The Nonary Game

di Walpurgisnacht
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un caloroso benvenuto a lorsignori da parte di un mastermind che non è Monokuma ***
Capitolo 2: *** I ragazzi cominciano a farsi un'idea del senso dell'ospitalità di Zero ***
Capitolo 3: *** Si inizia a ballare sul serio ***
Capitolo 4: *** Quando un'amante delle ciambelle si incazza ***
Capitolo 5: *** Tre stanze numerate per tre grossi casini ***
Capitolo 6: *** Un nuovo nome si aggiunge sulla scacchiera ***
Capitolo 7: *** Elucubrazioni, cospirazioni e l'inizio di una crisi di coscienza ***
Capitolo 8: *** Tranquillo Byakky, non sei l'unico ad essere nei casini ***
Capitolo 9: *** Avanti, tutti seduti attorno al fuoco a raccontare storie dell'orrore ***
Capitolo 10: *** Teorie bizzarre e speculazioni spericolate ***
Capitolo 11: *** La gente più insospettabile può farti da maestro, sai? ***
Capitolo 12: *** Alla fine complottari o no? Voi che dite? ***
Capitolo 13: *** Chissà, magari la corsa a ostacoli vi aiuterà in qualcosa ***
Capitolo 14: *** Una ricostruzione dei fatti forse attendibile o forse no ***
Capitolo 15: *** Avanti truppa, dividiamoci e che ce la mandino buona un'ultima volta ***
Capitolo 16: *** Sposta questo, sposta quello, fai attenzione all'attacco sul fianco sinistro... ***
Capitolo 17: *** Va bene, va bene, finalmente la togliamo la maschera a Zero ***
Capitolo 18: *** Corri Byakky, corri come non hai mai fatto prima nella tua ricca e comoda vita ***
Capitolo 19: *** Il povero Makoto ha bisogno di una pacca sulla spalla ***
Capitolo 20: *** Bene Giovani Marmotte, preparatevi a uscire dalla tana del lupo cattivo ***
Capitolo 21: *** Allora tutti d'accordo, siluro sulla corazzata della Kibougamine in E4 ***
Capitolo 22: *** Extra - Scelte diverse, conseguenze diverse, finale diverso ***



Capitolo 1
*** Un caloroso benvenuto a lorsignori da parte di un mastermind che non è Monokuma ***


Note necessarie:

Se vi state apprestando a leggere questa bestia (ma c’è davvero qualcuno che ha intenzione di farlo? :°D) avrete bisogno di qualche spiegazione.

Questa storia è un AU di Dangan Ronpa ispirato da 999, gioco per 3DS sviluppato dalla Spike Chunsoft (sì, gli stessi di Dangan Ronpa): le situazioni e le meccaniche che troverete, quindi, saranno prese da 999, e se lo conoscete forse sapete cosa aspettarvi.

Forse.

Per chi non lo conoscesse, in breve: nove persone si ritrovano intrappolate in una nave con al polso un braccialetto elettronico che sul display ha un numero (i numeri vanno ovviamente da 1 a 9). Quei numeri servono per aprire le famigerate porte numerate tramite radice digitale (verrà spiegata nella storia). E chi ha messo questi poveretti là dentro? Il fantomatico Zero. E cosa vuole questo Zero da loro, e perché l’ha fatto? Ora chiedete troppo, ragazzi miei.

Di conseguenza per far funzionare il Nonary Game abbiamo inserito due personaggi di SDR2 (Peko e Kuzuryuu) nella classe 78 per arrivare a 18 studenti. Non compaiono nella storia ma vengono nominati, ci è sembrato giusto spiegare prima il perché della loro presenza.

Inoltre, per esigenze di trama, alcune cose sono leggermente diverse (ad esempio, Jin Kirigiri è vivo ed è il preside della Kibougamine, e il rapporto tra lui e Kyouko è un po’ migliore che nel gioco). Abbiamo inserito anche un po’ di easter eggs sparsi qua e là, riferiti sia a Dangan Ronpa che a 999. Riuscite a trovarli tutti? :D

Questo è quanto, e se dopo queste note infinite avete ancora voglia di leggere… siete dei coraggiosi. O dei pazzi. XD

Un grazie a francy20000 che ha betato questa storia!

 

L’associazione a delinquere Mana Sputachu & Subutai Khan.


 

***

 

L’unica cosa che ricordava era che si trovava sull’aereo, e poi uno schianto terribile.

Aveva creduto di essere morto, ma poi aveva aperto gli occhi e aveva fatto male. Era la conferma che, in qualche modo, era ancora vivo.

E gli altri? era stata la domanda successiva.

Makoto si sforzò di alzare la testa: il dolore era forte, ma sopportabile. Mentre cercava di mettere a fuoco la scena attorno a sé cercò di riportare alla mente quanto era successo: ricordava il viaggio in aereo, il chiacchiericcio dei compagni di classe, Oowada che prendeva in giro il povero Ishimaru… e poi la turbolenza e lo schianto. Ciò che stava in mezzo al momento non riusciva a ricordarlo. Cercò di guardarsi attorno per vedere come stavano gli altri: qualcuno era ancora svenuto (o quantomeno se lo augurava), qualcun altro stava riprendendo conoscenza e i due assistenti di volo si stavano occupando di chi aveva bisogno. Apparentemente erano tutti ancora vivi.

“Naegi-kun?”

La voce di Kyouko Kirigiri gli fece tirare un sospiro di sollievo.

“K-Kirigiri-san, tutto ok?” chiese, rendendosi subito conto che data la situazione era una domanda incredibilmente stupida, ma lei non sembrò notarlo: “Un po’ ammaccata e frastornata, ma poteva decisamente andare peggio.”

“Meno male” si lasciò sfuggire con forse troppo trasporto.

In quel momento ci fece caso. L’interno del veivolo non sembrava reduce da un incidente: non penzolavano le mascherine dell’ossigeno, non erano scoppiati airbag, non un solo sedile era stato sradicato dalla propria sede.

Anzi, tutto sommato la situazione appariva abbastanza tranquilla. Certo, i lamenti e i versi della gente che si stava riprendendo da uno svenimento facevano intendere che qualcosa fosse ben successo, ma non dava davvero l’idea di un disastro in piena regola.

“Mannaggia al porco, che male! Ho preso una craniata pazzesca!” urlò Oowada mentre, con un movimento rabbioso, si slacciava la cintura di sicurezza. Aveva un taglio sulla fronte ma, a parte quello, non parevano esserci ulteriori danni. Makoto si aspettò di vederlo vomitare fuoco e fiamme.

Pian piano tutti e nove rinvennero e si appurò che, ammaccature assortite a parte, si stava piuttosto bene. Per un attimo si pensò che Mukuro potesse essersi rotta un braccio, ma fu lei stessa a smentire rimarcando con orgoglio che una ex Fenrir è fatta di tutt’altra pasta e non basta un piccolo disguido come quello per metterla fuori uso.

“Ok gente, vado a parlare col pilota per capire cosa diamine è successo” disse ancora Mukuro, prendendo l’iniziativa a nome di tutti loro. Gli steward la seguirono a ruota.

“Sì, buona idea” le diede manforte Sakura, impegnata a cercare di calmare quella poveretta di Aoi che stava tremando come una foglia.

Passarono pochi minuti, poi lei, il pilota e gli assistenti emersero dalla cabina di comando.

“Dunque” iniziò lui “innanzitutto vi chiedo scusa per l’atterraggio brusco. Abbiamo attraversato una turbolenza e siamo stati costretti a compiere una manovra di emergenza. Purtroppo non siamo riusciti a raddrizzare l’aereo e ne abbiamo perso il controllo. Per fortuna mi pare di vedere che stiate tutti bene”.

“Sì, poteva andare peggio. La ringrazio a nome dei miei compagni per l’ardita impresa che ha portato a termine, consentendoci di uscirne relativamente integri” disse Ishimaru con il suo modo di parlare magniloquente. Makoto si permise una risata mentale.

“Ha idea di dove possiamo trovarci adesso?” chiese Kyouko.

“No, onestamente no. Gli strumenti di bordo sono rimasti danneggiati nell’impatto e non abbiamo modo di stabilirlo”.

“Capisco” fu la laconica risposta, con il suo classico grattarsi il mento. A Makoto scappò una risatina quando sentì Mondo lamentarsi: “Ma… questa non è Sapporo! Dov’è il museo della birra?!”

“C-Che vogliamo f-fare adesso? S-Siamo dispersi non si sa dove… chissà se gli altri s-stanno bene...”. Tutti si girarono verso Touko Fukawa, l’autrice di questa domanda, perché in quel momento aveva dato corpo ai loro più tetri dubbi. Lo stesso Makoto soppresse una vocina stridula nel retro della sua testa.

“Propongo di andare in esplorazione” sentenziò Byakuya Togami, al solito freddo come un iceberg “per farci un’idea del luogo in cui siamo disgraziatamente finiti. Magari possiamo rimediare un posto adatto per passare la notte”.

“Non sarà pericoloso, m-mio bianco cavaliere?”

“Non sono il cavaliere bianco di nessuno. Incredibile a dirsi la tua obiezione non è così stupida, ma tieni presente che fra di noi ci sono il Super Soldato, la Super Artista Marziale e il Super Gorilla”.

“Scion di ‘Staceppa! Ti rivolto come un calzino!”.

“Santo cielo” si lasciò sfuggire Aoi, a quanto pareva ripresasi completamente “non cominciate a litigare voi due! La situazione è abbastanza delicata già così, non credete?”.

Ci misero un po’ ma la pace venne ristabilita.

Decisero di uscire tutti assieme in perlustrazione, mentre il pilota e il suo secondo restavano a bordo per cercare di riaggiustare la strumentazione e tentare un contatto radio con la torre di controllo più vicina.

Stavano per andare (a riprova del fatto che l’incidente era stato molto meno grave di quanto potevano pensare non servirono scivoli strani o scappatoie d’emergenza) quando Makoto notò, per puro caso, Kyouko che dava un’occhiata dietro di sé e la colse in uno strano stato d’animo. Sembrava… turbata.

“Qualcosa non va, Kirigiri-san?”.

“Eh? No no, tutto ok. È solo che…”.

“Che?”.

“No, nulla. Andiamo. Non facciamo aspettare gli altri”.

Qua gatta ci cova. Non è tipo da elucubrare gratuitamente. Che cosa potrebbe sospettare o temere, però?

Decise di lasciar perdere, non serviva a nessuno star lì a farsi domande forse inutili.

Raggiunsero il resto della combriccola che aveva già provveduto a mettere i piedi a terra. Un rapido sguardo gli fece subito realizzare che si trovavano su un’isola, data la spiaggia non poi troppo distante dalla loro posizione.

Direi che questo non è un atollo tropicale pullulante di turisti. Almeno, di solito in quei posti vicino al mare c’è sabbia finissima e non quel cumulo di terra e sassi che vedo.

Risolsero di andare verso l’entroterra.

Il giro ricognitivo durò più del previsto. Dopo alcune ore non avevano ancora trovato un segno di presenza umana e ormai il sole stava per tramontare.

Poi, con il morale sotto ai tacchi e le prime lamentele sulla fame, la sete e tutto il resto…

Di fronte a loro si stagliò come per magia un palazzo. A vederlo così, dall’esterno, assomigliava alla facciata di qualche chiesa medievale europea… stando a quel poco che Makoto ricordava in merito dalle lezioni di architettura.

“Oh. Un edificio. Cosa vogliamo fare, entriamo?” chiese Aoi in tono innocente.

“Certo, entriamo pure in un edificio sconosciuto, senza sapere cosa potemmo trovarci dentro” le fece eco Togami, “edificio che tra l’altro non dovrebbe neanche trovarsi qui perché non mi risulta che l’architettura gotica sia tipica delle isole tropicali. Assolutamente non sospetto, neanche un po’.”

Aoi si incupì, nascondendosi dietro Sakura; tuttavia, seppur con la mancanza di tatto che lo aveva sempre contraddistinto, lo Scion aveva detto una cosa giusta: quell’edificio simile a una cattedrale stonava in un posto come quello, e non avevano alcuna certezza che dentro potesse non esserci un qualche pericolo.

Dopo qualche attimo di silenzio Makoto decise di parlare: “Sentite, Togami avrà anche ragione, ma che alternative abbiamo? Perlustrare tutta l’isola? Non sappiamo quanto è grande e potrebbero volerci giorni visto quanto ci abbiamo messo a trovare questa specie di chiesa” disse, e tutti convennero che non aveva torto. “Direi che potremmo entrare a dare un’occhiata, magari vedere se c’è del cibo o qualche aiuto…”

“O una radio” intervenne Ishimaru, “suppongo che quella dell’aereo sia danneggiata, e non abbiamo modo di contattare l’aeroporto… o l’altro aereo” aggiunse funereo, e un senso di angoscia sembrò calare su tutti loro: il preside aveva deciso di avvalersi di un aeroporto privato per quella gita scolastica (la Kibougamine poteva permettersi questo ed altro), dividendo la classe in due gruppi e facendola viaggiare su due aerei.

Makoto si chiese che fine poteva aver fatto l'altro aereo e il resto degli studenti: anche loro avevano avuto difficoltà con la turbolenza? Si erano schiantati? Erano ancora vivi? Che ne era stato di Maizono, di Yamada, di Pekoyama, di Kuzuryuu?

Queste e altre mille domande affollarono la sua testa, ma purtroppo non aveva ancora risposte. Si scambiò un veloce sguardo con Kyouko alla ricerca di un aiuto, e dopo un veloce cenno d'assenso, quasi avesse intuito cosa gli passasse per la testa, fu lei a prendere parola: "Io propongo di seguire il suggerimento di Naegi-kun" disse, "ora come ora c'è la possibilità di trovare pericoli qui fuori come là dentro" indicò l'edificio, "con la differenza che lì magari troveremo qualcosa di utile per la nostra sopravvivenza. Inoltre, nonostante ci siano volute un paio d'ore di cammino, il percorso è stato piuttosto lineare e ritrovare la strada per l'aereo non dovrebbe essere particolarmente difficile.”

Ci fu qualche istante di discussione in cui chi era d'accordo con Makoto e Kyouko cercò di fare pressione sugli indecisi, ma alla fine decisero tutti di entrare a dare un'occhiata a quel luogo strano e fuori posto: ci volle l'aiuto di Sakura e Mondo per aprire il pesante portone, ma quando riuscirono ad entrare si trovarono davanti uno spettacolo assai bizzarro.

"Ok... tutto mi aspettavo tranne che questo" borbottò Mondo, guardandosi attorno insieme agli altri.

"Ma non doveva essere una chiesa?" domandò Aoi a Togami, che le scoccò un'occhiata torva: "Ho detto che sembrava una chiesa, ma non potevo certo immaginarmi che dentro fosse... questo" disse, indicando lo spazio attorno a loro: al posto della navata centrale c'era un grande salone riccamente decorato, con al centro una scalinata che portava presumibilmente a un secondo piano; al posto delle navate laterali c'erano invece diverse porte apparentemente chiuse. Chiunque avesse costruito quel posto doveva essere fin troppo eccentrico, pensò Makoto.

Un tonfo li ridestò dai loro pensieri, e quando si voltarono per cercare di intuirne la provenienza notarono con orrore che il portone era chiuso.

"Maledizione, è sbarrato!" ringhiò Oowada, che insieme a Sakura si era lanciato contro la pesante porta nel vano tentativo di riaprirla.

Si scambiarono sguardi interrogativi, quando un altro rumore simile a statica riecheggiò nell'enorme salone.

Un istante di silenzio, poi una voce metallica parlò.

"Benvenuti."

Per un attimo i ragazzi si guardarono basiti, non capendo cosa stesse succedendo. Senza il minimo rispetto per il loro sbigottimento la voce riprese: “Mi presento, il mio nome è Zero. Sono il proprietario dell’edificio in cui vi trovate al momento, e non solo. Sono proprietario di un’altra cosa. Le vostre vite”.

In un petosecondo fu un susseguirsi di urla e proteste, che la voce prontamente ignorò: “Ora stringo fra le mie dita i vostri soffici colli e posso romperli in qualunque momento. Ma sarebbe troppo facile e nonostante tutto ingiusto persino per voi peccatori. Pertanto, nella mia immensa magnanimità, ho deciso di concedervi una possibilità di salvezza. Prima di spiegarvi, però, è tempo che vi facciate una dormitina”.

Nessuno fece in tempo a dire nulla che dal soffitto cominciò a diffondersi per la stanza uno strano gas verdastro.

“Maledizione, dev’essere sonnifero!” sbraitò Mukuro portandosi istantaneamente una manica a protezione delle vie respiratorie “Non inalatelo!”.

“Come f-facciamo?” guaì Touko “Si sta diffondendo o-ovunque!”.

“Proteggetevi!”.

Makoto non si fece pregare e tentò di fare quanto gli era stato suggerito, ma la considerazione di Fukawa si rivelò ovviamente veritiera e in pochissimi minuti si sentì venir meno. Al contrario suo che rimase fermo e con i sensi che si affievolivano si accorse dei nuovi, ripetuti tentativi di Mondo e Sakura di scardinare il portone. Ovviamente falliti. Riuscì giusto a constatare, con un pizzico di delusione, di essere forse il primo a cedere.

Ugh.

Maledizione, che mal di testa terribile…

Fu questo il primo pensiero a galleggiare nella sua mente quando rinvenne.

Ci mise un secondo a tirarsi in piedi, anche grazie all’aiuto degli altri che a quanto pareva erano rinvenuti prima di lui. Tanto per cambiare, eh.

“Naegi” sentì uno sgradevole richiamo alle proprie spalle “prova a guardarti le mani”.

Riconobbe Togami-san ma non seppe spiegarsi il perché di quanto aveva detto. Nonostante quello ubbidì e… ohibò, cos’era quel robo sul suo polso sinistro?

Lo girò per guardarlo meglio. Era come un orologio piuttosto ingombrante, solo che non aveva un quadrante con le lancette e sullo schermo campeggiava un grande 3 colorato di rosso.

Buttò un occhio sui suoi compagni e puntualmente, al polso di ognuno di loro, c’era un aggeggio simile.

“Che numero sei, Naegi-kun?” chiese con sin troppo entusiasmo Aoi. Come se la cosa non la inquietasse minimamente.

“Io ho il tre. Perché, voi?”.

“Eeeeeeeeeh, io l’uno! Numbah one!”. Quella esagerata manifestazione di gioia da parte della Super Nuotatrice venne accolta da grugniti e altri suoni non esattamente felici.

“Bene, la vostra dormitina è conclusa e ho potuto stabilire il mio predominio” riprese senza alcun preavviso la voce metallica, che a farci caso sembrava provenire da ovunque e da nessuna parte “I braccialetti che ora indossate rappresentano il vostro marchio vitale e dovrete sempre tenerlo presente perché, per aprire le varie porte che troverete sul vostro cammino, dovrete fare la radice digitale dei rispettivi identificativi. Ricordandovi che per aprire una porta dovrete sempre essere almeno in tre, non di meno”.

“Eh?” non poté trattenersi dal chiedere Makoto, al quale il concetto di radice digitale era davvero oscuro.

“Te lo spiego dopo” gli rispose Togami, molto ciarliero per i suoi standard. Certo, ebbe la gentilezza di un rottweiler ma d’altronde…

“In pratica è la somma delle somme” si inserì Kyouko. Al mutismo rassegnato di Makoto lei sbuffò, probabilmente convinta di non dover scendere oltre nei dettagli: “Ad esempio la radice digitale di 628 è 6+2+8, 16, 1+6… è 7”.

“Ok, ora ho capito” annuì lui, meno convinto di quanto appariva ma se non altro non del tutto spaesato.

“Aoi Asahina, numero 1. Touko Fukawa, numero 2. Makoto Naegi, numero 3. Mondo Oowada, numero 4. Sakura Oogami, numero 5. Byakuya Togami, numero 6. Kiyotaka Ishimaru, numero 7. Kyouko Kirigiri, numero 8. Mukuro Ikusaba, numero 9. Voi siete i miei piccoli topi da laboratorio e non vedo l’ora di assaporare la vostra disperazione. Sarà la giusta punizione per farvi pagare i vostri torti. Questo è il Nonary Game e sarà la vostra tomba”.

“Torti? Quali torti?!” ringhiò Oowada verso un punto non ben precisato della sala, ma la voce di Zero ignorò la sua domanda: “Quasi tutte le porte di questo edificio possono essere aperte, ma solo nove sono quelle importanti. Ognuna di esse sarà marchiata con un numero tra uno e nove, e per entrare avrete bisogno della radice digitale che dia quel numero specifico. Inoltre ogni porta avrà un dispositivo di scansione delle impronte digitali, che permetterà l’apertura della porta solo a chi ha il numero corretto sul braccialetto. Una volta entrati avrete nove secondi per toccare l’altro dispositivo gemello, pena l’iniezione tramite il braccialetto prima di un anestetico e poi di un rilassante… che vi fermerà il cuore.”

L’apatia con cui spiegò loro il modo in cui sarebbero morti se non avessero seguito le indicazioni fu, almeno per Makoto, la cosa più agghiacciante.

"Questo è quanto."

Con quest'ultima frase Zero si congedò, lasciandoli nella confusione più assurda.

"E ora cosa facciamo?" chiese qualcuno con voce tremante, probabilmente Aoi. "Dobbiamo... dobbiamo fare quello che dice?"

"Ma neanche per sogno! Mi rifiuto di abbassarmi ad eseguire gli ordini di chicchessia, men che meno qualcuno che non ha nemmeno il coraggio di farsi vedere in faccia!"

Quella frase, detta con un tono incredibilmente altezzoso, non poteva che essere di Togami, e gli squittii di approvazione di Fukawa ne furono un'ulteriore prova.

"Che mi venga un colpo se per una volta non sono d'accordo con lo Scion di 'Staceppa!" ringhiò Mondo, "Non ho intenzione di obbedire agli ordini di un pazzo!"

Ci volle poco perché gli animi si infervorassero e la discussione degenerasse, dividendo il gruppo tra chi condivideva il pensiero di Togami e Oowada e chi invece si opponeva del tutto ritenendola una follia.

Makoto rimase in silenzio, incerto se intervenire o no, quando qualcuno alle sue spalle attirò la sua attenzione: "E tu cosa ne pensi?"

Si voltò di scatto verso Kyouko, la quale osservava impassibile gli altri sette litigare animatamente: "Pensi sia meglio ribellarci o seguire le regole che ci sono state imposte?" chiese, e lui ci pensò qualche secondo prima di rispondere: "Credo... credo che al momento fare quanto dice sia la cosa migliore. Insomma, rimanere qui a non fare nulla non risolve certo il nostro problema..."

"Sono contenta di sapere che siamo sulla stessa lunghezza d'onda" rispose con un mezzo sorriso, e Makoto sentì un inopportuno (ma assurdamente piacevole) calore al basso ventre.

"ASCOLTATEMI TUTTI!" tuonò lei, in genere così silenziosa e pacata, e forse per questo riuscì ad attirare subito l'attenzione degli altri: "So che la prospettiva di fare quanto questo misterioso Zero ci dice fa paura, ma credo sia la soluzione migliore" disse, ma non fece in tempo a spiegarne il motivo che subito venne assalita da chi era contrario. Lei non fece una piega, ma Makoto non riuscì comunque a rimanere in disparte: "M-Ma ragazzi, Kirigiri-san ha ragione!" disse, e qualcuno si zittì. "Pensateci un attimo: cosa risolviamo a stare qui, in silenzio, a non far nulla? Nella migliore delle ipotesi moriremo di fame... a questo punto dare retta a Zero è davvero l'opzione migliore, con un po' di fortuna potremmo trovare indizi o una via d'uscita..."

"O una radio" lo interruppe Ishimaru, inizialmente tra quelli che si opponevano a Zero, ma che la prospettiva di trovare qualcosa di utile sembrava aver fatto rinsavire.

"Io concordo con Kirigiri-san e Naegi-kun" annuì Sakura, che già aveva deciso di seguire le regole, "rimanere qui è pressoché inutile, e abbiamo già appurato che non c'è modo di aprire il portone d'entrata dall'interno."

Ci furono diversi cenni d'assenso e ben presto anche i più riluttanti dovettero capitolare.

"Ok, ma anche decidessimo di seguire le regole, come caspita facciamo?" chiese Mondo. "Questo posto è enorme, e dobbiamo trovare le porte... e sperare di non morire dopo averle aperte" aggiunse, meno spavaldo di prima.

"Possiamo sempre separarci" propose Kyouko, "senza aprire le porte numerate, ma solo per capire dove sono e decidere chi va in quale porta in base ai numeri. Quindi, se siete d'accordo, possiamo iniziare ad esplorare quelle che si trovano qui al piano terra."

Nessuno ebbe da ridire e velocemente si sparpagliarono per la sala con l'intento di esaminare le varie porte presenti.

Makoto si ritrovò, in maniera piuttosto involontaria, a camminare assieme a Kyouko, Byakuya e Mukuro. La Detective si era silenziosamente autonominata capo del loro drappello, nonostante qualche tentativo da parte di Togami di minare la sua autorità, e aveva preso la strada opposta a quella imboccata da Sakura e dagli altri.

“Quindi a noi tocca la navata destra, eh?”.

“Una vale l’altra, Ikusaba. E fra l’altro è possibile che, dovessimo trovare una porta numerata, la radice digitale dei nostri numeri non ci permetta di aprirla”.

“In tal caso cosa conti di fare, Kirigiri?”.

“Due rapidi calcoli ed eventualmente recuperare l’elemento che ci serve per quello scopo, Togami”.

“Mpf. Mi chiedo come tu faccia a essere così tranquilla”.

“Come dovrei essere, scusa? L’isterismo gratuito non ci è di nessun aiuto”.

“Su questo sono obbligato a concordare, ma trovo veramente strano il fatto che tu reagisca con tutta questa freddezza di fronte a minacce di morte così plateali”.

“Per tua informazione non è la prima volta che mi trovo in un’impasse simile, e probabilmente ho rischiato di lasciarci la pelle molte più volte di tutti voi otto messi assieme… esclusa Ikusaba, visto il tuo mestiere”.

“Sì, ho un record molto poco invidiabile in merito” si schernì l’interpellata abbassando lo sguardo.

Mentre seguiva il resto del gruppetto verso il loro obiettivo (quel posto era grande, molto grande, e anche un’operazione semplice come quella richiedeva una certa quantità di tempo) Makoto non poté impedirsi di provare stupore… e perché no, ammirazione dinanzi al grande coraggio che la loro compagna stava dimostrando in una situazione così delicata.

Cioè, è pur vero che il tutto poteva essere un grande e complesso scherzo o qualcosa del genere e che non necessariamente il pericolo fosse reale. Ma quando una voce senza volto si prodiga nel raccontarti come ti vuole morto… beh, è legittimo farsi spaventare e non nasconderlo.

Lei invece nulla. Appariva posata, focalizzata, tranquilla. Gli dava l’idea di una che stava facendo una scampagnata nel parco, non di una intrappolata in una specie di gigantesco labirinto dal quale poteva non uscire viva.

Ce ne vuole di fegato per impedire che una cosa del genere ti scuota sin nelle fondamenta.

Finalmente arrivarono.

La porta, a occhio fatta in acciaio, non presentava alcuna stranezza.

Tranne una.

Il pomello, di forma rotonda, era rosso.

“Che diavolo…?” esclamò Mukuro.

“Eccoci al primo dei vostri piccoli ostacoli a premi” si sentì rimbombare dall’alto. Gli sguardi dei ragazzi si alzarono e videro un altoparlante.

Era Zero.

“Cosa intendi dire?”.

“E abbiamo la prima vincitrice. Kyouko Kirigiri, fatti avanti. So che ci sei”.

Tutti presero ad osservarla, quasi fosse colpevole di qualcosa.

La voce proseguì imperterrita: “Ora da brava aprirai quella porta. Non è difficile, su. Devi solo afferrare il pomello, stringerlo e girarlo. Poca roba. Sul fatto che sia incandescente… beh, non è niente di nuovo per te o mi sbaglio?”.

“C-Cosa?” balbettò Makoto, non capendo l’ultima parte del discorso.

“Per chi si intromette ci sarà una punizione e non posso assicurare sulla salute del malcapitato. Solo lei ha il diritto di farlo”.

“M-Ma perché? Perché proprio lei?”.

“Perché proprio lei, eh? Potrei rispondere ma lascerò che sia lei stessa a spiegarsi. Forza Kirigiri, parla ai tuoi amichetti. Mostra loro perché questa innocente prova ti calza come un guanto, è proprio il caso di dirlo”.

Prima che la protagonista designata potesse imbastire un discorso, un infuriato Togami si fece avanti mormorando qualcosa su insensatezza e stupidità. Quando però si trovò di fronte alla porta, fermo ad osservare la parte bollente, ebbe un ripensamento e tentennò. Cercò di mascherare l’esitazione con parole sprezzanti, ma gli scarsi risultati che ottenne scatenarono una mal velata ilarità negli altri.

“Sapete, se abbiamo deciso di seguire le regole sarebbe opportuno farlo fino in fondo” chiosò Mukuro.

“Ma… ma… è rovente… come può...” si trovò a dire inconsciamente Makoto, seriamente preoccupato per l’evolversi degli eventi.

“Oh insomma, finiamola con questa sceneggiata” sbottò Kirigiri. Si pose di fronte agli altri tre e con cadenzata, quasi studiata lentezza, alzò la mano sinistra di fronte al proprio volto. Poi si tolse il guanto che l’aveva sempre coperta da che la frequentavano, lasciandolo cadere per terra con noncuranza.

Provvide a fare lo stesso con la destra.

Gli occhi di Makoto triplicarono di dimensioni: le mani di Kyouko erano tappezzate di ustioni sulla loro intera superficie. Carne marcita, nerastra.

Stesse mute, stupefatte reazioni le ebbero gli altri due. Almeno così pensò, non riusciva a scollare gli occhi di dosso da quell’agghiacciante spettacolo.

“Adesso capite il motivo per cui Zero vuole che sia io ad aprire quella porta”. Il tono usato dalla ragazza sconvolse ulteriormente il povero Naegi, ma non per i motivi che ci si potrebbe aspettare. Invece di essere freddo come una glaciazione (cosa perfettamente legittima dato il soggetto) vi colse una leggera, leggerissima nota di… sofferenza.

“Va bene, a noi due” sentenziò voltandosi.

 

*

 

Kyouko Kirigiri non poteva credere a quanto aveva detto. O meglio, a come l’aveva detto. Naegi la conosceva abbastanza bene da potersene essere accorto.

Maledì la propria debolezza e pregò non fosse successo.

Nessuno poteva avere accesso a quella esecrabile parte della sua persona se non nei modi e coi tempi che era lei a stabilire.

Era stata lei a voler fare la piazzata togliendosi i guanti. Le era capitato raramente in passato, ma se ne stava pentendo.

Il suo maggior motivo di vergogna e rimpianto spiattellato ai quattro venti senza il minimo pudore. Se lo sarebbe volentieri trascinato fino alla tomba (che, si trovò a pensare con una punta di macabro humour nero, poteva non essere così lontana) e invece era stata praticamente costretta a rivelarlo. D’accordo che non c’era stato alcun ordine specifico da parte del loro aguzzino, ma era facile prevedere che una sua reticenza sull’argomento avrebbe finito col seminare paranoia e dubbi superflui nelle menti degli altri.

Si usa dire via il dente, via il dolore. Lei avrebbe potuto coniare la variante col guanto e il dolore che non se ne va.

Finiscila, Kyouko. Hai una porta da aprire.

Coprì la breve distanza che la separava dallo strumento di tortura.

Sospirò impercettibilmente.

Afferrò il pomello.

Per fortuna non sentì nulla a un mero livello fisico. Quella parte del suo corpo era insensibile a calore, freddo e sollecitazioni esterne varie da ormai molto, troppo tempo.

Questo avrebbe voluto poter pensare, ma così non fu. Faceva male.

Sicuramente meno male di quanto avrebbe potuto fare agli altri, ciononostante bruciava. D’altronde non poteva aver perso del tutto la sensibilità, altrimenti le sue mani sarebbero state due appendici inutilizzabili.

Strinse i denti. Letteralmente.

Folle. Sei una folle, lo sai?

Stava per girare, togliendosi quindi la grana dal groppone una volta per tutte, quando la sua mente le giocò il peggior scherzo possibile: ebbe come un flash in cui rivide istante per istante, a una lentezza esasperante, l’incidente che anni prima le provocò quelle orride cicatrici. Fu durante un caso, quando era ancora una novellina alle primissime armi.

Le fiamme, il pianto, le urla, il terrore di una ragazzina che aveva affrontato da sola qualcosa di molto più grande di lei…

Ebbe un giramento di testa e un intorpidimento delle palpebre, dai quali però si riprese con invidiabile prontezza di spirito.

No, non era disposta a dargliela vinta. Non a Zero, non a un passato che era sepolto e superato come un ostacolo durante una corsa. A nessuno di loro.

Era più forte e lo avrebbe dimostrato a tutti, in primis a se stessa.

CLACK.

...è fatta Kyouko, è fatta.

Spalancò la porta in un gesto di trionfo.

Lasciò che Byakuya e Mukuro la superassero ed entrassero.

Quando stava per seguirli si sentì ticchettare sulla spalla.

Girandosi trovò Naegi che le porgeva i guanti con uno sguardo contrito, si poteva dire persin dispiaciuto.

“Tieni Kirigiri-san, te li ho raccolti da terra”.

“Grazie” fu la sua risposta mentre li prendeva e se li infilava in tasca.

“Uh? Perché non li indossi?”.

“Ho intenzione di non farlo, almeno fino alla fine di questa… qualunque sia il nome giusto per definire quanto ci sta capitando”.

“Ma… ma… le tue… ferite…”.

“Tu, Togami e Ikusaba le avete viste. Per quale motivo non dovrei mostrarle agli altri?”.

“Non… non te ne vergogni? Scusa, scusa! Sono stato indelicato!”. Era carino quando si agitava e cominciava a muovere convulsamente le braccia.

“No Naegi-kun, hai ragione. Me ne vergogno. Me ne vergogno come non mi vergogno di nient’altro al mondo. Sono il costante monito di cosa succede se prendo le cose sottogamba, se sottovaluto un pericolo, se mi lascio andare al pressapochismo. Ma ho idea che non ci sia spazio per tutto questo ora come ora. Perché…”.

“Perché?”.

“Perché Zero vuole le nostre anime. È evidente che intendeva colpirmi in profondità, e non posso dire che non ci sia almeno parzialmente riuscito. Non mi meraviglierei se ci fossero altre torture mirate a distruggerci in maniera più personale di una semplice morte fisica”.

“Su che basi lo affermi?”.

“Non mi vorrai far credere che sono stata l’unica ad aver ascoltato con attenzione quanto ci ha detto e come ce lo ha detto. Ha parlato di torti che dovremmo pagare. Per qualche motivo che non ti so spiegare ci crede colpevoli di qualcosa”.

“Ma se non sappiamo neanche chi è!”.

“Ne sei davvero sicuro?”.

“Eh? Dovremmo?”.

“Ti fidi del mio giudizio professionale?”.

“Più delle predizioni di Hagakure”.

Una breve risata. “È confortante saperlo. Bene, il mio giudizio professionale mi sta dicendo che qua qualcosa non torna. Per ora ho solo qualche vago sospetto, ma il mio senso di detective pizzica. Ad esempio mi viene da chiedermi come faceva Zero a sapere che ero presente di fronte alla porta che avrei dovuto aprire. E soprattutto come è venuto a conoscenza del mio… problema. Ti dà da pensare, no?”.

“E quindi?”.

“Quindi niente, almeno per ora. Drizza le orecchie e tieni gli occhi aperti per qualsiasi evenienza”.

Lui annuì.

Gli fece cenno di seguirla.

Mentre si avviavano non mancò di notare lo sguardo di lui fisso sulle sue mani, totalmente esposte. Evitò di dire qualcosa, anche se sapeva bene che una scena simile si sarebbe ripetuta più volte in futuro.

In un suo attimo di distrazione si concesse una rapida occhiata alla mano con cui aveva aperto la porta. E di nuovo, contro ogni sua abitudine più radicata, sospirò lieve.

Forse non è stata proprio una trovata geniale si trovò a dire fra sé e sé con una certa dose di rammarico.


Per gentile concessione di Mana Sputachu.

 

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Capitolo 2
*** I ragazzi cominciano a farsi un'idea del senso dell'ospitalità di Zero ***


Quella, si disse, era la situazione più assurda in cui si fosse mai trovata.

Se non fossero stati rinchiusi in un edificio strano con qualcuno che diceva di volerli morti, Sakura non avrebbe trovato nulla di strano in quella stanza: era un ambiente piuttosto elegante, con una grande scrivania in legno e diverse librerie piene di tomi sugli argomenti più disparati. Avevano provato a forzare la porta della stanza adiacente, ma sembrava non volesse saperne di aprirsi. Tuttavia questa stanza si era rivelata a suo modo peculiare, non solo per il suo contenuto, ma anche per l’altra porta: al momento era sbarrata ma aveva a fianco un tastierino numerico dove presumibilmente inserire una password.

Password che ovviamente non abbiamo pensò mestamente Sakura.

Si voltò a guardare i suoi compagni, chi più chi meno intento a cercare indizi: Oowada e Asahina erano impegnati a rovistare nei cassetti, mentre Ishimaru urlava loro di smetterla di mettere a soqquadro la stanza, che non era educato e bisognava lasciare tutto in ordine per come l’avevano trovato. Solo Fukawa sembrava più attirata dai libri che da tutto il resto.

Le si avvicinò con cautela e chiese: “Trovato qualcosa d’interessante?”
Touko trasalì vistosamente e si voltò di scatto verso Sakura: “N-No, cioè… s-sono libri affascinanti, p-per me…”

“Fukawa-san, non c’è bisogno di stare sulla difensiva” la tranquillizzò Sakura, “non ti sto accusando di nulla.”

Touko la guardò di sottecchi, quasi non fosse sicura delle sue parole, poi tornò a studiare i libri. Sakura sospirò, chiedendosi quali problemi potessero affliggere quella povera ragazza, e fece per andarsene quando la sentì borbottare: “Oh, questo l’ho letto.”

Incuriosita, Sakura le si avvicinò di nuovo; si assicurò che gli altri del gruppo fossero (più o meno) impegnati nella ricerca di qualche indizio e provò di nuovo a fare conversazione: “Che libro è?”
“Uh, oh” trasalì di nuovo Fukawa, “L-L’Uomo che Fissa le Capre.”

Sakura inarcò un sopracciglio.

“L-Lo so, è un titolo strano!” balbettò l’altra, decisamente sulla difensiva, “ma è interessante… p-parla di un’unità m-militare che negli anni ‘80 d-decise di usare poteri psichici c-come la telepatia p-per leggere nella mente d-dei nemici e… uh, uccidere una c-capra con lo sguardo… da qui il t-titolo” aggiunse, imbarazzata senza apparente motivo.

“Non ho mai sentito parlare di questo libro” ammise Sakura, e Touko distolse lo sguardo: “L-L’ho letto in inglese tempo fa…” disse, “una copia o-omaggio ricevuta via Internet.”

“Tutto molto bello” proruppe Mondo, che sembrava aver ascoltato la loro conversazione, “ma mentre parlavate di libri noi abbiamo trovato questo” e porse loro un foglietto con disegnati due punti.

Sakura corrugò la fronte: “Non mi sembra particolarmente utile”, ma Mondo ne tirò fuori un altro con disegnati cinque punti: “Questo era nascosto dietro un quadro” disse. “Ishimaru ha il sospetto che se li troviamo tutti potremmo ottenere la combinazione per aprire la porta.”

“P-Però mancherebbe l’ordine in cui inserirli” puntualizzò Touko, ma Sakura sorrise: “Non importa, possiamo pensarci dopo. Intanto troviamo gli altri.”

 

*

 

Makoto pensò che la situazione non potesse essere più in stallo di così.

Si erano avventurati per la stanza, che si presentava come un comune salotto di una casa occidentale: un paio di divani; il tavolinetto dove si appoggiano i calici con lo champagne; qualche libreria dove ostentare i grandi classici come Dostoevskij, Kafka, Joyce e tutti quei nomi altisonanti.

Avrebbero dovuto cercare qualcosa, visto che la porta opposta a quella da cui erano entrati era chiusa a chiave. Giustamente Kyouko aveva fatto presente che forse era necessario qualcosa di particolare per sbloccarla.

E l’intenzione di cercare c’era anche. In fondo tutti loro erano abbastanza scafati da cogliere la gravità della situazione in cui si trovavano.

Peccato che le tre persone il cui nome non fosse Kyouko Kirigiri non riuscivano a concentrarsi per più di otto secondi consecutivi sul compito. Venivano puntualmente distratti dalle mani di lei, che fungevano da luce per le falene.

“Naegi, ti vedo”.

“Ikusaba, per favore”.

“Togami, no”.

Queste e altre frasi simili si ripetevano a un ritmo martellante.

All’ennesima occhiata rubata lei parve scocciarsi. Gettò sul divano più vicino il libro che stava esaminando, richiamò l’attenzione degli altri e schiarendosi la voce disse: “Sentite, la potreste gentilmente smettere? Vi assicuro che le mie ustioni sono sempre uguali, non sono dei camaleonti”.

Maledizione, si è arrabbiata.

“Sul serio, avremmo degli impegni un po’ più pressanti. Non credete? O forse preferite rimanere chiusi qui dentro per il resto dei vostri giorni?”.

“Non essere sciocca, Kirigiri. Chi potrebbe mai volere…”.

“E allora non perdere tempo inutilmente, Togami. C’è una porta chiusa da aprire e dobbiamo capire in che modo. Ci dev’essere qualche indizio o qualcosa qui. Ma se volete che sia l’unica a darsi da fare… beh, almeno evitate la messinscena. Piuttosto sedetevi, indossate il monocolo per spiare meglio e la chiudiamo qui”.

Makoto si sentì parente stretto di un verme. D’accordo, sapeva di stare esagerando ma sapeva anche che Kirigiri-san aveva ragione non una e non due ma tre volte. Immaginava che una persona riservata come lei incontrasse non pochi problemi nell’essere il centro dell’attenzione in quella maniera invadente, perlomeno quando non era lei stessa a porsi in bella vista in mezzo al palcoscenico. E quello non era di certo il caso.

“Hai ragione. Da parte mia ti chiedo scusa per averti messa in imbarazzo, o qualunque sia la causa del tuo disagio. Non succederà più” disse, cercando di suonare il più pentito possibile.

Alla sua ammissione seguirono quelle un po’ meno sentite di Byakuya e Mukuro.

“No dai, non serve. L’importante è che l’abbiate capito. Anche perché, così facendo, oltre a non essere produttivi voi fate in modo che non lo sia neppure io. E se davvero nessuno si impegna per venire a capo di questo mistero…”. Lasciò cadere volutamente la frase, sottintendendo il destino che li avrebbe attesi in caso di fallimento.

Makoto deglutì.

Stavano per riprendere, animati da nuovo vigore, quando la porta si spalancò.

“Ehi ragazzi! Come procede? Noi abbiamo trovato…” iniziò Mondo, con la sua usuale voce che non si curava di dettagliucci insignificanti come l’integrità di finestre o vasi di cristallo.

Salvo interrompersi bruscamente.

Naegi tracciò la linea del suo sguardo.

Le aveva viste.

Dietro di lui Sakura, Touko, Kiyotaka e Aoi erano similmente ammutoliti.

A quelle mani erano per caso attaccati dei segnali al neon fluorescenti?

“Da quando abbiamo cinque statue di sale come compagni di classe?” scherzò Mukuro nel tentativo di allentare la tensione che si era creata tutto ad un tratto.

“K-K-Kirigiri…” riuscì a mugugnare Asahina mentre alzava un dito tremante verso di lei.

La nuova star della compagnia (chissà quanta gelosia avrebbe causato in quella primadonna di Celes, e forse un po’ anche in Maizono) alzò gli occhi al cielo. Il Super Fortunello si disse che una persona sveglia come Kirigiri-san non poteva non aspettarsi una reazione del genere nel momento topico; quindi dedusse che, nonostante tutta la preparazione, la cosa la infastidiva comunque non poco.

Comprensibile, ci mancherebbe. Lui avrebbe dato fuori di matto in maniera molto più plateale e in molto meno tempo.

Si stava sforzando con tutta la propria volontà per far sì che una cosa di tale importanza non le fosse d’intralcio. E che di riflesso non lo fosse per nessuno di loro, come lui aveva da poco dimostrato assieme agli altri due geni.

“Presumo vi sarete chiesti, almeno una volta ogni tanto, il perché del mio ostinarmi a indossare dei guanti anche a temperature tropicali. Ebbene, avete la vostra risposta. Quand’ero più giovane ho affrontato un caso particolarmente complicato e sono stata avventata. Come potete vedere ne pago le conseguenze ancora adesso. Ora che la formalità è stata sbrigata, ve lo chiedo come favore personale, passiamo oltre. Tanto, come ho già fatto presente agli altri tre, per quanto possiate fissarle non si trasformeranno nelle fauci di un drago. Stavi dicendo, Oowada?”.

Ouch. Non scherzava quando ha detto che non esiste per lei cosa più vergognosa al mondo.

“S-Sì, ecco… pensiamo di aver trovato dei possibili indizi su come aprire la porta chiusa…”.

Ma cavolo, allora ogni tanto anche tu sai parlare con un volume da non far invidia a Godzilla!

“Avete trovato una porta chiusa anche di là?”.

“Pure voi? Cazzo oh, non abbiamo di certo la vita facile qua dentro…”.

“Dato il tono dell’annuncio di Zero mi sarei stupita del contrario. Dunque, che novità portate?”.

“Un secondo” si inserì Mukuro “Prima di discutere di questo vorrei scambiare due parole a quattrocchi con Kirigiri. Naegi, vieni anche tu. Per favore non seguiteci”.

Eh?

I tre si scostarono dagli altri, che rimasero a fissarli chiedendosi cosa diavolo stesse succedendo.

Quando furono un po’ più in disparte…

“Kirigiri, fammi vedere il palmo della tua destra”.

Makoto non capiva dove il Super Soldato volesse andare a parare.

A meno che… a meno che…

Un pensiero terrificante sfrecciò nella sua testa.

E il timore venne confermato quando l’ordine fu eseguito: in mezzo a quel mare di pelle decomposta c’era una piccola zona arrossata. Sembrava quasi pulsare.

“Ecco, lo sapevo. Sei pazza come immaginavo” bisbigliò Mukuro.

“Prego?” chiese l’interpellata.

“Quando ti guadagni la pagnotta facendo il mercenario sei obbligata ad acquisire qualche nozione di pronto soccorso, e più in generale di trattamento delle ferite. Quindi sapevo che non sei priva di sensibilità come hai cercato di farci credere. Quelle che hai interpretato come occhiate da bambina attirata da un nuovo giocattolo erano in realtà i miei tentativi di studiare la tua situazione. Direi di averci azzeccato. Tu sai bene cosa significa quanto sto dicendo, vero?”.

Un secondo solo di silenzio.

“Nonostante il disgraziato stato delle mie mani non sono immune dall’afferrare un pomello incandescente. La nuova lesione rischia di andare in setticemia”.

“Cosa vuol dire, in parole comprensibili anche a noi non laureati in medicina?” fu tutto quello che riuscì a chiedere il ragazzo, il cui cuore era appena balzato su una monoposto di Formula Uno per salirgli il più velocemente possibile in gola.

“Vuol dire che la signorina Incoscienza potrebbe prendersi qualche brutto accidente”.

“Vedi Naegi-kun, le vittime dei grandi incendi generalmente muoiono per due motivi: asfissia dovuta al fumo o infezioni provocate dalle ustioni. La pelle funge da armatura contro gli agenti patogeni, è il primo strato di difesa del nostro corpo. Una compromissione del genere apre uno squarcio nella tua bella cotta di maglia, facendo sì che batteri e virus di ogni forma possano entrare con tanto di tappeto steso ai loro piedi”.

Il sarcasmo e l’apparente noncuranza con cui Kirigiri stava parlando di tutto quello fecero per un attimo perdere l’equilibrio al poveretto.

“Tu hai immediato bisogno di farti curare. Non commenterò neanche sul fatto che, fosse stato per te, non ci avresti detto niente di niente”.

“Ho solo fatto quel che andava fatto, Ikusaba. Zero ha espressamente richiesto che fossi io a farmi avanti e non voglio neanche provare a immaginarmi cosa sarebbe successo se mi fossi rifiutata. Avevo forse alternative migliori? Lamentarmene di fronte a tutti sarebbe servito a qualcosa?”.

Nessuno trovò da ridire sulla disamina, crudele come un boia sadico ma tutto sommato ineccepibile.

“Per quanto riguarda la mia mano… non posso darti torto neanche volendo, ma a quanto ho visto di armadietti delle medicine qui non ce ne sono. Quindi, finché non avremo a disposizione qualcosa che possa aiutarmi, me la dovrò tenere così”.

“Kirigiri-san… rischi di…”.

“Morire? È possibile Naegi-kun, non te lo nascondo. In casi come questo la velocità dell’intervento è ciò che può fare la differenza. Ma appunto mancano i mezzi. E comunque, anche fosse, sarà una cosa lunga. Non ho intenzione di fermarmi a frignare perché l’uomo nero mi ha fatto la bua, non finché avrò la forza di reggermi in piedi e dare il mio apporto alla causa comune”.

Da vomitare, a Naegi stava venendo da vomitare. Era sempre stato piuttosto impressionabile e il sentire una sua cara amica parlare di se stessa in quei termini lo fece sentire davvero male.

“Il tuo spirito di sacrificio è encomiabile, Kirigiri. Se fossi capace di reggere una pistola avresti la disposizione giusta per far parte di Fenrir. Suggerisco di nascondere il tuo caso almeno per un po’, siamo già abbastanza provati da tutto questo casino senza star qui a sbandierare ai quattro venti che sei potenzialmente in pericolo di vita. E ti prego, fai la brava scolaretta: rimettiti i guanti. Sai che non è salutare tenere delle mani come le tue a contatto con gli agenti esterni”. Su quest’ultimo suggerimento Kyouko fece resistenza, ma alla fine si lasciò convincere. Per il resto si dissero entrambi d’accordo.

 

*

 

Aoi Asahina non sapeva cosa pensare.

Non aveva mai visto delle ferite tanto gravi, soprattutto su persone che riteneva vicine: certo, Sakura-chan era coperta di vecchie cicatrici, e lei stessa tante volte si era infortunata durante qualche gara di nuoto; ma mai era stata testimone di qualcosa così spaventoso. Si voltò di scatto, non riuscendo a sopportare quella vista tanto orribile, e nel farlo attirò l’attenzione di Sakura: “Tutto bene, Asahina-san?” chiese, e Aoi balbettò: “L-Le mani di Kirigiri-san…”

“Sì, è uno spettacolo terribile” annuì, “ma temo che non sia possibile fare nulla per lei” disse, e quasi a voler confermare le sue parole Kirigiri tornò verso il gruppo e annunciò: “Statemi a sentire: ora come ora le mie ferite non sono importanti, me ne occuperò a tempo debito. Quindi, per favore, smettetela di fissarmi e torniamo a concentrarci sulle due porte chiuse, ok?”

Il gruppo annuì, alcuni più convinti di altri; Aoi era tra gli ultimi. Kyouko fece un cenno d’assenso: “Bene, allora. Oowada-san, cosa stavi dicendo quando sei entrato? Avete trovato qualcosa?”

“Eh? Oh, sì!” disse, e prontamente mostrò a tutti i foglietti che avevano trovato: “Nella stanza che abbiamo ispezionato c’è una porta chiusa con un tastierino numerico. Probabilmente i puntini su questi fogli rappresentano le cifre della password” spiegò. “Siamo riusciti a recuperarne sei, abbiamo guardato ovunque ma non sembrano essercene altri.”
Kyouko osservò pensierosa i foglietti di carta: “Avete provato ad inserirli nel tastierino numerico?”

I cinque si scambiarono un’occhiata colpevole, poi Aoi decise di prendere parola: “Ci abbiamo provato… ma dopo qualche tentativo andato a vuoto abbiamo lasciato perdere, temendo potesse succedere qualcosa di brutto dopo troppi tentativi sbagliati” concluse, pensando suonasse stupido detto così, ma Kirigiri convenne che era una precauzione più che lecita vista la situazione.

“Quindi che si fa?” chiese Togami, in un tono di voce che ad Aoi sembrò leggermente meno altezzoso del solito. “Abbiamo due porte chiuse e nessun indizio utile.”

Il suo commento sembrò gettare buona parte del gruppo nello sconforto, ma ancora una volta Kyouko riuscì a calmare gli animi: “Non è detto. Se queste due stanze sono aperte significa che hanno entrambe qualcosa di utile” spiegò, “come ad esempio soluzioni per gli enigmi di entrambe.”
“Q-Quindi credi che in q-questa stanza potremmo t-trovare indizi su c-come inserire la password nell’altra porta e… e viceversa? Indizi p-per questa porta nell’altra stanza?” balbettò Touko, e Kyouko annuì: “Non escludo che sia così. Al momento sono le uniche stanze aperte, eccezion fatta per l’atrio, direi che la cosa è più che probabile.”

Mentre il gruppo continuava a discutere Aoi si ritrovò ad allontanarsi e vagare per la stanza, ammirandone gli arredi sontuosi e curiosando in giro: si sentiva un po’ colpevole a non dare il suo contributo sulla strategia da adottare da ora in poi, ma d’altro canto non si sentiva adatta a quel compito. In fondo hanno già una Super Detective e un Super Soldato, si disse, che opinione può avere una Super Nuotatrice?

Sospirò e tornò ad esplorare la stanza, posando gli occhi sulle fotografie alle pareti: foto antiche, tutte in bianco e nero e molte delle quali raffiguravano squadroni militari. Si issò sulle punte dei piedi per guardarne una posta particolarmente in alto, ma nel farlo perse l’equilibrio e scivolò aggrappandosi inutilmente ad una delle foto adiacenti.

“Asahina, che diamine combini?!”

Il tono di voce fastidioso di Ishimaru contribuì a farla vergognare ancora di più.

“S-Scusate, stavo solo dando un’occhiata alle foto…”

“Ma ti sembra il caso? Hai rischiato di romperne una!”
“Ishimaru-san, non è che quello sia proprio il nostro pensiero al momento” replicò Makoto, ma il Super Prefetto continuò imperterrito a snocciolare regole di comportamento e buon senso.

Aoi si sentì sprofondare e cercò di rimettersi in piedi, rifiutando anche l’aiuto di Sakura, quando qualcosa cadde dalla cornice della foto che teneva ancora in mano.

“Uh, ragazzi…”

“La situazione non giustifica un comportamento incivile da parte nostra in casa altrui!”
“Ishimaru ci hanno RAPITI, non siamo ospiti per il tè delle cinque!”
“Ragazzi…”

“Il mio ruolo di Prefetto mi impedisce di stare a guardare senza prendere provvedimenti!”
“E che vorresti fare, mettere una nota sul registro e portarla a Zero dicendogli di convocare i nostri genitori?”
“In caso digli anche di far venire un aereo a recuperarci, prima della sospensione.”

“RAGAZZI!”

Finalmente il gruppo si zittì e si voltò verso Aoi, che mai alzava la voce se non quando finiva la sua scorta di ciambelle.

“Ragazzi io… credo di aver trovato qualcosa” disse, mentre disincastrava qualcosa dal retro della cornice e mostrandolo a tutti: una piccola chiave d’ottone.

“Fantastico! Possiamo aprire la porta di questa stanza!” gridò Mondo, ma Kyouko spense il suo entusiasmo sul nascere: “Non penso vada bene, mi sembra troppo piccola per la serratura di una porta. Ma potrebbe andar bene per aprire dei cassetti, o un armadietto…”

“Cominciamo col provarla prima di giudicare!” sbraitò ancora il Biker.

“E proviamola se proprio ci tieni a perdere inutilmente del tempo”.

Mondo Mondo Mondo. Non l’hai ancora capito che a Kirigiri non la si fa?

Sentì un lieve dolore fisico a pronunciare quel nome, anche se solo nella sua testa.

Le consegnò l’oggetto, limitandosi ad osservarla mentre portava Oowada verso la prova del nove. Dove, puntualmente, il mondo dimostrò loro da che parte girava. Ah ah, i giochi di parole involontari le riuscivano benissimo.

Esattamente come da lei predetto era troppo piccola per essere quella della porta.

“Sei un povero illuso, Oowada. Kirigiri ti bagnerebbe il naso anche con le mani legate dietro la schiena” non riuscì a trattenersi dal dire, condendo la presa in giro con una risata troppo genuina per risultare offensiva. Registrò solo dopo qualche secondo una nota stonata in questa sua ultima frase. Maledizione, quella parola era ormai diventata tabù.

“Bah! Solo perché il suo QI ha qualche decina di punti in più del mio…”.

“Fai anche qualche centinaio” rimarcò Togami, e Asahina non poté esimersi dal dargli una certa dose di ragione. Ma silenziosamente perché non voleva surriscaldare gli animi.

“Tutto molto bello, ma sarebbe opportuno darsi da fare un po’ più seriamente” provvide a far presente Mukuro, incontrando ovviamente l’assenso di Kyouko: “Va bene, il tempo dello spasso è finito. Ora sparpagliamoci e cerchiamo una toppa adatta per questo tesorino. Tutti d’accordo? Avanti allora, marsch”.

Un altro risolino da parte di Aoi, la quale trovava carino il fatto che nessuno avesse da contestare l’avvenuta consacrazione di Kirigiri a leader supremo. Da una parte era la soluzione più naturale, però si sarebbe aspettata un po’ di resistenza quantomeno da Togami. Al signorino non piaceva farsi mettere i piedi in testa impunemente, eppure la situazione stava raccontando tutt’altra storia. Forse l’ilarità nasceva proprio da quello.

Beh, non era importante. Dovevano darsi da fare.

Si unì agli altri mentre mettevano sottosopra la stanza, il tutto con la colonna sonora delle urla di Ishimaru che si scandalizzava per la loro eccellente imitazione di un’orda mongola dedita al saccheggio.

“E piantala! Invece di star lì a strepitare come una gallinella potresti anche darci una mano!”. Mondo poteva essere rozzo, sensibile come un rullo compressore e intelligente come un tombino… ma se non altro aveva le priorità giuste. E difatti persino l’austero prefetto venne convinto a muoversi.

Ci misero un bel po’ di tempo, ma alla fine i loro sforzi furono premiati.

“Ecco, vediamo se la mia intuizione era giusta… Kirigiri, passami la chiave” disse Togami, con le mani appoggiate sul lato di una delle tante librerie.

Quando la ebbe in mano tastò il legno come alla ricerca di qualcosa di specifico, e trovandolo non esitò nell’infilarla dentro.

Come? Dalla sua posizione non vedeva tanto bene, quindi pensò di spostarsi per capire cosa stesse facendo esattamente.

Sembrava… sembrava ci fosse come una fessura.

CLICK.

Aprì quello che assomigliava a uno scomparto segreto.

“L’avevo notato prima, nonostante l’opinione errata di qualcuno qui…”.

No no no no no no, aspetta. Un tono leggero e una frecciatina non intinta nel curaro… da parte di Togami?

Kami, stiamo per morire tutti.

Fece cenno di radunarsi attorno a lui per vedere cosa aveva scoperto.

“Ma che…?”

 

*

 

“Ma che…?”

Byakuya pensò che quella situazione stava sfociando sempre più nel ridicolo.

“Allora, cos’hai trovato?”

Sbuffando diede le spalle allo scomparto segreto nel muro e si voltò verso i compagni, mostrando loro un ritaglio di giornale.

“Tutto qui?” commentò Mondo, visibilmente deluso così come il resto della classe. Lui più che altro era irritato: tanta fatica per un pezzo di carta? Se questo è solo il primo enigma, si disse, più avanti avremo di che impazzire.

Kirigiri gli si avvicinò di soppiatto, probabilmente guidata dal suo istinto da detective nel cercare di carpire informazioni. “Se vuoi lo leggo ad alta voce.”

Lei lo osservò in silenzio per qualche secondo, poi annuì.

Togami si schiarì la voce e cominciò a leggere:

 

YOMIURI SHINBUN

LO SCANDALO DELLA SCUOLA CHE FACEVA ESPERIMENTI INQUIETANTI, VERITÀ O BUFALA?

 

23 ottobre 2003

 

Sono ancora avvolte nel mistero le circostanze che hanno portato alla morte di E. Harada, 46 anni, da due settimane rinchiuso nella prigione di Chiba, Tokyo.

Secondo le prime indiscrezioni si tratterebbe di un suicidio, ipotesi avvalorata dalle sue continue dichiarazioni d’innocenza che però non sono mai state prese in considerazione dalla polizia.

L’uomo è stato trovato nella sua cella, impiccato alle sbarre.

Harada era stato arrestato in seguito alle pesanti accuse mosse contro una prestigiosa scuola della città, l’accademia Kibougamine: secondo la sua versione, infatti, l’istituto avrebbe svolto strani esperimenti (la cui natura rimane tuttora ignota) sui suoi studenti più giovani, esperimenti di cui sarebbe stato testimone.

La storia era stata ovviamente smentita dal consiglio d’istituto della Kibougamine, che per mano del suo portavoce Gentarou Hongou aveva più volte ribadito quanto la salute e la sicurezza dei propri studenti fossero importanti e che le accuse dell’uomo erano calunnie infondate.

Visto in questa prospettiva il suicidio di Harada assume senso, ma una domanda sorge spontanea: gli esperimenti sono avvenuti davvero? Se Harada voleva solo un pretesto per ricattare l’amministrazione della scuola sperando di spillar loro soldi, perché non accusarli di maltrattamenti o molestie invece di inventarsi storie di esperimenti su ragazzini innocenti?

C’è forse un fondo di verità in tutto questo?

 

“L’articolo termina così” concluse Togami, e tutti rimasero in silenzio.

Che razza di baggianata è mai questa, si chiese. Ne aveva sentite di qualunque colore sul conto della Kibougamine da quando la frequentava, ma ogni volta aveva sciacquato via il tutto come i tentativi maldestri di qualche mitomane di gettare fango su una scuola prestigiosa e magari ricavarci denaro; era successo spesso e nessuno li aveva mai presi sul serio.

Uhm. Quel nome, Hongou… non mi è nuovo. Dove l’ho già sentito?

“Che spazzatura, non ce ne facciamo nulla!”

“E ora?”

Mentre i suoi compagni si lasciavano di nuovo prendere dallo sconforto, Byakuya si soffermò sul ritaglio di giornale e al motivo per cui Zero aveva fatto in modo che lo trovassero: non può essere un caso, pensò, deve esserci una ragione.

E da come Kirigiri e Naegi fissavano il foglietto ne dedusse che non era l’unico a pensarlo.

“Ho idea che questo pezzo di carta sia più importante di quanto crediamo” disse lei, probabilmente intercettando il suo sguardo interrogativo. Togami fece un mezzo sorriso: “Ero certo che la pensassi esattamente come me. Peccato che non ci serva per aprire una delle due porte.”

Kyouko non si scompose: “Arriverà il momento in cui ci tornerà utile.”

“Q-Quindi che si fa, Byakuya-sama?” balbettò Touko verso di lui, causandogli un tic nervoso: “Cosa vorresti fare, a parte cercare ancora?”

Touko distolse lo sguardo imbarazzata, e qualcuno (Mondo e probabilmente Ishimaru e le ragazze tutte) gli intimò di non aggredirla che non aveva fatto nulla di male. Decise di ignorarli platealmente, e mentre loro tornavano a ispezionare la stanza lui si limitò ad osservare distrattamente l’arredamento che tanto gli ricordava camera sua.

Poi qualcosa attirò il suo sguardo.

Si avvicinò alla parete, dove appesi c’erano dei quadretti di piccole dimensioni raffiguranti dei fiori stilizzati; erano piuttosto banali, ma c’era qualcosa che lo spingeva a fissarli e studiarli… finché non lo notò.

“Forse ho la password per l’altra porta.”

“Eh? Cosa? Scherzi?” urlò Oowada mentre si avvicinava a grandi falcate.

“Sì scimmione, ovviamente scherzo. Ti pare che potrei seriamente dire che ho trovato una soluzione?”.

Per una volta la maggioranza popolare non era del tutto contro di lui, e anzi sembrava aver apprezzato la mezza battuta.

Sarà meglio che ti dia una regolata, ultimamente riscuoti troppo successo presso la plebaglia.

“Allora, dove sarebbe questa misteriosa password?” fu la domanda di Kirigiri, che si pose alle sue spalle come a marcarlo stretto.

Byakuya si concesse un ghigno. Per una semplice questione di quieto vivere aveva deciso di non sfidare la posizione di comando di lei (persino lui con la sua notoria attitudine da “screw the rules, I have money” capiva che in un momento così delicato, con una possibile morte sanguinolenta che penzolava sopra le loro teste, serviva una guida univoca e incontestata), ma quando poteva prendersi piccole rivincite come quella non si tratteneva dal goderne appieno.

E l’essere colui che aveva scoperto in sequenza un possibile indizio per capire meglio il perché di tutto quello e poi la combinazione della porta… beh, lo faceva stare smisuratamente bene.

“Prova a osservare questi quadri” disse indicandoli.

La sentì meditabonda, poi colse come un versetto: “Oh. Dici che…”.

“Dico che”.

“E quindi questo…”.

“Esattamente”.

“Potresti aver ragione”.

“Sono sicuro di aver ragione”.

“La cosa non mi meraviglia”.

“Fai bene a non meravigliartene”.

“Ehi voi! La piantate di tubare e magari vi degnereste di spiegare anche a noi cosa state creando?”. Ancora Oowada, chiaramente.

Gli parve anche di cogliere altri rumori senza però riuscire a dargli un senso. Niente di importante.

“Ci passereste i fogli con i puntini, per favore?”.

Quando Kirigiri li ebbe in mano cominciò a confrontarli con la serie di immagini, mormorando assensi man mano che procedeva.

Alla fine proclamò ad alta voce: “Va bene, direi che l’intuizione di Togami è vincente. Abbiamo la password”.

Scalpiccio diffuso alle loro spalle.

“Ma come ne potete essere sicuri? E che cosa vogliono dire quegli sgorbietti?”. Oowada proprio non voleva desistere dal fare il bastian contrario.

“È presto detto” ribatté Byakuya voltandosi nella sua direzione “I quadri sono sei, come le probabili cifre della combinazione. Presentano degli oggetti in quantità diverse. E hanno un ordine preciso. Questo cosa ti suggerisce, microcefalo?”.

“TU VUOI BOTTE, ANCHE SE NON HO CAPITO COSA MI HAI DETTO!” esplose il Motociclista, cercando di buttarsi su di lui per ridisegnargli i connotati. Per fortuna della ricchissima mascella dello Scion Oogami riuscì a intervenire tempestivamente e a impedirgli di sfogare la sua ira barbarica: “Insomma Oowada-san, non perdere la testa!”.

“Ma mi ha insultato, lo avete sentito tutti!”.

“È vero, ma è anche la persona che in pochi minuti ha trovato due cose importanti. Non puoi lasciar perdere per favore?” chiese timidamente Naegi, che come al suo solito cercava di portare la pace fra i suoi compagni.

È utile avere un involontario servetto che ti evita un pestaggio. Si disse di tenerlo sempre in considerazione per quel ruolo e magari assumerlo ufficialmente, con il minimo sindacale come stipendio.

“Avanti, possiamo andare a sbloccare quella porta” dichiarò poi con gran baldanza, cominciando a portarsi verso l’uscita.

“Ma… ma… non abbiamo neanche segnato l’ordine…” balbettò Asahina.

“Prendi carta e penna e scrivi se sei troppo ripiena di ciambelle per ricordartelo. Da parte mia non ne ho bisogno, e di sicuro vale lo stesso per Kirigiri”.

“Ci mancherebbe” confermò quella, altrettanto baldanzosa.

“Voi due non me la contate giusta, andate troppo d’accordo…”.

“Ehhhhhhhhh?” suonarono all’unisono Naegi e Fukawa dopo che Oowada aveva lanciato la provocazione.

“Togami” tuonò senza preavviso una voce che la logica poteva accostare a una qualche creatura dell’oltretomba e invece era di Sakura Oogami “Per stavolta la tua arroganza non avrà conseguenze. Ma osa maltrattare Aoi una sola altra volta e non servirà l’intervento di Zero per provocarti danni fisici permanenti”.

“Pff” fu la laconica risposta. Anche se dentro di sé, lo dovette ammettere con riluttanza, quell’enorme ammasso di muscoli gli incuteva una buona dose di timore.

Quando vide che anche gli altri lo stavano seguendo riprese la marcia.

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Capitolo 3
*** Si inizia a ballare sul serio ***


Una volta inserita la password, la porta si aprì senza problemi.

Makoto si aspettava qualcosa di importante, qualche rumore assordante, una voce metallica che comunicava loro il passaggio al livello successivo, o semplicemente la voce di Zero che ancora una volta si divertiva a schernirli… e invece nulla. Silenzio assoluto. Ci rimase quasi male.

La stanza davanti a loro era decisamente spoglia, ad esclusione di una scala che scendeva verso uno scantinato o qualcosa di simile.

“Quindi che facciamo?” chiese qualcuno, e la domanda lo distolse dai suoi pensieri. Kyouko ricordò loro che avevano ancora una porta da sbloccare: tornarono quindi nella stanza in cui avevano trovato il ritaglio di giornale, pronti a rimetterla a soqquadro, solo per scoprire che la porta era stata sbloccata. Ovviamente si chiesero come fosse possibile, arrivando alla conclusione che forse il tastierino numerico aveva sbloccato entrambe le porte (o che quella l’avesse aperta Zero, ma lo ritenevano poco probabile); comunque alla fine Togami, col suo solito charme, fece notare loro che era inutile stare lì a farsi domande invece di proseguire l’esplorazione. Era un’obiezione sensata, quindi decisero di andare a vedere cosa li aspettava nella nuova area.

“Al momento l’unica cosa che sappiamo di Zero è che ha gusti raffinati” borbottò Mukuro, mentre si aggiravano per l’ennesima stanza elegantemente decorata, piena di mobili costosi, libri antichi e…

“A quanto pare abbiamo trovato la prima porta numerata.”

Si voltarono tutti verso Aoi, ferma davanti alla porta d’acciaio in fondo alla stanza: su di essa era dipinto il numero sei con della vernice rossa.

Quindi ci siamo, pensò Makoto. Le prime ore in quel posto erano già state piuttosto tese senza che si trovassero davanti le porte numerate, ma ora la sola idea di attraversarla lo atterriva.

“Questo dev’essere l’apparecchio di cui parlava Zero” disse Kyouko, esaminandolo da vicino: era composto da un pannello circolare su cui presumibilmente poggiare la mano, una leva e un display con la scritta “VUOTA”.

“Bene miei cari ospiti, siete giunti davanti alla prima porta numerata. Vi ho già spiegato le regole: non appena avrete trovato la combinazione di numeri la cui radice digitale corrisponde a quella sulla porta, premete la mano sul pannello di riconoscimento. Una volta dentro fate lo stesso con il secondo dispositivo entro il tempo prestabilito, pena una punizione.”

“C-Che tipo di punizione?”

“Vedete i vostri braccialetti? Sul fondo hanno due piccoli aghi. Se doveste essere troppo lenti si attiveranno, prima uno e poi l’altro, e vi inietteranno rispettivamente un tranquillante e, circa un minuto dopo, un rilassante per i muscoli. Vi si fermerà il cuore. Una morte molto dolce, non trovate?”
Makoto deglutì, ora decisamente agitato.

“Se sarete riusciti a non rimanerci secchi nel tentativo, rimarrete chiusi nella stanza finché non avrete risolto gli enigmi che ho preparato per voi.”

Poi la voce di Zero svanì, lasciandoli in silenzio con il peso di quelle parole a gravare su di loro.

Kyouko diede ancora una volta prova di essere quella pragmatica e prese parola: “Ok, direi che a questo punto l’unica cosa che possiamo fare è capire chi deve entrare.”

“Chi rimane fuori può sempre ispezionare l’altra stanza” propose Togami, “anziché stare ad aspettare che gli altri escano.”
Seppur con riluttanza tutti concordarono, convenendo che era la cosa migliore da fare.

Dopo qualche rapido calcolo, Kyouko comunicò ai presenti le possibili combinazioni: “I candidati sono uno” e indicò Aoi, “cinque” si rivolse a Sakura, “e nove” annuì verso Mukuro. Quest’ultima rimase impassibile così come Sakura, mentre Aoi sgranò gli occhi.

“Oppure” proseguì Kirigiri, “i numeri uno, due e tre” disse, e stavolta toccò a lui e Touko trasalire. Le altre combinazioni possibili erano: quattro, cinque e sei (Oowada, Oogami e Togami); due, sei e sette (Fukawa, Togami e Ishimaru); due, cinque e otto (Fukawa, Oogami e Kirigiri); uno, sei e otto (Asahina, Togami e Kirigiri); tre, cinque e sette (Naegi, Oogami e Ishimaru); due, quattro e nove (Fukawa, Oowada e Ikusaba); tre, quattro e otto (Naegi, Oowada e Kirigiri). Per comodità si fermarono a tre elementi, altrimenti ci avrebbero perso l’intera giornata.
“Queste sono le nostre possibilità” concluse Kyouko, “chi se la sente di cominciare?”.

Iniziarono un po’ di discussioni, con gente che si rimbalzava la palla della responsabilità e del “Con quello non vado da nessuna parte!”. Soprattutto Aoi e Touko sembravano molto timorose dinnanzi alla prospettiva.

Makoto si lasciò andare a un sospiro interiore, conscio che quella situazione di stallo giocava a loro svantaggio. Stava per proporsi quando…

“Va bene, non abbiamo tempo per essere indecisi. Io vado”. Fu la massiccia figura di Sakura ad avvicinarsi alla porta: “Ikusaba, Aoi. Siete con me, vero?”.

Il Soldato si fece avanti senza dire una sola parola, coerente con se stessa e con l’immagine di dura che amava dare. Al contrario Asahina prese a tremare visibilmente.

“È… è dura per me, Sakura-chan…”.

“Lo so mia piccola Aoi, lo so. Ma qualcuno deve pur farlo”.

“Sì, ma… perché proprio io?”.

“Avanti, uno vale l’altro. Non possiamo piantarci al primo ostacolo” commentò acido Byakuya. Non che non avesse ragione, ma Makoto si ritrovò a pensare per l’ennesima volta che lui e le buone maniere abitavano su due piani d’esistenza diversi.

“Che cosa ti avevo detto, Togami?” ringhiò Sakura nella sua direzione.

“Sì sì, mi farai tanto male. Però dopo che avrete aperto quella dannata porta. Ok?”.

Uno sbuffo da parte di lei significò la fine del battibecco. Tornò a guardare Aoi, che dava l’impressione di volersi appallottolare su se stessa: “Per favore, ci servi”.

“Mi dispiace che tutto questo ti metta a disagio, Asahina” si inserì Mukuro “Purtroppo la nostra situazione attuale è questa e non possiamo fare altrimenti. E comunque prima o poi ti toccherà per forza. Se Oogami ha deciso di farsi volontaria sei quasi indispensabile, a meno che qualcuno degli altri papabili non si faccia cavallerescamente avanti al posto tuo...”.

“Io passo” proclamò lo Scion senza neanche pensarci due volte. Hai paura che Sakura ti pesti duro, eh?

Altri rifiuti più o meno determinati, che a Makoto parvero solo gli squittii di animaletti terrorizzati. Incluso quello di Ishimaru, che finiva col tagliare le gambe anche a lui per via delle combinazioni.

“Coraggio” disse ancora l’Artista Marziale “Ci sarò io a proteggerti da ogni pericolo. Non ti succederà nulla”.

A suo giudizio nessuno poté prevedere lo slancio di Asahina, che si gettò a peso morto su di lei. Almeno, lui di sicuro non lo aveva previsto.

“Maledizione…”.

 

*

 

“Maledizione…”.

Quella singola parola, pronunciata con voce incrinata da Asahina, lasciò un segno in Mukuro Ikusaba.

Non era mai stato il tipo empatico, inoltre il suo lavoro non era adatto per i deboli di stomaco. O di cuore. Si sa, Mukuro era la migliore in quello che faceva e quello che faceva non era niente di bello.

Non faticava ad ammettere di essere una persona piuttosto arida.

Eppure quella singola parola l’aveva colpita.

Forse, si disse, era l’emblema della crisi in cui si trovavano. Forse era proprio chi l’aveva detta a scatenarle sensazioni sepolte da tempo immemore.

O forse, più prosaicamente, la lontananza dalla guerra la stava ammorbidendo.

D’altronde era una reazione comprensibile: un tizio misterioso li aveva imprigionati in quel posto e parlava di ammazzarli al primo sgarro, oltre ad aver citato presunti torti che avrebbero commesso non si sa quando a scapito di non si sa chi.

Non che non fosse abituata a situazioni estreme. Cavolo, doveva pur essersi guadagnata il suo titolo in qualche modo. Ma niente, nel suo vasto carnet di esperienze sul campo di battaglia, poteva essere paragonato a ciò che stavano vivendo in quei concitati attimi.

L’osservare Asahina che si stringeva con un bisogno a dir poco estremo al ventre di Oogami, la quale non smetteva un solo attimo di accarezzarla per cercare di calmarla… era uno spettacolo difficile da digerire persino per una come lei.

Mukuro era cinica e spiccia, senza ombra di dubbio. Ma non insensibile al punto di non sapersi immedesimare, se non altro a livello “logico”, in qualcun altro. Quindi capiva bene perché un’anima semplice, gioiosa, fragile (nel contesto in cui si trovavano) come quella di Aoi potesse avere simili attacchi di panico.

Fu con lo spirito appesantito da questa consapevolezza che si trovò costretta a separare le compagne e a esortarle a sbrigarsi. Chiuse dicendo “Prima lo facciamo e prima la finiamo”.

“Ikusaba ha ragione” le diede corda Oogami.

“Lo so lo so lo so... ho solo…”.

