere apparentemente come se niente fosse.

In breve i due rimasero padroni del campo. I Morvan superstiti avevano preferito fuggire abbandonando i loro morti sul terreno, e di certo non sarebbero tornati tanto presto a recuperarli, se mai l’avrebbero fatto.
Wieland li seguì brevemente con lo sguardo mentre si allontanavano al galoppo, poi si voltò soddisfatto verso Aldric. Questi, che aveva ancora la spada in pugno, fece per riporla, ma mancò il fodero e l’arma incrostata di sangue cadde a terra.
Mentre il principe osservava stupito l’insolito fenomeno, il capitano delle guardie crollò giù da cavallo e rimase al suolo immobile.
Aldric!” esclamò Wieland angosciato. Si precipitò accanto a lui e lo fissò ansioso. Egli giaceva privo di sensi dov’era caduto, aveva il petto coperto di sangue e il volto mortalmente pallido. Dall’angolo della bocca un rivolo scarlatto gli scendeva lungo il mento.
Aldric!” chiamò ancora, sempre più disperato, “Aldric, non lasciarmi, ti prego!” Sentì le lacrime scendergli copiose lungo le guance. Era sgomento all’idea che lui morisse. No, era più che sgomento: era annientato.
Con mosse febbrili gli scoprì il petto, mettendo a nudo la ferita sanguinante. Essa era vicino al cuore, ma per qualche miracolo non l’aveva ucciso. “Grande Aunus, ti ringrazio,” mormorò. Corse a prendere la sua scorta di sostanze medicamentose, le applicò sulla piaga affinché fermassero il sangue, poi le coprì con le bende. Quando ebbe fatto tutto ciò che poteva dal punto di vista pratico, giunse le mani ed invocò piangendo il Sommo Edgewen, Padre delle Battaglie, affinché risparmiasse la vita di Aldric.
Terminata che ebbe la preghiera, si voltò a guardare il ferito e non poté trattenere un’esclamazione di stupore. Ecco cos’aveva al collo, ora lo vedeva bene.
E ricordò.
Era l’ultimo giorno che lui e Aldric passavano insieme. L’indomani infatti l’amico sarebbe partito per Ermyn Goter, dove sarebbe divenuto un guerriero seguendo la Via dell’Acciaio.
Aldric aveva un ciondolo al collo, un oggetto particolarmente caro dal quale non si separava mai. Era una misera medaglietta di metallo, niente di prezioso, ma aveva il valore inestimabile della conquista. Egli infatti l’aveva strappata dalle corna di un toro da combattimento con una prodezza che gli era quasi costata la vita.
In quell’ultimo giorno insieme se l’era tolto e gliel’aveva solennemente consegnato. “Tieni questo,” gli aveva detto con espressione grave, “così ti ricorderai di me.”
Non potendo fargli dono di un oggetto altrettanto prezioso, lui gli aveva dato in cambio una catena d’oro con un ciondolo che rappresentava un cavaliere, dono di suo padre per aver fatto non ricordava neanche più cosa.
E comunque da quel giorno non s’era più tolto dal collo il ciondolo di Aldric, non abbandonandolo neppure nelle occasioni ufficiali, dove esso aveva fatto bella mostra di sé, sopra i gioielli che per rango e nascita gli spettava portare.
Poi era arrivata Lady Amilda. Aveva voluto conoscere la storia di quel modesto ornamento dal quale il suo promesso sposo non si separava mai, e saputala aveva decretato che l’oggetto fosse troppo prezioso per rischiare di perderlo. “Potrebbe slacciarsi,” aveva detto, “potrebbe cadere senza che tu te ne accorga. Dallo a me, amore mio, te lo conserverò gelosamente.”
Lui aveva rifiutato. Quello era un regalo che il suo amico Aldric aveva fatto a lui. Voleva essere lui a custodirlo.
Lady Amilda aveva pianto, come solo lei sapeva fare. “Io lo faccio per te” aveva detto fra le lacrime “voglio solo che tu sia felice con me. Restituisci quel brutto ciondolo, dimentica ciò che è stato. Ora ci sono io, e ti donerò mille ornamenti più belli di quello.”
