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« Le persone che amiamo sono abbozzi di possibili
quadri.»
Hugo van Hafmannsthal, Il libro degli amici
Prologo. « La ricordi anche tu, quella notte? Non era niente
di concreto, niente di conosciuto, niente di possibile. Quella notte era oro
potabile, raggio lunare toccabile con mano; era una pietra filosofale e
l'Elisir di lunga vita. Ricordi ancora la storia di mille e una notte?
La principessa Shahrazàdcontinuava a raccontare la sua storia ogni
notte al re che la imprigionava, solo per non poter essere uccisa dal re
stesso. La situazione non è esattamente quella, ma.. beh, avrei voluto che tu
fossi la mia Shahrazàd, la mia principessa da mille e una notte. Mia, e di
nessun altro. E mille, mille notti ancora. »
Capitolo uno.
« And if you feel that you
can't go on and your will's sinkin' low,just believe and you can't go wrong. In the light you will find the road, you will
find the road. »
Led Zeppelin, In the Light
“Dove accidenti l'ho messo?!”
La mia voce esasperata echeggiò nella stanza grigia e
vuota. Bel modo di iniziare la giornata, davvero! Imprecai a bassa voce,
muovendomi come un leone in gabbia ed esibendo uno sguardo omicida. Misi in
disordine la piccola scrivania, sopra la quale degli oggetti come temperini e
lattine vuote di coca cola stavano lì a prendere la polvere. Niente da fare,
non c'era neanche lì.
Allora rimasi fermo al centro della stanza, mettendomi una mano fra i capelli e
guardandomi attorno, riflettendo. All'improvviso il mio sguardo cadde sui jeans
appoggiati allo schienale della sedia vicino lo scrittoio. Dalla testa, la mia
mano passò alla fronte, sbattendola con un grande paf: vuoi vedere che
come un cretino l'avevo lasciato lì un'altra volta? Mi avvicinai, e in maniera
quasi frenetica insinuai la mia mano dentro la tasca destra posteriore dei
jeans: toccai qualcosa di rettangolare e duro.
Con un gesto secco e trionfante, estrassi dalla tasca il mio accendino.
Esibendo un'espressione di
puro godimento, e sotto le note di un'ipotetica quinta sinfonia di Beethoven,
afferrai il mio pacchetto di sigarette che giaceva immobile sulla scrivania, e
mi sedetti sul letto sfatto, dato che mi ero svegliato da pochissimo. Guardai
oltre la finestrella vicino a me, e notai un cielo azzurrissimo e un sole splendere
timido. Era una bella giornata, fuori. Dopo di ciò mi dedicai alla mia
sigaretta, mettendola fra le labbra e accendendola, e soprattutto posando
l'accendino in un posto ben visibile,cioè
sul comodino accanto al pacchetto di sigarette. In teoria non avrei dovuto
fumare dentro quelle quattro mura; ma chi avrebbe potuto vedermi? Espirai
lentamente, osservando le nuvolette di fumo che si disperdevano pian piano
nell'aria, avvicinandosi alla finestra.
Nel frattempo cercai di organizzarmi mentalmente la giornata: che avrei fatto?
Come al solito, un bel niente. A quel pensiero consumai la sigaretta quasi con
rabbia, sentendomi qualcosa implodere dentro. Con la fronte corrugata, mi
avvicinai al comodino, dove stava il posacenere, e feci un gesto con le dita per
far cadere un po' di cenere dalla sigaretta.
Perché doveva essere tutto così orrendamente difficile? Feci un altro tiro,
mentre tornavo a guardare quel cielo azzurrissimo, desiderando di perdermici
dentro, desiderando di urlare a pieni polmoni, di rotolare giù per una collina
verdissima.
Desiderando di sentirmi libero.
Mi allungai di nuovo verso il comodino e spensi la sigaretta, schiacciandola
sul posacenere e lasciandola giacere insieme ad altri relitti, che sarebbero
rimasti lì chissà quanto altro tempo. Mi alzai in piedi, stiracchiandomi,
portando le braccia in alto. In fondo, pensai, qualche mese ancora di quella
vita e sarei stato libero. Avevo stretto i denti per tutto quel tempo,
cos'erano pochi mesi al confronto?
Velocemente mi infilai i soliti jeans, recuperai dall'armadio una maglia a
maniche lunghe blu scuro, e infilai delle malridotte scarpe da ginnastica.
Presi il mio blocco da disegno e matita dalla scrivania, agguantai il mio
lettore cd e finalmente uscii da quella brutta e polverosa stanzetta.
« Hours,
hours, were the moments in between. Oh, baby, I couldn't count the times.
I've
thought of comin' on a plane an' leavin'. Oh, baby, dry those silver eyes.
Oh, do you know my name? Do I look the same? » Led Zeppelin, Sick Again
Quel giorno non era per niente diverso, perché avrebbe
dovuto esserlo?
Tenendo fra le mani le mie cose, camminai lungo uno stretto e lungo corridoio
lugubre, lungo in quale c'erano un'infinità di porte verde scuro. Alcune erano
scolorite e altre persino rotte. Quel corridoio mi sembrava sempre
terribilmente lugubre, e di certo non contribuiva al mio umore nero –
come la maggior parte delle volte.
Finito il corridoio, arrivai in una grandissima sala, molto più luminosa del
corridoio, con ampie finestre e con disegni infantili appesi ai muri. Nella
sala c'erano tantissimi tavoli rotondi con sedie e panche colorate; regnava il
silenzio, poiché non c'era nessuno.
Lentamente mi sedetti ad un tavolo rosso, vicino la finestra.
Posai il blocco e la matita sul tavolo, ed infilai le cuffiette del lettore cd
nelle orecchie. Ma prima che potessi fare qualsiasi altra cosa, una donna di
mezz'età cicciotta con l'aria furibonda mi si avvicinò, entrando come una
furia. Io non la degnai di uno sguardo, osservandola solo con la coda
dell'occhio, e quella mi si mise di fronte con aria minacciosa.
“Ragazzo, esci subito di qui. E' ora di colazione, sono tutti lì.” Con i miei comodi, levai le cuffiette dalle orecchie e le poggiai sul
tavolo, per poi alzare lo sguardo su di lei. “Non ho fame.” esordii con fermezza, e sostenendo il suo sguardo.
La donna mi fissò. Evidentemente mi stava studiando. “Prima o poi sparirai.”
Era quello che volevo, no? “Non ho fame.” ripetei, imperturbabile.
“Questo posto ti offre qualcosa da mettere sotto i denti gratuitamente, il
minimo sarebbe accettarlo.”
“Le ho già detto di non avere fame.”
Ci fu un secondo di silenzio. “Se fossi fuori di qui, forse capiresti quel che
significa.”
Rivolsi alla donna un'occhiata di fuoco. “Me ne ritorno in camera mia, se è così.”,
e feci per alzarmi. Non appena dissi queste parole, la signora mi afferrò per
la maglietta e mi spinse bruscamente in avanti.
“Reeve, fila subito in mensa!” urlò con voce stridula. C'erano due cose che
fondamentalmente mi davano sui nervi: quando le persone urlavano e quando mi
chiamavano per cognome. Con aria più che scocciata mi divincolai e presi le mie
cose nuovamente.
“Brutta strega.” dissi sottovoce, non degnando la donna di uno sguardo e
uscendo dalla stanza. Con i piedi di piombo, mi trascinai in un'altra sala,
accanto alla precedente, ancora più spaziosa. Qui c'erano persone d'ogni età, e
nella sala regnava un chiacchiericcio moderato ma non troppo allegro; c'erano
dei lunghi tavoli massicci e panche e sedie, e le pareti erano grigie e spoglie,
anche troppo lugubri per un posto dove vivevano tanti ragazzi. Evitai
con cura di sedermi insieme a qualcuno, e presi posto in un piccolo tavolo ad
un angolo della sala, dove poco dopo mi venne sbattuta una tazza di porridge, o
qualcosa che gli assomigliava. La guardai per un secondo e l'appetito mi passò
definitivamente: presi il cucchiaio e per inerzia lo infilai dentro,
giocherellandoci.
Dopo qualche minuto, presi il mio blocco da disegno e lo poggiai sul tavolo,
allontanando la tazza del porridge intatto di un bel po'. Aprii il blocco su
una pagina pulita e prendendo la matita mi guardai attorno. Notai dei bambini
chiassosi in una parte della sala, adolescenti più taciturni dall'altra.
Sembrava quasi che in quella stanza aleggiasse una nuvola di cattivo umore, e
naturalmente chi ero io per esserne immune? Sospirai profondamente. Con la
matita tracciai sul foglio bianco delle linee, cominciando a definire i tavoli,
e guardando di tanto in tanto davanti a me se vedere se avevo continuato a
mantenere le proporzioni.
Disegnare era la mia unica e vera passione. Era una cosa assolutamente
naturale: non avevo imparato da nessuno, né avevo mai studiato. Era quello che
mi spingeva ad andare avanti, era una cosa più fondamentale del mangiare o del
bere; era per questo motivo, infatti, che portavo sempre con me il mio blocco
da disegno, che avevo già da tanto tempo, talmente era spesso e grosso.
Ultimamente, poi, ero preso da un'ossessione: ero in cerca del soggetto
perfetto, per il ritratto perfetto. Non sapevo se ero in cerca di un oggetto,
di un paesaggio o di una persona, sapevo solo che sentivo il bisogno di fare
qualcosa di serio, di speciale, poiché quello che disegnavo di solito erano
solo schizzi. Però mi aiutavano.
Stavo già tracciando alcune linee per i corpi e i
visi, quando sentii una voce dietro di me.
“Ehi, Reeve, sempre alle prese con i tuoi disegnini, eh?”
Non mi voltai neanche, riconoscendo quella voce. Era
di Lucas, un mio vicino di stanza. Un vero rompipalle: ma facendo un confronto
con tutti gli altri miei coetanei, era uno zuccherino.
“Che diavolo vuoi, Smith?” chiesi, continuando a disegnare. Un ragazzo pallido
con dei lunghi capelli biondi e occhi azzurri mi si mise davanti, sedendosi
sulla sedia vuota di fronte a me.
“Niente. Volevo solo sapere se il porridge ti va ancora.” continuò, accennando
alla tazza lì vicino.
Alzai gli occhi dal foglio per un attimo, guardandolo come se fosse pazzo. “E'
tutto tuo.”
Lucas Smith avvicinò a sé la tazza e prese ad ingurgitare il porridge a
cucchiaiate. Notai con dispiacere che mi oscurava la visuale, ma non glielo
dissi. Abbassai di nuovo gli occhi sul foglio, imperturbabile.
“Allora,” continuò Lucas, “che mi dici?”
“Ti sembro uno che ha voglia di intavolare una conversazione con te?” ribattei.
Lucas fece una mezza risata. “Andiamo, Reeve, ti conosco da troppo tempo.”
“E piantala di chiamarmi a quel modo.”
“Come?” “Reeve.”
“E' il tuo cognome o sbaglio?”
“Mi ricorda quell'infame di mio padre, per carità.”
Lucas rimase in silenzio, facendo tintinnare il cucchiaio nella tazza svuotata
a tempo di record. Io, nel frattempo, avevo ultimato qualche viso e stavo
ombreggiando, tenendo la matita di lato.
“Ho sentito dire che fra qualche giorno arriverà qualcuno di nuovo.” disse.
“Mi dispiace per loro, se dovranno stare in questa topaia.”
Lucas alzò gli occhi al cielo. “Magari arriverà qualche bella ragazza.”
Risi. “Tu hai in mente solo le donne, e nessuno ti si fila.”
“Beh, e tu hai una matita al posto del cervello.”
“Almeno a me danno retta, le donne, eccome.”
“Che pezzo di merda.” commentò elegantemente Lucas.
Quello che avevo detto, in compenso, non era una
bugia. Riscuotevo un certo successo fra le donne, lì dentro, e non sapevo
perché. Ai loro occhi, dovevo avere un certo fascino. Di certo, non me ne
lamentavo. A chi non piacciono le belle donne? Suvvia.
All'improvviso, la donna cicciotella di prima entrò
nella sala con una grossa sacca di tela in mano: sembrava la versione femminile
di Babbo Natale, ma senza la lunga barba bianca. Dalla sacca uscì una
moltitudine di buste, e si spostò freneticamente ai quattro angoli della stanza
per consegnarle ai bambini e, soprattutto, ai ragazzi. Erano lettere di
genitori e parenti che venivano consegnate una volta alla settimana. Tornai al
mio disegno: non ci sarebbe stata nessuna lettera, per me. Anche Lucas sembrò
notarlo.
“Sembra non ti interessi granché.” commentò.
“Ma davvero?” dissi sarcasticamente.
“La tua gentilezza mi sconvolge,” sbuffò Lucas, “comunque, tuo padre non ti
manda qualcosa?”
Lo guardai. “Vuoi scherzare? Quel povero disgraziato non si ricorda neanche di
avere un figlio. E comunque, non voglio parlare di lui. Mi dà sui nervi.”
Lucas annuì comprensivo, e provai istintivamente un moto di gratitudine per
lui. La signora si avvicinò a noi, e schiaffò davanti a Lucas una bella busta
bianca, senza proferir parola.
“E' mio padre.” commentò distrattamente lui, dopo aver dato un'occhiata alla
busta, come se non gli riguardasse. “Ci si vede dopo, Reeve.” disse.
Lucas si alzò, portandosi dietro la sua lettera. Evidentemente voleva leggerla
in pace, pensai. Alzai lo sguardo dal mio disegno quasi finito, seguendolo con
lo sguardo. Rimanendo solo, chiusi il mio blocco da disegno decidendo di
delineare gli ultimi dettagli più tardi; portando le mie cose uscii da quella
stanza, lasciando tutti alle proprie lettere.
« Abuse my love a thousand
times however hard I tried.
Heartbreaker, your time has
come, can't take your evil way;
Go away, heartbreaker, heartbreaker, heartbreaker, heart. » Led Zeppelin, Heartbreaker
Di pomeriggio, stavo seduto su un muretto in cortile.
Quest'ultimo era uno spazio largo e costeggiato da alcuni alberi, con alcune
giostre arrugginite e con dei canestri da basket. In quel momento un piccolo
gruppo di bambini tra i dieci e gli undici anni all'incirca giocava a calcio,
urlando e dimenandosi. Io li guardavo e, tanto per cambiare, cercavo di
ritrarli sul mio grande blocco da disegno. Con dei soggetti così in movimento,
era più difficile.
A pranzo avevo mangiato qualcosa, giusto per non
rimanere digiuno, ma al contrario mi sentivo un peso allo stomaco. Chissà cosa
ci mettevano, in quella specie di cibo. Veleno, droga? Una volta, avevano usato
degli ingredienti scaduti e tutti s'erano sentiti male, tranne gli inservienti,
naturalmente. Loro, nelle mie fantasie, mangiavano caviale ed anatra
all'arancia a nostra insaputa, mentre a noi rifilavano avanzi e roba da
buttare. Insomma: da restarci secchi. Per non parlare dei bagni completamente
intasati, e che file. Alla fine, però, poteva risultare una situazione quasi
comica: o meglio, tragicomica.
Mentre ero perso tra i miei pensieri e continuavo a disegnare, rilassandomi
completamente, sentii dei passi di qualcuno avvicinarsi sempre di più. Preso
dalla curiosità, mi voltai appena e vidi a poca distanza da me una ragazza, con
dei capelli rosso mogano lisci e degli occhi marroni. Il suo nome era Amanda,
ed ero stato a letto con lei qualche giorno prima. Nulla d'importante. Era
carina, mapensavo fosse.. migliore. A letto, intendo.
Si avvicinò a me e senza neanche salutarmi mi baciò sulle labbra, restandoci a
contatto. Rimasi sorpreso un attimo, ma subito la scostai da me senza alcun
complimento, spostandola energicamente con due dita sulla sua spalla. Le nostre
labbra si divisero con uno schiocco.
“Ehi, ehi,” dissi in tono canzonatorio, e con un ghigno sulle labbra, “questo
cos'era?”
Amanda mi guardò come se le avessi sputato in faccia, con gli occhi sgranati.
Manco avesse visto la madonna, accidenti! “Un bacio, no?” chiese. “E per caso qualcuno ti ha dato il permesso di darmelo? Avrei le labbra
consumate, se tutte facessero così!” ribattei, a voce un po' più alta.
Amanda sembrava scioccata, ma io continuavo ad avere quel ghigno beffardo sul
viso.
“Ma io pensavo..” le parole le morirono in gola.
La fissai. “Che cosa?”
“L'altra notte.. Insomma..”
“Devo inserire un gettone da qualche parte?” sbuffai, ma continuando a
ghignare.
Lei sospirò.
“L'altra notte, siamo stati.. insieme, ed io.. Ecco, pensavo che ci
fosse qualcosa fra noi, che potessimo frequentarci.” disse lei, tutto d'un
fiato. Arrossì parecchio.
Scossi la testa, ridendo piano. “Ho la faccia di uno che fa sul serio?”
Ci fu un attimo di silenzio spiacevole.
“Quindi vorresti dirmi che.. che era una cosa tipo una botta e via?”
balbettò lei.
“Era esattamente così.”
Amanda tremò e distolse lo sguardo da me. “Mi fai davvero schifo.” disse.
“L'altra sera però ti andavo bene, eh?” ribattei, continuando a guardarla. Lei
tornò a guardarmi, con uno sguardo carico d'odio.
“Potrei dire la stessa cosa di te.”
“Amanda, ti ho mai detto che volevo fare sul serio con te, o cose del genere?
Ti ho mai detto qualcosa che abbia potuto illuderti? Abbi pazienza!”
Rimase in silenzio per un po', come se ci stesse pensando, continuando a
guardarmi in quella maniera. “Va' al diavolo, Reeve.” sibilò a denti stretti
dopo.
“Ci vediamo lì, tesoro.” risposi per le rime, col solito ghigno. Di colpo,
Amanda afferrò il mio blocco da disegno, che avevo tenuto appoggiato sulle
ginocchia per tutto quel tempo. Prima che potessi bloccarla, lo prese con
entrambe le mani e fece per strapparlo. Scattai in piedi, guardandola
orripilato.
“Non t'azzardare, figlia di..” iniziai, con tono minaccioso. Ma prima che
potessi completare la frase, Amanda scoppiò in lacrime e fuggì via borbottando
qualcosa che non capii, e lasciò cadere il blocco per terra, a faccia in giù.
La guardai correre via, sollevato, e naturalmente con nessuna intenzione di
seguirla e fermarla. Ero stato coerente, in fondo. Non avevo promesso nulla,
io. Era questa una delle cose fondamentali: non promettere mai nulla. Perché si
sa, le promesse portano solo guai, poiché la gente le prende per oro colato.
Non è ammesso nessun ripensamento, nessuno sbaglio. Promettere è una condanna,
di certo non faceva per me; e dall'altra parte, non pretendevo che nessun
promettesse niente a me. Era inutile, non ci avrei creduto. Generalmente, era
inutile credere alle promesse. Si promettono tante cose: l'amore eterno davanti
ad un altare, amicizie eterne splendenti d'innocenza. Ma poi, quante di queste
promesse vengono mantenute? Le persone divorziano, i migliori amici si
separano. E quanti soffrono? Sembra sempre che impegnarsi a mantenere qualcosa
sia troppo difficile, troppo faticoso. Perché?
Sbuffai, e abbassandomi recuperai da terra il mio blocco. Speravo ardentemente
che il mio disegno non fosse rovinato, altrimenti quella cretina me l'avrebbe
pagata cara. Soffiai sopra il foglio per togliere un po' di terra, e ci passai
una mano. Fortunatamente per me – e per lei –il disegno era a posto. Ritornai sul muretto, sospirando, mentre i
ragazzini continuavano a giocare a pallone. Ma cosa facevo io, alle donne? Ero
consapevole di comportarmi male, ma ero piuttosto sadico, e se una cosa era
certa era che i bastardi erano molto apprezzati, tra la popolazione femminile.
E poi, ero fatto così. Cinico, spietato, freddo. E non me ne lamentavo,
di certo mi aveva reso molto forte. E nella mia situazione, essere forti
serviva ed era servito. Eccome.
Ritornai a disegnare, ma continuò ancora per poco perché i ragazzini decisero
che erano troppo stanchi e sudati per continuare a giocare, così mollarono la
palla lì e mi travolsero, allontanandosi scavalcando il muretto e rientrando
nell'edificio.
Rimasi solo. Ma cosa avrei dovuto ritrarre, per il mio
ritratto perfetto? E soprattutto, quando avrei capito che quella era la cosa, o
la persona giusta? Era un bel problema. Forse avrei dovuto comprare un altro
blocco, prima o poi. Di questo passo, non sarei arrivato neanche alla fine
della settimana.
Mentre riflettevo, in pace col mondo, sentii la voce di Lucas sbucare da
dietro.
“Ehi, Reeve!” esclamò. Come sempre, neanche mi voltai ma mi limitai ad alzare
gli occhi al cielo.
“Smith?” dissi con voce atona, non appena lui mi fu accanto.
“Ho appena visto Amanda in lacrime con le altre ragazze. Non ho capito bene, ma
è saltato fuori il tuo nome. O meglio, il tuo cognome.”
Lucas poggiò le braccia conserte al muretto, guardandomi. Io mi voltai, e a mia
volta lo guardai, disgustato.
“Cristo, questo posto somiglia ad una redazione di una rivista di gossip! E la
privacy, poi, è un optional, eh?”
Lucas rise. “Su, Reeve, non è così grave.”
“Lo è. Non si può fare qualcosa, che subito ne parlano tutti. Specialmente se
si tratta di me.”
Lucas scrollò le spalle. “Reeve, sii serio, non c'è nessuno qui dentro che non
conosca il tuo nome.”
Non risposi.
“Raccontami, però. Cosa le hai fatto?” continuò lui.
“Io? Proprio niente. L'altra sera abbiamo fatto sesso, e lei pensava che
stessimo insieme, o che comunque io volessi stare con lei.”
“Ora capisco. Immagino che tu le abbia messo le cose in chiaro, no?”
“Ovvio. Cioè, no, dico, ho la faccia di uno serio? Quella è tutta matta, ha le
visioni.”
Lucas rimase in silenzio per un po'. “Pero' è carina. Potrei provarci con lei.”
Saltai giù dal muretto con un balzo. “Te la darebbe solo per dimenticarmi, non
ci spererei troppo se fossi in te.”
Lucas mi mollò un pugno scherzoso sulla spalla. Era un vero rompipalle, ma fino
a prova contrario era il mio unico amico là dentro, per quanto credessi in
sentimenti come l'amicizia. Sicuramente era una buona persona con cui parlare.
Era sincero, e leale. E non come tutti i nostri coetanei là dentro, poveracci.
Feci una smorfia a Lucas. “Smith, non provarci mai più.”
Lucas mise le mani avanti. “Giusto, non voglio finire a polpette.”
“Bravo.”
Scoppiammo a ridere.
“Che ne dici, rientriamo?”
“Ma sì, andiamo ad annoiarci là dentro.”
“E sta attento ad Amanda. Secondo me sarebbe anche capace di ucciderti, quella
lì.”
Feci spallucce, ed insieme a Lucas e al mio blocco da disegno, mi trascinai via
dal cortile.
« I had a dream. Crazy dream.Anything I wanted to know, any place I needed
to go.
Hear my song. People won't you listen now? Sing along.
You don't know what you're missing now. » Led Zeppelin, Song
Remains The Same
Era sabato sera. Io e Lucas eravamo seduti su dei
lunghi sgabelli di legno, vicino ad un bancone di un locale affollato, il Coconut,
con una musica dance assordante e con l'aria appesantita dal fumo di sigarette.
Lucas si guardava attorno, con un gomito poggiato al lungo bancone. Oltre esso,
c'erano degli scaffali stracolmi di bottiglie di vetro di misure diversissime e
dai tanti colori.
“Ehi, Reeve, guarda là.” disse Lucas, dandomi una gomitata tra le costole, “Che
carina quella mora lì!”
Feci un verso scocciato. “Stasera non mi va.” dissi.
Lucas si voltò verso di me. “Che cosa? Che ti prende?”
“Niente, semplicemente non ne ho voglia. Tanta fatica, per cosa? Qualche ora di
divertimento, e poi pretendono anche compri l'oro l'anello di fidanzamento.”
“Sei ancora seccato per quella storia di Amanda, eh?”
“Evidentemente. Ho diciassette anni, caspita, se non mi diverto adesso quando
lo devo fare?”
“Sagge parole.”
Il nostro discorso fu interrotto dall'arrivo della cameriera, un'avvenente giovane
donna che ci portò quello che avevamo ordinato. Ringraziai con un sorriso, e la
donna arrossì leggermente. Uno a zero per me.
“Comunque,” riprese Lucas quando rimanemmo soli, “se non ti butti tu, non mi
butto neanch'io, amico.”
Feci spallucce. “Mica siamo spostati.”
“Ci mancherebbe, Reeve. Lo faccio per solidarietà.”
“In realtà è che sai che senza di me non acchiapperesti nessuna. Di solito sono
sempre io che ti presento.. l'amica.” dissi, e feci un sorriso bastardo.
Lucas mi mostrò il dito medio. Che eleganza, come sempre. Rimanemmo in
silenzio, mentre io mi dedicavo alla mia piña
colada e lui alla sua birra ghiacciata. Giocherellai con la cannuccia
dentro il liquido rosso, bevendo di tanto in tanto, non trovando nient'altro da
dire.
“Lunedì arriverà qualcuno di nuovo, come t'avevo detto.” disse poi lui.
Presi a giocherellare anche con l'ombrellino di carta colorata, levandolo dal
bicchiere. “Ancora con questa storia? Non me ne frega niente.”
“Vedrai, arriverà qualche bella ragazza e ti dimenticherai di Amanda.” continuò
lui.
“Da come parli sembra che io sia stato sedotto ed abbandonato. Semmai, quella è
lei. Mi ha solo dato fastidio il suo ragionamento.”
“E' una donna, Reeve. Sono tutte così.”
Scossi la testa. “Non tutte, fidati.” dissi con un tono di chi la sapeva lunga.
Lucas capì, e si scolò la bottiglia tutta d'un fiato.
“Non mi diventare frocio, però.”
“Pensa per te, Smith.”
Finii anch'io la mia piña colada, lasciando vuoto il grande bicchiere di vetro
e mettendoci dentro l'ombrellino di carta. Lucas guardò lo Swatch che teneva al
polso.
“Reeve, dobbiamo muoverci. Fra mezz'ora scatta il
coprifuoco.”
“Che palle.” commentai.
Frugai nella tasca e con un singolo gesto lasciai sul
bancone tutti i miei soldi. Lucas fece lo stesso, e ci guardammo tristemente.
“Mi sa che per qualche sabato non si esce.” dissi, con un mezzo sorriso.
“E' colpa tua che prendi sempre quella stupida piña colada. E' costosissima.” ribatté lui.
“Beh, non che la birra sia tanto meglio..”
“Lo è. Sono io che avevo pochi soldi, ormai.”
Scrollai le spalle. “Allora la prossima volta una birra divisa di due.”
“Temo proprio di sì.” rispose Lucas, affranto.
“E poi tu la piña colada non
riusciresti neanche a reggerla.” aggiunsi, col mio ghigno. Lucas neanche
rispose, abituato ormai alle mie solite rispostacce. Si alzò dallo sgabello.
“Cominciamo ad incamminarci.” disse.
Annuii e scesi dallo sgabello, seguendolo verso l'uscita.
***
Stairway to Heaven mi risuonava nelle orecchie mentre disegnavo. Quel
giorno avevo deciso di ritrarre Lucas, anche se lui non era davanti a me. Ma
ormai i suoi particolari li conoscevo bene.
La chitarra di Jimmy Page mi distraeva dal mio lavoro,
però.
Un'altra mia passione, dopo il disegno, era la musica;
e più precisamente i Led Zeppelin. Erano il mio gruppo preferito, mi ero
portato tutti i cd che avevo da casa insieme al mio lettore. Li amavo così
tanto che qualche mese fa, mi ero fatto tatuare sulla spalla i quattro simboli
della band, disegnati dai componenti stessi per una copertina del loro album.
La scritta 'zoso', un cerchio con una piuma e due simboli, probabilmente
celtici. Non c'era un significato preciso per quei simboli, ma per me
significavano la mia passione, e la mia vita, poiché li ascoltavo da quando ero
un ragazzino. Mi avevano accompagnato in tantissimi momenti della mia
esistenza, del resto. Erano la mia colonna sonora, decisamente.
Lucas mi aveva preso in giro per quel tatuaggio, dicendo che avrei dovuto
portarmi quei simboli per sempre, e se poi non mi fossero piaciuti più? Gli
avevo detto che era impossibile, ma continuava a prendermi in giro ogni volta
che ne aveva l'occasione. Anche se ogni tanto i miei cd li ascoltava.
Attraverso la musica, sentii a malapena qualcuno che bussava alla porta. Misi
in pausa il cd.
“Avanti.” borbottai.
La porta si aprì, e ne sbucò fuori Lucas. Sembrava triste, o incavolato, e
portava i capelli raccolti in un piccolo codino. Aveva i capelli molto più
lunghi dei miei.
“Che sfiga, Reeve!” si lamentò, buttandosi sul mio letto, miracolosamente
rifatto. Mi voltai verso di lui, dando le spalle alla scrivania.
“Che ti prende?”
“Nessuno, Reeve! Neanche una ragazza! Solo una mandria di altri mocciosi. Come
se questo posto non ne avesse già abbastanza.”
“Ti sei fatto troppe illusioni, Smith. E poi, ti ricordo che è più difficile
che le ragazze vengano qui, no?” ribattei.
“Ma devono comunque passare di qui.”
“Non è detto.” feci spallucce, ritornando al mio disegno. Ci fu qualche secondo
di silenzio.
“Che disegni, stavolta?” chiese poi lui, cambiando discorso.
“Sapessi! Una faccia da culo.” dissi, ridendo.
“Eh?”
Alzai il blocco da disegno e glielo mostrai. Avevo
quasi finito.
“Ma sono io..” commentò lui, guardandolo.
“Ebbene sì. Sono caduto in basso davvero.” dissi.
“Ma no! Ti rivaluto tantissimo, invece. E' proprio fatto bene.” continuò Lucas,
tutto contento, restituendomi il blocco.
“Lo dici solo perché sei tu.” dissi, ritornando al mio disegno.
“No, sei bravo davvero a disegnare.”
Non ero abituato a nessun complimento da nessuna persona, e specialmente da
Lucas. Così mi voltai verso di lui, sconvolto.
“Sei diventato frocio davvero!” esclamai.
Lucas sbuffò. “Mamma mia, piantala. La prossima volta ti dico che fai cagare,
allora.”
Risi, mio malgrado. “Beh.. grazie.”
Fece spallucce, mettendosi disteso poi sul letto e incrociando le mani dietro
la nuca, fissando il soffitto.
“Fra pochi mesi diremo addio a questa vita.” sospirò.
“Te ne dispiace?” chiesi.
“Sarei pazzo a pensarlo. Questo posto è come una prigione.”
“Ma..?”
“Ma là fuori c'è il mondo vero e proprio. Pensaci. Non abbiamo neanche il
diploma, come faremo a trovare un lavoro? E dove staremo?”
All'improvviso mi salì l'angoscia.
“Senti, Smith, è inutile preoccuparsi, ti prego. Si
era deciso di continuare a stare assieme, no? Qualcosa ci inventeremo.”
“Mah.” commentò solamente lui. “E pensare che tutti i mocciosi qui dentro
faranno come noi.”
Feci spallucce. “E' normale. Se stiamo qui dentro, siamo tutti uguali. Abbiamo qualcosa
in comune. Chissà quanti prima di noi si sono comportati alla stessa maniera.”
Lucas sospirò. Spensi il lettore cd, levandomi le cuffiette. Di questo passo si
sarebbero subito scaricate le pile.
“Mi sembri un ottantenne, Smith.” dissi ancora, fissandolo. Lui continuava a
guardare il soffitto.
“Sono solo più responsabile di te.”
“E più ansioso, soprattutto.”
Si alzò a sedere, guardandomi. “Io mi definirei realista.”
“Come ti pare.”
Non ero arrabbiato, solo scocciato. Pensavo solo al
momento in cui avrei lasciato quel posto con felicità, come la realizzazione di
un sogno, come la presa di una liberà agognata per tanto tempo. Perché Lucas
doveva rovinare tutto? Certo, magari aveva ragione ed io mi stavo cullando in
un'illusione, o in un sogno. Ma meglio i sogni. Sono più sicuri, molte volte.
Per rilassarmi, presi il pacchetto di sigarette dal comodino e me ne accesi
una. Ne offrii una a Lucas, che la prese e prima di accenderla la fece roteare
fra le dita. Completai il disegno mentre fumavo, e poi lo osservai. Il viso di
Lucas mi guardava dal mio foglio. In fondo aveva ragione, era venuto davvero
bene. Chiusi il blocco da disegno e posai la matita, poi mi voltai verso di
lui. Mi guardò mentre inspirava dalla sigaretta, facendo spallucce.
“Fra poco rimarrò anche senza sigarette,” commentai, essendo arrivato già alla
metà della mia, e controllando il mio pacchetto. Ne erano rimaste solo tre.
“Dobbiamo fare rifornimento?” commentò lui sorridendo, la sigaretta fra le
labbra. Annuii e sorrisi anch'io, inspirando.
“Supermercato?”
“Supermercato.”
Finimmo le nostre sigarette in pace e in silenzio, complici. E con complici, si
intendeva anche quel che si può dire per due piccoli ladri.
« Now let me tell you 'bout my
girl: Open up a newspaper and what do I see?
I see my girl looking at me. And when she walks, she walks - lemme tell ya.
When she talks, she talks, and when she looks me in the eye - she's my baby:
lord, I wanna make her mine. » Led Zeppelin, The Crunge
Passò una settimana da quelle sigarette finite in pace nella mia stanza.
Il tempo ed i giorni trascorrevano lenti e monotoni, ed io stringevo i denti.
Mancava poco ormai ai miei diciott'anni, giusto qualche mese. E quando sarei
diventato maggiorenne, sarei stato liberissimo di andare via dove mi andava,
dove mi piaceva. Avrei finalmente lasciato quel posto infernale. Ai miei occhi,
non riuscivo a vederlo altrimenti.
Il cibo lì dentro faceva sempre più schifo. A colazione non mangiavo, a pranzo
mandavo giù qualcosa, e a cena mi rifiutavo categoricamente dato che ci
servivano gli avanzi del pranzo in altre forme non riconoscibili. Per il resto,
tutto era regolare: disegni, musica, sesso e sigarette. E le uscite
auto-commiserative con Lucas il sabato sera. Ma poi mi ripetevo sempre che
c'erano ancora pochi mesi che rimanevano, e ogni cosa sarebbe cambiata.
Nel frattempo, non ero riuscito a trovare il ritratto perfetto. Avevo finito il
mio vecchio blocco da disegno, ma ne avevo comprato un altro, il quale era già
arrivato a metà. Quei buchi nell'acqua, però, mi facevano impazzire. Anche per
i grandi artisti era stato così difficile? Mi tormentai, ma pensai che era
sbagliato che questo diventasse un'ossessione. Sarebbe venuto da sé, forse.
Una mattina, ero seduto al solito tavolo, da solo, davanti alla consueta tazza
di porridge che non avrei mangiato, e al mio nuovo blocco da disegno, per
quella volta chiuso. Non avevo nessuna ispirazione, al momento.
Lucas non si vedeva da nessuna parte, doveva ancora essere in camera a dormire,
e di certo nonavevo voglia di andare a svegliarlo. Mi stavo
annoiando, e per questo l'idea di mangiare quel porridge mi sfiorò la mente. Ma
fu solo per un attimo, fortunatamente.
Stavo pensando già a ritornare nella mia camera a
fumarmi tutto il pacchetto di sigarette, quando Amanda mi passò davanti, da
sola. Mi guardò con aria triste, rimanendo immobile, poi però scosse la testa e
andò avanti, sedendosi ad un lungo tavolo al lato della sala, insieme a quelle
che pensavo fossero le sue amiche.
Sbuffai d'irritazione. Quella pazza maniaca, ma che voleva ancora? Non ero già
stato abbastanza chiaro, con lei? Mettendomi una mano fra i capelli, chiusi gli
occhi e sospirai profondamente. Poi riaprendo gli occhi e guardando dritto
davanti a me, notai qualcosa che riuscì a catturare tutta la mia attenzione.
Dall'altro capo della sala c'erano altri tavoli singoli come il mio. In uno di
questi, era seduta una bellissima ragazza, che non avevo mai visto lì prima.
Strizzai gli occhi, corrugando la fronte. La ragazza sembrava più piccola di
me, ma aveva un viso delineato da tratti e lineamenti perfetti. La sua
carnagione era pallida, persino più pallida di quella di Lucas, quasi bianca,
fatta eccezione per le guance, colorate appena di rosa in un modo che sembrava
completamente naturale. La bocca era leggermente socchiusa, carnosa e di un
rosa più acceso rispetto a quello delle guance. Gli occhi erano abbassati verso
qualcosa che si trovava sul tavolo, quindi non riuscivo a vedere di che colore
fossero, ma notai solo delle ciglia lunghe e nere. I capelli, infine, erano
biondi e lisci, appena ondulati sulle punte. Arrivavano all'incirca a metà
schiena.
A quella ragazza mancava solo un paio d'ali e un'aureola in testa; era talmente
bella anche da lontano che non osavo immaginare quanto potesse essere bella da
vicino. Ma soprattutto, era talmente bella da assomigliare ad un angelo, come
quelli che vengono rappresentati nei quadri o nei libri. Non sapevo chi fosse,
né quando fosse arrivata, dato che Lucas aveva detto che non c'era nessuna
ragazza nuova. La ragazza-angelo armeggiava con una penna su quella cosa sul
tavolo che stava fissando, e non riuscii a capire se scriveva o disegnava.
All'improvviso un inserviente le sbatté davanti una tazza, probabilmente del
porridge. Lei disse qualcosa, poi guardò la tazza e con un'espressione serena
ma seria cominciò a mangiare. Da come lo faceva, sembrava che fosse tutto
buonissimo.
Molte altre volte ero rimasto colpito da qualche
ragazza, ma non in quel modo. Doveva alla sua bellezza, oppure cos'era? Era
sicuramente per il suo aspetto celestiale. Volevo conoscerla, volevo che mi
notasse.
Per un attimo mi stupii. Di solito non ero io che
andavo dietro alle donne, ma l'esatto contrario; quella volta, però, era
diverso. Ma non per questo, avrei cambiato il mio atteggiamento o il mio modo
di fare nei confronti delle donne. Assolutamente no.
La ragazza-angelo finì il suo porridge, chiuse quel che sembrava un block-notes
e si alzò, per poi uscire dalla sala. Lo guardai per tutto il tempo, quando mi
fu vicina, e notai che aveva persino un corpo perfetto, tutto era al posto
giusto. Accidenti. Quasi ne rimasi perplesso.
Era forse l'effetto di troppe sigarette, o cos'altro?
***
“Ti dico che è uno schianto, Smith. Devi credermi.”
“E se fosse stata un'allucinazione da porridge? Una tipa del genere non mi
sarebbe sfuggita.” rispose Lucas. Io e lui eravamo in cortile, seduti sul
solito muretto, dopo pranzo. Alcuni bambini giocavano e facevano confusione
sulle giostre arrugginite, che cigolavano in una maniera esasperante.
“Lo sai che io non mangio mai il porridge. E comunque, dev'essere nuova.
Neanche io l'ho mai vista qui dentro.” ribattei, serio.
Lucas annuì. “Effettivamente. Beh, io finché non vedo, non credo.”
Ci fu un attimo di silenzio. “Smith, preparati a credere.” dissi, dandogli una
gomitata spacca costole. La ragazza-angelo avanzò a pochi metri da noi, con in
mano un libro, e si sedette su una panchina di ferro proprio davanti le
giostre.
“Porca miseria! Non te la darà mai, amico.” fu il commento di Lucas. “E' troppo
bella.”
“Ma pensi solo a quello?”
“Perché, tu non ci hai pensato? Ma a chi vuoi darla a bere?” Ci guardammo e scoppiammo a ridere.
“Comunque,” riprese Lucas, “Cosa vuoi fare?”
“Non lo so.” Feci spallucce. “Mi sembra una tipa piuttosto schiva, sta sempre
da sola.” continuai.
Lui annuì. “Già. Magari è una che se la tira da morire, chi può dirlo.”
Lucas fece una smorfia corrucciata. “Non è facile.”
“Per niente. Però ho un piano.”
Lucas sorrise. “Ti ascolto.”
« Oh baby baby, I don't
believe I've tasted this before.
Oh baby baby, I want it now, and every mouthfull more of you. Talk about you,
yeah. » Led Zeppelin, Candy Store Rock
Nella settimana seguente, io e Lucas spiammo la ragazza-angelo tutti i
giorni.
Non facevamo niente di proibito: osservavamo solo i suoi movimenti, quando
mangiava o quando andava nei dormitori femminili.
Lei non sembrò minimamente accorgersi di noi.
Scoprimmo che la ragazza-angelo aiutava i bambini più
piccoli, e che ne pomeriggio li intratteneva leggendo loro alcune storie o
facendoli mangiare e giocare. Era una cosa che né io né Lucas avremmo mai
fatto, ma pensai che quello fosse un pretesto ideale per conoscerla.
Fu così che, infatti, inventai un altro piano. Si vedeva che non avevo nulla da
fare, eh?
Un pomeriggio caldo e soleggiato gironzolavo fra i corridoi e le sale, finché
ad un certo punto trovai la porta che mi serviva, socchiusa. Mi avvicinai e
aprii la porta senza neanche bussare. La porta si scontrò contro qualcosa e
rimbalzò indietro; subito dopo ci fu un rumore di vetro infranto.
Io fissai la porta chiusa con orrore, pregando di non
essermi sbagliato e di non aver mandato all'aria quella settimana.
Prendendo il coraggio a due mani, aprii di nuovo la porta, questa volta con più
delicatezza e infilando dentro metà busto. Quel che vidi furono dei pezzettini
di vetro e quel che sembrava miele sul pavimento, e poi lei, proprio
lei, la ragazza-angelo che fissava il tutto con aria terrorizzata.
Aprii la porta verso l'esterno, frenando per poco
l'impulso di sorridere.
“Accidenti!” esordii.
Guardai la ragazza-angelo, che si voltò a guardarmi. Era veramente bellissima,
ed i suoi occhi erano scuri, d'un intenso color cioccolato.
“Non fa nulla!” disse lei, scuotendo la testa, come se
già mi fossi scusato.
“Potevi anche stare un po' più attenta, però.” aggiunsi invece col mio ghigno.
Lei non rispose, piuttosto rimase perplessa a causa
delle mie parole.
“Se vuoi ti aiuto a ripulire.” dissi, con una voglia pari a zero.
“No, faccio io.”
La ragazza-angelo si spostò verso uno scaffale della stanza e prese uno
strofinaccio. Poi si accucciò e prese a dividere i pezzi di vetro dal miele,
attentamente. Notai i lunghi capelli biondi che le andavano davanti al viso.
“Stavi rubando del miele o cos'altro?” chiesi, accucciandomi davanti a lei per
guardarla da molto vicino. Scosse la testa, e si sistemò i capelli mettendoli
dietro l'orecchio.
“No. Sto con alcuni bambini il pomeriggio, e stavo prendendo il miele per
fargli fare merenda.”rispose, mettendo da parte i pezzettini di
vetro raccolti.
Le guardai attentamente le labbra, e poi vidi che al collo aveva una catenina
con un crocifisso, probabilmente d'argento. Forse era molto religiosa, o
comunque credente.
“Ti pagano?” chiesi.
“Certo che no.”
“E allora perché lo fai?”
“Pura soddisfazione personale.”
Risi, sprezzante. “Ma ti prego.”