“Sei spaventata, Asahina. Ed è normale. Normalissimo. Non credere di essere l’unica. Qui tutti e nove, chi più chi meno, abbiamo paura. Paura di morire, paura di deludere chi crede in noi, paura di trovarci di fronte a uno scoglio invalicabile. Lascia che ti dica questo: i veri eroi non sono coloro che non hanno paura. Quando c’è in gioco la vita tutti, e sottolineo tutti, hanno paura. Persino io, nonostante ciò che ho vissuto in giro per il mondo. Non farti fregare dai filmetti romantici o dai romanzi da quattro soldi… tranquilla che non sto parlando di te, Fukawa. I veri eroi sono coloro che sanno mascherare la paura e lasciarla da parte quando c’è da alzarsi le maniche e impegnarsi. Te la senti di provare a tirar fuori tutto quello che c’è di eroico in te? Perché lo so che c’è, ti conosco abbastanza bene da sapere di non star parlando a vanvera”.

Il lungo discorso motivazionale riscosse un discreto successo fra i presenti, con in particolare Naegi che le fece dei sentiti complimenti per quanto aveva detto.

Oh su, non ho fatto nulla di particolare… ma grazie Makoto, grazie…

Quando tornò a dedicarsi ad Asahina la vide vicino alla porta, a giudicare dal BEEP che ci fu aveva già inserito il valore del proprio braccialetto: “Diavolo Ikusaba, perché non ti sei mai candidata per qualche ruolo rappresentativo a scuola? Sapresti convincere un sasso a votarti con tutta la capacità oratoria che ti ritrovi. Sei proprio fortunata: brava a sparare e brava a parlare”.

“Mi confondi, ma apprezzo i complimenti. E sono contenta di vedere che il mio seccarmi la gola ti è stato utile”.

“Ah ecco, allora è per questo che lasci l’incombenza a Ishimaru. Lui è fisicamente incapace di stancarsi quando parla”.

“Insomma, la smettete di dileggiarmi? Guardate che sono qui e vi sento!” disse quello, piccato.

“Si faceva per scherzare, musone che non sei altro” lo rimbrottò Aoi ridendo, a quanto sembrava molto più calma.

Ok, credo di aver fatto la mia buona azione quotidiana. Ora sotto col braccialetto.

Lei e Oogami fecero lo stesso e la porta si sbloccò, aprendosi da sola.

“Adesso ali ai piedi, ragazze!” le esortò Mukuro. Le altre due non si fecero pregare e, una volta all’interno, individuarono quasi subito il dispositivo gemello a quello d’ingresso.

Si identificarono più velocemente possibile e la porta si richiuse, lasciandole separate dagli altri sei.

“Va bene, signore. Ora siete bloccate. Dovrete venirne fuori da sole e io non vi dirò certo come. Buon divertimento”. Evidentemente c’era un sistema di trasmissione in funzione per tutto l’edificio, visto che Zero sembrava come pedinarli man mano.

E in quel che aveva detto… uhm, era strano ma non sapeva cosa potesse essere…

Se ne sarebbe occupata dopo.

 

*

 

Neanche a dirlo, anche quella stanza era arredata in maniera elegante come le precedenti: mobili raffinati, luci soffuse, librerie piene di tomi enormi e sicuramente complicati. Aoi sbuffò: cominciava a detestare quell’ambiente all’apparenza confortevole, persino l’aereo su cui avevano viaggiato le sembrava più invitante. Se non fosse ormai inservibile aggiunse mestamente.

“Bene, cosa dovremmo cercare?” chiese, senza rivolgersi a nessuno nello specifico, ma fu Mukuro a risponderle: “Zero ha parlato di enigmi, quindi immagino dovremo metterci a cercare qualcosa che corrisponda alla descrizione.”

Scambiò uno sguardo perplesso con Sakura, poi entrambe fecero spallucce e cominciarono a darsi da fare. A sapere come diamine è fatto un enigma pensò, mentre rovistava tra gli scaffali di una delle librerie. Più ci pensava più le uniche cose che le venivano in mente erano gli indovinelli sulla rivista dei cruciverba, e dubitava seriamente che Zero avesse lasciato per loro un foglio pieno di rebus e sudoku da risolvere; se erano anche solo lontanamente simili a quello che avevano (accidentalmente) risolto per aprire le due stanze precedenti, avrebbero perso un sacco di tempo anche solo per trovarlo. E, senza nulla togliere a Sakura-chan e Ikusaba-san, senza quei due cervelloni di Kirigiri-san e Togami-san ci sarebbe voluto un po’ anche per trovare la soluzione. Sospirò e proseguì l’ispezione degli scaffali, mentre Sakura guardava dietro ai mobili più pesanti (che spostava senza fatica) sperando di trovare oggetti nascosti, e Mukuro passava al microscopio i cassetti di una scrivania.

Stava quasi per arrendersi e lasciarsi andare alla disperazione quando nella stanza riecheggiò un CLICK.

Sakura si voltò verso le altre: “Cos’è stato?”
“A quanto pare abbiamo finalmente sbloccato qualcosa” disse Mukuro, guardandosi attorno forse alla ricerca dell’oggetto che aveva prodotto il rumore. “Proviamo a ripetere le nostre ultime azioni, muovere gli ultimi oggetti che abbiamo toccato” propose “forse così riusciremo a risalire a cosa ha provocato quel suono.”

Le altre due annuirono e ripercorsero velocemente i loro ultimi movimenti, finché non sentirono di nuovo quel CLICK.

“Ecco cos’è stato” annunciò Sakura, dirigendosi verso Aoi e indicando il libro che la ragazza aveva spostato: “Dev’essere stato questo. Prova a reinserirlo tra gli altri libri e poi toglierlo di nuovo, per favore” chiese, e l’altra obbedì: come previsto spostare il tomo dal suo alloggio provocava il suono.

“Magari aziona un qualche tipo di meccanismo” ipotizzò Mukuro, osservando le due librerie che occupavano buona parte della stanza, “e forse dobbiamo muoverne altri per risolvere l’enigma.”

“Il problema è capire quali muovere” aggiunse Sakura, pensierosa. Aoi sospirò, sentendosi quasi inutile: aveva mosso quel libro per puro caso, e non aveva alcuna idea di come individuare gli altri. Mentre ancora rimuginava, la Super Artista Marziale parlò di nuovo: “Potrei averli trovati.”
“Davvero?” trillò Aoi, e Mukuro aggiunse: “Sei sicura? Quali sono?”
Sakura indicò loro dei libri che avevano una costina simile a quella del tomo che Aoi aveva spostato: “Hanno tutti lo stesso colore e il simbolo dello yin e dello yang.”

Mukuro annuì e Aoi saltellò sul posto: “Bella intuizione, Sakura-chan!”

L’altra arrossì appena ma ricambiò il sorriso: “Ora non ci resta che capire in quale ordine muoverli” disse, e il Super Soldato aggiunse: “Se non sbaglio Asahina ha preso il primo libro dalla libreria più vicina alla porta… potremmo banalmente seguire l’ordine e continuare verso sinistra. Alla peggio probabilmente il meccanismo non si azionerà.”

Non avendo altre opzioni le altre due annuirono e la seguirono a ruota.

“Io prendo questa, Oogami occupati di quella dopo”.

“Va bene”.

Aoi, con ancora il libro in mano, le osservò mentre compivano l’azione.

CLICK.

CLICK.

SCLACK.

Eh? Un rumore diverso?

Si guardò attorno e notò che uno dei quadri alle pareti, che rappresentava un bellissimo tramonto rosso fuoco, si era mezzo staccato dal muro.

Aspetta, c’era qualcosa dietro?

Lo prese e lo appoggiò per terra. In effetti, coperta dalla cornice, c’era come una cassaforte incassata nel muro.

“Un’altra” mormorò sottovoce, manifestando l’irritazione per la scoperta.

“Tutto bene, Aoi?”.

“Oh sì Sakura-chan, tutto bene. Perché me lo chiedi?”.

“Mi sembravi un po’ abbacchiata”.

“Ma no, nulla. Mi dà solo fastidio sapere che dobbiamo aprire una cassaforte”.

“Non sarebbero dei puzzle degni di questo nome altrimenti” commentò leggera Mukuro, quasi ridendo.

Mi fa piacere che lo trovi divertente, Ikusaba.

“Ok ragazze” riprese il Soldato “abbiamo un gioiellino da scardinare. Un gioiellino che sembra senza manopole o meccanismi per farlo”. Si avvicinò e prese ad osservarla: “Qualche idea?”.

Cominciarono a tirar fuori varie possibilità che però si rivelavano puntualmente inefficaci. Il tutto mentre Asahina era in realtà distratta dal libro.

Come già successo per l’altro indovinello si sentiva poco adatta e non in grado di aiutare concretamente, pertanto trovò più interessante sfogliare le pagine.

Lesse l’introduzione.

Sentì una fiammata al centro del petto bruciarle qualcosa, per poi spegnersi pian piano.

Il libro si chiamava L’Amico Ritrovato e parlava di una grande amicizia rotta dagli eventi e riparata solo dopo la morte di uno dei due personaggi.

“Sakura-chan, posso farti una domanda… privata?”.

 

*

 

Sakura Oogami sentì un colpo di freddo. Raramente Aoi le si era rivolta con un tono tanto… non riusciva a definirlo bene, ma suonava molto… era incredibile associarle quella parola, ma suonava rassegnato. Aoi Asahina sapeva essere un miliardo di cose: energica fino all’inverosimile, spiritosa, maliziosa, caparbia, capace di fare le faccine buffe, capace di tenerti il muso per un mese perché le hai rubato le ciambelle. Ma rassegnata no, non ne era capace.

Che siano i primi effetti di questo posto nefasto su di noi?

“Certo che puoi” si limitò a rispondere, concisa. Preferì non girarsi verso di lei, facendo finta di rimanere concentrata sulla cassaforte che non si voleva aprire.

Mezzo minuto di silenzio.

Un minuto di silenzio.

“Aoi…?”.

Un minuto e mezzo di silenzio.

“Asahina, stai bene?”.

Naturalmente si erano entrambe fermate quando i tempi della domanda erano diventati anomali. La stavano guardando stranite, chiedendosi quale potesse essere l’insormontabile problema che la bloccava così tanto.

Poi, finalmente, parve darsi una scrollata: “Sakura-chan, tu… tu… ti è mai capitato di avere un’amicizia strettissima e molto importante che… che… che è stata rovinata da qualcosa?”.

L’interpellata ebbe un secondo di sbigottimento: era questa la domanda apocalittica che le aveva causato tutte quelle difficoltà? Cioè, era un ficcare il naso nei suoi affari e quindi poteva comprendere un po’ di imbarazzo nel porla. Ma un conto è un po’ di imbarazzo, un conto è passare un sacco di tempo muta come un baccalà perché non ti escono le parole dalla bocca. Inoltre aveva premesso che sarebbe stata personale e lei non aveva opposto la minima obiezione, quindi non capiva da cosa le nascesse tutto quel disagio.

Che ci fosse sotto qualcos’altro? Qualcosa che non riusciva a capire?

Scosse impercettibilmente la testa. In primo luogo non stava a lei dubitare della buona fede della sua amica, in secondo luogo eventuali secondi fini non le dovevano interessare.

Peraltro nel suo caso la risposta era molto semplice: “A dire il vero no. Come sai c’è stato Kenichiro, ma era una situazione un po’ più complessa di così. E poi lui è morto, quindi l’amicizia non è finita a causa di un litigio fra noi”.

“Se posso intromettermi…” chiese Mukuro, alzando appena il braccio.

Interpretò la mancanza di rimostranze come un assenso, quindi riprese a parlare: “A me è successo. Durante il periodo con Fenrir, dove i rapporti interpersonali spesso si riducevano a un «dammi quel cazzo di fucile, stronzo». Lui si chiamava Edward, australiano. Se lo aveste visto muoversi e parlare vi sareste potute chiedere cosa ci faceva lì, stonava del tutto con l’ambiente generale. Gentile, carino, servizievole. Un tesoro. E incredibilmente bravo a spiattellarti le cervella sul pavimento. Insomma, per farla breve era l’unica oasi umana felice in mezzo a un branco di tagliagole senza possibilità di redenzione. Al di fuori del lavoro eravamo inseparabili, anche se è pur vero che aveva in comune col nostro Naegi l’invidiabile capacità di farsi benvolere da chiunque. Poi un giorno, ci trovavamo sulle alture dell’Afghanistan… commisi un errore. Un errore che gli è costato entrambe le gambe. Gliele hanno amputate. Quando lo andai a trovare all’ospedale ricordo come se fosse ieri il torrente di insulti che mi buttò addosso. «Sei una baldracca, Ikusaba! Dovevi solo assicurarti che le mine fossero innocue e non sei riuscita a fare nemmeno quello! Non camminerò mai più in vita mia, bastarda! E per colpa tua! Colpa tua! Colpa tua! Va’ a impiccarti in mezzo al deserto, troia!». Non mi sono mai sentita così in colpa come quando uscii dalla quella stanza, le sue urla che ancora cercavano di pugnalarmi alla schiena. Per un paio di giorni ho avuto l’impulso di seguire il suo consiglio e appendermi da qualche parte, credevo che non sarei riuscita a sopravvivere con quel peso sulla coscienza. Poi per fortuna l’ho superato... ma ogni tanto il suo spettro viene a farmi visita nei miei incubi, ricordandomi i miei torti e quello splendido rapporto ridotto in cenere nell’arco di pochi secondi. Vi chiedo scusa per la volgarità ma rendeva bene l’idea”.

Entrambe restarono imbambolate di fronte alla confessione di Mukuro. Quanto avevano appena sentito era… era sconvolgente.

Non poté evitarsi di rubarle un’occhiata. La vide con la testa appena reclinata in avanti… e gli occhi lucidi. Mukuro Ikusaba che rischia di piangere, uno spettacolo che decisamente non si vede ogni giorno.

Lasciò che il suo corpo si muovesse da solo e la abbracciò, sentendo presto anche l’arrivo di quello scricciolo di Aoi.

“Santissimi kami, Ikusaba-san! Mi dispiace, mi dispiace di averti fatto ricordare un episodio così terribile! Scusami ti prego scusami non volevo!” si prodigò la Nuotatrice, fuori di sé. I singhiozzi le parvero raddoppiare.

Santo cielo, che brutta situazione.

“Kerumph. Sono il vostro amichevole Zero di quartiere. Perdonate se disturbo questo delizioso quadretto di condivisione fra ragazze, ma avrei delle cose da comunicarvi. Posso? Non do fastidio? Se vi do fastidio tanto meglio. Sappiate che c’è uno e un solo modo per aprire la cassaforte, un modo in realtà rapido e indolore che non contempla nessun difficile rompicapo. Asahina, appoggia il palmo della tua mano destra sulla superficie di quell’affare. Su, muoversi muoversi muoversi”.

Sakura sentì come uno strappo dal loro abbraccio comune. Era Aoi che si era staccata e le fissava terrorizzata: “C-Cosa vuol farmi? M-Mi vuole staccare la mano!”.

Entrambe si affrettarono per cercare di quietarla, facendole presente che aveva parlato di un metodo rapido e soprattutto indolore. Certo, sulla credibilità delle sue parole se ne sarebbe potuto discutere a lungo e qualcuno avrebbe potuto giustamente sostenere che non c’era granché da fidarsi, ma in una simile situazione era meglio pensare positivo.

“Spicciati Asahina, non ho tutto il giorno”.

“Potresti almeno dirle cosa la attende!” sbraitò Mukuro rivolta verso il soffitto.

“E privarmi subito di tutto il divertimento? Non ci penso neppure. La prossima tranche di informazioni arriverà quando avrà fatto quel che le ho gentilmente chiesto”.

Dannazione. Aoi era palesemente sconvolta, chi poteva dire come si sarebbe evoluta la situazione con lei in quelle precarie condizioni psicologiche?

L’unica è tirare dritto, temo.

“Coraggio Aoi, io e Ikusaba siamo qui con te. Ti guardiamo le spalle e ti sorreggeremo se dovessi cadere”.

“Assolutamente sì. Puoi contarci, Asahina”.

“G-Grazie…”. L’esortazione parve avere un minimo di effetto, il suo tremolio diminuì d’intensità e cominciò a caracollare lenta verso l’obiettivo.

A Sakura faceva un male tremendo vederla conciata in quello stato. È vero che in parte era dovuto al tristissimo racconto di Mukuro, ma ciò non toglieva che probabilmente Zero si sentiva molto fiero di se stesso in quei momenti.

Finalmente, dopo quella che alle presenti parve un’eternità, il palmo della mano destra di Aoi prese contatto con la superficie della cassaforte.

“Ecco, vedi? Tutta ‘sta frigna per nulla. È stato così difficile?” la prese in giro la voce senza corpo. Chiaro come si stesse divertendo da matti, nonostante l’evidente distorsione con cui la percepivano.

“E-E-E adesso? Cosa devo fare?”.

“Assolutamente nulla… salvo rivelare il tuo più lurido, sordido segreto al mondo intero. Quando avrai finito si aprirà da sola”.

L’aria si ghiacciò. Sembrò quasi che fosse preso a battere un fortissimo vento artico, di quelli che ti portano il freddo fin dentro le ossa e poi cominciano a scavare per congelarti completamente.

E poi silenzio.

Silenzio pesante come un macigno da dodici tonnellate.

“...”.

“...”.

“Il… il… mio segreto… più sordido…”.

“Ci senti benissimo. E sai a cosa mi sto riferendo”.

“N-Non p-puoi v-v-volere che faccia una c-cosa del genere…”.

“Non solo lo voglio, lo pretendo. Se dovessi rifiutarti attiverò il tuo braccialetto. Questo è il mio gioco, Asahina. Il mio campo. Le mie regole. Voi siete solo delle inermi pedine che devono imparare a stare al loro posto e ubbidire a quanto viene loro ordinato”.

“E… e v-va bene… p-preferisco morire che ri-rivelarlo…”.

“Ricordati che non sarai l’unica a morire se dovessi insistere nell’essere testarda. Anzi, ancora meglio: prima quello di Ikusaba, poi quello di Oogami. E solo allora il tuo. Così avrai il tempo di strapparti i capelli e renderti conto che saranno crepate per colpa tua. Ti concedo trenta secondi per cambiare idea. Da adesso”.

“Aoi” disse Sakura giungendo alle sue spalle “So di starti chiedendo tanto, forse troppo. Ma devi farlo. Ne va della sopravvivenza di tutti, noi tre chiuse qua dentro e gli altri sei là fuori”. Lei stessa si rendeva conto di non suonare per nulla sicura e la cosa le dava parecchio fastidio.

“Dieci”.

“Asahina, Oogami ha ragione. E poi, cosa può essere di così mostruoso? Sei una persona normale senza impulsi violenti o strane psicosi... non è vero?”.

“S-Sì, certo… ma... “.

“Ma?”.

“Q-Questo… distruggerà… la mia vita… e non solo la mia…”.

“Cosa intendi?”.

“Non l-lo posso dire… proprio non posso… mi spiace ragazze, morirete a causa mia…”.

“Venti”.

“Aoi, per favore. Ho promesso di proteggerti, non costringermi a rompere il giuramento più importante che abbia mai fatto in vita mia. Te ne prego. Nessuno ti giudicherà se è ciò che temi, dovranno passare sul mio cadavere prima di potercisi solo azzardare”.

“E-Ecco… lo sapevo… non riesci a… fare a meno di… essere così…”.

“Così?”.

“Venticinque”.

“Così… splendida…”.

“Cosa?” lei e Mukuro chiesero in stereo.

“IO AMO SAKURA OOGAMI!” urlò senza freni, nel contempo scoppiando a piangere come un fiume che aveva rotto gli argini.

“Ding! E brava Asahina, alla fine ci sei riuscita. Bene frauen, vi lascio ai vostri chiarimenti. La cassaforte è aperta”.

Si udì un leggero click e lo sportello si spostò appena, abbastanza da consentire a Mukuro di infilare le dita e aprirlo del tutto: “E questo…?” commentò, rimanendo ferma ad osservare la misteriosa ricompensa per la quale Aoi aveva dovuto rivelare il suo più intimo segreto.

Seppur scossa da quanto era appena successo, Sakura si sforzò di rendersi utile: “Cos’hai trovato, Ikusaba-san?” chiese, e quest’ultima si voltò con un carillon tra le mani.

“Fantastico. E ora che cosa ce ne facciamo?” borbottò mentre lo poggiava sulla scrivania e lo contemplava, quasi sperasse che a un certo punto si azionasse da solo e rivelasse loro il modo per uscire da lì.

Mentre il Soldato rifletteva, Sakura si voltò di nuovo verso Aoi: la ragazza si era accucciata su una delle poltroncine, accoccolandosi su se stessa e… apparentemente singhiozzando. Le si strinse il cuore nel vederla così indifesa e a pezzi: da quanto si portava dentro quel segreto? Quanto doveva aver sofferto in silenzio, col terrore di sentirsi rifiutata, sbagliata… di perdere la persona a lei più cara?

Si sentì pervadere da un moto di rabbia, e giurò a se stessa che Zero avrebbe pagato caro quello scherzo. Osservò ancora Aoi con il viso nascosto tra le gambe, prese coraggio e con tutta la delicatezza di cui era capace le si inginocchiò accanto: “Asahina-san?”

“...”

“Aoi?”

“S-Sakura-chan… non odiarmi…” balbettò, e di nuovo si sentì sprofondare: “Non potrei mai odiarti, per nessuna ragione al mondo.”

Aoi sollevò appena il viso: “Da… davvero?”

Sakura sorrise: “Certo che sì.”

L’altra annuì appena, per poi abbassare di nuovo lo sguardo. Sakura tentò ancora: “Aoi, se vuoi parlarne…”

“N-Non adesso, per favore” la pregò Aoi, con un tono di voce così triste che avrebbe messo in ginocchio persino Togami. “Non… non me la sento.”

“Nessun problema, hai tutto il diritto di non volerne parlare ora” rispose. “Quando vorrai, quando te la sentirai… io sono qui.”

La ragazza sollevò la testa e la guardò con occhi umidi e increduli, poi annuì e tornò silenziosa.

Più di questo non poteva fare, pensò Sakura. Data la situazione era già tanto se Aoi non aveva ceduto ad una crisi isterica. Sospirò e tornò a rivolgersi ad Ikusaba, che apparentemente non aveva ancora risolto il mistero del carillon.

Quella frase urlata avrebbe avuto degli strascichi. Lunghi, dolorosi e interamente imputabili a Zero.

Per la prima volta da quando praticava arti marziali, Sakura Oogami non nascose a se stessa una certa voglia di menare le mani.

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Capitolo 4
*** Quando un'amante delle ciambelle si incazza ***


Lo sguardo sconsolato di Mukuro non contribuì a migliorare l’umore di Sakura, ovviamente piuttosto basso dopo quanto successo ad Aoi: “Non riesci a venirne a capo, Ikusaba?”.

“Macché. Abbiamo un carillon che non funziona”.

“Sei riuscita a scoprire il motivo per cui non va?”.

“A dire il vero non ci ho neanche pensato. Credi che possa esserci utile capirlo?”.

“Non lo so, ma vale la pena tentare”.

“Sì, potresti aver ragione. Allora vediamo perché si rifiuta di suonare, questo bastardello”. Detto ciò lo riprese in mano e cominciò ad armeggiare, presumibilmente cercando un modo di aprirlo.

Sakura, pur essendo interessata a quanto stava facendo, non riusciva a impedirsi di guardare ogni tanto Aoi. Era sempre lì sulla poltroncina, sempre rannicchiata sulle gambe e sempre immobile.

Per un attimo superò l’immensa pena che provava nei suoi confronti e provò ad affrontare il problema da un punto di vista più pratico. Nel senso: che effetto le faceva la sua angosciata dichiarazione d’amore? Che cosa sentiva lei? Era una possibilità valida?

La risposta di primo acchito, e le fece parecchio male, fu no. Non per chissà quale repulsione o perché Aoi non le piacesse come persona. Solo Sakura non si sentiva attratta sentimentalmente da una ragazza.

Aoi Asahina era la sua più cara, dolce e preziosa amica. Niente avrebbe mai potuto modificare questo dato di fatto. Scolpito nella pietra come le più maestose scogliere.

Ma far salire il loro rapporto a un ipotetico livello successivo…

Il ricordo di Kenichiro, di quel loro speciale stare assieme pur nella competizione che li accomunava… era ancora tutto troppo forte e troppo vivido nella sua mente. Le ci sarebbe voluto molto, molto tempo per distaccarsene. Nel frattempo quello spazio nel suo cuore era occupato da un inquilino che non voleva saperne di sloggiare per lasciare campo libero al nuovo arrivato.

“Tutto bene, Oogami?”. La voce di Mukuro la ridestò dai suoi pensieri. Era ancora alle prese con il tentativo di smontare il carillon.

“Oh… sì sì, sto bene. Stavo solo riflettendo…”.

“Su quanto ha detto Asahina?”.

“E tu come fai a…”.

“Suvvia, non serve essere Kirigiri per arrivarci. Nella tua situazione starei anch’io lì a farmi un sacco di domande. «Io la ricambio? Posso ricambiarla? E se ci vedesse qualcuno?». No beh, l’ultima era solo per dire… anche se pure il giudizio degli altri immagino abbia un suo peso nella faccenda. Penso sia parte dell’ingarbugliata sensazione che prova, parte di quanto l’ha spinta a non dirti mai nulla. Povera Asahina, Zero è stato di una crudeltà rivoltante a comportarsi così…”.

“Lo puoi dire forte. Il mio sensei mi farebbe una ramanzina se fosse qui, ma non posso fare a meno di provare una gran voglia di spaccargli la faccia”.

“Mi sembra più che legittimo. Ha obbligato la tua migliore amica a spogliarsi di ogni inibizione e a denudare la sua anima esponendola di fronte a tutti. Io di traumi ne ho vissuti tanti, non ultimo quello che vi ho raccontato prima, ma non sono sicura di poterne vantare uno così enorme”.

Si era fermata un attimo mentre le rivolgeva queste parole. Sembrava volesse dare più importanza al discorso che all’azione, altra cosa che normalmente non faceva spesso.

“Oogami, qualunque cosa succeda devi starle vicina. Ora più che mai ha bisogno di te”.

Annuì, seppur non troppo convinta.

Il discorso di Mukuro era molto bello e molto nobile, ma a suo giudizio non teneva conto di un fattore importante: lei era la prima, maggiore, unica causa del malessere di Aoi.

Con questo non intendeva dire che non fosse disposta a esserle di supporto, tutt’altro. Però è difficile essere di supporto per qualcuno che ti guarda con occhi diversi da quelli a cui credevi di essere abituata. Che, con la magagna venuta a galla, può aspettarsi qualcosa di più. Che, nel peggiore dei casi, potrebbe anche non volerlo il tuo supporto finché le cose fra di voi non saranno più chiare.

Sigh.

Forse è meglio tornare a dedicarsi alla scatolina musicale che non collabora.

“Passami il carillon, magari io riesco ad aprirlo”.

 

*

 

Touko Fukawa era spaventata.

L’unica cosa che voleva in quel momento era stare lontana dalle scale.

Scale che scendevano verso l’ignoto, verso il buio. E Touko odiava il buio.

Le bambine cattive meritano di stare al buio.

“Allora, vogliamo muoverci o no?”

Oowada berciò di nuovo cercando di convincere tutti a scendere, ma lei avrebbe preferito morire piuttosto che avventurarsi lì sotto.

“I-Io non mi sposto” disse, un sussurro appena udibile che solo quelli più vicini a lei avvertirono.

“Hm? Hai detto qualcosa, Fukawa-san?” chiese Naegi, con quegli occhi enormi e pieni di ottimismo che lei a volte detestava e a volte invidiava.

“Io non… non mi sposto” ripeté, “non voglio scendere.”

“E perché mai, di grazia?” tuonò Togami, spazientito. “Non abbiamo tempo da perdere per dare retta alle tue assurde paranoie!”

Quella frase detta da Togami - il suo amato Byakuya-sama, il suo cavaliere bianco - era una dolorosa stilettata al cuore, ma in fondo aveva poi torto? Sono solo spazzatura, si disse, ha ragione. Una stupida che non merita nemmeno che qualcuno mi rivolga la parola.

“M-Mi dispiace…” balbettò, e il Super Erede rincarò la dose: “Se ti dispiace tanto dimostralo dandoti una mossa, che non abbiamo tutto il giorno.”

“Non c’è bisogno di essere così scortesi, Togami-san” ringhiò Ishimaru, prontamente ignorato dal biondo erede. Touko abbassò lo sguardo, ancora più depressa di prima, quando sentì una mano sulla spalla. Fece un salto all’indietro, temendo che qualcuno volesse picchiarla o costringerla a scendere con la forza, ma quando alzò gli occhi vide il volto sorpreso di Naegi.

“S-Scusami Fukawa-san, non volevo spaventarti” disse lui, “mi chiedevo solo se stessi bene.”
Presa in contropiede da tanta gentilezza, Touko si voltò imbarazzata. Non era abituata a gente sinceramente interessata a lei, e Naegi sembrava sempre così dannatamente altruista con tutti… che ne sapeva lei di come comportarsi con persone come lui?

“Fukawa, tu… non avrai mica paura del buio?”

La domanda, diretta e pratica, arrivava ovviamente da Kirigiri, che la osservava con studiata calma. Improvvisamente anche gli altri sembrarono interessati alla faccenda.

N-No, vi prego…

“Che, davvero?”
“Ma come, alla tua età?”

“Non ti senti ridicola?”

L’ultima frase, ovviamente, era di Togami. E fu quella che fece traboccare il vaso.

“M-MI DISPIACE! NON E’ COLPA MIA! SONO SOLO UNA STUPIDA, STUPIDA E INUTILE CAGNA!” urlò, accasciandosi a terra e coprendosi la testa con le mani.

“C’era proprio bisogno di parlare in questo modo?!”

Riconobbe la voce di Naegi, stranamente autoritaria, rivolgersi a Byakuya-sama (il suo Byakuya-sama, nonostante tutto, nonostante le cattiverie); quest’ultimo non disse nulla, e lei non alzò lo sguardo per paura di leggere lo sdegno negli occhi di lui. Si ritrasse in un angolo lontano dalla scala e si accasciò a terra, nascondendo la testa tra le ginocchia.

Sono solo una stupida, si disse. E le bambine stupide meritano di stare al buio.

“F-Fukawa-san?”

Dopo un tempo che le parve interminabile sentì di nuovo la voce di Naegi che la chiamava; sollevò la testa e lo vide inginocchiato a qualche centimetro da lei con un’espressione di sincera preoccupazione sul volto.

Non guardarmi così. Non me lo merito.

“Fukawa-san, se non te la senti di scendere non sei obbligata. Posso rimanere io con te, almeno finché gli altri non trovano qualcosa per far luce di sotto.”

“Dio, Naegi, sei serio?” borbottò Togami, ma un ringhio da parte di Oowada lo fece desistere dal proseguire: “Chiudi quel cesso di bocca, Scion di ‘Staceppa.”

Touko rimase in silenzio, incredula.

Perché Makoto Naegi era così gentile con lei? Perché tanto interesse per un’inetta che non meritava assolutamente nulla se non il giusto disprezzo che Byakuya-sama le rivolgeva?

Istintivamente si ritrovò a fare un cenno affermativo con la testa, al che Makoto sorrise e si accomodò accanto a lei.
“Bene, direi che è deciso.”

Kirigiri, Oowada e Ishimaru annuirono e scesero le scale. Solo Byakuya rimase ad osservarli con uno sguardo strano, un misto di stupore, rabbia e… il fastidio per non aver capito cos’era appena successo. O almeno così sembrava a Touko.

Quando finalmente rimasero soli, Makoto parlò di nuovo: “Ti senti meglio?”

Non era certa della risposta, così si limitò ad annuire. Lui sembrò sinceramente sollevato: “Meglio così! Mi è dispiaciuto vederti così spaventata, non pensavo la tua fosse una paura tanto radicata…”

Stranamente non le sembrò un’accusa o una battuta di scherno e riuscì persino a formulare una risposta che non suonasse ingrata: “Ho s-subito un trauma quand’ero piccola… n-non lo sa nessuno.”

“Dev’essere stato terribile” rispose lui, “se Togami-san avesse almeno avuto la cortesia di stare zitto…”

“N-Non parlare così di Byakuya-sama!” scattò Touko, quasi l’avessero punta sul vivo. “Lui ha r-ragione, io sono inutile e non merito altro che essere maltrattata!”
“Questo non è vero!” sbottò Makoto, e la sicumera con cui lo disse la colse di sorpresa: “So che Togami-san ti piace ma… questo non vuol dire che devi accettare in silenzio ogni cattiveria che ti rivolge. Tu non meriti questo, Fukawa-san.”

Era la prima volta che qualcuno le diceva cose tanto gentili, tanto… belle.

Non può dirlo sul serio.

Eppure, una piccola parte di lei desiderava tanto volergli credere, voleva disperatamente sentirsi amata. Sembrava una bella sensazione, calda, confortevole… e un pallido spettro le era appena stato fatto provare dal ragazzo che era accanto a lei in quel momento.

“Davvero” riprese lui all’improvviso sedendosi sul primo gradino e facendole cenno di accomodarsi al suo fianco “non te lo meriti. Nessuno se lo merita”.

Tentennò, cercando di decidersi se accettare o meno l’offerta. Era tentata, anche se sapeva bene che c’era un alto grado di rischio. Alla fine, pur fra mille ripensamenti, si mise comoda.

“Fukawa-san, voglio che sia chiaro questo: nessuno di noi vale meno degli altri. Persino io, quello senza nessuna qualità straordinaria, mi sento allo stesso livello di tutti voi super geni. Quindi figurati tu che sei una bravissima scrittrice. E a prescindere da quello, sei un essere umano degno di rispetto. Fra l’altro la nostra situazione ci costringe ad evitare il più possibile litigi e contrasti, perché credo che solo uniti riusciremo a uscire vivi da qui. Quindi, oltre perché è giusto così, sarebbe meglio per tutti se fosse possibile disinnescare Togami-san e la sua lingua biforcuta”.

“Ti ho detto di non parlare male di Byakuya-sama!”.

“Fukawa-san, lo dico per te. Non è sano farsi trattare come una pezza da piedi nella maniera in cui lo fai tu. Senza offesa eh, ma abbi un po’ più di rispetto per te stessa. Sei una ragazza intelligente, non lasciarti sminuire in questo modo. Fatti valere!”.

Complimenti… rivolti a me? L’universo ha preso a girare al contrario per caso?

“C-Cosa stai cercando d-di dirmi?”.

Lui allargò le braccia e assunse il tono che probabilmente ha la maestra paziente che rispiega per la sesta volta le addizioni all’alunno un po’ tonto: “Me lo sono sempre chiesto il perché del tuo essere così introversa, così perennemente sulla difensiva. Non intendo farmi i fatti tuoi, se e quando ne vorrai parlare sarai tu a deciderlo. Dico solo che secondo me non puoi andare avanti così. Ti fai del male se non riesci neanche a difenderti in cose così basilari come il non farsi insultare gratuitamente da Togami, o da chiunque altro se è per quello. Alza la testa quel tanto che basta per non farti schiacciare da nessuno, perché nessuno ha il diritto di farlo”.

Mi… mi sta incoraggiando? I-Impossibile.

Non rispose, non sapeva cosa dire. Era una situazione così nuova per lei che si trovava del tutto impreparata sul modo corretto di reagire. Si limitò a guardarlo dritto negli occhi, cercando inconsapevolmente qualcosa che tradisse un atteggiamento da doppiogiochista in lui. Qualcosa che le dicesse che stava mentendo, che stava tentando di manipolarla per qualche losco scopo.

Non lo trovò.

L’espressione di Makoto Naegi era onesta, pulita.

Ne venne spiazzata.

Era a mani vuote. Non aveva la minima idea di cosa dovesse dirgli. Se doveva ringraziarlo e in che modo, se doveva spingerlo giù dalle scale accusandolo di essere solo l’ennesimo bastardo che stava provando a maltrattarla per il suo divertimento da sadico…

“Tutto bene, Fukawa-san? Stai sudando”.

Non seppe rispondergli. Era troppo impegnata a contenere mille impulsi diversi.

“Fukawa-san…?”

Sentiva che le sarebbe esploso il cuore da un momento all’altro tanta era l’agitazione, finché non notò una luce provenire dalle scale che portavano al sotterraneo.

Touko ringraziò ogni divinità esistente.

“Gente, abbiamo trovato l’interruttore! Potete scendere!” trillò Mondo, facendo capolino dal piano di sotto.

“Ah, bene!” rispose Naegi, alzandosi e voltandosi verso di lei. “Vogliamo andare?” chiese, tendendole la mano: Touko la osservò per qualche istante, incerta sul da farsi; poi la afferrò e seguì lui e Oowada giù per le scale. Poco prima di riunirsi agli altri sussurrò: “N-Naegi…”

“Hm? Sì, Fukawa-san?”

“I-Immagino di… di doverti…”

“Dovermi?”
“Insomma… grazie” balbettò, arrossendo fino alle orecchie. Makoto sorrise: “Non devi ringraziarmi di niente. Ma promettimi di pensare a quello che ti ho detto!” disse, prima di raggiungere gli altri. Touko rimase imbambolata a guardarlo, provando per la prima volta una sensazione di estrema gratitudine per qualcuno.

Forse Naegi aveva ragione, si disse. Forse era ora di smetterla di farsi insultare da chiunque.

Anche da Byakuya-sama…

Si avvicinò cauta al gruppo, e nel farlo notò una cosa estremamente spiacevole: non c’era una sola porta numerata, ma tre. I numeri 3, 2 e 4 erano scritti nell’ormai usuale vernice rossa.

No, non di nuovo vi prego…

“Cosa vogliamo fare?” sentì qualcuno, forse Ishimaru, chiedere agli altri; a rispondere fu Kirigiri: “Proporrei di cominciare a calcolare le radici per ogni porta, così da essere già pronti quando arriveranno le altre.”

“Ma sì, tanto in qualche modo il tempo dobbiamo occuparlo…” sbuffò Oowada, non proprio entusiasta all’idea di rimettersi a fare calcoli.

Mentre il gruppo parlava, Touko si allontanò istintivamente e si lasciò cadere su uno scatolone abbandonato in un angolo. Sentiva che il panico stava per tornare.

 

*

 

“A quanto pare manca il cilindro.”

“Ed è un male?”
“Se vuoi farlo suonare sì. È su quello che sono incise le note.”
“E per noi è un problema?”

“Suppongo. Se manca immagino che Zero voglia che noi lo troviamo.”

Mukuro ascoltò le parole di Oogami, poi sospirò. Sakura la seguì a sua volta: l’idea di dover rivoltare quella stanza come un calzino per la seconda volta non la entusiasmava per niente, non quando aveva ancora il pensiero di Aoi ad angustiarla.

Ma non è questo il momento per pensarci, si disse.

Stava per mettersi di buona lena quando una voce alle sue spalle, flebile come un sussurro, la colse di sorpresa: “Vi do una mano…”.

Non era stata lei. Non era stata Ikusaba. Facile capire a chi appartenesse.

Si girò e la vide alzarsi.

“Aoi, sei sicura? Non ce n’è bisogno se non te la senti…”.

Scosse la testa prima di risponderle: “Va tutto bene, Sakura-chan. Tutto bene”.

“No che non va bene!” si stupì nel sentirsi parlare con tutto quel vigore “Hai ancora una faccia terribile, non sei in condizione di…”.

“Sakura” disse l’altra con un tono sempre molto basso ma incredibilmente autoritario “tu e Ikusaba siete quasi morte per colpa mia. Non ho alcun diritto di restarmene in panciolle mentre voi lavorate come schiave”.

Diamine. È la prima volta che la sento così.

Coprì la distanza che le separava e la avvolse con le proprie braccia: “Mia piccola Aoi…”.

“Ti prego, non chiamarmi così”.

“Eh? Perché?”.

“Non sai quanto male mi faccia ora che sai la verità. Ogni volta che ti rivolgevi a me con quell’affettuoso nomignolo mi sentivo come se mi avessero pugnalata. È doloroso sentirsi chiamare «mia piccola Aoi» dalla persona che più ami al mondo e alla quale non hai neanche il coraggio di dichiararti perché sei una povera stupida…”.

Di nuovo il gelo.

Davvero… davvero Aoi pensava questo di se stessa? Davvero si sentiva stupida perché aveva commesso il grave peccato di innamorarsi di lei senza riuscire a dirglielo?

Era ingiusto. Malvagio. Perverso.

Zero, lo dico sul serio. Spera di non trovarti mai faccia a faccia con me.

Trovò saggio sciogliere l’abbraccio; dopo quanto le era stato detto pensò che anche un semplice contatto come quello le causasse disagio.

“Scusami, io… io non ci avevo proprio riflettuto”.

“Va tutto bene, Sakura-chan”.

Persino una non proprio argutissima come lei aveva capito che quella era una penosa bugia detta solo per allontanarla.

“Avanti, cerchiamo… cos’è che dobbiamo cercare esattamente?”.

“Il cilindro del carillon, Asahina” rispose Mukuro per lei.

“Ok”.

Non le staccò gli occhi di dosso mentre si avvicinava a una delle librerie, casualmente quella da dove era partito tutto. Quella da dove aveva tirato fuori il libro che per lungo tempo era rimasto fra le sue mani. Quello che quasi sicuramente le aveva fatto venire in mente la domanda. Almeno, questo suggerivano la logica e la tempistica dei fatti.

La ricerca fu lunga e, a conti fatti, svolta da due sole persone. Sakura Oogami non seppe dedicarcisi, nonostante non le mancasse l’intenzione.

Un solo pensiero occupava la sua mente.

Poi, dopo lunghe peripezie, Aoi trovò qualcosa dietro il divano.

“Può essere questo?” chiese sventolandolo.

Se non altro era di forma cilindrica e c’erano dei pallini in rilievo.

“Io onestamente non ne ho idea. Potrei descriverti alla perfezione i pezzi con cui è costruito un AK-47, ma sui carillon non sono altrettanto ferrata. Tu che dici, Oogami?”.

Quella sorrise: “Ci siamo, abbiamo trovato ciò che cerchiamo”.

“Anche le dimensioni sembrano giuste. Proviamolo”.

“Scusate la domanda magari ingenua” le interruppe un attimo Mukuro “ma, anche dovessimo riuscire a farlo andare, l’utilità quale sarebbe?”.

In effetti era un quesito sensato.

“Boh?”.

“Il tuo apporto è indispensabile, Asahina”.

Fu sufficiente quella risposta sarcastica per far salire la furia a Sakura. Stava per insegnare le buone maniere al Super Soldato quando…

“Vai al diavolo e restaci, Ikusaba”.

Che cosa?

“Hai una bella faccia tosta a trattarmi così. Per quella tua testa stracolma di tattiche militari del cacchio può ogni tanto passare del buon senso? Lo sai cosa significa doversi umiliare come ho fatto io e cercare di tenere insieme i cocci della tua anima presa a colpi d’ascia da uno stronzo senza volto? Prova ad avere un po’ di rispetto se non ti fa troppa fatica, maledizione! Sto solo provando a essere utile nonostante non sia affatto facile nel mio stato. Santo cielo, devo giocoforza stare vicina a Sakura quando è lei, poveretta, a essere ciò che mi fa stare così di merda!”.

La constatazione ferì Sakura. Era assolutamente vera e lei stessa se l’era fatto presente poco prima, ma restava comunque poco piacevole sentirselo dire in maniera così schietta. Però lei, forse al contrario di Mukuro, era disposta a sopportare in silenzio sbalzi d’umore e cattiverie varie. Almeno questo glielo doveva.

“E comunque il cilindro l’ho trovato io, ecco”.

La faccia inebetita di Mukuro strappò un sorriso alla Super Artista Marziale.

Sarà meglio mettere da parte l’argomento almeno per un po’. Aoi non riesce a tenersi in equilibrio, anche se non si può fargliene una colpa. Dev’essere ancora più sconvolta di quanto sospettassimo.

“Mettiamo il cilindro dentro quell’affare e facciamolo andare. Quel che sarà sarà” chiosò ad alta voce, tentando di calmare il più possibile l’atmosfera.

“Grunf. Va bene. Ma la cosa non finisce qui, Asahina” minacciò Mukuro.

“Quel che ti pare, soldatessa di ‘staceppa”.

“Va bene ragazze, basta” cercò di riportare l’ordine, riuscendoci.

Fecero quanto dovevano e appoggiarono il carillon, adesso funzionante, sul tavolino.

“Oh, credo di conoscere questa musica” disse Aoi, canticchiando istintivamente il motivetto. Sakura inarcò un sopracciglio: “Davvero? Dove l’hai sentita?”
“Non sono sicura ma… credo fosse una di quelle canzoncine che ci insegnavano ai campi estivi delle elementari, mi pare si chiamasse Never say never o qualcosa del genere. Ti ricordi?”

“Sì, mi sembra di ricordare una cosa del genere” mentì. In realtà non credeva d’aver mai sentito quel motivetto, ma in fondo erano passati parecchi anni. Ma decise lo stesso di non dirlo, giusto per non buttare nuovamente Aoi nello sconforto.

Lasciamole le sue piccole vittorie.

Non appena la melodia finì si sentì un ennesimo CLICK.

“A Zero piacciono proprio questi piccoli marchingegni, eh?”.

“Pare di sì”.

Di fronte ai loro occhi si aprì come un cassettino alla base del carillon. Dentro vi trovarono un biglietto con su scritto qualcosa in caratteri occidentali.

“Cavolo, io l’inglese non lo so” disse sconsolata Sakura.

“Io me la cavo invece. Fai un po’ leggere, per favore” si vantò Mukuro prendendole il foglio dalla mano. “False bottom, eh. Credo voglia dire «doppiofondo»”.

“Come il doppiofondo delle valigie?”.

“Sì, anche se qui di valigie non ce ne sono. Forse si riferisce a un cassetto”.

“Quindi dobbiamo mettere sottosopra la stanza… per la terza volta?”.

“Temo ci tocchi”.

“Evviva” fu l’ironico rimarco di Aoi.

“Beh dai, almeno stavolta possiamo restringere un po’ il campo”.

“Sai che consolazione”.

Ti prometto che presto la risolviamo, mia piccola Aoi. Non voglio più sentirti parlare con questo tono smorto.

Ci vollero altri quaranta minuti circa (perché, a dispetto delle apparenze, in quella stanza c’erano parecchi oggetti che potevano avere un doppiofondo oltre alla scrivania) ma alla fine trovarono ciò che cercavano nel cassetto di un piccolo tavolino di fianco alla porta d’uscita.

“La sua posizione sembra profetica” disse Sakura osservandolo, Aoi invece fece una smorfia: “O forse Zero ci prende per il culo.”

L’altra la guardò con occhi sgranati, chiedendosi dove avesse nascosto finora quel linguaggio sboccato. Che avesse imparato da Oowada per osmosi?

“Ok signore, ci siamo” annunciò Mukuro estraendo il cassetto: lo vuotò del suo contenuto e cominciò a tastarne l’interno, finché non trovò una fessura quasi impercettibile tra il fondo e uno dei lati del cassetto. “A-ah!”

“Trovato?” chiese Sakura, curiosa e apprensiva allo stesso tempo. Il Soldato si limitò ad annuire soddisfatta mentre rimuoveva il pannello di legno e rivelava il doppiofondo: al suo interno c’erano una chiave magnetica e…

“Un fermacapelli?”

Aoi lo raccolse da terra: era un fermaglio con il muso di un orso bianco e nero, un oggetto probabilmente pensato per una bambina.

“E di questo cosa ce ne facciamo?” chiese. Le altre due si scambiarono uno sguardo perplesso, poi Mukuro fece spallucce: “Forse è un indizio per qualcos’altro, chi lo sa. Per ora pensiamo solo ad uscire di qui” disse, e così facendo si diresse verso la porta ancora chiusa e fece scattare la serratura con la carta magnetica.

Ad attenderle c’era una scala che portava al piano superiore.

Mukuro sospirò: “Bene. Direi che possiamo tornare indietro e aggiornare gli altri.”

 

*

 

“Per la porta numero 3 potremmo entrare io, Naegi-kun e Asahina. Oppure Asahina, Oowada e Ishimaru.”
“O anche io, Asahina e Oogami. Lei salta fuori in almeno quattro combinazioni.”

“Non credete vorrà evitarsi la prossima porta? Le è già toccata quella attuale…”

“Sì, probabile. Le chiederemo quando lei, Oogami e Ikusaba saranno tornate.”

Makoto annuì alla risposta di Kirigiri, e sospirò. Se fosse stato nei panni di Asahina-san lui avrebbe sicuramente chiesto di passare un turno. Mentre la Detective e Togami continuavano a fare calcoli e combinazioni per le altre due porte lui si voltò verso le scale, chiedendosi a che punto fossero le altre tre.

Chissà se Zero ha messo in atto un’altra delle sue torture si chiese. Non gli piaceva doverci pensare, ma non poteva farne a meno: se aveva capito le intenzioni del loro carceriere sarebbe toccato a tutti loro. Però non aveva idea di quale tortura potesse avere in serbo per lui: per Kyouko aveva fatto leva sulle sue mani, e probabilmente avrebbe usato la stessa tecnica anche per gli altri — segreti che nessuno dei suoi compagni voleva rivelare.

Ma cosa avrebbe fatto con lui?

Makoto era abbastanza certo di non avere segreti, non il tipo di segreto con cui puoi ricattare qualcuno quantomeno: dubitava enormemente che la sua vecchia cotta per Maizono-san (e le centinaia di sue foto di gravure magazine salvate sul pc) potesse contare. O quella volta che lui e Komaru avevano rubato delle caramelle in un negozio.

Sono il ritratto del bravo ragazzo pensò sarcastico, quello noioso e un po’ patetico che non ha mai fatto nulla di interessante nella sua vita. E la cui ammissione alla Kibougamine è ancora un mistero.

Era così preso dall’autocommiserazione che quasi non si accorse che Touko si era avvicinata al gruppo.

“S-Scusate…”

“Per la numero 4 potrebbero entrare Ikusaba, Asahina e Naegi. Oppure io, Naegi e Fukawa.”

“O anche tu, il gorilla e Asahina, o io, Naegi e di nuovo il gorilla.”

“Scusate… io-”
“Gorilla a chi?!”

“A te, scimmione.”

“Ehm… scusate…”

Makoto provò ad intervenire e dar voce a Fukawa, ma il gruppo ignorava entrambi.

“Per favore, cercate di darvi un contegno!”
“Ishimaru, non siamo a scuola, la tua carica di prefetto qui non vale niente.”

“Nemmeno il tuo status di erede, se è per questo!”

“S-SCUSATE!”
“Maledizione a te Fukawa, che diamine vuoi?!”

Tutti rimasero in silenzio dopo l’ennesimo abuso verbale di Togami ai danni di Touko. Quest’ultima aveva gli occhi talmente sgranati che era un miracolo se non le erano rotolati giù dalle orbite; teneva stretta tra le mani una scatola che Makoto non riusciva a identificare.

Per un attimo sembrò che la ragazza dovesse cedere ad una delle sue crisi isteriche implorando il perdono del suo “cavaliere bianco”... invece cambiò subito espressione: i suoi occhi si fecero due fessure che lanciavano sguardi pieni di rancore verso Togami.
“Da te NIENTE” ringhiò verso di lui, che secondo Makoto non sarebbe stato più sconvolto nemmeno se gli avessero detto che l’impero finanziario di famiglia non esisteva più. Lo scansò con una gomitata e tese la scatola a Makoto: “Tieni, ho t-trovato questa nello scatolone su cui ero seduta. Potrebbe servire” disse con un tono di voce tutt’altro che titubante.

Era una cassetta del pronto soccorso.

“Grande Fukawa-san, questa ci tornerà molto utile!” trillò, e la ragazza accennò persino un lieve sorriso (con annesso rossore fino alle orecchie).

Makoto rubò un’occhiata verso Kyouko. Solo lui e Ikusaba sapevano che quella scatolina poteva rappresentare la differenza fra la vita e la morte per lei.

I loro sguardi si incrociarono brevemente.

“Forse sei salva, Kirigiri-san”.

“Lo spero davvero, Naegi-kun”.

Il dialogo senza parole lo rilassò.

Stava per prendere l’oggetto dalle mani di Touko quando...

“Ehi, le tre belle addormentate stanno tornando” annunciò Mondo, cogliendo lui e un po’ tutti alla sprovvista. Il suo solito tatto da elefante in un negozio di cristalleria, si disse ridendo.

“Ikusaba-san! Oogami-san! Asahina-san! State… bene?”. L’ultima parola gli uscì più strozzata del previsto perché gli era caduto l’occhio sulla citata Asahina: sembrava nera di rabbia.

O santi kami benedetti, cos’è successo?

Al contrario le altre due avevano un’aria molto dimessa, Sakura teneva addirittura la testa leggermente abbassata.

“Com’è andata?” chiese Kyouko, al solito diretta come un tir. Non poteva non essersene accorta. Diamine, se ne sarebbe accorto Hagakure se ci fosse stato.

“...non troppo bene” rispose Sakura.

“Cosa intendi, Oogami? Sembrate a posto”.

“Meglio non parlarne adesso. È una faccenda… delicata”.

“Come vuoi” lasciò cadere il discorso Kirigiri. Probabilmente aveva intuito che non era il momento adatto. “Almeno potete dirci se avete trovato qualcosa di importante?”.

“Sì, nell’altra porta c’era una scala che saliva. Oh, e c’era anche un fermaglio per capelli da bambina di cui non capisco l’utilità. Ma vedo tre porte numerate e magari ci possiamo pensare dopo, alla scala dico”.

“Va bene, ora che ci siamo tutti direi che possiamo procedere con le nuove porte. Trovo equo che tutti e nove debbano essere partecipi dell’esplorazione, non sarebbe giusto nei confronti di chi va. Quindi mi spiace per voi tre, vi toccano i doppi turni”.

“Io non ho intenzione di andare con Togami o Ikusaba”. E con queste parole, taglienti come un machete, Aoi Asahina riuscì a zittirli tutti. Ma proprio tutti.

Asahina-san, che razza di tragedia ti è caduta addosso in quella stanza?

“E se fosse possibile eviterei anche… Oogami”.

“Che cosa? Non vuoi andare con lei? Ma… ma perché?”.

“Non chiedere, Naegi. Da parte mia posso dire che capisco bene il perché di questa richiesta” spiegò l’Artista Marziale.

Ora che ci faceva caso, notò Makoto, le due non erano fianco a fianco come sarebbe stato normale aspettarsi. Anzi, Asahina era scostata rispetto alla sua storica amica. E, assurdamente, sembrava… restia a guardarla in faccia.

Ho davvero paura per lei, ora.

Ci fu un attimo di raccoglimento, quasi servisse a riprogrammare combinazioni e riassegnare persone. Poi Kirigiri prese di nuovo la parola: “Ok, visto che sei così categorica nelle tue scelte forse possiamo aggiustarci diversamente. Se i tuoi compagni fossero… aspetta, fammi pensare un secondo… questo più quello più quell’altro… Oowada e Ishimaru per la porta numero 3? Andrebbero bene?”.

“Chissenefotte”.

Un picosecondo di stupore generalizzato. “Lo prenderò come un sì. A questo punto nella 2 potrebbero entrare Oogami, Togami e Ikusaba e io, Naegi e Fukawa andare nella 4. A te va bene, Naegi-kun?”.

Io, Fukawa-san e Kirigiri-san… e una cassetta del pronto soccorso per le ustioni? Sì grazie.

“Benissimo”.

Lo sguardo d’intesa che si scambiarono scaldò il cuore di Makoto.

“Qualche obiezione a queste triplette?”.

No, parrebbe nessuna.

“Allora sparpagliamoci e andiamo”.

Diavolo, quella ragazza era davvero implacabile. Aveva praticamente un buco sulla mano, buco che si era creato sopra i resti di altre ferite annerite dal tempo, e non dava neanche la vaga sensazione di voler rallentare.

Meno male che è lei a guidarci constatò.

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Capitolo 5
*** Tre stanze numerate per tre grossi casini ***


La stanza numero 4 era assai particolare.

Era quasi del tutto vuota, ad esclusione di un tavolo con una sorta di piccolo separé a dividere il piano: da un lato c’era un mazzo di carte con vari simboli disegnati sopra e un apparecchio con degli elettrodi che andavano oltre il separé; oltre a questo, erano presenti alcuni schedari (ben chiusi da alcuni lucchetti a combinazione), scatoloni e uno specchio. Kyouko si avvicinò a quest’ultimo e lo esaminò scrupolosamente, mentre i suoi due compagni si guardavano attorno: era piuttosto sicura che la stanza fosse molto più piccola rispetto a come appariva dall’esterno, ne dedusse quindi che per qualche motivo era stata murata e lo specchio fosse finto, simile a quelli che venivano usati negli interrogatori della polizia.

Eppure non ho visto altre porte pensò, quindi suppongo che trovare un modo per entrare qui sia quello che Zero vuole. L’impresa non era da poco dato che non vedeva nessun oggetto contundente da poter lanciare contro il vetro: il tavolo era sprovvisto di sedie, e anche in tre non era sicura sarebbero riusciti a sollevarlo. Per un attimo rimpianse l’assenza di Oogami e Oowada. Ma di sicuro Zero non vorrà farci ricorrere alla mera forza bruta, visto come ha agito finora si disse, mentre tornava ad osservare i suoi compagni.

“Questo mazzo di carte è veramente strano” disse Makoto, senza rivolgersi a nessuno in particolare, “mi sembra di aver già visto qualcosa di simile ma non ricordo dove…”

“F-Forse in qualche film” rispose Touko, “di quelli con gente che ha poteri psichici o q-qualcosa di simile.”

“Fukawa ha ragione. Questi mazzi di carte, chiamate di Zener, li usava chi studiava fenomeni come la telepatia e casi simili” si intromise lei, prendendo in mano una carta. “L’esaminatore chiedeva al soggetto studiato di indovinare il simbolo sulla carta scelta, e se sbagliava veniva fulminato con una lieve scossa tramite quegli elettrodi” disse, indicando il tavolo.

“Wow, è terribile” disse Makoto, che sembrava inorridito e affascinato al tempo stesso, “non credevo si studiassero cose del genere anche nella vita vera.”

“Oh sì, lo fanno” confermò Touko, “o almeno, l-lo facevano negli anni ‘80.”
“E tu come lo sai?” chiese Makoto, e lei arrossì appena: “N-Nella prima stanza in cui siamo entrati per arrivare qui sotto c’erano diversi libri stranieri, tra cui uno che ho letto tempo fa. Si chiama L’Uomo che Fissa le Capre e r-racconta di un’unita militare che intendeva usare poteri psichici per avvantaggiarsi in guerra, come leggere nella mente dei nemici … o uccidere una capra con lo sguardo.”
“Oh.”

Kyouko constatò che Touko aveva balbettato poco e nulla mentre parlava di quel libro (qualcosa che evidentemente le piaceva). Forse ce la farà a riprendersi, si disse. Sempre che Togami non avesse intenzione di perseverare in quel suo comportamento distruttivo nei confronti degli altri.

“Però non capisco perché il libro si trovasse qui” sospirò la Super Scrittrice, “e ora queste carte… è come se…”

“...fosse un tema ricorrente?” concluse Makoto per lei, annuendo.

“Già. Pare che Zero ci tenga particolarmente a questo dettaglio, ma al momento non abbiamo abbastanza elementi per capire cosa c’è dietro” rispose Kyouko, confermando i loro sospetti. Passeggiò su e giù per la stanza con le mani sui fianchi, il suo cervello da detective in moto: c’era qualcosa di strano in quegli indizi, le sembravano… mirati, studiati. Non era qualcosa piazzato a caso da un pazzo, c’era della lucidità in quello che stava facendo.

I libri sulla telepatia. Le carte per i test psichici. Il fermaglio da bambina.

Il suo sesto senso le diceva che c’era un nesso tra quelle cose, ma ancora non riusciva a vederlo. E più ci pensava, più la sua mente le diceva di ricordare.

Cosa, però, non lo sapeva.

Sospirò e, battendo le mani, richiamò l’attenzione degli altri due: “Ok, abbiamo oziato abbastanza. Cominciamo a ispezionare la stanza.”

“Perdonami se oso contraddirti, Kirigiri-san, ma prima di iniziare ci sarebbe una cosa importante da sbrigare” disse con tranquillità Naegi.

“Prego? Non credo di seguirti”.

“Fukawa-san, potresti gentilmente dare a Kirigiri-san la cassetta del pronto soccorso? Prima, con l’arrivo di Asahina-san e delle altre mi sono dimenticato di prenderla. Fra l’altro… cavolo, l’avete vista? Era di pessimo umore…”.

Pessimo umore non comincia neanche a descriverla. A me ha sinceramente dato l’impressione di essere fuori di sé e che solo per puro miracolo stesse riuscendo a non scoppiare come un chilo di tritolo. Qualunque cosa sia successa dietro la porta numero 6 le ha lasciato un segno, almeno sul breve termine. Ora, tornando a noi… perché dovrebbe darmi quella cassetta?”.

Kyouko non era stupida, era ovvio che avesse colto il motivo. Semplicemente non la trovava un’urgenza. L’imperativo era risolvere il mistero di quella strana stanza.

“Non so, per farti curare per esempio?”.

“Non serve. Non ora. Prima dobbiamo capire come uscire da qui”.

“Kirigiri-san… stai scherzando, vero? Ti ricordi di quanto hai detto in quel momento con me e Ikusaba-san, vero?”.

“Certo. Non ritengo di essere in imminente pericolo di vita”.

“Pericolo di v-vita?” si inserì Touko.

“Falle vedere la tua mano”.

“Yuck! No no, s-sto bene così grazie!”.

“Coraggio, fagliela vedere”.

“Non penso che…”.

“Kirigiri-san, su”.

Da quando Makoto Naegi sa essere così bonariamente insistente? Di solito, di fronte a un rifiuto, lascia perdere subito.

Sbuffò, la cosa le dava fastidio per un non ben precisato motivo. Poi fece come le era stato suggerito, dovendo pure avvicinarsi data l’eccessiva distanza fra le due.

“Santocielocheschifoallontanatiquellarobaneramimangeràlafaccia… oh, Naegi aveva r-ragione. Sei ferita”.

“Non lo posso negare” disse scrollando le spalle “È successo quando ho aperto la porta col pomello incandescente”.

“T-Tu hai fatto cosa?”.

“Ho aperto una porta col pomello incandescente”.

“Penso che quella di Fukawa-san fosse una domanda retorica…”.

Un altro sbuffo. Quella situazione non le piaceva.

Perché? Cosa mi irrita? Naegi è solo preoccupato per me e Fukawa… beh, è Fukawa. Anzi, per i suoi standard sta mantenendo una certa dignità. E quindi perché?

“Hai visto, Fukawa-san? Ecco, devi sapere che… com’è che avevi detto esattamente? «La compromissione dello strato anteriore provoca una sinapsi congiunta ma non disgiunta...»”.

Naegi, sei un cretino. Ma un cretino tutto sommato divertente, specie quando ti arrampichi sul technobabble dicendo parole a caso per passare volutamente come un cretino.

“Avevo detto che una compromissione della pelle come questa può portare a parecchi guai. Febbre alta, ipotermia, elevata frequenza cardiaca e altre cosucce”.

Ci fu silenzio. Kyouko da parte sua non aveva null’altro da aggiungere, mentre Naegi… non lo capiva. Era stata abbastanza chiara nei suoi tentativi di dilazionare l’intervento sulla sua mano, eppure si era incaponito.

Che poi pensava di essersi ben spiegata: prima la stanza, poi lei. Non era niente di astruso. Mica non voleva farsi curare, si trattava solo di priorità.

Ma quello niente, si era fatto testardo come un mulo.

“Dunque Fukawa-san? Saresti così carina da passarle quella cassetta?”.

 

*

 

Mondo Oowada era curioso. E quando Mondo Oowada era curioso di solito succedevano macelli.

Da che erano entrati nella porta numero 3 non riusciva a non guardare fisso Aoi Asahina. Ignorò quasi del tutto il contenuto della stanza, che a una rapida occhiata dava l’impressione di essere una camera per il personale: un paio di brande, qualche armadietto in acciaio, una doccia.

Ma di quello non gli interessava nulla.

La carica di malumore, ira e chissà cos’altro che aveva preso possesso della Nuotatrice pareva non volersene andare. La seguiva come una nuvoletta perennemente attiva sopra la sua testa.

Impossibile, per una mente semplice come quella del Motociclista, non esserne attratto. Il confronto con il suo usuale umore allegro e sbarazzino strideva troppo.

“Ok compagni di classe! Adesso dovremmo trovare un modo per uscire, sempre attenendoci alle istruzioni che abbiamo ricevuto da Zero!”. Ishimaru non poteva proprio fare a meno di essere uguale a se stesso. Si era anche messo sull’attenti, il cialtrone.

“Piantala di abbaiare, sappiamo quel che dobbiamo fare. Piuttosto” disse avvicinandosi ad Aoi “permetti una domanda?”.

“No. Fatti i cazzacci tuoi”.

Ok Mondo, non è il momento adatto di trovare il nuovo vocabolario della signorina sin troppo… sexy. Datti una calmata scimmione, datti una calmata.

“Credo invece che te la farò lo stesso”.

Lei si voltò nella sua direzione digrignando i denti: “Fammi indovinare: non hai intenzione di scollarti da me finché non ti rispondo, vero?”.

“L’idea era quella, già”.

“E va bene, fai ‘sta cazzo di domanda. Ma bada, se dovessi giudicarla fuori luogo puoi pure dire addio ai tuoi testicoli”.

Senza neanche pensarci si portò le mani sul pacco, coprendoselo meglio che poteva.

“Avanti, spara. E prega di non farmi perdere tempo”.

Deglutì cercando di non darlo a vedere.

“Ecco, volevo sapere perché da un po’ sei così incazzata con l’universo intero”.

SCRONCK.

Le stelle esplosero. E non solo loro.

Il mondo di Oowada divenne rosso. Prese a dimenarsi come una carpa rotolando per terra, le mani poste a difesa dei gioielli di famiglia sfracellate dalla ginocchiata killer di Asahina.

“Vuoi davvero sapere il perché, pompadour con il coglione attorno? Lo vuoi sapere?”.

“Ngringaaaaaah”. Che sarebbe dovuto essere mi hai disintegrato le palle, a ‘sto punto sì che lo voglio sapere!

“PERCHÉ SONO LESBICA E MI PIACE SAKURA, ECCO PERCHÉ!”.

Nonostante il dolore Mondo non riuscì a impedirsi di voltarsi verso Aoi con un’espressione incredula; persino Ishimaru aveva interrotto l’ispezione di alcuni armadietti ed era rimasto impalato a guardarla.

“Beh, siete contenti? Ora potete anche ridere, fate pure! Non m’importa!”

Così dicendo Aoi andò a sedersi su una delle panche e silenziosamente cominciò a piangere.

Mondo rimase seduto per terra, osservando le spalle della ragazza che scattavano ad ogni singulto. Questa non ci voleva pensò, e ora come la faccio smettere? Merda, di solito sono io che faccio piangere le donne!

Scambiò una breve occhiata con Ishimaru, che si limitò a fare spallucce; evidentemente nemmeno lui aveva idea di come gestire la situazione, e doveva ammettere che non ne era del tutto sorpreso. E se non si calma non riusciremo nemmeno a uscire da qui si disse, sentendosi colpevole per quel pensiero egoista (ma pur sempre vero).

Per un po’ non disse nulla e si limitò a dare una mano ad Ishimaru ad ispezionare la stanza, ma lo sguardo continuava a vagare verso Aoi, che era rimasta seduta in silenzio per tutto il tempo. Inevitabilmente pensò a come dovesse essersi sentita la ragazza quando Zero l’aveva costretta a rivelare il suo più imbarazzante segreto, e se sarebbe stato così anche per lui come per tutti gli altri; seppur per un breve istante si sentì vicino a lei: l’idea di tenersi dentro quel peso così grande, senza poterne parlare con nessuno, doveva essere terribile. Lui il suo non riusciva mai a scacciarlo del tutto, neanche per pochi minuti.

Daiya era il suo più grande rimorso e non riusciva a lasciarlo andare.

Forse dovrei confessarlo agli altri prima che Zero mi costringa a farlo rifletté brevemente, per poi istintivamente lasciar perdere gli armadietti e andarsi a sedere accanto ad Aoi.

“Ti sei ripresa?”

“Ho l’aria di una che si è ripresa?” rispose lei, lanciandogli un’occhiataccia (smorzata dagli occhi rossi e il suo tirar su col naso).

Lui sorrise: “Se riesci a fare del sarcasmo allora stai meglio.”

“Beh, mi spiace deluderti ma non è così” reiterò lei, pulendosi il naso con la manica, “non sto bene per niente, e non credo mi riprenderò tanto in fretta.”

“Oh ma sì che ce la farai, è che al momento ti senti solo molto melodrammatica.”
“...prego?”

“Oowada-kun, non so se questo sia il modo migliore di tirarla su” tentò Ishimaru di calmare gli animi, ma nessuno dei due sembrò dargli retta.

“Secondo te sono solo melodrammatica? Pensi che io non stia soffrendo?!”
“Non intendo dire-”

“Credi forse sia stata una passeggiata di salute doverlo ammettere davanti a Sakura?! Dirle in quel modo così… così orribile che sono innamorata di lei?!” ringhiò Aoi, di nuovo sull’orlo delle lacrime. “Credi che mi piaccia sapere che non ho speranze? Che non mi ricambierà mai?”

Si lasciò andare a un profondo sospiro e riprese a singhiozzare, quando Mondo parlò di nuovo: “Non intendevo dire che è stato facile o che fosse una sciocchezza. Dico solo che adesso ti senti a pezzi perché sei stata costretta a dirlo in circostanze pessime” disse, addolcendo il tono di voce. “E sì, forse Oogami non può ricambiarti come vuoi, ma non puoi neanche esserne sicura.”
“Sì che sono sicura.”
“Ne avete già parlato?”
“...no” arrossì lei, e lui sorrise: “E allora non vedo perché fasciarti la testa prima di essertela rotta.”

Aoi non rispose, ma lui notò che il suo sguardo si era fatto meno duro. “E poi… se anche non dovesse andare come speri, ricordati che lei ti vuole un bene dell’anima. Diamine, credo che in classe quasi tutti invidino la vostra amicizia, pure quella pigna in culo di Togami!”

La ragazza si lasciò sfuggire un risolino e Mondo seppe di aver fatto centro.

“Comunque vada ne verrai fuori. Forse ci vorrà un po’, forse no, ma sopravviverai. Non sono ferite per cui si muore” concluse, dandole una leggera pacca sulla spalla e tornando a rovistare distrattamente negli armadietti.

“Ma che belle parole, non credevo fossi capace di tanta sensibilità.”

Si voltò verso Ishimaru, che con un mezzo sorrisetto si dedicava con scarsa attenzione all’ennesimo armadietto pieno di cianfrusaglie.

“Sono un uomo pieno di sorprese” sorrise Mondo, “ho fin troppa esperienza coi due di picche.”
“Ah, ma quella non era mica una sorpresa.”

“...stronzo.”

“Linguaggio, Oowada-kun!”.

“Rompicazzo”.

“OOWADA-KUN!”.

I due si guardarono, il Motociclista con un lieve sorriso e il Prefetto livido in volto. Poi il primo scoppiò a ridere, divertito dal siparietto, e così facendo contribuì a far rilassare il secondo.

Mentre stavano per riprendere la ricerca di non sapevano bene cosa…

“Seriamente, Oowada-kun. Hai trovato le parole giuste. Ti devo fare i complimenti”.

“Oh, non serve. Era solo…”.

Si bloccò. Stava per dire troppo.

“Era solo?”.

“No, nulla”.

“Cosa stavi cercando di dire prima di fermarti?”.

“Niente t’ho detto…”.

“Non ci credo. È chiaro che volevi proseguire e il mio intuito mi dice che è qualcosa di importante”.

Intuito? Ishimaru? Pensavo che gli avesse dato una nota di demerito a sei anni costringendolo a scrivere cento volte sulla lavagna «Io non servo a una ceppa».

“Oowada… Mondo-kun, non avere paura di parlarmene. Per favore”.

Si stava prendendo un po’ troppe libertà. Però… però il suo viso tradiva preoccupazione. Genuina.

Dannazione, lo aveva sottovalutato. Aveva capito qualcosa che non avrebbe dovuto capire.

“N-Ne parliamo dopo, ok?”.

“No”.

Eh?

“Non ho intenzione di lasciar cadere l’argomento. Adesso come adesso non riuscirei neanche a concentrarmi nella perlustrazione, non con questo tarlo che mi sgranocchia il cervello. Inoltre non voglio che si debbano ripetere momenti spiacevoli come quelli vissuti da Asahina-san... “.

La suddetta Asahina-san, in condizioni un po’ meno disastrose, si era avvicinata al duetto incuriosita da quanto si stavano dicendo: “Ishimaru-kun, non sarai troppo insistente con lui?”.

“Può essere, ma davvero in questo momento ho bisogno di saperlo. Altrimenti non riuscirei a far nulla, e questo non può che giocare a nostro sfavore”.

Da parte sua Mondo restò in silenzio mentre avveniva questo scambio di battute.

Stava seriamente riflettendo sulla richiesta. In cuor suo era terribilmente lacerato: da una parte voleva sfogarsi e buttarlo fuori, così da evitarsi almeno parte del calvario che la loro compagna stava vivendo in quegli stessi attimi (oltre a considerarlo un modo per mettere nel sacco Zero, perché se doveva venire fuori a prescindere tanto valeva che fosse alle loro condizioni e non alle sue); dall’altra parte l’estrema vergogna che lo bruciava al solo pensiero di dover confessare il proprio crimine glielo impediva, cercava di tappargli la bocca e di lasciare il povero Ishimaru con la mano piena di mosche.

“Ho capito, ma se non ha intenzione di dirlo… credi che io abbia sul serio voluto rivelarvelo in quel cavolo di modo? Ho dovuto sbroccare, altrimenti non lo avrei detto mai e poi mai. Stavo quasi per ammazzare me stessa, Sakura e Ikusaba pur di tenermelo dentro. Se il suo segreto è grande almeno quanto il mio vorrei anche vedere che non se la senta”.

Pfffff. Senza offesa Asahina, ma in confronto al mio il tuo segreto è una barzelletta. In fin dei conti tu non hai ucciso nessuno.

“È chiaro che Zero sta mirando sotto la cintura. Prima le mani di Kirigiri-san, la quale immagino fino a oggi abbia persino dormito con su i guanti per impedire che qualcuno le vedesse in tutto il loro orrorifico splendore. Poi tu, costretta contro la tua volontà a manifestare i tuoi sentimenti più profondi con l’oggetto del tuo amore vicino a te. Sta giocando sporco. A questo punto è lecito aspettarsi che quanto avete vissuto voi due dovrà toccare prima o poi a tutti noi. Perché non anticipare i tempi?”.

“Perché è irrispettoso nei suoi confronti, ecco perché!”.

“Zero non ha di questi riguardi. Siamo le prede di una caccia grossa. Almeno prendiamoci le nostre piccole rivincite se siamo obbligati a sopportare tutto questo schifo”.

Quel che penso anch’io. È tanto difficile lo stesso, però…

“Non voglio che lui debba passare quel che sto passando io!”.

“Lo farà comunque, Asahina-san. Non commettere l’errore di credere che quanto sto sostenendo lo dica a cuor leggero, nonostante l’idea che posso trasmettere di me non arrivo a simili livelli di cecità. Come direbbe Kirigiri-san, è una semplice questione pratica: adesso o dopo non importa, prima o poi il suo trucido passato o qualcosa di altrettanto traumatico verrà a galla. Perso per perso trovo indifferente il tempo della rivelazione, tutto qui”.

Esperienza”.

“Huh?”.

Era solo esperienza. Era questa la frase che stavo dicendo prima”.

“E-Esperienza?” balbettò Asahina.

“Esperienza. So fin troppo bene cosa vuol dire vivere con un peso sulla coscienza, per questo sono riuscito a rivolgerti quelle parole consolatorie. Anche se purtroppo nel mio caso non hanno la stessa efficacia…”.

Gli altri due si azzittirono e presero a fissarlo.

“Vuoi… vuoi dirlo, dunque?”.

Un sospiro.

“Io… io…”.

 

*

 

Byakuya Togami era stupito. Non gli capitava spesso, era una sensazione piuttosto nuova per lui. Ma nondimeno stava accadendo.

E cosa può stupire Byakuya Togami, Super Erede della Togami Zaibatsu, il diciassettenne probabilmente più ricco dell’intera galassia?

Una cosa in realtà abbastanza semplice.

Vedere Mukuro Ikusaba reggere una pistola… e tremare.

Non era certo il tipo di comportamento che ci si poteva aspettare da lei, il Super Soldato, il fiore all’occhiello della brigata Fenrir, la sempre serissima e impassibile Ikusaba; invece adesso era davanti a lui e Oogami e tremava come una foglia, mentre davanti a lei avanzavano i bersagli del poligono di tiro.

Nove bersagli con le loro fattezze.

Il senso dell’umorismo di Zero è assai discutibile.

In quella stanza non avevano trovato quasi nulla a parte quel poligono di tiro, una pistola carica e una tortura pensata apposta per la soldatessa, che al momento fissava i bersagli con uno sguardo terrorizzato che non le aveva mai visto prima.

E tuttavia il suo cinismo gli impediva di credere che tutto questo non fosse… sbagliato, in mancanza di termini migliori.

Per quanto sia normale e umano non voler sparare a fantocci che rappresentano i tuoi compagni di classe -persino per una come Mukuro- trovava che la reazione fosse troppo sopra le righe.

“Sono solo bersagli di carta.”

“Eh? Hai detto qualcosa, Togami-san?” chiese Sakura, e persino Mukuro si voltò verso di lui: “Ho detto che sono solo bersagli di carta, non vedo quale sia il problema a sparare contro di loro. Potevamo essere fuori da questa stanza già dieci minuti fa se ti fossi decisa.”

