E tu chi sei? (Kuroko no Basket edition) di LadyLicionda (/viewuser.php?uid=933947)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Eiko (prima parte) ***
Capitolo 3: *** Eiko (seconda parte) ***
Capitolo 4: *** Eiko (terza parte) ***
Capitolo 5: *** Eiko (quarta parte) ***
Capitolo 6: *** Eiko (sesta parte) ***
Capitolo 7: *** Eiko (quinta parte) ***
Capitolo 8: *** Eiko (settima parte) ***
Capitolo 9: *** Ti va di diventare amiche? (prima parte) ***
Capitolo 10: *** Ti va di diventare amiche? (seconda parte) ***
Capitolo 11: *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (prima parte) ***
Capitolo 12: *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (seconda parte) ***
Capitolo 13: *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (terza parte) ***
Capitolo 14: *** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (prima parte) ***
Capitolo 15: *** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (seconda parte) ***
Capitolo 16: *** Sei tu Eiko Wadsworth? ***
Capitolo 17: *** Non voglio avere più niente a che fare con te ***
Capitolo 18: *** Questo è un ordine ***
Capitolo 19: *** Sono orgogliosa di te ***
Capitolo 20: *** Io non sono come te ***
Capitolo 21: *** Non voglio sparire ***
Capitolo 22: *** Tu non sei un mostro ***
Capitolo 23: *** Benvenuta alla Seirin! ***
Capitolo 24: *** Io continuerò a credere in te ***
Capitolo 25: *** Non sono abbastanza maturo da lasciar correre ***
Capitolo 26: *** Non distruggerai il mio sogno d’amore ***
Capitolo 27: *** Sta’ lontano da Eiko! ***
Capitolo 28: *** Non dimenticarmi, Ryōcchi ***
Capitolo 29: *** Diventa la sua ragazza ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Dicono che ognuno di noi nasconda
dentro di sé un’altra persona, un frammento
scollato e separato dal nostro
essere primario; a volte schiacciato e represso; a volte semplicemente
dimenticato; a volte a noi stessi sconosciuto. Dicono che le persone
non cambiano
dall’oggi al domani; che è difficile perdere le
abitudini; che è necessario
celare la propria natura vivendo di menzogne e indossando maschere
create su
misura. Ma qual è la vera natura di un essere umano?
Può davvero un individuo
definire se stesso in modo perfetto? È davvero possibile
affermare di conoscere
se stessi senza rischiare di cadere in errore? Qual è la
vera me? Quando le
persone mi guardano, chi è che vedono veramente? Chi
è la ragazza che compare
davanti ai loro occhi?
Domande a cui credevo di avere una
risposta. Ma mi sbagliavo. Come si sbaglia qualunque umano che sostenga
di
conoscere se stesso. Ognuno di noi non è che un eterno
enigma irrisolto, un
puzzle i cui pezzi sono in continuo mutamento, rendendo impossibile
qualunque
combinazione permanente. E la verità più
spaventosa è che non siamo quasi mai
noi a innescare tali mutamenti. Essi avvengono a nostra insaputa,
stravolgendo
la percezione di noi stessi che abbiamo avuto fino a quel momento.
“Disturbo
dissociativo dell’identità”. O
più comunemente noto
come “Disturbo di Personalità Multipla”.
Così viene definito in ambito medico
questo particolare fenomeno da cui tutta l’umanità
è affetta.
Ho
scoperto improvvisamente di avere dentro di me altre cinque
personalità.
Per ora sono soltanto cinque, ma chi può dire che non ne
compaiano altre in
futuro? Io prego ogni notte che ciò non accada. Non potrei
sopportarlo. Sono
sicura che mi distruggerebbe.
Dieci
anni fa, quando la gente mi domandava: “E tu chi
sei?”
avrei risposto: “Mi chiamo Wadsworth Eiko. Frequento il terzo
anno delle scuole
medie. Il mio colore preferito è il blu. Mi piacciono
gli sport, benché non
sia portata per nessuno di essi. In realtà non sono portata
per nulla in
particolare. Sono tranquilla e riservata. Amo i cani. Non parlo molto,
ma so
ascoltare. Non eccello in nessuna materia, ma me la cavo in tutte.
Nonostante
abbia tanti sogni e ambizioni, non ho tuttavia le abilità
per realizzarli. Sono
goffa, timida, maldestra, insicura. Non possiedo una solida autostima.
Non sono
pessimista, semplicemente conosco i miei limiti e so quanto sia
difficile
superarli. Non ho un talento speciale, ma a me va bene così.
Essere speciali
non sempre è positivo. Non mi sono mai innamorata e non ho
mai ricevuto una
dichiarazione. Tuttavia la gente dice spesso che sono carina. Non ho
nemici. Ma
neanche persone che possa considerare amici.
Benché
appartenga ad una delle famiglie più ricche e influenti
del paese, non mi sono mai considerata superiore agli altri. Non
è ciò che mi
hanno insegnato mio padre e mia madre. Ho un fratello maggiore e una
sorella
maggiore. Diversamente da me, sono entrambi molto dotati e
intelligenti. Ho anche
cinque cugini e viviamo tutti insieme nella grande tenuta di famiglia.
Siamo
sempre stati uniti, fin da bambini. Passo la maggior parte della mia
giornata
in loro compagnia. Mi trattano bene e sono sempre tutti molto gentili
con me. E
a me non dispiacciono le loro attenzioni, anche se a volte le trovo
soffocanti.
Da parte mia cerco di ricambiare il loro affetto come meglio posso, ma
finisco
quasi sempre col creare pasticci e causare problemi. Eppure nessuno di
loro si
arrabbia mai con me. Forse perché abbiamo come esempio il
legame tra mio padre
e mia zia. Fin dalla nostra nascita infatti ci è stato
insegnato quanto sia
importante per i membri della stessa famiglia prendersi cura gli uni
degli
altri, accettarsi e proteggersi a vicenda. E in modo particolare io ho
potuto
godere di questo insegnamento: come ultima arrivata, infatti, ho
ricevuto le
premure e le attenzioni di tutti.
In
qualche modo mi sento protetta e accettata,
nonostante le mie imperfezioni. Insomma, mi
considero una ragazza normale.
È nella mia natura
vivere seguendo il mio ritmo, senza affaticarmi per rincorrere il
mondo, neanche quando mi
lascia indietro.
Io
non sono speciale come i miei fratelli o i miei cugini, ma
questo loro non me l’hanno mai fatto pesare. Non
ricoprirò mai un ruolo di
guida all’interno della famiglia, lo so, ma so anche che non
verrò mai
abbandonata”.
Dieci
anni fa, quando la gente mi domandava: “E tu chi
sei?”,
avrei risposto così, sicura di non sbagliarmi. Ma io non
sono così. Non lo ero.
Non era nella mia natura esserlo.
La
mia natura. Quante volte ho pensato e pronunciato nella mia
mente questa espressione. Anche io come tutti credevo, anzi ero
assolutamente certa
di conoscere la mia natura. Di conoscere
me stessa. Ero certa di essere l’unica. L’unica me. L’unica Eiko.
Poi sono comparse loro.
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Capitolo 2 *** Eiko (prima parte) ***
Capitolo
1
“Eiko”
La
primavera è arrivata in anticipo quest’anno, quasi
avesse
avuto fretta di far fiorire i ciliegi del lungo viale che si estende
dai
cancelli della tenuta fino al portone della maestosa villa
d’epoca. È una
mattina luminosa, tuttavia la brezza pungente del lungo inverno nevoso
è ancora
percepibile. Emergo dalle coperte con un sonoro sbadiglio. Durante la
notte non
sono riuscita a chiudere occhio per l’emozione. Oggi
è il primo giorno di
scuola. Finalmente sono una studentessa del terzo anno.
Sorrido
tra me e me quando sento un colpo di nocche alla porta
della mia camera.
«Eiko,
sei sveglia?».
Rispondo
alla domanda emettendo un mugugno indistinto. Ora che è
arrivato il momento di alzarsi mi sento improvvisamente assonnata.
«Hai
di nuovo passato la
notte in bianco?».
Naoko,
la mia
insostituibile sorella maggiore, si avvicina al letto con un sorriso di
stupore
sulle labbra. La osservo con attenzione mentre cammina verso di me. Il
suo viso
è radioso come sempre. I suoi splendidi occhi neri luccicano
di tenerezza
mentre con una mano cerca di sistemare i miei capelli arruffati. Lei
invece è
perfetta. La sua pelle è candida come porcellana, i suoi
capelli brillano come
fili di seta corvina, nella sua voce c’è sempre
una dolcezza materna. Il calore
delle sue carezze riscalda il mio animo, accendendo in me il buon
umore. Adoro
essere svegliata da lei.
«Non
vorrai arrivare in
ritardo il primo giorno di scuola?», si accerta, lasciando
sfuggire dalle
labbra una risatina divertita. Probabilmente in questo momento i miei
occhi
sono cerchiati di nero, ed io assomiglio ad un piccolo panda stordito.
Stropiccio
energicamente
le palpebre e scuoto la testa per scrollarmi di dosso la stanchezza. Mi
libero
delle coperte con un gesto lento e mi alzo, quando
l’improvviso schianto della
porta mi fa ricadere indietro sul materasso.
«Buongiooorno!».
«Buongiorno
anche a te», balbetto tenendo una mano sul cuore e
respirando affannosamente: i buongiorno di mio fratello Tatsuo hanno
sempre un
impatto molto incisivo sulla mia salute.
Sfoggiando
un profondo inchino, degno del migliore attore
teatrale, annuncia a gran voce: «La colazione è
pronta, mia principessa».
Io
e Naoko ci scambiamo uno sguardo di complicità e al suo
segnale corriamo verso di lui, afferrando ognuna un suo braccio e
trascinandolo
fuori dalla mia stanza.
«Fa
sempre piacere essere accompagnato da due graziose
fanciulle», commenta mio fratello orgoglioso, portando il
petto in fuori.
Di
tutti e tre, io sono l’unica ad indossare ancora il pigiama,
ma questo non mi fa assolutamente sentire fuori posto. Mentre
percorriamo il
lungo corridoio del primo piano, Tatsuo ci intrattiene con storie
divertenti,
inventate sul momento per farci sorridere. Questa è di
sicuro la sua qualità
migliore. L’innata capacità di portare gioia alle
persone che lo circondano, di
alleggerire la più tetra delle atmosfere in pochi attimi.
Accanto a lui è
impossibile sentirsi abbattuti o sfiduciati. Come primogenito, e quindi
futuro
presidente della compagnia di famiglia, ci si aspetterebbe da lui una
personalità
seriosa e composta. E in effetti quando si tratta di lavoro
è incredibilmente
affidabile e capace. Tuttavia io preferisco il Tatsuo della sfera
privata, il
fratello maggiore spontaneo e solare, sempre pronto a regalare una
risata e a
spargere ovunque il buon umore. Tatsuo è quel tipo di
persona che vede sempre
il bicchiere mezzo pieno, che riesce a trarre vantaggio da una
situazione
all’apparenza disperata. Ha una grande forza di
volontà e un’incrollabile
tenacia. La sua energia, quella sua incontenibile gioia di vivere sono
per me
come la luce di un faro nelle tenebre del mare notturno. Anche se
dovessi
perdermi, so che quel bagliore intenso mi raggiungerebbe, mostrandomi
la via.
Quando
infine giungiamo nella sala da pranzo, io e Naoko stiamo
ancora ridendo di gusto, completamente rapite dalla brillante
narrazione di
Tatsuo.
«Vedo
che ci siamo alzate di ottimo umore».
La
voce profonda e calma di mio padre richiama la mia attenzione
sulla lunga tavola imbandita.
«Buongiorno,
papà».
Seduto
ad un capo del tavolo, mi sorride teneramente, invitando
me e miei fratelli ad unirci per la colazione. I miei occhi scivolano
quindi
sulla splendida figura alla sua destra, mentre prendo posto fra Naoko e
Tatsuo.
«Buongiorno,
mamma».
«Buongiorno,
darling», risponde lei, con la solita grazia della
sua melodiosa voce.
Infine
rivolgo la parola alla donna che siede alla sinistra di
mio padre: «Buongiorno anche a te, zia Azumi».
«Buongiorno,
piccola Eiko», pronuncia lei a sua volta,
inspirando la fragranza del tè al ginseng, il suo preferito.
Ogni mattina ne
beve due tazze.
La
mia è una famiglia di origini miste. Mio padre è
giapponese,
mentre mia madre è britannica. Da quando sono nata le
persone hanno sempre
detto che assomiglio a mia madre. Tatsuo e Naoko, invece, hanno preso
dal ramo
di nostro padre. Anche i miei cugini hanno sangue misto nelle loro
vene, dal
momento che mia zia Azumi ha sposato il fratello maggiore di mia madre.
In
questi giorni, però, lo zio Leonard non è con noi
poiché si trova in Germania
per conto della compagnia. Come vicepresidente della filiale di Tokyo,
è stato
incaricato di raggiungere la capitale tedesca per dirigere la
costruzione del
nuovo Grand Hotel Royal Green. La famiglia Wadsworth è
infatti fondatrice della
più antica e rinomata catena di edifici turistici ispirati
alle bellezze
naturali e all’architettura dell’Inghilterra
vittoriana. Molti nobili europei
del passato hanno alloggiato nelle storiche camere della sede
principale di
Londra, che attualmente si trova sotto la direzione dello zio Alan,
fratello
maggiore di zio Leonard e di mia madre.
«Hai
di nuovo fatto le ore piccole nel letto, vero Eiko?».
Yoichi,
seduto all’altro lato del tavolo, solleva il cucchiaino
da tè a mezz’aria e inizia a disegnare cerchiolini
nel vuoto, simulando i segni
delle miei occhiaie e sogghignando con malizia.
«Non
è come pensi», rispondo imbarazzata, avvertendo un
lieve
tepore sulle guance provocato dalla sua tacita e piccante allusione.
«Ti
prego di non attribuire alla nostra Eiko gli atteggiamenti
promiscui del tuo ambiguo essere».
In
mio aiuto accorre Seiichi, primogenito di zia Azumi. È di un
anno più giovane di Tatsuo, ma la sua compostezza, la
raffinatezza nel suo
parlare, l’eleganza dei suoi gesti a volte mi fanno dubitare
della sua vera
identità. Ogni tanto mi ritrovo a pensare che il suo corpo
sia in realtà
abitato dallo spirito di un antico principe, intrappolato nel suo
lontano
passato e ignaro dei mutamenti sociali avvenuti nel corso dei secoli.
L’espressione
inebetita sul volto di Yoichi esprime perfettamente
anche la mia confusione.
«Voleva
dire che Eiko non è una pervertita come te che passa le
notti a leggere manga e riviste porno».
Questa
volta è Haruka a parlare, l’ultima figlia di zia
Azumi.
Contrariamente al suo aspetto grazioso, Haruka ha una
personalità molto forte
ed è sempre diretta quando parla alle persone. Ci sono
momenti in cui vorrei
avere la sua spigliatezza per esprimere i miei sentimenti senza
vergogna.
«Che
cosa stai facendo, fratellone?».
Seguendo
con lo sguardo il tono monocorde della voce di Shizuka,
quartogenita di zia Azumi, tutti i nostri occhi ruotano sul ragazzo
seduto al
suo fianco.
«Non
lo vedi? Sto cercando di stabilire un contatto con lo
spirito di Miyu», risponde Mikio, con fare solenne e grave, senza sollevare il volto
dalla ciotola di
latte fumante. Le sue mani fluttuano sopra la densa bevanda bianca
creando al
loro interno una sfera immaginaria. L’espressione
assolutamente concentrata sul
volto del secondo figlio di zia Azumi ricorda quella di un chiromante
intento a
leggere nella boccia di cristallo le infauste rivelazioni di un oscuro
avvenire. Tra tutti i membri della mia famiglia non vi è
dubbio che Mikio si
distingua per la sua eccentricità e stravaganza. Le sue
azioni, le sue parole,
i suoi stessi pensieri sembrano il mero frutto di una genuina,
imprevedibile ma
innocua follia. È impossibile anche solo ipotizzare che cosa
passi per la sua
mente, quale sia la fonte del suo incomprensibile agire. Ma non
è una cattiva
persona. O almeno non credo che qualcuno capace di versare lacrime per
la morte
del proprio gatto possa esserlo. Si, Miyu era la gattina di Mikio.
È venuta a
mancare due mesi fa. Era molto anziana e debole.
Anna,
una delle numerose domestiche al servizio della famiglia
Wadsworth, si avvicina alla mia sedia. Nella sua mano destra scorgo con
la coda
dell’occhio una piccola coppa di vetro azzurro, riempita con
decine di pezzetti
di frutta fresca di stagione.
«La
sua colazione, signorina Eiko», annuncia posizionando la
coppa di fronte a me, mentre i miei occhi si illuminano alla vista del
delizioso breakfast. Senza indugiare, afferro la brocca più
vicina e verso il
latte sulla squisita macedonia con un sorriso che si allarga da un
estremo
all’altro del mio volto.
«Non
capisco come possa piacerti tanto la frutta?», mi domanda
Haruka, i cui gusti alimentari le proibiscono di ingerire qualunque
cosa possa
definirsi dolce.
Da
quanto ricordo, infatti, non l’ho mai vista mangiare nulla
che non fosse ridicolamente salato o bere qualcosa che non fosse
estremamente
amaro. E in questo siamo agli antipodi. Dal canto mio, non riesco
proprio a
immaginare una dieta senza zuccheri: sarebbe deprimente. I cibi dolci
riescono
a risollevare lo spirito dalle fatiche quotidiane e sono
l’anima di qualsiasi
party che si rispetti. Non che io possa definirmi un animale da festa,
ma trovo
incredibile come una torta di compleanno, una scatola di cioccolatini
di San
Valentino, o il semplice profumo dei biscotti fatti in casa riescano ad
allentare la tensione anche sul volto più indurito. Senza
contare che il
cioccolato è considerato tra i migliori rimedi per guarire
un cuore infranto.
Ma forse il carattere schietto, spesso cinico, di Haruka non
è altro che una
conseguenza della sua avversione per i dolci.
Al
termine del pasto mi alzo dalla tavola affollata e mi dirigo
nella mia stanza per preparami ad uscire. Quando apro la porta, appesa
a una
delle maniglie delle nove ante che compongono l’immenso
armadio sulla parete,
trovo la mia divisa scolastica, perfettamente stirata e intrisa del
profumo
della lavanderia. La osservo per qualche secondo col cuore in
trepidazione,
nutrendo il mio animo di felici propositi per il nuovo anno accademico.
Come
giovane studentessa, non posso affermare di avere vissuto
un’intensa vita scolastica, né di aver fatto tutte
le esperienze tipiche della
mia età, che si tratti di amicizie o di interessi romantici.
Non sono mai stata
una ragazza socialmente attiva, a causa della mia natura introversa e
insicura,
quanto piuttosto un’attenta spettatrice. Ascoltare o essere
testimone delle
esperienze degli altri, senza viverle in prima persona, mi ha fatto
sentire
ugualmente coinvolta nell’intricata rete delle relazioni
sociali. Durante gli
anni passati ho acquisito numerosi ricordi indiretti grazie ai racconti
e alle
confidenze dei miei vecchi compagni di classe. È vero che
non ho amici né
nemici, ma non sono del tutto asociale. Semplicemente non sono ancora
riuscita
a costruire un relazione abbastanza forte con qualcuno che possa
considerarsi
un’amicizia o una rivalità. E ovviamente i legami
famigliari non contano.
Essere amati dalla propria famiglia dovrebbe essere scontato, naturale.
Ma ci
sono cose di cui non si riesce proprio a discutere con la famiglia, per
quanto
unita possa essere. Ed è solitamente in questi casi che
entrano in gioco gli
amici, quasi sempre coetanei.
Entro
nel piccolo bagno annesso alla mia camera per una doccia
rapida: sono in ritardo sulla tabella di marcia. Indosso la divisa e le
scarpe
quando Naoko compare sulla soglia offrendosi di sistemare i miei
capelli. Con
la mano indica la sedia vicino alla scrivania, di fronte alla finestra
socchiusa che affaccia sul parco della tenuta. Appena prendo posto
davanti a
lei, uno sbuffo di vento primaverile sfiora la mia pelle ed io inspiro
il tenue
profumo delle rose arancioni proveniente dagli splenditi giardini,
curati
secondo il classico gusto inglese. Ovunque si posi lo sguardo, la villa
Wadsworth sembra voler rendere omaggio alle nobili ed eleganti magioni
dell’Inghilterra vittoriana.
Chiudo
gli occhi concentrandomi sul calore confortevole del fon
che accarezza i miei capelli, mentre i lunghi denti della spazzola
corrono
dall’alto della mia testa fino alle spalle, dividendo la mia
chioma umida in
piccole ciocche. Di tanto in tanto sento le dita di Naoko indaffarate a
sciogliere qualche nodo formatosi sulle estremità. Il suo
tocco è delicato come
una carezza e provoca un piacevole solletico. Completata
l’asciugatura,
percepisco la sua figura sporgersi sopra di me per raccogliere il
fermaglio in
bella vista sulla scrivania. È forse l’oggetto a
cui sono più affezionata. Il
giorno in cui sono diventata una studentessa delle medie, poco prima di
uscire
di casa per raggiungere la scuola e partecipare alla cerimonia di
benvenuto,
Naoko si è offerta di preparare la mia acconciatura, proprio
come oggi. Una
volta terminato, mi ha accompagnata di fronte al grande specchio a
figura
intera, posizionato accanto alla scrivania, e con un secondo specchio
rotondo,
abbastanza piccolo da essere tenuto con una sola mano appena dietro la
mia
testa, mi ha mostrato il risultato del suo lavoro. È stato
allora che la
superficie circolare ha riflesso davanti ai miei occhi il luccichio
delle
minute pietre blu sui grandi petali del grazioso fermaglio floreale,
sapientemente incastonato tra i miei capelli.
«Ecco,
adesso sei davvero pronta».
Al
suono della voce di Naoko, le mie palpebre lentamente si
sollevano, rivelando nuovamente le pupille rimpicciolite dalla luce del
sole
che illumina la camera. Porto la mano dietro la nuca e proprio
lì, sotto le mie
dita, si materializza la forma singolare del prezioso fermaglio.
«Ti
ringrazio».
Naoko
mi rivolge un ultimo sorriso di incoraggiamento, quindi si
incammina all’esterno, precedendomi sulle scale che conducono
al piano terra.
Prima di seguirla mi concedo un’ulteriore controllata allo
specchio per
assicurarmi che la mia divisa sia in ordine, prelevo la cartella
dall’armadio e
mi chiudo la porta alle spalle.
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Capitolo 3 *** Eiko (seconda parte) ***
Una
volta varcato il massiccio portone d’ingresso, ad attendermi
sull’ampio spiazzale circolare antistante la facciata della
villa, su cui
troneggia l’imponente fontana esagonale, trovo Arthur, il mio
autista personale
(ogni membro della famiglia ne ha uno). Non appena si accorge della mia
presenza, in un gesto di deferenza, solleva il berretto dal capo e mi
accoglie
con un inchino.
«Buongiorno,
signorina Eiko».
«Buongiorno,
Arthur», pronuncio con un soffio di voce, «Perdona
se ti ho fatto attendere».
Arthur,
come la maggior parte dei dipendenti che servono la mia
famiglia, è inglese ed è stato educato secondo i
costumi europei. È molto
giovane, ha infatti la stessa età di Tatsuo, ma svolge il
proprio lavoro con
grande dedizione e professionalità. E’ una persona
responsabile e profondamente
rispettosa delle gerarchie. Nutre una sincera ammirazione per mio padre
e una
devota gratitudine per mia madre.
