Rock my life.

di cateca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***







Mi infilo la camicetta bordeaux cercando di sistemarla bene in tutti i punti, la metto a posto sulle spalle e la tiro un po’ alla fine coprendo qualche centimetro di gonna. Mi guardo nel grande specchio ovale della mia camera e subito un senso di insoddisfazione mi pervade. Le odiose calze spesse di un terrificante color carne coprono le mie gambe troppo magre e la gonna grigia che mi ha regalato nonna mi sta un po’ larga. Mi guardo tristemente il seno, una seconda che con la speranza diventerà qualcosa di più abbondante. 

La mia migliore amica, Lola, mi soprannomina “Twiggy” dicendomi sempre che dovrei vantarmi di come sono filiforme, ma non capisce quanto vorrei essere lei con i suoi fianchi abbondanti e la sua terza ben piazzata. Sono i geni colombiani, come dice sempre la mamma di Lola. Invece la mia mamma è inglese e il mio papà tedesco: un’accoppiata vincente. L’unica cosa di cui posso vantarmi è l’altezza, che però nel mio caso mi rende solo più  sottile. 

Tiro giù la camicia ancora una volta e mi alliscio la frangetta sulla fronte, il mio tic nervoso: nonostante abbia capelli piuttosto lisci, ne ho una massa infinita e indomabile quindi ho sempre la sensazione che la frangia sia in disordine. Prendo un elastico dal comodino e vado in bagno da mamma, splendente anche alle sette di mattina. I capelli castano scuro voluminosi, con grandi occhi celesti, che per fortuna io ho ripreso, alta e statuaria, sembra una ventenne matura. Ha appena finito di legarsi uno chignon alto e mi guarda accondiscendente vedendo che io le sto porgendo l’elastico. Mi giro sedendomi sul bordo della vasca e lei comincia a intrecciarmi i capelli.

<< Dovremmo tagliarli, tesoro >> alzo gli occhi al cielo, me lo dice ogni volta che li tocca ma la verità è che a me piacciono così lunghi, anche se ci sono un po’ di doppie punte. 

<< Si, quando troverò tempo. >> dico saltellando via e arrivando in cucina dove butto giù il latte sotto gli occhi di papà che li ha alzati dal giornale solo per guardarmi divertito. Metto dentro al lavandino la tazza sporca e prima di uscire do a papà un bacio sui capelli. 

Torno in camera e mi rimetto davanti allo specchio osservandomi per bene. Faccio un passo per avvicinarmi a controllarmi minuziosamente il viso, notando una ciglia caduta sotto l’occhio destro. La levo e la butto via con uno svolazzo della mano, pensando al fatto che tutte le ragazze del mondo avrebbero preso la ciglia tra pollice e indice e avrebbero espresso un desiderio. Una cavolata che non ho mai creduto essere vera, insomma, come possiamo farci illudere da una leggenda metropolitana? Eppure la maggior parte della gente crede veramente a delle prese in giro e continua a comprarsi i braccialetti colorati per esprimere un desiderio o continua a toccare chi gli sta vicino quando vede una macchina gialla, per passargli la sfortuna. 

Lasciamo stare… Ispeziono le occhiaie viola che cerchiano i miei occhi nocciola, con la mia pelle pallida mi fanno sembrare un vampiro. Altro punto in più per Lola che con la sua pelle sudamericana, ambrata perennemente abbronzata mi fa morire d’invidia. Io giuro su Paul McCartney che ci provo a prendere il sole ma parto da un colore troppo chiaro per assorbirlo, quindi lo rifletto. 

Sbuffo decidendo di ignorare le mie maledette occhiaie e prendo lo zaino da terra, me lo butto sulle spalle e esco dalla mia camera chiudendo la porta. Prima di uscire faccio un urlo per salutare i miei e chiudo il portone senza assicurarmi che mi abbiano sentito. Scendo velocemente le scale della veranda e svolto a sinistra incamminandomi verso scuola. È caldo, come sempre a Sydney, ma stranamente ho dei brividi. Mi strofino le braccia con le mani per evitare gli inestetismi della pelle d’oca. 

Cammino velocemente e arrivo alle grandi finestre della stanza dove preparano i prodotti del forno, adiacente alla stanza che è il negozio. Jack si affaccia per battere le mani e far cadere la farina a terra e si accorge di me. Mi saluta con vigore per poi rientrare dentro, Jack è il figlio della proprietaria che, finita la scuola, ha deciso che il suo grande amore sarebbe stato il pane. 

<< Buongiorno! >> si riaffaccia alla finestra e mi lancia un cornetto che fortunatamente riesco a prendere al volo e lo guardo: è mezzo storto e non è molto carino.

<< Non posso vendere un aborto del genere. - mi spiega velocemente - Ma a parte l’estetica il sapore è uguale >> 

<< Ah grazie mi dai gli scarti! >> lo prendo in giro dando poi un morso alla pasta.

<< Per te questo ed altro! >> mi fa il saluto da soldato e si rintana dentro. 

Ricomincio a camminare e continuo a mangiare il cornetto. Quando intravedo la banda bianca con il nome “Music House”, che sta sopra alla porta del negozio di dischi, allungo il passo per fiondarmi davanti alla vetrina. 

Mi illumino: il nuovo disco dei Beatles! La felicità mi pervade e sento un groppo alla gola, uno di quelli che si hanno quando sei troppo felice e vorresti urlare. Il disco si chiama “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” e nella copertina ci sono i miei quattro adorati disegnati a cartone sopra una collina con dietro a loro dei disegni strani tutti colorati. Esulto in preda alla felicità e mi prometto che la prossima paghetta non sarà spesa in dolcetti ma per il disco. 

Non vedo l’ora di dirlo a Lola! Faccio un salto al posto di un passo per la felicità e mi pulisco le mani sporche di cornetto alla fontanella davanti al negozio. Ricomincio a camminare scuotendo le mani per farle asciugare e rifaccio un saltello, ancora pervasa dall’entusiasmo. 

Stranamente mi sento osservata e mi giro dietro, dopo aver visto che non c’è nessuno, mi giro verso l’altro lato della strada e incontro un paio di occhi. Un ragazzo mi sta squadrando con lo sguardo tra il divertito e lo strafottente. Inchiodo e mi fermo ad osservarlo: ha i capelli castano scuro acconciati in un modo ridicolo, sicuramente non se li é pettinati appena svegliato, è alto e ha un fisico imponente ed è pallidissimo, da come si intravede dalla maglietta nera senza maniche. Prende un ultimo tiro dalla sigaretta ormai ridotta al filtro e la tira nel tombino adiacente al marciapiede, centrandolo. Continuando a fissarmi si stacca dal muro di mattoni rossi a cui era appoggiato e prende lo zaino nero che stava buttato a terra, mettendoselo poi su una spalla. 

Inorridisco quando noto che sta cominciando a percorrere la strada nella mia stessa direzione. Scuoto la testa come per svegliarmi da un sogno e ricomincio a camminare, stavolta decentemente e senza saltelli. Lo guardo con la coda dell’occhio mentre lui non mi si fila e cammina con un passo strascicato. Mi viene in mente che forse sta andando a scuola, la mia stessa scuola magari. Ecco spiegato il fatto che stiamo camminando come su due rette parallele.

Mi sento in imbarazzo e guardo altrove verso le vetrinette dove erano in mostra dei vestiti bellissimi, che naturalmente non posso comprare, sicuramente troppo osé secondo la mamma. Sono dei vestiti da cocktail, principalmente tubini, tutti colorati e che arrivano sopra al ginocchio e senza maniche, decisamente troppo scoperti per la mentalità ottusa dei miei cari genitori. Ogni volta devo far leva sulla nonna per convincere i miei a farmi fare qualche “pazzia”. Ma per quei vestiti probabilmente prima dovrò convincere anche lei. 

Arrivo alla curva che devo percorrere per arrivare alla scuola e con orrore sento dei passi dietro a me, molto vicini. Allungo il passo e svolto a destra per finire sullo stradone che finisce con il cancello della scuola. Mi giro velocemente, cercando di far sembrare la cosa casuale, e incontro di nuovo quegli occhi, che scopro essere chiarissimi, di un colore quasi trasparente. Mi mettono in soggezione, come se fossi una bambina di fronte a un adulto, come se lui avesse tutte le verità del mondo e io fossi la studentessa che gli pende dalle labbra, e scommetterei che dentro di se pensi che io sia solo una pezzente.

Sta facendo la mia stessa strada quindi deve venire alla mia stessa scuola, anche se non l’ho mai notato prima. Sicuramente mi sarebbe rimasto impresso se l’avessi incontrato. Devo ammettere che è un bel ragazzo, uno dei più belli che io abbia mai visto. Arrossisco al pensiero e mi tocco le guance per sentirne il calore. Cerco di calmarmi e faccio qualche respiro profondo per poi agitare un po’ il colletto della camicia e farmi un po’ d’aria, fa proprio caldo. 

Imbocco il cancello della scuola e saluto Aaron del corso di biologia che sta parlando con un altro ragazzo vicino alla sua nuova Vespa rossa fiammante. La guardo incantata per un po’, ho un debole per la Vespa, me ne sono innamorata guardando “Vacanze romane” al cinema con la mamma. Sarebbe bellissimo andare in giro per Sidney con la Vespa, magari abbracciata al proprio fidanzato.

Istintivamente mi giro per controllare il ragazzo di prima ed è ancora dietro di me, con il suo passo pigro e suoi ricci dondolanti. Si gira verso di me proprio nel millisecondo in cui sono girata verso di lui e subito distolgo lo sguardo arrossendo.

Intercetto la figura di Lola che sta seduta sul muretto sotto il salice insieme a Meredith e Sophie. Viro a destra e allungo il passo verso di loro, più che altro per cercare di mettere distanza tra me e il ragazzo. Sento il suo sguardo sulla mia schiena e non riesco a sopportarlo, mi mette troppo in soggezione, vorrei girarmi e dirgli di non guardarmi che mi sento la schiena pesante a causa del suo sguardo. 

<< Seph! >> mi chiama Sophie e le saluto tutte quante sedendomi sul muretto accanto a Lola, che mi guarda strano esaminandomi in viso.

<< Che hai fatto? >> mi sussurra, come sempre non le sfugge nulla e si accorge che sono trafelata e mi sto guardando intorno vigile, ma prima di risponderle che doveva stare tranquilla, andava tutto bene solo pensavo di essere in ritardo, guardo il ragazzo misterioso che cammina apatico verso il portone principale e entra dentro l’edificio. 

Sento a malapena le lamentele delle ragazze sull’inizio della scuola e sul fatto che sono finite le vacanze, ancora sopraffatta da quel ragazzo. Mi chiedo chi sia visto che non l’ho mai notato a scuola, forse prima ne frequentava un’altra, o magari si è appena trasferito. Ha qualcosa che mi attrae troppo, in questo momento vorrei solo corrergli dietro e conoscerlo.

Ha un’aria così misteriosa e affascinante che mi destabilizza, seriamente, non sto nemmeno sentendo di cosa stanno parlando le ragazze, quel ragazzo mi sta occupando la testa. 

<< Ehi Seph, ci sei? >> Lola mi sventola una mano davanti agli occhi e Meredith fa una risatina.

<< Sei persa nei tuoi pensieri… Per caso ti sei innamorata e non ce lo hai detto? >> mi dice scherzando dolcemente. Meredith è la dolcezza fatta persona e un’altra sua dote è quella di calmarmi all’istante. Ci siamo conosciute proprio così: nel primo anno di scuola mi cadde la merenda nel prato e cominciai a piangere come una disperata. Lei mi si avvicinò e mi diede un pezzo della sua torta, confortandomi. Per una come me che entra nel panico anche per le cose più piccole ed inutili lei ha l’effetto di una secchiata di acqua santa.

<< Magari quando è stata in vacanza in Nuova Zelanda di qualche ragazzo del posto! >> aggiunge Sophie, la timida. È la più introversa del gruppo, ma lo è solo con chi non conosce bene, non tende a fidarsi. È una di quelle persone che pensi essere calme e discrete e poi quando le cominci a conoscere scopri che sono tutt’altro.

<< Ma che dici… L’unico neozelandese carino in tutto il mondo è Calum Hood! >> ribatte Lola e scoppiamo a ridere tutte quante proprio mentre il sopracitato ci passa davanti e ci saluta con la mano. È un tipo a posto, la quintessenza della gentilezza. Lola ha un debole per lui da sempre, ma ammettiamolo, con quel faccino e con quel carattere adorabile conquisterebbe anche un sasso.

<< Non sono innamorata di nessuno ragazze… Sono solo ancora un po’ intontita dalla sveglia che ha suonato alle sette. >> dico con una smorfia schifata e un lampo di disperazione passa negli occhi delle ragazze. Sophie emette un gemito di sconforto e cominciamo a lamentarci animatamente del fatto che non è giusto che non potremo più uscire tutti i pomeriggi o stare alzate tardi a guardare la tv. 

La campanella suona e ci affrettiamo ad entrare, Meredith mi porge l’orario dicendomi che era arrivata presto e l’aveva preso per tutte. Lo controllo notando dei giorni pesantissimi e lo confronto insieme alle ragazze. Ho molti corsi con Meredith e pochi con Lola e Sophie. Lola mi fa il broncio e ci lamentiamo del fatto che volevamo stare insieme. Tristemente le saluto e mi dirigo verso l’aula al secondo piano per affrontare una bellissima, leggerissima e piacevolissima lezione di storia. Salgo pesantemente le scale e occasionalmente saluto svogliatamente delle persone che conosco. 

Percorrendo il corridoio per arrivare all’aula, l’ultima sulla destra, involontariamente ripenso al ragazzo di prima…  ho delle lezioni con lui? E quanti anni ha? … Oh mio Dio ci sto ripensando, questo non è normale. Davanti all’aula mi fermo e scuoto la testa per togliermelo dai pensieri e mi impongo di non pensarci più, varcando la porta della classe.

Intenzione inutile visto che me lo ritrovo al penultimo banco dell’aula. 





Hello.
Come il 90% delle persone non sono mai stata brava nelle presentazioni, finendo per essere imbarazzata e imbarazzante quindi evito di parlarvi di me e del disagio che è la mia vita, hahaha.
Spero solo che questi anni '60 vi facciano staccare dal fermento incessante e martellante del 2015 (quasi 2016, evviva!) che sta occupando la mia vita. Scrivere mi fa svagare e spero che leggere faccia svagare voi.
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Un bacio.

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 




 
Ticchetto sul banco con la penna e nel contempo agito una gamba, in preda al nervosismo. A poco meno di tre metri da me c’è lo strano e affascinante ragazza di stamattina e sento il suo sguardo che mi sta perforando la schiena. Abbandono la matita e fermo la gamba cercando di calmarmi, perché mi rende così nervosa? Mi appoggio sullo schienale della sedia e mi prendo la treccia cominciando a giocare con la punta, mi guardo a destra e vedo Luke Hemmings che mi sta squadrando. 

<< Sei un po’ agitata eh? >> mi dice con tono gentile e io accenno una risata. Conosco Luke da quando eravamo piccoli ma siamo sempre stati troppo timidi per avere una qualche relazione amichevole, lo conosco superficialmente solo per qualche progetto fatto insieme o per aver giocato nelle stesse squadre durante l’ora di ginnastica. 

<< Più che altro i miei tic fanno sembrare la situazione molto peggiore di quanto non sia >> gli rispondo e lui sorride gentile, ci guardiamo un attimo e poi distogliamo lo sguardo avendo finito gli argomenti di conversazione. Fondamentalmente sono questi i miei tanti momenti con lui: qualche parola e poi silenzi imbarazzanti. Abbasso lo sguardo sul suo zaino buttato a terra e fisso una spilla dei The Velvet Underground sulla tasca anteriore.

<< Ti piacciono i Velvet? >> mi chiede notando che la sto scrutando. Sbarro gli occhi, non ne so assolutamente nulla, so solo quello che mi ha detto quel tipo strano rockettaro, Ashton Irwin, con cui l’anno scorso avevo un sacco di corsi. So che suonano un rock più pesante dei Beatles e che vengono dagli Stati Uniti. Nient’altro.

<< Ehm no… Cioè non lo so, non li ho mai sentiti. >> Luke spalanca gli occhi e allarga un po’ le braccia.

<< Sono assurdi, io li adoro! Devi assolutamente sentirli, ti piaceranno te lo assicuro! >> sorrido nel vederlo e mi rivedo in lui visto che io parlo esattamente così dei  Beatles. Gli sto per rispondere che un giorno mi presterà uno dei suoi dischi e li sentirò ma lui mi interrompe ancora prima che io inizi a parlare. 

<< C’è uno che ti sta fissando. Oh adesso ha distolto lo sguardo, deve aver intuito che mi sono accorto di lui. >> Mi metto una mano sulla frangetta lisciandomela ed evito di girarmi verso quello che so essere il solito ragazzo. 
<< È quello con i capelli scuri e gli occhi chiari? >> chiedo per conferma.

<< Si quello che ha l’aria di essere un ragazzo per niente affidabile. >> mi sussurra Luke in risposta e non posso fare a meno di ridere per il suo tono. 

<< Oh adesso si è rigirato verso di te! Oddio e ora sta guardando anche me! >> mi metto una mano davanti alla bocca, ho riso troppo forte, mentre Luke si mette a posto sul banco con la schiena ben rivolta verso la cattedra. Sorrido: è un ragazzo bizzarro e strampalato ma genuino, non fa nulla per nascondersi.

Lentamente e cercando di assumere un’aria vaga mi giro verso il ragazzo e incontro il suo sguardo cristallino che mi fissa. Sta allungato sulla sedia e gioca con una penna rigirandosela tra le dita con dei vortici veloci… mamma mia quanto è figo. Arrossisco per i miei desideri depravati e mi giro per non farmi vedere da lui, ma non riesco a non avere questi pensieri quando lo guardo… e nemmeno lo conosco! Mi giro a destra e Luke mi guarda sogghignando.
<< Sei arrossita >> sghignazza con un’aria furbetta.

<< È che mi mette in soggezione essere fissata così >> spiego cercando con il mio autocontrollo di essere più indifferente possibile.

La campanella suona e immediatamente entra il prof Page, un signore di una cinquantina d’anni con i capelli brizzolati e gli occhi neri come la pece, una passione per le cravatte nere e per la citazione “Historia magistra vitae”. Anche se dimostra pienamente tutti gli anni che ha, si può benissimo dire che è un bell’uomo di cinquant’anni. Mi affretto a prendere i libri dalla borsa e prendo il mio sacchetto con le penne per poi fare una smorfia di scontentezza verso di Luke. Lui ricambia facendo finta di piangere. 
Il prof ci saluta cordialmente e dopo i vari convenevoli sulle vacanze e sul lungo riposo, si appresta a fare l’appello. Mi raddrizzo sulla sedia e aguzzo le orecchie per sentire il nome del ragazzo misterioso. È uno dei primi: << Clifford Michael? >> chiede il prof e il ragazzo alza un braccio e fa un piccolo gesto con la mano. 

<< Ah tu devi essere il ragazzo nuovo. - dice il prof gioiosamente e il ragazzo accenna un sorriso tirato - Spero ti troverai bene nella nostra scuola, è un ambiente accogliente e protetto. >>

<< Un po’ come fossimo animali in gabbia, ai quali si cerca di creare un habitat. >> spalanco gli occhi alla sfacciataggine della frase e lo guardo mentre lui fissa candidamente il prof che a sua volta lo guarda interessato.

<< Facciamo del nostro meglio nei limiti che ci impone la legge, caro. >> gli risponde altrettanto sfrontato e Luke vicino a me fa un leggero fischio. 

<< Luke quante volte ti ho ripetuto di non fischiare in classe? Non siamo per strada ad agganciare signorine. >> Luke esclama uno “Scusi!” alzando le mani e poi mi guarda, ancora esaltato per il precedente contrasto alunno-professore mentre io alzo le spalle nella sua direzione. 

<< Ledger Persephone. >> Alzo il braccio sentendo chiamare il mio nome. Fisso la triste copertina del mio libro non sapendo cosa altro fare mentre il prof finisce di chiamare il resto della classe, terminato l’appello il prof lo rilegge tutto guardandoci uno per uno, probabilmente per fissare nella mente il collegamento viso-nome, scordato nel corso delle vacanze. Squadra intensamente Michael, che regge fortemente il suo sguardo, e poi addolcisce l’espressione chiedendogli del programma della vecchia scuola e che cosa ne pensa della storia.

<< Penso che mi sarebbe utile se io fossi un politico, che deve sapere gli errori passati per non ripeterli, o un insegnante per insegnarli ai futuri politici. Ma siccome io non sarò mai nessuno dei due per me storia è solo un numero sulla mia pagella. >> 

Oh mio Dio. Ma come può dire queste cose davanti ad un professore, di storia tra l’altro… Che sfacciato. Mi giro verso di Luke, ormai diventato un grande complice, e gli indico il ragazzo sconcertata. Lui fa una faccia assolutamente divertita e io rido piano per quanto è buffo. Il prof ha sempre quell’aria divertita ma si vede che è troppo interessato al ragazzo per sminuirlo e fregarsene, allora quel tipo non ha fascino solo sulle donne (compresa me). 

<< Magari quest’anno imparerai ad amarla. - si gira verso di me - Forse puoi aiutarlo te signorina Ledger, visto che tu sai riconoscere la grandezza della storia. >> inorridisco guardandolo. Mannaggia a lui e a questa sua ossessione di voler aiutare la gente, facendo sempre formare improbabili gruppi di studio, e mannaggia a me che scrissi un tema sulla bellezza della storia che lui amò da morire.

Lo guardo cercando di fare un sorriso e annuendo, non potendomi sottrarre al destino… che pizza, d’ora in poi sarò la persona più obiettiva del mondo nello scrivere i temi. 

<< Mi farò aiutare molto volentieri dalla signorina Ledger, professore. >> afferma Michael sottolineando di proposito il mio nome e facendomi rabbrividire. Mi giro verso di lui cercando di guardarlo disinteressata ma quegli occhi sono così penetranti che devo subito distogliere lo sguardo, spostandolo verso Luke.

<< Non ti invidio per nulla >> mi sussurra guardando Michael di sottecchi e con un aria un po’ intimorita. Sospiro e mi lamento con lui del fatto che non voglio fare ripetizioni a quello lì, che poi dai… ripetizioni di storia, la materia più facile e meccanica del mondo. 
Il professore, dopo aver chiuso l’argomento con un “Bene!”, comincia a illustrarci il programma di quest’anno. Non mi importa nulla quindi apro il quaderno e spiego bene la prima pagina, mi metto imbronciata a scrivere il nome, il cognome e le varie cose nelle righe apposite e le ripasso tremila volte, giusto per perdere tempo. 
È ufficialmente iniziato un altro triste anno scolastico.



Arrivo in mensa chiacchierando con Amber del corso di scienze, ci salutiamo e scruto l’ampia stanza in cerca dei capelli biondo platino di Sophie, trovandola vicino alla grande finestra a muro sulla destra. Mi incammino verso il tavolo dove sono sedute anche le altre, passando vicino Luke e ricambiando il suo saluto allegro dandogli una pacca sulla testa; arrivo al tavolo e mi siedo pesantemente.

<< Come mai sei amica di Luke Hemmings? >> mi chiede subito Lola, a cui non è sfuggito il nostro saluto.

<< Siamo stati vicini di banco oggi a storia. >> rispondo alzando le spalle.

<< È proprio carino… >> mormora Meredith, come per non farsi sentire, ma nulla sfugge alle nostre orecchie e tutte ci giriamo verso di lei; Sophie le da di gomito e Lola fa un fischio leggero. Meredith non si sbilancia mai e in tutti i nostri anni di amicizia l’ho sentita dire pochissime volte degli apprezzamenti sui ragazzi.

Scherziamo su questo fatto mentre pilucco il mio panino svogliatamente, strano ma vero, oggi non ho fame. Lo abbandono sul tavolo e passo a bere lentamente a lunghi sorsi la mia acqua. Mi guardo in giro e faccio un cenno con la testa a Luke che mi sta risalutando per l’ennesima volta. Di fianco a lui c’è Ashton Irwin, il rockettaro, che mi sorride a 32 denti e agita vivacemente la mano per salutarmi. Luke si allunga sul tavolo coprendo Ashton e mi indica verso la sua destra: c’è Michael Clifford, tutto solo ad un tavolo. Sta mangiando e al contempo scarabocchiando su un quaderno; mi giro verso Luke e a gesti gli chiedo cosa vuole, lui in tutta risposta mi indica e ride per prendermi in giro. Gli faccio una linguaccia e mi giro verso le ragazze, dando però un’occhiata a Michael Clifford. Dovrei andare da lui per metterci d’accordo sulle ripetizioni di storia, sempre che lui non sia troppo presuntuoso per non accettare il mio aiuto e trincerarsi dietro alla scusa “la storia non mi serve”. 

<< Andiamo in giardino? >> chiede Sophie e noi in risposta acconsentiamo vivacemente, ci alziamo dal tavolo per buttare le cose rimaste ma prima di uscire mi cade l’occhio su Michael Clifford, ancora lì chino sul suo foglio. Sospiro, devo aiutarlo, l’ho promesso al professor Page.

<< Ragazze io devo fare una cosa, vi raggiungo fra poco. >> dico e mi congedo velocemente per evitare l’interrogatorio. Mi dirigo verso il tavolo di Michael Clifford e prima di avvicinarmi del tutto faccio un respiro profondo; lui nemmeno si accorge di me quando sto praticamente toccando con i fianchi la sedia al lato opposto del suo tavolo, davanti a lui. Alzo gli occhi e mi schiarisco la voce e finalmente lui alza la testa dal suo foglio scarabocchiato con dei disegni strani, mi squadra per un attimo per poi appoggiarsi allo schienale della sua sedia e sorridermi divertito. Tiro dietro la sedia davanti a me e mi ci siedo, spalmandomi contro lo schienale e cercando delle parole per iniziare il discorso.

<< Ciao. >> mi dice semplicemente lui senza togliersi quel sorrisetto sghembo dalla faccia.

<< Ciao. - ricambio flebilmente, poi mi schiarisco piano la voce e continuo - Volevo mettermi d’accordo con te per le ripetizioni di storia. >> gli spiego e lui si tira avanti con la schiena, staccandosi dal sedile e appoggiando le braccia sul tavolo con aria interessata.

<< Sei seria? - chiede quasi sorpreso e io mi domando perché mai non dovrei essere seria, che pensa che sia un gioco? Annuisco con aria ovvia e lui si riappoggia allo schienale della sedia tenendo le mani sul tavolo. - Beh immagino che quel noioso del professore ti abbia costretta o sei una potenziale crocerossina in cerca di qualche anima da aiutare. >> 

La sua insolenza colpisce ancora. Lo guardo infastidita e faccio per alzarmi, sinceramente non mi va di aiutare qualcuno del genere. Nemmeno si merita la mia attenzione se l’unico obiettivo che ha nella vita è il trattare male e con superiorità gli altri.
Quasi in piedi lui si allunga sul tavolo e mi blocca prendendomi energicamente il polso; guardo contrariata la sua mano e lui subito la toglie liberandomi. 

<< Scusa, ti chiedo scusa. >> mi dice, ma si vede che lo ha detto senza essere veramente dispiaciuto. Controvoglia mi risiedo e lui con una mano si mette a posto i capelli scuri. 

<< Accetto il tuo aiuto. >> dice semplicemente e mi guarda in attesa. Lo scruto cercando di ponderare la situazione: è un presuntuoso del cavolo ma dice di aver bisogno del mio aiuto in una materia della quale non gli frega un accidente. Faccio un sospiro roteando gli occhi, eh va bene, ammetto di avere un po’ dell’animo da crocerossina.
<< Va bene ti aiuto, ma sappi che non lo faccio per te. >>

<< Classica frase da sedicente menefreghista. - Lo fulmino. - OK, la smetto. >>




 
Hello.
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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***







 
Sono distesa sul letto guardando le stelle sul soffitto che il mio papà mi aveva dipinto quando ero piccola. Il primo disco dei Beatles che ho comprato, “Help!”, sta suonando nel giradischi e la casa è vuota quindi posso cantare a squarciagola. Prendo la spazzola dal comodino per usarla come microfono e improvviso qualche mossa di danza.

Lo sguardo mi cade sull’orologio, sono le 16:53. Oh cavolo è tardi. Mi infilo le scarpe velocemente, faccio sputare il disco dall’apparecchio e mi lego i capelli in una coda alta per non averli in giro. Esco di casa e quasi volando scendo le scale; sono in ritardo per l’appuntamento con Michael Clifford per le sue ripetizioni di storia. Non ho nemmeno un libro ma spero che ce lo abbia lui, d’altronde chi è l’alunno tra i due?

Cammino velocemente canticchiando una delle canzoni dell’album che mi suona in testa; mi guardo intorno osservando Sidney, stranamente calma per essere domenica pomeriggio. Passo davanti al cinema e scendo le infinite scalette per arrivare alla biblioteca, la più piccola, carina e incantevole di tutta la città, con i suoi soffitti con le travi a vista e il parquet scuro e vecchio. Scendendo gli ultimi gradini mi accorgo di Michael Clifford, seduto su una panchina davanti al portone della biblioteca, che sta guardando attentamente il filtro di una sigaretta appena finita. Appena mi vede la butta per terra e mi sorride.

<< Buonasera signorina Ledger. >> mi dice candidamente e io gli sorrido ancora un po’ dubbiosa.

<< Mi puoi Chiamare semplicemente Seph. >> Non ho ancora deciso se mi sta simpatico o no. Durante la settimana le varie volte che l’ho incontrato è sempre stato piuttosto amichevole, a modo suo, ma non mi piace l’atteggiamento antipatico che ha avuto all’inizio.

Apro il grande portone della biblioteca salutando educatamente la signora all’entrata e mi dirigo lentamente verso l’ampia sala con gli enormi tavoli per studiare. Fortunatamente ci sono poche persone, non mi piace quando c’è la folla in un posto che dovrebbe essere l’apoteosi della calma. Mi siedo ad un tavolo vicino ad una finestra che da sul parco adiacente al palazzo.
Michael Clifford si siede davanti a me e incrocia le braccia sul tavolo guardandomi come se stesse aspettando che tirassi fuori un coniglio dal cappello o chissà cosa. Gli sorrido divertita aspettando che tiri fuori i libri.

<< Eh allora… >> dice lui rimanendo fermo nella stessa posizione.

<< I libri? >> gli chiedo appoggiando la schiena sulla sedia.

<< Non ce li ho. >> risponde sempre con il suo tono arrogante. Rido piano per non fare rumore, oh mio dio, siamo qui per fare ripetizioni e tu non porti il libro?

<< Eh vabbè, ci dovremo accontentare di uno dei facilissimi e leggerissimi libri che ci mette a disposizione la biblioteca. >> mi alzo e vado nella sezione storia e, non prestando troppa attenzione, prendo un libro dagli scaffali e ritorno al tavolo.

<< Tanto alla fine dei conti la storia è sempre la stessa, non cambia a seconda del libro, giusto? >>

<< Immagino di si >> risponde lui divertito per poi prendere il libro che ho poggiato sul tavolo e aprirlo all’indice spiegando bene la pagina. Oddio in questo momento vorrei solo andarmene, odio il suo atteggiamento e odio stare con lui. E chissenefrega se oggi è un figo da paura con la sua giacca di pelle e i blue jeans.

Gli prendo il libro dalle mani cercando di essere il più gentile possibile e nell’indice cerco le pagina della prima guerra mondiale per poi prenderle e girare il libro verso di lui. Lo scruta un attimo e poi guarda me aspettando degli ordini.

<< Leggi cosa c’è scritto, capisci i concetti e poi me li spieghi. >> dico atona incrociando le braccia al petto. Lui mi scocca un’ultima occhiata divertita e poi si butta nella lettura appoggiando la guancia sulla mano destra. Lo osservo per un po’ per poi guardarmi intorno annoiata e sorrido vedendo alla mia sinistra una ragazza che sta fissando un libro con un’aria sconvolta, sicuramente è matematica.

Il mio allievo sta leggendo attentamente le pagine e non mi sembra che non gli interessi nulla, come ci ha detto in classe. Scruto i suoi capelli, sono castano scuro e di lunghezza media, con un’acconciatura irregolare, un po’ sparati per l’aria, un po’ giù, un po’ su, sembra che li lasci esattamente come appena alzato dal letto, idea da non escludere.

<< Perché mi fissi? >> mi chiede alzando leggermente la testa per guardarmi e sento di stare arrossendo, colta nel fatto.

<< Chi altro posso guardare? Ho davanti te. >> balbetto cercando di mettere fine alla conversazione.

<< Beh qualcuno lassù, o chiunque tu creda, ci ha provvisto di almeno 180 gradi di rotazione della testa perciò invece di fissare me che mi butti ansia perché non fissi quei tuoi amici laggiù? - mi giro per vedere di chi sta parlando e trovo, a due tavoli di distanza, quello stupido di Luke in compagnia di Ashton Irwin e Calum Hood. Alzo gli occhi al cielo, che cavolo ci fa qui con quegli altri due? Lo guardo interrogativa e lui mi saluta con la mano. - Erano qui da prima di noi e ci stanno fissando da un po’ e sinceramente mi da un po’ fastidio. >>

<< Non ho la minima idea di cosa stiano facendo qui oggi. - dico sincera girandomi verso di lui - Magari sono venuti qui per studiare. >> ipotizzo cercando accuratamente di non far trapelare la mia seccatura.

<< Non hanno nemmeno un libro davanti quindi mi pare un po’ improbabile che siano venuti qui per apprendere qualcosa. - ribatte lui seccamente. - Secondo me sono venuti qui per te.>>

<< Per me, ma che dici? Continua a studiare e non pensare a loro. >> mi alzo dalla sedia cercando di spostarla per non fare rumore e mi dirigo verso il tavolo di quei tre. Ho il presentimento che siano venuti per vedere come me la cavavo con Michael Clifford, visto che Luke, sapendo che oggi ci saremmo visti, per giorni mi ha preso in giro dicendomi che non ce l’avrei fatta a sopportarlo. Sicuramente avrà voluto venire qui per farsi quattro risate e si è fatto accompagnare dai suoi amici.

<< Oh ciao Seph! Che bello incontrarti qui! >> esclama felice Luke e mi fa cenno di sedermi davanti a lui. Gli altri due mi salutano con un “Ciao” e io ricambio cercando di essere carina. Mi siedo e lancio un occhiata a Michael che sta leggendo attentamente il libro, poi mi giro verso Luke.

<< Che ci fai qui? >> gli chiedo sorridendo falsamente.

<< Sono venuto a vedere come te la cavi con quel tipo losco! >> esclama lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo e io non riesco a non alzare gli occhi al cielo divertita.

<< Fondamentalmente sei qui per farti due risate. >>

<< Esattamente! >> risponde Ashton Irwin per poi scoppiare a ridere, coprendosi con la mano quando realizza che siamo in una biblioteca. Mi sta simpatico, è estroverso e molto alla mano.

<< Andatevene. - gli dico con un tono di rimprovero - Gli date fastidio. >>

<< Oh sei dalla sua parte! >> esclama Luke incrociando le braccia.

<< Dai ha ragione. - afferma Calum Hood con l’aria di chi non vede l’ora di andarsene - Vi sentite domani a scuola e commenterete quanto volete. >> Luke lo guarda scocciato e si alza dalla sedia brontolando un “va bene, tanto mi sta pure antipatico quello”, se ne va salutandomi semplicemente con un alzata di mano mentre Calum mi sorride e Ashton mi fa ciao con la mano e con un sorrisone.

Scuoto la testa e mi alzo anche io dalla sedia per ritornare dove stavo prima e avvicinarmi alla finestra per guardare il panorama.

<< Ti hanno ascoltato, che gli hai promesso? Un giocattolo nuovo? - commenta antipaticamente quello stolto che dovrebbe stare studiando. Lo guardo eloquentemente e mi rigiro un’altra volta verso la finestra. - Beh devo ammettere che sai essere convincente. >>

<< Non lo sono molto spesso, hanno solo capito che era una cavolata stare qui. >>

<< Oh dio stavano qui per guardare noi due? - non rispondo, facendo finta di non sentirlo. - Che pensavano che stessimo avendo una qualche scappata romantica e stavano aspettando che ti mettessi le mani addosso? >> dice ridacchiando.

<< Ma che dici? >> mi giro verso di lui sbigottita.

<< Che tenera, stai arrossendo. - arrossisco ancor più violentemente di prima e mi rigiro verso la finestra per non farmi vedere. Ma che tipo mi è capitato! Mettermi le mani addosso, ma che dice? - Stavo scherzando Perseo. >> dice affabilmente. Cerco di calmarmi facendo un respiro e mi metto a sedere al posto di prima.

<< Perseo è il soprannome più brutto che io abbia mai avuto. >> sentenzio guardandomi le unghie lunghe.

<< La bellezza è sopravvalutata ai giorni d’oggi. >> Questa frase la dice sempre mia nonna.

<< E in più è molto soggettiva. >> finisco la frase proprio come la dice sempre lei. Michael mi guarda improvvisamente interessato.

<< Esatto, un po’ come tutte le cose. - inclino la testa… In effetti. Non faccio in tempo a pensarci su che Michael continua a parlare. - Ma sicuramente la stupidità è oggettiva e i tuoi amici ne sono la dimostrazione. Sono veramente venuti qui per guardare noi due? >> mi chiede e io annuisco guardando altrove; lui ridacchia e scuote la testa divertito.

<< Si divertono con poco… - cerco di eludere il discorso ma lui mi guarda come se sapesse che devo ancora dirgli tutto. - Volevano vedere come me la cavavo con te >> cerco di essere più generica possibile ma Michael alza le sopracciglia.

<< Che vuol dire “con te”? >> mi scimmiotta aspramente facendo le virgolette con le dita. Io lo indico eloquentemente, c’è anche da spiegarlo?

<< Sai come sei e sai che non siamo tutti come te, anzi… >>

<< Seriamente non capisco cosa ci sia di strano in me. >> afferma incrociando le braccia, visibilmente scocciato.

<< Beh sei uno che non sta agli ordini di nessuno, un “ribelle” >> cerco di indorare la pillola per rasserenarlo un pochino. Lui distende il viso, facendo anche uscire un piccolo sorriso sulle sue labbra.

<< Perché ne parli come se fosse una malattia? >>

<< Assolutamente no, non è una malattia! - cerco di trovare le parole per spiegarmi - Tu sei… Inconsueto, si è visto da come hai trattato il prof Page il primo giorno di scuola. Nessuno farebbe mai una cosa del genere >>

<< Che male c’è ad essere un ribelle? Ad essere uno che non segue le regole imposte da altri, ma segue le proprie? >>

<< Un ribelle non va da nessuna parte. >>

<< Io vengo da Adelaide quindi da qualche parte vado. - ridacchia per poi ritornare serio. - Pensi davvero che esser un “ribelle” sia sbagliato? >> mi chiede e io alzo le spalle non sapendo cosa dire, non penso sia del tutto sbagliato ma non proprio giusto.

Lui platealmente chiude il libro allontanandolo da se e si passa una mano tra i capelli con un espressione sia divertita che sprezzante.  Lo guardo in attesa che faccia qualcosa: lui si alza, mette a posto la sedia e comincia ad andarsene lasciandomi qui come una stupida. Lo guardo sbalordito mentre se ne va.

Borbotto delle imprecazioni e mi alzo anche io per seguirlo, cammino verso l’uscita risalutando la signora anche se non la vedo da solo un quarto d’ora. Mi sta bruciando così tanto il fatto che mi abbia lasciata lì da sola senza dire nulla, ma che modo è? Esco dal portone e lo trovo che ha imboccato una stradina e sta camminando via.

<< Michael Clifford! - urlo e lo inseguo maledicendo le sue gambe lunghe. - Mi hai lasciata sola! >> inveisco contro di lui.