“Togami-san, stai veramente passando il-”
“Hanno le vostre facce.”

Byakuya inarcò un sopracciglio: “E allora?”

“Potrà sembrarti strano che io provi dei sentimenti, visto che mi hanno addestrata a non provarne sul campo di battaglia” ringhiò lei, “ma non mi piace l’idea di dover sparare a… voi!”

“Però non siamo realmente noi” replicò lui, pacato “quindi non capisco il tuo problema. Sono sagome di carta e se spari a loro noi non sanguineremo, te lo garantisco.”

“Ma sei proprio così ottuso o ti impegni apposta?”
Quell’insulto alla sua intelligenza lo colpì in pieno, tanto da impedirgli di replicare a dovere. Mukuro ne approfittò per rincarare la dose: “Io davvero mi chiedo se così stronzo ci sei nato o ai discendenti dei Togami fanno un corso speciale apposito, altrimenti niente eredità.”

“Ma come ti-”

“Mi permetto eccome! La tua posizione sociale non ti dà alcun diritto di giudicare noialtri, non sei migliore di noi solo perché puoi soffiarti il naso con una banconota da diecimila yen” urlò lei, agitando la pistola in una maniera che un po’ lo preoccupava “e se tu non riesci a provare emozioni di nessun genere beh, ti assicuro che non è così per gli altri!”

Lanciò uno sguardo verso Oogami, che al contrario suo sembrava tranquilla e non accennava ad intervenire. Un po’ lo infastidì.

“Ti sembrerà strano ma anche io provo emozioni, sono LEGATA a voi! Forse non lo dico abbastanza ma non vuol dire che non sia così! E quindi sì, vorrei non dover sparare alle vostre sagome di carta proprio perché vi rappresentano e perché credevo di essermi lasciata questa vita alle spalle!”

Dopo aver urlato a perdifiato Mukuro si zittì ma non distolse lo sguardo da Byakuya, che al momento non sapeva cosa dire (complice anche la pistola che lei teneva ancora in mano); Oogami continuava a rimanere in silenzio, probabilmente approvando quanto la soldatessa gli aveva appena vomitato in faccia.

Tanto bastò a fargli aprire bocca un’altra volta.

“Tutto molto bello, Ikusaba. Parole sicuramente toccanti, e credimi se perfino io, che a quanto pare mi soffio il naso sulle banconote da diecimila yen, ne sono rimasto colpito. Tuttavia” si avvicinò di qualche passo, “non serve a farci uscire di qui. Se Zero non ha più parlato dopo averti fornito gli ordini e la porta è ancora chiusa il risultato è evidente. Quindi ti chiedo, ancora una volta, di sparare a quelle maledette sagome di carta. Adesso.”

Per un attimo, solo un attimo, temette che Mukuro decidesse di puntargli la pistola in mezzo agli occhi e di premere il grilletto; invece la ragazza si voltò verso le sagome e cominciò a sparare.

Le colpì tutte, una per una, tranne quella con le fattezze di Byakuya che lasciò per ultima. Si voltò un secondo verso di lui, poi tornò a fissare la sua sagoma e gli scaricò addosso i sei colpi rimanenti, tutti in faccia. Posò la pistola e si allontanò, lasciandolo impietrito.

Per quanto fosse abituato a non piacere a nessuno (e a fregarsene bellamente), questo andava oltre persino per lui.

“Magari è la volta buona che impari un po’ di comprensione ed empatia, Togami-san” commentò Sakura, dietro di lui. “Ma sinceramente non ci spero poi molto.”

Poi si allontanò e raggiunse Mukuro, in attesa del segnale di apertura della porta, lasciando un Byakuya confuso e nervoso a riflettere su quelle parole.

Voi non sapete il vero motivo per cui sono così. Non lo sapete. Tenetevi i vostri risibili giudizi ben stretti.

Avanti Byakuya-chan, al solito sei troppo severo con loro. È perfettamente logico che ti trattino in questa maniera. Non fai nulla per dar loro motivo di comportarsi diversamente.

Sei la parte ridicolmente debole di me, vero? Allora non cianciare a vuoto, sai a cosa mi riferisco con quel «voi non sapete».

Ovvio che lo so. E ciononostante la penso diversamente da te.

Bravo. Vuoi gli applausi?

No. Vorrei solo che ti dessi una svegliata. Essere la pecora nera innanzitutto non ti fa onore come essere umano, in secondo luogo vi ostacola come gruppo. E prima che possa ribattere “A me cosa interessa?”... beh dai, non sei stupido. Sai cosa intendo.

Ci serve andare d’accordo per uscire vivi da qui. Per chi mi hai preso, per Hagakure? L’ho ben capito da solo.

Allora non farti sgridare come un marmocchio da una parte del tuo cervello! Sei migliore di così, ne sei consapevole. L’erede della Zaibatsu non è un povero cretino con la testa vuota!

...spero che lo spiacevole episodio schizoide del dialogo con se stesso non si ripeta.

Nel caso ti lascio con un ultimo avvertimento: cambia rotta, Byakuya-chan. Così non va.

Silenzio, internamente ed esternamente.

Si ritrovò a grattarsi la testa, perplesso. Per fortuna non gli capitavano spesso soliloqui mentali simili.

Ebbe di che riflettere nei successivi minuti. Su se stesso, sui suoi compagni di classe, sul modo migliore di rapportarsi con loro.

“Togami…”.

La piazzata di Ikusaba era stata… avrebbe detto traumatizzante se fosse stato in vena di iperboli. Vederla mentre sparava sei colpi alla sagoma che lo rappresentava con tutto quel… fervore? Non sapeva bene definire lo stato d’animo che l’aveva permeata per quei pochi secondi, ma sospettava fosse qualcosa di poco piacevole nei suoi confronti.

“Togami!”.

“Eh? Uh? Cosa volete?”.

“La porta si è aperta”.

“Ah. Sì, ok. Arrivo”.

“Uhm…”.

“Hai qualcosa da dire, Oogami?”.

“Oltre al fatto che sei rosso in faccia e stai sudando? No, assolutamente nulla”.

“...”.

“Quando vuoi raggiungerci siamo qui fuori”. Ciò detto lo lasciò dov’era, senza il minimo invito a seguirla.

Se persino Oogami mi tratta così potrebbe essere una mossa furba compiere una lieve rivalutazione del mio atteggiamento.

Oppure fregarsene per non darla loro vinta, aggiunse in seconda battuta.

Sarebbe stato un argomento spinoso. Sperò ardentemente che non ci fossero ulteriori problemi con quella fastidiosa vocina.

 

*

 

“Insomma, era davvero così complicato?”.

Touko Fukawa si era messa un attimo in disparte, osservando con finto interesse le operazioni di bendaggio della mano destra di Kirigiri.

Era ben più attratta da un’altra cosa: lo sguardo di Naegi.

Quel ragazzo… quel ragazzo era troppo semplice per essere capace di mentire.

Se lo fece presente per darsi della stupida quando aveva dubitato della sua buona fede, prima sulle scale.

Evidente che non era nelle sue possibilità.

Quel sorriso ingenuo… ossantissimocielochevaafuoco, persino carino

No no no no no no no no no! Non puoi tradire Byakuya-sama, neanche nella tua testa, neanche in maniera così platonica! Il tuo amore per lui è puro come l’acqua di una sorgente, splendente come il sole a mezzogiorno, soffice come le piume di un angelo.

Parlando più seriamente: aveva capito che di lui poteva fidarsi. Era sin troppo presto per parlare di cose gigantesche come l’amicizia, vetta ancora troppo impervia per lei, ma la fiducia gliela poteva concedere.

Il suo animo candido e la sua sincerità se l’erano guadagnata.

“Ecco Kirigiri-san, per ora abbiamo fatto quel che si poteva. Purtroppo nella cassetta non c’erano antibiotici…”.

“Va bene così, Naegi-kun. E grazie”.

“Prego. Sai, è anche nel mio interesse che non ti succeda nulla…”.

La frase, detta in tono tutto sommato leggero, creò una certa dose di imbarazzo fra i due.

Ucci ucci, sentirò mica odor di peccatucci?

“Nonononononononono non intendevo in un senso strano…”.

Lei si limitò a sorridere, il suo classico sorriso appena accennato.

“Davvero! Davvero! Era solo per dire che sono felice di averti aiutata e…”.

“Per tutti i kami, Naegi-kun. Calmati. Non è mica successo nulla”.

“Sì, ma non vorrei che pensassi male…”.

“E cosa dovrei pensare di male? Sei stato molto gentile”.

“Sì ma per quello che ho detto mannaggia…”.

“Non hai detto nulla di strano. E adesso che la mia mano è a posto, più o meno, possiamo davvero dedicarci alla stanza. O c’è qualche altra incombenza che non avevo considerato?”.

Touko scosse la testa, per quanto la riguardava si poteva iniziare con tutti i crismi dell’ufficialità. Anche se non mancò di sentirsi… uhm, era una strana sensazione per lei. Si sentì riscaldata da questa piccola scena di due amici (o forse di più?, si trovò a pensare con un velo di malizia) che si aiutavano a vicenda ed erano grati l’uno all’altra per questo.

Sono invidiosa. Ammetto che sarebbe bello se Byakuya-sama si comportasse almeno un pochino, non chiedo tanto solo un pochino, come fa Naegi…

Alla risposta negativa del ragazzo tutti e tre presero a perlustrare l’ambiente. Non sapevano bene cosa cercare, ma sapevano che se ne sarebbero accorti una volta trovato.

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Capitolo 6
*** Un nuovo nome si aggiunge sulla scacchiera ***


“Oh…”

“Io… io non…”

Mondo si limitò a fare un mezzo sorriso, senza sapere bene cosa dire.

Non c’era molto da aggiungere alla sua storia, in realtà… la storia di come suo fratello era morto per causa sua.

Chiuse gli occhi nella speranza di cacciare via quelle immagini, pur sapendo che non se ne sarebbero mai andate: se non era successo in quegli ultimi due anni di certo non sarebbe successo lì, in quell’istante.

Il ricordo di Daiya steso sull’asfalto era scolpito nella sua memoria, così come quell’ultimo sorriso e la raccomandazione di “essere un bravo capo”; Mondo non voleva essere il capo dei Crazy Diamonds, non più, non dopo che aveva causato la morte del fratello solo perché voleva fare colpo con una delle sue spacconate.

Sono un idiota si disse, ripensando al momento in cui gli aveva proposto di gareggiare in moto, per “impressionarlo” aveva detto. Non importava che Daiya avesse fiducia in lui e avesse già deciso di cedergli il comando della gang: la perplessità che aveva letto sui volti degli altri membri riguardo a quella decisione era bastata a mandarlo nel panico e fargli dubitare delle sue capacità.

“Oowada-kun?”

Si riscosse dai suoi pensieri e si voltò verso Aoi, che lo guardava preoccupata: “Tutto ok Oowada-kun? Sembri così… giù.”
“Sta’ tranquilla, è tutto apposto” si affrettò a dire, “sul serio. È solo che non è mai facile parlarne.”

“Mi dispiace tanto!” squittì lei, ma lui sorrise: “Ehi è tutto a posto, sono stato io a volervelo dire, no?”
“Sì, ma se noi… se Ishimaru-kun” si corresse “non avesse insistito…”
“Mi avrebbe comunque costretto Zero” disse, “e come ha detto lui prima, a questo punto è meglio rivelarceli tra di noi piuttosto che stare alle sue condizioni.”

Il Prefetto si limitò ad annuire, ma Aoi non sembrava del tutto convinta. Tuttavia non disse nulla e si limitò a sospirare, probabilmente convincendosi che quello fosse il male minore. Mondo trovava ironico definire così il dover raccontare di nuovo di come aveva proposto una maledetta gara in moto a suo fratello per provargli (inutilmente) il suo valore, e di come quest’ultimo era morto perché lui era stato troppo stupido e avventato e non si era accorto del camion che arrivava dalla parte opposta.

Avrebbe convissuto con quel dolore per tutta la sua vita. In confronto le manipolazioni di Zero gli sembravano stupidaggini.

“Bene… ora che si fa?” disse, preferendo dedicarsi a qualcosa di pratico prima di buttarsi in un angolo e piangere (in maniera poco virile, aggiunse mentalmente).

“Penso sia il caso di rimetterci a cercare… qualunque cosa Zero voglia farci trovare” disse Aoi, “parlare tra di noi è stato bello e terapeutico ma temo ci abbia fatto perdere un sacco di tempo.”

“Concordo, meglio tornare al lavoro” replicò Ishimaru, e tutti e tre ripresero a ispezionare la stanza, che almeno all’apparenza non sembrava avesse molto da offrire: era un normale spogliatoio che non conteneva nulla di strano a parte un paio di calzini dimenticato da chissà chi chissà quando.

Stava svogliatamente rovistando tra i manga hentai dentro l’armadietto di tale H. Kojima quando dalle pagine di Halflita (numero 17, 1994. Ottima annata) cadde un foglietto.

“Ehi, ragazzi.”

Aoi e Ishimaru si voltarono verso di lui, che in mano teneva qualcosa: “Ho trovato un altro ritaglio di giornale.”

Quando gli altri si avvicinarono Mondo iniziò a leggere ad alta voce.

 

YOMIURI SHINBUN

NUOVI RISVOLTI NEL CASO DEL PRESUNTO DIFFAMATORE DELL’ACCADEMIA KIBOUGAMINE

 

11 gennaio 2004

 

Le ultime indagini della polizia distrettuale di Chiba hanno forse fatto emergere nuovi elementi nel caso di E. Harada, l’uomo che poco meno di tre mesi fa è stato trovato impiccato in una cella della prigione locale.

Le prime ricostruzioni privilegiavano lo scenario del suicidio. Solo negli ultimi giorni sarebbero trapelati alcuni particolari che invece porterebbero gli inquirenti verso una differente soluzione. Nello specifico si tratta di presunti contatti intercorsi fra la direzione del carcere e qualche personaggio di spicco dell’accademia Kibougamine che, stando alle accuse della vittima, avrebbe condotto in passato alcuni esperimenti psicologici non etici sul suo corpo studentesco più giovane. Il tutto senza alcuna garanzia di sicurezza e senza l’approvazione dei genitori.

La nostra testata tiene a specificare che non vi è nulla di ufficiale. Si tratta di voci di corridoio provenienti da fonti vicine alla procura, che però si sono sempre dimostrate affidabili.

Vi terremo aggiornati sui prossimi sviluppi di questa vicenda.

 

Che… che cazzo era quell’articolo?

E soprattutto, cosa stava cercando di dire Zero? A che scopo far trovare loro la storia del signor Harada? Che c’entrava con l’odissea cui li stava sottoponendo?

“Quanto hai letto è inquietante, Oowada-kun” commentò Ishimaru, non riuscendo più di tanto a mascherare l’agitazione per le novità da poco apprese.

“Chiamatemi scema, ma io davvero non capisco il motivo di ‘sta cosa. Perché?”.

“A saperlo, Asahina-san. Sarà opportuno parlarne con Kirigiri-san appena possibile. Se qualcuno fra di noi può trovare la risposta alla tua legittima domanda, quella persona è sicuramente lei”.

“Ok, ma finché non saremo in grado di farlo potremmo cominciare a tracciare qualche ipotesi noi tre. Non credete?” propose Mondo, deciso a cercare di capirci almeno qualcosina.

“Proviamo, ma non sono troppo fiduciosa”.

“Avanti Asahina, tentar non nuoce”.

“Se lo dici tu…”.

“Pessimista. Correggetemi se credete che stia dicendo stronzate, ma io penso che ci debba per forza essere un collegamento fra la storia del vecchio suicida e la nostra in questo posto. Altrimenti Zero ha l’hobby del tagliare pagine a caso del giornale”.

“A parte che non era poi così vecchio, Oowada-kun. In effetti non vedo altra possibile spiegazione” disse il Prefetto, salvo fermarsi a metà frase per lanciarsi in una malriuscita imitazione dell’unica, inconfondibile Kyouko Kirigiri. La posa con la mano sul mento e lo sguardo immerso in pensieri troppo complicati per chiunque altro non gli erano neanche venuti poi tanto male, ciò che stonava…

Mondo rise. Le sopracciglia di Ishimaru rovinavano il quadretto.

“Mpf. Simpatico. Uno cerca di impegnarsi e questo è il suo premio”.

“Scusa. È che come Super Detective senza Super Minigonna non sei granché”.

“...lasciamo stare. Piuttosto, avete notato una cosa? Gli articoli non sono recenti. Questo fatto è successo quasi dieci anni fa”.

“E con ciò?” chiese Asahina, spiazzata dalla linea di ragionamento.

“Mi sta sorgendo un dubbio”.

“Sarebbe?”.

“Pensate che noi, verso il periodo fine 2003/inizio 2004, rientrassimo nella definizione… come diceva? «Corpo studentesco più giovane»?”.

Mondo consultò di nuovo il pezzo di carta e confermò. E in effetti l’intuizione pareva aver senso, loro avevano fra i nove e i dieci anni all’epoca.

“Ma non siamo mai stati sottoposti a qualche esperimento strano!”.

“Certo che no, Asahina-san. Ma dimmi, trovi forse un altro possibile punto di contatto fra noi e questi articoli?”.

“No, ammetto di no” confessò lei, la testa un po’ abbassata.

“Quanto dici non sta in piedi, Ishimaru!” proruppe Oowada “Ci ricorderemmo di un’esperienza così brutta se davvero l’avessimo vissuta!”.

“Non posso darti torto. Però pensateci un attimo, la nostra accademia ha una fama molto meno cristallina di quanto cerca di far vedere. Sbaglio o l’anno scorso era venuto fuori un mezzo scandalo con la storia di… maledizione, non mi ricordo il nome dello studente…”.

“Di cosa stai parlando? Non so nulla del genere”.

“Cavolo, proprio non mi viene in mente. Tu ricordi qualcosa, Oowada-kun?”.

“No, dovrei? Probabilmente erano tutte balle, si sarà trattato solo di voci senza consistenza come è successo mille altre volte. Là fuori è pieno di squilibrati che cercano di sputtanare la Kibougamine per spillarle un po’ di soldi. E poi, quale psicopatico farebbe cose del genere senza venire gettato in galera per i successivi venti secoli?”.

“Qualcuno ricco e influente come la nostra scuola”.

“Da quando ti è venuta la mania del complottismo, Ishimaru? I raeliani ti hanno lasciato una testa di cavallo nel letto?”.

“Mi è venuta da quando siamo chiusi in questo posto, Oowada-kun. Capiamoci, comprendo bene perché sei incredulo. Sarebbe una storia senza né capo né coda. La stimata, famosa accademia Kibougamine che usa i propri studenti come cavie per chissà quali turpi propositi. Suona ridicolo a me dirlo, immagino faccia lo stesso effetto a voi sentendolo. Ma se non fosse così… questi articoli davvero non hanno il minimo senso, come hai fatto presente tu stesso prima”.

“Troppe cose non tornano nel tuo modo di pensare. Stai costruendo un castello di carte basandoti su dicerie mai confermate e probabilmente false”.

“E se il castello si rivelasse invece fatto di cemento, Asahina-san?”.

“In quel caso farà un gran male quando ti crollerà addosso”.

“Può darsi. La risposta che ricavo da questo pezzo di giornale” disse indicandolo “e dal suo fratello più vecchio è questa. Sempre che, lo ripeto, Zero non si diverta a prenderci in giro solo per ridere di noi”.

“Possibilità da non escludere, in realtà, visto che è sicuramente fuori di testa per aver architettato tutto questo…”.

Il discorso sembrava concluso. Poi a Ishimaru si accese una lampadina sopra la testa, quasi letteralmente: “Un momento! Zero ha parlato di peccati che avremmo commesso… ma noi non sappiamo a cosa si riferisce, giusto?”.

“Giusto”.

“E, dando per buona la mia teoria sugli articoli, cos’altro non sappiamo per certo?”.

“Se la scuola ha davvero fatto o no qualche roba orribile”.

“Esatto. Ebbene, provate a sovrapporre le due cose” disse facendo il gesto con le mani aperte a palmo di fronte a sé “Se non ricordiamo una cosa e siamo all’oscuro dell’altra… non può essere che siano la stessa?”.

Asahina alzò un dito come a imporgli l’alt: “Aspetta, fammi capire bene. Stai lasciando intendere che la nostra classe sarebbe passata sotto le grinfie di un branco di pazzi da far invidia agli scienziati nazisti, che per qualche strambo motivo non ce lo ricorderemmo… e che per qualche altro strambo motivo saremmo colpevoli di qualcosa in tutto ciò?”.

“Evidentemente è ciò che pensa Zero. È stato lui a parlare di peccati ed espiazione, non di certo io. Lo so, è un’idea abbastanza campata per aria ma farebbe coincidere un sacco di zone d’ombra. Gli articoli, le accuse lanciateci addosso dal nostro carceriere, il motivo scatenante che l’ha spinto a rinchiuderci qui…”.

“Ok kyoudai, tira fuori i brownies”.

“Eh? Che stai dicendo, Oowada-kun?”.

“Prima di partire ti sei fatto dare qualcuno dei brownies speciali da Hagakure, vero?”.

“No! E poi cos’hanno che non va, quei brownies? Sono squisiti. Certo, dopo averli mangiati ho sempre un momento di blackout…”.

“È perché sono fatti di marijuana, genio. Ti rimbambiscono. E non vedo altra spiegazione per la fuffa che hai appena detto”.

“Io sono d’accordo con Oowada-kun. Mi rifiuto di credere a tutte queste stronzate”.

“A quanto pare ti ho attaccato la parlata volgare, Asahina. Ti dirò, la cosa non mi dispiace poi troppo”.

“Qualche parolaccia ogni tanto non è il dramma che pensavo”.

Dopo una breve risatina fu di nuovo Mondo a prendere parola: “In ogni caso, continuare a teorizzare su questi articoli di giornale non ci aiuta ad aprire la porta. Direi di continuare a cercare e lasciare le congetture per quando saremo insieme agli altri.”

Aoi e Ishimaru annuirono, e tutti e tre tornarono alle loro ispezioni.

 

*

 

L’attesa era logorante.

Riuscire ad uscire da quella stanza in tempi brevi aveva comportato il ritrovarsi ad aspettare l’arrivo degli altri, che evidentemente avevano incontrato ostacoli ben più grossi dei loro.

Mentre Ikusaba aveva deciso di dare un’occhiata ai piani superiori per stare lontana da Togami (quest’ultimo non si era nemmeno sprecato a risponderle), Sakura si era invece accucciata sulle stesse vecchie scatole dove Touko aveva preso posto solo un’ora prima.

Si ritrovò inevitabilmente a guardare verso la porta numero 3, chiedendosi se i ragazzi stavano bene… se Aoi stava bene.

La bomba che Zero aveva lanciato sul loro rapporto rischiava di minarlo fin nelle fondamenta e renderne impossibile un’eventuale ricostruzione. Il non poter sostenere Aoi la rendeva ancora più insofferente e agitata: fin da quando avevano fatto amicizia era sempre stata lei a confortarla e tirarla su per qualunque cosa, da una gara di nuoto andata male a un rifiuto da parte di un ragazzo.

Ora che ci penso…

In effetti Aoi non le aveva mai parlato di quasi nessuna delle sue “cotte”, rimanendo sempre vaga e imputando il tutto all’imbarazzo. A posteriori non riuscì a non chiedersi se non avesse dovuto considerarlo un indizio, ma in fin dei conti era più che logico per lei pensare solo che l’amica fosse troppo timida per dirle chi era l’interesse delle sue attenzioni in quel momento — e in ogni caso non era neanche detto che avesse capito le sue inclinazioni già allora. Per quel che Sakura ne sapeva, poteva essere una scoperta più recente.

Sospirò, maledicendosi per non poter fare nulla per lei ed essere al contempo la causa della sua sofferenza. Pensò brevemente a cosa sarebbe successo dopo, se… quando sarebbero usciti di lì. Il se non è un’opzione accettabile si disse, noi usciremo di qui. Abbiamo tanto di cui parlare, io e lei.

E tuttavia un pensiero cupo si fece largo nella sua mente, agitandola ancora di più: e se davvero non fossero mai riusciti ad uscirne vivi? Se rischiavano di morire lì era il caso di parlare con Aoi, nonostante quest’ultima avesse lasciato intendere di non averne intenzione al momento? E anche avesse accettato, cosa avrebbe dovuto dirle?

La verità era che non lo sapeva.

Più ci pensava, meno capiva cosa provava: era confusa, prima di allora aveva amato un solo ragazzo e non si era mai concessa a nessun altro dopo Kenichiro. Era sicura di averlo amato, ma… anche Aoi aveva avuto almeno un ragazzo, anche se per poco.

E quindi? Non era una sorta di regola standard, per quel che ne sapeva. In realtà al momento era troppo spaesata per essere sicura di qualcosa, non era nemmeno sicura che fuori da lì ci fosse ancora il mondo per come lo conosceva.

Si chiese se lei e Aoi sarebbero mai venute fuori da quel problema, e in che condizioni.

Forse non era sicura di volerlo sapere.

 

*

 

“Allora, ci sei riuscita?”

“Hm. No, niente.”

Makoto sbuffò.

Avevano deciso, per logica, di dedicarsi agli schedari nella speranza che contenessero qualcosa per smontare (o rompere) il finto specchio, ma avevano finito per litigare con i lucchetti che li chiudevano: quattro archivi, quattro lucchetti con anelli pieni di lettere. Per aprirli serviva conoscere le parole giuste… che ovviamente non avevano.

E poi dentro potrebbero non esserci degli attrezzi adatti allo scopo si disse. Potevano esserci altri indizi. O documenti inutili. O tutte e tre le cose, ma fuori dalla nostra portata al momento.

“Fermiamoci un secondo a riflettere” esclamò Kyouko. La voce era leggermente frustrata ma, come suo solito, cercava di non darlo a vedere.

I tre si portarono verso il tavolo.

“C-Cosa suggerisci, Kirigiri?”.

“La soluzione all’arcano dev’essere qui, finora Zero ci ha sempre dato la possibilità di risolvere i suoi indovinelli. Proviamo a guardarci attorno per cercare qualcosa di utile”.

“E se fossero… queste?” chiese Makoto prendendo il mazzo di carte in mano.

“Cosa intendi?”.

“Rappresentano delle figure, no? Perché non tentiamo come combinazione dei lucchetti ciò che è disegnato qua sopra?”.

“Sì, ma hai visto che sono caratteri occidentali. Non ci sono kanji o hiragana”.

“Allora f-forse la parola… è in una lingua straniera?”.

“Io non posso aiutare allora” alzò le mani Makoto “So a malapena dire hello in inglese”.

“E c-con una pronuncia p-pessima” rimarcò Touko. Ma lo disse ridacchiando, segno evidente di come fosse una battuta e nulla più.

Da quanto tempo non sentivo Fukawa-san fare una battuta? Forse addirittura mai prima d’ora. Mi fa piacere.

“Sono altrettanto a digiuno, purtroppo. Tu come te la cavi con l’inglese, Fukawa?”.

“Lo so. Direi abbastanza b-bene da potercela fare”.

E qui avvenne qualcosa che nessun membro della classe 78 poteva dire di aver già visto accadere: Touko Fukawa dichiarò con orgoglio una propria dote.

Sia lui, sia Kirigiri la guardarono piuttosto meravigliati.

“Allora, vediamo di capirci qualcosa. Questo… uhm, potrebbe essere… fatemi un f-favore, mentre io cerco di tradurre… mi p-potreste dire quante lettere ci sono in ogni lucchetto? Non lo ricordo b-bene”.

“Faccio io” si assunse l’onere Makoto.

Dopo aver controllato tornò da lei: “Sono due parole di quattro lettere e due di sei”.

La Super Scrittrice si fece ancora più concentrata: “O-Ok. Qua abbiamo un’onda, che si dovrebbe dire… un attimo che cerco di r-ricordare… credo sia wave. Il quadrato è square, il cerchio… circle. L’ultima… uhm, è un po’ più d-difficile. è un segno più… f-forse… plus?”.

Un breve conteggio delle lettere fece capir loro che forse ce l’avevano fatta. O meglio, forse Fukawa ce l’aveva fatta.

Non mancherò di farlo presente a chi di dovere che il merito è tutto suo.

Provvidero a inserire le combinazioni nei lucchetti e, dopo un paio di tentativi sbagliati, finalmente riuscirono a rimuoverli.

“Ottimo lavoro, Fukawa-san!”.

“G-Grazie N-Naegi, s-sei… sei troppo buono c-con me…”.

“Non è vero. Sei stata grande e ti meriti i giusti complimenti”.

“...”.

Forse non era ancora pronta per delle lodi sperticate, ma il timido sorriso sul suo volto era già molto.

Il primo schedario regalò loro dei fascicoli: una rapida occhiata all’intestazione li identificò come risalenti al 2003.

“Cavolo, sono vecchi”.

“Decisamente. Eravamo ancora dei bambini quando sono stati stilati. Sembrano delle schede personali. Guardate: data di nascita, altezza, peso, un sacco di dati anagrafici vari e una breve descrizione fisica”.

“Purtroppo non ci sono nomi”.

“Già. Pare siano stati cancellati”.

“Ci farebbe comodo scoprire a chi si riferivano”.

“E chi lo sa. Sono inutilizzabili in quel senso. Ma potrebbero darci altre informazioni”.

“C-Che tipo di informazioni?”.

“Parlano di risultati… di esperimenti fatti con le carte di Zener…”.

I tre ragazzi cessarono ogni funzione vitale per qualche secondo.

Era una coincidenza assurda. Talmente assurda da non poter essere una coincidenza.

Avevano un mazzo delle suddette carte sul tavolo alle loro spalle, e casualmente i simboli lì rappresentati erano le chiavi di apertura dei lucchetti.

Oltre all’articolo di giornale, che sempre casualmente parlava di esperimenti.

“O Zero è un fan assatanato di Uri Geller o ci sta mandando un messaggio molto esplicito”.

“Pensi che anche gli altri abbiano trovato qualcosa di simile, Kirigiri-san?”.

“Possibile. Anzi, probabile. A questo punto è lecito pensare che dovremmo cominciare ad avere un quadro più chiaro della situazione nella sua interezza, e magari così facendo capire cosa ha portato Zero a rinchiuderci qua dentro”.

I due archivi centrali portarono altri fascicoli simili, sempre privati dei nomi.

Nell’ultimo, che fu Touko ad aprire, invece ci fu una variazione sul tema.

“Uh? E questo cos’è?”.

Lo tirò fuori e lo mostrò agli altri.

“Parrebbe la candela d’accensione di un’auto” constatò Kyouko.

“Sì, ma che ce ne facciamo? E perché era dentro uno schedario chiuso?”.

“Uhm”.

Oh oh. Eccolo, è il momento in cui Kirigiri-san si mette a elucubrare. Mano sul mento? C’è. Sguardo corrucciato? C’è. Isolamento totale dal mondo esterno? C’è.

Per un paio di minuti lui e Fukawa rimasero fissi come due baccalà a osservarla mentre pensava.

Poi, all’improvviso, l’illuminazione.

“Ci sono!”.

“Eh? Aiuto, mi hai spaventato!”.

“Scusa Naegi Cuor di Leone, non volevo. Comunque questo” disse prendendolo in mano “è il nostro passaporto per il paradiso”.

“...stai scherzando?”.

“No. E ora te lo dimostro”.

Si avvicinò al tavolo e, dopo qualche tentativo, riuscì a rompere la candela e raccolse un frammento della parte bianca, poi lo fece saltare un paio di volte sul palmo della propria mano.

Si fermò.

Lo lanciò contro il vetro.

E il vetro si infranse.

Makoto osservò incredulo Kyouko, che con la giacca avvolta attorno alla mano destra rimuoveva alcuni residui di vetro rimasti nell’infisso.

“Kirigiri-san, come hai…” balbettò, e lei si limitò a fare spallucce: “Semplice fisica, Naegi-kun. La ceramica all’interno delle candele delle auto è composta da elementi che la rendono particolarmente dura, e se lanciata velocemente contro il vetro l’impatto con un’area ridotta causerà abbastanza energia da romperlo interamente.”

Makoto rimase a bocca aperta.

“Sei così stupito?”

“No, è che dopo la tua esibizione mi chiedo se tu vada davvero in giro a investigare o se invece passi il tempo a scassinare auto.”
Kyouko rimase un attimo interdetta, forse non del tutto sicura che il ragazzo stesse scherzando, ma poi ricambiò il sorriso: “Sapessi quante cose non sai di me, Naegi-kun…”

E se non si fosse trattato della gelida Super Detective Kyouko Kirigiri, Makoto sarebbe stato abbastanza sicuro che stesse flirtando.

Con me? Ma quando mai!

Poco dopo la vide saltare oltre l’apertura e atterrare agilmente dall’altro lato: “Restate lì, lo spazio è piccolo” disse, e si guardò attorno: non sembrava esserci molto nell’altra stanza, solo un altro schedario.

“A quanto pare abbiamo bisogno di un’altra password” disse, tenendo in mano il lucchetto che teneva chiuso l’archivio. “Quattro lettere. Le carte di Zener hanno cinque simboli e noi ne abbiamo usati quattro. Se tanto mi dà tanto…”

“Quale manca?” chiese Makoto.

“La stella.”

“Q-Quindi star” li anticipò Fukawa, “t-ti serve una mano per inserire le lettere?”
“Sarebbe utile, sì” rispose l’altra, e si spostò abbastanza da permettere a Touko di osservare il lucchetto. “D-Dunque… fai girare il cerchietto a sinistra” disse, sistemandosi gli occhiali per vedere meglio “ok, fermati. Ecco la s. Ora quello accanto…”

Continuarono così per qualche secondo, finché la parola star apparve e il lucchetto si aprì, dando modo a Kirigiri di frugare all’interno.

“Ma guarda.”

“Cos’hai trovato?” chiese Makoto, e lei gli porse un plico di carte; saltò di nuovo oltre l’infisso e si avvicinò a loro: “Guardate qua” disse, riprendendo i documenti in mano e sfogliandolo “è l’ennesimo fascicolo personale, identico a quelli che già abbiamo trovato. Solo che stavolta abbiamo un nome” disse, e lo voltò per farlo vedere a lui e Touko.

Junko Enoshima.

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Capitolo 7
*** Elucubrazioni, cospirazioni e l'inizio di una crisi di coscienza ***


“Vaffanculo!”

“Oowada-kun, non c’è bisogno di scadere nel volgare!”
“Dopo aver controllato da cima a fondo questo buco di stanza per tre volte di fila senza trovare un modo per uscire un vaffanculo mi pare il minimo!” ringhiò Mondo, per poi aggiungere: “E comunque ad Asahina non hai mica detto niente quando si è data al turpiloquio.”
“Asahina-san era ancora sconvolta per quanto le era successo, aveva bisogno di sfogarsi.”
“E io che pensavo fosse perché non resistevi allo sguardo da cerbiatta… per non dire altro.”
“Come se non vi sentissi, voi due.”
Ishimaru si massaggiò una tempia, dicendosi che continuare a discutere con Mondo nervoso non avrebbe portato a nulla. E tuttavia l’altro aveva decisamente ragione: avevano guardato in ogni angolo di quella stanza, ispezionato ogni armadietto, smantellato ogni branda, svitato ogni singolo erogatore dalle docce, ma tutto ciò che avevano trovato era solo quell’articolo di giornale. Non c’era niente che potesse essere un indizio, o uno dei giochetti di Zero per sbloccare la porta: nessun tastierino numerico sospetto, o una combinazione scritta da qualche parte. Brancolavano nel buio.

Rifletti, Kiyotaka. Cosa potete aver tralasciato?

Mentre si interrogava su qualche loro possibile dimenticanza, la stanza si fece buia.

“Ma che?”
“Scusate, ho spento l’interruttore per sbaglio mentre mi appoggiavo alla parete” si scusò Mondo, mentre riaccendeva la luce.

“Oowada-kun, aspetta!”

“Eh?”
“Guardate là!”

Si avvicinarono ad Aoi, che indicava una delle pareti delle docce.

C’era una scritta luminosa, probabilmente scritta con una vernice fluorescente che diventava visibile solo al buio.

 

Un tempo ero talentuoso e potente

e tutti mi apprezzavano

poi la mia ingordigia ebbe la meglio

e mi fece cadere con violenza dallo scranno

Chi sono?

 

“Che diavolo è ‘sta roba?”.

“Non ne ho la minima idea”.

“E soprattutto… cazz’è uno scranno?”.

“...sei serio, Oowada-kun? Non sai cosa significa?”.

“Io sono un duro di strada, non una di quelle fighette che stanno tutto il giorno piegate sui libri!”.

“Certo, certo. Sei un macho. Comunque lo scranno è il trono. Sai, quello su cui si siedono i re e gli imperatori”.

“Ehi! Va bene, non sarò mai un laureato ma a sapere cos’è un trono ci arrivo!”.

“Non sembrava…”.

Mentre Mondo e Aoi bisticciavano come due mocciosi dell’asilo, Kiyotaka rimase come ipnotizzato a leggere.

Leggeva e rileggeva, a ripetizione.

No. Non è possibile. Non può essere possibile. Come… come ha fatto a…

Si avvicinò lento al muro e poggiò la mano destra proprio sopra la scritta, lasciando nel contempo cadere la testa in avanti.

Continuò a ripetersi che non aveva senso. Zero non poteva sapere di quella storia.

Eppure tornava.

Feh. Ricordati di Kirigiri-san e Asahina-san, ricordati di come sono state colpite nei loro segreti più intimi. Non stupirtene troppo.

Non riuscì a trattenere qualche lacrima.

“Ci tieni così tanto a sapere chi potrebbe aver scritto quella frase, Zero? CI TIENI? SI CHIAMA TORANOSUKE ISHIMARU, ECCO CHI È!”.

Sentì che gli altri due, alle sue spalle, avevano istantaneamente smesso di tirarsi i virtuali codini e si erano fatti silenziosi.

Lasciò che un sentimento di… brutto da dire, ma era disprezzo. Lasciò che questo sentimento emergesse, anche perché era bastato così poco per farlo venire in superficie ed era forte a sufficienza da scansare il suo controllo cosciente.

Poi, senza preavviso, una mano sulla sua spalla.

Era piccola.

“Asahina-san…” riuscì a mormorare.

“Ishimaru-kun, che succede? Di cosa stai…”.

“Bene bene bene, abbiamo un vincitore. Bravo Ishimaru, sei stato un ragazzino sveglio e hai saputo risolvere al volo l’enigma. Il vostro premio è l’uscita”.

Quel… quel bastardo di Zero.

“Di cosa sto parlando, Asahina-san? Sto parlando di mio nonno. Non avete riconosciuto il nome?” disse in tono inacidito mentre si rimetteva in posizione eretta e si voltava per fronteggiarla.

“Ishimaru-kun” guaì quella vedendolo in faccia “sei… sei spaventoso…”.

“Non ho molta simpatia per mio nonno e per la sua stupidità, la cosa non mi meraviglia”.

Riecheggiò chiaro un rumore. Il rumore di qualcosa che si sbloccava.

“Avanti gente, andate via. Non ho tutto il giorno da dedicarvi”.

Come si permetteva? Come si permetteva di calpestarlo in questo modo senza neanche dargli il tempo di spiegare, di potersi un minimo sfogare?

Era inumano.

Ora credo di capire come si dev’essere sentita lei quando lo ha rivelato ad alta voce.

“No. Prima devo loro un chiarimento”.

“Ishimaru, non farmi arrabbiare. Vi sto ordinando di andarvene. Fareste bene a ubbidirmi”.

Non lo stette neanche ad ascoltare. Si appoggiò con la schiena al muro e fece cenno ad entrambi di avvicinarsi, non gli andava di urlare. Aveva già urlato troppo per i suoi gusti.

“In effetti capisco come il nome di Toranosuke Ishimaru non vi dica nulla, è successo che noi eravamo forse appena nati. Mio nonno, al contrario di me, era una persona di estremo talento naturale, riusciva bene in tutto senza alcuno sforzo. Questo lo ha spinto alla carriera politica perché molto proficua, e sfruttando le sue capacità è arrivato all’ambita carica di primo ministro del Giappone. Purtroppo…”.

“Ishimaruuuuu”.

“...si è lasciato avvicinare dalla compagnia sbagliata ed è finito con l’invischiarsi in un brutto giro. Dopo pochi mesi hanno scoperto che si era fatto corrompere da alcuni costruttori in cambio di appalti pilotati per delle grandi opere. L’hanno costretto alle dimissioni. Per lungo tempo la famiglia Ishimaru ha portato su di sé il marchio dell’infamia pubblica…”.

“Ishimaruuuuuuuuuuuuuuuuuuuu”.

“...e io non ho mai trovato il coraggio di parlarvene. Vi chiedo scusa, me ne vergognavo troppo. Ecco, ora in tema di verità scomode siamo tutti allo stesso livello”.

ZICK.

Ahio! Che cavolo è? Ho sentito come una puntura sul polso… quello dove… c’è il braccialetto…

“E insomma, che razza di prefetto sei se non ubbidisci agli ordini che ti vengono impartiti da un’autorità superiore? I bambini riottosi qua li puniamo, e li puniamo duramente. Buon sonnellino”.

“Ishimaru!”

“Ishimaru-kun!”

“Questo è un avvertimento, perché se Zero parla voi obbedite. Gli ho iniettato solo una dose di sonnifero, sarà fuori combattimento per mezz’ora… ma provate un’altra volta a ribellarvi e il vostro sonno sarà eterno. Ora uscite fuori, SUBITO, prima che cambi idea.”

 

*

 

Mentre Asahina e il gorilla aggiornavano gli altri su cosa era accaduto ad Ishimaru, Togami rimase prevedibilmente in disparte: non aveva parole di conforto per nessuno, né gli interessava averne, e se doveva essere del tutto sincero al momento non gli importava nulla nemmeno degli indizi da esaminare.

Ad affollare i suoi pensieri erano invece le reazioni dei suoi compagni.

Ikusaba che scaricava sei proiettili sulla sua sagoma di carta.

Oogami che per ben due volte lo rimproverava… anche se, quando si era trattato di Asahina, aveva avuto il sentore che si fosse trattenuta dal pestarlo solo per mantenere la quiete nel gruppo.

E più di tutti, Fukawa.

Fukawa la timida, Fukawa che passava ogni pausa pranzo a scrivere, Fukawa che non aveva occhi che per lui.

 

“Maledizione a te Fukawa, che diamine vuoi?!”

“Da te NIENTE.”

 

Quello scambio di battute continuava a tormentarlo.

In una qualunque giornata scolastica non ci avrebbe dato peso e lei non avrebbe nemmeno osato lamentarsi.

Cosa diamine era successo? Come aveva potuto cambiare in maniera così radicale (perlomeno per i suoi standard) nel giro di una giornata?

Istintivamente si voltò verso Naegi e corresse i suoi calcoli: a Fukawa erano bastati solo venti minuti per decidere che rispondergli per le rime non era poi una brutta idea.

E tutto perché ha parlato con te, stupido di un Naegi. Che diavolo le hai detto?

La cosa che più lo turbava però, e che si rifiutava di ammettere, era un’altra: non lo irritava che la ragazza si fosse improvvisamente svegliata e non gli scodinzolasse più attorno -in fondo non gli era mai importato nulla di avere ammiratrici o meno, era una perdita di tempo- ma che non ne capisse il motivo.

 

“Io davvero mi chiedo se così stronzo ci sei nato o ai discendenti dei Togami fanno un corso speciale apposito, altrimenti niente eredità.”

 

Soffocò un ringhio ripensando alle parole di Ikusaba.

 

“La tua posizione sociale non ti dà alcun diritto di giudicare noialtri, non sei migliore di noi solo perché puoi soffiarti il naso con una banconota da diecimila yen! E se tu non riesci a provare emozioni di nessun genere beh, ti assicuro che non è così per gli altri!”

 

“Magari è la volta buona che impari un po’ di comprensione ed empatia, Togami-san. Ma sinceramente non ci spero poi molto.”

 

Odiava quelle parole.

Comprensione, empatia, emozioni… in casa Togami erano praticamente bandite, guai a nominarle davanti a suo padre.

“Coi buoni sentimenti non combinerai mai niente” ripeteva, “conta solo la posizione sociale”. Sua madre lo aveva cresciuto facendogli letteralmente il lavaggio del cervello, cosicché a soli quattordici anni riuscisse a spodestare i suoi fratellastri ed acquisire di diritto il cognome Togami, diventando l’erede unico della Zaibatsu e destinando gli altri all’esilio e all’oblio.

Essere esiliati dalla famiglia è peggio della morte pensò, parafrasando la frase che suo padre diceva più spesso, quasi fosse un mantra.

Era cresciuto convinto che gli unici valori che contavano fossero il capitale e il buon nome della famiglia. Era forse una cosa così deplorevole?

 

È perfettamente logico che ti trattino in questa maniera. Non fai nulla per dar loro motivo di comportarsi diversamente.

 

Fece una smorfia, ripensando a quell’assurdo monologo interiore. Si chiese se non fosse il caso di fare due chiacchiere con uno psichiatra, una volta uscito di lì.

Eppure…

 

Cambia rotta, Byakuya-chan. Così non va.

 

...il tarlo scavò più a fondo.

“...ami?”

La voce di Kirigiri lo ridestò dai suoi pensieri.

“Togami? Stavamo mettendo insieme tutti gli indizi trovati finora. Sei dei nostri?”

“Sì, sì” sbuffò, accantonando quei pensieri fastidiosi che non trovavano ancora una risposta.

“Allora” esordì la Detective quando furono tutti radunati attorno a lei “i vari gruppi sono entrati in possesso di molte informazioni. Innanzitutto Oowada, Asahina e Ishimaru hanno rinvenuto un secondo articolo di giornale sempre dedicato allo stesso tizio del primo, quello che hanno trovato impiccato in prigione”.

“Oooooooooooh” fu il responso generalizzato.

“E a quanto pare è possibile che il signore non fosse un matto in cerca di notorietà facile, almeno stando a quanto c’è scritto. Difatti sembra che all’epoca ci fossero stati dei contatti fra il personale penitenziario e certi personaggi della nostra scuola in merito al suo caso. Questo getta una luce inquietante sull’accademia, soprattutto se andiamo a sommarlo a quanto abbiamo scoperto io, Naegi e Fukawa”.

“E cosa avete scoperto?”.

Si fece passare i fascicoli: “Leggete questi fogli”.

Chi non era a conoscenza del contenuto si fece sotto e si cominciò a sfogliarli.

“Queste… cosa sono queste?”.

“Un secondo” si inserì Sakura “manca Ikusaba. Scusate, mi ero scordata che sarebbe andata a controllare il piano superiore. Non si può aspettare un attimo, Kirigiri?”.

“Oh”. L’umore di Togami si risollevò un poco quando vide la faccia di lei fare una minuscola smorfia di disappunto.

Per fortuna non ci volle molto perché Mukuro tornasse. Nel frattempo si era anche svegliato Ishimaru, intontito ma desideroso di partecipare alla fase investigativa.

“Beh? C’è una svendita dell’ultimo album di Maizono e vi state accalcando per accaparrarvelo?” chiese sarcastica la nuova arrivata, prendendosi più di un “buuuuh” di disapprovazione.

“Ok, adesso che ci siamo tutti posso riprendere?”.

Kirigiri, sbaglio o ti vedo nervosetta?

Senza neanche attendere una risposta ricominciò: “Riassumendo brevemente per gli assenti: secondo episodio di E. Harada e dell’indagine che lo riguardava; sorgono dubbi sulla dinamica perché ci sarebbero stati degli abboccamenti fra la Kibougamine e il carcere, il che potrebbe stare a significare che qualcuno ha voluto metterlo a tacere; fascicoli che riportano vita, morte e miracoli di un sacco di mister X oltre ai risultati di alcuni test preliminari di natura… soprannaturale”.

“Se ci fosse stata Maizono ora se ne sarebbe saltata fuori con la sua solita battuta «Ehi, guardatemi, sono una esper!»”.

“...Oowada, per favore”.

“Scusa scusa, non lo faccio più. Caì”.

“Meglio così. Stavo dicendo che in realtà qualcosa di un po’ più consistente, almeno a livello di nomi, lo abbiamo anche trovato. Solo che…”.

“Solo che?”.

“Solo che non abbiamo la minima idea di chi sia la persona in questione”.

Detto ciò chiese a Makoto di far passare i fogli.

Quando giunsero nelle mani di Byakuya lui lesse, li osservò un momento cercando di capire se il nome gli dovesse dire qualcosa, si rispose di no e li fece girare al successivo. La stessa identica reazione degli altri, almeno a giudicare dai ripetuti “no, non la conosco” e frasi di tenore simile.

Chi diavolo è questa Junko Enoshima? Mai sentita nominare.

“Quindi” riattaccò Kyouko “l’unico soggetto di cui conosciamo l’identità che avrebbe preso parte a questi presunti esperimenti… ci è estraneo”.

“Presunti?” intervenne Ishimaru “A me non sembrano poi così presunti, Kirigiri-san”.

“Ti basi sulle parole di un possibile pazzo, Ishimaru?”.

“Beh, ecco…”.

“Kirigiri-san” prese la parola Makoto “non scordarti delle carte”.

“E del libro” andò a suo rinforzo Fukawa.

“Carte? Libro?”.

“Credo di sapere a cosa ti riferisci con il libro. L’Uomo che Fissa le Capre, no?”.

“Mi fa p-piacere che te lo ricordi, O-Oogami. Parla di… e-esperimenti paranormali...”.

“E le carte?”.

“Abbiamo trovato un mazzo di carte strane insieme alle schede. Sono carte usate per gli esperimenti di telepatia”.

“Esperimenti, esperimenti e ancora esperimenti! Come fai a pensare che si tratti di una coincidenza, Kirigiri-san?”.

“Perché non c’è nulla che ce lo dica senza possibilità d’errore. Non ci sono elementi sufficienti per considerarlo un dato di fatto, lo capisci?”.

“Lo capisco, sì. Ma una casualità è comprensibile, quando diventano sette od otto io tendo a chiamarle in modo diverso”.

Gli animi cominciarono ad accendersi e si formarono come due schieramenti, chi si era fatto infettare dalla furia cospirazionista di Ishimaru e chi preferiva mantenere i piedi per terra sulle orme di Kirigiri. Non si rischiò mai di esagerare, comunque.

Peccato. Qualche pugno mi avrebbe allietato la giornata.

“E poi c’è il caso dell’anno scorso, quello dello studente di cui non ricordo il nome…”.

Questa frase attirò l’attenzione di Togami, il quale si era tenuto fuori dalla bagarre fino a quel momento: “Non starai parlando di Izuru Kamukura?”.

“Ecco come si chiamava, cavolo! Ecco!”.

“Tu sai di Kamukura, Togami?” gli si rivolse Kirigiri.

“Beh, non conosco molto a dire il vero. Sono girate un sacco di voci in quel periodo, alcuni complottari della domenica erano arrivati a sostenere che costui avesse subito un’operazione a cranio aperto tra le mura dell’accademia impazzendo del tutto…”.

“Vedete? Se la Kibougamine è capace di queste cose perché non potrebbe aver fatto lo stesso con noi?”.

“Con… noi?”.

Ishimaru provvide a spiegare la sua intuizione sulle date e sul fatto che, in linea teorica, il famoso “corpo studentesco più giovane” poteva includere anche i presenti.

“Non starai un po’ esagerando con le congetture, Ishimaru-san?” si azzardò a chiedergli Naegi. Pareva sinceramente spiazzato da come si stava evolvendo il discorso.

“Forse sì, ma come ho già detto prima ad Asahina-san e a Oowada-kun il metterci sul luogo di uno di questi esperimenti spiegherebbe un bel po’ di cose. Ad esempio perché Zero pensa che noi saremmo colpevoli di qualcosa”.

E di nuovo giù con lo spiegone sulla presunta relazione fra i fantomatici esperimenti (di cui loro non ricordavano di essere stati parte, se aveva ragione) e le accuse del loro aguzzino (di cui ovviamente non capivano la causa).

“Tutto ciò è davvero inverosimile” cercò ancora di confutarlo Kirigiri, davvero poco convinta dai labili collegamenti logici del Prefetto.

“Non lo nego. Ma se così non fosse… cosa significano tutte le cose che abbiamo trovato?” insistette quello.

Il silenzio della Super Detective gettò una cappa di pessimismo su tutti loro.

“Però… e se Ishimaru-kun avesse ragione?” azzardò timidamente Asahina, e la discussione riprese con ancora più fervore; Togami li osservò per qualche minuto, finché non decise che ne aveva abbastanza: “Scusate. SCUSATE!” urlò, finché gli altri otto non lo degnarono di uno sguardo. “Bene, ora che ho la vostra attenzione: visto che ci sono altri piani da ispezionare, che ne direste di smetterla di berciare e salire a dare un’occhiata?”

Il resto della classe lo osservò in completo silenzio, e alla fine fu Naegi a parlare per tutti: “Sì, forse è il caso. Togami-san non l’avrà detto nella maniera più gentile, ma è un’ottima idea” e dicendolo si avviò verso le scale, seguito dal resto della classe che si voltò a lanciare a Byakuya occhiate piene di risentimento, o fastidio, o semplice disprezzo; Mukuro fu l’ultima a passargli accanto, con un mezzo sorriso che sembrava dire “Vedi che sei uno stronzo?”.

Mentre li guardava sparire oltre la curva della scala, Togami provò un nuovo moto di rabbia: la sottile presa per i fondelli di Naegi non gli era sfuggita, così come gli sguardi di tutti gli altri (l’ultimo era ovviamente il più eloquente), e di nuovo venne sopraffatto da quei fastidiosi pensieri, sul perché non riusciva a comprendere pienamente quello che succedeva attorno a lui.

Sarebbe più esatto dire che non vuoi capire, Byakky. L’intelletto per farlo non ti manca di certo.

Non ci credo, ancora questa voce irritante!

Cominciava davvero a temere per la sua sanità mentale e si chiese se quel posto non stesse davvero facendo danni alla sua psiche.

Ignorami quanto vuoi, ma tieni a mente questo: tuo padre non aveva ragione. Su niente.

Quell’ultimo pensiero gli si piantò nel cervello come un paletto, mettendo in discussione quelli che aveva sempre considerato i suoi punti fermi nella vita.

Se mi tolgono questi cosa mi rimane?

Si costrinse a muoversi da lì e raggiungere gli altri, sentendosi turbato per la prima volta nella sua vita.

Quando raggiunse il piano superiore trovò la prima porta aperta: la stanza sembrava una sala d’attesa, con poltroncine, divanetti e un tavolino basso con vecchie riviste; nella seconda trovò il resto della classe intenta ad esaminare quello che sembrava un elegante studio medico, con tanto di lettino, una lussuosa scrivania, una libreria piena di tomi medici, poster raffiguranti sezioni di un cervello con le varie parti evidenziate.

“Alla buon ora, Scion di ‘Staceppa.”

Ignorò volutamente l’accoglienza di Oowada, limitandosi a seguire la classe quando si diresse versò la terza porta.

Stanze collegate tra loro. L’architetto era un fan di Escher o del Centipede Umano.

La terza stanza li lasciò tutti spiazzati: era la cameretta di una bambina, probabilmente sui nove o dieci anni a giudicare dai peluche sul letto, i vestitini carini appesi nell’armadio, il letto con la trapunta rosa.

Questa stanza mi dà i brividi.

In effetti tutto sembrava forzatamente grazioso, carino, e strideva terribilmente con quanto avevano visto finora, in particolare nei sotterranei.

“Oh, di già?”

La voce scocciata di Oowada lo ridestò dai suoi pensieri: in fondo alla stanza c’era l’ennesima porta numerata, la 7. Ancora una volta Kirigiri si prese la briga di fare i calcoli, che poco dopo elencò al resto della classe: “Allora, chi se la sente?”

“Vado io.”

Si voltarono tutti a osservare Byakuya in un misto di curiosità e scetticismo mentre lui si avvicinava alla porta: “Con me possono entrare Naegi e Ishimaru, oppure tu” indicò Kyouko “e Fukawa. Decidete.”

“Se devo essere sincero sono ancora intontito dall’anestetico, preferirei passare se non vi dispiace” si scusò il Prefetto, “rimarrò qui fuori con gli altri a ispezionare le altre stanze.”

Kyouko annuì: “Nessun problema, andremo io e Fukawa” replicò, anche se quest’ultima non sembrava particolarmente felice all’idea; per un attimo, ma solo per un attimo si chiese se fosse l’idea della stanza numerata in sé a metterla in agitazione, o il dover entrare insieme a lui.

“Tranquilla Fukawa-san, andrà tutto bene. Puoi farcela.”

Sentì Naegi incitare la ragazza, e subito lei sembrò davvero convinta di potercela fare: “O-Ok.” disse, e si avvicinò a Togami e Kirigiri.

Byakuya la osservò per un’istante fin troppo lungo per i suoi gusti, indugiando sulle odiose parole di quell’altrettanto odiosa voce.

“Pronto, Togami?”

Annuì verso Kirigiri, poi poggiò la sua mano sul dispositivo di riconoscimento.

Avevano appena messo piede nella stanza quando la porta si chiuse alle loro spalle, e la voce di Zero gracchiò dagli altoparlanti: “Ho avuto il piacere di notare come ultimamente il nostro Scion non riscuota particolarmente successo nella classe. Direi quindi che il Togami nazionale non se la prenderà se decidessi di… torturarlo un po’.”

Maledetto.

“Su quel tavolo ci sono nove biglietti con dentro degli indizi per il vostro enigma. Prendete quello col vostro nome e seguite le istruzioni. Non toccate gli altri e soprattutto NON SCAMBIATEVELI TRA DI VOI. Quello che c’è scritto è per voi e soltanto a vostro uso. Ora, andate a disattivare il secondo dispositivo di riconoscimento.”

Mentre seguivano le istruzioni di Zero, Byakuya pensò che avrebbe voluto ammazzarlo con le sue mani, fosse l’ultima cosa che faceva.

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Capitolo 8
*** Tranquillo Byakky, non sei l'unico ad essere nei casini ***


Byakuya Togami prese il biglietto a lui rivolto.

Era un semplicissimo pezzo di carta piegato a metà, il classico bigliettino che ci si passa a scuola durante una verifica.

Osservò per qualche istante Touko e Kyouko che aprivano i propri, poi fece lo stesso.

Quanto vi lesse… fu disturbante, per certi versi.

 

Ecco il nostro vincitore, siore e siori! Perché questo ragazzo fortunato ha vinto non un indizio, bensì la soluzione intera!

È una semplice parola inglese di quattro lettere: mind.

Se stai pensando che c’è la fregatura sei troooooppo furbo per me, accidenti.

La fregatura è la seguente: devi essere tu a inserirla dove va inserita. Non i tuoi compagni. Se lascerai che siano loro a farlo… diciamo che ogni tanto gli incidenti capitano, giusto?

Come? La situazione ti sembra familiare? Ti ricorda la guerra che ti sei fatto coi tuoi fratellastri per il ruolo di erede Togami?

Non so di cosa tu stia parlando. Solo perché sei obbligato a ostacolare qualcuno a te vicino non vuol mica dir nulla.

Salutami Shinobu.

 

“Bastardo…” mormorò sottovoce, assicurandosi che le altre non lo sentissero.

Le osservò consultare i rispettivi fogli, leggerli con attenzione, riporli in tasca e cominciare a parlare.

“Ok Fukawa, diamoci da fare. Vieni a darci una mano, Togami?”.

“No. Ho un problema” si limitò a rispondere, secco.

“Tsk. Il signorino non si v-vuole scomodare. Va bene, ci p-penseremo noi”.

Gli occhi di Kirigiri, per un istante rivolti nella sua direzione, sembravano quasi trasmettergli delusione. Poi si dedicò a Touko.

Byakuya aveva ben altro per la testa al momento.

Maledetto. Maledetto. Maledetto.

Come hai osato farmi ricordare cos’è stata per me quella gara fra consanguinei? E soprattutto, come hai osato citare Shinobu?

Shinobu Togami era stata, dei quattordici fratellastri, quella che per Byakuya aveva rappresentato l’ostacolo più difficile da superare. E non perché fosse particolarmente intelligente, o brava come lui, o priva di scrupoli.

Semplicemente, e se ne vergognava anche solo a pensarlo, a Shinobu aveva voluto bene.

Gli era costato più di quanto gli piacesse ammettere esautorarla dalla corsa e, in alcuni momentacci di sconforto, ebbe l’ardire di questionare il credo di loro padre, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta.

Non era stato facile.

 

“Le cose importanti possono anche non essere soldi, titoli e potere”.

 

Questa frase, dettagli dal suo maggiordomo personale Aloysius quando avrà avuto non più di sei anni, gli fece perdere l’equilibrio per un istante. Un solo istante. Era un urlo di guerra rivolto contro tutto ciò che il suo cognome rappresentava, nel bene e nel male.

Perché sto avendo dei dubbi? Me ne dovrei fregare e lasciare che quelle due esplodano, o che vengano sbranate da una tigre, o qualunque sia il fato che Zero ha in serbo per loro. A me non dovrebbe interessare.

E allora perché… invece mi interessa?

 

“Ti sembrerà strano ma anche io provo emozioni, sono LEGATA a voi!”.

 

Pure Ikusaba adesso? Che cos’è, il festival della citazione becera? Cervello, puoi anche smetterla di perseguitarmi con simili mezzucci.

Cervello? Non è il tuo cervello a star parlando.

Va bene, a questo punto non ho più nulla da obiettare. Pazzia più, pazzia meno...

Te lo ripeto: tuo padre aveva torto marcio. Su tutto.

Una replica? Non sono degno neanche di una nuova banalità? Che squallore.

Nessuno gli rispose. Ne fu felice.

“È chiaro che stiamo parlando di una sola parola. Ma dove va inserita?”.

“G-Guarda Kirigiri, sul tavolo”.

Si scosse un attimo nel vederle prendere uno strano oggetto di forma cilindrica che stava accanto agli altri biglietti. Presentava una serie di lettere da muovere, presumibilmente per comporre una parola.

“Assomiglia a un cryptex”.

“E cosa sarebbe, Fukawa?”.

“Appariva nel libro Il Codice da Vinci. Un sistema di t-trasmissione di messaggi importanti. Però…”.

“Però cosa?”.

“È a c-combinazione alfanumerica, vedi? Se sbagli la password u-una fialetta d’aceto scioglie il messaggio all’interno”.

“Prova a scuoterlo”.

Ed effettivamente si sentì il rumore di qualcosa che ballonzolava al suo interno.

Gli incidenti capitano, giusto?

E se al posto dell’aceto ci fosse stato qualcosa di meno innocuo, come un liquido corrosivo? Dell’acido?

Byakuya non seppe giustificare la spinta che lo portò ad avvicinarsi alle due ragazze e tentare di strappare, con una certa irruenza, l’oggetto dalle mani di Touko.

“Bya… Togami! C-Cosa stai facendo?!”
“Dammi quel cryptex.”
Lei si ritrasse subito, stringendo a sé il cilindro: “P-Perché dovrei?”
“Perché sì.”
“N-Non è una buona motivazione.”
“Fukawa, dammi quell’affare. Adesso.”
“Scordatelo!”
“Perché dovremmo obbedirti?” si intromise Kyouko. “Da quando siamo qui non hai fatto altro che dare ordini, sputare sentenze, pretendere, il tutto con la tua solita gentilezza. Anzi, se vogliamo essere del tutto sinceri, sembra che tu sia persino peggiorato. Alla luce di tutto questo dimmi, perché mai dovremmo fare come vuoi tu?” concluse lei, incrociando le braccia.

Lo sguardo duro che ricevette da lei sembrò farlo tentennare: Kirigiri non era mai stata una espansiva, ma non aveva mai rivolto a nessuno della classe un’occhiata tanto tagliente.

Rimase in silenzio a riflettere, non avendo idea di cosa risponderle… o meglio, come. Lanciò uno sguardo attorno a sé alla ricerca di videocamere, ma non ne notò nemmeno una.

Devo improvvisare si disse, e sperare che vada bene.

“Perché è una questione importante, Kirigiri” disse, misurando le parole.

“N-Non abbastanza da assecondare i tuoi capricci” replicò Fukawa.

“Non si tratta più di capricci” disse, con voce calma e stranamente atona che Kyouko sembrò notare, perché la vide inarcare un sopracciglio.

“E di cosa si tratta?” chiese.

“Non sono io l’autorità qui” rispose lui a bassa voce, ma abbastanza affinché loro due lo sentissero; si augurò mentalmente che Zero non avesse capito.

La Detective rimase in silenzio a fissarlo, probabilmente ponderando su quelle parole, su di lui e se poteva fidarsi o no; dopo un paio di interminabili minuti annuì: “Ok. Fukawa, dagli il cryptex.”

“No.”

Entrambi si voltarono a guardarla.

“Fukawa, non stiamo giocando” ringhiò lui, e la ragazza si ritrasse ancora: “No! Sono s-stanca dei tuoi soprusi, del tuo modo di fare snob, convinto che tutto ti sia dovuto solo perché il tuo cognome è Togami! Più qualcuno si mostra gentile con te, più tu lo tratti come spazzatura! Non ti fai schifo neanche un po’?!”

Da che la conosceva, quella era la prima volta che la sentiva pronunciare una frase intera quasi senza balbettare. Lui e Kyouko si scambiarono uno sguardo veloce e lei lo guardò come a volergli dire “Raccogli ciò che semini, Scion di ‘Staceppa”, nomignolo made in Oowada compreso.

 

“La tua posizione sociale non ti dà alcun diritto di giudicare noialtri, non sei migliore di noi solo perché puoi soffiarti il naso con una banconota da diecimila yen! E se tu non riesci a provare emozioni di nessun genere beh, ti assicuro che non è così per gli altri!”

 

Di nuovo gli tornò in mente la frase di Ikusaba, e maledì il suo cervello per quelle associazioni fastidiose.

Il tempismo è tutt’altro che casuale pensò, e probabilmente avrebbe continuato se non avesse visto Touko cercare di aprire il cryptex.

“Fukawa, no!”

Tentò di appropriarsene ma lei lo scansò con un movimento veloce: “Non. Provarci.”

“Fukawa, dammi quel coso” ribadì, ma la Super Scrittrice non sembrava voler sentire ragioni; Kirigiri osservava la scena in silenzio, ma la sua espressione non era neutrale come probabilmente credeva: Byakuya riusciva ad intravedere un velo di ansia in quello sguardo solitamente distaccato.

Almeno una delle due ha capito si disse, per poi tornare a concentrarsi sull’altra: non era abituato a una Fukawa così… ribelle. Era sempre stata silenziosa, remissiva, pronta ad adorarlo e accontentarlo in ogni capriccio, e mai una volta si era mostrata contrariata dai suoi insulti.

L’amore rende ciechi. Non è del tutto una baggianata, come vedi.

Byakuya non rispose, mantenendo gli occhi fissi sulle mani della ragazza e sul cryptex, ma non poté fare a meno di essere interessato a quel discorso.

Touko ha capito quanto fosse sbagliato accettare ogni tuo maltrattamento solo perché è innamorata di te, e queste sono le conseguenze. Forse, e dico forse, capirai finalmente qual è il succo della questione.

...sono io.

Bravo Byakuya-chan.

Nel momento stesso in cui lo pensò vide Touko cercare ancora una volta di aprire il cryptex, forse inserendo parole a caso, e allora agì d’istinto: “Fukawa, fermati. Ti prego.”

Sia lei sia Kyouko si voltarono a guardarlo, giustamente sorprese: Togami che prega qualcuno?

“Non provare ad aprirlo. Non posso dirti perché ma credimi se-”
“Perché dovrei? Un gesto gentile da parte tua non cancella anni di… di bullismo!”

“Lo so e hai ragione” ammise senza neanche stare a pensarci “ti ho detto cose orribili, a te e a tutti voi. E hai tutti i motivi del mondo per odiarmi adesso, non ti biasimerò per questo. Ma ti chiedo di darmi quel cryptex… non potete aprirlo né tu, né Kirigiri.”
Touko non si mosse e neppure disse nulla, ma rimase ad ascoltarlo.

“Per favore, Fuka… Touko” si corresse. “Ti prego Touko, per questa volta, solo stavolta, fidati di me.”

Ti prego.

La ragazza lo guardò sbalordita per un tempo che a lui sembrò infinitamente lungo. Finalmente si avvicinò e gli consegnò il cilindro, per poi correre al fianco di Kirigiri.

“Grazie” disse lui, un sussurro appena udibile ma che raggiunse entrambe le ragazze. Le loro espressioni erano eloquenti. Passò quindi ad esaminare il cryptex: quattro anelli con incise lettere occidentali. Una lettera sbagliata e siamo morti rifletté, e l’ironia dell’aver pensato al plurale non gli sfuggì.

Ruotò gli anelli e compose la parola mind.

Si sentì un flebile click a conferma che la parola era quella giusta: rimosse un’estremità del cilindro e ne estrasse un pezzo di carta arrotolato, che aprì.

E questa…?

“Cos’hai trovato?” chiese Kyouko, avvicinandosi a lui insieme a Touko (ancora piuttosto scossa da quanto successo prima), e senza dire nulla mostrò loro il contenuto del cryptex: una loro foto di classe risalente probabilmente alle scuole elementari.

“Siamo noi. Io, tu, lei, Naegi, Celes con quei suoi assurdi codini già così piccola, Pekoyama con la spada a tracolla…”.

Tutti e diciassette, eccetto per…

“E q-questa chi è?” chiese Touko, indicando una bambina nella foto: aveva due voluminosi codini chiari decorati con un fermaglio a forma di orso bianco e nero e un’espressione furbetta in viso.

Togami voltò la foto e ci trovò una data: Accademia Kibougamine, anno scolastico 2002/2003. Classe 78, IV elementare.

“A quanto pare” commentò Kyouko, prendendo in mano la foto “abbiamo trovato Junko Enoshima.”

“S-Stai scherzando, Kirigiri?” urlò Touko “Ma… ma è nella nostra f-foto di classe! Com’è possibile?”.

“Devo ammettere che non lo so. Ma converrete con me che viene abbastanza automatico sovrapporre alla bambina misteriosa il nome misterioso”.

“In effetti è la cosa più immediata da fare, anche se non possiamo escludere del tutto la possibilità che si tratti di due persone diverse”.

“No Togami, non possiamo. Diciamo però che fino a prova contraria abbiamo una faccia associata a quel nome”.

“Va bene ma… r-resta che era assieme a noi e… n-non so voi, ma io non ho idea di chi sia…”.

Gli sguardi corrucciati suo e di Kirigiri lasciarono intendere che lo stesso valeva per loro.

Per ora non ci voglio pensare. Ho altre preoccupazioni.

Quali? L’esserti comportato da essere umano per una volta in vita tua? Catastrofista.

Ma taci.

Si lasciò scappare un risolino mentale nel constatare che ormai pareva aver accettato come normale questo suo parlare a se stesso.

Ma sì, tanto. Fra i soliloqui schizoidi e l’aver chiesto qualcosa per favore…

“Ok gente, enigma risolto. Potete sloggiare”. Zero di solito non era così spiccio negli annunci, anzi. Strano.

Uscirono, con il Super Erede a chiedersi se poteva ancora permettersi il nome “Byakuya Togami”.

 

*

 

Aoi Asahina si stava pentendo di quanto le era appena uscito dalla bocca.

Nell’attesa del ritorno dei tre dentro la porta numerata, i restanti sei si erano lanciati nell’ispezioni delle stanze non chiuse da una combinazione particolare.

Era stato quando Mukuro aveva trovato, in uno schedario di quello che a tutti gli effetti appariva uno studio medico (tipico studio da dottore di famiglia: la scrivania in mogano, il lettino, librerie stracolme di tomi, alcune cartelle cliniche).

Stavano consultando i vari fascicoli quando…

“Aoi?” sentì alle sue spalle. Voltandosi vide la figura dell’amata Sakura.

“Che c’è?”. Tentò di suonare tranquilla, come se non ci fosse una figurata incudine ad allontanarle l’una dall’altra. Era dura.

“Posso parlarti?”.

“...sì”.

Ecco di cosa si stava pentendo, di quella risposta affermativa.

Le due si staccarono dal resto del gruppo, dietro assicurazione che sarebbe stata una cosa veloce. Sì certo, se aveva intuito l’argomento -come se fosse difficile, eh- sarebbe stato lungo e probabilmente doloroso.

“Allora Sakura, cosa vuoi? Anche se posso immaginarlo…”.

“Ho riflettuto su quanto mi hai detto quando eravamo con Ikusaba. Quanto sei stata costretta a dire”.

No, ma davvero l’avevo capito sin da subito? Cazzarola, mi posso concedere una ciambella come premio per l’arguzia.

“...”.

“...”.

“Argomento spinoso, eh?”.

“Più per te che per me, mia piccola Aoi”.

“Sakura, ti avevo chiesto…”.

“So cosa mi avevi chiesto. E mi spiace di non riuscirci, ma è troppo naturale per me chiamarti in questo modo”.

“...”.

“...”.

Imbarazzo, per la prima volta da quando si conoscevano c’era imbarazzo fra di loro. Di solito si dice che le novità siano eccitanti, e in condizioni normali Aoi sarebbe stata d’accordo. Quella era l’eccezione.

“Avanti, dillo” tentò di tagliarla corta “dimmi che mi rifiuti e finiamola qui”.

“C-Cosa?”.

“La tua risposta è quella, l’ho capito. Risparmiami la compassione e le parole dolci, mi feriscono solo di più”.

“Aoi…”.

“Davvero, lo comprendo. Non è possibile che tu possa ricambiarmi come vorrei”.

“Per favore, lasciami…”.

“L’avrei dovuto sapere sin da subito. Sono solo una ragazzina illusa e innamorata”.

“Smettila, te ne prego!”.

La forza messa in queste parole fecero cessare il suo delirio.

“Sakura?”.

“Aoi, stammi a sentire un attimo” le disse prendendola per le spalle “Sei fuori strada. Io non ti rifiuto, non lo posso fare e non lo potrei fare mai. Sei la mia migliore amica e una delle persone più preziose della mia vita. Questo, a prescindere da tutto, è un punto fermo. Avrai sempre un posto al mio fianco”.

“In che veste? Amica? Amante? Animaletto da compagnia?”.

Un sospiro da parte di entrambe.

“Sono addolorata nel doverti dire” riprese la Super Artista Marziale “che al momento non sono in grado di risponderti in maniera netta. Cerca di capire, quanto hai detto di fronte a quella cassaforte mi è scoppiato fra le mani come una bomba. A ciò aggiungici il posto dove ci troviamo, le ripetute minacce di morte e torture indicibili…”.

In effetti, si disse Asahina, l’atmosfera non era delle più consone per un ragionamento in merito a una faccenda tanto delicata. Questo glielo concedeva.

“Non… non so cosa sei per me, non dopo che ti sei dichiarata. Ho provato a fare ordine nei miei pensieri, ma l’adrenalina e la paura hanno interferito a più riprese. Inoltre c’è Kenichiro…”.

Kenichiro, già. Sapeva bene cosa quel nome rappresentasse per Sakura: la sua prima cotta. Stando a come gliel’aveva raccontata era stata vissuta in modo piuttosto platonico da parte di lei, senza nessun passo deciso. Ma conosceva il valore che aveva rivestito nella vita dell’altra ragazza.

“Sei… sei ancora innamorata di lui?”.

“Forse sì. O forse no. Santi kami, ho una tale confusione per la testa...”.

“E… e quindi?”.

“Quindi… quindi… quindi non lo so. Non lo so proprio. In questo momento al centro del mio petto c’è un fitto groviglio di emozioni, stati d’animo e preoccupazioni talmente stretto da non permettermi neppure di capire da cosa è davvero composto. L’unica cosa che posso prometterti è che, una volta fuori di qui, potremo parlarne con più serenità e che proverò con tutto l’impegno di cui sono capace a trovare una risposta univoca, chiara. Se posso permettermi di avanzare una pretesa: ti chiedo solennemente di non dubitare di me e della mia buona fede, quella da parte mia non mancherà mai. So che l’unica cosa in grado di darti soddisfazione sarebbe stata me che ti bacio con passione, e che qualunque altra risposta rischia di farti del male. Purtroppo non ho il coraggio e la malizia necessarie per non parlarti sinceramente, anche perché non mi permetterei di mancarti di rispetto in questa maniera orrida. Sei troppo preziosa per prenderti in giro dicendo qualcosa che non provo davvero”.

Era onesta. Limpida.

Non stava mentendo.

E nei suoi occhi Asahina vide il rimpianto. Vide la tristezza che le suscitava il non riuscire a dirle “Ti amo”.

Una parte di lei fu mossa a commozione.

“Io… io… apprezzo lo sforzo, Sakura. Hai ragione, fa male. Ma qualsiasi cosa tu mi avessi detto adesso, a parte infilarmi in bocca tre metri di lingua, mi avrebbe fatto lo stesso effetto. Se proprio devi causarmi dolore va bene se lo fai con queste intenzioni, che capisco essere pure. Inoltre non mi hai derisa, non mi hai dato dell’anormale, non mi hai scacciata. È molto. Anche considerando lo stile di vita con cui sei stata cresciuta, sempre improntato al tradizionalismo e poco aperto verso… deviazioni dalla norma come può esserlo la mia”.

“Mi dispiace… mi dispiace…”.

“Non dispiacertene. Come mi è stato detto da qualcuno più saggio di quanto appare, posso dare praticamente per scontato l’affetto che provi per me… e non tutti, nella mia situazione, potrebbero dire lo stesso. E poi, tutto sommato, per cose del genere non si muore”.

E proprio su queste ultime parole, pronunciate con un sorriso tirato ma relativamente largo, fecero la loro comparsa Togami, Fukawa e Kirigiri.

Uh? Perché lui ha quella faccia… così non da lui?

“Oh, eccoli finalmente” esclamò Ishimaru col tono di chi li aspettava con ansia “Ora che ci siamo tutti io e Oowada-kun vi dobbiamo parlare”.

“Il discorso lo proseguiamo fuori di qua, ok?” sussurrò Aoi in direzione di Sakura, che acconsentì con un cenno della testa e uno sguardo decisamente più rilassato.