Da
quanto mi è stato raccontato dai miei fratelli, la madre di
Arthur era la migliore amica di nostra madre. Era una donna incantevole
e la
sua bellezza eri pari solo alla nobiltà del suo animo. In
lei non era
germogliato il seme della corruzione e non conosceva
l’invidia. Possedeva molti
talenti ma nulla era capace di accendere di passione il suo sguardo
come un
libro. Ed è stato proprio l’amore per la
letteratura a fare incontrare lei e mia
madre. Al tempo del loro incontro erano infatti entrambe studentesse di
letteratura inglese e americana presso
l’università di Londra.
Poco
prima della laurea, però, Victoria (così si
chiamava la
madre di Arthur), ha dovuto rinunciare agli studi a causa di una
malattia
improvvisa che l’ha costretta a sottoporsi ad una difficile
operazione. Una
volta guarita è tornata all’università
e si è laureata. Due anni dopo si è
sposata con un amico di zio Leonard ed è nato il piccolo
Arthur. Nel frattempo
mia madre ha raggiunto in Giappone lo zio Leonard, già
vicepresidente della
compagnia, per incontrare il direttore del Grand Hotel Royal Green di
Tokyo,
Akihiko Kamiya, ovvero mio padre. Il matrimonio dei miei genitori si
è
celebrato prima a Londra, mentre una seconda cerimonia si è
svolta
successivamente a Tokyo subito dopo il trasferimento definitivo di mia
madre.
Nonostante la distanza, però, l’amicizia con
Victoria non si mai affievolita e
a quanto pare la donna è venuta in visita in Giappone per
congratularsi con mia
madre in occasione della mia nascita. Quella è stata anche
la prima volta in
cui Arthur ha incontrato mia madre e i miei fratelli. Io, al contrario,
non
possiedo alcun ricordo di quel giorno. Tuttavia, poco tempo
dopo,Victoria si è
nuovamente ammalata lasciando alla fine il piccolo Arthur orfano. Alla
notizia
che la vita della cara amica si trovava di nuovo in pericolo, mia madre
è
tornata a Londra per accudire Victoria nei suoi ultimi istanti. Dopo il
funerale, al quale hanno partecipato tutti i membri della famiglia
Wadsworth,
mio nonno, su richiesta di mia madre, ha accettato di assumere nella
propria
compagnia il padre del piccolo Arthur e di contribuire
all’istruzione del
bambino. Compiuti i sedici anni, il giovane figlio di Victoria si
è quindi
presentato ai cancelli della nostra residenza dichiarando di essere
finalmente
pronto a ripagare il debito di amicizia lasciatogli in
eredità da sua madre.
Mi
avvicino alla limousine bianca che scintilla davanti ai miei
occhi, quasi accecandomi. Dopo aver rapidamente riposizionato il
berretto sui
capelli, perfettamente pettinati all’indietro, Arthur si
adopera per aprire lo
sportello posteriore e mi porge una mano per aiutarmi a entrare nel
veicolo.
Infine entra a sua volta nell’abitacolo, sedendo al posto del
guidatore.
La
residenza Wadsworth si erge nel cuore della campagna
giapponese, alle porte della modernissima capitale, e durante la prima
parte
del tragitto le mie attenzioni sono tutte dedicate al paesaggio
campestre che
si prepara ad accogliere il nuovo giorno. Una volta raggiunto il centro
urbano,
però, il mio sguardo si posa sulla miriade di persone che
affollano le strade
di Tokyo e in qualche modo le immagino come miliardi di formiche
operose,
lavoratrici infaticabili che corrono attraverso le anguste gallerie del
formicaio, anche se le strade principali di Tokyo non sono affatto
anguste.
Riesco a percepire il vorticoso ritmo della vita di una grande
metropoli,
l’incalzante susseguirsi di ogni singolo attimo che compone
il giorno. Il mondo
visto attraverso il vetro della mia auto sembra così
distante, intangibile,
eppure così familiare.
Non
appena arriviamo in prossimità della scuola, la limousine
sorpassa una dopo l’altra schiere di studenti raggruppati su
entrambi i lati
della strada e diretti verso l’edificio che ora si staglia
davanti a me. Il
veicolo si arresta proprio di fronte ai cancelli e io attendo
l’arrivo di Arthur.
Quando infine lo sportello posteriore si apre, abbandono la morbida
pelle
imbottita del sedile per emergere alla luce del sole.
«La
attenderò qui al termine delle lezioni, signorina
Eiko»,
annuncia Arthur, augurandomi subito dopo una piacevole giornata e
rimontando in
auto.
Osservo
la limousine allontanarsi per non prestare attenzione ai
numerosi occhi puntati su di me: essere l’erede di una delle
famiglie più in
vista di Tokyo, se non dell’intero Giappone, ha lo svantaggio
di attirare
costantemente attenzioni indesiderate.
Ignorando
i commenti di meraviglia e quelli di invidia, mi
incammino all’interno del cortile stringendomi nelle spalle,
nella speranza di
rimpicciolirmi e passare così inosservata. Per mia fortuna
le attenzioni degli
studenti trovano presto un nuovo soggetto su cui focalizzarsi. Una
seconda
limousine, questa volta nera, sopraggiunge alle mie spalle, inducendomi
a
interrompere momentaneamente la mia avanzata e a voltarmi. Le ragazze
più
ostili, che fino a pochi istanti prima scandagliavano la mia figura con
la
stessa accuratezza di una macchina ai raggi X, probabilmente nel
tentativo di
trovare una pecca nella mia immagine per la quale biasimarmi e
criticarmi, sembrano
improvvisamente avere cancellato la mia esistenza, divenuta ora
completamente
invisibile ai loro occhi. Come tante oche a guardia del cortile,
corrono le une
verso le altre a formare un’unica, interminabile fila
perpendicolare ai
cancelli della scuola. Schierate le une affianco delle altre, attendono
con
trepidazione il passaggio del giovane proprietario della lussuosa auto.
Un uomo
emerge dal sedile dell’autista: indossa una divisa simile a
quella di Arthur,
ma di un colore più scuro. Senza lasciarsi distrarre dai
gridolini di
eccitazione e ammirazione che dominano all’ingresso
dell’edificio scolastico,
si porta di fronte allo sportello posteriore. Nel momento in cui
l’anta
metallica si dischiude, rivelando così la figura al suo
interno, una delle
studentesse schierate si avvicina al ragazzo, accogliendo il suo arrivo
con un
inchino.
«Congratulazioni
per essere diventato un allievo del terzo anno,
Akashi-senpai (senpai indica in
questo caso uno studente più grande). Come vicepresidentessa
del Consiglio
Studentesco le porgo il bentornato alla scuola media Teikou».
«Ti
ringrazio, ma non sono l’unico allievo del terzo anno con
cui dovresti congratularti, Yamada», un sorriso appena
percettibile ma gentile si
distende sul volto del dignitoso interlocutore. «In questa
scuola ci sono molti
giovani meritevoli e il Consiglio Studentesco non dovrebbe mostrare
favoritismi. Tuttavia ti ringrazio per l’impegno e la
dedizione con cui ricopri
il tuo ruolo. Spero di poter contare sulla collaborazione del Consiglio
anche
quest’anno».
Anche
se non distintamente a causa della distanza che ci separa,
intravedo un lieve rossore colorare le guance della vicepresidentessa.
Essere
lodata dal migliore studente della scuola deve essere sicuramente fonte
di
orgoglio, ma al suo posto io mi sarei sentita solo terribilmente in
imbarazzo.
Akashi
Seijuurou, unico rampollo dell’illustre famiglia Akashi,
è da molti considerato il fiore all’occhiello
della scuola media Teikou e come
capitano della squadra di pallacanestro gode sicuramente del rispetto e
dell’ammirazione di tutti.
Conosco
il nome Akashi da quando ero una bambina. Lo sentii
pronunciare per la prima volta una sera, quando mio padre e mia madre
rincasarono dopo aver partecipato alla festa di compleanno di un noto
industriale,
a quanto ricordo un amico di famiglia.
Tra
gli invitati c’erano anche l’attuale presidente
della compagnia Akashi,
Masaomi, e sua moglie Shiori. Quest’ultima venne a mancare
poche settimane dopo
il felice evento a causa di una terribile malattia. La mia famiglia non
partecipò ai funerali. All’epoca i Wadsworth non
avevano rapporti di nessun
tipo con gli Akashi. In realtà non ne hanno neanche adesso.
Semplicemente siamo
consapevoli gli uni degli altri per via della notorietà che
circonda i nomi
delle rispettive famiglie. E neanche dopo aver scoperto che avrei
frequentato
la stessa scuola dell’unico erede degli Akashi, le cose sono
cambiate. La
verità è che, durante i due anni trascorsi alla
Teikou, io e Seijuurou non ci
siamo mai rivolti la parola. Non si è mai presentata per
nessuno dei due la
necessità di farlo. E comunque non sono sicura di volere
essere associata ad un
ragazzo tanto in vista. Suscitare le invidie delle mie compagne di
scuola, o
inimicarmi la vicepresidentessa del Consiglio Studentesco, Yamada, non
mi
gioverebbe in alcun modo. La famiglia Wadsworth godrà anche
dello stesso rispettabilità
della famiglia Akashi, ma è anche vero che tale prestigio
non è certo il frutto
del mio operato. Per quanto ne so, una ragazza poco dotata come la
sottoscritta
non ha alcun futuro nella dirigenza della compagnia. E a me sta bene
così.
Sollevo
le spalle in accettazione del mio destino e riprendo a
camminare verso l’edificio scolastico, senza tuttavia
entrarvi. Mi dirigo
infatti ai due grandi tabelloni sui quali sono illustrate le
disposizioni delle
aule per il nuovo anno. Mi infilo tra la folla approfittando di un
piccolo
spazio vuoto creato da un paio di ragazze che, dopo avere consultato i
cartelloni, si allontanano dalla confusione. Faccio scorrere il dito
sulle
colonne in cui sono riportati i nomi degli studenti di terza: a quanto
pare
quest’anno sono nella sezione B, al secondo piano.
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Capitolo 4 *** Eiko (terza parte) ***
Prima
di raggiungere la nuova aula, mi assicuro di sostituire le
mie scarpe con le pantofole da interni e di riporre le prime nello
spazio
contrassegnato con il mio nome. Raccolgo la cartella che avevo
momentaneamente
appoggiato sul pavimento per eseguire il cambio e mi unisco al gruppo
di
studenti diretti al piano superiore. Raggiunto il lungo corridoio in
cima alle
scale, inizio a scorrere con lo sguardo i cartellini posizionati fuori
alle
aule per individuare la mia classe. Avanzo quindi verso la meta ma una
volta
giunta a destinazione mi rendo conto di non potere entrare nella stanza.
Ad
ostruire il passaggio, un fitto stormo di alunne gracchianti,
ammassate le une sulle altre in quella che potrebbe apparire come una
rissa da
strada. Mi avvicino cautamente, abbastanza da avere una visione
più dettagliata
della situazione senza rischiare tuttavia di essere coinvolta nella
turbolenta mischia.
Nonostante sia riuscita a ridurre notevolmente la distanza dal
chiassoso
gruppo, il caotico squittire delle esagitate intruse mi permette di
distinguere
una sola parola, più che altro un nome.
«Kise-senpai,
sei bellissimo».
«Kise-senpai,
guarda da questa parte».
«Kise-kun,
scattiamo una foto insieme».
A
giudicare dal tono rispettoso con
cui la maggior parte delle scatenate ragazze si rivolge al
proprio idolo, immagino si tratti di alunne del secondo e del primo
anno.
Mentre cerco di ricordare dove ho già sentito il nome in
questione, una
gomitata vagante mi colpisce all’altezza della spalla,
facendomi perdere
l’equilibrio e rovinare al suolo con un tonfo. Il contenuto
della mia cartella
si riversa sul pavimento, intralciando il passo degli studenti che si
affrettano per il corridoio.
Senza
badare al dolore provocato dall’impatto improvviso, mi
accingo a raccogliere le mie cose, cercando di scansare le
imprevedibili
scalciate delle scalmanate ammiratrici, ancora ammassate
sull’uscio della mia
aula. L’impresa si rivela più ardua del previsto,
ma alla fine riesco a
recuperare più o meno tutti i miei effetti. Nel controllare
il contenuto della
cartella, infatti, mi accorgo che all’appello manca il
portamatite metallico.
Ispeziono il pavimento per la seconda volta con maggiore attenzione e
intravedo
l’oggetto smarrito giacere tra le gambe scalpitanti delle
indomabili fanatiche.
Provo ad aprirmi un varco nel mezzo dell’intricata foresta di
polpacci e
ginocchia, non senza fatica, quando all’improvviso, quasi per
opera di un
incantesimo, il branco di belve assetate di attenzioni si disperde,
liberandomi
dalla sua asfissiante morsa. Inspiro profondamente, lieta di rivedere
la luce,
seppure artificiale, delle lampadine che illuminano il corridoio. Senza
indugiare sulla miracolosa causa che ha indotto infine le incontenibili
ragazze
alla quiete e all’ordine, mi appresto a raccogliere
l’astuccio, quando una
mano, sulle cui dita affusolate spiccano delle unghie corte
perfettamente
curate, mi precede nell’operazione prelevando
l’oggetto metallico al mio posto.
«Ecco,
tieni».
Il
ragazzo che fino a pochi secondi prima si era rivelato essere
l’origine dell’assordante fracasso, è
ora inginocchiato davanti ai miei occhi,
nella sua mano destra il mio portamatite.
«Grazie»,
rispondo con un filo di voce, prendendo la scatoletta
ovale.
«Stai
bene?», ancora una volta l’affascinante idolo mi
rivolge
la parola, offrendomi un braccio per aiutarmi a rimettermi in piedi.
I
suoi occhi luccicano come due gemme d’ambra mentre mi
sorridono con galanteria. Ma sono soprattutto le sue lunghissime ciglia
ad
attirare la mia attenzione e finalmente ricordo. Kise Ryouta. Il famoso
modello
il cui volto compare ormai su ogni rivista pubblicata nella prefettura
di Tokyo.
Il giovane talento della pallacanestro che è riuscito a
guadagnarsi un posto
fra i titolari pochi giorni dopo essersi unito alla squadra. Il sogno
proibito
di tutta la popolazione femminile delle medie Teikou. E proprio
quest’ultima
realizzazione mi riporta alla situazione attuale.
Sollevo
lentamente lo sguardo per tastare il terreno intorno a
me. Come temevo, gli occhi famelici delle ammiratrici di Kise sono ora
tutti
minacciosamente puntati sulla mia figura titubante, in attesa che io
compia il
passo più lungo della gamba, dando così loro un
pretesto per azzannarmi alla
gola. Il nuovo anno è appena iniziato e non ho alcuna
intenzione di inimicarmi
metà della scuola, ma soprattutto non voglio attirare futili
attenzioni sul
nome della famiglia Wadsworth.
«Sto
bene, grazie», rispondo infine, declinando cortesemente
l’aiuto di Kise e rialzandomi da sola. Il mio cuore non
batteva così
velocemente dall’ultima volta che ho visto un film horror, e
non è certo per la
vicinanza al ragazzo più desiderato della scuola.
Varco
la soglia dell’aula e mi dirigo verso il mio banco.
Nonostante sia ormai fuori dalla portata delle pericolose ragazze del
secondo e
del primo anno, riesco ancora a sentire il peso soffocante dei loro
sguardi su
di me, mentre un brivido gelido percorre la mia schiena.
«Eiko?».
Una
voce femminile vagamente familiare interrompe i miei
pensieri timorosi.
«Eiko,
sei proprio tu».
«Mayumi?».
Le mie pupille si dilatano alla vista della mia
vecchia compagna di classe.
«Non
puoi immaginare quanto sia felice di vedere finalmente un
volto conosciuto», squittisce lei afferrando le mie mani.
Taneda
Mayumi. È stata la mia vicina di banco durante il primo
semestre del secondo anno. È una ragazza molto socievole ed
estroversa che non
ama la solitudine.
«Mi
sentivo così spaesata in mezzo a tutte queste facce
nuove»,
confessa in tono piagnucolante.
«Una
ragazza solare come te non dovrebbe avere problemi a
socializzare», controbatto a mezza voce, incapace di
comprendere la sua
preoccupazione.
«In
teoria hai ragione. In circostanze normali non avrei esitato
a iniziare una conversazione con i nostri nuovi compagni di classe. Ma
la
situazione in cui mi trovo adesso è tutt’altro che
normale».
Ancora
una volta mi sforzo di trovare una motivazione alle sue parole
incerte, ma ogni tentativo si risolve in un fallimento. Solo quando i
suoi
occhi scivolano sul ragazzo biondo accanto alla porta riesco finalmente
a
mettere a fuoco l’intera scena. Non deve essere facile
ritrovarsi nella stessa
aula del ragazzo per cui metà della scuola ha una cotta. Ed
è ancora più
difficile se anche tu appartieni a quell’enorme fetta della
popolazione
femminile il cui cuore è stato ingiustamente rapito
dall’irresistibile idolo. A
pensarci bene è stato proprio durante il secondo anno e per
bocca di Mayumi che
ho sentito il nome di Kise per la prima volta. Per tre settimane i suoi
discorsi hanno ruotato ininterrottamente intorno al tanto conteso
modello e su ogni
pagina dei suoi quaderni compariva a lettere cubitali il nome del
bellissimo atleta.
A quanto vedo, la sua infatuazione non ha fatto che rafforzarsi.
«Che
cosa ti ha detto prima? Che cosa è successo? Sei riuscita a
toccarlo?».
L’incalzante
interrogatorio di Mayumi mi richiama al di fuori
dei miei pensieri.
«A
cosa ti riferisci?».
«Poco
fa ti ho vista parlare con Kise», nei suoi occhi si
accende il bagliore inconfondibile di un feroce entusiasmo.
Nella
speranza di spegnere sul nascere il pericoloso focolaio
della fervida immaginazione della ragazza di fronte a me, mi appresto a
chiarire l’equivoco.
«Non
è successo niente di particolare. Stavo cercando di
raccogliere le mie cose dopo essere caduta e lui mi ha semplicemente
aiutata.
Tutto qui».
«Ma
c’è stato un contatto fisico, giusto? Non provare
a negarlo»,
l’espressione sul suo volto sembra ora sottile e tagliente
come una lama e io
ho bisogno di deglutire prima di aprire nuovamente la bocca per
rispondere.
«Credo
di avergli sfiorato le dita per prendere il mio portamatite»,
quindi, anticipando la sua prossima domanda, aggiungo: «Con
questa mano».
Senza
attendere la fine della frase, ma seguendo semplicemente
il movimento del mio braccio sollevato, Mayumi afferra la mia mano e
con un
gesto rapido la appoggia sulla sua guancia, facendola scorrere prima in
alto e
poi in basso.
«Eiko,
ti proibisco ti lavare questa mano per il resto della tua
vita», ordina infine tenendo in ostaggio il mio arto.
Il
trillo provvidenziale della campanella annuncia l’inizio
delle lezioni poco prima che la mia mano perda la sua
sensibilità a causa della
tenace stretta di Mayumi. Riluttante, la ragazza acconsente a liberarmi
e
prende posto di fronte a me. Ma la sua testa, a dispetto del corpo
proiettato
in avanti verso la lavagna, ruota all’indietro per seguire la
figura di Kise
mentre si accomoda nel banco di fianco al mio.
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Capitolo 5 *** Eiko (quarta parte) ***
«E
così siamo compagni di classe, Eiko-cchi (-cchi
è il suffisso che Kise utilizza per rivolgersi a tutte le
persone per cui nutre rispetto o che considera amici)».
Il
largo sorriso che accompagna il mio nome sulle labbra del
ragazzo tradisce una natura da esperto dongiovanni. Tra le tante voci
che
corrono sul conto di Kise, molte lo definiscono come un inguaribile
donnaiolo,
sempre a caccia di nuove conquiste romantiche. E stando sempre ai
pettegolezzi,
pare che il giovanissimo modello possa vantare già una ricca
collezione alle
spalle. Finire nel suo mirino non rientra affatto nei miei piani per il
nuovo
anno.
«Posso
sapere come fai a conoscere il mio nome?», domando facendomi
coraggio e sforzandomi di ignorare la pressione esercitata dal suo
profondo
sguardo ambrato.
«È
più che naturale che una ragazza carina come te sia una
celebrità».
La
sua testa è ora elegantemente appoggiata sulla sua mano,
mentre i suoi occhi sono ancora posati su di me in
un’espressione allusiva.
Notando probabilmente lo smarrimento sul mio volto, le sue parole
diventano
improvvisamente più esplicite.
«Il
tuo nome è famoso quanto quello di Akashi-cchi. Ma forse tu
non sei consapevole», le sue labbra curvano allora in un
sorriso
compassionevole.
«Ma
io e Akashi non abbiamo nulla in comune», la mia voce
è ora
ridotta ad un soffio impercettibile.
Essere
paragonata al rampollo della famiglia Akashi non produce
altro effetto se non quello di ricordarmi quanto manchevole sia il mio
ruolo
all’interno del casato dei Wadsworth. A dispetto dei miei
fratelli e dei miei
cugini, le mie abilità e i miei talenti sono ben lontani dal
definirsi tali e
l’unico modo in cui una ragazza ordinaria come me possa
contribuire positivamente
a mantenere alto il nome della famiglia è cercare di
mantenere un profilo basso
per non causare problemi.
«Esattamente»,
l’assoluta affermazione di Mayumi riesce in
qualche modo ad attirare la curiosità di Kise.
«È impossibile che una ragazza
timida e impacciata come Eiko abbia qualcosa in comune con Akashi.
Dico, l’hai
guardata bene?», le sue mani afferrano il mio volto per
avvicinarlo a quello
del ragazzo, senza lasciarmi alcuna possibilità di
ribellione.
«Certo
che l’ho guardata bene. A dire la verità la
osservo da un
bel po’ di tempo e non mi sbagliavo: è proprio
carina».
Forse
è per colpa della distanza ridottissima che mi separa da
Kise, o forse è per colpa della forza esercitata dalle mani
di Mayumi sulle mie
tempie, ma un intenso calore divampa rapidamente sulle mie guance
colorandole
quasi certamente di rosso. Imprigionata tra lo sguardo ammiccante di
Kise e la
morsa ferrea di Mayumi, sento la testa improvvisamente più
leggera del solito,
e un senso di spossatezza invade tutto il mio corpo. Le mie palpebre
sono
pesanti e lottano contro il mio volere per calare sui miei occhi. I
miei sensi
si sono inspiegabilmente affievoliti provocandomi allucinazioni. Sposto
lo
sguardo oltre il viso di Kise focalizzando la mia attenzione sui banchi
alle
sue spalle e li vedo ondeggiare prima a destra, poi a sinistra. Solo
quando
iniziano a muoversi nella mia direzione nel tentativo di raggiungermi,
con un
gesto istintivo ritraggo la testa liberandomi così dalla
presa di Mayumi e allontanandomi
da Kise. Inspiro profondamente mentre mi riapproprio di tutte le mia
capacità
sensoriali e percettive. Non credo affatto che svenire in aula il primo
giorno
di scuola possa aiutarmi a passare inosservata.
«Va
tutto bene, Eiko?», si informa Mayumi, sinceramente
preoccupata. «Sei pallida».
Scuoto
la testa in segno di negazione per rassicurarla. «Si
è
trattato solo un piccolo giramento di testa, ma ora è
passato».