La ragazza-angelo alzò per un attimo lo sguardo e mi rivolse un'occhiata
interrogativa. Io sorrisi, sempre con quell'aria sprezzante.
“Beh, come ti ho già detto cerca di stare un po' più attenta.” aggiunsi,
alzandomi in piedi.
Lei finì di ripulire tutto e mise via lo strofinaccio. “Ci proverò, immagino.”
Infilai le mani dentro le tasche dei jeans e la guardai, e anche lei rimase a
fissarmi.
“Comunque,” continuò, “Io mi chiamo Astrid.” mi fece un sorriso bellissimo.
Astrid. Originale: non avrei mai
indovinato.
“Astrid? Mai sentito.” commentai.
“E' un nome biblico.”
Feci spallucce.
“E tu chi sei?” incalzò lei.
Rimasi in silenzio e assunsi un'aria pensierosa, come se ci stessi pensando.
“Quando mi verrà voglia di dirtelo, se mi verrà voglia di dirtelo, te lo
dirò.”
La ragazza-angelo, o meglio, Astrid mi guardò inarcando le sopracciglia, ma
continuando a sorridere.
“Beh, allora, Astrid,” scandii il suo nome, che mi parve cristallino e quasi
musicale, “ci vedremo in giro, immagino.”
Annuì. “Sì, ciao.”
Le lanciai uno dei miei migliori sorrisi e uscii dalla stanza, con un sorriso
trionfante sul volto.
***
Avevo conosciuto Astrid, la ragazza-angelo, e mi ero comportato come uno
stronzo, al mio solito. Ma se conoscevo il genere femminile, mi sarebbe corsa
dietro. Doveva corrermi dietro! Era così bella..
La mattina seguente, a colazione, ero seduto allo stesso solito tavolo, con la
solita tazza di porridge intatta davanti a me, e con lo sguardo abbassato sul
solito blocco da disegno. Lucas era già stato informato su tutto, e continuava
a dirmi che se io non l'avessi spuntata, c'avrebbe provato lui. Ma era logico,
che l'avrei spuntata.
La volevo, sì, la volevo. Anche se solo per una notte,
ovvio, non ero tipo da storie serie, neanche un po'. Ma era troppo bella per
lasciarsela sfuggire.
Mentre ero disperso fra i miei pensieri, e delineavo il disegno di un paesaggio
immaginario, sentii qualcuno sedersi di fronte a me. Non alzai gli occhi: chi
poteva essere se non Lucas?
“Buongiorno, rompipalle. Sempre alla buon'ora, eh? Il porridge è lì che ti
aspetta.” dissi sempre senza guardare.
Qualcuno tossicchiò.
Alzai lo sguardo, e trovai Astrid a fissarmi. Cristo!
Non sapevo se essere contento per il fatto che lei fosse venuta lì da me di sua
volontà, o vergognarmi per quello che avevo appena detto.
“Ti avevo scambiato per un'altra persona.” mi affrettai a dire. Stetti bene
attento a non scusarmi, naturalmente. Nessuno meritava tanto, del resto.
“Lo immaginavo.” disse lei, sorridendo.
“Beh, che vuoi?” incalzai.
Lei mi guardò. “Tu sei un duro, vero?”
Risi. “Sono tante cose, ma non mi definirei un duro.”
“Da come parli, lo sembri.”
Scrollai di nuovo le spalle. “E tu sembri un'innocente ragazzina spuntata dal
nulla.” ribattei. E in effetti era proprio così.
Anche se lei scrollò le spalle. Ci fu un attimo di silenzio, lei prese a
giocherellare con il suo crocifisso. “Oggi mi dirai il tuo nome?”
“E tu che mi dai in cambio?” dissi, con una punta di malizia.
Lei mi guardò spaesata.
Mi schiarii la voce, pensando che fosse stavo correndo un po' troppo.
“Mi chiamo Gabriel Reeve.” dissi lentamente.
Lei mi sorrise. “Gabriel.” disse con enfasi,
“Bello. Anche il tuo è un nome biblico, sai?”
“Ah sì?”
“Sì. Mai sentito parlare dell'angelo Gabriele?”
“Io sono ateo.” risposi, serio.
“Oh.” sembrò delusa, e abbassò lo sguardo.
Poi lo rialzò e mi guardò intensamente. “Già lo sai,
io sono Astrid. Astrid Halls.”
“Molto piacere.” dissi distrattamente.
“Quanti anni hai?” chiese.
Scossi la testa piano, sorridendo. “Ehi, oggi ti ho già detto il mio nome. Tu
vuoi troppo.”
“L'ho detto che sei un duro.” “Piuttosto, riservato. E poi non posso farci niente, sono fatto così.”
Lei non rispose.
“E comunque,” continuai io, “è un pretesto per vederti
ogni giorno. Ogni giorno ti dirò qualcosa in più di me.” continuai, malizioso.
“Complicato, direi..” commentò lei.
“Te l'ho detto,” dissi, avvicinandomi un po' verso di lei, “se mi dai qualcosa
in cambio..”
Mi fissò negli occhi, sempre intensamente. Per un attimo mi persi in quegli
occhi marroni e caldissimi, dimenticandomi del resto. Erano proprio belli, già;
come tutto quello che apparteneva a lei, del resto. Notai che erano un po' più
chiari attorno all'iride.
“Beh,” soffiò Astrid, “preferisco una cosa al giorno.”
Sorrise, e si alzò in piedi. La fissai, svegliandomi all'improvviso.
“Devo fare una cosa,” disse in fretta lei, “Ci vediamo dopo.”
E sorridendo ancora s'allontanò, non lasciandomi neanche il tempo di
rispondere. Perché avevo come l'impressione che non sarebbe stato così facile?
E che cos'era quell'attimo di smarrimento quando avevo fissato così da vicino i
suoi occhi? Che strano.
E che strana,
quell'Astrid.
grazie per le recensioni ragazzi (:
continuate così, mi fa molto piacere!
Capitolo sette. « I don't know what it is that I like about you, but I like it a lot.
Won't let me hold you, let me feel your lovin' charms. » Led Zeppelin, Communication Breakdown
Il giorno seguente, dopo pranzo, uscii
in cortile da solo con l'intenzione di fumare una sigaretta e di disegnare
qualcosa. I soliti ragazzini giocavano, a basket questa volta, e c'era caldo,
nonostante fosse autunno già inoltrato.
Oltrepassando il muretto, notai che c'era una figura
dai lunghi capelli biondi che mi dava le spalle, seduta sulla solita panchina.
Sorrisi, pensando che avessi fin troppa fortuna.
Cacciai in tasca le sigarette, e col blocco
sottobraccio, mi avvicinai a lei di soppiatto.
“Buh!” esclamai quando le fui dietro.
Astrid fece un balzo di all'incirca cinque metri,
accompagnando il tutto con un urletto.
“Gabriel, ma sei tu! Mi hai spaventato.” esclamò a voce stridula, voltandosi
per guardarmi. Io risi di cuore, e con un balzo mi sedetti accanto a lei sulla
panchina.
“Volevo solo divertirmi.” mi giustificai. “Come stai?” chiesi, con una
gentilezza inedita.
“Bene. Tu?”
“Solita vita, solita noia.”
“Capisco.” commentò, spallucciando.
Astrid fece un sorrisetto. “Allora, oggi che mi
dirai?” chiese.
“Che ho diciassette anni, diciotto fra un po' di tempo.”
“Io ne ho sedici.” disse lei. “Quasi diciassette.”
La guardai, e pensai che sembrava molto più grande, per essere una sedicenne.
In fondo era solo una ragazzina. Ma, beh, l'età è una cosa molto relativa.
Annuii. Lei mi guardò, ed evidentemente notò il mio blocco da disegno, che
tenevo ancora sottobraccio.
“Cos'è?” chiese, indicandolo.
“Questo? Niente.” dissi, facendo il vago.
“Dai, fammelo vedere.” continuò, sorridendo.
“Ma io..”
Ero riluttante. Non facevo vedere i miei disegni a nessuno, a malapena a Lucas.
Ma improvvisamente non riuscii a dire di no, ed Astrid
mi sfilò delicatamente il blocco da sotto il braccio. Se lo poggiò sulle
ginocchia, e lo aprì.
Vidi i miei disegni passare in rassegna uno ad uno.
Astrid rimase in silenzio mentre li guardava, e con aria attentisima, come se
fosse un critico d'arte e li stesse studiando. Quando i disegni furono finiti,
richiuse il blocco e me lo consegnò.
“Bellissimi disegni, davvero. Hai talento. Non sapevo fossi un artista.”
commentò infine, con un sorriso.
Ricambiai il sorriso, sentendomi ineditamente in imbarazzo. “Grazie, ma non
sono un artista, disegno per passatempo. Sono solo abbozzi, schizzi.”
“Per me sono dei validissimi disegni.”
Non dissi nient'altro, sentendomi grato verso i suoi confronti. All'improvviso
Astrid frugò in una borsa di tela verde che portava a tracolla, e ne uscì fuori
un block-notes ad anelli con la copertina di un viola prugna, che mi mise sulle
ginocchia.
La guardai interrogativa, e lei mi sorrise. Sembrava che volesse che lo
guardassi, così lo aprii lentamente.
C'erano dei bellissimi disegni, a matita o a china nera, e degli acquerelli.
Davanti a me si materializzarono visi, paesaggi, oggetti e fiori, ad ogni
pagina.
Erano meravigliosi: mi sembravano molto più belli dei
miei.
Quando finii, richiusi il block-notes e glielo
consegnai, così come lei aveva fatto con me. “Stupendi. Li hai fatti tu?” dissi
alla fine.
Annuì. “Sì. Adoro disegnare. Evidentemente abbiamo qualcosa in comune.”
“Già. Con la differenza che tu sei bravissima..”
“Beh, anche tu lo sei.”
Ci scambiammo dei sorrisi. Incredibile, possibile che anche a lei
piacesse disegnare? Era l'unica persona che conoscevo che coltivasse la mia
stessa passione.
“Magari,” continuò lei, “qualche volta possiamo anche fare qualcosa a quattro
mani.”
“Ma certo.” mi affrettai a rispondere.
“Bene.”
Non avevo mai incontrato nessuno che amasse disegnare quanto me, e soprattuto
che ne capisse qualcosa, e parecchio. Questa cosa mi piacque.
Con la coda dell'occhio vidi Lucas fare capolino sul muretto.
Evidentemente mi aveva visto mentre parlavo con Astrid
e voleva origliare qualcosa, lo scemo.
“Gabriel, adesso devo andare. Sai, i bambini mi aspettano.” disse.
Annuii. “Certo. Allora a presto.”
Astrid si alzò dalla panchina. Strinse per un attimo
la tracolla della borsa.
“Magari.. magari uno di questi giorni puoi venire in
camera mia, avrei un sacco di disegni da mostrarti.”
Camera sua? Risposi con un sorriso, e Astrid se ne andò, i capelli che si
muovevano con lei.
***
Qualche giorno dopo, io ed Astrid ci trovavamo nella sala comune. Aveva portato
tutti i disegni di cui mi aveva parlato.
“Questo l'ho fatto all'incirca un anno fa, non ricordo bene,” mi stava dicendo,
riguardo un acquerello. “anche perché non mi è mai piaciuto il risultato.”
“A me piace, invece.”
Niente camera sua, niente privacy, – poiché c'erano altre persone sedute nei
tavoli attorno al nostro –ma ero sicuro
che le piacessi, altrimenti non m'avrebbe mai chiesto di rivederci. Ma
non sapevo perché, ogni volta che ero in suo compagnia mi dimenticavo di
sedurla per portarla a letto, come facevo di solito con tutte le altre donne.
Magari Lucas aveva ragione! Stavo diventando frocio.
Eppure era piacevole ascoltarla, e cosa mai provata, volevo sapere di più di
lei, e questo di certo non m'importava e non mi era mai importato, con le
altre. Ma Astrid era diversa, e di certo non era una che la dava al primo che
passava; stavo iniziando a conoscerla e a capirla. Invece lei, probabilmente,
pensava che fossi un bastardo maniaco. Beh, mica aveva tutti i torti. Ma
davvero, ero fatto così.
“Tu sei molto religiosa, Astrid?” chiesi all'improvviso.
La sua mano andò automaticamente al crocifisso che portava al collo.
“Beh, la mia famiglia lo era e quindi ho ricevuto un'educazione adeguata.”
ripose lei, passandosi fra le dita la catenina.
Annuii, come se capissi perfettamente. Perché usava quell'imperfetto? E a
differenza di tutti, lì dentro, sembrava parlasse con rispetto della sua
famiglia. Chissà quel era la sua storia.
“Quindi credi in Dio.” aggiunsi, giusto per dire qualcosa.
“Certo.”
“Capisco.”
Calò il silenzio, mentre Astrid cessava di torturare la sua catenina.
“E tu, perché no?” chiese poi lei.
Presi fiato. “Penso che sia tutta una finzione per tenerci buoni, o qualcosa di
simile. Ci impongono un'entità superiore proprio per tenerci sotto controllo.”
Annuì. “E' interessante. Non avevo mai conosciuto qualcuno che fosse ateo.”
“E io qualcuno che ci credesse.”
All'improvviso, Amanda e una sua amica ci passarono accanto. Lei mi guardò
sprezzante, e poi il suo sguardo si posò su Astrid, la quale venne studiata a
lungo. Quando s'allontanarono, vidi Amanda sussurrare qualcosa all'orecchio
dell'amica.
Astrid se ne accorse. “E quella chi era?” mi chiese, curiosa. Non sembrava per
nulla infastidita.
“Una.” risposi annoiato, e con aria estremamente vaga.
“Sembrava che ce l'avesse con te.”
“Infatti ce l'ha con me. Ma non m'importa nulla, francamente.”
Ci fu una pausa. “Corrono strane voci su di te, Gabriel.” esordì lei.
“Cioè?” chiesi.
“Beh, io non sono esattamente una piena d'amici, ma ho sentito dire da alcune
ragazze del mio dormitorio che sei una specie di Dongiovanni senza scrupoli.”
Scrollai le spalle. Erano cose che già sapevo. “E allora?”
Astrid alzò un sopracciglio. “Non neghi?”
“Non c'è niente da negare, perché è vero.”
Mi guardò, sorpresa. “Ah.” commentò soltanto.
“E' piuttosto eccitante sapere che voi ragazze parliate di me, piuttosto.”
dissi sorridendo maliziosamente.
Astrid restò seria.
“Quindi.. sei andato a letto con delle ragazze qua
dentro? Che stanno qui?”
“Alcune volte.” dissi distrattamente, con un tono che significava velatamente trilioni
di volte.
“Perché?” chiese.
Rimasi sorpreso e perplesso da quella domanda. “Beh! E' come spiegare perché il
cuore batte, o perché respiriamo.. è naturale.”
Scosse piano la testa. “Non dico quello. Cioè, che gusto ci provi ad andare con
ogni ragazza, e per di più sapendo che poi sparirà tutto in poche ore e non ti
rimarrà più niente?”
Ma che razza di domande erano? Incredibilmente, però, trovai difficoltà a
formulare una risposta.
“Ascolta, Astrid. In questo posto ci si annoia molto. Quindi: o fumi, o vai a
letto con qualcuno, o ozi, o ti suicidi.” risposi, corrugando la fronte. Astrid
mi guardò ad occhi sgranati.
La mia parte sadica prevalse, e mi accorsi che vederla così sorpresa per quella
risposta era divertente. E poi, pensai che dovesse imparare come andavano le
cose lì dentro.
Era una vera e propria giungla, un inferno. Si metteva in atto la famosa legge
di Darwin: il più forte sopravvive. Ed io, lì dentro, ero considerato uno dei
più forti.
“Non avevo torto, sei davvero una ragazzina innocente.” commentai, ghignando.
“Io sono assolutamente normale.” ribatté, orgogliosa.
“Beh, rispetto alle altre qui, non lo sei.”
“Meglio così, Gabriel.” soffiò, annuendo.
Apprezzai il suo desiderio di essere unica ed
originale. Sicuramente era molto meglio che essere la solita pecorona.
Pausa. “Sai che sei l'unica persona che mi chiama per nome?” osservai solo in
quel momento. “Ti infastidisce?”
“Per niente.”
Sorrisi.
Capitolo otto. « Oh she's my baby, let me tell you why. Hey, she drives me crazy, she's the
apple of my eye.
'Cause she is my girl, and she can never do wrong,
if I dream too much at night, somebody please bring me down. » Led Zeppelin, I'm Gonna Crawl
“Andiamo, Reeve. Hai passato tantissimo tempo con lei
ultimamente, cosa puoi dirmi? Ancora niente?”
Scrollai le spalle, indeciso su cosa dire. Guardai Lucas, il quale aveva un
sorrisetto furbo e lo sguardo curioso. In quei giorni io ed Astrid avevamo solo
parlato: non era successo nulla. Del resto, io non avevo fatto in modo
che succedesse nulla.
“Dal tuo silenzio deduco che non sia successo nulla. Giusto?” incalzò Lucas.
Io sospirai, sedendomi sul letto della mia camera.
“No, non è successo niente.” confessai.
“Lo sapevo che non te l'avrebbe mai data.”
“Non è questo..”
“E cos'è?”
“Non gliel'ho neanche chiesto, non l'ho neanche sfiorata.” continuai.
Lucas fece una faccia sconcertata. “E perché mai?”
“Beh, sai. E' una ragazza molto religiosa..”
Lucas sbuffò. “Magari è ancora vergine. Tipo una di quelle che vogliono
rimanerlo fino al matrimonio..”
Feci spallucce, guardandolo. “A parte questo, che non so, mi sembra una ragazza
seria. E' una ragazza seria.”
“AAAH!” Lucas fece un verso di comprensione, annuendo vigorosamente col
capo.
“Potevi dirmelo subito, pensavo seriamente che fossi
diventato frocio..”
Gli mollai un pugno sulla spalla. “E piantala.”
Lucas si massaggiò la spalla. “E tu vacci piano. Comunque, mi sembrava troppo
perfetta. Doveva esserci qualcosa che non andava.”
“Già.” risposi, con voce atona.
“Allora la lascerai perdere a questo punto, no?” chiese, guardandomi.
Non risposi subito. Mi trovai a pensarci seriamente.
Lucas continuò a guardarmi, ad occhi sgranati.
“Oddio, Reeve.. non mi dirai che.. ti piace o qualcosa del genere! Che ti sei innamorato!”
Lucas pronunciò l'ultima parola come se stesse
descrivendo uno schifoso insetto.
“Ma che dici!” sbottai, imitando la sua espressione, “Non scherzare, Smith. Io
non oso neanche pensare a quella parola!”
“Volevo ben dire.” disse Lucas, annuendo. “Stavo già chiamando la neuro.”
“Forse la lascerò perdere, per l'appunto.” dissi in fretta, come se lo volessi
accontentare.
“Ecco.”
Mi alzai e andai verso la finestra, guardando il sole che tramontava.
L'avrei davvero lasciata perdere?
***
Scuotevo la testa a tempo di musica, con le cuffie
nelle orecchie e un volume spacca timpani. Ero rilassato e canticchiavo le
parole di una canzone, dei Led Zeppelin, naturalmente.
Camminavo per i corridoi, senza nessuna meta, con le
mani nelle tasche.
Per un attimo, senza motivo, pensai ad Astrid, e al
discorso che avevo affrontato con Lucas. Dovevo veramente seguire il suo
consiglio, oppure fare di testa mia? Ma in fondo, cosa volevo io
realmente?
A me Astrid non piaceva, almeno non in senso romantico, né ne ero – argh
– innamorato, ma non pensavo che fosse stupida o frivola: era piacevole parlare
con lei. E poi mi sembrava un po' brutto lasciarla perdere dopo quelle ore
passate assieme, e dopo che lei era stata così gentile con me, come mai nessun
altro. Ma cosa mi succedeva? Perché mi facevo tutti quegli scrupoli? Il
cervello mi sarebbe andato in pappa, così.
Proprio mentre la pensavo, Astrid mi sfrecciò accanto.
“Astrid?” chiamai, levandomi le cuffie e voltandomi
per guardarla.
Anche lei si voltò. Portava i capelli raccolti in un'unica treccia dietro la
testa. Le donava parecchio.
“Gabriel! Scusa, ma devo scappare..” sembrava preoccupata, e con una grande
voglia di andarsene.
“E' successo qualcosa?” le chiesi, alzando un sopracciglio.
Lei mi guardò per un attimo, poi annuì. “Beh, sì. Stavo andando a prendere la
merenda per i bambini – scoprendo poi che non c'era nulla – e mentre ero via un
bambino s'è fatto male, e stavo..”
“Se vuoi ti aiuto io.” dissi interrompendola, quasi automaticamente.
Lei rimase in silenzio per un attimo, fissandomi.
“Davvero lo faresti?”
Feci spallucce. Astrid s'illuminò in un bellissimo sorriso, e mi prese per un
braccio, trascinandomi con lei.
“Seguimi.” disse. Io non aggiunsi altro, incredulo di quello che stavo facendo,
lasciandomi trascinare da lei senza opporre resistenza. Io ed Astrid
percorremmo alcuni corridoi ed entrammo in due porte diverse, per poi entrare
in una stanza ampia e circolare.
Lì, un mucchio di mocciosi stava attorno ad un bambino
di circa quattro anni, che era seduto per terra. Sul pavimento c'erano delle
piccole sedie e dei giochi, mentre sulle pareti erano appesi gli stessi disegni
infantili della salacomune.
Rimasi impalato vicino la porta, mentre Astrid
avanzava ed i bambini le facevano spazio.
“Ve l'ho detto mille volte di non arrampicarvi per prendere le cose. Vedete
cosa succede?” disse. Non era arrabbiata, ma usava un tono di voce autoritario.
I bambini attorno a lei si fissarono come se si
sentissero in colpa.
Si chinò verso il bambino seduto per terra. Aveva gli occhi lucidi,
probabilmente doveva aver pianto, anche se aveva appena il ginocchio sbucciato.
“Gabriel,” lei si voltò verso di me, “potresti
passarmi la cassetta del pronto soccorso che c'è dentro l'armadio?”
Solo in quel momento mi accorsi di un piccolo armadio di legno chiaro vicino la
finestra. Ci frugai dentro e trovai ciò che mi aveva chiesto; poi gliela diedi.
“Grazie.” rispose lei, con un sorriso.
I bambini mi studiarono attentamente quando
m'avvicinai, accorgendosi della mia presenza solo in quel momento. Una di loro
sussurrò all'orecchio di una compagna ed insieme ridacchiarono. Brutte
insolenti.
Astrid rimase un po' di tempo a disinfettare e a mettere un cerotto sopra la
sbucciatura del bimbo; dopo di ciò si rialzò, allegra, e si avvicinò a me. Io,
che avevo guardato per tutto il tempo i suoi capelli muoversi come incantato,
saltai in aria quando la vidi avvicinarsi proprio a me.
Mi appoggiò una mano sulla spalla, per poi richiamare
l'attenzione dei bambini. Quell'improvviso contatto mi fece rabbrividire.
“Allora, bambini. Questo è Gabriel, e oggi starà qui con noi per..”
“E' il tuo fidanzato?” la interruppe una bambina più grande, con i capelli
rossi e l'aria furbetta. Ma queste bambine peli sulla lingua non ne avevano
neanche un po'? Per la miseria!
Io ed Astrid ci guardammo per un attimo. Non sapevo cosa dire. Poi lei scoppiò
a ridere, come se quella fosse un enorme sciocchezza. Ma notai che arrossì, e
furiosamente.
“Oh, no. E' un amico. Adesso, su su, niente domande e giochiamo.”
Rimasi con Astrid e i bambini per quasi tutto il pomeriggio. Non mi ero mai
sognato una cosa del genere: odiavo i mocciosi. Ma con Astrid era tutto più
facile, e quasi quasi mi divertii. E poi ero.. felice? Felice di averla
aiutata. E mi rifiutavo di pensarlo, e di crederlo.
E scoprii persino che se li prendevi bene, i bambini
riuscivano ad essere quasi simpatici e divertenti. Alcuni di loro erano
molto perspicaci ed intelligenti.
Quando i bambini andarono via, io ed Astrid rimanemmo
soli nella stanza per mettere a posto qualche giocattolo che i bambini avevano
lasciato in giro; poi uscimmo e ci fermammo davanti la porta della stanza.
“Quel che hai fatto questo pomeriggio è stato un gesto
molto carino.” disse lei, stringendo la tracolla della sua borsa come al
solito.
“Ah sì?” chiesi, mettendo di nuovo le mani in tasca, stupito ed un po'
perplesso da quelle parole.
Lei annuì. “Davvero.”
“Ti capisco, sono stupito anch'io.” dissi.
Sorrise. “Suvvia..”
“Davvero! Non capita tutti i giorni.” insistetti. “Comunque, grazie.”
“Prego.” rispose lei, continuando a sorridere.
Calò il silenzio, e io continuai a guardarla. Quant'era bella, accidenti.
“Beh, è meglio che io vada. E poi è quasi ora di cena.”
Annuii. “Allora ci vediamo.”
“Certo.” s'affrettò a dire Astrid, come se non c'era alcun dubbio che ci
saremmo rivisti. Poi si avvicinò a me di un passo, come se volesse dirmi
qualche altra cosa. Invece posò una mano sulla mia spalla, ancora una volta.
Con un ultimo sorriso, girò sui tacchi e andò via.
« I said it's alright, you
know it's alright. I guess it's all in my heart:
You'll be my only, my one and
only. Is that the way it should start? » Led Zeppelin, Dancing Days
“Confessa. Dove sei stato ieri
pomeriggio?”
La voce di Lucas mi disturbava profondamente. Io,
comodamente seduto sulla panchina del campetto dov'eravamo soliti passare il
nostro tempo dopo il pranzo, leggevo un vecchio numero
di Dylan Dog. Lucas ne era
un fan sfegatato.
“Quanto mistero, Sherlock.” lo apostrofai, non levando gli occhi dal fumetto.
“Certo. Perché secondo te è normale sparire per delle ore senza dir nulla?”
continuò Lucas. Non risposi, e anzi per tutta risposta girai una pagina del
fumetto, leggendo.
“Confessa,” ripeté, “con chi eri? Che
facevi? Scommetto che eri chiuso dentro qualche camera a fare un'orgia e non me
lo vuoi dire.”
Questa volta alzai gli occhi dal fumetto e lo incenerii con lo sguardo.
“Chiudi quella bocca, Smith, razza d'idiota.”
“E allora parla!” Sbuffai, lanciandogli il fumetto addosso, veramente
scocciato.
“Perché non vai da Scotland Yard? O ancora meglio,
alla CIA?” dissi, scocciato.
“Ehi!” protestò lui, chiudendo con cura il suo DylanDog. “Tratta bene i miei
fumetti!”
“E tu non fare l'imbecille.” ribattei.
Frugai in tasca, e presi una sigaretta dal pacchetto e l'accendino. L'accesi rapidamente.
“In fondo non c'è niente di male ad andare alle orgie,”
continuò lui, imperterrito, “Io lo farei. Immagina: io, ed altre tre donne.
Ah!”
“Potresti tenere per te le tue fantasie erotiche? Grazie.” dissi,
tenendo la sigaretta fra l'indice e il medio e rilasciando il fumo in aria.
“Prego. Andiamo, Reeve, dai! Dov'eri?”
Rimasi in silenzio. Inspirai.
“Daaaaaaaaaai!”
Espirai.
“Ah, quanto mi piacerebbe godermi questa sigaretta in pace!” esclamai. Ma ormai la sigaretta era quasi finita: così la gettai per
terra e la schiacciai sotto la suola.
Era chiaro perché non volessi parlarne: se Lucas avesse saputo quel che avevo
fatto il pomeriggio precedente, mi avrebbe preso in giro per l'eternità. E si sarebbe arrabbiato, perché gli avevo mentito, convinto
che ormai avrei lasciato stare Astrid.
Allora pensai che era meglio
non dire nulla e tenersi tutto per sé. Del resto, non ero obbligato a dirgli
tutto.
“Ok, ho capito.”disse
infine.
“Meglio tardi che mai, Smith.”
Mi alzai dalla panchina e lo fissai.
“Ehi,” disse lui, “domani è
sabato. Usciamo? Magari beviamo qualcosa, rimorchiamo
qualcuno.. insomma, il solito.”
Non ne avevo tanta voglia neanche quella volta, ma non glielo dissi.
“D'accordo.” risposi. “Sempre meglio che stare qui.”
Effettivamente.
Lucas annuì e, riprendendosi il DylanDog, si nascose dietro le pagine del fumetto, imitandomi.
***
Ero da solo in sala comune, dopo essermi congedato con Lucas. C'era qualche
ragazzo nei tavoli attorno al mio, alcuni ridevano, altri parlavamo
a voce più bassa.
Io disegnavo, completamente rilassato. Mentre
ombreggiavo alcuni particolari del mio disegno, una figura scivolò nella sedia
vuota di fronte a me.
Era Astrid. Quel giorno portava di nuovo i capelli
sciolti, e una maglietta celeste. Era bellissima come sempre.
Quando arrivò smisi quasi immediatamente di disegnare
e la guardai.
“Ciao.” disse lei, sorridendo.
“Ciao, Astrid.”la salutai, poi guardai l'orologio sulla parete. “A
quest'ora non dovresti già essere dai mocciosi?”
Lei annuì. “Ci stavo andando. Ma siccome passavo di qui, e t'ho
visto..”
“Sì?” incalzai, fissandola.
“..ho pensato di passare a salutarti. Niente di che.” rispose,
fissandomi a sua volta.
Annuii.
“Cosa disegni?” chiese poi
lei, inclinando la testa di lato per guardare il mio blocco. Io lo girai un po' verso di lei.
“Che bello,” disse, osservando quel che avevo disegnato, una specie di foresta
selvaggia inondata da raggi di sole, “E' molto realistico.”
“Grazie.” risposi sorridendo, e mettendo di nuovo il blocco nella posizione
giusta.
Calò il silenzio.
“Hmm,” Astrid
disegnava qualcosa d'immaginario sulla superficie del tavolo con l'indice,
“quali sono i tuoi programmi per questo fine settimana, Gabriel?”
Quella domanda m'incuriosì parecchio. Voleva forse invitarmi ad uscire, o solo
informarsi per intavolare una conversazione? Eppure aveva detto
che voleva solo salutarmi: l'aveva fatto, ed era ancora lì. Qualcosa la
tratteneva.
“Non faccio nulla.” mentii,
guardandola.
Lei teneva lo sguardo basso. “Neanch'io.”
Silenzio per un attimo. “Magari se ti va possiamo passare qualche ora insieme..” buttai lì distrattamente,
deciso a non sprecare quella occasione che mi veniva servita praticamente su un
vassoio d'argento. Astrid alzò gli occhi verso di me, finalmente. “Mi
piacerebbe.”rispose, con il
tono di chi se l'aspettava.
Le sorrisi amabilmente. “Quando?”
“E' uguale. Domani ti va bene? Abbiamo qualche ora libera per uscire.”
“Davvero? Allora, volentieri.”
Si alzò in piedi e fece un sorrisone. “E' meglio che
io vada. Allora ci vediamo domani.”
“Certo.” le sorrisi anch'io.
Incredibile! Avevo una specie d'appuntamento con Astrid.
Anzi, era proprio un appuntamento. Mi aveva indotto ad invitarla, e io
non mi ero tirato indietro. Allora le piacevo come pensavo? Il fatto era che
non avevo pensato neanche un attimo a portarla a letto o cose del genere, così
come lo pensavo all'inizio solo vedendola.
Ma, forse, il problema più
urgente era che dovevo inventarmi qualcosa per svicolare l'uscita già
organizzata con Lucas, per quel sabato sera. Mio Dio, stavo davvero preferendo
una donna all'amico di sempre?
Ma lei non era una donna qualunque; era Astrid,
ed era la persona più bella e dolce che avessi mai conosciuto in diciassette
anni. Mi sentivo strano, diverso, e non riuscivo a capire perché avessi
mentito, perché avessi quella voglia di starle accanto, di stare
con lei. Che cosa bizzarra.. ed inconcepibile! Astrid si alzò in piedi, e fece il giro del tavolo
per uscire dalla sala ed avviarsi verso la porta. Nel farlo, si fermò dietro di
me e si chinò per dirmi qualcosa vicino l'orecchio.
“Grazie mille per avermi invitata. Io.. non vedo
l'ora..”
Anche se non potevo vederla, ero sicuro che stesse sorridendo. I suoi capelli
mi sfiorarono delicatamente l'orecchio e il viso, e d'istinto
chiusi di poco gli occhi.
Non appena lo feci, sentii le labbra di Astrid lasciarmi un
leggerissimo bacio sulla guancia. Poi se ne andò,
lasciandomi solo.
Rimasi ad occhi chiusi, come se volessi godermi quella sensazione più del
dovuto. Sensazione sconosciuta, ma sublime.
Possibile che un semplicissimo bacio sulla guancia mi facesse reagire in quel
modo? Proprio io, che di baci migliori di quelli ne
potevo ricevere anche a decine al giorno?
Riaprii gli occhi. Mi sentii spaesato, confuso, e spaventato – in un certo
senso – perché non avevo mai provato nulla del genere.
E perché non osavo neanche dare
un nome a quello che stavo provando, come se davvero avessi avuto paura di
scoprire un brutto segreto, qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. Mai.
« I can't let you go. I
love you. Oh baby, I love you. Every breath I take, oh. Oh, every move I make.
Oh baby please, don't go. You hurt me to my soul, oh. Darling, please don't go.
» Led Zeppelin, Dyer Maker
Mi infilai sotto le coperte con un balzo, preparandomi alla recita.
Presi le coperte con entrambe le mani e me le tirai
fin sopra gli occhi. Praticamente solo i miei capelli erano scoperti e
visibili.
“Avanti.” borbottai insieme ad un colpo di tosse simulato, al secondo bussare
alla porta. Quest'ultima si aprì, e ne sbucò Lucas, che non appena mi vide fece
una faccia tra il sorpreso e il contrariato. Si chiuse la porta alle spalle e
s'avvicinò a me.
Notai che aveva i capelli davvero molto scombinati, e
quasi mi venne da ridere. Mi morsi la lingua per trattenermi.
“Reeve! Ma che ti prende? Andiamo, alzati, che piantagrane che sei!”
Feci un altro colpo di tosse.
“Eh? Chi sei?” balbettai come se fossi in agonia.
Lucas si sbatté un palmo della mano sulla fronte. “Reeve, non esagerare. Che
diavolo hai?”
“Freddo. Tanto freddo,” risposi stringendomi di più nelle coperte e parlando
con enfasi, “forse non mi sento tanto bene.”
Lo guardai, sperando di avere uno sguardo abbastanza languido.
Lucas sbuffò e s'avvicinò ancora, e poggiò una mano sulla mia fronte, per
misurare alla meno peggio la mia temperatura corporea.
“Beh, in effetti devo ammettere che scotti..”
Lucas si trasformò nell'Amico Ragionevole e mi fissò.
Il trucco del phon funzionava sempre!
“Davvero?” mi portai teatralmente una mano sulla fronte, “Accidenti, giusto di
sabato.. Queste cose non vengono mai di lunedì!”
Lucas non rispose. “Beh, Reeve, rimarrò qui allora, per..” disse poi.
“No!” dissi con fin troppo vigore. Lucas mi guardò male.
“Smith, vuoi scherzare? E' sabato, nessuno ti costringe a rimanere qui con me.
Esci e divertiti pure.” insistetti, a voce più bassa, cercando di non tradirmi.
“Ma.. sei sicuro, Reeve?” Lucas era titubante.
Annuii e tossii di nuovo come per ribadire il concetto.
“Vuoi che ti mandi qualcuno..?”
Lo interruppi. “No, rimarrò tutto il giorno qui a dormire tranquillo. “
Lucas cedette. “Oh, va bene. Allora ci vediamo dopo. Rimettiti.”
Mi guardò un'ultima volta, poi fece dietro-front e
uscì dalla mia stanza.
Aspettai qualche minuto dopo che la porta si chiuse, poi scattai in piedi
buttando furiosamente le coperte di lato, e balzai giù dal letto come se avessi
preso la scossa.
Infilai i soliti jeans, poi dall'armadio presi una
t-shirt larga e lunga dei Led Zeppelin, di cui ero particolarmente fiero.
Infilai le scarpe da ginnastica, e rimasi ad aspettare.
Senza accorgermene, mi avvicinai al piccolo specchio
vicino l'armadio e cercai di sistemare un po' i miei capelli con le mani, dato
che non possedevo un pettine. Erano tra un castano chiaro e un biondo cenere, e
lisci, ma quasi sempre spettinati e ribelli. Dopo qualche minuto fissai il mio
riflesso più attentamente, come se cercassi qualche cambiamento evidente, o
qualche difetto.
Ma in realtà la domanda era: che stavo facendo? Dove
mi stavo cacciando, accidentaccio?
Avevo mentito a Lucas. Se solo l'avesse saputo, m'avrebbe ucciso senza nessuna
esitazione. E poi che.. che stavo combinando? Era come se ci tenessi a fare bella
figura.
Quante domande.. e tutte inutili, per giunta.
Nessuno m'avrebbe risposto, e non sapevo neanche se io
stesso sarei stato capace di farlo, prima o poi.
Mi allontanai dallo specchio e mi diressi verso il
comodino. Afferrai il portafoglio – riempito con lo stretto necessario, ormai –
e lo infilai nella tasca posteriore dei jeans. Poi presi il solito pacchetto di
sigarette e l'accendino, e li ficcai in una tasca del mio giubbotto di pelle,
il quale era poggiato sul letto, per poi prenderlo ed infilarmelo.
In quello stesso istante qualcuno bussò alla porta.
Sospirai, e mi avvicinai alla porta con cautela. E se fosse stato Lucas, che
c'aveva ripensato?
“Chi è?” chiesi, con una vocina piccola piccola, pregando mentalmente.
“Astrid.” rispose una voce cristallina e dolce dall'altra parte della porta.
Sospirai di sollievo ed aprii la porta, sorridendo.
Davanti a me c'era proprio lei, Astrid. Indossava dei jeans scuri, un paio di
Converse All Stars colorate, una maglietta leggera un po' trasparente di un
tessuto leggero di una fantasia a fiori poco vistosa, e infine un giubbotto di
jeans della stessa tonalità dei pantaloni. I lunghi capelli biondi erano
sciolti, ma Astrid aveva fatto due piccole trecce che partivano dalle tempie e
che si incontravano unendosi dietro la testa.
Il suo sorriso completava l'opera ed era più bella che mai. I suoi occhi scuri
scintillavano.
“Sei.. “ cercai di dire, balbettando. “Sei bellissima.” mi lasciai sfuggire, a
voce bassa.
Lei arrossì. “Grazie.” e fece una risatina.
“Allora, andiamo?” le chiesi.
Lei annuì e mi chiusi la porta alle spalle. Insieme, e
in silenzio, ci avviammo lungo il corridoio ed uscimmo fuori, dopo aver
attraversando altri corridoi e l'atrio.
Fuori, l'aria era frizzante. Erano le quattro del
pomeriggio, quindi c'era ancora un po' di luce.
Camminammo fianco a fianco, io con le mani sprofondate nelle tasche. Quel
silenzio m'innervosiva, ma fu Astrid ad iniziare a parlare.
“Allora. Dove andiamo di bello, Gabriel?” chiese.
“Io pensavo di andare un po' a spasso prima e di mangiare qualcosa dopo. Ma
possiamo fare al contrario, se preferisci.”
“No,” disse lei, “A me va bene così.”
“Qualche meta in particolare?” chiesi.
Lei scosse la testa. “Non conosco minimamente questo posto, fai tu.”
“Okay.”
Prima portai Astrid in giro per la città, mostrandole qualche villa, dei
monumenti, la biblioteca comunale ed il municipio. Le raccontai quel che
sapevo, e lei parve interessarsi davvero e ascoltò tutto educatamente. La feci
ridere anche un paio di volte.
Passeggiammo per le vie del centro, stracolme di negozi
e di gente, poiché era sabato. Mentre passeggiavamo non mi sfuggirono alcune
occhiate insistenti rivolte ad Astrid, da parte di qualche ragazzo. Astrid era
bellissima ed era comprensibile, ma provai un certo senso d'irritazione.
Irritazione? Quello era un eufemismo: la parola giusta era gelosia. Gelosia..
Così, con la più assoluta nonchalance, le misi un braccio attorno alle spalle,
come per dire che era roba mia. Non era così, ma gli altri cosa ne potevano
sapere? Almeno li tenevo lontano. A quel gesto lei sobbalzò in aria, e la vidi
che cercava di guardarmi con la coda dell'occhio. Avrei scommesso i miei cd dei
Led Zeppelin che era arrossita; ma io continuai a camminare, imperturbabile,
come se fosse successo già tantissime volte.
Io e lei ci fermammo a guardare una vetrina. Io – non me ne importava un fico
secco – presi a guardare il riflesso sulla vetrina. Mi vidi lì, con il braccio
attorno alle sue spalle, e pensai che chiunque c'avesse visto avrebbe potuto
pensare che stessimo insieme, che fossimo fidanzati. E in effetti non
eravamo neanche tanto male, come coppia. Dio, ma cosa stavo pensando? Ero impazzito?
All'improvviso lo sguardo di Astrid incontrò il mio sulla vetrina. Rimasi un
attimo spiazzato, ma subito dopo le rivolsi un sorriso rassicurante, che lei
ricambiò subito.
Mentre ci allontanavamo dalla vetrina, mi parve di
sentire la sua mano sfiorare la mia, ancora poggiata sulla sua spalla.
Comunque sia, lasciai la sua spalla di colpo,
rimettendo le mani dentro le tasche.
Dio, cos'era quel rossore caldo che sentivo sulle guance? Non ero mica..
imbarazzato? E di cosa poi?! Avrei voluto sbattere la testa contro uno spigolo.
Mi sentivo un vero impedito!
Mi schiarii la voce come per riprendere un contegno. Calma.
“Adesso ti porto in un posto.” le dissi, voltandomi a guardarla.
Anche lei fece lo stesso. “Dove?”
“Vedrai. Certo, non sarà il posto più..”
“Più?”
“Più.. come si dice.. romanico.. no.. romito..”
“Forse.. romantico?”
“Ecco! Non sarà il posto più romantico del mondo ma, vedrai, ci
divertiremo.”
Con un sorriso io ed Astrid c'incamminammo. Superato il centro, arrivammo in
un'altra via, non troppo affollata ma neanche isolata.
“Vieni, seguimi.” le dissi.
La portai in un posto dalla porta grande e colorata e con un insegna al neon,
piena di chiacchiere e di risate.
Okay, una sala giochi.
Non era romantico, ma divertente. E poi non avevo
soldi sufficienti per portarla in un ristorante di lusso, dove forse una come
lei era più adatta.
Ma la cosa più bella fu che mi divertii tantissimo con Astrid, pur non facendo
nulla di speciale: mi resi conto che sicuramente non si aspettava un ristorante
a cinque stelle, e questa cosa mi piacque. E anche lei si divertì.
Spesi praticamente tutti i miei soldi ad un videogioco
con le auto da corsa, poiché Astrid riusciva a battermi e me lo rinfacciava,
così io le chiedevo sempre la rivincita. Insegnai ad Astrid come giocare a
biliardo, dato che non c'aveva mai giocato prima d'allora. Era una frana, ma
era comunque un pretesto per starle vicino – fisicamente parlando – per
insegnarle come mettere la stecca nella giusta posizione e a lanciare. Ridemmo
come dei matti quando lei colpì una pallina e questa scappò via dal tavolo,
attraversando la sala giochi a velocità supersonica per poi atterrare sulla
pista da bowling, buttando giù persino qualche birillo. Avevamo anche
chiacchierato tantissimo di cose stupide, ma non avevo mai passato una serata
così bella in compagnia di una donna.
Non che generalmente passassi molte serate in
compagnia di una ragazza.. mi limitavo solo a fornicare e la cosa finiva lì.