Tornarono nei ranghi proprio mentre il Prefetto si schiariva la voce: “Allora, di comune accordo avremmo un annuncio da fare”.

“Sarebbe? Cos’è, vi volete mettere assieme?”

Aoi fece una smorfia su questa battuta di Mukuro, salvo ridere quando Mondo cominciò a muoversi come una sgraziata drag queen mentre cercava di abbracciare Ishimaru con sin troppo ardore. Non mancò di notare un paio di suoi sguardi rivolti verso di lei e lo ringraziò per il pensiero carino.

“E stammi lontano, ti voglio bene ma non così tanto! No, non è una stupidaggine del genere. Nel caso non ne foste a conoscenza, alcune delle prove di Zero non erano indovinelli o trucchi strani, bensì dei… test psicologici. Pesanti.  Asahina-san, se volessi raccontare il tuo…”.

È arrivato il momento di declamarlo in pubblica piazza? Oh beh, a ben guardare la metà lo sa già.

Tutti gli occhi si girarono nella sua direzione. Al contrario delle sue stesse aspettative era calma.

“Io amo Sakura”.

Le reazioni del pubblico, più o meno accalorate, vennero sovrastate sempre da Ishimaru: “La questione di Kirigiri-san è già nota a tutti. Oowada-kun, vuoi…”.

E quello cominciò a spiegare la storiaccia brutta con protagonista Daiya.

“Oh santo cielo, che dramma!”.

“Povero Oowada. dev’essere stata durissima…”.

No, non posso sentirmi invidiosa perché lo compatiscono più di me. Smettila Aoi, smettila. E comunque il suo trauma è molto peggiore del mio.

“Poi ci sono io”.

Narrò la storia di suo nonno Toranosuke e di come aveva infangato il buon nome degli Ishimaru.

“Bene. Queste sono le situazioni già emerse. Il nostro pensiero era: perché dare modo a Zero di tenerci in pugno svelando i nostri segreti quando e come preferisce, mentre potremmo invece confessarceli tra di noi adesso? Ve la sentite?”.

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Capitolo 9
*** Avanti, tutti seduti attorno al fuoco a raccontare storie dell'orrore ***


“Perché dare modo a Zero di tenerci in pugno svelando i nostri segreti quando e come preferisce, mentre potremmo invece confessarceli tra di noi adesso? Ve la sentite?”.

La proposta di Ishimaru, per quanto sensata, lasciò Makoto interdetto.

Non è che non volesse svelare i propri segreti… ma davvero non ne aveva. E di sicuro non poteva inventarsene uno di sana pianta solo per farli contenti.

“Chi vuole cominciare?” chiese Ishimaru, e dopo qualche tentennamento fu Sakura a farsi avanti. Makoto era incredulo, non pensava che una persona così buona e integerrima come lei potesse avere dei segreti.

È molto difficile per me parlarvene, è qualcosa di cui davvero non vado fiera” inspirò, “qualche mese fa giravano delle voci… voci orribili su Aoi” spiegò, mentre quest’ultima la guardava perplessa; forse non ne era al corrente, pensò Makoto. Sakura la guardò dispiaciuta e proseguì: “Vedi, c’erano degli studenti che avevano messo in giro voci sul tuo conto, dicendo che tu eri…” distolse lo sguardo, costringendosi a finire la frase “che tu eri una facile.”
“Oh… oh. Non lo sapevo…” replicò Aoi, abbassando lo sguardo, ma Sakura si affrettò ad aggiungere: “Perché ci ho pensato io.”

Tutti la guardarono inquieti. “Ci hai pensato… in che senso?” chiese Ishimaru, e lei arrossì: “Sono venuta meno al mio codice d’onore.”
“Sakura-chan, non li avrai…” balbettò Aoi.

“Le avevano ripetute davanti a me. Finché sono insulti ai miei danni poco m’importa, ma sentire che davano della… poco di buono a te” sospirò. “Ho perso le staffe. Uno è finito in ospedale. È una cosa di cui mi vergogno terribilmente.”
Il resto della classe era incredulo. “Ma scusa, Oogami-san, una cosa del genere si sarebbe dovuta sapere!” intervenne Makoto, e lei distolse di nuovo lo sguardo: “E invece non lo sa nessuno. Gli amici del ragazzo che ho picchiato erano talmente terrorizzati che promisero di non dire niente purché non facessi loro del male. Sulle prime volevo confessare tutto al preside ma” sospirò “ci tenevo a rimanere alla Kibougamine. Inoltre avrebbe rovinato la reputazione del mio dojo e… non lo avrei sopportato, sarebbe stata una vergogna troppo pesante con cui convivere. Così sono rimasta in silenzio.”
“Oh, Sakura-chan” piagnucolò Aoi, abbracciandola. Makoto, così come tutti gli altri, era senza parole: per tutti Sakura Oogami era una sorta di gigante buono che non avrebbe mai torto un capello a nessuno, pur avendone le capacità. Per spingerla a reagire in maniera così violenta dovevano esserci davvero andati pesanti con gli insulti su Asahina, pensò.

“Wow, questo non me l’aspettavo proprio” commentò Ishimaru. “Ok, chi vuole proseguire? Tu, Naegi?”

“Ecco…”

“Avanti, hanno accettato tutti!” insistette il Prefetto, “Preferisci lo riveli Zero per te?”
“N-Non è questo il punto!”
“Avanti Naegi-kun, sii uomo!” lo incitò Oowada con una pacca sulla spalla (che quasi gliela distrusse).

“I-Il fatto è che… non ho segreti.”

Tutta la classe lo guardò in silenzio, forse chiedendosi se dicesse il vero oppure no. Aoi gli sorrise: “Non essere timido, Naegi-kun! Come vedi siamo sopravvissuti tutti alle nostre rivelazioni! Coraggio!”

“Dico sul serio” piagnucolò lui “non ho alcun segreto! La cosa peggiore che ho fatto nella mia vita è stata rubare delle caramelle con mia sorella quando eravamo bambini. O la cartella di foto di Maizono-san nascosta nel pc” aggiunse a bassa voce, ma dal sorrisone di Oowada capì che lui invece aveva sentito. Sono finito pensò, immaginando già le battute che il Biker gli avrebbe fatto, ma prima che potesse aprire bocca proseguì: “Davvero, non ho segreti. Sono una persona normale, normalissima, banale! Così banale che ancora mi chiedo perché sono stato scelto per entrare alla Kibougamine…”

“Ma stai scherzando?”.

“No. Scusatemi se ho avuto una vita piatta come una tavola da surf!” sbottò, inusualmente alterato.

Gli altri lo guardarono come si potrebbe guardare un alieno verde con sei braccia che ti sbarca davanti casa.

Lui stesso si accorse di essersi lasciato andare un po’ troppo: “Perdonatemi, non dovevo alzare la voce. È che davvero, non ho nulla da confessare. Nulla di brutto come le cose che avete detto voi”.

“Io gli credo” disse Mukuro “non penso che Naegi avrebbe motivo di mentire. E nel caso ci penserà Zero a estirpargli la verità dalla gola. Quindi, se ci stai dicendo una bugia, probabilmente ne pagherai le conseguenze sulla tua pelle”.

E-Ehi, non serve essere così tetra.

Un cenno d’assenso da parte di Kirigiri, e poi via via di tutti gli altri, chiuse la questione.

“Dunque” riprese Ishimaru “adesso chi…”.

“Faccio io”.

Tutti si voltarono verso il proprietario della voce.

Byakuya Togami.

Ci fu un’ondata di stupore. Era fuori da ogni logica quanto stava accadendo di fronte ai loro sbigottiti occhi.

“To-Togami?”.

“Stiamo facendo il giro dei momenti vergognosi, giusto? Per quanto mi piaccia pensare di non esserne parte in causa, so bene che Zero non mi risparmierà. La tua idea, Ishimaru, non è malvagia e merita soddisfazione”.

“Sai Togami” lo interruppe Kirigiri “se non avessi visto e sentito quanto è successo dietro la porta 7, adesso ti starei provando la febbre”.

Eh? Cosa ci siamo persi là dentro?

Ora che Makoto ci faceva caso Touko non sembrava più evitarlo come la peste, com’era invece successo più di una volta prima che entrassero. Gli era di nuovo accanto e pareva… non riusciva a capire bene, ma non vedeva quasi più traccia del disprezzo e del rifiuto che gli aveva vomitato addosso in un paio d’occasioni precedenti.

Il Super Erede ignorò la Detective, pur concedendosi un ghigno… divertito? No davvero, cosa stava succedendo? Chi aveva invertito la gravità della Terra?

“Bene. Fra tutti voi solo una persona dovrebbe esserne a conoscenza. Dovete sapere che il titolo di cui mi fregio non è piovuto dal cielo per magia. Non sono il classico, viziato figlio di papà. O meglio, non lo ero da solo. Perché c’è questa usanza nella famiglia Togami, la corsa al ruolo di erede”.

“Corsa… al ruolo di erede?”.

“Esatto. Corsa al ruolo di erede. Mio padre ha avuto oltre a me altri quattordici figli, tutti da donne diverse. Sin da quando esiste, la Zaibatsu si è retta sul concetto di sopravvivenza del più forte. E quando, come nel mio caso, il patriarca ha più potenziali successori si imbastisce questa gara. I candidati devono superarsi a vicenda, in maniere che non è opportuno perdere tempo a spiegarvi, e stabilire il proprio predominio su fratellastri e sorellastre”.

Ci volle un attimo perché il gruppo assimilasse la notizia.

“Il tuo segreto… è questo?” chiese Mondo, facendosi involontario portavoce del dubbio comune.

“In parte. Ciò, di per sé, non è causa di nessun patema. È solo la way of life dei Togami. La parte scabrosa viene adesso. Per quanto lo possiate trovare assurdo, e posso capirne il motivo, non è stato tutto rose e fiori per me”.

“Non avrai mica… ucciso qualcuno dei tuoi fratelli?” azzardò Asahina, piuttosto spaventata all’idea.

“No, non fisicamente. Da un certo punto di vista si può però dire che abbia causato il loro annullamento. Nel senso che chi perdeva smetteva di avere un nome, un motivo di esistere, tutto. Si diventava delle nullità complete”.

“È… è terribile!”.

“Non poi così tanto. Ma non è questo”.

“Cosa? C’è dell’altro?”.

“Sì. Voi probabilmente vi immaginerete me che do fuoco con estremo godimento a tutti loro, ridendo sguaiatamente. Non è andata così. Io… ho sofferto, in special modo con Shinobu”.

Aspetta aspetta aspetta aspetta aspetta. Byakuya Togami… ha… sofferto?

No ok, erano in una candid camera. Non c’era altra spiegazione plausibile.

Alcuni, nella fattispecie Mondo e Mukuro, fecero anche il gesto di pulirsi l’orecchio con le dita perché parevano convinti di aver sentito male.

“Potete anche smetterla di fare i buffoni, avete capito benissimo. Shinobu… Shinobu non si meritava l’oblio. Era una ragazza… una bella persona. Mi è costato prevaricarla e ricordo come fosse ieri il suo sorriso triste mentre abbandonava villa Togami, ormai equiparata a un cane randagio, e mi augurava di non perdere mai il mio di sorriso. Non mi portava rancore nonostante l’avessi appena condannata al vuoto definitivo. Quella sera… è stata la volta in cui sono andato più vicino a piangere in vita mia. Capirete perché non vado in giro a raccontarlo ai quattro venti”.

E l’impossibile accadde: gli occhi di Togami erano lucidi.

“Sai, direi che oggi stai cercando di eguagliare quella sera” chiosò Kirigiri, ma in tono comprensivo. Non lo stava prendendo in giro, almeno a giudizio di Makoto, stava… cercando di consolarlo?

Porca miseria, perché il vederla affettuosa con un altro mi fa star male?

E sul serio, voglio il nome del baccello alieno che lo sta possedendo. Devo sapere chi ringraziare.

La maggioranza decise di non metterci il becco, forse troppo sconvolta dallo spettacolo.

“È il mio turno” disse poi Ikusaba.

“Se te la senti…”.

“Me la sento Ishimaru, me la sento. E poi, come ho fatto presente a Naegi, se non lo dico ora ci penserà Zero per me. Via il dente via il dolore, no?”.

“È il motivo per cui abbiamo deciso di agire così”.

“Approvo. Ebbene, sono costernata nel dover ammettere che abbiamo un bis: anch’io ho perso un fratello… una sorella, anzi. È successo quando eravamo piccole”.

Se la cosa non fosse stata tragica Makoto si sarebbe aspettato una polemica da parte di Oowada che la accusava di plagiarlo. E invece, contro le sue previsioni, il Motociclista rimase zitto.

“Solo che, a differenza del nostro amico con la pettinatura discreta, l’unica cosa che mi rimprovero è il non essere riuscita a salvarle la vita”.

Gli astanti si fecero silenziosi, probabilmente per consentirle di andare avanti. Ma lei non pareva intenzionata a farlo.

“Tutto… tutto qui?”.

“Tutto qui, Ishimaru. Non ho altro da aggiungere”.

“Ma…”.

“Ma cosa? Il mio segreto più oscuro era questo. Devo obbligatoriamente scoppiare a piangere e inscenare una tragedia in grande stile?”.

“Beh, no. Però…”.

“Mi concederò il mio momento di sfogo in privato, se non vi è di disturbo”.

“Richiesta legittima. Va bene, ora dovrebbe stare a Fukawa-san. Sei dei nostri?”.

 

*

 

“Sei dei nostri?”

Touko tremò appena, ma non cedette. Sapeva che sarebbe toccato anche a lei prima o poi, anche se la cosa non la entusiasmava per nulla. Ma meglio che lo faccia io piuttosto che Zero ricordò a se stessa, soprattutto per poter decidere cosa e come dirlo.

Inspirò.

“E-Ecco… la mia infanzia è stata t-terribile” balbettò. “Ho due madri, perché m-mio padre le aveva ingravidate entrambe, ma alla mia nascita morì un altro neonato nel reparto maternità e” inspirò ancora “ed entrambe le mie madri decisero di non fare l’esame del DNA per capire di chi fosse il bambino. Poi scoprirono di avere entrambe una relazione con mio padre… e da allora viviamo tutti assieme.”

Gli altri la guardarono allibiti. Touko non fece una piega, la loro reazione era più che normale rispetto a quella che sembrava la trama di un pessimo romanzetto rosa.

“F-Fukawa-san, è…”

“È una cosa così assurda!”

Annuì, poi proseguì: “Una d-delle mie madri era… era molto severa” disse, impiegando qualche istante nella scelta della parola giusta “e una volta mi ha rinchiusa per tre giorni nell’armadio, senza cibo né acqua.”

Il resto della classe era sconvolto.

“Ma questo è orribile! Quale madre farebbe una cosa del genere?” ringhiò Asahina, supportata da Oogami: “Quella che tu chiami severità io la definirei crudeltà, Fukawa. Persino follia.”

Naegi le rivolse uno sguardo che quasi la fece scoppiare in lacrime: “Allora è per questo che hai paura del buio?”

Lei si limitò ad annuire, con un mezzo sorriso piuttosto amaro; lanciò una breve occhiata a Togami e notò con piacere che il ragazzo aveva distolto lo sguardo, forse sentendosi a disagio per la prima volta in vita sua. Touko lo considerò un piccolo punto a suo favore.

“D-Devo continuare?” chiese, e Ishimaru la guardò esterrefatto: “C-C'è dell’altro?”
“Beh… quand’ero piccola c’era un bambino che mi piaceva. Lo consideravo un a-amico. Un giorno scoprii c-che stava per cambiare città, c-così gli scrissi una… lettera d’amore” arrossì, e subito Aoi sorrise: “Ooooh, che cosa carina!”

“N-Non molto… non dopo che la trovai appesa alla bacheca della scuola.”

“...oh.”

“Allora era tua?” chiese Makoto. “Ricordavo una cosa del genere risalente alle elementari… che cosa crudele!”
“Mi c-capita sempre. Durante gli anni delle medie un ragazzo m-mi chiese di uscire con lui. I-io ero” indugiò un attimo “ero… al settimo cielo. C-ci misi tre giorni per preparare quell’appuntamento, ma lui non si presentò.”

“Coooosa? Ma che cafone!” inveì ancora Asahina, seguita a ruota da buona parte della classe.

“Un vero uomo non si comporta così!” ringhiò Oowada, e Ishimaru annuì.

Touko fece spallucce: “Poi fu lui stesso a d-dirmi che se mi aveva chiesto di uscire era stato solo perché aveva p-perso una scommessa, e che non avrebbe mai potuto piacergli una… una come me.”

Nessuno commentò, ma si limitarono a guardarla come se fossero tutti sul punto di commuoversi; persino Togami aveva un’espressione che, se Touko non fosse stata presente nella stanza 7, avrebbe attribuito solo a una gastrite. Sembrava che il rimorso se lo stesse divorando lentamente dall’interno.

“E q-questo è tutto” concluse, sospirando pesantemente. Dovrebbe bastare si disse, e per qualche istante sembrò che le cose dovessero andare così.

“Che bel discorso toccante, Fukawa. Davvero, sei la degna erede giapponese di Oliver Twist.”

La voce di Zero arrivò forte dagli altoparlanti e ne fece il suo bersaglio, prendendola in giro come quasi tutti avevano fatto in tanti anni. Tenne duro, augurandosi che si limitasse solo a quello.

“Ma non ti sembra di aver tralasciato qualcosa, cara?”

Il battito le accelerò di colpo.

Ti prego, ti prego, no…

“Un piccolo, insignificante dettaglio di nome Genocider Syo?”

Per un attimo sperò di aver sentito male, che la paranoia le stesse tirando un brutto scherzo, ma Zero invece proseguì: “Non vuoi dire ai tuoi amici di come nel tempo libero vai in giro a uccidere bei ragazzi, come il bambino che ti piaceva ma ti ha sbugiardata rendendo pubblica la tua letterina d’amore?”

“C-Che cosa diamine stai farneticando?” ringhiò Oowada, e Makoto subito dietro: “Tutto questo non è vero! Diglielo, Fukawa-san! Digli che si sbaglia!”

L’unica cosa che Touko riuscì a fare fu urlare e scappare via verso le scale.

 

*

 

Kyouko Kirigiri, così come tutti i suoi compagni di classe, aveva appena ricevuto un pugno in faccia.

Secondo Zero, Touko Fukawa -la timidissima, balbettante Touko Fukawa- era il famigerato serial killer Genocider Syo.

Era pur vero che, in qualità di loro carceriere e certificato pazzo psicopatico, non era assodato credere che stesse dicendo la verità. Ma la reazione della ragazza lasciava poco adito a dubbi.

Se fosse stata una bugia avrebbe probabilmente colto al volo l’assist di Naegi, il quale l’aveva spinta a negare. E invece era fuggita a gambe levate.

Eppure qualcosa non le tornava. Conosceva Genocider e la sua carriera da macellaio, non nei minimi dettagli ma a sufficienza da considerare l’eventualità come poco credibile.

Ma di nuovo, se era innocente perché scappare in quel modo? Faceva molto topo caduto in gabbia.

Mentre lei era impegnata in questi ragionamenti, il resto dei presenti si dava alle più variopinte manifestazioni di panico: chi si mordeva le dita (Asahina); chi sbatteva fortissimo i piedi sul pavimento urlando che era tutta una grossa stronzata (Oowada); chi tentava di restare calmo ma si notava che se la stava facendo discretamente addosso (Ikusaba).

Insomma, un bel casino.

Persino Oogami tradì qualche segno di irrequietezza. Solo Naegi, pur evidentemente toccato dall’annuncio, sembrava mantenere un certo contegno. Oh, e Togami… il che in realtà, dopo gli sviluppi della porta 7, non era poi così scontato.

“Gente” cercò di imporsi “mantenete la calma, per favore! Lasciarsi andare all’isteria non ci serve a nulla!”.

“Kirigiri-san” saltò su Naegi “cerca di riportare l’ordine. Io mi occupo di Fukawa-san”. Poi corse via senza neanche darle il tempo di contestare.

Comoda la vita, eh? A me un branco di adolescenti fuori di testa, a te solo una presunta assassina. Pffff.

“Ok, tempo di mettere a cuccia gli agnellini”.

L’opera di convincimento fu lunga e perigliosa. Aveva avuto compiti più semplici, tipo inseguire un sospetto in mezzo al traffico dell’ora di punta.

“Anf anf anf… mi dovevate proprio far sudare quattordici camicie?”.

“S-Scusa, Kirigiri-san… è che eravamo… spaventati…”.

“Capisco il motivo, Asahina, ma le vostre reazioni sono state esagerate”.

“Esagerate? Secondo te è esagerato farsi prendere dalla paura quando scopri che una delle persone che frequenti giornalmente… è una cazzo di serial killer?”.

“Oowada, per favore. Non siamo neanche del tutto certi che sia vero. L’informazione viene da Zero, che per come si è comportato finora non si merita tutta questa fiducia”.

“Per me non mente” disse Togami.

“Perché?”.

“Sensazione a pelle. E oltre a questo me lo fa pensare la sua fuga”.

“Su questo mi tocca darti ragione, non gioca di certo a suo favore. Ma considera anche il suo stato psicologico”.

“Era… penso di poter dire che fosse spaventata. Reazione comprensibile e giustificata”.

“Devo ancora rendermi conto appieno del fatto che tu sia davvero Byakuya Togami e non un impostore, magari grasso e vestito di bianco”.

“Feh. Comunque, che sia vero o no, vi pregherei di non saltare tutti addosso a lei quando tornerà assieme a Naegi”.

“In che senso, Scion di ‘Staceppa?”.

“Ho come la sensazione che, una volta che ce l’avrete davanti, i più focosi cercheranno di metterle le mani addosso. Per legarla o per pura precauzione. Vi devo chiedere di non farlo”.

“E perché non dovremmo? Al primo passo falso quella è capace di cavarci il pancreas!”.

“Quanto ha detto Kirigiri sull’autorevolezza di Zero è indubbiamente valido. Ma se anche venisse confermata la sua identità come Genocider Syo… quella ragazza si merita un po’ di pace. D’altronde l’avete vista, no? Non può realmente essere un’assassina seriale, non ne è capace. Inoltre so per certo che ha paura del sangue e sviene quando lo vede. Esperienza diretta”.

Qualcuno qui ha da scontare parecchi sensi di colpa. Così impari a comportarti come una principessina mestruata.

La rivelazione contribuì a placare un po’ gli animi. Quale ridicolo omicida ha paura del sangue?

“Mi spiace dover fare l’avvocato del diavolo” si intromise Sakura “ma vorrei essere sicura oltre ogni ragionevole dubbio che non ci possa far del male”.

“Non a te direttamente, Ogre”.

“Non sei gentile, Oowada. E comunque Genocider ha come obiettivi solo i bei ragazzi, quindi tu sei tranquillo”.

“Tu come lo sai? E poi… ouch, che cattiveria che mi hai detto”.

“Il dojo sarà antico, ma i giornali ci arrivano comunque e io ho imparato a leggere. Per quanto riguarda la cattiveria: ti ho solo restituito il piacere”.

“Più seriamente. Cosa intendi, Oogami?” chiese Togami, cercando di riportare la conversazione su binari più consoni.

“Pensavo… non so, ad assicurarci che non abbia su di sé delle armi. Una perquisizione da cima a fondo. E poi… magari, quando ci separiamo per l’esplorazione, prestare maggiore attenzione all’eventuale presenza di lame, vetri, qualunque cosa possa essere usata in maniera violenta. Che dite?”.

“È una precauzione saggia secondo me” concordò Ishimaru, venendo presto imitato dagli altri.

“Avrei preferito evitare ma… ha senso. Non ho nulla da ridire” commentò ancora Togami.

“Sì, ha senso anche per me. Approvo” chiuse Kyouko. Non era proprio entusiasta di fronte alla prospettiva, ma correvano seriamente il rischio che quanto era stato detto su Fukawa e Genocider fosse vero. A quel punto sarebbe stato proprio da sventati senza il minimo spirito di autoconservazione non prendere almeno qualche misura cautelativa.

“Va bene. Ora dobbiamo solo aspettare il ritorno di Naegi”.

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Capitolo 10
*** Teorie bizzarre e speculazioni spericolate ***


Quando la trovò era seduta in fondo alle scale, al piano terra.

Makoto raccolse tutto il coraggio che aveva e le si avvicinò: “Fukawa-san?”

Se lei l’aveva sentito non lo diede a vedere. Continuò a singhiozzare dandogli le spalle.

“Fukawa-san, ascoltami” ripeté, superandola e piazzandosi davanti a lei. Era un bel rischio se Zero aveva ragione, ma non importava: in quel momento Fukawa aveva bisogno di qualcuno che le desse fiducia.

“Perché sei scappata così?” chiese. “Ora tutti crederanno alle baggianate di Zero e-”
“N-Non sono baggianate.”

“Come…?”
“NON SONO BAGGIANATE!” urlò lei, disperandosi e tirandosi le trecce. “M-Mi dispiace, mi dispiace, MI DISPIACE! I-Io non ho mai voluto fare del male a nessuno, davvero, ma lei mi obbliga! Mi obbliga a farlo, io non voglio ma non ho altra scelta!”
“C-che vuol dire che sei obbligata? Chi è lei?”

Touko alzò il viso bagnato di lacrime verso Makoto: “G-Genocider…”
“M-Ma Genocider sei… sei tu?” balbettò, temendo di scatenare la sua apparente furia omicida, ma lei si limitò a scuotere la testa: “S-Sì e no… s-soffro di p-personalità multipla” disse, tirando su col naso “c-credo che sia nato tutto dai m-maltrattamenti delle mie madri… poco dopo ho c-cominciato ad avere dei blackout, avevo b-buchi di ore in cui non ricordavo n-niente. E p-poi… poi ha cominciato a comunicare con me.”

“Comunicare? Come?”
“C-Con dei bigliettini… all’inizio non v-volevo crederci, pensavo f-fosse qualche altro scherzo crudele fatto da r-ragazzi delle altre classi, invece…” sospirò, lasciando intendere che quell’incubo era più che reale. “E p-poi c’è questo” disse, e si alzò facendo una cosa che prese Makoto di sprovvista: si tirò su la gonna.

“F-Fukawa-san, c-cosa stai…!” balbettò cercando di coprirsi gli occhi, ma le parole gli morirono in gola quando vide ciò che lei voleva mostrargli: sulla sua coscia, all’altezza delle mutandine, c’erano dei kanji.

“S-Sono i nomi delle sue vittime” spiegò Touko, “ogni volta che uccide un ragazzo i-incide il suo nome sulla mia gamba… con una delle sue forbici.”
A Makoto mancò la terra sotto i piedi: tutto ciò era orribile, e quasi sperò si trattasse di un’altra atroce trovata di Zero… ma lei era ancora lì davanti a lui, la gonna alzata e i nomi ben visibili.

“F-Fukawa-san… io non so cosa dire.”

La vide chiudere gli occhi, forse temendo che l’avrebbe maltrattata come praticamente chiunque aveva fatto prima di allora.

“Mi dispiace che tu abbia sofferto così tanto. Nessuno se lo merita, nemmeno tu!”

Lei lo guardò sconvolta e a Makoto si strinse il cuore: le reazioni di Touko erano dolorose da vedere, era evidente che non era abituata ad essere trattata da essere umano.

E la bellissima idea di Zero l’ha gettata di nuovo nel terrore.

“Fukawa-san” disse, prendendole le mani “io ti credo. So che non saresti mai capace di fare qualcosa del genere di tua volontà, ti ho vista tremare per colpa della scala buia, ho parlato con te. Sono certo che tu non sia cattiva e ti prometto che convincerò tutti gli altri.”

Lei deglutì: “D-Davvero?”
“Davvero. Non sei sola, Touko.”

Lei gli strinse le mani e pianse di nuovo, e Makoto si augurò che avesse riacquistato un po’ di fiducia nei suoi confronti.

“N-Naegi-kun?”
“Sì?”

“P-Possiamo restare qui un altro po’? V-Vorrei riuscire a calmarmi prima… prima di affrontarli tutti.”

Makoto le sorrise: “Certo che sì.”

 

*

 

“Ma quanto ci stanno mettendo?”
“Secondo voi Naegi-kun è ancora vivo?”
“Nel peggiore dei casi avremmo dovuto sentire le urla.”
“Grazie del dettaglio splatter, Ikusaba. Ce la fate a rimanere seri e soprattutto a non giocare a chi punta il dito contro Fukawa più in fretta?”

Il rimarco di Kirigiri bastò a zittire tutti, e lei sbuffò. Lanciò una rapida occhiata verso la porta.

Però dove diavolo sei, Naegi-kun? Vuoi darla vinta a tutti?

Quando lo vide riapparire dalle scale si trovò a tirare un inaspettato sospiro di sollievo.

Gli si accalcarono tutti attorno ma lui fece cenno di stare buoni per un attimo: “Allora, da dove comincio… ho parlato un po’ con Fukawa-san.”
“E…?”
“E purtroppo quanto ha detto Zero è vero. Ma!” urlò, cercando di sovrastare la marea di “Io lo dicevo!” del resto della classe, e Kyouko gli diede una mano: “Ragazzi, fate silenzio! Lasciatelo continuare” disse, e gli fece un cenno d’assenso con la testa. Lui ringraziò e prosegui: “Dicevo… Zero ha detto la verità, ma ha omesso un particolare: Fukawa-san soffre di personalità multipla a causa degli abusi subiti da piccola. Non può controllare ciò che Genocider fa quando… quando è sveglia” disse, non del tutto sicuro dei termini da usare “ma mi ha spiegato che salta fuori solo quando vede sangue o starnutisce.”
“Quindi… se non la mettiamo a contatto con sangue o polvere o altre sostanze che possano causarle uno starnuto dovremmo essere al sicuro?” chiese Togami, e Makoto annuì: “Sì. Lei stessa mi ha detto che qui finora non ha mai sentito il bisogno di starnutire, per cui almeno da questo punto di vista il problema non si pone. Non dovrebbe, almeno. Per quanto riguarda il sangue, beh… speriamo che non debba vederne nemmeno una goccia.”

Kyouko sembrò soddisfatta dalla risposta, e ad una rapida occhiata anche il resto della classe sembrava più convinto. Naegi rincarò la dose: “Davvero ragazzi, ho parlato parecchio con Fukawa-san da quando siamo chiusi qui e sono sicuro che non farebbe del male a una mosca di sua spontanea volontà. Lei è… terrorizzata. E urlarle contro come è successo prima di sicuro non la aiuta.”

Anche in quel caso la classe convenne che il discorso di Naegi aveva senso, e alla fine Kyouko chiese: “Ma dov’è lei, adesso?”

“Eh? Oh! Fukawa-san” disse Makoto, voltandosi verso l’entrata “vieni avanti dai, non succede nulla.”
Poco dopo Touko fece capolino da dietro la porta, apparentemente ancora agitata, ma sembrò convincersi quando Naegi le tese la mano.

A quanto pare riesci a compiere veri miracoli, Naegi-kun.

A prescindere da tutto il resto, era una scena deliziosa vederli camminare mano nella mano. Significava che lei, pur con tutte le sue paturnie e i traumi e quant’altro, pareva fidarsi abbastanza di lui. Era una cosa importante… e bella.

“Come va, Fukawa-san? Un po’ meglio?” le chiese per tastare il terreno.

“...i-insomma… ma Naegi-kun… mi a-aiuta molto…”.

“Non faccio nulla di che, su”.

“Non è vero, Naegi-kun. Sei davvero bravo in queste cose”.

Distolse lo sguardo, probabilmente imbarazzato dal complimento.

“Quindi ci assicuri che il tuo alter ego si manifesta solo in determinate condizioni?”.

“S-Sì, non v-viene mai… fuori s-senza una s-spinta esterna…”.

“È già qualcosa. Ascolta, mentre eravate via si è proposto di perquisirti. Giusto per assicurarci che tu non abbia addosso degli oggetti pericolosi, magari presi da Genocider a tua insaputa. Sei d’accordo? Possiamo procedere?”.

La ragazza si ritrasse istintivamente, intimorita. Poi, dietro anche l’incoraggiamento del solito Makoto, accettò la condizione: “In… in e-effetti… c-capisco perché… vogliate f-farlo…”.

“So che non è molto delicato nei tuoi confronti e mi scuso a nome di tutti, però vorremmo poter essere certi di non correre alcun rischio non necessario”.

“C-Certo…”.

Alla Kibougamine piace fare incetta di casi umani, considerato il background di alcuni di noi. Ma lei batte tutti da quel punto di vista. Poveretta, ha avuto una vita davvero difficile. Ora tanti suoi comportamenti mi sono dolorosamente chiari.

“Oogami, se vuoi fare gli onori di casa…”.

“Va bene”.

“Perché proprio Sakura?” chiese Aoi, a quanto sembrava non troppo convinta della scelta.

“Le alternative migliori sono Oowada e Ikusaba. Il primo è fuori discussione semplicemente per il fatto che è un omaccione grosso e cattivo e non sta bene che metta le mani addosso a una signorina. La seconda avrebbe probabilmente il tatto di un carro armato. Correggetemi se sbaglio”.

Nessuno, escludendo i diretti interessati che si erano detti offesi dai rimarchi poco gentili di Kirigiri, ebbe da contestare.

Bah. Che vi offendiate o meno sapete che ho ragione.

L’atto in sé fu questione di pochi minuti e diede esito negativo. Non c’era una sola possibile arma sulla persona di Touko Fukawa.

“Questo mi fa onestamente piacere” commentò ancora Kirigiri “L’essere più sicuri ci permetterà di trattarti con meno diffidenza”.

“B-Bene…”.

“L’unica cosa a cui dobbiamo fare attenzione adesso è la presenza di possibili agenti esterni che ti possano provocare uno starnuto… e il sangue”. L’ultima parte di questa frase venne accolta da un brivido generalizzato, perché chiaramente l’apparizione di quel liquido avrebbe significato che qualcosa era andato tremendamente storto.

“Ora che l’incidente con Fukawa si può dire più o meno chiuso, con grande gioia di tutti, avrei una cosa da dire” si intromise Togami.

“E cioè?”.

“Guardate un po’ cosa abbiamo trovato la stessa Fukawa, Kirigiri e io nella stanza 7”.

Tirò fuori la fotografia.

E come facilmente pronosticabile la scoperta suscitò irrequietezza.

“Chi diavolo è quella? Perché sta in una nostra foto di gruppo di quarta elementare?”.

“Non ne ho idea!”.

“Neppure io. Quella faccia mi è totalmente estranea”.

“Cos’altro abbiamo di sconosciuto, oltre a quella faccia?”.

“Un nome…”.

“Ed entrambe le cose appartengono a una persona di sesso femminile. Vi scatta un collegamento?”.

“Kirigiri, vorresti dire che quella bambina… sarebbe Junko Enoshima?”.

“È possibile. Naturalmente non vi è alcuna certezza per ora, siamo sempre nel campo delle ipotesi. Ma converrete con me che al momento è l’eventualità più probabile”.

“Avrebbe senso, già. Un volto sconosciuto si assomma a un nome sconosciuto”.

“Non possiamo esserne sicuri!”.

“Certo che non possiamo, non ancora. Ma si torna alla solita obiezione allora: Zero ci lascia indizi a casaccio senza alcun nesso logico ad accomunarli”.

“Io sono convintissimo che questa sia Enoshima, anche se non mi so spiegare la sua presenza lì…”.

“Nessuno ne dubitava, Ishimaru. Ci mancava giusto che tirassi fuori la Cabala e la cospirazione ebreo-massonica”.

“Il problema” ragionò Togami “è capire perché nessuno di noi si ricorda di questa bambina, senza stare a calcare troppo la mano sulla sua identità. Perché, anche non fosse questa Junko Enoshima, la foto parla chiaro: ha frequentato almeno una classe con tutti noi e nessuno ha la minima cognizione di lei. C’è sempre la possibilità che sia un fotomontaggio, ma… non so, non mi convince. Kirigiri?”.

“Dando per buona l’intenzione di Zero di non sviarci, non posso che ritenere reale quanto troviamo in giro per questo posto. Quindi consiglierei, se non dovessero emergere elementi contrastanti, di considerare quella bambina dai lunghi codini come la fantomatica Junko Enoshima”.

“Ci sarebbe anche un’altra cosa…”.

“E cosa, Togami?”.

“Vediamo se sei con me: hai notato qualcosa di strano nel comportamento di Zero?”.

“Uhm…”.

La Posa Kirigiri che Pensa™ lasciò i presenti in sospeso. Dopo un paio di minuti giunse la risposta: “No, non direi. Perché me lo chiedi?”.

“Perché io sì, l’ho notato”.

“E cosa, Togami? Cosa?”.

“Puoi anche non assordarmi Oowada, l’avrei detto comunque. Ho come la sensazione… non è facile da spiegare, ma mi sembra che Zero… sia incostante”.

“Incostante in che senso?”.

“Nel senso che non avrebbe una personalità ben definita: a volte è quasi giocherellone, altre brutale e diretto. Nel messaggio a me rivolto, fra quelli che abbiamo trovato nella stanza 7, mi scriveva con tono sarcastico, pungente. Quando ci ha intimato di uscire pareva una di quelle persone che non spreca una sola parola di troppo. È quantomeno curioso”.

“Ora che ci faccio caso” si inserì Asahina “questa cosa ha senso. Quando mi ha obbligata a rivelare il mio segreto, presenti Sakura e Ikusaba, suonava come un bambino che si stava divertendo a fare un brutto scherzo a un amichetto. D’accordo che la voce distorta non aiutava, ma la vena quasi sadica risaltava abbastanza. Nel caso di Oowada e Ishimaru invece è stato molto più sbrigativo e dritto al punto, arrivando addirittura a narcotizzare il nostro prefetto preferito”.

“Stareste cercando di farmi capire… che Zero in realtà è più di una persona?”.

“O questo o soffre di personalità multipla” rispose Togami “ma a questo punto sono più portato a credere che siano più persone… data la grandezza di questo posto, la mole di indizi sparsa in giro e tutte queste trappole complesse, mi sembra più plausibile.”

Il resto della classe annuì, chi borbottando qualcosa sul fatto che Zero poteva essere il nome di un gruppo terroristico, chi negando quella possibilità. In tutto questo Kyouko notò come Fukawa si fosse allontanata da loro, sedendosi alla scrivania con un libro in mano e immergendosi nella lettura. Fece per avvicinarsi e dirle di riunirsi al gruppo, ma sentì qualcuno afferrarle il braccio: “Lasciala stare, Kirigiri-san”

Si voltò verso Naegi, stranamente serio in volto. “Abbiamo detto che siamo più tranquilli dopo la perquisizione, non ha motivo di stare in disparte” disse lei, ma il ragazzo si dimostrò irremovibile: “È comunque ancora molto scossa, non è facile per lei” bisbigliò Makoto “lasciamole un po’ di tempo per calmarsi. Tanto è solo a qualche metro da noi, e se si tratta di ripeterle eventuali punti del nostro discorso posso farlo io dopo.”

Kyouko lo osservò pensierosa: “Te la sei proprio presa a cuore.”

Lui si strinse nelle spalle: “È che… è sempre stata tanto sola, trattata male da tutti. Hai sentito cosa le succedeva a casa, no? E Togami-san sembra essersi svegliato solo adesso” rispose tutto d’un fiato. “Io voglio… voglio solo aiutarla, e al momento sembra ci stia riuscendo. E poi così mi posso rendere utile a qualcuno…”

C’era qualcosa di strano in quell’ultima frase di Makoto, una sorta di malinconia che le fece suonare un campanello d’allarme. Ma non ebbe tempo di approfondire perché il resto della classe li richiamò a gran voce. Makoto sorrise e si voltò verso di loro.

Hmm.

Si riunì anche lei agli altri e Togami li aggiornò: “L’unica cosa che vi siete persi è che mentre eravamo nella stanza 7 loro non hanno trovato nulla qua fuori.”
“È vero?” chiese lei, e le facce infelici dei compagni furono la conferma: “Abbiamo guardato ovunque ma non è saltato fuori nulla, né altri pezzi di giornale o strani indovinelli con bottoni e combinazioni” spiegò Mondo, allargando le braccia “niente di niente. Sembra quasi che queste stanze siano qui solo per bellezza.”

Kyouko inarcò un sopracciglio: “Sai Oowada, potresti aver ragione.”
“Che? Davvero?”

La Detective cominciò a camminare in circolo, gesticolando: “Più guardo queste stanze più mi sembrano… finte, per così dire. Come se fossero state create ad arte, aggiunte in un secondo momento. Non so se mi spiego.”

“Intendi dire che qualcuno ha rimaneggiato gli interni di questo posto per farceli trovare così come li vediamo adesso?” chiese Togami, e lei annuì: “Sì, queste in particolare, lo studio medico e la stanza della bambina: se ci pensate bene non sono in linea con il resto dell’arredamento, che era elegante ma meno… specifico.”

“In effetti…”

“Ora che me lo fate notare” intervenne Sakura “anche la stanza numero 2 stona con gli altri ambienti: a che cosa dovrebbe servire un poligono di tiro, qui?”

Tutti convennero che la disposizione delle stanze e quel particolare arredamento suonassero ancora più strani adesso; erano ancora intenti a fare ipotesi quando Kyouko notò Makoto voltarsi: si girò anche lei e vide Touko dietro di lui.

“Qualcosa non va, Fukawa-san?”
“N-No, però… credo di aver trovato qualcosa che potrebbe essere r-rilevante” e mostrò loro un libro.

“Campi morfogenetici? E cosa sarebbero?” chiese Makoto, leggendo la pagina indicata dalla Scrittrice. A quel punto anche tutti gli altri si erano avvicinati a loro, spinti dalla curiosità.

“Non era una sorta di pseudoscienza?” disse Togami. “Mi pare parlasse di informazioni propagate tra vari soggetti da questi ipotetici campi invisibili.”
Touko annuì, ma gli altri non sembravano particolarmente convinti: “Scusate, non ho idea di cosa state parlando” ridacchiò Aoi, seguita a ruota da Oowada e Ishimaru.

“Fukawa, puoi spiegarci meglio?” chiese Kyouko, e per un attimo la ragazza sembrò andare di nuovo nel panico. Poi iniziò a parlare e sembrò a tutti una persona diversa: “Si chiama teoria della risonanza e dei campi morfici, secondo cui ogni individuo può sintonizzarsi con la memoria collettiva della specie, contribuendo allo sviluppo di quella stessa specie e creando quindi una sorta di risonanza tra singoli individui e gruppi — etnie, razze, famiglie nel caso degli esseri umani. In pratica è come se ci si potesse passare informazioni tramite questo campo invisibile, raggiungibile solo tramite il cervello.”

“Uh… credo di essermi perso ad individuo” commentò Mondo, e Touko si mordicchiò un labbro: “Hmm, c-come posso spiegarlo meglio” si grattò una guancia, poi aprì il libro ad una pagina specifica: “Ok, in questo libro c’è un esempio più pratico: anni fa, in Gran Bretagna, un’emittente tv locale fece un esperimento per un programma” spiegò, “mandarono due foto a piccoli gruppi di persone sparsi in tutto il mondo, in zone dove la tv e quel programma nello specifico non potevano arrivare. Le due foto erano modificate e i soggetti (una donna con un cappello e un cane) difficili da individuare, ma una volta scoperti era impossibile non notarli. Comunque, in tutto avevano un gruppo di circa mille persone, e quando mostrarono loro le foto chiedendo cosa ci vedevano, i risultati furono questi: il 9,2% di persone disse di aver visto la donna con il cappello nella prima immagine, mentre il 3,2% vide il cane nella seconda. Due giorni dopo andò in onda il programma tv” fece una breve pausa per riprendere fiato, poi proseguì: “e fecero vedere la foto del cane con relativa soluzione.”
“E…?” chiesero in coro, e lei fece un mezzo sorriso: “I produttori avevano stimato che sarebbe stato visto da almeno 200,000 spettatori, e che quindi il numero persone a conoscenza della soluzione fossero almeno 200,000. Poco tempo dopo l’esperimento venne ripetuto in aree dove la tv e la radio non esistevano, su un gruppo di meno di 850 persone, e nessuna delle quali aveva preso parte al primo test.”
“I risultati quali furono?” chiese Kyouko, ora decisamente incuriosita.

“Il 10% del gruppo individuò la donna con il cappello nella prima foto, mentre il cane nella seconda venne notato dal 9,2%.”

“Un aumento piccolo ma significativo” rifletté Kirigiri, e Touko annuì: “Assolutamente, soprattutto se pensiamo che nessuno di quel gruppo aveva partecipato al primo esperimento. Se lo prendiamo per buono avvalorerebbe la teoria dei campi morfogenetici.”
“Quindi… il secondo gruppo avrebbe ottenuto l’informazione attingendo a quel campo e alle conoscenze pregresse del primo gruppo” disse Togami. “Interessante, ma penso siano solo teorie senza fondamento.”
“Probabilmente, ma” contestò Touko “converrai con me che ha punti in comune con gli indizi che abbiamo trovato qui: il libro più avanti paragona queste teorie alla telepatia, ovvero trasmissione di informazioni tramite il pensiero. E finora tutto ciò che Zero ha voluto dirci riguarda esperimenti psichici.”
“Come le carte di Zener” intervenne Makoto, e Kyouko aggiunse: “E il libro che tu, Fukawa, avevi trovato nella prima stanza, L’Uomo che Fissa le Capre.”

Touko annuì.

Kyouko lasciò gli altri a discutere della spiegazione di Fukawa, riflettendo su quanto emergeva da quegli indizi. Esperimenti su bambini, presunti poteri psichici, test con le carte di Zener, campi morfogenetici… se tutto questo è vero, e la Kibougamine è coinvolta, parliamo di un insabbiamento senza precedenti.

Si voltò nuovamente verso il gruppo: “Direi che Zero ci sta puntando sempre di più verso la strada degli esperimenti” disse, e non mancò di notare un soddisfatto Ishimaru la cui faccia sembrava dire “Io ve l’avevo detto.”
“C’è però una cosa che ancora mi sfugge” parlò ancora Oowada, “Fukawa… quand’è che hai smesso di balbettare?” e lei arrossì fino alle orecchie: “M-Mi succede quando sono c-concentrata su qualcosa c-che mi i-interessa particolarmente” disse, ovviamente balbettando.

“Ok, il discorso sui campi morfosblurb è molto interessante e per nulla incomprensibile. Ho seguito tutto con estrema attenzione e capendo ogni singola parola. Ora che facciamo?” chiese Mondo mentre si grattava la testa.

Kyouko lo guardò e gli rispose: “Adesso come adesso, acquisiti questi nuovi elementi, direi che possiamo procedere oltre. D’altronde qua non c’è altro di utile, mi pare di aver capito, e a ben guardare non abbiamo avuto il tempo di esplorare per bene la stanza 7 ché Zero ci ha cacciati subito. Che dite?”.

Il consenso generale approvava la proposta, pertanto si diressero in direzione della porta numerata.

 

*

 

Touko Fukawa sentiva l’esigenza di parlare.

Non con chiunque, figurati. Non è mai stata il tipo che ciarla per il puro gusto di farlo. E anche lo fosse stato non aveva quasi mai nulla di valido da dire… e nessuno con cui poterlo fare.

Ma quel caso era diverso.

L’impellente necessità di raccontare quanto accaduto nella stanza 7 con Togami le premeva sulla nuca come un martelletto.

S-Strano. Non mi è mai capitato prima d’o-ora.

Se voleva sfogarla c’era una sola persona adatta allo scopo. Quindi, durante il percorso, si avvicinò a Makoto, lo afferrò per la manica e gli disse di rallentare il passo.

“Mh? Fukawa-san, tutto ok?”.

“Sì s-sì, tutto ok. Volevo… se non ti s-scoccia, Naegi-kun… volevo… parlarti di una c-cosa…”.

Lui sorrise, quel sorriso che stava lentamente imparando ad accettare: “Ma certo, Fukawa-san! Dimmi tutto”.

“I-Immagino ti sarai chiesto… perché T-Togami… Byakuya-sama… si s-sia comportato… così p-prima…”.

“In effetti sì, il dubbio mi era venuto. Gli avete fatto bere una pozione cambia-personalità là dentro?”.

La ragazza ridacchiò alla battuta, poi scosse la testa: “N-No. È che probabilmente… lui c-ci ha salvato la vita… a me e a Kirigiri…”.

“Eh? Stai scherzando? Parliamo dello stesso Byakuya Togami... il Super Erede con la Super Arroganza, almeno prima di tutto ‘sto casino?”.

“G-Già. Ora, non p-possiamo esserne sicure ma… è arrivato a c-chiedermi per favore di dargli il cryptex…”.

“Il cosa?”.

“Il cryptex… non i-importa, lascia stare…”.

“No no, spiegami! Non so cos’è un cryptex, ma il resto della storia mi incuriosisce molto!”.

Si fermò, facendo in modo che anche lui facesse lo stesso. Era… meno facile di quanto aveva preventivato e non si sapeva spiegare bene il perché.

Le ci volle qualche secondo per trovare le parole migliori: “I-In pratica… avevamo questo aggeggio da a-aprire… e lui sapeva la s-soluzione… ha cercato di prendermelo dalle m-mani… prima con il suo solito t-tono autoritario, poi… quando h-ha visto che non volevo c-cedere… è ricorso alle maniere g-gentili… credo fosse per via di q-quanto c’era scritto sul suo b-biglietto…”.

“Biglietto? Avevate i foglietti personalizzati?”.

“Sì. Ce n’era u-uno… per tutti noi… con sopra i n-nomi. Non s-sappiamo cosa ci f-fosse sul suo, Zero ci ha i-imposto l’obbligo di non dirlo ad alta voce… ma e-evidentemente non dovevamo e-essere noi ad aprire il cryptex…”.

“Oh. Dici che fosse questo il motivo?”.

“P-Possibile…”.

Per un istante lui si mise a pensare, quasi stesse collegando dei puntini che a Touko non dicevano nulla da separati. Poi, mentre le faceva cenno di riprendere il cammino, disse: “Sai, credo… credo che quella fosse la sua prova, se diamo per buono che ce ne debba essere una per tutti noi. Vedo delle somiglianze con quanto ha dovuto fare ai suoi fratellastri, non ti sembra?”.

Uhm.

A guardarla meglio aveva senso: così come era dovuto giungere da solo al traguardo per l’eredità della Zaibatsu facendo metaforicamente fuori gli altri concorrenti, così aveva dovuto scavalcare loro due nel procedimento col cryptex. Tutto sommato tornava.

“F-Forse hai ragione, Naegi-kun”.

“Oh Fukawa-san, non ho avuto occasione di fartelo presente prima ma non sai quanto sono felice di sentirti usare il -kun con me. Con tutto quello che ci hai raccontato e la faccenda di Genocider dev’essere difficile… che dico, difficilissimo per te avere tutta questa fiducia in qualcuno. Santo cielo, hai una storia tragica e mi dispiace davvero tanto per quanto ti è accaduto…”.

Una piccola parte della sua testa fece i salti di gioia nel sentirlo parlare così. Era davvero il primo, e fino a pochissimo tempo prima l’unico, essere umano a trattarla in maniera decente. Umana, appunto.

Non seppe trattenersì e lo abbracciò. Qualche lacrima sfuggì al suo controllo e le colò sulle guance.

“Fukawa-san! Che c’è, che hai?”.

“N-No, n-niente…”.

Lui ricambiò l’abbraccio: “Coraggio, non fare così. Il peggio è passato. Hai visto, anche gli altri hanno capito quante ne hai passate e sembrano disposti a venirti incontro. Sei fra amici ora, oserei dire che persino Togami-san col suo nuovo corso non è un caso irrecuperabile. Capisco che sia complicato per te, ma prova a lasciare socchiusa la porta ai confini del sole… ehm, del cuore”.

Si staccarono. L’ennesimo sorriso che le regalò la fece stare bene come raramente si era sentita in vita sua.

“C-Ci proverò…”.

“Hai solo da guadagnarci. Dai, ora raggiungiamoli che siamo rimasti indietro”.

“O-Ok”.

La strada era obbligata, quindi pericolo di perdersi non ce n’era.

Quando rientrarono nella stanza arredata come la camera da letto di una bambina zuccherosa ebbero una brutta sorpresa: il resto del gruppo era piantato, chi sdraiato sul letto con le gambe per aria (Asahina! Un po’ di pudore, svergognata!), chi appoggiato svogliatamente al muro con le braccia conserte e chi fermo a fissare il soffitto.

“Beh? Non c’era bisogno di aspettarci” esordì Naegi.

“Non era la nostra prima intenzione, difatti” gli rispose Ishimaru “Solo che Zero ci ha imposto l’alt finché Fukawa-san non fosse rientrata nei ranghi”.

“Uh? I-Io? Perché?”.

“Non ce l’ha spiegato”.

“Ve lo spiego adesso”. Ormai solita voce dall’alto. Era lui. O loro?

“Adesso cosa vuoi, bastardo di uno psicopatico?” ruggì Oowada.

“A cuccia, maltese troppo cresciuto. Al momento non mi interessi. L’oggetto dei miei attuali desideri ha fatto da poco la sua comparsa, vero dolce Touko?”.

C-Cosa puoi volere ancora da me? Hai g-già rivelato l’esistenza di Genocider, non c’è nulla di peggio…

“Cara, perché non apri l’armadio in fondo? Quando l’avrai fatto tirerai fuori la cassetta di legno, non ti puoi sbagliare, e la aprirai”.

Ovviamente l’attenzione si concentrò su di lei. Altrettanto ovviamente prese a tremare.

Si fece forza ed eseguì gli ordini.

Dentro la scatola…

Zero, ti odio. Ti odio con tutta me stessa.

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Capitolo 11
*** La gente più insospettabile può farti da maestro, sai? ***


Nella scatola in fondo all’armadio c’erano tre contenitori divisi in scomparti con su scritte le iniziali dei giorni della settimana. Touko li riconobbe subito anche senza aprirli: erano portapillole, di quelli usati per il dosaggio degli antidepressivi.

Maledetto Zero…

Prendendoli in mano notò che solo tre dei sette scomparti erano stati riempiti.

“Immagino tu li conosca bene, Super Scrittrice. Ora che li hai presi, danne uno alle persone tra i presenti di cui ti fidi di più.”
N-No… non posso!

“Ma che stronzata è questa?”

“Hai finito di accanirti su di lei?!”

Zero non sembrò curarsi delle proteste: “Non provare a tirarmi scherzi, so con chi hai legato di più tra loro. Io vedo tutto. Una mossa falsa e l’ago avvelenato non scatterà solo dal tuo braccialetto.”

Impossibilitata a fare diversamente, Touko si limitò a spartire i tre portapillole: ne diede uno a Naegi, chiedendogli perdono con lo sguardo, mentre il secondo andò a Kirigiri; il terzo fu per Byakuya, tra lo stupore di tutti (compreso quest’ultimo).

“Brava ragazza, vedo che ci siamo capiti” gracchiò ancora Zero, “ora signori, siete pregati di aprire i portapillole e versare il loro contenuto sul palmo della vostra mano. Ben visibile, mi raccomando.”

I tre fecero quanto ordinato e in meno di un secondo si ritrovarono un pugno di pillole in mano.

“Cosa sono queste?” chiese Togami, e dall’altoparlante arrivò una risata: “Pillole, come puoi ben vedere. Riguardo alla loro natura… diciamo solo che la nostra Fukawa le conosce fin troppo bene, non è così?.”

Touko si sentì mancare la terra sotto i piedi: non solo le aveva fatto raccontare la sua miserabile vita con dovizia di particolari e aveva spifferato a tutti di Genocider Syo, adesso tirava fuori anche questo?!

Perché? C-Cosa ho fatto peggio degli altri?!

“Bene Touko. Questa è la tua prova: scegli tra le pillole quelle che prenderai tu e quella che darai ai tuoi… amici. Le conosci bene, soprattutto i loro effetti collaterali. Sta a te decidere se vale la pena sacrificarti per loro o se, in fondo, la solitudine rimane la tua compagna preferita. Prenditi tutto il tempo che vuoi, io rimango qui a guardarti.”

Questo era il suo inferno personale, si disse. Non poteva essere diversamente.

Sperò per un istante che qualcuno facesse qualcosa, persino che Zero si palesasse lì in mezzo a loro e la uccidesse sul colpo, perché di certo avrebbe sofferto meno.

Gli altri si limitavano a fissarla attoniti e impotenti: Kirigiri e Togami avevano le loro solite facce impassibili (ma persino lei poteva notare gocce di sudore sulle loro tempie), mentre Naegi… lui era tranquillo, apparentemente. Quando incrociò il suo sguardo addirittura le sorrise: “Non è colpa tua, Fukawa-san.”

Lei deglutì, e fece l’unica cosa che le sembrava sensata: si avvicinò a loro e con calma scelse le pillole, lasciando i tre ragazzi con in mano una sola pillola bianca.

“Hai fatto la tua scelta. Dentro l’armadio ci sono diverse bottigliette d’acqua: usatele per mandare giù le vostre pillole. A te, Touko, ne servirà un po’ di più” rise Zero, e Ishimaru dovette tener fermo Oowada, impaziente di distruggere l’altoparlante per il solo gusto di indispettire il loro carceriere.

Fukawa si limitò a fare quanto detto e porse agli altri tre le bottigliette, tenendone una per sé, osservandoli mentre ingoiavano le loro pillole.

Mi dispiace. Vi prometto che finirà presto pensò, e fece altrettanto, per poi sedersi sul letto.

Dopo qualche minuto di silenzio Zero parlò di nuovo: “A quanto pare la nostra fujoshi ha voluto immolarsi per voi. Godetevi le vostre aspirine e fate ciao ciao a Touko Fukawa.”

“C-Cosa? Che vuol dire?” chiese qualcuno, forse Aoi, ma non ci fu risposta.

“Fukawa-san! Fukawa-san, cos’hai?!”

“M-Mi spiace, Naegi-kun” disse, mentre il mondo attorno a lei cominciava a farsi offuscato e sentiva le palpebre e il corpo diventare più pesanti.

Sentì qualcuno sorreggerla per le spalle e chiederle cos’aveva ingerito.

“F-Fluoxetina… paroxetina… duloxetina…” biascicò, “sono… sono tutti antidepressivi…” disse, mentre sentiva le forze venir meno.

Poco a poco tutto divenne buio.

 

*

 

Antidepressivi.

L’unica cosa che Byakuya sapeva di quel genere di farmaci era che servivano a curare la depressione e che potevano avere gravi effetti collaterali, che a quanto pare stava osservando in diretta.

“Fukawa-san! Rispondi!”

È priva di sensi a causa delle pillole. Dobbiamo farla vomitare.”

Non stava neanche ascoltando Naegi e Kirigiri discutere: senza nemmeno rendersene conto, Byakuya si avvicinò a Fukawa e le prese la mano tra le sue. Un gesto istintivo, per nulla ragionato e totalmente estraneo a lui, ma in quel momento la sua testa formulava un solo (altrettanto strano) pensiero: Non fare scherzi, Touko. Non provare a lasciarci le penne.

Poco dopo sentì qualcuno spostarlo quasi di peso: “Ci pensiamo io e Sakura-chan.”

“S-Siete sicure?” balbettò Ishimaru.

“Più o meno” fu la poco rassicurante risposta di Oogami, e Togami non poté fare a meno di intervenire: “Che vuol dire più o meno?!”

“Sono nozioni di primo soccorso” spiegò Aoi, “di solito questa viene usata per gli avvelenamenti… immagino che questo lo si possa considerare un avvelenamento.”
“E in ogni caso non abbiamo altre opzioni” concluse Sakura, poi si rivolse all’amica: “Ok, io la reggo da dietro, tu mettile le dita in gola per indurre il vomito. Vedi se in quell’armadio ci sono fazzoletti e magari un contenitore…”

La Super Nuotatrice obbedì, e con un po’ di fortuna trovò i fazzoletti e un cestino per la carta da usare come contenitore per il vomito.

In tutto quel trambusto Byakuya si sentiva inutile: i suoi compagni sembravano sapere cosa fare, persino quelli che non stavano facendo nulla sapevano di doversi fare da parte e lasciare spazio alle compagne. Solo lui non riusciva a muoversi da lì, per ragioni che non riusciva a comprendere.

Perché l’hai fatto?

“Perché…” sussurrò, “perché hai fatto una cosa così… stupida?”

“Proprio non capisci, Togami-san?”

Makoto, dietro di lui, lo guardava con un sorriso amaro in volto. Gli diede una pacca sulla spalla (alla quale Byakuya non reagì), poi lo costrinse a scansarsi per lasciare posto a Sakura: “Bene, e ora la parte difficile…”

Non fu un bello spettacolo: sulle prime non successe nulla e per un attimo tutti temettero il peggio; poi Touko reagì e vomitò le pillole dentro il secchio (Aoi ritrasse la mano per un pelo). Quando ebbe finito la adagiarono sul letto e le ripulirono il viso.

Sakura si passò le mani sul volto provato: “Direi che ora non ci resta che aspettare.”

“Signori” annunciò improvvisamente Mukuro “non so voi, ma io comincio a essere stanca. Proporrei di riposarci un po’ mentre attendiamo il ritorno di Fukawa fra i vivi. Magari stabiliamo dei turni, che non si sa mica mai cosa può succedere a nove ragazzi addormentati”.

“Sai che non è una cattiva idea, Ikusaba? Sono stanco anch’io” concordò Mondo, per poi aggiungere “E… quanto tempo è che siamo qui?”.

Non gli si seppe dare una risposta precisa. Si stimò circa una giornata e mezza, forse di più.

“Non vorrei che cominciasse a presentarsi la questione «cibo»” disse Kyouko, provocando un brivido di paura in più di uno dei presenti.

“Speriamo davvero di no” fu lo spaventato augurio di Makoto.

“Sto sveglio io” disse Togami, prendendo per l’ennesima volta in contropiede tutti gli altri. Era sua ferma intenzione essere vigile quando Fukawa si sarebbe riavuta. “Naegi, per il primo turno fammi compagnia”.

“Ma…”.

“Non era un invito”.

“Argh. Forza e coraggio, Naegi-kun!” lo prese in giro Asahina mentre cercava di sistemarsi alla meno peggio per terra.

Con la sua più sconsolata faccia da “ma perché capitano tutte a me?”, il Fortunello andò a porsi vicino all’Erede.

Tempo quindici minuti e gli altri sei dormivano come sassi. Alcuni di loro avevano optato per tornare nella stanza coi divanetti per questioni di spazio e comodità. Le due sentinelle invece rimasero accanto a Touko.

“Se non altro sei ancora uguale in qualcosa, Togami-san…” iniziò Naegi senza alcuna istigazione esterna.

“Cosa intendi?”.

“Che è stranamente confortante vederti capace di essere come sei sempre stato. Nell’ultima ora, o quanto è stato, sembravi tutt’altra persona”.

“Oh. Immagino ti riferisca alla mezza scenata che ho tirato fuori di là”.

“Anche. Vedi, Fukawa-san mi ha raccontato di quel che è successo nella stanza 7…”.

Ma bene. Da quando quella lì è diventata una comare chiacchierona?

“Cosa ti ha detto esattamente?”.

“Di cosa hai fatto con la storia del cripto, cructo, come caspita si chiama quel robo…”.

“Cryptex, si chiama cryptex. Eccellente, ora sono ben tre le persone che hanno materiale per prendermi in giro da qui al 2070”.

“Non vedo perché dire così, Togami-san. Hai fatto la cosa giusta là dentro. C’era un possibile pericolo per Fukawa-san e Kirigiri-san e hai scelto di aiutarle. Ti fa onore… e forse c’è speranza anche per te”.

Il rimarco lo irritò, ma nonostante tutto capiva abbastanza da comprenderne il motivo. Quel che non capiva…

“Naegi”.

“Sì?”.

“Quanto hai detto prima, sul fatto che…”.

“Vorresti che ti spiegassi perché Fukawa-san ti ha scelto come persona di cui si fida? Guarda che non è difficile. Lo puoi capire da te”.

“Se lo sapessi non te lo starei chiedendo, ti pare?”.

“E suvvia, non farti fermare da così poco. Hai di fronte a te un problema e devi trovare il sistema per risolverlo. Avanti, datti da fare. In caso di domande… io sono qui”.

“Vuoi farmi da Socrate? Cos’è, sono finito in una tragicommedia di Ionesco?”

“Di chi? E chi è Socrate?”.

“Kami, sei veramente un ignorante. Non importa, non devi capire. Ciò che devi fare è dirmi quella cosa”.

Al che Makoto inclinò la testa e prese a guardarlo con la faccia da beota: “Sul serio non lo capisci? Sul serio?”.

“No, per finta. Se ti chiedo lumi evidentemente… che ti devo dire, sarò un cretino!”.

L’altro si sbatté la mano sulla fronte e la lasciò scivolare lenta lungo tutto il suo volto: “Sai che la definizione, in questo momento, ti calza piuttosto bene?”.

Al che Byakuya gli diede le spalle, dichiarandosi ufficialmente offeso.

“Occavolo. No dai, non fare così. E va bene, va bene. Te lo dico”.

Ebbe di nuovo la sua attenzione in circa quattro secondi.

“Certo che tutto questo è ridicolo…”.

“Probabile. Ora sputa il rospo”.

“Santo cielo Togami-san, Fukawa-san è innamorata di te!”.

“E con ciò?”.

“Come «e con ciò»? Credi che circa una decina d’anni di infatuazione possano essere cancellati da un pomeriggio storto, specie dopo che per una volta ti comporti davvero come il suo cavaliere bianco? Quella ragazza dipendeva quasi fisicamente da te, non le può passare così in fretta e in maniera tanto netta. Diavolo, nonostante il modo assurdo e ingiustificato con cui l’hai sempre trattata probabilmente darebbe la vita per te! Quasi l’ha fatto poco fa!”.

Byakuya credette di avere un’allucinazione uditiva: queste parole, pronunciate con fervore, gli suonarono come se fossero uscite direttamente dalla bocca della diretta interessata.

Era inquietante.

“Hai la tua spiegazione, Togami-san. Soddisfatto?”.

“...”.

“Che c’è ora? Perché mi guardi in quel modo?”.

“...”.

“Non ci posso credere! La rivelazione ti ha sconvolto fino a questo punto? Ma sei vero? Come hai fatto a sopravvivere fino ad oggi in queste disgraziate condizioni?”.

“...”.

Un attimo di pausa.

“No ok, scusa. Sono stato cattivo gratuitamente. Avrei dovuto comprendere che, se davvero hai cominciato ad aprirti un po’ di più… e la cosa ha dei contorni abbastanza inverosimili, ma il discorso di Fukawa-san sulla stanza 7 era sin troppo onesto… dicevo, se davvero hai cominciato questo percorso non devo essere io ad aggredirti. Ti chiedo scusa”.

“...scuse accettate. E ricambiate”.

“Uh? Perché ti scusi con me?”.

“Perché sei stato… gentile a soddisfare la mia curiosità, pur non avendone reale motivo”.

Fosse stato qui ora papà mi avrebbe appena diseredato, consegnandomi al vicolo più sporco della città.

“Mi ha fatto piacere esserti utile. D’accordo che come tuo solito hai avuto la delicatezza di un bulldozer quando l’hai chiesto, ma non è neanche giusto pretendere troppo in così poco tempo. È una strada che prevedo dura, la tua”.

“Adesso ti lanci in un’imitazione della Pizia? Allegria”.

“Di chi? Insomma Togami-san, piantala di parlare ainu! Non ti seguo!”.

“Tutt’al più sto parlando greco, sia ora e sia prima con Socrate. Lasciamo perdere. Visto che pensi abbia un cammino difficile di fronte a me… suggerimenti?”.

E dalla precedente incredulità Makoto Naegi passò allo stupore più puro: “Stai… chiedendo consiglio… A ME?”.

“A te. È evidente che hai più esperienza di me nel campo”.

“Non è poi così difficile, lasciatelo dire. Senza offesa”.

“Nessuna offesa. Se ora volessi aiutarmi…”.

“Oh porca miseria, smettila di spiazzarmi. Mi togli la facoltà di comporre frasi sensate”.

“Va bene, va bene”.

“Devo darti una dritta, dunque?”.

“Potresti, sì”.

Lo vide fermarsi per riflettere. Quando finalmente riaprì la bocca...

“Ok, forse ci sono. Anche se… cavolo…”.

“Che hai? Perché tentenni?”.

“Ecco… forse… potresti, non so… prendere esempio…”.

“Naegi, se questo è un gioco a premi in cui devo indovinare la parola successiva sappi che non sono mai stato bravo. Non farmi perdere tempo”.

Makoto si indicò con l’indice della sinistra.

“Da te? Dovrei prendere esempio… da te?”.

L’altro appariva imbarazzato e si limitò a un sì fatto con la testa, per poi aggiungere: “Magari… ecco, forse non sono… l’esempio migliore… ma io ci provo sempre… e poi è più facile farsi… amare che farsi odiare…”.

“Beh” rifletté Byakuya ad alta voce “in realtà non è una così cattiva idea. Sei sempre benvoluto e ben accetto da tutti, potrebbe anche funzionare”.

“Sì… insomma… tu stesso hai detto… che ho più esperienza di te…”. Era ormai rosso in faccia, ma Togami pensò non fosse il caso di farglielo notare e tirò dritto: “L’ho detto e non lo nego, è palesemente vero. Allora credo di dovermi abbeverare alla tua fonte di saggezza, sensei”.

La reazione di Makoto fu quella che si può avere quando ti esplode un piccolo fuoco artificiale proprio davanti, con tanto di saltino all’indietro: “Mi hai… appena chiamato… sensei?”.

“Tranquillo, non si ripeterà. E anzi, se qualcuno dovesse far parola di questo incidente e di come mi sono rivolto nei tuoi confronti poco fa… beh, ti sarà difficile trovare un lavoro anche presso i ratti di fogna”.

“Nonononono non lo dirò ad anima viva o morta o X!”.

“Sarà meglio”.

Silenzio.

“Naegi, grazie per la chiacchierata. Credo di cominciare a intravedere il perché della fiducia che Fukawa sembra riporre in te”.

“Almeno sono utile a qualcuno oltre a lei. È una piccola soddisfazione…”.

Ehi, che strana sensazione mi è appena arrivata contro lo sterno. È come se lui… non credesse davvero alle sue ultime parole.

Mi starò sbagliando. Decifrare gli stati d’animo altrui è ancora al di là del mio attuale livello di preparazione. Fukawa insegna.

 

*

 

La notte -o quella che credevano essere tale, vista l’assenza di orologi funzionanti e finestre- passò relativamente tranquilla tra un cambio di guardia e l’altro, compreso quello in cui un incarognito Mondo (nervoso perché era stato svegliato) dovette far compagnia ad un eccitatissimo Ishimaru (esaltato all’idea di compiere un dovere da Prefetto e rendersi utile).

Quando si svegliò per la seconda volta, Mondo si alzò in silenzio per non disturbare gli altri, in particolare Fukawa che più di tutti aveva bisogno di riposare, ma quando sbirciò nella stanza in cui l’avevano lasciata la trovò seduta sul letto intenta a mangiare qualcosa da una latta.

“E quella dove l’hai trovata?”

La sua comparsa prese alla sprovvista la povera Touko, che per un pelo non si fece andare di traverso quello che sembrava essere mais; di fianco a lei c’erano altre due scatolette, di cui una vuota.

“S-Scusa, non volevo spaventarti!” disse lui “Ma non credevo ci fosse cibo in questo posto!”
Lei si ricompose quasi subito: “N-Non fa niente… comunque ho t-trovato un sacco di c-cibo in scatola stipato dentro i m-mobili della stanza s-sette.”

“Un posto strano dove nascondere cibo” disse lui, grattandosi la testa, e Touko gli diede ragione: “In effetti… m-ma avevo fame e mi s-sentivo ancora debole” balbettò “e le scatolette n-non sono scadute, né sembrano essere state m-manomesse in qualche modo… quindi ho s-semplicemente smesso di farmi domande.”
Mondo annuì: “Sì, mi sembra sensato. E poi se Zero avesse voluto farci fuori ha avuto una marea di occasioni per farlo, figurarsi se va ad avvelenare delle scatolette di fagioli” disse. “Anzi, a questo punto direi che posso servirmi!”

Trovò così tanto cibo in scatola in quella stanza che gli venne naturale chiedersi se quel posto non fosse stato usato anche di recente: la data di scadenza delle lattine era per l’anno successivo, quindi pensò che forse qualcuno era stato lì nei mesi passati, al massimo un anno prima. Il problema era perché. Scrollò le spalle, preferendo farlo presente a Kirigiri quando si fosse svegliata: afferrò un paio di scatolette di pesce e tornò da Touko, sedendosi per terra accanto al letto.

“Aaaah buon appetito!” cantilenò, aprendo senza troppa difficoltà la latta; Fukawa gli indicò anche dei cucchiai di plastica riposti nello stesso armadio in cui avevano trovato l’acqua, poi aggiunse: “C-Certo che il pesce a colazione non è p-proprio il massimo” commentò lei, e Mondo pensò che probabilmente si stava sforzando di fare conversazione e sembrare più aperta. Apprezzò decisamente lo sforzo e stette al gioco: “Beh, non è che il mais sia proprio la colazione dei campioni” chiosò, addentando dell’anguilla (sì, non era esattamente il massimo da mangiare al mattino presto) “senza contare che, per quel che ne sappiamo potrebbero essere le quattro del mattino.”

“I-In effetti…”
“E poi tranquilla, sono abituato a fare colazione con roba ben peggiore!”

“T-Tipo?”
“Oh non so, resti di pizza, sushi, ramen precotto… no non ridere, sono serissimo!” disse fingendosi piccato, ma in realtà sollevato dal modo in cui Fukawa ridacchiava delle sue disgrazie culinarie: quella ragazza ne aveva passate così tante che era davvero un miracolo se riusciva ancora a rivolgere la parola a qualcuno.

“Sai, mi sembra che tu stia meglio” disse, “è bello vederti su di morale.”

Lei arrossì violentemente, balbettando qualcosa sul non essere vero e che non doveva mentire. Mondo le diede una pacca sulla spalla (che per poco non la uccise): “Dico sul serio! Se sei riuscita a fidarti di Naegi puoi cominciare a fidarti anche del resto di noi, no? C’è speranza per tutti, persino quella pigna in culo di Togami sembra aver riacquistato la salute mentale…”

“Guarda che ti sento!”

“Chissenefrega!”

Notò con piacere come Fukawa stesse ridacchiando a quello scambio di battute con lo Scion, invece di difenderne la dubbia integrità morale.

Punto tuo Fukawa, tutto tuo.

Pensò ironicamente che tutto lo schifo a cui Zero li stava sottoponendo li stava avvicinando come classe e migliorando come persone. Fottiti bastardo aggiunse mentalmente.

“Yawn, buongiorno… il vostro scambio di carinerie mattutine mi ha svegliato” bofonchiò un assonnato Makoto, e anche lui ricevette una solidale (e mortale) pacca sulla spalla: “Per farmi perdonare ti svelerò un segreto: nella stanza 7 c’è cibo in scatola per un esercito!”
“Eeeeh?”
“Dico davvero! L’ha trovato Fukawa poco fa.”
“Grande! Vado ad avvisare gli altri!”

Pian piano tutti tornarono nel fatato mondo della coscienza, anche se alcuni ebbero il cattivo gusto di lamentarsi per l’assenza di un bagno dove potersi lavare. Fra questi, constatò con sorpresa Mondo, c’era pure Ikusaba.

Immagino che fosse abituata ad andare in guerra truccata di tutto punto. Non ci sono più i mercenari sporchi e puzzolenti di una volta.

Diedero fondo alla scorta di cibarie, strafogandosi per quanto potevano. Chiaramente avrebbero mangiato di meglio anche alla mensa dei poveri all’angolo della strada, ma nelle loro condizioni non potevano proprio permettersi di fare gli schizzinosi.

Quando ebbero finito Touko si alzò di scatto dalla sua posizione seduta urlando: “Cavolo, m-mi stavo dimenticando di una c-cosa importante!”.

“Cosa Fukawa-san, cosa?”.

“Prima, con tutta la storia di G-Genocider, mi sono scordata di d-dirvelo. Nella stanza 7 c’era una s-scala che saliva…”.

“Wow. Allora non siamo del tutto bloccati qui!”.

“No, direi di no. Naturalmente me n’ero accorta anch’io, ma volevo aspettare un po’ per rivelarlo”.

“Ti sembra il momento adatto per le scenate da star del palcoscenico, Kirigiri-san?”.

“Prima o dopo sarebbe cambiato poco, Naegi-kun. E comunque lascia a una ragazza i pochi vezzi che si può permettere in questo postaccio”.

“Avanti piccioncini, non state lì a tubare! C’è una scala da salire!”.

“...ti odio, Oowada-san”.

“Non è vero e lo so. Tu non odi nessuno, non ne sei capace”.

“Ma… ma bubi, ecco!”.

Ci voleva, si disse. Quel quarto d’ora di relax ci voleva proprio. Da troppo non si erano trovati nelle condizioni adatte per scherzare fra di loro come dei marmocchi dispettosi.

La cappa di pesantezza che fino a quel momento li aveva soffocati si era incrinata sotto il suono delle loro risate.

Speriamo duri. Piantala di dirmi che non sarà così, vocina del cazzo dentro la mia testa.

Riuscirono a organizzarsi quel tanto che bastava per procedere, non prima di aver dovuto sradicare Ishimaru che sembrava intenzionato a rimanere lì dov’era e ingozzarsi come un maiale.

Passarono quindi per la famosa stanza 7, dove alcuni temerari ebbero la tentazione di prendere i foglietti ancora abbandonati sul tavolo e leggerli tutti. L’intervento di Zero, piuttosto irato, li fece desistere subito.

“Ecco, c-ci siamo” disse Touko indicando la scala.

Salirono.

Di fronte a loro una specie di spiazzo senza alcun particolare che risaltasse.

E sul muro più vicino una porta numerata.

Numero 5.

“Altro gettone altro giro” cantilenò Mondo senza entusiasmo. Cominciava a non sopportare più quegli ostacoli dipinti di rosso.

“Molto bene. Fuori le calcolatrici mentali” ordinò Kirigiri.