E lui aveva ceduto. L’aveva restituito ad Aldric. L’aveva chiamato mio bravo capitano mentre lo faceva, e aveva evitato di guardarlo in faccia. Poi non si erano più parlati. Forse non ce n’era più stata l’occasione. Un principe non parla col capitano delle guardie, sono cose che competono al Re.
E adesso quel ciondolo era lì, al collo di Aldric, infilato in un laccio di cuoio assieme al ciondolo d’oro a forma di cavaliere.

Aldric riprese i sensi poco dopo. Aprì gli occhi e vide Wieland chino su di lui, che lo fissava con espressione preoccupata. “Come stai?” chiese subito il principe.
Sarà meglio che andiamo,” disse il capitano per tutta risposta.
Ma sei ferito!”
Appunto, non c’è tempo.”
Che significa? Non possiamo entrare nella Valle dei Lamenti con te in queste condizioni. Devi riposare, devi riprenderti.”
Dobbiamo andare,” replicò l’altro caparbio, “dammi solo una mano a salire a cavallo.”
Ma Aldric…”
Non discutere!”
Wieland andò a prendere i destrieri senza aggiungere altro. Aiutò Aldric a montare in sella, quindi si diressero verso la Valle dei Lamenti.
Visto da vicino, il luogo che si trovarono ad attraversare era al di là di ogni descrizione: non vi era altro che miasmi venefici, fango ribollente ed incrostazioni che tingevano la terra screpolata di un innaturale colore biancastro. Schermata dai fumi, la luce del sole non giungeva fino al fondo della Valle, che quindi era sempre gravato di una densa caligine grigiastra. L’aria era piena degli sfiati dei geyser e del rumore sordo delle bolle di fango che scoppiavano liberando nuvole di gas velenoso.
Per quanto poterono, i due avanzarono a cavallo. Poi, quando il terreno si fece troppo accidentato, essi abbandonarono gli animali e si mossero faticosamente a piedi.
D’un tratto emersero dalla nebbia delle forme scure. Sembravano tozzi pilastri approssimativamente disposti in cerchio. Wieland avanzò lentamente in quella direzione sostenendo Aldric, che ormai camminava con fatica appoggiato alla sua spalla.
Vuoi riposarti?” gli chiese preoccupato, fissando il suo volto pallido e teso.
No, andiamo avanti.”
I pilastri si rivelarono essere statue di pietra nera dalla forma vagamente umana. Dovevano essere molto antiche, perché la loro superficie era ruvida e corrosa. In alcuni punti erano talmente consunte che era rimasto solo un abbozzo dei tratti che un tempo dovevano averle caratterizzate.
Nello spiazzo che esse delimitavano vi era un pavimento sempre di pietra nera coperto di simboli sconosciuti.
Wieland lo fissò perplesso, chiedendosi in quale direzione si trovasse il Palazzo dell’Eterno Dolore. Senza un’indicazione avrebbero potuto trascorrere giorni ad aggirarsi inutilmente in quella caligine malsana.
Aiutò Aldric ad appoggiarsi ad una delle statue, poi fece qualche passo lì intorno alla ricerca di qualche indizio. Ad un trattò percepì una possente vibrazione sotto i piedi, poi udì un lento raschiare di pietra su pietra. Si voltò e vide che nel pavimento era comparsa un’apertura rettangolare. Da lì partivano delle scale che si perdevano nel buio verso il basso.
Com’è possibile?” chiese stupito.
Non ne ho idea.” Ripose l’altro esausto.
Non importa, credo che il Palazzo sia qui sotto.”
Allora non perdiamo tempo.”
La tua ferita ha ricominciato a sanguinare.”
Lo so.”

La scala era larga, con ampi gradini di pietra nera, ed era meno buia di quanto i due si sarebbero aspettati. Vi erano infatti strane fiammelle verdastre che tremolavano lungo gli scalini muovendosi come dotate di vita propria. La luce che emettevano era fioca, ma sufficiente ad illuminare il cammino.
