L'anoressia ti fa bella

di kantsexhibition
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 2: *** Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 Capitolo ***


Non si può raccontare ciò che non si ha mai vissuto fin ora, ma credo che ogni storia abbia la sua lingua e ogni parola abbia il suo perché, il suo tono, il suo volume .
Ecco cos’è la mia vita, un vortice, un turbine emotivo messo al massimo volume, con i bassi che fanno tremare il pavimento, con la follia del suono, i battiti che accelerano e hanno bisogno di sentirsi anche loro umani per un secondo, di andare a ritmo dei nostri battiti .
Non credo esista una storia unica, ma per quanto ci sforziamo di raccontare rimangono solo parole che trovano conforto, in chi legge e in chi li scrive .
Non ho una data di quanto ho deciso di smetterla di mangiare, ma ho una data da quando sono iniziati i miei frequenti attacchi di panico. Il 28 Aprile 2011 .

I miei 17 anni, la mia ragazza al mio fianco e tutti gli amici intorno .
E’ pasquetta, in Sardegna non fa ancora abbastanza caldo per andare al mare ma noi decidiamo lo stesso di fare una gita per le spiagge, fregandocene del tempo, dei meteorologi che dicono che pioverà, fregandocene . Come siamo bravi a fare .
La mattina mi svegliai abbastanza presto, non scelsi il mio vestito migliore e ne mi preparai al meglio, nonostante la sveglia segnasse le sette del mattino era tardi, alle otto dovevo essere davanti alla stazione del bus a qualche kilometro dalla mia città .
La doccia diventò secondaria, anche la scelta dei miei abiti, sciatta com’ero ho messo il culo su quella macchina costosa dei miei genitori e sparato la musica nelle orecchie, perché amavo la musica, anche oggi la amo, credo che sia uno di quegli amori che durano per sempre, come nei film .
Musica ad alto volume, occhiaie che parlano e un bus da prendere con sconosciuti, tranne lei. La ragazza che amavo alla follia .
Buttata fuori dalla macchina c’erano tutti quanti loro, ammassati, non ricordo quanti eravamo ma ricordo che eravamo abbastanza per riempire due bus con tutto quello che poteva portarci il divertimento: alcol, erba . Solite cose insomma, solita adolescenza .
A volte tendo a dimenticare troppi particolari, troppe cose, come se i neuroni mi cedessero e non provassero nemmeno più a ricordare ciò che è stato, ciò che è il mio passato .
La velocità del bus era paragonabile alla lentezza dei miei movimenti quella mattina, solitarie vie di campagna percosse per una Pasquetta che doveva essere la nostra festa, ci sentivamo il dovere di renderla migliore, la più bella festa che avessimo mai passato e che tutti quanti avrebbero invidiato .
Eppure eravamo un ammasso di ragazzi che andavano al mare, nulla di così eccezionale, da noi in Sardegna lo fanno tutti .
Ne ho fatto anch’io tante di feste di quel genere, di giornate rubate agli agriturismi per addentrarci nella natura, nel sesso e nella droga, tutti quanti erano come noi .
Invisibili originalità che si credono uniche, si credono avventuriere e selvagge solo perché quel giorno non potevano postare su Facebook la loro avventura migliore, la loro canzone più bella e la loro pericolosità .
Mi sedetti accanto a lei, anche se si è omosessuali o eterosessuali la cosa rimane, chi è più dominante va sempre al fianco di chi lo è meno, nel mio caso io .
Ero più piccola di lei, dovevo darle sempre retta, lei era il mio idolo .
Diplomata con 100 alla maturità, ogni volta che lo citava ridondava sempre la stessa cantilena “ Non mi hanno messo la lode perché ero troppo brava “ era il mio idolo quella ragazza perché era riuscita ad avere riconoscimenti, cosa che io non ottenni mai in 17 anni .
Scapestrata, kefiah al collo, piercings sparsi per il corpo, nel bagno della stazione ero talmente vittima di quella omologazione metallica che chiesi ad una sua amica, giusto per provare a fare un po’ amicizia, visto che era l’unica che conoscevo di più di quei passanti, come curare il mio anellino all’ombelico che stava via via strappandosi .