La
debolezza nella mia voce probabilmente non ha convinto né
Mayumi né Kise, i cui sguardi apprensivi continuano a
sondare le mie condizioni
fisiche. Nell’intento di spostare il centro della
conversazione su un nuovo
soggetto, e anche nella speranza di soddisfare la mia
curiosità, mi rivolgo al
giovane modello al mio fianco.
«Posso
chiederti perché prima mi hai chiamata Eiko-cchi?».
L’espressione
allarmata sul volto del ragazzo muta
repentinamente in un sorriso accecante.
«Perché
è così che chiamo tutte le persone che
approvo».
«Ora
che ci penso, ricordo di averti sentito chiamare in questo
modo anche i titolari della squadra di basket. Però quella
volta hai usato solo
i loro cognomi», un’ombra di perplessità
si fa strada nello sguardo di Mayumi
mentre si impegna a ricordare l’episodio in questione.
Kise
incrocia le braccia sul petto, prendendo il mento tra
l’indice e il pollice, e, simulando lo stesso stato di
concentrazione di un
detective prossimo a risolvere il mistero più intricato
della storia, infine
annuncia: «L’ho fatto senza pensarci. Come posso
dire? Appena ti ho vista, il
tuo nome è uscito dalle mie labbra in modo del tutto
spontaneo». Le pupille
nere del ragazzo scorrono quindi sulla mia figura, dall’alto
verso il basso,
per un’attenta ispezione. «Hai una statura nella
media e di spalle sembri una
studentessa delle medie in tutto e per tutto. Direi che a questo punto
è per
via della tua faccia».
«Che
cos’ha la mia faccia che non va?», lo interrogo
abbassando
lo sguardo piena di vergogna.
La
reazione di Kise alla mia domanda è prontamente accompagnata
da ampi e confusi gesti di scuse.
«M-Mi
dispiace. Non stavo cercando di offenderti, devi credermi.
Non c’è bisogno che fai
quell’espressione triste e imbarazzata. Volevo solo
dire che il tuo viso è carino come quello di una bambina e
che la tua
goffaggine ti fa sembrare così indifesa che viene
istintivamente voglia di
proteggerti».
In
qualche modo la spiegazione di Kise alleggerisce il mio
cuore, liberandolo da ogni sentimento negativo. Non è la
prima volta che mi
viene fatta questa osservazione, ma devo credere a questo punto che il
mio viso
non sembri proprio quello di una ragazza delle scuole medie. In effetti
quando
ci si ritrova a parlare con i bambini viene naturale rivolgersi a loro
utilizzando i loro nomi.
«Capisco
perfettamente cosa vuoi dire», interviene Mayumi,
condividendo il punto di vista del ragazzo. «Anche io, la
prima volta che ho
visto Eiko, non ho potuto fare a meno di chiamarla per nome»
«Davvero?»,
probabilmente l’esaltazione che domina ora lo
sguardo di Kise è dovuto al fatto di avere appena trovato
qualcuno in grado di
comprendere la sua singolare logica.
Consapevole
di non avere più le attenzioni dei miei due compagni
di classe, li lascio al loro entusiastico scambio di opinioni, in
attesa che il
professore faccia la sua apparizione in aula. Il cielo di questa
mattinata che
si appresta a iniziare è terso e luminoso e limpidi sono
anche i miei pensieri.
Sono di nuovo nella stessa classe di Mayumi e Kise si è
rivelato essere un
ragazzo simpatico e socievole. Forse sarebbe meglio non farsi vedere in
giro
insieme a lui troppo spesso, per non attirare scomode gelosie. Tuttavia
credo
che non ci sia pericolo nello scambiarsi qualche parola mentre siamo in
classe.
Fino ad oggi non sono stata capace di costruirmi delle vere amicizie e
l’anno
scorso la mia relazione con Mayumi non si è mai estesa al di
fuori delle mura
scolastiche. Proverò ad accogliere questa seconda
opportunità che mi è stata
generosamente concessa e forse, al termine di quest’anno,
potrò dire anch’io di
avere un’amica. Incoraggiata da questo improvviso ottimismo,
sorrido tra me e
me quando la porta dell’aula si dischiude annunciando
l’arrivo del professore.
|
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Capitolo 6 *** Eiko (sesta parte) ***
Il
primo giorno di scuola volge infine al termine. Accendo il
cellulare per controllare se ci sono nuovi messaggi nella posta. Con il
pollice
scorro l’elenco fino a quando il breve segnale acustico mi
segnala una e-mail
non ancora letta. Clicco sul link aprendo la nuova schermata. Il
mittente è mio
fratello Tatsuo.
Ehi,
Eiko, non tornare a casa troppo tardi. Mikio ha i biglietti
per il nuovo film horror appena uscito al cinema e non puoi
assolutamente
tirarti indietro questa volta :P
Un
pesante sospiro sfugge dalle mie labbra. In famiglia tutti sono
a conoscenza del mio tallone d’Achille, non è
certo un segreto. Il solo
pensiero di ritrovarmi incollata alla poltrona di una sala
cinematografica
completamente buia, senza possibilità di fuga, mentre sul
maxi schermo viene
proiettata la pellicola di uno spaventoso film dell’orrore
è sufficiente a
terrorizzarmi. Ammetto di non essere coraggiosa; al contrario sono fin
troppo
suggestionabile quando si tratta di queste cose. Non posso farci niente
se ogni
volta mi immedesimo a tal punto nelle sfortunate vittime
dell’assassino di
turno da innescare nella mia testa l’interruttore della
paranoia, che
puntualmente mi tiene sveglia tutta la notte facendomi immaginare le
situazioni
più assurde e sussultare al più lieve dei rumori.
L’ultima volta sono riuscita
a sottrarmi alla crudele tortura solo perché
un’improvvisa influenza mi ha
costretta a letto. Ma questa sera non ho assi nella manica da poter
giocare a
mio favore. Devo preparami a trascorrere la solita notte in bianco, col
cuore
in gola e la mente in totale subbuglio fino al sorgere del sole. Inizio
a
digitare, senza troppo entusiasmo, la mia risposta sulla tastiera
virtuale.
Le
lezioni sono appena finite. Sarò a casa tra poco :’(
La
replica di Tatsuo è immediata.
Brava
la mia sorellina. ^^
Ripongo il cellulare nella cartella e
raccolgo i miei libri. Mayumi e Kise stanno aspettando appena fuori
l’aula. Stanno
parlando con qualcuno, un ragazzo con gli occhiali. Ha un aspetto molto
serio e
composto. Nella sua mano sinistra c’è qualcosa.
Sembrerebbe un peluche. È
piuttosto bizzarro per un ragazzo camminare trasportando un
orsacchiotto di
pezza, ma forse è solo un oggetto molto importante, come il
mio fermaglio.
Distolgo lo sguardo dal corridoio e riporto le mie attenzioni sul
banco. Mi
assicuro di non aver dimenticato nulla e raggiungo
all’esterno i miei due
compagni di classe.
«Hai
preso tutto, Eiko?», si informa Mayumi, vedendomi comparire
al suo fianco.
«Si,
penso di si. Chi era il ragazzo con cui stavate parlando?
Credo di averlo già visto da qualche parte», la
interrogo a mia volta, seguendo
con gli occhi la figura in lontananza.
«Chi?
Midorima-cchi?», Kise interviene nella conversazione.
Sembra impaziente di soddisfare la mia curiosità.
«È venuto a consegnarmi il
nuovo programma degli allenamenti, che riprenderanno da
domani».
«Midorima?»,
gli faccio eco, sforzandomi di ricordare. «Intendi Midorima
Shintarou, il formidabile tiratore della squadra di basket? Ecco
perché aveva
un’aria familiare». Da quanto ho sentito in giro
è anche il vice-capitano. Deve
essere una persona molto affidabile.
«Se
gli allenamenti ricominciano domani, significa che oggi hai
il giorno libero, giusto?», non è affatto
difficile indovinare cosa passi per
la testa di Mayumi in questo momento. Dopotutto potrebbe essere
l’occasione
perfetta per rafforzare la sua relazione con l’affascinante
idolo.
«Perché
non andiamo tutti insieme a provare gli hamburger del
nuovo negozio che ha aperto qui vicino? Pare che siano la fine del
mondo».
Per
fortuna Kise sembra entusiasta almeno quanto Mayumi e
accetta all’istante la proposta.
«Voi
andate pure e divertitevi», rispondo invece io, declinando
a malincuore l’offerta.
«
Eiko-cchi, tu non vieni?», pronuncia Kise con evidente
delusione.
«Ha
ragione, Eiko. Dobbiamo andare insieme».
Mi
volgo verso Mayumi, sfoggiando un sorriso rammaricato.
«Purtroppo
ho già un impegno. Mi dispiace».
Preferirei
sicuramente unirmi ai miei due compagni di classe
piuttosto che tornare a casa ben sapendo cosa mi aspetta. Ma dopo aver
dato la
mia parola a Tatsuo, sono sicura che, se non dovesse vedermi rincasare
come
promesso, me lo ritroverei ai cancelli della scuola. Se soltanto Mayumi
avesse
proposto la sua idea prima di mio fratello, avrei avuto
un’ottima scusa per
evitare di andare al cinema.
«Se
hai già un impegno non possiamo farci niente, ma la prossima
volta non voglio sentire scuse, d’accordo?».
Il
sorriso che questa volta si apre sul mio volto è sincero e
suggella in modo irrevocabile il mio patto con Mayumi. Saluto entrambi
con un
gesto della mano e mi affretto verso il cortile. Non voglio fare
aspettare Arthur
e temporeggiare non servirà a risparmiarmi la spaventosa
esperienza che mi
attende a casa.
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Capitolo 7 *** Eiko (quinta parte) ***
Durante
la pausa pranzo Kise è di nuovo
vittima dell’assalto delle sue irriducibili ammiratrici: in
questo momento
sarebbe pericoloso avvicinarsi a lui. Mi accodo a Mayumi e insieme ci
dirigiamo
all’esterno dell’edificio, per consumare il nostro
bentou (bentou è il
pranzo a sacco in stile giapponese) su una panchina del
cortile: è una bella giornata e siamo entrambe
d’accordo sul trascorrere un po’
di tempo all’aria aperta. Ci sistemiamo nei pressi del campo
di baseball dove
alcuni membri del club si stanno esercitando approfittando dello spacco
tra le
lezioni. Appoggio il piccolo contenitore sulle mie gambe e lo apro,
rivelando
il contenuto al suo interno.
«Ah!
Eiko, il tuo bentou è super-carino»,
Mayumi si sporge sul mio pranzo, contemplando con uno sfavillante
luccichio
negli occhi le curiose palline di riso, lavorate in modo da riprodurre
le
testoline pelose di tanti cagnolini dalle più svariate razze.
«Questo
non è un Golden Retriever, la tua
razza preferita?», l’osservazione di Mayumi sposta
la mia attenzione sul
delizioso boccone indicato dal suo dito.
«Hai
ragione. E questo qui invece è un
Pastore Tedesco, mentre quest’altro ricorda un
Husky», continuo io,
riconoscendo una dopo l’altra le simpatiche razze.
«E
non dimentichiamoci dell’Akita», conclude
infine Mayumi, additando l’ultima pallina di riso
nell’angolo più alto della
scatola. «Sembrano tutte deliziose. Le hai preparate
tu?».
«No,
ma credo di sapere chi è stato»,
rispondo pensando a mia sorella Naoko intenta a destreggiarsi tra i
fornelli della
cucina. L’immagine da sola basta a farmi sorridere di
gratitudine.
«Eiko,
ti è arrivato un messaggio», Mayumi mi
esorta a prendere il cellulare, impaziente di scoprire
l’identità del
misterioso mittente.
Il
nome che vedo comparire sullo schermo è
quello di mia sorella Naoko: il suo tempismo è perfetto come
al solito.
Ti
è piaciuta la mia sorpresa?
Con
il cuore ancora in fermento per la gioia,
mi affretto a risponderle.
Assolutamente
si. Grazie ^.^
«Vedo
che tu e tua sorella siete unite come
sempre», l’espressione sul volto di Mayumi si
intenerisce alla vista del
messaggio.
Annuisco
con decisione. Con Naoko ho sempre
avuto un legame speciale, fin da quando ero piccola. È un
po’ come una seconda
mamma, premurosa e gentile. Il suo sorriso è per me un
continuo incoraggiamento
a dare il meglio di me. Voglio bene a tutti i membri della mia
famiglia, ma
Naoko ha un ruolo insostituibile nella mia vita. Non potrei immaginare
un’esistenza senza di lei. È l’unica
persona a cui abbia confidato i miei
segreti, le mie paure, le mie insicurezze, i miei interessi, i miei
sogni o a
cui abbia confessato le mie marachelle d’infanzia o i miei
continui fallimenti.
E lei non mi ha mai negato i suoi preziosi consigli, né le
sue affettuose
carezze, né le sue incoraggianti parole. Quando sono in sua
compagnia non provo
timidezza né vergogna e questo mi permette di parlarle
sempre a cuore aperto.
Io
e Mayumi trascorriamo il resto della pausa
chiacchierando piacevolmente. Più che altro io mi limito ad
ascoltarla con
sincero interesse mentre decanta le infinite lodi di Kise. È
al settimo cielo,
lo leggo chiaramente nell’eccitazione della sua voce, nella
brillante luce dei
suoi occhi, nell’esuberanza dei suoi gesti. E non posso
biasimarla. A giudicare
da come chiacchieravano in classe, sembrano entrambi andare
già molto
d’accordo. Verrebbe da pensare che siano fatti
l’una per l’altra.
Quando
mancano poco meno di dieci minuti
all’inizio delle lezioni pomeridiane mi separo da lei,
diretta al distributore
automatico, mentre Mayumi si incammina verso i bagni al piano terra.
Non posso
proprio ritenermi soddisfatta senza terminare con uno snack dolce.
La
mia prima tappa sono i tre distributori
del piano terra, ma con mia grande delusione percorro il tragitto solo
per
scoprire che tutte le scorte di dolciumi delle tre macchinette sono
esaurite.
Raggiungo allora le scale più vicine e salgo al primo piano,
dove sono collocati
altri due distributori, ma anche questi sembrano aver terminato tutte
le
provviste. La sfiducia inizia a farsi strada nel mio animo, insieme a
un
sentimento di stupore per la straordinaria coincidenza. È
come se tutti gli
studenti della Teikou oggi si fossero coalizzati contro di me per
depredare le
macchinette dei loro rifornimenti zuccherati. Piegata dal peso del mio
sconforto, faccio rotta verso l’ultima spiaggia: i
distributori del secondo
piano. Il primo di essi si materializza di fronte ai miei occhi non
appena
conquisto la vetta della scalinata. Come uno scalatore in vista
dell’impervia
cima del monte, trascino sui gradini i piedi che, dopo il lungo e
infruttuoso
pellegrinare, sembrano ora pesanti come macigni.
«Non
ci credo».
L’esclamazione
irrompe dalle mie labbra come
naturale conseguenza dell’assurdità di cui mi
ritrovo ad essere testimone e
vittima allo stesso tempo: ancora una volta tutti gli scomparti
riservati ai
dolciumi sono inspiegabilmente vuoti. Un terrificante pensiero
attraversa
allora la mia mente, inducendomi per un attimo a rinunciare alla
caccia. E se
dietro le misteriose sparizioni si celasse lo spirito vendicativo di
una
vecchia studentessa della scuola, diventata vittima di qualche bullo a
causa
del suo amore per dolci? O il fantasma salutista del precedente
professore di
educazione fisica, tornato per ammaestrare gli alunni verso una dieta
più
equilibrata? In tal caso sarebbe saggio non sfidarli e rimandare a un
altro
giorno il mio goloso spuntino.
Convinta
di aver preso la giusta decisione,
imbocco il corridoio delle aule puntando la mia bussola verso la mia
classe.
Mentre ripenso al pericolo di una maledizione soprannaturale appena
scampato,
il mio naso si scontra con una superficie dura come roccia, provocando
un mio
lamento di dolore. Quando sollevo lo sguardo, ciò che
compare davanti ai miei
occhi è un muro alto almeno due metri e largo abbastanza da
riempire tutta la
mia visuale. Faccio un passo indietro per allargare il
mio campo visivo e quella che ad un’occhiata
più attenta sembrerebbe una sagoma umana prende forma sotto
la luce del sole
che penetra dalle finestre del corridoio. La divisa scolastica che
avvolge
l’imponente figura maschile mi suggerisce che si tratta di
uno studente, per
quanto incredibile possa apparire, tenendo conto delle eccezionali
proporzioni
dello sconosciuto, che non sembra neppure essersi accorto della mia
presenza,
quasi non avesse avvertito l’impatto.
«Perdonami,
non stavo guardando dove andavo»,
sebbene intimidita dalla monumentale stazza del ragazzo, mi sforzo di
pronunciare almeno le mie scuse, riconoscendo di essere in errore:
avrò anche
evitato la vendetta degli spiriti dei distributori, ma potrei sempre
incappare
nella punizione di un gigante infuriato.
Finalmente
riesco a guadagnare l’attenzione
del colossale adolescente. Il suo mastodontico corpo ruota fino a
fronteggiarmi
e quando i suoi occhi infine si abbassano per incontrare i miei, il
prezioso
bottino custodito tra le sue braccia mi lascia assolutamente
sbigottita. Decine
di pacchetti di
dolciumi traboccano dai
due muscolosi arti superiori, minacciando di precipitare al prossimo
movimento
del ragazzo.
«Ma
questi sono…possibile che…», incapace
di
formulare una frase compiuta, mi limito a guardare le numerose
confezioni, che
all’inizio della giornata erano sicuramente esposte
all’interno dei diversi
distributori e che ora giacciono invece in un unico e disordinato
mucchio tra
le braccia sovraccariche dell’ingordo ladro di merendine.
Seppellita
nel cumulo, riesco a scorgere una
scatola di Pocky, i deliziosi grissini ricoperti di cioccolato che
avevo
intenzione di comprare prima di tornare in classe. Dopotutto non sono
pronta a
rinunciarvi. Annullando per un momento la presenza del gigantesco
ragazzo di
fronte a me, le mie labbra si curvano in un’espressione
imbronciata mentre le
mie pupille si posano con avidità sull’agognato
spuntino. Avere l’oggetto della
mia instancabile ricerca a pochi centimetri dal mio naso e non poterlo
tuttavia
afferrare genera nel mio petto una insostenibile frustrazione che
sfocia in un
pianto silenzioso. L’unica consolazione è che
adesso sono certa che spiriti e fantasmi
non hanno nulla a che fare con questo sfortunato incidente. Eppure non
riesco a
sentirmi del tutto sollevata. Come è possibile che una sola
persona possa
mangiare così tanti dolci in una volta? Magari non si
tratterà di un abitante
dell’aldilà, ma è comunque impensabile
che un simile individuo sia umano. E se
si tratta davvero di un alieno venuto da un altro pianeta, non avrei
alcuna
probabilità di riuscire a convincerlo a condividere con me
il suo goloso
bottino.
Un
sonoro e lungo sospiro di rassegnazione
abbandona le mie labbra, come un’anima si separa da un corpo
spezzato. Dal
momento che il mio interlocutore sembra troppo impegnato a masticare
una
barretta di cioccolato per parlare, mi convinco a riprendere la mia
marcia
verso l’aula, in cui sono certa Mayumi sta aspettando il mio
ritorno da un
pezzo. Ma è proprio mentre mi accingo a muovere il primo
passo che l’inaspettato
gesto del ciclopico adolescente mi induce a temporeggiare. Senza
emettere
suono, preleva dal mucchio di dolci la scatoletta di Pocky per
adagiarla tra le
mie mani.
«Non
capisco», sono le uniche parole che
escono dalla mia bocca mentre i miei occhi umidi si sollevano per
incontrare
due iridi splendenti come gemme d’ametista.
«Puoi
mangiarli, se vuoi», risponde il
ragazzo, svelando una voce incredibilmente fiacca e inespressiva.
Non
sono sicura di cosa lo abbia convinto a
cedermi il piccolo tesoro, ma lo accetto volentieri, seppure titubante.
Forse
non è una persona così egoista come pensavo. Nel
preciso istante in cui la sua
smisurata figura mi oltrepassa, allontanandosi nella direzione opposta,
un’intuizione attraversa la mia mente. Tra gli attuali
titolari della squadra
di basket c’è un ragazzo irragionevolmente alto,
ma altrettanto talentuoso: il
suo nome è Murasakibara Atsushi.
Il
trillo acuto della campanella echeggia per
il corridoio facendomi sobbalzare. In qualche modo sono riuscita ad
ottenere
quello che volevo e ciò è sufficiente per
risollevare il mio morale. Purtroppo
dovrò attendere la fine delle lezioni prima di concedermi il
dolce spuntino,
dal momento che non è consentito mangiare in classe al di
fuori della pausa
pranzo.
Non
appena varco la soglia dell’aula, Mayumi
abbandona il proprio banco per corrermi incontro.
«Finalmente,
Eiko. Ma dove eri finita?».
«Scusa,
ma ho avuto un contrattempo»,
confesso senza scendere nei dettagli della mia disavventura. Tuttavia
decido di
menzionare il mio fortuito incontro con il colosso del club di basket.
«Mentre
tornavo ho incontrato Murasakibara Atsushi».
Le
palpebre di Mayumi si dilatano in uno
sguardo esterrefatto. «Ti sei imbattuta nel gigante e sei
ancora tutta intera?».
Annuisco
con molta tranquillità.
«Tralasciando il suo aspetto spaventoso, è una
persona gentile. Si è perfino
offerto di condividere con me la sua scorta di dolci»,
riporto infine mostrando
il pacchetto di Pocky ottenuto all’ultimo momento.
«Cosa?
Murasakibara-cchi ti ha davvero
regalato quei Pocky?».
Kise
compare alle nostre spalle. Non ha una
bella cera. Probabilmente le sue fan non gli hanno dato tregua nemmeno
durante
la pausa pranzo.
«Si.
È davvero così strano?», domando
confusa,
attendendo la risposta dell’esuberante modello.
«Quel
ragazzo non è affatto il tipo che si
priverebbe di un dolce per darlo a qualcun altro. Soprattutto se si
tratta di
un estraneo. Che cosa hai fatto esattamente?».
L’interrogativo
si rivela di difficile
interpretazione. Continuo a non comprendere lo scetticismo nelle parole
di
Kise. È vero che Murasakibara, ad un primo sguardo, mi ha
dato l’impressione di
essere una persona avida ed egoista, ma mi sono ricreduta non appena ho
ricevuta dalle sue stesse mani la confezione di Pocky che tanto
desideravo. Non
mi è sembrato affatto dispiaciuto di condividere con me la
sua preziosa
provvista.
«Non
ho fatto niente. Ho girato tutta la
scuola in cerca di questi Pocky, ma erano già stati
prelevati da tutti i distributori,
insieme a tutti gli altri dolci. Quando ci siamo scontrati nel
corridoio e ho
notato la scatoletta spuntare dal mucchio di pacchetti che teneva fra
le
braccia, mi sono rattristata, ma non ho detto nulla. Non potevo certo
costringerlo a darmi qualcosa di cui era entrato in possesso prima di
me».
Kise
si sporge in avanti per scrutare il mio
volto. È incredibilmente vicino e l’estrema
concentrazione nel suo sguardo mi
induce a trattenere il respiro.
«Ma
certo, ho capito», esclama infine con un
grido di esultanza. «Sono sicuro che dopo aver visto questa
espressione
abbattuta sul tuo viso, Marasakibara-cchi si sia sentito colpevole,
come un
adulto che ruba le caramelle a un bambino. Hai davvero un talento
innato, tu»,
conclude quindi visibilmente divertito, dandomi un amichevole colpetto
sulla
spalla.