<< Non mi va di stare con una che non mi considera una persona alla sua altezza, ne tantomeno con una che ripudia ciò che io sono pensando di avere ragione. - dice alterato e io allargo le braccia, non sapendo con che cosa rispondergli. - Sei così sottomessa… >>

<< Da chi scusa? >> dico con una voce un po’ troppo acuta.

<< Da tutti, e lo sei così tanto che pensi anche che abbiano ragione i prof, i genitori, gli “adulti”. >>

<< Io non sono sottomessa! >> esclamo.

<< Oh no? Quand’è che hai fatto una cosa che volevi fare senza il permesso di qualcuno? >> non rispondo, non so quando sia stata l’ultima volta. Probabilmente mai, ma è giusto così.

<< Io non faccio le cose perché sono sottomessa ma le faccio perché è giusto. - mi difendo incrociando le braccia. - Pensi di conoscermi quando non sai nulla di me! >>

<< Certo che ti conosco, sei esattamente come tutti i ragazzi di questa generazione, che studiano e obbediscono a tutti, ma io non ci sto. >>

<< E non starci! - urlo esasperata. - Pensi di avere ragione ma vedremo cosa farai quando sarai te l’adulto! O forse di questo passo non crescerai mai e rimarrai un bambino, tanto il tuo cervello, visto che non è cresciuto fino ad adesso, non penso che crescerà mai! >> Michael è immobile, mi fissa colpito e non dice una parola. Io ho quasi il fiatone per l’invettiva che gli ho lanciato, forse esagerando.

In tutta sincerità, sono troppo orgogliosa per scusarmi, quindi giro i tacchi e me ne vado verso casa con passo spedito, senza girarmi nemmeno di mezzo grado per guardare indietro.
 





Hello.
Salve a tutti di nuovo, miei cari visitatori. Buon anno!
Io per la sera di Capodanno sono andata nel posto più cool della mia zona, in montagna, per passare una serata ancora più cool, con i miei amici che fanno finta di essere cool... Per poi finire con il bere una bottiglia intera di Jagermeister e una bottiglia di Cannonau di Sardegna in sole quattro persone, il tutto nel giro di tre quarti d'ora.
Morale della storia, ho pianto, ho fatto piangere due amici perchè piangevo, mi sono accasciata a terra più o meno quindici volte, sempre nei posti più improbabili del luogo e 
ho dato il via ad un'emozonante partita di strip-briscola che poi ho abbandonato quando ho perso la prma partita.
Voi come avete passato il Capodanno?
Vi prego fatemi sentire meno sola e imbarazzante e raccontatemi le vostre mirabolanti avventure dell'ultimo giorno del 2015. 
Per il resto, spero che il vostro anno sia andato meglio del mio e spero che il 2016 vi porti felicità; è moooolto clichè, ma sono fermamente convinta che gli auguri di qualunque tipo siano sempre clichè.
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Un bacio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Sto andando a scuola con passo lento, facendo qualche sbadiglio. Oggi non ho incontrato il mio amico pasticciere quindi niente cornetto. Arrivata fino alla fontanella davanti al negozio di dischi mi fermo a bere e con le dita bagnate mi stropiccio gli occhi, nelle vana speranza di svegliarmi un po’. Istintivamente guardo verso il muro a mattoni rossi: Michael Clifford è lì, che mi fissa impertinente, con una sigaretta spenta in una mano e un pacchetto di fiammiferi nell’altra. 

Placidamente si accende la sigaretta e tira una boccata senza smettere di fissarmi, mi sorride e alza una mano in cenno di saluto, così io mi esibisco in un sorriso fintissimo e continuo per la mia strada, camminando tre volte più veloce di prima. Svolto l’angolo per togliermi rapidamente quegli occhi di torno.
Varco il cancello della scuola ancora mezza assonnata, ieri sera non riuscivo ad addormentarmi, ho ripensato troppo alla litigata avuta con quell’ebete ieri pomeriggio. 

Nei venti minuti che ci siamo visti siamo riusciti a concludere solo mezzo paragrafo sullo scoppio della prima guerra mondiale e una grande lite sulla sua indisciplinatezza di contro alla mia ubbidienza. Io non mi sento sottomessa da nessuno, o meglio, non mi sento sottomessa a tal punto di non avere più libertà. Penso che quel ragazzo sia uno di quelle persone che vuole litigare per nessun motivo in particolare, semplicemente gli piace essere coinvolto in qualcosa dove debba battersi.

E sinceramente non mi va di far parte della sua inutile guerra, nonna lo chiamerebbe “L’avvocato delle cause perse”. Facesse ciò che gli pare e si ribellasse dove, quando e quanto voglia, a me non interessa.
Mi dirigo verso il muretto dove ovviamente sono sedute le mie amiche, oggi solo Meredith e Lola. Noto che quest’ultima mi sta intensamente squadrando in un modo strano.

<< Buongiorno! >> dico allegramente e Meredith mi saluta, anche se anche lei è un po’ strana oggi, come se fosse sulla difensiva. Guardo Lola e scuoto la testa interrogativamente per farla parlare e spiegare cosa c’è.

<< Che hai fatto ieri pomeriggio? >> mi chiede socchiudendo leggermente gli occhi. Dentro di me mi agito un po’.
<< Perché? >> le chiedo in risposta sfidandola. 

<< Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda! - mi dice esasperata poi mi si avvicina: - Gira voce che sei uscita con Michael Clifford! >> esclama quasi sussurrando. Lo sapevo che doveva arrivare qui!

<< E siccome è nuovo, non lo conosciamo e da quanto ci hanno detto non è per nulla raccomandabile quindi ci siamo un po’ preoccupate… >> finisce Meredith, come al solito più calma.

<< Adesso vi racconto tutto… Ma prima mi dovete dire come cavolo fate a saperlo. >> Qua c’è lo zampino di un ragazzo alto due metri con i capelli biondi e una tendenza all’essere discolo. 

Lola inizia tutta accesa: << Allora: hai presente Luke Hemmings, quello del nostro anno… - annuisco con l’aria di chi la sa lunga, certo che lo conosco – Aspetta certo che lo conosci, va in classe con te! Beh lui l’ha detto a Calum Hood, il neozelandese più bello del secolo, che a sua volta l’ha detto alla sorella, Mali-Koa. Ieri pomeriggio lei è andata a casa di Meredith… >> 

Meredith prende la parola: << … E parlando del più e del meno è uscita fuori questa cosa, così quando se ne è andata io ho chiamato Lola e poi Sophie ma nemmeno loro sapevano nulla e quindi ci siamo preoccupate non poco. >> finisce alzando le spalle. Faccio una risatina liberatoria, più per la pressione che avevo che per la comicità del fatto. 

<< Era per delle ripetizioni! >> esclamo leggera. Racconto loro come è andata, dal prof Page fino all’incontro di ieri.

<< Quindi non era un appuntamento vero e proprio! >> commenta Lola.

<< No, è diverso: non era proprio un appuntamento. >> dico freddamente, non uscirei mai con un cretino del genere e poi si è visto come è andata ieri, immagina se fosse stato un appuntamento romantico. Scuoto la testa per ritornare al discorso di prima e racconto alle ragazze dell’arrivo di Luke e gli altri fino alla litigata.

<< Cioè se ne è andato?! - esclama sbigottita Meredith. - Che maleducato! >>

<< Lo so! - commento, sollevata che qualcuno mi dia ragione - Poi l’ho seguito di fuori e abbiamo continuato a litigare, l’ho insultato e me ne sono andata senza nemmeno salutarlo. >> in realtà mi sento in colpa, l’ho offeso in malo modo e nemmeno mi sono scusata.

Secondo me però, non ha ragione e in più non ha nemmeno i motivi per essere ciò che dice di essere. Un ribelle contro tutti e contro tutto, ma se protesti contro tutto il mondo cosa rimane dalla tua parte? Come puoi vivere stando perennemente in opposizione al mondo e pensando che quest’ultimo abbia torto e che tu sia uno dei pochi che lo ha capito? Non ha mai pensato che quello che i genitori, i professori, o chiunque altro fanno sia per lui? 

<< Lui ti ha trattato male, nemmeno si merita un saluto. >> dice Lola indifferente scostandosi vistosamente i capelli dalle spalle. 

La campanella suona ma noi continuiamo beatamente a commentare non poco acidamente l’accaduto muovendo critiche maligne verso Michael Clifford mentre i vari ragazzi ci passano davanti per imboccare l’entrata della scuola.

<< Oh ragazze, eccolo lì! >> Meredith ci fa un segno con la testa verso destra: Michael sta entrando dall’enorme cancello, con il suo solito passo e la sua aria da duro. Mi lancia un’occhiata obliqua e io velocemente distolgo lo sguardo da lui puntandolo verso Samir dell’ultimo anno che sta posando maldestramente la bici sul muro della scuola per poi correre verso il portone principale. 

Ritorno con lo sguardo a Michael cercando di non farmi notare nascondendomi con la frangia, sta beatamente camminando verso l’edifico con lo zaino buttato mollemente su una spalla. Mi giro verso le ragazze.

<< Che ne dite, attendiamo che ci siano molti metri di distanza da lui a noi e poi entriamo? >>





Nonostante io adori il signor Miller, il prof di filosofia, per la sua intelligenza e per la sua visione del mondo, se c’è una cosa che non sopporto di lui è il suo parlare a tasso altamente soporifero. Non che parli lento o senza espressività, solo il suo tono calmo e quasi sussurrato stimola un sonno inconcepibile. Soffoco uno sbadiglio dietro alla mano e sbatto gli occhi per combattere la lucidezza che segue sempre uno sbadiglio.

Mi giro verso la classe notando che la situazione dei ragazzi non è molto diversa dalla mia: Sam Ellery sta più addormentato che sveglio, Sophie Mitchell è allungata sul banco con le braccia conserte e le testa appoggiata pesantemente, Nick Douglas ha quell’aria di uno che sta ascoltando, ma se gli guardi bene gli occhi noterai che sono vitrei, classica catalessi in cui cade lo studente medio, che implica il sembrare attento ma in realtà stare felicemente sognando unicorni. Siamo tutti completamente annoiati e il bello è che il prof non ci riprende, ci lascia nell’apatia totale.

Con un sospiro poso la penna e smetto di prendere appunti, tanto sta tutto scritto nel libro e non sto riuscendo a stare attenta a nulla. Alzo la mano per chiedere di andare in bagno e il prof acconsente congedandomi con un cenno della testa. Mi alzo e rapidamente scappo via dall’aula uscendo nel corridoio deserto. Vado in bagno e mi sciacquo la faccia per svegliarmi e me la tampono con un fazzoletto. Mi guardo allo specchio per osservare le labbra rosse, bruciate dal sole. Quando sto in giro sotto al sole metto sempre la crema sulla mia pelle da vampiro o la scottatura è assicurata, solo che non la metto mai sulle labbra perché mi da fastidio la scivolosità che danno quando si toccano. Morale della favola: ho perennemente le labbra dolenti scottate dal sole australiano.

Esco dal bagno e cammino lentamente per arrivare all’aula ma ad un certo punto verso metà tragitto mi blocco: Michael Clifford è seduto sulle scale di metà corridoio che portano al tetto. Mi sta guardando e mi saluta alzando leggermente il capo. La scuola è troppo piccola per i miei gusti.

Sospiro rassegnata: con mio grande orrore mi sento troppo dispiaciuta per come l’ho trattato ieri pomeriggio. Io ritengo di avere ragione ma dentro di me penso che anche lui non abbia tutti i torti, o perlomeno sento di non avere la sua stessa mentalità che ci fa pensare allo stesso modo. 

Sono divisa tra l’entrare in classe o andare da lui ma le gambe decidono per me e si muovono da sole: cammino verso le scale mentre lui mi guarda leggermente sorpreso. Arrivata mi siedo uno scalino sotto al suo ed evitando i suoi occhi guardo davanti a me il muro del corridoio, mi allungo la gonna sulle gambe e riordino i pensieri per parlare.

<< Mi dispiace per come ti ho trattato ieri. - comincio un po’ titubante - Ti chiedo scusa, ammetto di avere esagerato nel giudicarti, cioè nemmeno ti conosco e mi sono permessa di insultarti e prenderti per un reietto. >> 

Michael mi guarda serenamente e quando finisco di parlare fa una leggera risata scuotendo la testa, come se fosse intenerito da me.

<< Oh mio dio, stai veramente cercando di farti perdonare da me? - mi chiede ironico e io annuisco scocciata, non è chiaro il concetto? - Cioè ti stai scusando per aver detto la verità? >>

OK mi ha un po’ spiazzato: per aver detto la verità?

<< Che intendi? >> gli chiedo e lui mi riguarda con uno sguardo intenerito, come quelli che si danno ai cuccioli nati da poco che stanno provando a camminare ma ancora non ci riescono.

<< Io sono un reietto, mia cara Phone. >> lo guardo male per questo nuovo soprannome altrettanto orrendo. 

<< Ma ci pensi la notte a questi soprannomi? >> gli chiedo acida e lui ridacchia.

<< Hai la colpa di avere un nome altisonante, ti meriti soprannomi orrendi. >> gli faccio una linguaccia.

<< Ma allora  se sai di essere un reietto e quindi sai che ho ragione, - continuo imperterrita - perché ti sei arrabbiato con me quando sono semplicemente stata onesta? >> 

<< Perché l’hai detto a mo’ di insulto. >> mi risponde lui alzando le spalle, come per giustificarsi. Non ci credo, se l’è presa solo perché ho detto le cose come stanno, ma “a mo’ di insulto” ?! Come potrei dire che è un ribelle senza offenderlo? Lo guardo incredula e scocciata, se sa che ho ragione perché si deve arrabbiare se ho detto le cose “a mo’ di insulto” ? 

<< Io ti ho detto che sei un ribelle e che non concluderai mai nulla nella vita se continui così e pensi che io abbia ragione? >>

<< Direi di si. >>

<< E allora scusami ma dimmi come altro posso dirtelo se non “a mo’ di insulto” ! >> faccio le virgolette platealmente, proprio non ce la faccio a scimmiottarlo, è più forte di me. Lui mi guarda e poi scende nel mio stesso scalino e si gira completamente verso di me.

<< Vedi, per me non è una cosa negativa l’essere un ribelle, l’essere come sono. - comincia a spiegarmi – Non è una parte di me che voglio nascondere, semplicemente sono fatto così. E siccome ho realizzato che “non crescerò mai”, come mi dite sempre tutti, abbraccio il mio modo di essere e me ne frego della gente, essendo ribelle per il mio essere ribelle. >>

<< Si ma devi cambiare, non puoi continuare così a perseverare nell’errore, o sennò come farai in futuro? - gli chiedo leggermente angosciata, ma lui alza le spalle e indietreggia appoggiandosi con i gomiti e con la schiena sugli scalini. - Come può non importartene? >> gli domando incredula.

<< Sai, noi non sappiamo cosa ci sia dopo la fine delle nostre vite, e molto probabilmente non lo sapremo mai, e anche se avessimo altre vite non ce lo possiamo ricordare. L’unica cosa di cui siamo certi è che in questo momento stiamo vivendo. - Si ferma un attimo, come a rifletterci su… Oh mio dio stiamo scendendo nel filosofico. Lo guardo in attesa. Lui prende una ciocca dei miei capelli e se la arrotola tra le dita - Io ho pensato che dovunque ci rincontreremo, se in paradiso, se all’inferno, o se non ci rincontreremo proprio, tu nella tua vita hai fatto quello che ti hanno detto come tutti gli altri, io ho fatto quello che volevo. Questa è la sostanziale differenza tra me e te, tra me e il resto del mondo. >> finisce il discorso puntando verso di me la ciocca di capelli. 

Distolgo lo sguardo da lui per fissarmi le scarpe, questo è uno di quei momenti strani e tremendi in cui senti che qualcuno ti fa cambiare idea. Tu arrivi con un pensiero, un convincimento, e pensi che sia fermo e irremovibile, poi arriva qualcuno, ti dice qualcosa e la tua convinzione vacilla. Senti proprio che ti crolla un muro di certezze e cominci a pensare di aver sbagliato per tutto il tempo, quindi non ti resta che andartene con i pensieri confusi. Michael Clifford ha avuto esattamente questo effetto.

Lui ridacchia e alza le sopracciglia con un guizzo, sapendo bene che effetto mi ha fatto. Lo guardo frustata mentre lui si mette i miei capelli tra le labbra e il naso per creare dei baffi.

<< Bello il mio mondo, vero Phone? >>





Hello.
Salve a tutti cari visitatori! *il nulla cosmico*
Sarò ripetitiva ma spero che vi piaccia come la storia si sta evolvendo; io amo letteralmente questo Michael (ma dai, l'ho creato io a mio piacimento) e anche se lo conoscete poco spero piaccia anche a voi.
Siccome so che la gran parte di noi guys è appena tornata a scuola dalle vacanze, vi do un abbraccio grande e come dice il grande filosofo Zac Efron: we're all in this together.
Pace e amore.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Picchietto con forza le dita sul mio ginocchio destro, sono appena le due del pomeriggio e sto aspettando Michael Clifford per le ripetizioni di storia, sono seduta sugli scalini davanti alla biblioteca della scuola e lui è un po’ in ritardo. Impreco a bassa voce quando sfilo le calze con le unghie non molto lisce. Alzo gli occhi al cielo, la mamma mi riprenderà in giro dicendomi che sono ancora una bambina, penso che in tutta la mia vita non ho mai messo un paio di calze più di una volta. Faccio un sospiro e mi prendo i capelli arrotolandomeli tra le dita, altro vizio che probabilmente non riuscirò mai a togliermi, nonostante la mia mamma mi dice sempre che così facendo li perderò tutti. 

Sento dei passi provenire dal corridoio e aspetto che mi si presenti davanti qualcuno per vedere se sia Michael. Pochi secondi ed eccolo davanti a me, con i suoi blue jeans, una maglietta di una band che si chiama “Simon & Garfunkel”. Alzo lo sguardo per arrivare al suo viso e spalanco gli occhi sentendo che la mascella mi sta cadendo leggermente quando vedo cosa ha combinato ai suoi capelli: sono bianchi. Lui si mette a ridere vedendo la mia espressione e con una mano si scompiglia i capelli con un’aria fiera. Sono leggermente più corti di prima ma adesso, invece del precedente bel castano scuro, sono proprio bianchi lattei, in un modo innaturale.

<< Ma che hai combinato? >> gli chiedo con voce un po’ troppo stridula. Mi metto una mano sulla gola e me la schiarisco.

<< Mi sono tinto i capelli. >> risponde lui come se stesse dicendo una cosa estremamente scontata.

<< Fino a qui ci sono arrivata anche da sola, grazie. - gli rispondo ironica e lui mi fa un finto applauso fingendo di complimentarsi. - Ma perché li hai tinti? Erano molto più belli al naturale come prima! >>

<< Nemmeno quelli erano i miei capelli naturali. - mi svela sorridendo e sedendosi sugli scalini - In realtà ho i capelli biondi, come il classico australiano. Ma non sono fatto per avere un solo colore di capelli, mi piace cambiare. >> lo scruto cercando di immaginarmelo con i capelli biondi. Scuoto la testa.

<< Tu sei pazzo, se facessi una cosa del genere i miei genitori mi ucciderebbero. Le tinte fanno male non solo ai capelli ma anche al corpo! >> Michael alza gli occhi al cielo scuotendo la testa.

<< Le nostra battaglie sono inevitabili vero? Ricordati che sono un ribelle e me ne frego dei rischi. >> mi dice fiero dandomi delle leggere pacche sulla testa. 

Detesto come mi tratta, si comporta come se fossi una bambina che deve ancora capire come gira il mondo. Sembra che lui sia un fratello maggiore che passa tempo con la sua sorellina e ci parla, solo che sa quanto lei sia ingenua quindi la tratta così. Il problema è che mi ci fa anche sentire, quando ci parlo mi sento molto inferiore a lui. 

Frustata, sposto lo sguardo sulle mie gambe, forse è vero che sono sottomessa a tutti, guarda come mi fa sentire uno scemo con poche parole…

<< Tu si che sai portare le calze amica! - esclama Michael facendo una leggera risata, infila il pollice e l’indice nel punto delle calze dove si sono rotte, allargando le dita e poi lasciando andare le calze. Il buco si espande ancora di più, creando uno squarcio che mi scopre quasi tutto il ginocchio. Alzo gli occhi al cielo, dopo devo andare a casa della nonna e chissà cosa dirà. - Così sei molto rock. >> 

<< Che vuol dire che sono rock? >> gli chiedo, non vedo cosa ci sia di simile tra il buco nelle calze e un tipo di musica.

<< Il Rock non è solo un genere musicale, come starai sicuramente pensando te, è uno stile di vita! - lo guardo divertita e scuoto la testa ma lui gesticola facendo segno di stare a sentirlo e io ritorno a lui – No, sto scherzando, rock perché anch’io strappo le magliette per renderle più selvagge. >>

<< Si ma io non l’ho strappate volutamente. >> obietto, ancora non capendo il nesso.

<< Non importa, il risultato è quello! >> 

<< Si ma che c’entra l’essere rock e l’essere selvaggio? >> gli chiedo e lui alza gli occhi al cielo come per dire “ma non è ovvio?!”
Ancora la sensazione di essere una bambina davanti ad un adulto.

<< Non hai mai sentito il rock? È la cosa più selvaggia del mondo! Quegli artisti si scatenano ad ogni brano che suonano, è uno svincolamento dai problemi, un processo liberatorio. >> lo guardo scettica,  strano sentire uscire quei paroloni dalla sua bocca. Noto che gli brillano gli occhi, glielo dico e lui sorride alzando le spalle, ridacchio giocherellando con il buco delle mie calze.

<< Quindi tu sei molto rock, sempre se tu voglia arrivare a questa conclusione. >> concludo il suo discorso.

<< Esatto! Io sono il trionfo della indipendenza, la realizzazione del nostro io più vero… >>

<< … E del narcisismo. >> finisco la sua frase e lui alza le spalle.

<< Bisogna autocompiacersi per essere veramente libero. Devi abbracciare te stesso a 360 gradi per poi mostrarti esattamente come sei. >> lo guardo dubbiosa e scuoto le testa.

<< Sai, molto spesso è meglio non mostrare il vero noi stessi. Le persone non ti capiscono mai, poi i rapporti crollano, e ti ritrovi a stare solo con te stesso - gli spiego - Cerchiamo sempre di adattarci alle persone, alle situazioni, ai contesti, è inevitabile perché così la coesistenza con le altre persone non sia un casino. >>

<< Che problema c’è ad essere soli? >> mi chiede Michael tranquillamente, come se lo stare da soli non sia affatto un problema. E invece è un problema, anzi, un terrore: una delle cose che mi fa più paura è il rimanere sola. Da piccola stavo sempre attaccata alla mamma per non perdermi e ora cerco in tutti i modi di non litigare e non allontanarmi da nessuno, per essere sempre vicina a tutti.

<< Non hai nessuno su cui appoggiarti. >> rispondo un po’ spaventata.

<< Non dobbiamo avere un appoggio, dobbiamo essere indipendenti. Tanto alla fine le persone non ci sono mai per te, quindi… >> serro le labbra, non condividendo il suo pensiero. 

<< Quindi secondo te la famiglia, gli amici… Non servono a nulla? Dovremmo farne a meno? >> mi prende il panico al solo pensiero.
<< No, si. >> mi risponde a monosillabi e io alzo le sopracciglia.

<< Io non ce la farei mai senza di loro. >> dico sincera e lui mi osserva di nuovo con quello sguardo da fratello maggiore alle prese con un’ingenua sorellina. 

<< Hai troppa paura di stare sola! - esclama quasi non credendoci - Non ci credo, sai mi sembravi una tipa forte ma sei una pappamolle. >> gli do una spinta leggera cercando di prenderla sul ridere. 

E poi succede una cosa tremenda: cade il silenzio imbarazzante, quello che segue sempre a un momento di spensieratezza. Due o più persone scherzano e ridono, poi quando finisce l’euforia hanno perso le parole da dire e tacciono. E in questi casi ognuno ripensa a qualcosa detto prima, a qualcosa che ci ha colpito ma per cui non abbiamo avuto il tempo per pensarci, troppo occupati al badare alle conversazione con l’altro.

Io sto pensando all’essere sola: probabilmente se mi mostrassi per ciò che sono veramente sarei definitivamente sola. Sono troppo rivoluzionaria per questi tempi, so che non è giusto ciò che penso ma al contempo credo che non lo sia solo per questa società bacata e invece lo sia per le singole persone. Io penso che ci debba essere parità di diritti tra i sessi, penso che il razzismo vada abolito del tutto, penso che ci si possa baciare per strada senza essere multati per “atti osceni”, penso che le coppie omosessuali debbano essere trattate come quelle eterosessuali, penso che una persona con dei tatuaggi non debba essere considerata una ex carcerata, penso che non ci sia differenza tra persone di colore di pelle diverso.

Sono troppo liberale verso i singoli individui, la nonna me lo dice sempre, anche se sotto sotto mi da ragione. Lei sa cosa è giusto e cosa sbagliato, lei ha visto due guerre mondiali, ha sposato l’uomo sbagliato per colpa del padre e proprio per questo non è potuta andare all’università. Lei sa bene cosa è giusto e cosa è sbagliato, lei si che ne sa degli errori degli uomini. E sa anche che i miei non le credono più quando dice che “ormai sono vecchia, quando cucio non ci vedo bene come prima” davanti all’ennesima gonna fatta da lei che mi cade sopra al ginocchio.

Ma comunque, nonostante il mio essere, non posso andare in giro per strada ad urlare la mia voglia di questo e quello. Finirei da sola, senza nessuno che mi prenda sul serio o che pensi che io abbia ragione.

<< Oggi non mi va di studiare storia. - esordisce Michael e io mi scuoto di miei pensieri. Ma quanto tempo è passato da quando abbiamo smesso di parlare? - Andiamo a prendere un gelato? >>




<< Odio il clima dell’Australia, c’è  sempre un caldo massacrante tutto il santo anno! - commenta Michael davanti al suo gelato al cioccolato - E poi vogliono tutti andare in spiaggia, cosa mai ci sarà di bello in distese di sabbia e acqua gelida… >>

Siamo usciti da scuola saltando beatamente le ripetizioni di storia, abbiamo fatto una passeggiata fino ad un piccolo parchetto non molto lontano da scuola e ora siamo seduti su una panchina verde davanti ad un laghetto con delle oche che starnazzano felicemente. Con la paletta  faccio vorticare il mio gelato al cocco, gentilmente offerto da Michael, per farlo ammorbidire, ne prendo un po’ e me lo ficco in bocca, annuendo per approvare ciò che ha detto. 

Non so che dire, sinceramente. Di solito attacco bottone con facilità, non dico di essere una logorroica, ma non faccio mai fatica a stringere amicizia. Con Michael invece è diverso perché appena apro bocca sento di star dicendo qualcosa di stupido o non alla sua altezza. Mi mette in soggezione, soprattutto quando mi guarda con quegli occhi del cavolo: sono di un colore stranissimo, né celeste ghiaccio, né grigio-celeste, sono di un azzurro-verde talmente chiaro che a volte sembrano quasi trasparenti, è un colore stranissimo, mai visto in nessuno. Ora per esempio sta guardando le papere che sguazzano nel laghetto, la luce lo colpisce e gli occhi sono così limpidi che sembrano fatti d’acqua. Rendendomi conto che lo sto fissando incantata, distolgo lo sguardo puntandolo sulla gente che sta passando vicino a noi. 

<< Oh guarda! - esclama Michael e mi giro verso di lui che sta indicando i miei capelli. - I tuoi capelli all’inizio hanno i riflessi blu ma scendendo diventano marroni rossicci! >> non capisco cosa è da stupirsi e sorrido annuendo. 

<< Ehm… È normale, è il sole che schiarisce i capelli. >> gli spiego e lui rimane comunque incantato a guardare i riflessi dei miei capelli, che essendo così ridicolosamente lunghi verso le punte diventano quasi castano scuro. 

<< Hai mai pensato di tingerli? >> mi chiede indicandosi i suoi. Lo guardo e faccio una risata.

<< Ma sei matto? Assolutamente no perché: a) le tinte sono dannose, b) la mamma mi ucciderebbe con modi non poco violenti e dolorosi. - Michael alza gli occhi al cielo e sbuffa come per dire “lo sapevo, è sempre la stessa storia” - E poi che colore potrei farmi? Sono troppo abituata al mio per cambiarlo radicalmente. >> concludo mettendomi in bocca un po’ del gelato, ormai quasi sciolto.

<< Potresti fare un bel rosso! >> mi dice non poco elettrizzato ma io scuoto la testa decisa - Ti ci vedo con il rosso, ti starebbe da paura e ti farebbe risaltare gli occhi! >> continua lui imperterrito e mi prende una ciocca di capelli facendola muovere per vederne i riflessi. 

<< Ti da fastidio se ti tocco i capelli? >> mi chiede bloccandosi a mezz’aria con la ciocca tra le dita.

<< No, mi piace quando mi toccano i capelli. >> rispondo tranquillamente così lui ne prende altri e comincia a fare una piccola treccia. Finita, me la mostra fiero di se e gli faccio un applauso. 

<< Secondo me staresti bene pure bionda. >> afferma pensieroso. 

<< Si così mi scambiano per una svedese. - rido e lui alza le spalle - E poi te l’ho detto, non posso tingermi i capelli! >> gli ripeto e lui sbuffa.

 
<< Quanto sei noiosa! Quand’è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa contro la volontà delle autorità superiori? >> alzo le spalle.

<< Non lo so Michael… Probabilmente mai. Ma a me va bene così. >> gli dico onestamente. Quante volte gli devo ripetere che sono una “ragazza per bene”?

<< Oddio che noiosa brava ragazza! >> mi prende in giro. Poi il suo sguardo cambia e mi guarda con uno sguardo da furbetto, che gli è appena passato per la testa? 

Si alza e si avvicina al laghetto, alza un braccio e stringe il pugno dove aveva il suo cono, facendolo sbriciolare e atterrare dalle paperelle che gli si avvicinano avide. Finisce di sbriciolare il cono e si abbassa per prendere un po’ d’acqua per pulirsi le mani, poi si avvicina a me e mi spruzza con le mani gocciolanti. Chiudo gli occhi e mi asciugo con il dorso di una mano. Sento che la coppetta del gelato mi viene tolta dall’altra mano e aprendo gli occhi vedo Michael che la sta buttando nel cestino a pochi metri da me.

Mi ritorna vicino e mi porge una mano per alzarmi, la prendo e lui mi tira leggermente verso di se facendomi mettere in piedi. Mi guarda con un sorrido sghembo e furbetto.

<< Forza vieni con me, ti porto a far danni. >>






Hello.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Stiamo camminando per le strade di Sydney e mi sento un po’ inquieta: Michael ha qualcosa per la testa ma non sono riuscita a capire cosa. Vaghiamo senza meta da un quarto d’ora abbondante e nonostante io non sia riuscita a tirargli fuori nulla non faccio a meno di seguirlo obbediente.

Non ho la minima idea di cosa voglia fare, ma ha quello sguardo furbetto da quando gli ho detto che non ho mai fatto nulla di male. Quindi deduco che voglia farmi fare qualcosa di illegale o di ribelle, o che ne so… tipo un rito di iniziazione alla vita del reietto. Ma io non voglio essere come lui quindi mi ritirerò a ogni cosa che mi proporrà di fare. Lo guardo mentre mi cammina un paio di metri più avanti. Faccio un sospiro e smetto di camminare in mezzo strada mentre lui continua beatamente non accorgendosi che mi sono fermata.

<< Clifford. >> lo chiamo, così lui si gira e mi guarda interrogativo. Percorre i metri che ormai abbiamo di distanza e allarga le braccia.

<< Perché ti sei fermata? E perché mi chiami con il cognome? Ma che siamo ragazzini? >> mi chiede ma io liquido la faccenda con un gesto.

<< Tu mi chiami con quel soprannome orrendo quindi anche io ti posso chiamare come voglio. >>

<< Phone. >> dice lui compiaciuto e io gli faccio una smorfia simile a un sorriso fingendo una risata.

<< Dove diavolo stiamo andando? >> gli chiedo spazientita, lui mi guarda con quel solito sorrisetto sghembo inclinando un po’ la testa e poi si gira per ricominciare a camminare. Allargo le braccia sussurrando un “Oh mio dio”  verso il cielo, ma che diamine vuole fare? Mi alliscio la frangia sulla fronte e accenno una corsetta, fermandomi e piazzandomi di fronte a lui che istintivamente si blocca. Metto le mani sui fianchi e lo guardo decisa.

<< Dove. Stiamo. Andando! >> quasi urlo e lui accenna una risata. Oh questo ragazzo mi fa perdere la pazienza!

Infila un braccio nell’apertura tra il mio e il mio fianco e così a braccetto mi trascina verso un muretto, dove ci si siede con un saltello. Una coppia di fidanzati vicino a noi smette di baciarsi e la ragazza ci guarda un po’ infastidita, mentre il ragazzo guarda Michael con una furbetta occhiata di intesa, prende per mano la ragazza e la spinge gentilmente portandola via. Michael li guarda andare via e fa una risatina scuotendo la testa e indicandolo. Scuoto la testa a mia volta per dirgli che non sapevo chi fosse.

<< Quello pensava che ti portassi qui per limonare in pace! >> scoppia a ridere coprendosi il viso con le mani. Mi guardo intorno e capisco perché quel ragazzo ha portato la sua fidanzata qui: il muretto si affaccia su Sydney ed è leggermente elevato, permettendo una visuale più alta della città, è situato tra due palazzi quindi è abbastanza isolato e calmo. Istintivamente arrossisco nel pensare al motivo per cui di solito i ragazzi portano qui le loro ragazze, ma non può essere quello il motivo per cui Michael mi ha trascinato qui.

Lui intanto da dei colpetti sul muro per indicarmi di sedermi accanto a lui, mi avvicino e mi appoggio al muretto mentre lui passa una gamba dall’altra parte del muro, facendola sospendere nel vuoto.

<< Che ci facciamo qui? >> gli chiedo indicando con un gesto il piccolo spiazzo davanti a noi.

<< Sicuramente non quello che stavano facendo quei due! - mi risponde ridendo - Anche se non mi dispiacerebbe mica! >> aggiunge buttando un rapido sguardo sulle mie labbra. Arrossisco violentemente spostando lo sguardo da lui alla strada, interessandomi alla pianta davanti alla porta di una casa. Michael mi pizzica un braccio e mi fa girare verso di lui.

<< Non puoi arrossire per queste cazzate! >> mi dice divertito e scoppia a ridere.

<< Ehi piano con queste parole! >> lo riprendo automaticamente e lui ride ancora più forte. Sento di star diventando ancora più bollente di prima in viso quindi mi giro di nuovo verso la strada. Oh mio dio, ma quanto posso farlo divertire? Con la mia ingenuità potrei farlo ridere per un mese intero.

<< Sei così innocente! E in tutte le cose… In tutti i campi. Ed è proprio dove ti volevo portare. - afferma Michael appena ha smesso di ridere, lo guardo alzando le sopracciglia. Lui si sistema sul muretto, preparandosi al suo discorso. - Ti voglio far entrare nel mio mondo, voglio farti vedere che non si sta male a fare quello che si vuole. Tu sei sempre così sottomessa dalle regole che ormai essere controllata in tutto è diventata una cosa normale. >>

<< Io non sono controllata, anzi. I miei dicono che sono troppo contestataria. >> dico fiera di me e lui mi mette una mano sulla spalla.

<< Tu non sai nemmeno che significa essere contestataria. Secondo te essere contestataria è l’avere qualche idea rivoluzionaria che va contro la società o contro chi vuoi, ma tenersela dentro e non dirla nemmeno alla tua migliore amica? Non puoi fermarti a questo, cara mia, devi lasciarti andare, svincolare dalle regole. Devi esprimere la tua opinione, i tuoi pensieri e, soprattutto, metterli in atto. Anche perché è così che diventi veramente libera. >> Finisce il suo discorso tirando fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette, lo apre e ne prende una infilandosela in bocca e reggendola con i denti. Mi avvicina il pacchetto per offrirmene una ma io lo guardo alzando le sopracciglia, lui alza le mani e prende un pacchetto di fiammiferi dalla stessa tasca.

Si accende la sigaretta e espirando una nuvola di fumo sposta lo sguardo sulla città alla nostra destra. Non riesco a fare a meno di notare quanto sia attraente mentre fuma, non so per quale motivo, alla fine in più di prima ha solo un arma per fare del male a se stesso. Lo guardo mentre si avvicina la sigaretta alle labbra, posa le due sita sulla bocca e inspira il fumo per poi tenerlo dentro per un po’ e buttarlo fuori verso destra. Salgo sul muretto e mi metto davanti a lui nella sua stessa posizione, con una gamba ciondolante nel vuoto, ringraziando Dio che oggi ho deciso di mettere una gonna larga.

<< OK - comincio, guardando la parte ardente della sigaretta. - Adesso che hai fatto una bella diagnosi della mia situazione… Che vorresti fare?>>

<< Voglio aiutarti, e voglio farti fare tutto ciò che non hai mai fatto a causa della paura. Voglio renderti libera. >> dice poeticamente spostando lo sguardo verso la città e io faccio una leggera risata: se non fosse che a dirmelo sia un ragazzetto discolo con i capelli bianchi quasi quasi prenderei sul serio la cosa. Ma purtroppo è Michael Clifford a dirmelo.

<< Cioè sei l’incarnazione dell’incoerenza in questo momento. - Gira la testa di scatto e mi guarda, non capendo dove voglio arrivare. - Dici a me che devo essere libera quando tu sei schiavo di un tubicino di catrame?>> 

M squadra interessato e si avvicina la sigaretta alla bocca, inspirando. Velocemente mi allungo verso di lui e cerco di rubargli la sigaretta ma lui, con dei riflessi decisamente più scattanti dei miei, mi blocca il polso con una mano mentre con l’altra allontana la sigaretta da me. Finiamo con l’essere molto vicini, ci divide poco spazio e cerco con tutta me stessa di non arrossire per la vicinanza. Guardo le sue iridi chiarissime, mantenendo il contatto visivo e lui mi studia socchiudendo gli occhi, poi abbassa lo sguardo sulle mie labbra e fa un sorrisetto.
<< Touché. >> mormora al limite dell’udibile e butta via il fumo. Restiamo per qualche attimo così, fino a che lui mi spinge via il braccio mentre io di riflesso mi allontano seguendo quel movimento, tira un’altra boccata alla sigaretta e poi la guarda pensieroso.

<< Mettiamola così: se tu fai ciò che ti dico e ti svincoli dalle regole io mi libererò del fumo. - Mi guarda e alza una mano tirando su il mignolo e io lo guardo sorridendo. - Ci stai?>> Gli prendo il dito con il mio e questi si avviluppano in segno di promessa.

<< Ci sto. >> dico, pentendomi subito dopo. Oh mio dio che sto facendo, sto seguendo un ragazzo per nulla affidabile che naturalmente non mi sta guidando per la retta via: mi sta conducendo verso una discesa non poco ripida.

Stringo di più il mignolo attorcigliato a quello di Michael e lui ricambia stringendo la presa del suo. Con l’altra mano prende un tiro dalla sigaretta e butta fuori il fumo, prendendo aria per parlare.

<< Ci stiamo. >>
 
 
 

Gli sto camminando di fianco, leggermente inquieta mentre lui si guarda intorno beatamente. Abbiamo ripreso a camminare e non so dove mi stia portando, nell’oblio come prima, l’unica differenza è che ora devo fare quello che mi dice lui. Ad un tratto si ferma e mi mette due mani sulle spalle.

<< Da adesso comincia il tuo allenamento. >> dice solennemente al limite del ridicolo e io mi guardo in giro: siamo in una strada normalissima. Michael leva le mani dalle mie spalle e allargando le braccia mi indica la strada.

<< Questo è il primo posto, che possiamo fare di birichino? - mi chiede e io alzo le spalle - Guardati intorno. >> mi suggerisce.

<< Wow, case. Per niente usuale devo ammettere. >> annuisco ironica e lui fa battere le mani una volta.