Poche parole, poca considerazione, io non ero una persona, ero la ragazza di Francesca .
E’ buffo quando porti qualcuno in una comunità non sua, si annulla come persona e diventa “ L’amica di.. “ magari potrebbe anche essere migliore di quella persona, potrebbe aver anche vinto il premio Pulitzer o l’Oscar alla miglior fotografia, ma se tu entri in una comunità non tua rimani sempre “quello che è stato portato da..” e io uguale .
Per questo il sedermi affianco a lei, in quel gruppo avevo un’identità così, non in altro modo .
“ Perché ho accettato? “
Avessi potuto andarmene istantaneamente credo l’avrei fatto .
Dopo un po’ comparve il mare, l’acqua, la maestosità dell’acqua che solo la nostra terra sa dare, solo il nostro vento sa creare .
La Sardegna è una terra magica, talmente è bella che vuoi fuggirci appena puoi, sia per farti abbracciare da quella sabbia e sia per farti abbracciare dallo smog della città più lontana .
La Sardegna è una gabbia, diceva un articolo, una bellissima gabbia d’oro .
Nessuno quel giorno si fece il bagno, la vodka aveva già bagnato le loro vene di estrema euforia e gioia, che solo chi sa bere vodka fruttata calda sa percepire .
L’alcol anche se servito freddo riscalda le ossa, i pensieri e tutto quanto diventa un accogliente abbraccio, si diventa liberi quando si beve, ma liberi da cosa?
Stranamente quel giorno rifiutai da bere, rifiutai ogni cosa mi veniva offerta .
Vedevo l’offerta come un gesto di favore, non di piacere, come se non fosse per lei nessuno mi doveva niente, infatti se mi parlarono quel giorno era per cortesia .
La spiaggia era ventosa, avevamo infranto quel consiglio degli esperti che ci dicevano di non andare fuori città quel giorno, di rimanere in casa .
Ci fermammo a mangiare, io avevo preparato le mie cose la sera prima con cura, perché quando inizia l’ossessione non inizia tutta d’un botto, inizia piano . Con i piccoli gesti .
I miei furono eleganti quella sera prima, scelsi il pane integrale da brava novellina perché tutti quanti quelli a dieta lo mangiavano, lo dicevano nei film .
Scelsi il tonno perché meno calorico dell’affettato, scelsi altro perché meno rispetto ad altro .
Morsi quel pane, non ero ancora abituata a dar sapore con la mente a ciò che non mi piaceva, il pane integrale dopo aver mangiato per anni quel pane morbido appariva più amaro, di una consistenza grumosa.
Non era liscio, ma continuavo a mangiare comunque, d’inerzia .
Lei era grossolana, lei non aveva preparato niente, aveva comprato tutti gli ingredienti per crearsi il suo e lì in quella spiaggia, seduta a gambe incrociate, aprendo il panino con le mani e prendendo il prosciutto sempre con esse, dopo che quelle mani durante la giornata avevano toccato di tutto, diede un morso vorace .In quel frangente mi son chiesta “ E’ questa la donna che amo? “Grassoccia, ma sempre meno di me, più bassa, capelli neri anche lei non molto puliti, sopracciglia da rifare, occhi piccoli e mani ancora più piccole, più grande di me di quattro anni .
Era questa la vita che m’aspettava? Scampagnate con la giunta di quel paese che nemmeno copriva 2mila abitanti, festività insieme a quegli sconosciuti che cantavano con la chitarra canzoni in dialetto? Birra calda? Vodka ancora più calda? Erba girata male e discorsi da bar?
La donna che amavo m’appariva così insignificante rispetto a quello che avevo dentro, rispetto alla voglia di cambiare .Rispetto a tante cose lei appariva piccola, se io ero inferiore a lei, allora io ero sotto la terra, sotto il niente, iniziò a piovere fortissimo e dovevamo andarcene di tutta fretta, prendere le cose e ritornare dentro il bus e scappare da qualche parte, in un luogo riparato .
E’ strano come il cervello faccia degli sbalzi assurdi nei miei ricordi, ho un buco, un grosso buco e da lì inizia il mio attacco di panico .