Non
sono sicura di cosa stia dicendo Kise, ma
credo di aver capito che la mia faccia potrebbe avere convinto
Murasakibara a
regalarmi questi Pocky. Probabilmente, senza volerlo, devo avergli
fatto pena,
non che la cosa mi renda orgogliosa. Senza rimuginare troppo
sull’accaduto, mi
sistemo nel mio banco e apro il libro di inglese, preparandomi alla
prossima
lezione.
____________________________________________________________________
Nota
d'Autrice:
Visto che non l'ho fatto alla fine del primo capitolo, ho pensato di
scrivere
qualche riga alla fine di questo nuovo episodio. Innanzitutto grazie
per aver letto
la storia fino a questo punto. ^^ Come autrice sono molto
interessata a
leggere le vostre recensioni poichè credo che mi
aiuterebbero sicuramente a
migliorare la narrazzione, perciò se avete opinioni al
riguardo assicuratevi di
condividerle. E' vero che questa storia è appena
iniziata, ma se trovate
che vi siano elementi che possano essere migliorati o se
avete semplici
consigli o richieste spero che decidiate di esprimerle liberamente. In
realtà
questa FF ho iniziato a scriverla più per un desiderio
personale e all'inizio
non avevo in progetto di pubblicarla. Questa è anche la
prima FF in cui parte
dei personaggi sono stati presi in prestito da un'altra
opera. Di solito
preferisco scrivere storie completamente originali. Tuttavia, essendo
una grande
fan di KNB, o pensato di cimentarmi anche in questo genere.
Vi informo
che la storia sarà molto lunga e, come penso avrete notato,
i capitoli verranno
pubblicati spezzetatamente. Spero di riuscire a
mantenere alto il
vostro interesse e di farvi affezionare non solo ai personaggi di KNB
ma anche
ai nuovi protagonistii. ^.^
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Capitolo 8 *** Eiko (settima parte) ***
Come
previsto, durante l’intera proiezione
del film il mio viso non
si è separato
neanche per un attimo dalla manica della maglia di Naoko, che ha
accettato di
sedersi accanto a me. Le mie mani non hanno allentato la presa sul suo
braccio neppure
per assaggiare gli invitanti pop-corn caramellati, che alla fine sono
stati
divorati senza pietà da Yoichi, seduto invece sulla poltrona
alla mia destra.
Non contento di avermi privata della mia unica golosa consolazione, si
è
divertito per la maggior parte del tempo a ridere della mia sfortuna,
stuzzicando la mia paura e provocando le mie disperate reazioni ad ogni
occasione. Se non mi fossi trovata in un luogo pubblico, affollato da
sconosciuti, non mi sarei certo impegnata per soffocare le grida di
terrore che
minacciavano di squarciare la mia gola ad ogni scena del film, o ad
ogni
scherzo di Yoichi. A parte la mia fobia per il cinema horror,
però, è stata una
serata piacevole. Era da un po’, infatti, che non passavamo
del tempo tutti
insieme.
Siamo
rincasati piuttosto tardi: sono già le
undici passate. Non c’è da stupirsi se siamo stati
rimproverati sia da mio
padre che da mia zia, ma abbiamo assicurato a entrambi che la tarda
uscita non
ci impedirà di alzarci in orario domani mattina e alla fine
ci hanno perdonati.
Tatsuo, Naoko, Seiichi e Mikio sono ormai studenti universitari e non
è
insolito per loro rimanere fuori casa fino a serata inoltrata. Yoichi,
Shizuka
e Haruka frequentano le scuole superiori mentre io ho appena iniziato
l’ultimo
anno delle medie. Anche se Haruka ha solo un anno più di me,
è piuttosto
indipendente e poco incline a rispettare i coprifuoco imposti da zia
Azumi.
Mi
lascio cadere all’indietro sul materasso
del letto. Ovviamente mi sono adoperata per accendere tutte le luci
della mia
camera. Nella mia testa continuano a ripetersi le scene più
spaventose del
film, come un disco rotto che riproduce sempre la stessa sequenza
musicale.
Provo a sfogliare la rivista dedicata agli amanti dei cani che ho
comprato
ieri. È piuttosto interessante, soprattutto la sezione che
spiega come evitare
gli errori più comuni che si compiono quando si adotta un
cucciolo.
L’unico
animale domestico in casa nostra fino
a poco fa era Miyu, la gattina di Mikio. L’ha notata una
mattina andando a
scuola (all’epoca frequentava le elementari), abbandonata in
uno scatolone sul
ciglio della strada. Era così piccola da entrare nel palmo
di una mano. Fin da bambino,
Mikio è stato un amante degli animali e se zia Azumi non
avesse posto un limite
agli sventurati trovatelli che mio cugino aveva il permesso di
adottare,
l’intera villa Wadsworth si sarebbe trasformata in una
fattoria.
Non
passa molto tempo prima di rendermi conto
che la lettura in cui mi sono cimentata non è abbastanza per
distrarre i miei
pensieri dal ripercorrere gli agghiaccianti eventi delle ultime due
ore. I miei
nervi sono ancora tesi come corde di violino e io temo che possano
spezzarsi da
un momento all’altro. Il silenzio che mi circonda in questo
momento, inoltre,
non contribuisce affatto ad alleggerire l’atmosfera. Se non
avessi quattordici
anni, non esiterei ad infilarmi in camera di Naoko per chiederle di
dormire
insieme, come succedeva spesso quando ero bambina.
Mi
siedo alla scrivania e accendo il
computer. Mi destreggio fra diversi siti di manga finché non
ne trovo uno la
cui trama cattura il mio interesse e mi immergo in una nuova lettura.
Rimango
concentrata sullo schermo per circa un’ora, quando un inizio
di sonnolenza si
fa strada attraverso il mio corpo. Per nulla intenzionata a opporre
resistenza,
spengo il PC e mi infilo sotto le coperte lasciando accese le luci, ma
non
appena socchiudo le palpebre un fruscio risveglia tutti i miei sensi
facendomi
scattare in posiziona seduta.
«È
solo un uccello notturno tra le fronde
degli alberi», mi ripeto nella speranza di riuscire a
convincermi. Ma una volta
attivato, il congegno della paranoia rimane in funzione anche senza
essere
alimentato.
I
miei occhi corrono freneticamente da un
angolo all’altro della stanza in cerca
dell’invisibile presenza in agguato. La
parte più razionale del mio cervello continua a suggerirmi
che sono l’unica
persona nella camera da letto, ma il mio subconscio, ormai schiavo
devoto della
suggestione, mi impone di mantenere alta la guardia contro un
pericoloso nemico
inesistente. Per diversi minuti l’unico suono percepibile
è il mio respiro
pesante che, contro ogni previsione, ha l’effetto di
tranquillizzarmi,
inducendo nuovamente uno stato di sonnolenza. La mia testa scivola
lentamente
sul cuscino e la tensione che attanagliava i miei nervi inizia a
sciogliersi
fino a estinguersi del tutto. La percezione del piccolo mondo racchiuso
fra le
mura della mia camera si affievolisce progressivamente fino a
catapultarmi in
una dimensione sospesa tra il sogno e la realtà. Ogni cosa
intorno a me perde a
poco a poco la sua forma perfettamente delimitata entro confini fisici,
diventando un’immagine sfocata e confusa che si fonde con
quella più vicina.
Ancora una volta le palpebre stanche calano sulla mia vista solo per
riaprirsi
con uno scatto non appena il battito di una mano sulla porta richiama
la mia
coscienza nel mondo sensibile.
«Chi
è?», la mia voce esplode come il tappo
di una bottiglia di spumante, mentre il mio cuore ricomincia a battere
alla
stessa velocità di una galoppata.
«Sono
io. Posso entrare?».
Mi
basta un secondo per riconoscere il tono
gentile di Naoko attraverso la parete. Allungo la mano per afferrare la
sveglia
sul comodino: è quasi l’una e mezza, che cosa ci
fa ancora in piedi a
quest’ora? Non che possa dirmi dispiaciuta della sua visita.
«Certo,
vieni pure», rispondo emergendo dalle
coperte e mettendomi seduta.
L’anta
si dischiude e la splendida figura di
Naoko si manifesta, avvolta in una veste di raso semiaderente lunga
fino al
ginocchio. L’orlo inferiore impreziosito da un candido
merletto.
«Sapevo
che ti avrei trovata ancora sveglia»,
esordisce con un tenero sorriso sulle labbra di pesca.
Si
avvicina al mio letto con il passo leggero
di una ninfa e si adagia accanto a me.
«Non
riesci ad addormentarti, vero?».
Alla
sua domanda annuisco, portando una mano
sul petto per ascoltare il mio cuore che ancora non riesce a calmarsi.
«Continuo
a ripensare al film», confesso
quindi, lieta di avere finalmente una presenza confortevole al mio
fianco.
«Non
posso biasimarti. È stato abbastanza
spaventoso anche per me», le parole di Naoko raggiungono le
mie orecchie come
il canto melodioso di un pianoforte. So che è sincera e che
in questo momento è
l’unica persona in grado di comprendere il mio turbamento.
«Vuoi
che resti a farti compagnia finché non
ti addormenti?», propone infine, interpretando
l’espressione supplichevole sul
mio viso.
«Davvero
lo faresti?», ribatto io, un po’ in
colpa per la mia tacita ed egoistica richiesta.
Con
un cenno della mano, Naoko mi invita ad
infilarmi sotto le lenzuola e inizia ad accarezzare dolcemente i miei
capelli.
Il tocco delle sue dita è così delicato e
familiare che il mio corpo si abbandona
istintivamente ad esso. Ogni pensiero negativo si allontana dalla mia
mente per
essere sostituito dai ricordi più sereni della mia infanzia,
prima di mutare in
allegri e luminosi sogni. In lontananza percepisco la voce di mia
sorella
intonare una nostalgica ninna nanna, che guida il mio subconscio fino
alle
terre del greco Morfeo. Appena prima di perdere i sensi, le labbra di
Naoko si
posano sulla mia fronte sigillando il mio sonno fino al sorgere del
sole.
____________________________________________________________________
Nota
d’Autrice:
Con questa
settima parte si conclude il primo capitolo e la nostra Eiko ha
incontrato
tutti i membri della Generazione dei Miracoli. Quale destino attende la
nostra
protagonista?
Se avete dedicato un po’ del vostro tempo a leggere la storia
fino a questo
punto, non esitate a condividere con me le vostre opinioni o le vostre
critiche. Ogni vostra recensione sarà per me un prezioso
aiuto a migliorare
come scrittrice per regalarvi una storia indimenticabile ^.^
|
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Capitolo 9 *** Ti va di diventare amiche? (prima parte) ***
Capitolo
2
“Ti
va di
diventare amiche?”
È trascorsa una settimana dall’inizio
del nuovo anno scolastico. Il carico di compiti che i professori ci
assegnano
ogni giorno è decisamente superiore rispetto
all’anno scorso e al termine dei
corsi sono quasi sempre costretta a ritornare subito a casa per
attendere alle
lezioni supplementari del mio tutore privato. Più che altro
l’insegnante
assunto da mio padre si assicura semplicemente che io non abbia
incontrato
troppe difficoltà nell’apprendimento dei nuovi
concetti spiegati in classe. È
vero che non sono un genio, ma non sono neanche così stupida
da dovermi
impegnare due volte più dei miei compagni per non rimanere
indietro. Tuttavia
comprendo l’apprensione dei miei genitori
nell’adoperarsi affinché riceva la
migliore istruzione possibile. Anche se non prenderò posto
tra i futuri
dirigenti della compagnia, non posso certo adagiarmi sugli allori. E
comunque
sia mio padre che mia madre conoscono perfettamente il mio potenziale e
non
cercano in alcun modo di spingermi oltre i miei limiti, solo per
mantenere alto
il nome della famiglia. Ecco perché studiare per me non
è così spiacevole o
stressante come forse lo è per la maggior parte dei miei
coetanei, soprattutto
considerando che spesso mi ritrovo a condividere le mie sessioni di
studio
pomeridiano con Yoichi, Shizuka e Haruka. Tuttavia i miei impegni
extrascolastici mi hanno impedito fino a questo momento di accettare
l’invito
di Kise ad assistere agli allenamenti della squadra di basket.
All’inizio dell’ora di educazione
fisica, Fujioka-sensei (sensei
significa insegnante) mi ha incaricata di andare a prendere alcuni dei
nuovi
palloni da pallavolo che sono arrivati due giorni fa e che sono stati
momentaneamente sistemati nel magazzino annesso alla palestra. Il
piccolo
deposito si trova però all’esterno, proprio di
fronte ai campi di calcio, per
cui ora mi sto dirigendo lì da sola. Quando raggiungo la
destinazione,
tuttavia, la porta è già aperta e
all’interno trovo un ragazzo intento a
sistemare un paio di vecchi palloni da basket.
«Chiedo
scusa per l’intromissione», annuncio la mia
presenza
prima di entrare a mia volta nell’angusta e poco illuminata
stanza.
Attirato
dalla mia voce, il minuto studente mi concede le sue
attenzioni e i nostri sguardi si incontrano. I lineamenti del suo viso
sembrano
incredibilmente giovani: penso di capire finalmente che cosa volevano
dire
Mayumi e Kise quando dicevano che non dimostro affatto la mia
età. Se non
indossasse la divisa della scuola Teikou, avrei sicuramente scambiato
il
ragazzo davanti a me per uno bambino delle elementari smarritosi sulla
via del
ritorno verso casa.
Per
diversi, e oserei dire interminabili, secondi restiamo
entrambi in silenzio osservandoci a vicenda. I suoi grandi occhi
azzurri come
topazi sembrano, per qualche inspiegabile ragione, meravigliati dal
fatto che
io abbia notato la presenza del loro esile proprietario nonostante la
penombra.
Diversamente da me, forse, questo ragazzo è davvero abituato
a passare inosservato.
Oppure è semplicemente sorpreso di vedere un’altra
persona in questo remoto e
decadente angolo della suola.
«Prego»,
finalmente le sue labbra si dischiudono per comunicare
con me. Ha una voce sottile e leggera, ma allo stesso tempo
piacevolmente pacata.
Avanzo
verso la parete di fondo, dove sono accatastati i nuovi
palloni da pallavolo. Ne scelgo tre e, dopo averli saldamente sistemati
tra le
mie braccia, mi incammino verso la palestra. A causa della scarsa
illuminazione
dello stanzino o, più verosimilmente, a causa della mia
innata goffaggine,
riesco a compiere solo un passo prima di inciampare in uno scatolone e
precipitare al suolo. Il tonfo è così forte che
sono pronta a scommettere che
l’hanno sentito anche da fuori. La mia prima preoccupazione
è accertarmi delle
condizioni dei palloni, sparpagliati ora sul pavimento polveroso.
Raccolgo
rapidamente i primi due, caduti a pochi centimetri da me. Il terzo
invece sta
ancora rotolando verso la porta e minaccia di spingersi fino
all’esterno, in
direzione dei campi di calcio.
«Fermati!»,
è l’unica parola che riesco ad emettere mentre
annaspo sul sudicio pavimento cercando di rialzarmi.
In
un periodo di tempo breve quanto un battito di ciglia,
l’esile ombra del taciturno ragazzo compare ad oscurare la
luce che tenta di
infilarsi nella stanza e il pallone si arresta appena prima di varcare
la
soglia della porta spalancata, arenandosi tra le smagrite gambe del
giovanissimo
studente, il quale si china in avanti per raccogliere la sfera coperta
di
polvere.
«Ti
ringrazio», pronuncio immediatamente, emettendo un sospiro
di sollievo.
Mi
sollevo da terra per raggiungerlo e recuperare l’oggetto in
questione, ma non appena allungo il braccio per ricevere il pallone
avverto un
tremendo bruciore in prossimità del gomito.
«Devi
esserti graffiata quando sei caduta», osserva il
misterioso sconosciuto, offrendosi subito dopo di accompagnarmi in
infermeria.
«Non
posso», ribatto prontamente, ignorando il dolore.
«Devo
prima portare questi palloni alla professoressa».
Il
piccolo ragazzo riflette per un momento quindi, con un cenno
di assenso, mi invita silenziosamente a seguirlo in palestra. Cammino
dietro di
lui mantenendo gli occhi sui suoi piedi. Il suo passo è
quasi impercettibile,
ma regolare. Osservandolo meglio, sembrerebbe più basso di
me di un paio di
centimetri. Non percepisco nulla di speciale dalla sua figura e forse
è proprio
per questo che trovo la sua compagnia insolitamente confortevole.
Mayumi e Kise
hanno entrambi una personalità molto vivace, così
diversa dalla mia. L’energia
sprigionata da Mayumi è calda e vigorosa come la fiamma di
un camino
scoppiettante, mentre l’entusiasmo di Kise è
travolgente e accecante come il
bagliore del sole. Paragonato a loro, il ragazzo di fronte a me
assomiglia più
ad una pallida luna, o ad una stella fredda. Più che un
pianeta, sembra un
piccolo satellite che non può fare a meno di gravitare
all’ombra dei grandi
corpi celesti.
Dopo
avere ottenuto il permesso dalla professoressa Fujioka,
come promesso ci dirigiamo insieme verso l’infermeria.
È una lunga e quieta
passeggiata per i corridoio della scuola. A quest’ora gli
alunni si trovano
nelle rispettive classi, impegnati a seguire le lezioni e io e il mio
gracile
accompagnatore siamo le uniche persone nei paraggi. Improvvisamente
decido di
spezzare il gravoso silenzio.
«Non
mi sono presentata. Sono Eiko Wadsworth della 3-B. Grazie
ancora per il tuo aiuto».
«Io
sono Kuroko Testuya della 3-C. Molto piacere», risponde
cordialmente, voltandosi verso di me. L’espressione sul suo
viso è
indecifrabile e io non sono sicura se in questo momento trovi la mia
presenza
piacevole o fastidiosa. Dal momento, però, che è
stato lui a proporre di
accompagnarmi, forse non dovrei essere così pessimista.
Finalmente
giungiamo a destinazione. Mi introduco timidamente
nella stanza dell’infermeria, dove la dottoressa Saito
attendeva probabilmente
con trepidazione l’arrivo di un paziente. Nel momento in cui
faccio scorrere la
porta, infatti, abbandona la sua sedia imbottita scattando come una
molla e a
grandi passi, quasi correndo, si precipita ad accogliermi con un
larghissimo
sorriso disegnato sulle labbra.
«Benvenuta.
Che cosa ti è successo? Una slogatura? Un
raffreddore improvviso? Un mal di pancia? Oppure
un’emicrania?», le parole
rotolano dalla sua bocca come sassi da una scogliera, stordendomi per
un
momento.
«No,
niente di tutto questo. Solo una sbucciatura», rispondo io,
esponendo la ferita all’analisi della donna.
Quest’ultima,
dopo una prima e rapida diagnosi, mi chiede di
seguirla dietro la tenda di uno dei tanti lettini, per procedere alla
medicazione. Prima di ubbidirle, però, mi volto indietro per
ringraziare ancora
una volta Kuroko, ma lui non è più nella stanza e
non importa quanto i miei
occhi si affannino a cercare la sua sagoma, poiché sembra
essere evaporata nel
nulla. Se lo incontrerò di nuovo, mi assicurerò
di sdebitarmi per il suo aiuto.
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Capitolo 10 *** Ti va di diventare amiche? (seconda parte) ***
Per
tutto il resto della giornata, Kise e Mayumi non hanno
lasciato il mio fianco per un solo istante, impedendomi di utilizzare
il mio
braccio accuratamente fasciato. Non mi hanno neanche concesso di
utilizzare le
bacchette durante il pranzo (sono stata imboccata da Mayumi) o di
portare la
mia cartella, che al termine delle lezioni è stata
letteralmente presa in
ostaggio da Kise. So che hanno agito in buona fede perché
erano preoccupati per
me, ma le loro asfissianti attenzioni hanno fatto apparire la
situazione
peggiore di quanto fosse. Per tutto il tempo mi sono sentita come una
celebrità
attorniata dalle sue guardie del corpo e questo mi ha messo a disagio
per due
motivi. Primo, io non sono affatto così importante. Secondo,
ancora una volta ho
fallito nel passare inosservata come mi era riproposta
all’inizio dell’anno
scolastico.
Tuttavia,
parlando con Kise, ho scoperto qualcosa di eccezionale
sul conto di Kuroko Tetsuya. Non l’avrei mai detto, ma a
quanto pare anche lui
è un membro titolare della squadra di basket e, a giudicare
dalle parole del
mio compagno di classe, le sue abilità sul campo sono a dir
poco straordinarie.
Ammettendo che il discorso di Kise sia riuscito a stuzzicare la mia
curiosità e
ricordando che oggi non devo tornare a casa presto poiché
non ho lezione con il
mio tutore privato, ho infine accettato di recarmi ad assistere agli
allenamenti del club di pallacanestro, dopo aver debitamente informato
mia
madre sul mio ritardo.
L’allenatore
non ha opposto obiezione alla mia presenza, ma si è
raccomandato affinché non disturbi i giovani atleti. Niente
di più semplice,
per quanto mi riguarda. Ho già attirato fin troppe
attenzioni per oggi e ho
tutte le intenzioni di starmene immobile e in silenzio in un angolo
della
palestra, da brava spettatrice. Al contrario, Mayumi sembra
eccessivamente
entusiasta di poter vedere il suo idolo esibirsi sul campo di gioco,
sedendo in
prima fila.
Nello
stesso momento in cui Kise raggiunge il resto della
squadra negli spogliatoi per cambiarsi e indossare abiti più
comodi, io e
Mayumi veniamo avvicinate da una ragazza incredibilmente bella e
prosperosa. Il
mio sguardo non può fare a meno di posarsi sul suo seno
prominente facendomi
arrossire.
«Mayu-chan!
Finalmente sei qui».
«Mayu-chan?»,
ripeto all’indirizzo di Mayumi, che sembra trovare
la mia confusione divertente.
«Non
te l’ho detto? Due giorni fa sono diventata manager della
squadra. Così potrò passare più tempo
insieme a Kise», mi informa lei,
strizzando un occhio.
«Non
lo sapevo. Congratulazioni», sono sinceramente felice per
lei. Spero davvero che questa nuova opportunità la aiuti ad
avvicinarsi a Kise.
Dopo
aver scambiato un breve saluto con la bellissima ragazza, Mayumi
si prodiga nelle dovute presentazioni.
«Satsuki,
questa è la persona di cui ti ha parlato Kise»,
annuncia invitandomi nella conversazione.
«Mi
chiamo Eiko Wadsworth. Piacere di conoscerti», esordisco un
po’ imbarazzata. Da vicino questa ragazza è ancora
più bella di quanto apparisse.
«Il
piacere è tutto mio. A dire la verità, ero
impaziente di
incontrarti. Ki-chan non fa che parlare di te e ripetere quanto sei
carina,
perciò ero curiosa di conoscerti. Sei esattamente come ti ha
descritta. Sei
così adorabile che vorrei abbracciarti», la sua
euforica reazione non fa che
raddoppiare il mio sbalordimento e, ad essere sincera, un po’
mi impensierisce.
Non credo di essere pronta a gestire un’altra
personalità esuberante quanto
quella di Mayumi e di Kise.
«Che
sciocca, non mi sono ancora presentata», riprende infine
sorridendo con i suoi grandi occhi, che sembrano luccicare come due
diamanti
rosa. «Io sono Momoi Satsuki e sono l’assistente
del coach. Ma tu puoi
chiamarmi come preferisci», quindi senza mostrare la minima
esitazione,
aggiunge: «Ei-chan».
«Ei-chan?»,
una fragorosa risata irrompe dalle labbra di Mayumi.
È la prima volta che la sento ridere così di
gusto, anche se non sono sicura di
conoscere la causa del suo divertimento.