<< Esatto! Pensa a qualcosa di illegale che possiamo fare! >> lo guardo stranita e lui annuisce vigorosamente per dirmi di rifletterci.

<< Non ne ho idea, forza dimmelo. >> dico immediatamente senza nemmeno pensarci un attimo.

<< Suoniamo ai campanelli e scappiamo, ovviamente! >> risponde esaltato e io scoppio a ridere.

<< Illegale! >> esclamo prendendolo in giro.

<< Tu non sai quanto ci si diverte a dare fastidio ai vecchietti che alle tre del pomeriggio sono mezzi addormentati! >> continua lui senza badare a me, si gira verso la prima porta che vede e si avvicina ai vari campanelli. Mi guarda furbetto facendo un cenno con la testa.
<< Seriamente? - gli chiedo - Pensavo volessi fare qualcosa di più estremo, che ne so… >>

<< Ci arriveremo dolcezza, ci arriveremo. >> alza le mani verso il riquadro con i vari nomi e li legge.

<< Dai Clifford non mi sembra il caso, è una cavolata! >> cerco di persuaderlo notando che vuole veramente farlo. Lui non mi ascolta e scorre i nomi con l’indice.

<< Dici meglio suonare ad Amanda Selfridge e Nick Holland o a Maurice Seck e Tyler Hodgam? O forse è meglio Pearl McCall? Mi sa tanto di zitella con tremila gatti per casa… - lo guardo spalancando gli occhi mentre Michael comincia a sciorinare nomi random valutando le varie opzioni. - Aspetta, ho avuto un’ideona. Li suono tutti. Tu preparati a correre. >>

Mi avvicino verso di lui per cercare di fermarlo ma lui mi guarda divertito e suona tutti i campanelli, passandoci sopra con entrambe le mani aperte. Urlo un “No!” ma lui ormai ha fatto il danno. Nel giro di un attimo si volta verso di me, mi guarda elettrizzato e poi mi afferra per una mano cominciando a correre e tirandomi con lui.

Voliamo via lungo la strada, allontanandoci velocemente dal portone mentre lui ride come un pazzo. Mi faccio trasportare dalla sua euforia e comincio a sorridere come un’ebete, finendo per ridere sentendo la voce di una signora che urla “Chi è?”. Nemmeno ci giriamo per vedere da quale finestra proviene e svoltiamo verso destra alla fine della via per ritrovarci un una strada perpendicolare a quella di prima. Ci fermiamo e Michael si appoggia al muro ridendo come un matto e io lo seguo a ruota. Continuiamo a ridacchiare per un po’, in preda all’esaltazione fino a quando finiamo di respirare pesantemente per il fiatone.

<< OK, è stato divertente. >> ammetto alzando le mani.

<< Ancora, ti prego. - esala lui in risposta e io rido, alzando le spalle per accettare - Si ma stavolta suoni te! >> esclama e io lo guardo sbuffando.

<< Va bene, va bene. >> acconsento e cominciamo a camminare lungo la strada, ancora respirando pesantemente. Michael a un certo punto si blocca e si avvicina a un portone intarsiato.

<< Questi si dovrebbero vergognare di avere uno orrore del genere come portone… - commenta schifato - Suonali tutti. >> Mi avvicino al pannello con i vari nomi e cerco di restare seria quando in realtà sono gasatissima. Nemmeno leggo i nomi e senza premere appoggio le mani aperte sui campanelli, coprendoli tutti; guardo Michael che annuisce e spingo. Per un lunghissimo secondo si sentono i vari campanelli suonare, poi tolgo le mani dal riquadro guardandolo. Vedendo che sto rimanendo ferma Michael mi riprende al volo la mano e mi scorta via cominciando a correre verso la fine della strada. Ridiamo come scemi mentre l’aria ci viene addosso e poi giriamo finendo in una piazzetta con una fontana al centro. Oh mio dio è così liberatorio che vorrei farlo per l’intero pomeriggio.

Con ancora l’adrenalina in circolo nel corpo guardo Michael e ci battiamo un cinque esaltati come non mai e con il fiatone. Camminiamo verso una panchina e ci sediamo buttando la testa all’indietro, stanchi ma divertiti.

<< Io te l’ho detto che ci saremmo divertiti. >> mi dice Michael tirando su la testa e io faccio lo stesso.

<< Devo ammetterlo, mi hai fatto sentire come un bambina di sette anni, ed è stato assurdo! >> acconsento e lui fa un inchino con la testa.

Fa un respiro lungo guardando la fontana davanti a noi e poi allunga una mano verso i suoi capelli. Inorridisco quando la mia mano va insieme alla sua verso la sua testa: sono ancora strette. Ci guardiamo negli occhi leggermente allarmati e subito le sciogliamo con uno scatto, lui si gira verso sinistra mentre io verso destra coprendomi il viso con la mano sulla frangia. Sento il palmo e le dita che mi pizzicano. Oh mio dio, questo è stato imbarazzante.
 




Hello.

Ciao a tutti! Nuovo capitolo dove Seph e Michael cominciano sul serio a conoscersi.
Spero che la storia vi piaccia e tutto il resto.
Come avrete capito aggiorno ogni settimana, scuola permettendo. Il quinto anno del liceo scientifico non perdona, amici.
(Ma comunque gioite con me per l'uscita di matematica in second prova, yeah babyyyy)
Baci a tutti.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Controllo l’orario per vedere che materia ho, non ricordandomi ancora le lezioni del giorno, e imbocco il corridoio per arrivare nell’aula di matematica. Che noia, non ce la posso fare. La matematica è bella, non posso non ammetterlo, ma è troppo noiosa per essere sopportata. Hai le regole, le applichi e se stai attento ritorna tutto, ma la cosa peggiore è che gli esercizi sono o troppo semplici fattibili in tre secondi, o lunghissimi con tremila calcoli che ti si intrecciano nel cervello. 
 
E poi, quando mai nella vita incontrerai il limite di una disequazione logaritmica fratta? Ve lo dico io cari amici, mai.
Arrivo alla porta della classe ma noto che dentro non c’è anima viva e subito vado nel panico, non è che ho sbagliato classe? Accosto la porta per leggere il nome dell’aula: F12, è quella giusta.

 
<< ORA DI BUCOOOOOO! >> urla una voce dietro di me e prima che possa fare qualcosa, sento delle braccia che mi afferrano da dietro, mi sollevano di trenta centimetri da terra e mi fanno fare un paio di giravolte attaccata al loro proprietario.

Luke Hemmings mi ha appena preso in braccio e mi sta stritolando in preda alla contentezza. Mi sento molto strana ad avere le sue braccia così strette a me e involontariamente arrossisco. Mannaggia a me che divento rossa come un pomodoro per nulla. Luke appoggia la testa sulle mie spalle e sospira.

 
<< Che belle le ore di buco! >> si esalta e mi lascia gentilmente a terra abbassandosi. Mi giro verso di lui e noto che ha un sorriso ebete in faccia. 
 
<< Come mai abbiamo l’ora di buco? >> gli chiedo e lui si accende facendo un gesto tutto esaltato.
 
<< Le voci di corridoio, che sicuramente provengono dalle bidelle, io scommetto da quella magrissima, con la voce stridula da gatto inferocito e con i capelli neri tipo… - lo interrompo con un gesto per fargli capire che so chi è - bene, sicuramente lei dice la prof Cavendish ha scoperto di essere stata tradita dal marito! >>  
 
<< Povera! >> commento e Luke annuisce vigorosamente.
 
<< E si dice che lei sia caduta in depressione! - Automaticamente metto le mani davanti alla bocca. Oh povera prof Cavendish, lei è una donna buonissima, molto probabilmente è fatta di zucchero. - E dalla prossima ora ci sarà un supplente! >> 
 
<< Chi è? E perché non è venuto ora? >> gli chiedo e lui alza le mani.
 
<< Che ne so io, mica sono la bidella pettegola! - ridacchio e lui si mette a posto i capelli - Allora, che facciamo? Ashton e Calum sono a filosofia, separati da me! >> dice con un tono fintamente triste ed io alzo le spalle, non sapendo cosa possiamo fare.
 
<< Magari possiamo andare in un bar e mangiare qualcosa? >> gli propongo, lui alla parola “mangiare” s’illumina e sussurra un “sii”. Rido e cominciamo a camminare verso le scale per uscire mentre cominciamo a sproloquiare sul nuovo supplente. 
 
Lungo le scale incontriamo Michael, che sta in classe di matematica con noi. Luke si blocca e mi da di gomito mentre io ridacchio per la sua reazione. Sorrido al nuovo arrivato e do una gomitata a Luke.
 
<< Buongiorno! >> esclamo e Luke mi segue mormorando un “Ciao”, Michael non gli va molto a genio, non so perché. Mi ha solo detto che semplicemente gli è antipatico a pelle, non gli piace l’aria che ha e come si comporta con la gente. E chi lo biasima?
 
<< Ehilà >> dice Michael sorridendo verso di noi. Sicuramente sa di essere antipatico a Luke e ricambia i suoi sentimenti. 
 
<< C’è ora di buco. >> annuncio e gli spiego quello che mi aveva detto Luke. Michael rimane sorpreso.
 
<< Ma la prof Cavendish è la persona con più cuore del mondo, come fai a tradirla? >> commenta perplesso.
 
<< Si! >> esclama Luke che quasi si strozza con la propria saliva.
 
<< E poi è anche figa… >> aggiunge Michael e Luke lo appoggia annuendo. Per fortuna che si odiavano. Si guardano studiandosi per un po’, sicuramente rivalutandosi a vicenda, mi sembrano degli animali che devono capire se sono nello stesso branco o no. Batto le mani.
<< Noi stiamo andando al bar, vuoi venire? >> chiedo a Michael e lui scuote la testa liquidandoci con un gesto.
 
<< Non mi va, resterò qui ad aspettare la prossima ora. - ci dice salendo qualche scalino e sorpassandoci. - Magari preparo una trappola per il nuovo supplente… Se solo avessi del burro… >> 
 
Luke scoppia a ridere mentre io guardo Michael allibita e inclino la testa cercando di rimproverarlo con lo sguardo e lui fa una risata. << Scherzo! - Alza le mani ed io mi tranquillizzo. - Oppure no…>> aggiunge e Luke continua a ridere come una scemo.
 
<< Andiamo, forza. >> porto via Luke per un braccio e guardo male Michael. Lui mi guarda con sguardo d’intesa, fa un cenno con il mento verso Luke che sta di spalle e poi inclina la testa per un attimo. Capisco cosa vuole intendere la sua mente contorta e gli faccio una smorfia, non c’è e non ci sarà mai nulla di più di un’amicizia tra me e Luke. Lui fa una risata e scompare dietro al muro. Scendiamo le scale e andiamo via dall’edificio per trovare un bel bar dove rintanarci. Luke torreggia vicino a me e mi copre dal sole quindi sorrido contenta.
 
<< Non è male quel tipo… - commenta di punto in bianco ed io mi fermo guardandolo divertita. - Che vuoi, mi sta comunque antipatico e quindi non mi va bene che esci con quello. >> Scoppio a ridere e percorro i metri di distanza tra noi. Gli do un leggero schiaffo sulla spalla.
 
<< Gli do ripetizioni, non ci sto uscendo. >> gli spiego.
 
<< Io te lo dico, quello non ha buone intenzioni. >>



 
Arriviamo davanti alla classe e Luke mi fa passare per prima, appena entro trovo lo sguardo da furbetto di Michael che mi osserva. Come prima, guarda Luke per poi riguardare me ed io inclino la testa alzando gli occhi al cielo. Ci andiamo a sedere prendendo posto davanti a Michael e Luke accanto a me. Comincia a chiacchierare formulando ipotesi sul nuovo supplente sperando che non gli controlli i compiti per casa, che non ha fatto. Parliamo per un po’ mentre i vari ragazzi entrano in classe prendendo posto, tutti frementi per il nuovo insegnante.
 
<< Speriamo sia figa… >> commenta ad alta voce Abel Grey, nel banco di fianco al mio e tutta la classe scoppia a ridere. Entra il professore, un uomo giovanissimo sui venticinque anni e si ferma davanti alla porta, guardandoci divertito. Tutti smettiamo di ridere all’istante.
 
<< Purtroppo non lo sono, mi dispiace. - dice sereno, posa la sua borsa sulla cattedra e prende un gesso per scrivere sulla lavagna “Prof  Andersen”, poi gira intorno al tavolo e ci si appoggia. - Salve a tutti ragazzi, io sono il professor Andersen, come lo scrittore, e sono il supplente della professoressa Cavendish, come credo già sappiate.>>
 
Lo osservo leggermente incantata, ha i capelli biondo miele tirati morbidamente indietro, come James Dean, gli occhi grandi e scuri, la pelle abbronzata e un accenno di barba. È molto giovane, non avrà nemmeno dieci anni di differenza con noi, porta una semplice camicia bianca e dei pantaloni blu scuro, è alto e robusto. Mi giro verso la classe e noto che le ragazze stanno contemplando il professore, come ho fatto io. Amanda Brownsell mi guarda e spalanca gli occhi mimando un “wow” ed io annuisco sorridendole.
 
<< Sapete già che la professoressa ha avuto dei problemi privati, quindi io starò qui per un minimo di un mese, se non di più. - Non che mi dia fastidio se stesse per più di un mese… - Allora, vi dico un po’ di me, ho ventisette anni, sono laureato in matematica e questo è il mio primo anno di insegnamento, quindi sono ancora più impaurito di quanto lo siate voi, state tranquilli. >> 
 
Si stacca dalla cattedra e le gira intorno sedendosi per aprire il registro, leggere attentamente i nostri nomi e cominciare a fare l’appello. Guardo le sue mani e trovo all’anulare sinistro una fede così mi volto verso Amanda e le indico il mio dito, lei guarda il prof, spalanca gli occhi e poi ritorna da me, abbassando le spalle con un finto broncio. 
 
<< A me sembra un cretino. >> sussurra Michael al mio orecchio allungandosi sul banco e io mi giro solo con la testa verso di lui, cercando di guardarlo male ma senza scompormi.
 
<< Ma che ne sai, lo conosciamo da nemmeno due minuti. >> osservo.
 
<< Le prime impressioni sono quelle che contano davvero. Per esempio io appena ti ho vista ho pensato che fossi una ragazzina ingenua, a saltellare per strada vedendo il nuovo disco dei Beatles. E infatti eccoti qui in tutto il tuo splendore. >> Gli faccio una smorfia e mi giro non volendo sentire più le sue stupidaggini. Quando il prof dice il suo nome, sento Michael che si muove sul banco e poco dopo alzo il braccio, nel sentire che è chiamato il mio nome. Il prof scrive i due assenti e poi rilegge i nomi cercando i vari volti per associarli. Si alza dalla sedia e si appoggia di nuovo sulla cattedra, cominciando a chiedere di ciò che abbiamo fatto dall’inizio dell’anno e come ce la stavamo cavando con il nuovo programma. 
 
<< Che palle! >> sussurra Michael dietro di me ed io alzo gli occhi al cielo.
 
<< Oh dio ma quanto puoi essere insofferente? >> gli sussurro di rimando girando leggermente la testa. Lui accenna una risata silenziosa e sento che mi tira piano una ciocca di capelli, sicuramente giocandoci come al solito. Luke lo guarda e poi guarda me leggermente stranito, alzo gli occhi al cielo come per dire che lo devo sopportare. 
 
Il prof si alza dalla cattedra e va alla lavagna, cancella il suo nome e scrive la formula risolutiva delle equazioni di secondo grado, spiegando poi cose che già so e che quindi non mi va di sentire. 
 
<< Lo so, è di una noia pazzesca ma questa è una delle formule che dovete sapere come sapete il vostro giorno di nascita perché la troverete dappertutto. - posa il gesso e ci guarda comprensivo, come per dire “lo so, che palle.” - Si dimmi. >> aggiunge poi, indicandomi.
 
Spalanco gli occhi, io non gli ho chiesto nulla!
 
<< Mi scusi, ... - esordisce Michael, con mio stupore - ...non dovrebbe dirci che la matematica è una noia. Ce la insegna! >> 
 
<< Infatti, non sto dicendo che la matematica è una noia, ho detto che le formule che bisogna ricordarsi a memoria sono noiose. >>
 
<< Ma fanno parte della matematica. - continua Michael e io mi giro inorridita verso di lui, non sta mai zitto con quella boccaccia. - E quindi le dovrebbero comunque piacere, come le dovrebbe piacere la matematica. >> 
 
Il prof lo guarda incuriosito e cammina fino ad arrivare davanti alla cattedra, stavolta sedendoci sopra.
 
<< A me non piace la matematica, io la amo. - inizia e noto che i suoi occhi scuri s’illuminano - Il problema è che nelle cose che ami, come in tutto tra l’altro, ci sono delle loro parti che non puoi far altro che detestare. Ma sai qual è il bello di queste noiosissime parti della matematica? Hanno uno scopo, ti portano da qualche parte. Con la formula risolutiva trovi una, due o nessuna delle soluzioni di un’equazione, con le formule geometriche puoi calcolare qualunque cosa tu voglia sapere su delle figure, con la formula della sezione aurea trovi la figura geometrica più bella agli occhi dell’uomo. Quindi si, anche se non mi piacciono, le amo. >> 
 
La classe è avvolta in un silenzio tombale e tutti fissiamo stralunati il professore, io mi giro verso Michael guardandolo seria per dirgli di smetterla, ma lui nemmeno si accorge di me, guardando intensamente il prof. 
 
<< E lei non dovrebbe insegnarci ad amarle? >> chiede sfrontato, io spalanco gli occhi e tutti gli posano lo sguardo addosso, per poi passare a quello del prof, come a una partita di tennis.
 
<< Assolutamente no, non posso, non ne ho le capacità. Tutte quei luoghi comuni sul professore che deve far amare ai propri alunni la loro materia sono delle enormi cazzate. - Tutti trasaliamo alla parolaccia - Io non posso far nascere in voi l’amore per qualcosa che non amate, come se vi mettessi davanti una donna o un uomo e vi elencassi le loro splendide qualità. Voi non potete amarla, o amarlo, a mio comando. Io posso solo aprirvi un mondo, rendervi partecipi della magia che ci ha permesso di arrivare fino a dove siamo arrivati ora, posso farvi capire come funziona in modo che possiate usarla a vostro piacimento, ma non posso farvela amare. Io sto mettendo a vostra disposizione uno strumento, non un oggetto da amare. >> 
 
Sono allibita, e come me lo sono tutti quanti. Mi giro lentamente verso di Luke che mi guarda spalancando gli occhi e sussurrando un “wow”, il professore ha vinto Michael stracciandolo e ne siamo tutti consapevoli. Il gelo nella stanza viene interrotto da un applauso. Mi giro e trovo Michael che, spaparanzato sulla sedia, sta applaudendo il professore compiaciuto. Il prof alza le sopracciglia, scrutandolo divertito. Nessuno si unisce all’ovazione, troppo sconvolti.
 
<< Lei è il professore più forte che io abbia mai avuto. >> esordisce Michael e il prof scoppia a ridere.
 
Oh mio Dio, questo ragazzo ci sta sconvolgendo a tutti.





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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***






<< Cioè, aspetta un attimo - Lola si ferma in mezzo strada con una mano a mezz’aria - mi stai dicendo che Michael Clifford non è male? >> 

Mi fermo anche io e alzo gli occhi al cielo per poi guardarla spalancando gli occhi e allargando le braccia, esasperata. È da dieci minuti abbondanti che le sto raccontando di Michael Clifford e del fatto che non sia male, come tutte abbiamo pensato che fosse. Lei mi guarda sconvolta e io prendo una caramella dal sacchetto che abbiamo comprato, lanciandola in aria e facendola atterrare dritta in bocca. Ricomincio a camminare mentre Lola rimane dietro immobile. 

<< Seriamente Seph, quel tipo losco! Sai, quello che potrebbe provocare una rissa tra angeli con uno schiocco di dita! >> mi raggiunge infilando una mano nel sacchetto e prendendo una caramella rosa.

<< Esagerata! - esclamo ridendo e dandole un colpo con i fianchi – Guarda che non ho detto che è una creatura celeste perfetta, solo non è male, mi ci trovo bene. I nostri erano solo pregiudizi. >> dico candidamente facendo spallucce. 
Nell’ultimo mese avevamo fatto tutte le nostre ripetizioni di storia due volte a settimana e dopo aver studiato a volte andavamo in giro a “fare guai”, come dice lui. In realtà facevamo solo dei dispetti alla gente, divertendoci da morire.

Una domenica Michael ha ben deciso di portare con se il tamburello giocattolo di un suo cugino piccolo, da come mi ha detto, e abbiamo passato un’ora intensa a nasconderci e spuntare dietro ai signori per lo più anziani seduti sulle panchine, battendo il tamburello e spaventandoli a morte. Le risate che ci siamo fatti in quell’ora sono impagabili. Addirittura una signora, mentre  Michael ed io scappavamo, ha tirato la sua borsa addosso a Michael colpendolo in testa proprio con una aggeggio metallico decorativo e adesso il poveretto ha un bozzo enorme sul cranio. “Chi se ne frega, ne è valsa la pena!” mi ha detto grattandosi la testa e abbiamo riso.

Ma la volta in cui ci siamo divertiti di più è stato un mercoledì. Invece di studiare storia Michael ha deciso che quel giorno avemmo saltato gli studi e ci saremmo dedicati completamente alla mia “formazione” e abbiamo fatto la cosa forse peggiore di tutte: abbiamo detto i finali dei libri alle persone che stavano in libreria. Siamo entrati nei primi negozi di libri che ci capitavano davanti agli occhi e abbiamo passato quasi due ore a attaccare bottone con persone random svelando loro i finali dei libri che avevano in mano o che stavano osservando. Io cercavo di rivelare i finali solo dei libri che conoscevo, scegliendo accuratamente le persone che avevano in mano testi che avevo già letto. Michael invece parlava a tutte le persone, indipendentemente da che libro avevano in mano, e diceva cavolate assurde fingendole per vere. Le reazioni della gente sono state impagabili: chi ci rimaneva male dell’aver scoperto il finale, chi si arrabbiava, chi rimaneva basito e non sapeva cosa dire, preso alla sprovvista.

Penso di non aver mai riso così tanto come quel giorno, soprattutto nel momento in cui Michael si avvicina a un signore che aveva sotto il braccio una Bibbia, gli mette una mano sulla spalla e con voce compassionevole gli fa “Alla fine del libro, Gesù muore.”. Il signore fa una faccia buffissima guardandolo basito e non sapendogli cosa dire, Michael annuisce con aria comprensiva e appena il signore si gira noto dal colletto della camicia che è un prete. Inutile dire che io, a pochi metri di distanza, dalle troppe risate non riuscivo quasi a respirare, con le mani sulla pancia dolorante. 

Vado a sedermi su una panchina, buttando lo zaino per terra, cercando di ignorare Lola e le sue vane supposizioni, ma lei mi segue e si siede sulla panchina, rivolta verso di me. Alla fine Michael non è un cattivo ragazzo e devo ammettere che non mi ci trovo per niente male, come pensavo. È una bella compagnia con cui stare e nonostante tutto siamo diventati amici. Trovo che sia quasi liberatorio stare con lui, nei momenti che passiamo insieme mi sento sciolta da ogni dovere, da ogni preoccupazione, e questo mi succede con poche persone. Pochissime, direi. Anzi, praticamente nessuna.

<< Ti ha toccato? Ti ha fatto fumare? O qualcosa di peggio? - mi chiede Lola e io rido scuotendo la testa – Ti ha costretto a non dire nulla a nessuno! >> esclama indicandomi mentre io sospiro e alzo gli occhi al cielo sussurrando uno stressato “Oh mio Dio”. 

<< Seph. - mi chiama perentoria e io mi giro guardandola spazientita – Non è che questo Michael… Ti piace? >> lo dice cercando di essere seria, ma riesco benissimo a leggere la non poca malizia nella sua frase. Mi giro di scatto verso di lei e la guardo sbarrando gli occhi.

<< Ma che dici! – urlo a voce un po’ troppo alta, visto che un signore si gira incuriosito verso di me – Non mi piace! Ma ti pare, un tipo del genere! >> continuo con la voce più bassa. Lola mi guarda dubbiosa.

<< Sei sicura? Insomma lui è un “bad boy”, uno di quelli belli e dannati. Ti rubano il cuore – fa finta di prendere il mio cuore con un pugno – e nemmeno te ne accorgi. Finché ti ritrovi con il cuore spezzato davanti a lui e alla sua nuova ragazza “bad girl”. >> la guardo incredula dalla serie di cavolate che ha detto e le do un colpetto sulla fronte con le dita, ridacchiando.
<< Ma ci pensi la notte a queste cose o ti vengono sul momento? >> mi ruba il sacchetto di caramelle, ignorandomi e continuando con i suoi spropositi.

<< Secondo me ti piace, insomma quando mai passeresti del tempo con un tipo come quello? >> 

<< Dobbiamo fare delle ripetizioni! Ci ha costretti il prof di storia! >> ribatto alzando le braccia al cielo. 

<< Ma uscite dopo le ripetizioni. >> mi dice scaltra guardandomi furbetta.

<< Si, è vero, ma perché ormai siamo diventati amici. >>

Piccolo dettaglio: Lola non sa delle opere pie che il mio nuovo amico ha deciso di compiere per aiutarmi, sa semplicemente che qualche volta dopo le ripetizioni siamo usciti. Sinceramente, non mi va di dirglielo perché poi comincerebbe a rimproverarmi per essermi fatta abbindolare da lui. E poi odio da morire il suo sguardo di rimprovero alla “ho ragione e non ho colpa a biasimarti per le azioni stupide che compi”. Lola nel rimproverarmi ha quasi sempre ragione, saggia com’è, ma in questo momento proprio non mi va di sentirla con i suoi giudizi assennati.

<< Dai ammetti che ti piace! >> esclama e io mi alzo dalla panchina per andare a buttare il cartone delle caramelle ormai vuoto. Ma perché insiste? Quante volte devo ripeterle che non mi piace? Purtroppo il tragitto panchina-cestino-panchina dura pochissimo e mi ritrovo in piedi davanti a Lola che mi guarda in attesa. Inclino la testa.

<< Lola, per la milionesima volta, no. Non mi piace! – esclamo esasperata allargando le braccia – Tutto ciò che provo per quel ragazzo è un ormai sincero sentimento di amicizia, come quello che provo per te, o per Meredith. Tutto qui. >> Mi lascio cadere sulla panchina e scivolo leggermente guardando Lola dal basso verso l’alto. Lei mi accarezza i capelli divertita.

<< Va bene, posso anche crederti… Forse. >> Alzo gli occhi al cielo e lei fa una risata. Si alza dalla panchina e si mette lo zaino in spalla, prendendo il mio e porgendomi una mano che io afferro facendomi aiutare ad alzarmi. I ruoli si sono invertiti e la guardo dall’alto del mio metro e sessantotto. Penso sia questa una delle poche cose che non invidio a Lola: l’altezza. Lei è alta un metro e cinquantotto, esattamente dieci centimetri meno di me, e non smetterò mai di abbracciarla poggiando la mia testa sulla sua.

<< Beh amica, consentimi di dire una cosa. – inizia prendendomi sottobraccio e cominciando a camminare – Michael Clifford è proprio un gran bel pezzo d’uomo! >> esclama e io scoppio a ridere per l’inaspettata spontaneità.

<< Si, l’ho sempre pensato… >> dico alzando le mani, colpevole. Ci guardiamo complici e ridacchiamo.

<< E poi con quei jeans stretti e con quell’aria da ribelle… - aggiunge Lola gesticolando per aria – Non dico nulla di pervertito o sembrerei una poco di buono… Ma immagina quello che sto pensando su di lui in questo momento, senza farmi parlare. >> 

<< Posso immaginare! - ridacchio accompagnata da Lola – Dobbiamo concedergli che sia uno dei ragazzi più sexy della scuola. E poi riuscirebbe a risvegliare l’attrazione sessuale anche in una suora… >> dico piano cercando fortemente di non arrossire mentre lei mi guarda sorpresa, per poi scoppiare a ridere. Non molto spesso me ne esco con queste affermazioni, più che altro le lascio fare alle ragazze limitandomi ad annuire, mi sento un po’ in imbarazzo a dare voce a questi tipi di pensieri davanti alle persone. Per qualche secondo rimaniamo in silenzio, sognanti, poi Lola si scuote e mi strattona.

<< Devo dire che ti invidio, stai a contatto con quel figo e sei anche sua amica! – esclama desiderosa - È quasi più bello di Paul! >>

<< Ehi, il nostro McCartney non si batte! - rispondo ridendo e dandole una leggera spinta – Ma… Lo batte di pochissimo. >>



Rientro a casa, buttando le chiavi nel cestino vicino alla porta, non c’è nessuno perché i miei sono ancora a lavoro. Vado in cucina e prendo la vaschetta con i frutti di bosco, mangiando solo i lamponi. Sento un miagolio e Cairo, il mio piccolo gattino nero, entra in cucina venendomi vicino e strofinandosi sulle mie caviglie. Ci gioco un po’ e poi lo mollo sul divano in sala raggiungendo la mia camera.

Metto un cd a caso e lo faccio partire, passando davanti allo specchio mi fermo e mi osservo mettendomi a posto la frangia, mi giro per vedere a che lunghezza sono arrivati i capelli, piego leggermente all’indietro la testa per farli appoggiare sul fondoschiena, sono veramente lunghi ma non voglio tagliarli. Mi osservo le gambe magre e tiro su la gonna per farla accorciare per poter vedere come mi sta, tirandola fino ad avere le chiappe quasi scoperte. Non capisco perché la gente ancora diffama una donna se mostra le gambe, sono belle! 

Mi butto sul letto muovendo i piedi a ritmo della canzone. D’un tratto il telefono squilla e mi giro verso il comodino per osservarlo trillare. Abbiamo un solo numero a casa ma i miei hanno deciso che sono abbastanza grande e meritevole per avere un telefono tutto mio in camera. 

Mi avvicino al comodino e afferro la cornetta nera cercando di non allontanarmi troppo per non tirare il filo.

<< Pronto? >>

<< Ehi Phone! >> una voce squillante risuona nella cornetta e dal soprannome orrendo capisco che è Michael.

<< Clifford! Chi ti ha dato il mio numero? >> gli chiedo quasi urlando.

<< Calma i tuoi spiriti bollenti, dolcezza! – faccio una smorfia per lo stupido appellativo - E comunque ho le mie risorse… >>

<< Dimmelo. >>

<< Beh la segretaria della scuola, sai quella divorziata, in meno pausa e sessualmente frustata, si è lasciata abbindolare dai miei occhi azzurri… - alzo gli occhi al cielo mettendomi a pancia all’aria – Che stai ascoltando? >>

<< Non te lo dico. >> 

<< Oh ancora con quei cretini dei Beatles! >> alzo di nuovo gli occhi al cielo.

<< Oh fatti gli affari tuoi, impiccione! – gli dico stizzita e lui fa una risatina – Perché mi hai chiamato? >>

<< Sono a casa e non so che diamine fare quindi sono annoiato a morte… E chi posso chiamare se non la mia professoressa di ripetizioni preferita? >>

<< Hai solo me come professoressa di ripetizioni… >>

<< Appunto. >> faccio una risata falsa e lui ridacchia.

<< Veramente mi stai chiamando perché sei annoiato? – gli chiedo scettica – Perché non vai a fare qualche danno in giro, o non senti la tua musica rock, o che ne so, vai per negozi per scegliere la prossima tinta per capelli? >>

<< Faccio danni solo con te, lo sai, è alla base della nostra amicizia. – sorrido leggermente, quindi non solo per me siamo amici, anche per lui. Mi fa felice sapere che lui ricambi ciò che provo per lui, non so ma mi esalta il fatto che lui, Michael Clifford, il tenebroso ribelle che mi fa sentire una bambina inadeguata, mi consideri una sua amica. - E ora non mi va né di ascoltare la musica né di tingermi i capelli, mi piacciono bianchi così. >> aggiunge con tono lamentoso.

<< Ecco: trovati degli amici, visto che mi pare che qui non ne abbia molti. Anzi, rettifico, visto che hai solo me. >>

<< Un’amica già basta per girovagare il mondo in compagnia. E poi, qualche giorno fa, ho stretto amicizia con Ashton Irwin! >> risponde vantandosi e faccio una risatina.

<< Beh, considerando che Ashton Irwin riuscirebbe a stringere amicizia anche con un palo della luce non è un gran traguardo… - lo sento sbuffare dall’altra parte del telefono - Ma è un progresso, sempre meglio di nulla! >>

<< Oh questo sarcasmo finale mi ammazza. – ridiamo e stiamo qualche secondo in silenzio - Senti… Hai da fare? >> mi chiede e io guardo l’ora: le quattro; e devo studiare letteratura inglese per domani.

<< In realtà dovrei studiare… >>

<< Oh dai se salti una volta non succede nulla! – esclama cercando di convincermi – E poi tu hai tutti voti altissimi, se una volta vai male non ti dicono nulla. >>

Tentenno, prendendo il filo arricciato del telefono e cominciando ad arrotolarmelo intorno ad un dito, ponderando la situazione… In fondo se non studio una volta sola non succede nulla, no?

<< Phone… In questo momento potrei suicidarmi dalla noia. E poi ti devo ricordare che sei sotto sequestro? >> 

<< Sequestrata da chi scusa? >> gli chiedo un attimo confusa.

<< Da me ovvio! Sono il tuo istitutore, sei sotto il mio controllo e la mia custodia. >>

<< Non pensavo di avere un rapitore al posto di un insegnate… >> commento sarcastica e lui ride.

<< Beh si sei l’unica alunna del mio collegio e non te ne andrai finché non sarai istruita. >> 

<< Prospettiva decisamente attraente. >> dico con sempre più sarcasmo, dovrei ricevere un premio miglior sarcasmo 1967.

<< Sono io l’attraente, non la prospettiva! – Alzo gli occhi al cielo, sapendo benissimo che è vero – Dai esci con me, ti offro un gelato! >>

Sospiro pesantemente, impietosita da quel bastardo. Mi metto a sedere sul letto, prendendo un elastico da sopra il comodino e incastrando il telefono tra la spalla e la testa e comincio a farmi una coda alta.

<< Va bene ma solo per stavolta. >> acconsento senza riuscire a non alzare gli occhi al cielo.

<< Te lo giuro, solo per stavolta, dolcezza. >>




Hello.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Un libro sbatte sulla panchina accanto a me e due mani mi spingono fino a farmici sedere.

<< OK, allacciati la cintura perché in pochi minuti ti insegnerò qualcosa che ho imparato tutto da solo fino a più o meno tre ore fa; perciò siediti – notare che  mi ha fatto sedere lui - e goditi questo viaggio folle, illogico e paranormale, assaporando ciò che mi hanno fruttato tre caffè e una tavoletta intera di cioccolata fondente al 75% alle due del mattino. >> Michael lo dice quasi urlando sedendosi accanto a me, mentre io sto in coma, senza aver chiuso occhio e con un’emicrania che mi fa venir voglia di tagliarmi la testa.
 
Alzo lo sguardo su di lui, che a occhiaie se la batte con me, e lo trovo esaltato, iperattivo e con gli occhi fin troppo spalancati che mi guardano come se dovessi fare uscire un coniglio dal cappello. Emetto un suono più simile ad un grugnito che ad altro e mi passo una mano sulla faccia, incurante della frangia che va da tutte le parti.

<< Clifford santo, mi hai fatto alzare un’ora prima, venire vicino scuola un’ora prima, per sentire che mi ripeti storia, un’ora prima del solito? >> chiedo isterica e lui mi guarda sorridendo teneramente. 

Mi scompiglia la frangia con una mano e tira fuori dalla borsa una bustina di carta marrone che mi porge. La prendo irritata e la apro: dentro ci sono due caffè e due brioche, la nostra colazione. Prendo un cornetto e lo azzanno mentre porgo il sacchetto a Michael.

<< Odio il caffè. >> dico acidamente e lui ride.

<< Miao! Oggi graffiamo eh? – lo guardo impassibile e lui ridacchia – Meglio, un altro caffè per me, amici! >> 

<< Così ti verrà un infarto, il tuo cuore batterà come quello di un colibrì. >>

<< Quello è perché sono vicino a te, dolcezza. >> Michael si avvicina a me guardandomi malizioso e io gli poso una mano sulla faccia, spingendolo indietro.

Con una smorfia continuo imperterrita a mangiare mentre lui ride come un pazzo. Siamo ai due poli opposti oggi: io ho il ciclo mestruale e la testa mi scoppia, voglio morire, o semplicemente dormire, lui è drogato di caffeina, è iperattivo e fin troppo energico.

<< Forza ripetimi questa roba così magari riesco a dormire prima che suoni la campanella. >> gli indico il libro di storia mentre lui finisce di bere il primo cartone di caffè. 

<< Oh ma dai, siamo qui, in una panchina davanti alla scuola, gli alberi si sono appena svegliati e il Sole si è appena svegliato, tu ti sei appena svegliata e io mi sono appena svegliato dopo tre lunghissime ore di sonno. Se fossi un poeta scriverei una poesia su di noi e se fossi un pittore ci dipingerei, cogli la meraviglia del momento e godiamoci l’alba insieme! >> 

<< Michael. >>

<< Sì. >> 

<< Gli alberi non si svegliano. E nemmeno il Sole. >>

Michael alza le braccia al cielo, emettendo dei versi da animale, poi mi prende le spalle e mi scuote energicamente. Gli tolgo le mani di dosso, prendendomi la testa tra le mani.

<< Non toccarmi e soprattutto non scuotermi. >> gli dico minacciosa e lui tira fuori il secondo cornetto, offrendomelo. Lo agguanto, incurante della maleducazione e del fatto che sembro una mucca incinta, ne prendo un morso e guardo Michael sprezzante.

<< Grazie. >> sputo masticando e lui alza le spalle sorridendo e cominciando a bere il secondo caffè.

Mi guardo intorno: in effetti è molto carino, si sentono gli uccellini appena svegli sugli alberi e c’è un piccolo ruscello con il suo scorrere costante. Tutto è colorato dalla luce più giallognola del solito, tipica dell’alba e il cielo è di un celeste pallido. L’erba è bagnata e la panchina dove stiamo seduti è umida. Guardo Michael compassionevolmente, cercando di stare tranquilla, dopotutto è solo un caffeinomane con un cuore d’oro. 

<< Mi vuoi ripetere storia? >> gli chiedo gentilmente e lui alza le sopracciglia.

<< Ci siamo calmate principessa? O è una di quelle domande retoriche a cui sbaglierò la risposta e di cui tu me ne darai una sarcastica che ferirà il mio cuoricino? >> mi chiede sulla difensiva.

<< Nulla di tutto ciò – lo rassicuro – Mi sono solo resa conto che sei in overdose di eccitanti, non è colpa tua. >> 

<< Anche se mi stai diffamando, grazie. – mi afferra il polso e si avvicina il cornetto alla bocca, da un morso di dimensioni enormi e poi prende un sorso di caffè – Comunque si, cara amica, mi devi risentire storia, l’ho studiata dall’una fino alle tre stanotte. >> dice, con l bocca piena, vantandosi, ed io lo guardo divertita.

<< Non ti piace studiare di pomeriggio come tutte le sante persone normali fanno? >> gli chiedo e lui fa una grossa risata per poi smettere all’improvviso.

<< Ho una vita da vivere io. >>

<< Oh si con i tuoi milioni di amici, sei proprio un vortice di mondanità! >> 

<< Beh si da il caso, che io ieri sia uscito con una ragazza. >>

Quasi non sputo il cornetto, una ragazza?! Lo guardo sbigottita, con chi cavolo è uscito? Non ha nemmeno un amico e già trova una ragazza? Scuoto la testa.

<< Una ragazza? >> chiedo fingendomi amichevolmente interessata e nascondendo il fastidio.