Dentro un bus pieno di gente, non mi ricordo perché non potevamo uscire e dovevamo rimanere uniti, io dovevo fare pipì .
Lì l’attacco di panico, avevo fottutamente paura di farmela addosso, come se i reni potevano non reggermi più da un momento all’altro .
Non parlai con lei del perché iniziai ad aumentare il battito, il respiro e tutto intorno a me girava vertiginosamente, le dissi solo che stavo male, troppo male e che volevo uscire di lì .
Volevo uscire e non ritornarci mai più, volevo andarmene a casa ma ero troppo lontana e senza i mezzi .
L’attacco di panico è qualcosa di brutto, come se qualcuno ti spingesse il petto e t’impedisse di respirare, ti stringesse i polsi e non ti volesse far circolare il sangue nelle vene, le mura del bus si facevano sempre più strette, le persone troppo vicine, sudavo freddo, non volevo il suo abbraccio, non volevo i suoi consigli, volevo solo graffiarmi il polso .
In quello ero molto brava, lacerarmi la pelle solitamente mi calmava dalle crisi di pianto che avevo .
Ma lì non si poteva niente, lì era tutto assurdo .
Dopo di quello ne seguirono altri, moltissimi altri attacchi, tutti durante la stessa giornata, lei sempre servizievole che me li placcava, da brava donna innamorata e servile, ero io quella debole non lei .
Ci sono tanti modi per far passare quella brutta sensazione, solitamente se si è fortunati dura solo mezz’ora, un lasso di tempo che quando la provi si dilata, ma nella realtà s’allunga sempre di più, riesce a trasportati in un orologio dove tutto si muove sempre più lentamente .
Vuoi che passi, vuoi che tutto passi ma ti ritrovi li, a cercare l’aria che manca dentro i tuoi polmoni .
Vuoi piangere, vuoi strapparti la pelle, vuoi fare qualsiasi cosa basta che ti passi, vorresti vendere anche l’anima al diavolo talmente sei disperata in quel momento, basta che quella bruttissima sensazioni non ritorni più, vuoi sentirti libera di sentirti . Di sentire che non hai una catena dentro che rinchiude il normale processo del tuo corpo . 

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Capitolo 2
*** Capitolo ***


Dopo quella giornata iniziai a soffrire sempre di più, credo che dentro di me da quel giorno si sia rotto qualcosa che non ritornerà mai più intatto, perché abbiamo inventato troppi rimedi per costruire e distruggere le persone e dargli qualcosa di nuovo, ma mai per farle ritornare quelle ch'erano un tempo . 
Credo che quel giorno lì se ne sia andato qualcosa da me, il crack e poi il vuoto . 
Il vuoto di una ragazza che guarda l'amore e non lo prova più, guarda chi ha intorno e non prova, prova a provare qualcosa ma anche il solo tentativo è vano . 
Lasciano delle parole che non sempre possiamo colmare in qualche modo, lasciano dei ricordi che ricordiamo a sbalzi e senza una connessione logica. 
Ci vuole forza per vivere e ricordarsi di ciò che abbiamo passato, solo i deboli cancellano il proprio trascorso, forse perché fa male ricordarsi ciò che si è stati e ciò che avremmo voluto essere quando avevamo solo 17 anni . 
Ma io dentro la mia anima non mi sentivo così piccola, io ero potente . 
Ma quel giorno no, ero annientata . 
Avevo capito che ero qualcuno lì grazie a lei, ma io non volevo più essere quello . 
Volevo essere Daria, la ragazza che brilla da sola, che ha una luce dentro che non viene accesa da qualcun altro intorno . 
Ero Daria e avevo 17 anni, mentre tutti si divertivano e chiaccheravano io annaspavo nell'aria che mi mancava . 