Niente parole, niente dolcezze. La mia regola era sempre stata questa. E
dopo aver fatto sesso, scappavo via come un codardo.
Molto più tardi, io ed Astrid decidemmo di mangiare direttamente lì. Ordinammo
delle fette di pizza e le mangiammo seduti in un tavolo vicino le piste da
bowling, così potevamo anche guardare chi giocava. Io non avevo occhi che per
lei, chi se ne fregava del bowling.
“E se avessi cavato l'occhio a qualcuno?” rise Astrid,
riferendosi ancora alla sua palla da biliardo assassina.
Risi anch'io. “Brutta cosa. Non ti facevo così
violenta.”
Scherzammo ancora un po' e dopo ci fu un attimo di
silenzio, mentre masticavamo.
“Allora,” Astrid riprese a parlare, pulendosi le mani con un fazzolettino,
“sono curiosa di sapere come mai sei.. sei finito lì, Gabriel. Se vuoi
dirmelo.”
Quella domanda mi colpì. Né io né lei avevamo mai
indagato sul passato dell'altro, fino ad ora. La fissai e posai la fetta di
pizza mangiata a metà sul mio piatto di plastica.
“Chiamiamo le cose col loro nome. Come mai sono finito in un orfanotrofio?”
dissi.
Astrid si limitò a fissarmi, poi annuì, concordando
con me.
“Ho avuto un'infanzia difficile. Come tutti, penso.
Sono nato già nei litigi e nelle urla, i miei non avevano mai avuto un rapporto
sereno. Mia madre era donna molto fredda con me, per quanto mi ricordo. Mio
padre era semplicemente patetico, poiché si umiliava davanti a lei, dato che
mia madre gli rinfacciava un mucchio di cose. Quando avevo all'incirca otto
anni, mia madre scappò con un altro uomo. All'improvviso. Un giorno mi svegliai
e non c'era più.”
Astrid si portò le mani alla bocca. Io continuai, serio.
“Mio padre perse la testa. Beveva quasi sempre, tornava a casa ubriaco
fradicio. Ho anche l'impressione che si drogasse. Beh, ad ogni modo rimasi
solo, poiché mio padre non stava quasi mai in casa e io dovetti badare a me
stesso. La situazione fece nascere in me dello spirito di auto conversazione.
Pulivo la casa per quanto potevo, studiavo, mangiavo un panino fuori sia a pranzo
che a cena, con i pochi soldi che avevo, o andavo da qualche compagno di
scuola. Le poche volte che mio padre si faceva vivo in casa, era ubriaco – o
drogato – e portava con sé le sue amichette, dato che per dimenticare mia madre
passava da una donna all'altra. Sentivo le loro urla anche ad isolati di
distanza.” dissi tutto d'un fiato, con disgusto.
“Poi, quando avevo appena nove anni, mio padre si ficcò in un brutto guaio.”
Astrid era sgomenta. “C-cioè?” balbettò.
“Picchiò a sangue una delle sue compagne di sesso,
quando era ubriaco. Ci volle tanto così,” sollevai il pollice e l'indice
tenendoli a pochissima distanza fra di loro, “per ucciderla.”
“Fu arrestato. Ci fu un processo. Quando i giudici seppero anche di me, e di
come m'aveva lasciato, la condanna fu pesante: gli diedero vent'anni di
prigione.”
“Mio Dio.” sussurrò Astrid, guardandomi ad occhi sgranati.
“Io venni affidato in orfanotrofio proprio all'età di
nove anni, dato che non avevo praticamente nessun parente dove andare, dove
stare, e soprattutto che mi volesse.”
“Tu vivi lì da.. quasi nove anni?”
“Oh no. Sono rimasto in un orfanotrofio fino all'età di undici anni, poi mi
hanno mandato al St.Catherine e lì sono rimasto, come vedi, ancora oggi.”
“Non ti ha mai adottato nessuno?”
“No. Di solito vengono adottati i bambini più piccoli, è normale, quelli
cresciuti non vanno già più bene. E poi le femminucce hanno più fortuna.”
“E non ti dispiace?”
Scossi la testa. “No. Odio i miei genitori, tutti i genitori, ma
specialmente i miei. Loro mi odiavano: quindi la cosa è reciproca.”
“I tuoi genitori non ti odiano.” disse Astrid.
La guardai incredula. “Di certo non mi volevano bene.”
Scrollò le spalle. “Non ti odiano.” insistette.
“Come fai a dirlo? Sì che mi odiavano.” quasi urlavo, un po' irritato.
Non capivo perché Astrid non capisse.
“No! E' impossibile per un genitore odiare il proprio figlio..”
“Io non ero loro figlio! Ero solo un.. un errore!”
Astrid mi guardò senza capire.
“Uno stupido errore di una notte di sesso sfrenato. Ecco cos'ero, cosa sono..”
Calò un silenzio spiacevole.
“Oh, Gabriel..” sussurrò lei dolce, guardandomi. Notai
che tentò di afferrarmi la mano che tenevo sul tavolo, ma si bloccò a metà
strada.
Feci un sorriso triste. “Non mi volevano, non volevano figli. Me lo
rinfacciavano sempre. Alla fine mia madre dev'essere rimasta incinta per
sbaglio, non so perché decise di non abortire più. Forse mio padre la convinse.
Comunque non sento più mio padre, né mia madre, da quando ero piccolo; ma
preferisco che sia così.”
Astrid annuì.
La guardai: sembrava avesse gli occhi lucidi. Avevo
rovinato la serata? Ma in fondo me l'aveva chiesto lei, e io le avevo solo
raccontato tutta la verità. All'improvviso mi sentii angosciato, e non ebbi il
coraggio di chiederle del suo passato.
Rimanemmo nella sala giochi ancora un po' a guardare un gruppo di ragazzi che
giocava a bowling, poi decidemmo di tornare a casa.
Uscimmo e il buio e il silenzio più assoluto ci
travolsero. Era una serata dal cielo stellato con una luna pienissima. Io avevo
ancora quel senso di angoscia addosso, soprattutto perché non ci eravamo
praticamente più rivolti la parola dalla fine del mio racconto.
Feci di nuovo sprofondare le mani in tasca, mentre camminavamo, lei al mio
fianco. La strada per l'orfanotrofio era deserta: né passanti, né auto. Ad
illuminare il tutto c'erano degli sporadici lampioni dalla luce arancione ai
lati della strada. Poi, mentre mancava una ventina di minuti ancora di strada,
Astrid si avvicinò ad un muretto al lato della strada e ci si sedette sopra.
Oltre il muretto non si vedeva nulla, era tutto nero; e accanto a lei c'era un
lampione dalla luce arancione che la illuminava con colori alterati.
Senza dir nulla la seguii e mi sedetti sul muretto,
rivolto verso di lei, facendo penzolare le gambe una da una parte, una
dall'altra. La guardai: aveva lo sguardo fisso in basso e sembrava triste. Le
stavo per chiedere qualcosa quando parlò, voltando la testa a guardarmi.
“Mi dispiace tanto per i tuoi genitori. Mi dispiace davvero per tutta la tua
storia. E' terribile. Ma soprattutto mi dispiace avertelo ricordato, magari non
vuoi neanche pensarci.” disse.
Scossi la testa e sorrisi, sollevato che avesse
assunto quell'atteggiamento solo per quella che era praticamente una
sciocchezza. “Dici sul serio? Non pensarci neanche. Io sto bene.. ormai chi ci
pensa più? Ci ho fatto il callo.”
Mi guardava ancora. “Sei sicuro? Lo so che sei un duro, tu.”
Feci una risata. “Sicurissimo.”
Lei finalmente sorrise. La guardai ancora. La luce del
lampione faceva diventare i suoi capelli di uno strano color ramato. Poggiai le
mani davanti a me, continuando a fissarla. Mi persi nei suoi occhi, mentre
anche lei mi guardava nei miei. Mi avvicinai lentamente e mi resi conto che
eravamo davvero vicini: adesso vedevo il mio riflesso dentro le sue pupille, e
la mia gamba destra sfiorava appena il suo ginocchio. Deglutii, rimanendo a
labbra socchiuse.
“Sai, Gabriel?” disse lentamente lei, mantenendo
ancora quel contatto visivo. “Io penso davvero che tu sia un ragazzo
meraviglioso, e che non riuscirei mai ad odiarti.”
Perché il cuore aveva preso ad andare così veloce? Mi resi conto che – forse –
quella era la cosa più bella che mi avessero mai detto. Fino al suo arrivo,
pensai, non avrei mai potuto sentire qualcosa di simile. Mi sorpresi solo per
quel pensiero.
Le sorrisi, continuando a guardarla. Poi levai una mano dal muretto, la destra
per la precisione, e cominciai a carezzarla. Partii dai capelli biondi,
carezzando piano quei fili dorati e le trecce, e i capelli lungo la schiena.
Astrid chiuse piano gli occhi, e io seguii con lo sguardo i miei movimenti
della mano.
Procedevo lentamente, godendomi quella sensazione meravigliosa. Passai al viso
e carezzai col dorso della mano la sua pelle liscia e vellutata, priva della
pur minima imperfezione, toccandole la fronte, le guance, gli occhi chiusi e
perfino le labbra, bellissime e socchiuse. E neanche a dirlo, invitanti.
Poi arrestai il mio studio al mento, rimanendo
con la mano ferma proprio lì.
La guardai, e lei aprì gli occhi.
“E io penso che tu sia assolutamente perfetta.” le
sussurrai, “E che tu sia un angelo. E sei capitata proprio a me..”
Astrid sorrise dolcemente. Rimasi con la mano destra lì, poggiata sul suo
mento, a guardarla ancora negli occhi. Carezzai la pelle con il pollice,
lentamente.
Vidi Astrid rabbrividire, e poi chiudere di nuovo gli
occhi. Una delle sue mani raggiunse la mia mano sinistra, ancora poggiata sul
muretto. Con lentezza snervante la prese, e le nostre mani si sfiorarono per
degli attimi; e poi le sue dita s'intrecciarono con le mie.
Il cuore sembrò schizzarmi fuori dal petto.
Chiusi gli occhi a mia volta e mi avvicinai ancora di
più a lei.
Capii di essere ad un palmo dal suo viso e mi
avvicinai a questo partendo dal mento.
“Astrid..” le sussurrai a fior di labbra, senza alcun freno, né controllo.
Appoggiai le mie labbra alle sue, baciandola piano.
Rimasi in attesa, poiché mi aspettavo che sarebbe arrivato uno schiaffo o
qualcosa del genere; ma non accadde nulla. Allora continuai ad assaporare piano
le sue labbra, e lei poco a poco prese a rispondere al mio bacio, inclinando la
testa di lato e incastrando perfettamente le sue labbra alle mie.
La stretta delle nostre mani aumentò sempre di più e
il cuore mi schizzò in gola, per poi tamburellare sul petto. Ero esattamente
dove avevo voluto, dove avevo sognato: ma la mente era svuotato da ogni tipo di
pensiero. Sentivo solo le labbra di Astrid con le mie – esattamente come le
avevo immaginate – ed il suo respiro. Ci staccammo per un attimo, ma io ripresi
subito a baciarla, mettendo entrambe le mie braccia attorno alla sua vita per
attirarla di più a me.
Quella notte capii di essere innamorato, per la prima volta in vita mia.
Ero innamorato di Astrid Halls, e forse anche lei mi..
amava.
Ma non era quello il momento per pensarci.
Mi persi e sprofondai nei suoi abissi, nelle sue labbra, nelle sue mani, nei
suoi capelli, e dispersi un po' di me sulla sua pelle.
« Oh, Gabriel, let me blow your horn, let me blow your
horn. Oh, I never did, did no harm.
I've only been this young
once. I never thought I'd do anybody no wrong. No, not once. »
Led
Zeppelin, In myTime of Dying
L'indomani mattina mi svegliai a causa del sole che mi
colpì in faccia. Mi lamentai mugugnando qualcosa, stiracchiando le braccia.
Poi aprii gli occhi e fissai il soffitto, cercando di capire perché fossi così
felice, senza un motivo - apparentemente, almeno.
Il mio pensiero si spostò alla
notte precedente, e pensai subito ad Astrid; alle sue
labbra, ai suoi occhi e al suo sorriso. Mi ritrovai a sorridere come un ebete. Ma soprattutto, mi resi conto che lei – si, proprio lei –
era stata il mio primissimo pensiero, appena sveglio. La cosa mi sconvolse ma non ci badai: ero troppo felice per rovinare
tutto.
Mi alzai in piedi e mi tolsi la maglia dei Led
Zeppelin, quella che indossavo la sera precedente.
Mentre la sfilavo, notai che c'era – anche se vagamente – il profumo naturale di Astrid impregnato nel tessuto.
Sorrisi, poggiando la maglia sullo schienale della sedia con più cura. Aprii
l'armadio ed infilai una maglia a righe grigie e nere, e un paio di pantaloni
sformati neri. Misi ai piedi le solite scarpe da ginnastica consumate;
afferrai sigarette, blocco da disegno e lettore cd ed uscii dalla stanza, come
ogni mattino.
Non sapevo perché, ma tutto mi appariva diverso e
nuovo, come se avessi dormito per tanto tempo e mi fossi risvegliato solo in
quel momento. Attraversai il solito corridoio – per una volta tanto non lo
trovai lugubre – ed imboccai direttamente la strada per la mensa.
Arrivato lì, mi guardai attorno, ma non c'era nessuno che conoscevo.
Elei non c'era.
Forse stava ancora dormendo.
Pochi minuti dopo mi venne sbattuta davanti la solita
tazza di porridge. La guardai titubante, poi armato da una
massiccia dose di coraggio, presi il cucchiaino e lo mangiai. Scoprii –
con sorpresa – che non era così male come pensavo. Finii in pace la mia tazza
di porridge e posai il cucchiaino con un rumore tintinnante. Dopo di ciò mi
guardai nuovamente attorno: ancora niente. Ci stavo rimanendo malissimo.
Possibile che avessi un così disperato bisogno di Astrid, anche se erano passate non poi così tante ore?
Improvvisamente mi sentii senza forze, ma soprattutto
senza alcuna difesa.
Mi sentivo come se quella persona che ero stato per tutto quel tempo fosse scappata via quella
notte, mentre dormivo, e a questa fosse stata sostituita una persona più
fragile, più trasparente. Senza nessuna maschera e senza nessuna
vergogna.
O meglio, la vergogna
l'avevo. Io, innamorato?
Ma pensandoci bene non ero vergognato.. ma felice. Soltanto questo..
All'improvviso mi risvegliai dai miei pensieri, poiché vidi Astrid,
proprio Astrid, entrare nella sala. Sentii qualcosa
che s'ingarbugliava dentro lo stomaco e d'istinto le immagini della sera
precedente mi si materializzarono davanti agli occhi: i suoi capelli fra le mie
dita, le nostre mani che si stringevano e le nostre labbra che s'incontravano
in un bacio quasi interminabile..
Scossi la testa. Ridicolo! Sembravo una
patetica adolescente alle prese con la sua prima cotta! Ci mancava solo che mi
mettessi a scrivere il suo nome e ad ornarlo di cuoricini tutt'attorno sul mio
blocco da disegno.
Astrid non si sedette al
suo solito tavolo, ma andò da un paio di bambini e dissi loro qualcosa,
abbassandosi alla loro altezza. Portava addosso una maglia viola scuro con un piccolo fiocco
davanti, i jeans e la sua borsa di tela verde. Neanche a dirlo, era bellissima.
Ancora più bella del solito.
I bambini, poco dopo, si dileguarono facendo chiasso e ridendo. Astrid rimase sola, e per un attimo il suo sguardo incrociò
il mio, dato che la stavo fissando. Due secondi dopo –
senza neanche fare la minima espressione o salutandomi – Astrid
girò sui tacchi e uscì dalla mensa, con lo sguardo basso.
Rimasi a fissare quella porta per dei minuti, assente.
Ero ammutolito.
Era impossibile che Astrid
non mi avesse visto o non m'avesse riconosciuto. Forse avevo sbagliato qualcosa?
Forse non aveva gradito quei baci e non voleva più vedermi? No, impossibile.
Sicuramente non mi aveva visto. Poteva capitare.
Lo stretta allo stomaco si fece più acuta e dolorosa.
Mi alzai in piedi di scatto, volendo seguirla, e nel farlo la mia testa incontrò
qualcosa di duro.
“Ahia!” esclamai, chiudendo gli occhi e portando la mano sulla
fronte dolorante, pronto per aggredire l'idiota che si era scontrato con
me con una valanga d'insulti. “Porca..”
Aprii piano gli occhi e mi resi conto che la persona in
questione gli insulti se li meritava tutti. Era Lucas!
“Reeve, che cazzo fai!” anche Lucas aveva una mano alla fronte, lamentando un
dolore proprio lì.
“Che cazzo fai tu, Smith,
stai sempre in mezzo!”
Lucas fece un lamento, e lentamente si sedette di fronte a me.
“Ehi, Reeve, vedo che stai meglio.”
“Ma cosa dici? Mi hai appena
colpito in fronte!” esclamai ancora.
“Eddai, Reeve. E' solo una botta, suvvia.”
Mi sedetti di nuovo al mio posto e levai la mano dalla
fronte, sperando che non l'avessi arrossata o con un bernoccolo. Astrid poteva aspettare.
“Ma io sto
benissimo, comunque sia.” dissi.
“Mi riferivo a ieri sera.
Cos'è, già hai dimenticato?” chiese, alzando un
sopracciglio con aria sospettosa. Mi si accese una lampadina; non ero così fesso da tradirmi da solo.
“Ah, sì. Stamattina mi sento molto meglio, infatti.”
dissi.
Lucas annuì. “Ieri sera quando sono tornato pensato di passare a trovarti per
vedere come stavi, ma poi ho pensato che dormissi..”
Ancora quello stretta allo stomaco, accidenti! Meno male che c'aveva
ripensato..
“Beh, sì, infatti ho dormito
tantissimo. E a quanto pare ha funzionato.” dissi distrattamente, deciso a cambiare discorso. Lucas rimase qualche attimo in silenzio.
“Mi sembri diverso stamattina. E' successo qualcosa?” chiese poi all'improvviso.
Io sobbalzai e lentamente mi voltai per fissarlo negli occhi. “Io, diverso?”
Lucas annuì. “Sì, proprio tu. Non so da cosa dipenda,
ma è una sensazione..”
“Non ho nulla.” mentii fermamente, guardandolo senza
battere ciglio.
Fece spallucce di tutta risposta. “Mi sarò sbagliato.”
“Evidentemente..”
Abbassai di nuovo lo sguardo, mordendomi la lingua. Una cosa era certa: non ero
ancora pronto - in un certo senso – a dire a Lucas quello che era
successo la notte scorsa, e soprattutto ad informarlo sui miei sentimenti.
Mi avrebbe preso in giro; ma la cosa che mi frenava
più di tutte era che neanche io ero sicuro di quel che provavo, né di quel che
realmente provava lei. Insomma, era quasi una forma di
scaramanzia. Non volevo parlare prima di sapere come stavano le cose realmente.
Presi il blocco da disegno e lo aprii, decidendo di
chiarirmi le idee disegnando qualcosa, anche se non sapevo cosa. Ero confuso, e
forse un po' scoraggiato. Ma, cosa peggiore, non
sapevo più riconoscermi in quel momento.
Che fine aveva fatto quella
persona fredda e spietata?
Dovevo assolutamente tornare normale.
“Ho capito, ti lascio solo con i tuoi disegnini.”disse
Lucas, alzandosi dalla sedia, poiché aveva visto che stavo per disegnare
qualcosa sul mio fantomatico blocco da disegno.
Lo seguii con lo sguardo. “Se vuoi..”
“So che non ti piace essere osservato mentre operi.”
Feci spallucce e riabbassai lo sguardo sul blocco. “Come ti pare.” dissi.
Perché era così facile con Lucas, ma non lo era per niente
quando pensavo o stavo con Astrid? Forse
perché ero davvero innamorato di lei?
Ma cosa significava essere
innamorati, poi? Non lo ero mai stato!
Mi portai le mani alla testa, afferrandomi i capelli
come se volessi strapparli via. Mi sentivo impazzire..
e tutto per una ragazza. Una ragazza! Una delle tante, uno
dei tanti pesci nel mare. Non mi ero mai fatto
scrupoli né film mentali come quella volta. Ma in
fondo, anche se me stesso cercava di ignorarlo o rifiutarlo, sapevo che Astrid non era una ragazza, ma la ragazza. Non era
una qualsiasi, e non era uguale a nessuna ragazza che avevo mai incontrato
prima d'allora; forse era comprensibile – in minima parte – che ne fossi
rimasto così folgorato, ammaliato, o.. o qualsiasi altro sinonimo. Mentre la mia mente navigava, Lucas era già andato
via. Fissai il foglio bianco, la mente svuotata, nessuna ispirazione.
Ma cosa dovevo fare?
Era un vero e proprio tormento.
AstridHalls era il mio tormento.
***
Non vidi più Astrid in giro per una settimana. Pensai
con orrore che qualcuno l'avesse presa a portata via, o qualcosa simile.
O, peggio ancora, che mi stesse evitando.
Possibile? Non era da Astrid.
O forse stava solo male e
non voleva contagiarmi. Sì, era sicuramente così.
No, Astrid si era resa conto del grosso sbaglio che
aveva fatto baciandomi e ora mi stava evitando di proposito.
Questa situazione mi fece diventare irritabile, o almeno più del solito.
Rispondevo malissimo a Lucas anche se lui non faceva
niente, e smisi praticamente di mangiare. Per non parlare del disegno: non
sapevo più cosa disegnare, dato che avevo praticamente
fatto tutto; la ricerca del ritratto perfetto si allontanava inesorabilmente.
Trovavo pace soltanto ascoltando i miei adorati Led
Zeppelin, e divorando i Dylan Dog di Lucas. ..Per una ragazza!
Esattamente una settimana dopo quel famigerato sabato sera, dopo pranzo vidi Astrid che sfrecciava nel corridoio, probabilmente diretta
dai mocciosi. Lei non mi vide, e decisi che questa volta non mi sarebbe
scappata via. Mi voltai verso Lucas, che era con me; stavamo andando al solito
cortile a fumarci la solita sigaretta dopo aver
mangiato. O meglio, dopo che lui aveva mangiato.
Mi fermai di colpo in mezzo al corridoio, e Lucas fece lo stesso, voltandosi a
guardarmi.
“Ehi, Reeve, che ti prende?”
Lo fissai.
“Ehm, io, ecco..” il mio cervello sfrecciò a velocità supersonica, “..devo
andare in bagno.”
La mia capacità per le scuse era davvero scarsa.
“Oh, okay. Ti aspetto qui?” disse
lui.
Scossi la testa. “No no, vai
pure avanti: ti raggiungo.”
Lucas spallucciò e senza
voltarsi indietro uscì verso il cortile, attraversando un portone con delle
grosse zanzariere.
Io, rimasto solo, girai sui
tacchi e sparii oltre una porta a sinistra, proprio dove Astrid
era sparita cinque minuti prima. Attraversai vari corridoi e porte e alla fine
arrivai proprio di fronte la stanza ampia e circolare, dove Astrid
stava con i bambini. Mi avvicinai di qualche passo facendo per entrare, ma
all'improvviso vidi proprio lei uscire dalla porta.
Rimasi impalato, ma automaticamente alzai una mano in
segno di saluto. Era così bello rivederla dopo tutto quel tempo. Per tutta risposta, Astrid rientrò
frettolosamente nella sala, come se avesse visto Satana in persona.
Spiazzato, rimasi sempre lì impalato a fissare quella maledettissima porta, non
capendo, e più deluso che mai.
Adesso ne avevo la conferma:
per qualche motivo oscuro, Astrid mi stava evitando.
Decisi che era troppo. Mi stavo già umiliando parecchio, poiché io non seguivo
le ragazze in quel modo – semmai accadeva il contrario – e adesso dovevo
pure dovuto sopportare tutto quello? Essere rifiutato e simili?
Assolutamente no!
Poco dopo mi accorsi di stringere i pugni, quasi
tremando. Maledizione..
Come una furia feci dietro-front. Percorsi la strada e
ritroso e infine uscii all'aperto, in cortile: mi avvicinai a Lucas che
stava già fumando la sua sigaretta, seduto sul muretto.
“Allora,” esordii, poggiando una mano sulla spalla di Lucas, “stasera ho
proprio voglia di uscire. Dove andiamo?”
Lucas balzò appena in aria e dopo di ciò mi guardò sorridendo.
“Allora non ti sei infrocito!”
esclamò.
Io risi e mi sedetti sul muretto accanto a lui.
“Proprio no.”
Lui annuì mentre inspirava ed espirava dalla sua
sigaretta. “Possiamo andare al solito locale. Se
uniamo i nostri soldi, una birra ci viene.”
Annuii di rimando, mentre anche io prendevo una sigaretta dal pacchetto in
tasca e l'accendevo. “Volentieri.” dissi soltanto.
Lucas sembrava più allegro a quella notizia, e in effetti lo ero anch'io.
Anche se era un pensiero
piuttosto infantile, volevo prendermi una piccola rivincita.
Così imparava quella stupida ad evitarmi.
Va al diavolo, Astrid!
grazie per le recensioni e i preferiti (: appena avrò un po' più di tempo risponderò a tutti! grazie! baci.
Rientrai all'orfanotrofio mezz'ora dopo il coprifuoco.
Non era stato difficile non farsi scoprire: era
bastato solo scavalcare la recensione in ferro. In punta di piedi attraversai
il cortile vuoto.
Era buio e quegli alberi aveva un'aria piuttosto sinistra, e mi resi conto che
c'era una certa differenza a camminare in quel posto di notte, quando di giorno
era luminoso e tranquillo.
Lucas era uscito con me, ma in quell'istante stava fuori con una tipa che aveva
adocchiato. Molto furbamente se l'era portata dietro per salutarla, e
quella aveva scoperto dell'orfanotrofio. Mossa sbagliata! Contando il fatto che
per tutto il tragitto avevo dovuto sorbirmi tutti i rumori del loro sbaciucchiamento.
Lucas me l'avrebbe pagata.
Entrai nell'edificio attraverso il grande portone di zanzariere e arrivai in
corridoio.
Mi portai una mano sulla guancia e la strofinai
energicamente con la mano un bel po' di volte, facendomi quasi male; quella
brunetta – di cui mi sfuggiva il nome.. vabè – mi aveva lasciato un mucchio di
tracce di rossetto sul viso. Ci mancava solo che mi trovassero con del rossetto
addosso, sveglio a quell'oraa
gironzolare per i corridoi!
Quando pensai di aver tolto tutto il rossetto dalla
mia faccia, ripresi a camminare, diretto ai dormitori maschili. Il silenzio per
i corridoi era totale e i miei passi risuonavano nell'oscurità.
Passai rapidamente per la sala comune, sentendomi
praticamente al sicuro perché ormai ero quasi arrivato, quando sentii dei
rumori.
Allora mi frenai di scatto in mezzo al corridoio, e
trattenendo il fiato tesi l'orecchio al massimo per sentire meglio. Sembravano
dei singulti, dei singhiozzi soffocati.
Sospirai, pensando che qualche bambino o bambina fosse
rimasto proprio nella sala comune a piangere per qualche motivo. Il mio buon
senso prese il sopravvento e decisi di entrare per portare il mocciosetto nei
dormitori dei più piccoli a dormire: non era sicuro che rimanesse lì, di notte,
da solo.
Entrai allora nella sala comune. Era tutto immerso
nella semioscurità, ad eccezione di alcuni raggi lunari che provenivano dalle
finestre e che creavano disegni e strisce di luce sul pavimento. I singhiozzi
continuavano; mi facevi spazio tra i tavoli colorati ed infine notai una figura
accucciata all'angolo, con la schiena contro il muro, accanto ad una finestra.
Il viso della figura era nascosto dalle ginocchia, ed
entrambe le sue braccia abbracciavano proprio queste, mentre dei lunghi capelli
chiari si posavano sulla sua schiena, arrivando quasi a sfiorare il pavimento.
Una striscia di luce la illuminava per metà, e quando fui più vicino il mio
cuore cominciò a battere fortissimo.
La figura non si era accorta di me e continuava a
scuotesi ad intervalli regolari per via dei singhiozzi. Mi accucciai vicino ad
essa.
“Halls, che diavolo ci fai qui?” sussurrai, con un tono non troppo dolce.
Astrid sobbalzò vistosamente in aria, ma non si mosse dalla sua posizione. I
singhiozzi smisero un attimo, e vidi la sua testa alzarsi di pochissimo. Il suo
occhio caldo e scurissimo mi fissò per un attimo.
“Oh, Gabriel..” sussurrò con voce strozzata, e in una
frazione di secondo si mosse e mi abbracciò.
Vidi soltanto una massa di capelli biondi travolgermi
e le sue braccia stringermi forte per le spalle. Rimasi immobile, ad occhi
sbarrati a fissare il muro, indeciso tra il non darle nessuna soddisfazione
dopo che m'aveva esplicitamente evitato, o a darle il mio conforto. Alla fine,
dopo non molto, vinse la seconda opzione.
La strinsi forte, mettendole entrambe le braccia
attorno alla vita, e avvicinandola sempre di più a me, tanto che i nostri corpi
si appoggiarono uno sull'altro. Il cuore mi andò a tredicimila e chiusi gli
occhi, affondando il viso fra i suoi capelli ed ispirando il loro profumo;
improvvisamente mi sentii meglio.
Astrid riprese a singhiozzare sulla mia spalla.
Evidentemente piangeva: mi resi conto di quanto potesse essere delicata e
fragile, e di quanto fosse incantevole tenerla stretta al sicuro fra le mie
braccia. Sembrava una bambina, in quel momento, e mi sentivo in pena per lei.
Con una mano presi a carezzarle i capelli, mentre i singhiozzi erano più
frequenti. Che cos'era successo? Cos'era potuto accaderle per ridurla così in
lacrime?
“Astrid,” le sussurrai vicino l'orecchio, “Calmati..”
Feci per sciogliere l'abbraccio, ma di tutta risposta lei si strinse ancora di
più a me, scuotendo la testa velocemente.
Allora continuai ad abbracciarla e a carezzarle i
capelli; di certo non potevo lamentarmene. Passarono venti minuti abbondanti
così, poi i singhiozzi s'arrestarono.
“Astrid, stai bene?” le chiesi, sempre sussurrando.
Non ci fu nessuna risposta. Allora, molto lentamente,
levai le braccia dalla sua vita e le passai entrambe ai lati delle sue spalle,
e la scostai da me. Lei mi lasciò fare e rimasi un attimo così, con le mani
sulle sue spalle, cercando di guardarla: ma aveva lo sguardo bassissimo e si
fece ricadere di proposito i capelli davanti al viso, per nasconderlo.
“Mi faresti il favore di guardarmi?” le chiesi.
Astrid rimase qualche attimo immobile come se stesse
valutando la proposta; poi alzò lentamente il viso verso di me, scoprendosi del
tutto.
Mi lasciai scappare un'imprecazione.
Astrid aveva il labbro spaccato, dal quale il sangue
luccicava in maniera sinistra alla luce della luna; aveva un occhio nero e un
piccolo taglietto sanguinante sullo zigomo sinistro.
“Porca troia, Astrid, che cazzo ti è successo?” alzai la voce, guardandola ad
occhi sbarrati, e scuotendola appena dalle spalle.
Gli occhi di Astrid si riempirono lentamente di lacrime.
“Parla!” la incitai. Ero morto di paura.
Astrid si portò una mano vicino al collo.
Abbassai lo sguardo e notai che non c'era nulla: il
suo crocifisso d'argento era sparito.
“La mia croce..” sussurrò impercettibilmente, mentre una lacrime le sfuggiva
dagli occhi, cadendo sul mento, seguita da altre, “Me l'hanno rubata..”
Mi alzai in piedi di scatto, mentre lei riprendeva a piangere.
Il mio cervello lavorava in maniera velocissima ed il
cuore continuava a battere forte, ancora.
“Non mi lasciare..” sussurrò Astrid, alzandosi in piedi a stento. Tremava
ancora.
“No che non ti lascio,” le dissi, e le passai un
braccio attorno alla vita per reggerla, “Anzi, vieni con me.”
Astrid annuì, chiudendo gli occhi. Notai che lo zigomo aveva ripreso a
sanguinarle pericolosamente. Con lei abbracciata era più difficile camminare,
ma era leggera; e dopo aver preso la mano la condussi facilmente verso la mia
stanza.
Aprii la porta e me la richiusi alle spalle con un piede.
Lentamente la portai verso il letto e la feci sedere
là, lasciandola. Lei mi guardò fisso.
“Aspetta qui, eh? Dobbiamo disinfettare quei tagli. Farà male.. brucerà un
po'.” dissi.
Lei annuì, abbassando di nuovo lo sguardo. Mi
allontanai verso il bagno e frugai dappertutto, accorgendomi che le mani
tremavano anche a me.
Chi era stato lo stronzo – o la stronza,
nell'eventualità – a ridurla così?
Se solo.. se solo era accaduto qualcos'altro, se solo
l'avevano toccata in maniera diversa..
Qualcosa mi sfuggì dalle mani e cadde sul pavimento, riducendosi in mille pezzi
e facendo un fracasso infernale.
“Gabriel?” sentii Astrid sussurrare.
“Tutto bene!” mentii, guardando il disastro sul pavimento; ma a quello avrei
pensato dopo. Afferrai del disinfettante e alcuni batuffoli di cotone, e
scavalcando alcuni pezzettini di vetro che stavano sul pavimento, ritornai da
lei.
Mi aspettava seduta sul letto, con quell'espressione
impaurita con la quale l'avevo trovata lì in sala comune a piangere da sola; la
guardai e notai che la sua bellezza mozzafiato era sempre lì, anche sotto quei
tagli e quel sangue.
Mi avvicinai al letto; era attaccato al muro, così
Astrid si appoggiò la schiena su di esso e io mi misi a cavalcioni su di lei.
Eravamo pericolosamente – e fin troppo deliziosamente – vicini, ma ero troppo
preoccupato e nervoso per imbarazzarmi o pensare a qualcos'altro.
Astrid chiuse lentamente gli occhi mentre io aprivo la
bottiglietta di disinfettante, ne mettevo un poco sul batuffolo e lo passavo
delicatamente sullo zigomo, quello ridotto peggio.
Astrid si fece sfuggire un gemito di dolore.
Le sue mani strinsero il copriletto: evidentemente
aveva bisogno di qualcosa da torturare per distrarsi e per evitare di urlare
per il fastidio al viso.
“Fa male?” chiesi, giusto per dire qualcosa,
preoccupato persino di quel silenzio.
“Un pochino.” disse con una velatura di sarcasmo, stringendo gli occhi.
“Mi dispiace,” osservai, “ma devo.”
Passai alle labbra, guardandole attentamente, avendo voglia di baciarle; ma per
ovvi motivi, non potevo.
Dopo una decina di minuti terminai l'operazione.
Buttai via il batuffolo e mi alzai dal letto, posando
la bottiglietta di disinfettante sul comodino.
“Per l'occhio non ho niente.” dissi, guardandola attentamente. “Dovresti farti
dare qualche pomata o qualcosa del genere domani.”
Lei annuì e riaprì gli occhi. “Gabriel.. grazie.” mi guardava fisso.
Feci spallucce. “Di nulla.”
Il silenzio tornò sovrano.
“Allora,” dissi poco dopo, “Chi è stato? Cos'è
successo?” incalzai. Forse non avrei dovuto chiederle niente: ma era importante
sapere cosa le era successo.
Astrid abbassò per l'ennesima volta lo sguardo, così
mi avvicinai di nuovo a lei sedendomi sul mio letto, al suo fianco.
“Non devi avere paura di me, Astrid,” continuai, “non sono mica scemo. Non dirò
niente a nessuno.”
Sospirò e si voltò per guardarmi meglio.
“Erano tre. Due ragazzi e una ragazza. Non avevo fatto
nulla: stavo ritornando in camera mia dopo cena. Mi hanno picchiata, mi hanno
rubato la croce.”
La ascoltai, sentendomi male. “Ti hanno.. ti hanno fatto qualcos'altro?”
Astrid mi guardò attentamente, poi capì. “No.” disse poi.
Sospirai di sollievo. “Beh, tra i due mali questo è quello minore.”
Astrid non disse più nulla. Io ero pensieroso.
“E dimmi, sai chi erano?” chiesi ancora.
“Non li avevo mai visti prima d'ora. Un ragazzo, mi pareva che avesse un
tatuaggio sulla mano. E l'altro ragazzo era robusto.”
“E la ragazza?”
“Beh..”
Astrid mi guardò con occhi grandi.
“Penso che tu la conosca. Era quella ragazza che
dicevi che ce l'aveva con te, quella che una volta che parlavamo si è fermata a
guardarci..”
Amanda!
Quella brutta stronza.
E conoscevo anche quegli altri due pezzi di merda.
Eccome, se li conoscevo.
Rimasi un attimo in silenzio a riflettere. “Ho capito.”
Mi alzai dal letto e mi avvicinai al comodino.
Aprii un cassetto, frugai dentro e ne uscii un
coltello a serramanico, che tenevo in camera per pura precauzione, nulla di
che.
“Gabriel? Cosa stai..” chiese Astrid, evidentemente
preoccupata, fissandomi.
Feci scattare il manico di legno e la lama venne
fuori. La feci scattare di nuovo chiudendola ed per finire infilai il coltello
nella tasca posteriore dei jeans.
“Non ti preoccupare,” le dissi sorridendole, “Non ho
intenzione di uccidere nessuno.”
Almeno credevo.
“Astrid, chiuditi dentro a chiave.” le dissi, allontanandomi da lei ed
avvicinandomi alla porta. “Io torno subito.”
Astrid balzò giù dal letto e mi raggiunse, venendomi di fronte.
“Gabriel, che diavolo vuoi fare, non metterti nei guai..” mi sussurrò
animatamente, guardandomi come se volesse implorarmi.
“Astrid..” dissi con decisione, prendendole delicatamente il viso con entrambe
le mani e guardandola dritto negli occhi. “Tu non ti devi preoccupare di nulla.
Ritorno fra dieci minuti al massimo. D'accordo?”
Astrid mi guardò negli occhi per qualche attimo con aria indecisa, poi annuì.
La guardai sorridendole e, come se fosse la cosa più normale del mondo, chiusi
gli occhi e sfiorai le mie labbra sulle sue, quasi impercettibilmente poiché le
aveva spaccate e non volevo farle del male.
Feci per lasciarla andare, ma lei mi trattenne
prendendomi i polsi con entrambe le mani e mi baciò di nuovo, con più
decisione. Sussultò perché evidentemente si era fatta male, e poi mi lasciò
andare.
La guardai per degli attimi confuso, per quel bel ma inaspettato gesto. Le
sorrisi con aria idiota e uscii dalla camera, trovandomi in corridoio. Rimasi
un attimo immobile al buio: quel gesto era bastato per stordirmi e farmi
passare tutta la rabbia che avevo in corpo. Poi però ripensai alle ferite di
Astrid, all'averla trovata sola e in lacrime, e la rabbia mi travolse come
delle ondate. Ero piuttosto sadico, sì, quindi sentimenti come la vendetta non
erano nuovi per me.
Avanzai di qualche passo e mi fermai proprio davanti ad una porta un tantino
graffiata, tanto che quasi tutta la vernice era andata via. Sospirai
profondamente e senza pensarci ulteriormente entrai: la porta era,
fortunatamente, aperta.
Ma se fosse stata chiusa probabilmente l'avrei
sfondata.
La stanza era più piccola rispetto alla mia e c'erano
un armadio, una scrivania, e due piccoli letti singoli ad entrambi i lati della
camera. Proprio in questi c'erano due ragazzi: Seth, il ragazzo col tatuaggio
di un teschio sul dorso della mano e l'amico babbeo più robusto di cui non
sapevo neanche il nome.
Quando li vidi lì addormentati beatamente la rabbia
salì ancora di più. Così mi avvicinai al letto di Seth, e, senza preoccuparmi
minimamente di fare rumore, gli urlai in faccia.
“Seth Ryan, pezzo di merda, svegliati!”
Quello aprì gli occhi di scatto e mi guardò con aria spaventata.
“Gabriel Reeve..” mormorò, la voce impastata dal sonno, “che diavolo vuoi? Esci
subito da qui, per la miseria!”
“Cosa diavolo voglio?!” continuai ad urlare, praticamente ignorandolo,
stringendo le mani a pugno per la rabbia.
“Alzati, Ryan, dai!” lo incitai.
Seth si alzò e mi guardò come se fossi un alieno.
Mi avvicinai ad un palmo dal suo viso e gli sussurrai
minacciosamente.
“Così ti diverti a picchiare le ragazzine, eh?” incalzai.
Seth fece un ghigno. “Ti hanno già informato, eh, Reeve? Sei sempre così
informato.”
“Non fare il coglione con me, Ryan, sai che posso ridurti in pezzettini.”
Non rispose, ma sostenne il mio sguardo.
“Sei una vera merda. Consiglio a te, a quel leccaculo e alla troia lì di
smetterla.” continuai.
“Altrimenti che cosa..”
Non gli feci finire la frase. Con un unico gesto presi il serramanico dalla
tasca, lo feci scattare e glielo avvicinai alla gola. “..altrimenti ti taglio
la gola mentre dormi. Chiaro?”
Seth deglutì e guardò la lama pericolosamente vicina al suo collo.
“Cristallino.” disse poi tornando a guardarmi.
Allontanai il coltello dalla sua gola, lo chiusi e lo rinfilai in tasca. Il mio
sguardo cadde sul comodino di Seth: su di esso il crocifisso di Astrid
splendeva alla luce della luna.
Lo presi e me lo infilai in tasca, insieme al
coltello.
“Bene.” gli sorrisi amabilmente. “Sogni d'oro.”
Lo allontanai da me con uno strattone e Seth barcollò all'indietro come se
fosse ubriaco.
Mi avvicinai alla porta e notai che anche l'amico
babbeo mi fissava. Così, feci con le dita il gesto di sparargli e me ne andai
fischiettando, chiudendomi la porta alle spalle.
« I know what it means to be alone, I sure do wish I was at home.
I don’t care what the neighbors say, I’m gonna love you each and every day.
You can feel the beat within my heart. Realize, sweet babe, we ain’t ever gonna part. »
Led Zeppelin, Good
times, Bad times
Ero rimasto la maggior parte della notte a fissare Astrid mentre
dormiva.
Quando ero tornato nella mia stanza
l'avevo trovata addormentata sul mio letto, e sarebbe stato davvero un peccato
svegliarla.
Così ero rimasto seduto sul pavimento, vicino al
letto, godendomi il suo bellissimo viso per delle ore. Un viso sfigurato dalle
percosse, era vero, ma per me ugualmente bellissimo.
Venne l'alba.
Mi avvicinai di più sedendomi sul bordo del letto.
Volevo essere la prima cosa che avesse visto aprendo
gli occhi, quando si sarebbe svegliata.
Verso le otto Astrid cominciò a muoversi nel sonno, e
poi aprì gli occhi, e fui davvero la prima cosa che vide, poiché ero ancora
seduto sul bordo del mio letto.
“Hmm..” mormorò,
stiracchiandosi le braccia con grazia, e non come facevo io, “Gabriel..”
Le sorridi dolcemente. “Buongiorno, Astrid.”
Avvicinai un pugno chiuso ad un paio di centimetri dal suo viso, e con un gesto
feci oscillare da esso la catenina col suo crocifisso
d'argento, proprio sopra il suo naso.
Gli occhi di Astrid s'illuminarono. “La mia croce!” esclamò.
Allungò una mano verso il pugno chiuso e fu così che
le nostre mani s'incontrarono e s'intrecciarono, con la collana di Astrid in mezzo. Avvicinai le
nostre mani alle mie labbra e baciai la sua mano un paio di volte, poi
continuammo a stringerci a vicenda come se lo facessimo tutti i giorni, con
estrema tranquillità.