Ma dai, è da diciassette anni che sono qui e non ho trovato nemmeno un gamberetto che mi apprezzi, lui arriva qui, con la sua giacca di pelle e i capelli tinti e boom, cadiamo tutte ai suoi piedi?

Cadono, cadono tutte ai suoi piedi.

<< Marion, quella tipa di un anno più piccola di noi - annuisco, ce l’ho presente, è una biondina alta un metro e un chicco di riso, con una voce acuta al limite del sopportabile. – Mi ha chiesto di uscire e ieri ci siamo fatti una passeggiata verso la spiaggia. >>

<< Romantico – commento acida – Come fai a sentirla quando parla? Penso che a volte riescano a sentirla solo i pipistrelli… Sai la sua voce sarà di circa sette ottave più alta di quella di una persona normale. >>

<< Sento della gelosia nella sua voce, signorina Ledger? – mi chiede dandomi una buffetto sulle guance, che io ricambio prontamente con uno schiaffo sull’avambraccio che lui ignora – Giuro che la mia migliore amica sei solo tu. >>

<< Tu non lo sei per me. >> Oh ma dai, proprio Marion, la ragazzina più insignificante del reame?!

<< Chi è il tuo migliore amico se non io?! - mi chiede incredulo e io rido internamente – Non mi dire quello sfigato di Luke Hemmings. È un cretino! >> 

<< Non è un cretino! – replico imbronciata – E poi se anche  fosse, non vedo problemi. >>

<< Ti piace! >> esclama ridendo e alzo gli occhi al cielo. Pensare che ho dovuto fare questa stessa conversazione con Lola, ma su Michael.

<< Assolutamente no, mi sta simpatico, tutto qui. >>

<< Ti aiuto a conquistarlo se vuoi. – si propone e io scoppio a ridere – Ma si, ti bastano poche correzioni e ce la farai. >>

<< Ah dovrei correggermi? >> gli chiedo indispettita. Lui si agita sulla panchina cominciando a gesticolare.

<< Non sto dicendo che tu sia brutta, anzi, sei veramente figa secondo me… - inizia e io arrossisco involontariamente – Ma tutti abbiamo qualcosa da correggere! Tu sei così innocente e ingenua che nessuno ti vede come potenziale fidanzata, ma come un’amica. >> 

Metto il broncio: non nego di esserci leggermente rimasta male, insomma non pensavo di non essere per nulla attraente. Non sono bruttissima o grassissima o qualcos’altro di brutto-issima, so di non essere una bomba sexy, ma nemmeno una suora.

<< Ah si? – inizio, presa da una voglia di fargli vedere di cosa sono capace – Bene, mi aiuterai anche in questo! >> Michael si sorprende della mia iniziativa mentre io mi pento subito. Ma perché mi vengono in mente queste cavolate? Non voglio nemmeno provarci con Luke, Dio santo! 

<< Bene, altra clausola del nostro patto. – si accende Michael – Fino a che non rimorchierai qualcuno io dovrò aiutarti! Oh sono troppo esaltato, ti plasmerò come voglio io! >> 

Alzo gli occhi al cielo, questa cosa sicuramente non andrà a buon fine, me lo sento. Lui d’altra parte è elettrizzato e mi sta fissando da capo a piedi, probabilmente per prendere appunti per poi dirmi cosa vuole fare di me.

<< Senti, lasciamo stare questa parte, OK? – inizio ritirando tutto e lui fa una smorfia interrogativa - Non ho mai sentito il bisogno di cambiare per far cadere i ragazzi ai miei piedi. Alla fine, negatività a parte, ci sono stati ragazzi che hanno mostrato interesse nei miei confronti, magari alcuni non apertamente e palesemente, ma ci sono stati. Non vedo perché dovrei cambiare. >>

<< Non devi cambiare! Sono il primo fautore del movimento “Sii te stesso e fai ciò che ti pare”, sarei un ipocrita a dirti di cambiare. Devi migliorare e non cambiare... E poi, anche se volessi cambiare per un ragazzo, chi se ne frega, ora come ora abbiamo relazioni da un mese, chi se ne frega se uno pensa che tu preferisca il gelato alla vaniglia invece di quello al cocco.>>

<< Come fai a sapere che il mio gelato preferito è al cocco? >> chiedo sospettosa e Michael mi da un buffetto sulle guance.

<< Te ne ho offerti la modica cifra di tre dozzine… >>

Lo guardo incuriosita, riflettendo. Mi sto lasciando abbindolare da lui come al mio solito, veramente sono così condizionabile? Due paroline convincenti messe in fila e sono tutta sua? Probabilmente si, ma alla fine chi se ne frega, come dice lui.

<< Allora dovrei fingermi sempre per ciò che non sono. – ribatto - Passerei una vita in preda al dovere di farmi accettare da qualcuno. Bello schifo. >>

<< Oh no, ad un certo punto della vita troverai qualcuno che si innamorerà di te, e allora si che potrai essere te stessa. Tanto quello ti accetterà anche se gli dicessi che hai tre polmoni e una zia che è un insetto carnivoro. Sarà così innamorato di te che lascerebbe addirittura Marylin Monroe per avere anche solo un minuto e mezzo da passare con te. >> Mi accorgo che lo sto guardando rapita e subito smetto di fissarlo, spostando lo sguardo sui fili d’erba per terra; non proprio poeticamente ma ha descritto bene cos’è l’amore. O perlomeno cosa io penso che sia. Mi metto a gambe incrociate girandomi leggermente verso di lui con il busto.

<< Sei mai stato innamorato? >> gli chiedo con un tono di voce così basso che nemmeno io ho sentito cosa ho detto e lui scuote la testa ridendo.

<< No, ma mio nonno mi parlava della mia nonna come se fosse un miracolo sceso in terra. Quando cucinava, quando parlava, o semplicemente quando stendeva i panni, nonno la guardava come se ne fosse dipendente, il suo mondo girava intorno a lei. - Michael ridacchia dolcemente e si sistema i capelli prima di continuare – Peccato che per i miei non sia stato così. >> dice amaramente.

<< Perché? >> domando ingenuamente.

<< Tipico matrimonio di convenienza, come i duecentomila solo a Sydney, nulla di speciale. - Mi chiedo se i miei si amino davvero. Non lo so, ma non voglio nemmeno saperlo, mi concedo il beneficio del dubbio.. - Comunque! Dai fatti aiutare da me! >>

Michael mi da un pizzicotto sulla spalla e io alzo gli occhi al cielo. Alla fine che c’è di male nel far divertire un bambino? Lo guardo mordendomi il labbro inferiore, sapendo che sto per cedergli.

<< Va bene – accetto e lui si accende – Ma nulla di drastico! >>

<< No, tranquilla, pensavo solo di tingerti i capelli e di farti mettere minigonne di trenta centimetri… >>

Lo guardo e lui scoppia a ridere di gusto. Faccio finta di ridere e poi gli faccio il solletico, facendolo contorcere sulla panchina. Si alza in piedi allontanandosi da me mentre io lo osservo con sguardo da vincente.

Inaspettatamente lui mi si para davanti e lentamente si piega in avanti con il busto, appoggia le mani sulla panchina ai lati delle mie spalle, sfiorandole, e con il suo viso arriva fin troppo vicino al mio. Sento la faccia che va in fiamme ma cerco di essere coraggiosa, mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi chiari. Li fisso cercando di concentrarmi sul loro colore, notando che l’occhio sinistro è di due colori leggermente diversi, come spaccato in due, da una parte poco più verde e dall’altra più azzurro. Non me ne ero mai accorta.

<< Senti mocciosa – sussurra con voce serena, cosa che ai miei occhi risulta più attraente che mai, o perlomeno, alle mie orecchie - non puoi usare la carta solletico con me ogni volta che ti do minimamente fastidio, o devo ricorrere a questi metodi per sottometterti. >> sento il suo respiro sulla faccia e sorrido spavaldamente.

<< Non mi dovevi ripetere storia? – gli chiedo cambiando discorso, scivolando leggermente giù, per farlo finire con la testa sopra alla mia in modo da avere gli sguardi distanti. Lui alza la testa e poggia il mento sulla mia – Voglio fare un viaggio folle, illogico e paranormale. >> dico alzando le gambe e spingendolo via senza tanta forza.

Lui si allontana docilmente guardandomi impressionato e poi abbassa lo sguardo sulle mie gambe.

<< Attenta, qualcuno potrebbe guardarti sotto la gonna >> dice sorridendo furbamente e tornando a sedere vicino a me, prendendo il libro di storia.

<< E quella persona non sei tu, geloso Clifford? >>

Michael scoppia a ridere, aprendo il libro e andando alle pagine che aveva studiato, poi mi guarda inclinando la testa.

<< Beh, in effetti si, ma non flirtare con me, non ci puoi provare con il tuo maestro di seduzione dai… Troppo scontato. >>





Hello.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***





Metto il piatto nel lavandino e comincio ad avviarmi verso la porta della cucina andando a rintanarmi nella mia camera, per starmene beatamente a sentire la musica.

<< Seph. - mi chiama mio padre con tono autoritario e mi fermo, prima di aver oltrepassato la porta della cucina. – C’è qualcosa che vuoi dirci? >> mi chiede mentre la mamma mi guarda in apprensione, con le braccia conserte. Mi dondolo titubante, non capisco dove vogli andare a parare quindi alzo le spalle e scuoto leggermente la testa.

<< Oggi ho incontrato la tua professoressa di scienze… - inizia mamma e io abbasso le spalle. Cavolo, all’ultimo compito ho preso un brutto voto e l’ho nascosto ai miei. – Mi ha detto che all’ultimo compito hai preso una D. >>

Mi mordo il labbro alzando gli occhi al cielo, non dovevano scoprirlo, avrei recuperato e tutto sarebbe filato liscio. Che palle, adesso cominceranno una paternale sul fatto che devo andare bene a scuola, che ne va del mio futuro e bla bla bla.
Prediche che ho sempre evitato studiando, semplicemente perché odio dover stare in piedi, davanti ai miei genitori alterati, con il cervello in stand by per non sentire cosa dicono, tanto sono tutte cose inutili.

<< Perché non ce lo hai detto? >> mi chiede papà e io allargo le braccia.

<< Non volevo farvi preoccupare, quel giorno non mi sentivo bene e non sono riuscita a fare nulla. Lo avrei recuperato con un buon voto. >>

Spero di essere stata convincente e guardo i miei in attesa, la mamma ha ammorbidito lo sguardo ma papà no. Devo scaricarmeli di dosso, in un modo o nell’altro.

<< Ultimamente stai uscendo molto, spero che non rovini i tuoi voti. >>

<< Non molto più del solito! - ribatto piccata – E poi sto uscendo con quel ragazzo per le ripetizioni! Quindi alla fine è solo studio in più! >>

Papà mi guarda come se stessi cercando di prenderli in giro quindi io annuisco convincente. Naturalmente non gli posso dire che più della metà delle volte che esco con Michael oziamo tutto il tempo, facendo mascalzonate qua e là.

<< Va bene. – concede la mamma – Ma prometti che ti impegnerai e che riparerai il compito di scienze… Una D! >>

Evito di alzare gli occhi al cielo, “Una D!”, detto come se avessi contratto una rara malattia sessualmente trasmissibile. Ripeto qualche scusa e vani convincimenti in modo da poter scappare in camera. Quando i miei mi lasciano andare noto che papà non è ancora del tutto convinto, ma non mi frega niente.

Salgo velocemente le due rampe di scale per arrivare in camera e arrivata chiudo la porta. Ficco nel giradischi i miei Beatles e mentre la musica scoppia nella stanza vado a chiudere le persiane della finestra, dando un’occhiata al patio. Mi spoglio e mi infilo la mia adorata camicia da notte, bianca ed esageratamente morbida. 

Mi butto sul letto e prendo dal comodino il libretto di Amleto, che devo leggere per scuola. Lo odio, è troppo pesante per una a cui non piace la trama. Non riesco a sopportare i libri che non mi piacciono e ci metto un’eternità a leggerli; in generale mi pesa da morire il dover fare qualcosa che non mi piace. 

Da una parte Michael ha ragione nella sua dottrina anarchica: perché nella vita sono spesso costretto a fare ciò che non voglio e a non fare ciò che invece voglio? Anche per molte cose stupide siamo sotto il controllo di qualcuno e a lungo andare è non poco fastidioso.

Chiudo di botto il libro non riuscendo a leggere nemmeno mezza parola di ciò che dice quella cretina di Ophelia; lo lancio sul comodino, naturalmente non centrandolo, e mi alzo per far sputare il vinile allo giradischi. Mi butto non molto aggraziatamente sul letto e mi copro con il lenzuolo leggero. Tiro giù la gonna che è salita e mi giro verso il muro con lo specchio.




Mi sveglio di soprassalto, sentendo un rumore provenire dalla finestra. Lentamente rotolo nel letto allungandomi per accendere con una manata l’abatjour sul comodino e mi stropiccio piano gli occhi, per coprirmi dall’improvvisa luce. 

Un altro colpo secco rompe il silenzio e capisco che è qualcosa che è lanciato sul legno dell’imposta. Scivolo fuori dal letto e cammino con passo strascicato verso la finestra, aprendola. Proprio quando sto dischiudendo leggermente un’anta della persiana arriva verso di me un piccolo oggetto scuro e un sassolino entra, colpendomi su una spalla. Mi tiro indietro impaurita, poi mi riavvicino e mi sporgo un po’ dalla finestra per guardare il giardino.

Michael Clifford è nel mio giardino e ha in mano qualche sassolino del terreno che, vedendomi affacciata alla finestra, butta per terra. Alza un braccio e agita la mano sorridente e poi allarga le braccia, come per indicare il mio giardino.

<< Oh Phone, perché sei tu Phone? >> Alzo gli occhi al cielo, la dovrei dire io quella battuta essendo affacciata alla finestra.

<< Clifford che cavolo ci fai qui in piena notte? >> dico piano, cercando di farmi sentire e al contempo di non urlare. Michael si fa una risata e mi fa un gesto per dirmi di scendere ma io scuoto la testa.

<< Non ho sonno e non so che fare! Vienimi a fare compagnia! >>

<< Ma io ce l’ho! – ribatto prendendo dal pavimento il sassolino che aveva lanciato - E domani ho anche scuola, come te!
>> Gli lancio il sassolino e lui si raggomitola leggermente per coprirsi. Tanto l’ho mancato di più di tre metri.

<< Dai non succede nulla se un giorno arrivi a scuola un po’ stanca! >> cerca di convincermi ma io lo guardo scuotendo la testa.

<< E certo, tanto poi se mi addormento sul banco non mi dicono nulla i prof, vero? >> gli chiedo sarcasticamente e lui mi guarda malizioso.

<< Hai paura che con le occhiaie non piacerai più a quel cretino di Hemmings? >> mi fa l’occhiolino e io sbuffo scocciata, chiudendo prima le persiane e poi la finestra. Vado vicino al letto e afferro le scarpe, prendendo poi dal comodino un elastico per legarmi i capelli. Apro piano la porta e scendo le scale in punta di piedi, arrivata al piano terra mi infilo le scarpe e vado verso la cucina, apro la porta del retro e mi trovo nel giardino, con un Michael disteso sull’amaca.

<< Sapevo saresti venuta, appena ti tocco Hemmings scatti come una molla! – comincia tirando fuori dalla tasca una sigaretta e un fiammifero. Si accende la sigaretta e poi mi squadra dall’alto in basso – Bel pigiama, ti copre molto poco. >> Arrossisco fino alla punta dei piedi tirando giù la gonna per coprirmi le gambe ma rendendomi conto che sono scoperta anche sopra. Mi maledico e vado verso di lui, mordendomi il labbro inferiore.

<< Che cavolo fai qui alle tre di notte? – gli chiedo sbuffando e cominciando a raccogliere i capelli in una coda alta – Le persone normali dormono a quest’ora. >>

<< Io non sono normale, Phone, credevo l’avessi capito. E abbassa quelle braccia, quasi riesco a vederti le mutandine. – velocemente faccio un ultimo giro con l’elastico e abbasso le braccia, arrossendo – Non che mi dispiaccia ovvio. >>

Alzo gli occhi al cielo e con uno schiaffo lo faccio spostare per sedermi anche io sull’amaca, buttandomi all’indietro per puntare lo sguardo alle stelle. Michael mi segue a ruota e comincia a mettere in mostra le sue conoscenze su tre costellazioni che conosce. 

<< Sai quel compito di scienze di qualche giorno fa? >> lo interrompo distogliendolo dalle sue stelle. 

<< Quello sulle cellule, no? Abbiamo preso tutti e due una D. >> Michael ridacchia e io gli tiro un pugno leggero sulla pancia.

<< La mamma mi ha sgridato oggi! – esclamo e lui continua a sghignazzare. – E questo sai perché? Perché il giorno prima ero stata tutto il pomeriggio con te e non ho studiato nulla! >>

<< E quindi? >> mi chiede Michael e io sospiro.

<< Per quanto io voglia essere “ribelle”, fare le nostre sciocchezze e per quanto ami i momenti di libertà che ho con te, dobbiamo piantarla. - Michael si gira su un fianco facendo smuovere l’amaca e io mi tengo al tessuto per non cadere. – Devo impegnarmi nella scuola e lasciar perdere queste scemenze, anche se mi fanno divertire. >>

<< Sai cosa significa il tuo nome, Phone? >> alzo le braccia al cielo e lo guardo scocciata, non mi sta a sentire! 

<< Si lo so, ti ho raccontato di mio padre e della sua fissa. Persefone era una dea greca. Ma che centra ora? >>

<< Ma sai la sua storia? – mi chiede e gli faccio segno di no con la testa, lui si sistema e mette un braccio sotto il mio collo, che finisce per avere il suo bicipite come cuscino. Lo guardo leggermente incuriosita mentre lui mette in mostra le sue conoscenze – Era la figlia di Demetra e Zeus, e per la sua bellezza fu rapita da Ade che la voleva prendere come sposa, contro la sua volontà. >>

<< Come lo sai? >> gli chiedo interrompendolo.

<< Beh l’altro giorno quando ti aspettavo in biblioteca ho preso un libro random e si da il caso che era un libro con tutte le storie delle divinità greche e quindi, ovviamente, ho cercato Persefone. – ho un piccolo tuffo al cuore, ha cercato il mio nome… Scuoto impercettibilmente la testa, non posso essere felice per una cavolata del genere, avrà cercato tutti i nomi che gli venivano in testa, è ovvio che cerca anche il mio. Muove una mano per congedare il discorso – Ma comunque: lei viene rapita Da Ade che si era follemente innamorato di lei e alla fine scendendo a patti con Zeus fu deciso che avrebbe passato sei mesi sulla terra e sei mesi negli inferi. Persefone, però, si innamora di Ade, tanto che quasi preferisce i mesi di prigionia con il dio ai sei mesi di libertà. >> finisce di parlare e io lo guardo; vedendo che non aggiunge nulla gli do una spallata leggera.

<< Ah quindi mi stai dicendo che… - inizio e lui mi guarda in attesa – Tra i tuoi mille talenti, sai anche leggere? >> Michael mi da una leggera testata ma vedo che sta sorridendo.

<< Si cara, in ben diciott’anni ho imparato a leggere! >>

<< Morale della favola? >> gli chiedo.

 << Sii il tuo nome! - mi dice scuotendomi. Lo guardo interrogativa. – Ormai sei abituata e ti piace far “danni” con me. Quindi non ti dico di mollare per tornare per sempre sulla retta via, ma qualche volta scendi negli inferi. >> mi fa l’occhiolino e io scoppio a ridere, abbassando subito dopo il volume per non fare confusione.

<< Questa è veramente la cosa più ridicola che mi abbiano mai detto! - Michael ride sotto ai baffi e mi da una leggera testata. – Comunque te lo concedo, ormai sono così dipendente dalle cavolate che facciamo insieme che nonostante sappia che siano delle VERE cavolate, non riesco a fare a meno di adorarle. >>

<< Eh lo so dolcezza, faccio questo effetto a molte… >> 

Gli tiro un pugno sulla spalla e lui ride forte così gli metto una mano sulla bocca per zittirlo, lui mi guarda divertito e mi lecca, così tolgo di scatto la mano e me la pulisco sui suoi vestiti. 

<< Alzi la testa? – mi chiede poi agitando leggermente il braccio – Mi si sta fermando la circolazione, ho la mano in cancrena… >> Alzo la testa appoggiandola poi sull’amaca e lui leva il braccio e lo smuove per aria.

<< Non sai nemmeno che significa cancrena… >> mormoro e lui mi fa la linguaccia. Infila il braccio sotto le mie spalle e mi fa girare verso di lui, così finisco a pancia in giù, per metà sopra al suo corpo.

<< Phone, sei una brava ragazza e non ci posso fare nulla – dice e con una mano comincia a toccarmi i capelli – ma non voglio che la nostra amicizia finisca. Io sto bene quando sto con te. >> Alzo la testa appoggiando il mento sul suo petto e guardo i suoi occhi sinceri, sconsolata.

<< Sei sempre il mio studente di ripetizioni di storia… - sussurro e lui sorride fiero – Quindi sono costretta a vederti almeno una volta a settimana. >>

Michael sorride e mi punge con un dito nel fianco, facendomi piegare dal fastidio così gli do uno schiaffo sulla fronte e lui, fermando la mia mano prendendomi per il polso, riprende a giocare con i miei capelli. Ed eccola di nuovo, quella sensazione di essere una bambina alle prese con qualcuno più grande di lei, troppo maturo per poter essere alla sua altezza. Sconfortata ritorno ad appoggiare la testa sul suo torace, muovendomi a tempo del suo respiro calmo. Lui e questa situazione mi stanno rubando dalla mia solita vita normale, ma la parte peggiore è che a me va benissimo così.






Hello.
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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***







<< Per favore, mi passi il mascara per gli occhi? >> Lola mi da una gomitata e indica il sacchetto poggiato vicino a me.

Prendo dall’astuccio di Sophie la preziosa scatolina metallica rubata dalla trousse della sua mamma e gliela porgo, per poi mettermi a guardarla mentre colora di nero i suoi occhi, cercando di mischiare bene il colore con le sue ciglia scure e lunghe. Quando si ritiene soddisfatta si allontana dallo specchio e si ammira compiaciuta, ficcando il tappo della matita nel suo posto e mettendola nell’astuccio.

Sophie intanto si sta pettinando i capelli in una treccia francese e ogni tanto si ferma per far riposare le braccia. Io sto bighellonando seduta sul massiccio termosifone davanti alla finestra, guardando le mie amiche che si fanno belle. Siamo nel bagno e fra dieci minuti iniziano le lezioni così, prendendo i capelli e cominciando ad intrecciare una ciocca, penso alle materia che ho adesso. Matematica, con il mio amato prof Andersen. Mi piace molto come professore, è uno di quelli che riesce a farti piacere la sua materia e la matematica non mi è mai piaciuta così tanto.

Penso a Luke e Michael, con i quali ho la lezione, nel giro di una settimana ho recuperato la D di scienze e a casa è tornata la solita tranquillità, la mamma è contenta, papà è contento e siamo tutti contenti per la nostra contentezza. 

In più ho continuato a girare con Michael facendo danni. La settimana scorsa si era fissato con la carta igienica: abbiamo passato due pomeriggi a incartare motorini e biciclette alla bell’e meglio per poi nasconderci e vedere la reazione dei proprietari, che non hanno fatto nulla di più di ridere scuotendo la testa.

Sophie ha appena finito la treccia, che ha legato con un nastro, e ora sta dondolando le braccia lamentandosi del dolore. Lola la guarda e si scambiano complimenti sulle loro performance, per poi girarsi entrambe verso di me nello stesso momento. Mi sento osservata come se fossero in attesa di qualcosa da parte mia.

<< Complimenti, veramente.>> dico distratta e mimo un applauso lasciando cadere la ciocca di capelli che ho intrecciato. Lola in un attimo si infervora e con una falcata mi si avvicina, esaminandomi gli occhi.

<< Perché non metti un po’ di mascara, secondo me ti starebbe bene… >> afferra la scatolina dal sacchetto e mi si avvicina brandendo la spazzolina come un’arma. Chiudo gli occhi e me li copro con le mani.

<< No no no no no no… - comincio ma Lola mi leva una mano dalla faccia e io spalanco gli occhi – Perché, dimmi un solo motivo per cui io dovrei andare in giro con due occhi neri. >>

<< Perché ti stanno bene! >> esclama Sophie come se fosse una cosa ovvia e io la guardo socchiudendo gli occhi. “Dovresti stare dalla mia parte” sussurro e lei alza le spalle sorridendo. Lola mi si avvicina, strofina la spazzolina sulla polvere nera e impugnandola come un pennello, mi prende la testa e la appoggia alla finestra per poi guardarmi intensamente, studiandomi.

<< OK non ti muovere o ti cieco >> la guardo leggermente terrorizzata ma lei incurante mi tira in su la palpebra e comincia a strofinare le ciglia con la spazzolina. Mi immobilizzo per non essere trafitta e rimango con gli occhi spalancati, nonostante stia sentendo che mi si stanno seccando.

Quando ha finito, Lola si allontana e mi guarda sorridendo soddisfatta e noto Sophie che annuisce, così vado allo specchio e mi esamino chinandomi verso il vetro. Ho gli occhi contornati di nero, le ciglia sono diventate lunghe e scure e trovo che gli occhi siano più grandi di prima ma alla fine il risultato non è male, perché le ciglia scure rendono i miei occhi ancora più chiari.

<< Gli occhi mi sono diventati enormi! >> mi lamento e Lola fa un gesto con la mano per congedarmi.

<< Tanto hai comunque gli occhi grossi come delle palline da golf, anche senza trucco. >> dice perentoria e Sophie annuisce raggiante, per poi perdersi in un chiacchiericcio stupido con Lola su trucchi che non capirò mai.

Mi continuo a fissare allo specchio, guardando lo scuro delle ciglia che contrasta con i miei occhi chiari. La mamma mi ucciderà.





<< Oh mio Dio sembra che ti hanno dato un pugno in ogni occhio. >> 

Nemmeno faccio in tempo a sedermi che Michael ha già un commento pronto. Mi copro il più possibile con la frangia e mi siedo davanti a lui per non guardarlo direttamente.

<< Grazie mille, gentile come sempre. >> rispondo ironica e abbasso lo sguardo per non incontrare quello degli altri ragazzi in classe. Il prof è seduto alla scrivania e, chinato sul tavolo, sta scrivendo su un foglio con molto impegno e con un cipiglio serio. Alza un attimo la testa per controllare l’ora sull’orologio sopra alla porta e noto delle occhiaie così pesanti che si riescono a vedere bene anche da qui. Il professore mi guarda, così in imbarazzo distolgo subito lo sguardo.

Vado con lo sguardo verso la finestra ma vedo una mano che svolazza per l’aria e noto che il proprietario è Luke che mi sta salutando, così agito la mia mano per salutarlo, sorridendo come una scema. Lui si indica gli occhi e apre le mani, per are il gesto delle ciglia che sbattono e poi indica me, io alzo le spalle mimandogli un “Lola”. In risposta lui inclina la testa e alza i pollici. Sento un picchiettio sulla spalla e mi giro verso Michael, che mi ha chiamato, incontrando il suo sguardo divertito. 

<< Come mai questo tocco di sensualità oggi? >> chiede ridacchiando e io alzo gli occhi al cielo, rimettendo ancora una volta a posto la frangia.

<< Lola mi ha costretto, dice che “ci sto bene” >> la scimmiotto e Michael inclina la testa, esaminandomi gli occhi. Non reggo lo sguardo così vado a finire con gli occhi a Samuel Jenner che mi sta guardando stralunato, sicuramente anche lui non abituato ai miei occhi da panda.

<< Sei troppo strana, sembri più grande >> afferma e io mi giro alzando gli occhi al cielo. Il prof si alza in piedi e senza nemmeno salutare o fare l’appello scrive sulla lavagna formule strane, con accanto la loro definizione.

<< Buongiorno anche a lei >> esclama Michael a voce forse troppo alta, visto che il professore si gira di scatto e lo guarda stranito. 

<< Inutile augurarmi un buongiorno quando non lo è. - dice con gli occhi arrabbiati e poi, come preso da un attimo di sconforto, abbassa le spalle e si passa una mano tra i capelli sapientemente pettinati – Ma magari per voi lo è quindi… Buongiorno ragazzi. >>

Lo guardo stralunata per poi girarmi verso Luke che mi sta guardando interrogativo, leggo dal labiale cosa sta dicendo: “Chissà che gli è successo!”, così alzo le spalle in risposta, come per dire che neanche io so qualcosa. Lui mima con le mani lo sbattere degli occhi aprendo e  chiudendo le mani e io ridacchio.

<< Ma quanto ti piace Hemmings? - sento una sussurro da dietro e mi giro per guardare male il sussurratore dai capelli bianchi. – Oddio non mi guardare male che con questi occhi sembri ancora più malvagia di quanto già sei! >>





Un tonfo secco mi sveglia di soprassalto e lancio una sguardo alla finestra, per poi seppellire il mio viso nel cuscino, borbottando maledizioni. Ma Clifford non ha bisogno di dormire la notte? Mi alzo controvoglia, proprio quando un altro sassolino sbatte sul legno delle imposte, apro la finestra e guardo male il ragazzo nel mio giardino.

Michael alza una braccio in segno di saluto e indica l’amaca, così io gli chiudo la finestra in faccia. Stavolta mi infilo l’accappatoio per coprirmi, prendo le ciabatte e scendo silenziosamente, arrivando al giardino sul retro, dove trovo Michael stravaccato sull’amaca.

<< Tu hai dei seri problemi, se vuoi ti posso dare i sonniferi di mamma. >> dico incrociando le braccia mentre lui si tira su a sedere e ridacchia appena mi vede. 

<< Buonanotte Phone, perché hai l’accappatoio addosso? >> mi chiede amabilmente e io gli sorrido falsamente dandogli un colpa sul ginocchio per farlo spostare. Mi siedo sull’amaca, stropicciandomi gli occhi e mi rendo conto che avrò i capelli più spettinati di un leone. Alzo gli occhi al cielo, non tutte sono belle come Marylin la notte appena sveglie.

<< Allora, come va con il rimorchio? >> mi chiede Michael di punto in bianco e io lo guardo stralunata, per poi dargli uno schiaffo sulla testa.

<< Non dirmi che sei venuto qui, nel bel mezzo della notte, per chiedermi come va con i ragazzi? – gli chiedo e lui annuisce, facendo finta di ponderare la situazione – Tu hai seriamente bisogno di rivalutare le tue priorità. >> 

<< Che c’è, sono o non sono il tuo maestro? – mi chiede ridacchiando e io metto due dita sul polso, per fargli capire il grave problema dell’orario – Oh ma dai, di notte è tutto più poetico! >> 

Lo guardo scuotendo la testa e mi stendo sull’amaca, seguita da lui, e comincio a raccontargli di come un ragazzo di nome Rob dell’anno successivo al nostro mi stia sempre tampinando cercando di parlarmi e di come io gli do  buca ogni santa volta. 

<< Quello grossissimo, piazzato, con i capelli neri cortissimi? – annuisco e lui mi da una pacca appena sopra al ginocchio – Fa schifo e avrà un QI di appena 60. >>

Di punto in bianco si alza dall’amaca e mi porge le mani per farmi mettere in piedi. Mi posiziona davanti a lui e mi guarda con aria solenne.

<< Devo donare una cosa. >> proclama e io lo guardo divertita.

<< Tutto il tuo amore? >> gli chiedo e lui ridacchia.

<< Oltre a quello, che già hai – estrae dalla tasca del giacchino di jeans un involucro nero rettangolare e me lo porge – Da parte mia. >>

<< No guarda credevo da parte del vicino di casa… >> dico ironica e lui allarga le braccia ruotando gli occhi. 
Sogghigno e guardo il pacchetto nero non molto spesso e lo apro, per poi tirarne fuori un mascara per occhi nuovo fiammante. Lo osservo in trance, questo è il mio primo prodotto di make-up, così guardo interrogativa Michael e poi richiudo la scatolina mettendola nella confezione.

<< Mi piaci con le ciglia scure, fanno risaltare tantissimo i tuoi occhi chiari. - dice alzando le spalle – E poi dovevo ripagarti tutte le lezioni di storia. >> 

Lo guardo sorridendo grata e gli butto le braccia al collo stringendolo forte mentre lui mi circonda la vita con le braccia. Appoggio il mento sulla sua spalla non riuscendo a non sorridere, troppa è la felicità. 

<< Ma non eri te quello che diceva che sembravo avere due occhi pesti? >> gli chiedo rimanendo ancorata alle sue spalle e lui accenna una risata che io sento nel mio petto. 

<< Eri molto sexy con quel nero intorno agli occhi, farai strage di cuori con questa. >> sussurra lascivo e io ridacchio per poi dargli un colpo di petto e farlo allontanare da me. Guardo ancora una volta il pacchetto e poi alzo lo sguardo verso Michael.

<< Grazie per l’arma di seduzione! >> dico alzandola leggermente per aria e lui inclina la testa.

<< Ti serve in effetti. – gli do un pugno sul petto che lo smuove di ben mezzo millimetro e lui mi prende il polso per rimetterlo a posto vicino al mio fianco. Poi mi squadra e sposta leggermente un lembo del mio accapatoio – A meno che non porti sempre questo pigiamino che, a mio parere, ti dona non poco. >> 

Scuoto la testa esasperata e gli auguro una buonanotte, ringraziandolo ancora per il mascara; mi giro di centottanta gradi e comincio a camminare verso la porta di casa.

<< Non sculettare principessa. >>

Continuo a camminare coprendomi il sedere con le mani.








Hello. 

Scusate per le quasi due settimane di assenza ma non ho avuto il tempo materiale per essere mentalmente attiva e pronta a correggere gli errori, modificare qualcosa e pubblicare il capitolo.
Sono state le settimane più piene della storia della mia vita tra compiti e interrogazioni di ogni santissima materia, simulazioni di prove d'esame che sono sempre stressanti al punto giusto, allenamenti distruttivi, amici che decidono di compiere gli anni proprio ora e il pranzo dei 100 giorni che ha reso improduttivi due giorni della mia vita tra pranzo, festa e ricovero post-trauma. 
Spero che il capitolo vi piaccia, anche se è solo di passaggio e grazie a chi visita la mia stora, mi rendete un persona felice c:


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Baci.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 



Sono a casa e non so che fare. Sono le sei del pomeriggio e ho finito i compiti, mi sono lavata e asciugata i capelli, la mia camera è (stranamente) in ordine e ho anche lavato le cose che ho usato per fare merenda. Strisciando arrivo in bagno e apro il rubinetto per bere un po’ d’acqua. Asciugandomi guardo i cassetti sotto al lavandino… Nel terzo, dietro a tutti i rolli per capelli che la mamma non usa mai, ho nascosto il mascara che mi ha regalato Michael.

Istintivamente mi guardo a destra, verso la porta, per controllare che non ci sia nessuno, ma tanto i miei sono fuori, passano il pomeriggio e la sera con gli amici dell’università di papà. 

Prendo la scatolina e la apro attentamente, come fosse un tesoro, è la prima volta che la uso e non so come fare. Prendo la spazzolina rossa a setole nere e comincio a picchiettarla contro la striscia di polvere compatta, poi la batto leggermente sul bordo della scatola, come ha fatto Lola a scuola, per rimuovere gli eccessi. Poso la scatola sul lavandino e mi avvicino allo specchio, chinandomi.

Spalanco gli occhi e do una pennellata di nero sulle ciglia, sporcandole di scuro. Continuo a pettinarle attentamente, passando con la spazzolina su tutta la lunghezza delle ciglia, che sembra si stiano moltiplicando per quanto sono più nere, spesse e lunghe. Passo cinque minuti buoni a pettinare le ciglia e, presa dall’adrenalina del momento, colorando le ciglia inferiori mi sporco sulla zona delle mie amate occhiaie. Corro a prendere la carta igienica, la lecco e mi tolgo lo sporco dalla pelle, per poi allontanarmi e guardarmi. Il mio sguardo è molto più intenso e brillante mentre sbatto le ciglia in estasi, sembro anche più grande.

Ripongo velocemente la scatolina nel fondo del cassetto e saltello per casa guardandomi negli occhi ogni volta che incontro uno specchio. Mi è venuta voglia di andare in giro e far veder a tutti le mie nuove ciglia e per mostrare che anche io posso essere una bella ragazza e non solo la solita bambina cresciuta che impazzisce per un film dei Beatles.

Afferro il diario di scuola e mi dirigo in camera a passo svelto, mi butto sul letto e alzo la cornetta del telefono per comporre il numero di casa di Michael, scritto da lui con un penna nera nella prima pagina. Attendo la risposta e al terzo squillo risponde una voce maschile, per fortuna ha risposto Michael.

<< Michael? >> lo chiamo e dall’altra parte sento un mormorio.

<< Non sono Michael. – dice la voce e sbarro gli occhi – Sono Lee, suo cugino. Chi lo cerca? >> chiede sospettosamente il ragazzo.

<< Ehm… - la voce quasi si rompe così me la schiarisco – Sono Persephone, facciamo ripetizioni di storia insieme… >>

<< Oh… Tu sei la famosa Persephone. Te lo chiamo subito. >> mezzo secondo e sento “Miiiichael! C’è la tipa delle ripetizioni al telefono!” e qualche secondo dopo un’altra voce mi risponde.

<< Phone? – chiede e io gli rispondo di si – Hai fatto amicizia con mio cugino… >>

<< Si, gran tipo. >> 

<< No, meglio di no. Se ti serve uno pazzo della mia famiglia, narcisismo a parte, meglio se scegli me, te lo assicuro. >>

<< Proposta interessante ma stavolta passo, grazie. >>

<< Allora perché mi hai chiamato se non per dichiararti? >>

<< Ti volevo chiedere di uscire… - inizio titubante arricciando il filo del telefono tra le dita – Non so che fare e mi sto annoiando! >>

<< Devo controllare l’agenda… >> risponde Michael e alzo gli occhi al cielo.

<< OK ci vediamo alla panchina davanti scuola tra venti minuti. >>

<< Ma la mia agenda… >>

Chiudo la telefonata senza farlo rispondere per non prolungare le sue cavolate e vado in bagno per lavarmi. Mi tiro su i capelli in uno chignon alto e prendendo un elastico da un cassetto lo fermo, poi mi infilo una semplice camicetta bianca e una gonna rossa, di quelle che mi cuce la nonna. Già è abbastanza corta ma la tiro ancora un po’ più su, facendola arrivare al ginocchio. Queste cose le posso fare solo quando non ci sono i miei, penso tra me e me. 
Esco di casa e cammino velocemente verso scuola sbattendo gli occhi che si sono appesantiti leggermente dal mascara abbondante che ci ho messo. Trovo Michael già seduto sulla panchina, con una sigaretta appena accesa in mano; mi liscio la gonna sulle cosce prima di arrivare e piazzarmi davanti a lui. Mi guarda socchiudendo gli occhi, a causa del sole che lo abbaglia, e mi squadra da cima a piedi, per poi sorridere.

<< Oggi sei molto attraente, piccola Phone - dichiara e mi da una leggera pacca sul braccio destro per farmi spostare un po’ e coprirlo dal sole con la mia ombra. Il suo sguardo si distende e prende un lungo tiro dalla sua sigaretta. – A cosa devo il piacere di questa uscita? >>

<< Mi andava di uscire, i miei non sono a casa… >>

<< Questo spiega il trucco sugli occhi e i vestiti scandalosi! >> esclama e io mi metto a sedere sulla panchina borbottando che non sono scandalosi e ignorando che il sole  ritornato a battere sugli occhi di Michael che ora si sta lamentando. 
Chiacchieriamo del più e del meno, mi parla di quella ragazzina con cui era uscito e del fatto che cerca sempre di parlargli e gli sta sempre addosso ma lui non se la fila per nulla. “Noiosa, per nulla interessante” dice e per qualche strano motivo mi sento sollevata. Non so perché ma sono gelosa della mia amicizia con lui, già mi darebbe fastidio condividerlo con Lola, per esempio, figuriamoci con una ragazzina dalla voce assurdamente fastidiosa.