Un mese dopo lasciai Francesca . 
Ho venduto l'anima per un bacio ad un uomo, che sapeva come stringermi, come portarmi via con quella violenza che solo lui sapeva avere nei miei confronti . 
Su quella strada, su quel parcheggio davanti casa mia ho venduto l'anima, ho firmato il patto col diavolo per addentrarmi nell'inferno . 
Il bacio più bello della mia vita, aveva sapore di ciò che sarebbe accaduto ma che io non sapevo ancora aspettarmi . 
Avevo ancora 17 anni, ma tra un mese ne avrei avuti 18, sarei stata grande, un adulto e lui lo era ancora di più di lei . 
Lui era ancora più grande, ne aveva ben due in più di lei, io se ero piccola con lei di fronte a lui mi sentivo valere nulla, meno di zero . 
Quando vendi l'anima al diavolo devi essere umile, pulirti le scarpe prima d'entrare o lui s'arrabbia e te la farà pagare . 
Il mio rifiuto per il cibo era già iniziato da poco tempo, ma non sempre seguivo ciò che mi promettevo, io mi promettevo di essere tante cose. 
Solo dopo più di un anno potevo sentirmi invincibile, potevo sentirmi davvero padrona di ciò che stava accadendo nella mia vita.
Prima ero inerme, inesperta a davvero tante cose. 
Come nel sesso, prima di lui non avevo mai avuto un rapporto con uomo, come una puttana mi prostituii in un parcheggio, in quello dove solitamente andavano le coppie clandestine ad ammucchiarsi come carne marcia buttata nel cassonetto . 
Ero la sua ragazza, ero il suo pungiball, ero la sua confidente, ero qualcosa da distruggere e plasmare . 
Era un'estate fantastica secondo i miei occhi, ancora i miei polsi non erano macchiati di lividi ma solo di cicatrici, il mio collo era bianco e poco abbronzato, non era ancora nero e nemmeno duro per l'ematoma . 
C'erano i Subsonica il giorno dei miei 18 anni, ero felice, ero contenta, lo chiamai a mezzanotte perché in quel momento cantavano "Istrice" la nostra canzone, che scelsi io, ma non rispose subito, rispose alla seconda chiamata chiedendosi il perché di quella scelta, che non c'era bisogno e che non aveva capito assolutamente niente . 
C'era Discoteca Labirinto come chiusura, la voce di Samuel era lenta e densa come la cocaina, come le immagini che descriveva di quella stanza bianca creata dalla polvere di quella droga di cui lui abusava . 
Per poi trasferirsi al giorno dopo, alla piscina e alle canzoni da festa, ai cocktails costosi e dati gratuitamente, alla droga e alle troppe canne sempre rollate male. 
Ai motorini appostati con dentro quello di cui facevano uso i più ribelli, io non volevo entrare in quel mondo, ho sempre detto di no alla pesantezza della polvere sotto alla lingua e delle pupille ancora più dilatate, mi accontentavo di essere grande a mio modo, con quell'erba che aveva sapori strani, solo da più grande scoprii che la cannabis da noi veniva tagliata con il metadone, per questo era così pesante . 
Solo due anni dopo conobbi il piacere della canna rolllata bene, dell'erba che aveva il sapore di tranquillità . 
Non ricordo con precisione quando arrivarono i colpi, come al solito da brava debole ho deciso di cancellare buona parte della mia memoria e di venderla per un po' di tranquillità almeno la notte, senza flashback la vita diventa come una nuova pagina da scrivere . 
Non ricordo la data precisa ma ricordo che c'era caldo, che c'era il solito parcheggio dal quale noi non andavamo mai via, l'aria la respiravamo inondandoci di catrame, per poi rientrare dentro a quei sedili . 
Lì dentro c'era il nostro mondo, il nostro perverso mondo e mi piaceva da matti, l'aveva creato lui e aveva messo un posto per me, al suo fianco .