I due discesero molte rampe, poi si trovarono su una superficie pianeggiante all’interno di quello che a giudicare dagli echi e dalla temperatura dell’aria doveva essere un locale ampio e dal soffitto alto.
Tutt’intorno a loro vi era un inquietante tramestio denso di sussurri.
Che cos’è?” chiese Wieland cercando di penetrare con lo sguardo l’oscurità picea che li circondava. La sua voce echeggiò come riverberata da volte gigantesche.
Sono i morti. Vengono a vedere chi siamo.”
Come fai a saperlo?”
Guarda tu stesso.”
Il principe osservò con attenzione ed in effetti appena i suoi occhi si furono abituati al buio vide centinaia di piccoli globi che emanavano una lattiginosa fosforescenza. Essi brillavano nel cavo di orbite vuote, in volti di cui ormai rimanevano solo le ossa.
Sarà meglio muoversi,” disse cercando di evitare quegli sguardi vuoti ma carichi di avidità e rimpianto.
A quelle parole i morti sembrarono disporsi in modo da lasciare libero solo un corridoio, così che Aldric e Wieland si trovarono a muoversi fra due file di occhi fosforescenti, accompagnati da sussurri e scricchiolii d’ossa.
Avanzarono in questo modo per parecchio tempo, sempre scortati dalla torma silenziosa attraverso freddi saloni dalle immani volte di pietra.
Giunsero infine ad una stanza più grande delle altre. Essa era anche più illuminata, perché nugoli di fuochi fatui vagavano senza posa sul suo pavimento, che era nero e lucido come giaietto.
Al centro della grande sala vi era un trono, nero al pari del resto e pesantemente scolpito. Dinnanzi al trono vi erano due splendidi sarcofagi riccamente ornati: uno era di marmo bianco e sul coperchio vi era una magnifica scultura che rappresentava una fanciulla dormiente, l’altro era di pietra grigia e il suo coperchio era piatto e liscio.
I due fecero qualche passo nella sala guardandosi intorno perplessi. Gli scheletri non li seguirono. Diedero loro un’ultima occhiata dalla soglia poi si dissolsero in una lieve nebbia azzurrina. Calò un silenzio perfetto, rotto solo dal rumore dei passi del due giovani e dal respiro di Aldric, che si faceva sempre più ansante e faticoso.
Wieland osservò preoccupato il capitano delle guardie. “Come stai?” gli chiese per l’ennesima volta, passandogli una mano sul viso madido di sudore.
Non preoccuparti.”
Come puoi dirmi che non devo preoccuparmi? Guarda in che condizioni sei. Hai bisogno di cure e riposo.”
Presto non avrà più importanza. Aiutami piuttosto ad appoggiarmi lì.” Indicò il sarcofago grigio.
L’altro fece quanto gli era stato chiesto e quando fu accanto al sarcofago bianco si accorse che la fanciulla scolpita altri non era che Lady Amilda. Soffocò un’esclamazione: pareva impossibile che una statua di marmo – perché il materiale era marmo, il più puro ed il più bianco che si fosse mai visto – potesse riprodurre con quella fedeltà le fattezze di un volto umano: ogni capello, ogni pelo delle sopracciglia, il turgore delle guance, la piega morbida delle labbra, tutto sembrava perfetto e vibrante di vita. Se il tatto non l’avesse rivelata come fredda pietra, la fanciulla si sarebbe detta addormentata e pronta a risvegliarsi da un momento all’altro.
Amilda…” mormorò rapito.
In quel momento i due udirono una spettrale risata.

Sul trono era comparsa una figura completamente ricoperta di un sudario che emanava una sinistra luminescenza biancastra.
Wieland si girò fulmineo sfoderando la spada, ma la figura non fece che ridere nuovamente, con ancora maggiore scherno.
Chi sei tu che osi brandire un’arma contro il Signore dei Morti?” provenne da sotto il sudario.
Io sono Wieland di Theoburg e sono qui per reclamare la vita della mia promessa sposa, Lady Amilda Lethianna di Glensnaeven!”
La figura ghignò. “Un’anima per un’anima,” proferì solennemente.