<< Preferisco altre compagnie, decisamente. - finisce il discorso guardandomi sorridendo – Ti sei messa il mio mascara! >> esclama dolcemente e io sbatto gli occhi in modo esagerato per fare la cretina.

<< Per questo volevo uscire, per farlo vedere al mondo! >>

Michael scuote la testa e si alza in piedi buttando la sigaretta appena finita per terra; lo guardo male e allora lui sbuffando la raccoglie da terra e la getta nel cestino proprio accanto alla nostra panchina. Tendo un braccio e mi lascio alzare in piedi da Michael e prendiamo a camminare sorpassando il mio amato negozio di dischi, osservando la copertina di “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” dei Beatles nella vetrina e incamminandoci per le vie di Sydney.

Stranamente non mi porta a fare nessun danno, per oggi pomeriggio tutte le biciclette di bambini e tutti i campanelli delle porte sono salvi. Camminiamo parlando degli argomenti più disparati e addirittura Michael mi offre un gelato quando passiamo davanti ad un chiosco. Ci sediamo su una panchina di un viale, all’ombra dei grandi alberi.

<< Ti sei sporcato! >> Ridacchiando prendo un fazzoletto dalla borsa e pulisco il naso di Michael sporco di gelato al cioccolato.

<< Tu anche ti sei sporcata. – dichiara Michael socchiudendo gli occhi, dopo aver finito il suo gelato – Sulle labbra, posso baciarti per pulirti.>> Spalanco gli occhi e ridacchiando gli do una manata sulla spalla, per poi pulirmi con lo stesso fazzoletto con cui ho pulito lui. 

<< Ora che hai il trucco addosso quando spalanchi gli occhi sembra che al posto loro hai due palle di vetro enormi! >> Gli do un’altra manata urlandogli di non prendermi in giro per i miei occhi a palla.

Noto dall’altra parte del viale un negozio di vestiti e mi alzo per andare alla vetrina a vedere i bellissimi maglioni che hanno addosso i manichini. Michael mi segue e mi chiede se mi piace la vetrina, annuendo entro nel negozio seguita a ruota da lui. La stanza è molto grande e ci accoglie una signora sui sessanta con degli occhiali spessissimi che le rendono gli occhi scuri enormi. Non so come, data la sua vista, sta cucendo un tessuto color giallo pipì.

Sorridendole cammino verso i vestiti appesi per esaminarli, prendo in mano un golf celeste chiaro con i bottoni in madreperla ma Michael appoggia una mano sulla mia e scuotendo la testa la spinge verso il posto dove era il golf. Lo metto a posto riluttante e girandomi mi ritrovo a venti centimetri dal viso un vestito blu scuro con degli enormi pois bianchi. Michael me lo butta sulla spalla e mi guarda annuendomi. Il vestito è molto bello, senza maniche ed a tubino, con la gonna che finisce con un nastro bianco.

<< Sai la mamma cosa mi farebbe se mi vedesse con questo? >> mimo il taglio della gola e cerco il posto dove era il vestito per metterlo a posto.

<< Dai provalo soltanto! - mi implora Michael spingendo verso di me il vestito – Solo per farmi vedere come ti sta. >> 

Alzo gli occhi al cielo, il vestito è bellissimo, ma sicuramente lo metterò e poi vorrò comprarlo, quindi non voglio provarlo. Michael mi guarda supplicandomi e abbasso le spalle sconfitta. Mi avvio verso l’unico camerino alla fine della grande stanza e appioppo la borsa a Michael prima di entrare nel piccolo camerino e chiudere la tendina. Mi tiro giù la gonna e appena levo la maglia sento un colpo di tosse provenire da fuori.

<< Scelta interessante quella della tenda semitrasparente combinata a una lampada puntata su chi si spoglia… >> sbarro gli occhi e mi copro leggermente con le mani guardando male la luce in alto puntata su di me mentre sento una risatina proveniente dal disgraziato fuori dal camerino. Sbuffando mi infilo velocemente il vestito allacciando i grandi bottoni al lato ed esco dal camerino per guardarmi allo specchio. 

Michael mi guarda e sussurra un fischio per non farsi sentire, così mi guardo allo specchio un po’ insicura. Mi sta bene e scende perfettamente per tutta la sua lunghezza, peccato che ce ne sia poca di lunghezza. Mi arriva poco più giù di metà coscia, se mamma mi vedesse con un vestito del genere mi farebbe restare a casa a vita.

<< Sei una favola Phone – dice Michael prendendomi una mano e facendomi avvicinare verso di lui – Secondo me dovresti comprarlo >>

<< I miei mi ucciderebbero se mi vedessero con un vestito del genere… >> dico guardandomi sconsolata allo specchio; Michael mi prende sottobraccio e ci guarda riflessi.

<< Pensa che belli, io e te al ballo insieme e tu con questo vestito, ucciderebbero tutti per averti! – lo guardo stralunata, al ballo insieme? Lui se ne accorge e piega la testa – Sempre se vuoi venire con me… >> 

Scuoto la testa ridacchiando per nascondere l’imbarazzo e mi avvicino al camerino, evitando di rispondergli. Mi infilo dentro e mi rimetto i miei vestiti per poi uscire e posare l’abito su un tavolo. Prendo la borsa dalla spalla di Michael e continuo a girare per il negozio, osservando svogliatamente. La signora che stava cucendo mi viene incontro e io le sorrido gentilmente mentre mi chiede se avevo trovato qualcosa che mi piacesse. Le dico del vestito che era bellissimo ma non potevo comprare.

<< Troppo corto, la mamma mi ucciderebbe. >> le spiego.

<< I tempi stanno cambiando signorina e le gambe vanno scoperte! >> mi dice sorridendo e facendomi un enorme occhiolino prima di entrare in una porta che probabilmente porta al magazzino. La guardo scocciata e scuoto la testa, cominciando a camminare per cercare Michael.

Faccio un giro della stanza e dentro al negozio non lo trovo, per un millesimo di secondo ho paura. Esco dal negozio urlando un arrivederci che non viene ricambiato e finisco nella strada popolata da poche persone. Mi guardo intorno ma di Michael non c’è traccia. Mi riprende un po’ di paura così cammino verso destra, per vedere se si è nascosto nella via perpendicolare che comincia a dieci metri dal negozio. 

Non faccio in tempo ad affacciarmi nella strada che una mano afferra la mia e mi trascina in una corsa lungo la strada. Riconosco i capelli e la giacca di pelle di Michael e mi tranquillizzo un po’ mentre corriamo. Il tempo di percorrere cento metri e arriviamo alla fine della via, svoltiamo a sinistra e poi ci fermiamo. Michael si appoggia al muro e io lo guardo frastornata e ansimante.

<< Questa corsa perché? - chiedo e lui alza un braccio. Stretto nella sua mano ha il vestito che avevo provato nel negozio. Sbarro gli occhi e afferro l’abito. – Hai appena rubato un ves…  >>

Michael mi tappa la bocca e sussurra uno “shh” guardandosi intorno, gli levo la mano dalla mia bocca e lui sorride furbescamente. 

<< Ti stava troppo bene, sarebbe stato un reato il non fartelo mettere. >> dice candidamente alzando le spalle. Tiro su il vestito guardandolo e ripensando a quanto è bello, lo abbasso e guardo Michael corrucciata. Riportarlo indietro è improponibile, io morirei di vergogna e lui non lo farebbe mai, ma dove lo metto?

<< E adesso cosa ci faccio io con questo? >> gli chiedo esasperata alzando il vestito, lui lo prende e me lo appoggia sopra per vedere come mi sta.

<< Te lo metti al ballo con me, ovvio >> arrossisco lievemente, ancora con il ballo… Prendo il vestito e lo piego morbidamente per metterlo in borsa ringraziando il cielo che ne ho preso una grossa oggi. 

Michael mi guarda sorridendo con un velo di imbarazzo e guarda verso la sua destra tenendo le braccia incollate ai suoi fianchi. In un impeto di gioia per il nuovo vestito gli butto le braccia al collo e lo abbraccio stritolandolo. Le sue mani, partendo dalle gambe, mi percorrono verticalmente, sollevandomi leggermente la gonna, fino ad avvolgermi, stringendomi in vita, tanto forte da quasi sollevarmi da terra.

Appoggio il mento sull’incavo tra il collo e la spalla e lui avvicina la sua testa alla mia, mentre con la mano mi da piccole carezze sulla schiena. L’abbraccio dura un tempo che mi sembra infinito, o forse è solo una mia impressione, ma ad un certo punto cominciamo a scioglierci. 

<< Grazie infinitamente del vestito. >> gli sussurro prima di sfilare completamente le mie braccia dal suo collo. 

<< Non l’ho nemmeno pagato! >> esclama lui alzando le spalle con un sorriso stampato sul viso. Cominciamo a camminare lentamente nella direzione opposta al negozio, in silenzio. Cerco di non guardarlo negli occhi puntando lo sguardo altrove.
<< Mi piacerebbe molto venire al ballo con te… >> butto lì sempre evitando il suo sguardo. Sento che smette di camminare e mi giro per guardarlo. Sta sorridendo e allarga le braccia. Fa due passi verso di me e mi prende la vita con le mani, sollevandomi e facendo un giro su se stesso. Quando mi posa scoppio a ridere mentre lui mi indica.

<< Sapevo che non potevi resistermi! >>









Hello.

Scusate per il ritardo, di nuovo, è che sono stati dei giorni pieni tra Pasqua, Pasquetta, ritorno a scuola e amiche che si mettono con il ragazzo che ti piaceva e ora non sai più che provi. 
Distruzione mentale a parte, spero che il capitolo vi piaccia. E che la vostra vita vi piaccia. Peace and love.

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Baci.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***



Mi butto pesantemente sulla sedia nell’aula di matematica lasciando lo zaino sul banco e mi giro verso Luke, alla mia destra, che sta facendo finta di suonare il piano sul bordo del banco, picchiettando con le dita i finti tasti sulla superficie. Lo guardo per un po’ mentre lui fa finta di non avermi visto e sorride continuando a suonare. Dopo l’ultima emozionante scarica di note finisce di suonare con un’espressione tragica mentre punta lo sguardo verso un punto indefinito davanti a se. Si gira poi verso di me ed io mi mostro colpita, annuendo. 

<< Come butta amica? >> mi chiede esaltato come il solito e ci buttiamo nei nostri racconti stupidi di come stiamo passando le giornate. Mi dice che suona spesso alla chitarra e che canta anche così gli faccio promettere che un giorno mi avrebbe fatto sentire qualcosa, magari i Beatles o i The Beach Boys. Lo vedo a suonare la chitarra, un cantante, con le sue magliette a righe, i soliti blue jeans e l’aria da svampito, nonostante sia il tipo sempre al posto giusto. Glielo dico e quasi si commuove.

Entra il prof Andersen con i soliti capelli spettinati ad arte e la solita aria da James Dean; riesco quasi a sentire un velo di sospiri alla sua entrata. Ha una camicia nera e dei pantaloni grigi ma la cosa peggiore sono gli occhi: sono pesantemente cerchiati da occhiaie scurissime che lo fanno sembrare un vampiro dei racconti. È stanco, si vede, ma penso sia anche triste; sussurra un “Buongiorno” e si china sul registro per poi alzare la testa e controllare gli assenti, appuntandoli con la penna sulla carta.

Si alza in piedi e sfoglia un libro per poi scrivere sulla lavagna il titolo della lezione e sotto una definizione, comincia a parlare con voce monocorde, guardandoci con i suoi piccoli occhi stanchi. Guardo Luke che a sua volta mi sta guardando e ci scambiamo degli sguardi apprensivi.

<< Sembra che non dorma da giorni… >> mi sussurra ed io alzo le spalle in risposta. Apro svogliatamente il quaderno impugnando la penna e comincio a prendere appunti. Nemmeno me ne accorgo quando bussano alla porta.

<< Avanti. - dice il prof così alzo la testa per vedere Michael che entra nella stanza mormorando un buongiorno – Clifford la lezione è iniziata da cinque minuti buoni. >>

<< Lo so prof, ho un orologio. – alza il polso per farlo vedere – Mi scusi per il ritardo, posso sedermi? >> dice sfacciato ma educato, il prof gli indica i banchi e Michael percorre la stanza fino a sedersi dietro a me. Mi giro verso di lui per sussurrargli un ciao e lui sorridendomi alza le sopracciglia in un guizzo. Guarda poi vicino a me verso Luke, che sta scrivendo sul quaderno con un pezzo di lingua di fuori, e alza gli occhi al cielo. Lo guardo male e faccio per girarmi ma lui mi ferma posandomi una mano sulla spalla.

<< Scommettiamo su quante ore ha dormito il prof, io dico tre. >> mi sussurra ed io mi giro a guardare il prof, poi mi rivolgo a Michael.

<< Per me è stato a letto per ore, o non riuscendo ad addormentarsi o con un sonno pieno d’incubi. Sembra stravolto. >>

<< Idea interessante… ma io penso abbia avuto un sonno corto e intenso. >> mormora pensante ed io mi giro per scrivere le nuove cose che il prof sta già cancellando dalla lavagna.

<< Un attimo prof, non ho scritto la formula in basso a destra! >> esclamo alzando la mano. Lui si gira verso di me, infastidito.

<< Se la smettesse di chiacchierare amabilmente con il suo collega Clifford, magari avrebbe scritto la formula. >> mi dice gravemente fissando me e Michael con uno sguardo cupo, poi si gira di nuovo alla lavagna e scrive la formula che mi manca.

<< È colpa mia professore. >> dice Michael ed io mi giro verso di lui, per trovarlo con un’espressione seria che fissa il prof.

<< Non m’importa di chi è la colpa, state in silenzio e prestate attenzione alla lezione, io sono qui per voi quando vorrei essere da tutt’altra parte quindi imparate anche voi a tollerare qualcosa che non vi piace. >> 

Lo guardiamo tutti leggermente sbalorditi ed io mi mordo il labbro inferiore, in imbarazzo così impugno la penna e scrivo la formula che il prof ha velocemente riscritto alla lavagna. La classe è avvolta in un silenzio tombale e si sentono nettamente i colpetti del gesso sulla lavagna. Mi giro verso Luke che sta scrivendo sul quaderno ignorandomi e poi ritorno al mio foglio, mettendo un punto a una frase che avevo finito di scrivere.

Ancora leggermente sbigottita dalla reazione del professore sento la spiegazione con cui lui, stancamente e con non pochi sospiri, ci sta aprendo le porte del favoloso mondo dei numeri complessi. Improvvisamente sento un picchiettio sulla spalla destra e una mano mi solleva i capelli e infila un bigliettino nella treccia, per poi posarla sulla mia spalla. Mi porto i capelli davanti e prendo il rotolino di carta infilato tra le ciocche, aprendolo.



“che ci scommettiamo? su quante ore ha dormito il prof…”



Alzo gli occhi al cielo e prendo la penna che avevo posato sul quaderno, scrivo alcune cose che il prof ha scritto sulla lavagna prima che le cancelli, e poi rispondo a Michael.



“Se vinco mi compri un rossetto. Rosso.”



Arrotolo finemente la carta e la infilo nei capelli, per poi buttare all’indietro la mia treccia. Sento i capelli tirarmi leggermente, una risatina e poco dopo ancora delle leggere tirate alla mia chioma. Stesso processo di prima, prendo il bigliettino e lo scarto furtivamente.



“se vinco io, mi dai un bacio.”



“OK, un bacio sulla guancia. Accetto.”



Michael sbuffa e risponde velocemente, stavolta tirandomi un po’ di più i capelli, come un bambino dispettoso.



“sulla guancia te lo do quando mi pare e piace… io se vinco te lo do sulle labbra colorate di rossetto.”



Sorrido involontariamente nel leggere la risposta, così arriccio le labbra per non farmi notare e aggrotto le sopracciglia per assumere un’espressione seria. Gioco con la penna per pensare a cosa rispondere. Tirandomi indietro sullo schienale della sedia sento il respiro di Michael vicino alla mia testa, così, controllando che il prof sia ancora girato, ammollo una manata sulla sua testa e subito dopo mi allungo velocemente sul mio banco. Sento un “Cattiva!” sussurrato dietro di me.



“Ehm, se vinci te vuol dire che il rossetto non me lo regali… Dormi ancora un po’ Clifford!”



Lo immagino sorridere buttando indietro la testa, come fa sempre quando gli faccio notare che ha torto. Stavolta il bigliettino me lo tira sul banco, prepotentemente. Spalanco gli occhi controllando il prof, che per fortuna è girato verso la lavagna. 



 “touché.”










Esco da scuola e saluto Meredith, che prende la sua bici e pedala verso la strada di casa. Allungo il collo verso la massa di studenti che sta affluendo verso il cancello per vedere se tra le varie teste c’è quella di Lola. Non vedo da nessuna parte il nastro rosso che aveva in testa stamattina così sconsolata anch’io mi incammino pigramente verso il cancello. 
Mi abbasso la gonna a quadri che avevo leggermente alzato per andare a scuola, non penso che i miei siano già a casa ma comunque mi rimetto a posto come loro vorrebbero, lisciandomi la maglietta a maniche corta sopra la gonna.
Giro l’angolo della strada e trovo, seduto sul muro a mattoni rossi, un Michael selvaggio che si sta fumando una sigaretta, con il viso rivolto al sole e con gli occhi chiusi. Il più silenziosamente possibile mi avvicino a lui e quasi attaccandomi al suo orecchio soffio leggermente. Lui fa quasi un balzo dallo spavento e poi mi guarda male, mettendosi una mano sul cuore. Rido di gusto nel guardare i suoi occhioni spalancati e lui mi da una spinta sulla vita per farmi allontanare mentre io rido in maniera ridicola in preda agli spasmi.

<< Che cosa ho fatto per meritarmi questo? >> chiede ed io non riesco a rispondergli per quanto sto ridendo. Provo a prendere aria per parlare ma è tutta usata per le mie risate, così lui incrocia le braccia, aspettando. Quando finisco di ridere, lo guardo tenendomi le guance doloranti e lui alza gli occhi al cielo, sorridendo e scuotendo la testa.

<< Scusa, ma sembravi una lucertola al sole. >> dico e gli faccio un’imitazione chiudendo gli occhi e girandomi verso il sole con un’espressione serena. Michael mi pizzica un fianco ed io gli faccio una linguaccia.

<< Come sei stata fortunata a incontrarmi, un’altra volta solo tu ed io, non ti senti al settimo cielo? >> mi chiede ed io scuoto la testa. 

<< Che facciamo? - gli chiedo ignorandolo – A me va di fare una passeggiata con questo bel tempo. >>

<< E siccome io sono un padrone magnanimo, ti accontento. >> 

Mentre io lo guardo eloquentemente, lui sorridendo prende la sua tracolla per terra e se la butta in spalla. Mi chiede se possiamo andare a scuola, deve giustificare delle assenze e approfitta del pomeriggio, visto che non abbiamo nient’altro da fare. Ripercorrendo la strada per scuola riparliamo della scommessa scherzando sul rossetto che mi farà diventare una donna adulta. 

Michael giustifica le sue assenze, avvalendosi dei suoi diciotto anni, scarabocchiando firme qua e la con una pessima grafia. Non sembra ci sia scritto Michael Clifford, così battibecchiamo su questo sostenendo ognuno la cosa opposta all’altro, come il solito. 

Finiamo quasi per urlare quando, ormai quasi fuori scuola, troviamo il prof ala segreteria che sta firmando dei fogli. Michael ed io lo salutiamo gentilmente e lui invece di ricambiare alza la testa e ci guarda intensamente, con tristezza.

<< Sto firmando dei moduli per il licenziamento. >> ci dice senza preavviso.

<< Cosa? – quasi urla Michael andando verso di lui – Non può farlo! >>

Il prof lancia uno sguardo ai moduli alzando le sopracciglia come per dire che sì, poteva farlo eccome e Michael si arrabbia ancora di più. Va verso di lui e prende i fogli, buttandoli per terra e spargendoli tutti, mentre il prof lo guarda inespressivo.
<< Sai che questa non è l’atteggiamento più maturo del caso, vero Michael?>>

<< E che mi frega? – ribatte lui sfidandolo – Non se ne può andare, non può. Ormai noi le vogliamo bene. >>

Il professore si passa una mano nei capelli, guardando a terra. Si china e raccoglie i fogli caduti a terra, raggruppandoli e posandoli sul bancone della segreteria, guardano la segretaria in modo eloquente. Mette una mano sulla spalla di Michael facendoci cenno di uscire fuori e si va a sedere sotto al salice all’entrata della scuola, mentre noi rimaniamo in piedi davanti a lui. 

<< Sono successe delle cose ultimamente – comincia il professore evitando i nostri sguardi – che mi impediscono di continuare questo lavoro. Mi dispiace lasciarvi ma proprio non ce la faccio più, ogni giorno è una lotta con me stesso per venire qui e alla fine, io non sto bene. >>

Michael lo guarda scrutandolo ed io mi sento in difficoltà.

<< Che è successo? >> quasi sussurro così lui mi guarda intensamente e si passa una mano nei capelli. 

<< Ero sposato, anzi, sono sposato con una donna che amo alla follia, ma ci siamo lasciati. Lei era incinta ed eravamo al colmo della felicità ma un anno e mezzo fa ha avuto un aborto spontaneo. È stato doloroso come non mai per tutti e due ma ci siamo detti di riprovare, che non sarebbe risuccesso. Ma di nuovo, un mese fa, ha riavuto un aborto. È entrata in depressione, mi incolpava che non stavo abbastanza con lei per la scuola, mi incolpava di tutto in realtà, e a un certo punto ha deciso di lasciarmi, ha detto che era meglio così per entrambi. – il professore smette di parlare, non sta piangendo ma gli s’incrina la voce. Fa un respiro e riprende. – Non è meglio per entrambi, e lei lo sa, ma non vuole fare nulla. È tornata dalla madre ed io vivo da solo e… Sinceramente ragazzi, sono sfinito, non ce la faccio più. Siamo in una delle città più grandi del mondo ed io sto soffrendo di claustrofobia. Per questo ho deciso di lasciarvi e andare via da Sydney. Forse è veramente meglio così, forse nemmeno mi ama e forse non troverò mai nessuno, lei è stata l’unica. Ma magari riflettendoci, non era fatta per me. Non lasci chi ami, giusto? E fino ad adesso mi hanno lasciato tutti. >> il professore guarda alla sua destra e mette le mani sulle ginocchia. 

Michael è vicino a me e deglutisce, ha una faccia contrita e amareggiata, così gli prendo la mano e lui la stringe forte, quasi a fermarmi il sangue. Va verso il prof e si siede vicino a lui mentre io rimango in piedi accanto a Michael.

<< Prof se mi permette, non sono per niente sorpreso che lei sia rimasto single. >>

<< Oh grazie Michael, tu sì che sai aiutare la gente. >> il prof alza lo sguardo verso di lui e Michael si passa una mano nei capelli.

<< No prof, non la prenda nel verso sbagliato, mi faccia spiegare. Sono convinto che molte persone non riescono a stare con lei perché lei sa bene chi è, sa bene cosa vuole fare e lo sta facendo. I suoi occhi brillano quando parla delle sue passioni, come il primo giorno di scuola, quando ci ha fatto quel discorso sull’amore per la matematica, e in più lei non ha paura di andare contro tutto e tutti per essere ciò che vuole essere. Con la sua energia nella vita lei intimorisce la gente perché non riesce a starle dietro, ed ecco perché è single. >>

Io e il professore guardiamo Michael, uno più stralunato dell’altro, ma vedo negli occhi del prof la gratitudine per le parole di Michael. Accenna un sorriso e mette una mano sulla sua spalla mentre lo guarda riconoscente. Ancora una volta mi sento una bimba al confronto, con poche parole è riuscito a trovare il nocciolo della questione e a calmare un adulto, un professore.

<< Questo non mi conforta molto, insomma il mio destino è rimanere solo a vita. >> dice il prof con un velo di tristezza.

<< Ovvio che no! - ribatte Michael - Dovrà solo aspettare la persona che amerà com’è, che amerà i suoi occhi che si
illuminano quando parla di quello schifo di logaritmi e che amerà ancora di più semplicemente lei stesso. >> finisce di parlare e mi lancia uno sguardo strano, impenetrabile.

Una volta ha fatto anche a me un discorso del genere, all’alba e con tre capitoli di storia da ripetere. Mi da una stretta alla mano e io distolgo lo sguardo da lui puntandolo sul prof, sta cercando di dirmi qualcosa o sono i miei soliti film mentali?

<< Ma naturalmente – riprende scoccandomi un’altra occhiata che vedo con la coda dell’occhio - deve essere abbastanza sveglio da capire che questa persona esiste… E magari è a due passi da lei. >>







Hello.

Non so che scrivere hahaeh è che vorrei salutare o comunque parlare di qualcosa ma sono timida e insicura c:
Vabbè lasciamo perdere, spero che il capitolo vi piaccia c:

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Baci.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***






 
<< Ehi Seph! >> 

Sento una voce familiare che mi chiama e mi giro per trovare davanti a me Calum che sta allungando il passo verso di me. Mi da un (inaspettato) bacio sulla guancia e fa un lungo respiro, per compensare al suo fiatone. Lo guardo scrutandolo, non siamo mai stati così amici da chiamarci per soprannome, anche se in pratica tutti mi chiamano così.

<< Mi cercavi? >> gli chiedo sorridendo e lui s’illumina.

<< Ti ricordi quella lezione di chimica sulle soluzioni, i solventi e quelle altre schifezze? – mi chiede ed io annuisco – Ho visto che eri brava a fare i problemi quindi mi chiedevo se mi potevi aiutare perché io non ci ho capito nulla! >>

In realtà, ad essere sinceri, tutta quella roba che reputo disgustosa me l’aveva spiegata Meredith, la piccola chimica del gruppo. Abbiamo passato un pomeriggio a casa sua tra soluti e solventi e sono riuscita a capirci un po’ e a saper fare dei problemi. Lo spiego a Calum, che rimane leggermene deluso.

<< Oh non fa nulla allora… >> dice mettendosi una mano dietro la testa mettendo involontariamente in mostra i bei muscoli delle braccia lasciati scoperti dalla sua maglietta blu scuro. Distolgo lo sguardo per non sembrare una pazza e lo punto sul corridoio trovando Meredith, proprio davanti a me, che sta mettendo delle cose nel suo armadietto.

<< Vieni con me – dico a Calum, facendogli cenno di seguirmi, e vado verso Meredith che ci guarda notando che stiamo andando da lei – Ciao Dith! >> la saluto baciandola. Calum rimane leggermente indietro così lo guardo e lui fa un passo verso di noi. 

<< Da quanto ho capito, Calum è peggio di me a chimica e gli servirebbero delle ripetizioni da una come te. – le spiego indicandola con la mano – Potresti fargli un corso accelerato come hai fatto con me? >> 

Meredith guarda timidamente Calum che si è tirato un po’ indietro e tiene le mani in tasca, guardandola timoroso di sottecchi. Se non ci fossi io tra di loro, timidi come sono, non si rivolgerebbero mai parola. Piego la testa, aspettando una risposta da Meredith, che alza le spalle e annuisce.

<< Penso che per me vada bene >> quasi sussurra ed io batto le mani.

<< Perfetto! >> esclamo guardando i due ragazzi. Calum sembra molto sollevato e in un sospiro abbassa le spalle.

<< Grazie mille, chimica è l’unica materia che proprio non mi entra in testa. Ho una repulsione verso tutto ciò che ci ha a che fare. >> spiega Calum gesticolando con una mano e Meredith sorride divertita. 

<< Tranquillo, se sono riuscita a spiegarla a lei – replica Meredith indicandomi – posso spiegarla a chiunque. >> Annuisco approvando ciò che ha detto e ridacchiamo tutti e tre. Calum alza le mani chiamando la nostra attenzione.

<< Seriamente, io ti avverto, ho una capacità di apprendimento decisamente scarsa, dovrai lavorare duro con me. >> 

<< Farò del mio meglio, al massimo ti insegnerò come copiare. >> replica Meredith ed io mi sento un po’ estranea da loro, come se ci fosse un piccolo mondo fatto di ripetizioni e timidezza che i due hanno creato in un secondo e mezzo. Involontariamente faccio un piccolo passo indietro mentre Calum guarda Meredith sconvolto.

<< Io sono il mago della copiatura, so copiare con i bigliettini, con i suggerimenti, dai fogli degli altri, un mago! >>

 Io e Meredith ridacchiamo e io mi congedo subito blaterando dei miei libri pesanti e del mio armadietto e girandomi poco dopo vedo che i due si stanno scambiando i numeri e si salutano. Vado verso il mio armadietto per posare il libro enorme di storia dell’arte e guardo le due foto che ho attaccato nel lato interno dello sportello. In una ci siamo noi ragazze sul muretto di scuola che ridiamo e in un’altra ci siamo io  Michael, scattata da lui, mentre facciamo delle smorfie verso l’obiettivo.
Chiudo l’armadietto con un colpo secco e mi incammino svogliatamente verso letteratura inglese ma per strada incontro Lola. 

<< Ehi! >> ci salutiamo e andiamo verso la stanza della nostra lezione chiacchierando.

<< Prima ho visto Dith con Calum… >> butta lì Lola e sento una punta di gelosia nella sua voce. La guardo ma lei fissa le persone che ci camminano incontro così mi viene da sorridere.

<< Sei gelosa? – le do una gomitata su una fianco ma lei mi guarda schifata – Stavano solo mettendosi d’accordo per delle ripetizioni di chimica. >>.

<< E tu che ne sai? >> mi chiede sospettosa. 

<< Calum mi ha chiesto se gliele potevo fare io ma sai quanto faccio schifo a chimica così ho chiesto a Dith se lo poteva aiutare lei. >> spiego gesticolando e Lola mi fissa con la bocca aperta.

<< Li hai fatti conoscere te? >> dice con una voce stridula al limite del sopportabile. 

<< Ma si conoscevano da prima… – mormoro – Ti da fastidio? >> le chiedo leggermente intimorita da ciò che può rispondere.

<< A ME? Nooo – replica ironicamente con un’aria furente -  è solo che la mia migliore amica ha combinato degli appuntamenti ad un’altra mia amica con il ragazzo che mi piace dall’asilo! >> sbraita acidamente Lola e la guardo sconvolta. Non capisco perché deve comportarsi così, sono solo delle ripetizioni. 

<< Studiano insieme, mica si baciano, Lol. E poi Calum nemmeno ti piace seriamente, è soltanto molto figo. >> replico piccata ricominciando a camminare verso la classe ma notando che Lola non mi segue mi giro verso di lei. 

<< Pensavo che mi capissi, che fossi mia amica. >> sputa camminandomi oltre e io la guardo allargando involontariamente un braccio. Scuoto la testa, tra il divertito per la sua infantilità e tra l’offeso perché lei non pensa che io sia sua amica. Per un attimo sono persa e non so che fare con lei; guardo i pochi ragazzi rimasti nel corridoio che si sono dimezzati in due minuti, entrati tutti in classe. Scuoto la testa un’altra volta incamminandomi verso la classe.

Inaspettatamente da dietro una mano mi copre la bocca e un braccio mi stringe dalle spalle appiccicandomi ad un copro. L’urlo che parte di riflesso viene attutito dalla mano e dopo pochi secondi sento una risata dietro di me. Levo da davanti la bocca la mano, che si leva senza opposizioni, e mi giro per trovarmi davanti Michael che ridacchia. Gli do un pugno sulla spalla e lui assorbendo il colpo mi scompiglia i capelli.

<< Saltiamo quello schifo di Letteratura inglese e andiamo a fumare sotto il salice? >> mi chiede e io lo guardo scocciata piegando la testa.

<< Sai che io non fumo – rispondo incrociando le braccia – e poi dobbiamo andare a lezione. >> 

Michael ruota gli occhi al cielo e sussurra un “Che noiosa” e fa di nuovo una cosa inaspettata: si abbassa inginocchiandosi davanti a me e mi circonda le cosce con le braccia. In un attimo si alza in piedi e mi solleva, posando il mio bacino sulla sua spalla facendomi finire con la testa sottosopra e con lo sguardo sulla sua schiena. Nemmeno riesco ad urlare per lo spavento perché inspiro troppa aria così comincio a dare pugni sulla parte bassa della schiena di Michael.

Il cretino comincia a camminare verso l’uscita mentre ignora le mie proteste quasi sussurrate per non farmi sentire da dentro le classi. In un lampo penso alla mia gonna che in questo momento sarà arrivata decisamente più su di metà coscia e tiro indietro un braccio cercando di coprirmi con una mano. 

Michael probabilmente se ne accorge perché leva delicatamente la mia mano e, prendendo il lembo della gonna, lentamente la tira giù di qualche centimetro. Avverto dei brividi che mi percorrono la schiena e sento che la pelle che Michael mi ha sfiorato sta per prendere fuoco. Mordo un labbro nel sentire che sta tenendo una mano sulle mie cosce per tenere ferma la gonna.

Arriviamo al parco e Michael si abbassa per entrare sotto al salice che crea come una cupola coperta dove di solito ci si rifugiano i drogati della scuola a farsi canne e a intrecciarsi i capelli. Si inchina e io riesco a poggiare i piedi per terra e a tirare su la schiena, guardandolo mentre lui mi sorride.

Mi tiro indietro i capelli, che saranno diventati come quelli di un leone, e mi sistemo ossessivamente la frangia. Michael si siede per terra appoggiando la schiena al tronco e mi guarda per poi dare due colpetti al terreno accanto a lui, facendomi segno di sedermi.

<< Sai, tra le mie tante qualità, ho il dono delle gambe, potevo venire qui anche senza che tu mostrassi il mio sedere a tutti. >> dico sedendomi vicino a lui, stando attenta a non far alzare la gonna stretta e Michael ridacchia.

<< Non saresti mai venuta con me, visto che ci sono le lezioni… – vero. - …quindi dovevo portarti qui in qualche modo. Anche perché ti devo dare una cosa. >> Lo guardo sorpresa con la curiosità che sale e lui mi sorride furbetto. Si mette una mano in tasca e ricomincia a parlare, con mia delusione.

<< E poi non mi è dispiaciuto avere il tuo sedere a cinque centimetri dai miei occhi. – dice tirando fuori dalla tasca una bustina nera e io la guardo impaziente – Me lo fai toccare? >> aggiunge guardandomi malizioso. Gli do un pugno sulla spalla.

<< Nemmeno sotto tortura, stupido. >> replico e lui mormora un “Che pizza” e alza gli occhi a cielo, divertito. 

<< Allora, ti ricordi la scommessa su quante ore di sonno aveva fatto il prof? >> mi dice e io sbatto una mano sulla fronte.

<< Ci siamo dimenticati di chiederglielo! >> esclamo ma Michael alza un dito.

<< Sai che partiva l’altro ieri, no? – mi dice e io annuisco – E sai del mio ascendente su quella segretaria in astinenza da sesso? – annuisco un’altra vola ruotando gli occhi – Beh mi ha dato il suo numero di casa e sono andato a trovarlo prima della sua partenza e gli ho chiesto quanto aveva dormito quel giorno. >> 

Lo osservo sorpresa, quindi dato che ha una bustina per me vuol dire che ho vinto… ? 

<< Chi ha vinto? >> chiedo per scrupolo e lui mi porge la bustina.

<< Tu. Ha detto di non aver chiuso occhio. >> dice leggermente scocciato e io afferro la busta e alzo le braccia al cielo esultando. Anche se so già cosa c’è dentro ho grandi aspettative. Tiro fuori un pacchetto nero e lo apro capovolgendolo per far cadere nella mia mano  un cilindro dorato. Sfilo il tappo e giro il cilindro per far uscire un rossetto rosso vivido opaco. Ha un profumo forte ma piacevole e lo tocco con un dito per vedere come scrive sulla pelle. 

Guardo Michael estasiata e richiudo il rossetto per poi poggiarlo a terra e buttargli le braccia al collo, ma lo faccio decisamente con troppa energia visto che finiamo entrambi per terra. Cadiamo uno sopra all’altro finendo con il mio viso a tre centimetri dal suo, le mie braccia che si sono allungate sul terreno sorpassando la sua testa e le sue mani sulla mia vita, come a contrastare il movimento. Le nostre gambe si allungano automaticamente, permettendo ai nostri corpi di appiccicarsi completamente. 

Sento il tronco del salice che mi tocca la gamba e sussulto quando Michael fa scorrere le sue mani dalla mia vita sulla schiena, lentamente, fino a stringermi completamente con le braccia, mentre mi lascio prendere dai brividi. Avvampo e evito di guardarlo negli occhi, puntando lo sguardo sul suo accenno di barba scura, a contrasto con i capelli chiarissimi. 

<< Combaciamo bene… >> sussurra al limite dell’udibile e così alzo lo sguardo finendo nei suoi occhi verdi, quasi trasparenti. Per qualche secondo penso di stare affogando in quelle iridi, sento che il mio corpo si è trasformato in gelatina e sento di averne perso il controllo, è come se fosse tutto addormentato.

Poi sbatto gli occhi e mi risveglio. Continuo a guardarlo negli occhi, che ora hanno un’espressione strana. Mi accorgo che Michael sta impercettibilmente avvicinando il suo viso al mio, sporgendo il mento, e quando arriva quasi a sfiorare le mie labbra con le sue sento il cuore che accelera vertiginosamente il suo battito. Riesco a sentire la pulsazione nel cervello e la mia testa sta per implodere, così l’unica cosa che riesco a fare è allontanarmi da lui.

Tiro indietro la testa spostando lo sguardo alla mia destra, sul prato e con la coda dell’occhio vedo Michael che rimane qualche attimo con la testa sospesa per poi ritornare a posarla sul terreno. Sento la sua stretta sulla mia vita che si indebolisce e sfrutto il momento per puntellarmi sui gomiti e fare mezzo giro, finendo con la schiena sull’erba. Michael si alza velocemente e si mette in piedi, evitando il mio sguardo. Con l’imbarazzo che sale sempre di più mi tiro su con la schiena, rimanendo seduta con le gambe stese a terra.

Vorrei dirgli che mi dispiace, anche se non so per cosa. Così lo guardo e sussurro delle scuse che però sono così flebili da non riuscire a sentirle nemmeno io. Michael mi lancia un ultimo sguardo vitreo, senza espressione, e senza dire nulla esce, spostando qualche ramo per passare. Rimango a terra, con il rossetto a qualche centimetro da me e senza nessuna parola da dire.









Hello.
Scusate perchè, come al solito, non rispetto la mia promessa di pubblicare ogni settimana ma sono dei tempi duri per la mia non voglia di studiare che è stata messa all'angolo e soppressa.
Spero che il capitolo vi piaccia quanto è piaciuto a me scriverlo.
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Baci.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***




Varco la soglia dell’entrata di scuola, finendo investita da dei tizi che mi mettono in mano diecimila volantini celesti. Scappo dall’ammasso di persone camminando velocemente verso il mio armadietto e leggendo la carta azzurra.

Presenta il ballo di metà anno, che è più un’ occasione per fare festa, per rimorchiare e divertirsi che semplicemente ha come location la scuola. Leggendo noto che per fortuna non c’è un tema da dover rispettare: l’anno scorso hanno scelto le “coppie famose”. Evito di elencare quanti Antonio e Cleopatra e quanti Audrey Hepburn e Gregory Peck c’erano dentro alla palestra. 

Butto i volantini nel cestino prima di aprire il mio armadietto ficcandoci dentro la borsa e prendendo i miei libri. Mi giro e casualmente trovo Michael che cammina davanti a me per andare in classe. Mi lancia uno sguardo ma quando vede che lo sto guardando anche io lo distoglie subito rivolgendolo con impertinenza davanti a se.

Non so cosa fare e nonostante non abbia ancora ben capito perché si è arrabbiato così tanto con me, mi dispiace da morire. È da quasi una settimana che non ci rivolgiamo parola. Mi manca da morire, era entrato nella mia routine quotidiana e sinceramente preferirei stare con lui che mi da fastidio continuamente che stare senza di lui.