Ma chi me lo fa fare, che in matematica sono sempre rimasto sotto al 40? Lascio volentieri il compito a te.

“Il nove è neutro, quindi Ikusaba potrebbe entrare con Asahina e Oowada… o con Naegi e Fukawa”.

“Altre combinazioni sono…”.

“Solo un secondo, Ishimaru” si intromise Togami.

“Uh? Cosa?”.

“Proporrei di non contare Fukawa, almeno per stavolta. Penso si meriti un po’ di tregua”.

Il coretto degli “Oooooooh” fu abbastanza assordante.

Porca puttana, non lo riconosco davvero più. Non mi dirai che presto non potrò più chiamarlo Scion di ‘Staceppa?

“Nel caso tu te la sentiresti, Fukawa-san?”.

“S-Scusate ma… Byakuya-sama non d-dice bugie. Onestamente p-preferirei di no”.

“Comprensibile. E sia, per stavolta sei esonerata. Allora…”.

“Vado io” si propose Mondo. Alla fine non gli pesava troppo, e così facendo risparmiava a tutti tempo e calcoli.

“Oowada è volontario. Questo restringe il campo a, come ho detto, Asahina e Ikusaba… a me e Fukawa, che però scartiamo… e a Ishimaru e Naegi. Chi fra voi quattro vuole accomodarsi?”.

“Dai, mi sacrificherò per la patria” annunciò la Nuotatrice con finta solennità. A Mondo fece piacere notare come, al contrario della prima volta in cui le era toccato, Asahina sembrava molto più a suo agio nel farsi avanti.

“Ikusaba? Ti va bene?”. Una scrollata di spalle le rispose ampiamente.

“Prego signori, la palla è vostra”.

I tre fecero tutte le procedure di rito ed entrarono.

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Capitolo 12
*** Alla fine complottari o no? Voi che dite? ***


La stanza numero 5 era decisamente più ampia di quelle che avevano visto fino a quel momento.

Era davvero grande, notò Aoi, e almeno in parte conservava un po’ dell’eleganza dell’arredamento del secondo piano e del piano terra, ma era decisamente più spoglia: il mobilio consisteva solo in nove banchi di scuola -simili a quelli delle elementari, pensò- posti al centro della stanza, mentre le pareti erano decorate dalle stampe di alcuni dei quadri più inquietanti che avesse mai visto.

“Ma che roba è questa? Sembra il parto di una mente malata!”

“Sono quadri piuttosto famosi, Oowada” replicò Ikusaba, “ma concordo sul loro contenuto… disturbante, per così dire.”
Aoi non poteva essere più d’accordo, anche se non l’avrebbe mai e poi mai detto ad alta voce. Era ancora indispettita nei confronti di Mukuro. Si avvicinò alle stampe e le studiò attentamente: nel primo c’era un gigante che divorava un corpo, o quel che ne restava. Lesse a bassa voce la targhetta: “Saturno che Divora i suoi Figli - Francisco Goya. Brr.”

Quello accanto ritraeva un gruppo di donne terrorizzate, sedute attorno ad una creatura umanoide con la testa di caprone (la targhetta recitava Il Sabba delle Streghe, sempre di Goya). Sulla parete centrale c’era una gigantografia di un quadro in tre parti: Aoi non era del tutto sicura di cosa dovesse rappresentare, ma a suo dire era piuttosto evidente che l’autore dovesse avere dei problemi. “Trittico del Giardino delle Delizie - Hieronymous Bosch” lesse, turbata da quell’ammasso di corpi che all’apparenza si accoppiava, danzava tra creature assurde o veniva torturato da bestie altrettanto orribili, si rintanava nel torso vuoto di un uomo o… suonava il flauto col sedere.

“Io non saprò niente di arte, ma chi lo ha dipinto doveva aver sniffato colla” commentò Mondo accanto a lei, che non riuscì a trattenere una risata.

“Beh, non mi pare ci sia granché da fare qui, o sbaglio?” continuò lui, ma Ikusaba lo corresse: “In realtà la stanza continua, ma è stata separata in due ambienti.”

I due raggiunsero il Soldato davanti a una parete con una finestra che dava sul resto della stanza: da quel che si vedeva c’erano altri nove banchi e poco altro; vide Mondo provare ad aprire la porta, ma era chiusa saldamente.

“Dite che c’è qualcosa che dobbiamo trovare dall’altro lato?” chiese il Biker con poca convinzione.

“Hmm… se devo seguire il mio istinto, direi di no” replicò Mukuro, “da quello che possiamo vedere da qui non mi sembra ci sia qualcosa di rilevante o che possa tornarci utile, e basandoci sul modus operandi di Zero in quel caso avremmo trovato degli ostacoli” rifletté ad alta voce, “invece quella porta la potresti benissimo abbattere con un paio di calci, non sembra particolarmente resistente.”

“Questo è vero, ma allora che ci facciamo qui?”

Aoi smise di prestare attenzione agli altri due perché qualcosa l’aveva incuriosita: i banchi in quella stanza erano nove. Qualcosa la spinse a contare i banchi nell’altra stanza, ed ebbe la conferma che anche quelli erano nove. Non era del tutto sicura, in fondo non era Kirigiri, eppure aveva il sentore che quel dettaglio fosse molto importante.

Decise che era il caso di mettere al corrente gli altri due: “Ragazzi… avete notato quanti banchi ci sono in questa stanza?”

Mondo e Ikusaba la osservarono un attimo perplessi, poi quest’ultima rispose: “Sono nove, perché?”

“Anche noi siamo nove, non lo trovate strano?”

“Beh ma ce ne sono altri nove nell’altra stanza” disse Oowada, “non credo che Zero volesse farci assistere a qualche lezione. Siamo pochini.”
“Sì ma… se ci fosse il resto della classe?”

“Saremmo diciassette, non diciotto.”

“Hm, vero” sbuffò lei, ma qualche istante dopo si ricordò di un particolare: “Però… se teniamo conto della foto…”

“...con la misteriosa Junko Enoshima saremmo diciotto” concluse Mondo, la cui espressione si era fatta improvvisamente cupa. “Vuoi forse dire che credi alla teoria cospirazionista di Ishimaru?”

“Non lo so a cosa credo, Oowada-kun, però tornano troppe cose per non pensarci” rispose Aoi, allargando le braccia. “La storia degli esperimenti è totalmente fuori di testa, ok, ma ogni singolo indizio che abbiamo trovato ci indirizza sempre lì!”

Mondo si passò una mano sul viso, forse ancora indeciso se credere o meno a quella teoria. Stava per dire qualcosa ma Aoi lo precedette: “I banchi sono diciotto, ma separati.”

“Eh?”

“Sono divisi in due stanze, non vi siete chiesti il perché?”

Sulle prime Mukuro e Mondo non risposero, colti forse alla sprovvista, poi quest’ultimo aggrottò la fronte: “Aspetta… ieri Fukawa non aveva parlato di quell’esperimento delle foto? Quello dei morfocosi…”

“Campi morfogenetici” lo corresse Mukuro, “ma sì, ricordo anche io. Ed effettivamente anche lì si faceva riferimento ad esperimenti fatti su gruppi che non avevano avuto alcun contatto tra loro, a parte quei presunti campi.”

“Esatto” rispose Aoi, gesticolando verso i banchi “e qui abbiamo una classe divisa a metà in due ambienti separati. Non so voi ma a me le coincidenze sembrano un po’ troppe.”

“Devi smetterla di farti passare sottobanco da Ishimaru Rettiliano 3000, Asahina. Ti frigge il cervello” disse ancora Mondo, molto incredulo di fronte ai pezzi del puzzle che piano piano parevano incastrarsi.

“Porca miseria!” sbottò la ragazza, un po’ frustrata da quella che percepiva come ottusità da parte di lui “Oowada-kun, chiedo scusa per la pessima imitazione di Kirigiri-san ma a questo punto ci vuole. Seguimi bene. Zero ci chiude in questo edificio millantando nei nostri confronti un qualche tipo di credito che dovrebbe riscuotere. Probabilmente dalla cassa continua delle nostre anime, a giudicare da quanto in basso ci ha colpiti. Ovviamente noi tutti cadiamo dal pero non avendo la minima idea di cosa stesse dicendo. Poi però scopriamo via via dei piccoli frammenti che si intrecciano: gli articoli sul signor Harada, il nome di Junko Enoshima, la foto della nostra quarta elementare con la bambina sconosciuta, le carte per la telepatia, il libro sui soldati che fanno esplodere le capre. Tutto converge verso uno scenario che ci fa finire come protagonisti di uno di quegli esperimenti. Ora abbiamo anche la controprova visiva coi banchi, che per una pura casualità sono nove come noi. Avanti Oowada-kun, capisco che sia a dir poco incredibile… ma i casi sono due: o quel che dico è vero, particolare più particolare meno, o Zero è un maledettissimo bugiardo che si diverte a prenderci per il culo in lungo e in largo. Ikusaba-san, tu che ne pensi di tutto questo?”.

Mukuro ebbe come un attimo di smarrimento, forse non si aspettava la domanda. Poi cercò di raccogliere le idee e rispose: “Sono davvero perplessa, Asahina. Da una parte quanto dici ha un suo senso, e anche un suo fascino macabro. Voglio dire, la nostra classe usata come cavie in un test sui poteri ESP da parte della Kibougamine… sì, è affascinante in una certa maniera malata. Ma d’altro canto posso immedesimarmi nello scetticismo di Oowada perché qua siamo ai confini della realtà e oltre, verso lo spazio sconosciuto. E non so se la definizione si applica meglio all’accademia o a Zero. Insomma, è un gran casino e non mi ci so raccapezzare”.

“Ragazzi” allargò le braccia Asahina, avvilita “non so cos’altro serva per convincervi. Lo ripeto, sono la prima a considerare ‘sta storia pazzesca, incredibile, assurda oltre ogni dire. Soprattutto in virtù del fatto che non ci ricordiamo niente. Niente, santo cielo! Niente! Saremmo stati dei topolini nella gabbia della scuola che avrebbe dovuto proteggerci dai pericoli del mondo esterno. È una cosa orribile, schifosa. Ma anche qui, se quanto dice Ishimaru-kun è vero… e più ne parlo, più ci credo… si potrebbe spiegare perché Zero ha abbaiato accusandoci di qualche tremendo peccato che avremmo commesso. Non ci ricordiamo nulla, perché non potremmo essere tutti vittime di amnesia? O magari ci hanno fatto il lavaggio del cervello e ci hanno cancellato la memoria”.

“Sì, va beh. Poi è passata la marmotta che portava la cioccolata da far confezionare nello stabilimento, però a cavallo di un mulo radioattivo”.

“Non sei spiritoso, Oowada-kun! Sto cercando delle possibili spiegazioni a questo problema!”.

“Mi spiace Asahina, non riesco a prenderti sul serio”.

“Ikusaba-san?”.

“Io sono più possibilista del buon Oowada e non rigetto l’ipotesi a prescindere. Capirai perché non salto a piè pari sul barcone del cospirazionismo, però”.

“Allora avanti, trovate voi una spiegazione sensata a tutto quello che ci è stato detto e a quello che abbiamo trovato. Avanti!”.

“Per tutti i kami, Asahina. Calmati, sei viola in faccia!”.

“No che non mi calmo! Come faccio a calmarmi di fronte a due testoni come voi che non vogliono collegare i puntini? Ishimaru aveva detto qualcosa sul numero di coincidenze, che quando diventano sei o sette le si chiama in modo diverso. Ha ragione, per la miseriaccia ladra porca!”.

Aoi ebbe un giramento di testa, il continuo strepitare come una bertuccia in calore l’aveva svuotata di parecchie energie. Magari fuori l’avevano sentita mentre sottoponeva la sua ugola d’oro a tutto questo sforzo.

Per fortuna Maizono non c’è, avrebbe potuto essere invidiosa della mia estensione vocale.

Si lasciò cadere a terra, spossata. Tentò di recuperare l’autocontrollo, riuscendoci solo dopo parecchi tentativi falliti. Il tutto nel silenzio costernato e un po’ imbarazzato degli altri due, che probabilmente l’avevano osservata tutto il tempo.

Dopo l’ultimo sospirone rialzò la testa e disse: “La richiesta di prima è ancora valida, Oowada-kun. Dai per buono che Zero ci abbia detto solo la verità e prova a ricostruire i fatti se ritieni che siano andati diversamente da come sostengo io”.

“Non… non lo so. Non sono uno di quei tizi tutto cervello e niente muscoli!”.

“Sia mai. Rifletti un secondo: sempre che Zero non sia evaso dal manicomio più vicino, tutto quello che ha fatto richiede preparazione. Costanza. Impegno. Perché sbattersi in questo modo per uno scherzo senza fondamento? Non gli sarebbe risultato più comodo dirottare il nostro aereo e tenerci in ostaggio, legati e imbavagliati, per ottenere un riscatto dalla scuola? Non ha il minimo senso prendersi la briga di mettere in piedi ‘sto circo del menga, con le prove e tutto il resto del carrozzone”.

“Su quello sono perfettamente d’accordo con te, Asahina” si inserì Mukuro “Solo uno squilibrato si sobbarcherebbe un lavoraccio del genere se non ci fosse qualcosa dietro. E qualcosa dietro qui c’è, non vedo altre possibilità valide”.

“Ecco, vedi? Assorbi un po’ del suo buon senso, non può che farti bene”.

Lo vide pensieroso, trincerato dietro un silenzio atto a guadagnare tempo per far muovere le sue rotelline cerebrali.

“Ti dirò di più” riprese lei, sentendo che il momento poteva essere quello giusto “Se persino due pragmatici come Kirigiri-san e Togami-san hanno dei forti sospetti su questa versione… cosa ti viene suggerito, che si siano rimbecilliti tutto ad un tratto? Entrambi, se non vogliamo già farlo valere per lui con tutto ciò che ha detto e fatto di strano nelle ultime ore?”.

Il reiterato silenzio del Motociclista le consentì di premere ulteriormente sull’accelleratore: “Oowada-kun, per l’ultima volta: dev’essere per forza così. Altrimenti questa pagliacciata manca completamente di senso… il che non è del tutto impossibile, è vero, ma togliti le fette di salame dagli occhi una buona volta”.

E finalmente qualcosa in lui parve smuoversi. Scosse la testa più di una volta, si stiracchiò come se si fosse appena svegliato, la guardò fissa nelle palle degli occhi e dichiarò: “Asahina, io agli UFO non credo. Alle amanti che ti lasciano scritto sullo specchio «Benvenuto nell’AIDS» non credo. Non ci credo. Ma tutto quello che sostenete tu e quell’altro esaltato di Ishimaru… mi scoccia ammetterlo, ma potrebbe avere delle basi solide. Me lo fa pensare soprattutto quanto ci ha detto Zero all’inizio, sempre con la faccenda dei peccati. Quindi, pur ribadendo che per me voi due vi siete sparati in endovena della roba davvero forte prima di partire, non posso negare che il vostro fervore mi abbia fatto venire qualche dubbio”.

Considerate le premesse iniziali, direi che mi posso ritenere soddisfatta.

“Bene litiganti, ora cosa dobbiamo fare? Continuiamo a non sapere…”.

CLACK.

“Ebbravi ragazzini, finalmente ci siete arrivati. Andate, non avete più motivo di restare qua”.

Che… che cosa?

“Zero! Cosa intendi?” berciò Mondo verso il soffitto.

Non ebbe risposta.

 

*

 

Mukuro Ikusaba era crucciata.

Mentre uscivano dalla stanza si soffermò a riflettere su un pensiero che la attanagliava da quando erano stati rinchiusi lì dentro: che senso aveva tutto questo? Così tanti sforzi per andare avanti, così tanto lavoro, eppure le sembrava che per ogni passo fatto avanti ne facesse due indietro.

Valeva davvero la pena, si chiese?

Era davvero la cosa migliore da fare?

C’era magari un altro modo?

O forse… forse doveva solo fermarsi. Forse stava sbagliando tutto e abbandonare era la cosa migliore, perché non c’era alcun senso logico in tutto quello che stava facendo.

Poi osservò i suoi compagni aggiornarsi su cosa conteneva la stanza 5, unire i punti, fare ipotesi.

Decise che forse valeva ancora la pena andare avanti, non arrendersi.

Forse stava facendo la cosa giusta.

 

*

 

“Quindi avevo ragione.”

“Non avevi ragione.”

“Hai appena detto l’opposto.”

“Ho solo detto che POTREBBE essere plausibile, che è ben diverso!”

Lasciò cadere il discorso, perché sapeva che battibeccare con Mondo era una cosa che rischiava di andare avanti all’infinito: la stupida sfida a chi resisteva di più in sauna che li aveva fatti diventare amici ne era la prova.

Si disse che non aveva importanza, per lui era comunque una piccola vittoria: Kiyotaka Ishimaru aveva ragione e la sua teoria non era campata per aria. Impossibile che lo fosse, se tutti gli indizi che avevano continuavano a parlare di esperimenti e bambini, persino Kirigiri e Togami lo appoggiavano. Non potevo avere garanzia migliore pensò.

Lasciò perdere i gongolamenti e tornò ad ascoltare il resoconto sulla stanza 5.

“Quindi siete usciti solo perché Oowada ha ammesso che la storia degli esperimenti è plausibile?”
“Proprio così, Kirigiri” rispose il Biker, e lei diventò pensierosa: “Nemmeno un indovinello, una prova, niente?”

Mondo fece di no con la testa: “Niente di niente. Persino la porta che separava i due ambienti era banale, senza tastierini numerici o altro. Avrei potuto buttarla giù con un calcio.”
“Hmm. Sembra quasi che volesse semplicemente che credessimo a questa storia, che la accettassimo” rispose Kyouko, subito seguita da Togami: “Una sorta di presa di coscienza.”

“Così sembra” intervenne Aoi, “ma continuo a non capire il perché di quell’arredamento. Ok, mi ha aiutata a fare due più due sugli esperimenti e mi ha fatta ripensare ai campi morfogenetici, ma non penso servisse solo a questo” disse, “ma come abbiamo detto non c’è stato tempo di approfondire perché Zero ci ha buttati fuori.”

Per un po’ rimasero tutti in silenzio, forse interrogandosi sul quesito posto da Asahina (come Ishimaru stava già facendo), oppure semplicemente riflettendo sugli esperimenti e la possibilità ormai concreta che qualcuno possa davvero averli messi in pratica su di loro. Pensò per un attimo di chiedere a lei, Mondo e Ikusaba di descrivere meglio la stanza, ma qualcuno lo precedette: “Puoi descrivermi la stanza?”

“Eh?”

“P-Puoi descrivermi di nuovo la stanza… p-per favore?” chiese di nuovo Fukawa, e dopo un attimo di smarrimento Aoi la accontentò: “Beh, come abbiamo detto era divisa in due da una parete posticcia con porta e una finestra, e in ogni ambiente c’erano nove banchi di scuola. Era piuttosto spoglia, ad esclusione delle stampe alle pareti…”

“M-Mi descriveresti anche quelle?” insistette la Scrittrice, e Ishimaru pensò che forse la ragazza aveva intuito qualcos’altro, dopo l’idea dei campi morfogenetici.

“Beh erano parecchio inquietanti” proseguì Asahina, “in una c’era un tizio che divorava un uomo… i suoi figli, diceva la targhetta.”

Saturno che Divora i suoi Figli?” chiese Touko, e l’altra fece un cenno d’assenso: “Sì esatto! Ce n’era un altro dello stesso autore, con una creatura dalla testa di capra, forse Satana?”

Il Sabba delle Streghe” confermò Fukawa, “ce n’erano altri?”

“Uno solo, molto grande… una roba davvero assurda! C’era gente che veniva torturata, altri che si accoppiavano, creature mostruose… un personaggio addirittura suonava il flauto col sedere!”

Lo sconcerto di Aoi destò qualche risata ma non in Touko, che invece annuì: “Il Trittico del Giardino delle Delizie.

“Wow, li conosci tutti” annuì Mondo, impressionato dalla cultura della ragazza. Quest’ultima però non sembrò badarci, concentrata com’era sulle sue riflessioni: “Goya e Bosch…” borbottò, grattandosi il mento.

“Scelte assai particolari, se quella stanza veniva usata per dei bambini” commentò Togami, ma Touko aveva già la risposta pronta: “Asahina ha detto che in quel momento le è tornata in mente la teoria dei campi morfogenetici… se il tipo di esperimento che veniva condotto in quella stanza era simile allora quelle stampe potrebbero aver senso” disse, ancora una volta senza balbettare. “Nel libro si faceva riferimento a questa teoria applicata alla telepatia, ricordate? Forse cercavano un modo per trasmettere informazioni direttamente da una persona all’altra, usando i campi morfici.”

“Spiegati meglio” insistette Togami, e a Ishimaru sembrò di assistere a una partita di tennis tra secchioni.

“In pratica il gruppo che osservava le stampe doveva memorizzarle e mandarle al gruppo nell’altra stanza, che non poteva ovviamente vederle.”

“Uno scambio di informazioni mentale” commentò lo Scion, e lei annuì: “Ma con dei bambini presumo sarebbe stato difficile usare le foto dell’esperimento originale, sono volutamente confusionarie e un ragazzino delle elementari probabilmente non le avrebbe interpretate nella maniera giusta.”

“E in quel caso l’informazione non sarebbe stata trasmessa correttamente” intervenne Ishimaru, ricevendo un cenno d’assenso da Touko: “Esatto. Invece con le riproduzioni di quei quadri presumo sia stato più semplice.”

“Ma perché?” chiese Mondo. “Insomma sono inquietanti già per un adulto, un bambino avrebbe avuto gli incubi per notti e notti di fila!”

“Penso fosse quello il motivo. Un’immagine del genere spaventerebbe un bambino, soprattutto se costretto a fissarla intensamente” rispose lei, facendosi pensierosa “gli rimarrebbe molto più impressa, abbastanza da inviarla correttamente agli altri bambini. E p-per avere gli incubi dopo.”

Calò di nuovo il silenzio, e Ishimaru si trovò a riflettere su quanto Fukawa aveva appena detto: se aveva ragione, era di una crudeltà terribile. Ci sono torture fisiche ben peggiori, si disse, ma era un trauma da non sottovalutare. E nulla gli impediva di spingersi oltre, pensò. Poi però gli sovvenne una questione un po’ più pratica da sottoporre agli altri.

“Scusate, ma credo che adesso abbiamo un piccolo problema.”

Kirigiri si voltò a guardarlo: “Ovvero?”

“Beh, apparentemente abbiamo perlustrato tutto l’edificio e non sembrano esserci altre stanze.”

“Accidenti, hai ragione!”.

“Cazzo. E ora che facciamo?”.

Ben presto il brusio aumentò di volume, abbastanza da assordare quei due o tre che non si erano fatti prendere dalla frenesia. Quindi i soli Kirigiri, Togami, Naegi e Ishimaru stesso.

Ci furono alcuni tentativi di riportare l’ordine miseramente falliti, annegati nelle urla e nelle esclamazioni di carestia e devastazione. A quel punto Byakuya si scocciò, batté un piede per terra e strillò: “Allora, la vogliamo piantare di fare le scimmie o cosa? Non è il momento di lasciarsi andare al delirio”.

Orpo. Il Super Erede è ancora vivo, là dentro.

“To-Togami-san, porca vacca… non c’è bisogno di alzare così tanto la voce”.

“In quel caso era indispensabile invece, Naegi. Altrimenti mi dici come ce la caviamo se quelli non smettono di saltellare?”.

“Non approvo particolarmente il modo, ma il fine sì. Devono finirla se vogliamo trovare una soluzione all’inghippo”.

“Kirigiri-san, anche tu?”.

“Eh insomma Naegi-kun, quando ci vuole ci vuole”.

Se non altro lo scoppio d’ira di Togami servì allo scopo e in poco gli altri si quietarono.

“Innanzitutto” riprese il loro autoproclamato leader “siamo sicuri di aver aperto ogni singola porta che abbiamo trovato?”.

“Avanti Kirigiri, non trattarci come dei cerebrolesi. È chiaro che la risposta è sì, persino noi arriviamo a capire che non dobbiamo lasciar indietro nulla”.

“Ok ok, non volevo offendere nessuno. Detto ciò, non è possibile che ci sia sfuggita una botola? Una scala nascosta? Qualcosa di simile?”.

“Beh, in teoria sì…”.

“E allora cerchiamola. In marcia gente, in marcia”.

Cominciarono dal piano in cui si trovavano, che però era davvero spoglio di qualunque cosa utile. Scesero al primo e lo perlustrarono centimetro per centimetro, a vuoto. Il piano terra li deluse allo stesso modo.

“Cavolo” si lasciò sfuggire Asahina mentre si dirigevano verso il sotterraneo “è una faticaccia”.

“Non è il momento di lamentarsi. Hai sentito qualcun altro farlo?” la riprese Kyouko.

“Ehi, non aggredirmi così! Lo dicevo tanto per dire…”.

“E allora parla di meno e cerca di più”.

Uhm. Credo che stia esagerando. E se lo penso io…

“Kirigiri-san” le si avvicinò “secondo me stai pretendendo un po’ troppo”.

“Me lo vieni a dire tu, Ishimaru? Davvero?”.

“Capisco l’esigenza di trovare questa benedetta scala o qualunque cosa sia. Ma non vuol dire che debba comportarti come un sergente istruttore stereotipato uscito direttamente da un film di guerra. Guardali, sono distrutti. E anch’io avrei bisogno di un attimo di riposo. Tu pure”.

“Non possiamo permettercelo”.

“Cos’è, vuoi prenderti tu il merito dei nostri scalpi al posto di Zero?”.

L’accusa, in realtà non intesa con particolare serietà, sembrò sortire un effetto placebo su di lei. Dopo aver fatto un passo indietro, la faccia più stupita che una persona di ghiaccio come Kyouko sapesse esprimere, si disse d’accordo con le rimostranze e concesse qualche minuto di tregua.

“Scusami Kirigiri-san, forse sono stato troppo duro…”.

“No Ishimaru, non scusarti. Sono io ad essere stata troppo dura. Ho preteso troppo da voi… e da me stessa. Ogni tanto mi dimentico che il corpo non è d’acciaio come la volontà”.

“L’importante è che te lo sia ricordato ora. Quanto ci lasci per recuperare un po’ il fiato?”.

“...un quarto d’ora. Non un istante di più”.

“Avete sentito? Possiamo fermarci un attimo”.

“Voglio proprio vedere come può contare i minuti senza un orologio sottomano…” si permise di dire Oowada, prendendosi una bella lavata di capo per l’impudenza.

Capisco che questa brutta storia ci metta tutti in uno stato di massima allerta, Kirigiri-san. Ma strafare è pericoloso, fisicamente e moralmente.

Ishimaru si appoggiò al muro, discretamente sfinito. Avevano setacciato i tre piani superiori palmo per palmo, angolo per angolo, pallina di polvere per pallina di polvere. Era stato davvero sfiancante.

E ciononostante si trovò inconsciamente a sorridere vedendo i suoi compagni che approfittavano della pausa scherzando e ridendo. A parte alcuni musoni di professione, come Ikusaba e la stessa Kirigiri, gli altri cercavano di tenere alto il morale (proprio e di tutto il gruppo).

Una cosa piacevole. Sapeva di aver fatto la cosa giusta chiedendo un piccolo stop, essere in eccessiva tensione li avrebbe solo danneggiati.

Dopo un po’ arrivò un fastidioso richiamo all’ordine: “Ok ragazzi, alzate le chiappe. Vi siete riposati abbastanza”.

Sì, direi che possiamo riprendere.

Si diresse, in compagnia di Mondo e Touko, verso la stanza 2. Quella dove, stando ai resoconti, Ikusaba aveva impartito a Togami una piccola lezione di umiltà.

“Bene. Sapete cosa fare” disse rivolto agli altri due.

Lui si dedicò alla parte dove si trovava il poligono di tiro. Senza volerlo gli caddero gli occhi sulle famose sagome, ora ferme. Rabbrividì nel vederle crivellate di colpi.

Non faremo questa fine. Non possiamo fare questa fine. Non ce la meritiamo.

Ispezionò la zona. In un primo momento senza trovare nulla, salvo poi accorgersi di una sorta di rigonfiamento sul pavimento.

“Ehi, venite qua! Forse ho trovato qualcosa”.

Quando Mondo e Touko si avvicinarono, Ishimaru indicò loro qualcosa sotto una cassa che conteneva armi scariche: “Per com’era coperta potevamo non trovarla mai.”

Sotto a quella cassa c’era una botola.

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Capitolo 13
*** Chissà, magari la corsa a ostacoli vi aiuterà in qualcosa ***


Scesero una scalinata piuttosto ripida e tortuosa per un tempo che a Kyouko sembrò interminabile: dovevano essere parecchio in profondità, e si chiese quanti piani ancora ci fossero lì sotto.

“Oh, finalmente siamo arrivati!”

L’entusiasmo di Asahina si spense quasi subito davanti alla semplice porta in acciaio che si parava davanti a loro, senza scritte rosse o dispositivi di riconoscimento.

“Ben arrivati. Questa stanza sarà un po’ diversa dalle altre.”

La voce di Zero riecheggiò per la tromba delle scale, donandogli una sfumatura decisamente spettrale.

“Quello che state per affrontare è un lungo corridoio ad ostacoli diviso in quattro sezioni, separate ognuna da una porta che si aprirà solo se saprete dare la risposta giusta al quesito che vi verrà posto. Se indovinate passerete alla sezione successiva. Semplice.”

Pure troppo pensò Kyouko, trovando quella spiegazione fin troppo povera di dettagli che in altre situazioni non erano invece mancati. Si chiese come avesse potuto sfuggirgli il particolare sulla personalità incostante di Zero, mentre in genere non le sfuggiva nulla; forse era stanca, magari la medicazione alla mano non stava facendo effetto.

Smettila di agitarti, la paranoia non ti aiuterà ad uscire di qui. Se stai morendo al momento puoi farci ben poco, solo aiutare i tuoi compagni a scappare e forse trovare una cura più efficace per le tue mani. Se invece non è così ti stai solo lasciando prendere dal panico, ed è molto probabile che sia questo il caso. Rimetti le rotelle in funzione.

Prese nota mentalmente che parlare da sola non era sintomo di una perfetta salute mentale, ma anche a quello avrebbe pensato dopo.

Attraversarono la porta e si ritrovarono in un corridoio stretto dal tetto basso (Oowada e Togami, i ragazzi più alti, non ci arrivavano per una decina di centimetri. Oogami lo sfiorava appena con la testa) da cui pendevano dei semplici neon.

Quando furono tutti dentro la porta si chiuse alle loro spalle di scatto.

Poco dopo cominciò a filtrare dell’acqua dal punto d’incontro tra pavimento e parete.

“Ma che-?”

“Da dove arriva?!”

Si inginocchiò per guardare più da vicino e notò i minuscoli fori da dove fuoriusciva l’acqua. Notò anche che il flusso era piuttosto lento, non si era nemmeno formata una pozza ai loro piedi… però quei rigagnoli sembravano scivolare verso il fondo del corridoio.

“Avete visto?” indicò qualcuno dietro di lei, che subito annuì: “A quanto pare il pavimento è leggermente inclinato, roba che non si noterebbe ad occhio nudo.”

“Ma perché farlo?” chiese Asahina, ma al momento la risposta di Kyouko era piuttosto vaga: “Direi che vuole allagare il corridoio.”

“Con un flusso d’acqua così debole?”

“Evidentemente vuole prendersela comoda. D’altronde siamo qui da almeno due giorni, ormai, è chiaro che Zero non ha particolare fretta di vederci morire.”

Continua a non avere senso però. Se siamo fortunati riusciremo ad uscire prima che l’acqua ci arrivi alle caviglie.

Il brusio alle sue spalle la richiamò all’ordine: “Ok ok, state calmi. Farci domande è inutile, andiamo avanti” disse, e si incamminò lungo il corridoio seguita quasi subito dagli altri.

Stavano per svoltare l’angolo quando sentirono un clack e un rumore simile a quello statico: uno dei neon si era parzialmente staccato e pendeva appeso ad uno dei fili elettrici.

L’altro filo sfiorava appena l’acqua.

“L’acqua conduce elettricità” sussurrò Naegi, gli occhi enormi ancora più grandi per via della paura di finire fulminato.

“Per questo il flusso d’acqua è debole. Non vuole friggerci subito” commentò Togami, con un mezzo sorrisetto nervoso. “Figlio di puttana.”
“Se pure lo Scion di ‘Staceppa è diventato volgare significa che siamo tutti fottuti” fu la risposta di Mondo, che nemmeno in quell’occasione riusciva ad impedirsi di fare della facile ironia su Togami (che comunque venne apprezzata e per un attimo quietò gli animi di tutti).

“Se continua a sgorgare in maniera costante, senza aumentare, possiamo farcela” disse Kyouko, riportando tutti coi piedi per terra e indicando la pozza d’acqua “al momento non è nemmeno a metà di questo primo tratto di corridoio. Se ci sbrighiamo è fattibile.”

Non persero ulteriore tempo e svoltarono l’angolo, ma appena prima di imboccare l’altra svolta del corridoio…

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!”

Un urlo agghiacciante riempì il corridoio, seguito da un tonfo come di qualcosa che cade pesantemente per terra. Era una voce giovane, forse di bambina.

“Che… che cosa è stato?”

“Che nessuno si fermi neanche per un istante” ordinò la Detective “O a quel grido presto si aggiungerà il vostro mentre diventate delle lampadine umane”.

Non si fecero pregare e proseguirono.

Ogni tanto Kyouko buttava un occhio all’indietro, giusto per assicurarsi della distanza fra loro e il flusso d’acqua. Era sempre abbastanza lontano ma era il suo essere inesorabile, non disposto a fermarsi di fronte a nulla a spaventarli. Persino lei sentiva un po’ di pressione addosso.

Devo concederti punti per l’idea, Zero. Non è affatto una brutta trovata per farci venire un infarto di gruppo.

Avanzarono fino alla prima porta, una lastra d’acciaio scesa dal soffitto a sbarrare loro la strada. Sul muro alla sinistra c’era un tastierino numerico.

“Primo ostacolo. Cominceremo dalle basi, qualcosa di semplice semplice. Un indovinello da scuola elementare. Se al mattino cammino con quattro gambe, al pomeriggio con due e alla sera con tre… cosa sono?”.

L’annuncio e la relativa domanda di Zero le suonarono gradassi. Detti con smargiasseria, quasi non gli importasse sul serio se sapevano o no la soluzione. E comunque era davvero semplice.

Potresti aver intuito qualcosa di importante, Togami.

“Un essere umano” dissero lei e lo stesso Togami all’unisono, stupendosi non poco del tempismo pressoché perfetto.

“Ma che bravi bimbi. Avanti, questa è superata”.

Il rumore di un meccanismo arrugginito, pochi secondi di attesa e la via fu libera.

Ripresero la marcia. La loro inseguitrice non l’aveva mai interrotta.

“Maledizione! Maledizione! Non riusciamo a distanziarla più di tanto!”.

“È normale Oowada, è acqua. Non è fisicamente capace di fermarsi”.

“Grazie al cazzo Kirigiri, non ci ero arrivato da solo!”.

“Per favore, contegno” lo rimbeccò Ishimaru, e per una volta non era solo l’eccessivo zelo a parlare. Non avevano alcun bisogno di dare fuori di matto in una situazione tanto delicata.

Il balletto fra loro e il piccolo fiume continuò fino alla successiva porta, che era identica in tutto per tutto alla precedente.

“Ora ci diamo un pochino più da fare” riprese Zero “ma sempre senza esagerare. C’è una spia che deve entrare in un complesso militare e si apposta per capire la parola d’ordine…”.

“Non ce ne frega nulla dei particolari! Vieni al sodo!”.

“Oowada, lascialo parlare”. Insomma, ti pare furbo interromperlo?

“Disturbami ancora una sola volta e ti buco il polso da parte a parte, hai capito? DICEVO. Si apposta per capire la parola d’ordine. Al primo soldato viene detto 12 e risponde 6. Al secondo 8 e risponde 4. Al terzo 10 e risponde 5. Tutti e tre entrano. Quando lui si avvicina sente 4. Quale dev’essere la sua risposta per impedire che lo scoprano? Inserite il numero corretto usando il comodo pannello”.

Con la coda dell’occhio sempre buttata alle loro spalle, i ragazzi si fermarono un secondo a riflettere. Sembrava così palese da essere troppo facile, persino più facile dell’altro quesito che pure era davvero di infimo livello.

Sì, erano di fretta e quindi non potevano permettersi troppe pause. Ma non sarebbe stato carino scoprire cosa c’era in serbo per loro in caso di risposta sbagliata.

Ovviamente però qualcosa andò storto. Perché Mondo, ancora lui (a quanto pareva l’idea di finire come quelli che muoiono fulminati da un phon acceso gettato in una vasca piena non lo allettava poi molto), decise che era la persona meglio attrezzata per rispondere. Questo nonostante la consapevolezza, comune all’intera classe, che in matematica rivaleggiava con Hagakure per i voti peggiori nella storia dell’accademia.

Quando si accorse che era scattato come una saetta verso il tastierino tentò di placcarlo ma gli sforzi fisici non erano decisamente il suo forte, al contrario di lui, e fu troppo lenta.

Lo vide premere il pulsante col 2 ed ebbe un brivido.

Dietro di loro di nuovo clack e il rumore statico.

“Non dovreste lasciar prendere decisioni a Oowada.”

Un’altra lampada era caduta, e come la prima penzolava attaccata ad un filo mentre l’altra estremità toccava l’acqua (che continuava ad avanzare ed era sempre più vicina).

Togami diede un pugno in testa a Mondo: “Dannato scimmione, ora siamo nei casini per colpa tua!”
“Invece di tirare questi pugnetti da bambino dell’asilo perché non ti rendi utile?!”

“Smettetela tutti e due!”

Neanche a dirlo, nessuno ascoltò Ishimaru e continuarono a strillare e accusarsi, mentre l’acqua era adesso a meno di due metri da loro.

“Ragazzi, per favore!” piagnucolò Asahina, e per un attimo Sakura dovette tenerli fermi afferrandoli per le giacche, come due cagnolini piccoli e dispettosi. Mentre tuonava loro di darsi una calmata Kyouko notò Touko farsi largo tra gli altri e digitare qualcosa sul tastierino.

La porta scivolò verso l’alto e loro corsero dentro, mentre Zero si faceva beffe di loro: “Dovreste affidarvi al Topo di Biblioteca, credo ne sappia più di voi.”

Quando la porta si richiuse alle loro spalle qualcuno domandò a Touko come avesse fatto e qual era la risposta: “S-Sette. La risposta giusta era sette” disse, e quasi tutti la guardarono straniti, almeno finché non si decise a spiegare: “L-Le parole d’ordine dell’indovinello non erano la metà di ogni cifra, m-ma il numero di lettere che lo compongono.”

“E quattro è composto da sette lettere, dieci da cinque e così via” annuì Togami. “Era semplice ma l’agitazione ci ha fregati tutti... qualcuno più di altri” punzecchiò Mondo, e la discussione ricominciò.

Kyouko si sentiva frustrata per la prima volta in vita sua.

Era un indovinello idiota e tu ci sei caduta con tutte le scarpe. Se non ti calmi non uscirai viva di qui, e nemmeno loro.

Inspirò un paio di volte per riacquistare la sua compostezza, poi impose al resto del gruppo di riprendere la marcia, che l’acqua era già filtrata sotto la porta.

 

*

 

Qualcosa non andava in Kirigiri-san.

Per quanto lei cercasse di non darlo a vedere, Makoto aveva notato che la ragazza non stava bene: la sua espressione era tesa, il sudore le imperlava la fronte e nelle ultime ore c’erano stati piccoli scatti d’ira che non erano assolutamente da lei. Si era chiesto se non c’entrasse la possibile infezione delle bruciature, ma fisicamente sembrava star bene.

È la testa che non va.

Un pensiero poco gentile ma più che lecito: il nervosismo, la mancanza di pazienza, tutti quei dettagli che le erano sfuggiti (cosa inconcepibile per lei che era la Super Detective)...

Forse è stanca. O magari la tensione sta sfiancando anche lei.

Sospirò e proseguì a camminare lungo il corridoio, sempre con l’acqua alle spalle e i neon che minacciavano di cadere da un momento all’altro; l’idea di non poter fare nulla per lei lo demoralizzava, ma in ogni caso non era il momento migliore per farle da infermiere, pena il finire fulminati sul posto.

Prima usciamo meglio è.

Arrivarono davanti alla terza porta, e Makoto notò una piccola rientranza sulla sinistra.

“Questa volta ve la dovrete vedere con un indovinello pratico: di fianco a voi c’è un tavolo con sopra sei fiammiferi. Dovete usarli per formare quattro triangoli equilateri, senza piegarli o spezzarli.”

Vietarono espressamente a Mondo di avvicinarvisi dopo il precedente spettacolo, e poi si tuffarono quasi tutti sul tavolo: fecero diversi tentativi, ma le uniche combinazioni possibili erano due triangoli formati da tre fiammiferi o un triangolo composto da tutti e sei.

“Come diamine ne ricaviamo quattro triangoli?”

“Zero ci prende per il culo, è ovviamente impossibile!”

“Calma, ragioniamo! Deve esserci una soluzione che non riusciamo a vedere…”

Hm.

Quella frase ricordò a Makoto i finti processi che uno dei loro docenti usava organizzare una volta a settimana (una versione riveduta e corretta, e decisamente più divertente, delle gare di dibattito dei college americani): per risolvere i finti casi il professore diceva sempre loro di non soffermarsi su una sola visione, ma di guardare la situazione anche da un altro punto di vista per poter cogliere dettagli prima invisibili.

E Makoto, per una volta poteva concedersi di dirlo, era davvero bravo in quello.

Si avvicinò di più al tavolo e osservò i fiammiferi, al momento disposti sul piano a formare un triangolo enorme.

Piano… superficie piana.

“Dimmi che almeno tu hai un’idea, Naegi-kun! Qui non sappiamo che pesci prendere!” piagnucolò Asahina, e lui le sorrise rispondendo…

Pensare al di fuori degli schemi.

Si voltò verso Togami, che gli restituì uno sguardo altrettanto sorpreso.

“Oddio, se pure Naegi-kun è sulla stessa lunghezza tonda dello Scion di ‘Staceppa per l’universo è la fine” li punzecchiò Mondo, ma nessuno gli diede retta.

Byakuya guardò di nuovo Makoto, poi fece un mezzo sorrisetto: “Dimenticavo che sei tu quello bravo nei finti processi di classe” disse, e con un gesto della mano gli indicò i fiammiferi, lasciando a lui l’onore di risolvere l’enigma.

Makoto sorrise, gli fece un cenno della testa e poi si chinò sul tavolo: afferrò tre fiammiferi e fece un triangolo, poi prese gli altri tre e li posizionò sopra gli altri fino a formare una piccola piramide.

Il resto della classe lo guardò stupefatto.

“...ammetto che non avevo pensato alla possibilità di fare un triangolo 3D” ammise Ishimaru, e tutti commentarono sulla stessa linea. Solo Kyouko rimase in silenzio, con quella frustrazione che le aleggiava attorno come una cappa di oscurità pronta ad inghiottirla.

Finirà presto, Kirigiri-san. Te lo prometto.

“Ma che bravo il nostro Super Fortunello! Prego, passate pure.”

Zero azionò la porta e loro la attraversarono appena in tempo, perché l’acqua era a mezzo metro da loro.

“Questo è l’ultimo tratto, ragazzini. Divertitevi.

Non aggiunse altro, lasciandoli in un completo silenzio ad eccezione dello sciabordio dell’acqua e il ronzare dei neon.

Quel corridoio sembrava un po’ più lungo e particolarmente tortuoso: dovettero svoltare diverse volte, sempre inseguiti dall’acqua e con l’ansia che un’altra lampada cadesse; nessuno disse nulla, nemmeno Kirigiri che, Makoto lo notò, era tesa come una corda di violino.

Se cedi tu siamo finiti.

Arrivarono alla porta senza intoppi, ma trovarono qualcosa ad attenderli.

Gettato per terra c’era il corpo di una ragazzina dai voluminosi codini.

Alcuni gridarono e lui riconobbe le voci di Fukawa e Asahina, ma non ebbe tempo di dire nulla perché un pensiero gli attraversò la mente.

“J-Junko-chan…”

 

“Makoto-kun! Makoto-kun, aiutami!”

Junko perdeva sangue dal naso e dalle orecchie. Si era inginocchiata per terra, piegata in avanti come se qualcosa di enorme e pesante cercasse di schiacciarla.

“Junko-chan!”

“Vieni via Naegi-kun, quel vetro sta per cedere!”

“Ma non possiamo lasciarla qui!”

“Andiamo! Non c’è più nulla da fare!”

Mentre Togami-kun lo trascinava per un braccio si voltò a guardare ancora Junko che si premeva le tempie con le mani.

“Smettila… smettila, ti prego…”

La vide accasciarsi per terra, la stanza sempre più calda per via dell’incendio.

Junko si mosse un’ultima volta, poi smise del tutto e il vetro esplose.

 

“...egi-kun!”

“Naegi, mi senti?”

Quando tornò in sé si accorse di avere le guance umide e il resto della classe lo circondava, una miriade di occhi che lo osservava preoccupata.

“Naegi-kun, che ti è successo? Perché piangi?”

“S-Sembravi svenuto!”

Gli ci volle qualche secondo prima di riuscire a mettere insieme una frase coerente.

“Io… io mi ricordo di Junko Enoshima.”

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Capitolo 14
*** Una ricostruzione dei fatti forse attendibile o forse no ***


Touko Fukawa, come tutti, credeva di essere stata scagliata su Marte con una catapulta.

“Tu COSA?”.

“Ricordi… Junko Enoshima?”.

“Non ci credo!”.

“Cazzate!”.

I nove ragazzi erano tutti fermi, momentaneamente dimentichi dell’acqua killer che li stava lentamente pedinando.

La loro attenzione era tutta focalizzata sulla faccia arrossata e ancora un poco bagnata di Makoto Naegi, il quale pochi secondi prima aveva sussurrato qualcosa difficile da concepire.

Questo… questo è assurdo. Come può ricordarla... solo lui e noi no? Dovremmo… farlo tutti…

“Naegi-kun, n-ne sei… sicuro?” si azzardò a domandare.

“Sicurissimo” rispose con voce ancora malferma ma piuttosto convinta, indicando il corpo davanti a sé “È lei. Non mi posso sbagliare”.

“Ti rendi conto che è impossibile, vero? Se aveva la nostra età non può essersi conservata così bene” ribatté Togami, e Touko si trovò a dargli ragione. Era vero, un cadavere non si mantiene in tali condizioni per tutti quegli anni. A meno che non fosse stato sigillato in una teca sottovuoto o qualcosa del genere, ma pure in quel caso i segni del tempo si sarebbero manifestati in un modo o nell’altro.

“Non so cosa dirti, Togami-san. Io so per certo che quella laggiù… è Junko-chan. Ho ricordato”.

Fu un secondo. Un casuale sguardo nella direzione di Kyouko bastò a Touko per vederla aggrottare leggermente la fronte, come se qualcosa di quanto da lui detto l’avesse colpita in maniera particolare.

“Gente, ci stiamo dimenticando dell’elettricità! Io non voglio finire arrostito come un pollo fritto!” berciò Oowada, e la maggioranza dei presenti gli diede ragione.

“Ok” prese in mano la situazione Kirigiri “Oogami, occupati del corpo. Ikusaba, aiutami a portare Naegi che non vorrei ci svenisse addosso rallentandoci”.

“F-Faccio io, se per voi va bene” si offrì volontaria, respingendo al mittente più di un’occhiata perplessa e/o stupita.

Oh insomma, che volete? Non posso neanche aiutare l’unica persona che mi tratta in maniera decente?

“Nessun problema, Fukawa” tagliò corto la Detective.

Le due presero un braccio ciascuno del poveretto, che si divincolava protestando e ribadendo che non serviva tutto quel circo perché stava bene e riusciva a camminare da solo.

“Può darsi Naegi-kun, ma non si sa mai” gli tappò la bocca Kyouko.

“Ma… ma…”.

“L-Lascia che ti aiutiamo… te lo meriti” si ritrovò a dire Touko, arrossendo visibilmente.

“Oh. Va bene”.

“Naturalmente, quando avremo superato questa folle corsa a ostacoli, dovrai spiegarci meglio. Sono molto interessata, e immagino di non essere la sola”.

“No, non sei proprio la sola” intervenne Ishimaru, supportato da praticamente tutti gli altri.

“Certo che sì, Kirigiri-san” confermò lui.

Si avvicinarono al punto dove giaceva il cadavere, preceduti da Sakura. Quando quest’ultima lo raccolse…

“Ehm... “.

“Qualche problema, Oogami?”.

“L’acqua!”.

“Questo…” disse l’Artista Marziale, pur essendo palesemente a corto di parole.

“Questo?”.

“L’acqua!”.

“Questo… non è un corpo umano…”.

“Che cosa?” eruttarono tutti, tranne Oowada che continuava a far presente dell’acqua. Beccandosi una lavata di capo, è proprio il caso di dirlo, da Ishimaru.

“Ci pensiamo dopo” sentenziò il leader.

“Ma…”.

“Ho detto dopo. Mi devo alterare per caso?”.

“F-Fate come dice, per carità!” la spalleggiò ancora Touko, preoccupata per l’acqua e la tetra scoperta e Naegi che accanto a lei aveva preso a tremare.

E forse… forse… anche un po’ per lei che mi sembra strana… ma non diciamolo ad alta voce…

Per fortuna i moti insurrezionali si quietarono subito e poterono proseguire.

Giunsero di fronte alla quarta porta.

“Molto bene. Questo è l’ultimo trabocchetto che vi ho preparato” tuonò la voce di Zero “C’è un automobilista che sta guidando la sua vettura. A un certo punto mette la freccia a sinistra e comincia a svoltare a destra. La cosa è del tutto normale, né i passeggeri a bordo né gli altri automobilisti gli dicono nulla. Risolvete il mistero”.

Parecchi sguardi interdetti.

Era un quesito… stupido. Ma non di risposta immediata, dato che nessuno si lanciò nel darla con sicumera.

Passarono alcuni secondi di incertezza.

Poi, pensò Touko, qualcosa si doveva essere spezzato nel continuum spazio-temporale.

Di tutti loro fu Mondo Oowada a uscirsene con la soluzione: “Ma non mi dite, siete tutti ammutoliti? Eppure è piuttosto semplice. Tiè Zero, eccoti la tua risposta: sta facendo un sorpasso in una curva a destra, quindi deve comunque sterzare in quella direzione”.

Lo stupore generale era difficile da descrivere, specie se si considerava il precedente exploit del Motociclista con l’enigma delle password.

“Che volete da me?” chiese scandalizzato “Non posso ogni tanto dirne una giusta anch’io? Che compagni stronzi che mi ritrovo, oh”.

“E tu come fai ad esserne sicuro, di grazia?” chiese Togami, a cui Mondo rispose pacatamente: “Io ce l’ho la patente. E tu?”

E a conferma della corretta risposta, la porta si alzò.

“Salvati da Oowada, rendetevene conto.”

“Ehi!”

“Piantala di ringhiare a vuoto e muoviti!” lo spintonò Ishimaru, e quando tutti furono passati la porta si chiuse alle loro spalle. Filtrò un po’ d’acqua ma sembrò arrestarsi poco dopo, come se il flusso fosse stato interrotto, ma nel dubbio nessuno si fermò e scesero la scalinata che avevano davanti.

Si ritrovarono in una piccola stanza spoglia, e ad attenderli un’altra porta che si apriva su un’area piuttosto ampia con sei stanze (compresa quella da cui erano usciti), due porte per lato; sul lato libero, quello della porta d’ingresso, erano ammassate casse di legno e un paio di vecchi tavolini di ferro con relative sedie, impilate l’una sull’altra. Decisero che era il momento migliore per fare una sosta.

Touko preferì accoccolarsi su una delle casse, che era enorme e poteva farci stare anche le gambe, gli altri si litigarono le sedie rimanenti. Scoprirono anche che alcune scatole contenevano bottigliette d’acqua, cosa che gradirono dopo la corsa ad ostacoli.

“Ok, ora che siamo comodi abbiamo alcune questioni da affrontare” proruppe Kyouko, che seduta ad uno dei tavolini con le mani incrociate davanti al viso incuteva un certo timore. “Oogami, hai detto che il corpo che abbiamo trovato non è umano?”

Sakura annuì e si alzò per mostrarlo a tutti: “È una bambola. Molto realistica, indubbiamente, ma solo una bambola.”

In effetti era molto realistica, pensò Touko, persino il sangue sul suo viso era fatto fin troppo bene.

“Quel figlio di puttana di Zero ci ha quasi fatto morire d’infarto” ringhiò Mondo, “io credevo davvero avesse ucciso una ragazzina!”

“Inoltre è abbigliata esattamente come la defunta Junko Enoshima nella foto che abbiamo trovato, per indurci a credere che fosse davvero lei” aggiunse Togami, “il motivo però mi è oscuro.”

“F-Forse voleva ci ricordassimo di lei.”

Touko sussultò sentendo la voce cupa di Naegi, seduto accanto a lei.

“Il che ci porta alla seconda questione” annuì Kyouko, “Naegi-kun, tu sei sicuro di ciò che dici?”

“Sicurissimo” disse lui, lanciandole uno sguardo insolitamente duro “quando ho visto il cor… il fantoccio per terra mi è tornato alla mente un ricordo in cui c’era lei… se l’avessi visto, Kirigiri-san, non dubiteresti delle mie parole.”

Anche Naegi-kun sembra essersi innervosito pensò Touko, e si disse che era davvero il momento peggiore per perdere le staffe. Decise quindi di provare ad intervenire: “P-Potresti descrivercelo?”

“Eh?”

“I-Il ricordo, dico… magari ascoltandoti p-potrebbe tornare in mente q-qualcosa anche a noi.”

L’idea era sensata e tutti si dissero d’accordo.

Naegi rimase in silenzio per un po’, poi si decise a parlare: “Eravamo bambini. Stavamo in questa stanza enorme e calda, credo ci fosse un incendio e un vetro stava per esplodere. Junko… Junko-chan” si corresse, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe “lei mi chiedeva aiuto. Stava male, piangeva e… e le colava sangue dal naso e dalle orecchie.”

Touko si coprì la bocca con la mano, mentre nella sua testa l’idea degli esperimenti su bambini diventava sempre più reale; attorno a lei tutti guardavano Makoto sgomenti. Lui sollevò lo sguardo e si voltò verso Byakuya: “C’eri anche tu, Togami-san. Anche se ti chiamavo Togami-kun” sorrise. “Mi tiravi per un braccio dicendo che il vetro stava per esplodere” proseguì, “io ti dicevo che non potevamo andarcene, che dovevamo portare via Junko-chan ma tu ripetevi che non potevamo fare nulla per lei.”

Touko vide Togami realmente sconvolto, per la prima volta da quando lo conosceva.

“Poi… poi Junko-chan si è accasciata a terra con le mani alle tempie, diceva a qualcuno di smetterla. Poco dopo i suoi movimenti sono cessati e il vetro è esploso” tirò su col naso, “e poi mi sono ripreso.”

Tutti rimasero in silenzio, forse perché non sapevano cosa dire, o forse cercavano anche loro di riportare a galla quelle memorie, tentando di incastrare il ricordo di Naegi-kun da qualche parte tra i loro.

“Aspetta, io… io mi ricordo di questa cosa.”

Si voltarono verso Togami, il cui sguardo attonito cominciava a destare preoccupazione: “Sì io… ricordo vagamente qualcosa del genere, che tiravo Naegi per un braccio e che c’era un incendio” bisbigliò “e… e la bambina con i codini. La bambina era Junko Enoshima.”

“S-Se sono in due a ricordare significa che lei è esistita” disse Touko, “ma che per qualche ragione non ricordiamo niente.”

“Ma com’è possibile?” chiese Asahina. “Parliamo di anni interi cancellati, dell’esistenza di una persona! Come ci sono riusciti? E chi?!”

“A questo punto direi che possiamo prendere per buona l’idea che la Kibougamine sia coinvolta” disse Kyouko, e nessuno ebbe la forza o i motivi per contraddirla.

“Ok, ma rimane il quesito su come ci siano riusciti” puntualizzò Ishimaru, e fu Touko a rispondere: “E-Esistono tecniche di ipnosi c-che lo consentono.”

“Si possono cancellare i ricordi con l’ipnosi?!”
“N-Non proprio, però c’è c-chi dice che sia possibile almeno reprimerli” replicò lei “anche s-se non tutti nella comunità scientifica l-lo accettano.”

“Magari è colpa di quei morfocosi” si intromise Mondo. “Insomma, se è vero che ci hanno fatto questi esperimenti chi ci dice che quei campi non ci abbiano fatto qualcosa al cervello?”

Togami stava come al solito per dirgli di provare a usarlo il cervello, ma Touko lo zittì: “In realtà n-non mi sembra un’idea poi così assurda.”

Lo Scion inarcò un sopracciglio: “Tu dici?”

“Beh, s-siamo sempre nel campo delle ipotesi. Ma i campi morfogenetici sono raggiungibili s-solo attraverso determinate aree del cervello, e non si può escludere c-che possano a loro volta agire su di esso” rifletté, “s-soprattutto in una s-situazione di stress com’era quella del ricordo di Naegi-kun.”

“E probabilmente in combinazione a qualche seduta di ipnosi mirata…” proseguì Togami, senza però concludere la frase. Tutti avevano ormai chiaro il concetto.

“Dunque” prese la parola Sakura “fatemi provare a riassumere, ricostruendo lo scenario con le informazioni che abbiamo in mano e le nostre teorie. Almeno fino alla quarta elementare eravamo una classe di diciotto persone e non di diciassette, volendo considerare del tutto valida la presenza di Junko Enoshima. Poi…”.

“È così ti dico, è così!” si infervorò Makoto “In quel corridoio ho avuto il flash del momento in cui è morta, e anche Togami-san l’ha ricordato!”.

“Ok ok, scusa. C’era anche Enoshima. Poi l’accademia decide di usarci come cavie in un esperimento sui campi morfogenetici, che per come sono strutturati richiedono un gruppo di trasmittenti e uno di riceventi. Ricordo male, Fukawa-san?”.

“No, è p-proprio così…”.

“Questo spiegherebbe un aspetto che finora abbiamo trascurato, cioè perché siamo qui in nove e non tutti e diciassette. Presumo che all’epoca fossimo stati divisi in due gruppi, e coloro presenti qui in questo momento probabilmente facevano parte dello stesso. Non so dire se riceventi o trasmittenti”.

“Giudicando dal resoconto di Naegi” disse Mukuro “direi che noi eravamo i riceventi. Se Junko implorava qualcuno di smetterla… non potrebbe essere che le stessero trasmettendo qualcosa tramite questi campi?”.

“Possibile” confermò Kyouko “Avrebbe senso. Non che sia una nozione poi così importante, ma il tuo ragionamento fila”.

Sakura riprese: “Succede qualcosa di imprevisto e la nostra sfortunata compagna perde la vita. Se quanto hanno suggerito Oowada-kun e Fukawa-san è vero, un misto di effetto residuo dei campi e di tecniche di ipnosi hanno inibito la nostra memoria facendoci dimenticare tutto”.

“A ‘sto punto la possibilità che la scuola ci abbia messo il naso è molto forte, dando per assodato il resto dell’impianto accusatorio. Perché le teste d’uovo avevano tutto l’interesse a che noi non ricordassimo nulla, sennò avrebbero corso il rischio che qualcuno potesse spifferare alla stampa e rovinare per sempre il prestigio della Kibougamine”.

“Concordo, Togami. E poi, se hanno toccato il fondo sperimentando in maniera selvaggia su dei bambini di neanche dieci anni... “.

“Al confronto giocare con le spirali ipnotiche è uno scherzo innocuo, già”.

“Questo è quanto, più o meno. Certo, mi sfuggono ancora parecchi elementi…”.

“Del tipo?”.

“Beh, ad esempio… che ci facciamo qui? Cosa vuole Zero da noi? Siamo le vittime, non di certo i carnefici. A rigor di logica ora qua dovrebbero trovarsi i membri del consiglio di amministrazione della Kibougamine, o chiunque abbia avvallato queste idee malate”.

L’obiezione di Sakura li gettò un po’ tutti nello sconforto. Aveva sin troppa ragione nel porsi domande del genere.

Loro non c’entravano. Anzi, al pari della povera Junko erano coloro che quella assurda tortura l’avevano subita e non di certo architettata.

“E se Zero… fosse uno di quelli che avevano deciso di sperimentare sulla nostra pelle? Non potrebbe essere?” chiese Ishimaru.

Touko pensò che, se così fosse stato, avrebbe forse giustificato la loro presenza in quel luogo. Ma…

“Non torna” disse secca Kyouko “Innanzitutto perché prendersi tutta questa briga da parte sua, o loro che sia? Perché non limitarsi a tapparci la bocca in maniera semplice, magari mandando qualche scagnozzo a tagliarci la gola mentre dormiamo?”.

“Accidenti Kirigiri, non serve essere così macabra” protestò timidamente Aoi, venendo liquidata da un cenno della mano: “Credi che simili porci pazzoidi si farebbero tanti patemi a sistemare il problema alla radice?”.

“Magari no, ma è lo stesso brutto da sentire”.

“E comunque” continuò la Detective “c’è un altro fondamentale motivo per cui quanto hai detto non può essere vero, Ishimaru. Il motivo è semplice: Zero non sta insabbiando la storia, Zero ce la sta raccontando”.

L’ultima frase, anche se detta in tono neutro, scatenò una ridda di esclamazioni e urla.

“Cosa intendi, Kirigiri?”.

“Quello che ho detto. In cosa sono consistiti gli indizi che abbiamo rinvenuto finora? Perché lasciarceli se noi non ricordavamo nulla di nulla? Perché arrivare a farci trovare una bambola con le fattezze di Enoshima, messa in una posizione tale da scatenare il ricordo in Naegi prima e in Togami poi? Il suo scopo mi sembra evidente. Vi pare che se dietro il suo nome si nascondesse la Kibougamine il risultato sarebbe stato questo?”.

“No, hai perfettamente ragione” la sostenne Byakuya “Come ho detto prima l’accademia non può correre un pericolo simile. Volontariamente, peraltro. Saranno stati terrorizzati al solo pensiero che una o più persone potessero farsi tornare in mente qualcosa, imboccarci fino a permetterci di ricostruire gli avvenimenti è un atteggiamento suicida”.

“Il problema però resta lo stesso: ipotizzando che Zero sia in qualche modo implicato nell’esperimento in cui Enoshima ci ha lasciato le penne… allora perché prendersela con noi?”.

Ishimaru intervenne a gamba tesa: “Ci stiamo dimenticando di una cosa, cioè che Zero ha parlato esplicitamente di nostri peccati. A questo punto mi viene da chiedermi: che possa avere ragione in qualche modo? Se il decesso di Enoshima fosse imputabile a noi nove?”.

Altro giro, altro coro di reazioni inconsulte.

“Ma eravamo dei bambini! Come possiamo aver causato la morte di una nostra compagna?”.

“Non sto dicendo che sia andata così, sto solo cercando di immedesimarmi in lui. Dare per buono che ci creda colpevoli spiega perché siamo qui ora. Ci sta punendo per quello che percepisce come un nostro torto”.

“Ma perché dovrebbe farlo? Chi è Zero? Perché si sta vendicando di noi in nome di Enoshima, sempre che sia lei il motivo di tutto questo?”.

“Non lo so Asahina-san, non lo so. Purtroppo non sono dentro il suo cervello e non ho idea di cosa possa sapere che noi non sappiamo… o ricordiamo. Kirigiri-san, cosa dici in proposito?”.

Tutti la guardarono e lei, sempre nella posa di quel personaggio degli anime, scostò appena la testa dalle mani: “Potresti aver in parte ragione, Ishimaru. Non abbiamo reale idea di cosa sia successo durante quel periodo e, visto che non ricordiamo nulla se non i pochi sprazzi di cui ci ha parlato Naegi-kun, non possiamo escludere che Enoshima sia morta a causa di qualcosa che abbiamo fatto. Di primo acchito direi involontariamente, credo con quasi totale certezza che dei bambini tanto piccoli in una situazione tanto brutta manchino della volontà di uccidere. O forse è una convinzione errata di Zero, noi siamo innocenti ma per qualche misteriosa causa lui pensa che la colpa sia nostra”.

 

*

 

Nonostante il principio di mal di testa e quell’inspiegabile nervosismo che non la lasciava in pace, c’era un particolare che non le era sfuggito.

 

“Questo spiegherebbe un aspetto che finora abbiamo trascurato, cioè perché siamo qui in nove e non tutti e diciassette. Presumo che all’epoca fossimo stati divisi in due gruppi, e coloro presenti qui in questo momento probabilmente facevano parte dello stesso. Non so dire se riceventi o trasmittenti”.

“Giudicando dal resoconto di Naegi direi che noi eravamo i riceventi. Se Junko implorava qualcuno di smetterla… non potrebbe essere che le stessero trasmettendo qualcosa tramite questi campi?”.

 

Quelle due frasi avevano fatto trillare il suo senso di Super Detective.

Ragioniamo un attimo: la nostra classe attuale è composta da diciassette alunni. Secondo Zero Enoshima ne faceva parte, cosa confermata dal ricordo di Naegi-kun: questo porta il numero a diciotto, rendendoci quindi perfetti per l’esperimento con i campi morfogenetici.

Il ragionamento filava fino a quel punto. C’era una sola cosa che le faceva storcere il naso.

 

“Giudicando dal resoconto di Naegi direi che noi eravamo i riceventi.”

 

Era quel “noi”, detto da Ikusaba, a suonarle strano. Perché se i riceventi erano loro più Junko il numero del gruppo saliva a dieci, rimanendo con un gruppo trasmittente di otto bambini e sbilanciando il tutto. Magari Ikusaba ricordava male, si disse, era stata una trasmittente e non lo ricordava.

...e allora che ci faceva sull’aereo con noi?

In un piano così elaborato era lecito credere che Zero avesse pensato a tutto fin nei minimi dettagli, e che quindi la loro presenza su quell’aereo specifico fosse tutt’altro che casuale.

Tuttavia non poteva sospettare di Mukuro, anzi per quanto ne sapeva al momento chiunque di loro poteva essere un “intruso”.

Intruso… magari Zero stesso o un suo tirapiedi. O qualcuno che sa più di quanto non voglia ammettere.

Inspirò, chiuse gli occhi e si impose di calmarsi. A rifletterci l’idea che una talpa fosse nel gruppo non le sembrava del tutto campata per aria, ma non aveva alcuna prova certa a sostegno della sua tesi, ad esclusione di quella frase apparentemente fuori posto.

Per ora terrò queste ipotesi per me, almeno finché non avrò prove un po’ più concrete.

Si appuntò mentalmente di parlarne a Naegi-kun e Togami. Non poteva escluderli del tutto da quella sua teoria, ma il ricordo di Makoto li rendeva meno sospetti di altri.

E poi, se devo fidarmi di qualcuno, loro sono i più idonei.

Decise che era il momento di riprendere le danze.

“Bene, dopo questa chiacchierata è ora di rimettersi all’opera” disse, alzandosi. “Ad esclusione di quella da cui siamo entrati abbiamo ben cinque stanze, di cui tre numerate. Le ultime tre, ad essere precisi.”

Notò un misto di terrore ed eccitazione sui volti dei suoi compagni: la fine era ormai vicina.

Qualunque essa sia.

Solo tre stanze numerate li separavano dal possibile faccia a faccia con Zero.

“Ok, tiriamo fuori le calcolatrici.”

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Capitolo 15
*** Avanti truppa, dividiamoci e che ce la mandino buona un'ultima volta ***


Byakuya Togami non vedeva l’ora che finisse, anche se sospettava fortemente che lo stesso valesse per tutti gli altri (quanto gli faceva strano pensare a un gruppo invece che alla sua sola, augusta persona).

E così, quando Kirigiri dichiarò che era ora di tirar fuori le calcolatrici per mettersi sotto con le porte numerate, non si vergognò troppo nel provare un piccolo brivido di piacere. Anche se un dubbio gli sfrecciò in testa.

“Kirigiri” disse.

“Cosa c’è, Togami?”.

“Non credi sarebbe meglio prima esplorare le due stanze libere?”.

“Uh? Perché la pensi così?”.

“Nessun motivo in particolare. Solo credo sia meglio finché siamo tutti uniti. Non abbiamo idea di cosa possa succederci là dentro”.

“Non è neanche detto che possiamo coprirle tutte e tre in contemporanea, sai”.

“In realtà sì, la possibilità c’è”.

“Mi stai dicendo che hai già assegnato tre persone a porta?”.

“Devo essere onesto? Sì, l’ho fatto. Io, il gorilla e Ishimaru nella 8; tu, Fukawa e Ikusaba nella 1; Asahina, Naegi e Oogami nella 9”.

“Scion di ‘Staceppa!” fu l’ovvia esclamazione di Oowada, ma Byakuya non mancò di notare un tono più scherzoso nel soprannome. E, dovette ammettere, anche in come lui aveva pronunciato la parola gorilla.

“Accidenti. Sei stato rapidissimo”.

“Devo dimostrare a me stesso che posso ancora meritarmi il cognome che porto”.

“Regina del melodramma che non sei altro. Come se poi perdere il diritto a quel cognome fosse una sciagura…”.

“Mpf. Dunque, cosa ne pensi della mia proposta?”.

“Io non ho nulla da ridire, in tutta sincerità. Non ci avevo pensato ma, ora che l’hai fatto presente, è vero che sarebbe meglio approfittarne a ranghi pieni. Voi cosa ne dite? C’è qualche obiezione?”.

Mormorio sconnesso, che però alla fine non produsse rifiuti di alcuna specie.

“Allora è deciso”.

Inforcarono la porta non numerata più vicina alla loro posizione.

La stanza si presentava come una classica sala interrogatori: un tavolo, tre sedie e poco altro. In quel poco altro vi era compreso un televisore ancora a tubo catodico e, nello scompartimento inferiore del mobiletto che lo sorreggeva, un lettore DVD.

Presero a batterla centimetro per centimetro alla ricerca di qualunque cosa potesse venir loro utile. Fu una ricerca vana e non saltò fuori nulla di concreto, a parte che il televisore sembrava funzionare ma non era sintonizzato su nessun canale, intestardendosi nel restituire allo spettatore uno schermo nero.

Poi, proprio mentre i più irrequieti cominciavano a paventare l’ipotesi di uscire e andare a vedere l’altra…

“Naegi, Togami. Venite qua un secondo” si sentì chiamare da Kirigiri. Assieme a Naegi si avvicinò. Le si accucciarono vicino, visto che sembrava stesse sezionando fino a livello sub-atomico un angolo del muro.

“Cosa c’è, Kirigiri-san?”.

“Sssssh, abbassate la voce. Prima di dividerci vorrei parlarvi di una cosa”.

“Cosa?” si lasciò scappare a tono sostenuto il Fortunello, beccandosi due mani sulla faccia per farlo star zitto.

“Quale parte di «abbassate la voce» non ti è chiara, Naegi?” lo rimproverò Byakuya.

“Ehi, ti pare il modo di rivolgerti al tuo sensei?”.

Giuro che lo ammazzo.

“Questa cosa del sensei mi incuriosisce da morire, ma non è il momento” si mise in mezzo Kyouko cercando di placare i contendenti “Quel che volevo spiegarvi ha la precedenza”.

“Dicci Kirigiri-san, dicci”.

“Vedete, quando nell’atrio di fuori Oogami ha ricostruito la linea temporale degli avvenimenti…” iniziò, per poi proseguire esponendo i suoi dubbi riguardo al numero dei componenti dell’esperimento.

“Staresti dicendo… che in mezzo a noi c’è una spia?”.

“Forse, Togami. Forse è qualcuno in combutta con Zero. Forse è Zero stesso. Ho il forte sospetto che almeno uno di noi non facesse parte dello stesso gruppo di tutti gli altri all’epoca. O addirittura non facesse parte dell’esperimento in toto, questo non lo so”.

“La tua deduzione è come sempre ineccepibile e in effetti potresti aver colto qualcosa di importante. Ma dimmi, cosa ti ha portata a rivelarcelo se non hai la matematica sicurezza che non possiamo essere io o Naegi?”.

L’altra scrollò le spalle: “Niente qui è certo. Anche quanto ha detto Oogami prima ha una credibilità ma è sostenuto solo da intuito e prove indiziarie. Ci stiamo muovendo in un pantano molto vischioso, dove la libertà di camminare è ridotta all’osso. Quindi mi sono fatta andar bene il fatto che tu e lui siete gli unici ad aver ricordato, o che dite di aver ricordato. Vi allontana un po’ dalla rosa dei sospettabili”.

“Grazie della fiducia, Kirigiri-san. Ma perché ce lo hai comunicato?”.

“Perché così abbiamo più di un paio di occhi e di orecchie che possono cogliere qualche movimento sospetto nel gruppo”.

“Ha senso” confermò Byakuya alzandosi “Meglio andare adesso, non è il caso di far pensar male il nostro uomo… o la nostra donna”.

“Sì, buona idea” concordarono gli altri due alzandosi a loro volta.

Una spia, eh.

A ben pensarci è persino elementare: siamo qui in nove e, grazie alla spintarella datami da Naegi, so per certo che io, lui e Junko Enoshima eravamo tutti assieme. Se davvero l’esperimento si è svolto dividendo la classe in due gruppi con lo stesso numero di persone… i conti non tornano, nossignore. C’è qualcuno di troppo. E questo qualcuno potrebbe essere pericoloso.

“Muovetevi, ritardatari” li rimbrottò Mukuro mentre li attendeva sulla porta, gli altri che si erano già defilati.

Per un attimo, ma solo per un attimo, si augurò che fosse Ikusaba la loro talpa: non aveva ancora digerito i sei colpi che la sua sagoma di carta si era beccata in faccia. Preferì scacciare quel pensiero e continuare a seguire gli insegnamenti del sensei (Te lo farò ingoiare ‘sto termine, Naegi pensò, un po’ scherzosamente e un po’ no) e raggiunse il gruppo nella seconda stanza, dove trovarono…

“Nulla.”

“In che senso nulla?”

“Nulla, Kirigiri-san. Non di utile alla nostra indagine, almeno” confermò Ishimaru, “in compenso ci sono generi di primo soccorso e altro cibo in scatola. Dovremmo ricordarci di portarlo via con noi quando usciremo di qui.”

“E perché?” chiese ingenuamente Aoi. “Una volta usciti di qui verranno a prenderci, no?”
“Vero, ma potrebbe volerci un po’ di tempo” si intromise Togami, “perché, anche se ormai si saranno accorti della nostra assenza, sarà difficile che ci trovino senza uno straccio di indicazione. E dubito fortemente che Zero abbia lasciato le nostre coordinate. Il pilota aveva detto che gli strumenti erano fuori uso, ma magari troveremo una radio nella postazione di Zero quando l’avremo stanato” aggiunse in fretta, perché Aoi sembrava stesse per scoppiare a piangere.

“A proposito… che fine avranno fatto il pilota e i due assistenti di volo?” chiese Ishimaru. “Magari hanno provato a cercarci, non vedendoci tornare…”

Togami aggrottò la fronte: “Hm. Non mi sembra di averli visti uscire dall’aereo quando ci siamo inoltrati nella foresta, ma potrei sbagliarmi. Ikusaba, tu sei stata l’ultima a vederli, ne sai nulla?” ma lei si limitò a fare spallucce: “Sono stata tra i primi ad andare in avanscoperta, ammetto di non aver fatto molto caso a loro.”

In effetti aveva senso, in quanto Super Soldato era plausibile pensare che fosse in testa al gruppo a dirigerlo e cercare tracce o trappole o quant’altro.

O per guidarci direttamente qui.

Si costrinse a scacciare quel pensiero, dicendosi che la storia della sagoma di carta se l’era davvero legata troppo al dito.

“Direi che al momento pensare a loro è inutile” intervenne Kyouko “anche volendo siamo ancora rinchiusi qui. Ok, teniamo a mente questa stanza per quando avremo finito, ora dedichiamoci alle stanze numerate.”

“Quindi a me tocca la stanza con lo Scion di ‘Staceppa? Vita grama la mia” chiosò Mondo, e Togami non riuscì a trattenere un mezzo sorrisetto nel rispondergli: “Pensa a quanto sono sfigato io, gorilla.”

Seguendo i calcoli fatti prima da lui stesso si separarono, e seguì Ishimaru e Oowada nella 8: si identificarono, fecero altrettanto col secondo dispositivo e poi si dedicarono ad ispezionare la stanza.

“Ok, questa me la dovete spiegare.”

Davanti a loro c’era solo una sedia posta su un rialzo: era in legno, massiccia, e aveva lucchetti di forme e tipi differenti posti alle gambe, ai braccioli e al collo. Sopra la sedia, più o meno all’altezza della testa di chi si sarebbe seduto, c’era una sorta di braccio meccanico con una siringa alla fine.

“Che razza dì…” borbottò Byakuya, ma venne interrotto dal gracchiare dell’altoparlante: “Se vuoi che ti spieghi il perché di quella sedia, Oowada, sarò ben lieto di farlo visto che tocca a te.”

Vide Mondo deglutire, ma a parte quello mantenne la calma e non sbraitò come suo solito.

“Ishimaru, siediti.”

“C-Cosa?”

“Siediti, ho detto.”

“...”

“Vuoi forse la seconda iniezione?”

A quella frase il Prefetto non poté che obbedire agli ordini e prese posto sulla sedia.

“Ok. Togami, renditi utile e chiudi quei lucchetti.”

Lo infastidì il dover obbedire agli ordini di Zero, ma non è che avesse scelta: si avvicinò a Ishimaru e chiuse tutti i lucchetti.

“Quello al collo mi soffoca” biascicò il Prefetto.

“Ti assicuro che è l’ultimo dei tuoi problemi, visto che se il tuo bruddah sgarra ti ritrovi quella siringa sparata direttamente in un occhio. E stavolta non sarà sonnifero.”