«Oh,
perdonami. Ti ho appena conosciuta e mi sono già presa
tutta questa confidenza. Spero di non averti offesa chiamandoti per
nome»,
Momoi china prontamente il capo in segno di scuse.
«Figurati»,
rispondo io pregandola di rialzare la testa. «In
qualche modo ci sono abituata. A quanto pare il mio viso sembra proprio
quello
di una bambina».
«Non
dovresti dispiacertene. Io penso che sia una cosa positiva.
Guardandoti, le persone provano il desiderio di diventare subito tue
amiche».
«Amiche?»,
il suono di questa piccola parola è così
piacevole.
Subito
dopo aver conosciuto Kise e ritrovato Mayumi, mi sono
ripromessa di affrontare questo nuovo anno con ottimismo. Per una
ragazza
introversa come me, è sempre stato difficile stringere
solide amicizie. Anche
se le persone tendono a socializzare con me per via del mio aspetto, la
mia
timidezza innalza ogni volta un muro tra me e il mondo, rinchiudendomi
in un
guscio impenetrabile. Sono sempre stata convinta che il maggiore
requisito da
possedere per farsi degli amici sia il coraggio. Il coraggio di
accettare nuove
opportunità, di comunicare con sincerità, di
manifestare emozioni, di confrontarsi
per migliorare. Ma io non sono coraggiosa e questo è il
motivo per cui non ho
veri amici. Quando qualcuno mi tende la mano, io esito ad afferrarla e
questa
esitazione viene spesso interpretata come un rifiuto. Io stessa non
riesco a
comprendere la mia natura, questa mia personalità
così insicura e titubante,
quando intorno a me ci sono così tante persone pronte ad
offrirmi la loro
amicizia. Persino in questo momento una parte di me prova a
trattenermi. Ma se
continuo a lasciarmi dominare da qualcosa che non riesco a spiegare,
finirò col
rimanere sola tutta la vita. Fino ad oggi non avevo mai pensato al mio
aspetto
come a uno strumento per aiutarmi a inserirmi nel vorticoso mondo delle
relazioni sociali. Ma pensandoci con attenzione, potrebbe essere il
più grande
vantaggio a mia disposizione: come la luce di una lampada attira a
sé una
falena, il mio giovane volto attirerebbe una nuova amicizia.
«Che
cosa ne dici, Ei-chan?», la voce acuta di Momoi mi distoglie
dalle mie riflessioni. «Ti va di diventare amiche?».
In
una domanda così diretta, non esiste margine di errore. Una
domanda così diretta non ammette esitazioni. Queste parole
sono semplicemente
inequivocabili. Sono le parole che in fondo aspettavo di sentire per
non
adagiarmi più su pallide scuse. Per una volta,
sceglierò di essere coraggiosa.
«Si,
mi renderebbe molto felice. Satsuki».
Un
accecante sorriso si dischiude sulle labbra della ragazza e
le sue mani afferrano le mie per suggellare il momento.
«Non
è fantastico, Eiko?», interviene Mayumi, poggiando
una mano
sulla mia spalla. «Adesso hai tre amici».
«Tre?»,
ripeto io, inarcando le sopracciglia e allargando gli
occhi.
In
risposta alla mia reazione, Mayumi sfoggia un’espressione
imbronciata. «Ma come? Vuoi dire che per tutto questo tempo
io e Kise non siamo
stati altro che dei compagni di classe per te? Se lui venisse a
saperlo, sono
sicura che ci rimarrebbe malissimo».
Le
mie labbra si separano, pronte ad emettere le parole che
vorticano nella mia testa per rimediare all’equivoco, quando
l’intera squadra,
di ritorno dagli spogliatoi, fa il suo ingresso in palestra, deviando
le nostre
attenzioni sui giovani atleti che si apprestano ad iniziare gli
allenamenti.
Dal fitto gruppo di persone si alza un braccio che inizia ad ondeggiare
vistosamente in quello che si direbbe un saluto e bastano pochi secondi
per
capire che si tratta di Kise, intento ad attirare la mia attenzione e
quella di
Mayumi. I miei occhi si spostano quindi sulla figura imponente di
Murasakibara,
subito vicino. La sua presenza è davvero eccezionale ed
è impossibile non
notarlo. Ma nel gruppo ci sono altri due volti familiari: quello del
capitano
Akashi e quello del vice-capitano Midorima. Questa
opportunità potrebbe
aiutarmi a scoprire qualcosa in più sul loro conto,
soprattutto su Akashi.
Vederlo in un ambiente così informale, circondato dai suoi
compagni di squadra,
che sembrano nutrire tutti un’assoluta fiducia nelle sue
qualità di leader, potrebbe
essermi di ispirazione. Osservare qualcuno tanto carismatico mi
offrirebbe
un’opportunità per prendere coscienza delle mie
lacune e forse un suggerimento
su come colmarle.
Mentre
mi avvicino alle panchine a bordo campo per raggiungere
Satsuki e Mayumi, noto infine la minuta sagoma di Kuroko, che quasi
sembra
scomparire in mezzo a quelle degli altri ragazzi. So che è
immaturo giudicare
un libro dalla sua copertina, ma ancora non riesco a capacitarmi di
come una
persona tanto esile abbia ottenuto un posto fra i titolari. Ma in fondo
è
soprattutto per dissipare il mio scetticismo che ora mi trovo qui.
Il
prestigio della scuola Teikou è notevolmente cresciuto negli
ultimi due anni, soprattutto grazie ai ripetuti successi della squadra
di
basket, che a quanto pare non ha ancora perso un incontro.
L’unica grande
manifestazione sportiva che seguo con interesse e costanza sono le
Olimpiadi,
che si tengono ogni quattro anni, e le poche conoscenze che possiedo
sulla
pallacanestro provengono tutte da questo evento internazionale. Mayumi
sembra
notare il mio disagio e si offre orgogliosamente di istruirmi su tutto
ciò che
ancora non conosco di questo sport. In questo modo sarà
più semplice per me
comprendere gli schemi di gioco e le tattiche della squadra.
Ammetto
che è stata una buona idea accettare l’invito di
Kise e
fermarmi per assistere agli allenamenti. Tutti i titolari sono
sicuramente
giocatori fuori dal comune. Benché siano così
giovani, sono tutti dotati di
abilità individuali ed uniche, quasi irreali. Ma chi mi ha
sorpresa di più è
stato proprio Kuroko. Le sue capacità sono molto diverse da
quelle dei suoi
compagni eppure si integrano perfettamente all’interno del
gioco di squadra. La
sua presenza sul campo costituisce un fattore primario per la buona
riuscita
dei vari schemi. La sua figura sembra fluttuare tra gli altri giocatori
come un’ombra
invisibile e impercettibile e confesso di avere avuto qualche
difficoltà a
seguire alcuni suoi spostamenti. Tuttavia è assolutamente
straordinario come
riesca a completare lo stile di gioco dei suoi compagni. E in
particolare
potrei dire che ha un’intesa speciale con quello che potrebbe
essere definito
il giocatore più spettacolare della squadra: Aomine Daiki.
Ho sentito Kise
nominarlo spesso negli ultimi giorni e sono pronta a scommettere che il
mio compagno
di classe nutra una profonda ammirazione verso di lui. In effetti sa
sicuramente come farsi notare. Non sarebbe esagerato dire che ha la
stoffa per
diventare una celebrità del mondo sportivo. Il suo stile di
gioco è
semplicemente assurdo e per nulla convenzionale. È
imprevedibile,
sconclusionato, irregolare sotto ogni aspetto ma allo stesso tempo
ipnotico e
coinvolgente. Guardarlo muoversi per il campo mi ha fatto realizzare
quanto
questo ragazzo ami la pallacanestro, dal momento che per tutta la
durata degli
allenamenti il sorriso sulle sue labbra non si è spento
neanche per un attimo.
Comincio a comprendere per quale motivo sia stata coniata
l’espressione
“Generazione dei Miracoli” per descrivere
l’eccezionale talento di questi
giovanissimi prodigi. Essere circondata da persone tanto straordinarie
mi fa
sentire fuori luogo ma allo stesso tempo fortunata. Eppure non dovrei
sorprendermi. In fondo vivo con persone altrettanto eccezionali da
quando sono
nata, nonostante i talenti dei miei fratelli e dei miei cugini
risiedano in
altri campi. Tuttavia, se dicessi di provare invidia e gelosia,
mentirei. Più
doni si possiedono, maggiori sono le aspettative da non deludere o le
responsabilità da assumere, anche contro la propria
volontà. E una ragazza
insicura come me non sarebbe certo in grado di sopportare il peso di
pressioni
tanto gravose. Vorrei solo avere più fiducia in me stessa
per non essere
costretta a dipendere sempre dal mio prossimo. Mi accontenterei di
ripagare,
almeno una volta, le persone a cui tengo di più. Di
diventare, anche solo per
un giorno, il loro sostegno più saldo per ringraziarle di
tutto quello che
hanno fatto per me. Non voglio essere l’unica a ricevere
senza dare nulla in
cambio, e soprattutto non voglio che la mia natura debole diventi una
giustificazione. Ecco perché devo abbassare le mie difese e
ampliare i miei
orizzonti. E il primo passo da compiere è stringere nuove
amicizie che possano
aiutarmi a crescere.
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Capitolo 11 *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (prima parte) ***
Capitolo
3
“La
verità è che lui assomiglia a mio
fratello”
Finalmente
è di nuovo domenica. Ieri sera ho
ricevuto una telefonata di Mayumi: suo zio lavora come dipendente
presso l’acquario
di Ikebukuro e ha ricevuto sei biglietti omaggio. Ovviamente questa
sarà un’ottima
opportunità per invitare Kise e a quanto sembra anche
Satsuki si unirà a noi. L’appuntamento
è fissato per le dieci, davanti all’ingresso.
Manca poco più di un’ora e devo
affrettarmi se non voglio arrivare in ritardo. Quella di oggi
sarà la prima
vera uscita con i miei amici e questo mi rende nervosa. A parte i miei
fratelli
e i miei cugini, non ho mai frequentato nessuno prima d’ora.
Spero solo di non
combinare guai e mettermi in imbarazzo.
Per
tutta la mattina Yoichi e Haruka hanno
tenuto il broncio e si sono rifiutati di parlare con me: non
l’hanno presa bene
quando ho detto loro che gli ultimi due biglietti disponibili erano
già stati
prenotati. Quando ho interrogato Mayumi, tuttavia, ha semplicemente
risposto
che non mi avrebbe rovinato la sorpresa e si è rifiutata di
aggiungere altro.
Sembrava piuttosto divertita e soddisfatta.
Lascio
la mia stanza dopo aver inspirato
profondamente per calmare il mio cuore e aver controllato il mio
aspetto per
l’ultima volta. Ho indossato degli abiti comodi, ma
femminili, per agevolare i
miei movimenti. È stata Naoko a sceglierli.
«Sembri
una graziosa bambolina», ha
commentato a vestizione completa, e io non ho potuto contraddirla. Il
cappellino alla francese che mi ha prestato per l’occasione
si sposa
perfettamente con il fiocco sulla mia camicetta e i pantaloncini a
palloncino, che
però esporrebbero eccessivamente le mie gambe se non fosse
per le parigine di
lana leggera. Indosso gli stivaletti dalla suola piatta e mi affretto
giù per
le scale per lasciare la residenza.
Lo
spiazzale antistante l’entrata dell’acquario
è gremito di persone. La folla è così
fitta che non oso muovere un passo per
paura di essere trascinata via. Eppure devo avanzare se voglio
raggiungere il
luogo dell’appuntamento. L’acquario si trova
infatti all’ultimo piano
dell’edificio commerciale.
Una
volta giunta a destinazione inizio a guardarmi intorno, sperando di
scorgere i
miei amici, ma c’e così tanta gente (soprattutto
famiglie) che è impossibile
distinguere tra sconosciuti e volti noti. Proprio quando comincio a
perdere
fiducia, il mio cellulare squilla. Grazie al messaggio di Mayumi,
adesso so
dove dirigermi. Mi allontano di qualche metro dalla folla in attesa
davanti al
botteghino e finalmente intravedo Mayumi che con il braccio in aria
tenta di
segnalarmi la sua posizione.
«Spero
di non essere in ritardo», esordisco
imbarazzata mentre cerco di sistemarmi i vestiti in disordine.
«Sei
in perfetto orario», mi tranquillizza lei,
approvando immediatamente il mio abbigliamento con un pollice in su.
«Kise sta
prendendo l’ascensore in questo momento, quindi
all’appello mancano solo
Satsuki e gli altri due, ma hanno detto che saranno qui a
breve».
«Gli
altri due?», ripeto io, sollevando le sopracciglia.
«Non mi hai ancora detto a chi hai dato gli ultimi due
biglietti».
Un
ghigno divertito scivola sulle labbra di
Mayumi. «Presto lo saprai, abbi ancora un po’ di
pazienza».
La
mia bocca si dischiude per replicare
quando la figura di Kise emerge dalla folla, avvicinandosi di gran
carriera. Il
cellulare stretto nella mano destra.
«Stavo
per chiamarvi: avevo paura di non
trovarvi in mezzo a tutta questa gente», pronuncia ansimando.
Probabilmente è
arrivato qui correndo dalla stazione e immagino non sia stato facile
destreggiarsi per le vie affollate di Ikebukuro.
La
sua attenzione si sposta su di me e i suoi
occhi iniziano a scorrere dalla mia testa fino ai piedi.
«Vestita
così sembri proprio una bambola da
collezione. Sei ancora più carina del solito».
«E’
esattamente quello che ho pensato anche
io», aggiunge Mayumi squittendo come un topolino di fronte a
una gustosa fetta
di formaggio. «E’ talmente adorabile che viene
voglia di abbracciarla, ma tu
non puoi, Kise», conclude quindi, indirizzando una severa
occhiataccia al
modello.
«Eeeeh?
Ma non è giusto. Anche io voglio
abbracciare Eiko-cchi», gli occhi di Kise luccicano come
gemme d’ambra bagnate
dalla rugiada del mattino. Tuttavia il suo sconforto muta in volontaria
rassegnazione dopo un cenno di intesa con Mayumi.
«E
va bene, per oggi mi farò da parte come da
programma. In fondo non vogliamo che lui
si faccia un’idea sbagliata, giusto?», asserisce
infine strizzandomi l’occhio
in segno di complicità.
«Temo
di non capire», è la mia risposta,
sinceramente confusa. Ho come l’impressione che i miei due
compagni di classe
mi stiano nascondendo qualcosa. E poi, chi sarebbe lui?
Una
voce acuta richiama la nostra attenzione e
i nostri sguardi sulla figura di Satsuki e dei suoi due accompagnatori.
«Kuroko?»,
è il primo nome che esce dalle mie
labbra, provocando una smorfia di scontento sul volto di Mayumi.
«Perché
mi guardi così?», la interrogo,
ingarbugliandomi nelle parole. «Ho detto qualcosa di
sbagliato?».
«No,
è solo che pensavo avresti notato prima lui.
Ma forse sei troppo sorpresa per
pronunciare il suo nome. In fondo non posso biasimarti».
Seguendo
lo sguardo di Mayumi, i miei occhi
si posano infine sul secondo ragazzo al fianco di Satsuki. La sua pelle
di
cioccolato non passa certo inosservata tra la folla, ma non
è questo a
suscitare la mia meraviglia. Come nel giorno del nostro primo incontro,
anche
oggi tutti i miei sensi sono concentrati su un unico particolare:
l’inteso blu
zaffiro che domina il suo sguardo, profondo e intenso come il cielo
notturno.
«Ma
quello non è Aomine?», pronuncio infine,
riconoscendo il prodigioso asso della squadra di basket. «Che
cosa ci fa qui?».
«E’
la sorpresa di cui ti ho parlato»,
risponde Mayumi, sfoggiando un sorriso pieno di orgoglio.
«Beh,
di certo non credevo avresti invitato
anche lui e Kuroko», confesso senza affannarmi a nascondere
lo stupore sul mio
volto.
«Tecnicamente
è stata Satsuki a invitare
entrambi», chiarisce subito Mayumi, delusa di non potersi
attribuire tutto il
merito. «Sapevo fin dall’inizio che avrebbe
chiamato Kuroko, dal momento che ha
un debole per lui. Ma eravamo entrambe d’accordo
sull’invitare anche Aomine e,
visto che lui e Satsuki sono amici d’infanzia, ho lasciato
che fosse lei a telefonargli».
Non
riesco ancora a comprendere le intenzioni
di Mayumi (perché è più che evidente
che abbia qualcosa in mente), ma forse non
dovrei sentirmi così agitata. Anche se non sono esattamente
miei amici, sia
Kuroko che Aomine non sono neanche degli sconosciuti. Soprattutto
Kuroko: la
sua presenza è inspiegabilmente confortevole e potrei
cogliere questa occasione
per forgiare una nuova amicizia.
«Ei-chan!»,
le braccia di Satsuki carpiscono
il mio collo premendo la mia testa contro il suo morbido petto e
soffocando il
mio respiro. «Sono così felice di rivederti. E
oggi sembri particolarmente
carina vestita così».
La
stretta serrata della ragazza è tale da
privarmi momentaneamente dell’ossigeno e spingermi
sull’orlo dello svenimento.
In mio soccorso, però, interviene Kuroko.
«Momoi-san,
ora lasciala andare».
Un
po’ ritrosa ma docile alla richiesta
dell’esile ragazzo, Satsuki allenta la presa permettendomi di
inalare nuova
aria e le sue iridi si illuminano di un bagliore sospetto, mentre uno
sguardo
di tacita intesa saetta rapidamente dai suoi occhi a quelli di Mayumi.
«Bene,
ora che ci siamo tutti possiamo
entrare», dichiara Mayumi ponendosi alla guida della comitiva
insieme a Kise. Come
avevo immaginato, questa visita all’acquario si è
rivelata un’ottima scusa per
invitare il giovane idolo e passare del prezioso tempo in sua
compagnia, senza
temere un improvviso assalto delle sue scatenate ammiratrici.
«Buongiorno,
Eiko-san», il profilo di Kuroko
si materializza al mio fianco, provocandomi un lieve sussulto.
«Buongiorno,
Kuroko», la mia risposta giunge
a ricambiare il saluto, dopo un primo momento di smarrimento.
«Non sapevo che
Satsuki avesse invitato anche te, ma forse avrei dovuto aspettarmelo.
Ad ogni
modo, sono felice che tu abbia accettato di venire».
«Avevo
la giornata libera. Sono felice anch’io
di rivederti», pronuncia infine ruotando il viso nella mia
direzione, senza
tuttavia mostrare emozione che possa convalidare la sua
felicità. È davvero
difficile interpretare il suo volto inespressivo e di conseguenza
credere alle
sue parole quando non sono supportate da stati d’animo
visibili. Ma l’insolita
familiarità che provo in sua presenza dovrebbe bastare a
dare una risposta a
tutte le mie perplessità.
Credo
che sia soprattutto la sua natura
pacata e contenuta a mettermi a mio agio, diversamente dalle
personalità
esuberanti di Mayumi o Kise o Satsuki. E’ come se il tempo
intorno a lui
rallentasse per adeguarsi al suo ritmo, convertendo i secondi in minuti
e i
minuti in ore.
Durante
la maggior parte della visita Mayumi
e Kise hanno continuato a saltellare da una vasca all’altra,
soffermandosi a
commentare con entusiasmo ogni singolo esemplare acquatico esposto,
convincendo
persino alcuni bambini ad unirsi a loro nel tentativo di attirare le
attenzioni
di un piccolo branco di simpatici cavallucci marini dalle code
arricciate, o di
una grossa manta, troppo impegnata a giacere pigramente sul fondale
sabbioso
per degnare gli affascinati visitatori di uno sguardo.
D’altro canto Satsuki
non ha tardato a derubarmi del mio interlocutore, trascinando un
accondiscendente e paziente Kuroko alla rassegna dei suggestivi scenari
marini
proposti in ogni sala dell’acquario. In entrambi i casi,
tuttavia, osservando
con attenzione i comportamenti delle due ragazze, sono infine giunta ad
una
conclusione: l’obiettivo di Mayumi e Satsuki, a quanto pare,
era organizzare
un’uscita a coppie. Se non altro questo spiegherebbe come mai
adesso sono
completamente sola davanti alla vasca delle foche, in attesa che inizi
lo
spettacolo programmato per il pomeriggio.
Nota
d’Autrice:
Buona
domenica a tutti voi, miei
meravigliosi lettori! *.*
Spero
che stiate trascorrendo un
piacevole finesettimana e spero che questo nuovo capitolo abbia
contribuito a
rendere più luminosa questa giornata di
festa…eheh XD
Vi
informo che la seconda parte
di questo terzo capitolo verrà pubblicata domenica prossima.
Nel frattempo vi
esorto a lasciare i vostri commenti e le vostre recensioni per sapere
cosa
pensate di questa storia.
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Capitolo 12 *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (seconda parte) ***
La
piazzetta allestita per l’esibizione è gremita di
spettatori: ci sono tanti
bambini accompagnati dai loro genitori, ma anche studenti delle scuole
medie,
come me, e delle scuole superiori e perfino diversi turisti stranieri,
probabilmente europei. Sono circondata da decine di volti tra i quali
però non scorgo
quelli dei miei amici e questo mi preoccupa. Non mi trovo a mio agio in
mezzo
alle grandi folle e la consapevolezza di essere sola genera in me una
scintilla
di ansia. Non avevo previsto una situazione del genere e riconosco, non
senza
vergogna, di essere impreparata. Seleziono nuovamente sul mio cellulare
i
numeri di Mayumi, Satsuki e Kise ma nessuno di loro sembra accorgersi
delle mie
chiamate. La verità è che non so dove andare e,
considerando il mio scarso
senso dell’orientamento, sono sicura che finirei col
perdermi. Di conseguenza
posso solo aspettare che qualcuno si accorga della mia assenza e venga
a
cercarmi. Nel frattempo proverò a distrarmi guardando lo
spettacolo.
I
primi minuti dell’esibizione sono dedicati ad alcuni semplici
esercizi, degni
però dei migliori giocolieri. La foca che ora si trova di
fronte a me solleva
il musetto appuntito attendendo la grande palla rossa, ora tra le mani
dell’addestratrice. Quando quest’ultima si decide
finalmente a lanciare
l’oggetto sopra la sua testa, l’acrobatica foca la
accoglie sulla punta del
proprio naso, tenendola in equilibrio, mentre con le pinne anteriori si
esibisce
in una sequenza di simpatici saluti al pubblico divertito. Devo proprio
ammetterlo: la coordinazione di questo simpatico animale è
decisamente migliore
della mia.
Nel
frattempo la seconda foca intrattiene un gruppo di bambini
all’altro lato del
palco centrale, cogliendo al volo i piccoli cerchi di plastica che le
vengono
lanciati dagli spalti e, come la sua compagna, si assicura di
mostrare la propria gratitudine salutando con la grande pinna i piccoli
umani,
che le rispondono emettendo gridolini di meraviglia ed entusiasmo.
Entrambi
gli animali sembrano trovarsi a proprio agio, nonostante siano
circondati da
così tante persone. Forse sono nate all’interno
dell’acquario senza mai
conoscere l’odore dell’oceano o il freddo dei
ghiacci. Questo pensiero suscita
in me un sentimento di malinconia che per un attimo distoglie la mia
attenzione
dallo spettacolo gioioso. Le persone intorno a me continuano a ridere a
ad
incitare i loro beniamini palmati, acclamando la loro destrezza
acrobatica.