Imbronciata vado verso l’aula di matematica, con la nuova professoressa di cui non mi ricordo il nome. Quando entro in classe è già seduta alla cattedra e ci salutiamo gentilmente. Trovo ai soliti posti Michael e Luke ma stavolta stanno parlando animatamente, aggrotto la fronte e smetto di guardarli mentre mi vado a sedere davanti a Michael, come sempre.

<< Ciao Seph! >> esclama Luke vivacemente e io ricambio con un sorriso che rivolgo ad entrambi, nonostante Michael stia guardando il suo banco. Mi giro leggermente offesa e mi siedo tirando fuori i compiti per oggi. 

Sento Luke e Michael che ricominciano a parlare e riesco a capire il soggetto della conversazione: la nuova prof di matematica. È sulla quarantina, una bella donna, sposata e decisamente formosa. I due sciagurati dietro di me stanno commentando concitatamente il seno abbondante della prof così lo sguardo mi va istintivamente sulla mia camicia, gonfiando un po’ il petto per far sembrare più grossa la seconda che ho.

Probabilmente sto guardando molto intensamente il mio seno perché Ashton Irwin, il tizio rockettaro che è amico di Luke e Calum, mi guarda in un misto di interessato e divertito, facendomi poi un occhiolino e sedendosi nel banco accanto al mio. 

<< Qualche problema? >> mi chiede sorridendo allegro e giocherellando con il laccio che chiude la sua borsa. Arrossisco leggermente nonostante non ci sia malizia nella sua voce e scuoto la testa, guardando la prof.

<< Tutto a posto – gli rispondo mettendomi a posto la frangia – stavo solo controllando la situazione. >>

Ashton scoppia in una risata leggera e ho l’impressione che Luke e Michael mi stiano guardando, sento come un peso alla schiena e tutto ad un tratto si sono zittiti. 

<< Hai fatto i compiti? – mi chiede Ashton cambiando discorso e aprendo il suo quaderno – A me non ritorna il terzo problema. >>

<< Neanche a me! – esclamo sorpresa, ieri pomeriggio ci ho speso tremila ore ma non sono riuscita a farlo tornare – Quanto ti torna? >>

<< Due pi greco… >>

<< Anche a me! >> esclamo con voce stridula e ad Ashton si illuminano gli occhi.

Da dietro Michael mi fa il verso risultando perfettamente udibile: ripete ciò che ho appena detto con una voce fastidiosamente in falsetto, così mi giro verso di lui guardandolo arrabbiata. Lascio da parte tutto il dispiacere per la mancanza che provo per lui e lo guardo con più sufficienza possibile, per poi girarmi ed avvicinare di qualche centimetro il mio banco a quello di Ashton, che anche lui si sporge verso di me.

Non so perché metto in gioco questa stupida vendetta come se fosse qualcosa che gli potrebbe dare fastidio, ma mi sento subito meglio quando mi avvicino ad Ashton per confrontare il problema.

Poco dopo la lezione inizia e giro la testa giusto per poter vedere con la coda dell’occhio Michael che mi sta guardando giocherellando rumorosamente con una penna. Mi giro senza riuscire a non sorridere: non so perché ha voluto cominciare questa lotta ma di sicuro non cederò alle sue meschinità.






<< Seph! - un urlo, proveniente dalle mie spalle, mi sveglia dalla catatonia e mi giro svogliatamente, per trovarmi davanti Ashton, che è così solare da farmi quasi socchiudere gli occhi. Gli sorrido flebilmente e lui aggrotta le sopracciglia – Che hai fatto? >> 

Scuoto la testa e sorridendo faccio un gesto per liquidare la cosa, come per dirgli che non mi va di parlarne. Chiudo il mio armadietto e mi incammino verso l’uscita della scuola, per andare a casa e rintanarmi nella mia camera. Ashton mi segue e mi picchietta su una spalla così mi fermo a metà scale.

<< Ti volevo chiedere una cosa… - lo guardo in attesa mentre lui si tocca i capelli in imbarazzo – Mi chiedevo se volevi venire al ballo di metà anno con me… Lo so che è veramente presto per chiederlo, voglio dire ci conosciamo da tempo ma non ci siamo mai parlati tanto quanto oggi e… Insomma mi sei simpatica e vorrei passare una bella serata con te. >>

Lo guardo spalancando gli occhi, non me lo aspettavo. Oggi avevamo tre lezioni insieme e siamo stati vicini di banco per tutte e tre, passando anche la pausa pranzo insieme. È un tipo veramente gentile, incredibilmente solare e divertente. Salgo di un gradino per arrivare a guardarlo bene .

<< Mi dispiace Ash… Ma ho già un ragazzo con cui andare… >> dico mortificata e abbasso lo sguardo pensando a Michael che mi aveva invitata. In un lampo di paura spero che i suo invito valga ancora e che io non stia rifiutando questo raggio di sole per un tizio che mi da buca. Ashton si agita un po’ e gesticola.

<< Tranquilla, non succede nulla! Lo volevo chiedere a Anne Harris, fa il corso di storia con noi, solo che non sapevo se tu eri da sola o no e… non importa, davvero. >> lo guardo scrutandolo.

<< Allora chiedilo a lei! – esclamo cercando di sollevarlo dandogli un pungo sulla spalla – È carina, ha visto che occhi azzurri ha?! >>

<< In realtà mi hanno colpito di più le sue tette… >> replica scendendo di un paio di gradini.

Guardo Ash sorridendo fintamente e gli ammollo uno schiaffo sulla nuca mentre lui ridacchia. Scendo gli scalini e gli do una spinta che lui ricambia facendomi finire in Nuova Zelanda.

<< Mi salvi un ballo alla festa? >> gli chiedo prima di salutarlo e dividerci per andare ognuno per la sua strada. Lui mi fa un occhiolino.

<< Ti salverei anche tutta la notte. >>

Lo guardo mettendomi una mano sul cuore e facendo finta di piangere e ridiamo insieme prima di separarci. Cammino velocemente verso casa, dando un’occhiata al muro di mattoni rossi dove ho visto Michael per la prima volta ma vederlo così vuoto mi mette un po’ tristezza.

Non faccio altro che pensare a lui, nonostante stamattina sia stato un cretino a prendermi in giro così infantilmente, mi manca parlargli e mi mancano le telefonate e gli incontri notturni sulla mia amaca e anche solo guardare il mascara pensando di metterlo per farlo contento.

Nemmeno mi accorgo di essere arrivata a casa se non fosse che trovo un qualcosa di strano sui gradini davanti alla mia porta: Meredith. 

<< Dith! >> esclamo tirando fuori le chiavi di casa e facendola entrare. Da come mi saluta e come parla non sembra molto serena così la porto in cucina, dove taglio due pezzi di torta al cioccolato e verso due bicchieri di succo. Ci sediamo al tavolo per mangiare e lei fa un sospiro enorme così le chiedo cosa non va.

<< Non sapevo con chi parlarne e tu sei una delle mie migliori amiche… - Le faccio cenno di continuare e lei incrocia le gambe sulla sedia, spostando i suoi bei capelli ricci da davanti agli occhi. – Oggi Calum mi ha chiesto di andare al ballo con lui. >> 

Oh Dio ancora con questo ballo.

<< Ma che carino! – esclamo sinceramente contenta – E tu? >> le chiedo e lei da un morso alla torta, cominciando a gesticolare ancora prima di parlare mentre sta masticando.

<< Gli ho detto che gli facevo sapere… - la guardo aprendo la bocca e lei alza le spalle con aria sconsolata – Non volevo dar fastidio a Lola. Mi ha detto Sophie che era arrabbiata che io e lui facevamo ripetizioni insieme credendo che stessimo uscendo o qualcosa del genere, anche se non è vero. Poi quando oggi mi ha detto se volevo andare al ballo con lui mi è preso un colpo e ho subito pensato a lei. Se lo venisse a sapere mi ripudierebbe per sempre… >>

Alzo gli occhi al cielo, non so se sono io ma questa storia mi sembra una cavolata perché Lola, come al solito, fa una scenata per tutte le scemenze del mondo. Prendo un sorso di succo mentre Meredith mi guarda in attesa.

<< Sinceramente, non capisco proprio perché se Calum vuole andare al ballo con te e, a quanto mi pare di aver capito, anche tu vuoi, non possiate andarci solo perché quella scema di Lola pensa che lui sia figo. Voglio dire, trovami anche una sola ragazza in tutta la scuola che non pensa che lui sia figo. Hai visto che fisico ha? >>

Meredith sorride, probabilmente pensando ai muscoli di Calum, e fa una sospiro, giocando con la sua lunga treccia, pensando a lungo prima di parlare. 

<< Forse mi piace. Cioè, ovviamente non mi piace sul serio, lo conosco solo da una settimana e mezza, però è così carino con me e questi giorni ci siamo visti anche fuori dalle ripetizioni perché lui mi ha invitata più volte a fare una passeggiata… Non so che mi succede, è solo che mi piace passare del tempo con lui. - Sorrido e le prendo una mano, stringendola tra le mie. - E poi che fisico… >> esala evitando di guardarmi negli occhi e tenendo lo sguardo fisso sul suo piatto. 

Scoppio a ridere nel sentire Meredith ch si lascia andare a questi commenti nonostante sia la persona più riservata del mondo. Lei si aggiunge alla mia risata, coprendosi timidamente gli occhi con una mano.

<< Adesso bisogna solo scoprire se te piaci a lui, anche se la cosa è chiara… Insomma, ti ha invitata al ballo! Uno invita chi gli piace al ballo! >> 

<< Non lo so e non ho assolutamente intenzione di chiederglielo - rido per il panico che si legge nei suoi occhi e lei mi da uno spintone – Ma tu ci vai con il ragazzo strano? >> mi chiede cambiando discorso e io alzo le spalle.

<< Teoricamente si… Ma non parliamo da una settimana… >>

Le spiego ciò che è successo, di come siamo diventati amici e di come io abbia rovinato tutto quel giorno e Meredith ascolta pazientemente i miei deliri sull’accaduto. Sento un peso che se ne va man mano che le racconto, come ogni volta che ti sfoghi con qualcuno. Lei mi consola e mi suggerisce di parlargli, di capire perché si sta comportando così ma sento che c’è qualcosa che non mi sta dicendo e che si sta tenendo per se, non so per che motivo.

Chiacchieriamo fino a tardi principalmente del ballo e non rendendoci conto dell’orario ad un certo punto Meredith deve scappare per andare a lezioni di pianoforte. La accompagno alla porta e ci salutiamo.

Ha appena percorso il vialetto di casa quando si gira e mi chiama. La guardo in attesa mentre si riavvicina verso di me. 

<< Per il fatto di Michael, ricorda quello che hai detto tu: al ballo invitiamo chi ci piace. >>








Hello.

Scusate il ritardo, come al solito. Ormai penso abbiate capito che tipo di personaccia sono. Spero che il capitolo, anche se molto di passaggio, vi piaccia.

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Baci.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***








Il telefono squilla ed emetto un verso non identificato da sotto le lenzuola. Il ferreo tra me e il letto mi impedisce di rispondere, anche se devo solo allungare un braccio per prendere la cornetta da sopra il comodino. Tempo qualche secondo e il telefono smette di suonare così mi giro dall’altra parte portando con me le coperte.

Nemmeno faccio in tempo a richiudere gli occhi che il telefono squilla un’altra volta. Grugnisco e scaccio via la coperta buttandola verso la fine del letto e mettendomi a pancia in giù mi sporgo per afferrare la cornetta. Me la avvicino all’orecchio sfidando il filo ad allungarsi senza far cadere il telefono dal piano.

<< Pronto. >> dico con la voce più roca del mondo e mi pento di non essermela schiarita prima di rispondere.

<< Ciao Seph, sono Meredith… Ti ho svegliato? >>

No, stavo dando da mangiare al coccodrillo, come faccio ogni mattina del primo giorno di vacanza.

<< No! – rispondo schiarendomi la voce – Ma ti pare… >> Meredith scoppia a ridere.

<< Scusami tesoro. Ma stasera c’è il ballo! E Sophie mi ha chiamato dicendomi se volevamo andare a prepararci e a dormire da lei. Così mi ha incaricato di chiamare te mentre lei chiama Lola. – mi metto una mano sulla fronte, oh mio dio che ansia il ballo – Ah, quasi dimenticavo, Lola mi ha chiesto ufficialmente scusa, se te lo stavi chiedendo. >>

<< Ah si? Si è scusata anche con me per la scenata. Ma si sapeva che sarebbe sbollita entro poco, e in più adesso è felice perché John di biologia l’ha invitata al ballo. Comunque per me va bene, devo solo chiedere ai miei ma sicuramente mi diranno di si. >>

Continuiamo a chiacchierare di cavolate mentre mi alzo dal letto e mi stiro e, stando attenta a non far cadere il telefono, mi svesto per fare una doccia. Quando ci salutiamo mi ficco nell’accappatoio ma realizzo che ho fame quindi decido di fare colazione prima della doccia ma realizzo anche che è mezzogiorno e mezzo così stabilisco di fare un brunch.
I miei non sono a casa quindi posso fare ciò che voglio, mi preparo una tazza di latte, delle uova, del bacon e dei pancake innaffiati con litri di sciroppo d'acero e, fiera del mio cibo, me ne vado a mangiare in camera con il mio amato giradischi.

Finito lavo tutto e mi butto dentro la vasca riempita d’acqua a cui ho aggiunto dell’acqua di rose, più per fare scena che per effettivi benefici. Dopo un tempo interminabile esco fuori e comincio ad asciugare i capelli, impegnandomi con i bigodini per dare qualche onda ai miei spaghetti. Alzo gli occhi al cielo pensando alla serata a cui sto andando incontro.
 
 
 


<< Finalmente sei arrivata! >>

Abbraccio la mamma di Sophie che mi fa subito cenno di venire in cucina per mangiare prima di andarci a preparare. Ceniamo con la sua famiglia, il papà e i due piccoli gemelli che io ho sempre adorato. L’atmosfera è sempre piacevole a casa di Sophie e i suoi genitori sono solari e chiacchieroni come lei.

Finito di cenare corriamo in camera di Sophie per prepararci tra balletti e eccitamento. Siamo una più febbrile dell’altra e anche io mi faccio prendere dal frenesia del momento. Lola ci spalma in faccia una maschera giallo pipì che ha fatto la sua mamma con la ricetta delle antenate colombiane per rendere la pelle splendente.

Sono un po’ scettica verso questo intruglio ma ha un buon odore di agrumi quindi lascio che mi impiastricci la faccia con questa melma. Entrano i gemelli in camera e segue un momento di risate dal fatto che i piccoli urlano come dannati vedendoci gialle come limoni.

<< Secondo voi ci divertiremo? >> chiede Meredith mentre siamo in bagno a lavarci il viso, in un attimo di tranquillità.

<< Ma certo, ogni anno ci spaventiamo da morire ma alla fine ci divertiamo sempre! – risponde Lola asciugandosi il viso – E poi questo è il primo anno che abbiamo tutte un accompagnatore! >>

Sophie fa una urletto mentre Meredith e Lola si stringono le mani ma io sorrido falsamente, immobile come se fossi imbalsamata. Non sento Michael dal giorno in cui stavamo sotto al salice e a causa del mio timore non ci ho parlato come mi aveva suggerito Dith. Una parte di me sa che sicuramente stasera lui sarà fuori dal portone della scuola ad aspettarmi, ma un’altra parte pensa che, siccome non ci parliamo da così tanto, non venga, o si sia trovato un’altra o semplicemente venga ma da solo, senza di me.

La speranza e la voglia di averlo con me stasera mi occupa il cervello, riempendolo di emozioni contrastanti. Mi tocco la pelle del viso che effettivamente sembra più bella, a meno che non sia solo una convinzione, e mi incanto con lo sguardo nel vuoto, pensando ancora a Michael.
 
 


 
Il papà di Sophie ci lascia davanti al cancello della scuola, facendoci promettere di essere brave e di essere puntuali per mezzanotte. Che papà liberale. Tutte eccitate ci avviciniamo verso l’edificio e Lola accenna una corsa verso John che la accoglie con un sorriso imbarazzato e i capelli forse un po' troppo a spazzola. Davanti al portone c’è Alec che aspetta Sophie e quindianche lei si divide da noi salutandoci.

Io e Meredith andiamo a sederci sul muretto, aspettando i nostri cavalieri. L’ansia sta vertiginosamente salendo ma cerco di calmarmi tormentando i miei capelli e rigirandomeli tra le dita, seguendo i boccoli. Meredith si liscia la lunga gonna avorio sulle gambe ma quando si gira verso di me si accorge del mio stato e mi mette ua mano sulla spalla.

<< Tutto okay? >> mi chiede e io non riesco a rispondere. Sorrido cercando di essere più sincera possibile ma dentro di me il timore di non vedere Michael arrivare mi sta divorando.

Noto Luke in lontananza e, quando mi accorgo che si sta avvicinando verso di me, mi alzo per andargli incontro. È molto bello, con una camicia grigia a sottili righe più scure e i pantaloni neri, ha i capelli molto più ordinati del solito, tirati indietro con del gel. Ci abbracciamo e sento il suo buon profumo addosso.

<< Sei incantevole! >> proferisce prendendomi una mano e facendomi fare una giravolta mentre io dentro di me mi chiedo perché non è lui il mio cavaliere. Lo ringrazio timidamente e mi pronuncio in qualche complimento per lui.

Mi giro un attimo e noto che Calum, bellissimo come sempre, con una camicia banca e i pantaloni blu scuro, ha raggiunto Meredith e le sta porgendo un fiorellino che lei annusa e poi mette nella tasca della camicia del ragazzo. Sorrido per poi girarmi verso Luke che sta anche lui guardando i due.

<< Sono cotti. >> affermo con un gesto della mano e Luke scoppia a ridere in una risata contagiosa. Parliamo della festa e critichiamo la palestra che sarà sicuramente addobbata in modo penoso come al solito e poi lo punzecchio sulla ragazza che accompagna, di cui, a quanto pare, è cotto. È carina, alta come un grattacielo e con un viso molto dolce che ispira simpatia.

Notando che tutte le persone stanno entrando in palestra mi congedo da Luke, facendomi di nuovo promettere un ballo. Ritorno al mio muretto e mi ci siedo pesantemente. Non abbiamo detto un orario con Michael, non ci siamo parlati per nulla, ma si sa quando inizia la festa. Aspetto impazientemente continuando nervosamente prima a mettermi a posto i capelli, poi il vestito, poi controllando il trucco. Aspetto quelle che mi sembrano ore ma mi passano davanti tutti tranne Michael.
Ogni persona che mi passa davanti mi guarda o mi saluta e ad ogni persona vorrei sprofondare sempre più. Michael non viene, ormai è certo. Guardo il mio piccolo orologio per scoprire che sono le dieci e un quarto e sono qui seduta su questo dannato muretto da tre quarti d’ora.

Con orrore sento le lacrime che mi riempiono gli occhi e guardo in basso per farle cadere a terra senza che mi arrivino sul viso. Mi esce un singhiozzo involontario così sono costretta a correre indecorosamente verso gli spogliatoi della palestra che fortunatamente hanno un’entrata diversa da quest’ultima. Mi chiudo in un bagno e sedendomi sulla tazza lascio che le lacrime mi allaghino il viso, tanto ormai non si fermano nemmeno a pregarle.

Non è giusto, non ho fatto nulla di così grave da meritarmi questo. Non può lasciarmi qui sola, soprattutto quando sa che non sopporto stare così dannatemente sola tra tutti, soltanto per non averlo baciato quel giorno. Provo coì tanto odio e rabbia nei suoi confronti, lo strangolerei con le mie stesse mani, ma al contempo sono così infinitamente delusa da lui.

Mi ha mollato quando era diventato il mio amico più stretto, il mio studente e il mio maestro. Sono così amareggiata perchè mi sento tradita, mi sento abbandonata e mi sento da schifo. Guardo il vestito con odio, l’avevo messo solo per lui, solo perché l’aveva scelto lui. Le lacrime continuano a scendere contro la mia volontà e mi calmo solo dopo tanto tempo.

Quando sento il respiro di nuovo regolare e le lacrime che non hanno pi ugernza di uscire, guardo l'orologio: sono le dieci e quaranta e la festa va alla grande a sentire la musica. Mi asciugo il viso bagnato con la carta igienica e esco fuori dal bagno per andare agli specchi dello spogliatoio.

Con immenso orrore guardo la mia faccia che sembra reduce di uno schianto con un camion, il mio trucco è distrutto e così sono costretta a lavarmi la faccia con lo schifoso sapone della scuola. Senza pensare alle sostanze cancerogene che molto probabilmente sono presenti nella saponetta, mi strofino gli occhi sentendoli bruciare. Mi asciugo con la carta igienica e noto che il mascara è rimasto un po’ tra le ciglia inferiori rendendole innaturalmente piene, ma non riesco a fare di meglio. In un impeto di rabbia tiro fuori dalla borsa i miei trucchi.

Che ironia della sorte, penso, mentre mi tampono il rossetto sulle labbra, i miei trucchi sono stati entrambi regalati da Michael e li sto usando per lasciarmelo alle spalle. Mi sento giusto un po’ meglio dopo aver messo il mascara ed essere tornata una visione accettabile.

Apro la porta dello spogliatoio ed esco, per poi entrare nella palestra. È tutto molto scuro e le poche luci accese sono tra il celestino e il verdognolo, rendendo tutto molto asettico e freddo. Alla fine non è decorata male, perchè l’ambiente è molto festoso, e a quanto pare la gente si diverte. La massa informe di persone che si sta dimenando come se non ci fosse un domani mi fa venire voglia di rigirarmi e andare ad aspettare mezzanotte da sola, ma mi dico di essere coraggiosa e buttarmi nella mischia.

Mi infilo tra due schiene e comincio a far finta di ballare a ritmo dei Beach Boys andando verso il centro della stanza. Fortunatamente non incontro nessuna delle ragazze mentre ballonzolo tra gente strana. Mi sento sprofondare, nonostante i miei buoni propositi.

Ad un tratto un braccio mi afferra e mi tira verso il suo proprietario: mi ritrovo vicino ad Ashton che da sorridente assume un cipiglio sospettoso mentre mi scruta.

<< Che hai fatto? Sei uno straccio... >> urla e io abbasso gli occhi, non voglio rispondergli o dovrei mentire e mi verrebbe da piangere di nuovo e non voglio rovinare tutto un’altra volta. Ashton mi prende per un braccio e sfidiamo la folla inferocita per arrivare all’uscita laterale. Appena fuori faccio un sospiro di sollievo per essermene andata da tutti quegli occhi. Ashton mi guarda in apprensione e io mi appoggio al muro dell’edificio.

<< Hai pianto. – afferma e io annuisco evitando il suo sguardo – Perché? >> sussurra poi e io sento gli occhi che mi si fanno lucidi, così scivolo lungo il muro e mi siedo a terra sulle mattonelle fredde, non curandomi del fatto che sto sporcando il mio vestito. Faccio un lungo respiro per ricacciare indietro le lacrime mentre Ashton si siede vicino a me.

<< Michael non è venuto. >> mormoro e Ashton si gira completamente verso di me e mi mette una mano sulla spalla.

<< Oh Seph, mi dispiace. >> dice ma io lo ignoro concentrandomi sulla respirazione. Quando ormai sono certa di non piangere, lo guardo per incontrare i suoi occhi che mi fissano preoccupata così gli faccio un sorriso flebile.

Gli spiego la situazione e noostante abbia di nuovo pianto, sento un piccolo peso che si solleva dal mio stomaco. Sono un pizzico più serena ed Ashton mi passa un braccio dietro alle spalle così finisco con la testa sul suo petto. Mi sta consolando e ne sono veramente grata, perchè è veramente dolce, ma nonostante ciò non riesce a tirarmi su più di tanto. La mia testa sta pensando solo a Michael e, nonostante tutto quello che è successo, una parte di me ancora spera che lui stia venendo, che abbia avuto un contrattempo o qualche altro impedimento, e che voglia stare con me qui.

Mi alzo in piedi, sentendo uno strano senso di soffocamento, e Ash mi segue a ruota. Comincio a camminare senza una particolare meta, voglio solo muovermi, fino ad arrivare al campetto da calcio e mi metto a centrocampo senza nessun particolare motivo. La musica si sente chiaramente anche da qui e sobbalzo quando parte “A Girl Like You” dei The Rascals. Faccio una smorfia: adesso in palestra ci devono essere tutte le coppie a ballare questa canzone molto dolcemente. Penso alle mie amiche con i loro ragazzi e mi esce un piccolo sorriso.

Ashton mi si avvicina e inaspettatamente mi prende una mano, facendomi fare un giro su me stessa. Mi fa avvicinare a lui tirandomi leggermente e mi mette una mano sulla vita, così istintivamente poggio la mia mano sulla sua spalla.

<< È vero, ti devo un ballo… >> sussurro e Ashton sorride canticchiando la melodia e iniziando a ballare, conducendomi nella danza. Lo seguo senza sapere cosa sto facendo, senza nemmeno chiedermelo, ma sembra tutto molto armonioso visto dai miei occhi, quindi va tutto bene.

Mi fa fare una piroetta ed un casquet ma non riesco a lasciarmi andare del tutto alle sue braccia, rimanendo con tutti i muscoli in tensione per reggermi, così ridiamo per la mia goffaggine. Risalgo su e nella velocità dell’azione finisco a pochissimo dal suo viso. La situazione è a dir poco imbarazzante ma i suoi occhi campeggiano della mia vista, occupando momentaneamente i miei pensieri.

Ashton mi guarda con gli occhi accesi e continuiamo a ballare, ma con i passi limitati a spostamenti di pochi centimetri, rimanendo con i volti vicinissimi. Lentamente ma senza preavviso si avvicina ancora di più a me e io lo lascio fare. Le nostre labbra si uniscono e automaticamente chiudo gli occhi.

Ashton mi abbraccia cingendomi la vita e io circondo le sue spalle con le mie braccia. Schiudo le labbra e in un attimo il bacio si intensifica mentre lui quasi mi solleva da terra. Le mie mani sono nei suoi capelli e sorrido internamente nel sentire la loro morbidezza. Continuiamo non so per quanto, ma quasi mi sono dimenticata di Michael mentre accarezzo i capelli di Ashton.
 









Hello.

Salve di nuovo e quasi mi sento ridicola e anche stronza per scusarmi di nuovo per il ritardo, mi ero fissata un tempo limite di una settimana ma faccio schifo, lo so. Sorry.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come sempre.

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Baci.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***








Sbatto l’anta del mio armadietto con molta poca grazia, tanto che il mio vicino di armadietto Ed si spaventa e alza le spalle in uno scatto, ma sinceramente non mi importa assolutamente nulla. Mi incammino verso l’aula del prof Page per una elettrizzante lezione di storia la prima ora del lunedì.

Sembro un cadavere mentre cammino nel corridoio e mi ci sento anche perché non ho chiuso occhio stanotte. In realtà è da una settimana che non riesco a dormire molto, precisamente dal giorno del ballo. Mi ha sconvolto così tanto che ho passato la settimana di vacanza più distruttiva di sempre, nella quale avrei dovuto riposarmi e riprendermi dalla stanchezza.

Alzo una mano per salutare Ashton e lui, con molto imbarazzo, mi fa ciao a sua volta. Dopo il nostro bacio ci siamo “lasciati” come amici, io non voglio aver a che fare con lui in quel senso e quindi abbiamo deciso che rimarrà una cosa istintiva successa per caso. D’altronde io no ho sentito nulla con quel bacio, non un brivido, il mio cuore non è accelerato.

Nonostante il chiarimento però la situazione è comunque piuttosto imbarazzante, ma che ci posso fare?
Arrivo all’aula del professore e prendo posto negli ultimi banchi al centro, oggi interroga e ho intenzione di far finta di seguire dormendo ad occhi aperti, quindi mi serve essere coperta dagli occhi del prof. Mi piazzo davanti alla chioma enorme di Julie e Luke si mette vicino a me, così cominciamo a chiacchierare anche se a me non va molto di parlare… ma insomma, è Luke.

Mi distraggo un attimo quando entra Michael nella stanza, che mi lancia un’occhiata corrucciata prima di sedersi in un banco a caso in mezzo alla classe. Mi chiedo il perché di tutto questo disprezzo quando ha passato due settimane ad ignorarmi beatamente.

<< Hai visto come ti ha guardato Michael? – mi chiede Luke ed io alzo le spalle guardando il diretto interessato – Ma avete litigato? >>

<< Più o meno. È una storia lunga e noiosa, non so se ti va di sentirla. >> cerco di chiudere il discorso ma Luke si agita sulla sedia.

<< Ma no, no! Noi due siamo amici ormai, mi va di sentire cosa è successo con quello. >>

Lo guardo intenerita, è una delle persone più buone e carine che conosca. Non vi capita mai di collegare una persona ad una cosa? A me si. Luke lo assocerei al letto nella tua cameretta, dove è sempre un piacere tornare, anche solo per staccare da tutto. Lui sta lì, ti tiene caldo, raccoglie le tue lacrime.

Il prof Page entra in classe e repentinamente comincia a fare l’appello e a parlare delle interrogazioni di recupero del primo periodo dell’anno. Guardo i capelli di Michael: lui deve andare all’interrogazione visto che da quando ha chiuso i ponti con me li ha chiusi anche con il libro di storia. Cerco di non interessarmene e ritorno con lo sguardo a Luke.

<< Sono veramente contenta di essere tua amica, Hemmings. >>

Luke mi sorride in un attimo di timidezza e balbetta goffamente dei ringraziamenti aggiungendo che anche lui è molto contento di essere amico con me. Gli scompiglio i capelli mentre noto che Michael, Elena e Matt si stanno alzando per andare alla cattedra ed essere interrogati.

Scivolo sulla sedia mentre avvicino leggermente il mio banco a quello di Luke e lui fa lo stesso. Controllo di essere coperta dallo sguardo del prof per poi girarmi verso il mio amico.

<< Te lo devo chiedere: sei pronto per un’ora dei miei lamenti sul ballo peggiore della mia vita? >>

<< Ho preso un caffè stamattina. >>
 
 



 
Guardo corrucciata la porta dell’aula di scienze: non mi va per nulla di stare ad assistere allo squartamento di animali che mi fanno schifo anche se sono vivi e a trenta metri di distanza da me. Sono combattuta tra il non entrare o lo scannare ranocchie ma ormai in testa ho preso la mia decisione.

Ruoto su me stessa con aria vaga e mi incammino nel verso opposto alla porta, con un sorriso stampato in faccia. Vagabondo per un po’ per la scuola ma per la paura di incontrare qualcuno mi rifugio sulle scale che portano al tetto, del tutto isolate da chiunque.

Mi accascio sugli scalini buttando i libri per terra e addossandoli al muro, mi stiro i muscoli allungando sia braccia che gambe sbadigliando profondamente. Oggi non ho concluso nulla ma sono comunque molto stanca. Potrei anche dormire su questi scalini freschi… No. Se qualcuno mi trova sono finita.

Mi alzo in piedi e, lasciando i libri sulle scale (tanto chi li ruba), salgo gli scalini e apro la porta per arrivare al tetto e prendere un po’ d’aria. Il tetto è un vero e proprio terrazzo enorme, come quegli immensi piani a cielo aperto delle case dove le nonne ci stendono le lenzuola bianche candide.

Peccato che al posto delle lenzuola profumate di fiori qui c’è solo una cosa bianca: Michael Clifford con i suoi capelli color latte. Appena sente il rumore della porta si gira e mi guarda inespressivo, per poi girarsi completamente verso di me e cambiando la sua espressione in strafottente.

<< Che fai, mi segui? >> mi chiede ed io faccio involontariamente una smorfia che lo fa sorridere.

<< Volevo semplicemente prendere un po’ d’aria. – replico e lui aumenta il livello di strafottenza sulla sua faccia da schiaffi - Non sei così importante Clifford. >>

<< Uuuh ora mi chiami per cognome, che ragazza ribelle! Ma a fine anno fai gli esami per andare all’ultimo anno di superiori o per l’asilo? – dice prendendomi in giro – E poi lo so che ormai non sono più il centro del tuo mondo. >>

Mi chiedo cosa significhi questa frase ma la ignoro e mi giro per tornare di sotto, lontano da lui e dalla sua insolenza.
<< E tu cominci a studiare storia e a smettere di dire “praticamente” ogni due parole durante l’interrogazione? E comunque non sei mai stato il centro del mio mondo, Michael. >> sottolineo il nome per farglielo notare e lui scoppia a ridere. Sto per chiudere la porta e lasciarlo ma lui parla di nuovo.

<< Guarda che non sei costretta ad andartene, Persephone. >>

Involontariamente digrigno i denti nel sentire il mio nome completo detto con questa derisione. Mi volto verso di lui, cominciando ad arrabbiarmi, e ritorno sul tetto andandogli di qualche passo incontro.

<< A quanto pare non sopporti la mia presenza, quindi ti evito lo sforzo di patire questa sofferenza. >>

<< E chi te l’ha detto che non ti posso vedere? >>

<< Non me lo ha detto nessuno. – affermo incrociando le braccia. Ma sta scherzando? – L’ho intuito dal tuo comportamento delle ultime settimane, visto che non mi hai degnato di mezzo sguardo! >>

Alzo involontariamente la voce nel finire la frase e lo ammazzerei ancora di più perché mi sta guardando con uno sguardo vuoto. Dopo qualche secondo si risveglia e alza il labbro superiore schiudendo le labbra. Scoppia in una risata leggermente amara e si gira verso la ringhiera che costeggia il tetto, andando ad appoggiarcisi.

<< Ho visto che però mi hai rimpiazzato bene in questi ultimi giorni, soprattutto al ballo… Fuoco e fiamme! - fa un fischio di ammirazione che sa molto di presa per il culo, poi ritorna un attimo serio e abbassa lo sguardo con una smorfia – Alla fine sono venuto a scuola quella sera, ma la sorpresa che ho trovato non è stata proprio il massimo delle mie aspettative… Ti ho visto con Ashton al campetto. Molto romantico, devo ammetterlo. >>

Lo guardo e sento le lacrime che stanno per uscire, ho un groppo alla gola e non riesco a parlare. Lo guardo, probabilmente più amareggiata di quanto vorrei sembrare, tanto che noto nei suoi occhi un lampo di emozione.

<< Non ci credo… >> sussurro scuotendo la testa, ha veramente appena osato tirare fuori il ballo? Dopo che mi ha dato una buca grossa come una voragine si permette di tirarlo fuori?

Mi giro e comincio a camminare verso la porta. Non voglio credere a quello che ho appena sentito, sta solo rigirando il coltello nella piaga, che è ancora dannatamente aperta. È colpa sua se quella sera è andata così e non posso credere che mi sta incolpando di averlo “rimpiazzato”.

<< Non hai nulla da dire? - mi chiede mentre sto quasi per imboccare la porta. – Persephone Ledger, la ragazza che non è mai rimasta senza qualcosa da dire, ha perso tutte le paro… >>

<< STA’ ZITTO! >> urlo esasperata e sinceramente non so nemmeno io da dove mi è scappato.

Ma ormai ci sono dentro fino al collo e non mi tiro indietro. Faccio un sospiro e per l’ennesima volta gli vado incontro e quasi lo vorrei far cadere dal tetto mentre gli arrivo davanti, mettendomi in punta di piedi per guardarlo bene.

<< Non provare a parlarmi mai più, non provare a guardarmi mai più, non provare nemmeno a stare nelle mie vicinanze perché ti giuro che ti tolgo quell’espressione strafottente dalla faccia. – inizio puntandogli l’indice sul petto e noto che ha perso lo sguardo sfacciato – Tu mi hai lasciata da sola al ballo. E dopo che ti ho aspettato per un’eternità, dopo che mi sono messa il vestito che hai scelto tu, dopo che mi sono truccata con i tuoi trucchi, dopo che sono venuta lì solo per te, tu ti permetti di darmi la colpa di come è andata la serata? >>

Michael è perso, lo vedo nei suoi occhi, e per qualche secondo mi fissa con un miscuglio di emozioni indecifrabili. Poi si risveglia, dopo qualche secondo come al solito, e si mette bene in piedi sovrastandomi con i suoi centimetri in più. Parla con voce normale e calma ma sento che tremola un po’.

<< Hai baciato quel deficiente. Dopo che io… >>

<< Dopo che tu mi hai lasciato sola! – lo interrompo senza farlo finire, urlando istericamente. Ormai ho perso il controllo sento le parole che escono dalla bocca senza passare prima dal cervello. – Tu mi hai lasciata sola, Michael! Sono stata un’eternità ad aspettarti invano e non ti rendi nemmeno conto della frustrazione e dell’umiliazione che ho provato. Mi hai deluso. >>

<< Tu hai baciato quello, tu hai deluso me! >>

<< Avrei baciato te se solo ti fossi degnato di venire! >>

Michael trasale guardandomi leggermente sorpreso. Sbatte gli occhi più volte e poi alza di nuovo il labbro superiore. Scuote la testa e sorride ironicamente passandosi una mano tra i capelli.

<< Come no, mi avresti proprio baciato… - sputa e scivola verso destra allontanandosi – Ho visto come ti sei allontanata quando ci ho provato. >>

Rimango senza parole perché non so che dire al riguardo, non so nemmeno io perché mi sono allontanata da lui. Semplicemente in quel momento mi è sembrata la cosa più ovvia da fare, tanto che è stato involontario, ma non per questo mi devo scusare con lui.

<< Questo non ti giustifica. Questo non giustifica il tuo incolparmi per aver baciato Ashton, né come ti sei comportato negli ultimi giorni, né l’avermi lasciata sola! Sei stato uno stronzo. >>

<< Ma ti vuoi mettere nei miei panni? Sono stato respinto dalla ragazza che mi piace! – urla Michael allargando le braccia e io sussulto. – Che dovevo fare, venire al ballo con te, uscire, continuare a vederti, parlarti come nulla fosse? Dopo che mi hai rifiutato così? >>

Sono bloccata, il mondo è bloccato. Non riesco a pensare a nulla, quasi non ho sentito il resto della frase perché sono rimasta alle parole più importanti, che mi stanno occupando il cervello senza lasciare spazio ad altro.
La ragazza che mi piace?!

Lo guardo mentre lui abbassa la testa e si passa una mano tra i capelli. Le parole che ha appena detto mi pulsano ancora nel cervello e tiro un sospiro per poi avvicinarmi a lui e guardarlo dritto negli occhi.

<< Perché non me lo hai detto? >> gli chiedo atona e lui sorride scuotendo la testa; gioca con le mie mani ed evita di guardarmi.

<< Io ci ho provato, ti ho mandato più segnali di una stazione radio ma tu niente, il nulla. A quanto pare siamo su due frequenze diverse… >>

<< Ora però non fare il fighetto solo perché hai studiato due cosette di fisica sulle onde… >> sussurro e lui sorride.

Non so che fare, non ho mai pensato di potergli piacere, anche perché guardate me e guardate lui. Siamo veramente su due frequenze diverse e non possiamo di certo andare allo stesso modo. Mi metto a posto la frangia facendo un sospiro. Le sue parole ancora mi rimbombano in testa; tutto l’odio, la delusione e il rammarico sono scomparsi nel giro di secondi perché ho capito che c’è dietro al suo comportamento.

Michael mi guarda e si vede che sta combattendo contro se stesso. In uno impeto di coraggio mi viene incontro e mi circonda le spalle con le sue braccia, posando la sua guancia contro il mio orecchio e nascondendo la testa nei miei capelli. Istintivamente allaccio le mie braccia alla sua vita e sento gli occhi lucidi. “Tu hai sempre le lacrime in tasca” come mi dice nonna.

<< Ti avevo detto che non mi dovevi toccare… >> mugugno.

<< In realtà hai detto parlare, guardare e starti vicino. – ridacchiamo insieme e mi esce un singhiozzo – E poi non credo che qualcuno ti stia costringendo ad abbracciarmi. >>

<< Mi dispiace Michael... >> sussurro e sento una lacrima che mi scende sulla guancia. Ugh, che bamboccia che sono.