Mondo non riuscì a trattenersi oltre: “Cosa cazzo ti passa per la testa, imbecille?! Ti piace fare il figo dietro a un monitor, eh? Vieni qui e affrontami se sei uomo!”

Ci fu un attimo di silenzio, a cui seguì una risatina distorta dall’altoparlante: “Sì, ammetto che osservarvi come foste cavie da laboratorio è più divertente che stare in mezzo a voi. E ora, se permetti, il tuo compito è questo: liberalo.”

“Fosse difficile, quella sedia è praticamente marcia!”

“Oh, ti piacerebbe usare la forza bruta. E INVECE NO.”

Quella presa di posizione leggermente infantile confermò a Togami che la sua idea riguardo più persone dietro Zero era decisamente plausibile. O questo, o aveva gravi problemi di personalità multipla.

“Mi spiace Gorilla” trillò il loro carceriere, “ma questa volta dovrai sforzarti di usare il cervello. Dentro questa stanza c’è tutto quello che ti serve per liberare il tuo amico. Ma fai in fretta, perché se tra un’ora non ci sei riuscito lo riempio di veleno come un tacchino nel giorno del Ringraziamento. E ora al lavoro.”

Sentì un flebile “Merda” da parte di Mondo, e Togami inspirò.

Erano decisamente nella merda.

 

*

 

L’idea che la vita di Ishimaru dipendesse da lui lo mandava in crisi.

Non sono bravo a prendermi cura di me stesso, figuriamoci di lui che ha una siringa puntata in faccia!

Gli tornò in mente Daiya e il modo stupido in cui era morto. Per causa mia aggiunse.

Non voleva questa responsabilità, non era in grado di fare le cose come si deve: lui le cose le aveva sempre distrutte, ma mai messe a posto.

Si guardò brevemente attorno ma cadde ancora di più nello sconforto: oltre la sedia c’era solo un cassettone metallico (chiuso anche quello da un lucchetto), alcuni panni per terra e una presa d’aria su una delle pareti.

Per “tutto quello che mi serve” lo stronzo intendeva niente, immagino.

L’agitazione crebbe. Cresceva scandita dalla voce di Zero, che ogni tot minuti gli ricordava del lento incedere dell’orologio.

Cominciò a sudare.

Al suo lato sinistro Togami, immancabilmente con le braccia conserte, non diceva nulla. Magari perché il compito era stato affidato a lui e a lui solo… o più facilmente perché sotto sotto rimaneva il solito bastardo.

No, questo non è vero.

Tutto molto bello, ma la siringa si avvicinava sempre di più all’occhio di Ishimaru.

Merda merda merda merda merda merda merda merda merda.

“Insomma, vuoi perdere tempo ancora per molto?” gli chiese acidamente l’Erede, sempre fissandolo con quella faccia da schiaffi “Perché non provi a vedere se riesci a recuperare qualcosa di utile?”.

“Dammi una mano, cazzo!”.

“Meglio che io non mi muova. Ti sembrerà strano, ma non è perché non voglia farlo. Solo che mi sembrava evidente fosse il tuo turno, preferisco non dare a Zero alcun motivo per avercela con me. Con noi”.

Suonava… sincero. Non particolarmente amichevole ma comunque sincero. Era ancora parecchio straniante.

“Avanti Oowada, almeno prova a cercare… che ne so, degli utensili. Degli strumenti per scassinare. Qualcosa, diavolo!”.

La risposta che ricevette furono le mani nei capelli.

Mondo era davvero molto spaventato, e quando era così tanto spaventato tendeva a perdere il lume della ragione e a girare in tondo senza meta e senza pace. Cosa che stava puntualmente facendo.

A quanto pare Byakuya dovette scocciarsi perché gli si avvicinò e lo afferrò. No, diciamo le cose per quello che sono, provò ad afferrarlo per le spalle. Vuoi la sua notoriamente scarsa propensione agli sforzi fisici, vuoi la differente stazza, vuoi quel che vuoi… ci furono tutta una serie di tentativi andati a vuoto.

“Vuoi fermarti, primate?”.

Non riuscì a rispondergli.

“Fermati, dannazione”.

Di nuovo nulla.

“FERMATI!”.

La terza volta andò bene.

Eh uh oh dove chi come quando perché cosa la merda rosa.

“Oowada, guardami fisso adesso. Datti una calmata, ok? Se potessi interverrei, ma come ho detto prima devi essere tu. Zero è stato più che esplicito e non voglio sfidarlo così apertamente, sarebbe capace di farla pagare a tutti e tre… e non solo a noi. Ora, da bravo gorillone troppo cresciuto, vuoi smetterla di girare su te stesso come un malato di mente e cercare di renderti utile?”.

Mondo strabuzzò gli occhi un paio di volte, colpito dalla fermezza… e sì, anche dalla serietà di quanto lo Scion aveva appena detto.

Persino uno come lui arrivava a capire che l’altro ragazzo non scherzava. E che stava cercando, seppur nel suo peculiare modo, di dargli una mano.

“S-Sì sì, hai ragione… scusa, è che ho il batticuore facile…”.

“Lo vedo. Comincia magari da quei panni, ci sarà sotto qualcosa a giudicare dal rigonfiamento che presentano”.

Concentrati, Mondo. La vita di Ishimaru è nelle tue mani. Non ci sarà un secondo Daiya, non se posso impedirlo.

“Togami, mi stai rovinando tutto il giochino! Potrei squalificarti, lo sai? Squalificarti… definitivamente” cantilenò Zero, sembrando piuttosto piccato dall’intrusione.

“Non hai detto nulla sul dare suggerimenti” si limitò a ribattere quello, tranquillo.

“Bof. Per stavolta te la faccio passare, ma alla prossima recita le tue preghiere perché ai kami ti ci mando con un calcio nel sedere”.

“Grr...”. Il ringhiare la diceva lunga su quanto bene avesse preso l’imposizione.

Sfruttiamo il suo primo e ultimo aiutino.

Scostò gli stracci e gli si parò davanti un cacciavite. Da che mondo e mondo i lucchetti non si aprono con un cacciavite. Lo raccolse, mesto in volto.

Buco nell’acqua.

A meno che…

Si diede un’altra occhiata attorno.

Bingo. La grata dell’aria.

“Vediamo se funziona” disse a voce alta, gettando un rapido sguardo in direzione di Togami. Il quale annuì con la testa, un leggero sorriso soddisfatto.

Prese a svitare i quattro angoli, cercando di adoperarsi più in fretta che poteva. Aveva sempre ben presente, forse persin troppo, il limite di tempo.

Finalmente riuscì a rimuovere l’ostacolo.

Dentro...

“Un grimaldello.”

“Hm? Cosa?” chiese Togami, che lo osservava poco più indietro; si avvicinò a lui, facendo roteare un’astina di ferro tra le dita: “È un grimaldello, Togami. Serve a scassinare le serrature.”

“So a cosa servono, non c’è bisogno della spiegazione da Capitan Ovvio.”

“Allora la prossima volta non chiedere!”
“Ero sovrappensiero!”

“Scusate…”

La pacata lamentela di Ishimaru li riportò per terra.

“Giusto, giusto” annuì Mondo “hai ragione kyoudai, sono subito da te!”

Gli si avvicinò e cominciò a provare il grimaldello su ogni lucchetto, uno per uno: erano tutti diversi, e si augurò che almeno uno di quelli si aprisse, ma dopo dieci minuti dovette arrendersi.

“Maledizione! Non è il grimaldello giusto!”

“Che vuol dire che non è quello giusto?” gli fece eco Ishimaru, con un tono di voce più acuto e isterico; la siringa intanto continuava ad avvicinarsi.

Mondo sbuffò: “Significa che non è adatto a nessuna di queste serrature!”

“Non è che sei tu incapace?” lo pungolò Togami, ma il Biker si limitò ad alzare un sopracciglio: “Quattrocchi, scassinavo serrature a dodici anni. So quello che dico.”

“Scassinatore a dodici anni? Complimenti.”
“Che vuoi che ti dica, a te a dodici anni hanno insegnato ad essere stronzo e a me hanno insegnato ad usare i grimaldelli.”

“Chiunque l’abbia fatto doveva essere un genio” bofonchiò l’altro, ma non ebbe tempo di aggiungere un’altra parola perché Mondo lo aveva afferrato per il colletto della camicia e sollevato di qualche centimetro: “Non. Dire. Un’altra. Parola. Su. Mio. Fratello.” ringhiò. “Non osare. Tu sei nato nella bambagia, non hai idea di cosa tocca fare ai poveri comuni mortali per sopravvivere, soprattutto a due come me e Daiya” disse, spintonandolo via. Cercò di calmarsi, inutilmente. Per un attimo gli sembrò che quell’imbecille volesse continuare a parlare, ma per sua fortuna venne interrotto ancora da Ishimaru che li implorava di smetterla e di darsi una mossa.

Smettila di fare il coglione, Togami puoi pestarlo dopo. Ora la priorità è Ishimaru.

Decise di ignorare completamente i borbottii di Byakuya e di concentrarsi sui lucchetti: erano cinque, tutti di tipi diversi, e aveva appurato che quel grimaldello non andava bene per nessuno di loro.

Servirebbero più attrezzi, pensò.
“Fossi in te la smetterei di litigare con quell’attaccabrighe dello Scion, Oowada. Al Super Prefetto rimangono meno di trenta minuti.”

Cazzo!

Sfogò i nervi sul cassettone di metallo, che si ammaccò sotto le sue pedate ma non si aprì neanche per sbaglio.

Improvvisamente si ricordò che effettivamente i lucchetti non erano cinque, ma sei.

Sono un coglione.

Si accovacciò accanto al cassettone e infilò il grimaldello dentro il lucchetto che lo teneva chiuso: lo girò un paio di volte e fece qualche prova, finché non sentì un leggero clack provenire dall’oggetto.

“Non ho ancora perso il mio tocco” si congratulò tra sé e sé, e aprì i cassetti: il primo era vuoto, ma il secondo era pieno di grimaldelli di diverso tipo, barre di torsione, skeleton keys e persino un grimaldello a pistola.

Mondo sorrise e si voltò verso Ishimaru: “Tranquillo kyoudai, ti libererò in meno di dieci minuti!”

 

*

 

Per un po’ sembrò che la stanza 1 non avesse nulla da offrire: era un semplice ripostiglio con scaffali in metallo, scatole con contenuti di vario tipo (da file medici dai nomi oscurati a vecchi camici da laboratorio), sedie e scrivanie accatastate l’una sull’altra e orribili manichini che a Touko davano i brividi.

Si allontanò da uno di essi e cercò di concentrarsi sulle scatole, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da Kirigiri, che sembrava avere la testa per aria: non era da lei, e vederla così distratta la metteva in ansia.

Se lei si agita ci agitiamo tutti.

Ikusaba invece sembrava assolvere il suo compito in maniera svogliata, quasi si annoiasse; non era il momento migliore per rilassarsi, però pensò che non se la sentiva di darle torto. Se avesse potuto si sarebbe seduta su una di quelle sedie e sarebbe rimasta lì fino all’arrivo dei soccorsi.

Però magari, un riposino…

Si disse che in fondo due minuti tolti all’ispezione della stanza non avrebbero ucciso nessuno, e in ogni caso c’erano abbastanza scatole attorno alle sedie da tenerla occupata per un bel pezzo anche senza rimanere in piedi. Decise che se lo meritava e quindi prese posto vicino ad una scrivania libera, lasciandosi sfuggire un gemito a causa della stanchezza. Tuttavia non poteva farsi vedere con le mani in mano, così cercò di sollevare una scatola che si rivelò particolarmente pesante.

CRASH!

“Cos’è stato?”

“Fukawa, tutto ok?”

Le altre due le si avvicinarono, e la trovarono ancora seduta con in mano due pezzi di cartone che si erano strappati dalla scatola: “V-Volevo ispezionarla e l-l’ho sollevata, m-ma era troppo pesante e il c-cartone marcio e-”

“Tranquilla, non fa nulla” la tranquillizzò Kirigiri, quando qualcosa attirò la sua attenzione: la scatola, ancora per terra, era piena di DVD.

“E questi?” chiese Ikusaba sbirciando oltre le spalle della Detective, la quale si lasciò scappare un sorrisetto: “A quanto pare Fukawa ha trovato qualcosa per cui usare quel vecchio lettore DVD.”

Touko tirò un sospiro di sollievo.

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Capitolo 16
*** Sposta questo, sposta quello, fai attenzione all'attacco sul fianco sinistro... ***


Sakura aveva un brutto presentimento. Non sapeva spiegarsene il motivo, ma lo sentiva forte e chiaro alla base del collo.

Eppure, giudicando la stanza in cui erano entrati con una superficiale occhiata, non sembrava esserci nulla che lo giustificasse: non c’era niente di sospetto. Anzi, a voler essere più precisi non c’era proprio quasi nulla in generale.

Solo una sedia, un tavolo e su di esso quella che dalla loro distanza sembrava essere… boh, una scatola?

Decisero, lei e gli altri due, di avvicinarsi per studiarla meglio.

Quando le furono davanti capirono con cosa avevano a che fare.

Era un computer portatile.

Un semplice, apparentemente innocuo portatile.

Ma qui dentro nulla è come sembra, ormai l’abbiamo compreso bene.

“Bene” esordì Makoto “e adesso cosa facciamo?”.

“Potremmo provare ad aprirlo, non credi?” gli rispose sarcastica Aoi.

“Sì, potremmo. Ma forse…”.

“Forse cosa, Sakura-chan?”.

“Forse… forse è meglio non farlo…”.

“Uh? Perché dici così, Oogami-san?”.

“Non mi so spiegare bene il perché, Naegi, ma ho un brutto presentimento. Penso sia più saggio aspettare qualche segnale esterno”.

“Segnale esterno tipo…”.

“Tipo il mio sfolgorante arrivo in pompa magna, signore e signori” risuonò un’ormai familiare voce distorta.

Vedete? Su queste cose di solito ci azzecco.

“Zero! Quale altra diavoleria hai architettato stavolta?” abbaiò Asahina, rivolta verso il soffitto.

“Vedi di darti una calmata, tettona senza cervello, se non vuoi che venga personalmente a darti due sculacciate che probabilmente ti piacerebbero anche…”.

“Che cosa mi hai detto, pezzo di merda? Fatti avanti se ne hai il coraggio, che ti riempio di botte!”.

“Santo cielo, Asahina-san! Non cadere nelle sue provocazioni!” cercò di calmarla Makoto, venendo chiaramente imitato dalla stessa Sakura. La quale però stava a sua volta facendo una fatica bestiale a trattenersi, memore di tutta la rabbia che quello spregevole individuo sapeva suscitare in lei.

Non mi sono dimenticata della lezione che ho intenzione di impartirti, Zero. Non giocare troppo con la fortuna.

“Mamma mia che suscettibile che sei. Abbassa la cresta se non vuoi finire male. E comunque ti va di lusso, con te ho già dato… e ne ho goduto parecchio, lo ammetto. Ora però il mio bersaglio è un altro”.

La pausa fece percorrere un brivido collettivo lungo tutte le loro schiene.

“Oogami, siediti pure e apri il portatile”.

Oh. Toccava a lei, quindi.

Fece quanto le era stato detto.

Il computer ci mise un attimo a mettersi in moto, e Zero ne approfittò per imbastire una piacevole conversazione con la sua nuova prigioniera preferita: “Dimmi un po’ Oogami, come te la cavi coi giochi da tavolo?”.

“Eh? Che domanda del cavolo è?” chiese Makoto.

“Chi non è interpellato deve stare zitto, non ve l’ha mai detto quel secchione di Ishimaru?”.

Sakura rubò una rapida occhiata al loro compagno maschio, vedendolo inusualmente arrabbiato. Una cosa non si poteva proprio negare parlando di Zero: era un asso nel far imbufalire chiunque, persino le persone docili e gentili come Naegi.

“Allora Oogami, rispondimi. Per favore”. Quel per favore suonò come se fosse stato intinto nel veleno.

“Beh, ecco… ammetto che non sono proprio il mio passatempo preferito, visto che occupo quasi tutto il mio tempo libero allenandomi… però mi considero una discreta giocatrice di shogi e go”.

“Oh, perfetto! Capita a fagiolo”.

“Perché?”.

“Adesso lo capirai, non avere fretta”.

Finalmente il computer diede segni di vita, ma prima che uno qualunque di loro potesse anche solo pensare di provare a usarlo un programma si avviò da sé. E a tutto schermo comparve…

“Ma questa… è una shogiban”.

“Esattamente. E ora, cara mia, dovrai dimostrarmi di saperti confrontare alla pari con un uomo. Me, nella fattispecie”.

“Devo… devo sconfiggerti a shogi?”.

“Ci puoi provare, ma non ci riuscirai. Potrai essere la migliore fra le donne, ma un uomo è di tutt’altra pasta”.

Sakura non ebbe il tempo di reagire, né a parole né in nessun’altra maniera, che si sentì cingere da un abbraccio.

Avrebbe riconosciuto quelle mani fra un miliardo. Erano della piccola Aoi.

“Ho capito cosa vuole fare questo bastardo” le sussurrò all’orecchio “sta cercando di ferirti riportando a galla Kenichiro…”.

E si trovò a darle ragione. Il rimarcare con forza il suo sesso non poteva che ricondurre il tutto alla questione persona più forte del mondo e al fatto che in più di un circolo di arti marziali si vociferava, in maniera strisciante ma insistita, che lei non fosse mai stata in grado di batterlo proprio per la differenza di sesso.

“Non lasciarti mettere in piedi in testa, Sakura-chan. Tu sei più forte di questi mezzucci”.

“Lo so” le rispose afferrandole una mano con la propria “e non vedo l’ora di dimostrarglielo. Grazie per essere al mio fianco”.

“Ormai sai cosa provo nei tuoi confronti ed è in questi momenti che devo dimostrarmi degna di te”.

“Lo sei sempre stata e sempre lo sarai”.

“Grazie. Ora vai e spaccagli il culo”.

 

*

 

Mukuro sentiva avvicinarsi il momento topico.

Lo avvertiva fin dentro le ossa, sentiva quella strana sensazione alla bocca dello stomaco che per lei era presagio di pericolo imminente: era una cosa che si portava dietro fin dai tempi della brigata Fenrir, e mai una volta l’aveva tradita.

Osservò Kirigiri e Fukawa mentre, qualche passo avanti a lei, uscivano dalla stanza numero 1: avevano deciso di comune accordo di attendere l’arrivo degli altri per vedere i DVD, e sapeva perfettamente essere la decisione più logica… ma non riusciva a smettere di pensare che non ce la faceva più. Voleva che la verità venisse a galla, che tutto fosse finalmente chiaro, perché era stanca e voleva solo un po’ di pace.

Tranquilla. Manca poco.

Inspirò e si disse che sì, la fine era vicina.

Prese posto ad uno dei tavoli e cercò di rilassarsi, in attesa dei suoi compagni.

 

*

 

“C’è mancato così poco…”

“Ma non è successo.”
“Ma c’è mancato poco!”
“Ma NON È SUCCESSO.”

Ishimaru continuò imperterrito a borbottare su quanto fosse andato vicino alla morte, e Mondo decise che non era davvero il caso di continuare a farlo ragionare: ci sarebbe arrivato da solo, ora aveva solo bisogno di sfogarsi. Però preferiva che per il momento lo facesse per i fatti suoi.

Cercò di accomodarsi un po’ meglio su quel che rimaneva della cassettiera che aveva contenuto i grimaldelli e si limito a spostare lo sguardo prima su Ishimaru (ancora intento a girare in tondo e massaggiarsi collo e polsi) e poi su Togami, che continuava a osservare la porta e chiedersi perché non si era aperta. Una domanda lecita, in effetti, ma che al momento non aveva la priorità per Mondo: si rendeva conto che avrebbe dovuto essere l’opposto, eppure non era così. Era stanco, e la sua personalissima prova lo aveva messo in gioco più di quanto avrebbe voluto.

Ricordò chiaramente di aver pensato che lui era uno che non costruiva cose ma le distruggeva, quando Zero gli aveva detto di usare la logica e non la forza per liberare l’amico. Era subito andato nel panico, convinto che avrebbe combinato un casino come al solito e a pagarne le conseguenze sarebbe stato qualcun altro (come al solito sottolineò una vocina fastidiosa nella sua testa).

Fece roteare una barra di torsione tra le dita e si disse che Ishimaru aveva ragione: c’è mancato davvero poco.

“Pensi di stare seduto lì ancora per molto?”

Si voltò verso Togami, lanciandogli un’occhiata infastidita che quest’ultimo ignorò bellamente: “Guardarmi in cagnesco non eliminerà il nostro attuale problema: siamo ancora chiusi qui dentro.”

“Riesco a vederlo da me che la porta è ancora chiusa. E comunque guardarti male mi risolleva l’umore.”

“Basta che non ti risollevi altro, poi sei libero di guardarmi come ti pare.”

A quella frase Mondo scoppiò a ridere sguaiatamente, tanto da attirare l’attenzione di Ishimaru (ancora perso nei suoi pensieri catastrofisti).

“Si può sapere perché sta ridendo?” chiese, e Togami rispose semplicemente: “Non lo so, a quanto pare ho detto qualcosa di particolarmente divertente senza neanche accorgermene.”
“Vuoi… vuoi dire che non te ne sei accorto?” chiese Mondo, dopo essersi ripreso dall’attacco di ridarella. “Davvero?”
“Se te lo sto chiedendo direi di no.”
“Oh kami…” rise ancora, poi aggiunse: “Quando ti ho detto che guardarti in cagnesco mi risollevava l’umore tu hai risposto basta che non ti risollevi altro.”

“E…?”

A quel punto il Biker lo guardò allibito.

“Non hai capito…?”
Persino Ishimaru si unì alla presa in giro: “Oh Togami-san, sul serio dobbiamo spiegartelo? Mi rendo conto che non è il tipo di umorismo altolocato a cui sei abituato… sempre che tu sia abituato all’umorismo in genere” aggiunse con un mezzo sorriso, e Togami si innervosì ancora di più: “Di sicuro non mi abbasso a certe battute da bettola clandestina, quindi mi spiace se non riesco a cogliere la vostra ironia.”
Mondo scambiò una breve occhiata con Ishimaru, poi tornò a rivolgersi al Super Erede: “Quindi vuoi dire che agli Scion di ‘Staceppa non si solleva niente la mattina? Magari pensando a qualche procace signorina poco vestita?”

“Continuo a non capire a cos-OH” fu tutto quello che Togami riuscì a dire prima di sgranare gli occhi e avvampare dalla testa ai piedi.

Sia lui sia Ishimaru scoppiarono a ridere, lasciando il biondo erede a balbettare cose riguardo l’umorismo di bassa lega e il non aver mai visto un porno in vita sua (su questo Mondo non aveva dubbi).

Ok, ora va meglio.

Quel siparietto era riuscito a rilassarlo, anche se non aveva dissipato del tutto i dubbi sulle sue capacità di fare del bene invece di fare del male… ma decise che non era il momento giusto per pensarci. Lasciò che Ishimaru si occupasse di calmare l’altro e si mise a girare in tondo per la stanza, chiedendosi cosa mancasse ancora da fare: aveva aperto la grata col cacciavite, trovato il primo grimaldello per aprire la cassettiera e usato gli attrezzi al suo interno per sbloccare quelli che avevano tenuto Ishimaru bloccato alla sedia.

Aveva fatto tutto giusto, almeno in teoria.

E allora perché siamo ancora rinchiusi qua dentro?

“Vedo che ti sei deciso a prendere in mano la situazione” tuonò la voce di Togami alle sue spalle, e Mondo si limitò a sorridere: “Ti prego, non fornirmi ulteriori battutacce su un piatto d’argento.”

Byakuya non replicò, ma lo sentì chiaramente digrignare i denti. “Mi chiedo cosa potesse tenere impegnata la tua mente semplice poco fa” aggiunse poi, “abbastanza da non farti prendere a calci la porta pur di aprirla.”

Rimase un attimo in silenzio, incerto su cosa rispondere. Poi decise che la verità era la risposta migliore: “Pensavo a come ho salvato Ishimaru, prima.”

“Temi non sia stato un gesto abbastanza eroico per il capo dei Crazy Diamonds?”
“No, è che… io non sono capace a fare le cose per bene. Le cose le ho sempre distrutte, non ho mai pensato a costruirle. Non sono uno che… che usa la mente per risolvere i problemi.”

“Sì, immagino che uno come te preferisca usare i pugni piuttosto che ragionare… eppure prima l’hai fatto.”
Mondo si voltò verso lo Scion, decisamente sconvolto.

Byakuya Togami gli aveva appena fatto un complimento?

“Ho… ho sentito bene?”.

“Direi di sì. La mia prima regola è quella di dire ciò che penso, il che spesso e volentieri non è altro che la verità. E in questo caso ti sei dimostrato capace di costruire e non di distruggere”.

“Beh… grazie”.

“Di cosa? Io non ho fatto nulla”.

Mondo rimase di stucco per qualche istante. Era pur vero che nelle ultime ore Togami aveva dato prova di non essere solo il classico fighetto pieno di sé fino a scoppiare, però erano ancora situazioni a cui non si era del tutto abituato.

Insomma, colpiva abbastanza sentirlo estendere un complimento. A lui, nientemeno.

“Per quello che mi hai detto”.

“Te lo sei meritato. Ora avanti, cerchiamo di capire perché siamo ancora bloccati qui”.

“Togami-san, sei una continua fonte di sorprese ultimamente” si congratulò Ishimaru dandogli una vigorosa pacca sulla spalla. E venendo incenerito da uno sguardo mortale: “Non allargarti troppo, prefetto dei miei stivali”.

Gulp. A quanto pare tiene ancora alla sua immagine di Scion che non deve chiedere mai ma proprio proprio mai.

Però devo essere sincero, non mi dispiace per nulla vederlo avere degli sprazzi di umanità ogni tanto. Vuol dire che c’è speranza per tutti.

Va bene, a quello ci avrebbe pensato meglio dopo.

Si misero a rovistare nelle poche suppellettili presenti nella stanza, alla ricerca di non si sapeva bene cosa. Passarono parecchi minuti in ripetuti tentativi, andati tutti puntualmente a vuoto.

“È un bel problema se non sappiamo neanche cosa dobbiamo trovare…” disse Ishimaru, triste. Si era appoggiato un secondo al muro, proprio sotto la grata.

Mondo lo guardò, dispiaciuto nel vederlo così giù.

Poi la sua attenzione fu colta da qualcosa che uscì di soppiatto dalla suddetta grata: “Uh, Ishimaru… sopra di te”.

“Cosa c’è sopra di me, Oowada-kun?”.

A giudicare da come ondeggiava per aria sembrava…

“È un foglio di carta” constatò il Prefetto prendendolo in mano.

Lui e Togami si avvicinarono, curiosi di vedere cosa potesse contenere.

“Oh. Pare che abbiamo rinvenuto il terzo capitolo della saga di Harada-san”.

Si allungò per leggere meglio.

 

YOMIURI SHINBUN

CONFERMATE LE INDISCREZIONI: E. HARADA È STATO UCCISO

 

30 maggio 2004

 

Finalmente emergono degli elementi da fonti ufficiali sul caso dell’uomo trovato morto l’ottobre scorso nella sua cella.

La polizia di Chiba ha rilasciato un comunicato in cui viene annunciata la causa del decesso: un cocktail mortale di pillole.

A questo punto il ritrovamento del corpo, impiccato alle sbarre, non può essere considerato altro che un tentativo di sviare le indagini. E ciò, unito alle voci di corridoio filtrate nei mesi scorsi secondo le quali ci sarebbero stati dei contatti fra membri del personale carcerario ed emissari dell’accademia Kibougamine, getta una luce sinistra sull’evento. L’uomo infatti era stato arrestato con l’accusa di diffamazione, avendo lanciato accuse molto pesanti nei confronti della scuola che avrebbe svolto esperimenti illegali sul suo corpo studentesco più giovane.

Che la Kibougamine abbia cercato di farlo tacere per sempre? Se sì, significa quindi che le voci su quegli esperimenti non erano una bufala?

Questo è un mistero per ora ancora irrisolto.

 

“Mistero ‘stocazzo” non riuscì a trattenersi Mondo “È evidente che l’hanno ammazzato per farlo stare zitto!”.

“Noi lo sappiamo quasi per certo, gorilla” lo rimbeccò Togami “ma non prendertela troppo con questo povero giornalista ignorante. Ignorante nel senso che ignora”.

“E tu sei un imbecille nel senso che imbelli”.

“Mi devo rimangiare il complimento, per caso?”.

“Finitela voi due! Questo articolo è importante. Ci dimostra, oserei dire senza ombra di dubbio, che la mia teoria sugli esperimenti è assolutamente fondata”.

“Dimostra quello, è vero. Ma non la nostra presenza”.

“Togami-san, il punto è sempre lo stesso: se Zero ci ha fatto trovare tre-ritagli-tre su quest’uomo e la sua storia post-mortem… ci devono riguardare per forza. E poi non sono io quello che si è ricordato di Enoshima-san, no?”.

“No, in effetti no. Ormai abbiamo troppi elementi a corroborare la tesi”.

“Il grande ritorno di Ishimaru il complottaro! Mi eri mancato, bruddah”.

“Piantala. Complottaro o no, è evidente che quanto sostengo sin dall’inizio di questa faccenda sia la verità”.

“In realtà è solo molto, molto probabile. L’unico vero particolare che ancora ci manca è capire perché Zero si stia vendicando di noi”.

“Che è poi la parte forse più importante…” affermò sconsolato Mondo, ricevendo cenni di assenso dagli altri due.

“Ragazzacci, non abbiate fretta” tuonò la voce di Zero, distraendoli dalle loro elucubrazioni “Posso ufficialmente dirvi che quello da voi rinvenuto poco fa è l’ultimo articolo da me gentilmente fornitovi riguardante il vecchio Harada. Riposi in pace. Detto questo… siete liberi di uscire”.

“Dici sul serio?” chiese Ishimaru, decisamente stupito.

“Dico sul serio. La prova è stata superata e, seppur con il mio generoso aiuto, avete recuperato quel che dovevate recuperare. Potete accomodarvi alla porta”.

Figata. Anche questa è andata e ora… uh?

Vide Togami avvicinarsi all’orecchio di Ishimaru e sussurrargli qualcosa, ma era troppo lontano per sentire.

Si può sapere cosa sta combinando adesso quello lì?

Quando l’Erede si staccò il Prefetto annunciò, col petto gonfio: “Credo invece che resterò qui ancora un po’, caro Zero”.

“Eh?” fu l’esclamazione di sorpresa sua e del suddetto Zero.

“Questa stanza non è poi così male e ho deciso di non andarmene”.

“Non fare il cretino, kyoudai. Cosa ti salta in testa?”.

“Niente, Oowada-kun. Niente di che, davvero” annunciò fiero quello, assumendo la sua classica posa da Prefetto Perfettino™. A pochi passi da lui Togami sogghignava.

Cosa può avergli promesso per convincerlo a fare ‘sta stronzata galattica? Non di certo porno, Ishimaru non è un’anima semplice come me.

“Avanti, non farmi arrabbiare e accomodati fuori. Nell’atrio vi aspettano già Ikusaba, Kirigiri e Fukawa. Non è carino far attendere delle dame, non credi?”.

“Nossignore, signore. Ma ho comunque la ferma intenzione di non muovermi”.

“Ishimaru, non sei divertente”.

Mondo notò distintamente una cosa: Zero sembrava non ricordarsi, o far finta di non ricordarsi, di quanto successo l’ultima volta in cui il loro ispettore scolastico preferito si era intestardito nel voler rimanere dov’era pur avendo la strada spianata.

Strano. Stavolta non sembra intenzionato ad ucciderlo con il braccialetto.

Ci fu ancora un po’ di batti e ribatti, con uno Zero sempre piuttosto calmo. Poi finalmente Togami fece un cenno a Ishimaru che, senza dire un’ulteriore parola, ruppe il suo immobilismo e si avviò verso la porta.

A quel punto li seguì, sospirando e capendoci poco.

Non appena furono fuori si avvicinò all’orecchio di Togami e gli chiese a cosa fosse dovuta la manfrina a cui aveva appena assistito.

“Pfff, figurati se non lo dovevo spiegare allo scimmione. È molto semplice: era un test per vedere se Zero avrebbe dato corso alla minaccia di iniettare il veleno a Ishimaru”.

“Eh?”.

“Seguimi bene, te lo spiegherò piano e con parole comprensibili anche al tuo cervellino: Ishimaru si è preso un rischio notevole quando si è ribellato e non ha voluto andarsene dalla stanza in cui era con te e Asahina, giusto? Stando a quanto ci avete detto voleva fargli entrambe le iniezioni, sia quella con l’anestetico e sia quella col rilassante muscolare. Quale occasione migliore per confermare o smentire la mia teoria sulla sua personalità multipla… o sul fatto che possano essere più di uno?”.

“Ooooooooooh” fu l’arguto commento del Motociclista, che nonostante il sarcasmo trovava quel piccolo trucco davvero geniale.

“Naturalmente non doveva spingere le cose alle estreme conseguenze, nel caso la situazione fosse precipitata, e quindi gli ho suggerito di non esagerare e di lasciar perdere dopo un po’. A quanto pare la mia idea potrebbe essere giusta, visto che pur provocato in un suo punto apparentemente debole ha lasciato correre senza alcun problema”.

“Se fossi stato al posto suo non avrei detto nulla e al primo accenno di maretta avrei azionato direttamente il secondo ago” confermò Mondo, ottenendo in cambio uno sguardo d’approvazione.

“Allora vedi che ogni tanto riesci a far funzionare le rotelline anche tu, cercopiteco?”.

“Cercocosa?” disse ridendo, pur consapevole di essere appena stato insultato.

Come era stato detto loro c’erano già le tre ragazze ad attenderli. Invece nessuna traccia di Oogami, Asahina e Naegi.

Ehi, non fateci scherzi voialtri.

 

*

 

“Allora, fammi controllare bene… se muovo il generale oro qui… sì, direi che è scacco matto” annunciò orgogliosa Sakura, spostando il relativo pezzo sulla scacchiera.

A conferma delle sue parole, sullo schermo comparve scritto in maiuscolo SCACCO MATTO, VINCE IL NERO.

Dietro di lei Makoto e soprattutto Aoi erano fuori di sé dalla gioia. Era stata grandiosa, aveva passato gran parte della partita sulla difensiva e si era trovata a fronteggiare due ryu (torre promossa) e un uma (alfiere promosso). Ma la cattura e il successivo paracadutaggio di un generale oro avversario, unito a qualche promozione ben piazzata, le avevano permesso di ribaltarla.

La Nuotatrice non seppe trattenersi e la abbracciò con tanto vigore da rischiare quasi di farla franare dalla sedia.

“Sei stata immensa, Sakura-chan! Immensa!”.

“Santo cielo piccola Aoi, apprezzo l’entusiasmo ma così mi soffochi”.

“Scusa, scusa!” disse scostandosi, terribilmente accaldata.

Non sai quanto ti vorrei baciare in questo momento.

Riuscì comunque a trattenersi, rendendosi conto che non era davvero il caso (e chissà se lo sarà mai aggiunse mestamente).

Stavano per raggiungere la porta quando la voce di Zero li bloccò sulla soglia: “Ridi pure, Ogre, gioisci della tua vittoria. Tanto sappiamo entrambi che si è trattata di pura fortuna.”

L’idea di Aoi di lanciare qualcosa all’altoparlante venne bocciata da Sakura, che sembrava piuttosto neutrale alle offese del loro carceriere.

“Nonostante il tuo aspetto, nonostante il tuo titolo, tu rimani una donna. Nel senso più dispregiativo del termine. Debole sei e debole rimani, non-”

THUMP.

Fu Sakura stessa ad interrompere le comunicazioni, chiudendosi la porta alle spalle. Dal canto suo Zero non sembrava aver voglia di continuare a punzecchiarla o di fargliela pagare in qualche modo.

“Ma che pezzo di merda! Oh ma gliela faccio vedere io appena lo staniamo, ve lo giuro!”

“Asahina-san, ti prego calmati” cercò di quietarla l’amica, “comincio ad essere preoccupata per questo tuo nuovo linguaggio alla Oowada.”
“Ehi, guarda che ti ho sentito!”

Si voltarono entrambe e videro Mondo, Ishimaru e Togami alle loro spalle. Poco più indietro c’erano Kirigiri, Fukawa e Ikusaba.

“Ok, aggiorniamoci” annunciò la Detective senza troppe cerimonie. “Cosa avete trovato nelle vostre stanze? Noi abbiamo trovato dei DVD.”

“E poco prima avevamo trovato un televisore con lettore annesso. Pensa te che coincidenza” ghignò Togami, che spiegò brevemente cosa aveva dovuto fare Mondo nella stanza 8 e soprattutto disse loro del piccolo test che lui e Ishimaru avevano eseguito.

“Direi che questo conferma ulteriormente la tua teoria sulla presenza di più persone dietro Zero, Togami” annuì Kyouko, “ottima idea.”

Prima che lo Scion potesse prendersi merito di quella trovata, il Biker si mise in mezzo: “Tutto molto bello, sì, ma la nostra diva bionda si è dimenticata di dirvi che abbiamo anche trovato la terza parte dell’epopea di Harada” disse, porgendo il ritaglio di giornale a Kirigiri. Lei lo lesse ad alta voce per rendere tutti partecipi della notizia, per poi concludere con: “E quindi anche la storia degli esperimenti la possiamo considerare vera. Non che ci fossero più dubbi, ma un’ulteriore conferma non fa mai male. E voi, invece?” si rivolse a Makoto, Aoi e Sakura.

“Mi sono trovata faccia a faccia con la mia personalissima prova” spiegò quest’ultima, “ma senza falsa modestia ho avuto la meglio.”

Aoi corrugò la fronte: “Io non so come hai fatto a mantenere la calma mentre ti insultava” disse, aggiornando brevemente gli altri sulla natura della prova. Anche Makoto si trovò d’accordo con lei: “In effetti il tuo self-control è stato ammirevole, Oogami-san. Gli insulti di Zero sono stati davvero pesanti.”
“Oh credimi, Naegi-kun, ero tutt’altro che calma” sorrise Sakura, “ero tutt’altro che calma. Ma ti assicuro che ho imparato già da tempo che certa gente non è degna di una risposta, soprattutto se si aggrappa a mezzucci infantili come questi.”

Aoi guardò con ammirazione l’amica e inevitabilmente ripensò al momento in cui raccontò loro il suo più vergognoso segreto.

Se in quell’occasione aveva perso le staffe tanto da mandare qualcuno all’ospedale e rischiare il suo posto alla Kibougamine è chiaro che a te ci tiene, testona pensò, e a prescindere da se e come lei potrà ricambiarti puoi stare sicura che non la perderai mai.

Togami l’avrebbe definito un pensiero ovvio, forse, ma a lei non importava. Non le sembrava così stupido non dare per scontata la persona che amava di più al mondo.

“Bene, credo che con voi le torture possano ritenersi concluse” annunciò Kyouko, ma qualcuno del gruppo non sembrava essere d’accordo.

Aoi si voltò verso Naegi e lo vide indicarsi con un dito.

“In realtà manco ancora io.”

 

*

 

Makoto sospirò mentre osservava il resto della classe svegliarsi di colpo e ricordare che sì, effettivamente lui non aveva ancora sostenuto la sua prova.

Se persino Zero mi ritiene trascurabile posso pure lanciarmi da un balcone, tanto nessuno noterebbe la mia mancanza.

“Nessun segreto da svelare, nessuna tortura… sarai mica tu Zero, Naegi-kun?” scherzò Mondo, ma Makoto accusò il colpo peggio del previsto: “Ma sei serio, Oowada-san?! Ti sembro in grado di architettare una cosa simile, con trappole e quant’altro?!” gridò, allargando le braccia.

“S-Scusa, era solo una battuta!” replicò Mondo, sconvolto da quel piccolo tsunami che aveva involontariamente causato. Accanto a lui, Kirigiri e Togami lo stavano letteralmente squadrando dalla testa ai piedi.

“Anche voi due, davvero?” si rivolse ai diretti interessati. “Ci terrei a sottolineare che tra noi quello con i mezzi per creare una cosa del genere potrebbe essere Togami, non certo quello che rubava le caramelle con la sorellina.”

Entrambi lo guardarono con gli occhi quasi fuori dalle orbite, e a nulla servì uno scherzoso rimarco di Oowada sul fatto che Togami potesse effettivamente essere un buon sospettato, almeno sul piano economico.

Ma sì, tanto ormai più in basso di così dove posso arrivare?

Sentì una mano su una spalla, e quando si voltò vide Touko che con lo sguardo gli comunicava: sono dalla tua parte.

Lui le sorrise, lieto di sapere che almeno Fukawa lo credeva innocente. E sempre lei intervenne per portare la discussione su binari diversi: “R-Ragazzi, non sarebbe il caso di guardare i DVD? Credo sia la cosa più importante al m-momento.”

Tutti annuirono e seguirono Kirigiri dentro la stanza con il televisore. Makoto si attardò qualche secondo e trattenne Touko afferrandola per un polso: “Fukawa-san.”
“Oh? D-Dimmi Naegi-kun.”
“Ti ringrazio.”
Lei sorrise: “N-Non devi ringraziarmi. La battuta di Oowada era fuori luogo e s-sono stati tutti molto meschini a dubitare di te solo perché Zero ha deciso diversamente per la tua prova. E comunque” aggiunse, prima di sparire dentro la stanza “c-chiamami pure Touko-chan.”

Makoto era sorpreso per la fiducia che la ragazza gli aveva dimostrato: gli credeva senza bisogno di alcuna prova, e gli aveva concesso di chiamarla addirittura per nome.

Era una piccola gioia in quel momento così nero.

Alla faccia tua, Togami-san aggiunse mentalmente (un po’ scherzando, un po’ no) e poi la seguì dentro, dove trovò il resto della classe seduta per terra attorno al televisore.

“Ok, se ci siamo tutti direi che possiamo partire” commentò Kyouko (senza neanche degnarlo di uno sguardo, notò Makoto) e premette PLAY sul lettore DVD.

L’immagine sullo schermo sfarfallò per un attimo, per poi farsi più nitida finché non apparve una stanza con dentro un gruppo di bambini.

Quelli siamo… siamo noi?

L’audio non era dei migliori, ma dopo qualche secondo divenne più chiaro.

“24 marzo 2003, ore 04:30. Esperimenti sui campi morfogenetici, test numero 18, classe 78-b, gruppo ricevente.”

La telecamera inquadrò per bene i bambini e Makoto notò subito un particolare.

Mukuro non era nel gruppo, e al suo posto c’era Junko Enoshima.

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Capitolo 17
*** Va bene, va bene, finalmente la togliamo la maschera a Zero ***


“FERMI TUTTI FERMI TUTTI FERMI TUTTI!” ululò Mondo, attirando l’attenzione di tutti i presenti “PERCHÉ CAZZO IKUSABA NON C’È?”.

Makoto credette di aver perso l’udito, e probabilmente non solo lui a giudicare dalle reazioni degli altri.

Cercò di tornare sullo schermo, e più le immagini passavano più si notava la totale mancanza di Mukuro.

Non appariva neanche in mezzo fotogramma.

Nulla. Nada. Nilch.

A quel punto un dubbio terribile lo assalì.

Si voltò, venendo imitato da Kyouko.

Come volevasi dimostrare. Di lei non c’era traccia anche al di fuori dello schermo.

“Gente” annunciò “siamo passati da due a zero Ikusaba in meno di trenta secondi”.

Quando la sua frase venne assimilata tutti gli occhi si scollarono dal video per cominciare a guardarsi attorno, constatando l’assenza del Soldato.

“Abbiamo la nostra spia” chiosò Togami. E nonostante avesse cercato di pronunciare questa frase con il suo vecchio tono da insensibile totale, una certa nota di preoccupazione filtrò evidente.

“Spia?” chiese Ishimaru strabuzzando gli occhi.

“Non è il momento!” li tranciò senza riguardo Kyouko “Se ci sbrighiamo forse riusciamo ancora a prenderla!”. E così dicendo schizzò fuori, disinteressandosi di chi la seguiva o meno.

Dannazione. Ci siamo giocati anche lei, ho paura. Nonostante il colpo basso di pochi minuti fa… la cosa non mi fa per nulla piacere.

“Credo che Kirigiri-san abbia ragione” disse Sakura avviandosi a sua volta verso l’uscita.

Pian piano tutti fecero lo stesso.

Si sparpagliarono, dovevano ovviamente coprire ogni possibile via di fuga.

Stava cercando all’interno della stanza 9 assieme ad Asahina quando…

“Venite! Credo di aver trovato qualcosa!” strillò Togami, forte abbastanza da farsi sentire per tutto il piano.

Uscirono entrambi, vedendolo emergere dalla stanza 1. In pochissimi istanti furono tutti lì, a pendere dalle sue labbra.

“Botola. Andiamo”.

Non si fecero pregare.

Scaletta che scendeva.

Furono talmente forsennati da prendersi vicendevolmente a calci in testa e sulle spalle. Quasi rischiarono di cadere tutti uno sopra l’altro come una torre di Jenga che crolla.

Impazziamo. Impazziamo tutti.

Poi la solita Kyouko, l’apripista, avvisò alzando la testa: “Vedo il fondo. Preparatevi a saltare”.

I meno atletici, come lo stesso Makoto e Touko, presero delle sonore sederate atterrando con decisamente poca grazia.

Si trovarono nel lato anteriore di una stanza gigantesca che, a quanto pareva, era stata addobbata come fosse una chiesa cristiana. C’erano persino le file di panche.

Si scuoterono rapidamente e… eccola là.

Non si vedeva granché bene, la distanza non era poca, ma bastava. Non poteva essere altrimenti, erano tutti lì a parte la fuggitiva.

“Benvenuti nel santuario” la sentirono urlare.

Ikusaba-san… perché? Perché? Perché?

Le si fecero sotto a poderose falcate, avanzando in maniera inquietantemente simile a quella di un carro armato.

Un veloce giro di sguardi gli confermò che fra di loro serpeggiava tanta, tanta rabbia. E che quella rabbia ora aveva un bersaglio ben preciso.

Lui stesso non poteva dirsene del tutto immune.

Erano ormai a pochi metri quando successe qualcosa di totalmente, assolutamente inaspettato: Zero parlò.

“Capo! Capo! Questo non c’era sul copione, che dobbiamo fare?”.

...eh?

Il loro impeto furioso subì una momentanea, anche se decisa, battuta d’arresto.

“Branco di incompetenti” la sentirono dire alzando la testa verso il soffitto “non serve farsi prendere dal panico. Da qui in poi ci penso io. Andate fuori a fumarvi una sigaretta”.

Rumori inconsulti alle sue spalle, ai suoi fianchi, davanti a sé. Makoto non capiva.

Allo shock si aggiunse una piccola dose di stupore quando vide che Mukuro stava avanzando verso di loro.

A quanto pareva Oowada e… oh santo cielo, Oogami non aspettavano altro e si avventarono, lui da destra e lei da sinistra, verso Ikusaba.

“Fossi in voi non lo farei” cantilenò quella, agitando con totale nonchalance una pistola. Prima non se n’erano accorti a causa della lontananza.

I due si arrestarono.

“Bravi ragazzi. Non vogliamo che qualcuno si faccia male, vero?”.

“Quella da dove salta fuori?” digrignò i denti Mondo, decisamente fuori di sé (e, conoscendo la sua notoria capacità gestionale in merito all’ira, probabilmente a tanto così dal saltare per aria come il miglior Krakatoa).

“Nascosta sotto una panca. Mi sono servita prima del vostro arrivo”.

Un centesimo di secondo di silenzio.

Vorticavano infinite domande, in mezzo a loro e fra loro e lei. Makoto quasi le poteva fisicamente vedere tanto erano dense.

“Ikusaba-san… perché?” le chiese, dando voce al suo dubbio più grande.

“Naegi, hai una capacità a dir poco invidiabile di fare sempre la domanda più stupida ma anche più sensata. Vieni, vieni un secondo. Ho da mostrarti una cosa”. L’invito venne esteso tramite la canna della pistola che si alzò verso la sua faccia.

Ehm. Ho idea che mi tocchi.

Lui si fece avanti lento. Lei indietreggiò lenta. Gli altri rimasero immobili.

Coprirono diversi metri con questo macabro balletto.

Poi giunsero a destinazione: nel bel mezzo della stanza c’era una teca di vetro. O forse di cristallo, come nelle favole.

E dentro questa teca…

“J-J-J-Junko-chan?”.

“Esattamente. Junko Enoshima, la bambina dimenticata.”

“M-Ma… ma come…”

“Come si è conservata così bene, dici? Oh, avevo i miei mezzi, ma non è importante.”

Makoto non osò controbattere, limitandosi ad osservare il contenuto della teca: quella che Mukuro diceva essere Junko era in realtà un fantoccio, del tutto identico a quello che aveva scatenato i ricordi suoi e di Togami. Notò pezzi di ossa qua e là, ma non poteva essere certo fossero appartenute alla bambina defunta.

“Che effetto fa vederla da vicino, dopo tutti questi anni? Ora te la ricordi bene?” cantilenò lei, e a quel punto Makoto non riuscì a trattenersi oltre: “M-Ma Ikusaba-san… questa è una bambola…”

Un pugno inaspettato lo colpì alla bocca dello stomaco, facendogli perdere l’equilibrio.

“NON OSARE RIVOLGERTI A JUNKO IN QUESTI TERMINI!”

Naegi, che ora aveva Sakura e Mondo al suo fianco che lo aiutavano a rimettersi in piedi, continuò a parlare, seppur a fatica: “Quella… quella è una bambola, Ikusaba-san. J-Junko è morta nell’incendio” disse, “non siamo riusciti a portarla via… e tu… tu non eri lì con noi.”
“LO SO!” urlò, e sparò un colpo in aria che colpì il soffitto. “Lo so che non ero là… e non me lo perdonerò mai, MAI. Vivrò per sempre con il rimorso di non aver potuto salvare la mia sorellina!”

La sua cosa?

“Aspetta, frena!” intervenne Mondo. “Tu ed Enoshima siete sorelle?! Ma i vostri cognomi sono diversi!”

Mukuro si lasciò scappare una risata sgradevole da iena: “Ovvio che sono diversi. Ci ha pensato la Kibougamine a cambiare il mio atto di nascita, non potevano certo lasciare in giro la prova vivente dell’esistenza di Junko e degli esperimenti.”

“Ma come… come hanno fatto ad insabbiare tutto? Come hanno potuto nascondere la morte di tua sorella ai vostri genitori?” fu Sakura a chiedere, stavolta, e Mukuro si limitò a un ghigno: “Genitori? Quali genitori? Io e Junko siamo state abbandonate in tenera età da due pezzi di merda che ci ritenevano un peso. Siamo state letteralmente adottate dall’accademia, difatti passavamo lì ogni giorno di vacanza. Ma immagino che nessuno di voi ricordi nulla in proposito.”

Per un attimo Makoto ebbe una fugace visione di lui che tornava a casa in auto con i genitori, forse per Natale, e salutava dal finestrino due bambine.

Junko e Mukuro.

“Io… io ricordo” balbettò, e il Super Soldato si inginocchiò davanti a lui: “Vedo che su di te l’effetto delle sedute d’ipnosi comincia a svanire… non che ti serva a nulla ormai, ma almeno potrai morire con la consapevolezza di essere stato la causa della morte di Junko. Tu e tutti gli altri.”

“Comodo incolpare noi per qualcosa in cui non avevamo potere decisionale, eh?”

Makoto, insieme a Sakura e Oowada, si voltò verso Togami, che apparentemente era tornato ad essere il Super Erede arrogante e dalla lingua lunga.

Che vuole farci uccidere tutti pensò brevemente, chiedendosi se il ragazzo avesse un piano in mente o semplicemente non aveva idea delle conseguenze che le sue parole potevano avere su Ikusaba. Optò per la seconda.

“Togami hai deciso di condannarci tutti a morte?!” ringhiò Mondo, dando voce ai pensieri di Naegi, ma Mukuro sembrò essere quasi divertita dal modo di fare del biondo: “E chi altri dovrei incolpare, Togami? Avanti, illuminami.”

“Beh, fino a prova contraria sono i dirigenti della Kibougamine i veri colpevoli. Una classe di bambini di nove anni non può certo mettersi a studiare campi morfogenetici e compagnia briscola, figurarsi imbastire anche una serie di test scientifici in proposito… quindi direi che la tua più che giustificata rabbia andrebbe rivolta altrove.”
“Oh, non preoccuparti Byakky. Ho intenzione di dedicarmi anche a loro.”

Non scese nei dettagli ma era chiaro che non intendeva niente di buono.

Se a noi ha riservato questo non voglio nemmeno immaginare la sorte che toccherà agli autori degli esperimenti.

Ignorò il fatto che non riusciva a provare troppa pietà per loro. Ci hanno trattati come cavie si disse, non devo provare pena.

“Rimane il fatto” proseguì Byakuya “che noi siamo vittime tanto quanto te. Non abbiamo perso una sorella in quell’incidente, ma ci hanno sottoposti a test disumani, tutti insieme.”

“Ma siete stati voi a lasciare morire Junko nell’incendio, ricordi?”

L’Erede stavolta non riuscì a replicare, e persino Makoto si sentì in colpa: nel suo ricordo aveva cercato di tornare indietro da Junko, ma Togami lo aveva tirato per un braccio dicendo che non potevano fare niente. Un altro pezzo di memoria riaffiorò, e vide il resto della classe sulle scale che portavano su da qualche parte, in attesa che lui e Byakuya li raggiungessero.

“Ma tu… come fai a sapere queste cose?”

La sua domanda attirò gli sguardi di tutti su se stesso, compreso quello di Ikusaba: “Come fai a sapere cos’è successo se tu eri nel gruppo dei trasmittenti?” proseguì. “Non eri lì, non puoi essere certa di com’è andata!”

“Oh, invece so tutto caro il mio Super Fortunello. E se non mi credi” disse Ikusaba, alzandosi e avvicinandosi ad una delle panche “ecco a voi le prove di quello che dico!”

Lanciò qualcosa per terra che finì ai piedi di Makoto: due fascicoli, enormi e con la scritta “TOP SECRET” stampata in copertina. Se non si fosse trovato in una situazione già di per sé assurda, l’avrebbe trovato un dettaglio ridicolo da film di spionaggio di serie B.

“Avanti, leggi” lo esortò lei, “giuro che non ti sparo mentre sei distratto.”

Non era del tutto propenso a fidarsi delle sue promesse, ma la curiosità era troppa: prese il primo fascicolo, quello dedicato a Junko, e lo aprì. Sentì i passi dei suoi compagni alle sue spalle, mentre prendevano posto dietro di lui nella speranza di carpire informazioni.

“Leggi ad alta voce, per favore.”

Makoto fece quanto Ikusaba gli aveva ordinato: “4 novembre 2003, ore 19:00. Interrogatorio numero 4, Makoto Naegi e Byakuya Togami. Quando è stato chiesto loro perché avessero lasciato morire Junko Enoshima, i soggetti hanno risposto: «Non c’era più niente da fare. Le usciva sangue dal naso e dalle orecchie e c’erano fumo e fiamme ovunque». Poco dopo è stata registrata un’esplosione di moderata entità nel punto in cui presumibilmente è morto il soggetto Enoshima” lesse, ma si interruppe subito: “Q-Queste dichiarazioni sono incomplete! Ricordo chiaramente di aver detto a Togami-san che non potevamo lasciarla lì, ma il vetro stava per esplodere!”
“STA’ ZITTO!” ringhiò lei, e per fortuna non partì un altro colpo. “I tuoi occhioni da cucciolo non funzionano su di me, non provarci nemmeno. So benissimo cos’è successo, è scritto tutto nero su bianco!”

“E noi come facciamo ad esserne sicuri?” insistette Togami, e Makoto avvertì un lieve tremolio nella voce solitamente ferma del ragazzo. “Chi ci dice che quei documenti siano veri? Potresti anche averli creati di sana pianta, per quel che possiamo saperne.”
Mukuro sbuffò spazientita: “Oh per piacere, Togami, da una suprema spina nel culo come te mi aspetto di meglio! Sono la Super Soldatessa, non la Super Falsaria. E poi perché prendermi la briga di falsificare due miseri fascicoli dopo avervi messo a disposizione tonnellate di prove che raccontano gli eventi nel dettaglio?”

Nessuno seppe ribattere a quella risposta: effettivamente non aveva senso creare un paio di prove false quando tutte le altre erano autentiche, pensò Makoto con non poca inquietudine. Mukuro Ikusaba non stava bene, questo era ovvio a tutti, ma in quel gigantesco, folle piano c’erano lucidità e organizzazione.

“Come ci sei riuscita?”

Stavolta fu Kyouko a dare voce ai pensieri che affollavano la testa di Makoto.

“Hm? Spiegati.”

“Quello che ho detto: come ci sei riuscita? Hai ottenuto praticamente quasi ogni prova esistente, sei riuscita a mettere su trappole complesse, ci hai portati tutti qui… questo richiede mesi, se non anni, di preparazione e di sicuro non potevi farlo da sola.”

Il Soldato ghignò: “Non sei la Super Detective mica per nulla. Ovviamente ho dovuto avvalermi di un aiuto esterno. Come il nostro Topo di Biblioteca ci ha spiegato prima” fece cenno in direzione di Fukawa, “i campi morfici e l’ipnosi non sono scienze esatte. Hanno funzionato, per un po’, ma era ovvio che prima o poi qualcuno di noi avrebbe riacquistato i ricordi. Caso volle che succedesse a me per prima.”

Cominciò a camminare avanti e indietro lungo la navata improvvisata, passando in mezzo a loro come se nulla fosse e ogni tanto tornando ad ammirare il fantoccio nella teca: “Non erano riusciti a rimuovere il ricordo di Junko, immagino fosse impossibile. Mi fecero semplicemente credere che la mia sorellina era morta quando ero molto piccola e per un po’ funzionò bene. Poi cominciarono gli incubi: scene in cui avevo un camice addosso, degli elettrodi, immagini in cui mi usciva sangue dal naso per i troppi sforzi mentali… suona familiare?” disse, rivolgendosi al gruppo. Makoto si voltò a guardarli, e chi più chi meno aveva un’espressione di stupore ed orrore in volto, e lo sguardo perso nel vuoto. Nessuno parlò ma era plausibile che quasi tutti stessero iniziando a ricordare.

“Poi, un giorno, qualcosa ha scatenato una reazione nella mia testa. Come il fantoccio per il nostro caro Naegi-kun” proseguì, “ci fu un evento che riportò tutto a galla, la classica goccia che fa traboccare il vaso” disse, rimanendo qualche istante in silenzio prima di rivolgersi ad Aoi e Sakura: “Vi ricordate del commilitone di cui vi ho parlato, quando eravamo chiuse nella prima stanza?”

Le due annuirono e lei sembrò soddisfatta: “Bene. Non era inventato, come forse starete pensando in questo momento: ogni cosa che vi ho raccontato di me è vera. Ebbene, prima del suo incidente quel commilitone mi fece un regalo: era un semplice quadrifoglio, come augurio di buona fortuna in battaglia. «Ci tengo molto e per questo voglio che lo abbia tu» mi disse” inspirò. “Quelle esatte parole fecero scattare qualcosa nel mio cervello, e improvvisamente ricordai Junko che mi regalava il suo fermacapelli con l’orso bianco e nero. Era il suo preferito e per questo voleva che lo avessi io.”

Mukuro trattenne a stento un singulto e Makoto non riuscì a non provare pietà per lei: al di là di quello che aveva fatto loro, era una ragazza che aveva sofferto immensamente e che era stata lasciata sola quando avrebbe avuto bisogno di aiuto e cure… e ora si trovavano davanti agli effetti distruttivi di quella negligenza.

“Da quel momento in poi ho continuato a ricordare quasi tutto, ma avevo bisogno di prove. E per fortuna avevo qualche favore da riscuotere nella brigata Fenrir: ex hacker, gente con agganci utili, tutto pur di ottenere ciò che mi serviva per capire e mettere in atto la mia vendetta. Non solo in realtà, mi sono anche indebitata con alcuni di loro in maniera… spinta, diciamo. Come ho appena detto: tutto per la mia vendetta. Tutto.”

“E hai approfittato di una gita scolastica per farlo” disse Kyouko.

“Il pilota era un ex commilitone, così come gli assistenti di volo. Per il resto è bastato corrompere il personale all’aeroporto privato da cui la Kibougamine aveva prenotato i voli. Pure la voce che avete sentito, come avrete ormai capito, era di qualcuno dei miei complici. A tal proposito devo farti i complimenti Togami, ci hai preso in pieno. I ragazzi avevano dei turni ben precisi” fu la replica di Mukuro, pacata come se stesse discutendo di frivolezze invece che di un piano ai limiti della follia. “Avete presente il gas che ci ha addormentati quando siamo entrati qui? Era un souvenir di guerra e l’ho usato anche sull’aereo, per questo non ricordate bene lo schianto. L’incidente era vero, ma meno grave di quanto io e il pilota vi abbiamo fatto credere. La brigata Fenrir ha le mani in pasta un po’ ovunque.”

“E questo posto?” insistette Kirigiri. “Come l’hai costruito?”
“Oh, qui viene il bello: non ho costruito proprio niente. Questa è una delle tante sedi in cui hanno svolto esperimenti.”

Le espressioni sui loro volti dovevano essere piuttosto eloquenti, pensò Makoto, perché Mukuro continuò la sua spiegazione: “In realtà non siamo neanche troppo distanti dalle coste del Giappone, siamo su un atollo sperduto di proprietà dell’accademia chiamato Jabberwock Island. Qui hanno svolto alcuni test, credo con una classe prima della nostra. Le uniche modifiche che ho apportato riguardano le stanze con le vostre… prove speciali. Compreso il finto studio medico e la stanza di Junko, riprodotta basandomi sui ricordi che avevo della sua stanza in accademia.”

Tutto questo è così… così assurdo.

Sentì che stava per venirgli la nausea, più Mukuro andava avanti nelle sue spiegazioni e meno lui riusciva a trovarci un senso. Ebbe però la forza di rivolgerle una domanda: “Perché io non ho sostenuto alcuna prova?”

“Hm?”

“Tutti loro hanno affrontato prove terribili e li hai costretti a tirare fuori i loro scheletri nell’armadio solo per… per torturarli!” disse. Si rendeva conto che era ormai inutile chiederglielo, ma lui aveva bisogno di sapere. “Perché io no? Non avevo nessun segreto vergognoso da confessare, ma non mi hai nemmeno sottoposto a nessuna prova particolare e tutti hanno addirittura creduto che fossi io Zero! Perché?!” chiese con insistenza.

“Oh, Naegi-kun” sorrise lei, calcando sul -kun quasi a volerlo sbeffeggiare. “perché tu non conti nulla.”

Per un attimo si sentì pesante e stanco.

“Semplicemente non valeva la pena perdere tempo con te. Insomma, tu stesso hai detto che sei così mediocre e banale tanto da non capire perché ti abbiano accettato alla Kibougamine! Probabilmente anche i nostri compagni la pensano così ma non te l’hanno mai detto per pura cortesia… anzi, trovo quasi ironico che abbiano creduto che tu potessi davvero essere Zero! Diamine, mi sento quasi offesa!” rise, e Makoto si sentì sprofondare. Sapeva di non dover tenere conto delle opinioni di una squilibrata, che probabilmente lo stava volutamente provocando, ma la parte razionale di sé aveva deciso di lasciarsi andare, che Ikusaba aveva ragione e lui non valeva niente. Sentì Asahina e Oogami alle sue spalle, dirgli che non era vero, ma le loro voci giungevano distanti e ovattate. Vide con la coda dell’occhio Aoi farsi avanti e urlare qualcosa al Super Soldato: “Perché… perché ci stai dicendo tutto questo? Potremmo raccontare tutto alle autorità, non ti preoccupa neanche un po’?!”

La risata folle di Mukuro ridestò Makoto.

“Autorità? Quali autorità? Non c’è nessuno qui che possa aiutarvi, anche le coordinate del nostro volo sono errate. Passeranno anni prima che riescano a trovarvi, e nel frattempo morirete qui da soli come cani. E in quanto a me… non può succedermi più nulla. Io sono già morta.”

Un istante dopo si infilò la canna della pistola in bocca e premette il grilletto.

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!”.

THUD.

“Porca… porca… porca puttana…”.

“Capo? Capo!”.

Repentino. Inarrestabile. Tremendo.

Da quando Mukuro aveva pronunciato la parola morta a quando aveva sparato erano passati… boh, una manciata di microsecondi forse.

Nessuno aveva avuto il tempo di reagire. Nessuno aveva avuto il tempo di urlarle “Fermati!”. Nessuno aveva potuto fare nulla di nulla.

E ora erano tutti e otto congelati come statue ad osservare il piccolo lago di sangue che andava pian piano espandendosi da sotto la sua testa. Gli occhi della mente di Makoto riuscivano per fortuna a bloccare dal suo campo visivo i pezzi di cervello fuoriusciti.

L’atmosfera, fino a qualche minuto prima pesante, era appena diventata tossica. Non c’era un solo rumore a disturbare il sinistro sovrapporsi di respiri flebili, quasi erratici.

Maledizione cazzo maledizione perché è andata così non doveva andare così avremmo potuto aiutarla cazzo no no no no no siamo intrappolati in un incubo da cui non usciremo mai moriremo tutti quasi quasi le prendo la pistola dalla mano e la imito cazzo.

Poi arrivò qualcosa a rompere la cappa che li stava soffocando.

“Gyahahahahahahahahahahah! Era ora, mi si stavano anchilosando tutte le giunture! Sgranchirsi le gambe ogni tanto fa bene, lo diceva sempre il mio dottore… prima che gli piantassi le mie Genoscissors nella gola!”.

Voltandosi la vide. Era… oh santa polenta, sul serio?

Dopo il suicidio in diretta avevano per le mani anche la serial killer.

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Capitolo 18
*** Corri Byakky, corri come non hai mai fatto prima nella tua ricca e comoda vita ***


A quanto sembrava, il karma non aveva ancora finito di far pagare loro chissà quale torto.

“Era ora che quella lagna del cazzo mi lasciasse uscire. Tutta la pantomima di lei che racconta la sua miserabile esistenza e si lamenta di me… BLEEEEH!”

Togami osservò impietrito Touko Fukawa che fingeva di vomitare ficcandosi un dito in gola. No, non era esatto. Quella non era Touko, non più: l’aspetto era il suo, ma quei modi di fare sicuri, quasi sfacciati… quello sguardo folle...

“Genocider Syo.”

L’assassina si voltò verso di lui e sfoderò un ghigno talmente inquietante che tutti loro se lo sarebbero ricordato a vita. “Bene bene bene” cantilenò, avvicinandosi a lui “i suoi gusti in fatto di uomini continuano ad essere impeccabili: belli e stronzi come la morte.”

Non osò replicare, temendo di essere appena diventato il suo bersaglio principale.

“Che… che cazzo sta succedendo? Fukawa…?”

La domanda di Mondo ridestò un po’ tutti, che a turno chiesero alla Scrittrice che cosa le fosse successo.

“Kami che classe di imbecilli! Anche voi avete bisogno dei fondi di bottiglia che usa il mio deprimente alter ego? Toglietevi le fette di salame dagli occhi e guardatemi bene” chiosò, improvvisando una giravolta “quella che avete davanti è l’unica, inimitabile Genocider Syo!” ridacchiò, e quasi a volerlo imprimere bene a mente a tutti prese un lembo della sua gonna e la strappò per lungo, fino a rivelare le cicatrici sulla sua coscia.

Urletti e grida sconvolte sembrarono confermare quell’ipotesi.

“Oh mio dio…”
“Che… che cosa sono quelle?!”

Syo sorrise: “Il mio orgoglio e la mia gioia” disse, mettendo in mostra la gamba.

“Sono… sono i nomi delle tue vittime” balbettò Makoto, e Togami si voltò verso di lui. Come diamine faceva a saperlo?

Syo si avvicinò a Makoto e gli posò una mano sulla testa, quasi volesse coccolarlo: “Oh già, dimenticavo che tu e lei adesso siete amiconi. Che carini che siete! Facciamo che ti risparmio solo per questo, nanerottolo” ghignò, facendo roteare la lingua. “E perché sei carino, ma non il mio tipo. Comunque sì, ci hai preso. Questi sono i nomi delle mie vittime… e tra un po’ la lista potrebbe allungarsi, gyahahahah!”

“Ma… ma come hai potuto fare questo a Fukawa-chan?” piagnucolò Asahina, e in quel momento l’umore di Genocider mutò di colpo: “Oooh buuuuh, gneee! Non solo sei una pettoruta testa vuota, devi anche lagnare!” pestò i piedi. “Tranquilla, lei non ha sentito niente, quello è il mio momento di goduria personale” ridacchiò, leccandosi le labbra.

Mentre Syo continuava la sua sceneggiata Togami rimase in silenzio, cercando di farsi venire in mente un’idea per distrarla.

Fino a prova contraria io sono l’unico in pericolo, loro non dovrebbero correre rischi… ma visto il modo in cui ha urlato contro Asahina non la considererei una regola assoluta.

Si chiese brevemente se Ikusaba avesse tenuto conto anche di questo particolare, prima di mettere in atto la sua grande uscita di scena… o magari aveva dimenticato che il sangue avrebbe provocato Fukawa. O, più semplicemente, non gliene era importato niente.

Inutile stare ad imputarle altre colpe, ormai è andata si disse, e non mancò di notare l’assoluta mancanza di empatia da parte sua. Naegi gli aveva detto che aveva ancora da lavorare, ma lui riteneva che, almeno nel caso di Ikusaba, non fosse poi così anormale non provare pena.

Una lamentela da parte della Super Serial Killer lo distolse dai suoi pensieri.

“Ovviamente quella cretina non ha nemmeno una lama addosso, figurarsi! E purtroppo non sono capace di crearle dal nulla come nei videogiochi, anche se sarebbe bello” piagnucolò, continuando a fare su e giù per la navata con le mani sui fianchi. Il resto della classe si era diviso in due, qualcuno prendendo posto sulle panche.

A un certo punto si fermò davanti al cadavere di Mukuro: “Ah troietta, scommetto che mi hai perquisita mentre ero incosciente su quel cazzo di aereo, vero?” disse, e le diede un calcio, che fece dondolare la testa e riversare altra materia grigia sul pavimento già inondato di sangue. Qualcuno voltò la testa per non guardare, altri rischiarono seriamente di sentirsi male. Lei li schernì: “Bah, che principessine. E comunque sono ancora senza le mie forbici e questo mi mette molto di cattivo umore” borbottò, avvicinandosi alla teca con il fantoccio di Junko dentro. Posò le mani sul vetro e scoppiò a ridere.

“E adesso cos’hai?” chiese Togami.

“Oh niente, Byakuya-sama” rise Syo, “è che non avrei mai pensato di dover fare di necessità virtù!” e nel dirlo sferrò un pugno al vetro, che in parte si infranse a formare un buco. Afferrò un enorme pezzo di vetro ben appuntito da terra, e poi si voltò sorridente verso di lui: “Direi che questo può andare. Ora che ne dici di giocare al gatto e al topo?”

E gli si lanciò contro, ridendo sguaiata.

Togami non ebbe tempo di pensare: corse verso la scala e salì più velocemente che poteva, mentre lei continuava a sghignazzare: “Corri, Byakky, corri! Tanto ti prendo!”

Salì in cima e uscì di corsa dalla stanza 1. Dietro di lui la risata di Genocider era sempre più vicina.

Pensa veloce, Byakuya, sbrigati!

D’improvviso ebbe un’idea. Pericolosa, ma era l’unica possibilità che aveva per metterla fuori gioco. Riprese a correre e si diresse nella stanza con la scala, quella che portava al corridoio con l’acqua. Alle sue spalle sentiva dei rumori non ben identificabili, forse gli altri che li stavano inseguendo.

Bene. Se va come deve andare servirà la loro presenza.

La attirò dove voleva portarla, appunto nel corridoio con l’acqua. Contava di farle perdere i sensi dandole la scossa, sperando chiaramente che il voltaggio non fosse troppo alto. Era abbastanza avanti nel suo lento percorso di umanizzazione da non volerla morta.

C’era già un cadavere, anche se era del mastermind responsabile di quella follia, e non smaniava dalla voglia del bis.

Si fermò sulla soglia della porta maledicendo qualunque cosa, la sua memoria in prima istanza.

Era chiusa. L’acqua elettrificata era al di là.

No, non tutta. Fece caso a una piccola pozza che era filtrata, ricordandosi vagamente di averla vista quando erano usciti.

Questo portava un altro problema però: se non fosse stata più adatta allo scopo, cioè se avesse perso la carica elettrica su cui faceva affidamento?

“Vieni bel manzo, vieni da me! Ti faccio assaggiare un po’ di amore made in Genocider!”.

Rabbrividì mentre si arrovellava alla ricerca di una soluzione.

Guardandosi attorno notò che l’ultimo tratto del corridoio era illuminato da un neon, ad occhio identici a quelli presenti nella sezione in quel momento a lui preclusa.

Ok, allora forse ce la posso fare.

Si tolse la giacca, se la avvolse meglio che poteva sulle mani e si alzò sulle punte, favorito dal soffitto basso, per cercare di sbloccare uno dei sue sostegni.

Qualche istante dopo il neon cedette e cadde in avanti, penzolando sopra la pozza d’acqua con uno dei fili che ne sfiorava la superficie.

Bene.

Si spostò giusto in tempo dalla trappola appena ideata che dovette evitare un fendente.

“Ehi, non essere scorretto! Stai fermo e fatti sbudellare!”.

“Sogna, pazza”.

Si spostò velocemente per difendersi dai ripetuti assalti dell’alter ego di Fukawa, il quale si muoveva con notevole agilità per essere nel corpo di una ragazza allergica al minimo sforzo fisico. Inoltre era impegnato nel cercare di non cadere nella pozza, non col neon pericolante.

Troppe cose tutte assieme, dannazione.

La baruffa fu in realtà più veloce di quanto avrebbe voluto e presto si trovò per terra, con lei a cavalcioni che lo teneva per il collo.

“Eccellente. Finalmente ti ho dove ti voglio. Se non avessi fretta ora ti strapperei la camicia e mi divertirei un po’ con i tuoi nerboruti pettorali”.

“...ti prego, se mi devi ammazzare almeno stai zitta”.

“Ma daaaaaaaaaaaaaai, un po’ di partecipazione! Non fare l’ammazzagioie della situazione! Ho dei brutti ricordi per colpa di Daisuke e Hiroshi”.

Alzò la mano che brandiva il pezzo di vetro, a quanto pare decisa a farla finita. Naturalmente lui le afferrò il polso e cercò di fargliela cadere.

Nella collutazione le tagliò involontariamente una delle trecce.

“Ehi, brutto bastardo! Lascia stare i miei capelli di seta!”.

Riuscì finalmente a togliersela di dosso, spingendola abbastanza forte da farla addirittura sbattere contro la parete. Rialzandosi da terra notò che era leggermente intontita e ne approfittò per cercare di riassestarsi un attimo.

SWISH.

Un taglio sulla sua guancia. Profondo.

“Primo sangue a Genocider! Ora vediamo di arrivare all’ultimo!” trillò tutta allegra.

È già in piedi? Pazzesco.

Ripresero ad azzuffarsi.

Un graffio qui, un graffio là. Presto il sangue di Mukuro non fu più l’unico a macchiare il pavimento di quel posto.

“Anf… anf…”.

“Che c’è, Byakuya-sama? Hai il fiatone? Povero piccolo erede, lascia che mamma Genocider ti metta a letto per farti riposare”.

“Come diavolo… come diavolo fai… a non essere stanca? Non sei poi… tanto più allenata di me…”.

“Forse no, ma i libroni impolverati che piacciono a voi secchioni dicono tutti che un disturbo mentale dona al corpo una dose di resistenza extra. Io ne sono la dimostrazione. E adesso basta chiacchiere, i bei ragazzi non necessitano di una bella voce”.

Gli fu di nuovo addosso.

Ormai allo stremo delle forze, fu per un puro colpo di fortuna che Byakuya riuscì a spingerla dove voleva.

Lo spettacolo di lei che friggeva come una sogliola non fu dei più belli a cui avesse assistito.

Era ancora intento ad osservarla quando qualcuno alle sue spalle lo chiamò.

“Togami-san!”
“Togami, tutto ok?”

Oogami e Kirigiri erano ferme sulla soglia della porta in fondo alle scale, che lo guardavano come se fosse un alieno. Fece una rapida stima dei danni: un taglio sulla guancia, una giacca sgualcita, altri graffi sparsi, capelli scompigliati e in generale la sensazione di essere stato preso in pieno da un tir.

“Va una meraviglia, sono un fiore” disse, lasciandosi cadere su uno scalino lontano dall’acqua.

“Smettila di fare ironia, sei inquietante” sorrise Kyouko, poi rivolse la sua attenzione a Touko: “Cosa è successo qui?”

“Ho fatto parecchia fatica ad uscirne vivo, ecco cosa” sbuffò lui, “mi sono servito dell’acqua che filtrava dal corridoio e di quel neon per darle la scossa e metterla fuori gioco. No, non volevo ucciderla Kirigiri, smettila di guardarmi in quel modo!” ringhiò ad una Kyouko apparentemente scettica (ma dato il sorrisetto maligno era chiaro intendesse solo punzecchiarlo).

“Questo lo appureremo subito” disse Sakura, e senza perdere tempo tornò giù e sparì oltre la porta. Sentirono diversi rumori poco identificabili per poi vederla tornare con un telo di plastica che probabilmente copriva altro mobilio.

“Fatemi spazio” ordinò, e la osservavano mentre avvolgeva Touko nel telo, sempre rimanendo a debita distanza dall’acqua, e scendeva rapidamente le scale con lei in braccio.

Togami e Kyouko la seguirono e la trovarono già china sull’altra, mentre a poco a poco arrivavano anche gli altri.

“Che cazzo è successo?!” tuonò Mondo e Kirigiri si prese la briga di aggiornare tutti; dal canto suo Togami era decisamente concentrato su altro.