Soltanto i miei occhi tradiscono un’espressione contrastante
con il buon umore
generale. Ancora una volta il mio animo è pervaso da un
sentimento di
solitudine che riaccende le insicurezze e di inadeguatezza che mi
allontana
dal mondo. Era davvero questo ciò a cui mirava Mayumi quando
ieri sera mi ha
telefonata per invitarmi all’acquario? Ero così
elettrizzata all’idea di questa
uscita, all’dea di trascorrere un’intera giornata
con i miei amici come una
normale ragazza delle medie. E invece sono seduta qui, completamente
sola,
circondata da persone che non conosco in un ambiente a me poco
familiare. Ma
quello che proprio non capisco è il fatto che nessuno abbia
ancora cercato di
mettersi in contatto con me, quasi non si fossero accorti della mia
assenza. O
forse è proprio quello che volevano. Del resto era fin
troppo evidente che
Mayumi stesse tramando qualcosa alle mie spalle, solo non pensavo fosse
qualcosa di tanto crudele. E a quale scopo, poi? A questo punto
aspettare
sarebbe inutile. È già passata un’ora
da quando è iniziato lo spettacolo: credo
sia meglio incamminarmi verso l’uscita
dell’acquario cercando di seguire le
indicazioni.
Muovendomi
con discrezione per non disturbare gli spettatori accanto a me, mi alzo
dalla
sedia e mi allontano dalla piazzetta per sottrarmi alla folla.
Tuttavia, senza
che me ne rendessi conto, nuovi visitatori incuriositi sono accorsi ad
infoltire il pubblico, rendendo difficoltoso il passaggio. Nel
tentativo di
risalire la corrente per ritornare all’interno
dell’edificio, sono costretta ad
aprirmi la strada ricorrendo a tutta la forza delle mie braccia e dei
miei
gomiti ma, data la mia costituzione abbastanza esile, avanzare
attraverso
questa serrata folla richiede più tempo del previsto. Quando
infine raggiungo
l’ultimo anello della muraglia umana, quello più
esterno, il mio respiro si è
dimezzato, così come la mia resistenza fisica e i miei
muscoli hanno perduto
tutto il loro vigore, che non era molto fin dall’inizio.
Provo ad infilarmi tra
due ragazze più grandi di me, due studentesse liceali, nella
speranza di costringerle
ad allargarsi per facilitarmi il passo, ma al contrario i loro corpi si
stringono attorno a me, intrappolandomi nella loro morsa come le porte
di un
ascensore difettoso. Inspiro profondamente raccogliendo nei miei
polmoni tutto
l’ossigeno di cui sono capace e, riesumando le poche forze
che mi sono rimaste,
mi proietto in avanti usando le schiene delle due ragazze come leve per
darmi
lo slancio. Una volta libera e al sicuro mi trascino sulla panchina
più vicina
per riprendere fiato. Le calze che prima coprivano le mie gambe fino al
ginocchio sono ora scivolate alle caviglie, mentre il cappellino che mi
ha
prestato Naoko non è bastato a proteggere i miei capelli che
ora assomigliano
ad un cespuglio di rovi ingarbugliati. La mia camicetta è
tutta sgualcita e una
metà dell’orlo inferiore è fuori dai
pantaloni, ma non è questo a farmi
scattare in piedi e sgranare gli occhi: il grande fiocco che una volta
si
trovava al centro del mio petto, infatti, è sparito.
Un
istinto che non credevo di possedere mi suggerisce che potrebbe essermi
caduto
in mezzo alla folla, durante la mia faticosa avanzata tra le linee
nemiche. Scegliendo
di fidarmi per una volta della mia intuizione, scruto il pavimento
intorno a
me, nella speranza remota che il fiocco si sia staccato nei pressi
della
panchina.
«Oh,
no. Qui non c’è», mormoro infine con il
cuore in gola, costretta a prendere
atto della tragedia.
Mi
lascio cadere sulla fredda panchina prendendo la testa fra le mani,
incapace
ormai di trattenere le lacrime di frustrazione che desideravano
inondare i miei
occhi dal momento in cui sono stata abbandonata dai miei amici.
È andato tutto
storto. Mayumi e gli altri si sono completamente dimenticati di me, i
miei
vestiti sono un disastro, sono sfinita, ho fame e domani mattina il mio
corpo
sarà ricoperto dei lividi che mi sono appena procurata in
mezzo a questa folla di
spettatori. Non è così che doveva andare questa
giornata. Non sarei dovuta
venire. Voglio tornare a casa.
Prendo
il cellulare dalla borsetta per chiamare Arthur. Il mio cuore
è un vortice di
emozioni negative che lottano per prevalere e dominare il mio umore. La
mia
testa è incapace di produrre pensieri e i miei cinque sensi
sembrano essersi
scollegati dal mio cervello. Continuo a fissare lo schermo del telefono
senza
trovare uno stimolo che mi induca a comporre il numero sulla tastiera.
Non ho
neanche la volontà di fermare le lacrime, nonostante mi
trovi in pubblico e
abbia già attirato diversi sguardi su di me. Non importa,
voglio piangere. Il
mio cranio pulsa come un tamburo e un tremore incontrollabile
attraversa i miei
muscoli indolenziti. Nel mio stomaco echeggia il brontolio della fame
mentre la
saliva nella mia bocca è aumentata a causa del pianto. Se
soltanto qualcuno
venisse a cercarmi. Si sono davvero dimenticati tutti di me?
Perché mi hanno
fatto questo? Mi sento così stanca che potrei addormentarmi
qui, su questa
panchina. Ma non posso. Non voglio diventare la prossima attrazione
della
giornata e rubare i riflettori alle foche o a qualsiasi altro animale
abbia programmato
di esibirsi.
«Eiko.
Eiko. Eiko».
Nella
confusione delle urla che gremiscono la piccola piazza, le mie orecchie
catturano il suono di una voce lontana che invoca il mio nome: sono
talmente
esausta che il mio cervello ha iniziato a produrre allucinazioni
attingendo
alla mia disperazione.
«Lasciatemi
passare».
La
voce è ora più vicina e distinta. È
una voce maschile, calda e avvolgente, dal
tono profondo ma gioviale. Sembra in difficoltà, sotto
sforzo. È così vibrante
da insinuarsi sotto la mia pelle ed entrare nelle mie vene. La sento
scorrere
nel mio sangue fino al cuore e alla testa, riempire le mie membra e il
mio
spirito, accarezzare la mia coscienza. Non è affatto
confortevole. Mi sento
vulnerabile, senza difese. Il mio stomaco è in subbuglio e
non è per la fame.
Il mio battito sembra impazzito. Ogni cellula del mio organismo
è in ebollizione
e, come lava in fermento nella bocca di un vulcano, protende
verso la voce.
«Eiko,
mi senti?».
Si,
ti sento. Questo suono è così assordante da
scuotere i miei organi, da
provocarmi la nausea. Mi sento soffocare. Ho bisogno di aria. Ho
bisogno di
silenzio.
«Eiko,
stai bene?».
No,
non sto bene, ed è tutta colpa di questa voce che continua a
pronunciare il mio
nome come se mi conoscesse da una vita. Voglio che esca dalla mia
testa. Voglio
che liberi il mio corpo da questa attrazione che non riesco a
reprimere. È
umiliante. Io non sono così. Non mi riconosco più
e ho paura.
«Eiko,
rispondimi».
No,
non voglio. Non voglio parlare. Non voglio guardare. Ma soprattutto non
voglio
più sentire. Ogni parola pronunciata da questa voce
è come una scarica
elettrica che accende una nuova cellula del mio corpo. Non voglio
sentirla.
Deve tacere. È pericolosa come il canto delle sirene che
annulla la coscienza e
risveglia istinti irrazionali. Eppure è così
difficile ignorarla. È preoccupata
per me. È venuta a cercarmi. Dovrei rassicurarla.
Ringraziarla per essere
venuta da me. In fondo, nonostante la spiacevole influenza che sembra
esercitare sul mio inconscio, le sono grata per essere giunta in mio
soccorso.
Allargo
le mani per liberare le tempie. Il mio volto si solleva insieme alla
mia
schiena, riportando il mio busto in posizione eretta. Le palpebre
gonfie e le
guance umide. I capelli arruffati e gli abiti in disordine. Non mi
sorprende
che la persona davanti a me sia così allarmata: dopotutto ho
un aspetto
terribile.
«Eiko».
I
miei occhi reagiscono al suono del mio nome dischiudendosi lentamente e
svelando infine l’immagine del mio salvatore.
«Aomine?».
E’
la prima parola a lasciare le mie labbra. La mia voce è
debole e arrugginita,
consumata dalle lacrime. La mia vista è incerta ma so di non
sbagliare. Il
ragazzo di fronte a me è la stessa persona che mi ha
stregata nel giorno in cui
ci siamo incontrati. Che ho visto brillare con la stessa
intensità del sole.
Che ho visto sorridere come nessun altro mentre il pallone scivolava
nel
canestro o le scarpe stridevano sul campo di gioco. Ma è
soprattutto questo il
ragazzo che mi ha incantata con la bellezza accattivante del suo
sguardo di
zaffiri, misterioso come l’oscuro fondale degli oceani,
suggestivo come il
manto stellato della notte.
«Che
cosa ti è successo? Hai un aspetto orribile».
Lo
so anch’io e non puoi immaginare quanto mi senta imbarazzata.
Vorrei avere il
coraggio di pronunciare queste parole, ma è così
difficile. Non riesco a
muovermi. La vergogna che provo in questo momento è tale da
spingere con forza
in superficie il pianto che ho appena represso. Pensavo di non avere
più
lacrime da versare, ma è chiaro a questo punto quanto mi
sbagliassi. Questa
giornata non poteva concludersi in un modo peggiore. Il detto recita:
“La prima
impressione è quella che conta”.
Io
e Aomine non ci siamo mai parlati fino ad oggi. Il giorno in cui ho
assistito
agli allenamenti, Kise è riuscito a fare solamente le dovute
presentazioni
prima che la ferita sul mio braccio decidesse di riaprirsi,
costringendomi a
lasciare la palestra per raggiungere nuovamente l’infermeria.
Da allora non ho
incontrato Aomine neanche per i corridoio della scuola e non sono
più riuscita
a fermarmi dopo le lezioni per seguire gli allenamenti. Di conseguenza
questa è
la seconda volta che i nostri cammini si incrociano e
l’immagine che sto offrendo
di me non è affatto migliore di quella del primo incontro.
«Che
cosa fai? Perché adesso ti sei messa a piangere?»,
l’agitazione nelle voce di
Aomine è fin troppo evidente. Vorrei rispondere alla sua
domanda, ma cosa potrei
dire? Sto piangendo perché mi avete lasciata sola per tutto
questo tempo. Sto
piangendo perché non volevo che mi vedessi in questo stato.
Sto piangendo
perché sono così imbarazzata da non riuscire a
parlare. Sto piangendo per ogni
livido che domani mattina comparirà sulla mia pelle. Sto
piangendo perché sono
stanca e affamata. Perché ho perso il fiocco sulla mia
camicetta. Perché niente
è andato come avevo sperato. Perché mi sento
vulnerabile e ho paura. Perché il
tuo sguardo insostenibile è ora posato su di me.
Perché non posso nascondermi
da te. Sto piangendo perché il suono della tua voce
è come un narcotico che
indebolisce la mia ragione. Perché il tuo volto è
così vicino da togliermi il
respiro. Ma più di ogni altra cosa piango perché
nonostante tutto sono felice
che tu sia venuto da me.
Che
cosa sto pensando? Da quando la vicinanza di una singola persona riesce
a
creare così tanta confusione dentro di me? Da quando sono
diventata così
emotiva da piangere in pubblico, in presenza di estranei, di un ragazzo
di cui
non so praticamente nulla? Che idea si sarà fatto di me? E
perché ora sono
ossessionata dall’opinione che la gente ha di me? La gente?
No, non è così. L’unica
persona, il cui giudizio conti qualcosa per me, si trova proprio qui,
di fronte
ai miei occhi. È così impacciato. Sono pronta a
scommettere che non sappia
assolutamente come comportarsi in questo momento. Probabilmente non ha
molta
esperienza con le ragazze. E io non posso certo dire di essere
un’esperta di
ragazzi. Se soltanto non fosse venuto a cercarmi. Avrei potuto lasciare
questo
posto con relativa discrezione. Riappropriarmi delle mie
facoltà intellettive e
razionali. Avrei controllato i miei sentimenti e il mio animo si
sarebbe
acquietato. Invece no. L’arrivo di Aomine ha complicato
tutto. Ha scombussolato
le mie emozioni facendomi dubitare della mia stessa natura. Mi sento
così
diversa e non mi piace. Il mio cuore è un nido di
contraddizioni. Eppure non è
la prima volta che mi trovo così vicina ad un ragazzo.
È già successo con
Kuroko nel magazzino della palestra, con Murasakibara nei corridoi
durante la
pausa pranzo, con Kise nel primo giorno di scuola. Anche in tutti
questi casi, seppure
per motivi diversi, ho provato imbarazzo, è vero, ma era
completamente differente
dal sentimento che provo in questo istante.
«Per
favore, smetti di piangere. Ci stanno guardando tutti. Penseranno che
è colpa
mia», il tono insicuro di Aomine mi sprona a sbirciare
timidamente il suo viso.
Sembra molto a disagio e non posso biasimarlo. Il mio pianto esasperato
ha
attirato l’attenzione dei visitatori. I loro sguardi
accusatori sono tutti
puntati su di lui, sul responsabile delle mie lacrime. Osservo Aomine
senza
smettere di singhiozzare, mentre si affanna a chiarire
l’equivoco con gesti
confusi e frasi incomplete. L’espressione sul suo volto
è diversa da come la
ricordavo. Sembra così innocente, ingenua. Non vi
è traccia di quella geniale
fiducia, di quella sorridente vitalità che irradia sul campo
di gioco. In
questo momento leggo nei suoi movimenti incerti lo smarrimento di un
giovanissimo uomo impreparato.
Tra
la folla inquisitrice si distinguono ora i commenti dei giudici
più severi, la
cui indignazione verso Aomine muta in compassione verso di me. Invece
dovrei
essere io l’oggetto della loro condanna, poiché mi
sono servita del ragazzo
accorso in mio aiuto per sfogare la mia frustrazione, lasciando che
venisse
incolpato per una mia debolezza. O per il mio egoismo. Volevo qualcuno
da
biasimare per la mia confusione emotiva, qualcuno che si assumesse la
responsabilità al mio posto. Qualcuno che non sarebbe stato
capace di risalire
alla verità guardandomi negli occhi: il talento sportivo di
Aomine è
indiscutibile, ma le sue capacità intuitive lasciano molto a
desiderare quando
non si parla di basket. O almeno così mi ha assicurato
Satsuki.
Il
brusio del tribunale d’eccezione si intensifica diventando
infine un vociare
ardimentoso. Dal pubblico radunato sulla piazza si sollevano una dopo
l’altra
feroci opinioni di disapprovazione nei confronti di Aomine.
«Che
ragazzo terribile».
«E’
soltanto un bullo».
«Il
suo comportamento è imperdonabile».
«Dovrebbero
cacciarlo immediatamente da questo posto».
«Hai
ragione. Forse sarebbe meglio chiamare la sicurezza».
I
commenti della folla in subbuglio si caricano presto di una
crudeltà
inaccettabile. I loro sguardi, infiammati dal risentimento, ardono come
fuochi
demoniaci pronti a divorare l’anima del giovane peccatore.
All’improvviso mi
tornano in mente le esecuzioni pubbliche della Francia rivoluzionaria:
il
popolo affamato di giustizia, radunato in esultanza sotto la
ghigliottina, che
reclama a gran voce le teste di Luigi XVI e della sua consorte Maria
Antonietta.
«Accidenti».
E’
l’ultima parola che le mie orecchie sentono pronunciare,
prima che la mano di
Aomine afferri saldamente la mia per trascinarmi il più
lontano possibile dall’animosa
piazza.
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Capitolo 13 *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (terza parte) ***
Le
mie gambe stanche faticano a tenere il passo e più di una
volta mettono alla
prova il mio senso dell’equilibrio. I miei piedi a stento si
sollevano da
terra, costringendo la punta delle scarpe a raschiare contro il
pavimento.
Vorrei implorare Aomine di rallentare, ma sono troppo esausta per
emettere
suono. I miei abiti trasandati e i capelli in disordine non
rappresentano più
neanche una preoccupazione, così come ho rinunciato a
ritrovare il fiocco
perduto.
Le
miei pupille offuscate si posano sulla schiena del ragazzo che mi
precede. Il
cappuccio della sua felpa sobbalza ad ogni nuovo passo, che scandisce
il ritmo
sostenuto della nostra corsa. È come guardare un pendolo in
attesa di cadere
sotto l’ipnosi del suo oscillare.
Il
mio respiro è così affaticato che lo sento
vibrare nella mia testa piuttosto
che nel mio petto e dalle miei dita, imprigionate nella mano di Aomine,
è
defluita ormai l’ultima goccia di sensibilità.
Tutto il mio corpo continua ad
avanzare perché trainato dalla forza inarrestabile della
persona che mi è
davanti. Il vigore che emana dalle sue giovani membra sembra
diffondersi
attraverso la mia pelle, i miei muscoli, le mie ossa e combattere la
forza di
gravità che vorrebbe sopraffarmi, approfittando della mia
stanchezza.
Ora
che siamo nuovamente all’interno dell’acquario mi
rendo conto di quanto
rapidamente sia trascorso il tempo. Le sale d’esposizione non
sono più
affollate come al nostro arrivo: probabilmente manca poco
all’orario di
chiusura.
«Da
questa parte», pronuncia Aomine, guidandomi nella direzione
opposta all’uscita.
Mi
chiedo se Mayumi e gli altri abbiano già lasciato
l’edificio o ci stiano
cercando. Di sicuro si saranno accorti dell’assenza di Aomine
e, di
conseguenza, anche della mia.
La
nostra fuga termina in una saletta dal soffitto insolitamente basso, se
paragonato a quello delle altre sale dell’acquario.
Finalmente posso riprendere
fiato mentre le mie ginocchia collassano facendomi precipitare sul
pavimento. Allarmato
dal suono tonfo della mia caduta, il volto di Aomine ruota nella mia
direzione.
«Ohi,
tutto bene?», il suo respiro è regolare, quasi non
avesse accusato lo sforzo
della disperata corsa.
Rispondo
con un cenno della testa poiché la mia bocca è
troppo impegnata a risucchiare
tutto l’ossigeno possibile per rianimare i miei polmoni. Del
resto non sono mai
stata un tipo atletico.
Sollevo
lo sguardo per guardarmi intorno. Non ci sono pareti, né
soffitto a delimitare
l’ambiente, ma solo un’immensa volta di vetro da
cui filtra un’intensa luce
cobalto che irradia tutta la stanza e, immerse in quella luce, decine
di meduse
fluttuano sulle nostre teste. I loro movimenti aggraziati e sinuosi
incantano i
miei occhi. È come ammirare la danza di mille spose vergini
che invocano la
benedizione degli dei.
Il
battito concitato del mio cuore rallenta gradualmente, stabilizzando il
mio
respiro, ma le mie gambe, paralizzate dalla fatica, non sono ancora in
grado di
sostenere il peso del mio corpo. Rimango quindi seduta sul freddo
pavimento,
contemplando con invidia la leggerezza evocativa delle diafane creature
che mi
circondano, ma prima ancora che possa rendermene conto, il sentimento
di
gelosia evolve in una serena ammirazione.
«Finalmente
un sorriso».
I
miei occhi scivolano di lato per incontrare quelli di Aomine. La
soffusa luce
marina che si riflette nel profondo blu delle sue iridi illumina il suo
sguardo
di un confortevole bagliore. E’ così facile
interpretare le emozioni che
traspaiono dal suo volto gioioso, dal largo sorriso sulle sue labbra.
Questo
ragazzo non sa come nascondere i propri sentimenti, o semplicemente ha
scelto
di non farlo.
«Quando
sei scoppiata a piangere in mezzo alla piazza, mi sono spaventato. Non
sapevo
cosa fare. Continuavi a singhiozzare e poi tutta quella gente ha
iniziato a
fare commenti…», l’agitazione nella sua
voce è la prova della sua sincera
preoccupazione.
Sono
stata davvero ingiusta con lui. Avrei potuto rincuorarlo, o almeno
proteggere
la sua immagine respingendo le accuse di tutti quei turisti pettegoli e
curiosi. Avrei potuto mentire per discolparlo. Ma ho preferito tacere,
perché
se avessi scelto di parlare, sarei stata obbligata a rivelare la
verità, a
mettere a nudo il mio cuore confuso. Ho preferito proteggere me stessa
da
un’imbarazzante confessione, piuttosto che Aomine da una
ingiusta condanna.
Sapevo che era a disagio, sapevo che era impreparato, sapevo che non
meritava
di essere giudicato così crudelmente. Sapevo tutto questo
perché è stato lui a
mostrarmelo. Perché Aomine è incapace di mentire.
Perché il cuore di Aomine non
conosce ipocrisia. Perché per Aomine la sincerità
non è una vergogna. Sapevo
tutto questo, eppure, sono rimasta in silenzio.
«Se
ho fatto qualcosa di sbagliato ti chiedo scusa. Non sono bravo a capire
le
ragazze, perciò se ho ti ho offesa in qualche modo ti chiedo
di perdonarmi. Se
hai qualcosa da rimproverarmi, ti ascolto».
Sono
davvero una persona orribile. Ed è solo colpa di questo
ragazzo che si ostina
ad affrontare gli altri in modo diretto. Di questo ragazzo a cui non
piacciono
le complicazioni che derivano dai banali fraintendimenti di tutti i
giorni, per
cui la sincerità ha più valore di qualsiasi altra
cosa. È tutta colpa di questo
ragazzo che non esita a mostrare i veri colori del suo animo, che
guarda con
scherno alle persona comuni, che per sopravvivere sono costrette ad
indossare
maschere, a mentire o a tacere. Persino in questo momento, in cui il
mio cuore
si dibatte nella confusione generata dalla sua vicinanza, sono sicura
che stia
ridendo della mia debolezza, che stia guardando con indignazione alla
mia
ipocrisia.
Ti
dispiace? Vuoi il mio perdono? Chi diavolo pensi di essere per
implorare il mio
perdono quando non hai fatto nulla di sbagliato? Se soltanto anche tu
fossi
come tutti gli altri, potrei urlarti contro, arrabbiarmi con te,
rinfacciarti
quella stessa falsità, quell’egoismo che mi hanno
resa una persona detestabile.
Potrei vomitarti addosso tutto il mio disgusto e liberarmi di questo
sentimento
insopportabile che lacera il mio animo, che stritola il mio cuore
incasinato.
Questa nauseante sincerità che trabocca da ogni tua parola,
da ogni tuo gesto è
come l’artiglio di una bestia affamata che dilania la carne
viva del mio intero
essere, riducendola a una infinità di brandelli sconnessi e
sanguinanti. Perché
devo sopportare tutto questo? Per colpa tua non mi riconosco
più. Odio le
persone come te. Le persone che non hanno paura. Le persone genuine,
piene di
energia, piene di luce. Odio il bagliore dei tuoi occhi limpidi e
schietti.
Odio la vitalità del tuo sorriso. Detesto la passione che
brucia nel tuo
sguardo quando giochi a basket. Il carisma con il quale attiri su di te
tutte
le attenzioni mi fa schifo. Le persone come te dovrebbero sparire dalla
faccia
della terra. Le persone luminose come te sono banali e noiose. Sono
solo una
seccatura. Non c’è nulla di affascinante in un
corpo che splende di vita. Il
vero fascino di un essere umano risiede nella sua oscurità,
nelle sue
perversioni, nei suoi desideri degradati, nelle sue passioni insane.