<< Non importa. >> 

Lo stringo ancora di più e Michael non oppone resistenza; sono ancora arrabbiata con lui, veramente tanto, ma gli voglio troppo bene per lasciarlo andare via un’altra volta. Sciolgo le braccia dalla sua vita e le infilo sotto le sue braccia, per arrivare a stringergli il collo. Lui acconsente ai miei movimenti e rigiriamo la situazione finendo con le sue braccia sulla mia vita.

<< Mi sei mancata - sussurra e io stringo ancora di più le braccia intorno a lui. – Si, ma così mi strozzi. >>

<< Te lo meriti, stronzo. >>








Hello.

(scusate scusate scusate scusate scusate) x 1000
Mi sento uno schifo a far aspettare così tanto la gente ma la scuola e lo sport mi stanno risucchiando tempo, anima, forze e giovinezza, quindi trovare un'ora libera in cui sono abbastanza lucida da non fare errori di grammatica è pressochè impossibile.
Se qulcuno fa il quinto ed è in una classe disastrata come la mia capirà come mi sento hahaha dobiamo essere uniti ragazzi.
Spero che il capitolo ripaghi l'attesa e che quindi vi piaccia.

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Baci. (tanti)

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***







 
Mi rigiro nervosamente i capelli tra le dita. Sono nell’aula del prof di storia e sto venendo divorata dall’ansia di vedere Michael. Sono passati due giorni dalla mattina sul tetto e non ci siamo più parlati, né visti, né sentiti a causa del weekend di mezzo.

Per non perdere i capelli con le tirate che gli sto dando, prendo la matita e scarabocchio sulla copertina del libro di storia, colorando e ripassando le lettere del titolo. Tengo gli occhi bassi ma mi accorgo comunque di quando Michael varca la soglia dell’aula.

Mantengo lo sguardo sul libro e con la coda dell’occhio lo vedo passare vicino al mio banco e andare a sedersi dietro di me. Mi aggiusto sulla sedia, per non sentire il mio cuore che sta accelerando per il panico di trovarmelo accanto. Metto a posto la frangetta e sorrido ad Ashley che si sta sedendo nel banco vicino al mio, cercando di non calcolare Michael.

A quanto pare però, anche lui non mi degna di nulla, rimanendo indifferente alla mia presenza. Sbuffo e mi appoggio sulla sedia con la schiena, lasciandomi andare, per poi tirarmi su di scatto quando entra il professore. Sento una risatina dietro di me, e una parte di me pensa che Michael stia ridendo per me, ma l’altra parte pensa che magari stia ignorando e stia ridendo per altro.

Comincio a concentrarmi sul professore, per stare attenta alla spiegazione e non avere distrazioni esterne, o posteriori. Apro il quaderno per prendere appunti e comincio a scrivere velocemente, per star dietro alla parlata del prof.

I minuti scorrono e non ricevo alcun segno di vita dall’ominide seduto dietro di me e non so se sia un bene o un male. Mi mancano le giornate passate insieme in classe, quando un professore non riusciva a fermare il nostro chiacchiericcio o i nostri scherzi costanti, ma ora sembra essere finito tutto.

Il professore cita il nostro libro, così lo metto sopra al quaderno e lo apro. Quasi non faccio in tempo ad aprire il libro che un bigliettino mi sorpassa la spalla e arriva sul banco, facendomi rimanere di sasso.

Prendo la carta e la dispiego, per trovare una frase scritta con una calligrafia piccola e disarmonica, quella di Michael. Faccio un grande respiro e quasi non voglio sapere quello che ci è scritto, ma il mio cervello è più veloce di me e legge il bigliettino.
 
 

“ci vediamo uno di questi giorni?”
 

 
Il mio cuore perde un battito e i miei pensieri partono a mille nella speculazione dei motivi dietro alla domanda. Forse vuole vedermi, o forse vuole solo delle ripetizioni di storia, da quando non le facciamo più ha di nuovo l’insufficienza, o forse vuole avere il vestito indietro per darlo alla sua ragazza. Ma nemmeno ha una ragazza… Che io sappia.

Scuoto la testa per cacciare via i pensieri, prendo la matita dall’astuccio e rispondo sotto la sua scritta.
 
 

“Perché?”
 

 
Prima di dire si voglio sapere che intenzioni ha, giusto per non farmi scervellare nell’indagine sui motivi per cui vuole uscire. Lancio dietro il bigliettino e mi mordo le labbra. Sento che si sta muovendo sul banco, mentre provo ad afferrare la spiegazione del prof. Non so nemmeno la pagina, così lancio un’occhiata al libro di Ashley e velocemente sfoglio il libro per trovarla.

Arriva un altro bigliettino che cade sul libro. Lo apro mentre osservo il prof per controllare che non si stia accorgendo di nulla.
 
 

“per le ripetizioni di storia.”
 

 
Mi mordo le labbra, ovviamente gli servo soltanto per lo studio. Sbuffo, sono piuttosto arrabbiata ma anche delusa, non lo nascondo. Prendo la matita e ci giocherello un po’ prima di rispondere.

Il rancore per tutto quello che è successo non se ne è andato, nonostante abbia deciso di perdonarlo. Purtroppo sono una persona molto diffidente da alcuni lati, ma al contempo sono fiduciosa nelle persone.

Riesco quindi a perdonare facilmente e apparentemente riesco a continuare con l’amicizia com’era prima, ma dentro di me c’è sempre quel risentimento, quella sensazione di tradimento o di delusione che non riesco a mandar via e che rimane per sempre nella mia testa.
Queste emozioni negative hanno la meglio sulla carta del bigliettino.
 

“non lo so”

 
Lancio all’indietro il bigliettino, e proprio quando sento il rumore della carta che è atterrata sul banco, la campanella suona. Prendo tutta la mia roba in braccio e scappo via come una ladra.
 
 
 




 
Entro in mensa e supervisiono l’ambiente per vedere se c’è traccia di Michael. Non mi va di vederlo, non voglio parlarci perché finirebbe che devo spiegargli per quale motivo non lo aiuto di storia. E non mi va di aprirmi e dirgli che sono ancora arrabbiata e delusa da lui, ai suoi occhi mi farebbe sembrare la solita bambina vulnerabile.

Prendo un vassoio per posarci qualche cosa edibile, cercando tra la folla le ragazze, e afferro l'ultimo pezzo di pizza sul tavolo. Proprio quando sto prendendo la torta al cioccolato una mano si poggia sulla mia spalla e mi fa girare verso il suo proprietario. Un Michael leggermente alterato mi fissa dai suoi quindici centimetri di altezza in più di me. Mi prende il polso e mi trascina verso di lui, mentre comincia a camminare, mormorando un “Vieni”.
Mi scrollo di dosso la mano di Michael e ritorno al mio vassoio, prendo la torta al cioccolato e poi mi giro verso di lui. Lo supero andando verso l’uscita della mensa e ci lasciamo alle spalle il casino.

<< Se proprio devo parlarti, ho bisogno di qualcosa che mi addolcisca. >> gli dico senza guardarlo in faccia. Non so nemmeno la sua reazione alla mia frase ma poco mi importa.

Mi siedo sulle scale che portano al piano superiore e Michael mi segue, sedendsi vicino a me. Apena seduta vengo subito spinta nella conversazione da Michael.

<< Perché non mi vuoi dare ripetizioni? >> mi chiede immediatamente. Prendo a mangiare la mia pizza, con calma, e dopo aver mandato giù lo guardo.

<< Non so se sono libera questi pomerig…>>

<< Non mi prendere per il culo Phone, perché non vuoi vedermi?>>

Sospiro piano, ormai devo parlargli, così poso la pizza sul piatto e mi pulisco la bocca.

<< Tu pensi che sia facile perdonarti? - gli chiedo e lui assume un’espressione indecifrabile, tra il concentrato e il confuso – Mi dispiace Michael ma mi hai lasciato sola in una delle serate più belle dell’anno. Io mi fidavo di te… >>

<< Pensavo che ti fossi lasciata alle spalle quella serata.>>

<< Pensavo di si, ma a quanto pare non è facile da smaltire. E se tu fossi qualunque altra persona probabilmente avrei lasciato correre, ma eri un vero amico per me, e ciò che hai fatto non è stata una bella mossa da parte tua. Mi dispiace, ogni volta che ti vedo vorrei tornare amici come prima, ma c’è sempre qualcosa, come una vocina interiore, che mi dice che sono ancora molto arrabbiata con te. >>

<< La tua vocina non ha mai pensato che l’ho fatto per un motivo valido? >> mi chiede aspramente e alzo gli occhi. Pensa ancora di avere totalmente ragione, dopo come mi ha trattata.

<< La vocina mi dice che nonostante il tuo valido motivo tu potevi comportarti da amico e accompagnarmi a quel maledetto ballo. Anche tu sei in torto Michael, non solo io. >>

Riprendo la pizza e do un morso enorme, per fermarmi dal parlare ancora e condividere troppi pensieri. Michael si passa una mano sui capelli e mi guarda esasperato.

<< Cosa posso fare per farmi perdonare? - mi chiede. La speranza di sapere che lui vuole tornare amici come prima si riaccende, anche io lo voglio. – Mi servono quelle ripetizioni di storia.>>

Come non detto.

Lo guardo infastidita, spero stia scherando.

Alzo gli occhi al cielo e proprio in quel momento vedo Calum passare davanti a noi, così colgo l’occasione e alzo un braccio in segno di saluto.

<< Cal! >> quasi grido e il povero malcapitato si gira verso di me e si illumina, venendo subito verso di noi.

<< Ciao Seph, ciao Michael, che si dice?>>

<< La solita. Sai dov’è Mer? >> chiedo cercando di sviare la conversazione con Michael che sinceramente non mi va di affrontare.
Che domanda è come fare a farsi personare…

<< Si, sto andando da lei, sta ancora mangiando. La cercavi? >> mi chiede calum indicando verso l’entrata della mensa, così mi alzo, annuendo.

<< Si, urgentemente, una cosa da donne. - Faccio un gesto per liquidare la questione e mi giro verso Michael. – Parleremo poi, okay? >>

Anche se non vorrei parlare mai più. Non mi va proprio di discutere con lui, non so per quale motivo. Sento solo un sacco di cose diverse, tra rabbia, delusione, ma anche dispiacere per lui, per come mi sono comportata io.

Ignoro l’espressione esterrefatta di Michael, affianco Calum ed entriamo in mensa, mentre sento di essermi sollevata da una tensione inutile. Cerchiamo Meredith e la troviamo intenta a leggere un libro, con i piatti vuoti davanti a lei.

<< Ehi Mer! >> la saluta Calm e lei alza gli occhi sorridendo. Quando mi vede mi saluta e chiude il libro, mentre io e Calum ci sediamo.
I ragazzi chiacchierano un po’ del più e del meno, mentre io mangio pensierosa la mia torta, che sembra essere l’unica consolazione del giorno. Meredith si accorge del mio strano silenzio e mi spruzza di acqua, dopo aver immerso la mano nel bicchiere. La guardo male e Calum ridacchia.

<< Simpatica. >> dico passandomi una mano sul viso.

<< Calum ha riso. - si difende lei e io la guardo eloquentemente. Calum le pende dalle labbra quindi che rida ad ogni cosa anche lontanamente simpatica che faccia. - Che ti succede? Sei silenziosa… >>

Alzo le spalle e le faccio ricadere pesantemente, da dove potrei cominciare?

Calum, molto probabilmente, si rende conto che il suo incontro con Mer è diventato una comizio tra donne, così si alza in piedi.

<< Io vado a cercare Luke. >> proclama, poi si sporge verso Meredithe e le da un bacio sulla guancia, mentre a me ne lancia uno. Guardo il visetto di Mer andare a fuoco quando lui gira le spalle e ridacchio.

<< Siete cotti. >> decreto prendendo una forchettata di torta e Mer mi schizza di nuovo con l’acqua.

Continuo a prenderla in giro e lei molto timidamente mi dice di smeterla, che mi sentiranno fino in Madagascar. Ridacchio e lascio perdere la conversazione. Scommetto su mia nonna che entro la fine del mese si metteranno insieme, ma non glielo dico.

<< Ma parliamo di cose serie, che hai combinato tu? >> mi chiede e io finisco l’ultimo pezzo di torta ficcandomelo in bocca. Poso la forchetta e mi metto a gambe incrociate sulla panca, coprendomi con la gonna.

Comincio con il mio sproloquio, partndo dal ballo fino ad arrivare a cinque minuti fa e quasi non mi fermo più, fino a che Mer si alza e viene a sedersi vicino a me. Mi prende una mano e comincia ad accarezzarmela con le sue. Quando finisco lei aspetta un attimo prima di parlare.

<< Perché non ce lo hai detto quando siamo ritornate a casa a dormire? >> mi chiede leggermente preoccupata ed io alzo le spalle.

<< Non mi andava di raccontare tutto e rovinare la bella atmosfera con le mie lagne. >>

Meredith inclina la testa e mi guarda eloquentemente, alzando una mano con il palmo rivolto verso l’alto.

<< Beh, lasciando perdere il motivo per cui tu ce lo abbia nascosto, la prossima volta parlami. Non importa in che momento, puoi anche fermare il mio matrimonio, io ti aiuterò. >>

<< Grazie Mer. - mormoro, guardando le nostre mani. – Sai, c’è qualcosa, ma non so cosa, che mi fa stare veramente male per tutta questa situazione. In fondo è solo un semplice litigio tra amici, ma nella mia testa ha le dimensioni  di un enorme disastro. >>

Meredith mi guarda, scrutandomi bene, prima di parlare, come fa sempre. Inclina la testa, con aria pensierosa.

<< Non la prendere nel verso sbagliato… Ma ti sei mai chiesta se, in fondo, a te piaccia Michael? >>

<< Ma no, che dici! >> strabuzzo gli occhi sorridendo e lei alza le mani.

Scuoto la testa, non mi piace Michael.

<< Era una domanda. >> dice lei con voce serafica.

<< E io ti dico che non mi piace. Siamo solo amici. – ribadisco mettendomi a posto la frangetta. – Piuttosto, tu, con quello scuretto che ti pendeva dalle labbra. >>

La indico e lei arrossisce un po’, distogliendo lo sguardo e puntandolo verso la gente intorno a noi.

<< Mi piace da morire, Seph. – sussurra e io emetto un gridolino – Quando sto con lui sono i miei momenti preferiti della giornata, preferirei stare con lui che con James Dean. E poi mi accetta in tutti i mei difetti, o perlomeno, io mi sento accettata quando sto con lui, perché posso essere me stessa.>>

Meredith continua a parlare del suo mondo ad arcobaleni ed io, per qualche secondo, spengo il cervello. Avete presente quei pensieri articolati, quei ragionamenti lunghissimi, che ti portano ad una soluzione, che però si fanno in un centesimo di secondo?
Io mi sento così con Michael.

A lui non importa se sono strana, se mi faccio mille complessi sulla vita, sul comportamento da avere, su di me. A lui vado bene così come sono, o, come dice Mer, mi fa sentire come se gli andasse bene anche quando sono completamente me stessa.

Pensando a tutto il tempo che passo con lui, io in quei momenti mi sento libera di essere completamente me stessa. Con Michael non ho bisogno di fingere di essere diversa, anche solo per le piccole e inutili cose, come invece succede con tutte le altre persone.

Scuoto la testa, ritornando sulla mia amica e riprendendo il filo del suo discorso rose e fiori. Sorrido mentre le ribadisco che sono cotti l’uno dell’altra e che dovrebbero fare un passo verso l’altro, lasciando perdere la timidezza.

Suona la campanella del fine pranzo e mi dileguo dando un bacio sulla guancia a Meredith, prendendo a camminare velocemente verso il mio armadietto per prendere i libri.

Se quello che prova Meredith le fa piacere Calum, e quello che provo io è uguale a ciò che prova Meredith, allora a me piace Michael?

Allora a me piace Michael.
 







Hello.
Bonsoir a tutti, nuovo capitolo e big novità per la nostra eroina.
Eh lo so, la nostra Seph è forse un po' rimbambita ma alla fine ce l'ha fatta a realizzare come stanno le cose dentro di lei. Applausi.
Annuncio che sarò sicuramente in ritardo (mentale, ovvio) nella pubblicazione di capitoli perchè mi sono beccata quei rari virus esotici che si chiamano "esame di stato" e "sono nel panico perchè ho deciso la mia tesina ma uno di classe mia ha ben deciso di farla uguale a me e spiarmi quando ne parlo con i prof" quindi mi scuso in anticipo perchè sono una stronza.
Spero che leggere il mio capitolo non vi faccia schifo e peace and love per tutti.

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Baci.
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***





Sono davanti alla casa di Meredith e mi fa male la pancia.

Il mio abitino blu a righe bianche si riflette sulla pozza d’acqua davanti a me e per qualche secondo m’incanto a guardarlo, per cercare di ritardare il mio incontro con Mer. Ho preso un’importante decisione e, stranamente, non ho bisogno di Lola per parlarne.

Egocentricamente, ho bisogno di una persona a cui interessa veramente di me e che non mi stia a sentire solo per cinque minuti per poi sviare il discorso su se stessa, proprio quando io ho bisogno di un amico con cui parlare.

Faccio un bel respiro e mi incammino verso la porta di casa, mi metto a posto i capelli dietro alla schiena prima di bussare. Toc, toc. Aspetto qualche secondo e sento la voce della mamma di Mer, Serena, che mi urla che sta arrivando e poco dopo apre la porta, aggiustandosi i capelli.

<< Ciao Seph! Come stai, tesoro? >> mi saluta allegra ed io mi esibisco nella Seph più amichevole di sempre, non che ci voglia sforzo con Serena, che  sempre molto simpatica.

Si affaccia sulla scalinata per urlare a Mer di scendere e mi accompagna in cucina, cominciando a preparare del the e mettendo dei biscotti su un piatto. Ci scambiamo dei convenevoli sulla scuola e sulle cose futili della vita mentre la mia pancia non smette di farmi male, tale è l’ansia che mi sta divorando. Quando scende Mer, Serena prende le sue cose e ci lascia da sole, uscendo per andare a fare la spesa, così il mio stomaco si libera leggermente.

<< Non puoi capire quanto io abbia bisogno di parlarti. - attacco non appena sento la porta di casa chiudersi. Mer è leggermente sorpresa così fa un’espressione interrogativa ed io comincio il mio monologo. – Mi è venuta in mente un’idea che può provocare conseguenze o bruttissime, o bellissime, nessuna via di mezzo. >>

Meredith scoppia a ridere e prende il the per versarlo nelle due tazze che ci aveva preparato Serena. Afferro un biscotto e me lo infilo tutto intero in bocca.

<< O sei esagerata, o la tua idea è di entrare in una banca con passamontagna e fucile. >>

Sorrido, versando un cucchiaino di zucchero nella tazza. Mi appoggio sul tavolo, guardando Mer dritta negli occhi.

<< Mi piace Michael. - sputo. La reazione di Meredith non è quella che mi aspettavo: sorride seraficamente, soffiando sul suo the per farlo raffreddare. – Ma dai, credevo sputassi il the dallo stupore! >>

<< Seph, l’intero mondo stava aspettando che tu realizzassi questa cosa! Io e Cal ne stavamo parlando proprio ieri pomeriggio, è palese.>>
Mer prende un sorso dalla sua tazza ed io ripeto ciò che ha detto, imitandola con la voce in falsetto.

<< Quindi non c’è nessuna grande sorpresa? >> chiedo e Mer scuote la testa, ridacchiando. Mi abbandono sulla sedia, facendo la finta offesa.

<< Detto questo, qual è la tua grande decisione? >> mi chiede la mia amica soffiando sulla tazza per far raffreddare il liquido.

<< Ho deciso che glielo dico. >> soffio e Mer spalanca leggermente gli occhi, avvicinandosi a me.

<< Sei sicura? >> mi chiede ed io annuisco.

<< Me ne sono accorta l’altro giorno, quando tu parlavi di Calum e mi sono resa conto che ciò che provi tu per lui è esattamente uguale a ciò che provo io per Michael. È così strano, ma è così. >>

<< Alleluia! Mi hai fatto vincere la scommessa con Calum, io gli ho detto che te ne accorgevi prima della fine della scuola! - Mer sorride e batte velocemente le mani, poi prende le mie e le stringe tra le sue. – Devi assolutamente dirglielo! In sostanza, lui si è dichiarato, quando stavate sul tetto a scuola, quindi io penso… >> bla bla.

Mer si esibisce in un discorso di incoraggiamento, assicurandomi di quanto io piaccia a lui e quindi la cosa è reciproca e bla bla bla… il mio cervello si spegne un attimo e vedo solo la bocca di Mer che si muove e dei suoni indistinti.

La mia idea è di andare a casa sua e “dichiararmi” al suo cospetto. La sola idea, però, mi terrorizza. Da quando ho avuto questo pensiero, ho pensato di rinunciare tremila volte: un attimo mi sento fiduciosa e pronta ad andare da lui sicura e ottimista, un momento dopo le mie paure prendono il sopravvento e la mia testa mi dice che non ce la farò mai, che andrà tutto per il verso sbagliato.
Guardo Mer che attende un mio cenno vitale, così mi sveglio dal coma.

<< E se va male? >> quasi sussurro e lei inclina la testa.

Mer inclina molte volta la testa, dovremmo farle un collarino.

<< Data la situazione tra voi due, o lui ha battutto la testa e ha avuto un’amnesia, o andrà tutto bene, tesoro. >>

Mi mordo le labbra, riflettendo. Mer continua a parlare, cercando di tranquillizzarmi, e le sono veramente grata per questo. Ora però, tocca a me.
 
 


 
Cammino piano per il corridoio, cercando di non fare rumore. Vado verso la camera dei miei e apro leggermente la porta socchiusa, per vederli entrambi belli addormentati sul letto, accompagnati dalla sinfonia notturna del russare di papà. Accosto la porta e scendo le scale, prendo le chiavi sul davanzale e apro la porta con molta cautela, per non farmi sentire.

Sto sudando per quanto sono in ansia e il mio cuore va a mille. Prendo la mia bici e ci salgo su, mettendo i fiori che ho comprato per Mer sul cestino anteriore. Inizio a pedalare allontanandomi da casa e l’adrenalina che mi scorre nelle vene è pari al 99% della massa corporea.
Dio, sono una ribelle.

Pedalo velocemente, sentendo l’aria fresca della notte sul viso e non mi sono mai sentita meglio. Ci vuole poco meno di cinque minuti per arrivare a casa di Meredith in bici, così arrivo subito lì, senza nemmeno accorgermene.

Poso la bici sul muro dell’edificio e impugno il piccolo mazzo di fiori. Lo poso sul tappeto davanti al portone d’ingresso e sto un attimo a guadarlo, fiera di me.

Ritorno alla mia bici e ci salgo su, cominciando a pedalare velocemente, allontanandomi dalla casa di Mer. Per arrivare da Michael ci vuole leggermente di più, ma comunque poco, essendo tutti della stessa scuola è raro che qualcuno abiti dall’altra parte della città.
Man mano che mi avvicino alla casa di Michael sento la paura che si addensa sullo stomaco, come sempre. Sono un mix di adrenalina e paura, di smania di andare da lui ma anche bisogno di lasciar perdere. Il mio cervello sta andando in tilt, è come se le mie gambe ormai pedalassero da sole, non comandate dalla mia mente.

Arrivo in poco tempo sulla via della casa di Michael e rallento di botto, rendendomi conto del fiatone assurdo che ho, a causa della velocità e del poco esercizio fisico che faccio di solito.

Per riprendere fiato percorro la via a due l’ora, e dopo un centinaio di metri arrivo davanti all’edificio che stavo cercando. Sono venuta qua solo una volta e non ci sono mai entrata, avevo solo accompagnato Michael a lasciare la borsa prima di andare a fare un giro.
Poso la bici sul marciapiede, lasciandola a terra con noncuranza. Fisso la casa, immobile, mente la mia mente febbrile compone tremila scenari diversi di come potrà andare a finire.

Sono divisa tra l’ottimismo e il pessimismo: da una parte penso che andrà tutto bene, che gli piaccio davvero e che quindi avrò un lieto fine per la giornata. Dall’altra so che lui ha cambiato idea, che non gli interessa più di me, che era una cotta passeggera, o che magari nemmeno era una cotta e voleva solo qualcuno con cui pomiciare. Sto per abbattere la mia stabile sanità mentale, così faccio un passo verso la casa.

Cammino tremolante verso il retro dell’edificio, dove c’è la camera di Michael. L’unica volta che sono venuta qua, lui non aveva le chiavi, quindi abbiamo semplicemente posato lo zaino sotto la sua finestra. La camera è al piano terra ed ha una grande porta-finestra che collega la stanza al giardino.

Girato l’angolo dell’edificio arrivo verso la fatidica finestra. Le luci della camera sono accese, ma lievi, vuol dire che è ancora sveglio, o magari si è addormentato e le ha dimenticate accese, o forse si è svegliato per fare pipì.

Scuoto la testa, sto impazzendo. Mi appiattisco al muro, per fare qualche respiro profondo ed esaminare ciò che sto facendo.
Nonostante il vortice di pensieri nella testa e la coscienza di quanto sia paranoica come mai, lascio perdere tutto. Sento le mani tremare ma ormai non mi posso tirare indietro, ho preso la mia decisione e quella metterò in atto.

Conto fino a tre e mi affaccio alla finestra.

Il mio cervello si spegne.

Cacchio, ultimamente si spegne troppe volte.

Il mio corpo si paralizza istantaneamente, mentre sento le mani che involontariamente si chiudono a pugno. La scena che mi si presenta davanti agli occhi è qualcosa che nella mia mente non avevo immaginato, perché non avevo minimamente pensato che Michael potesse avere un’altra.

Lui è di spalle rispetto a me, ed è seduto sul letto, mentre una tizia castana che sta cavalcioni sopra di lui lo sta baciando. Riconosco che è lui dai capelli chiarissimi e dalle spalle, anche se tutta me stessa si sta sforzando per convincersi che magari non è lui, andando contro l’evidenza.

Mentre rimango ferma come un palo davanti alla finestra, sento qualcosa dentro al corpo, come se i miei organi fossero stati compressi. Non fa fisicamente male, però, la sensazione è semplicemente quella di un vuoto al posto della gabbia toracica.

 Mi rendo conto che adesso sto capendo tutte le persone che dicono di avere il cuore spezzato, e l’espressione è davvero giusta. Sono ancora immobile, impalata davanti al vetro e guardo i due, mentre sento le palpebre pesanti, come se finora avessi sforzato la vista. Chiudo gli occhi per qualche secondo.

Quando li riapro Michael e la tizia sconosciuta stanno cambiando posizione. La ragazza nel muoversi guarda verso la finestra e spalanca gli occhi, bloccandosi.

Mi muovo fulminea, scappando dalla sua visuale, e nemmeno io so dove trovo la reattività nel mio corpo, che era rimasto fino ad adesso immobile. Nel silenzio della notte sento la finestra che viene aperta mentre fuggo via, quasi scivolando facendo la curva dell’angolo dell’edificio.

Dopo quasi essere cascata decido di rallentare la corsa, finendo per camminare velocemente, sorpasso il pino davanti alla casa e prendo la mia bici da terra. Impugno con tutte e due le mani il manubrio e accompagno la bici sulla strada.

Improvvisamente sento una mano che mi stringe il braccio, che mi obbliga a fermarmi dal camminare. Michael mi si para davanti e la sua espressione mi  inchioda. Mi aspettavo di vederlo arrabbiato come una belva, invece il suo sguardo è confuso, come se gli fossi piovuta giù dal cielo, e forse è così.

Evito subito il suo sguardo, e mi scrollo di dosso la sua mano, camminando via da lui con la mia bici. Non riesco ad affrontarlo, non riesco nemmeno a guardarlo in faccia perché farlo è come aprire una ferita grossa come una voragine. Sapere che fino a qualche secondo fa era con qualcun’altra che non era me mi fa sentire male, mi fa schifo. Sento un leggero sintomo di nausea, e mi chiedo se sto esagerando io o è così che ci si sente in queste situazioni.

Dei passi mi inseguono e di nuovo Michael si mette di fonte a me, obbligandomi a fermarmi. Lo guardo male, e per la seconda volta lo supero. Prendo a camminare velocemente, per andare via da questa situazione.

<< Phone… >>

La voce di Michael è debole, non mi insegue, rimane lì.

Salgo sopra la bici e pedalo via da lui, a cento l’ora, e finalmente comincio a piangere, come la cretina che sono.









Hello.
Non ho nulla da dire se non grazie a chi legge, a chi passa di qui per caso, a chi apprezza le cacchiate che scrivo, rendete molto spescial tutto ciò.
Perdonatemi per il ritardo, ho avuto una settimana piena di emozioni, perchè nella mia scuola se sei racomandato sei aiutato, perchè voglio vivere in Austria tra i prati, le montagne e le capre, perchè il ballo di fine anno ha fatto schifo e io sono triste per questo mondo sfasciato.
Se volete parlare con me del disagio della vita, io sono qui.

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Baci.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***








Entro a scuola con la faccia di una pazza psicopatica che non ha dormito per tre settimane, e più o meno è così. Sono vestita non come al mio solito, ma con dei jeans e una maglietta bianca, sono così maschiaccio che la mamma mi ha detto se sto per trasformarmi in James Dean.

Magari potessi, così scapperei da questa scuola, da questa città, da questa vita.

Sposto la frangia ai lati del viso, ormai si è allungata fino al naso perché non ho mai avuto voglia di andare a tagliarmi i capelli, e chi se ne frega delle doppie punte.

Cammino pesantemente verso l’entrata della scuola e sono in ritardo, quindi nel cortile davanti all’edificio non c’è nessuno. Tanto meglio, così non devo avere la decenza di salutare o fermarmi a parlare con le persone. Trascino i piedi verso il portone e proseguo verso l’aula della prof d’inglese. 

Quando entro mi riprende per il ritardo e io mi scuso, giusto per non sentirla sbraitare. Come a solito, la mia forza vitale, che mi dovrebbe spingere verso una vita autentica nella quale sono realmente me stessa e faccio quello che voglio, è dormiente, e si adatta al mondo circostante. Probabilmente aveva ragione quello stronzo di Michael quando diceva che non vivevo veramente.

Michael, che palle.

Sono passati esattamente tre giorni da quella notte e per fortuna c’è stato il weekend di mezzo e lunedì di festa, quindi non ho dovuto sforzarmi per cercare di evitarlo qui a scuola, in più i miei sono andati dall’altra parte dello stato per il lavoro di papà, cosi non ho dovuto mantenere un comportamento decente e normale davanti a loro. Almeno fino ad adesso.

Quella sera mi ha lasciato sconvolta, quasi spenta, come se l’accaduto mi avesse risucchiato di ogni spinta vitale. Ho passato tre giorni sul letto, a dormire o a leggere, senza concludere assolutamente nulla di produttivo. Ho mangiato ogni ben di Dio che era in casa, compreso un panetto di burro, spalmato sopra ogni cosa che contenesse carboidrati. Non mi pettino i capelli da giorni e non so dove ho trovato le forze di farmi la doccia stamattina.

Non sento la lezione, ho il libro aperto a una pagina a caso, e scarabocchio sul quaderno, con il viso appoggiato sulla mano chiusa a pugno. Non riesco a gestire i pensieri, che si susseguono incontrollabili.

Continuo a pensare a quella notte, a ricordarmi e immaginarmi di nuovo il momento in cui l’ho visti e il momento in cui sono scappata, come una deficiente. Mi ritrovo a fantasticare su come poteva andare, cosa fosse successo se avessi parlato con lui, se mi fossi arrabbiata, se avessi lanciato un sasso alla finestra e avessi rotto il vetro, nonostante so che non l’avrei mai potuto fare.

La lezione passa in fretta, come quelle successive, ed io non apro bocca a meno che non sia interpellata. Non incontro i miei amici, né Michael, e sinceramente sto cercando di evitarli. Ho intravisto Luke e Calum nel corridoio, ma ho abbassato la testa e sono fuggita via.

Con mio orrore, mi rendo conto che devo andare in palestra, ma non mi sento in vena di affrontare un’elettrizzante lezione di ginnastica, anche perché mi sento piuttosto debole e ho male alla pancia. Mi chiedo quando mi deve ritornare il ciclo, ma di solito il mio è piuttosto regolare, e mi aspettano ancora quasi due settimane prima del suo arrivo. 

Entrando noto buttati per terra gli attrezzi che dovrei usare se facessi ginnastica: corde e pesetti. Inorridisco davanti a quegli arnesi e sono ancora più motivata nel voler saltare la lezione.

Mi dirigo verso il banco che funge da cattedra, cercando di essere più abbattuta possibile, non che mi serva sforzo, e vado incontro alla prof di educazione fisica, la morbida signora Winger. È alta un metro e cinquanta e larga altrettanto, ma il suo viso bellissimo e armonico non permette a nessuno di reputarla una brutta signora. 

Vado da lei e le spiego che non mi sento molto bene a causa del ciclo, mentendo spudoratamente, e lei comprensiva mi fa sedere su una panca, affrontando la situazione molto seriamente e prendendomi il viso tra le sue mani.

<< Ledger, tesoro, sei molto pallida. – mi dice leggermente in apprensione, mettendomi una mano sulla fronte per sentire la temperatura – E scotti un po’. >> aggiunge.

<< Ma no, prof, sarà colpa delle mestruazioni – ribatto subito, leggermente allarmata. – Non si sa mai cosa ci combinano, ogni mese. >>

La prof mi sorride e mi da una carezza sui capelli, allontanandosi per arrivare allo sportello con le medicazioni che abbiamo in palestra, tirandone fuori un termometro. Sbuffo piano, cercando di non farmi notare, la situazione mi sta sfuggendo di mano; non ho la febbre, voglio solo evitare di fare ginnastica.
La prof agita il termometro e mi dice di metterlo sotto il braccio, assicurandomi che mi richiamerà dopo cinque minuti per controllare. Alzo gli occhi al cielo e mi infilo il termometro sotto l’ascella, mentre in palestra entrano i miei compagni, vestiti con la tuta. Proprio quello che volevo evitare. 

Mer, Lola e Luke si avvicinano a me e cominciano a ciarlare inutilmente, preoccupati del mio stato, mentre io li rassicuro che forse è solo un’esagerazione della prof. Mer mi guarda preoccupata e, quando se ne vanno Lola e Luke, lei mi guarda con un’espressione interrogativa.

Io scuoto la testa, mimando che sto bene, ma lei non è convinta. Mi giro verso la porta della palestra e vedo entrare Michael.

Il mio corpo s’immobilizza e sposto subito lo sguardo verso la prof e i miei compagni, in fila per l’appello. Comincio a sudare freddo, e il mio cervello si spegne. Sento il suo sguardo addosso, e con la coda dell’occhio vedo che il suo viso è rivolto verso di me, ma lo ignoro, stavolta puntando lo sguardo sulle mie ginocchia.

I cinque minuti passano molto lentamente, mentre la prof fa l’appello ed io guardo i tutti i posti meno che verso Michael. Finito l’appello, i ragazzi sono mandati a correre in cortile e, quando escono dalla porta, io respiro. La prof viene verso di me e mi controlla il termometro.

<< Hai 37.5 tesoro, non è alta, ma è comunque febbre. Vai in infermeria, sapranno loro cosa fare. >>
Che palle, ora ci voleva anche la febbre.

Mi dileguo dalla palestra e saluto la prof assicurandole che andrò in infermeria. Appena uscita dalla porta della palestra però, giro verso lo sgabuzzino degli attrezzi e non verso l’uscita. Lo sgabuzzino è un bagno abbastanza grande da contenere palle di vario tipo, hula hoop appesi al muro, racchette da tennis e altre cavolate che non userò mai in tutta la vita.

Scivolo per terra appoggiandomi nel muro e mi sento al sicuro, insomma chi mai sarebbe potuto venire qui? Alzo la testa verso il soffitto, incantandomi a vedere le ragnatele sul muro e un ragnetto che si muove freneticamente.

Non so quanto tempo passa ma a un certo punto sento le gambe che mi fanno male per stare incrociate, così cambio posizione. Le allungo sul pavimento sporco, ignorando la polvere che mi entrerà anche nelle mutande, e continuo a fissare il ragno.

A un tratto sento uno scricchiolio proveniente dall’entrata della stanza che mi spaventa a morte: la porta è aperta ed entra Michael. Impreco nel mio cervello, mentre cerco di restare impassibile alla sua presenza, ma la situazione ha colto di sorpresa entrambi, lo vedo dalla sua espressione.

Rimaniamo per qualche secondo in silenzio, io non ho la minima voglia di cominciare a parlare, così sposto lo sguardo sui palloni.

<< Ehi. - sussurra lui. Rimane per un attimo bloccato e dondola leggermente, poi fa l’ultima cosa che volevo: cammina verso di me e si mi siede vicino, sul pavimento sudicio. – Come stai? >> mi chiede poi indicando la mia pancia.

Mi accorgo che la mia mano destra è posata sul mio addome, nemmeno me ne ero accorta. Alzo le spalle e mormoro un “così così”. Con la coda dell’occhio lo vedo che appoggia la testa al muro e alza lo sguardo verso il soffitto.

Stiamo così per un tempo che mi sembra interminabile, in silenzio.

<< Stavo scappando dagli esercizi con la corda della prof, tanto non si accorgerà mai che manco… - comincia a parlare lui ma io non mi giro verso il diretto interessato. Michael se ne accorge e vedo che gli da fastidio perché chiude le mani in pugni. Dopo qualche secondo le distende. – Vuoi parlare? >> 

Lo guardo stranita, più di quanto vorrei dare a vedere, e lui ritrae la testa di qualche centimetro da me. 
Silenzio, ancora.

<< Io vorrei parlare dell’altra sera… >> dice, iniziando di nuovo il discorso ma io non gli rispondo, di nuovo.

Non voglio parlarne, non voglio sapere nulla, voglio evitare completamente tutto ciò che riguardi qualcosa di quella sera. Non sono ancora pronta, sento che se ne parlassi potrei scoppiare a piangere per non finire mai più. Trovarmi in questo sgabuzzino con lui è la cosa peggiore che mi poteva mai succedere.

Sento un accenno di nausea che mi invade la gola e la pancia, ma cerco di non far notare il mio riflesso involontario che mi spinge a mettermi una mano sul collo.

<< Dai Phone, vorrei parlarne. – continua Michael ma un altro attacco di nausea mi invade e non ce la faccio più. Mi alzo in piedi, più lentamente di quanto vorrei, e comincio a fare un passo ma Michael mi afferra la caviglia. – Lasciami solo spiegare, per me quella ragazza non è nessuno, io…>>

Scuoto la gamba per togliermi di dosso la presa di Michael e apro la porta che era socchiusa, per dirigermi velocemente verso lo spogliatoio delle donne. Apro la porta del bagno.

<< Non puoi scappare per sempre Phone, dovrai parlarmi prima o… >>

Vomito nel water. Il mio corpo cade in ginocchio davanti alla tazza ed io riverso tutta me stessa dentro l’ovale. Ogni conato si trasforma in schifo che il mio corpo rigetta. Sento che i capelli mi vengono presi per venire spostati da davanti la mia faccia e tenuti fermi sulla mia schiena.

Michael mi sussurra di stare tranquilla e di buttare tutto fuori, mentre mi accarezza la schiena. Il mio corpo è scosso da tremolii che mi sconquassano anche gli organi interni. Dopo mezzo minuto è finito tutto.

Sento la bocca impastata e mi faccio ribrezzo da sola. Mi siedo per terra incrociando le gambe, mentre sto ancora tremando. Michael si inginocchia accanto a me e mi prende il viso tra le mani. Sento solo la preoccupazione di aprire la bocca perché la sento piena di schifo, ma lo faccio comunque.

<< Non voglio parlare di quella cazzo di serata.>>







Hello.