“Come hai fatto a riprenderla? Pensavo di averla persa per sempre..” disse
poi lei, guardandomi.
Sorrisi. “So essere molto convincente.”
Se avesse saputo la verità,
probabilmente sarebbe stata capace di andare a chiedere scusa a Seth.
Lei mi sorrise di rimando. “Grazie davvero, per tutto
quello che hai fatto per me. Sai, quella croce era di mia madre.”
“Tua madre?”
“Sì, ecco perché ci tengo particolarmente.”
Annuii, e calò il silenzio per un attimo.
Poi lei disse, all'improvviso: “I miei genitori sono morti quando avevo sette anni, e da allora nessuno mi ha più
voluto con sé.”
La guardai preoccupato. “Ecco perché sei qui.”
“Sì.” sorrise. “Adesso lo sai. Siamo pari, no?”
“Beh..” feci spallucce, “Non
dovevi dirmelo per forza, solo perché ti ho raccontato di me..”
“Quello non c'entra.” Scosse la testa. “E' una cosa in più. Volevo dirtelo e
basta.”
“Oh.” le sorrisi a trentadue denti. “Beh, Astrid,
dato che siamo in vena di confessioni..”
“Dimmi.”
“Sai realmente perché tutti qui dentro mi conosco, perché tutti parlano di me?”
“Veramente no, anche se me lo sono chiesta. Credo che non dipenda dal fatto che
tu sia un Dongiovanni, giusto” rispose.
Le sorrisi, abbassando lo sguardo sulle nostre mani intrecciate.
“Qualche tempo dopo che arrivai qui
in orfanotrofio, tre ragazzi mi picchiarono. Tutti insieme.
Mi fecero a pezzettini solo perché mi ero rifiutato di farli passare prima in mensa quando c'era la pizza.” Quasi mi
venne da ridere. Sembrava una cosa molto divertente.
“Erano più grandi di me di qualche mese, e non fui in grado di difendermi; ma
mi legai la cosa stretta al dito. Dopo un paio di mese, quando ero già più esperto
ed allenato, li affrontai e ricambiai loro il favore,
picchiandoli per bene.”
“Cambiai i connotati ad un ragazzo in particolare, che
non aveva saputo difendersi bene, spaventato e preso alla sprovvista. Gli
spaccai il setto nasale, andò via da qui, finì in ospedale e cambiò
orfanotrofio per paura di rivedermi. Non ebbe neanche il
coraggio di denunciarmi, così non passai alcun guaio. Da allora diventai
una specie di leggenda, tutti conobbero il mio nome, tutti mi rispettarono – e
lo fanno tuttora, sempre. Sai chi erano
gli altri due ragazzi?”
Rialzai lo sguardo su Astrid
e lei fece segno di no con la testa.
“Quei due stronzi che ti hanno picchiata la notte
scorsa.” Astrid rimase spiazzata. “No!”
Annuii. “Invece sì. Per questo mi hanno ridato la
collana e ti lasceranno stare: sanno che posso ridurli come il loro ex socio.
Evidentemente non si sono tolti il vizio, gli scemi.”
Sospirò profondamente. Era triste.
“Ehi, Astrid. Adesso è tutto finito. Sei al sicuro,
sappilo.” dissi.
Lei annuì e sorrise in modo più o
meno convincente.
Le lasciai la mano e mi alzai dal letto,
stiracchiandomi. Non avevo praticamente dormito, ma
non avevo sonno.
“Hai fame?” le chiesi. “Se ti va possiamo andare a far
colazione.”
Non avevo ancora dimenticato che Astrid m'aveva
ignorato ed evitato palesemente: e quindi finché potevo era meglio stare con
lei, capirci qualcosa, e farle capire di conseguenza che provavo realmente
qualcosa per lei, e quel bacio quella sera non l'avevo
dato per scherzo, o per sbaglio. Ma soprattutto volevo
farle capire che di me poteva fidarsi.
Lei si alzò dal letto e mi venne incontro, con la catenina in mano.
“Ma certo,” disse sorridendo, “prima però potresti aiutarmi a mettermi
la collana?”
S'avvicinò, me la mise in mano e mi si piazzò di fronte, dandomi le spalle.
“Okay.” risposi.
Con la mano libera le scostai i capelli biondi. Le
misi la catenina attorno al collo e presi a trafficare con la chiusura, finché
riuscii ad agganciarla.
“Ecco fatto. Queste cose mi sanno tanto di torture medievali..”
dissi poi.
Lei rise ed io, in un secondo, mi avvicinai e le diedi un bacio sul collo.
A quel gesto scoppiò a ridere più forte e si voltò verso di me. “No dai, io soffro terribilmente il solletico!”
“Ah sì?” mi avvicinai ancora, prendendola per i fianchi, e avvicinandomi
tantissimo al suo collo con le labbra, sfiorandolo leggermente. La sua pelle
era come sempre bianchissima. Lei si dimenò come una pazza ridendo e cercò di
allontanarmi, così mi arresi e la lasciai andare.
“Dai, allora, andiamo.”dissi
dirigendomi verso la porta.
Lei annuì e la guardai. La croce al suo collo risplendeva più che mai, e
nonostante i graffi scarlatti e l'occhio di uno strano colorito sul giallo,
anche lei splendeva: più della collana, più dell'argento.
***
Io ed Astrid ci sedemmo
insieme al solito tavolo e cominciammo a chiacchierare allegramente di cose
banali come il tempo, i nomi del colori e cose del genere.
Era divertente stare con lei e mi sentivo a mio agio;
cosa che non mai provato con una ragazza, semplicemente perché non mi ero mai
trovato in una situazione del genere.
Era tutto nuovo e mi sembrava meraviglioso: ma non era
come pochi giorni prima, quando ero solo e mi sentivo
impaurito e confuso. Stare con Astrid rendeva tutta la situazione migliore e molto, molto più bella.
Anche se ancora non capivo
cos'eravamo noi due realmente.
“Quando hai cominciato a
disegnare?” mi chiese lei.
“Non ricordo esattamente. Ma era l'unico passatempo che avevo dato che i miei..genitori mi lasciavano sempre solo. Era come avere
un mondo tutto proprio, dove potevo rifugiarmi quando e come mi pareva.”
Annuì con aria comprensiva. “Ti capisco perfettamente,
perché è proprio così. Io ho iniziato da piccolissima, e poi la mia passione è
continuata nel tempo.”
“Sai,” dissi sorridendo, “E'
proprio bello avere qualcuno con cui parlare di queste cose.”
Anche lei mi sorrise. “Anche per me.”
Molti guardavano straniti Astrid per via delle ferite
al viso, ma parve non accorgersene minimamente. “Dovrei proprio andare in
infermeria e farmi dare qualcosa.”disse
poi, alludendo al suo occhio nero.
“Sì, sarà meglio.”
Ci alzammo contemporaneamente ed uscimmo dalla mensa,
per poi attraversare il corridoio. Mentre camminavamo
per il corridoio, incrociammo Seth ed Amanda. Li vidi
parlare in maniera evidentemente concitata, ma non appena io ed Astrid ci avvicinammo smisero,
fissandomi. Astrid li notò ed abbassò lo sguardo fino
ad coprirsi il viso con i capelli, io di conseguenza
mi avvicinai di più a lei per farle capire che ero lì, con lei, e la proteggevo
se fosse successo qualcosa. Però, proprio quando Amanda e Seth
ci passarono accanto, feci il gesto di tagliarmi la
gola con un dito, per fare capire che non avevo dimenticato e che, oramai, non
avrei più potuto farlo.
Non mi sfuggirono i loro sguardi sconcertati; soprattutto
quello di Seth, che diventò pallido e subito dopo
assunse un colorito sul verde chiaro. Andarono via, finalmente, ma li avevo avvisati.
Poco dopo, Astrid rialzò lo sguardo su di me. “Perchésghignazzi?”
“Niente, niente.”risposi.
grazie mille a tutti! (: ora passo a commentare.
ChasingTheSun: sì, è vero, non era male il particolare del fischettare eh? =P grazie **
wanda nessie: spero di aver aggiornato abbastanza presto. ti ringrazio moltissimo per i complimenti, mi fa piacere che tu abbia apprezzato il mio modo di scrivere (ma cosa avrà di speciale lol) e la storia. grazie mille!
Laura93: grazie! spero ti sia piaciuto anche questo. =P
Lialian: AHAHAHAHAHA, bellissima definizione la tua X°D davvero! spero ti sia piaciuto anche questo capitolo :*
trettra: giusto! è GANZO è figo :D modestamente! grazie mille, aspetto la tua prossima recensione xD
_Ink Whisper_: ma grazie mille a te ç_ç mi commuovi! continua a seguirmi e a leggermi *_*
ciao a tutti quelli che leggono senza commentare :D recensiteeeee
« Way, way down inside I'm
gonna give you my love.
I'm gonna give you every inch
of my love, gonna give you my love.
Yeah! All right! Let's go! »
Led Zeppelin, Whole
Lotta Love
Cos'eravamo io ed
Astrid? Quella domanda mi torturava da giorni. Decisi che avrei dovuto
chiederglielo: non sapevo ancora come né quando, ma dovevo chiederglielo. Avevo
qualche difficoltà sul come.
Io non ero certo un tipo che provava vergogna per
certi discorsi, ma non volevo fare brutta figura nel caso che lei avesse
ritenuto che non eravamo davvero nulla.
Però ero fiducioso. I baci e tutto il resto c'erano
stati e lei non si era di certo tirata indietro; quindi fino a prova contrario
due più due sapevo farlo.
Ero talmente cambiato nelle ultime settimane che stentavo davvero a
riconoscermi. Nel frattempo, pensai anche a cosa dire a Lucas, sperando che non
m'avrebbe dato noie; ma diceva di essere mio amico, e un vero amico accetta e
perdona ogni cosa. Mentre, per l'appunto, ci pensavo, cercavo di evitarlo o di
scambiare poche parole con lui: ma notai che Lucas, come me, era spesso tra le
nuvole e nei suoi pensieri, quindi non s'accorse di nulla. Ed io non osai
chiedergli cosa avesse.
Un giorno d'inizio novembre, io ed Astrid ci trovavamo fuori in un cortile,
seduti su una panchina davanti al piccolo campo da basket. Eravamo soli, non
c'era nessun bimbo perché l'aria era troppo fredda per poter giocare fuori: lei
disegnava sul suo blocco da disegno e io semplicemente la guardavo,
chiacchierando ogni tanto assieme a lei.
Pensai che fosse arrivato il momento giusto per parlarle, ma mi accorsi di
trovarmi in difficoltà.
A conti fatti non avevo mai avuto una ragazza, ma solo
storia da una notte: non ero mai neanche andato a letto con la stessa ragazza
per due volte consecutive!
Mi arrovellai il cervello alla ricerca di come iniziare il discorso, nervoso.
Alla fine, alzai lo sguardo su di lei ed esordii: “Secondo te, noi siamo
ragazzo e ragazza?”
Non appena pronunciai quelle parole, ebbi una voglia
immediata di rimangiarmele. Pessimo inizio.
Lei, che teneva lo sguardo sul suo disegno, si bloccò per un attimo e alzò lo
sguardo sul mio, guardandomi fisso. Sembrava leggermente sorpresa.
“Per te che significa avere una ragazza?” chiese poi.
La guardai perso. Non poteva rispondere semplicemente con un sì o con un no,
come una personale normale? Accidenti!
La mente mi si svuotò.
“Beh, non lo so!” esclamai.
“Allora pensaci.”
Mi passai una mano sul viso, massaggiandomelo.
“Io so solo che quando due persone si piacciono e stanno bene insieme, dicono
di stare assieme. Di essere ragazzo e ragazza.” dissi
spontaneamente.
Astrid continuava a guardarmi.
“Lo sai per sentito dire o cos'altro? Da come parli
sembra così.” disse.
Scrollai le spalle. “Hai fatto centro.” confessai.
“Ma cosa significa per te?” incalzò allora, alzando un sopracciglio.
Ancora una volta mi trovai senza nessuna difesa
davanti a lei. E senza nessuna risposta.
“Non lo so,” ripetei ancora, “Ma mi piacerebbe.. insomma, io vorrei scoprirlo
con te.”
Calò il silenzio. Astrid arrossì lievemente. “Perché?” chiese poi.
“Perché.. beh, perché mi piaci.”
Il rossore di Astrid si fece più intenso, ma non disse
nulla.
Io mi sentii libero da un peso, contento di averle
rivelato i miei sentimenti, ma ancora aspettavo che anche lei dicesse qualcosa,
come un anch'io o un sono felice. Invece non disse nulla, almeno
all'inizio. Forse non se l'aspettava.
“Forse.. forse dovresti dire qualcosa.” le suggerii, vedendo che lei rimaneva
in silenzio a fissarmi. Stavo cominciando a temere il peggio.
Abbassò lo sguardo, sfuggendomi, come se temesse
qualcosa.
“Astrid,” mi avvicinai di più a lei, cercando di
guardarla negli occhi, “dì qualcosa. Stavolta non puoi scappare, e tu lo sai.”
continuai, facendo una chiara allusione.
Lei risollevò lo sguardo, fulminandomi. “Questo è un
colpo basso.”
“Allora non neghi nulla, no?”
“Negare che cosa?”
“Non tentare di fottermi, Astrid! Almeno non in questo senso.”
Con mia sorpresa, scoppiò a ridere.
“Okay, Gabriel. Devo essere sincera con te. Prima che
tu quella notte mi trovassi, sì, ti ho evitato tutto il tempo, specialmente
quando t'incrociavo nei corridoi, anche palesemente.” disse.
“Ma perché?” chiesi, fissandola, non riuscendo a capire, ma almeno sollevato
che lei lo stesse ammettendo.
“Beh.. avevo paura.” disse lentamente, guardandomi a sua volta.
Sgranai gli occhi. “Paura.. di cosa? Di me?”
Scosse la testa. “No, non paura di te.. paura dei miei
sentimenti, paura di quel che sarebbe potuto succedere..”
La guardai di nuovo con aria persa. “Temo di non seguirti.”
Astrid arrossì di nuovo. “Non prendermi per scema, se te lo spiego meglio.”
Scossi la testa e continuai a guardarla, in attesa. “No, ma tu dimmelo,
almeno.”
“Io, ecco, avevo paura che tu mi usassi. Tu stesso avevi ammesso che
usavi le ragazze solo per portarle a letto, e poi avevo sentito tutto quelle
storie su di te dalle altre ragazze del mio dormitorio.. Insomma, pensavo che
tu stessi con me solo per un motivo: ecco perché mi sono tirata improvvisamente
indietro. Non sapevo se potevo fidarmi di te, ma soprattutto non volevo essere
una delle tante, per te. Un altro nome da aggiungere alla lista. Non volevo..
soffrire.”
La ascoltai attentamente. “E allora cosa ti ha fatto
cambiare idea?”
“Il fatto che tu mi abbia salvato. La mia croce, e a come sei stato
dolce e gentile con me quella notte.. nessuno mi aveva mai trattato così. Ho
cominciato ad avere.. fiducia in te. Ho pensato che allora t'importasse davvero
di me.”
Sorrise.
“Wow.” dissi io. “Comunque non avrei mai immaginato che fosse per questo..
infatti non sai quante volte mi sono chiesto perché mi evitassi. Non capivo.”
Lei annuì, e io le sorrisi di rimando. Poi aggiunse: ”Gabriel, per me stare
con qualcuno, avere un fidanzato, significa avere piena fiducia in quella
persona.”
“E tu ti fidi di me? Io mi fido di te.” dissi speranzoso.
“Assolutamente sì. Ma significa, anche, come hai detto tu, piacersi e stare
bene assieme.”
Rimasi un po' in silenzio. Sì, stavamo bene insieme.
Così chiesi: “Ed io ti piaccio?”
Di nuovo silenzio per un attimo. “Ma non escludo che la fiducia sia la cosa più
importante, e..” continuò.
“Astrid! T'ho detto già di non provare a fottermi. Non
mi hai risposto.”
Lei s'interruppe e mi guardò sorridendo dolcemente.
“Mi hai fatto una domanda retorica. Certo che mi piaci. Altrimenti se tu non mi
fossi piaciuto non mi sarei fatta tutti quegli scrupoli e non avrei avuto
paura, no?”
Annuii, continuando a guardarla.
Poi le sorrisi a trentadue denti e le dissi: “Astrid,
vuoi essere la mia ragazza?”
Astrid rimase in silenzio a guardarmi, poi sorrise.
“Molto volentieri.”
“Beh,” mi avvicinai di più poggiando l'avambraccio
sullo schienale della panchina, “siamo fidanzati. E i fidanzati si devono
baciare..”
Chiusi gli occhi ed incontrai le sue labbra per la terza volta. Non potevo
crederci: tutto era accaduto così velocemente.. ma ero tanto felice. Sì, felice.
Io, innamorato, e per giunta fidanzato! Mio Dio. Ma non potevo farci nulla,
ormai. Quando mi staccai dalle sue labbra, automaticamente sussurrai: “E chi
l'avrebbe mai detto?”
Riaprii gli occhi e vidi quelli di Astrid scrutarmi profondamente. Si morse le
labbra.
“Non dirlo a me.” disse a voce bassa.
“Sei felice?” chiesi, toccandole i capelli biondi con una mano.
“Tantissimo. E tu?”
“Adesso sei tu che fai domande retoriche.” risposi sorridendo.
E mi avvicinai per baciarla ancora.
***
Il pomeriggio, Astrid stava come al solito con i mocciosi. Io – nonostante
tutto – non avevo tanta voglia di stare un'altra volta con tutti quei bambini,
così le dissi che ci saremmo visti più tardi, a cena o dopo.
Nel frattempo decisi di trovare Lucas da qualche parte
e di parlargli di quello che stava succedendo tra me e ed Astrid. Speravo solo
che la prendesse bene.
Girai in lungo e in largo per tutto l'orfanotrofio ma non lo trovai da nessuna
parte.
Alla fine, l'unico posto in cui non avevo ancora
controllato era camera sua. Imboccai lo squallido corridoio dei dormitori
maschili, e mi fermai davanti ad una porta ben chiusa, proprio quella accanto
alla mia. C'erano solo due camere singole lì dentro e da un po' di tempo erano
diventate nostre; il resto delle stanze erano formate da doppie o quadruple,
dove stavano i più piccoli.
Bussai piuttosto rumorosamente. Aspettai ma non accadde nulla.
Così bussai un'altra volta, e finalmente una specie di
grugnito si levò dall'altra parte oltre la porta.
“Chiunque tu sia, sono morto!” disse il grugnito.
Alzai gli occhi al cielo ed entrai nella stanza, fregandomene del suo gentile
invito.
Lucas era comodamente spaparanzato sul suo letto,
disteso, con le mani dietro la testa. Alle orecchie aveva un paio di cuffie con
la sua solita musica techno sparata a palla.
Quando entrai alzò pigramente gli occhi su di me.
Lo salutai alzando una mano, certo che se anche avessi
parlato non m'avrebbe sentito, quindi era fiato sprecato. Lucas mi salutò
facendomi una smorfia.
Mi sedetti ai piedi del letto, guardandolo
eloquentemente, indicandogli così che avevo bisogno di parlare con lui.
Lucas recepì il messaggio e si tolse le cuffie, spegnendo il lettore cd e
posandolo sul comodino accanto a sé. Poggiò entrambe le mani sulle sue
ginocchia e mi guardò.
“Ehi, Reeve. Non ci si vede da un po'.” esordì. Non prometteva bene.
“Già,” dissi, “tutto bene?”
Lui annuì. “Solita vita. E tu?”
“Bene.”
Rimasi in silenzio, cercando di trovare le parole giuste.
“Ascolta, Smith. Devo parlarti.”
Lui alzò un sopracciglio, tra il perplesso e il confuso. “Qualcosa che mi
spiegherà come mai in questi giorni sei stato praticamente assente?”
Fu un colpo basso. Capii chiaramente che ce l'aveva con me, quindi era meglio
andarci con i piedi di piombo. Forse avrei dovuto rimandare quel discorso a
dopo? Ma ormai la frittata era fatta.
“Ascolta. Mi dispiace, d'accordo? Ma non l'ho fatto di
proposito.”
Incrociò le braccia, non proprio convinto. “Okay. Allora, dimmi, cosa ti è
successo? Gli alieni ti hanno preso in ostaggio o cos'altro?”
Sospirai, arrendendomi alla testardaggine del mio amico.
“Sono serio, Smith. Beh, ecco, io.. ho, diciamo,
incontrato qualcuno.” sputai parole senza senso.
Lucas scoppiò a ridere.
“Molto convincente, Reeve! Davvero! Meriti un Oscar.”
e si riprese le cuffie, facendo per rimettersele.
“No, dai, Smith! Volevo dire.. ho incontrato qualcuno.. tipo una donna.”
Lucas riposò le sue cuffiette e mi guardò fisso con aria scocciata.
“Fantastico.” disse, con evidente sarcasmo.
“Beh, fammi finire! Lei è.. come dire.. diversa.”
“Si chiamano donne, ecco perché sono diverse.” ribatté, gelido.
“Intendo dire che è.. migliore. Speciale.”
Mi guardò perso. “E chi sarebbe questa donna meravigliosa?”
Deglutii rumorosamente. “Astrid.” dissi d'un fiato.
Lucas si sconvolse. “Che cosa? Quella verginella bionda?! Ma sei pazzo?”
esclamò.
“Cosa c'è da essere pazzi?” chiesi, guardandolo ad occhi
sgranati.
“Mi avevi detto che l'avresti lasciata perdere, se ancora non sono diventato
scemo. Non posso credere che te la fai con quella!” continuò.
“Prima di tutto, io non me la faccio con nessuno.”
Lucas mi guardò con disappunto. “Non ci sei finito a letto?”
“Proprio no. E poi, non parlare di lei così, neanche la conosci, e..”
“Avevo ragione,” mi interruppe Lucas, alzandosi e venendomi di fronte, “tu sei
innamorato di lei. Sei schifosamente innamorato di lei.” aggiunse,
parlando lentamente.
Lo guardai in silenzio per un attimo, poi mi alzai.
Eravamo alti uguali.
“Sì, sono schifosamenteinnamorato di lei. Per la prima volta
nella mia vita sono innamorato davvero, come dici tu, e mi sta più che bene!”
ribattei.
“Non capisci, Gabriel?” mi disse lui, guardandomi
negli occhi. “Tu, proprio come me, non sei fatto per l'amore. La farai solo
soffrire.”
“Stronzate,” aggiunsi, “Io non farò proprio soffrire nessuno. Io la amo.”
pronunciai l'ultima parola con fermezza, guardandolo negli occhi a mia volta.
“La ami!” Lucas scoppiò a ridere per una seconda
volta. “Fino a poche settimane fa non sapevi neanche cosa significasse amare, e
mai ti saresti sognato di dire una cosa del genere.. ti rendi conto che sei tu
quello che neanche la conosce?”
“Le persone possono cambiare.” dissi sorridendo. “E' quello che mi sta
insegnando lei.”
Lucas sospirò. “E il nostro.. patto, per così dire?”
Io e lui, quando eravamo diventati amici, quasi due anni prima, c'eravamo
ripromessi di stare insieme nonostante tutto, che nessuna ragazza si sarebbe
mai messa tra di noi. Dicevamo questo perché entrambi sapevamo di non essere
adatti a sentimenti come l'amore: sia perché usavamo le ragazze come calzini,
sia perché tutti e due eravamo cresciuti in sentimenti d'odio durante
l'infanzia. Lucas aveva avuto una vita terribile.
Ora però le cose erano cambiate.
Scrollai le spalle, non trovando risposta.
“Tutte cazzate, dico bene?” incalzò, con uno sguardo furente.
“Sai qual è la cosa che mi dà più fastidio? Che tu non
stia capendo. Sei mio amico, avresti dovuto accettare questa cosa.” dissi
invece, svicolando la sua domanda.
“E sai invece qual è la cosa che dà più fastidio a me?
Che tu mi abbia piantato in asso così, per una donna. Una donna, per la
miseria! Chissà da quanto tempo è che me lo nascondi, scommetto che non avevi
neanche le palle per dirmelo!”
Improvvisamente ebbi voglia di spaccargli la testa.
Razza d'idiota! Ma lui non aveva ancora finito la dose
d'insulti gratuiti.
“Sei solo un egocentrico idiota, della nostra amicizia non hai mai capito un
cazzo.” continuò, senza pietà.
Rimasi senza parole. Non mi aveva mai parlato in quel
modo: del resto, per tutto quel tempo non avevamo mai neanche litigato.
“Non ho intenzione di continuare a farmi insultare da uno come te, caro Lucas
Smith,” dissi arrabbiato nero, avanzando verso la porta, “E sappi che sei solo
un geloso immaturo poveraccio da quattro soldi!”
Aprii la porta.
“Fanculo, Reeve!” mi urlò dietro lui.
“Fottiti, Smith!”
Uscii dalla camera sbattendo la porta con tutte le mie forze.
“E ridammi i miei Dylan Dog!” mi disse la voce di Lucas.
Shinalia: in questo capitolo ci sono più o meno le risposte alle tue domande.. e sì, Gabriel è tosto e abbastanza difficile come persona, ma ciò è comprensibile.
trettra: ahahahha, il padrino!! XD quando ho letto il tuo commento sono morta.. comunque sì, Gabriel quando vuole riesce ad essere dolce. (:
_Ink Whisper_: spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.. ti ringrazio ancora per i commenti e le tue recensioni (:
per ora questo è tutto gente.. continuate a leggere e a recensirmi, mi raccomando! GRAZIE.
« Now everything's fine under
heaven, now and then you've got to take time to pause.
When you're down on the ground, don't be messin' around; or you'll land in a
boat without oars.
Hey babe, hey babe, hey babe, I lost my way. » Led Zeppelin, Hots on for nowhere
Quella sera non mangiai. Ritornai direttamente in camera mia, a fissare il
soffitto con una grande confusione in testa. Cosa dovevo fare? E perché tutte a
me?
Ma soprattutto, perché tutte le persone andavano via da me? Non sapevo più
neanche quali sentimenti provare: felicità o tristezza? Delusione o rabbia?
Mi voltai su un lato del letto, dando le spalle alla
porta, con aria persa. Avevo solo bisogno di dormire un po', di riposare, e il
giorno successivo avrei pensato a cosa fare realmente, a come comportarmi.
In quel momento qualcuno bussò alla porta.
Per un attimo pensai che fosse Lucas, con la coda in mezzo alle gambe, venuto
per chiedermi scusa, e mi gonfiai d'orgoglio; poi però sentii la voce dolce e
cristallina di Astrid.
“Gabriel? Sei qui?” chiese.
“Sì, entra.”
Sentii la porta aprirsi e poi chiudersi. Lentamente mi
voltai ancora una volta dalla parte opposta, e vidi Astrid che mi guardava con
apprensione.
“Ehi, che succede? Stai bene?” chiese ancora, avvicinandosi.
“Fisicamente sì,” grugnii, seguendola con lo sguardo mentre si sedeva ai piedi
del mio letto.
“Ti va di parlarne?” Astrid usò un tono dolce e calmo.
Sprofondai la faccia sul cuscino. “Hai presente quel
ragazzo alto quanto me, biondo, piuttosto pallido che stava quasi sempre con
me?”
Silenzio. “Beh, sì, forse l'ho visto qualche volta.”
“Era il mio unico amico qua dentro.”
“Era..?”
“Già. Abbiamo litigato, ci siamo mandati a quel paese e tanti saluti.”
“Oh..”
Astrid poggiò una mano sulla mia gamba, come per darmi il suo appoggio.
“Mi dispiace davvero tanto..” mormorò.
Sembrava davvero dispiaciuta. Levai il viso dal cuscino per guardarla meglio, e
le rivolsi un sorriso un po' triste.
“Doveva andare così. Non si è comportato molto bene con me.” dissi.
Annuì. “Lo so che è banale dirlo.. ma allora non ti merita.”
Così Astrid mi rivolse un bellissimo sorriso e dimenticai tutto all'istante.
“Sei così bella,” dissi senza pensarci, “come fai a
stare con uno come me?”
Astrid scrollò le spalle. “La bellezza esteriore non
mi interessa.”
Feci il mio solito ghigno. “Andiamo, è quello che dicono tutti.”
Lei rise.
“Okay. Sì, l'occhio vuole la sua parte. Ma non
frequenterei mai un bellone senza cervello.”
“Beh, infatti non è il mio caso!” esclamai ridendo, e mi alzai a sedere per
andare ad abbracciarla.
“E comunque,” continuò lei quando fu tra le mie braccia, parlando vicino il mio
orecchio, “tu hai tutti e due tipi di bellezza.”
La strinsi più forte, rendendomi conto che se avevo Astrid con me, tutto era
veramente più facile, tutto era più bello. Era la mia medicina.
La amavo già, ma non sapevo se avrei mai avuto il coraggio di dirglielo.
***
Da un giorno all'altro mi accorsi di avere il bisogno di rendere Astrid felice,
senza alcun motivo specifico.
Volevo che sorridesse, che fosse serena.
Volevo che stesse nel migliore dei modi, al mio
fianco.
Fu così che mi ritrovai a pensare di organizzare
qualcosa di speciale: certo, non era facile tra le mura dell'orfanotrofio; ma
io avevo già architettato un piano.
Era tutto così strano.. di solito non ero io che facevo qualcosa per gli altri,
ma l'esatto contrario.
Ma se si trattava di Astrid, beh, non c'era niente che
mi pesasse o desse fastidio, anzi.
Lucas mi evitava, ed io facevo lo stesso. Da una parte
questo mi rendeva triste, dall'altra invece mi faceva sentire arrabbiato ed
offeso. Perché non riusciva a capirmi? Era solo perché lui non aveva mai
provato niente di simile; non aveva neanche tentato di mettersi nei miei panni.
Mi sentivo tradito. Ma mi mancavano le solite sigarette fumate in cortile dopo
pranzo, mi mancava la sua faccia sorridente che mi chiedeva il porridge la
mattina, mi mancavano i suoi Dylan Dog e mi mancavano i commentini stupidi sui
miei disegni.
Un pomeriggio sul tardi, aspettavo che Astrid uscisse
dalla stanza ampia e circolare in cui stava sempre con i mocciosi. Dopo qualche
minuti d'attesa, la porta della stanza si spalancò e ne uscirono almeno una
ventina di marmocchi urlanti. Alcuni mi riconobbero addirittura e mi salutarono
sventolando verso di me le loro manine. Alla fine, spingendo ed urlando si
fecero spazio nel corridoio ed andarono via.
Io m'avvicinai alla porta aperta e mi appoggiai
lateralmente allo stipite, guardando Astrid che rimetteva in ordine alcuni
giocattoli.
Poi si voltò e si accorse di me. “Oh, ciao, Gabriel.” mi sorrise.
“Ciao.” la salutai, incrociando le braccia al petto.
Astrid chiuse definitivamente il piccolo armadio e finalmente si avvicinò a me,
venendomi di fronte.
“Che cosa ci fai qui?” chiese.
La guardai negli occhi e, sorridendo, sbuffai. “Allora, che cosa aspetti a
baciarmi? Devo farti un permesso scritto o cosa?”
Lei non se lo fece ripetere due volte, ed alzandosi sulle punte mi baciò
leggermente sulle labbra. Io ero pronto per approfondire il bacio, ma lei si
staccò.
“Prima rispondi alla mia domanda!” ribatté, ridendo.
La guardai sorpresa. “Però, Astrid, stai diventando furba. Un giorno mi
fotterai in tutto i sensi.”
“Non svicolare.”
“Okay, okay, mi arrendo.”
La presi per una mano. “Oggi, Astrid Halls, vieni con
me. E niente domande!”
La trascinai lungo il corridoio. “No, aspetta! Dove andiamo?”
“Ho detto niente domande, ricorda.”
Continuando a tenerla per mano, arrivammo fuori.
“Gabriel, oggi non è sabato, non possiamo uscire.
Rammenti?” mi ricordò Astrid.
Io annuii. “Ma certo, Astrid. Ma sai una cosa?”
“Che cosa?”
“Si dice che le regole sono fatte per essere infrante.”
Astrid ed io facemmo il giro dell'edificio, passando per il cortile, ed
arrivammo sul retro. Lì le lasciai la mano e le indicai il cancello che
delineava il perimetro del cortile, e anche il confine tra la strada e
l'orfanotrofio.
“Prima le donne.” dissi.
Lei mi guardò con aria veramente persa. “E cosa dovrei fare, scusa?”
“Uffa, Astrid, devo spiegarti tutto io! Ti faccio vedere.” dissi ridendo.
Mi guardai con circospezione attorno, per controllare se ci fosse qualcuno;
infine mi arrampicai su per il cancello di ferro e lo scavalcai, atterrando con
un balzo dall'altra parte.
“Ecco fatto.” dissi con semplicità. “Adesso muoviti!”
Astrid continuava a guardarmi. “Accidenti, Gabriel! Guarda cosa faccio per te!
Se ci beccano, giuro che..”
“..te la prendi con me? Non ci beccheranno, tranquilla.”
Sbuffò e guardandosi intorno con aria preoccupata, cominciò a scavalcare il
cancello ed infine atterrò proprio accanto a me.
“Visto?” le dissi. “Liberi. Ora andiamo.”
“Dove?”
“Niente domande!”
La presi di nuovo per mano e la condussi verso il
centro della città. Per tutto il tragitto lei continuò a tormentarmi con delle
domande, ma non ottenne mai alcuna risposta. Attraversammo le vie piene di
negozi, finché non arrivammo a destinazione.
“La stazione?!” chiese Astrid scandalizzata.
“Ma quale parte di niente domande non ti è chiara, Halls?” continuavo a
ridere, prendendola in giro. Mi divertivano parecchio le sue espressioni
sbigottite e le sue continue domande.
Le lasciai la mano e mi frugai in tasca, estraendone
due biglietti dal colore verdino.
“Almeno i biglietti li ho fatti, vedi? Comprati l'altro giorno.” dissi.
“Sempre scavalcando, immagino!” ribatté lei.
“C'è bisogno di dirlo?” chiesi, ridendo.
Lei mi lanciò un'occhiataccia.
Io le misi i biglietti in mano e lei lesse. “Ma..!”
iniziò a dire.
Mi ripresi i biglietti. “Ricorda, niente domande! Sì, Astrid. Andiamo verso
sud, dove fa più caldo. E non ritorneremo presto.”
Astrid prima non disse nulla, poi esclamò: “Sei pazzo!”
Le sorrisi dolcemente. “Pazzo di te, sì.”
Le afferrai la mano per l'ennesima volta e la trascinai ad obliterare i
biglietti, i quali erano sia di andata che di ritorno; per poi attraversare il
sottopassaggio ed aspettare il nostro treno, sul binario numero due.
“Andiamo, Gabriel..” insisteva nel frattempo Astrid, torturandomi, “dimmi dove
stiamo andando!”
Le sorrisi. “Te lo direi, ma poi dovrei ucciderti.” le risposi.
Astrid sbuffò per l'ennesima volta.
“Allora,” dissi io, “il nostro viaggio durerà all'incirca due ore, quindi ti
avviso che non voglio essere torturato con le tue domande per due ore
consecutive..”
“Ma non è giusto,” si lamentò lei, “non vuoi dirmi niente, e non mi hai neanche
dato il tempo di prendere qualcosa..”
Le misi una mano fra i capelli e la guardai dritto negli occhi.
“Ma non ti serve niente, se sei con me.” dissi.
Astrid scosse la testa, come se fosse rassegnata, ma
sorridendo.
Un fischio spacca timpani ed una fredda voce metallica
femminile, proveniente dall'altoparlante, ci informarono che il nostro treno
stava per arrivare.
“Bene,” disse Astrid, “prepariamoci per l'avventura.”
Le sue dita s'intrecciarono con le mie.
“Questo è lo spirito giusto!” esclamai, tutto contento.
Dal binario si udì un altro fischio stridulo ed assordante.
“Ecco,” dissi, “sta arrivando.”
Un treno di un verde ottanio pieno di graffiti colorati arrivò sferragliando
sul binario, stridendo alquanto rumorosamente. Ci avvicinammo, mentre i
portelloni si aprivano ed alcune persone si riversavano fuori in massa.
“Non lasciarmi la mano.” disse Astrid.
“Ci manca solo che ti perdi! No che non ti lascio.” le dissi, ridendo.
Quasi ci scontrammo con le persone che uscivano dal treno, mentre cercavamo di
salire, andando controcorrente. Alla fine, io ed Astrid salimmo sul treno,
assieme a molti uomini ed un paio di donne che salirono con noi. Alcuni invece
erano rimasti sul treno, diretti chissà dove.
“Seguimi,” dissi ad Astrid, non lasciandole ancora la
mano. Volevo cercare un vagone tranquillo solo per noi due, o comunque un posto
dove nessuno ci stesse col fiato sul collo.
Camminammo per almeno quattro vagoni, e vidi le persone più diverse lì dentro,
impegnate nei propri affari: chi leggeva, chi ascoltava la musica da un lettore
multimediale, chi giocava a carte col proprio vicino.
Io ed Astrid trovammo un vagone quasi vuoto verso la fine del treno; c'era solo
una donna e due ragazzi. Ci sedemmo in due posti vicini, lei accanto al finestrino.
“Oddio, Gabriel!” disse all'improvviso voltandosi verso di me, “Sono
preoccupatissima. E se si accorgono della nostra assenza?”
“Hai mai visto qualcuno là dentro preoccuparsi di chi
o chi non c'è?”
Mi fissò. “Beh.. no.”
“E allora? Rilassati, dai.”
Il suo sguardo apprensivo si trasformò in uno più felice. “Va bene! Niente più
storie, promesso.”
“Bene,” dissi mettendo un braccio attorno alle sue spalle, “anche perché l'ho
fatto solo per te.”
Un altro fischio ed il treno finalmente cominciò a partire. Astrid non chiese
più niente durante il viaggio, e ad un certo punto s'addormentò con la testa
appoggiata sulla mia spalla. C'era silenzio, interrotto solo dallo sferragliare
dei binario e da qualche sporadico fischio spacca timpani, quando
attraversavamo un'altra stazione. Oltre il finestrino si susseguivano svariati
paesaggi: il grigio degli edifici e dei palazzoni della città, il verde dei
campi aperti della campagna, il rosso dei campi immensi di papaveri,
l'arancione del sole nascosto dalle nuvole, pronto per scomparire oltre la
linea dell'orizzonte. E poi, il mare, piatto e di carta da zucchero.
Il treno si fermò sferragliando, ancora una volta.
Cominciò a rallentare, mentre una stazione si
materializzò fuori dal finestrino.
“Astrid,” le sussurrai, “svegliati. Siamo arrivati.” E
mi alzai.
Lei fece qualche verso incomprensibile, poi riaprì gli occhi, sbattendoli un
paio di volte.
“Hmm.. di già?” fece.
“Che tristezza! La mia compagnia ti fa dormire.” risi,
e le offrii una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei la prese e si alzò, e una
volta in piedi non ci lasciammo più.
Io ed Astrid facemmo la strada a ritroso lungo i vagoni, ed infine uscimmo con
un balzo sul pavimento di pietra della stazione, insieme ad altri passeggeri.
Astrid si guardava attorno. “Dove siamo?”
“Oh, accidenti, Halls. Nessuno ti ha detto che sei fin troppo petulante?”
“Non petulante. Piuttosto curiosa.”
“Fin troppo, te lo dico io.”
Astrid mi guardò divertita. Era buio, ormai, erano all'incirca le sette di
sera.
“Hai fame, Astrid?” le chiesi.
Lei annuì. “Un po'.”
“Okay, allora ti porto in un posto, ti piacerà. E poi sempre meglio che
mangiare in quella schifo di mensa. Bleah!” dissi disgustato.
“Su, Gabriel, non essere così crudele!” sbottò Astrid.
“E' pur sempre cibo.”
“Quello non è cibo. Fa finta di esserlo.”
La sentii ridere mentre uscivamo dalla stazione.
“Cosa ci trovi di divertente?” le chiesi, voltando la testa per guardarla.
“Sarei io quella petulante? Forse dovrei registrarti e poi farti risentire.”
“Mi stai per caso insultando?” chiesi ancora, divertito.
“No. In fondo è anche questo quello che mi piace di te..”
Avrei tanto voluto sapere cos'altro le piaceva, di me.
Continuammo a camminare per una cittadina dall'aria
balneare e caratteristica, con poche persone in giro, forse anche per l'ora,
dato che le persone rimanevano nelle proprie case per cenare.
“Che bello, Gabriel! Il mare.” esclamò Astrid all'improvviso.
Era proprio vero: oltre un muretto basso di tufo giallo, ad ovest, si estendeva
una striscia infinita di mare. Era piatto e calmo, ed il sole stava già
sparendo oltre la linea dell'orizzonte.Mandava dei raggi arancio ed argento, facendo risplendere l'acqua dei
medesimi colori; oltretutto tingeva alcune nuvole di un viola scuro, mentre tutto
attorno dominavano già le tenebre. Era un bellissimo spettacolo.
“Da quant'è che non vedevo un po' di mare. E'
bellissimo.” disse.
Annuii, sorridendo. “Mi fa piacere.. ci ho azzeccato, no?”
“Decisamente.”
Dopo qualche attimo di silenzio, ripresi a camminare,
dato che ci eravamo proprio fermati per ammirare il tramonto.
Arrivammo davanti ad un ristorantino molto illuminato,
con i muri di pietra, ed una pesante porta di legno massiccio – proprio lì,
vicino al mare, quasi alla riva.
“Eccoci.” annunciai ad Astrid, e spinsi la porta con
entrambe le mani. Ci accolse un allegro chiacchiericcio ed un rumore di piatti
e posate: il locale era gremito, ma individuai qualche tavolo vuoto. La maggior
parte di essi era rotonda con delle tovaglie di lino bianco, enormi boccali di
vetro ed una lampada sistemata proprio al centro.
Entrammo e la vidi guardarsi attorno deliziata. Ero
contento, così mentre la guardavo, in pace col mondo, il proprietario del
locale mi venne incontro a braccia aperte, pronto per abbracciarmi.
“Gabriel Reeve!” esclamò, come se fossi il vincitore di qualche concorso.
“Ehilà, zio Paul!” esclamai a mia volta, venendogli incontro. Lui mi strinse in
un abbraccio spacca costole, poi mi lasciò andare.
Paul – che non era assolutamente mio zio, ma che amava
farsi chiamare così – era un arzillo vecchietto sulla settantina, proprietario
del locale. Mi aveva preso tra le sue grazie dopo una volta che io e Lucas
eravamo scappati via senza pagare: ci aveva perseguitato per un bel pezzo
finché non ci aveva acciuffati. Per pagare il conto avevamo passato ore a
pulire i piatti nella cucina del ristorante. Da allora zio Paul ci aveva
costantemente tenuto d'occhio fino a sentenziare che eravamo troppo simpatici
per essere sbattuti fuori per sempre. E meno male! Aveva una lunga barba bianca
e portava un paio di minuscoli occhiali da vista, i quali gli scivolavano in
continuazione giù per il naso.
“Sei il benvenuto, giovanotto.” disse, poi il suo sguardo cadde inevitabilmente
su Astrid.
“E chi è questa bella signorina? Hai finalmente messo la testa a posto,
Gabriel?” disse, squadrandola e sorridendo.
Naturalmente lei arrossì. “Piacere, sono Astrid.” e
gli porse la mano.
“In-can-ta-to. E..” disse lui, stringendole la mano a sua volta,
“..bellissimo nome.”
“Okay.” dissi io, mettendo una mano sulla spalla di Astrid, decidendo di
tagliare corto a quei convenevoli, “C'è un tavolo per due, zio Paul?”
Lui annuì e con un gesto s'aggiustò gli occhiali,
portandoseli più su sul naso.
“C'è sempre un
tavolo per te, Gabriel. Seguitemi, prego.”