Che significa?” chiese Wieland dopo un lungo silenzio.
Se tu vuoi che io renda l’anima alla tua diletta, devi darmi la tua. Un’anima per un’anima.”
Il principe deglutì. Era quello dunque il significato della profezia? La persona che amava di più era forse se stesso? Ricordò le parole di suo padre: un principe ha dei doveri verso la sua gente, prima che verso di sé. Per chi aveva intrapreso quel viaggio che ora lo stava portando alla rovina? Non certo per il popolo di Theoburg.
Stava per rispondere al Signore dei Morti quando Aldric gli si parò davanti. “Se devi prendere qualcuno, ebbene prendi me!” esclamò il giovane guerriero.
Aldric, ma cosa dici?” chiese il principe angosciato, “la tua ferita guarirà, non può essere così grave, non puoi sacrificarti al posto mio!”
Ma l’altro lo zittì con un gesto. “Ricordi la notte del temporale? Il giorno dopo tuo padre il Re mi chiese di accompagnarti fino a qui.”
Lo ricordo, sì.”
Ebbene, quella notte ricevetti la visita di un Mago Veggente di Rhias. Egli mi disse che avrei affrontato un viaggio, al termine del quale avrei dato la vita per salvare la persona che più amo al mondo.”
A quelle parole Wieland rimase raggelato. “Ma… ma non può essere…” balbettò incerto. Ecco che tante cose assumevano di colpo significato.
È così, Wieland. Io ti amo, ti ho sempre amato. Avrei voluto rimanere ancora accanto a te, ma se il mio destino è quello di dare la mia vita per salvare la tua, ebbene lo accetto di buon grado.”
Il principe lo abbracciò con impeto. “Aldric, non lasciarmi,” gemette, mentre le lacrime ricominciavano a sgorgare dai suoi occhi bagnando il volto dell’altro, “ti prego, resta con me.”
Non è possibile. L’hai sentito anche tu, un’anima per un’anima.”
Prese il volto di Wieland fra le mani, lo baciò prima sulla fronte e poi gli posò un delicato bacio sulle labbra. “Addio, e sii felice,” gli sussurrò.

Wieland! Wieland!” Era una voce femminile che lo chiamava, la più splendida e melodiosa che si potesse immaginare.
Il principe si rialzò faticosamente guardandosi intorno. Doveva essere svenuto. Era ancora nella grande sala, ma il trono era vuoto. Sul sarcofago bianco non c’era più la statua.
Wieland! Sei sveglio per fortuna!”
Il giovane alzò gli occhi: c’era Lady Amilda in piedi di fronte a lui, più bella che mai, con indosso un abito bianco. Sui capelli biondi e serici aveva una semplice coroncina d’oro. “Sei viva…” mormorò felice, ma subito dopo gli tornò in mente Aldric. Si girò e vide che sul sarcofago grigio era comparsa una statua. Era un magnifico giovane guerriero in armi, il volto dall’espressione severa ma tranquilla. La statua era così realistica che si sarebbe detto appena addormentato, pronto in un attimo a balzare in piedi brandendo la spada che teneva sul petto.
Sulla pietra c’era qualcosa che brillava debolmente. Wieland lo raccolse: era il laccio di cuoio con i due ciondoli, il luccichio proveniva dal cavaliere d’oro.
Aldric…” mormorò sfiorando con dita cariche di rimpianto il volto gelido della statua. Ora gli era tutto chiaro. Perderai la persona che ami di più.

Il regno di Re Wieland fu lungo e prospero. Egli compì grandi imprese e donò pace e giustizia al suo popolo. La sua legittima sposa, la Regina Amilda, la più soave e leggiadra fra le donne, gli diede molti eredi, e tutti crebbero sani e forti.
Nonostante sembrasse benedetto dalla fortuna, però, il Re aveva smarrito il sorriso. Non lo rallegravano le feste, non andava a caccia. Nulla sembrava lenire il suo tormento. Solo un menestrello aveva il potere di allietarlo: era Devel il Bardo. Accompagnandosi con l’arpa, egli cantava la leggenda di Aldric l’intrepido.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3466817