«Eiko,
che cos’hai? A cosa stai pensando?».
Oh
no, a cosa stavo pensando? Cos’è questo sogghigno
sulle mie labbra? E perché invece
Aomine ha smesso di sorridere? Che cos’e
quell’espressione preoccupata?
Preoccupata? No, sembra più…terrorizzata.
E’ come se avesse paura di me. Ma
perché? Mi sento strana. Avverto come un buco nella mia
memoria. Che cosa mi
sta succedendo? È esattamente come prima, nella piazza.
All’improvviso il mio
cuore è di nuovo colmo di sentimenti angoscianti. Ho la
nausea. Le mie orecchie
fischiano come treni. Aomine mi sta parlando ma non riesco a sentire le
sue
parole. Probabilmente pensa che abbia perso conoscenza
perché ha iniziato a
scuotere le mie spalle con vigore. Non percepisco il suono della sua
voce ma
riconosco i movimenti della sua bocca che continua ad articolare il mio
nome.
L’espressione sul suo viso è di nuovo cambiata. I
suoi occhi allarmati sono
così vicini ai miei che posso vedere la mia immagine
riflessa nelle sue
pupille. Devo dire qualcosa. Devo fargli sapere che sono cosciente. Non
voglio
commettere lo stesso errore. Ma soprattutto non voglio che si preoccupi
per me.
Non lo merito. Mi sento malissimo. Il mio cranio è come un
groviglio di fili ad
alta tensione e ogni scarica è così forte da
poter bucare il mio teschio. Vorrei
parlare, comunicare, ma non appena formulo le parole nella mia testa il
dolore
si intensifica, paralizzando il sistema nervoso.
«Perché
non reagisci? Eiko!».
Devo
calmare Aomine. Devo farlo a qualunque costo. Ho approfittato di questo
ragazzo
troppo a lungo. Sono stata troppo ingiusta con lui. Sarebbe troppo
crudele
costringerlo a darsi altro pensiero per me. Per una persona debole e
insicura
come me. Che preferisce sacrificare chi è corso in suo aiuto
pur di proteggere
i segreti del suo cuore confuso. La generosità di Aomine
merita che io impieghi
fino all’ultimo granello di energia per rassicurarlo.
Nonostante il mio
egoismo, non mi ha lasciata indietro. Nonostante abbia approfittato del
suo
imbarazzo per negare il mio disagio, nonostante sia rimasta a guardare
in
silenzio mentre veniva ingiustamente condannato, ha scelto di scappare
insieme
a me, quando avrebbe potuto abbandonarmi e fuggire da solo. Il dolore
che sto
provando in questo momento non è altro che
l’adeguata ricompensa alla mia
disonestà.
I
miei occhi sono umidi e la vista sbiadita. Sento le orbite gonfie
d’acqua: per
tutto questo tempo le mie palpebre spalancate non si sono chiuse
neanche una
volta. Lacrime dense spingono per emergere in superficie e fuoriuscire
dalla
mia pelle. Le lascerò scorrere. Saranno la mia reazione, la
mia riposta alla
voce, ai sentimenti di Aomine, così saprà che
sono ancora qui con lui e si
tranquillizzerà.
«Eiko?
Riesci a sentirmi?».
Non
capisco come sia possibile, ma adesso il suono della voce di Aomine
riesce di
nuovo a raggiungere le mie orecchie. La nebbia opprimente che offuscava
i miei
pensieri si sta diradando e il garbuglio di cavi elettrici che
perforavano il
mio cranio con le loro scariche ad altissimo voltaggio si sta
districando. Non
sento più dolore. I miei polmoni sono leggeri e gonfi di
aria pura. I miei
muscoli sono riposati e attivi. Sento la tensione colare dai miei nervi
come la
cera di una candela e liberarli dalla paralisi. Posso di nuovo
muovermi. Posso
di nuovo sentire il mio corpo. Ogni cellula pulsa di
vitalità, come appena
nata. Una nuova linfa scorre nelle mie vene ed infiamma i miei organi
con la
stessa potenza combustiva di un carburante. Penetra nei miei tessuti
lacerati ricucendo
insieme i brandelli, purificando il sangue delle mie ferite,
fortificando le
mie ossa, diffondendo calore in tutte le mie membra.
I
miei occhi sono limpidi e la mia vista nitida. Le lacrime che ho
lasciato
sgorgare, per qualche motivo non hanno raggiunto le mie guance, come un
fiume
generatosi sulle vette ghiacciate, il cui cammino viene deviato prima
che possa
giungere a valle. La mia pelle è asciutta e calda. Il tepore
che percepisco sul
mio viso non proviene dal mio corpo, tuttavia è familiare.
Ah
si, ora ricordo. Questo è il calore di Aomine. Il calore
delle sue dita che
raccolgono il mio silenzioso pianto, della sua mano esitante che
sostiene la
mia guancia, del suo tocco gentile e impacciato che ha risvegliato i
miei
sensi, della sua voce che continua a raggiungere la mia coscienza.
«Si,
ti sento», finalmente le mie labbra si dischiudono. La mia
gola è arida e il
suono prodotto dalle mie parole è sgradevole. Ma non ha
importanza, perché
adesso posso di nuovo comunicare e rassicurare il ragazzo che mi
è di fronte.
«Mi
hai fatto prendere un colpo».
Il
volto di Aomine si allontana lentamente dal mio. Il suo corpo esausto
ricade
all’indietro mentre dalla sua bocca esala un profondo sospiro
carico di tensione.
Le sue gambe sono abbandonate sul pavimento, prosciugate di tutta la
loro
forza, le braccia a penzoloni in mezzo alle ginocchia divaricate. Le
spalle
basse disegnano un arco appena accennato sulla schiena ricurva. La
testa
ciondolante in avanti, come priva di vita, e il mento a pochi
millimetri dal
petto.
Fino
a pochi attimi fa questo ragazzo scuoteva il mio busto come si scuote
il tronco
di un albero per far cadere dai suoi rami i frutti maturi. Il vigore
della sua
stretta palpita ancora sulle mie braccia così come le sue
grida disperate
tuonano nella mia testa. Ora invece non vi è traccia di
quella tempra
incontenibile che mi ha trascinata fino a qui, sfidando la stanchezza e
la
gravità che tentavano il mio corpo fiacco. La persona seduta
di fronte a me è
come un burattino a cui sono stati tagliati i fili, come un fiore
appassito a
cui sono stati strappati i petali. E non posso fare a meno di sentirmi
responsabile. Sono stata io a risucchiare dal suo corpo tutta la linfa
vitale
che scorreva nelle sue vene. Ho assorbito la sua luce per riportare in
vita le
mie cellule affaticate, per dissipare la nebbia dei miei pensieri
oscuri, per
riaccendere il respiro nei miei polmoni. Come un vampiro assetato mi
sono
nutrita della sua vitalità spingendo il suo corpo allo
sfinimento.
Ma
ho dovuto farlo. Non avevo scelta. Ho avuto paura. Mentre la mia
coscienza
sbiadiva, regredendo in un angolo irraggiungibile della mia mente, una
presenza
sconosciuta, guidata da pensieri distorti, emergeva dalle tenebre
più profonde
del mio subconscio, dominando la mia volontà con la solo
forza del suo
desiderio. Probabilmente è questo che succede agli esseri
umani quando il loro
corpo viene posseduto da uno spirito maligno in cerca di vendetta. Ho
sempre
creduto nell’esistenza del male. E mi è stato
insegnato che il male è
un’essenza inscindibile della natura umana, qualcosa che ci
appartiene fin
dalla nascita, che non possiamo sradicare ma solo dominare. E per
sottomettere
il male che è dentro di noi occorre una volontà
capace di resistere al fascino tentatore
della passione, dell’invidia, della violenza.
Ma
una ragazza come me, che ha vissuto la sua vita tenendo la bilancia
delle
proprie ambizioni sempre in equilibrio, senza mai prendere decisioni
che
costringessero l’ago a pendere da una parte piuttosto che
dall’altra, non ha
ragione di affannarsi a respingere il male che tenta di avanzare,
perché quel
male non dovrebbe neanche avere la forza necessaria per imporre il suo
dominio.
L’accidia, l’indolenza, l’ignavia non
sono certo un terreno fertile su cui far
crescere brame e aspirazioni che possano accendere il fuoco della
battaglia tra
il bene e il male che albergano nel cuore umano. Chi si rifiuta di
prendere
posizioni non ha diritto a compiere scelte. Chi non desidera evolvere
non ha
motivo di sentirsi confuso o combattuto perché non ha
propositi che possano generare
contraddizioni, contrasti, fermenti nell’animo. In un cuore
ozioso non può
germogliare il bocciolo del dissidio interiore. In un cuore come il
mio, il
bene e il male non hanno motivo di affrontarsi. Di conseguenza, la
presenza che
ho avvertito poco fa non era altro che il frutto illusorio della mia
mente
provata dalla fatica. Ora che ci penso, non è affatto
diverso da quello che mi
succede quando guardo un film horror. Anche l’ultima volta la
suggestione
provocata dalla mia paura mi ha tenuta sveglia fino
all’arrivo di Naoko. Come
oggi anche quella sera continuavo a sentire voci nella mia testa, a
percepire
presenze nella mia stanza. Sentivo i loro insani desideri dilagare
nella mia
mente e inibire la mia volontà. Quella notte è
giunta mia sorella Naoko a
liberarmi dal sortilegio, a richiamare la mia coscienza plagiata nel
mondo
reale, proprio come poco fa il tocco di Aomine ha infranto
l’ipnosi che mi
teneva prigioniera nella torre delle mie paure. L’animo umano
è fragile e quando
è spaventato si arrende facilmente al delirio, ai
vaneggiamenti, agli inganni
dell’immaginazione.
Forse
non sarò mai in grado di ripagare il debito che ho
accumulato in questo giorno,
ma voglio che il mio salvatore sappia che gli sono riconoscente. Per
non
essersi dimenticato di me. Per avermi parlato. Per avermi protetta con
la sua
luce. Per aver vegliato sul mio cuore turbato e diviso. Non sono ancora
sicura
di poter spiegare con esattezza quanto mi è accaduto,
così come non riesco
ancora a comprendere la natura dei miei sentimenti. Non posso negare
che la spontaneità,
l’ingenua sincerità, la gioiosa passione di Aomine
esercitino una misteriosa
attrazione sul mio inconscio. Questo ragazzo ha il potere di scuotere
il mio
animo, di turbare i miei pensieri, di agitare il sangue che scorre
nelle mie
vene. Ma è anche capace di ristabilire la quiete dopo aver
aizzato i venti
della tempesta, di restituirmi la ragione dopo averla sconvolta, di
asciugare
le lacrime dopo aver provocato il mio pianto.
Ma
forse si tratta solo di una curiosa coincidenza. Di semplici
supposizioni,
opinioni infondate dettate da un’eccesiva e momentanea
emotività. La frustrante
confusione che ha stravolto la mia mente e il mio cuore potrebbe
infatti non
avere alcuna connessione con questo ragazzo. Piuttosto potrebbe essere
il
risultato di un mio affaticamento fisico e mentale, di quel fervore
paranoico
che sprona la mia immaginazione nei momenti di insicurezza e paura. La
distanza
che Mayumi e Satsuki hanno mantenuto da me per tutto il giorno, i loro
sguardi
complici e il loro comportamento evasivo sono stati sicuramente la
causa che ha
istigato la depressione nel mio cuore. Il timore di essere lasciata
indietro ha
generato in me un’angoscia che non ho saputo sanare e che
è maturata fino a
diventare totale sfiducia. Del resto una persona priva di spirito di
iniziativa
come me non avverte la necessità di affrontare gli altri a
viso aperto solo per
chiedere spiegazioni o chiarire equivoci. Preferisce seguire il flusso
del
fiume invece di affannarsi a risalire la corrente. E non importa che
abbia
promesso di essere coraggiosa o che abbia dichiarato di voler cambiare,
perché
le vecchie abitudini sono dure a morire. Ciò che pronunciano
le labbra non sono
che semi sterili senza il supporto del cuore. Ma per quanto sia ancora
lontana
dal mio obiettivo, non posso sottrarmi all’obbligo di
ripagare la generosità di
chi è venuto in mio soccorso.
Mi
sollevo sulle gambe cercando di sistemare come meglio posso i miei
abiti
sgualciti e i capelli in disordine. So di non essere presentabile in
questo
momento e sono sicura che il mascara, che Naoko ha steso questa mattina
con
cura sulle mie ciglia, sia ormai diventato un’ombra nera e
sbiadita attorno ai
miei occhi arrossati.
Accompagnando
il gesto con il mio rammaricato silenzio, porgo la mano ad Aomine. Con
un
movimento rallentato la sua fronte risale fino a incontrare il mio
sguardo. I
suoi occhi assorti indugiano sul mio volto per esaminare la mia
condizione. Di
tanto in tanto si stringono per mettere a fuoco la mia immagine sotto
la
penombra della soffusa luce blu che avvolge entrambi. Ma una volta
catturato il
lieve cenno col quale decido di rispondere alla silenziosa richiesta di
conforto, si addolciscono in una tenera espressione di sollievo mentre
la sua
mano protende verso la mia desiderosa di afferrare le mie dita.
«Sarà
meglio uscire da qui e trovare gli altri», pronuncia una
volta in piedi,
mantenendo le sue attenzioni su di me. Immagino non sia ancora del
tutto
convinto che mi sia completamente ripresa.
Annuisco
incamminandomi dietro di lui. Il suo passo è lento e
rilassato. Nonostante
abbia proposto di raggiungere il punto di ritrovo in cui Mayumi, Kise,
Satsuki
e Kuroko ci stanno sicuramente aspettando, ho come
l’impressione che stia
cercando di prendere tempo, quasi voglia ritardare l’incontro
con il resto del
gruppo. Il suo incedere sembra titubante e il fatto che non stia
provando a
interagire con me in alcun modo mi induce a pensare che qualcosa lo
stia
turbando. Ancora una volta i miei occhi si posano sulla sua schiena.
E’
leggermente curvata in avanti per assecondare l’inclinazione
della testa verso
il basso. Anche se non posso vederlo, sono abbastanza sicura che in
questo
momento il suo sguardo rannuvolato sia distrattamente puntato sui suoi
piedi.
Non ho idea di quali pensieri stiano affollando la mente di Aomine, ma
non
posso fare a meno di sospettare che stia ripensando
all’eccentrica condotta di
cui ho dato sfoggio pochi attimi fa. Non potrei biasimarlo se, al
termine della
sua riflessione, il suo atteggiamento nei miei confronti mutasse
radicalmente. Qualunque
sia stata la causa, il mio comportamento resta imperdonabile, ma
soprattutto la
fragilità emotiva che ho mostrato di possedere non
può diventare motivo di
disagio per chi mi è vicino. Piuttosto che imprigionare
Aomine nella rete della
mia confusione e della mia debolezza, sono pronta ad accettare il suo
allontanamento. Certo non posso negare che mi sarebbe piaciuto avere
come amico
un ragazzo solare e gioioso come lui. Qualcuno capace di infondere
entusiasmo
con un semplice sorriso, di trasmettere energia e vitalità
con un gesto.
La
mia natura introversa mi ha sempre portata a mantenere le distanze
dalle
persone troppo vivaci, poiché temevo che il loro fervore
avrebbe potuto
influenzarmi e trascinarmi sulla strada della determinazione e
dell’ambizione.
E non volevo incamminarmi su un sentiero del quale sapevo non avrei
visto la
fine. Conosco i miei limiti e non è mia abitudine mettere
mano a un progetto se
non sono sicura di realizzarlo. Di conseguenza mi sono sempre tenuta in
disparte e ho evitato le amicizie troppo esuberanti. Neanche dopo aver
conosciuto Mayumi e Kise ho cambiato idea, sebbene abbia promesso di
non
fuggire dalle nuove opportunità. Ma accettare di allargare
le proprie
conoscenze non vuol dire necessariamente modificare anche il proprio
punto di
vista e trasformarsi improvvisamente in una persona diversa. In queste
settimane il mio affetto per i miei due compagni di classe si
è sicuramente
rafforzato, così come il legame con Satsuki. Tuttavia non
posso negare ciò che
sono. Io sono Eiko. Sono una ragazza timida, impacciata e insicura. Non
ho
carisma e non ho talenti e, finché sarò
consapevole di questa verità e non
tenterò di nasconderla, né di alterarla, non
avrò motivo di impegnarmi per
piacere alla gente.
Allora
perché mi sento così triste da quando ci siamo
rimessi in marcia? È perché
Aomine sembra essersi dimenticato che io sono proprio qui, dietro di
lui? O perché
sembra non avere alcuna intenzione di rivolgermi la parola? Oppure
perché ho
paura dell’impressione che avrò lasciato di me al
termine di questa lunghissima
giornata? Ma perché dovrebbe preoccuparmi cosa
penserà Aomine? Questo ragazzo è
solo un altro studente delle medie Teikou, proprio come Kise e Kuroko,
o come
Mayumi e Satsuki. E’ vero, saremmo potuti diventare amici, ma
non sarà la fine
del mondo se da domani torneremo ad essere due estranei l’uno
per l’altra. Però
potrei parlare con Satsuki e chiederle di mettere una buona parola da
parte
mia, per convincere Aomine a darmi una possibilità. Una
possibilità? E per che
cosa? Non sto mica cercando di diventare la sua ragazza.
No,
non la sua ragazza. Semplicemente sua amica. Ho desiderato diventare
amica di
Aomine dal primo momento in cui l’ho visto. Guardandolo
sorridere mentre si
allenava con i suoi compagni di squadra ho pensato: «Questo
ragazzo mi ricorda
Tatsuo». Proprio come mio fratello, anche Aomine possiede
quella vitalità
capace di contagiare chiunque gli sia vicino. Nei suoi occhi ho visto
la stessa
luce, la stessa determinazione, lo stesso entusiasmo che bruciano
costantemente
nello sguardo di mio fratello. Persino la stretta della sua mano aveva
lo
stesso calore confortevole.
Quando
ero piccola mi piaceva camminare dietro Tatsuo perché
l’immagine della sua
schiena ampia e solida mi trasmetteva sicurezza. Sapevo che se fossi
rimasta
dietro di lui, il suo corpo mi avrebbe protetta e avrebbe abbattuto gli
ostacoli sul mio sentiero e se mi fossi stancata, avrei potuto
arrampicarmi
sulle sue spalle per accoccolarmi con le braccia intorno al suo collo.
In
questo momento la schiena di Aomine sembra affidabile e sicura come
quella di
Tatsuo. Ma è proprio perché la sua figura
è così simile a quella di mio
fratello che non posso sopportare di essere la causa del suo
turbamento.
Purtroppo non ho una risposta che possa sciogliere le sue
perplessità o
convincerlo a fidarsi di me. Tutto quello che posso fare è
essere sincera
riguardo i miei sentimenti perché, dopotutto, non voglio
tornare ad essere
un’estranea. Aomine è la prima persona, al di
fuori della mia famiglia, che mi
abbia indotta a credere che potrebbe accettare la mia
mediocrità senza imporre
compromessi. La sua presenza è confortevole e sono sicura
che la differenza tra
le nostre abilità non rappresenterebbe un ostacolo alla
nostra amicizia. Se
questa è un’altra opportunità che mi
è stata offerta, non posso assolutamente
sprecarla. Aomine è un ragazzo schietto e semplice. Se
sarò onesta con lui,
sono certa che mi sorriderà di nuovo. Se soltanto avessi la
parlantina di
Haruka. Lei sa sempre cosa dire e non avrebbe problemi in una
situazione come
questa.
No,
non devo pensare come Haruka. Io sono diversa da lei. Sono taciturna e
timida,
quindi il mio discorso deve essere breve e conciso se non voglio
rischiare di
ingarbugliarmi. Poche parole, non mi servono i monologhi complicati. Ma
che
cosa voglio dire ad Aomine? Cos’è che voglio
fargli sapere? Credevo di avere
tante cose di cui parlare con lui, tanti equivoci da chiarire, tante
spiegazioni da organizzare, tanti comportamenti da giustificare. Eppure
in
questo preciso momento sono solo due le parole che continua a
bisbigliare la
mia testa. Dieci singole lettere che però sembrano pesare
come mille. Ma se
riuscissi a pronunciarle, potrei comunicare ad Aomine tutti i miei
sentimenti
in un’unica frase. Devo farlo adesso che siamo ancora soli,
che ho ancora la possibilità
di attirare la sua attenzione, in questo silenzio che
permetterà alla mia voce
di raggiungere la persona che ho di fronte. Sono solo due parole, ma
varranno
più di tutte quelle conversazione che avremmo potuto avere
in questa giornata.
«Mi
dispiace».
Mi
dispiace, Aomine. Per quanto ingiusta sono stata con te. Per avere
approfittato
della tua generosità. Per averti fatto preoccupare. Per
averti spaventato. Per
averti mentito. Per averti mostrato solo la mia debolezza. Per averti
esposto
all’imbarazzo. Per averti accusato nel segreto del mio cuore.
Per essere così egoista
da voler diventare tua amica. Per essere così avida da voler
rimanere sotto il
bagliore della tua luce. Per aver rubato il sorriso dalle tue labbra.
Per
essere così presuntuosa da voler camminare al tuo fianco.
Per essere così
arrogante da volerti consolare. Per esserti così grata e
incapace di ripagare
il mio debito. Ma soprattutto, mi dispiace di non essere ancora in
grado di
dirti tutto questo con la mia voce.
«Mi
dispiace davvero», per ora è tutto quello che sono
in grado di confessare.
Il
passo rallentato di Aomine infine si arresta. I miei occhi scivolano
sulla sua
mano destra: le dita serrate in un pugno di frustrazione. Nella calma
che
domina intorno a noi percepisco lo schiocco della sua lingua tradire la
sua
irritazione. Se ha intenzione di urlarmi contro, preferisco che lo
faccia qui e
adesso, lontano dagli sguardi di Mayumi e Satsuki. Sono consapevole di
meritare
il suo risentimento, perciò non mi nasconderò
dietro futili scuse.
Il
battito ansioso del mio cuore rulla nel mio petto, mentre aspetto che
Aomine
riversi su di me tutta la sua rabbia. La tensione fra di noi
appesantisce ogni
secondo dell’attesa ma non ho intenzione di accelerare la mia
condanna.
Un
fragoroso sospiro interrompe la muta quiete. I muscoli della mano di
Aomine si
rilassano, facendo dischiudere il pugno. La lieve curva sulla sua
schiena è
sparita e la sua testa è di nuovo alta.
«Perché
ti stai scusando?», sono le prime parole che spezzano il suo
lungo silenzio.
«Sono io a dovermi scusare».
Il
suo torace ruota quindi verso di me, mostrandomi
l’espressione sul suo viso. Le
sopracciglia aggrottate sono la prova più evidente della sua
rabbia, tuttavia
la sua profonda collera non sembra puntare nella mia direzione. I suoi
bellissimi occhi di zaffiro evitano accuratamente i miei per non
svelarmi la
vergogna dei suoi sentimenti, di quel senso di colpa che credevo essere
solo
mio. Tutto questo è sbagliato. Aomine non ha nulla da
rimproverarsi. Non
capisco perché si senta in errore, ma è una mia
responsabilità ovviare al malinteso
e chiarire quale parte sia nel torto e quale nella ragione.
«Non
hai motivo di chiedere il mio perdono, perché non hai fatto
nulla di
sbagliato», il tono della mia voce è deciso ma non
adirato.