Buuoonasera a tutti.
Nuovo capitolo e mi scuso immensamente per la scarsità di azione e di avvenimenti presenti in queste quattro parole messe in fila. L'ho scritto una settimana fa e non ho nemmeno avuto la forza per modificarlo o (cercare di) migliorarlo.
Questi giorni sono stata risucchiata dallo studio matto e disperatissimo pre-maturità, quindi capitemi, sono un pochino occupata hahaha
Essendo una di quelle persone che studia tre ore a settimana, e quindi non avendo studiato una beata minchia durante tutto l'anno, in questi giorni ho fatto una full immersion negli argomenti della tesina e mi sto drogando di limiti, derivate e integrali...
E ancora non ho messo mano alle materie di terza prova!
Ma prendiamola a ridere, alla fine l'importante è la salute.
Per tutti gli sfigati che domani si troveranno a soffrire davanti alle tracce di italiano (scegliete l'analisi del testo, cazzata assurda), in bocca al lupo da parte di una stronza maturanda come voi.
Mi raccomando non fatevi prendere dal panico o sprecherete
tempo prezioso.
Tanto alla fine non conta un cazzo il voto con cui esci.
Però che ansia.
Ora vado a cantare "Notte prima degli esami" sotto scuola, giusto per stare allegri.
 
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Baci.
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***







Un rumore mi sveglia. Un rumore secco di cui, però, il mio cervello addormentato non riesce a riconoscere la provenienza. Lascio stare, mi giro dall’altra parte del letto, verso la finestra.

Stavolta vedo chiaramente l’oggetto incriminato che provoca di nuovo il rumore. Un punto bianco si riversa sul vetro della mia finestra, che mi sono scordata di coprire con le persiane, e poi rimbalza via. Mi tiro su di botto, con il cuore che accelera esponenzialmente per lo spavento.

Mi metto in piedi e vado verso la finestra per aprirla e so già cosa mi aspetta. Mi affaccio e trovo nel mio giardino Michael. Mi sta guardando contrito, muove una gamba spasmodicamente e appena mi vede alza una mano in segno di saluto. Annuisco ed esco poi molto silenziosamente dalla mia camera, per scendere in giardino.

Trovo Michael seduto sull’amaca che si sta mangiando le unghie, come ai vecchi tempi. Mi sorride ed io non posso far altro che esibirmi in un leggero sorriso, quasi involontario. Mi siedo vicino a lui, facendo attenzione a non farci cadere entrambi. Passiamo alcuni secondi in silenzio, poi lui emette un lungo sospiro. 

<< Ehi… >> dice soltanto, togliendosi di bocca la mano che stava tormentando con i denti. Fa un lungo tiro dalla sigaretta che tiene nell’altra mano e poi sputa fuori, facendosi inondare dal fumo.

 Io gli sorrido lievemente, guardandolo solo per un attimo negli occhi. Mi stendo sull’amaca, finendo per guardare il cielo stellato. Michael mi segue a ruota e passiamo altri secondi in silenzio prima che io prenda l’iniziativa. 

<< Che ci fai qui? >> gli chiedo e lui mi guarda, sorridendo in un modo molto strano, non so che abbia ma non sembra il Michael normale. C’è qualcosa di strano nei suoi occhi, che sono leggermente socchiusi, quasi offuscati.

<< Volevo parlare con te. >>

<< Per le ripetizioni? >> chiedo un po’ aspramente e lui ruota gli occhi tornando poi a guardarmi in modo eloquente.
 
<< No, bambina acida che non sei altro. – replica, buttando fuori il fumo verso di me. Gli do una botta con la spalla e lui ridacchia, per poi ritornare serio. – Volevo solo chiarire la situazione. >>

Sposto lo sguardo sul cielo, mi pesa così tanto dover anche solo pensare a questa “situazione” ma ormai devo farlo. Non posso rimandare per sempre quindi tanto vale parlarne ora.

<< E cosa volevi chiarire? >> chiedo girandomi verso di lui, che fa un lungo respiro. Si alza con il busto per buttare la sigaretta per terra e spiaccicarla con il piede. 

Lo guardo incredula, è impazzito. Se mio padre vedesse una sigaretta nel giardino, andrebbe su tutte le furie. Prendo la sigaretta e la lancio dietro all’amaca, per farla finire nel giardino dei vicini. Michael mi guarda seccato, come a pensare che sia ridicola.

<< Comunque, io volevo chiarire, volevo parlare ed esaminare questo fatto: ci sei rimasta male di quella sera. – afferma gesticolando abbondantemente ed io annuisco, ritornando a guardare il cielo. – Beh mi dispiace! >> 

Quasi lo urla e io velocemente mi sporgo verso di lui per coprirgli la bocca con la mia mano, intimandogli di fare silenzio. Capisco cosa non va, il suo alito sa di alcool e tutto si spiega. Inorridisco al cattivo odore e lo guardo male.

<< Hai bevuto, stupido? >> gli chiedo e lui fa segno di un piccolo bicchiere, con pollice e indice. 

Alzo gli occhi al cielo. Non sapevo che si buttasse con l’alcool in momenti come questi. Mi ristendo sull’amaca, cercando di stargli un po’ lontana. 

<< Oh, non giudicarmi Phone. – mi dice improvvisamente serio – Pensi che io stia bene? Forse non ti rendi conto che non sei solo tu quella che soffre, non sei solo tu la vittima in questa situazione. >>

<< Non ho mai detto di esserlo, infatti.>> ribatto scuotendo la testa, mi sta dando fastidio.

<< Ah, e pensi che io non mi accorga di come ti stai comportando con me, che mi scivoli tutto addosso? – Alzo gli occhi al cielo, Michael non sta bene, nemmeno riesce a rispondere coerentemente alle mie parole. - Mi rifiuti, poi ti offendi se ti rifiuto io, non mi parli per settimane, poi quando cerco di riavvicinarmi a te ed essere tuo amico, tu ti incazzi perché nella mia vita non esisti solo te. >>

Lo guardo, non so se essere divertita o arrabbiata. Finalmente sta sputando tutto fuori, anche se so che non è del tutto volontario, ma spinto dall’alcool. 

<< Ah e tu avresti cercato di riavvicinarti a me? – gli chiedo e lui annuisce convinto – Con le ripetizioni?>>

Michael alza le spalle, come se non vedesse un altro modo per risolvere le situazioni. Alzo gli occhi al cielo e mi tiro su, mettendomi in piedi e offrendogli una mano per farlo alzare. Lui la ignora, tirandosi su a sedere sull’amaca.

<< Io cercavo di fare pace. >> dice acidamente, come se fosse stata la cosa più normale del mondo da fare.

<< Ah e chiaramente tu non vuoi ricostruire le tue amicizie ricreando un sincero sentimento di fiducia reciproca ma cerchi di avere di nuovo ripetizioni da parte dell’altro perché “ti servono”. >> 

Mi pento di averlo detto non appena finisco di parlare, sono stata troppo melodrammatica, ma tanto Michael mi sta guardando perplesso.

<< Non ho capito. >>

Alzo gli occhi al cielo, per l’ennesima volta nella serata. Non posso “chiarire la situazione” se lui è in questo stato, così gli prendo le mani per farlo alzare e lui si assesta in piedi, dopo aver leggermente barcollato. 

<< Ce la fai a tornare a casa? >> gli chiedo ma lui si sta guardando le mani, assente. 

Freno la voglia di distruggerlo che mi divampa nel corpo, questo ragazzo non saprebbe nemmeno abbassarsi i pantaloni da solo per fare pipì, figurati tornare a casa senza nessun aiuto. La crocerossina che è in me esce fuori, anche se non molto allegramente.

Gli prendo il polso, dirigendolo verso la mia bici appoggiata vicino al cancello di casa, la prendo ed esco, facendo uscire prima Michael. Sulla strada salgo sulla bici, guardando poi Michael.

<< Sali dietro e reggiti a me. >> gli ordino e lui, leggermente malfermo, si siede sul portagiornali dietro al sellino. Quel pezzo di ferraglia ha portato tutte le mie amiche da sempre quindi reggerà anche un diciottenne, no?

Comincio a pedalare dirigendomi verso casa di Michael, che è stretto con le braccia attorno alla mia vita, e spero che l’aria fresca che ci viene incontro lo faccia riprendere. Spero di non incontrare nessuno in giro, perché immagino che figura di merda: in pigiama, con i capelli da “ mi sono appena svegliata” e senza scarpe, che porto in bici un ubriaco. 

Che bellezza.

Michael sembra essere entrato in coma ma sento la presa salda delle sue braccia e spero non gli venga un colpo di sonno e cada. Emette un biascico che somiglia al mio nome ma gli do poca importanza, accelerando per arrivare al più presto. Dopo pochi secondi Michael parla di nuovo, mugugnando il mio nome, e sento la sua guancia che si muove a contatto con la mia schiena.

<< Che c’è? >> gli chiedo decelerando leggermente e lui si stacca dalla mia schiena, così rallento di botto per sapere cosa vuole. 

Ancora con la bici in moto, anche se quasi ferma, Michael scende dal mio bolide e si riversa su un prato limitrofo alla strada, buttandosi a quattro zampe. Allarmata dal suo comportamento, scendo subito dalla bici buttandola con poca grazia sulla strada e vado verso di lui.
Michael comincia a vomitare ed io mi inginocchio davanti a lui, posandogli una mano sulla schiena, senza sapere bene cosa fare. Gli dico di stare tranquillo, che ci sono io vicino a lui.

Dopo mezzo minuto di schifo Michael si tira su, sedendosi sulle ginocchia e mettendosi le mani sulla pancia. Gli accarezzo la schiena, come lui aveva fatto con me nemmeno una settimana fa, e lo guardo per controllare come sta.

<< Ho finito. >> annuncia in un sussurro, così lo faccio alzare per allontanarci dalla scena del crimine. Lo faccio camminare fino alla fontanella che sta in mezzo al praticello, lo incoraggio a bere e bagnandomi le mani gli inumidisco la fronte, sperando che serva a qualcosa. 

Ci sediamo per terra, per mancanza di panchine, e Michael si stende sul prato. Respira pesantemente per qualche secondo, poi si gira verso di me. Cerca la mia mano con la sua ed io la prendo, stringendola.

<< La situazione si è ribaltata. >> dice ed io gli sorrido, tirandogli dietro i capelli dalla fronte con la mano libera.

<< Sì, ma io stavo male veramente, non avevo bevuto fino a star male. >> ribatto e lui alza gli occhi al cielo, sorridendo.

<< Sai, è tutto più attutito quando c’è l’alcool in circolo nel corpo, è piacevole stare in questo limbo. È come se fossi in una stanza
insonorizzata e ovviamente il tempo passa, ma non mi fa più male niente, né male fisico, né male psicologico. Mi scivola tutto addosso. >>

<< Non puoi restare in questa maledetta stanza per sempre, lo sai vero? >> gli dico e lui alza gli occhi al cielo.


<< Oh, Phone, piccola Phone. Ma che ne vuoi sapere tu di quello che mi passa per la testa? >>

<< E cosa ti passa per la testa?>>

Michael mi guarda per qualche secondo, come se dovesse decidere se fossi degna di avere una risposta o no, poi si mette seduto davanti a me, guardandomi negli occhi. Le sue iridi mi attraversano il cervello, facendomi ricordare chiaramente cosa provo per questo deficiente.
Quando lo sguardo diventa troppo lungo, tanto che mi sembra che stia durando le ore, abbasso gli occhi, guardando le mie gambe scoperte, nella posizione strategica in cui tutte le mie grazie sono coperte. 

<< Ti amo. >> 

Ascolto un sussurro provenire dalla persona che mi sta davanti, ma io non alzo gli occhi per ricambiare il suo sguardo insistente. Sento il cuore che accelera, pompando sangue a cento all’ora, provocandomi una vampata di calore.

In un attimo tutti i miei desideri, le mie speranze, i miei sogni, sono stati avverati. Ciò che provocano quelle due semplici parole in un istante è un senso di completezza, come se non mi servisse altro nella vita. D’istinto lascio le mani di Michael, chiudendole a pugno sulle mie gambe. 

Lui mi ama. 

Il mio cervello sta ancora elaborando le informazioni quando io alzo finalmente lo sguardo verso Michael, ma mi trovo davanti ad un’altra persona, un ubriaco che si arrende alla vita, facendosi cullare dai fumi dell’alcool.

Involontariamente i miei occhi si riempiono di lacrime, appannandomi la vista. Sbatto le palpebre, facendo cadere le due goccioline sulle mie guance. Michael si allarma, sporgendosi verso di me e asciugandomi la pelle con le sue mani. Prendo i suoi polsi e mi levo di dosso le sue mani, alzandomi per tornare alla bici. 

<< Ehi! >> esclama mentre mi afferra un braccio, bloccando la mia camminata. Cerco di trattenere le lacrime mentre lo guardo e vorrei dirgli qualcosa ma la mia voce non c’è più. 

Mi libero dalla sua presa e mi allontano di un paio di passi da lui. Faccio un lungo respiro, per cercare di calmarmi velocemente. Lo guardo e lui è in attesa, vedo che sta aspettando che io dica o faccia qualcosa. Non so da dove prendo il coraggio per parlare, e non so come ma riesco a parlare decentemente, mantenendo quel briciolo di dignità che mi rimane.

<< Io ti amo Michael. – Fa uno strano effetto dirlo ad alta voce e mettere a parole tutto quello su cui ho riflettuto per un tempo interminabile. È quasi liberatorio, ma per poco. – Ti amo veramente, ma in questo momento non sei più la persona di cui mi sono innamorata. >>

Michael è una statua davanti a me, mi guarda sconvolto, come se avesse davanti a lui la fine del mondo. Il cuore mi si stringe a lasciarlo così, su questo prato a quest’ora, ma mi giro e vado verso la mia bici.

Salgo sul sellino e lo guardo per un secondo, ancora fermo lì che si passa una mano tra i capelli. Comincio a pedalare verso casa e quasi sto per rigettare il mio stesso cuore quando mi sento chiamare, ma pedalo ancora più veloce. 







Hello.

Un saluto a tutti!
Mi dovete scusare per l'assenza ma ho passato due settimane immersa nei libri di scuola per questi stronzissimi esami, e adesso, dopo lacrime, sudore e incazzature, ho il mio voto che non mi servirà mai a nulla nella vita.
Che gioia.
Ma parliamo della seconda prova del liceo scientifico e di quei cazzo di problemi.
Io boh, senza parole.
Okay che il mio prof era vicepreside e non ci ha fatto fare nulla quest'anno, ma io, non si sa come, ero riuscita a prendere entrambe le volte 11 su 15 alle simulazioni di quest'anno. E poi? Boom. Seconda prova assurda che ha rovinato i voti di mezza scuola ed ha assicurato alla sottoscritta un meraviglioso 6 su 15 che penso me lo sognerò fino a quando sarò vecchia.
Ma chissenefrega.
Dopo gli esami io e i miei amighi ci siamo concessi una settimana di relax che ha previsto un giro per le sagre di tutti i paesi della provincia a ballare "sia-amo i watussi sia-amo i watussi" e il concerto di Calcutta (io amo quel'uomooo) a Roma che era fondamentalmente una sagra, stavolta di erba, ma non sto parlando di spezie.
Quindi dopo aver fatto il pieno di fumo passivo di canne siamo ritornati alla base e io ho scritto questo mirabolante capitolo che spero che vi piaccia.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***








La penultima ora dell’ultimo giorno di scuola. Ormai nessuno presta attenzione a quello che ha da dire il prof di Inglese, tantomeno io, che sto intrecciando una piccola ciocca di capelli.

Stanotte, lasciato Michael sul prato, non sono riuscita a dormire, intervallando qualche momento addormentata e lunghi periodi sveglia, e le conseguenze di ciò sono delle oscene borse sotto agli occhi e una mancanza di vitalità che mi rendono un fantasma. Solo dopo un lungo minuto d’intreccio arrivo alla fine della ciocca e, osservando la lunghezza della treccia, penso che forse dovrei veramente tagliare la mia chioma.

Alzo lo sguardo verso i miei compagni che, assenti, fanno finta di seguire la lezione e non vedono l’ora che la campanella suoni. Mi tiro su con la schiena, poggiando i gomiti sul banco, e guardo fuori dalla finestra, pregustando la tanto desiderata libertà.

Finalmente la campanella suona, e tutti quanti scattano alla porta, per andare fuori in corridoio a parlare con la gente. Seguo la corrente di persone e appena esco dalla stanza incontro le mie amiche, con cui comincio a chiacchierare di cose futili, troppo esaltate.

Dopo poco ci dividiamo, andando ognuna al proprio corso ed io mi avvio per le scale, per scendere al piano inferiore dove c’è il laboratorio di scienze. Non faccio in tempo a finire la prima rampa che sono chiamata da una voce famigliare da sopra le scale.

Mi giro verso di Michael, che mi viene incontro, scendendo velocemente i gradini. Le sue pesanti occhiaie violacee e i suoi occhi stanchi tradiscono la notte insonne, forse anche peggiore della mia, data la sbronza che si è preso.

<< Sei vivo. >> attesto incrociando le braccia e lui fa una smorfia, inclinando la testa.

<< Solo per metà. Ho un mal di pancia… >>

Annuisco, come per fargli sapere che lo capisco.

<< Sai, proprio ieri ho letto che assumere alcool in grande quantità può avere effetti collaterali non piacevoli. >>

Lui fa un sorriso sghembo e per nascondere che sto sorridendo anche io ricomincio a scendere le scale e lui mi segue a ruota, per poi allungare il passo e mettersi davanti a me.

<< Che lezione hai? >> mi chiede e io so già che ha in mente di farmela saltare.

<< Chimica. >> rispondo, incrociando di nuovo le braccia per aspettare che mi chieda ciò che gli frulla per la testa.

<< Quanto conta, secondo te, l’ultima lezione di chimica dell’anno scolastico? – Alzo gli occhi al cielo, come volevasi dimostrare. – Tanto vi faranno fare qualche esperimento scenografico giusto per tenervi in classe. >>

<< Va bene, salto la lezione. – concedo e lui sorride. Mi giro, cominciando a salire sulle scale. – Andiamo sul tetto. >>

Michael obbedisce subito all’ordine e insieme percorriamo il corridoio per arrivare alle scalette che conducono al tetto.

Non so bene come comportarmi con lui dopo ieri sera, ormai i sentimenti di entrambi sono stati rivelati, ma ovviamente io non sono completamente sicura di cosa provo. Da una parte sento di volerlo con tutta me stessa, ma dall’altra so che la persona che si è mostrata negli ultimi giorni non è quella di sempre.

Saliti sul tetto, stiamo qualche secondo a osservare le città dall’alto e poi ci stendiamo per terra. Mi rivolgo con il viso al sole, chiudendo gli occhi e sperando di guadagnare qualche tonalità più scura sul mio viso albino.

<< Seph, io voglio parlare, una volta per tutte. >>

Apro gli occhi, lanciandogli uno sguardo. È sdraiato con le braccia incrociate dietro la nuca e mi sta fissando con quei suoi occhi che con tutto questo sole sono leggermente socchiusi. Non ho mai capito bene di che colore abbia gli occhi, sembra un misto di azzurro, vede e grigio, ma molto chiaro.

Torno a guardare il cielo, ispezionando le nuvole.

<< Comincia tu. >> gli dico e sento che si muove leggermente sul pavimento. Si mette di fianco e si appoggia su un braccio, così da poter incrociare il mio sguardo anche se sono distesa.

Prova a parlare, prende fiato, ma poi non esce nulla dalla sua bocca. Lo vedo che si sta scervellando quindi gli vado incontro.

<< OK, comincio io. – dico e lui fa un lungo respiro. Mi metto seduta e incrocio le gambe e lui fa lo stesso. – Io in questi giorni ci ho riflettuto tanto, ci ho veramente pensato su e ho capito cosa provo. Io ti voglio veramente bene, e stare con te sono, anzi erano, i momenti più belli della giornata… >>

<< Anche i miei! >> esclama Michael ed io lo guardo male, facendogli capire che mi deve far finire di parlare. Lui ammutolisce.
<< Ma mi hai dimostrato che la persona di cui mi sono innamorata – il mio cuore accelera quando dico queste parole e sento il respiro che si intensifica – era solo una piccola parte di te, io credevo di conoscerti del tutto ma in realtà avevo scoperto solo la punta dell’iceberg. Tu non sei la persona che credevo che fossi. >>

Michael è in silenzio e mi guarda con uno sguardo straziante, che uccide ogni singola fibra del mio corpo. A malincuore continuo a parlare, per dirgli tutto, finalmente.

<< Questi ultimi giorni mi hai dimostrato che non sei quello che credevo, e non ti voglio giudicare o criticare o quant’altro, semplicemente non mi piace questa persona. Non mi piace una persona che va con la prima che capita, che si sfonda d’alcool per aiutarsi a superare le difficoltà. Io ti amo ma non mi piaci. >>

Michael ha un viso che mi fa soffrire come non mai, ha degli occhi così afflitti che sento che mi si stringe il cuore, letteralmente. Vorrei solo accarezzargli il viso e abbracciarlo e non so come riesco a frenare le mie braccia.

Sento il groppo alla gola che mi preannuncia le lacrime.

<< Quella persona sono sempre io. >> sussurra e i miei occhi si appannano. Li sbatto forte, per cercare di schiarirmi la vista, inutilmente.

<< Si ma non lo sapevo. >> La mia voce si rompe e una lacrima scende sulla mia guancia.

<< Ma come fai? Mi dici che mi ami ma non mi ami del tutto. Che significa, io non capisco che vuol dire, come puoi amarmi solo un po’? >>
Michael alza leggermente la voce e io alzo gli occhi al cielo.

<< Non lo so, come potrei saperlo? >> gli dico, asciugandomi gli occhi.

<< Allora non mi ami. Perché non riesci ad accettare anche i miei difetti? Questo non è amore. >> ribatte lui.

<< Non lo so, so solo che non mi piace, come può piacermi che vai a puttane come se non fosse nulla? >>

La mia voce si alza senza che io me ne accorga e Michael si passa una mano nei capelli. Mi tiro indietro con la schiena, rendendomi conto che inconsciamente mi sono sporta verso di lui.

Michael fa un lungo respiro, scuotendo leggermente la testa.

<< Bene, vedo che chiarire con te è molto produttivo. Senti, fai una cosa, vai a sfogare le tue frustrazioni su qualcun altro e smettila di prendermi per il culo. Ti amo, non ti amo, ti amo solo una parte. Tu ami solo le parti che ti fanno comodo, e ti informo che questo non è vero amore, e questo tuo comportamento è molto meschino perché alla fine quello che sta male veramente sono io. Quello che è veramente innamorato sono io e non tu. >>

Rimango allibita alle sue parole e lo fisso mentre lui si alza e prende il suo zaino da terra.

<< Facciamo così, non vediamoci mai più, okay? È meglio per tutti. >>

<< Spero che tu stia scherzando. >> le parole mi scappano di bocca senza passare per il cervello. Mi alzo in piedi mentre lui mi fissa con uno sguardo di sfida.

<< Perché dovrei scherzare? >> mi chiede incrociando le braccia.

<< Io ti amo. >> lo urlo e penso mi abbiano sentito nel raggio di cinque kilometri, ma Michael è impassibile.

Sono io quella arrabbiata, sono io quella dispiaciuta e triste per questa situazione. Michael scuote la testa e comincia a camminare verso l’uscita.

<< Ti prego Michael… >>

Si ferma e si gira, alzando leggermente le braccia.

<< Cosa vuoi fare Phone? Cambiarmi? Lo sai che non mi adatto a nessuno. Tu mi devi accettare per quello che sono. >>

Le lacrime scendono piano sul mio viso, per fortuna oggi non mi sono truccata.

<< Non so come fare. >> quasi sussurro.

<< Non mi piace fare il melodrammatico, o dire quei cliché dozzinali ma a quanto pare non siamo fatti l’uno per l’altra. >>

<< Mi dispiace. >> soffio e lui alza le spalle.

Mi scosto i capelli che mi stanno venendo sul viso a causa del vento e lui tentenna un attimo prima di parlare di nuovo.

<< Ci vediamo. >>

Non rispondo, non ne ho la forza. Inerme, lo guardo andare verso la porta e cominciare a scendere le scale, sparendo dalla mia vista.
Solo adesso le lacrime cominciano a scendere intensamente, ed è quasi liberatorio. Mi siedo per terra, vicino alla mia borsa.

Guardo Michael uscire dal cancello di scuola, prima della fine dell’ora, e riesco solo a piangere più forte. Solo dopo qualche minuto riesco a smettere di piangere e cominciare a calmarmi. Sento la campanella suonare e l’aria si riempie di suoni di ragazzi che escono dalle loro classi. Aspetto che se ne vadano tutti, non ho voglia di vedere nessuno.

Non mi resta che piangere.







Hello.
Come ormai penso siano tutti i liceali, io sono in vacanza. e ciò provoca una pigrizia allucinante che non mi permette nemmeno di trovare la forza per alzare un braccio e scrivere la mia dannata storia.
Stanotte parto per la Grecia e sono elettrizzata a certi livelli, ma da ciò ne consegue che la prossima settimana non aggiornerò ma vi prego non mi lasciate hahah
Anche perchè forse ho in mente il finale da dare ai miei due personaggi, forse perchè oggi pomeriggio ho visto "Me Before You" e ho pianto per tre quarti d'ora incessantemente e quindi sono triste e quindi mi è venuto in mente cosa scrivere.
Bene, vado a vestirmi per partire alla volta di Fiumicino.
Tanti cari saluti e auguratemi che ci siano dei bei figoni nel posto in cui vado. Adios.

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Baci.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***







Prendo la cartella dal pavimento e scendo in cucina, dove papà beve il suo the mentre legge il giornale, prendo due fette di pane e ci spiaccico sopra la marmellata. Mamma è davanti all’entrata di casa e si sta mettendo gli orecchini di perle allo specchio.

<< Mi piace come ti sei vestita oggi, tesoro. >> mi dice ed io sono piacevolmente sorpresa.

Mi guardo le calze grigio scuro fino al ginocchio, la mia gonna bianca a vita alta e la maglietta dello stesso colore dei calzini. Mi ha fatto una paternale lunga una quaresima quando ho cominciato a non mettere più le calze color carne, dicendo che era volgare scoprire così le gambe alla mia età, ma direi che ora si sta abituando. Di solito le dava molto fastidio quando mi vestivo diversamente da come voleva lei, come quando, una volta all’anno, mettevo i blue jeans e mi guardava con rimprovero per un giorno intero.

Le sorrido e la saluto, uscendo di casa e prendendo un morso di pane. Mi era mancato fare la strada per scuola durante quest’estate, le persone che si affrettano in giro, qualche rara macchina, il mio amico fornaio Jack, che saluto con un sassolino lanciato alla finestra, come sempre quando la trovo chiusa.

Ho passato tutta l’estate in Nuova Zelanda dai miei nonni, dopo aver a lungo pregato i miei di lasciarmi stare tutto il tempo e non solo poche settimane come sempre. Mi serviva un periodo di stop, del tempo per stare lontana dalla mia vita solita per poter pensare e calmarmi.

Direi che ne avevo estremamente bisogno, dovevo staccare da tutto per poter vedere le cose da un’altra prospettiva. Aiuta veramente tanto lo stare lontana dai problemi per poterli risolvere, perché se ci sei immersa ne sei sopraffatta non capisci più nulla.

Ed era così per me: la mia amicizia rovinata con Lola, il non riuscire ad avere una vita vera in cui mi sentivo veramente me stessa, i sentimenti per Michael.

Ora sono pronta, ho riflettuto, mi sono scervellata e adesso sto bene, o almeno sono determinata a fare qualcosa per cambiare la mia vita in meglio.

Entro nel cortile della scuola, salutando dei ragazzi che stavano fuori dal cancello a fumare, e sento di essere osservata, come se la gente mi stia guardando. Magari è solo una mia impressione, ma sicuramente anche sul piano fisico sono cambiata molto quest’estate. Tra compagni di scuola ci si conosce tutti e sicuramente staranno vedendo la differenza tra la Seph di mesi fa e quella di ora. Fino all’anno scorso le calze, le gonne lunghe di tessuti orrendi, le camicie e i maglioncini occupavano il novanta percento del mio armadio, e solo raramente mettevo cose diverse, soprattutto per andare a scuola.

In quel modo si vestono tutte le ragazze nel raggio di mille kilometri, quindi vedermi vestita diversa sia da me che da loro, anche se di poco, richiama attenzioni. Non mi importa se mi stanno guardando, anche se mi mette leggermente in imbarazzo, e continuo a camminare, ignorando gli sguardi alla mia gonna che arriva poco sopra al ginocchio.

Avvisto le mie amiche, sedute sul muretto come ogni santo giorno, che mi guardano sorridendo e sono sinceramente felice di vederle. Vado loro incontro, velocizzando il passo quando vedo che si alzano in piedi e finiamo in un abbraccio pieno di urletti e saltelli.

Dopo esserci calmate, Sophie mi prende una ciocca di capelli in mano sussurrando un “Oh mio Dio” e io alzo le spalle.

Gran parte dei miei lunghissimi capelli sono finiti in un cestino della spazzatura neozelandese, tagliati dalla parrucchiera di mia nonna, e adesso sono rimasta con un caschetto lungo quasi fino alle spalle.

<< Che cosa hai combinato? >> chiede Meredith spalancando gli occhi.

<< Ti stanno bene, però. >> aggiunge Lola e mi tocca la spala per farmi girare, così mi esibisco in una giravolta per farle vedere i capelli da ogni angolazione.

<< Questo taglio è la nuova moda del momento. >> spiego.

<< Sul serio? >> chiede Lola.

<< No. – dico e lei mi da un buffetto sulla spalla – Ma a me piaceva. Non sapete quento era bello sentirli leggeri sulla testa in confronto alla massa di capelli di prima. >>

<< E questa gonna! >> esclama poi Meredith, continuando a chiacchierare di sciocchezze del genere.

Parliamo un po’ e mi rendo conto che mi sono veramente mancate in questi mesi. Nonostante io sia stata bene lontana da casa, ho sentito veramente tanto la loro mancanza, la mancanza di qualcuno su cui appoggiarsi, a cui posso parlare. Glielo dico e ci abbracciamo di nuovo, tutte insieme.

Lancio uno sguardo a Lola, la nostra amicizia non è più quella di una volta, quella che avevamo da bambine, ma non importa, vorrei che restassimo amiche anche se non c’è più quel legame esclusivo che avevamo prima. Ho capito che le amicizie di qualcuno riflettono sempre la personalità della persona, ed essendo noi cambiate rispetto a quando eravamo bambine, forse non siamo più adatte ad un’amicizia che ci legava come sorelle. Non per questo però dobbiamo disconoscerci del tutto, dobbiamo solo allentare la corda.

Non ho nemmeno bisogno di dirglielo ad alta voce, la guardo sorridendo mentre lei ricambia, e spero che mi capisca. Ho sofferto molto la sua assenza, arrabbiandomi quando si scoprivano contrasti tra di noi che prima non c’erano o a cui non facevo caso, ma ora non importa più.

Quando l’abbraccio si stacca, ho un groppo alla gola, così deglutisco e cominciamo a camminare verso il portone della scuola, seguendo il suono della campanella. Mi stacco dalle ragazze per andare in bagno, presa da un improvviso bisogno di fare pipì, così cammino veloce verso il bagno più vicino.

Spalanco la porta con molta enfasi per poi bloccarmi all’entrata: Michael si sta lavando le mani in uno dei lavandini, ed alza lo sguardo quando sente la porta, fermandosi anche lui a fissarmi. Per qualche attimo i nostri occhi si inchiodano gli uni negli altri e il mio cervello non riesce a catalogare le informazioni che riceve, mandando il cuore in tachicardia.

Mi scuoto interiormente e guardo lo stemma sulla porta per controllare se il bagno è quello giusto, ma la donnina sull’insegna mi da ragione.

<< Sono io nel bagno sbagliato, deliberatamente. >> dice Michael divertito e io gli sorrido, cercando di essere più normale possibile.

<< Per caso mi devi raccontare qualcosa? Magari qualcosa che hai nelle mutande che mi hai sempre nascosto? >>

Michael ridacchia e mi accorgo che sono in estasi per quel rumore.

<< No, è che i bagni delle ragazze sono in condizioni migliori di quelli dei ragazzi, noi abbiamo tutte le porte bucate. >>

Sorrido e gli vado vicino, per toccargli i capelli. Sono leggermente più lunghi del solito e neri corvini, che risaltano molto la sua carnagione pallida.

<< Cos’hai ricombinato? Sai che ti cascheranno se continui a tingerli, vero? >> gli dico e lui inclina la testa, spalancando leggermente gli occhi.

<< Stavolta la domanda è: che cacchio hai fatto tu ai capelli? >>

Sorrido, scuotendo la testa per far muovere i capelli, mentre lui fa un piccolo applauso, così gli do una spinta, che ammortizza sorridendo.

<< Erano molto rovinati, era ora di tagliare tutte le doppie punte. >>

<< Non credo sia solo questo il motivo, ma mi piacciono così diversi, sei cambiata in meglio. - Non smetto di sorridere, mentre lui indica i miei vestiti. – E mi piace come sei vestita oggi, finalmente non hai più le gonne a quadri fatte dalla nonna. >>

<< Ho cambiato gusti nell’abbigliamento. >> spiego alzando le spalle.

<< O forse hai cominciato a vestirti come ti piaceva. >> ribatte lui e io abbasso la testa, colta nel fatto.

<< Anche. – mormoro e lui sorride – Sto cominciando a stare meglio nel mio corpo con addosso i vestiti che mi piacciono. Con questo piccolo cambiamento sento di essere più me stessa e, indovina, mi vado bene così come sono. >>

<< Sai, non vedevo l’ora di sentirti dire cose del genere; dopo una vita alienata da te stessa, finalmente sei sbocciata ed hai dispiegato le ali verso la tua emancipazione. - dice platealmente, aprendo le braccia, ed io gli do un colpo sull’addome, ridacchiando. Michael parla esagerando, buttandola sullo scherzo con melodrammaticità, ma so che crede veramente a quello che sta dicendo. – Sei rock. >>

Mi apro in un sorriso enorme a sentire le ultime parole e faccio finta di togliere la polvere dalle spalle. La campanella suona di nuovo, segno che dobbiamo assolutamente andare in classe, e mi rattristo nel pensare che devo lasciarlo perché sembrano passati solo tre secondi da quando sono entrata in bagno.

Ci salutiamo, con un leggero imbarazzo, il suono della campanella ha come rotto l’atmosfera che si era creata, riportandoci alla realtà. Cammino verso la mia classe, non ho nemmeno fatto pipì.
 
 


 


Sospiro.

Trascino la mia bici fuori di casa, velocemente mi metto in sella e parto, con il mio piccolo faro anteriore che si accende e mi illumina la strada. Di nuovo, sto per andare a casa di Michael e le intenzioni sono quelle dell’altra volta. Speriamo però che stavolta gli esiti non siano come quelli della volta scorsa.

Mi riviene in mente la serata e la rivedo tutta, ricordandomi bene come ci sono stata male. Immersa nei pensieri il tempo passa in un lampo e sono già arrivata sulla strada della casa.

Quando sono davanti all’edificio mi manca il coraggio, quindi lo supero, continuando a percorrere la via. Scuoto la testa, frenando.

Mi giro di centottanta gradi e riparto alla volta della casa. Inaspettatamente però, una figura esce dal giardino dell’abitazione, in cui riconosco Michael dalla camminata. Che cavolo ci fa in giro a quest’ora? Nella mia mente si formano tante ipotesi, forse sta andando dalla sua ragazza/prostituta, starà andando a bere, o forse, magari, starà andando verso casa mia.

Racimolo tutto il coraggio che ho in corpo e lo uso per accelerare verso Michael. Sono rock, giusto? Me lo ha detto lui stesso oggi quindi sarà vero.

Lo chiamo, con un verso rotto come se fossi in fin di vita, e subito dopo mi schiarisco la voce. Lui si gira, decisamente sorpreso di vedermi qui, a quest’ora.

<< Ehi. – mi dice, mentre io lo raggiungo e scendo dalla bici, buttandola per terra con poca grazia. – Così corti i tuoi capelli diventano ancora più da pazza quando sono spettinati. >>

Lo ringrazio mettendomi una mano sul cuore e lui ride.

<< Allora, dove vai in giro? Lo sai che non è raccomandabile andare in giro di notte. >>

<< Venivo da te. - butto fuori e lui inclina leggermente la testa, sorpreso. – E tu che fai? >>

<< Venivo da te. >>

Annuisco e faccio un lungo respiro, e quando vedo che lui prende aria per parlare lo blocco alzando una mano. Devo dirgli tutto e devo farlo ora che ce l’ho qui di fronte, o non lo farò mai più.

<< Allora, quest’estate l’ho voluta passare lontano da qui per riflettere su me stessa, e non sono solo arrivata al fatto che mi piace come mi fanno sentire le gonne corte, ma ho capito cosa provo per te. – Michael fa un passo verso di me e mi prende le mani. Ormai sono a mille e non vedo l’ora di sputare tutto fuori, lo guardo negli occhi e porca miseria quanto sono belli. – Quando stiamo insieme io sono sinceramente me stessa, Michael. Con te sento di poter essere me nella più completa libertà, mi sento libera come se fossi a casa, con te mi sento a casa. Stare con te è come tornare nella mia camera dopo una lunga giornata, togliersi il reggiseno, mettersi nei vestiti più comodi, senza dover stare attenta a mantenere sempre un certo contegno, perché sono nel mio posto. Tu mi fai sentire così Michael ed è così strano, così nuovo per me, ma non voglio stare lontana da te. >>

Non mi rendo conto di non aver quasi respirato durante il mio soliloquio e sinceramente non so se ho detto tutto seguendo un filo logico e una correttezza grammaticale, ma poco importa. Michael mi accarezza il viso e sento la pelle bruciare sotto il suo tocco, quasi non riesco a guardarlo negli occhi.
Prende un lungo respiro e poggia la sua fronte sulla mia.

<< Tutto quello che hai detto è ciò che stavo cercando di farti capire da un tempo smisurato. Tu mi vai bene così come sei, non devi essere nessun’altro che non sia te stessa con me, e io mi sento allo stesso modo. – Come al solito mi fa sentire una bambina, che arriva sempre dopo a realizzare come stanno le cose. Ma va bene così. – Io ti amo in tutto il tuo essere, nessuna eccezione. Insieme siamo a casa. >>

Non stacco gli occhi da lui, non voglio e non riesco. Le mie braccia circondano il suo collo e le sue mani scorrono sulla mia vita, era da così tempo che non ci abbracciavamo. Gli do un colpetto sul naso con il mio e vedo la sua testa che si inclina leggermente.

Chiudo gli occhi mentre le nostre labbra si incontrano, mentre il mio cuore salta fuori dal petto dall’emozione. Ci allacciamo ancora di più mentre il bacio si approfondisce e non sento il bisogno di fare, essere o dire qualcosa perché è tutto perfetto così com’è.

Dopo un tempo che non saprei quantificare ci stacchiamo, lentamente, e guardandoci negli occhi cominciamo a ridacchiare, senza nessun motivo.

<< Che facciamo adesso? >> mi chiede, lanciando uno sguardo alla bici per terra vicino a noi.

<< Andiamo a suonare i campanelli degli sconosciuti? >>










Hello.

Finalmente cari amici, questa straziante agonia è finita, andiamo a fare i fuochi d'artificio.
Dai non se ne poteva più, ammettiamolo.
Sono ritornata ieri dalla mia strabiliante vacanza di distruzione e oggi ho scritto il capitolo, ma quanto sono brava? Ditemelo, dai.
Sinceramente non so se fare un epilogo, magari un "come e dove sono finiti i due luridi protagonisti a distanza di dieci anni, staranno insieme? Avranno figli? A Michael sono caduti tutti i capelli?" 
Chi lo sa... Forse.
Bene cari ragazzi, vi lascio, au revoir.


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Baci.

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