Paul ci portò verso un'ala del ristorante più lontana dalla porta. Ci indicò un
tavolo libero per due vicino una finestra coperta da una tenda di un tessuto
trasparente di color arancione; poi ci porse due menù, rilegati di pelle color
bordeaux, che aveva recuperato da un tavolo lì vicino.
“Beh, godetevi la serata!” disse infine, e con un sorriso si allontanò.
Io ed Astrid ci sedemmo. Lei esibiva un sorriso radioso.
“Questo posto è molto grazioso,” disse, “e poi quel vecchietto è molto
simpatico.”
“Nah. E' solo un vecchio pazzo.” dissi sottovoce, sorridendo.
Astrid aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta da un cameriere che ci
chiese cosa volevamo da bere. Lei scelse semplicemente dell'acqua, io optai per
la mia fedele birra bionda.
Poi Astrid aprì il menù e ci si buttò a capofitto. La guardai: era così strano
trovarmi in quel posto con lei. Non ero mai stato fuori con una ragazza prima
d'allora: di solito stavo in quei posti con Lucas. Già, Lucas. Per un
attimo il mio pensiero andò a lui; chissà cosa avrebbe detto se mi avesse visto
in quel preciso istante, a cena di sera con una donna, con la prospettiva che
poi avrei dovuto offrirgliela..
“E tu che prendi, Gabriel?”
La voce di Astrid mi risvegliò dalle mie riflessioni.
“Cosa? Oh, sì, ora guardo.”
Aprii il mio menù e dopo un'accurata lettura, chiamai
un cameriere che prese le nostre ordinazioni; poi io ed Astrid rimanemmo
nuovamente soli.
“Gabriel, devo farti una domanda.” esordì.
Bevvi un sorso di birra dal mio boccale di vetro. “Dimmi.”
Lei mi guardava negli occhi. “Come fai a permetterti locali del genere e sere
fuori, se non lavori? Io personalmente solo al verde, rimanendo tutto il tempo
in orfanotrofio.”
La guardai di rimando, accorgendomi che quella ragazza era davvero una buona
osservatrice. Mi allungai verso di lei e sussurrai: “Rubando.”
Astrid mi guardò come se le avessi appena detto una bruttissima parolaccia.
“C-che cosa?!” esclamò, a voce un po' più alta.
“Shhh!” dissi, poi. “Ebbene sì. Ogni tanto rubo. Niente di che!”
“Niente di che, dici? Rubare è peccato!” sbottò
indignata.
Alzai un sopracciglio. “Io non credo in Dio, hai dimenticato?”
“E' vero. Ma questo non significa non avere una morale.”
“Ma io ce l'ho. Insomma, vado solo al supermercato ogni tanto e rubacchio
qualcosa dal portafoglio di qualcuno distratto. Mica vado in giro con la
pistola e il passamontagna!”
Astrid scosse la testa. “E' come se lo facessi. Promettimi che non lo farai
più.”
Pensai disperatamente alle mie sigarette. Senza soldi avrei dovuto fare a meno
di loro.
“Okay, ti prometto che non lo farò più a partire dalla fine di questa cena.”
“No, non posso accettare che questa cena sia pagata con soldi rubati. Pago io.”
“Non essere ridicola, Astrid!” sbottai, “Hai per caso dei soldi con te?”
Lei mi guardò persa. “No, effettivamente no..”
“Vedi? Fai finta che io non ti abbia detto niente. Ma ti ho già promesso che
non lo farò più.”
“E va bene, Gabriel.”
Le rivolsi un sorriso e lei ricambiò, anche se con meno entusiasmo.
Nel frattempo un cameriere ci portò quello che avevamo
ordinato e io pensai con orrore a quel che avevo detto poco prima.
Avevo..promesso! Argh!
Quasi mi stupii di me stesso. Ero in grado di
mantenere una promessa come quella? Beh, in fondo anche il fidanzamento era una
sorta di promessa.. e mi resi conto che forse, per Astrid, ero disponibile a
scendere a qualsiasi tipo di compromesso. Non avrei più rubato.
'Ti sei fritto il cervello!' avrebbe detto
Lucas.
La serata trascorse tranquillamente, nonostante quella
piccola discussione. Parlammo del mare, dei disegni, e lei volle sapere persino
di Lucas, anche se mi rifiutai di spiegarle il motivo della discussione,
dicendo che era roba da uomini.
Poi ci alzammo, pagai il conto – con i soldi rubati,
ebbene sì – e ricevetti un ultimo abbraccio spacca costole da Zio Paul.
Io ed Astrid, infine, ci avviammo verso l'uscita.
“E adesso,” dissi ad Astrid, prendendole la mano, “Il dessert.”
« My love for you I could never hide. Oh, you know I
love you, baby.
My love for you I could never
hide - oh, when I feel you near me, little girl,
I know you are my one desire. »
Led
Zeppelin, I'Can'tQuitYou
Baby
La portai in spiaggia.
Era tutto buio e deserto: ed il sole di prima aveva
lasciato posto ad una bianca luna piena, la quale rifletteva nell'acqua di mare
un'enorme striscia argentata.
Le onde si infrangevano sulla battigia e su alcuni
piccoli scogli sulla riva, ripetendo un rumore rassicurante e quasi cullante.
Era piacevole, tranne per le
sabbia che mi entrò nelle scarpe da ginnastica. Astrid
non parlò per tutto il tempo.
“Ho visto che il mare ti piace molto,” dissi per
spezzare quel silenzio, che mi rendeva nervoso, “e quindi ho pensato che
potevamo stare un po' qui. Non c'è nessuna fretta, in fondo.”
Lei mi guardò e sorrise. “E' tutto così perfetto, Gabriel. Adoro il
mare. Forse perché è l'unica cosa che non sono mai
riuscita a ritrarre bene.”
Mi sedetti sulla sabbia, con le gambe piegate ed entrambe le braccia appoggiate
all'indietro, e lei si sedette al mio fianco con le gambe incrociate. C'era
vento e i capelli le andavano sempre davanti al viso, così un paio di volte se
li mise dietro le orecchie.
Rimanemmo un bel po' in silenzio ad ascoltare il mare.
“In effetti uno spettacolo
così non si vede tutti i giorni fuori dalla propria finestra.” dissi.
“Proprio no.” assentìAstrid,
e calò di nuovo il silenzio.
“Accidenti,” continuò poi lei dopo un po', “se non facesse così freddo, farei
volentieri un bagno.” e rise, come se fosse un'idea
stupida.
Io mi alzai in piedi e sbattei un paio di volte le mani l'una sull'altra, per
togliere la sabbia che era rimasta appiccicata su di esse.
“Beh? Facciamoci un bagno.” dissi, guardandola.
Lei mi guardò allibita, poi rise
di nuovo.
“Gabriel, non dire scemenze. Siamo a novembre! Vuoi morire assiderato?” disse.
“Solo cinque minuti. L'hai detto anche tu che volevi farlo!” Allungai una mano verso di lei per invitarla ad
alzarsi, ma lei non la prese.
Naturalmente sapevo che non sarebbe stato così facile
convincerla.
“Dai, Astrid! Fallo per me.”
Lei guardò la mia mano, ancora tesa verso di lei, poi guardò me.
“Non se ne parla.”sentenziò,
irremovibile.
“Eddai!” quasi piagnucolai.
“Ma abbiamo appena mangiato!” disse, aggrappandosi anche a quella opportunità
per obbligarmi a non farlo.
“E infatti, ho detto solo cinque minuti.” Astrid continuava a guardarmi, ed io sperai di
esibire la mia migliore faccia da cucciolo bastonato. Dopo qualche secondo, Astrid sbuffò e prese la mia mano, alzandosi.
“E va bene!” sbottò.
Io le diedi un bacio sulle labbra con lo schiocco. “Grazie!”
“Ma mi devi un grosso favore.”ribatté lei, puntandomi un dito accusatore contro.
Io annuii senza convinzione, poi rimanemmo entrambi zitti ed immobili a
guardarci.
“Aspetta un attimo. Non posso farlo,”
disse all'improvviso Astrid sorridendo. “non ho il
costume.”
“Neanch'io ce l'ho. E allora?” dissi sorridendo alla sua stessa maniera. Astrid, com'era prevedibile, arrossì. Riuscivo a
vederla arrossire anche nella semi oscurità.
“La cosa ti diverte, non è così?” mi chiese.
“Da morire.” risposi sorridendo trionfante.
“Beh, allora non lo farò davvero.”
Continuammo a guardarci, in silenzio.
“Accidenti, Halls! Nessuno ti ha mai detto quanto sei
noiosa? Hai mai provato a lasciarti andare, una volta tanto
nella tua vita?” dissi, con un tono più acido del muriatico.
Quell'affermazione, ma soprattutto il tono che avevo usato, sembrò colpire
profondamente Astrid. Rimase a guardarmi con la bocca
spalancata, poi però la richiuse e mi guardò
intensamente.
“Okay.” Mise entrambe le mani sui lembi della sua maglietta per sfilarsela.
“Voltati.”
“Ma che senso ha? Tanto ti vedrò comunque senza
vestiti.” ribattei io, col mio ghigno beffardo
stampato sulla faccia. Era troppo divertente. Astrid mi guardò qualche attimo
smarrita, poi fece un verso esasperato, rassegnandosi. Io risi e sempre
col mio ghigno incrociai le braccia al petto, non scollandole gli occhi di
dosso, deciso a godermi lo spettacolo. Astrid si sfilò la maglietta velocemente, poi la vidi
armeggiare con la chiusura dei suoi jeans: infine se li sfilò con un gesto
solo. Rimase in un delizioso completino di biancheria
intima, bianco, davanti a me, tremando dal freddo, con i capelli biondi davanti
al viso. Il suo completo sembrava quasi confondersi con la sua pelle, ancora
più diafana se era esposta alla luce della luna.
La guardai perdendomi in ogni centimetro di pelle nuda di lei.
“Hmm..” mi lasciai sfuggire,
“Guardarti mentre ti spogli è alquanto eccitante. Anche se, beh, di solito gli
spogliarelli mi imbarazzano.” Beh, in fondo era vero.
“Taci!” esclamò Astrid, e si voltò dandomi le spalle,
incrociando le braccia al petto.
“Guarda che anche così ho una perfetta visuale..” le ricordai ridendo, mentre mi sfilavo la maglietta e
successivamente i jeans.
“Ho detto taci.”
Quando rimasi in boxer, mi avvicinai a lei per le spalle e misi un braccio
attorno alla sua vita, attirandola a me. Lei sussultò e mise una mano sopra il
mio braccio. Notai che aveva la pelle d'oca in tutto il corpo.
“Hai la pelle d'oca.”dissi,
per l'appunto.
“Ma dai? C'è freddissimo.”
“Davvero? Che strano. Io non ne sento..” dissi maliziosamente, e con la mano libera scostai i suoi
capelli dal collo per baciarglielo. Lei inclinò leggermente la testa di lato
per permettermi di farlo meglio, poi però mi staccai
all'improvviso da lei.
Presi la rincorsa e mi tuffai in acqua.
Fu come se mi avessero riempito i polmoni di acqua gelida. Sott'acqua era tutto buio e freddo e più
lento, come se qualcuno avesse attivato la moviola; così riemersi, respirando
con la bocca. Astrid era rimasta lì dove l'avevo lasciata, e mi
fissava.
“Dai, Astrid, buttati! Se ti
tuffi d'un colpo senti meno freddo!” la chiamai.
Annuì timorosa, mentre io galleggiavo sull'acqua, guardandola.
Astrid si allontanò un po' dalla riva, prendendo la rincorsa, poi la vidi
correre e tuffarsi nell'acqua, sparendo con una serie di schizzi e uno splash!
Dopo qualche secondo riemerse a poca distanza da me, i capelli diventati più
scuri e tutti all'indietro per via del tuffo. Automaticamente passai una mano
fra i miei, scombinandoli e schizzando acqua da tutte le parti.
Riprese fiato ed io la raggiunsi nell'acqua.
“Non è poi così male, no?” le chiesi.
“A parte l'acqua gelida, no.”
La guardai; ed automaticamente il mio sguardo finì sul suo petto, dove il suo
reggiseno era diventato più trasparente a contatto con l'acqua. Lei se ne accorse e fece un gridolino.
“Ah!” urlò, poi si abbassò di più dentro l'acqua, arrivando a sfiorarla col
mento. Io scoppiai a ridere mentre lei arrossiva,
tanto per cambiare.
“Ehi, Astrid. Io sono il tuo ragazzo, dovresti
farmi guardare..”
Quella frase faceva molta
impressione pronunciata da me. Il suo ragazzo, io!
“No!” protestò lei. Le venni ancora più vicino.
Rimasi in silenzio per qualche minuto. “Hmm.. peccato!” dissi, e poi sparii sott'acqua. Cercai di
orientarmi con quella scarsa luce, poi vidi le gambe di Astrid dimenarsi a poca distanza da me. Più veloce di uno
squalo, l'afferrai per la vita e la costrinsi a seguirmi giù. Astrid finì sott'acqua accanto a me, lasciandosi
sfuggire tantissime bolle d'aria dalla bocca per lo spavento. Poi si calmò, mi
guardò, e prese a darmi dei pugni sulla spalla. Frenai a stento le risate, mi
allontanai un po', e le feci segno con una mano di aspettare: dopo di ciò mi indicai gli occhi, ed infine indicai il suo petto, come a
dire che vedevo perfettamente tutto quanto.
Lei prima cercò di coprirsi con le braccia, poi tornò
a darmi dei pugni. Ma questa volta fui più veloce di
lei e le bloccai entrambe le braccia afferrandola per i polsi; infine mi
avvicinai e la baciai, chiudendo gli occhi. Abbassò la guardia e lasciò che la
baciassi; poi baciandola le passai dentro la bocca tutta l'aria che era rimasta
nella mia bocca e nei polmoni, ed infine fui costretto
a riemergere.
Riemersi, respirando un po' affannosamente a labbra socchiuse. Dopo qualche secondo, Astrid riemerse al
mio fianco. Anche lei riprese aria
affannosamente, mentre mi guardava.
Poi scoppiò a ridere.
“Che cosa c'è?” le chiesi sorridendo, curioso del suo attacco di risa.
“Niente, niente,” disse lei, “è solo che è divertente.
Non avrei mai immaginato di tuffarmi nell'acqua gelida, a novembre, per un
ragazzo..”
Le sorrisi dolcemente, prendendolo per un complimento.
“Dai, vieni, sirenetta.” La afferrai per la mano. “Usciamo.”
Nuotammo insieme fino alla riva e poi, tenendoci
ancora per mano, uscimmo dall'acqua, gocciolando acqua
da tutte le parti. Ritornammo sulla sabbia e lei si strizzò i lunghi capelli,
per togliere l'acqua impregnata in eccesso.
“Ci prenderemo una bronco polmonite.” borbottò lei, ravvivandosi i capelli con entrambe le mani.
“Hm?” le chiesi, mentre anch'io frizionavo i miei capelli con una mano.
“Con questo freddo, asciugarci non sarà facile.” disse.
Mi avvicinai di nuovo a lei, strofinandomi le mani sulle braccia per il freddo
e sentendo sotto una di queste il mio tatuaggio. Lei
lo guardò con fare indagatore, ma non disse nulla, guardandolo di tanto in
tanto.
“Io conosco un modo per ingannare il tempo senza
sentire freddo.”dissi poi.
Mi guardò incuriosita. “Sarebbe?”
La afferrai per un braccio attirandola di colpo verso di me e presi a baciarla.
La sentii mormorare qualcosa – probabilmente una protesta –
ma soffocai le sue parole con le mie labbra, baciandola piano, ed
abbracciandola per la vita. Dopo un po' la sentii rispondere al bacio, e le sue
mani s'appoggiarono sul mio petto: erano ghiacciate, e mi fecero rabbrividire
al contatto con la mia pelle umida ed ancora bagnata di goccioline.
Decisi di azzardare e la strinsi a me più forte, mettendole una mano fra i
capelli e quasi afferrandoglieli. Con mia sorpresa, Astrid
non si mosse ma continuò a baciarmi. Non staccandomi
neanche un secondo dalle sue labbra, feci qualche passo all'indietro ed infine
lei si distese sulla sabbia, ed io a cavalcioni su di
lei.
Io ed Astrid ci baciavamo
spesso; ma non ci eravamo mai spinti più in là di un vero bacio. Ogni
volta che io provavo ad approfondire, lei si staccava o serrava ancora di più
le sue labbra.
Però, adesso, non poteva
sfuggirmi.
Tenevo gli occhi chiusi ma
sentivo entrambe le mani di Astrid ancora sul mio
petto; invece entrambe le mie mani erano sprofondate sulla sabbia, ai lati
della testa di lei. Inclinai la testa di lato, ed azzardai a socchiudere le mie
labbra; poi rimasi in attesa di qualunque reazione da
parte sua. Con mia indicibile sorpresa, la sentii dischiudere le labbra a sua
volta.
Sospirai profondamente e, stringendo ancora di più la sabbia fra le dita,
finalmente la baciai più profondamente, esplorando ogni centimetro della sua
bocca con la mia lingua. Lei mi abbracciò per le spalle con entrambe le
braccia, e poi ricambiò i miei baci, facendo incontrare e scivolare la sua
lingua con la mia.
Mi sentivo felice: avevo perso il conto di baci con
altre ragazze, ma nessuno fu come quello. Mi staccai dalle sue labbra, sentendo
veramente caldo, per ovvi motivi.
Aprii gli nuovo gli occhi per
guardarla, ma lei teneva ancora gli occhi chiusi. Allora mi chinai su di lei e
la baciai diverse volte sul collo, avvertendo la sua pelle d'oca sulle mie
labbra. La baciai più giù, seguendo una linea immaginaria lungo l'addome,
mentre proprio questo si alzava e si abbassava più velocemente. Andai sempre
più giù, fino ad arrivare ad una zona a dir poco pericolosa.
A quel punto lei si scostò, allontanandomi leggermente. Riaprii gli occhi e
questa volta la trovai a guardarmi.
“Forse..” avevo la voce rauca per via di quel bacio. Me la schiarii e ci
riprovai.
“Forse è meglio andare..” prima
che mi scoppino le coronarie, avrei voluto aggiungere. Ma
non lo dissi, e mi limitai a guardarla nei suoi grandi occhi scuri, che mi
scrutavano.
Lei annuì, poi sorrise timidamente. “Sì.” disse
soltanto. Ma la baciai ancora, e ancora, prima d'andar via.
« It was good, sweet baby. It was really, really good.
You made me happy every single day: but now I've got to go away. »
Led Zeppelin, Babe I'm Gonna Leave You
Nei giorni successivi, tutto andò così bene da non permettermi di pensare a
cose troppo tristi, tipo la mia situazione disastrosa con Lucas.
'Dov'è finita la tua libidine?' avrebbe detto
proprio lui, però.
Stare con Astrid non mi faceva pensare alla libidine. O meglio, ci pensavo, ma
in maniera molto diversa. Certo, pensavo a come sarebbe stato bello se fossi
riuscito a fare l'amore con lei. L'apoteosi di un sogno perfetto.
Ma ogni tanto avevo la sensazione che Astrid non si
fidasse ancora completamente di me – nonostante quel che mi aveva detto – e che
avesse un continuo freno durante le situazioni cruciali, poiché non si lasciava
mai andare completamente, con me.
Eppure quella sera in spiaggia l'aveva fatto, finché
non si era bloccata di nuovo.
Non potevo di certo pretendere chissà cosa, ma il suo
comportamento da una parte mi lasciava curioso, dall'altra perplesso. E
la domanda era:
perché? Forse non mi desiderava in quel senso come la desideravo
io?
Mi imposi di non pensarci troppo. Forse era solo questione di tempo.
Io ed Astrid passavamo quasi tutta la giornata
assieme. Riusciva a farmi dimenticare di tutto. Ed era assolutamente
incredibile.
Un sabato, prendemmo di nuovo il treno e ci fermammo
in uno di quei bellissimi campi di papaveri che avevo visto qualche giorno
prima, quando eravamo diretti al mare. Mangiammo qualcosa, chiacchierammo, ci
prendemmo in giro ridendo com'eravamo soliti fare. Per me era ancora strano – e
un po' incredibile – stare bene con una ragazza senza fare qualcosa che
implicasse il sesso. Ma mi ci stavo abituando, ed era meglio di quanto
pensassi.
Ad un certo punto, Astrid si sistemò all'ombra di una quercia, in mezzo al
prato, poggiandosi sul tronco dell'albero. Guardava di lato ed il vento leggero
le scompigliava appena i capelli. C'era freddo, ma avevamo portato coperte,
guanti e sciarpe per sentirne di meno.
Io, seduto un po' distante rispetto alla quercia, in mezzo al prato, la guardai
attentamente, quasi studiandola. Era bellissima; e semplicemente mi catturava.
Era bellissima come sempre, anche questo era vero, ma il paesaggio attorno a
lei le conferiva un'aria più bella, più speciale. Le donava, e parecchio.
Pensai quasi con tristezza che se avessi avuto una
macchina fotografica, in quel momento, le avrei scattato una foto, per
immortalarla per sempre in quell'istante.
Poi mi venne un lampo di genio. Che stupido che ero!
Presi il mio block-notes e lo aprii, prendendo poi in
fretta la mia matita. Tracciai le linee velocemente e in maniera dritta e quasi
perfetta.
Dopo una ventina di minuti, mi alzai e raggiunsi
Astrid all'ombra della quercia.
“Che hai fatto lì solo per tutto questo tempo?” mi chiese lei, mentre mi sedevo
al suo fianco. Senza parlare, le porsi il blocco da disegno aperto: sul foglio,
Astrid era seduta sotto l'ombra di una quercia maestosa, con un grande prato
fiorito di papaveri attorno a lei.
“Gabriel, ma.. ma questa sono io!” esclamò con sorpresa.
“Ebbene sì. Ti piace?”
Guardava sorridendo il disegno e gli occhi le luccicavano di gioia.
“Certo! E' bellissimo, davvero..”
Da allora in poi Astrid diventò il mio soggetto preferito per tutti i miei
disegni. La ritraevo quando eravamo assieme, ma anche quando non c'era. Era
rassicurante e molto bello sapere di poterla avere lì, anche fra quelle pagine,
nero su bianco.
Una volta le mostrai l'ennesimo disegno. Lei, seduta a
gambe incrociate, sorridente.
“E' stupendo, come tutti.” disse sorridendo. “Ma..”
“Ma cosa? Non ti piace?” mi affrettai a dire.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Posso?” chiese, facendo per prendere la mia matita e
il blocco da disegno.
“Fai pure.”
Passò qualche minuto e poi Astrid mi ripassò il blocco. Accanto a sé stessa
aveva disegnato un ragazzo, seduto a gambe incrociate; un ragazzo con i capelli
lisci e un po' scompigliati, lo sguardo sicuro ed un felice sorriso.
Ero io.
“Accidenti.” rimasi senza parole. I nostri stili di disegno erano poco
differenti, ed insieme sembravano quasi un unico e solo disegno, fatto da due
sole mani.
“Adesso è veramente perfetto.” aggiunse Astrid, raggiante.
Le sorrisi a trentadue denti, annuendo.
Dopo di ciò staccai il suddetto foglio dal blocco e
glielo diedi.
“Perché?” fece Astrid, prendendolo in mano e fissandomi.
“Perché voglio che lo abbia tu. E poi, perché ho capito una cosa importante.”
“Qual è?”
“Ho capito che sei il mio ritratto perfetto, quello che aspettavo da mesi.”
Astrid mi guardò senza capire.
“In che senso?” chiese, alzando un sopracciglio con
aria interrogativa.
“Il ritratto perfetto, come lo chiamo io, è il soggetto perfetto per il
ritratto perfetto, per l'appunto.” Sorrisi, leggermente divertito dal mio gioco
di parole. “Ma soprattutto, è quello che riusciamo a disegnare senza alcuna
difficoltà, senza errori o cancellature e senza pensarci, come se ce l'avessimo
nel sangue. Ed è quello che non vorremmo mai smettere di disegnare. Beh, per
me, tutto questo sei tu.”
Astrid arrossì lievemente e sembrò essere rimasta senza parole.
“Disegnavo qualsiasi cosa da mesi, sperando che arrivasse,” continuò. “E poi
sei arrivata tu. La mia musa ispiratrice.. E molto, molto di più. Come potrò
mai ringraziarti?”
In un nanosecondo Astrid mi buttò le braccia al collo e mi baciò.
“Porterò quel disegno sempre con me.” disse. “Lo adoro ancora di più, ora che
so queste cose.”
“E' un modo per ricordarti sempre di me?” chiesi.
“Beh, non ho un bisogno di un disegno per ricordarmi di te.”
Le sorrisi, ricambiando il bacio.
“Giurami che rimarremo sempre insieme.” disse Astrid, fissandomi negli occhi.
Le scostai i capelli dagli occhi e dal viso, guardandola con intensità.
“Non lo giuro.” dissi serio, poi le sorrisi. “Te lo
prometto.”
***
Era quasi ora di cena. Astrid aveva finito il suo
turno pomeridiano con i bambini, per cui la stavo raggiungendo nella sala ampia
e circolare, per poi andare a cena insieme. Per quanto con quel cibo della
mensa si poteva cenare, naturalmente.
Camminavo nei corridoi con le mani sprofondate nelle tasche e fischiettando
allegramente, senza alcuna preoccupazione in testa.
Mentre imboccavo in un corridoio, mi scontrai con
l'ultima persona al mondo con la quale avrei voluto farlo. Chi se non Lucas?
Ero già pronto ad inondare la persona con cui mi ero scontrato con una valanga
d'insulti, quando vidi chiaramente chi era e mi bloccai, incerto sul da farsi.
Non era saggio, sapendo com'erano andate a finire le cose fra di noi.
Non era più la stessa cosa, senza Lucas. Certo, avevo
pur sempre Astrid e stavo benissimo con lei, ma non potevo metterli a
confronto, proprio perché i rapporti che avevo con entrambi erano
diversissimi.. giustamente, poi.
Lucas invece non sembrò pensarci più di tanto.
“Sempre in mezzo alle palle, eh, Reeve?” chiese, in tono non proprio
amichevole.
“Qualche problema, Smith?” chiesi di rimando, ma con
nessunissima voglia di litigare di nuovo con lui. Ci mancava solo quello.
“Nessuno,” rispose fissandomi, “e tu?”
Feci spallucce. “Neanche.” e feci per oltrepassarlo, per poter procedere lungo
il corridoio. Ma evidentemente Lucas non era del mio stesso parere: mi afferrò
la spalla con una mano, trattenendomi.
“In giro si sentono altre storielle su di te, Gabriel Reeve.” mi sussurrò con
aria suadente, vicino l'orecchio. “Oltre ad essere sempre in mezzo alle palle
riesci anche ad essere sempre sulla bocca di tutti, a quanto pare.”
Lo guardai con la coda dell'occhio, per quanto quella posizione me lo
permetteva. “Che tipo di storielle?”
Lucas fece una risatina. “Come, non sono ancora arrivate al diretto
interessato? Beh, comunque si dice in giro che tu abbia minacciato in qualche
maniera Seth Ryan ed i suoi compari..”
Tipico di Seth, sputtanarmi in giro e farmi passare per il cattivo della
situazione quando lui era nel torto marcio.
“E allora?”
“..senza che lui abbia fatto qualcosa.” finì Lucas.
“Cazzate!” ringhiai, sentendomi la rabbia esplodere dentro.
All'improvviso avevo una gran voglia di ridurre Seth a
pezzettini. Come diavolo si permetteva a dire certe idiozie?
“Ryan è solo un coglione, e pure bugiardo.” continuai.
Lucas mi mostrava il suo ghigno migliore.
“Fino a qualche tempo fa ti avrei dato retta; adesso non ne ho più voglia.”
disse.
Lo guardai e con uno strattone mi liberai dalla sua
presa sulla mia spalla. “Non me ne sarei comunque fatto un cazzo della tua
comprensione, Smith!”
Il ghigno divertito di Lucas, a quelle parole, scomparve del tutto.
“Come ti pare, Reeve. Sappi solo che, ad ogni modo, Ryan te la farà pagare. Io
ti ho avvertito. Ma sono cazzi tuoi, eh.” ribatté.
Feci spallucce. “Appunto.”
Lucas mi guardò scuotendo la testa.
“Quella donna ti ha proprio rovinato. Tu non
sei Gabriel.”
Lo guardai di rimando. “Che ti piaccia o no, questo sono io.”
“Non me ne importa più nulla di te, non l'hai ancora
capito?” disse Lucas, sprezzante.
Quell'affermazione mi colpì profondamente. Come poteva dirmi certe cose? Mi
sentii ferito. Rimasi in silenzio, non sapendo come rispondergli.
“Ah, Reeve. Dì alla tua donna di stare al posto suo..” continuò lui.
“Che vuoi dire?”
“Di..”
S'avvicinò al mio orecchio con aria cospiratrice.
“..di stare attenta perché Ryan e i suoi amiconi la spiano pure nei bagni
femminili.”
“Non dire.. stronzate!” gli urlai addosso.
“E' quello che ha detto lui, io che posso farci? Buona giornata, Reeve.”
Lucas sparì ridendo, lasciandomi solo in mezzo al
corridoio.
Vaffanculo sia a Seth, che a Lucas!
Ero furioso per tutte quelle cose, e anche se potevano
essere solo voci e bugie. Perché dovevano rovinare tutto? E se Lucas s'era
inventato tutto solo per ripicca? Ad ogni modo, era uno schifoso colpo basso.
Uno schifoso calcio nelle palle.
Non dovevano toccarmi Astrid, ma soprattutto ero
stanco di vedere il mio nome ricoperto di fango per l'ennesima volta,
soprattutto se di mezzo c'era quell'idiota di Ryan.
Era troppo.
Come una furia, quindi, mi avviai per la mia strada; ero talmente concentrato
sul lanciare maledizioni mentali a quei due deficienti che neanche mi accorsi
di scontrarmi di nuovo con una persona a metà corridoio. Questa volta, però, la
persona in questione era nientepopodimeno che Astrid.
“Gabriel!” esclamò, vedendomi. “Oh, sei tu.”
La guardai per un attimo: mi venne in mente quella notte in cui l'avevo trovato
a piangere dopo che era stata picchiata da Seth Ryan.
Lui doveva morire. A tutti i costi.
Dovevo avere una faccia alquanto strana, poiché Astrid chiese: “E' successo
qualcosa, Gabriel?”
Mi risvegliai dai miei pensieri omicidi e scrollai le spalle. “Andiamo.” dissi
solamente, ignorandola, voltandomi per ripercorrere la strada a ritroso.
Astrid non fiatò per tutto il tragitto e neanch'io dissi qualcosa, non
voltandomi neanche a guardarla. Ero incandescente dalla rabbia, sì, ma questo
non implicava prendersela con Astrid. Sapevo che lei non c'entrava nulla –
direttamente, almeno – ma ero troppo su di giri per preoccuparmi anche di
questo.
Quando io ed Astrid arrivammo nei pressi del
refettorio, lei mi si parò davanti, impedendomi di passare.
“Non sono stupida, Gabriel. Che diavolo è successo?” disse in tono deciso,
inusuale per lei, guardandomi negli occhi. Sapevo che aveva intuito qualcosa:
ma non volevo dirle nulla.
La guardai per un secondo solo. “Non capisco di cosa tu stia parlando..” dissi
indifferente, e feci per superarla.
Però Astrid mi fermò, così come aveva fatto Lucas, poco prima.
“Gabriel, ascoltami. Noi due stiamo insieme, no?”
La guardai. “Sì.” dissi semplicemente.
“Bene. Stare insieme significa fiducia, e rispetto! Perché non vuoi dirmi
nulla? Pensavo che ti fidassi di me.” disse.
“Questo è un altro discorso, Astrid. Non c'entra nulla.” mentii.
“Non ti sto chiedendo niente! Solo di dirmi perché stai male, dato che mi
preoccupo per te.”
Sembrava davvero preoccupata, ma volevo che capisse che non volevo parlarne.
Evidentemente, non capiva.
Continuai a guardarla senza sapere cosa dirle.
“Per favore.” aggiunse addirittura lei, con tono implorante.
Io scossi la testa. “Vuoi lasciare stare, Astrid? Per favore lo dico io.”
sbottai, sulla soglia del perdere la pazienza.
La superai, continuando a camminare; ma cambiai strada, invece di dirigermi al
refettorio a mangiare.
“Dove vai?” mi urlò dietro Astrid.
“Fuori.” risposi io, dirigendomi verso il solito
cortile.
Poco dopo, la vidi dietro di me.
Senza prestarle attenzione, mi sedetti sul mio caro e
solito muretto. Ero chiaramente nervoso e non volevo che anche questo mi
facesse litigare con Astrid; avevo solo bisogno di rilassarmi un po'. Certo, se
lei non avesse contribuito al mio nervosismo col farmi domande forse sarei
riuscito a calmarmi anche prima.
Come per magia, all'improvviso mi venne in mente che avevo un pacchetto di
sigarette nella tasca del giubbotto. Ne avevo proprio bisogno: erano ormai
settimane che non ne fumavo una. Senza Lucas, non era lo stesso.
Così recuperai il pacchetto di sigarette dalla tasca,
ne presi una e me la misi fra le labbra. Stavo cercando a tentoni l'accendino,
quando sentii Astrid sussultare, dietro di me. Mi voltai, curioso.
“Che c'è?” chiesi, facendo ballonzolare la sigaretta che avevo in bocca, ancora
spenta, mentre parlavo.
Lei sembrava sconcertata. “Tu.. fumi.” disse. Sbuffai silenziosamente: avrei
dovuto aspettarmi che non avrebbe potuto prenderla bene, lei. Non gliel'avevo
mai detto, effettivamente.
“Sì, fumo. E allora?” Mi accorsi di non aver usato un
tono troppo gentile. Mi voltai di nuovo e Astrid s'avvicinò al muretto.
“Ma non lo sai che fa malissimo, Gabriel? Accidenti! Fa malissimo a te, ma
soprattutto agli altri..” cominciò, partendo in quarta.
Mi voltai di scatto verso di lei. “Dannazione, Astrid, vuoi lasciarmi in
pace?”. Lo dissi evidentemente con troppo poco garbo.
Astrid si zittì all'improvviso, guardandomi sorpresa.
Mi levai la sigaretta dalla bocca per parlare meglio. “Da quando stiamo
insieme, non posso mai fare nulla! 'Non bere', 'Non rubare', 'Non
fumare'.. che cazzo, Astrid! Ho ancora la mia vita!”
Vomitai tutte quelle parole d'un fiato, sentendomi
improvvisamente meglio. Astrid rimase ancora immobile, muta. Sembrava avesse
inghiottito la propria lingua.
“E' come se non potessi più essere me stesso,” continuai, senza freno. “Non ho
mai detto di voler cambiare per te. Mai!” Non era proprio vero, ma non lo
dissi.
Mi parve che gli occhi di Astrid si riempirono di lacrime. Doveva essere solo
una mia sensazione. Per forza! Rimasi in silenzio a guardarla, non avendo altro
da dire, essendomi liberato – ma nonostante questo, sentendomi una brutta
sensazione addosso.
“Se le cose stanno così, allora scusami..” disse sarcasticamente lei,
“Ti lascerò essere te stesso, d'ora in poi.”
La sua voce tremava. Cosa intendeva dire?
“Avevo visto qualcosa di buono in te, Gabriel Reeve,” continuò, “forse mi sono
sbagliata.”
Rimasi in silenzio per un attimo, sentendomi improvvisamente vuoto. Senza
forze. Perduto. Che cazzo avevo fatto?! E cosa andava dicendo?
“Benissimo,” ringhiai invece, fissandola, e con un tono di voce davvero
spiacevole, “Sai quanto me ne importa? Devo solo scegliere la prossima tra le
tante ragazze che attendono pazientemente il turno!”
Appena finii di pronunciare la frase, la mano di Astrid schiaffeggiò la mia
guancia.
Rimasi fermo un attimo con la testa voltata di lato, lo sguardo basso, i
capelli a coprirmi gli occhi; e la guancia schiaffeggiata che ardeva.
Mi portai una mano sulla guancia dolorante, e quando rialzai lo sguardo su di
Astrid, vidi che lei piangeva: le lacrime le scendevano sulle guance rosee e la
sua fronte era corrugata in una smorfia di dolore.
“Non mi sbagliavo,” balbettò, asciugandosi poi la guancia con la manica della
maglietta, “sei solo come tutti gli altri. Non c'è niente di buono in te.”
Mi guardò per un attimo scuotendo la testa, poi girò sui tacchi ed attraversò
il cortile correndo. Senza parole, la fissai andare via finché non scomparve
dalla mia vista.
Con lo sguardo perso nel vuoto, e senza alcun pensiero in testa, mi misi di
nuovo la sigaretta fra le labbra – l'unico gesto sensato che mi venne in mente
in quel momento. Ma feci un verso di rabbia, la presi e la gettai a terra,
ancora spenta, mettendomi la testa fra le mani, sentendomi morire.
Perché?
Perché non ero capace di mantenere quelle cacchio di promesse? Avrei dovuto
saperlo.
La cosa più bella che mi era mai capitata era appena andata via. Ed era tutta colpa mia. Mia.
« And the wind is crying from
a love that won't grow cold.
My lover, she is lying on the dark side of the globe. If we could just
join hands.. »
Led Zeppelin, The Rover
Vivevo di sigarette e di guardare il soffitto.
Vivere?
No, piuttosto quello era vegetare. O ancora peggio, morire.
Nei giorni seguenti rimasi sempre barricato in camera
mia a fumare e a guardare il soffitto, sì. Maledette sigarette! Proprio loro,
erano riuscite a rovinare tutto.
Ma chi volevo prendere in giro? Io avevo rovinato tutto. Che senso aveva avuto trattare male Astrid, l'unica
che in quel momento avrebbe potuto farmi sentire meglio? Ero nervoso ed
arrabbiato; e lei era stata l'unica sulla quale avevo potuto prendermela per
sfogarmi e scaricare tutte le mie sensazioni negative. Era chiaramente stato un
terribile errore, e me ne ero pentito all'istante. Beh, forse non abbastanza
presto per evitare il disastro.
Forse aveva ragione Lucas. Le sue parole mi frullavano in testa.
'La farai solo soffrire!'
Ero un buono a nulla. Stupido, stupido!
Non avrei biasimato Astrid se lei non ne avesse più
voluto saperne di me.. era comprensibile, in fondo, per come l'avevo trattata;
anche se una piccola parte di me sperava sempre che non lo facesse, che
tornasse con me. Come si dice, la speranza è l'ultima a morire.
Morire.. già. L'unica cosa che avevo voglia di fare, dopotutto. Era incredibile
come avessi perso il mio unico amico e la mia ragazza, in pochissimo tempo. Ma
stava succedendo proprio a me? E perché, soprattutto?
Sospettai che fosse la punizione divina per tutto
quello che avevo fatto.
Il tempo passava più lento che mai, senza di lei. Andavo a mangiare quando già
tutti erano andati via, per non incontrare nessuno, accontentandomi degli
avanzi. Disgustosi avanzi. Bleah!
Per distrarmi provavo a disegnare qualcosa; ma ogni volta era sempre peggio
dato che aprendo il mio blocco da disegno rivedevo tutti quei disegni fatti da
me riguardanti Astrid. Così lasciai perdere definitivamente e rimasi a
crogiolarmi nel mio dolore.
Venne il sabato sera. Sarebbe stato più deprimente del solito: tutti sarebbero
stati fuori dall'orfanotrofio a divertirsi ed io lì dentro a marcire.
Dopo pranzo – ancora io non avevo mangiato, non ne avevo neanche voglia –
mentre mi annoiavo a morte, notai un rumore insolito provenire dalla porta
della mia stanza. Mi alzai a sedere sul letto, sul quale ero disteso, e notai
un fogliettino bianco fare capolino dall'altra parte della porta.
Rimasi a fissarlo per quella che mi sembrò
un'eternità, senza sapere cosa fare.
Poi, dopo aver deciso che avevo aspettato abbastanza
tempo, mi alzai e mi accucciai sul pavimento, accanto alla porta.
Presi il foglietto e lo spiegai.
« Caro Gabriel,
mi dispiace molto per quello è successo. Che ne dici
se proviamo a recuperare? Mi manchi molto. Ti aspetto alle nove di stasera al Coconut.
Ti prego di venire.
Con amore, A. »
A. A! A di Astrid! E con amore!
All'improvviso mi sentii subito meglio, con una gioia infinita nel cuore.
Allora non voleva rompere definitivamente con me, sarebbe riuscita a
perdonarmi, avremmo potuto tornare insieme! Qualsiasi altra ragazza, al suo
posto, mi avrebbe semplicemente mandato a quel paese. Ma lei no. Lei era
Astrid.
Il Coconut era il solito locale in cui, tempo prima, io e Lucas
passavamo i nostri sabati sera. Chissà come faceva a conoscerlo.. ma in quel
momento non m'importava. Astrid voleva vedermi, sì, ed ero sicuro che sarebbe
andato tutto alla grande. Mi sarei scusato e tutto il resto. Era incredibile
come avessi risolto già così in fretta.
***
Alle nove meno cinque di quella sera ero già al Coconut,
con il bancone di legno alle spalle, e lo sguardo che andava dalla porta alle
due parti della sala. Ero nervoso e tamburellavo le dita sul piano del bancone.
Come ogni sabato, lì dentro c'era l'ultimo pezzo della consueta musica dance
sparata a palla e l'aria nebbiosa a causa del fumo delle sigarette.
Il Coconut era un locale prevalentemente
notturno, frequentato da tutti i giovani adolescenti della zona nei fine
settimana. Infatti, quella sera, ragazzi e ragazze vestiti con i loro abiti più
belli dominavano la sala nell'aria centrale, ampia ma affollata, con cocktails
colorati in mano e con l'aria di chi si stava divertendo da impazzire.
Ridevano, ballavano tra di loro in maniera sensuale, si sfioravano, alcuni si
baciavano o s'abbracciavano. Da una parte del locale, a destra, c'erano i
bagni, frequentati praticamente solo da ragazze, le quali si rifacevano il
trucco o parlavano di chi aveva baciato chi, scandalizzandosi o facendo solo
delle scrollate di spalle. A sinistra, invece, c'era un piccolo tavolo da biliardo,
dove i ragazzi facevano a turno per una partita ed intanto parlavano su chi
aveva portato a letto chi, vantandosene e prendendosi in giro.
Le luce in quel locale era praticamente inesistente:
dominava la semi oscurità, ogni tanto spezzata da qualche sprazzo di luce
stroboscopica colorata, a ritmo di musica.
Io invece mi guardavo intorno ogni cinque minuti, non
vedendo l'ora di veder spuntare da quella folla Astrid, col suo dolce sorriso e
i capelli biondi.
Ero talmente concentrato a figurarmela dentro la testa, che non mi accorsi che
qualcuno s'avvicinò a me, parlando.
“Ehi, Gabriel,” disse la voce, mettendomi una mano sulla spalla. Mi risvegliai
dai miei pensieri e mi voltai verso la voce, per poi sobbalzare in aria.
“Amanda?” chiesi, scandalizzato.
Amanda, con i suoi capelli color mogano e i suoi occhi scuri, mi sorrideva
amabilmente.
“Ciao.” ripeté, esibendo un sorriso a trecentomila denti.
“Che cosa ci fai qui?” chiesi, fissandola.
Lei si mise le mani sui fianchi. “Come, cosa ci faccio qui?”
“Beh, sì! Sto aspettando una persona.” le dissi, il più gentilmente possibile,
distogliendo lo sguardo da lei.
Amanda fece una risata. Mi voltai di scatto verso di lei, fulminandola.
“Lo trovi divertente?” le chiesi, eliminando del tutto il tono gentile che avevo
cercato di utilizzare prima. Amanda rise ancora un po', poi mi guardò dritto
negli occhi.
“Ti è piaciuto il mio biglietto, no?” chiese, ridendo.
Rimasi paralizzato, in silenzio, a guardarla. Oh no.
“B-biglietto?” balbettai a bassissima voce.