Si accovacciò accanto a Sakura, che venne subito raggiunta da Aoi, e le chiese cosa stava per fare: “Fukawa potrebbe essere ancora sotto tensione, per questo ho usato quel telo” spiegò, “la gomma è isolante. Togami-san, hai idea del voltaggio di quel neon?”
Lui si morse un labbro: “Onestamente no, sul momento ho solo cercato di fare più in fretta possibile, prima che arrivasse a sgozzarmi.”

Oogami si limitò ad annuire, e Asahina aggiunse: “C’è da tenere in considerazione il fatto che l’acqua poteva avere un po’ di carica elettrica residua” disse, riferendosi ai neon che si erano staccati mentre percorrevano il corridoio.

“Beh c’è un solo modo per scoprirlo” replicò la Lottatrice, e avvicinò due dita al collo di Fukawa. Dopo un istante annuì di nuovo. “Ok, non dovrebbe esserci pericolo. In caso contrario le mie dita si sarebbero ritratte in automatico” disse, e poggiò un orecchio sul petto della ragazza. “C’è battito, ottimo segno” annunciò, dopo di che le aprì la bocca delicatamente e le fece la respirazione bocca a bocca.

Ci volle qualche istante, momenti che a Byakuya sembrarono fin troppo lunghi e in cui si ritrovò a pensare, per la seconda volta, che Touko non doveva azzardarsi a crepare proprio adesso.

“Coff! Coff!”

“Fukawa-san! Ci sei?”

La ragazza annuì debolmente dopo qualche secondo, e Sakura la prese di nuovo in braccio: “Bentornata tra i vivi, Fukawa-san. Credo tu abbia bisogno di qualche minuto per riprenderti dal tentativo di Togami-san di friggerti.”

“...e-eh?”

Mentre le guardava allontanarsi, circondate dal resto della classe, Byakuya Togami si sentì per la prima volta in vita sua sollevato nel pensare a Touko Fukawa.

Si concesse persino una risata.

 

*

 

“Q-Quindi S-Syo è…”

“Ci ha fatto visita, già.”

Approfittarono del momento di calma per lasciare che Touko si riprendesse e per aggiornarla sugli ultimi avvenimenti: Ikusaba si era suicidata davanti a loro e lo schizzo di sangue aveva fatto riemergere Genocider Syo.

Touko si strinse le ginocchia al petto, cercando di coprirsi come poteva con la gonna strappata dal suo alter ego poco prima. Mai nella vita si era sentita così mortificata.

“M-Mi dispiace! S-Speravo non dovesse accadere e… e invece…!”

“Non devi scusarti, Touko-chan!”

Fu la voce di Makoto a distoglierla dai suoi pensieri cupi.

“Non devi darti la colpa di nulla” le sorrise, “nessuno di noi si aspettava un gesto del genere da Ikusaba, ok? In ogni caso sapevamo di Genocider, e grazie all’intervento tempestivo di Togami-san stiamo tutti bene.”

Nel sentire il suo nome si voltò verso di lui, che sembrava piuttosto stanco e malconcio. Si sentì avvampare di colpo e distolse lo sguardo, rivolgendolo verso Sakura: “O-Oogami-san…”

“Hm? Sì?”
“G-Grazie… per non avermi lasciata morire…”
“E perché mai avrei dovuto? Sei nostra amica.”

A quelle parole Touko quasi si sentì mancare la terra sotto i piedi.

“Ma… ma…” balbettò, Sakura però insistette: “Ma nulla. Sappiamo di Genocider, e sappiamo anche che non hai alcuna colpa in questo. E come ho detto, io non lascio morire un’amica.”

Tutto quello che Touko riuscì a fare fu nascondere la testa tra le ginocchia e pigolare parole che nessuno, tra una risata e l’altra, riuscì a capire. Ma era chiaro che quello era il suo modo di ringraziarli tutti. Stava per dire qualcosa (o quantomeno provarci) quando si accorse di un dettaglio: “La… la mia treccia! P-Perché è mozzata?”

Fu Togami a mostrarsi imbarazzato: “È capitato durante la colluttazione con Syo, non volevo… è successo e basta.”

Touko rimase a fissare la treccia monca tra le mani, e sentì di avere il bisogno di piangere.

“N-No, no ehi, perché piangi?!”

Era una stupidaggine in confronto a quello che Ikusaba le aveva fatto passare, eppure… sembrava quasi un ultimo sgarbo ai suoi danni.

“Nononono per favore non piangere!” urlava Togami, mentre Oowada e Ishimaru lo prendevano in giro perché era riuscito a farla piangere anche senza volerlo. Ma nemmeno quel siparietto riuscì a tirarla su.

I miei capelli… come se già non fossi abbastanza ridicola di mio…

Nel frattempo le ragazze le si erano avvicinate nel tentativo di consolarla, mentre Togami si lanciava in un nuovo, fallimentare tentativo di sistemare le cose: “In fondo sono solo capelli, ricresceranno!”

Si zittì definitivamente quando tutte lo guardarono con sguardo omicida: “I capelli sono IMPORTANTISSIMI per una donna, Togami-san!”

“Anche adesso, Asahina?”
“SOPRATTUTTO ADESSO!”
“E perché?!”
“Perché sì!”

“Ma non ha senso!”

“Lascia perdere, in quanto uomo e in quanto Togami non puoi capire!”

...ok, doveva ammettere che le prese in giro ai danni del Super Erede cominciavano a farla stare meglio. Si disse che forse, ma solo forse, poteva provare a seguire gli altri e sparare qualche battuta anche lei. Sembrava terapeutico.

“Però… ora che faccio?” sospirò, convinta di non essere sentita da nessuno, ma Asahina la smentì: “Credo di avere un’idea!”

“D-Davvero?”

“Oh sì! Togami-san renditi utile, dov’è quel pezzo di vetro che brandiva Genocider?”

“Rendermi utile…?”
“Non fare il guastafeste, anche se è la cosa che ti riesce meglio. Marsch!”

Lo sentì ringhiare, ma fece quanto gli era stato detto.

Che bel momento per essere ancora viva.

Tornò poco dopo col vetro (accuratamente ripulito dal sangue, notò lei) e lo porse ad Asahina.

“Ok, lasciami fare.”
“S-Sei sicura…?”
“Sta’ tranquilla, ci penso io!”

Ci volle qualche minuto, in cui Touko sentì rumori strani e qualche ciocca di capelli che le veniva tirata.

“Finito!”

Si voltò verso Asahina che… teneva in mano l’altra sua treccia.

“C-C-Che cosa hai f-f-fatto…???”

“Mi spiace, ma era necessario per pareggiarli” si scusò la Nuotatrice, “non potevi mica andare in giro con i capelli asimmetrici!”

“Eh certo, la priorità assoluta quando sei bloccato su un isola all’insaputa del resto del mondo” borbottò Byakuya. Mondo si azzardò a mettergli un braccio su una spalla e suggerirgli di non immischiarsi mai e poi mai nei discorsi tra donne. Per una volta l’Erede non osò replicare.

Touko era di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi, ma Aoi non sembrava voler demordere: “Ma guarda che non stai male così, sai?” disse, sciogliendo i capelli da ciò che rimaneva della sua acconciatura e lasciando che le ricadessero sulle spalle, lunghi fino alla vita.

Anche le altre ragazze sembravano dello stesso parere.

“Concordo, stai davvero bene così.”
“Mai più trecce, Fukawa.”

Persino Naegi-kun le fece dei complimenti, seguito a ruota da Ishimaru e Oowada.

C-Che sta succedendo? Non sono abituata… pensò. Era la prima volta che qualcuno le faceva dei complimenti sul suo aspetto, e decisamente non sapeva come comportarsi.

“Stai benissimo, sul serio!” insistette Makoto, “Vero, Togami-san?”

Non ci fu risposta, non a parole almeno. In compenso divenne paonazzo e sembrò in procinto di soffocarsi tossendo.

...mi posso accontentare.

Un pochino più calma, si rese improvvisamente conto di una cosa: “E-Ehi. Ora che ci faccio caso… l’elettricità… ha represso Genocider…”.

Ci fu un attimo di silenzio generale. Poi Makoto le si avvicinò: “Credi… credi di poterla controllare?”.

“Forse n-non controllare… non del tutto… m-ma un minimo sì…”.

“Ma è una notizia splendida!” scoppiò di felicità lui abbracciandola.

“Piano con l’entusiasmo” si infilò Togami “Non è mia intenzione essere il guastafeste di turno per il puro gusto di esserlo, ma vorrei far presente che non è particolarmente salutare giocare con l’elettricità. È pericoloso”.

“Byakuya-sama… s-sei preoccupato… per me?”.

“Un po’...” balbettò.

Reggetemi. Credo di star per svenire.

“Cavolo, Togami-san ha ragione. Forse è presto per cantare vittoria…”.

“Ci penseremo poi, quando saremo usciti di qui” fu l’intervento di Kyouko, silenziosa fino a quel momento “La porta per imboccare il corridoio con l’acqua è chiusa e da questa parte non si può aprire. Siamo bloccati”.

“Di nuovo? Che palle” si lasciò andare Mondo dando un pestone per terra.

“Con calma” disse Ishimaru “Già un’altra volta lo credevamo e poi abbiamo trovato la soluzione al mistero. Sarà così anche adesso, ne sono sicuro”.

“Ottimista…” lo rimbrottò la Detective.

“Ishimaru-san! Non rubarmi il mestiere!” pigolò Makoto. Il tono era volutamente bambinesco, ma Touko ci colse una nota… amara.

Forse… forse sta ancora soffrendo… per tutte le cattiverie che gli ha detto Ikusaba…

“Sarebbe il caso di andare a ispezionare il piano di sotto, no?”.

“Sì, penso sia il caso”.

“Un momento, niente fretta!”.

“Qual è il problema, Asahina?”.

“Non possiamo andare tutti. Sotto c’è… Ikusaba. Meglio che Fukawa-san rimanga qui”.

La Scrittrice si trovò a deglutire: “H-Ha perfettamente ragione… io non p-posso più mettere piede… l-là dentro…”.

Dopo una piccola riunione fu deciso che a farle compagnia sarebbero stati Mondo e Makoto, mentre gli altri sarebbero scesi.

I tre rimasero soli.

“Sei sicura di star bene, Touko-chan? Te la sei vista brutta prima” le chiese preoccupato il suo… migliore amico.

Che sensazione strana. Farò fatica ad abituarmici.

“A p-parte i capelli devastati e la gonna sbrindellata… s-sì, sto bene…”.

“Ma dai, non dire così. Sei molto più carina con questo taglio sbarazzino” le disse Mondo dandole un paio di pacche sulle spalle e rischiando di fratturargliele “E per quanto riguarda la gonna… beh, spero non ti offenderai se dico che ti preferisco così…”.

“Oowada-kun! Ti pare il modo di rivolgerti a una signora?” lo rimproverò aspramente Naegi.

“Ma è la verità! Ha delle belle gambe!”.

“OOWADA-KUN!”.

“Naegi-kun… g-guarda che non mi… o-offendo mica…”.

“Ecco. Vedi?”.

“Sei comunque un buzzurro maleducato!”.

Touko trattenne a stento una risata mentre i due ragazzi continuavano a battibeccare.

 

*

 

“Allora è tutto chiaro?” chiese Kyouko. Nessuno la contradisse. “Bene, possiamo cominciare”.

Ishimaru si alzò le maniche, voglioso di trovare il loro lasciapassare verso la libertà.

Stava per cominciare quando l’occhio gli cadde sulla massiccia figura di Sakura, ferma di fronte al corpo di Mukuro ancora riverso per terra.

Si avvicinò, incuriosito.

“Che perdita assurda” la sentì lamentarsi.

“Oogami-san, con tutto il rispetto… sei davvero convinta di quanto dici? Era pur sempre l’eminenza grigia dietro le nostre più recenti sofferenze”.

“Ne sono più che convinta, Ishimaru-san. Quanto è successo qui è stato uno degli avvenimenti più tragici, più tristi, più evitabili di cui sia mai stata testimone. In questo caso anche protagonista, ahimè. Vedere gli abissi in cui la sua povera mente era precipitata a causa delle angherie imposteci dall’accademia è stato straziante. Sarebbe bastato molto poco per far sì che quanto abbiamo vissuto potesse non essere mai accaduto. Enoshima-san poteva essere qui con noi adesso, viva, a fare i castelli di sabbia con sua sorella sulla spiaggia dove saremmo dovuti essere in questo momento. E invece è morta abbandonata, spaventata... e ha trascinato l’unica persona che le abbia mai voluto bene nel baratro dell’oblio assieme a lei”.

Il discorso di Sakura ruppe qualcosa dentro Ishimaru. Non sapeva cosa esattamente, ma il CRACK lo sentì forte e chiaro.

“Io… io non l’avevo vista in questo modo… ero accecato dal risentimento nei suoi confronti…”.

“Non eri l’unico. Che questo sia chiaro: non la perdonerò mai. In questi ultimi giorni Aoi ha pianto più di quanto abbia mai fatto da quando la conosco e ciò non può essere perdonato. Ikusaba-san si è macchiata di una colpa inestinguibile, nei confronti suoi e nei confronti di noi tutti. Ciò non toglie che alla fine sia stata una vittima esattamente come noi otto superstiti. Una vittima delle macchinazioni senza scrupoli della Kibougamine che le hanno crudelmente strappato Enoshima-san e l’hanno condannata a una vita di solitudine. Non la perdono, non la posso perdonare ma ho pietà di lei e della sua fragile psiche. Gli incubi di cui ci ha parlato l’avranno perseguitata per anni. E quando ha scoperto cosa era successo alla sua unica sorella l’argine della sanità si è rotto, travolgendola. Sarà meglio prepararsi con tutto lo spirito che possediamo, di fronte a noi si profilano giorni difficili”.

“Cosa intendi?”.

“Temo che presto sarà il nostro turno di avere gli incubi…”.

Non seppe come controbattere.

“Venite! Ho trovato qualcosa!” li chiamò a raccolta Kyouko. Nell’angolo più lontano della stanza c’era una botola.

“Identica all’altra” commentò Ishimaru, ricordandosi bene l’episodio precedente.

“Ritieni prudente scendere tutti, Kirigiri?” chiese Togami fermando la sua mano che stava già per aprirla.

“Sicuramente più prudente che separarci. Per quel che ne sappiamo ci sono ancora scagnozzi di… quella là” disse indicando Mukuro “che girano per il complesso. E visto che metà dei nostri muscoli sono rimasti al piano di sopra, trovo furbo non lasciar indietro anche l’altra metà”.

“Sono d’accordo con Kirigiri-san” sentenziò il suddetto monte di muscoli “Credo sia la nostra opzione migliore”.

Fra sé e sé il Prefetto si concesse una breve risata. Era evidente come Togami stesse perdendo colpi, ma dopo l’esperienza paragnosta con la serial killer che ti vuole tutto per sé… beh, se non altro era giustificato.

Scesero.

L’ambiente che si presentò davanti a loro poteva essere uscito da un film di 007: schermi, microfoni, plichi di fogli pieni di appunti fra i più disparati. C’era addirittura una tabella con i turni per impersonare Zero, esattamente come aveva detto Ikusaba. Una vera e propria sala di controllo. Per loro fortuna vuota.

“Da qua veniva la voce che abbiamo sentito tutto il tempo”.

“E spero non sentiremo mai più in vita nostra”.

“No Aoi, non succederà”.

“Non di certo per merito mio…”.

Eh?

Momentaneamente concentrato su uno schermo che riprendeva l’ingresso principale dell’edificio, Ishimaru si voltò verso la persona che aveva pronunciato quest’ultima frase.

Si trattava di Kyouko Kirigiri, le mani chiuse a pugno sul tavolo posto al centro della stanza.

“Dannazione!” urlò dando un colpo sul tavolo “Dannazione! Dannazione! Dannazione!”.

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Capitolo 19
*** Il povero Makoto ha bisogno di una pacca sulla spalla ***


“Dannazione! Dannazione! Dannazione!”.

Ishimaru non capiva cosa stesse succedendo. Perché quello scatto d’ira? Erano più o meno salvi, o comunque molto più al sicuro di quanto non lo fossero quando Ikusaba strisciava come una vipera in mezzo a loro; a quanto sembrava i suoi amichetti avevano tolto il disturbo, lasciando libero l’accesso al sancta sanctorum di Zero; Genocider non sarebbe stata più un problema, si voleva sperare.

E quindi… il motivo di quelle urla?

“Kirigiri-san?” azzardò timida Asahina “Stai… stai bene?”.

“No che non sto bene!” rispose quella, guardandola con una faccia ferina. Ishimaru si sentì in colpa nel pensarlo ma gli parve di vederla sbavare. Sicuramente si stava sbagliando.

“Che cosa ti succede? Che hai?”.

L’ennesimo pugno sul legno del tavolo lo rovinò leggermente.

E al leggermente impossibile seguì il grandemente impossibile: Kirigiri fece il movimento come per ribaltarlo. Non ci riuscì perché non attrezzata dal punto di vista fisico, ma non le si poteva di certo rimproverare la mancanza di volontà.

O santo cielo, calmati!

Stava per intervenire quando un dito tremante della Detective indicò qualcosa alla sua sinistra. C’era una porta, non la stessa da cui erano entrati.

La vide avvicinarsi ad ampie falcate senza dire una sola parola, afferrarne il pomello e provare vanamente ad aprirla.

“Chiusa… siamo davvero bloccati qui dentro…”. A cui seguirono una lunga, lunga serie di parolacce e mezze bestemmie urlate verso il firmamento, i kami, i canguri e qualunque cosa le venisse in mente di insultare in quel momento.

Ok, ora è davvero troppo.

Lui e Sakura scattarono nella sua direzione nello stesso momento. Lei fu più rapida e la immobilizzò, accennando al fatto che in uno stato tanto alterato poteva farsi del male.

“Lasciami! Lasciami!”.

Ci vollero parecchi minuti per ricondurla a una parvenza di ragione. Minuti in cui la costernazione la fece da padrone negli sguardi di tutti loro.

“Per favore Oogami, mollami. Sono tranquilla”.

“Me lo assicuri?”.

“Te lo assicuro”.

“Va bene. Ma se dovesse succedere di nuovo…”.

“Non succederà. Lo giuro”.

“Mh. Ok”.

E in effetti sembrava molto più in controllo di se stessa (non che ci volesse molto, a dir la verità). Si sistemò i vestiti stropicciati e cercò di recuperare un aspetto un minimo presentabile.

“Kirigiri-san...?“ le chiese ancora Asahina.

“Maledizione” sputò quella, e per un attimo ci fu la generalizzata sensazione che stesse per esplodere di nuovo. Invece, forse ricordandosi cosa aveva giurato qualche istante prima, prese un respirone profondo e riuscì a reprimere il moto di rabbia: “Scusatemi, scusatemi tutti. Mi sono lasciata andare”.

“L’avevamo notato, Kirigiri-san. Posso chiedere il perché di questo sfogo?”.

Si voltò lenta nella sua direzione, rispondendogli con lo sguardo “tu non ti sei mai incazzato in vita tua?”. Poi trovò carino aggiungere una spiegazione più vocale: “Io… sono furiosa, come potreste esservi accorti”.

“Ma non mi dire…” sarcasticheggiò Togami, per fortuna abbastanza sottovoce da fare in modo che lei non lo avvertisse.

“E lo sono per un semplice motivo: non sono stata capace di prevederlo. Di evitarlo. Avrei dovuto capirlo prima, arrivarci prima, fare in modo che non succedesse. Sono in debito con tutti voi, quanto vi è successo è in parte anche colpa mia”.

Sul serio?

Ishimaru, nonostante la portata dell’affermazione che aveva appena sentito, non poté fare a meno di trovarla…

La trovava ridicola.

“Kirigiri-san” prese parola spiazzando un po’ tutti “ti prego, smettila di comportarti così. Già qualche ora fa, con la faccenda della prima botola, mi sono accorto che per te non esiste il concetto di moderazione. Nella tua pur grande capacità logica non riesci a capire quando è il momento di tirare i remi in barca e dirsi che sì, va bene l’impegno, va bene la buona volontà, va bene tutto quello che vuoi… ma certe cose sono fuori portata per loro stessa natura. Gli esseri umani non sono in grado di rompere una montagna a mani nude, se mi si concede il paragone, e poco importa quanto possano allenarsi e assumere steroidi per cercare di compiere l’impresa. È oltre le loro effettive possibilità. Così come era oltre le tue effettive possibilità poter prevenire quanto ci è successo”.

“No Ishimaru, non capisci…”.

“Cosa dovrei capire?”.

“Che io… avevo dei forti sospetti sulla presenza di una spia nelle nostre fila già da qualche tempo”.

“È vero” si inserì Togami “per quanto non sia entusiasta nel doverlo dire, mi tocca confermare. Ne aveva parlato a me e a Naegi due piani fa. Ci ha spiegato la sua teoria sul fatto che eravamo uno di troppo se si considerava valida l’esistenza di Enoshima, cosa che abbiamo poi appurato essere vera”.

“E con ciò? Non avevi elementi per dire con certezza assoluta che si trattasse di Ikusaba-san, o mi sbaglio?”.

“Come «e con ciò», Ishimaru? Capisci o no che sono rimasta ferma come un palo, non impedendo che Naegi venisse umiliato da quella pazza isterica? Che ho consentito a Genocider di mettere in serissimo pericolo la vita di Togami?”.

“Scusa se mi permetto, ma dove hai lasciato la mantellina da supereroe? Perché solo un supereroe avrebbe potuto fare qualcosa di concreto in quella situazione. E tu, con le tue pur evidenti doti di leadership, non lo sei. Ti stai caricando di un peso che non ti compete, Kirigiri-san, e ti fai solo del male gratuitamente. Penso di parlare anche a nome degli altri quando dico che è l’ultima cosa a cui vorrei assistere”.

Le conferme sentite di Aoi e di Sakura e quella un po’ più sommessa di Byakuya gli fecero piacere.

“Ishimaru-san è molto saggio in quanto afferma” gli diede manforte Oogami “Sei crudele e troppo dura con te stessa. Renditi conto che ti era davvero impossibile fare più di quanto hai già fatto. E hai fatto tanto. Ci hai tenuti al guinzaglio quando dovevamo essere ripresi, ci hai spianato la strada non vergognandoti delle tue terribili ferite e anzi mostrandocele senza troppo timore, hai sempre fornito esperienza investigativa che ci è stata fondamentale. Ricordi il discorso che Ikusaba-san ha fatto ad Aoi poco prima che entrassimo nella prima stanza numerata? Sì che te lo ricordi, sei quel tipo di persona che non dimentica nulla e lo sfodera al momento opportuno. Comunque, con tutto quello che ci ha fatto, non sono in disaccordo con lei. Hai tirato fuori quel che hai di eroico e l’hai messo a disposizione per la causa comune. Chiederti di più sarebbe stato inumano”.

“Ma… ma io…”.

“Avanti Kirigiri” fu poi il turno di Togami di esprimersi “non credi di darti un po’ troppa importanza? Oppure pensi che chiunque non sia te non possa provvedere a se stesso e, dovesse servire, sopportare uno o due colpi? E comunque non dimenticarti che sei riuscita persino a tenere a bada me quand’ero ancora nella fase «appena diplomato al corso degli stronzi della Togami Zaibatsu col massimo dei voti». Poi è vero, non ti sei accorta subito delle personalità multiple di Zero e questo macchierà a vita il tuo curriculum… ma nessuno è perfetto, e se te lo dico io ci devi credere”.

Ci fu una lieve risata da parte di Sakura, a cui Byakuya sorrise in maniera altrettanto lieve. Qualche inside joke fra di loro che a lui era evidentemente precluso.

“Togami-san, davvero, smettila di fare ironia. Sei inquietante” scherzò Ishimaru, causando il fastidio di Byakuya: “E se faccio lo stronzo non va bene, e se faccio ironia non va bene!” sbuffò l’altro, allargando le braccia. “Mettetevi d’accordo, per piacere!”

Il Prefetto scoppiò a ridere, seguito a ruota da Asahina e Oogami. Cominciava a capire perché prendessero tutti in giro Togami, era… divertente. Ripensò alle ultime ore: nonostante il suicidio in diretta di Ikusaba e la breve (ma intensa) apparizione di Genocider, erano comunque riusciti a mantenere un clima tutto sommato sereno. Quasi sempre a discapito di Togami-san rise fra sé e sé. Si chiese se la velocità con cui erano passati dal parlare di Genocider Syo ai capelli di Fukawa non fosse stata troppo repentina, anomala… poi vide l’espressione di Kirigiri, ancora dubbiosa riguardo il suo operato, e decise che no, non c’era nulla di anomalo in quel momento di leggerezza. Al contrario, era intimamente convinto ne avessero bisogno, soprattutto adesso che dovevano trovare una via di fuga e, si sperava, attendere l’arrivo dei soccorsi.

“Kirigiri-san” si rivolse di nuovo a lei, “davvero: non darti nessuna colpa. E soprattutto non addossarti pesi che non sono tuoi.”

La ragazza rimase in silenzio ad osservarlo, e lui rincarò la dose: “Non sei tu che salvi noi, ma tutti noi che facciamo gioco di squadra e ci salviamo da soli. Ok?”

Kyouko non rispose, ma dopo un attimo di esitazione abbassò la testa e annuì. Ishimaru sorrise: “Visto? Scoprirsi umani non è poi così terribile.”
“Rimane il fatto che l’unica nostra uscita è sbarrata…” rispose lei, e Ishimaru era abbastanza sicuro di aver visto i suoi occhi lucidi. Ma non disse nulla per galanteria.

“Mi chiedo che razza di gente faccia parte della brigata Fenrir se non si fanno scrupoli a lasciare otto liceali su un’isola sperduta” ringhiò Sakura, e fu Togami a risponderle: “Mercenari, ex criminali di guerra, gente che in genere ha una fedina penale lunga un chilometro. Non c’è da stupirsi.”

“Sei informato, Togami-san.”

“Ho fatto le mie ricerche a suo tempo.”
“Chissà come ci è finita Ikusaba. Forse non lo sapremo mai.”

“O magari sì” disse Kyouko, “poco prima di spararsi aveva dato a Naegi due fascicoli.”

Togami annuì: “Ricordiamoci di prenderli entrambi prima di tornare dagli altri.”

Detto questo ripresero a ispezionare la stanza in silenzio, e per loro fortuna scoprirono che tutti i computer e le apparecchiature erano state lasciate in funzione.

“Rimorso di coscienza o semplice disattenzione?” si interrogò nuovamente Sakura, e di nuovo fu Togami a risponderle: “Non ha troppa importanza, basta funzionino. Vediamo” si sedette a quella che sembrava la postazione principale e cominciò a dare un’occhiata ai comandi: “Da qui controllavano ogni area dell’edificio, a quanto pare. Porte, trappole, altoparlanti… persino l’elettricità” ghignò.

“Puoi farci uscire di qui?” chiese Kyouko, e lui annuì: “Non sono Fujisaki, ma non mi sembrano programmi complessi. Mi basta capire come sbloccare tutte le porte…”

Mentre i due erano intenti a studiare una possibile via di fuga, Ishimaru continuò a guardarsi attorno quando notò Asahina e Oogami accovacciate in un angolo, intente a guardare qualcosa sotto a un tavolo.

“Uh, ragazze? Tutto ok?”

“Oh, Ishimaru-san” gli rispose Aoi, “forse abbiamo trovato qualcosa che ci riguarda.”

“Qualcosa come…?”

Sakura tirò fuori una scatola piena di documenti da sotto il tavolo e gliela mostrò: “Questi sono fascicoli su di noi, stavolta senza cancellature o parti mancanti.”

Ishimaru sgranò gli occhi: “Documenti di che tipo?”

“Cartelle scolastiche, mediche… e anche un dettagliato resoconto degli esperimenti fatti su di noi.”

Al Prefetto mancò la terra sotto i piedi: per quanto avesse sostenuto con forza la tesi degli esperimenti, dimostrando infine che il suo intuito aveva avuto ragione, trovarsi in mano le prove fisiche era… diverso. Era letteralmente la conferma di ciò che avevano subito, parola per parola. Persino il DVD non aveva avuto quell’impatto su di lui, forse perché non mostrava nulla se non una breve ripresa del loro gruppo.

Questa è la testimonianza della nostra vita da cavie prima che venisse cancellata.

Senza esitare tornò alla postazione principale.

“Togami-san, Kirigiri-san. C’è qualcosa che dovete vedere.”

 

*

 

“BURP!”

“Oowada-kun!”

“Scusa, scusa. Ma come dice il saggio: meglio fuori che dentro!

“Il tuo saggio di fiducia è Shrek?”

“Invece di impicciarti dei saggi altrui sbrigati a finire quelle scatolette prima che ci pensi io! Hai bisogno di mettere su muscoli, sei un fuscello ragazzo mio!”

Makoto sospirò e riprese a rimestare nella sua scatoletta di tonno, pur non avendo più molta voglia di mangiare.

In attesa che tornassero gli altri avevano deciso di fare uno spuntino col cibo trovato in una delle due stanze non numerate. Il tempo però sembrava non trascorrere mai, o almeno così credeva lui.

Probabilmente era passata non più di mezz’ora da quando il resto del gruppo era sceso, eppure aveva la sensazione che fosse molto di più.

Forse è perché non abbiamo niente da fare pensò. A parte chiacchierare e mangiare, il loro unico passatempo era stato guardare di nuovo i DVD, più per tenersi occupati che per reale interesse. Ironicamente avevano scoperto nuovi dettagli (come, ad esempio, che Jabberwock Island veniva fatta passare come campo estivo della Kibougamine e che veniva usata come copertura per ciò che facevano realmente), ma nulla che riuscisse a far passare il tempo più in fretta.

In tutto quel tempo Makoto aveva avuto modo di pensare.

E pensare, nello stato emotivo in cui si trovava, era probabilmente una pessima idea.

 

“Oh, Naegi-kun, perché tu non conti nulla.”

 

Quella frase continuava a torturarlo.

 

“Semplicemente non valeva la pena perdere tempo con te. Insomma, tu stesso hai detto che sei così mediocre e banale tanto da non capire perché ti abbiano accettato alla Kibougamine!“

 

A posteriori non riusciva a non darsi dell’idiota per aver chiesto a Ikusaba perché lui non avesse avuto la sua tortura. Cosa diamine avevo in testa?

Cos’altro poteva rispondere lei, se non sbeffeggiarlo? Chi va a chiedere a un serial killer perché ha ucciso X piuttosto che Y?

Ho praticamente ammesso di essere un imbecille.

 

“Probabilmente anche i nostri compagni la pensano così ma non te l’hanno mai detto per pura cortesia… anzi, trovo quasi ironico che abbiano creduto che tu potessi davvero essere Zero! Diamine, mi sento quasi offesa!”

 

Oltre il danno, la beffa.

E non aveva certo dimenticato il modo in cui tutti avevano dubitato di lui… il modo in cui Kirigiri e Togami lo avevano guardato con sospetto, probabilmente pensando anche solo per pochi istanti che ci fosse lui dietro tutta quella follia.

Come hanno potuto…?

“Naegi-kun?”

La voce di Touko lo ridestò.

“Naegi-kun, tutto ok? S-Sembri distratto…”

“T-Tutto bene, tutto bene…”. Suonava squallidamente falso persino alle sue stesse orecchie.

Difatti lei non si lasciò trarre in inganno: “Non… non è vero…”.

Perspicace pensò con una punta di disprezzo di cui si pentì subito.

“Naegi-kun… d-dimmi cosa c’è, per f-favore…”.

“Touko-chan, non è nulla, davvero…”.

“E va b-bene. Se non lo v-vuoi dire tu lo dirò… io: è I-Ikusaba”.

Non era una domanda, bensì un’affermazione. Era convinta, sicura.

“Sei f-ferito per tutte quelle cose orribili che Ikusaba ti ha d-detto prima di spararsi”.

Colpito e affondato senza scampo. Annuì mesto, sentendosi come un bambino trovato con tutta la faccia nel barattolo della marmellata.

Ci fu silenzio fra di loro mentre Mondo, pochi passi alla loro sinistra, li guardava stralunato: “Sto per assistere a un’inaspettata dichiarazione d’amore? Ma non eravate entrambi impegnati, anche se solo nelle vostre testoline?”.

Lo ignorarono, ma Makoto non seppe trattenere lo spettro di un risolino.

“Beccato in flagrante… sì, è proprio a causa di quanto mi ha detto Ikusaba… mi fa stare male soprattutto perché so che ha ragione”.

“Non ha affatto ragione, quella maledetta stronza. Nessuno può permettersi di insultare così il mio migliore amico senza pagarne le conseguenze”.

...uh?

“Naegi-kun, guardami bene: tu non sei inutile. Non sei banale. Non sei mediocre. Sei l’unico che è mi è rimasto vicino di propria volontà per più di venti secondi senza ritrarsi con un attacco di diarrea. Non hai appeso la mia lettera d’amore in bacheca sputtanandomi di fronte all’intera scuola. Non mi hai tirato il pacco ad un appuntamento dopo che eri stato costretto a rivolgermi la parola solo perché avevi perso una scommessa. Non mi hai chiusa tre giorni in un armadio. Non ti rivolgi a me chiamandomi «spazzatura» o «puzzona». Quale persona banale, mediocre e inutile sarebbe stata disposta a prendersi la briga di ancorare un relitto come me con gli arpioni, fare una fatica del diavolo per trascinarlo a riva e mettersi a lavorarci sopra per salvare il salvabile? Te lo dico io quale: nessuna. Perché tu non sei quella persona, Naegi-kun. Non sarai il ragazzo che spicca in mezzo alla moltitudine perché si veste come un lampione acceso o si acconcia come un porcospino, ma non vuol dire che non abbia delle qualità. Altrimenti non ti saresti sbattuto come hai fatto per starmi vicino, cercando di incoraggiarmi nonostante la mia diffidenza congenita. Tu non sai quanto io mi sia sentita sollevata quando sei stato contento per me, quando mi hai fatto i complimenti, quando mi hai spinta a ribellarmi alle angherie di Byakuya-sama. Naturalmente questo merito va diviso anche con gli altri, che a loro volta hanno dimostrato empatia e comprensione nei miei confronti, ma il primo della fila sei stato di certo tu. Se non ci fossi stato non so che fine avrei fatto. Mi hai dato… speranza ed è il regalo più grande che mi sia mai stato fatto. Quindi togliti quel musino triste, che neanche ti si addice.”

Mentre Touko lo guardava con quello sguardo così deciso, che mai le aveva visto, Makoto si ritrovò a pensare che non aveva mai ricevuto un tale incoraggiamento da nessuno.

Non che la sua famiglia lo avesse mai preso in giro o cercato di demoralizzarlo ma… non aveva neanche mai ricevuto quel sostegno di cui sentiva il bisogno. Era stato questo, forse, a instillargli l’idea di essere mediocre, di non poter ottenere più di un tot dalla vita: aveva voti buoni ma non troppo, non spiccava particolarmente in nessuna materia o attività extra scolastica, era simpatico ma forse non abbastanza.

Pian piano quei “ma” si erano accumulati fino a diventare un macigno sul cuore, che stava lì sospeso e diventava più pesante nei momenti di sconforto, quando Makoto non riusciva a smettere di pensare a se stesso come una nullità.

“Sei buffo ma simpatico” dicevano gli amici. Non era un insulto ma lui spesso lo leggeva come una presa in giro, come se gli altri lo tenessero vicino solo come giullare di corte.

Pensieri falsi e dettati dalla negatività, ma a cui non riusciva a non credere.

E dire che mi sono sempre ritenuto un ottimista… forse mentivo a me stesso. O forse riuscivo ad esserlo solo nei confronti degli altri.

“Naegi-kun?”

Alzò lo sguardo verso Touko, che non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione. Tentò di sorriderle: “T-Ti ringrazio per le belle parole, Touko-chan… mi sforzerò di credere che tu abbia ragione.”

“Ma io ho ragione.”

La sicumera di quell’affermazione fu tale che persino Mondo inarcò un sopracciglio verso di loro.

“C-Come?”

“Naegi-kun, mi conosci… s-soprattutto dopo questi giorni s-sai benissimo cosa mina la mia autostima, e quanto mi sia costato, in tanti anni, fingermi superiore agli altri pur di non venire ferita ancora. N-Non sono mai stata sicura di niente nella mia vita, nemmeno delle mie doti di scrittrice o” tentennò un attimo “o dei miei sentimenti v-verso Byakuya-sama. Ma di una cosa sono sicura: tu sei la persona migliore che conosca. Lo hai dimostrato in ogni modo possibile e immaginabile, e se questo n-non è un talento degno della Kibougamine, beh… non so quale possa esserlo.”

Rimase imbambolato a guardarla, mentre Fukawa ancora una volta tesseva lodi che lui non sentiva di meritare. Avrebbe voluto abbracciarla e scoppiare a piangere, ringraziandola per avergli dato quel supporto in cui aveva sperato per anni, ma tutto ciò che riuscì a dire fu: “Hai detto parole bellissime, Touko-chan… ma non credo di essere all’altezza dell’idea che ti sei fatta di me” sospirò, poi aggiunse: “Ho passato diciassette anni convinto di non valere niente… non penso di poter modificare le mie convinzioni in così poco tempo, pur apprezzando ogni tuo sforzo” sorrise amaro.

“Certo che non puoi, non siamo automi dotati di tasto per il reset. Ma potrebbe essere il momento migliore per decidere di cambiare e lavorare sulla tua autostima.”

Ancora una volta Mondo sconvolse i presenti con un’altra perla di saggezza.

“O-Oowada-kun…”

“Sì, lo so, nessuno si aspetta che io dica cose intelligenti” rise il Biker, “ma non vuol dire che abbiano ragione. Lo stesso vale per te: solo perché sei convinto di non valere niente non significa che sia così. Insomma, guardati, sei uno dei pochi che riesce a gestire Togami nei suoi momenti peggiori, e non parliamo di Fukawa! Dannazione, te la sei presa a cuore e l’hai difesa a spada tratta quando è venuta fuori la storia di Genocider Syo” gesticolò in direzione della ragazza, “e in quel momento siamo stati noialtri ad aver dato veramente il peggio.”

Si alzò dalla sua sedia e si avvicinò a Makoto, dandogli una delle sue vigorose pacche sulle spalle: “Io penso che Fukawa abbia ragione quando dice che il tuo ottimismo è il miglior talento che si possa trovare alla Kibougamine. Quindi smuovi le tue chiappe ossute e lavora su quell’autostima, che non meriti di vivere nell’autocommiserazione per cose non vere.”

“I-Io non so cosa dire” balbettò, ma Mondo lo interruppe di nuovo: “Non devi dire niente, se non che la smetterai di crederti la nullità che non sei. Ricordati che una volta toccato il fondo si può solo risalire” sorrise, facendo l’occhiolino. “Io e la Super Scrittrice qui ne siamo due ottime prove viventi, ti pare?”

Fukawa arrossì, ma fece un cenno affermativo con la testa: “O-Oowada-kun ha ragione.”
“Aspetta aspetta, hai usato il -kun anche con me? Siamo già a quel livello?” si finse sconvolto, gettando la povera Touko nell’imbarazzo più totale.

Mentre li guardava scherzare, Makoto sentì il suo cuore un po’ più leggero.

 

*

 

Kyouko aveva sempre pensato che, dato il suo mestiere e la sua invidiabile freddezza, non esistesse nulla al mondo che potesse sconvolgerla.

Naturalmente leggere quei fascicoli la fece ricredere.

“Qui… qui dice che… Enoshima-san non rispondeva come noi… e che quindi… necessitava di spinte… maggiori...” disse Sakura allontanandosi di qualche passo. Era evidente che stesse tremando, il che la dice lunga sulla gravità di quanto stessero leggendo.

Cercando di mantenere il più possibile la sua facciata di sangue freddo, la guardò dicendo: “Stando a queste parole… è possibile che… che...”.

Complimenti Kyouko, questo sì che è mantenere il sangue freddo.

“...è possibile che qualcuno dello staff adibito all’esperimento sia intervenuto per darle queste spinte maggiori”. Togami, l’autore di quest’ultima affermazione, sembrava per un attimo tornato il vecchio se stesso superbo e altezzoso. Ma solo a giudicare dalle parole, la gestualità del suo corpo tradiva una grande rabbia. Specie il pugno chiuso.

“Stai dicendo che... “.

“Sì Asahina, sto dicendo proprio quello. Non escludo che qualcuno si sia dato da fare per provocarle dolore fisico, magari con dell’elettricità o qualcosa di poco vistoso”.

In effetti avevamo trovato qualcosa che sarebbe potuto andar bene per quello.

“O santissimi kami, è… è mostruoso…”.

“Feh. Ormai da questi macellai privi di scrupoli non mi aspetto nulla di meno”.

“Fai tanto il duro Togami, ma basta saper guardare al di là delle tue parole per capire che vorresti andare personalmente a dare fuoco alla Kibougamine” si inserì Kirigiri, che sembrava condividere inconsapevolmente l’opinione di Ishimaru sullo sfotterlo.

“Non lo posso negare” confermò lui senza fare un plissè “Non è mia intenzione nascondere il disgusto che queste pagine mi stanno provocando. Credetemi quando vi dico che persino nei miei momenti peggiori non sono mai, e dico mai, arrivato a concepire simili oscenità. Men che meno su dei bambini indifesi”.

“Di’ la verità, è solo perché uno dei bambini indifesi eri tu”.

“No!” si affannò a giustificarsi “Lo penso davvero. Le menti dietro quanto stiamo leggendo sono molto più perverse e malevole di quanto io possa mai ambire ad essere. E questo mi spinge a portare a galla una considerazione”.

“Sarebbe?”.

“Cosa ne vogliamo fare di questa montagna di documenti? Anzi no, chiamiamole col loro nome: prove. Perché queste sono indiscutibili prove della colpevolezza dell’accademia. Se anche solo la metà di quanto abbiamo in mano adesso arriva nelle grinfie della stampa… quelli hanno chiuso. Prendono baracca e burattini e vanno a fare l’elemosina all’angolo della strada, sperando che i passanti li prendano a calci come si meritano”.

Kyouko si concesse un attimo di tregua nel guardarlo in faccia. Era livido, digrignava i denti e sembrava in procinto di spaccare qualcosa… o qualcuno. Si chiese seriamente quanto controllo gli servisse per non far filtrare tutta quell’ira nel suo tono di voce, che al contrario era sempre rimasto compassato.

“Beh, che ne vogliamo fare…” iniziò Aoi, salvo venire sovrastata da Sakura: “È mia ferma e precisa intenzione far sì che il maggior numero possibile di informazioni giungano agli occhi e alle orecchie dell’opinione pubblica. Ho il timore che noi non siamo stati né i primi, né gli ultimi e quanto abbiamo passato deve concludersi. Ora abbiamo il potere per fare in modo che ciò si realizzi”.

L’impeto mostrato dai suoi compagni (anche Asahina e Ishimaru si erano detti d’accordo, seppur con meno fervore) era a sua volta condiviso da Kirigiri, che però non riusciva a farsi trascinare dalla sacra smania da loro dimostrata. Nella sua mente presero forma gli scenari peggiori: loro otto che venivano additati come povere vittime del folle piano di Mukuro e quindi inattendibili; suo padre che, a capo del drappello incaricato di recuperarli, le strappava i fogli di mano facendole chiaramente capire che non era saggio mettersi contro la Kibougamine; addirittura assassini prezzolati che li uccidevano pur di assicurarsi il loro silenzio.

Pensò fosse giusto esprimere i propri timori ad alta voce: “Scusate se smorzo il vostro entusiasmo, ma non possiamo aspettarci di camminare pacifici e tranquilli portandoci via tutti questi libroni senza suscitare un minimo di sospetto”.

“Staresti forse suggerendo di lasciar perdere, Kirigiri?”.

“No Togami, dico solo che se vogliamo ottenere qualche risultato dobbiamo studiarcela bene. Essere sicuri di poter portare alla luce almeno parte del materiale a nostra disposizione ora. Sapete cosa?”.

“Cosa?”.

“Propongo un consiglio di guerra”.

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Capitolo 20
*** Bene Giovani Marmotte, preparatevi a uscire dalla tana del lupo cattivo ***


“Questo è quanto, direi.”

Aggiornarono velocemente Naegi, Fukawa e Oowada su quanto avevano scoperto giù nella sala operativa, sui pc, la via d’uscita sbarrata e, soprattutto, i fascicoli; inoltre approfittarono della riunione per mettere anche loro qualcosa sotto i denti.

I tre non dissero una parola mentre li ascoltavano, e continuarono a rimanere in silenzio anche quando Kirigiri e Togami chiesero la loro opinione su come agire una volta usciti di lì.

Sakura sospirò, concedendosi per la prima volta di pensare che erano finalmente salvi. Certo, erano ancora intrappolati lì e non avevano idea su come chiamare i soccorsi, ma erano vivi e si stavano concentrando su un piano d’azione.

Viste le premesse direi che non possiamo lamentarci.

“Io sono d’accordo con voi. Prendiamoli a calci in culo!”

L’opinione decisamente colorita di Oowada la fece sorridere, distogliendola da pensieri più cupi. Anche Fukawa si disse d’accordo, solo Makoto sembrava pensieroso. Kirigiri e Togami erano così presi dai loro discorsi tanto da essere pronti a cambiare argomento, così decise di intervenire: “Qualcosa non va, Naegi-kun?”

“Eh? D-Dici a me, Oogami-san?”

“Sì. Non hai dato una risposta riguardo l’idea di smascherare la Kibougamine, mi sembravi ancora intento a ragionarci… ho pensato fosse giusto dicessi la tua prima che si passasse agli altri punti della discussione.”

A quel rimarco Togami e Kirigiri si voltarono verso di lui, che a sua volta arrossì violentemente. “Ecco” incespicò, “premetto che sono totalmente d’accordo col piano, la scuola non può assolutamente passarla liscia. Quello che mi preoccupa è un problema di natura più… etica, se vogliamo.”

“Che intendi?” chiese lo Scion e Makoto tentennò un attimo: “Il mio dubbio è… cosa vogliamo fare con il resto della classe?”
Ci fu un attimo di silenzio, subito colmato dall’Erede: “Gli raccontiamo tutto, che altro?”

È questo a turbarmi. Al di là del credere o meno a questa storia, pensate sia giusto spingerli a ricordare? Voglio dire, abbiamo vissuto cose orribili qui, non tutti hanno recuperato i ricordi ma abbiamo comunque scoperto cosa abbiamo subito da bambini e dovremo conviverci per il resto della nostra vita. Vogliamo davvero che anche loro debbano soffrire così? Che debbano avere i nostri stessi incubi e attacchi di panico? Vogliamo davvero questo?”

Alle parole di Makoto calò il silenzio sul resto della classe, in particolare su Kyouko e Byakuya che probabilmente non avevano pensato a quel dettaglio (facilmente senza cattiveria, si disse Sakura). Per un momento sembrò quasi che quell’idea andasse scartata, che forse era meglio non fare niente perché nessuno avrebbe creduto a loro otto, ma se fossero stati tutti e diciassette avrebbero avuto speranze, e via discorrendo.

“Io sono d’accordo con Naegi-kun.”

Tutti si voltarono verso Sakura, che aveva finalmente deciso di dire la sua.

“Abbiamo vissuto orrori indicibili rinchiusi qui, e Ikusaba ci ha fatto ricordare cose che probabilmente richiederanno anni di terapia prima di poterci riprendere. Per questo non voglio che qualcun altro debba soffrire come abbiamo sofferto noi.”

“Ma… se qualcuno dovesse ricordare spontaneamente?” azzardò Ishimaru, e lei replicò prontamente: “Sarebbe una situazione diversa, e in quel caso saremmo… pronti ad aiutarlo, per così dire” spiegò. “Quello che intendo è che non voglio in nessun modo essere io la causa di un loro trauma. Possiamo proseguire con il nostro piano ai danni della Kibougamine senza coinvolgerli direttamente. Lasciamoli ignari e sereni.”

Vide Naegi annuire con vigore, seguito da Asahina (finalmente tornata al suo fianco in pianta stabile), e poco a poco il resto della classe si unì a loro.

“Sì, concordo. Non c’è bisogno che Ikusaba faccia indirettamente altre vittime” disse Kirigiri. Togami fece un silenzioso cenno d’assenso per poi prendere parola: “Detto questo, abbiamo altre cose da decidere. Ad esempio, come vogliamo muoverci? Non escludo che ai piani alti dell’accademia sappiano come controbattere ad eventuali accuse. La cosa migliore secondo me è mantenere un profilo basso. Non sappiamo chi verrà a recuperarci, se lo faranno e se probabilmente controlleranno l’edificio da cima a fondo.”

Kyouko, nella sua classica posa da detective con la mano al mento, annuì: “Da quel che Ikusaba ci ha raccontato non escludo abbia fatto un po’ di trambusto e si siano accorti di quello che ha combinato, quindi potrebbero essere ancora convinti che i documenti mancanti li abbia lei.”
“E sarebbe il caso che continuassero a crederlo” aggiunse Byakuya. “Penso che fingere di non aver ricordato nulla e recitare il ruolo della vittima perfetta possa essere una buona idea. Ma come portiamo via tutto?”

“Semplice: non lo facciamo.”

L’affermazione della Super Detective colse un po’ tutti di sorpresa, e Sakura si ritrovò a dar voce ai dubbi di tutti: “Perdonami Kirigiri-san, ma cosa intendi? Se li lasciamo qui non avremo nulla a sostenere le nostre accuse.”

“Voglio dire che non porteremo via tutti i documenti che abbiamo trovato, ma solo lo stretto necessario” disse, tirando fuori i due fascicoli su Mukuro e Junko e mostrandoli alla classe. “Se ho ragione danno per scontato che questi li abbia con sé Ikusaba, e anche dovessero rovistare l’edificio da cima a fondo senza trovarli potrebbero non stupirsene troppo. Lei non era sola qui, c’erano i suoi scagnozzi della brigata Fenrir a darle una mano, è lecito pensare che potrebbero averli portati via loro.”

“Ma ci sarebbero tante altre prove che si lascerebbero indietro” precisò Togami, e lei fece spallucce: “Sono soldati. Gente che spara prima di fare domande.”

“Quindi” insistette Sakura “vorresti lasciar qui i fascicoli che abbiamo trovato in sala di controllo?”

“Penso sarebbe meglio, sì. Potrebbe indurli a pensare che non abbiamo scoperto nulla ed è tutto come l’avevano lasciato. O al peggio che li avevano letti solo Ikusaba e soci e non noi. L’importante è far credere ai piani alti dell’accademia che siamo all’oscuro di tutto. Sono convinta” proseguì, cominciando a camminare in circolo “che se ci muoviamo bene questi fascicoli potrebbero bastare, quantomeno a lanciare la bomba e aizzare i sospetti dell’opinione pubblica. Se miniamo la loro facciata di scuola rinomata e rispettabile siamo a cavallo.”

“Ma non possiamo escludere che non vengano a ripulire l’isola prima che la notizia si diffonda” rifletté Togami, e Kyouko non poté che concordare: “Questo è vero, però ho il sospetto che non potranno fare subito un sopralluogo. Riflettiamoci: per quanto sia una scuola dotata di ogni tipo di comfort per gli studenti dubito seriamente abbiano le risorse per venirci a recuperare di persona. Dovranno necessariamente avvalersi di altri mezzi di soccorso.”

“Questo ci darebbe abbastanza tempo per mettere al sicuro le prove. Ma come?” chiese Ishimaru.

“Le daremo a mio padre.”

“S-Sei sicura, Kirigiri-san?” chiese Sakura. “Non voglio mettere in dubbio la buona fede del preside Kirigiri ma…”

“Capisco bene le tue perplessità, Oogami” si affrettò a rispondere l’altra “e onestamente anche io le ho avute. Ma sono certa che lui non c’entri nulla in questa storia.”

La sua sicurezza sembrò condivisa da tutti, e persino Sakura si ritrovò a pensare che non poteva essere diversamente: il rapporto tra Kirigiri e suo padre non era mai stato idilliaco, per quel che ne sapevano, ma non aveva mai fatto segreto del rispetto che nutriva per lui. E Kyouko Kirigiri non era una che concedeva il suo rispetto a chiunque; inoltre il preside si era sempre schierato dalla parte degli studenti, anche a costo di scontrarsi con il consiglio d’istituto. Altro dettaglio che faceva pendere l’ago della bilancia dalla sua parte.

Mentre gli altri continuavano a discutere su come portar via i fascicoli l’attenzione della Super Lottatrice venne attirata da Aoi, stranamente silenziosa e mogia come l’aveva vista solo in un’occasione che sperava non dovesse ripetersi mai più.

“Qualcosa non va?” le chiese, e la Nuotatrice scosse la testa: “No, è tutto a posto. Solo che…”

“Hm?”

“È che continuano a parlare di come portar via le prove, e di cosa fare per rovinare l’accademia, ma intanto siamo ancora bloccati qui e dovremmo pensare a come andar via” piagnucolò. “Sempre se ci riusciremo…”

“Certo che sì, mia piccola Aoi. Non dubitarne.”
“E come fai a dirlo?”
“Hai visto anche tu come Togami-san si è dato da fare con i computer, penso si tratti solo di dargli un po’ di tempo per capire come funzionano i programmi. E una volta usciti di qui c’è l’aereo. Ikusaba ha detto che il danno era meno grave di quanto credevamo, quindi potremmo avere fortuna e trovare la radio ancora funzionante.”

Erano un sacco di forse, ma bastarono a far tornare il sorriso sul viso di Aoi, che annuì con convinzione.

“E dobbiamo uscire di qui per forza. Ti devo ancora un discorso” aggiunse arrossendo. Asahina la osservò stupita ma le rispose con un altro sorriso: “Non mi devi niente, Sakura-chan.”

“Ma come? Avevamo detto che-”

“Avevamo detto tante cose, soprattutto io. Ma riflettendoci mi sono resa conto che aspettarmi qualcosa, qualunque cosa da te, sarebbe terribilmente egoista da parte mia.”

La ascoltò in silenzio, non del tutto sicura di dove volesse andare a parare.

“Vedi, ho capito che non posso obbligarti a ricambiarmi, e pretendere da te una qualsivoglia risposta non sarebbe giusto. Non nego che ci vorrà un po’ affinché mi passi la cotta, e non sarà facile per me. Ma come ha detto un motociclista di mia conoscenza” rise “la nostra amicizia è sempre stata profonda e resistente a tutto. E so che tu ci sarai sempre per me, come ci sei sempre stata in passato e anche in questi giorni bui. E questo mi basta.”

L’unica cosa che Sakura fu in grado di fare fu di stringere a sé l’amica.

E non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo nel sentire Aoi ricambiare l’abbraccio con altrettanto trasporto.

 

*

 

“Prove a parte, non dovremmo cercare una via di fuga?”

“E i braccialetti, non dimentichiamo i braccialetti!”

Byakuya inspirò, sforzandosi di non mettersi a urlare come ai bei tempi andati.

“Ho già dato un’occhiata ai pc, gli scagnozzi di Ikusaba li hanno lasciati funzionanti. Mi ci vorrà un po’ ma penso di poter sbloccare le porte di tutto l’edificio.”
“E i braccialetti?!”

La domanda ripetuta da Oowada lo irritò tanto da fargli venire un tic nervoso all’occhio, ma ancora una volta si sforzò di controllarsi: “Penserò anche a quelli. Anzi, se permettete…” tagliò corto, e senza più curarsi degli altri si diresse verso il “santuario” di Junko e poi alla sala comandi.

Aveva scoperto di essere capace di empatia e sentimenti umani, ma era ancora poco avvezzo su come comportarsi in mezzo alla gente e con la gente. Forse Naegi non aveva poi torto a dire che aveva vissuto in una condizione disgraziata per diciassette anni, incapace di comunicare col resto del mondo se non sputando insulti o impartendo ordini.

Se mi ritrovo a dar ragione a lui ho proprio toccato il fondo.

Aveva appena oltrepassato il cadavere di Mukuro quando un rumore alle sue spalle lo fece scattare sull’attenti.

“Argh!”

“Ma che… Touko?!”

Sulla soglia delle scale c’era Fukawa, che cercava in qualche modo di nascondersi alla vista di Togami (o di non guardare il corpo, non ne era del tutto sicuro).

“Che diamine ci fai qui?!”

“S-Scusa è che… v-volevo parlarti, ma a-avevo dimenticato I-Ikusaba…”
“Come fai a dimenticarti di un cadavere?!”

Touko abbassò la testa, mortificata, e lui si rese conto che quell’ultima frase gli era costata dieci passi indietro nella sua evoluzione in persona normale.

“Ok, questa me la potevo risparmiare” si corresse, “però rimane il fatto che sapevi cosa c’era qua sotto quando mi hai seguito.”

L’unica risposta che ottenne da lei fu un mugolio indefinito.

Appurato che, nonostante tutto, Touko non aveva intenzione di muoversi da lì, Togami capì che c’era una sola cosa che poteva fare.

“Va beh. Rimani qui, non muoverti. Non guardarla.

Salì in fretta le scale, ignorò i commenti del resto della classe, recuperò il telo di plastica in cui avevano avvolto Touko dopo l’incidente con l’elettricità e tornò giù, dove lo usò per coprire alla meglio il cadavere della loro carceriera.

“Così dovrebbe andare” comunicò, tornando da lei, “se dovessero esserci macchie sospette ti coprirò gli occhi.”

Per fortuna non successe nulla, lei non vide le chiazze di sangue rimaste scoperte e non ci furono visite da parte di Genocider; arrivati alla sala di controllo Byakuya tornò a sedersi al pc, e per un po’ regnò il silenzio.

Si dedicò al meglio delle sue capacità nel cercare un modo per sbloccare le porte e, soprattutto, nel capire come togliersi quei braccialetti. Di quando in quando lanciava uno sguardo a Fukawa, che sembrava essere particolarmente presa dalla lettura dei fascicoli: pur avendo manifestato l’intenzione di parlare con lui non aveva ancora proferito parola.

“Trovato niente d’interessante lì in mezzo?”

Lei alzò gli occhi e lo guardò stupita, quasi si fosse dimenticata della sua presenza lì.

“S-Sì, è pieno di informazioni… anche se i-inquietanti…”.

“Ho letto prima, so di cosa parli. Ed è vero, sono cose poco belle a sentirsi”.

La discussione si spense da sé. Byakuya aspettava più che altro che fosse lei a iniziarne una nuova, dato che era stata lei a dire di voler parlargli.

E finalmente la sua pazienza venne premiata: “Byakuya-sama… v-vorrei scusarmi…”.

“Scusarti?” chiese distogliendo di nuovo lo sguardo dal monitor “E per cosa?”.

“Beh, per… per quello che ha c-cercato di farti Genocider… ti ha riempito di g-graffi e rovinato tutta la giacca…”.

“Oh, non preoccuparti della giacca. Ne ho una settantina identiche nel mio armadio, quello è davvero il minimo. Per quanto riguarda i miei graffi… appunto, sono graffi. Nulla che non passerà da solo in un paio di giorni”.

“Sì, ma mi d-dispiace… per colpa mia te la sei vista brutta…”.

Togami sospirò, aspettando di trovare le parole giuste per risponderle. Non voleva rischiare di risultare rude o scortese, non di fronte a un tentativo sincero di scuse da parte sua. Scuse che, a ben vedere, neanche gli avrebbe dovuto fare perché tecnicamente non responsabile della debacle con la serial killer.

“No Touko, non è stata colpa tua”. Preferì non perdersi in lunghe spiegazioni sul perché e sul percome, si limitò a fornire la sua opinione.

“C-Come non è stata colpa mia? Ma G-Genocider…”.

“...è una personalità a se stante che occupa il tuo corpo e non ha nulla a che fare, almeno nei gesti che compie, con te. Perché tu non hai mai voluto uccidere qualcuno, vero?”.

“C-Certo che no! Cioè, ammetto che… a volte, n-nei momenti più bui… l’idea mi abbia s-sfiorata… ma non ho mai realmente p-pensato di metterla in pratica…”.

“Ecco, vedi? Poi forse il tuo alter ego agisce seguendo degli impulsi che nascono da te, ma si tratta sempre di pensieri che giungono in pessimi momenti e che non hanno uno sfogo concreto. Non credere di essere l’unico speciale fiocco di neve che vive simili situazioni”. E chiaramente non lo disse ad alta voce, ma si riferiva a se stesso.

“Q-Quindi… mi perdoni?”.

“Non c’è niente per cui io debba perdonarti. Al massimo dovrei perdonare Genocider, cosa che non credo farò mai. Ma tu sei completamente innocente”.

L’Erede si stupì della semplicità con cui aveva pronunciato quelle parole. Della semplicità e dell’onestà… perché era stato estremamente onesto. Si era limitato ad esporre quel che pensava senza girarci attorno e senza condirlo di sfoghi da superuomo nietzschiano. Per lui quello significava tanto, anche alla luce della piccola ricaduta avuta poco prima con la storia del cadavere di Ikusaba.

È difficile ma sento di potercela fare. Se mi avesse visto, il mio sensei sarebbe stato molto soddisfatto.

Fukawa gli sorrise e per un momento, solo per un momento, Byakuya sentì come se la testa gli stesse girando su un ottovolante. Un’altra sensazione nuova a cui sperava di fare l’abitudine.

“Posso… aiutarti con q-quei programmi?” gli chiese poi quando arrivò dietro di lui.

“No, grazie ma non serve”.

“Dai, lascia… c-che mi renda utile…”.

Cominciarono a battibeccare, sia chiaro in maniera molto soft, finché lei non prese l’iniziativa e si sedette al suo fianco: “Lasciami lavorare, su. Almeno sui braccialetti. Poi sai come si dice… l’unione fa la forza”.

“In effetti noi siamo quelli intelligenti. Ma sei sicura di sapere come usare questi aggeggi?”.

“Non sarò Fujisaki ma so il f-fatto mio”.

“E va bene, hai vinto tu. Accomodati”.

“Grazie”. E di nuovo gli sorrise. E di nuovo lui si sentì instabile.

Si diedero da fare di buona lena, impegnandosi al meglio delle loro possibilità (che però, causa stanchezza e fame e tensione varia, non erano proprio grandissime). Poi a un certo punto Touko si voltò nella sua direzione e disse: “Byakuya-sama… in tema di scuse… d-dovresti farle a Naegi-kun”.

Sei caduta nel pentolone delle scuse da piccola, per caso?

“Uh? Perché mai?”.

“P-Perché sei stato… cattivo con lui…”.

“Quando?”.

“Quando… tu e K-Kirigiri… lo avete guardato m-male... “.

Oh. A quello si riferiva. A quel momento in cui lui e la Detective si erano lasciati trascinare dalla pazza idea che Makoto Naegi potesse essere Zero. Quando, se si vuole vedere le cose da un punto di vista il più logico possibile, è un castello di carte che non può stare in piedi neanche per miracolo.

Naegi era troppo limpido, troppo ingenuo, troppo altruista per essere in grado anche solo di concepire il circo di nonsense a cui erano stati sottoposti negli ultimi giorni.

Si disse che in effetti era stato ingeneroso da parte sua anche solo pensarlo. Non perse tempo a stupirsi di aver formulato una simile idea, ci stava pian piano facendo il callo.

Comportarsi da essere umano “normale” è un affare pieno di sfaccettature strane.

“Sai, non hai i tutti i torti. Io e Kirigiri ci siamo lasciati prendere dalla paranoia in quell’attimo. Appena finiamo qui gli porgerò ufficialmente le mie scuse”.

“M-Mi… mi stai dando ragione?”.

“Sì, perché ce l’hai. Non avremmo dovuto”.

“...”.

“Touko, se non la chiudi ti entrano i moscerini in bocca”.

 

*

 

Mondo era inquieto. La pazienza non era decisamente il suo forte, nossignore. D’altronde quale Super Biker ne aveva bisogno?

Quindi l’attesa di novità dal piano inferiore lo stava logorando.

Si guardò attorno e vide i suoi compagni che a loro volta cercavano di ammazzare il tempo intrattenendosi come meglio potevano.

“Ammazzare il tempo” era un modo di dire non particolarmente bello considerato quanto era accaduto al piano di sotto. Oh beh, fa nulla.

Ma quanto ci mettono, porca vacca? Sono lenti come la morte.

Oh dai, basta usare immagini con quella parola.

Scrollò la testa per scacciare la sensazione di fastidio che da qualche secondo aveva cominciato a premere sulla sua tempia.

Si mise a cianciare con Ishimaru di stupidaggini. O meglio, Ishimaru cianciava e lui cercava di distrarsi facendo finta di ascoltarlo.

Capitelo, non è facile per una persona come Mondo Oowada prestare attenzione al Prefetto che gli snocciola tre quarti del regolamento della Kibougamine come se fosse un libro sacro da sapere a memoria. Al secondo comma gli salì la voglia di piantargli una castagna sul muso, ma riuscì a trattenersi.

“E quindi un comportamento tanto promiscuo e indecente non è tollerato in un ambiente scolastico sano… kyoudai, mi stai seguendo?”.

“Mh mh” fece lui con la testa, mugolando un fintissimo accenno di assenso.

Che qualcuno, possibilmente Togami e Fukawa, arrivi e mi porti via. Vi prego.

Ottenne una risposta immediata sotto forma di porte che si sbloccavano da sole e buio improvviso.

“Ehi! Chi ha spento la luce?”
“Non l’ha spenta nessuno, è saltata.”
“Ci mancava solo questa…”

Poi Mondo sentì dei passi provenire da una delle stanze, e per un attimo pensò si trattasse degli scagnozzi di Ikusaba. Si piazzò davanti agli altri pronto a menare le mani, spalleggiato da Oogami che sembrava aver avuto la stessa idea.

I passi si fecero più vicini e lui scattò come una molla, seguito a ruota dalla lottatrice.

“FERMO! TI HO PRESO BRUTTO STRONZO!”
“OOWADA, SEI UN IDIOTA!”

Ma che…?

“Togami?” chiese Sakura, facendosi da parte. Mondo strizzò gli occhi e finalmente riuscì a scorgere le fattezze piuttosto alterate dello Scion. Fukawa era saggiamente rimasta qualche passo indietro, evitandosi l’agguato.

“Ma sei deficiente?!” ringhiò Togami, rimettendosi in piedi. Mondo si strinse nelle spalle: “Che vuoi, nessuno di noi si aspettava di ritrovarsi senza luce! Credevamo fossero quelli della brigata Fenrir!”

“In effetti” abbozzò Oogami, nel tentativo di dargli manforte. Nel frattempo il resto della classe si era avvicinato a loro, poteva dirlo dai passi esitanti e soprattutto dalle mani che toccavano a caso cercando appigli (“Ehi, piano con quelle manine lunghe! Non è che dovete approfittarvene perché è buio!”).

“Ok ok, è stato improvviso” sbuffò Togami, “ma era l’unica soluzione per sbloccare le porte e al tempo stesso attraversare il corridoio elettrificato senza rischiare di venire fulminati” spiegò, e tutti dovettero concordare sul fatto che non si poteva fare altrimenti.

Per un attimo Mondo ci rimase quasi male.

Mi togli tutto il divertimento se non posso punzecchiarti, Scion di ‘Staceppa.

“Allora, come sono andate le cose lì sotto?” chiese Kyouko, che a giudicare dalla voce sembrava piuttosto vicina a lui.

“Una meraviglia, devo proprio ammetterlo. Grazie all’aiuto di Touko ho potuto svolgere l’incarico in molto meno tempo, anche se è stato piuttosto duro comunque”.

“S-Signore e signori, so che al momento non si vede quasi nulla… m-ma prestate attenzione ai suoni.”

Si udì un leggerissimo click, seguito da un altro.

E poi due clack piuttosto forti. A Mondo sembrò che qualcosa fosse caduto vicino ai suoi piedi: “Cos’era questo rumore?” chiese, e la Super Scrittrice replicò al volo: “I nostri braccialetti.”

Un coro di “Ooooh!” si sollevò nella stanza.

“Come diamine ci siete riusciti?”

“Dicevo che Touko mi è stata d’aiuto, prima” chiosò il Super Erede, “e in effetti è stata lei a trovare il programma che monitorava e comandava i bracciali.”

Un altro coro di “Oooh!” e di complimenti per Fukawa riempì il silenzio, quando quest’ultima fece notare un dettaglio: “P-Però senza luce sarà complicato toglierli a tutti voi… p-per non parlare del cercare l’uscita… al buio” sussurrò con voce tremante, lasciando intendere che la sua fobia stava per prendere di nuovo il sopravvento.

Hmm… ora che ci penso...

Mentre tutti ragionavano su cosa fare, Mondo cercò freneticamente qualcosa nelle ampie tasche dei suoi pantaloni e della giacca. Deve essere qui da qualche parte si disse, sono sicuro di averlo usato mentre aspettavamo di salire sull’aereo.

Le sue dita incontrarono qualcosa di piccolo e liscio, e lui sorrise.

A-ah!

Si udì uno schiocco, seguito da un breve lampo di luce che si affievolì fino a diventare una sfera tenue che illuminava il viso sorridente del Biker.

“Ma… e quell’accendino?”
“Da dove salta fuori?”

“Avevo dimenticato di averlo con me” rise, un po’ imbarazzato. “L’avevo usato per una sigaretta mentre aspettavamo l’aereo, e poi non ne ho più avuto bisogno… fino ad ora, almeno.”

“E bravo scimmione, hai trovato una soluzione al nostro problema” sorrise Byakuya (che nella penombra data dalla fiamma dell’accendino sembrava più un ghigno inquietante, ma Mondo preferì non dirlo ad alta voce).

“Però illumina poco” protestò Ishimaru “salire le scale così sarà complicato. Ce ne vorrebbe almeno un altro.”

Qualcuno stava per accodarsi alla lamentela, ma Mondo ebbe un’altra idea.

“Kyoudai, reggilo un attimo” disse, porgendo l’accendino a Ishimaru e facendogli cenno di seguirlo. Si fermarono vicino alle casse in legno e ai tavoli accatastati, che Mondo cominciò a spaccare.

Qualche minuto dopo tutti erano dotati di una rudimentale torcia, ottenuta da un’asse di legno o i resti di una sedia.

“Illuminati dal fuoco come i cavernicoli. Un’idea degna di te, scimmione.”
“Fai poco lo splendido, Scion di ‘Staceppa. A nessuno è sfuggito il fatto che ora chiami Fukawa per nome.”

Non riuscì a distinguere bene la sua espressione a causa della luce rossa, ma un ringhiare sommesso confermò a Mondo che Togami era stato colpito e affondato.

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Capitolo 21
*** Allora tutti d'accordo, siluro sulla corazzata della Kibougamine in E4 ***


Aoi si sentiva un po’ a disagio.

Non c’era un reale motivo per quel suo stato d’animo. Non erano in pericolo, la situazione veleggiava verso una conclusione tutto sommato soddisfacente e l’unico punto in sospeso era decidere definitivamente quanto del materiale portarsi appresso. E sperare di riuscire a lanciare un SOS dall’aereo.

Forse, banalmente, la sua inquietudine derivava dal fatto che tutti e otto avevano in mano una torcia e ciò le dava l’impressione di far parte di una delle classiche folle da film che sta per andare a linciare il mostro brutto e cattivo.

Non era esattamente un pensiero allegro, ecco.

Oh, d’altronde Togami ha dovuto per forza staccare la luce. Meglio non prendersi rischi gratuiti con pozze d’acqua e neon penzolanti dal soffitto.

“Va bene” si sollevò la voce di Kyouko “a questo punto direi che possiamo seriamente pensare di andarcene. A meno che non ci sia qualcosa di cui mi stia dimenticando…”.

“I supereroi non si dimenticano mai nulla, Kirigiri-san” commentò sarcastico Ishimaru. Aoi si mise a ridere, memore del discorso che il Prefetto le aveva fatto giù nella sala comandi in tema di mantelline e montagne spaccate a pugni. Peraltro fu felice di vederla sorridere al rimarco, per un attimo aveva temuto che potesse volerlo prendere a calci.

Venne fatto un breve giro di domande per appurare che fosse tutto sotto controllo, e quando arrivò il suo turno…

“Beh, in effetti io un dubbio ce l’ho”.

“E sarebbe, Asahina?”.

“Nulla a cui si possa rispondere al momento, temo. Pensavo solo all’eventualità peggiore, cioè al fatto che la radio dell’aereo possa non funzionare. In quel caso… che facciamo?”.

Era un’ipotesi che, nonostante le rassicurazioni di Sakura, non voleva sapere di andarsene dalla sua testa. Il quesito esposto ad alta voce contribuì a seminare la sua incertezza anche negli altri.

“Hai ragione, non possiamo rispondere adesso. Tanto vale appurarlo il prima possibile. Naegi, tieni questo fascicolo. Io penso a portare l’altro”. Glielo consegnò, intimandogli di prestarci la massima attenzione.

“Un momento!” intervenne Fukawa “Prima di andare… Kirigiri, v-vorrei che tu facessi una cosa”.

L’interpellata strabuzzò gli occhi, evidentemente non si aspettava una richiesta: “E cosa dovrei fare?”.

“Chiedere… chiedere s-scusa a Naegi-kun…”.

Eh? Kirigiri doveva chiedere scusa a Naegi… per cosa?

“Touko-chan” sì inserì anche lui “non ora, non è il momento”.

“Sì che è il momento. N-Non è mai troppo tardi”.

“Ok, ma per cosa? Si può sapere?”.

“P-Per quando… hai avuto la b-brillante pensata… di crederlo Zero… e lo stesso vale per Byakuya-sama, c-con cui ho già parlato di questa cosa...”.

“Sentite” cercò di imporsi lo stesso Naegi “adesso non è davvero il caso. Siamo al buio con solo delle improvvisate torce a farci luce, possiamo occuparcene quando saremo usciti da questo postaccio. Fermo restando che ti ringrazio davvero molto per il pensiero, Touko-chan”.

Aoi non disse nulla, non era cosa che la riguardasse e non riteneva opportuno ficcarci dentro il becco. Si limitò ad osservare incuriosita l’espressione di Kyouko, la quale non mostrava il minimo segno di emozione.

In effetti posso capire perché Fukawa-san insista per questa cosa, è stato davvero un colpo basso da parte loro. Sospettare di un pezzo di pane come Naegi-kun… è come se sospettassero di me, che la cosa più terribile di cui posso vantarmi è stata l’inseguire chi mi aveva preso un morso di ciambella brandendo un coltello di plastica. Mi sarei sentita offesa al posto suo, devo dire. Però anche le obiezioni di Naegi hanno senso, questa è una cosa che può essere sistemata in un secondo momento. Non mi sembra così urgente.

“Concordo con Naegi-kun” sentenziò la Detective ”al momento la nostra linea d’azione migliore è uscire di qui. Al resto possiamo pensarci dopo”.

“Non sarà… mica che n-non vuoi… scusarti con lui?”.

“No, non è quello. Naegi-kun” disse voltandosi nella sua direzione.

“D-Dimmi, Kirigiri-san”.

“Hai la mia parola: ti porgerò le mie scuse”.

“Lo stesso vale per me” confermò Byakuya.

Serpeggiava fra tutti loro un senso di stupore generalizzato. Non tanto perché i due rei avessero accettato di scusarsi (da Kirigiri tutto sommato ce lo si poteva aspettare, e dati gli ultimi sviluppi anche la rapidità con cui Togami aveva accettato non risultava poi così impossibile), quanto per la forte presa di posizione di Fukawa. Evidentemente tutto l’impegno, la costanza, la voglia che Naegi aveva investito su di lei stavano dando i loro frutti. Bei frutti.

Non c’è niente da fare, Naegi-kun saprebbe tirare fuori il meglio da una scatola di scarpe. E comunque potevate anche essere un po’ meno orgogliosi voi due, dargli le scuse che si merita e non pensarci più.

“Avanti, andiamo”.

E andarono.

Il tragitto fu piuttosto veloce e piuttosto tranquillo, salvo il momento in cui Mondo rischiò di inciampare e di travolgere tutti loro come una palla da bowling travolge i birilli durante uno strike. Con un infastidito Togami che, per ripicca, cercò di appiccare fuoco al suo pompadour.

Poi arrivarono finalmente all’esterno, un pallido sole a illuminarli. Difficile dire se fosse mattina presto, pomeriggio tardo o sa il diavolo quale momento della giornata.

Spensero le torce e lasciarono i pezzi di legno nascosti dietro un cespuglio vicino al portone d’entrata (suggerimento di Kirigiri in caso decidessero di tornare nell’edificio per prendere altro cibo o cercare una radio funzionante).

Poi, mentre con lo sguardo provava a ritrovare la direzione da cui erano arrivati (sperando di ricordarsela, era passato un bel po’ di tempo), ebbe un mancamento.

Nulla di grave, neanche cadde a terra. Riuscì a puntellarsi con le braccia e a non perdere l’equilibrio, ma tanto bastò perché Sakura le saltasse addosso per assicurarsi delle sue condizioni.

Poi mi si chiede perché mi sono presa una cotta per lei.

“Tranquilla Sakura-chan, tranquilla. Non è nulla. Sono solo un po’ debilitata… come immagino tutti voi”.

“Ok, siamo tutti stanchi. Ma a questo punto suggerirei di continuare fino all’aereo per assicurarci di poter lanciare un SOS” disse Kyouko, “così nel caso ci servisse anche una radio torneremo indietro una volta sola.”

“E poi possiamo fare uno spuntino con gli snack dell’aereo! Magari nel cucinino di bordo sono rimaste delle ciambelle” pigolò Aoi, suscitando l’ilarità generale: “Ma se ci siamo strafogati solo venti minuti fa!” scherzò Mondo.

“Bene, direi che è deciso. In marcia” comunicò Kyouko, e tutti la seguirono.

Ridete, ridete! Ma io nelle ciambelle ci spero sul serio scherzò tra sé e sé e al primo che le tocca stacco le mani!

Il tragitto durò meno dell’andata, quando avevano vagato a vuoto per ore prima di trovare l’edificio casualmente: Kyouko aveva confermato di ricordare alla perfezione il percorso fino all’aereo, cosa che aveva accorciato notevolmente i tempi.