Ricordo episodi, non ricordo se quello fu il primo, ma è forse il primo che ricordo dentro la mia testa, uno dei pochi che non ho cancellato . 
Sdraiata sulle sue gambe, parlavamo di dolci, mia nonna amava farli e non fosse per la sua artrite amerebbe farli anche oggi . 
Non ho mai vista farli, o se l'ho vista ero troppo piccola, troppo spesso non m'interessavo a quello che succedeva in casa ma mi piaceva prendere e mangiare, soldi, dolci, cibo, attenzioni, lodi . 
" Mia nonna a Carnevale fa sempre i fatti-fritti "
" Non si chiamano così . " 
" Si che si chiamano così! Cercalo su Google . "
" Si chiamano frittelle . "
" Si, sono frittelle, ma su google c'è scritto fatti-fritti "
Schiaffo. 
" Ripetilo . "
" Fatti-fritti " 
Schiaffo ancora più forte . 
" Non si chiamano così, si chiamano frittelle " 
" No, ti ho detto cerca su google " 
Schiaffo . 
Silenzio, polsi che vengono stretti, mani che non vogliono lasciarti andare da nessuna parte, ma io non volevo andarmene, volevo solo che non mi facesse così male, mi divincolavo, ma ancora non sapevo farlo . 
Quel parcheggio io l'odiavo . 
Amavo stare in giro, son sempre stata una fancazzista da quando sono nata . 
Respiravo l'aria le poche volte che i miei polmoni riuscivano, inalavo libertà, droga nelle vene . 
Noi vivevamo così, dentro quel parcheggio, o nell'altro se dovevamo avere rapporti, o nella via davanti casa se dovevamo vederci poco . 
Una macabra routine fatta d'isolamento forzato, ma mai ribellata da esso, in fondo mi piaceva, in fondo lo amavo, ma quando ti lasci capisci che è ossessione, che è malattia, che non è il giocare che intendeva lui, quel giocare lasciava lividi e i solchi nel corpo . 
Ogni coppia ha la propria routine, ha il proprio bar preferito dove prende il caffè prima di andare nella propria panchina a scambiarsi tenerezze, ha l propria fermata di bus dove si scambiano l'ultimo abbraccio della giornata, hanno il proprio ristorante dove vanno il sabato e la propria stanza dove una volta ogni tanto si fa sesso, se si è più fortunati questo accade ogni weekend, il tanto giusto da svuotarsi l'uno dell'altra . 
La nostra era una macabra routine perché noi non avevamo quei luoghi, ma io me ne fregavo, lui stesso mi diceva di fregarmene. 
" Usciamo? "
 " Si per andare dove? "
" In giro " 
" Si ma a fare? "
Avrei voluto dirgli 
" A fare come le coppie normali che si tengono per mano, dove il ragazzo prende il caffè macchiato e la ragazza un cappuccino, dove si fermano gli amici per salutare e a dirsi di uscire in quattro qualche volta " 
Invece no, stavo zitta . 
Ero io il problema, ero così brutta, così grassa . 
" Amore ma perché non ti curi un po' di più? " 
" Amore sei una balena, guarda quanta ciccia, cicciona . "
L'ossessione per il cibo stava iniziando ad Aprile, ma con lui esplose dal giorno alla notte, esplose in quell'Agosto e in quelle frittelle e in quei colpi. 
Esplose in cercare una soluzione, veloce, che poteva aiutarmi davvero, poteva darmi salvezza .
Non ricordo dove trovai prima la parola " ana " forse in televisione, in qualche programma dove parlavano di anoressia e citavano questa parola. " Pro-ana, blog pro-ana " . 
Non sanno, forse, questi giornalisti che è da lì che ci viene l'input? 
Che Google da tutte le risposte che vuoi ma devi essere tu a mettere la parola chiave? Che molto spesso con i loro discorsi educativi il cervello se ne frega e cerca quello che vuole cercare?


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