“'Ti prego di venire.. Con amore, A.'” recitò lei. “A di Amanda, naturalmente.”
Non c'erano dubbi. Quel biglietto era da parte sua:
altrimenti non avrebbe mai saputo cosa diceva. E io che mi ero illuso che fosse
da parte di Astrid! Ecco cos'ero: un povero illuso.
“Naturalmente.” ripetei, rivolgendole un sorriso
forzato e voltandomi dall'altra parte per evitare di guardarla.
Ma Amanda non si arrese: si spostò lei, in modo da non sfuggire al mio sguardo.
“Cosa c'è, Gab? Avevi forse.. scambiato quel biglietto per quello di qualcun
altro?” disse, con voce maliziosa.
Gab? Ridicolo. E poi,
possibile che lo sapesse? No.
“Certo che no.” risposi invece, gonfiandomi d'orgoglio.
Amanda mi fece un bel sorriso. “Sono davvero felice che tu sia venuto, allora.”
La guardai senza poter replicare, con una voglia di spaccarmi la testa al muro.
“Beh?” incalzò invece lei, “Non dici niente?”
Si avvicinò, guardandomi ancora. Deglutii, non sapendo che dire.
“Di niente.” dissi allora, sentendomi proprio un cretino.
Lei sorrise come se le avessi fatto il più bel complimento del mondo. A quel
punto avevo voglia di scrollarmela di dosso: stare con Amanda, contando persino
quel che era successo fra di noi, era l'ultima cosa di cui avevo voglia.
Allora senza dirle nulla mi allontanai dal bancone, lasciandola lì, e mi
avvicinai a dei grandi puff colorati sul fondo della stanza. Chissà dov'era
Astrid in quel momento, mentre io ero lì con quell'arpia.. maledizione!
Amanda mi seguì subito, prendendo posto nel puff
accanto al mio. Eravamo parecchio vicini: non c'era poi tanto spazio tra un
puff e l'altro. Attorno a noi coppie di ragazzi parlavano a voce bassa per
avere un po' intimità, mentre un gruppo chiassoso di soli uomini faceva
scommesse su chi beveva più birra. Io guardavo altrove, deciso a non calcolarla
neanche; ma evidentemente lei non era del mio stesso parere.
“Allora, Gabriel! Che mi racconti? Come sei taciturno, stasera!” esclamò, tutta
allegra.
Mi voltai di scatto verso di lei, un tantino irritato. “Io non sono taciturno.”
dissi soltanto.
Lei fece una risata. “Oh, è solo che hai una faccia! Il muso ti arriva alle
ginocchia, sul serio. Sorridi, e..”
Alzai gli occhi al cielo, non curandomi di nasconderlo. “Ascolta, Amanda. Che
cosa vuoi? Dimmelo chiaramente, così la facciamo finita e non mi fai perdere
tempo.” sbottai, interrompendola e rivolgendole uno sguardo gelido.
Smise all'improvviso di avere quell'espressione
angelica e divertita.
“Oh, Gabriel, andiamo.. Io volevo solo recuperare quel che c'era fra noi due.
Lo sai.” disse.
Feci una risata sprezzante. “Non c'è mai stato niente,
fra noi due. Era solo una notte di sesso, mi pareva d'esser stato chiaro.”
Amanda rimase in silenzio, così continuai: “E poi ho
la ragazza, adesso.”, sperando di averle dato il colpo di grazia.
Lei fece un'ennesima risatina. “Che strano. Il tuo amico Lucas Smith mi ha
detto che le cose tra te e quella biondina non andavano molto bene.”
“Lucas Smith non è amico mio.” ringhiai a denti stretti.
“Come fai a stare con quella lì?” riprese Amanda, con
un accenno di disprezzo nella voce, “Ha tanto l'aria da.. da santa!
Siete così diversi che secondo me non siete fatti l'uno per l'altra.”
“Tu non la conosci.” dissi soltanto, irritato dal fatto che si parlasse di
Astrid, soprattutto in quel modo. E poi, come faceva Lucas a sapere che io ed
Astrid avevamo litigato e che c'eravamo lasciati? E da quando in qua parlava
con Amanda? Stentavo a riconoscerlo, ormai. E forse anche lui pensava lo stesso
di me.. In quel preciso attimo sentii una fortissima nostalgia di lui.
“Non m'importa di lei, comunque..” riprese Amanda.
Ritornai a guardare altrove, escogitando un modo per
levarmela dai piedi al più presto possibile. Un malore improvviso? Cos'altro?
“..ma m'importa di te, Gabriel Reeve.”
Sentii la mano di Amanda posarsi sul mio mento e voltarmi delicatamente la
testa verso di lei. A quel punto i miei occhi incrociarono i suoi e ci fissammo
per qualche istante. La guardai. Beh, Amanda era frivola e superficiale, ma era
bella. Non quanto Astrid, ma lo era. I suoi occhi marroni erano valorizzati
dall'ombretto celeste sulle palpebre e dal mascara; e le sue labbra erano
colorate di rosa con un lucidalabbra, probabilmente uno di quelli alla frutta.
Indossava un paio di semplici jeans e, nonostante il freddo, una leggerissima
maglia di cotone dello stesso colore dell'ombretto. I bei capelli lisci e scuri
erano lasciati liberi sulle spalle.
“Guardati.” continuò lei, ridestandomi dai miei
pensieri. “Sei un ragazzo mozzafiato: bello, intelligente e con del talento.
Vale davvero la pena stare male per qualcuna che non se n'è accorta? Al posto
suo io non t'avrei lasciato scappare.”
Non risposi, continuando a guardarla. Amanda si fece sempre più vicina mentre
parlava.
“Hai bisogno di qualcun altro, secondo me.” Continuò sorridendo con fare
ammaliante. “Qualcuno che capisca davvero il tuo valore. Qualcuno che sia in
grado di farti stare bene, e di essere in grado di amarti sul serio.”
La sua voce era calda e suadente, e le sue labbra
s'incurvavano in un sorriso seducente. Ascoltai con attenzione, e dopo di ciò
risi, divertito. “Qualcuno.. tipo te?” chiesi.
“Parlavo esattamente di me.”
Amanda prese a baciarmi sulle labbra.
Chiusi gli occhi, lasciandola fare, e chiudendo la mente a tutto il resto. Le
labbra di Amanda erano dolci e soprattuto erano decise: si orientavano con
estrema tranquillità fra le mie. Per un attimo pensai a quando Astrid mi
baciava, a quant'era indecisa e forse un po' inesperta nel farlo; ma era dolce,
dolcissima, ed indispensabile..
Oddio. Astrid. Astrid! La ragazza che amavo.
Cosa avrebbe pensato se in quel momento mi avesse visto mentre un'altra ragazza
mi baciava? Stavo sbagliando: avrei dovuto allontanare Amanda dicendole che non
provavo niente per lei, che non aveva alcuna possibilità con me perché ero
innamorato di un'altra; ma in fondo io ed Astrid non stavamo più assieme da
giorni ed ero in astinenza da parecchie settimane ormai..
Pensai alle cose orribili che Astrid m'aveva detto
quell'ultima volta, e a quel punto ricambiai il bacio di Amanda, ficcandole la
lingua in bocca e mettendole una mano fra i capelli, attirandola a me. I suoi
capelli facevano un bellissimo profumo. Ci baciavamo con parecchio trasporto,
ma non sentivo praticamente nulla, se non la musica assordante che mi trapanava
le orecchie. Non era come quando Astrid mi baciava. Non sentivo quei brividi,
quel batticuore, l'arrivo incipiente di una sincope, quel turbinio di
sensazioni.. Solo il nulla.
Il nulla che sentivo dentro di me prima che lei arrivasse nella mia
vita. Quel nulla che oramai ero diventato, ma che lei era riuscita a
spazzare via, facendolo diventare qualcosa.
Per non parlare del suo viso in lacrime che mi
spuntava dentro la testa.. era come se il mio corpo fosse lì, seduto su un puff
colorato di un locale affollato e rumoroso a baciare una bella ragazza senza il
minimo scrupolo, e la mente fosse altrove, pensando a tutt'altro, chiedendosi
cos'era giusto ma difficile e sbagliato ma facile.
Fino a poche settimane prima non avrei mai ragionato
in quel modo: non mi sarei neanche sognato di pormi degli scrupoli nel baciare
una ragazza; e nel farlo non avrei mai pensato a qualcun'altra, ma
semplicemente avrei pensato a come passare alla cosiddetta fase successiva.
La mia coscienza si ridestò all'improvviso e mi
scostai leggermente da Amanda, sentendomi le labbra un po' appiccicose per
colpa del suo lucidalabbra – alla fragola, adesso ne ero sicuro.
“No, Amanda, senti, sto..” iniziai con voce rauca.
..commettendo uno sbaglio, avrei voluto dire.
Ma senza darmi tempo di parlare, Amanda riprese a baciarmi.
“Gabriel,” la sentii dire fra un bacio e l'altro, “ho
una voglia pazzesca di te. Ti prego..”
Ero davvero in astinenza da parecchie settimane e,
com'è risaputo, la carne è carne e non ci si può far nulla. Non la respinsi
più, sentendomi parecchio accaldato ed eccitato all'idea, mentre una mano di
Amanda s'insinuò sotto la mia maglia, carezzandomi dappertutto.
Con un sospiro, la raggiunsi e la fermai.
“Non mi sembra molto saggio farlo seduti su un puff di un locale pieno di
gente.” dissi, riaprendo gli occhi per guardarla.
Mi guardò per qualche attimo, tolse la mano dal mio petto e si alzò, annuendo.
“Andiamo fuori.” disse. “Così staremo più tranquilli.”
Mi alzai anch'io ed uscimmo fuori dal locale. L'aria
fresca mi colpì come un pugno in faccia ma non mi rinfrescò i bollenti spiriti;
anche perché non appena mettemmo piede fuori, Amanda riprese a baciarmi, ancora
più di prima. Mi abbracciò per le spalle, mentre le mie braccia erano attorno
alla sua vita. Senza neanche vedere dove andavamo, ci infilammo in una stradina
adiacente al locale, lasciandoci dietro la confusione e quella odiata musica.
La stradina era buia e – soprattutto – isolata. L'appoggiai al muro della
strada, mentre i baci erano diventati interminabili.
Questa volta l'accarezzai io sotto la maglietta, per poi
baciarla diverse volte sul collo. Amanda inclinò la testa da un lato,
sospirando profondamente ed insinuando a sua volta le sue mani sotto la mia
maglia, mentre la baciavo.
“Gabriel..” sussurrò vicino al mio orecchio.
“Cosa?” sussurrai di rimando, senza attenzione, occupato a fare ben altro che
ascoltare.
“Io ti amo.”
Fu come un fulmine a ciel sereno.
Mi amava?
Ma che andava blaterando?
Nessuno me l'aveva mai detto, prima d'allora, e di certo non mi sarei mai
aspettato che la prima a dirmelo fosse stata una delle mie tante compagne di
sesso, specialmente Amanda. Sapeva che io non l'amavo: ma si accontentava di
essere usata in quella maniera pur di stare con me. In quel momento fu come se
il cuore mi si fermò, e mi sentii schifosamente in colpa. Non avevo mai pensato
che Amanda avesse potuto essere realmente innamorata di me: ero talmente
concentrato su me stesso che non avevo mai riflettuto su quel che lei faceva o
diceva nei miei riguardi.
Pensai di nuovo ad Astrid. Pensai a come Amanda aveva dovuto spaventarla quella
notte; così decisi di vendicarmi nei confronti di Astrid per come mi aveva
trattato – stando con un'altra, proprio Amanda, per ripicca – e di
vendicarmi anche nei confronti di Amanda – usandola strafregandomene dei suoi
sentimenti, come vendetta di quel che aveva fatto ad Astrid.
“Non dire..” la baciai ancora qualche volta sul collo,
“..cazzate, Amanda.”
Con un solo gesto armeggiai con la chiusura dei suoi jeans, facendo per
sbottonarglieli.
Poi però le cose cambiarono.
“Rilassati, Reeve.” disse una voce alle mie spalle. “Ne hai bisogno.”
Mi fermai all'improvviso e mollai Amanda, voltandomi di scatto, mentre sentivo
il sangue ghiacciarsi nelle mie vene. Davanti a me c'erano Seth Ryan, il suo
compare ed un altro ragazzo alto con un orecchio di brillante: davvero
all'ultimo grido.
“Che cazzo vuoi, Ryan?” dissi, evidentemente irritato.
Lui rise. “Te l'ho detto di rilassarti, Reeve.. E dillo anche alla tua
amichetta lì.”
Mi voltai verso Amanda. All'improvviso piangeva e si abbracciava da sola. Non capii.
“Mi dispiace, Gabriel..” mormorò fra le lacrime, guardandomi implorante, “mi
dispiace tanto..”
Mi voltai di nuovo verso Seth, guardandolo. “Che diavolo significa?”
Rise di nuovo, evidentemente con gusto. “Non è stato difficile convincerla.”
disse. “Temo sia davvero innamorata di te, per questo non ha avuto problemi con
quella tua biondina lì, l'altra notte. Forse era gelosa.”
Dopo quelle parole, collegai tutto. Era una trappola. E come aveva detto Lucas
– caro Lucas – quella era la vendetta di Ryan. Possibile che fossi stato
così cretino da cascarci con tutte le scarpe? Sì: era possibile.
“Non è forse vero, Amanda?” continuò. Lei di tutta risposta singhiozzò e si
mise ginocchioni a terra.
“Tra l'altro,” riprese Ryan, “quella bionda è una bomba. Sul serio. Dico bene,
Reeve? Almeno hai buon gusto.. è stato veramente un peccato martoriare quel
povero visino così bello, l'altra notte, me ne rendo conto. Qualche volta
dovresti prestarmela.. Anche se non sarà molto felice di sapere quello che
stavi facendo con Amanda.”
Lo guardai, sprizzando odio da tutti i pori della mia pelle. “Fottiti, Ryan.”
Lui rise. “Sii gentile con me, Reeve!”
“Perché, se no che mi fai?” incalzai. Ormai non avevo più nulla da perdere,
così decisi di rischiare. “Picchiami pure, se vuoi. Ma prima.. lasciala andare,
e lasciala in pace, d'ora in poi.” continuai, indicando con l'indice Amanda,
piangente e gemente per terra.
Lei alzò all'improvviso lo sguardo su di me, sorpresa.
“Volentieri,” disse Seth facendo spallucce, “ormai non
mi serve più. Sono arrivato a te ed era questo quel che volevo.” Poi si rivolse
ad Amanda. “Vattene.” le disse, secco.
Lei si alzò in piedi, ancora tremante, mi rivolse un'ultima occhiata e scappo'
via dalla stradina prima che glielo potessero ripetere un'altra volta.
Dopo di ciò guardai Seth, sospirando.
“Avanti, comincia.. così finiamo prima.” dissi.
Lui fece un ghigno. “Non vedo l'ora, ti dirò. Non fai tanto il furbo ora che
non hai più un coltello fra le mani, eh?” disse. Batté un pugno sul palmo
dell'altra mano, come se si stesse preparando.
“Adesso, Gabriel Reeve,” sussurrò ancora lui, “ti farò rimpiangere di avermi
minacciato, di avermi picchiato, di aver rotto il setto nasale al mio amico e
ti farò rimpiangere persino d'essere nato, vedrai.” Aveva ragione. Desiderai di
non essere mai nato, mentre i tre s'avvicinavano a me, circondandomi.
E poi, il buio.
« Oh please, don't tease me. You know it hurts so much:
C'mon and squeeze me, you know I need your tender touch. »
Led Zeppelin, Love Me Like a Hurricane
Non versai neanche una lacrima.
La prima volta che picchiai Seth Ryan, mi implorò di lasciarlo andare e si
lamentò parecchio, piagnucolando. Ero troppo orgoglioso per fare qualcosa del
genere, e mi morsi la lingua per non emettere un solo suono e per frenare il
dolore. Dopo un po' smisi persino di difendermi. Tre contro uno. Io ero forte,
sì, ma oltre ad essere sleale, era praticamente impossibile riuscire a
difendersi, essendo in netto svantaggio numerico.
Per non parlare del dolore che provavo..
..e non parlavo solo di un dolore fisico, purtroppo.
Com'ero potuto essere stato così terribilmente idiota?
Ritornai all'orfanotrofio molto tardi, ma nessuno si
accorse di me. Mi trascinai fino alla sala comune, buia e vuota, sedendomi con
difficoltà su una delle panche colorate. Avevo la maglietta sporca di sangue ed
il taglio sulla tempia sanguinava ancora e pulsava pericolosamente. Mi sentivo
tutto indolenzito; ed ero sicuro di essermi procurato un paio di ematomi un po'
ovunque. Avevo anche il fiato corto, per tutti i colpi subiti.
Mi misi una mano fra i capelli, scombinandomeli. Cosa
avrebbe pensato Astrid di me? Sarebbe ritornata? Mi facevo schifo per quel che
avevo fatto nei confronti di Amanda; ma a lei ci avrei pensato dopo. Astrid,
lei era la priorità più importante.
Mi veniva quasi da piangere.
Io, piangere? Mi proibivo da solo di farlo. Ero forte,
io, un duro, come mi diceva sempre Astrid..
Ma per quanto potessi fermarle, le lacrime scesero da sole. Mi appoggiai una
mano appena sopra gli occhi e decisi che, dato che le prime lacrime erano già
scese, tanto valeva che lasciassi scendere pure le altre. Piansi, mordendomi le
labbra per non fare alcun rumore, ma sobbalzando ogni tanto per via dei
singhiozzi che cercavo di frenare. Forse una delle cose più brutte per un
ragazzo era questa: mostrare il proprio lato più fragile, piangendo. Ma a me in
quel momento non importava un fico secco.
Quando mi sembrò di aver esaurito le lacrime, trassi
un lungo e profondo respiro, calmandomi un po'.
“Gabriel? Mio Dio, sei tu?”
Mi spaventai e di scatto levai la mano dagli occhi,
sbarrandoli. Dovetti sbatterli un paio di volte, prima di riuscire a vedere
chiaramente – nonostante ci fosse buio.
“Chi sei?” chiesi, accorgendomi di avere la voce intrisa di pianto. Mi schiarii
la gola quando nel frattempo sapevo già a chi appartenesse quella voce, ahimè.
La luce della luna proveniente dalle finestre investì il corpo di Astrid, la
quale si era avvicinata a me. Non appena la vidi, il mio cuore di sciolse. Fu
come essere tornato a casa dopo anni d'assenza.
“Astrid,” dissi di getto, “ti prego, ti supplico.. abbracciami..”
Allungai entrambe le braccia verso di lei, guardandola
con fare supplichevole, ed imponendomi fermamente di non piangere un'altra
volta.
Astrid, bella da sembrare irreale, mi guardò per degli attimi interminabili,
come se stesse valutando la mia offerta. Poi però s'avvicinò e mi abbracciò,
mettendomi entrambe le braccia attorno alle spalle. Nascosi il viso fra i suoi
capelli, respirando a fondo il suo profumo.
“Mi dispiace,” le dissi, con voce attutita. “mi
dispiace immensamente per tutte quelle cose orribili.. Io.. Non avrei dovuto
dirle, ero solo arrabbiato e non ci ho capito più nulla..”
Mi sembrò che Astrid annuisse, e che mi stringesse di
più a sé. Rimanemmo qualche secondo immobili ad abbracciarci, in silenzio, poi
lentamente mi scostai da lei. Eravamo molto vicini.
“Cristo,” esclamò all'improvviso Astrid, guardandomi e sfiorandomi quasi
impercettibilmente la guancia. “Gabriel, ma tu sei.. Sei ferito..”
“Si nota?” chiesi sarcasticamente, abbassando lo sguardo sulla sua mano, per
poi stringerla con la mia. “Questo è il prezzo da pagare dopo aver difeso
giustamente qualcuno a cui tengo particolarmente.”
Sentii Astrid trattenere il respiro. “Che cosa?! Non mi dire che è stato
quell'orribile ragazzo, no..”
Annuii. “Mi secca ammetterlo, ma è stato lui, già. Ha avuto la sua vendetta,
dopo che gli ho pacificamente consigliato di starti lontano.”
Il discorso del pacificamente era molto relativo,
naturalmente.
Lei si morse il labbro inferiore con fare
dispiaciutissimo. “E' tutta colpa mia.” disse solamente, e com'era prevedibile.
Scrollai le spalle. “Avrei scommetto che tu l'avessi
detto.. e, no, non è colpa tua. Io e Seth Ryan siamo nemici giurati, e le cose
tra noi sono sempre andate così.”
Calò un silenzio spiacevole. Astrid abbassò lo sguardo sulle nostre mani,
strette l'un l'altra, continuando a mordersi le labbra. La guardai
attentamente. Sembrava tanto triste, e il pensiero di averla tradita mi fece angosciare
terribilmente, molto di più adesso che ero proprio accanto a lei. Lei, già,
così onesta e gentile, così maledettamente perfetta che me l'avrebbe
detto, se avesse fatto qualcosa di simile. In più, la mia coscienza – ebbene
sì, l'avevo anch'io – mi torturava terribilmente: non volevo mentirle, non
volevo che stesse male. Non volevo più che soffrisse per causa mia.
Presi fiato ed esordii: “Ho baciato Amanda.”
Eccolo lì. Il mio segreto sputato, rivelato, proprio davanti a lei. Le strinsi
la mano più forte, quasi stritolandola. “Non mi sono affatto comportato bene
con te, Astrid. Ti ho trattato male, e mi dispiace. Non lo meritavi, e lo sai
quanto io tenga a te. E poi, proprio quando mi mancavi così tanto.. ho baciato
Amanda. Non so cosa mi sia passato per la testa. So solo che, nonostante tutto,
non riuscivi ad uscire dalla mia testa..”
Presi fiato per continuare, ma Astrid m'interruppe, poggiando il suo dito
indice sopra le mie labbra, impedendomi di parlare.
“So tutto, Gabriel.” disse in tono secco.
“Eh?” mugugnai, confuso.
Astrid levò il suo dito dalle mie labbra e sorrise appena. “So tutto. Quella
ragazza, Amanda mi sembra, mi ha parlato e mi ha detto cosa quel tizio, Ryan,
le ha imposto di fare. L'ha minacciata.” continuò. “Ti ho messo alla prova, volevo
vedere cosa mi dicessi.. le tue parole mi hanno fatto capire che sei sincero.
Sei perdonato.”
Mi sorrise più dolcemente. Non potevo crederci!
“Accidenti.” commentai, incredulo. Dopo una breve pausa, ripresi: “Mi ricordo
le tue parole, Astrid. Stare insieme significa fiducia. Tu ti fidi ancora di
me?”
Lei mi guardò intensamente. “Sì. Certo, quel che hai fatto è stato bruttissimo,
ma.. mi piaci talmente tanto e mi sono accorta che non riesco a stare senza di
te, che.. beh, io metto tutto da parte, per te.”
Dopo aver immagazzinato il senso di quelle splendidi parole, le sorrisi a
trentadue denti, sentendomi la gola secca.
“Vuoi ricominciare tutto daccapo?” chiese lei.
“Tutto daccapo, vuoi scherzare?” dissi ridendo. “Preferisco continuare da
dov'eravamo rimasti..”
Mi avvicinai per baciarla ma lei si alzò, prendendomi le mani e portandomi con
sé.
“Io non bacio chi sanguina, al momento,” disse, “su,
vieni, così ti restituisco il favore dell'altra volta.”
E mi sorrise.
***
Ancora una volta, fu come se mi risvegliassi da un brutto, bruttissimo incubo.
Amanda non mi rivolse più la parola, Ryan aveva avuto la sua vendetta e quindi
mi lasciava in pace, Lucas continuava ad ignorarmi.
Ma avevo Astrid di nuovo con me, cos'altro avrebbe
potuto importarmi? Perché avrei ancora dovuto star male? Lei era tutto.
Parecchio sdolcinato, okay, ma autentico.
Io ed Astrid passavamo i nostri pomeriggi in cortile, all'ombra di un salice
piangente piuttosto rigoglioso. Fuori faceva freddo, poiché l'inverno
s'avvicinava – ma bastavano delle sciarpe di lana e dei vecchi cappelli per non
sentirlo più.
Mi appoggiavo di schiena al tronco dell'albero e lei s'appoggiava a me, la sua
schiena contro il mio corpo.
Aveva con sé dei vecchi libri e me li leggeva. Quel pomeriggio, teneva fra le mani
un libricino rilegato da un tessuto verde e con su stampati dei caratteri
d'oro. Mi leggeva mille e una notte, facendomi immergere perfettamente
in quelle avventure fiabesche con la sua voce soave e coinvolgente.
“Fine del capitolo.” disse, chiudendo con un gesto
secco il libro e posandoselo sul petto. Io non potevo guardarla in viso, ma
avevo una sua ciocca di capelli fra le dita, e ci giocherellavo
attorcigliandola nelle dita per poi srotolarla, in una sorta di circolo
vizioso. Quel gesto era diventato un vizio per me piacevole e rilassante. Stavo
imparando a sostituirlo alle sigarette, che mi ero ripromesso di non toccare
più.
“Uffa, e devo aspettare domani?” mi lamentai con tono
scocciato.
“Mi pareva che i patti fossero questi!” ribatté lei ridendo. “Un capitolo al
giorno.”
“E va bene.” mi rassegnai, seguendo con lo sguardo i miei movimenti nei suoi
capelli. Ci fu qualche attimo di silenzio.
“Però, mi piace parecchio questa principessa..” commentai, “com'è che si
chiama?”
“Shahrazàd” rispose lei.
“Ecco, sì. Ti somiglia, sai, Astrid?”
Lei sollevò la testa per guardarmi. “Eh? Che dici?” chiese sbigottita.
“Ma sì, in un certo senso. A parte il fatto che tu per me sei davvero una
principessa..”
Lei fece una risata. “Come no!”
Annuii con convinzione. “Giuro! E poi, in questo momento, anche tu sei un po'
come Shahrazàd, no? Mi trattieni ogni volta e m'impedisci di arrivare subito al
capitolo successivo.. un po' come lei intratteneva il re ogni notte.”
Astrid rimase in silenzio per un bel pezzo, come se ci
stesse pensando su. “Bel ragionamento, Gabriel. Mi piace, tra l'altro, essere
paragonata a lei. E' il mio libro preferito.”
“Beh, grazie! Non so neanche da dove mi sia uscita, però. E poi sono sicuro che
anche tu sei bella ed intelligente come lei.. per non parlare del nome
particolare, tra l'altro. Lo avete entrambe.”
Rise. “Giusto.” commentò, poi s'appoggiò meglio con la testa al mio petto,
appoggiando accanto a sé il libricino. Sospirai profondamente mettendole un
braccio attorno alla vita e l'altro ancora fra i suoi capelli biondi.
La vidi chiudere gli occhi.
“Sai una cosa, Gabriel?” disse lentamente.
“Cosa?”
“Sento il tuo cuore, così..”
Mi accorsi che era proprio vicina alla parte sinistra del mio petto e che
quindi doveva sentire il battito del mio cuore. Speravo solo che in quel
momento non accelerasse tutto d'un colpo.
“E' tuo, ormai.” dissi all'improvviso, puntando lo
sguardo su un ramo del salice piangente, che ondeggiava leggermente al primo
soffio di vento.
“Che cosa?”
“Il mio cuore.. è tuo.”
Ci fu silenzio per qualche secondo.
“Gabriel..”
Sollevò nuovamente il viso verso di me e le nostre labbra s'incontrarono.
Inevitabilmente, il mio battito cardiaco accelerò. La baciai dolcemente e lei
ricambiò, senza alcuna esitazione, non più come prima. Sembrava che ormai si
fidasse completamente di me.
Quando ci staccammo, la guardai intensamente in quegli occhi color cioccolato.
Era quello il momento. Era già un po' di tempo che ci
pensavo ma non avevo mai avuto alcun coraggio di dirglielo: non sapevo precisamente
perché, forse per paura, forse perché era la prima volta.. per me.
Le parole morivano lì, in gola, e non risalivano più
su, rimanendo incastrare. Ma io, accidenti, lo sentivo, lo sentivo.. E volevo
che lei lo sapesse. Doveva saperlo.
“Astrid,” esordii, sorridendo. “Io..”
Lei sbatté le palpebre e rimase a fissarmi, con le labbra leggermente socchiuse
ed incurvate in un delizioso sorriso. “Dimmi..”
Non smettendo di fissarla negli occhi, e trovando i miei riflessi nei suoi,
presi a giocherellare quasi freneticamente con una sua ciocca di capelli,
mentre temevo che il cuore fosse schizzato via dal petto, superasse Astrid e
prendesse la propria strada. Io, il duro della situazione, il ragazzo senza
macchia e senza paura.. che si trovava in difficoltà nel pronunciare due
semplici paroline.
Ma gli occhi di Astrid mi oltrepassavano da parte a
parte e sembravano leggermi dentro. Deglutii rumorosamente, sentendomi
ridicolo. Ti amo, non è poi così difficile! Non mi mangiava mica!
Era vero, erano solo due paroline, ma due parole significative, impegnative,
importanti. Sospirai ed aprii le labbra, pronto a pronunciarle. Dovevo dirle
quello che provavo veramente.
“..io sono felice di essere qui con te, Astrid.” dissi alla fine.
Assolutamente patetico! Quant'ero deficiente? Non ce l'avevo fatta neanche
quella volta. Mi sentivo un ragazzino inesperto ed idiota; e forse lo ero,
dopotutto.
Lei sorrise. “Anch'io, Gabriel. E tanto.”
Avrei voluto che questo anch'io corrispondesse a ben
altro.
Sorrisi di rimando, ma avrei voluto appallottolarmi a palla da solo e lanciarmi
dritto dritto nel cassonetto della spazzatura. La strinsi a me e la baciai di
nuovo – forse per soffocare quella minima dose di imbarazzo – dicendomi che,
prima o poi, glielo avrei detto.
Forse non c'era bisogno di affrettare le cose, o forse
non c'era neanche bisogno di parlare
grazie a quelli che mi seguono :)
leggete anche la mia one-shot, "pelle". click qui!
« All I need from you is all your love, all you got to
give to me is all your love.
I'm so glad I'm living and gonna tell the world I am,
I got me a fine woman and she
says that I'm her man.
One thing that I know for sure gonna give her all the loving
like nobody, nobody, nobody, nobody can. » Led Zeppelin, Out of the Titles
“Potresti evitare di muoverti?!”
Sala comune.
Il cielo era plumbeo e pioveva incessantemente da
un'oretta – la pioggia batteva sul vetro delle finestre, riempendole di
goccioline. L'inverno sembrava finalmente essere arrivato.
C'era freddo nelle sale e nei corridoi, perché i riscaldamenti si erano rotti
proprio quando si era provato ad accenderli. Brutta e maledetta topaia.
Per ingannare il tempo, io ed Astrid eravamo andati in
sala comune assieme ad un mucchio di ragazzi e di marmocchi, e stavo provando a
farle un ritratto. Ma lei, purtroppo, non riusciva a stare ferma per più di un
secondo.
“Non è colpa mia,” si giustificò lei ridendo, “Hai una faccia buffissima mentre
disegni!”
Non riusciva a trattenersi dal ridere. Feci una smorfia scocciata, scuotendo la
testa con disapprovazione.
“In questo modo manchi di professionalità e mi offendi, Halls. La mia faccia ti
fa ridere?”
Continuò a ridacchiare senza alcun ritegno. “Uh.. sì!”
La guardai: era così bello vederla spensierata ed allegra, mentre rideva.
Ma decisi di non dargliela vinta ancora.
“Sei davvero offensiva! Se le cose stanno così, me ne vado.”
Mi alzai dalla panca, facendo per andarmene.
Lei scosse la testa e mi afferrò la manica della
maglietta, mentre le sue risate s'affievolivano.
“Dai, Gabriel, scherzavo! Non andare via.” disse.
“Ci devo pensare..” risposi esibendo una faccia pensierosa, ma dopo meno di un
minuto mi sistemai dov'ero seduto prima.
Dopo di ciò le feci una linguaccia, e lei mi sorrise
amabilmente.
“Okay,” dissi chiudendo il mio blocco da disegno, “lasciamo perdere. Però mi
piacerebbe mostrarti qualcosa.”
Lei fece un'espressione incuriosita. “Cosa?”
Mi alzai di nuovo. “Vedrai.” e le offrii la mia mano.
Lei la prese e si alzò, ed insieme uscimmo dalla sala
comune avviandoci nel corridoio, seguiti da alcuni sguardi.
Camminammo per il corridoio dei dormitori maschili in silenzio, finché non
entrammo nella mia camera. Mi chiusi la porta alle spalle con un tonfo.
“Allora, cosa devi farmi vedere?” incalzò lei.
Mi avvicinai alla scrivania impolverata. Ormai era perennemente così. Temevo
che prima o poi tutta la sporcizia si incrostasse al legno. Rovistai tra alcuni
fogli, bicchieri di plastica e lattine d'alluminio appoggiati lì sopra, in un
caos esasperante.
“Aspetta un attimo..” dissi, mettendo le cose più in
disordine di prima.
Con un gesto solo presi da quella confusione un foglio. Lo misi dietro la
schiena, spiegandolo con tutte e due le mani, nel frattempo. Lei si avvicinò e
mi venne proprio di fronte. Dal suo sguardo, si capiva che era curiosa.
“Fammi vedere!” disse sorridendo, alzandosi sulle punte per sbirciare oltre le
mie spalle. Ma ero più alto di lei, così scossi la testa e lo nascosi del tutto
dalla sua vista.
La guardai con aria divertita. “Chiudi gli occhi.”
Astrid obbedì e li chiuse. Attesi qualche secondo: lei non si mosse. Le misi il
foglio davanti il viso, tenendolo con una mano. Poi dissi: “Okay, ora aprili.”
Aprì gli occhi e questi parvero scintillare. Sul foglio, il viso di Astrid
fissava qualcosa d'indefinito con espressione beata. C'era proprio tutto: le
labbra carnose, i capelli lisci lungo le spalle, gli occhi penetranti ed
espressivi. Aveva un pugno chiuso poggiato sul mento. Era il mio ritratto più
bello, più veritiero. Ogni particolare era esattamente dove doveva essere.
Vedendo che lei ancora non parlava, decisi di dire qualcosa.
“L'ho fatto quando non ci parlavamo più. Ti pensavo, e.. e n'è venuto fuori
questo. Bello, vero?”
Ci fu ancora qualche attimo di silenzio, poi lei scollò gli occhi dal foglio e
mi guardò.
“Gabriel, io.. io non ho parole.. per tutto quello che fai per me, per tutte le
cose che mi dici.. io.. cosa potrei mai dirti?”
“Grazie?” suggerii, ridendo.
Anche lei sorrise, continuando a guardarmi. “Grazie.”
Calò il silenzio. Poi, Astrid mi levò delicatamente di mano il foglio e
guardandolo ancora, lo posò sulla scrivania, con un fruscio. Tornò a guardarmi,
sorridendo.
“Gabriel..”
“Sì?”
“Muoio dalla voglia di baciarti.”
A quelle parole, la guardai incredulo, sorpreso dal fatto che fosse proprio lei
a pronunciarle.
Lei, Astrid, che s'imbarazzava e non prendeva mai l'iniziativa?
Poi, però, deciso a non farmi sfuggire l'occasione più
unica che rara, le sorridi di rimando, soddisfatto, abbandonando l'espressione
incredula. M'avvicinai a lei, mettendole un braccio attorno alla vita.
“Per caso qualcuno ti ha impedito di farlo?” dissi.
Lei scosse lentamente la testa. Mi incorniciò il viso con entrambe le mani ed
alzandosi leggermente in punta di piedi mi baciò sulle labbra. All'inizio
furono dei normalissimi baci, poi però si fecero più profondi, così tanto da
costringermi e fermarmi per riprendere fiato. Quando mi scostai dalle sue
labbra, lei poggiò le mani sul mio petto e prese a baciarmi diverse volte sul
collo, facendoci scivolare su la sua lingua, lentamente.
Tremai in maniera leggera, quasi impercettibile, rimanendo ad occhi chiusi.
“Wow,” le sussurrai, “che ti prende, stasera?”
Astrid fece spallucce. “Non lo so..”
“E' incredibile.” dissi toccandole i capelli e riaprendo gli occhi, “E'
incredibile come tu possa passare da ragazza angelica a sex machine in
pochissimo tempo.”
Lei rise. “Gabriel, tu non hai ancora visto il meglio
di me.”
La guardai alzando un sopracciglio. “Allora perché non me lo lasci scoprire?”
chiesi, con un velo di malizia nella voce.
Non le diedi il tempo di rispondere e ripresi a baciarla, sprofondando fra le
sue labbra e lasciandomi completamente andare, chiudendo gli occhi così da
dimenticare tutto quello che riguardava la mia stanza, quel temporale che
ancora imperversava fuori dalla finestra, la scrivania, i disegni e tutto il
resto; così da dedicare tutto me stesso, tutto quello che ero, a lei:
alla sensazione di stringerla, di baciarla, di sentire un po' della sua essenza
riversarsi in me. Il suo sapore, il suo respiro.
Sospirai a pieni polmoni mentre la baciavo, sentendo
il bisogno imprescindibile che lei fosse mia. Mia, come suonava bene.
D'altro canto, quella era una provocazione in piena regola. Avevo voglia di
lei; ma sapevo che avrei dovuto tenermela, quella voglia.
Feci qualche passo in avanti, tenendo gli occhi
serrati ed orientandomi a tentoni. All'improvviso spinsi leggermente Astrid
indietro e lei cadde sul mio letto, con me sopra di lei. Ripresi a baciarla e
lei mi strinse, abbracciandomi. La mia mente galoppava: Astrid era nel mio
letto, ed era praticamente incastrata dal mio corpo che stava sul suo. Cosa potevo
pensare? Oddio.
Cercai di reggermi con entrambe le braccia, mettendo le mani ad entrambi i lati
della sua testa. L'unico rumore erano le gocce di pioggia. Poi lei parlò,
ancora con le labbra appiccicate alle mie.
“Scommetto che Amanda bacia meglio di me.. Non è così?” disse.
Quelle parole mi fulminarono, e mi fecero anche sentire schifosamente in colpa.
Come poteva dire quelle cose proprio in quel momento?
“No.” farfugliai, continuando a baciarla, più a fondo,
volendo che lei capisse, che sentisse tutto il mio amore riversarsi in quel
bacio.
“Ne sono certa,” insisté lei, allontanandosi di poco e mordicchiandomi le
labbra. “E magari lo fa anche meglio di me..”
A quelle parole si sentì un tuono fragoroso provenire
da fuori.
Rimasi qualche secondo in silenzio a lasciarmi mordere
il labbro inferiore da lei, non sapendo cosa dire.
“Questo ancora non posso saperlo,” le sussurrai dopo qualche attimo
d'esitazione. “E poi non me ne importa nulla di Amanda, francamente.”
La sentii fermarsi. A quel punto aprii gli occhi per guardarla, e trovai i suoi
a fissarmi.
“Avevi detto che avresti voluto scoprirmi,” disse lei, “beh, fallo.”
Continuai a guardarla, rimanendo senza fiato.
Lei aveva il suo sguardo piantato su di me, ed era
seria e decisa. Il silenzio era interrotto solo dallo scrosciare della pioggia
incessante, fuori.
La fissai per qualche istante ancora, sentendo male
alle braccia per quella posizione che avevo assunto già da qualche minuto. Poi,
sospirando, ricominciai a baciarla – prima lentamente, poi quasi con frenesia.
Feci scivolare la mia lingua lungo la curva del suo collo, mentre i suoi brevi
sospiri si univano a quel rumore di gocce di pioggia.
La spogliai lentamente, senza alcuna fretta, slacciando uno ad uno i bottoni
della camicia rossa che indossava e sfilandole i jeans con lentezza snervante,
deciso a godermi quegli attimi come se fossi dovuto morire domani – o proprio
lì, in quell'istante.
La baciai sulla pelle nuda delle spalle mentre le sue mani stavano sulla mia
schiena e successivamente sfilavano via la mia maglia. Erano inesperte ma non
insicure, neanche mentre armeggiavano con la fibbia della mia cintura.
“Sei sicura?” le sussurrai, proprio nell'orecchio.
Lei annuì.
“Sicura sicura?” chiesi ancora.
Per tutta risposta lei mi tolse definitivamente i jeans, facendomeli scivolare
lentamente sulle gambe, ed annuendo vigorosamente.
Mi scostai per guardarla in viso, reggendomi ancora su entrambe le braccia.
Astrid mi guardava fisso.
Appoggiò le mani sul mio petto e rabbrividii per
qualche istante: la sua pelle era freddissima rispetto alla mia. Si sollevò
leggermente, puntellandosi sui gomiti, per potermi baciare sulle labbra, e poi
sul collo, sul petto, sulle spalle. Lì dove la mia pelle veniva baciata da lei,
però, sembrava bruciare ardentemente, quasi urlare dal piacere e della
soddisfazione.
Socchiusi gli occhi godendomi i suoi baci, mentre i
suoi capelli sfioravano leggermente il mio petto, facendomi un poco di
solletico.
“Gabriel..” la sentii sussurrare.
“Astrid?”
“Gabriel, io.. Devo dirti una cosa.”
“Cosa?” chiesi sempre sussurrando, improvvisamente in tensione.
“Io non l'ho mai fatto prima d'ora.” disse in un soffio bassissimo, percepibile
solo a quella distanza, così poca.
Riaprii gli occhi, col cuore che ingranò la marcia ed andò a duecento all'ora.
Di solito quando andavo a letto con qualcuna non mi curavo di sapere se fosse
vergine o meno – e la maggior parte non lo erano, naturalmente: ma in quel caso
m'importava, eccome. E quelle parole mi lasciarono letteralmente senza
fiato, andando ben oltre ogni mia più rosea aspettativa.
“E.. e vuoi che sia io..” iniziai.
“Sì. Voglio che sia tu il primo.” finì lei per me.
Mi chinai per baciarla sulle labbra. “Grazie.”
pronunciai, senza rendermene conto. Con il dorso di una mano le sfiorai
leggermente il seno, carezzandoglielo. Le mie dita indugiarono parecchio sul
pizzo bianco del reggiseno, lentamente.
Grazie, sì. Perché significava che lei mi amava quanto l'amavo io: così tanto
da permettermi che lei fosse mia, solo mia. Mia, mia, mia.
Continuando a baciarla leggermente, le slacciai il
reggiseno con un solo gesto e glielo sfilai, per poi spogliarla del tutto.
Mi scostai per guardarla interamente.
L'unica cosa che le era rimasta addosso era il suo
crocifisso d'argento, che emetteva qualche piccolo bagliore a seconda di come
si muoveva.
“Sei bella da morire, Astrid.” dissi, a voce
bassissima, guardandola e non sentendomi quasi all'altezza di lei, talmente era
perfetta.
Vidi le sue guance arrossire di poco, poi – come se quel complimento le avesse
dato più coraggio – finì di spogliarmi anche lei. Sorrise.
“Anche tu lo sei.”
“Sul serio?”
“Sì, sul serio. Perché me lo chiedi?”
“Perché non me l'aveva mai detto nessuno..” confessai sussurrando.
Lentamente, la presa sulle mie braccia si indebolì. Feci aderire il mio corpo
al suo, chiusi gli occhi, e fu così che entrai dentro di lei.
Non era la prima volta che facevo sesso con qualcuno, ma era la prima volta che
facevo l'amore con qualcuno. E chi altro avrebbe potuto essere, questo
qualcuno, se non Astrid?
Era possibile viaggiare così lontano soltanto
esplorando il corpo di una donna?
Era una miscela di sensazioni così intensa e potente da ricordare
un'esplosione, o forse un terremoto, o le urla di migliaia e migliaia di fans
ad un concerto rock.