Finalmente, semi nascosto da alcune palme, lo videro.

Aoi trattenne a stento qualche lacrima: non avevano ancora la certezza di poter comunicare con qualcuno, eppure in quel momento quell’aereo mezzo accartocciato le sembrava la cosa più bella e sicura del mondo.

Tutto è meglio di quel posto orribile!

Istintivamente si mise a correre verso quella malandata ancora di salvezza, e poco dopo si accorse che il resto della classe la stava imitando (persino i più posati come Kirigiri e Togami). Ma l’entusiasmo si spense una volta arrivati nei pressi dell’aereo, come se una barriera invisibile li separasse dalla loro meta. Aoi si guardò attorno, osservando i compagni che le restituivano occhiate altrettanto confuse. Una domanda in particolare sembrava albergare nei loro occhi, ma nessuno aveva il coraggio di esprimerla ad alta voce.

E se la radio non funzionasse?

Ikusaba aveva mentito su così tante cose che la sua affermazione sul danno dell’aereo poteva essere tanto vera quanto falsa, per non parlare del suo stato mentale alterato.

Scambiò un’altra occhiata coi compagni, quando finalmente Mondo decise di smuovere le acque: “Ragazzi, dubito si metterà in moto con la forza dei nostri sguardi penetranti. Se non saliamo a bordo non sapremo cosa ci aspetta, e in ogni caso non voglio rimanere qui tutto il giorno!” annunciò, dirigendosi verso la scala anteriore, e facendo attenzione sparì dentro la cabina di pilotaggio.

“Credo sia il caso di seguirlo” sbuffò Togami, “io non mi fido a lasciargli toccare le apparecchiature senza la supervisione di un adulto.”

“Non che tu lo sia” chiosò Kyouko, e lo superò dirigendosi all’aereo.

Il resto della classe decise di tirar fuori i propri bagagli e recuperare qualunque cosa potesse rivelarsi utile. Aoi stava controllando il cucinino, arraffando qualche snack (nulla che somigliasse a una ciambella, purtroppo per lei), quando si sentì la voce di Oowada urlare: “MAYDAY! MAYDAY! MAYDAY!”

Allora funziona?

Corse fuori, ritrovandosi incastrata tra i sedili insieme agli altri (che avevano giustamente avuto la sua stessa idea), ma anche bloccata dov’era riusciva a sentire Ishimaru chiedere informazioni: “Siete riusciti a far funzionare la radio?!”

“Apparentemente” spiegò Togami, “sembrava accesa, stiamo mandando un segnale d’emergenza nella speranza che ci rispondano.”

La scena si ripeté per qualche minuto, ma che ad Aoi sembrarono interminabili.

Kami, che ansia!

Quando tutto sembrava ormai perduto vide Ishimaru sporgersi di nuovo dentro la cabina.

“Ci hanno sentiti?!” lo sentì urlare, e in cuor suo sperò avesse ragione.

“MAYDAY! MAYDAY! MAYDAY! Ci sentite?”

Aoi non riuscì ad afferrare un’eventuale risposta, ma la frase successiva di Oowada diede speranza a tutti loro: “Volo JA-001A. Ripeto, JA-001A!”

Gli scambi di informazioni andarono avanti ancora un po’, quando finalmente li videro uscire dalla cabina. Togami si autoproclamò portavoce e cercò di placare gli animi: “Allora, come avrete sentito siamo riusciti a lanciare un SOS. L’audio era disturbato, ma da quello che abbiamo capito erano già sulle nostre tracce e manderanno qualcuno a recuperarci. Quindi, ragazzi… non ci resta che aspettare. Siamo salvi.”

Aoi non riuscì a trattenersi: scoppiò a ridere e allo stesso tempo le venne da piangere. Le emozioni imbottigliate in quegli ultimi giorni si stavano sgomitando per venire in superficie tutte assieme: felicità per la fine dell’incubo; dolore per la questione con Sakura, che nonostante tutte le loro buone intenzioni qualche danno lo aveva e lo avrebbe ancora fatto; compiacimento… e perché no, un pizzico di soddisfazione nell’aver visto due persone così fedeli a se stesse come Fukawa e Togami cambiare in modo inaspettato ma positivo; tristezza e nel contempo risentimento nei confronti di Ikusaba, vittima come loro e carnefice di tutti loro. Insomma, era un gran bel calderone ribollente la cui fiamma era appena stata vivacizzata dall’annuncio, e soprattutto dalle ultime parole, dello Scion.

Attorno a lei gli altri reagirono in maniere simili. Alcuni si scambiarono un sonoro cinque fuori di sé dalla gioia, ci fu qualche abbraccio senza pensarci troppo, Oowada dovette fare il di più mettendosi a urlare come una sirena dell’ambulanza. Chissenefregava, erano tutti troppo ubriachi per star lì a rimproverarlo.

Poi, dopo circa un minuto di festeggiamenti che manco quando la Kibougamine FC aveva vinto il campionato inter-scolastico di calcio, l’adrenalina la abbandonò. Si lasciò scivolare sul sedile più vicino, la faccia ancora bagnata di lacrime che non smettevano di uscire, osservando i suoi compagni comportarsi più o meno allo stesso modo.

“Cacchio. È stata una vacanza memorabile” disse ridacchiando, consapevole del fatto che in quel momento poteva affermarlo a cuor tutto sommato leggero.

“Lo puoi dir forte, Asahina-san” venne dalla fila dietro di lei la voce di Makoto. A cui si aggiunsero quella di Fukawa, di Ishimaru e via via di tutti gli altri.

“Bene gente. Non so voi, ma io sono a pezzi e vorrei dormire un po’ se non vi spiace” annunciò Mondo, che trenta secondi dopo prese a russare come un’intera divisione di panzer.

Sante parole, Oowada-kun. Certo, se non fossi esausta fino al midollo il tuo dolce ronfare mi guasterebbe il sonno… ma ‘sticazzi. Ops, devo ancora disimparare il suo vocab…

ZZZZZZZZZZZZZZ.

 

*

 

Kyouko aveva al solito dormito pochissimo. Come tutti sentiva la stanchezza, profonda e nel suo caso particolare forse più psicologica che fisica, ma una cosa a cui si era abituata senza problemi nel corso degli anni era dormire poco e con un occhio sempre mezzo aperto. Pertanto stimò che fossero passate non più di tre ore, al massimo quattro, prima che si destasse di soprassalto.

Ovviamente era l’unica. Gli altri erano ancora tutti nelle amorevoli e capienti braccia di Morfeo, che se li stava coccolando stretti stretti e pareva non aver intenzione di lasciarli andare tanto presto.

Se lo meritano un po’ di riposo. E me lo meriterei anch’io se non mi svegliassi al primo fruscio.

Provvide a una rapida panoramica, non prima di aver pasticciato un po’ col braccialetto per toglierselo. E si sentì inusualmente contenta di vederli finalmente calmi, in grado di rilassarsi e recuperare le energie dopo una simile odissea. Sorridevano tutti beati, presumibilmente immersi in sogni allegri. Togami non sorrideva ma per il semplice fatto che aveva la bocca aperta come un pesce appena pescato, il che era pure più divertente per lei.

Tutti tranne Naegi.

A ben guardare non c’era nulla che non andasse particolarmente in lui, se ne stava lì sul suo sedile dormendo composto (al contrario ad esempio di Oowada che da solo ne occupava due, e chissà come cavolo faceva a sopportare la posizione scomoda). Solo che ogni tanto un piccolo brivido lo percorreva, mettendo nella mente della Detective dei pensieri non proprio rassicuranti su cosa stesse vedendo. Stringeva al petto il fascicolo che lei stessa gli aveva affidato, quasi che la sua vita dipendesse da quell’oggetto. Ok, gli aveva detto di essere molto cauto perché era una delle poche prove che avrebbero riportato indietro… ma c’era una sorta di bisogno nel modo in cui lo reggeva. Le fece un po’ pena.

Mi devo ancora scusare con lui. Fukawa aveva ragione, ho proprio esagerato in quel momento. Per il mio lavoro viene utile, ma dubitare di tutto e di tutti fino a prova contraria a volte è una lama a doppio taglio. E in questo caso ho finito col ferirlo. Scusami, Naegi-kun. Non appena sarai sveglio cercherò di rimediare al mio errore.

Un moto non ben definito la spinse a sfilarglielo dalle braccia, notando come ciò sembrasse quasi infastidirlo. Ma stava dormendo della grossa, se l’era sicuramente immaginato.

Il moto divenne chiaro quando si spostò in una zona più isolata dell’aereo e si sedette aprendolo sulle proprie gambe: curiosità. Voleva sapere cosa c’era scritto sopra.

Venne accolta da un tratto elegante e austero, molto vecchia maniera.

Quel che vi lesse fu illuminante.

 

Ci siamo.

Domani la classe 78 parte per Sapporo. Il piano è delineato fin nei minimi dettagli, ho già provveduto a mettermi in contatto con chi di dovere ricevendo solo risposte affermative.

 

Quanto c’era davanti ai suoi sbigottiti occhi… sembrava una specie di diario di Ikusaba.

 

Il momento è giunto, quindi. Se tutto andrà come deve andare un finto guasto all’aereo porterà me, Oowada, Togami, Fukawa, Kirigiri, Naegi, Oogami, Asahina e Ishimaru su Jabberwock. È stato davvero complicato far sì che la classe venisse divisa in questo preciso modo. Ho dovuto usare argomenti… persuasivi.

Ma d’altronde non avrei voluto gente come Pekoyama, Kuwata, Yamada o Ludenberg fra i piedi. Loro non c’entrano, non sono i miei bersagli. I miei bersagli sono gli otto che ho elencato sopra, quelli che erano assieme a Junko-chan quando è morta.

I colpevoli.

Mukuro, non mentirti. La parte del tuo cervello non ancora affogata nella pazzia sa che loro sono innocenti. Eravamo dei bambini, piccoli e spaventati. Con che faccia puoi incolparli di quanto è successo a Junko-chan?

Non fa nulla. Ormai il dado è tratto.

Ormai ho coinvolto troppe persone, rimestato troppe cose che sarebbe stato più prudente lasciare lì dov’erano, fatto troppi patti con il diavolo. Non mi chiamerò Faust ma Mefistofele si incazzerebbe lo stesso se poi cercassi di tirarmi indietro, no?

 

Kyouko batté le palpebre due o tre volte, sinceramente stupita per la colta citazione. Riprese a leggere.

 

Ci ho persino rimesso la verginità. È stato qualcosa di schifoso, un mero atto fisico privo di significato con una persona che disprezzo profondamente.

Non fa nulla. È giusto così.

Tutto per la vendetta di Junko-chan. Se la merita. Non le permetterò di rimanere sola nell’oblio dove è stata crudelmente gettata.

Quindi niente Sapporo per i miei cari compagni. Un po’ mi dispiace per Oowada, non vedeva l’ora di andare a visitare il museo della birra. C’è solo il museo degli orrori per te, Motociclista della domenica.

Naturalmente ho già approntato anche la parte che riguarda i dirigenti della scuola. Specialmente te, Hongou. Spero che tu senta il mio fiato sul collo perché, non appena avrò finito qui, sarà il tuo turno. E se con loro non intendo spingere le cose fino in fondo, sappi che per te il discorso è diverso. Godrò nello sbudellarti come ti meriti, figlio di cagna.

 

Più leggeva e più era incredula. Poteva quasi percepire, annusare, forse addirittura afferrare fra le dita l’odio che Ikusaba aveva riversato in quelle parole.

 

No, non voglio ucciderli. O meglio, non è questa la mia intenzione iniziale ma se dovesse succedere non ci spenderò sopra neanche una lacrima. Dipenderà da loro e da quanto saranno in vena di ribellione contro le mie ragionevoli richieste, anche se esposte tramite una terza (o quarta o quinta o sesta) persona.

Devo fare dei pronostici? Vedo prevedo e stravedo che, se proprio qualcuno ci lascerà le penne, uno sarà sicuramente Togami. Quel ragazzo è troppo borioso, troppo pieno di sé fino a scoppiare. Verrà messo in una brutta impasse col cryptex, non riuscirà a superare il rinnovato shock di Shinobu e fallirà il compito. Un’altra che secondo me rischia è Asahina… non so, ultimamente l’ho studiata e ho maturato la convinzione che preferirà morire piuttosto che rivelare la sua vergognosa cotta per Oogami. Chi vivrà vedrà, è proprio il caso di dirlo.

Si pone il problema del dopo: cosa farò alla conclusione di tutto questo, quando avrò mostrato ai superstiti il piccolo santuario dove sono custodite le povere spoglie di Junko-chan. Beh, è una domanda difficile a cui non so ancora rispondere. Probabilmente finirò in galera per il resto della mia vita, facendo di conseguenza la fine di Harada. Perché no, non starò zitta e urlerò a più non posso la macchia sull’intonso curriculum della Kibougamine… ricevendo come premio un caffè alla stricnina o qualcosa di altrettanto letale.

Negli ultimi giorni ho anche accarezzato la possibilità di suicidarmi di fronte a loro. Tanto la mia vita non ha più molto valore da quando ho ricordato che fine indegna ha fatto mia sorella. Farei il classico monologo da super cattivo, spiegherei eventuali punti ancora oscuri (però ragazzi, se arrivati lì ci sarà ancora qualcosa di poco chiaro i vostri titoli valgono davvero poco) e BANG, teatrale uscita di scena.

Deciderò al momento, mi sa.

 

“Lo… lo aveva pensato…” disse piano per non disturbare il sonno degli altri. Quella lettura si stava rivelando foriera di informazioni interessantissime.

 

Qualunque sia il finale che sceglierò mi vedo facilmente a fare compagnia ai vermi. Ma sul serio, non è poi così importante. Ho fatto all in su tutto questo, quanto verrà dopo non mi importa e neanche deve farlo. Hongou a parte, che a prescindere da quanto mi succederà pagherà per i suoi crimini. Di questo ne ho la matematica certezza.

La mia vita è stata una bugia. Per anni ho creduto che Junko-chan fosse morta di malattia, come mi avevano detto quei figli di puttana dell’accademia. Sono rimasta sola al mondo e lei è crepata ad appena nove anni per colpa di un branco di fottuti psicopatici… dannazione, non devo piangere sul foglio. Finisco col rovinarlo.

 

Aveva pianto su quel foglio. Lo toccò e in effetti risultava un po’ diverso al tatto.

Kyouko non poté fare a meno di provare un microgrammo di pietà nei suoi confronti. Rimaneva sempre, per dirla con le sue stesse parole, una fottuta psicopatica… ma a quanto pareva anche i fottuti psicopatici soffrono come le persone normali. Non che non si potesse capirlo comunque perché la scenata prima di uccidersi era stata tremendamente sentita e piena di pathos, ma il particolare della lacrima dava ancora più peso al tutto.

 

Questo, di riffa o di raffa, probabilmente sarà il mio ultimo atto. Si pensa che per un soldato non ci sia morte migliore di quella guadagnata sul campo e non mi posso dire in disaccordo, con la differenza che un piano sotterraneo del complesso su Jabberwock Island (e non una pianura piena di sterpaglie in Albania) è il luogo che mi sono scelta per la mia battaglia finale.

Una parte di me, quella che mi scongiura di mollare tutto e lasciare gli altri otto nella loro beata ignoranza, si augura che il conto delle vittime si limiti a una sola unità. Spero che i fatti ti smentiscano.

Ok, fra poco scatta l’orario notturno. Meglio andare a letto, domani sarà campale e devo ancora…

 

“C’è qualcuno?”.

Eh? Quella voce… la conosceva.

Kyouko si alzò e si girò verso il retro dell’aereo.

Lo sguardo di suo padre si illuminò quando la vide.

Non ci pensò sopra un solo istante, appoggiò il fascicolo sul sedile vicino e gli corse incontro. Lo abbracciò con una foga decisamente non da lei.

Al diavolo, nessuno può vedermi mentre mi lascio andare alla debolezza.

“Kyouko, stai bene! Siano ringraziati i kami!”.

“A parte una nuova ustione sulla mano sì, sto bene”. Si pentì pochi istanti dopo di esserselo lasciato sfuggire, ma in quel momento neanche le interessava davvero.

Voleva piangere. Per una volta in vita sua voleva sentirsi una bambina che aveva bisogno della protezione e delle rassicurazioni del papà. Riuscì con grande sforzo a reprimere l’impulso.

“Cosa? Sei ferita? Fammi vedere!”.

“Non è niente di grave e mi sono già fatta medicare. Piuttosto, come sei arrivato qui? E gli altri? Maizono, Ludenberg, Kuzuryuu...”.

“Sono giunti a Sapporo come da programma, sono stati loro ad avvisarci della vostra assenza. Per quanto riguarda il come sono arrivato qui la risposta è: con gli elicotteri della marina, li ho obbligati a portarmi con loro” replicò, per poi sporgersi fuori dal portellone e urlare a qualcuno: “Sono qui, sono salvi!”

“Ma chi cazzo è che urla come una bertuccia di prima mattina?” ringhiò Mondo che, quando si issò sui due sedili che occupava e si voltò trovandosi faccia a faccia col preside Kirigiri a momenti non collassò per terra: “S-SALVE PRESIDE CHE BELLO VEDERLA.”
“Rilassati Oowada, con quello che avete passato non sarò certo io a sindacare sul tuo linguaggio. Forza, fuori di qui, i soccorsi vi aspettano!”

Ad attenderli trovarono due elicotteri di soccorso con un team di quattro medici, che prontamente si occupò di controllare che nessuno fosse ferito. Kyouko approfittò di quel momento per parlare da sola con il padre: “Papà, potresti darmi una mano coi bagagli?”

“Tesoro, credo che le valigie siano l’ultimo dei vostri problemi” scherzò lui, avvicinandosi “anzi, semmai dovremmo far vedere le tue mani ai-”
“Dopo, le mie mani possono aspettare” lo interruppe lei, abbassando di colpo la voce. Risalì sull’aereo con la scusa di tirar fuori gli ultimi bagagli rimasti e chiese al padre di seguirla: “Non abbiamo molto tempo, per cui stammi a sentire. Cosa sai degli esperimenti condotti dalla Kibougamine?”
“I cosa…?”
“Esperimenti. Condotti su bambini di nove anni, su diverse classi compresa la nostra.”
Jin non rispose, però il suo sguardo si fece cupo.

“Papà, cosa sai?”
Rispose dopo qualche istante di silenzio: “Quasi nulla, in realtà. Era da molto che sospettavo che qualcosa non andasse, c’erano troppe cose che non tornavano… quei campi estivi annuali per ogni classe, l’esistenza stessa di Jabberwock Island” replicò, passandosi una mano tra i capelli “c’erano un sacco di spese che non riuscivo a spiegarmi, ma non sono mai riuscito a scoprire di più. Gli archivi scolastici e i conti sono puliti. Ma perché me lo chiedi?”
“Perché è tutto qui, ecco perché. So che è assurdo, ma il consiglio scolastico ha condotto per anni esperimenti sui bambini, qui a Jabberwock. Quello che abbiamo passato… e ricordato…”

“Kyouko, cosa è successo?”

Lei cercò di riassumere, per quanto possibile, gli eventi degli ultimi due giorni a uno sconvolto Jin Kirigiri, che a fine racconto si passò una mano sul viso: “Kami… non ci posso credere, è così… così-”
“Assurdo? Orribile?”
“E tutto alle mie spalle” borbottò. “Quindi anche la storia di Izuru era vera? Altro che caduto dalle scale...”

“Probabilmente” sospirò lei, gettando un’occhiata attraverso il finestrino. “Senti, il tempo è poco: nell’edificio che c’è in mezzo alla foresta troverete tutto, compreso il corpo di Ikusaba e tantissime altre prove…”

“...che verranno fatte sparire non appena torneremo a Tokyo.”

“Non tutte” sorrise lei, e gli porse i due fascicoli su Junko e Mukuro. “Portali con te e nascondili al più presto in un posto che la Kibougamine non sospetterebbe mai.”
Jin scrutò la figlia con uno sguardo serissimo: “Avete intenzione di informare la stampa?”
“Devono pagarla, papà. Devono pagare per tutto quanto.”

Lui rimase in silenzio, poi annuì: “Ok. Vi darò tutto l’aiuto possibile. Ora andiamo, abbiamo perso anche troppo tempo.”
“Sì.”
“E devi farti visitare le mani.”
“Ok, ok” sbuffò lei.

Mentre scaricavano le valigie, Kyouko rimase per un attimo ad osservare suo padre, impegnato a parlare coi medici ed assicurarsi che il resto della classe stesse bene prima di tornare da lei e probabilmente obbligarla a una visita accurata.

“Papà?”
“Uh? Dimmi.”

“Sono… sono contenta che ci sia anche tu.”

 

*

 

Il viaggio in elicottero fu silenzioso, ad esclusione del preside Kirigiri che continuava a chiedere a Kyouko di tenere le mani coperte e di fare quanto le aveva detto il medico.

Makoto sospirò.

Gli elicotteri potevano portare un massimo di dieci persone, e ognuno aveva già un equipaggio di quattro membri (due piloti e due medici) più il preside, quindi dovettero dividersi in due gruppi mentre un terzo mezzo sarebbe andato a recuperare i resti di Ikusaba.

Lui, da bravo Super Fortunello, era finito con Kyouko, Togami e Touko; e se la presenza di quest’ultima era assai gradita, era invece ancora un po’ risentito verso gli altri due.

Forse dovrei lasciar correre, in fondo eravamo tutti con i nervi a pezzi...

Forse. Però era anche stanco di farsi mettere i piedi in testa da tutti e fare la parte di quello fin troppo ingenuo che alla fine si obbliga a non dare peso a queste cose.

Forse, si disse, Touko non aveva sbagliato a tirar fuori l’argomento poco prima di scappare dal complesso.

Col tempo che hanno perso a dire che si sarebbero scusati dopo potevano farlo subito sbuffò.

“Qualcosa non va, Naegi-kun?”

Sbuffo che, apparentemente, non era passato inosservato. Non a Kyouko, ovviamente.

“Tutto bene” mentì lui, “sono solo stanco, come tutti immagino…”

Tornarono di nuovo in silenzio, ma fu una pausa breve: “Naegi-kun?”

“Sì?”
“Sei un pessimo bugiardo.”

Figurarsi.

Preferì sforzarsi di sorridere e tornare a guardare fuori dal finestrino. Con la coda dell’occhio notò l’espressione infastidita di Touko, e lo rasserenò notare che almeno lei sembrava essersi presa a cuore quella vicenda.

“Devo chiederti scusa, Naegi-kun.”

Quella frase lo colse del tutto di sorpresa. Si voltò nuovamente verso Kyouko, la cui espressione sembrava… dispiaciuta?

“Ti avevo promesso delle scuse, e… beh, credo sia arrivato il momento di farlo.”

Non ci avrebbe creduto almeno finché non l’avesse sentito.

“Mi dispiace, Naegi-kun. Sono stata meschina a crederti colpevole di quelle cose orribili. Non… non so davvero come farmi perdonare.”

“Devo chiederti scusa anche io” annuì Togami dal sedile opposto. “Non c’è se o ma che tenga, nemmeno la situazione in cui eravamo. Siamo stati orribili nei tuoi confronti, e me ne scuso.”

L’aveva sentito. Kirigiri si era scusata, persino Togami aveva messo da parte l’orgoglio per porgergli le sue più sincere scuse.

Eppure…

Non ce la faccio.

Abbozzò di nuovo un sorriso e fece un cenno d’assenso: “Sì, scuse accettate” sussurrò, tornando ad osservare l’orizzonte.

Non gli sfuggirono le espressioni perplesse di Kyouko e Byakuya, né quella preoccupata di Touko.

 

*

 

Qualcosa non andava in Naegi, e non c’era bisogno di essere particolarmente sensibili per capirlo.

Togami aveva ingenuamente creduto che scusarsi con Makoto avrebbe risolto tutto, dando per scontato che il ragazzo non se la sarebbe legata al dito.

Ma forse qui stava il suo errore. Suo e di Kirigiri.

In fondo non si trattava di un quaderno rovinato o altre stupidaggini. Abbiamo tradito la sua fiducia. Suppongo non sia una cosa che passi velocemente, soprattutto ad uno come Naegi.

Gli lanciò un ultima occhiata, notando come il ragazzo si sforzasse di non incrociare mai i loro sguardi.

Sbuffò. Questa storia dell’empatia cominciava a innervosirlo, troppe cose di cui tener conto. Nell’ingenua speranza di distrarsi si guardò attorno, osservando il preside Kirigiri alle prese con i medici di bordo che cercavano vanamente di controllare le ustioni di una riottosa Kyouko (impegnata a lanciare sguardi discretamente allarmati verso Naegi, notò. Siamo in due sulla barca verso l’evoluzione in esseri dotati di sentimenti, cara la mia detective scherzò tra sé e sé).

Quando si voltò verso Fukawa, seduta al suo fianco, notò come anche la sua espressione fosse tutt’altro che serena. Immaginò potesse essere preoccupata per Naegi, ma non ritenne opportuno portare a galla l’argomento (soprattutto perché il suddetto argomento era seduto di fronte a loro ed era ancora piuttosto contrariato). Decise tuttavia di provare a fare conversazione: “Qualcosa non va? Non sembri entusiasta all’idea di tornare alla civiltà.”
Lei si voltò a guardarlo per un secondo, ma distolse subito lo sguardo: “I-In effetti no.”
“Come mai, se posso?”
La osservò mordicchiarsi un labbro e torturarselo, quasi si vergognasse di rivelare cosa la tormentava. “Non… non ho molta voglia di tornare a casa. Non voglio rivedere i miei” ammise alla fine, e lui per la prima volta si sentì un verme.

“...scusa” sussurrò, evitando di aggiungere l’avevo dimenticato.

Touko non sembrò essersela presa e si limitò a sciacquare via il tutto facendo spallucce. Sarebbe stato così anche per lui, almeno fino a due giorni prima, ma adesso sembrava non riuscire a togliersi quel tarlo dalla testa: il vecchio se stesso probabilmente avrebbe ritenuto chiusa la conversazione e non si sarebbe impicciato oltre. Il nuovo Togami evidentemente non era d’accordo.

“Hai mai… pensato di andare via di casa?”

Lei si voltò a guardarlo di nuovo, con occhi sgranati: “E come?”
“Beh, guadagni piuttosto bene come scrittrice. Sbaglio?”
“N-No ma” tentennò Touko, imbarazzata “per ora buona parte dei soldi guadagnati coi libri li prendono i miei genitori. E poi s-sono ancora minorenne…”

“Insomma vivono sulle tue spalle.”
Lei annuì imbarazzata, e lui provò un inaspettato moto di disgusto per quelle persone.

“Non mi esprimerò su di loro” le rispose, sforzandosi di mantenere il contegno “ma ritengo che dovresti fuggire da lì appena raggiunta la maggiore età. E per quanto riguarda il tuo contratto, posso chiedere ai miei avvocati di dargli uno sguardo e vedere se esiste qualche cavillo legale a cui aggrapparsi per cambiarlo.”

Touko riuscì a sgranare gli occhi ancora di più fino a renderli enormi: ”D-Davvero lo faresti?”

“Perché non dovrei?” si affrettò a rispondere lui, sentendosi improvvisamente incapace di sostenere quella conversazione (e quello sguardo).

Dopo qualche istante di silenzio aggiunse: “E comunque… se la tua situazione in casa dovesse diventare di nuovo insostenibile, puoi venire da me… voglio dire, la biblioteca di casa mia è enorme e puoi passarci tutto il tempo che vuoi, ecco.”

La vide sorridere per la prima volta dopo quei giorni infernali, un sorriso diverso da tutti gli altri strani sorrisetti che gli aveva rivolto in passato.

“T-Ti ringrazio, Byakuya-kun.”

Distolse di nuovo lo sguardo da lei, perché quel -kun l’aveva preso decisamente in contropiede.

E perché quello strano calore al basso ventre cominciava ad essere troppo.

 

*

 

“E quindi anche lo Scion di ‘Staceppa è diventato una brava persona.”

“Non farmi cambiare idea, gorilla.”

Qualche giorno dopo il loro salvataggio erano tutti riuniti a casa di Togami, diventata ufficialmente sede di ritrovo dei sopravvissuti. Era enorme, blindata e dotata di ogni tipo di allarme: se c’era un posto sicuro dove parlare del loro attacco alla Kibougamine era quello.

“I complimenti di Oowada saranno sicuramente peculiari” sorrise Sakura, “ma quello che ha detto è vero: una settimana fa non avresti pagato lo psicologo a tutti.”
“Volevo solo assicurarmi che fosse qualcuno al di fuori della scuola e non un loro sgherro” si affrettò a giustificarsi lui, “la prudenza non è mai troppa.”

“Quindi è per questo motivo che mi hai concesso di usare la tua piscina liberamente?” chiosò Aoi. “Temevi mettessero qualche veleno al posto del cloro?”
“E sempre per questo motivo hai detto a Fukawa di rifugiarsi nella tua biblioteca personale ogni volta che voleva” rincarò la dose Kyouko, “mica per darle modo di sfuggire alla sua situazione familiare.”

Togami rispose con un ringhio, smorzato dal tè che stava bevendo, mentre gli altri continuavano a ridere e scherzare.

Nonostante il motivo delle loro riunioni fosse tutt’altro che allegro, Kyouko apprezzava quel clima spensierato che si veniva a creare ogni volta.

C’era solo una cosa che ancora la tormentava.

Quella cosa, o meglio quel qualcuno, era impegnato a guardare con finto interesse le assurde navi in bottiglia di Togami (apparentemente era uno dei suoi hobby preferiti, oltre a giocare in borsa).

No, ok. Quella situazione stava diventando insostenibile. Da quando erano tornati Makoto non aveva fatto che evitare lei e Byakuya, rifiutandosi di incrociare lo sguardo col loro e mostrando malcelato astio quando vi era obbligato.

Quanto può essere difficile metterci una pezza, alla fine? Andiamo da lui e ci pentiamo sui ceci. Stop.

Certo, c’era un potenziale problema: la bassa autostima di Naegi. Probabilmente era quello il vero fulcro della questione e ciò che aveva causato quella spiacevole impasse fra loro tre. Si era accorta presto di quella cosa, ma la contingenza del gioco di Zero gliel’aveva fatta scordare… fino a quel momento, perlomeno. Ci avrebbe prestato attenzione.

Si girò verso l’Erede, in quel momento impegnato in una gara di smorfie con Oowada, e gli fece cenno di raggiungerlo. Quando ciò avvenne gli disse sottovoce: “Senti, non so te ma io non sopporto più la situazione con Naegi. È ora di risolverla, non credi?”.

“Sì, sono d’accordo”.

“Andiamo”.

Gli si avvicinarono senza che lui se ne accorgesse. Fu necessario toccargli le spalle per compiere l’impresa: “Oh. Siete voi”.

“Mi raccomando non esagerare con la gioia”.

“Non sono particolarmente entusiasta di vedervi, Togami-san”.

“Naegi-kun, cosa possiamo fare per farci perdonare? Perdonare sul serio, intendo. Perché nessuno dei due, per nostra fortuna, possiede l’acume di Hagakure ed è disposto a credere che quanto ci hai detto sull’elicottero fosse quanto realmente pensavi”.

Al che Makoto fece una cosa che non gli capitava spesso. Anzi, si può dire che non gli capitava mai: sbottò. “Sul serio, Kirigiri-san? Devo anche stare a spiegarvelo? Facendo così mi dai l’impressione che Togami-san non sia l’unico a necessitare di un sensei”.

Kyouko giurò di vedere l’occhio sinistro di Togami tremare.

I due preferirono non dire nulla e aspettare che fosse lui a fare la prima mossa. Prima mossa che, dopo un poco di pausa, giunse: “Io… io sono stanco di essere il bravo ragazzo che non ha neanche il diritto di prendersela. Mi avete ferito quando i vostri sguardi indagatori sembravano chiedermi se fossi io Zero. Vi rendete conto di quanto abbia provato a essere il collante del nostro gruppo, là dentro? Di quanto mi sia sforzato per cercare di mantenere una parvenza di pace, di stabilità, di quieto vivere fra di noi? E poi mi vedo messo in discussione al primo passo falso per una battuta stupida di Oowada-kun. Siate sinceri, credevate davvero che io potessi essere il colpevole di quell’orrore?”.

Attimo di silenzio.

“No Naegi, non sul serio” rispose franco Togami “Non posso parlare anche per lei, ma da parte mia si è trattato di un momento di debolezza. Un momentaneo riaffiorare del Byakuya Togami smargiasso che non esita… esitava a pensare subito il peggio degli altri. Mi… mi dispiace”.

E lei? Lo aveva pensato davvero?

“Neanch’io, no. Posso accampare la sua stessa scusa: un momento di debolezza. Sono entrata in modalità lavorativa, dove vige la presunzione di colpevolezza e non di innocenza. Sono mortificata di averti causato tutto questo disagio, non era mia intenzione spingermi a tanto. Se ti può essere di consolazione e di aiuto, prometto solennemente che farò tutto quanto è in mio potere per evitare che simili situazioni si ripetano in futuro. Non dubiterò mai più della tua buona fede, hai dimostrato in lungo e in largo di meritarti tutta la fiducia di cui siamo capaci”. L’ultima parte del discorso, all’incirca da prometto in poi, l’aveva condotta a testa bassa, rosa dal rimorso.

Vederlo così scosso le aveva fatto davvero male. Le aveva ricordato la peggior Fukawa, quella timorosa anche di respirare.

“Sarebbe bastato” riprese Makoto “chiedermi scusa subito”.

“Ma… ma sei stato tu a dirci di…”.

“Sì, lo so. E sono stato stupido. In quel momento mi avrebbe aiutato sentirvi pronunciare quelle parole, ma come al solito ho anteposto il bene comune al mio. Scusatemi, suonerò incoerente…”.

“Smettila, Naegi-kun”.

“Uh?”.

“Sii egoista una volta tanto, nessuno ti sgriderà. Ne hai il pieno diritto in virtù del fatto che sei il cuore pulsante di questa classe. Guardali” disse Kyouko indicando i loro compagni.

Tutti e tre si voltarono nella loro direzione. Mondo, perso il suo pagliaccio preferito, si stava sfogando su Ishimaru mentre Touko, Aoi e Sakura si stavano dedicando a discorsi squisitamente femminili (nella fattispecie come il suo nuovo taglio di capelli avesse reso la Scrittrice davvero molto carina).

“Sono qui, in condizioni tutto sommato accettabili e moralmente integri grazie a te. Specialmente Fukawa, che è entrata in quell’edificio come una sorta di relitto umano che galleggiava per miracolo e ne è uscita con delle toppe sulla fiancata, ok… ma di sicuro meglio attrezzata per prendere il largo. Il merito è tuo. Quindi se per una volta pensi a te stesso non te ne devi vergognare. Di nuovo, ti porgo le mie più sentite scuse. Quel brutto episodio rimarrà tale, solo un episodio”.

Togami sembrò sul punto di aggiungere qualcosa se non fosse stato per Naegi che li travolse entrambi abbracciandoli.

“Mi par di capire” esclamò Byakuya “che tu ci abbia perdonati”. Gli risposero i suoi singhiozzi. “Ora però togliti”.

Ci misero qualche minuto per rimetterlo in sesto, felici di vedere che l’incidente era rientrato.

Nota mentale, Kyouko: parlare fa bene.

Chiusa la parentesi, si radunarono tutti e otto attorno al gigantesco tavolo da lavoro di Togami.

“Dichiaro ufficialmente aperta la seduta” annunciò Ishimaru con un sorriso smagliante, a quanto pareva sin troppo contento di poter adempiere alle sue funzioni di Prefetto. Nessuno trovò opportuno rovinare il suo momento di gloria.

Si misero a discutere sul piano d’azione che intendevano portare avanti nella loro guerra contro la Kibougamine. Fu necessario mettere delle virtuali briglie a Togami, il quale era partito in sesta con deliri tipo “Datemi quarantotto… anzi no, ventiquattro ore e vi presenterò le macerie fumanti di quella scuola”.

“Togami-san, dubito che sia una via percorribile”.

“E perché non lo sarebbe, Oogami?”.

“Te lo spiego io il perché” intervenne Kirigiri “Ricordi quello che ha detto mio padre sui finanziatori dell’accademia? Per quanto tu sia ricco, loro lo sono almeno altrettanto. E sono più di te. Il tuo fervore ti fa onore, ma dubito tu voglia vedere la Zaibatsu crollare come un castello costruito sull’argilla”.

“Grgrgrgrgrgrgr”.

“Seriamente” proseguì la Detective “di sicuro il tuo apporto come personaggio in vista sarà di vitale importanza, ma da solo non può bastare. I fascicoli che ho affidato al preside per ora sono al sicuro, però dobbiamo muoverci in fretta. Più tempo passa, più si alza la probabilità che il consiglio scolastico mandi qualcuno a recuperarli”.

“E allora cosa aspettiamo?” proruppe Makoto alzandosi in piedi, sul viso ancora chiari i segni del precedente pianto liberatorio “Rendiamo giustizia a Junko-chan e facciamo in modo che chi si è macchiato della sua morte paghi per il proprio crimine!”.

L’approvazione che risuonò in quelle quattro mura scaldò l’anima di Kyouko.

Si disse che, almeno per una volta, poteva permettersi il lusso di pensare positivo. Di sperare.

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Capitolo 22
*** Extra - Scelte diverse, conseguenze diverse, finale diverso ***


“E quindi è finita così…”.

Makoto si voltò verso Byakuya dopo averlo sentito pronunciare quelle parole. Accanto a lui Kyouko sembrava osservare l’andirivieni delle altre persone con estrema tranquillità, indugiando in particolar modo sulla figura di suo padre.

Beh, non è difficile capire il perché.

“Purtroppo sì, Scion di ‘Staceppa. È andata male”.

“Eh, che ci volete fare. È la vita” pontificò Asahina alle loro spalle. Strano, di solito non era così filosofica. Men che meno quando si trattava di cose così grandi come… come…

Gli risultava ancora tremendamente difficile pensarlo, figurati dirlo a voce alta.

La commemorazione proseguiva lenta, con loro otto che tenevano le teste basse come si confà all’occasione.

Che occasione, vi starete chiedendo? Oh, nulla di che.

Makoto Naegi, Kyouko Kirigiri, Mondo Oowada, Touko Fukawa, Aoi Asahina, Sakura Oogami, Byakuya Togami e Kiyotaka Ishimaru stavano partecipando al loro funerale.

Erano morti tutti per mano di Mukuro Ikusaba durante la folle avventura a cui quest’ultima li aveva sottoposti su Jabberwock Island.

Aoi e Sakura erano rimaste vittime dei braccialetti che Zero (l’alias assunto da Ikusaba) aveva fatto indossare loro quando li aveva fatti svenire con del gas soporifero. La Nuotatrice si era rifiutata di rivelare il suo più sporco segreto ed entrambe ne avevano pagato le conseguenze.

Byakuya non era riuscito a superare l’orgoglio e, durante la sua prova, aveva fatto di tutto per strappare dalle mani di Touko il cryptex senza neanche tentare di essere un po’ più diplomatico nella sua richiesta. Il risultato erano stati tre cadaveri (il suo, quello della stessa Fukawa e quello di Kirigiri) sul pavimento della stanza 7.

Per quanto riguardava Ishimaru, Oowada e Naegi… beh, era successa la cosa da una parte più ovvia: Ikusaba li aveva riempiti di piombo. Il Super Fortunello, che per non venir meno al proprio titolo era rimasto agonizzante per parecchio tempo prima di spirare, aveva avuto almeno la soddisfazione di vederla mettersi la canna della pistola in bocca e farsi esplodere le cervella.

E quindi eccoli lì, di nuovo riuniti.

Naturalmente è stato un momento tragico quando, una volta ritrovatisi nel giardino principale della Kibougamine (i fantasmi non hanno bisogno di pagare il biglietto del tram, ragazzi privilegiati), si erano resi conto del destino che era toccato loro. A parte Kirigiri, che continuava a chiedersi insistentemente come fosse possibile e che lei agli spiriti non credeva perché non erano logici.

In quel momento giuro che poteva sembrare Hagakure durante uno dei suoi momenti di notoria lucidità mentale. Sei morta, come cacchio fai a dire che non ci credi?

Però anche lui, nonostante cercasse di mantenersi attento e vigile, si faceva parecchie domande sul loro persistere nel mondo dei vivi. Si usa dire che i fantasmi restino dal lato sbagliato perché hanno dei conti in sospeso, e forse per alcuni di loro poteva anche essere vero… ma lui? Che conti in sospeso aveva?

Oh beh, poco importava. La loro nuova realtà era quella e qualcuno o qualcosa aveva deciso che a loro toccava essere presenti lì, nello spiazzo più grande della scuola, a seguire la propria cerimonia funebre. I più temerari, come quella testa calda di Oowada, avevano anche tentato di andarsene per non soccombere alla noia ma non c’era stato verso, erano bloccati in quel luogo.

C’era un sacco di gente, anche alcune facce che Makoto non aveva mai visto prima. Ovviamente il preside Kirigiri, che sembrava fare parecchia fatica per non accasciarsi sulla bara della figlia e scoppiare a piangere; ovviamente l’altra metà della loro classe; c’erano anche alcuni alunni della 77 con cui aveva in passato scambiato quattro chiacchiere in allegria. A parte quel tipo strano coi capelli bianchi, l’ahoge e un gusto estetico troppo simile al suo. Gli stava antipatico a pelle.

Quel… quel… calmati Makoto, calmati. Non essere volgare. Certo che la giacca dello stesso colore della mia… cerchi forse di fregarmi il posto?

“Ragazzi, io mi scazzo!” scoppiò a un tratto il solito Mondo. Neanche da morto manteneva un minimo controllo sul volume della propria voce, ricevendo l’ormai scontato rimprovero dal suo kyoudai.

“Che ci vuoi fare, Oowada? Siamo morti, non abbiamo molte alternative”.

“Ma non potremmo… chessò, andare a fare gli scherzi notturni a qualcuno? Dare fuoco allo shinai di Pekoyama? Ribaltare il tavolo da gioco di Ludenberg proprio mentre sta spennando l’ennesimo sfigato?”.

“Ma ti senti parlare, Oowada-san?” ribatté Sakura, contrariata “Quelli non sono scherzi, sono atti vandalici belli e buoni”.

“Ecchissenefrega! Potremo prenderci delle libertà almeno da fantasmi, no?”.

“È comunque un atto di grande maleducazione, non adatto a un ambiente scolastico sano” lo rimproverò Ishimaru. Beccandosi in tutta risposta un vaffanculo.

“Guardala, guardala…” fu quanto Naegi si sentì sussurrare da una furente Aoi: “Uh? Asahina-san, con chi ce l’hai?”.

“Con quella… quella stronza di Celes! Guardala! Ti prego Naegi-kun, guardala!”.

Fece come gli era stato suggerito e lo spettacolo che lo accolse non fu di certo dei più carini: Celestia Ludenberg era al funerale di otto suoi compagni di classe morti in circostanze a dir poco drammatiche e non faceva neanche lo sforzo di trattenere lo sbadiglio che la stava possedendo in quel momento.

“Ma… ma…”
“Non ci credo! Sbadiglia al nostro funerale?” ringhiò Oowada, ancora innervosito dal suo non poter fare niente di niente.
“Ah, ma dovevo immaginarmelo” continuò a borbottare Aoi, “cosa ci si può aspettare dalla Super Giocatrice d’Azzardo?”
“Magari non…”
“Sai che è stata lei a mettere in giro le voci sulla mia cotta per Sakura? Vuoi ancora cercare di giustificarla?”
“...ma brutta stronza” si lasciò sfuggire Naegi scatenando l’ilarità nel resto del gruppo, Mondo in particolare: “Epperò Naegi-kun! Che linguaggio scurrile! Ti ci voleva la morte per lasciarti andare?” rise, mentre Ishimaru continuava imperterrito a snocciolare il regolamento scolastico (e tutti a ricordargli che ormai per loro non valeva più).

“Beh, è onestamente noioso.”

“...è un FUNERALE, Togami-san.”

“Per una volta la diva bionda ha ragione! Ho sempre detto ai membri della mia gang di darsi alla pazza gioia e annaffiarsi di birra se mi fosse successo qualcosa! Oh, ooooh eccoli là!” piagnucolò Mondo, indicando un gruppo di motociclisti che da oltre la recinzione della scuola osservava la cerimonia e piangeva disperatamente urlando il nome del loro defunto capo.

“Non mi sembra si stiano esattamente dando alla pazza gioia...” osò Makoto, quando notò che Oowada era nelle loro stesse condizioni: “NON IMPORTA! STANNO PIANGENDO IL LORO CAPO, LI PERDONO! SI UBRIACHERANNO POI!” strillò, tirando su col naso. Ishimaru si prese la briga di consolarlo.

Makoto sospirò e decise di lasciar perdere, preferendo concentrarsi sul resto del gruppo: Aoi e Sakura indicarono le rispettive famiglie (e lui notò quanto Yuta Asahina somigliasse alla sorella), mentre Kyouko era ancora concentrata sul padre. Posò gli occhi sulla sua famiglia e gli si strinse il cuore nel vedere Komaru sforzarsi di rimanere stoica e non piangere.

La mia piccola Komaru sorrise, sono sicuro che te la caverai anche senza di me.

Preferì distogliere lo sguardo ed evitare di dar spettacolo insieme a Oowada (anche se in fondo gli faceva tenerezza vedere come un duro e puro come lui avesse un lato sensibile), e si voltò verso Togami e Fukawa, gli unici che non sembravano toccati dall’evento.

“Tutto ok, ragazzi?” chiese, e Byakuya si limitò a fare spallucce; Touko provò ad articolare una risposta: “No, è che… i-immaginavo che i miei non sarebbero venuti.”

Naegi diede una rapida occhiata tra la folla, e in effetti non gli parve di vedere nessuno che corrispondesse alla descrizione dei genitori di Touko (due madri e un padre).

“È orribile” sussurrò lui, ma lei gli rispose con un mezzo sorriso: “Non fa niente. Quelli che contano ci sono… anche se sono morti.”

Makoto ricambiò il sorriso, poi entrambi si voltarono verso Togami: “Hai visto tuo padre, Togami-san?” chiese, guardando nella stessa direzione in cui guardava l’ex Scion.

“Mio padre non c’è, com’era prevedibile. Non gli importava poi tanto dei figli” disse, sforzandosi di mostrarsi disinteressato “in fondo parliamo di uno che ne ha generati quindici con altrettante donne diverse.”

“Però stavi osservando un uomo prima, e… c’è una ragazza con lui.”
“Quello è Aloysius, il mio maggiordomo personale. Mi ha cresciuto lui” rispose, e Makoto avvertì una nota di tristezza nella voce di Togami. “E la ragazza è Shinobu… mia sorella” concluse, voltandosi a guardare altrove.

Makoto non insistette oltre, ma doveva ammettere di apprezzare questo momento di apertura di Togami. Forse da morti si è più onesti con se stessi, pensò. Oltre a questo pareva che il trapasso comportasse anche una forma d’onniscenza perché nessuno si stupì dell’uscita di Byakuya, come se ne fossero consapevoli da sempre. Lo stesso era valso con la rivelazione di Aoi su Sakura e con la composizione della famiglia di Touko.

È una roba strana forte, questa.

“Ma quindi come farà ora Togami senior?” chiese Mondo, che a quanto pareva si era appena ripreso dalla crisi di pianto. “Visto che il suo erede è passato a miglior vita dovrà riorganizzare i Giochi senza Frontiere Togami?”

Makoto vide chiaramente Byakuya sgranare gli occhi e inorridire.

 

*

 

Scoprirono ben presto che la vita da fantasmi era piuttosto monotona e noiosa. Soprattutto monotona.

Quando riuscirono finalmente a lasciare il cortile della scuola capirono di poter andare dove volevano, e alcuni di loro decisero di visitare le proprie famiglie, di quando in quando. L’idea si rivelò infelice in quanto lo spettacolo a cui assistevano quasi sempre era un membro della famiglia (se non tutta) intento a piangerli.

Appurato che era meglio lasciar passare altro tempo prima di far di nuovo visita ai parenti, finirono per rimanere molto tempo a scuola: all’inizio vedere metà classe vuota fece male e Mondo e Ishimaru non riuscirono a rimanere composti di fronte alla tristezza di Chihiro, che sentiva terribilmente la loro mancanza.

Altri invece trovarono subito un passatempo che li tirasse su.

“Aoi…”

“Bwahahahah!”

“Aoi, per favore…”

“Ancora una volta, Sakura-chan!”

“È la terza volta che dici ancora una volta.”

“Ma è divertente!”

“Tu dici?”

“Io dico” si intromise Mondo, osservando divertito la crisi isterica di Celes, la quale era diventata vittima inconsapevole di Aoi: quest’ultima voleva vendicarsi delle voci messe in giro dalla gothic lolita e aveva scoperto di divertirsi nello staccarle i codini posticci e farli cadere per terra.

“Guardala, è dovuta andare in infermeria!” la rimproverò Sakura. “Sei contenta?”

Aoi mise il broncio: “Se devo essere onesta, sì. Non fosse stato per lei Mukuro non avrebbe scoperto niente di me, niente!”

“A proposito, dove pensate sia finita Ikusaba? All’inferno, o qualunque roba sia?” chiese Kyouko, che ancora non riusciva ad accettare di essere diventata qualcosa a cui non credeva (ovvero un fantasma).

“Ti prego, non evocarla” ringhiò Togami, “vorrei evitare di dover passare l’eternità con lei a rompere le palle.”

Mondo sorrise: “Confermo, ci voleva la morte per far diventare te e Naegi più coloriti negli insulti.”

Makoto stava osservando la scena con il sorriso stampato in faccia, quando venne distratto da qualcosa.

“Qualcosa non va, Naegi-kun?” gli si avvicinò Kyouko, e lui annuì brevemente: “No no, solo che…”

“Solo che?”

“Ho un’idea che mi ronza in testa” disse, e le fece cenno di seguirlo. Quando si piazzò davanti ad Hagakure (che era intento ad interrogare la sua sfera di cristallo pagata cento milioni di yen) lei inarcò un sopracciglio: “Non vorrai mica credere che lui ci veda?”
“No, ma magari potremmo provare a comunicare… lasciare messaggi ai nostri cari tramite lui!”

“A parte che non so chi dovrebbe credergli” lo corresse lei, “vorrei ricordarti che i fantasmi non esistono.”
“Ah no?”

“...’fanculo” borbottò lei, confermando la teoria di Oowada sulla correlazione tra morte e linguaggio scurrile.

Makoto rise: “Oh dai, è un tentativo! E poi mi annoio.”

“Anche io” ammise lei. “Oh, e va bene. Facciamo una prova” acconsentì, e fece cenno agli altri di avvicinarsi.

Makoto si piazzò davanti al banco di Hagakure e lo guardò dritto negli negli occhi, ma non successe nulla.

“Adesso sappiamo per certo che non ci vede” chiosò Kirigiri.

“Nel caso ci fossero mai stati dubbi” sottolineò Togami.

Makoto però non si arrese e si concentrò per spostare le matite sul banco. Dapprima non successe nulla, poi riuscì a farne rotolare una che andò a sbattere contro la sfera. Hagakure sgranò gli occhi e borbottò: “Eppure non ho ancora fumato niente…”

Tutti rotearono gli occhi.

Decise di fare un ultimo tentativo. Si concentrò al massimo e poi disse: “Hagakure-kun, riesci a sentirmi?”

Il Super Veggente (che al momento di Super aveva ben poco) sgranò gli occhi e si guardò attorno: “C-Chi è? C’è qualcuno? Sento uno strano freddo…” sussurrò. Freddo che era stato causato da Mondo, il quale si stava divertendo ad attraversargli la testa con le mani.

“Oowada-kun, piantala!” borbottò Makoto, che ritentò: “Hagakure-kun, puoi sentirmi?”

“OOOOMMIODDDIOOOOONAEGICCHISEIQUIIIIII?????”

L’urlo di Hagakure fu seguito dal lancio del banco e della sfera, che andò a colpire Kuwata. Il Super Giocatore di Baseball non ne fu contento e la rilanciò al mittente, mettendolo KO e mandandolo in infermeria.

“Allora, Naegi-kun? Sei soddisfatto?”

Lui sorrise a Kyouko: “Sì, direi di sì.”

“Insomma, che cazzo sta succedendo qua?” proruppe Kuzuryuu alzandosi dal suo banco e sbattendoci una mano sopra “Prima i codini di Ludenberg che prendono vita propria. Poi Hagakure che va bene, sarà un imbecille patentato… ma prima d’ora non aveva mai avuto uno scatto del genere. Ci saranno mica dei fantasmi? Fatevi avanti, figli di puttana, che vi apro la testa come un melone!”.

“Signorino! Lei non deve esporsi, potrebbe essere pericoloso. Lasci fare a me!” fu l’urlo di guerra di Peko, che come un fulmine si alzò a sua volta e sguainò la propria spada di bambù. Spada che attraversò per metà Togami, lasciandolo diviso in due parti. Lui non apprezzò poi così tanto, il resto del gruppo decisamente sì.

“Mi chiedo cosa aspettino quei due a mettersi assieme e a scoprire le gioie del sesso. È evidente che si muoiono dietro da quando eravamo alti così” disse Mondo facendo il segno dell’altezza parallelo al suo ginocchio. Ricevette parecchi cenni d’assenso. Tutti loro erano d’accordo con quanto diceva e lo stesso valeva di sicuro anche per la metà della classe ancora viva, diretti interessati esclusi.

“KUZURYUUUUUUUUUUUUUUUUUUU! PEKOYAMAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!” urlò il docente, esasperato dai continui disturbi alla lezione.

“Ma professore, mi dica che non ho ragione! C’è qualcosa che non va qui!”.

“In effetti…”.

“Hai parlato di fantasmi, Kuzuryuu-kun? Non ti riferirai mica a… Naegi-kun e agli altri?” azzardò timida Sayaka, attirandosi in tempo zero tutti gli sguardi dei presenti.

“Ma non lo so, Maizono! Dicevo per dire”.

“Però Hagakure ha strillato Naegicchi nel suo delirio…”.

Ci vollero pochi minuti per trasformare la classe 78 della Kibougamine nel peggior pollaio di periferia, pieno di contadinotti sbronzi che cercavano di farsi la pelle con i forconi.

I fantasmi, perché chiaramente il Super Yakuza aveva ragione, erano tutti intenti a ridere a crepapelle di fronte al casino da loro stessi provocato.

Quando si è morti ci si diverte con poco.

Poi, a crisi ridanciana conclusa, Makoto colse in maniera limpida l’incupirsi di Kyouko. Le si avvicinò e le chiese: “Kirigiri-san, tutto bene? Eravamo così contenti e ora…”.

Lei sembrò quasi restia a volergli rispondere, ma cedette presto: “Sì, non preoccuparti. È solo che…”.

“Solo che?”.

“Non mi è piaciuto il modo in cui Maizono ha pronunciato il tuo nome”.

Ehscusagraziepregohofattotreettilascio?

“Perché mai?” le chiese ancora, stupefatto. La risposta lo spiazzò definitivamente: “Come ho sempre sospettato… ha una cotta per te”.

Sul serio? SUL SERIO?

Non si era mai accorto di nulla del genere. Cioè, Maizono-san era sempre stata carina e gentile con lui e quello non lo negava… ma lo era con tutti. Deformazione professionale, si era detto. Era il modo standard di comportarsi delle idol, no?

Ma ad averlo affermato era stata Kyouko Kirigiri, una che non è proprio il tipo da lanciare accuse (accuse? Questa la devo considerare un’accusa?) simili senza elementi a sostenerle. Pertanto… era facile che avesse ragione.

“Ma siamo morti. Dov’è il problema?” fu la sua innocente domanda.

“È che io sono…” iniziò lei, salvo venire interrotta da Oowada che da dietro di lui si lasciò andare a una breve risata e poi disse: “Oh Naegi, con le donne sei proprio senza speranza. Tu e Togami siete allo stesso disastroso livello. Lasciate che lo zio Mondo vi dia un paio di lezioncine sull’argomento”.

“Sì, mi sembra furbo da parte loro. Così impareranno a farsi scaricare alla velocità della luce, potendo persino scegliere se lo schiaffo lo vogliono sulla guancia sinistra o sulla destra” commentò ironico Ishimaru, facendo un palese riferimento al camion di due di picche che Mondo teneva parcheggiato nel garage vicino alla Kawasaki.

E di nuovo tutti giù a ridere come delle iene. Sì, persino Togami.

Guarda, devo dire che in realtà questo passaggio da “vivi” a “un po’ meno vivi” non lo stiamo vivendo… porca miseria, che gioco di parole squallido… dicevo, non sta andando poi così male.

“Ma… ma quindi… Mondo-kun, Kiyotaka-kun e gli altri sono… sono davvero qui?” chiese Chihiro riuscendo, per non si sa quale prodigio, a sovrastare quelli che una volta erano i suoi compagni di classe e in quel momento sembravano più un branco di galli da combattimento.

Tutti, vivi o morti che fossero, si zittirono.

 

*

 

La scoperta di poter in qualche modo comunicare con Hagakure diede loro una piccola, infinitesimale speranza di poter lasciare dei messaggi ai propri cari. Qualcosa come cercare di farsi forza e non lasciarsi andare, che loro stavano bene e cose del genere.

E soprattutto aveva dato loro un passatempo.

Scoprirono inoltre che il suo titolo di Super Veggente non era poi così campato per aria: le sue predizioni avevano la stessa accuratezza di una freccia scoccata da un arciere cieco, ma in compenso possedeva un sesto senso molto sviluppato. Da quell’exploit avuto in classe aveva deciso (nonostante la fifa) di provare a mettersi in contatto con quelli che credeva essere gli spiriti dei suoi defunti compagni. E Makoto era abbastanza educato da voler rispondere.

L’unico inconveniente era che… beh, non avevano ancora trovato il mezzo di comunicazione migliore.

“Naegicchi! Naegicchi, se ci sei, bussa dentro la mia sfera!”

“Continuo a chiedermi perché sia lui ad avere il titolo di Super Veggente. Persino io so che una seduta spiritica non funziona così.”
“Non sapevo fossi così ferrato sull’argomento, Byakuya-kun.”
“Anche io ho visto qualche film horror quand’ero vivo, Touko. Li ho trovati noiosi.”
“Vorrei ricordarti che da morto non puoi più mentire.”
“...se ridi ti uccido. Di nuovo.”

Ovviamente Touko rise, e Makoto la seguì a ruota mentre cercava un modo per far capire ad Hagakure che la sfera non funzionava coi fantasmi.

“Andiamo Naegi, lascia perdere. Dubito che improvvisamente la nebbia di marijuana che gli affumica il cervello si diradi.”
“Voglio continuare a tentare, è l’unica possibilità che abbiamo per parlare coi nostri cari! Non vuoi lasciare un messaggio ad Aloysius e Shinobu, Togami-san?”

Quel rimarco sembrò colpire nel profondo l’ex Erede, che finalmente cedette: “E va bene, vediamo di metterci in comunicazione col nulla sotto quei rasta” borbottò, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa nella camera di Hagakure che potesse tornar loro utile. L’unica cosa che trovò fu un quaderno ancora nuovo e una penna, che indicò agli altri: “Potremmo usare questi.”
“Uhm… io però sono solo riuscito a spostarli, finora” sospirò Makoto. “Credo mi ci vorrà un po’ di allenamento prima di usare degli oggetti.”

“P-Potremmo farli usare a lui.”

Si voltarono verso Fukawa, a cui chiesero spiegazioni: “Esiste una pratica, tra i sedicenti medium, chiamata scrittura automatica. In pratica il medium viene posseduto dallo spirito, che tramite lui scrive dei messaggi. O almeno, d-dovrebbe funzionare così.”

“Non male come idea” commentò Togami. “Il problema è fargli avere quest’epifania. Dubito ci arrivi da solo.”

“Oh, a quello posso pensarci io” sorrise Makoto, e con un po’ di concentrazione riuscì a spostare la penna in direzione di Hagakure.

“E questa?” domandò il (non proprio) Super Veggente. “Stai cercando di dirmi qualcosa, Naegicchi?!”

Makoto rispose muovendo per quanto poteva le pagine del quaderno. Hagakure sembrò capire: “Ooooh, vuoi scrivere?” disse, e raccolse quaderno e penna, li piazzo sul suo tavolino e rimase in attesa.

“...non voglio crederci” piagnucolò Makoto. Togami roteò gli occhi: “Che ti aspettavi da lui? Piuttosto prova a parlargli di nuovo, in classe ti aveva sentito.”

“Sì, ricordo la sua pacata reazione” rise Makoto, per poi concentrarsi e fare quanto suggerito: “Hagakure-kun, mi senti?”
“N-N-NAEGICCHI! SEI TU?!”

“Sono io. Lascia che usi la tua mano.”

“C-C-Che vuoi fare con la mia mano? I fantasmi non possono fare zozzerie!” pigolò. “...vero?”

Tutti e tre scossero la testa, sconvolti da tanta idiozia. Makoto non rispose, preferendo passare all’azione: si piazzò accanto a lui con l’idea di provare a possederlo, ma come scoprì era una cosa difficile e probabilmente non alla portata di un fantasma novellino come lui. Tuttavia…

“OMMIODIOLAMIAMANOCHESUCCEDE?!”

“A-Ah, ce l’ho fatta!” sorrise verso gli altri due, mentre muoveva la mano di Hagakure e afferrava la penna. Scrivere si rivelò più difficoltoso (il Veggente opponeva parecchia resistenza, probabilmente perché atterrito dalla paura) ma ci riuscì lo stesso.

Sul foglio comparve la scritta:

 

Ciao Hagakure-kun.

 

“N-Naegicchi, sei… sei davvero tu?”

 

Sì.

 

“Oh, Naegicchi!” piagnucolò con un’espressione talmente commossa che prese tutti e tre in contropiede, in particolare Togami. Probabilmente nessuno se l’aspettava da uno come Hagakure. A quanto pare ci teneva davvero a noi pensò amaramente Makoto.

“Naegicchi, sei solo?” chiese l’altro, tirando su col naso. “Posso fare qualcosa per te?”

 

No, non sono solo. Potresti portare dei messaggi alle nostre famiglie?

 

L’altro lesse e sorrise: “Certo! Tutto quello che vuoi, Naegicchi!”

Makoto sorrise a sua volta.

 

Grazie, Hagakure-kun.

 

Mentre cercava di comunicare con il Super Veggente notò che nel frattempo erano tornati anche Kirigiri, Asahina, Oogami, Oowada e Ishimaru.

“Dove vi eravate cacciati?” chiese Togami, “Siete stati via tutta la notte!” e Kyouko fece spallucce: “Volevamo assistere alla mirabolante idea di Oowada e Ishimaru.”
“Ovvero?”

“Volevano provare a mettersi in contatto con Fujisaki.”

L’ex Erede inarcò un sopracciglio: “E com’è andata?”

Makoto non commentò, impegnato com’era a guidare Hagakure, ma vide chiaramente l’ex Prefetto e l’ex Biker scambiarsi uno sguardo rassegnato.

“Beh, ecco…”

“Sì, insomma…”

“Insomma cosa?” insistette Togami, e fu  Aoi a rispondere per loro: “Diciamo che l’idea di comunicare attraverso il suo pc non era male. Se solo non l’avessero fatto di notte. Al buio. Terrorizzandolo.”

“No, ma bravi imbecilli. Vi sembra un’idea sensata? Con Fujisaki poi, che adesso farà fatica a prendere sonno per i prossimi trent’anni. Ma io non lo so” strepitò Byakuya, lasciando gli altri sette di stucco.

“Togami-san, sicuro di stare bene?”.

“Che cazzo di domanda è, Oogami? Sono morto. E la pancia mi fa ancora prurito dove Pekoyama mi ha diviso a metà. Ma a parte quello sto una meraviglia”.

“Va bene, va bene. Non hai bisogno di farti venire un attacco di colite” lo rimproverò Kyouko “Anche perché dubito che il tuo colon possa risentirne. Piuttosto, perché non ci dici cosa sta combinando Naegi-kun? A vederlo da qui sembra stia insegnando ad Hagakure… non lo so, a scolpire un vaso di creta. Eh? Perché ho appena detto ‘sta cagata?”.

“Oh! Oh! Oh! Oh! Oh! Anche tu hai visto Ghost, Kirigiri?” le chiese tutta giuliva Touko, cominciando a saltellare come una bimba.

“...non commenterò. Ho scoperto che la mia nuova lingua lunga non mi piace”.

Makoto soppresse un risolino nel sentirla così disinibita e, sempre badando a muovere nel giusto modo il suo pupazzo di carne (sì, è una definizione agghiacciante e me ne rendo conto), cominciò a spiegare: “Vedi Kirigiri-san, a quanto pare Hagakure-kun è piuttosto sensibile ai fenomeni paranormali. Ti ricordi in classe, quando mi ha sentito?”. Al suo cenno affermativo riprese: “Ecco. Siamo giunti alla conclusione che forse, attraverso di lui, possiamo lasciare dei messaggi a genitori e parenti vari. O a chi si voglia”.

L’ultimo appunto era indirizzato a Togami e Fukawa. Lui sembrò accorgersene ma non disse nulla, mentre lei continuava a fangirlare squittendo sul fascino dell’attore di quel film. A quanto pareva manco l’aveva sentito.

“Naegicchi! Allora, cosa vuoi dirmi? Io sto aspettando”.

Oh, giusto. Si rivolse ai suoi compagni e chiese cosa volevano dire e a chi: “Cominciamo da te, Oowada-kun?”.

“Perché proprio io? Che ho fatto di male?”.

“Niente. Cosa te lo fa pensare?”.

“Di solito, quando mi si chiama in quel modo per primo, è perché devo scontare qualche pena strana. Vero Ishimaru?”.

“Non è colpa mia se sei il peggiore dei teppisti, kyoudai! Hai una fedina penale lunga come la costituzione!”.

“Fedina penale? Non starai esagerando un po’, cazzo?”.

“No che non sto esagerando, cazzo!”.

Makoto si sarebbe aspettato un po’ di più stupore di fronte all’ex Super Prefetto che rompeva il primo dei suoi tabù e scadeva nel turpiloquio, ma a quanto pareva la cosa sembrava ormai accettata senza bisogno di reazioni particolari.

“Beh Oowada-kun, il tuo messaggio?”.

“Oh… oh sì, hai ragione. Dunque…”.

 

Oowada-kun vuole dire ai Crazy Diamonds che per nulla al mondo devono lasciarsi andare per quanto gli è successo. È loro compito rimanere forti e uniti di fronte alle avversità e portare avanti l’eredità sua e di suo fratello Daiya. Loro capiranno.

 

“Va bene, ma non rischierò di farmi riempire di botte da dei motociclisti incazzosi?”.

L’uscita di Hagakure venne accolta da uno sbuffo collettivo. In che mani erano stati costretti a mettersi?

Il secondo fu Byakuya, che si impose con il suo solito charme quando Naegi chiese a chi toccasse.

“Fuori dai coglioni, plebei”. Evviva la finezza. E santo cielo se mi fa senso sentire gente come lui o Kirigiri-san parlare come degli scaricatori di porto.

Procedette, ignorando Mondo che lo malediceva fino alla terza o quarta generazione.

 

Togami-san vuole dire una cosa a due persone: al suo maggiordomo Aloysius che non deve preoccuparsi di lui, perché teme che possa passare le sue notti a piangere per la perdita. E a sua sorella Shinobu che, se potesse, lascerebbe volentieri a lei il ruolo di erede della Zaibatsu. Se lo merita.

 

“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaw!” esclamarono all’unisono Hagakure, Asahina e Fukawa. Togami non sembrò curarsene più di tanto, ma il sorriso triste che gli nacque sul volto diceva a Makoto un sacco di cose su quanto, tutto considerato, non gli aveva poi fatto così male passare a miglior vita.

Anzi, se proprio devo dirla tutta sembra avergli fatto solo bene. Linguaggio a parte, ma alla fine è un problema comune a tutti noi. Sarebbe stato meglio pensarci prima, Togami-san.

Toccò a Kyouko.

 

Kirigiri-san vuole dire una cosa a suo padre, il preside. Due sole parole: ti voglio bene.

 

Il momento di emozione collettiva venne disturbato da Mondo: “Aspetta: ti. Voglio. Bene. Ma sono tre! Kirigiri, tirare le cuoia ti ha portata al mio livello in matematica?” esplose, a quanto pareva estremamente divertito dal banale errore.

Se avesse avuto ancora dei testicoli il calcio di Kyouko glieli avrebbe disintegrati. E no, non è un’esagerazione.

“Fai. Silenzio. Non. Rovinarmi. La. Poesia”.

“Continuano a non essere due. E gnè gnè gnè, ecco un vantaggio dell’essere incorporei. Vorrei far presente a voi signorine che avete perso la vostra principale arma contro noi poveri maschietti. Le palle sono salve, parapappero”.

“Il modo di frantumarti i coglioni lo trovo, prima o poi. È una promessa” sibilò lei. Suonava mortalmente seria.

Ah ah ah ah ah, mortalmente. Mi sto odiando in questo momento.

Venne il turno di Aoi.

 

Asahina-san vuole dire ai suoi genitori che le mancano da matti, così come suo fratello Yuta. Al quale però vuole anche ricordare di non smettere di allenarsi per il solo fatto che lei è morta. Se perdi una sorella non ti invitano alle Olimpiadi per pietà, lavativo. No, non sbuffare. Ti vedo, lo so come stai reagendo. Non ti ci azzardare e fila in piscina.

 

Il tono leggero del messaggio di Asahina per i suoi familiari contribuì a sciogliere un po’ della tensione che si era creata con la debacle fra Kirigiri e Oowada. Perché lui l’aveva come al suo solito buttata sul ridere, ma lei si era offesa come mai prima. Evidentemente ci teneva molto a dare al tutto un’aura di solennità, puntualmente rovinata dall’intervento a gambe unite dell’ex Motociclista.

Touko si fece avanti.

 

Fukawa-san vuole dire una cosa alla gente tutta: fate schifo. Sente di non aver lasciato indietro niente che le faccia rimpiangere la vita, a parte la sua cimice da compagnia Kameko… e anzi, se te ne potessi occupare tu le faresti un piacere. Ha anche un appunto in particolare per i suoi genitori: spero che in qualche modo le royalties dei miei libri smettano di farvi sopravvivere e che possiate morire di fame come meritate, stronzi.

 

“Yuck! Mi spiace Fukawa-chi, non credevo avessi tutto questo disprezzo per gli altri. Scusami se in passato ti ho trattata male” commentò Hagakure, sinceramente dispiaciuto nel leggere un messaggio così nichilista e pieno d’astio. Lei si intenerì e, via Makoto, gli fece sapere che non ce l’aveva particolarmente con lui.

“Un attimo, Naegi”.

“Togami-san?”.

“Posso aggiungere una postilla?”.

 

Togami-san ha un’altra cosa per il suo maggiordomo: sguinzaglia gli avvocati. Fai in modo che la famiglia di Fukawa non veda più neanche una moneta da due yen.

 

“Cuore d’oro Togamicchi! Sei diventato un pasticcino da morto, eh?”.

“Tenetemi o lo sventro!” sbavò Byakuya, fuori dalla grazia di ogni kami.

“Buona fortuna, visto che al massimo puoi passargli attraverso” chiosò Mondo, attirandosi le ire dell’ex Erede (bellamente ignorate).

Venne il turno di Sakura.

 

Oogami-san vuole dire alla sua famiglia che le dispiace non aver potuto mandare avanti la tradizione del dojo, e che le mancano tutti immensamente. Ma è serena adesso e non devono più preoccuparsi.

 

Si fece poi avanti Ishimaru.

 

Ishimaru-kun vuole far sapere alla sua famiglia che sta bene e loro non devono lasciarsi andare al dolore. E… e da parte sua e di Mondo, fa sapere a Fujisaki-san che le vogliono bene e non deve rimanere chiusa in camera. Deve continuare a vivere, e soprattutto… farsi coraggio. Prima o poi avrà la forza di parlarne, lei sa a cosa si riferiscono. Loro veglieranno sempre su di lei.

Oh, e si scusano per averla spaventata accendendo il suo pc in piena notte. Non volevano terrorizzarla, stavano solo provando a salutarla.

 

L’ex Prefetto e l’ex Biker apprezzarono la delicatezza di Makoto nell’usare il femminile nei confronti di Chihiro, e nessuno fece battutine quando li videro con gli occhi lucidi.

 

“Ok, sono un bel po’ di messaggi” disse Hagakure, rileggendo gli appunti. “Però manchi tu, Naegicchi. Non hai niente da dire a nessuno?”

Makoto ci pensò un po’ su, poi mosse la mano del Veggente.

 

Di’ alla mia famiglia che li amo, e non voglio vederli abbattersi per il dolore. E di’ a mia sorella Komaru… che non c’è bisogno di fare quella forte a tutti i costi. L’ho vista al funerale che cercava di trattenere le lacrime e non va bene. Sfogati, Komaru. Sei forte. Ce la farai anche senza di me, ne sono sicuro.

 

Si commosse un po’ nello scrivere quel messaggio, ma nessuno lo prese in giro. Trovò solo sorrisi di comprensione da parte dei suoi compagni, Super Veggente compreso: “Bene, direi che ci siete tutti. Domani mi metterò al lavoro.”

Makoto sorrise e lasciò la mano di Hagakure, tornando dagli altri.

“Oh, ragazzi… se siete ancora qui…” disse quest’ultimo, casualmente guardando in direzione del gruppo, “mi mancate un sacco.”

 

*

 

Le giornate diventarono settimane, poi mesi.

Makoto scoprì quanto l’esistenza di un fantasma potesse essere monotona: la famiglia e gli amici che riprendono a vivere, il dolore della perdita che si attenua e la vita continua. Ma a un fantasma non rimane altro che osservare quello spettacolo, senza poter fare nulla. Certo, qualcuno non era proprio d’accordo, e non di rado Oowada e Asahina erano tornati alla Kibougamine con la ferma idea di terrorizzare qualcuno solo per passatempo.

Anche quello comunque era solo un ricordo, ormai.

Poco a poco alcuni di loro… passarono oltre, per così dire. Forse avevano portato a termine qualunque loro affare rimasto in sospeso, si disse Makoto, ed erano finalmente in un posto migliore. Solo, tutto ora era un po’ più grigio e noioso.

Il primo fu Mondo.

Stava chiacchierando con loro di come aveva fatto prendere un colpo a Kuzuryuu e Pekoyama apparendo all’improvviso mentre erano nascosti in uno sgabuzzino, quando tutto ad un tratto il suo sguardo si spostò oltre il gruppo. Lo videro sorridere e sussurrare: “Daiya!”

Corse verso l’orizzonte, svanendo poco a poco.

Lo stesso successe a Ishimaru, qualche giorno dopo. Sembrava avesse visto il suo kyoudai in lontananza, e in pochi istanti era svanito anche lui.

Le ultime a passare oltre erano state Asahina e Oogami: quest’ultima aveva visto Kenichiro (e mai, mai l’avevano vista così felice in vita), e Aoi… beh, inutile dire che quando toccò a lei era stata Sakura a chiamarla.

Rimasero solo Makoto, Kyouko, Byakuya e Touko.

“Quindi come funziona? Non abbiamo ancora risolto i nostri affari, qualunque essi siano?” sbuffò Byakuya, visibilmente scocciato.

Touko fece spallucce: “Sembrerebbe… eppure non ho idea di cosa possa tenermi ancora legata qui.”
“Nemmeno io” replicò l’ex Erede, ma Kyouko provò a rispondere al suo quesito: “Magari vuoi assicurarti che Shinobu diventi erede della Zaibatsu. E che i tuoi avvocati lascino in mutande i genitori di Touko. Allora probabilmente passerete oltre entrambi” spiegò lei, che per essere una che in vita non aveva creduto ai fantasmi aveva imparato presto i trucchi del mestiere.

Togami e Touko si scambiarono un’occhiata, e lui si lasciò scappare una risatina: “Allora sarà una cosa lunga. Sai come vanno le beghe legali.”

“Tu piuttosto, come mai sei ancora qui?” chiese l’ex Scrittrice all’altra. Kyouko si incupì: “In realtà ho visto la… luce” ammise. “C’era mia madre ad aspettarmi.”

Makoto ci rimase di sasso: “E perché non sei passata oltre?”

“Perché ho… ho un po’ paura. E poi sono preoccupata per mio padre, non sta affrontando per niente il lutto.”

Gli altri non risposero, perché ricordavano bene la faccia del preside Kirigiri ogni volta che accompagnavano la ex Detective a visitarlo. E decisamente non era quella di qualcuno che voleva rimettere insieme la sua vita.

“Beh… io non ho rimpianti e so di poter passare oltre” annunciò Makoto, “ma penso di poter rimanere a farti compagnia ancora un po’.”

Kyouko arrossì ma sorrise, come mai si era concessa da viva. Touko e Togami non dissero nulla, ma annuirono come se sapessero cose precluse agli altri due.

“Bene, che ne dite di andare da Hagakure?” propose Togami. “Senza di noi a dargli suggerimenti il suo business da medium fallirebbe in due giorni. Mi chiedo come farà quando passeremo oltre…” borbottò, incamminandosi con gli altri al seguito.

Kyouko rimase qualche passo indietro: “Naegi-kun?”

“Uh? Dimmi, Kirigiri-san.”

“C’è un altro motivo se non sono ancora passata oltre.”

“E sarebbe?”

“...tu.”

Lui non avvampò né urlò, ma si limitò a sorridere: “Lo so” ammise. L’onniscenza dei fantasmi non era una brutta cosa, a volte.

Lei ricambiò il sorriso e insieme raggiunsero gli altri due.

Erano a pochi passi dal cancello della Kibougamine quando qualcosa, o meglio qualcuno, li fermò di nuovo.

“Makoto-kun!”

Lui e gli altri si voltarono.

Alle loro spalle c’era il fantasma di una bambina dai voluminosi codini, un fermaglio con un orso bianco e nero e un’espressione furbetta in viso.

“Ciao Makoto-kun.”

Naegi sorrise: “Quanto tempo, Junko-chan."

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