Era come guardare da vicino i fuochi d'artificio e
avere la sensazione delle stelle che cadono sopra la tua testa; o era come un
temporale come quello che c'era fuori dalla finestra mentre due anime come le
nostre si scambiavano a vicenda tutto quanto, regalandosi, offrendosi,
mischiando pelle ed ossa.
I nostri sospiri con le gocce d'acqua, il nostro
battito con i tuoni, le nostre mani che si rincorrevano e s'afferravano con i
bagliori dei lampi – così accecanti, così temibili, ma così insignificanti in
quel momento per me e per lei, in confronto a tutto quello che eravamo, che
facevamo.
La mia paura di farle del male, e il rallentare e poi l'accelerare, il non
sentire più niente come se qualcuno avesse disattivato l'audio – se non lei,
nient'altro che lei. O forse era meglio usare il plurale: noi, diventati una
cosa sola, uniti nell'animo e nel corpo, finalmente.
C'era solo la sua pelle nuda e chiara, i suoi capelli biondi sul cuscino, le
sue labbra dolci, il suo corpo così somigliante a quelle statue di marmo greche
– solo più vero, più perfetto – tutto per me, finalmente ed
esclusivamente mio. Non sapevo perché avessi tutta questa possessività nei suoi
confronti: forse perché era l'unica cosa nella mia vita che sentivo
m'appartenesse davvero, in qualsiasi senso.
La presi infinite volte, fino a perdere il conto,
finché nessuno dei due ebbe più la forza di andare avanti, di ricominciare
daccapo, di perdersi in quello splendido e allettante circolo vizioso chiamato amore
da noi comuni mortali.
Non c'erano altre parole per descrivere quella notte – benedetta notte.
No, anzi, forse c'era qualcosa che si poteva paragonare ad essa.
Quella notte era un caleidoscopio. Ci guardi dentro e vedi qualcosa d'infinito
ed indecifrabile che non riesci a capire: ma nonostante tutto questo ti rimane
addosso la sensazione d'aver visto qualcosa di meraviglioso e di irripetibile,
qualcosa dalla quale non avresti mai voluto staccarti. Qualcosa di cui non
riesci a capirne l'origine né il perché, ma che vorresti avere. A qualunque
costo.
Tutto finì quando la pioggia era già cessata.
Fuori l'aria era fredda ed umida, impregnata
dell'odore d'ozono, tipico della pioggia. Il sole stava sorgendo timido ed il
cielo si dipingeva appena d'un pallido arancione, trafiggendo le rare nuvole e
le poche stelle rimasta dalla notte precedente.
Appoggiato al davanzale della finestra aperta guardavo questo spettacolo, con
Astrid abbracciata a me, la sua testa sulla mia spalla.
“E' incredibile, vero?” chiese, con un sorriso sereno.
“Cosa?”
Sospirò. “Pensare che la vita faccia schifo e poi assistere a spettacoli come
questo..” ed indicò l'alba di fronte a noi, “..o questo.” ed indicò me, con lo
stesso dito.
Mi voltai a guardarla, incredulo a quell'affermazione.
“Io?!” feci.
Lei annuì, sorridendo appena. “Sei l'unico miracolo a cui abbia assistito,
Gabriel. Il miracolo della mia vita: ora so che esistono davvero, nonostante
quello che dicono tutti. Non potrei essere più felice, adesso. E sai un'altra
cosa?”
“No, cosa?” chiesi ancora, stordito e lusingato.
Rise. “Adoro il tuo tatuaggio.” disse, fissandomi.
Risi di rimando e l'abbracciai. “Sei una soddisfazione, Astrid Halls.”
Mi abbracciò a sua volta mentre la luce dell'aurora ci investiva interamente.
Ero l'uomo più felice del mondo, ma in tutto quello che era successo non ero
ancora riuscito a dirle che l'amavo.
Ma in fondo, c'era ancora tempo. Cosa avrebbe potuto dividerci?
L'avevo promesso: sempre insieme. Per sempre.
E con sempre, s'intende per tutta la vita.
Vorrei ringraziare tutte le persone che mi seguono, scusate per il ritardo nel postare. Il fatto è che, oltre ad essere impegnata, non sono molto "stimolata" nel continuare ad aggiornare la storia per lo scarso numero di recensioni che ricevo. La mia storia è apprezzata o no? Vi pregherei di commentare di più, anche solo per farmi delle critiche. Lo apprezzerei maggiormente. Vorrei ringraziare chi continua a commentarmi capitolo per capitolo, adesso non ho tempo per farlo ma a tempo debito vi ringraziero tutti =) Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.. scottante, eh? XD Fatemi sapere le vostre impressioni! E, se potete, ricordatevi di leggere anche la mia one-shot: clicca qui!
Grazie =)
« Trying to save my soul, tonight. It's nobody's fault but mine. »
Led Zeppelin, Nobody's Fault but Mine
Io ed Astrid decidemmo di separarci per qualche
oretta, giusto per riposare un po' – dato che di notte eravamo rimasti svegli
per ovvi motivi. Ma almeno per me, prendere sonno era inutile.
Quando rimasi solo, cominciai a passeggiare avanti ed indietro per la stanza,
ripassando mentalmente le ultime ore appena vissute, gustando ancora quelle
bellissime sensazioni, ma tormentandomi su quel ti amo
mancato, anche in quella occasione - fin troppo perfetta, ora che ci pensavo -
che mi ero lasciata sfuggire.
Ero stufo di quelle masturbazioni mentali.
Avrei dovuto prendere il toro per le corna: di cosa
avevo paura? Ormai ne avevo la conferma: mi amava.
Certe cose si sentono, ed io lo sentivo, l'avevo
sentito quella notte. Non c'era più alcun dubbio. Quando il sole era già alto in cielo, decisi di darmi una
sciacquata e di cambiarmi, per andare ad ingurgitare qualcosa a colazione.
Mi rifiutai di fare la doccia per non togliere il profumo di Astrid
sulla mia pelle – ne era rimasto impregnato a dosi eccessive, lo sentivo, ma
non volevo che andasse via – e mi lavai i denti, per poi tentare inutilmente di
pettinare i miei capelli. Recuperai dall'armadio qualche vestito ed infilai una
maglia lunga e larga bianca ed un paio di jeans strappati al ginocchio, reduci
di una brutta caduta in cortile. Infine uscii dalla mia stanza, spettinato come
sempre ma con un sorriso da un orecchio all'altro.
Camminai speditamente per il corridoio, finché arrivai vicino alla mensa. Mi
guardai attorno, finché una bellissima voce familiare mi chiamò.
“Gabriel, aspetta!”
Astrid si avvicinava a me. La trovai più raggiante che mai, con i capelli
raccolti in una coda di cavallo, la maglia rossa a righe bianche ed un sorriso
allegro, come mai ne avevo visti.
Mi arrivò di fronte e mi baciò leggermente sulle labbra. Prolungai il bacio più
del dovuto, mordendole il labbro inferiore quando lei
volle staccarsi. Eravamo in mezzo al corridoio.
“Buongiorno.” dissi poi, lasciandola andare, ma mettendole una mano
sulla guancia.
“Buongiorno anche a te. Da quanto tempo, eh?” disse lei,
poggiando la sua mano sopra la mia.
Ridacchiai, poi tornai serio e mi schiarii la voce. “Ascolta, Astrid.. c'è qualcosa che mi piacerebbe dirti.”
“Sì?” fece lei. La guardai: era così bella, quasi eterea. Deglutii sonoramente,
e guardandola dritto dritto negli occhi color
cioccolato, le sussurrai quasi a fior di labbra: “Ti amo.”
Lei rimase immobile a guardarmi per qualche secondo,
mentre le sue belle labbra s'incurvavano in un sorriso. Le
socchiuse come se stesse per dire qualcosa; ma poi il suo sguardo scivolò oltre
la mia spalla e si riempì improvvisamente d'orrore.
Non capendo, mi voltai a guardare dietro di me e vidi due uomini alti in giacca
e cravatta avvicinarsi a noi due, con aria spedita e decisa. La sentii
trattenere il fiato.
Prima che potessi protestare o rendermene
conto, i due uomini strapparono Astrid dalle mie braccia.
La presero entrambi da sotto le ascelle, trascinandola via.
“Ehi!” urlai, la mia voce che esplose in una eco in
mezzo al corridoio vuoto. Mi avvicinai ai due energumeni. “Lasciatela stare!”
Astrid aveva una faccia sconvolta e quasi non si dimenava neanche. Mi chiesi
perché: due uomini sconosciuti la stavano trascinando via, cosa avrebbe dovuto
fare?
“Vi prego..” supplicò,
evidentemente parlando con i due, “Vi prego, solo un altro minuto!”
“Non c'è più tempo, signorina Halls.” disse uno dei
due. “Dobbiamo andare via ora.”
Cosa diamine significava?
Confuso, rimasi immobile nel corridoio mentre Astrid
veniva lentamente trascinata via da me.
“Gabriel,” urlò Astrid, allungando una mano verso di me, “Gabriel, ti prego,
io..”
Mi avvicinai ancora a lei con un balzo e le presi la mano, guardandola negli
occhi. Aveva la fronte corrugata dal dolore, ed era sul punto di mettersi a
piangere.
“Ti spiegherò tutto, Gabriel, giuro.. Io..” balbettò.
Con uno strattone, le nostre mani si divisero.
Lei scomparve lungo il corridoio insieme ai due uomini ed io rimasi lì, fermo,
solo come un cane, con la mano ancora protesa verso di lei.
***
Mi sedetti in cortile e con mani tremanti presi il mio
pacchetto di sigarette.
Da quel brutto incidente con Astrid avevo promesso di non toccarne più nemmeno
una, ma in quel momento non m'importava. Ne accesi una e feci il primo tiro, inspirando a pieni
polmoni, per poi espirare profondamente chiudendo gli occhi.
Erano passati due lunghi giorni da quando Astrid era
scomparsa.
Due giorni senza più mangiare, senza più dormire.
Cos'era successo? Era un sequestro o
cos'altro? Eppure lei non sembrava sorpresa..
ma perché? In quei due giorni ero rimasto a chiedermi cosa fosse successo, a
fare mille congetture e – nel più disperato dei casi – ad arrivare a sospettare
dell'esistenza di creature aliene.
Mi fumai quella sigaretta con calma, provando a
rilassarmi e a chiudere la mente. Ma era un'utopia e
lo sapevo. Era impossibile. Perché, perché proprio
quando stava andando tutto così meravigliosamente? Perché
Astrid non si faceva più viva? Dov'era, stava bene?
Perché rimanevo solo, come sempre?
Perché..
“Gabriel?” chiese una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, speranzoso, e ne rimasi comunque
sorpreso.
“Lucas?” esclamai.
Lucas Smith era davanti a me, con le mani in tasca e un Dylan Dog sottobraccio.
Continuai a fissarlo finché lui non si avvicinò e si
sedette al mio fianco. Posò il fumetto accanto a sé e si frugò in tasca, fino
ad estrarre un pacchetto di Lucky Strike blu. L'aprì e si mise una sigaretta in
bocca, poi me ne offrii una. Scossi la testa,
rifiutandola, dato che avevo appena finito la mia e
non me ne andava un'altra.
“Tanto per cambiare, in giro si parla di te e di
quello che è successo tra te e la tua ragazza. Dicono
che quei due che te l'hanno portata via avevano pure delle pistole.” disse.
Mi voltai a fissarlo, con una smorfia sconcertata.
“Io, però,” continuò lui prima che potessi dire
qualcosa e ricoprirlo d'ingiurie, “preferisco sentire la versione del diretto
interessato. Se ti va..”
Prima che me ne potessi accorgere, gli raccontai di quello che era successo. Mi
sfogai per bene, come un fiume in piena, sentendomi appena sollevato. Lucas mi
stette a sentire mentre fumava la sua sigaretta,
annuendo o sbarrando gli occhi al momento giusto, non interrompendomi mai. Quando finii, Lucas mi guardò perso. “Non lo so, amico.”
esordì. “Ti ha detto che avrebbe spiegato tutto, no?
Allora lo farà, è ovvio.” disse.
Feci spallucce. “Lo spero proprio.”
Ci fu una breve pausa, poi Lucas parlò, mentre spegneva la sua sigaretta schiacciandola
per terra.
“Ascolta, io.. Io volevo scusarmi con te. Sono stato
proprio uno stronzo. E' solo che ero un po' geloso, l'ammetto, e non sopportavo
che qualcuno m'avesse fottuto il mio migliore
amico. Roba da scuola elementare, lo so, ma è così. E mi dispiace.”disse tutto d'un fiato.
Gli sorrisi. “Lucas, anch'io sono stato uno stronzo con te, quindi scuse
accettate. Siamo pari, del resto.”
Lucas annuì, spalancò le braccia e c'abbracciammo. Ma quanto mi era mancato? Mi sentii subito meglio.
“E poi,” disse Lucas quando ci separammo, “mi dispiace
per quelle cose che t'ho detto.”
Annuii, ricordando quelle parole che m'avevano ferito
tanto.
“E specialmente il fatto di Ryan che spiava la tua ragazza. Non era vero, l'ho
detto solo per farti innervosire.”confessò,
con lo sguardo basso, come se si vergognasse.
“Che infame!” esclamai ridendo, dandogli una pacca sulla schiena.
Lui simulò un colpo di tosse e sorrise amabilmente. “Come si dice.. In guerra e in amore tutto è lecito, no?” citò.
“Sai, Lucas, ho un mucchio di cose da raccontarti..” gli
dissi, con l'intenzione di aggiornarlo su quello che si era perso, naturalmente
non scendendo nei particolari.
“Lo sapevo, lo sapevo! Come lo fa? Dai!” esclamò,
tutto eccitato.
Risi fragorosamente: non era per niente cambiato.
“Meglio di quanto tu possa immaginare.”gli dissi.
Lucas si sfregò le mani l'una sull'altra con aria avida di sapere. Stavo già
per partire in quarta con i miei racconti, quando l'ennesima volta alle mie
spalle m'interruppe.
“Gabriel Reeve?” disse.
Mi voltai. Era una donna sulla cinquantina con dei lunghi capelli ricci. Di
solito serviva ai tavoli della mensa.
“Sì, sono io.”dissi.
“Reeve, mi segua.” continuò la donna. “C'è qualcuno
che vuole vederla.”
stiamo quasi per finire la storia, gente!
vorrei ringraziare TANTO, TANTO tutte le persone che mi hanno commentato. vi adoro, era proprio questo quello che mi aspettavo =) continuate così, mi fa moltissimo piacere!
BAMBOLOTTA: grazie mille, per i complimenti. hai proprio ragione e ne sono contenta, erano proprio queste emozioni, quelle che volevo fare trasparire!
valespx78: grazie.. anche io adoro Gabriel XD
luciini: come vedi non mi sono lasciata abbattere :) grazie mille..
cino nero: addirittura una poesia?! wow, grazie, mi fa arrossire *_* grazieee, continua a commentarmi!
pinkgirl: grazie Jessica, è davvero bello quello che hai scritto. spero di non averti deluso neanche a questo capitolo!
ChasingTheSun: ebbene sì.. è successo qualcosa. non poteva procedere tutto rosa e fiori, come in ogni storia che si rispetti. ma grazie per quello che hai scritto, cara *_*
GiulyRedRose: eccomi qua con un altro capitolo.. spero che questo non abbia deluso le tue aspettative, grazie mille! spero che questa volta riuscirai ad essere la prima! xD
giulietta_cullen: anche in questo capitolo il personaggio di Astrid è avvolto nel mistero.. sì, mi piace rendere le cose complicate! è vero, anche le persone come Gabriel possono cambiare, ma non tutte lo fanno, purtroppo. grazie per il commento :)
Laura93: wow! addirittura! grazie mille.. continuerò a postare fino alla fine :)
trettra: SCUSA, non volevo farti piangere! xD ahaha! grazie a te per averla letta!
Melikes: già ti adoro. perché ADORO i commenti lunghi. sul serio. non mi annoi assolutamente, anzi è bello poter conoscere opinioni su vari parti della mia storia! la prossima volta voglio ancora un tuo commentone, eh! xD credo proprio che tu abbia colto nel segno riguardo l'ambientazione e i personaggi.. è bello che qualcuno cogli quello che io metto dietro le semplici parole. e tu l'hai fatto, e questo mi rende soddisfatta :) sì, ovviamente come ho scritto in un commento prima tutto non poteva andare rosa e fiori.. ci dev'essere sempre qualche intoppo. vedremo come si evolveranno le cose.. (vedrete! io già lo so! XD).. ti mando un grosso bacio, grazie di tutto :)
AllegraRagazzaMorta: SCEMA ti voglio bene :) grazie per aver commentato.. ho aggiornato senza che tu mi abbia bombardato u_u la prossima volta voglio un commento più lungo! XD o ti bombardo io!
questo è tutto, miei cari lettori. come ho già detto, questi che posterò saranno gli ultimi capitoli :( non posso anticiparvi nulla ovviamente.. continuate a seguirmi. ancora un gigantesco GRAZIE a tutti!
« Since I've been loving you, I'm about to lose my
worried mind.
Said I've been crying, my tears they fell like rain.
Don't you hear? Don't you hear them falling? » Led Zeppelin, Since
I've Been Loving You
La donna mi scortò fino al piano superiore, quello
proibito ai ragazzi, dove di solito alloggiavano gli inservienti e tutto il resto
del personale. Camminammo in silenzio per uno stretto corridoio pieno di porte;
lungo il quale c'erano numerosi falsi d'autore appesi alle pareti bianche, nel
tentativo di dare al corridoio un'aria più vissuta, o forse più allegra.
Ero nervoso e preoccupato: a nessuno era concesso avere delle visite.
Questa persona c'entrava forse qualcosa con la
scomparsa improvvisa di Astrid?
Di colpo la donna si fermò davanti ad una porta dipinta di beige. Si voltò a
guardarmi.
“Eccoci arrivati, entri qui. Quando ha finito, esca e torni subito al piano
inferiore.” disse, con un tono poco gentile, con l'aria di chi aveva fretta di
liberarsi di quella scomoda faccenda.
“D'accordo.” risposi semplicemente.
La donna mi fece un cenno con la testa in segno di saluto, mi superò, percorse
la strada a ritroso, e sparì, scendendo le scale. Aspettai che il rumore dei
suoi passi cessasse, per guardare la porta, rimanendo da solo.
Sospirai profondamente come per darmi coraggio.
Poggiai una mano sulla maniglia – mezza rotta e d'ottone – e l'abbassai,
spalancando la porta ed entrando. Il rumore della serratura somigliò a quello
di uno sparo, in mezzo al corridoio deserto.
La stanza in cui mi trovai era piccola e polverosa. In
mezzo c'era un piccolo tavolo e qualche sedia; sotto una lurida finestrella
stavano alcuni secchie e delle scope. La finestrella era così piccola e sudicia
che di luce ne entrava pochissima. Sembrava un vecchio ripostiglio in disuso.
A darmi le spalle c'era una donna con uno chignon dietro la testa e con un
completo blu formato da pantaloni e giacca.
Mi sembrò strano che al rumore della serratura non si
voltò a guardarmi, ma comunque mi schiarii la voce per segnalare la mia
presenza in quella stanza. Magari era solo un po' dura d'orecchi e non aveva
sentito.
A quel punto decisi di parlare.
“Salve, voleva vedermi?” chiesi, facendo un passo in avanti e cercando di
essere più educato possibile.
La donna si voltò.
Se avessi avuto qualcosa fra le mani probabilmente mi
sarebbe caduta, poiché quella donna era Astrid, la mia Astrid.
“Cristo, sei tu?!” esclamai, senza fiato, non sapendo neanche dove trovassi il
coraggio necessario per parlare. Come al solito, il mio cuore accelerò.
Lei sorrise timidamente, senza dir nulla.
“Ma allora sei viva, stai bene!” dissi ancora, sollevato, sentendomi parecchio
ridicolo ad esporre le mie paure così, davanti a lei.
Annuì, poi si schiarì la voce. La guardai, avendo
voglia di correre da lei per abbracciarla e baciarla: ma qualcosa mi diceva che
era meglio non farlo e starsene lì finché lei non avesse detto o fatto
qualcosa.
“Forse faresti meglio a sederti, Gabriel.” disse lei, indicando una sedia
vicino a me.
“No, grazie, preferisco stare in piedi. Allora, cosa ti è..”
Lei m'interruppe. “Gabriel, ti prego, ascoltami.” disse con aria grave.
La guardai intensamente, in silenzio, rimanendo in attesa. Doveva esser
successo qualcosa. All'improvviso il battito del mio cuore diminuì, facendo
posto ad una stretta nervosa allo stomaco e ad un groppo grossissimo in gola.
Lei ricambiò il mio sguardo: sembrava triste e stanca.
Era così diversa.
“Gabriel, io.. io..”
Pausa, lunga pausa. Non riuscivo a capire.
“Sei incinta, Astrid?” chiesi allora, optando per l'unica opzione possibile – o
meglio, l'unica che in quel momento così assurdo mi veniva in mente.
Lei scosse la testa energicamente. “No! E' che..”
“Cosa?”
“Io..”
Si torturava le mani, in una sorta di tic nervoso.
“Cosa cazzo vuoi dirmi, Astrid? Accidenti,
parla!” la incitai, fremendo dalla curiosità e allo stesso tempo dal
nervosismo; non volendo vederla così, con quell'aria brutta e corrucciata.
“Non ce la faccio!”
Rimasi ammutolito per qualche attimo. “Che significa
che non ce la fai? Dimmelo, dai, non può essere così grave, qualunque cosa
sia.”
Mi guardò dritto negli occhi con una sorta di aria di sfida.
“Gabriel, io lavoro per gli assistenti sociali.” disse infine, tutto d'un
fiato.
Sbattei le palpebre più volte, senza fiato, e più confuso per mai.
La guardai ad occhi sgranati studiandola, ed infine
realizzai.
“Ho capito.. sei stata una specie di talpa o cosa?” sbottai, non proprio
pacifico. Anzi, per nulla.
Vidi Astrid abbassare lo sguardo, mortificata. Poi lo rialzò su di me e mi
guardò con intensità.
Si avvicinò cercando di abbracciarmi o qualcosa di
simile, ma io feci qualche passo indietro.
“Cosa c'è, Gabriel? Sono sempre io..” sussurrò, con uno sguardo implorante.
La squadrai dalla testa ai piedi. Le labbra dipinte di rosso grazie al
rossetto, i capelli raccolti accuratamente, l'ombretto sulle palpebre, quel
completo perfettamente stirato e così serio. L'unica cosa che mi era familiare
era il suo crocifisso d'argento che aveva al collo, di cui riuscivo a scorgere
solo la catenina, dato che in ciondolo era nascosto sotto la giacca. Era bella,
sì, ma quella non mi sembrava Astrid. Era una donna più sofisticata, più
adulta.
“Non riesco a vedere quella donna che amavo qui davanti a me, Astrid.. ammesso
che questo sia il tuo vero nome.” dissi, acido più del limone, ricordando
istintivamente il mio vecchio comportamento di qualche tempo prima. Prima che
la conoscessi.
“Certo che lo è!” sbottò lei. “Non ti ho mai mentito!”
Feci una risata sprezzante.
“Vuoi farmi credere che, alla luce di quel che hai detto, la tua non era una
recita? Che non stavi solo recitando una fottutissima parte di un altrettanto
fottutissimo copione? Ma fammi il piacere, Halls.”
Sospirò guardandomi, come se si arrendesse.
“Potresti, anche solo per un attimo, provare ad ascoltarmi?” chiese,
gesticolando con le mani.
“Perché adesso dovrei? A che scopo?” insistetti io, sull'orlo di una crisi di
nervi.
Tutto mi sembrava davvero inutile. Avevo perso. Era tutto una finzione, lo
sapevo. E provavo una vergogna bruciante se pensavo a quel maledetto ti amo.
Mi ero lasciato abbindolare come un cretino, come
tutte quelle persone che prima evitavo.. e questo era ilrisultato. Evviva!
“Perché se quello che hai detto di provare per me è
vero, devi farlo.”
Mi resi conto che Astrid m'aveva fatto lo sgambetto.
Un gran bel colpo basso. Non dissi più nulla, impotente; ma mi limitai a
fissarla, mentre lei si passava una mano sulla tempia come se avesse mal di
testa.
“Io sono davvero Astrid Halls. I miei genitori sono davvero
morti, e sono stata davvero in un orfanotrofio. Adoro davvero
disegnare, sono davvero religiosa. Qualsiasi cosa io ti abbia detto
appartiene davvero a me, alla mia vita. Te lo giuro. L'unica cosa sui cui ho
dovuto mentire è la mia età: ho diciannove anni, ma potrei benissimo
dimostrarne sedici.”
La guardai, con aria adesso sospettosa. Non ero
sorpreso della rivelazione sulla sua età: anche a me era sembrata un po' troppo
grande, per essere una sedicenne.
Mi tenevo a distanza di sicurezza da lei, però, come
se ne avessi paura.
“E allora cosa ci sei venuta a fare qui, in questa topaia del
St.Catherine?” chiesi, con uno dei miei migliori toni scocciati.
“Come ti ho già detto, lavoro per i servizi sociali. Mi occupo di molte cose,
sono praticamente una novellina. E dato che sono molto giovane ogni tanto mi
occupo di essere, come hai detto tu, una talpa e di confondermi con i
ragazzi degli altri orfanotrofi, sotto copertura. Devo controllare che tutto
sia a posto e che i ragazzi siano sereni. Mi hanno mandato qui al St.Catherine
per controllare meglio la situazione, soprattutto quella dei ragazzi più
grandi. E in particolar modo, di tenere d'occhio un certo Gabriel Reeve..”
Feci una smorfia scocciata. “Beh, spero almeno che farai chiudere questa
topaia, dato che qui, come hai visto, tutte cose vanno di male in peggio.”
dissi francamente. In effetti quell'orfanotrofio era un inferno: sesso,
violenza, discriminazione, bullismo, anarchia. Insomma, Astrid aveva avuto il
suo bel da fare. Cos'altro voleva di meglio? Aveva avuto tutto servito su un
piatto d'argento. Me compreso.
Lei sembrò ignorarmi, dato che continuò col suo discorso.
“La tua fama non sfugge a nessuno, Gabriel. Purtroppo ho commesso l'errore più
grave: mi sono innamorata di te. Dovevo rimanere qui in perlustrazione un mese
e mezzo, poi sarei sparita come se nulla fosse. Sono riuscita ad allungare il
termine di qualche settimana, ma poi, come hai visto, mi hanno trascinata via.”
Rimasi qualche attimo in silenzio, non sapendo cosa
dire.
Poi dissi: “Perché non me l'hai detto? Cosa aspettavi?
Di arrivare a questo?”
Scosse la testa, facendo oscillare qualche ciocca dorata che le era sfuggita
dal suo chignon. “Volevo dirtelo, ma avevo troppa paura. Intanto, mi avevano
fatto promettere di non dire niente a nessuno. Ma cerca di metterti nei miei
panni.. come avresti reagito? Mi avresti rifiutata? E più tempo passava e più
m'innamoravo e più tu sembravi essere innamorato di me.. E non sapevo cosa
fare..”
La sua voce si ruppe e i suoi occhi si riempirono di
lacrime.
Distolsi subito lo sguardo, certo che non avrei mai potuto sopportare a lungo
quella vista. Non dissi ancora nulla, incrociando le braccia al petto,
sottolineando con questo gesto ancora di più la mia aria scettica e
pessimistica.
“Gabriel, tu devi credermi..” mi pregò, con voce sempre più debole, “Io
non ho mai finto, ero sempre io ed era tutto vero.. Persino.. Persino quello che
ti ho detto qualche notte fa..”
Mi voltai di scatto verso di lei, fulminandola con gli
occhi.
Ricordai quella notte e una morsa d'acciaio strinse il
mio petto così forte che mi parve di soffocare.
“Okay,” dissi lentamente, col cuore che mi si
scioglieva alla vista di lei che quasi s'umiliava davanti a me, e che soffriva,
“ammettiamo pure che io ti creda. Ma cosa vorresti fare, adesso?”
Rimasi a guardarla a braccia conserte mentre lei mi guardava sospirando
profondamente, riprendendo un po' di contegno.
“Innamorarsi di qualcuno è contro le regole. Per stare
con te, dovrei lasciare il mio lavoro.” disse, seria.
Quella era la prova del nove.
Un barlume di speranza si accese in me: forse potevamo continuare a
stare insieme, nonostante tutto..
“E quindi?” incalzai, impaziente di sapere.
Lei rimasi qualche attimo incerta sul da farsi, in silenzio.
“Beh, fra poco avrai diciott'anni, no? Allora uscirai da qui e potremo
finalmente stare insieme come si deve.. Se ancora vuoi..”
La guardai ad occhi sgranati, sentendo crescere una rabbia incontenibile dentro
di me. Ero quasi certo che avrebbe piantato tutto solo per stare con me.
Ma chi volevo prendere in giro?
Ero solo uno stupido, uno stupido illuso, come già mi
ero ripetuto un sacco di altre volte. Come avevo anche lontanamente potuto
pensare che una donna così bella ed in carriera come lei si fosse potuta
innamorare di un ragazzino ribelle e senza morale come me, il primo che
passava? Poteva averne cento migliori di me, poteva trovarli ovunque. Io non
ero nulla, in confronto a quello che c'era nel mondo.
Ma come poteva dire quelle cose dopo tutto quello che stava succedendo, dopo
tutto quello che diceva di provare per me? Dopo tutto quello che avevamo
passato insieme?
Non era neanche disposta a sacrificarsi per me, per noi.. Forse
era chiedere troppo, dopo tutte quelle bugie, sputate senza ritegno in
quell'attimo?
All'improvviso le pareti dello stanzino parvero
stringermi e ridurmi ad un cubetto, come quelle auto da buttare ridotti in quei
patetici cubetti metallici.
Non sapevo neanche se essere deluso o arrabbiato.
“Quindi non hai intenzione di lasciare il tuo lavoro,
dico bene?” chiesi, quasi tremando e tenendo i pugni chiusi. Sentii le mie
unghie, spaventosamente corte, affondare nelle carne della mia mano.
Lei mi guardava senza dir nulla. All'improvviso mi
appariva sotto una luce completamente diversa, nonostante continuassi ad amarla
con tutta la mia anima. Ma quello era troppo, persino per me. Quella non era
Astrid, no. Non poteva essere. O era una che le assomigliava in tutto e per
tutto, o le avevano fatto un tremendo lavaggio del cervello.
“Io non..” cominciò allungando una mano verso di me, ma non le permisi di
finire.
La sua mano si ritirò di scatto.
“Non so se mi va di stare con una persona che non esiste più,” le dissi a voce
alta, “forse non avrei mai dovuto innamorarti di me, che dici? A quest'ora
staremmo meglio entrambi.”
“Gabriel..” tentò di dire, ma ancora non le permisi di parlare, inondandola di
urla.
“Non m'importa più nulla.” urlai.
“Non t'importa più nulla?” mi fece eco, sbalordita, come se non capisse.
In quel momento capii di aver perso la pazienza, inevitabilmente. Le parole
erano inequivocabili, come si faceva a non capirle?
“Non me ne fotte più un emerito cazzo.” precisai, praticamente urlando. “Adesso
il concetto ti è più chiaro o ti devo fare un disegnino?”
Lei rimase senza parole. E, infatti, non disse nulla, limitandosi a fissarmi
come faceva già da parecchi minuti. Non tentò neanche lontanamente di calmarmi
e di tentare di parlare.
“Per me finisce qui.” dissi alla fine, a voce più bassa, quasi con aria
minacciosa.
Questa volta Astrid cominciò a piangere sul serio.
La vista mi spezzava il cuore; ma non era niente in confronto a quello che
stavo provando io, egoisticamente parlando.
Mi voltai e mi diressi verso la porta. Mi voltai un'altra volta a guardarla, per
l'ultima volta.
Entrambe le sue mani erano sui suoi occhi, non permettendole di vedere nulla,
ed era scossa dai singhiozzi, mentre gemeva di dolore. Il mio cuore si frantumò
definitivamente, ma non mi sarei più lasciato ingannare da lei. In quel momento
mi venne voglia di dirle tante altre cose, ma non mi riuscì più di parlare, a
quella vista.
Mi voltai di nuovo, dandole le spalle. Appoggiai una
mano alla maniglia.
“Stammi bene, Astrid Halls.” dissi freddamente.
Aprii la porta e sfrecciai lungo il corridoio, sbattendola così forte da far
tremare le mura.
Vorrei innanzitutto ringraziare coloro che mi seguono, che mi leggono e specialmente chi mi commenta. Questa volta i commenti non sono stati tanti come la volta precedente, ma mi accontento lo stesso! Mancano due capitoli alla fine della storia e questo sarà l'ultimo aggiornamento del 2009. Infatti colgo l'occasione per augurare a tutti un buon Natale e un felice inizio di anno nuovo. Ci si rivede presto, buone vacanze e GRAZIE! Nell'attesa, leggi la mia storia "But I'll be with you 'til the end" scritta a quattro mani con AllegraRagazzaMorta (:
valespx78: il mistero è stato svelato... ecco chi aspettava Gabriel. E' vero, c'è voluto tempo perché disse quelle due "semplici" paroline, ma per un tipo come lui era difficile il doppio! :) grazie per aver detto che è troppo bella perché finisca!
trettra: ehi, un po' di infelicità c'è in tutte le storie! personalmente ti posso dire che amo i lieti fini, ma chissà...
Melikes: come sempre, commento lungo e divertente! XD ti confesso che mi sono divertita a leggerlo. allora:
1) ti ringrazio, as usual, per i complimenti che mi fai.
2) hai azzeccato la vicenda Gabriel/Lucas... Effettivamente pensavo che il motivo fosse chiaro! Ma mi piacevano troppo assieme, non potevo dividerli, e un amico è sempre un amico. Specialmente se così unico!
3) le tue idee mi hanno sia divertito che affascinanto; ad esempio era molto interessante la teoria di far venire un qualche lontano parente di Gabriel. però, hai azzeccato anche nel dire che, ebbene sì, era proprio lei venuta a dirgli la verità.
Grazie ancora, quante volte l'ho detto? Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.
ChasingTheSun: GRAZIE! spero che anche questo capitolo ti abbia soddisfatta... Bell'inizio di commento uhauhauhauha XDD E sì, hai indovinato anche tu, Astrid ha detto QUALCHE bugia al nostro Gabriel... Non ti resta che seguirmi! XD Anche io, comunque, vedo così Gabriel e Lucas, come ho già scritto in qualche commento precedente :)
pinkgirl: ehi, Jessica! Sì, le cose belle sono destinate a terminare sempre... E' proprio quello che potrebbe pensare anche Gabriel, non ti pare? In questo capitolo ha ricevuto le sue spiegazioni... Ma è pur sempre scorbutico, nonostante tutto, no? E poi, francamente, non ha tutti i torti. Continua a leggere :)
ps: mi fa MOLTO piacere il nostro scambio di e-mail. Baci!
« Don't know where you're goin', I don't know just where
you've been.
Sweet little baby, I want you again. Been dazed and confused for so long, it's
not true. »
Led Zeppelin, Dazed and
Confused
“Non è possibile.” Fu questo il commento di Lucas quando, brevemente, gli raccontai cos'era
successo.
Aveva proprio ragione: era così irreale da non
sembrare possibile.
Neanche un po'.
“Mi sento un cretino, Lucas, capisci?” dissi, con voce mesta. “Se potessi di
prenderei a pugni da solo.”
“Non ti ho mai visto stare così per una donna..” commentò lui.
Mi voltai a guardarlo. “Semplicemente perché non mi era mai capitato d'innamorarmi
di qualcuno, ecco perché.” risposi.
“Se questo è l'amore, beh, allora è un bene che ancora
non abbia incontrato quella giusta.” continuò, facendo il gesto delle
virgolette con le dita.
“Non è così disastroso,” mi affrettai a dire, “anzi.
E' bellissimo. E' la cosa migliore che ti possa capitare. Ma per come mi fa
sentire adesso, fa proprio schifo.”
Mi presi la testa fra le mani, passandomi i capelli fra le dita, spettinandoli
ancora di più. Era possibile cambiare umore così rapidamente nel lasso di pochi
giorni? Quando ero stato con Astrid l'ultima volta era stata l'apoteosi della
felicità: non avrei potuto sentirmi più felice. Poi però era diventato tutto
nero e schifoso, un incubo; ed ero sprofondato negli abissi più profondi del
dolore e persino dell'autocommiserazione.
Perché ero stato così babbeo da innamorarmi? Perché avevo avuto così fretta di
esternare i miei sentimenti con quelle due paroline, con quella sola dannata
formuletta? Se probabilmente non l'avessi fatto, forse in quel momento mi sarei
sentito meno cretino. Forse era solo quello, il mio unico rimpianto. Forse.
Credevo di stare così bene quando ero single e quando passavo da una
donna all'altra solo per divertimento.. ma ora che avrei benissimo potuto
riprendere quel tipo di vita, il solo ripensarci mi faceva stare male. Com'ero
potuto essere così meschino e viscido?
Eppure prima mi faceva stare bene; mi sentivo un po' libero.
Ma in quel momento sapevo che l'unica persona con cui avrei voluto finire a
letto era Astrid: se non potevo avere lei, era meglio non avere nessuna.
Nessun'altra all'infuori di lei.
“E adesso cos'hai intenzione di fare?” chiese Lucas.
“Come sempre, aspetto di compiere diciott'anni. Ormai è una costante della mia
vita, questa.” risposi.
“Ah. Ma per andare da lei o cos'altro?” continuò lui.
“Vorrei. Ma dopo tutto quello che è successo, non so se è la cosa migliore da
fare.. Senza contare che il mio orgoglio me lo impedisce, temo.”
Lui annuì, e ci fu una breve pausa.
“E se provassi a metterlo da parte?” suggerì.
Feci spallucce. “Io.. non lo so. Mi sento troppo ferito e deluso per provarci,
ma.. Ma forse..”
“Non avere fretta, Reeve.”
Già: sagge parole. Non dovevo avere alcuna fretta. In fondo, era questo quello
che m'aveva – almeno in parte – fregato.
“Prima non avevi così tanta fretta. Anzi, ti godevi le cose attimo per attimo.”
continuò.
Avrei voluto che Lucas mi capisse di più. Avrei voluto che si fosse innamorato,
che avesse avuto una vera fidanzata: così da essere in grado abbastanza da
capirmi, di capire il mio stato d'animo. Ma non era così, e non sapevo se
invidiarlo o compatirlo.
“Sono cambiato, Smith. Certo, sono ancora quel cretino
a cui piacciono i Led Zeppelin e che non riesce a farne una giusta.. Ma la
penso in maniera diversa adesso, su alcune cose.” spiegai.
Il silenzio tornò sovrano.
Mi guardai attorno distrattamente, non sapendo più cosa dire e – soprattutto –
che pesci prendere. Ero confuso e ancora scosso.
Poi all'improvviso mi si accese una lampadina. Idea!
Mi alzai in piedi. “Ehi, Smith, ci vediamo dopo. Devo
fare una cosa.”
“Che cosa hai in mente?” chiese lui, guardandomi, avendo intuito che stavo
progettando qualcosa.
“Parlare con una persona.”
***
In un tavolo della sala comune, alcune ragazze erano sedute tutte assieme,
parlando a voce bassa, quasi sussurrando. Una di loro pettinava i capelli ad
un'altra, mentre il resto del gruppo ridacchiava per qualche battuta. Ognuna di
loro aveva i capelli perfettamente curati ed era truccata di tutto punto.
Sembrava una sorta di setta: tutti i componenti di quel gruppetto
s'assomigliavano, in una maniera quasi sbalorditiva.
Io le osservavo da lontano, incerto.
Mi avvicinai con cautela, attraversando la sala comune e facendomi spazio tra i
tavoli rotondi e colorati. Era come se stessi entrando nella gabbia di un leone
e dovessi addomesticarlo. Ridicolo.
Mi schiarii la voce e loro si voltarono a guardarmi, accorgendosi
all'improvviso di me. Sentivo i loro sguardi puntati su di me, e mi sentii
immediatamente in soggezione. Probabilmente fino a poco tempo prima le avrei
affrontate con più spavalderia, ma non era quello il momento.
“Scusate, ragazze,” esordii, “sapete per caso dove posso trovare Amanda?”
Ci fu qualche attimo di silenzio, in cui le ragazze sussurrarono fra loro, in
maniera quasi inudibile. Si consultavano. Stetti a guardarle in silenzio, non
riuscendo a capire quel che dicevano, le mani nelle tasche.
“Lei non c'è,” disse una di loro, una ragazza con dei lunghi capelli castani.
“E' andata via qualche attimo fa.”
La guardai attentamente, indeciso se fidarmi oppure no.
“E sapete dove posso trovarla?” continuai.
“No.” rispose fermamente un'altra, coi capelli corti e ricci. “E anche se lo
sapessimo, non te lo diremmo.”
“E perché mai?” chiesi con una risata, non più di tanto sorpreso da quella
ostilità.
“Sappiamo chi sei, Gabriel Reeve. E sappiamo cosa le hai fatto.” disse.
Ero stufo di questa storia. Alzai gli occhi al cielo, sbuffando.
“Sentite, mi dispiace, ma io non voglio niente da lei.. Voglio solo parlarle.”
Tutte erano scettiche nei miei confronti, e anche questo me l'ero aspettato. Ma
la ragazza con i capelli corti era la più arrabbiata e la più intraprendente
del gruppo.
“Reeve, ora che la tua ragazza non c'è più, scordati di ripiegare su di lei..”
disse, con evidente disprezzo nei miei confronti, come se la questione
riguardasse anche lei.
“Chiudi quella bocca, Claire.” disse una voce. Sentire voci alle mie spalle era
il mio destino, pensai.
Mi voltai: quella volta la voce apparteneva ad Amanda. Guardava da me alle
ragazze con le braccia conserte. La ragazza, Claire, si zittì all'istante e
divento rossa sulla guance come se si vergognasse. Evidentemente, fra di loro,
Amanda era il leader indiscusso.
“Ciao, Amanda.” le dissi sorridendo, e con un'estrema tranquillità. “Possiamo
parlare un attimo?”
Mi guardò e sorrise, debolmente. “Certo, vieni.”
Ci allontanammo dalle ragazze. Lei lanciò loro un ultimo sguardo, o meglio,
lanciò loro un vero e proprio fulmine. Uscimmo dalla sala comune e ci fermammo
in corridoio, lontano da orecchie indiscrete.
“Allora..” iniziai, ma lei mi interruppe.
“Fai parlare prima me. Gabriel, mi dispiace molto
per.. per quello che è successo. Ma ti giuro: mi hanno costretta. Io.. non
avevo alternativa, cerca di capirmi.”
La guardai, ascoltandola attentamente. Beh, di certo non era poi così schifata
mentre mi ammaliava, e mentre si preparava per farlo con me, pensai. Ma non lo
dissi.
“Lo so, non importa, non volevo parlarti di questo.”
mi affrettai invece a dire, scuotendo piano la testa. “Piuttosto, io.. Io
volevo scusarmi per il mio comportamento di quella sera. Non avrei dovuto.”
Mi guardò incredula.
“Gabriel Reeve, il celebre Gabriel Reeve, che
chiede scusa? Wow.”
Incrociai le braccia al petto, facendo una smorfia.
“Incredibile ma vero.” dissi sarcastico ed imbronciato, sempre più stufo, ma
dandole credito perché non volevo discutere.
Lei non disse nient'altro, così continuai.
“Mi dispiace di aver detto che quello che provavi per me era una cazzata,
ecco.” sputai. Era stato molto scorretto da parte mia e mi ero sentito in colpa
per ciò che avevo detto: questo almeno glielo dovevo. E le dovevo le mie scuse.
Vidi Amanda arrossire furiosamente.
“Io.. Lascia perdere. Credo che in quel momento non fossi tanto in me, l'ho
detto così per dire.” tentò di giustificarsi.
“Vorresti dire che non l'hai mai provato?” incalzai, con un sopracciglio
sollevato. Ero scettico.
La presi alla sprovvista. “Non ho detto questo.” disse dopo un po', sempre più
rossa, come un peperone. Annuii e calò, come sempre, il silenzio.
“Mi dispiace per.. per Astrid, la tua ragazza. Ho sentito quel che si dice in
giro. Come hai fatto a sfuggire a due uomini che ti puntavano le pistole
contro?” disse.
Mi schiaffai la mano sulla fronte. “Cazzo, no, pure tu!”
Ero quasi disperato.
Mi guardò alzando un sopracciglio. “Che cosa?”
“Ascolta, Amanda. Ti dirò quello che è successo veramente, ma devi promettermi
che non lo dirai a nessuno.”
“D'accordo.” disse annuendo, e mostrandomi tutte e due le mani in segno di
giuramento.
Sapevo che potevo fidarmi di lei. O meglio: Volevo fidarmi di lei.
Diceva di amarmi, no? E le persone che si amano non vengono tradite, né
ingannate.. almeno credevo.
Le raccontai della discussione tra me ed Astrid, avvenuta qualche ora prima –
anche se a me sembrava già passato un secolo. Ancora una volta mi sentii un
pochino meglio, ma ero consapevole che quel poco non era mai abbastanza.
“Gabriel.. Ascolta me.” disse subito Amanda, non appena finii di esporre la mia
versione dei fatti. “Lei ti ama. Ti ama davvero. Ed io lo so.”
La guardai con fare scettico, incrociando le braccia al petto. “E tu come fai a
dirlo?” le chiesi.
Amanda continuava a guardarmi con aria terribilmente seria, cosa inedita per
lei.
“Lo so e basta.” disse, insistendo.
“Andiamo, Amanda!” sbottai, “Questo a me non basta. Sai forse qualcosa che io
non so?”
Lei arricciò le labbra, poi fece un sospiro profondo come se si stesse
rassegnando.
“E va bene. Ricordi quando c'è stato quel.. incidente, quella sera? Beh,
sono ritornata qui ed ho incontrato lei, Astrid.”
“Nonostante io non l'avessi mai trattata con molta
gentilezza, lei è stata molto gentile con me. Mi ha chiesto cosa mi fosse
successo, mi ha accolto nella sua stanza. Io all'inizio non volevo dire niente,
poi però con un'espressione preoccupatissima mi ha chiesto se io sapessi dove
tu fossi..”
Rimasi ad ascoltarla il silenzio, ancora con le
braccia strette al petto, ricordandomi che Astrid m'aveva detto di aver saputo
tutto proprio da Amanda.
“Avevo una paura folle. Mi sentivo in colpa, mi sembrava persino che sentisse..
sì, che sentisse il tuo profumo su di me, sui miei vestiti, perché io lo
sentivo. A quel punto non ce l'ho fatta e ho confessato tutto. Mi aspettavo
che, come minimo, mi mollasse un ceffone.. Ma non ha detto niente, mi ha
chiesto solo cosa provassi realmente per te. Io le ho detto la verità, e lei..”
si bloccò, a questo punto del racconto.
“Lei?” incalzai, completamente preso.
“Lei ha risposto: 'Anche io lo amo, è la cosa più bella che mi sia mai
capitata, quindi non provare più a portarmela via.' Ecco, queste parole
esatte.” concluse, serissima.
Rimasi senza fiato.
“Capisci, Gabriel? Per quanto si possa essere bravi,
non sono parole di una persona che sta recitando.” continuò.
“E dopo che ha fatto?” riuscii a chiedere con un filo di voce.
“E' scoppiata a piangere, e prima che potessi dire qualcosa era già andata via.
Poi non l'ho vista più.” rispose.
Calò il silenzio. Il mio cervello friggeva, e mi
sentivo come se qualcuno dentro di me avesse azionato un frullatore. Insomma,
non ci capivo più niente.
“E poi, che motivo aveva di recitare quella parte, ammesso che stesse
recitando, anche con me? Rifletti, Gabriel.” continuò.
“Okay. Allora perché non me l'hai mai detto, che mi amava? Cosa diavolo
aspettava? Io avevo bisogno di sentirmelo dire, accidenti a lei!” sbottai,
arrabbiandomi.
“Conosci quella massima 'Non ti ama chi te lo dice, ma chi ti guarda negli
occhi e tace'?” disse.
Feci spallucce. “Mica è sempre così.”
“Ti costa così tanto crederci? Andiamo. Hai tutte le prove necessarie, credici
un po', abbi fiducia in lei.”
Chiusi gli occhi e me li stropicciai, confuso. “Cosa dovrei fare, ora?”
“Riprendertela, in qualche maniera?”
Non risposi.
“Gabriel,” esordì lei, così tornai a guardarla.
“Sì?”
“Io ti ho sempre amato, dico davvero. Mai avrei pensato di dirti cosa del
genere.. Ma va da lei e basta!”
Ancora una volta rimasi senza fiato. Insomma, tutti mi dicevano di tornare da
lei ed io ero l'unico insicuro. Perché? La risposta la sapevo, ma mi vergognavo
ad ammetterlo. Perché avevo una paura matta di cascarci di nuovo e di venire
fregato, come la prima volta. E quella situazione mi aveva fatto stare così
male.. Non era per niente piacevole.
Per non parlare della fottuta paura che qualcuno
mi portasse via definitivamente Astrid. Qualcuno come un ragazzo.. Qualcuno
migliore di me, qualcuno che potesse piacerle più di me. Quanto tempo sarebbe
potuto passare prima che questo qualcuno arrivasse? Un mese, un anno?
A quel punto, però, non sapevo più cosa dire ad Amanda, sconvolto anche dalla
facilità con cui riusciva ad espormi i suoi sentimenti nei miei confronti. Io
non ci sarei mai riuscito.
“Io.. Eh.. Grazie. Ci.. Ci proverò.” balbettai.
Lei sorrise. Io provai a farle un sorriso, anche se non ne ero mica troppo
sicuro.
“Ci vediamo allora, Amanda. Grazie.”
“Ciao, Gabriel.”
Mi voltai e me ne andai con ancora più confusione in testa.
Salve, gente! Come va? Spero che abbiate passato delle serene feste e che quest'anno nuovo, il 2010, sia iniziato nel migliore dei modi!
Prima di tutto vorrei ringraziare chi mi segue, chi mi legge, e chi commenta. Siete fantastici, mi fa davvero piacere! Come sempre, se avete qualche critica, o qualcosa da dire nelle recensioni, non vi resta che scrivere!
Passando alla storia... Bene, questo è il penultimo capitolo. Cosa ne pensate? So che nel capitolo scorso vi ho lasciato a bocca aperta, questo più che altro è un capitolo "di passaggio". La prossima volta che aggiornerò (e sarà fra un po' di tempo, voglio tenervi sulle spine! =P), la storia sarà finita. Posterò il capitolo ventiquattro, e l'epilogo. Direi che gli addii è meglio rimandarli alla prossima volta :(
A proposito, avete presente la mia storia "Ovunque"? Bene, ultimamente ho ripreso il mano il "sequel" e lo sto continuando... Ho già quasi tutto in mente, quindi PRESTO tornerò con il seguito della mia storia! Se tu che stai leggendo non sai di cosa sto parlando, ti conviene andare subito a leggerla! xD E se invece sai di cosa sto parlando, ti consiglio di leggere "But I'll be with you 'til the end" scritta a quattro mani con AllegraRagazzaMorta (:
Adesso smetto di farmi pubblicità e passo ai commenti:
pinkgirl: ahaha, Jessica! Credo proprio che col capitolo precedente io abbia risvegliato il tuo lato più profondo di fangirl! Mi dispiace! Comunque, non temere! XD E come al solito ti mando grossi baci.
valespx78: Il colpo di scena c'è quasi in tutte le storie! Come ho già detto qualche volta prima, non tutto può andare liscio come l'olio... Ahi, ahi! Io credo che comunque Gabriel abbia fatto bene; se una cosa del genere fosse capitata a me, mi sarei comportata come lui (non per niente, c'è un po' di me in lui).
sbrodolina: ciao, grazie del commento, mi fa piacere che tu abbia recensito. Sì, in effetti i personaggi subiscono numerose evoluzioni, come ovviamente può accadere nella vita reale! La mia storia deve averti preso tanto e ne sono più che felice (: E vedo che questa svolta ha sconvolto un po' tutti! XD
trettra: Presto tutti i misteri saranno risolti!! =P Continua a seguirmi, e grazie! Chi se lo aspettava, eheh!
BAMBOLOTTA: anche tu presto saprai come andrà a finire... ti ringrazio per il commento! (:
Gente, che dire, ho finito... A presto con il gran finale!
« Is this to end or just begin? All of my love, all of
my love, all of my love to you. »
Led Zeppelin, All My
Love
« Cara Astrid,
non sono mai stato bravo in queste cose, sai? Da quanto
sono in questo orfanotrofio non ho mai scritto una lettera a nessuno, né,
d'altra parte, ne ho mai ricevute. Certe volte ho proprio l'impressione che mio
padre – mi fa persino senso scriverlo, figuriamoci dirlo – non si ricordi
nessuno che suo figlio sia stato sbattuto in un posto così. Ma, molto più
verosimilmente, neanche si ricorderà d'avere un figlio e basta. Non se lo
ricordava quando avevo otto anni, figuriamoci adesso che sta in gattabuia!
Credo che mi odiasse così tanto solo perché io gli ricordavo mia madre. Mia
madre era molto bella, fisicamente non ho preso quasi nulla da lui.. Doveva
essere per lui un dolore incolmabile rincasare e vedere praticamente la
miniatura della moglie che cercava disperatamente di dimenticare. Certe volte
mi chiedo cosa abbia spinto mia madre ad andarsene di casa: forse lei e mio
padre non facevano più sesso, con un bambino piccolo in giro per casa? La loro
vita sessuale era agli sgoccioli? Forse lui la picchiava? Forse semplicemente
si era accorta di non amarlo più? Mi immagino molto spesso che lei sia fuggita
via con un uomo più giovane di lei, abbagliato dalla sua bellezza, a bordo di
una bellissima Porche rosso fiammante. Buffo, vero? Non avrei mai pensato di
raccontare queste cose a qualcuno. Sono piuttosto umilianti, del resto. Ma così
puoi accorgerti che anch'io, ogni tanto, penso ai miei genitori. E mi chiedo se
loro, ovunque siano, mi pensino. Anche se ne dubito fortemente.
Da mia madre ho preso l'aspetto fisico, ma da mio padre ho preso tutto il
resto. Lui era un artista. Dipingeva, ma non guadagnava quasi nulla e, fra i
tanti problemi che i miei genitori avevano, c'era pure un ammontare di conti da
pagare e di bollette della luce arretrare. Credo di aver preso da lui il mio
senso artistico, ma in fondo lui non ha mai saputo – e mai lo saprà – che sono
bravo a disegnare. Non per vantarmi, eh! Lo dicono gli altri. Cioè Lucas, e tu.
Per quanto mi ricordi, mio padre era troppo egoista, troppo presuntuoso, troppo
saccente..
Ed io, per quanto mi secchi ammetterlo, sono uguale a lui. Non è vero?
A me non importava un fico secco di nessuno se non di
me, credevo d'aver ragione su tutto, e che fossi superiore agli altri, mi
sbattevo qualsiasi ragazza che mi capitasse fra le mani senza alcun scrupolo.
Perché ero così? Non lo so. Forse perché la mia situazione familiare – sempre
se quello che eravamo io, mia madre e mio padre si possa chiamare famiglia – mi
aveva costruito attorno, dopo tutti quegli anni, una scorza spessa spessa,
imponendomi di fare il duro, come dicevi tu, mentre dentro ero fragile e
vulnerabile. Non volevo essere compatito dagli altri, non volevo che avessero
pena di me. Volevo che avessero paura, che mi portassero rispetto. In fondo,
come dice Machiavelli, è più semplice essere temuti che amati.
Poi sei arrivata tu.
Sei stata l'unica persona sulla faccia della terra che abbia mai visto quella
parte di me, quella fragile e vulnerabile. All'inizio, lo ammetto, era solo una
pura e semplice attrazione fisica.. Ma poi, non ho capito più quello che
succedeva, quello che mi succedeva, e.. Mi sono innamorato di te.
Proprio io, che allontanavo ed evitavo l'amore come se fosse la peste! Non
volevo cascarci anch'io, per evitare di finire come mio padre e mia madre,
l'unico esempio di amore che avevo sotto tiro sin da quando ero bambino.
Pensavo che l'amore fosse un sentimento per i deboli, per i sognatori, per
persone che passano tutta la vita a cercarlo, magari invano. Io non cercavo
nulla.. Ma poi sei arrivata tu, lo dico un'altra volta. Bella, bella da far
innamorare con un solo sguardo; fragile, dolce, gentile, sensuale, divertente,
semplicemente perfetta. Perfetta, ecco. E non scherzo, né esagero. Sei fin
troppo modesta, ti conosco.
Io non so quel che hai visto in me, ma sono cambiato, e solo graziete. Francamente mi chiedo cosa tu abbia mai
potuto vedere che ti abbia fatto innamorare così tanto.. Io e te siamo proprio
diversi, eppure, in un certo senso, ci completiamo. E' solo che lì fuori ce ne
sono milioni migliori di me, e tu hai scelto proprio me. Non che la cosa mi
dispiaccia, eh.. Ma mi sembra così bella da suonarmi assurda. E, cosa più
importante, mi va di credere che la tua non sia mai stata una recita, da quel
vasetto di miele andato in frantumi a quelle urla e a quelle lacrime del nostro
ultimo incontro.
Sai qual è la verità?
Egoisticamente parlando, come la maggior parte delle volte, avevo solo paura di
farmi del male, di stare male. Ecco perché sono scappato via. Non posso credere
né accettare che fra noi finisca in quella maniera così brusca e triste. Non
dopo tutto quello che abbiamo passato, non dopo tutte le promesse, le mie
promesse..
La ricordi anche tu, quella notte? Non era niente di concreto, niente di
conosciuto, niente di possibile. Quella notte era oro potabile, raggio lunare
toccabile con mano; era una pietra filosofale e l'Elisir di lunga vita. Ricordi
ancora la storia di mille e una notte? La principessa Shahrazàdcontinuava a raccontare la sua storia ogni
notte al re che la imprigionava, solo per non poter essere uccisa dal re
stesso. La situazione non è esattamente quella, ma.. beh, avrei voluto che tu
fossi la mia Shahrazàd, la mia principessa da mille e una notte. Mia, e di
nessun altro. E mille, mille notti ancora.
Mi dispiace solo d'esser stato così codardo e freddo, perché adesso so cosa
potrei fare per te, davvero. Perché? Semplice. Perché ti amo, Astrid Halls.
Perché ti amerei anche se tu non mi amassi, ti amerei comunque perché prima e
dopo di te non c'è mai stata nessun altra, e mai ci sarà.
Mi dispiace solo che avevo troppo timore per rivelartelo, mi dispiace solo di
non avertelo detto prima. Forse ci sarei rimasto meno male.
Forse c'è ancora un po' di futuro, per me, per te, per
noi. Suona bene, vero?
Ed è per questo che scrivo questa lettera. Sarebbe abbastanza patetico e colpirebbe
profondamente il mio orgoglio se ti implorassi di perdonarmi.. Ma è quello che
sto facendo, in pratica.
Per quanto sia possibile, mi accorgo che la mia vita
senza di te è vuota, come sbiadita – molto più vuota rispetto a quando non
c'era, a quando ancora non ti conoscevo.
Non mi sembra di chiedere tanto.
Vorrei solo mille notti ancora da consumare insieme a te. E basta. »
Feci una bella firma con tanto di svolazzo e piegai il
foglio. Lo misi dentro una busta bianca che chiusi accuratamente con la mia
saliva; dopo di ciò mi alzai dalla sedia ed uscii dalla stanza. Vicino alla
mensa trovai un'inserviente e mi ci avvicinai.
“Mi scusi,” chiesi con fare gentile, porgendole la
busta ben chiusa, “potrebbe consegnare questa lettera alla signorina Astrid Halls?”
L'inserviente mi guardò attentamente. “Può anche riferire a me. Cosa deve
dirle?”
“E' personale.” insistetti, con tono eloquente.
Evidentemente la storia dell'assistente sociale
innamorata del ragazzo ribelle aveva fatto scalpore fra gli inservienti e fra
tutto il personale della topaia, eccitata da quella storia, credendo di
trovarsi nel bel mezzo di una telenovelas.
Infatti quest'ultima prese la busta, si guardò intorno
e se la ficcò in tasca. Dalle sue labbra nasceva un sorriso orgoglioso, fiera di
aver avuto un ruolo importante nella storia e di non essere più una semplice
spettatrice.
“D'accordo, Reeve.” sussurrò con aria da cospiratrice,
ravvivandosi con una mano piena di anelli i capelli biondi, con un'evidente
ricrescita nera.
“Ma se scoprono qualcosa.. Noi non abbiamo mai avuto
questa conversazione.”
Tipica frase da film di spionaggio.
Annuii, divertito, e decidendo di darle retta. “Certo. Sarà il nostro piccolo
segreto.”
Le feci l'occhiolino e lei ridacchiò. Chissà che faccia avrebbero fatto le sue
amiche quando avrebbe raccontato quella conversazione filo e per segno!
“Grazie.” dissi ancora. Le feci uno dei miei migliori
sorrisi e girai sui tacchi.
Mentre percorrevo la strada a ritroso per la mia stanza, mi chiedevo se quella
lettera sarebbe davvero arrivata nella mani giuste. Magari la tizia l'avrebbe
aperta senza tante cerimonie, leggendola insieme alle sue amiche, e sarei
diventato lo zimbello dell'orfanotrofio.
Ma in fondo, era la mia unica possibilità di mettermi in contatto con lei. Meglio
quello che niente.
Davanti la porta della mia camera, trovai Lucas, appoggiato al muro con aria
scocciata.
“Ehi!” esclamò quando mi vide, staccandosi dal muro e venendomi incontro. “Ti
cercavo. Pensavo stessi dormendo, dato che non rispondeva nessuno.”
Gli sorrisi. “No, ci sono, come vedi. Che volevi?”
“Niente. Non posso stare un po' di tempo col mio
migliore amico?”
Scoppiai a ridere. “Troppo facile. Sono l'unico!”
“Ah-ah. Spiritoso. Comunque, dai, che facevi di bello in giro per questi
lugubri corridoi?” chiese.
“Spedivo una certa lettera.”
“Fammi indovinare: Astrid?”
Solo sentire pronunciare quel nome mi metteva i brividi.
Annuii.
Lucas mi diede una pacca sulla spalla. “Vai
tranquillo, amico. E poi, manca esattamente un mese da oggi, no? Una ragione in
più per essere felice.”
“Già.” dissi fissandolo. “Un mese.”
La vita non era poi così male, dopotutto.
“Beh, Lucas. Ti dispiace se vado un po' in camera mia
a riposare? Quella dannata lettera mi ha fatto stare sveglio quasi tutta la
notte. Spero che almeno ne valga la pena.”
Lui annuì. “Certo. Ci vediamo dopo.”
Gli diedi una pacca sulla spalla per salutarlo e lui, fischiettando, sparì
lungo il corridoio. Sospirando, entrai nella mia camera non appena Lucas
scomparve, trascinandomi a malapena vicino al letto.
Ero stanchissimo.
Però, quando alzai gli occhi sulla scrivania, vidi che qualcosa non era come
avrebbe dovuto essere.
Corrugai la fronte e mi avvicinai ancora un po', la
stanchezza passata all'improvviso, come se niente fosse.
Qualcosa, anche se non sapevo cosa, non era al posto giusto.
Mi avvicinai alla sedia e mi ci sedetti. Vidi vicino alle mie matite un rotolo
di carta leggera, legato con quello che sembrava dello spago.
Incuriosito e quasi impressionato, con una delicatezza
assoluta lo presi e lo aprii, levando prima il filo di spago e poi srotolando
il foglio, facendo attenzione a non stropicciarlo.
Il cuore fece uno dei suoi soliti salti mortali e mi dimenticai di respirare.
Era il disegno che avevo mostrato ad Astrid quella sera temporalesca, prima che
facessimo l'amore. Il suo viso, fatto di china nera e matita, mi sorrideva; era
quasi doloroso – per quanto fosse terribilmente piacevole – vederla anche lì,
nero su bianco, dopo tutto quel tempo. Quando era andata via dalla mia stanza,
se l'era portato, perché diceva che voleva appenderlo da qualche parte nella
sua stanza, talmente era bello e talmente le era piaciuto.
Ma allora che ci faceva qui, quel disegno? E cosa significava?
Forse.. Astrid era in quella camera, nella mia
camera?
Quel pensiero mi fece diventare le guance rosse. Mi alzai di scatto dalla sedia
come se avessi preso la scossa e , lasciando il disegno sulla scrivania, mi
misi a controllare dappertutto, in attesa che lei sbucasse da qualche parte,
per vedere se magari si era nascosta. Controllai nel bagno, nella doccia,
dentro l'armadio, sotto il letto.
Naturalmente trovai solo polvere e qualche spicciolo che avevo perso nel
sfilarmi via i jeans.
Deluso, mi sedetti sul letto, intrecciando le mani.
Che stupido che ero stato! Come avevo anche solo
potuto pensarlo? Ma il desidero di vederla di nuovo era così grande che ero
capace di tutto. Anche di quello.
Ma in fondo il rovescio della medaglia, in quella occasione, c'era. Eccome.
Quel che era certo era che Astrid era stata in quella
camera, mentre non c'ero.
Quel che era certo era che mi pensava ancora, così tanto da lasciarmi quel
disegno come ricordo di lei.
Quel che era certo era che Astrid Halls sarebbe stata di nuovo mia.
Non c'era alcun dubbio.
Epilogo.
Un mese passò in fretta.
Mancavano pochi giorni a Natale; ma nonostante ciò la giornata era inondata di
sole e dal cielo azzurro. La temperatura era fredda e rigida, ma non me ne
lamentavo.
Non avrei potuto sperare di meglio.
Chiusi la piccola valigia con un inquietante tlac, per via della
chiusura. Mi guardai attorno: la piccola stanza polverosa era ormai vuota.
Chissà chi sarebbe stato il prossimo a viverci: avrebbe dovuto combattere ogni
giorno con la polvere. Io ci avevo già rinunciato in partenza.
Feci un ultimo controllo per vedere se avevo
dimenticato qualcosa dentro qualche cassetto o nell'armadio: ma era davvero
tutto vuoto.
Con la scusa feci un piccolo tour della stanza,
passando in rassegna alcuni dei miei momenti più belli passati lì dentro.
Trascinai la valigia, afferrai il giubbotto di pelle ed una sciarpa scura.
Aprii la porta fermandomi sulla soglia e mi guardai
indietro per un attimo. Fissai il letto appiccicato alla parte, e per un attimo
un'immagine alquanto piacevole ed emozionante mi riaffiorò nella mente, come un
flash.
Lei, nuda, lì per me, con i
suoi baci e la sua dolcezza.
In una sorta di atto di bontà, sperai con tutto il cuore che anche la prossima
persona costretta a vivere là dentro sarebbe stata tanto fortunata come me; a
vivere delle emozioni fortissime proprio lì dentro, ignaro di quello che era
successo prima di lui. O di lei.
“Addio.” dissi lentamente, ma sorridendo.
Chiusi la porta con un altro rumore metallico e
percorsi il corridoio lugubre per l'ultima volta. Era una sensazione
incredibile: mi sentivo leggero ma potente.
Libero,
finalmente.
Arrivando quasi alla fine del corridoio, m'imbattei in Amanda.
“Oh, scusa!” disse spostandosi. Dietro di lei c'erano
alcune delle sue scagnozze, le quali mi guardavano non proprio gentilmente. Ma
sapendo che era presente Amanda, non potevano né dire né fare nulla.
Lo sguardo di Amanda si posò sulla mia valigia, che ancora stringevo in una
mano, mentre sottobraccio tenevo il giubbotto e la sciarpa.
“Vai via?” chiese.
Annuii, sorridendo. Lei mi sembrò un po' meno felice.
“Questo significa che non ci rivedremo più..” disse ancora, con un tono che
faceva trasudare tutta la sua tristezza.
Scrollai le spalle. “Beh, no. Verrò qualche volta a trovare Lucas finché anche
lui potrà uscire. Sicuramente ci incroceremo.”
Annuì, come se comprendesse benissimo.
“Okay. Allora, cosa potrei dirti.. Buona fortuna.”
La fissai. Era ancora innamorata di me, lo sapevo, ma non potevo ricambiarla.
Non avrei mai potuto amarla; forse avrei potuto volerle bene.
Posai il giubbotto e la sciarpa sulla valigia e le diedi un buffetto sul mento
con la mano libera.
“Stai serena, Amanda..” dissi, notando i suoi occhi
scuri velati di lacrime.
Ma perché mi amava? Perché riusciva a farmi sentire un verme? Mi venne quasi
voglia di chiederglielo, ma mi morsi la lingua, deciso a non farla soffrire
ancora di più con quelle stupide domande. In fondo, neanche se lo meritava.
Mi fece un sorriso triste. “Vorrei dirti tante cose, Gabriel, ma..”
“Ma non dirle. Forse è meglio ricordarmi così, con questo buffetto, e basta..”
la interruppi.
Lei annuì e si stropicciò gli occhi. “Ci vediamo, Gabriel.” disse guardandomi
negli occhi. Fece per superarmi, ma le afferrai un braccio, fermandola.
“Ehi, cos'è tutto questo gelo? Un abbraccio non me lo dai?” le dissi, sorridendo.
Ci abbracciammo.
Lei si lasciò stringere da me, sprofondando il viso
nel mio petto. Respirai a fondo il suo bellissimo profumo, ritornando con la
mente a quella notte maledetta, ma cancellai tutto all'istante. Sì, le volevo
bene: e pensai davvero con tutto il cuore che forse sarebbe stato meglio per
lei se avesse incontrato un ragazzo che l'amasse davvero, e non uno stronzo
come me. Ma ero certo che prima o poi avrebbe incontrato il ragazzo giusto per
lei e si sarebbe scordata di me, e glielo auguravo, anche se non lo dissi.
L'abbracciò finì dopo qualche minuto e scostandomi rimasi con le mani sulle sue
spalle.
La guardai negli occhi e le sorrisi; lei ricambiò.
Dopo di ciò lei fece un cenno alle ragazze, che si avvicinarono e la seguirono
lungo il corridoio, mentre lei se ne andava.
“Ci vediamo presto, Gabriel.”
“Sicuro.”
La guardai camminare via, poi sospirai e ripresi il mio cammino.
Uscii dal portone trascinandomi dietro la valigia e mi
fermai sugli scalini.
Faceva freddo, così mi infilai il giubbotto di pelle e
mi avvolsi al collo la sciarpa. Scesi gli scalini che rimanevano, e arrivando
in cortile, trovai un'altra persona ad aspettarmi.
Mi avvicinai a Lucas Smith con un sorriso a trentadue denti.
“E così è arrivato il grande giorno, fratello.” disse lui con la sua solita
pacca sulla spalla. “Sei diventato grande!”disse ancora, e mi diede un
pizzicotto sulla guancia, come se fossi un neonato.
Gli volevo un bene da morire. Lucas aveva i capelli raccolti in un piccolo
codino, e portava una sigaretta dietro l'orecchio, come se fosse una penna.
Quella sua aria pazza mi faceva divertire, così scoppiai a ridere.
“Oh, infatti adesso portami rispetto.” ribattei, sorridente.
“E' risaputo che con l'avanzare dell'età crescono le illusioni..”
Ridacchiamo entrambi come dei cretini.
“Beh, adesso ti lascio andare. Mi raccomando, fai il bravo, non ti drogare e
fai sempre sesso sicuro.” disse, puntandomi un dito contro ed annuendo.
Ridendo ancora, lo abbracciai. “E anche tu, ma tanto ci rivediamo presto.”
“Certo. E ancora auguri, Gabriel.” aggiunse Lucas.
Annuii, poi ci separammo e lui mi tenne le mani sulle
spalle, proprio come prima avevo fatto con Amanda.
“Sei proprio adorabile, Gabrielino. Se fossi una
donna, quasi quasi mi metterei con te!” scherzò lui.
“Sì, in effetti anch'io se fossi una donna.. Mi metterei con me!” dissi di
rimando, ridendo.
Un pugno sulla spalla e un altro abbraccio.
“Ciao, Luke.”
“Ci vediamo, Gab.”
Lucas mi sorrise un'altra volta, poi fece dietro-front e rientrò nell'edificio.
Rimasi qualche attimo a contemplare il cortile vuoto e
quella costruzione, così familiare. Tutto quello un po' mi sarebbe mancato. Ma
non troppo, del resto.
Diedi le spalle all'edificio e riprendendo la mia valigia camminai ancora
davanti a me. Arrivai davanti al fantomatico cancello di ferro battuto. Lo
spinsi con una mano, e, attraversando la soglia tra il cancello e la strada,
decisi che da quel momento mi sarei buttato a capofitto nella mia nuova,
splendida vita.
“Gabriel!”
Mollai di scatto la mia valigia ed una cascata di capelli biondi mi travolse,
avvolgendomi in un abbraccio spezza costole. Con la gola secca, ricambiai
l'abbraccio più forte che potevo, sentendo il cuore andare a tremila. Chiusi
gli occhi, sprofondando il viso fra i suoi capelli d'oro, mettendoci una mano
in mezzo.
“Mi sei mancato..” sentii la sua voce sussurrarmi vicino l'orecchio.
Avrei voluto dire che anche lei mi era mancata, ma non riuscivo più a parlare.
Rimanemmo così, fermi ad abbracciarci, dondolando un po'. Poi l'abbraccio finì
e potei guardarla negli occhi.
“Astrid..” sussurrai carezzandole la guancia con una mano, quasi tremando
dall'emozione. Lei mise entrambe le mani ai lati del mio collo, fissandomi a
sua volta.
“Accidenti, sei venuta davvero come mi avevi scritto nella tua ultima
lettera..” dissi ancora, un po' sorpreso, ma più che felice.
“Speravi forse che non lo facessi?” disse lei,
carezzandomi piano il collo con le dita, fissandomi.
“No, piuttosto lo temevo.”
Sorrise. Quanto mi era mancato quel sorriso.
“Tra l'altro,” continuai, “non sarei neanche uscito da lì se non avessi avuto
la certezza che tusaresti stata qui ad
aspettarmi..”
Lei sorrise ancora di più, con gli occhi marroni che
le luccicavano per la gioia.
Quante volte avevo già visto quei bellissimi occhi
farlo?
“Ed io non sarei stata qui se non avessi saputo che tu eri lì dentro ad
aspettarmi.” disse lei di rimando.
Non sapendo che altro dire, mi limitai a guardarla, quasi mangiandomela con gli
occhi.
“Gabriel..”
“Sì, cosa?”
Chiuse per un attimo gli occhi e poi li riaprì sorridendo.
“Ti amo.” disse.
Rimasi a bocca aperta.
La guardai, sbattendo più volte gli occhi, preso alla
sprovvista.
“Gabriel, lo so, mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo prima, magari adesso è
troppo tardi, ma avevo solo..” iniziò, ma le chiusi la bocca, baciandola.
Lei si arrese all'istante e prese a baciarmi a sua
volta. Assaporai le sue labbra come se stessi gustando un piatto prelibato,
molto lentamente, passando poi la mia lingua sul contorno del suo labbro
inferiore. Le mie mani carezzavano la sua schiena, mentre le sue il mio collo.
“Non ci credo che posso farlo di nuovo..” sussurrai ancora con la bocca sulla
sua, dentro la sua. Sentii le sue labbra incurvarsi in un sorriso.
Ci separammo.
Aprii gli occhi lentamente e ci guardammo per un lungo
istante, sorridendo senza nient'altro da dire. Astrid poggiò la sua fronte
sulla mia, tenendo sempre le mani ai lati del mio collo.
“Baci sempre divinamente.” mi disse.
La guardai sorpreso, perché non mi aveva mai detto nulla del genere.
“Ne dubitavi?” ribattei, ridendo.
Anche lei rise e mi baciò di nuovo.
“Hai la prova, adesso, Gabriel. Io ti amo sul serio, non fingevo, non ho mai
finto.”
Rimasi qualche attimo in silenzio. “Ma io ti credevo già da prima, Astrid.”
Sorrise con aria felice. “E, sai..” iniziò.
“Cosa?”
“Ho lasciato il mio lavoro.” disse alla fine.
La guardai ad occhi sgranati, incredulo. “Cosa hai
fatto?!”
“Ho lasciato il mio lavoro.” ripeté, come se fosse una cosa del tutto normale.
“Sei impazzita? Io pensavo che.. che.. Beh, l'avevi
detto anche tu, no? Che non lo volevi lasciare, che era meglio aspettare che io
facessi diciotto anni..”
“Lo so cosa pensavi e lo so cosa ho detto. Ma questa è un'altra dimostrazione.
Ho sbagliato, Gabriel, e anche se mi sono già scusata e ne abbiamo parlato,
voglio ridirtelo. Sono stata proprio egoista, e non è da me. Nessun lavoro è
più importante di te, e lo sai.”
Avevo quasi gli occhi lucidi.
“Nessuno aveva mai fatto qualcosa del genere per me.” balbettai, guardandola
sempre con quegli occhi sgranati.
“Beh, ma io mica sono nessuno.” ribatté lei sorridendo.
“Lo dico e lo ripeto.. Sei una soddisfazione, Astrid Halls..”
Ancora un altro bacio.
“Ehi,” disse Astrid quando ci staccammo, scompigliandomi i capelli con una
mano, “sei pronto per vedere il tuo nuovo appartamento?”
“Nuovo appartamento?!” chiesi, ancora più incredulo di prima.
Lei rise della mia reazione.
“Certo! Cosa ti aspettavi, che stessimo in una stanza d'albergo?” Mi diede una
gomitata. “Non ti ho detto nulla, nelle lettere, perché volevo farti una sorpresa.”
Sorrisi.
“Beh, l'idea di me e di te chiusi tutto il tempo in una stanza d'albergo è
molto eccitante, ma, okay, mi accontenterò dell'appartamento. Ma come diavolo
hai fatto...?”
“Ci abitavo prima. Il mio letto è matrimoniale, quindi..”
“Ottimo!” esclamai tutto eccitato.
Rise e mi afferrò una mano. “Sono sicura che ti piacerà! E' poco distante da
qui.”
La guardai per l'ennesima volta.
Portava i capelli sciolti, come piacevano a me, un
maglione bianco ed un paio di jeans scuri. Il crocifisso d'argento luccicava
sul suo collo: nel guardarlo ritornai mentalmente a quella notte di quasi un
mese prima. Era lei, l'Astrid che avevo conosciuto e che avevo imparato ad
amare. E non potevo chiedere nient'altro di meglio.
“Sei bellissima.” le dissi, così, spontaneamente. Ed avevo proprio ragione.
Mi sorrise dolcemente. “Anche tu sei bellissimo.”
Quasi quasi mi sentii arrossire, ma le sorrisi soltanto in segno di
gratitudine.
“Beh, andiamo?” disse, sempre tenendomi per mano.
Mi voltai per guardare l'orfanotrofio.
Sembrava così strano poter lasciare per sempre quel
posto, dove avevo vissuto gran parte della mia adolescenza. Ed adesso avevo
diciott'anni, ero maggiorenne, ero libero.
Ed avevo Astrid al mio fianco.
Era tutto così incredibile: non avrei mai creduto di trovarmi
in una situazione del genere. Se me l'avessero raccontato pochi mesi prima,
probabilmente non ci avrei proprio creduto, e mi sarei limitato a fare una
grassa e grossa risata.
Mi voltai di nuovo verso di lei. Mi sorrideva.
“Certo.” dissi alla fine.
Annuì, poi però si batté la mano libera sulla fronte. “Oh! Quasi dimenticavo.”
“Che cosa?” chiesi, alzando un sopracciglio nel guardarla.
Lei mi lasciò la mano e si diresse verso la mia valigia, ancora accanto a noi,
dove prima d'abbracciarmi aveva mollato la sua solita borsa di tela.
Si accucciò accanto alla valigia e, prendendo la sua
borsa, ci frugò dentro. Alzò lo sguardo su di me, che la stavo guardando.
“Chiudi gli occhi!” mi ordinò.
“Eh? Perché?” protestai, ma col sorriso sulle labbra.
“E' una sorpresa.”
Obbedii e chiusi gli occhi, mettendo le mani dietro la schiena ed attendendo.
Sentii qualche fruscio ed infine sentii che Astrid si
era rialzata ed era proprio di fronte a me.
“Adesso posso aprirli?” chiesi, impaziente, notando che lei ancora non diceva
nulla.
“Okay, aprili.”
Li aprii e vidi Astrid, di fronte a me come pensavo, con un pacchetto
rettangolare fra le mani. Era incartato con una carta di un bel blu scuro.
“Oddio. Che cos'è?” dissi d'istinto, come se tra le
mani tenesse qualcosa di cui avere paura.
Ridacchiò. “Non ti mangia mica, Gabriel.”
Me lo porse ed io lo presi con entrambe le mani. Era un po' pesantuccio.
“Buon compleanno, Gabriel!” esclamò lei allora, tutta allegra, accompagnando il
tutto con un casto bacio sulla guancia.
Io questa volta arrossii davvero, non abituato a tutte
quelle attenzioni. Tra l'altro non ricevevo un regalo da parecchi anni. Lei poi
mi scoccò un bacio sulle labbra.
“Grazie mille, Astrid.” bofonchiai, improvvisamente intimidito.
“Dai, aprilo, che aspetti?” mi incitò lei, sorridente.
Annuii e molto lentamente scartai quel regalo. Chissà che cos'era?
“Oh Dio..” dissi non appena levai tutta la carta.
Era il disegno che io ed Astrid avevamo fatto insieme, quel pomeriggio in mezzo
al campo di papaveri, quello che avevo regalato a lei. Era incorniciato con
cura in una cornice di plexiglas. Sembrava più bello, più professionale. Ed era
un bellissimo pensiero. Guardandolo mi sembrava quasi di ritornare indietro nel
tempo: mi sembrava quasi di sentire il profumo dell'erba, dei capelli di Astrid
mossi dal vento. Lo adoravo già.
“Allora l'hai conservato..” fu la prima cosa che dissi.
“Certo, secondo te lo buttavo?” rise.
“E' bellissimo. Grazie, Astrid.” dissi.
“E' solo un pensiero, anzi, non è nulla d'originale. Pensavo che potessimo
metterlo a casa nostra. Meglio di una foto, no?” Casa nostra. Suonava un po' strano, ma non ci badai.
Ero troppo felice, quasi lusingato.
“Certamente. Tutto quello che vuoi.”
Posai il regalo sopra la valigia e le buttai le braccia al collo, per abbracciarla
e successivamente baciarla.
Lei ricambiò senza esitare; poi, mentre le mordevo un
orecchio, le sussurrai: “Ti amo, Astrid. Da impazzire.”
Ero sicuro che stesse sorridendo. “Anch'io ti amo,
Gabriel. Da morire.”
La lasciai andare molto lentamente e le sorrisi,
scombinandole i capelli.
“Allora, Astrid, che ne dici di Gabriel Junior?”
Lei mi guardò con aria perplessa, evidentemente non capendo cosa stessi
dicendo. “Scusa?” chiese, infatti.
“Il nome per nostro figlio.” risposi con estrema tranquillità.
Rimase un attimo in silenzio, poi scoppiò a ridere.
“Non c'è niente da ridere! E' una cosa seria.” la rimproverai, trattenendo a
stento le risate.
“Ma Gabriel Junior è orribile, scusa!”
“Okay. Allora se è una femminuccia vada per Astrid Junior.”
Scoppiammo a ridere entrambi, come degli scemi. Presi il mio regalo e facendo
attenzione a non romperlo lo misi dentro la valigia, avvolto da qualche
maglione per evitare che si rompesse durante il tragitto; dopo di che la chiusi
e la presi in mano.
“Vuole seguirmi, signorina Halls?”
“Con piacere, mister Reeve.”
Mentre si rimetteva su una spalla sola sua borsa, prese la mano libera che le
offrivo e le nostre dita s'intrecciarono. Mi voltai per un attimo e guardai
davvero per l'ultima volta l'orfanotrofio St.Catherine.
Cosa m'avrebbe riservato il futuro?
Avrei avuto una vita con Astrid, questo sicuramente. Avremmo trovato entrambi
un lavoro, ci saremmo sposati ed avremmo avuto davvero un Gabriel Junior o una
Astrid Junior? Oppure, come mio padre e mia madre, avremmo finito per odiarci
qualche mese dopo il nostro matrimonio?
Non lo sapevo, non avevo una palla di cristallo; e in quel momento neanche
m'importava.
Sapevo solo che in quel preciso istante Astrid
stringeva la mia mano e che quel semplice gesto bastava per allontanarmi da
tutto, bastava per far sbiadire lentamente le mie paure infondate, il ricordi
dell'orfanotrofio e tutto il resto; come se stessi percorrendo una strada a
duecento chilometri all'ora e vedessi i contorni del paesaggio attorno a me
sbiadire lentamente, sgretolarsi.
Non c'era niente di più importante che lei,
semplicemente lei.
“Gabriel,” disse all'improvviso lei.
“Sì?” chiesi.
“Sei pronto per affrontare mille notti ancora, insieme?”
Le sorrisi. “Puoi scommetterci.” dissi soltanto.
Anche lei mi sorrise, più felice che mai. Così ci allontanammo, continuando a
stringendoci la mano.
Però, ancora, una domanda mi faceva arrovellare il cervello.
“Astrid, invece cosa ne pensi del nome Lucas?”
Risi, mentre lei mi guardava male.
Ero felice.
Ero con Astrid.
Ed era esattamente tutto quello che volevo, tutto quello che mi bastava.
Sì, siamo alla fine. Onestamente, mi sono sempre piaciuti i lieto fine e, sì, anche in questa storia vissero tutti felici e contenti...
Ho scritto questa storia quasi due anni fa, e rileggendola mi rendo conto che AVREI POTUTO FARE DI MEGLIO, e di alcuni errori grammaticali, che sono davvero tremendi. Ma, sapete? Non ho voluto toccarla, perché non mi sembrava giusto. Ho scritto questa storia in un periodo della mia vita in cui pensavo che Gabriel avesse totalmente ragione, e... Sì, in lui c'è molto di "quella me". Ma anche Gabriel alla fine capisce che sta sbagliando, e che per essere amati, è necessario amare. E anche io, l'ho capito...
Spero davvero che la mia storia vi sia piaciuta. Ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito, chi ha commentato, chi ha aggiunto la storia tra i preferiti o tra i seguiti. Ringrazio legolina77, trettra, valespx78, pinkgirl (Jessica :D), BAMBOLOTTA, sbrodolina, ChasingTheSun, Melikes, didi_kaulitz, AllegraRagazzaMorta (FEDEEEE <3), CrImInAlSmOoTh, GiulyRedRose, Laura93, _Ink Whisper_, luciini, e TUTTE LE ALTRE. Ho sicuramente dimenticato di menzionare qualcuno, ma perdonatemi! Vi abbraccio e ringrazio comunque tutte! Spero che 'Mille Notti Ancora' vi abbia trasmetto di qualcosa, qualche emozione, e che vi siate divertite a leggerla. L'unica cosa che mi è dispiaciuta è non aver ricevuto un numero "decente" di recensioni, che sinceramente mi aspettavo... Ma pazienza! Almeno per il grande finale, siate buone/i e lasciatemi un commentino ;)
Credo sia tutto. Come ho scritto alla fine dei capitoli precedenti, molto presto (più presto di quanto immaginate) tornerò con il SEQUEL della mia PRIMA storia, "Ovunque". Vi consiglio di leggerla, e di leggere gli altri miei lavori, nell'attesa! =P
- Ovunque!
- But I'll be with you 'til the end scritta a quattro mani con AllegraRagazzaMorta.
- Pelle, la mia one-shot.
G R A Z I E.
Adrienne.