Benché
il mio cuore stia galoppando come un cavallo selvatico, la mia mente
è salda e
controlla il mio corpo. Non posso lasciare trasparire la mia agitazione
se
voglio rassicurare Aomine. Al contrario, i moti interiori del giovane
atleta
esplodono all’esterno con la stessa veemenza di
un’eruzione vulcanica,
palesando senza alcun freno le emozioni del ragazzo.
«Non
è affatto vero», la sua voce esasperata rimbomba
nella sala deserta. «Quando ci
siamo accorti che eri sparita, Satsuki mi ha mandato a cercarti. Dovevo
riportarti indietro e assicurarmi che stessi bene. Quando ti ho trovata
eri
così spaventata che sei scoppiata a piangere. Probabilmente,
dopo essere
rimasta da sola per tanto tempo, avrai pensato che ci fossimo
dimenticati di
te. Ma è solo colpa mia. La verità è
che mentre ti cercavo mi sono perso, per
questo ci ho messo così tanto prima di trovarti. Ma ti
assicuro che nessuno di
noi aveva intenzione di lasciarti indietro».
Forse
è perché mi sono sentita sola per tutto questo
tempo, o forse è perché volevo
solo avere la conferma che Aomine non fosse arrabbiato con me e mi
disprezzasse, ma sento nuove, calde lacrime di serenità
sgorgare dai miei
occhi. Anche il mio cuore è più tranquillo e il
battito sta gradualmente
rallentando. È una sensazione così piacevole e
leggera.
Mi
ero finalmente decisa a combattere la timidezza e
l’insicurezza per il bene di
Aomine. Volevo rassicurarlo e scusarmi con sincerità, ma di
nuovo è stato lui a
correre in mio aiuto. Evidentemente non sono ancora pronta a diventare
io
stessa un sostegno se ho così tanto bisogno di appoggiarmi
alle parole, alla
gentilezza di chi mi circonda. In fondo sarebbe presuntuoso da parte
mia
credere di poter raggiungere il traguardo tanto presto quando conosco
esattamente i miei limiti. Se sono riuscita ad arrivare fino a questo
giorno,
nonostante le mie mancanze, è perché non ho avuto
vergogna di affidarmi ai miei
fratelli e ai miei cugini. Non ho esitato ad afferrare le loro mani nel
momento
del bisogno e questo mi ha portata a credere negli anni che accettare
l’aiuto
di chi è disposto ad offrirlo con sincerità non
sia una debolezza, ma un atto
di fiducia che aiuta a crescere. E, proprio come i preziosi membri
della mia
famiglia, anche questo ragazzo ha cercato di raggiungermi, di attirare
la mia
attenzione perché mi fermassi ad ascoltarlo, di convincermi
a guardarlo negli
occhi per sapere di potermi fidare della sua onestà. Non ho
bisogno di
affrettare i tempi. Posso continuare tenendo il mio passo,
perché so che c’è
qualcuno disposto a rallentare per camminare al mio fianco. Riconoscere
di
avere bisogno degli altri non è una vergogna. Io
l’ho sempre saputo. E le
lacrime che bagnano i miei occhi in questo momento non esprimono altro
che la
serenità derivata da questa consapevolezza. La parte
dell’eroina, in fondo, non
mi si addice. Per ora resterò fedele al mio personaggio,
accettando con
gratitudine l’aiuto di Aomine.
«Grazie»,
mi auguro che quest’unica parola riesca a comunicare i miei
sentimenti nel modo
corretto.
«Va
tutto bene?».
Le
mie pupille umide si posano sul volto perplesso di Aomine mentre le mie
labbra
si distendono in un largo sorriso. Le parole di questo ragazzo mi hanno
resa
immensamente felice. Non credevo sarei mai riuscita ad incontrare
un’altra
persona con il talento straordinario di mio fratello. Sono sicura che
Tatsuo
andrebbe molto d’accordo con Aomine. Non mi dispiacerebbe
farli incontrare.
Solleticata
da quest’ultimo pensiero, gioisco nel segreto del mio cuore
mentre la mano di
Aomine si adagia improvvisamente sulla mia testa. Il mio sguardo si
solleva quindi
per incontrare un allegro riso di soddisfazione, che sembra avere
completamente
rimpiazzato l’ansia di pochi attimi fa.
«Non
so cosa sia successo, ma sono felice di vedere che hai ritrovato il
buon
umore», pronuncia Aomine, visibilmente sollevato,
scompigliando i miei capelli
già in disordine.
Il
suo tocco è così rassicurante e la sua
positività così contagiosa che mi spingono
ad annuire con entusiasmo. Asciugo i miei occhi con la manica della
camicetta
sgualcita e insieme ci incamminiamo verso l’uscita
dell’acquario.
***
Una
volta all’esterno Satsuki e Mayumi mi corrono in contro
abbracciandomi
simultaneamente. L’impatto con le due ragazze quasi mi fa
perdere l’equilibrio,
ma rimango in piedi.
«Non
puoi immaginare quanto eravamo preoccupate», piagnucola
Mayumi, strofinando il
viso sulla mia spalla destra.
«Infatti.
Stavamo per tornare dentro a cercarti», continua Satsuki,
affondando il volto
nella mia spalla sinistra. «Non avrei dovuto fidarmi di
quello stupido
Dai-chan».
«Solo
perché mi sono perso per un momento, non vuol dire che sia
stupido», ribatte
Aomine, incespicando nelle proprie parole per l’imbarazzo. Le
sue gote di
cioccolato sembrano più colorite del solito. So che si
è dato davvero tanto da
fare per rintracciarmi e sono sicura che non sia stato affatto semplice
orientarsi fra le numerose sale dell’acquario.
«Guarda,
guarda. Sbaglio o quello che vedo è un sorriso innamorato? A
quanto pare il
nostro piano ha avuto successo».
«Di
cosa stai parlando?», la mia attenzione viene immediatamente
rapita dalla
criptica allusione di Mayumi. Il suo sguardo è ora
illuminato da una radiante
espressione di soddisfazione. E lo stesso vale per Satsuki.
«Aspetta,
hai detto piano?», ripeto, colta da una improvvisa
intuizione. «Sapevo che
stavate tramando qualcosa. Per tutto il giorno non avete fatto che
evitarmi e
lasciarmi in disparte. Che cosa avevate in mente?».
Satsuki
scioglie l’abbraccio e si allontana leggermente per studiare
la mia figura
dalla testa ai piedi.
«Prima
di rispondere alla tua domanda, perché non ci dici cosa ti
è successo? Hai un
aspetto, come dire, un po’ diverso da questa mattina.
È come se fossi appena
uscita da una tempesta di sabbia o da un tornado».
Giusto.
Non ho ancora avuto modo di sistemarmi e non mi sorprende che le due
ragazze di
fronte a me siano in cerca di una spiegazione che possa soddisfare la
loro
curiosità. Ma ora non mi va di raccontare delle mie
disavventure, poiché non
voglio rischiare di distrarmi e deviare dal punto davvero importante di
questa
conversazione.
«E’
una storia troppo lunga. Magari un’altra volta»,
rispondo in modo sbrigativo,
estinguendo sul nascere le entusiastiche aspettative di Satsuki.
«Tornando alla
mia domanda, cosa sarebbe questo piano di cui stavate
parlando?».
Mayumi
solleva le spalle emettendo un lungo sospiro rammaricato, prima di
iniziare a
parlare.
«Non
stavamo cercando di evitarti, volevamo solo Darti una mano».
«Darmi
un mano?», le faccio eco, sfoggiando un’espressione
confusa.
«Non
c’è bisogno che lo nascondi. Ormai lo abbiamo
capito che ti piace Aomine», un
nuovo sospiro abbandona le labbra della ragazza.
«Che
cosa?», il sangue risale rapidamente fino alle mie guance,
riscaldandole
eccessivamente e colorandole di rosso. «E cosa te lo avrebbe
fatto credere?».
«L’altro
giorno, durante gli allenamenti, non gli hai staccato gli occhi di
dosso».
Facendo
appello a tutta la mia razionalità, mi prendo qualche
secondo per ricostruire
nella mia memoria l’evento in questione. In effetti
l’osservazione di Mayumi
non è del tutto errata. Non posso negare che quel giorno le
mie attenzione
fossero tutte per il giovane talento della squadra di basket. Tuttavia
sono più
che sicura che la mia compagna di classe abbia frainteso la vera natura
dei
miei sentimenti.
«Ammetto
che Aomine abbia catturato il mio interesse», pronuncio
tentando di nascondere
l’imbarazzo, «ma ti assicuro che non è
come pensi».
«Vuoi
dire che non ti sei presa una bella cotta per Dai-chan?»,
interviene Satsuki,
visibilmente traumatizzata dalla mia insospettabile confessione.
Annuisco,
mentre in un angolino del mio cuore non posso fare a meno di
dispiacermi per
averla delusa.
«La
verità è che lui assomiglia terribilmente a
Tatsuo. Più lo osservavo, più avevo
l’impressione di vedere mio fratello», puntualizzo
infine abbassando lo sguardo
colmo di vergogna.
«Tuo
fratello? Quello stupido Dai-chan assomiglia davvero a tuo
fratello?», lo
stupore provocato dalle mie parole sembra aver profondamente scosso
Satsuki.
Mayumi,
al contrario, dopo una breve pausa riflessiva, annuisce ripetutamente
mostrando
la sua approvazione.
«Se
la metti così, non hai tutti i torti. A pensarci bene, il
loro carattere è
piuttosto simile»
«Tu
hai già incontrato suo fratello?», si informa
Satsuki, incapace di trattenere
la propria curiosità.
«Una
volta è venuto a scuola per riportare Eiko a casa. Se
ricordo bene è successo
l’anno scorso, dopo che sei svenuta durante la lezione di
educazione fisica».
Lo
spiacevole ricordo provoca un nuovo moto di vergogna che si manifesta
attraverso il rossore sulle mie gote. Il giorno dopo, il mio nome era
sulla
bocca di ogni studente e di ogni professore della scuola. Tuttavia,
avendo
perso i sensi, non so cosa sia successo all’arrivo di Tatsuo,
ma stando al
racconto di Mayumi, mio fratello è riuscito a convincere la
professoressa ad
esonerarmi dalle lezioni per il resto dell’anno con un
semplice sorriso. Personalmente
dubito che le cose siano andate esattamente in questo modo, ma credo
però che
il bell’aspetto di mio fratello e soprattutto la sua
carismatica personalità
abbiano giocato sicuramente un ruolo importante nel raggiungimento
dello scopo.
Ad ogni modo, grazie a lui, ho potuto evitare nuove occasioni per
esporre il
lato più imbarazzante di me. Benché mi diverta
guardare competizioni sportive
in televisione, non ho alcun futuro come atleta.
«Appena
l’ho visto», continua Mayumi, «mi ha dato
l’impressione di essere un ragazzo
pieno di entusiasmo e di energia. Deve essere divertente avere un
fratello come
lui. Un po’ ti invidio».
«A
sentirti parlare, sembra un ragazzo straordinario. Vorrei tanto
incontralo
anch’io», commenta Satsuki, implorandomi
silenziosamente con i suoi grandi
occhi lucenti.
Magari
potrei invitarla un giorno da me e presentarle Tatsuo. Anzi, potrei
invitare
tutti loro. Sarebbe la prima volta che porto a casa degli amici. Sono
sicura
che mamma e papà ne sarebbero contenti.
«A
questo punto ti dobbiamo delle scuse, Eiko», il tono serioso
di Mayumi mi
richiama al di fuori dei miei pensieri. «Il vero motivo per
cui io e Satsuki
abbiamo finto di evitarti era perché volevamo farti passare
del tempo da sola
con Aomine, ma è chiaro che abbiamo completamente frainteso
la situazione.
Perdonaci».
«Sono
solo felice di sapere che non eravate arrabbiate con me. Pensavo che
non
voleste più essere mie amiche».
«Che
cosa dici?», Satsuki afferra le mie mani portandole al suo
petto. «Noi saremo
sempre tue amiche, ma questa volta abbiamo un po’ esagerato.
Spero solo che
quello stupido Dai-chan non abbia fatto niente di strano».
Strano?
Direi piuttosto che abbia fatto qualcosa di eccezionale, ma credo sia
meglio
tenere per me i dettagli di questa incredibile giornata. Ad ogni modo,
sono
ugualmente grata ad entrambe le ragazze. Anche se le cose non sono
andate
esattamente come avevano programmato, ora so di essermi avvicinata un
po’ di
più ad Aomine e spero che tra di noi possa sbocciare presto
una splendida
amicizia. Conserverò gelosamente il ricordo di questo giorno
e i preziosi
insegnamenti di cui mi ha fatto dono.
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Capitolo 14 *** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (prima parte) ***
Capitolo
4
“Tutto
quello di cui
hai bisogno è fidarti di me”
La
campanella annuncia la fine delle attività scolastiche.
Mayumi, seduta nel
banco di fronte al mio, si prodiga nel raccogliere libri e quaderni,
spingendoli
alla rinfusa nella cartella, mentre Kise emerge dal letargo in cui
è
sprofondato durante l’ultima lezione.
«Finalmente questa giornata
è finita», pronuncia emettendo
un lungo sbadiglio.
«Ultimamente
ti addormenti spesso in classe. Per caso
soffri di insonnia?», lo interrogo, analizzando
l’espressione sciupata sul suo
volto.
«Da un paio di
settimane gli allenamenti si sono
intensificati e, quando torno a casa, sono così stanco da
non riuscire ad
addormentarmi. Passo tutte le notti in bianco».
«Non
c’è da sorprendersi se Akashi e il coach hanno
deciso
di raddoppiare il carico di lavoro», risponde Mayumi,
inserendosi nella
conversazione. «Dopotutto anche quest’anno mirate a
vincere i campionati
nazionali. A proposito, se non ti dai una mossa arriverai in
ritardo».
«Per fortuna ho dormito
abbastanza durante l’intera
giornata e adesso mi sento in gran forma», Kise balza in
piedi, raggiungendo
Mayumi all’esterno della classe.
Quanto a me, dal momento che oggi non ho
lezione con il mio
tutore privato, ho deciso di unirmi ai miei due compagni e di assistere
agli
allenamenti. Quando infine anch’io abbandono
l’aula, ad attendermi in corridoio
trovo Kuroko e Aomine, diretti come noi in palestra.
«Ehi, Eiko!»,
esordisce Aomine, sfoderando un largo sorriso.
Contraccambio il saluto con un cenno del capo.
«Dov’è
Satsuki?».
«Si è
già avviata», mi informa Kuroko. «Doveva
consegnare
alcuni fogli all’allenatore».
Ci incamminiamo tutti insieme verso la
palestra. Kise e
Aomine discutono animatamente tra loro ripassando un paio di nuovi
schemi di
gioco, cercando di coinvolgere anche Kuroko nella conversazione, ma il
ragazzo
si limita ad ascoltare attentamente i due esuberanti compagni di
squadra ed ad
annuire di tanto in tanto.
Sono
trascorse diverse settimane dalla nostra visita all’acquario.
Dopo essersi
scusate con me per l’equivoco, sia Mayumi che Satsuki si sono
mostrate molto
più attente nei miei confronti. Trascorriamo quasi ogni
giorno la pausa pranzo
insieme ed entrambe le mie amiche si danno battaglia
nell’elogiare le qualità e
i pregi dei rispettivi idoli. Tuttavia, nonostante le loro continue ed
esplicite manifestazioni d’affetto, non sono sicura che Kise
e Kuroko siano
consapevoli dei sentimenti delle due ragazze. O se non altro non
sembrano
provare lo stesso nei loro confronti. Del resto, nonostante sia
abituato alla
popolarità, Kise non dà l’impressione
di volersi legare a nessuna ragazza in
particolare, non al momento almeno. Parlando di Kuroko, invece, mi
è parso di
capire che consideri Satsuki solo un’amica, seppure molto
speciale.
Quanto
a me, posso ormai dichiarare in tutta sicurezza di aver migliorato la
mia
relazione con Aomine. Oserei perfino dire che siamo diventati buoni
amici. Sentirmi
chiamare ogni giorno per nome anche da lui è diventata una
piacevole abitudine.
Inoltre non mi è più capitato di sentirmi strana
in sua presenza. La confusione
emotiva di cui sono caduta vittima quel giorno era dunque solo una
conseguenza del
mio timore di essere stata abbandonata dai miei amici.
Una
volta arrivati in palestra, i tre ragazzi raggiungono gli spogliatoi
mentre io
seguo Mayumi verso le panchine, dove troviamo Satsuki impegnata a
riferire al
coach i risultati delle sue ultime ricerche. Come assistente
dell’allenatore è
infatti incaricata di raccogliere informazioni su tutti i membri della
squadra,
per monitorare le loro condizioni fisiche e garantire le migliori
prestazioni
in campo. Al termine della conversazione, annuncio la mia presenza
salutando il
coach, il quale, dopo aver contraccambiato il saluto, si allontana
diretto agli
spogliatoi, e la stessa Satsuki che, accortasi di me, si precipita ad
abbracciarmi con il solito entusiasmo.
«Ei-chan,
mi sei mancata», piagnucola quindi stringendomi al suo petto.
«Ma
sono passate solo tre ore dalla pausa pranzo», le rammento
provando a
divincolarmi dalla sua presa serrata.
«Vuoi
dire che in tutto questo tempo io non ti sono mancata?»,
domanda Satsuki, incurvando
le labbra in un’espressione triste.
«Non
volevo dire questo», mi correggo immediatamente,
approfittando della sua
guardia bassa per liberarmi dall’abbraccio e respirare
profondamente. Infine
prendo posto sulla panchina e, insieme alle mie due amiche, mi preparo
all’arrivo dei giocatori in campo.
***
Al
termine dell’allenamento mi avvicino a Mayumi, offrendomi di
aiutarla a
distribuire gli asciugamani puliti ai membri della squadra, per
ripulirsi del
sudore che ora bagna le loro fronti.
«Questo
è un compito che spetta a noi manager. Non posso chiedere a
un ospite di
lavorare», Mayumi declina la mia offerta con un sorriso.
«Per
favore, lascia che dia una mano anch’io. Nonostante non
faccia ufficialmente
parte della squadra, il coach mi permette di assistere ogni volta che
lo
desidero. Vorrei almeno esprimere in qualche modo la mia
gratitudine».
Incapace
di controbattere alla sincerità dei miei sentimenti, alla
fine Mayumi
acconsente alla mia richiesta, cedendomi una pila di asciugamani
freschi di
lavanderia. Seguendo il suo esempio e quello di Satsuki, mi accingo ad
accogliere i giovani atleti che si stanno gradualmente radunando a
bordo campo
per dissetarsi e ripristinare le proprie energie, provate
dall’intenso
allenamento. Il primo ragazzo a venirmi incontro è Aomine. A
dispetto degli
altri membri della squadra, non sembra affatto stanco. Se non fosse per
le
gocce d’acqua, che dalla sua fronte scivolano fino alla base
del collo, provocando
sulla pelle abbronzata un effetto traslucido, nessuno penserebbe che il
ragazzo
ora di fronte a me abbia appena terminato una sfiancante sessione di
allenamenti.
La
maggior parte dei giocatori intorno a me boccheggia sonoramente nella
speranza
di rianimare i propri polmoni. Alcuni giacciono abbandonati sul
pavimento,
fiacchi e pallidi; altri si sono impossessati della prima bottiglietta
d’acqua
che hanno trovato e adesso bevono avidamente senza badare ai compagni
in attesa
di dissetarsi. Perfino Kise sembra aver perso il solito brio e se ne
sta seduto
in silenzio con l’asciugamano intorno al collo. Ovunque si
posi il mio sguardo,
non vi sono che giovani atleti prosciugati delle proprie energie e
desiderosi
di tornare a casa; di immergersi in una vasca fumante che possa
sciogliere la
tensione accumulata nei muscoli; di consumare un pasto preparato in
casa che
possa risollevare il morale da una prestazione non proprio lodevole; di
infilarsi tra le fresche lenzuola del proprio letto e sprofondare in un
sonno
ristoratore fino alle prime luci del nuovo giorno.
Soltanto
Aomine, in questo momento, sembra essere completamente fuori luogo. I
suoi
occhi ridenti e pieni di vitalità contrastano con le
espressioni abbattute e
spente dei suoi compagni di squadra. Mi basta guardarlo pochi secondi
per
sentirmi io stessa piena di energia e ottimismo e, senza un apparente
motivo,
anche sulle mie labbra si dischiude presto un sorriso.
«Ecco»,
esordisco quindi porgendogli un asciugamano pulito e prendendomi
qualche secondo
per osservarlo mentre lo utilizza per tamponarsi il volto madido.
«Stai
pensando di unirti alla squadra?», domanda Aomine, gettando
subito dopo il
panno umido sulla spalla.
«Per
quanto mi farebbe piacere, ho paura di non essere la persona
più adatta. Se diventassi
una manager a tempo pieno, finirei sicuramente col causare qualche
guaio».
Con
un gesto assolutamente naturale, Aomine posa una mano sulla mia testa,
arruffando
i miei capelli.
«Stai
facendo un ottimo lavoro, invece», commenta, accompagnando
quindi il
complimento con una risata compiaciuta che provoca in me una punta di
orgoglio.
Tuttavia
la mia presunzione viene immediatamente punita nell’attimo in
cui la pila di
asciugamani che pesano sulle mie braccia, alta abbastanza da coprire
metà del
mio viso, inizia a inclinarsi minacciando di piombare sul parquet della
palestra. Solo l’intervento provvidenziale di una mano alle
mie spalle sventa
il disastro, salvandomi allo stesso tempo da un’imbarazzante
esperienza.
«Oh,
attenta».
Nonostante
il pericolo scongiurato, i miei nervi si irrigidiscono al suono della
voce del
mio soccorritore. Incapace di voltarmi indietro per incontrare il suo
volto,
rimango immobile, sforzandomi di ignorare il tiepido calore che, dal
suo petto
lievemente premuto sulla mia schiena, si propaga attraverso il mio
corpo.
«A-Akashi»,
balbetto infine, pronunciando il nome del capitano della squadra.
Notando
forse il mio disagio, il playmaker si allontana con disinvoltura,
portandosi di
fronte a me. Il lieve spostamento d’aria prodotto dal suo
movimento sospinge
fino alle mie narici l’odore penetrante della sua pelle
ancora umida, inducendo
il mio cuore ad un sussulto. Il soffice muro di asciugamani che si
innalza al
di sopra del mio naso è un ottimo riparo dietro il quale
nascondere il rossore
delle mie guance.
Ho
sempre considerato Akashi una persona a cui guardare con ammirazione.
Benché
sia il frutto di un sentimento maturato da una conoscenza piuttosto
approssimativa, la considerazione che nutro nei suoi confronti
può definirsi
genuina. A dispetto della sua giovanissima età, Akashi
sembra avere una
personalità matura, responsabile, dignitosamente
autoritaria. Dai suoi discorsi
traspare una naturale sicurezza e le sue azioni non sembrano conoscere
esitazione.
Non c’è da meravigliarsi che un simile ragazzo sia
riuscito ad imporre la
propria egemonia ai compagni di squadra e a persuadere
all’obbedienza, o se non
altro al rispetto, i professori e gli studenti di tutta la scuola.
«Non
trovi anche tu che così vada meglio?».
Emergo
dai miei pensieri richiamata dalla voce del giovane capitano.
Improvvisamente
non avverto più la sensazione di morbidezza prodotta dal
cotone contro le mie
guance. Anche il campo visivo davanti ai miei occhi si è
notevolmente
allargato, mentre il peso sulle mie braccia sembra essersi
inspiegabilmente dimezzato.
Con mio stupore, mi accorgo allora che una cospicua parte degli
asciugamani che
coprivano metà del mio viso giace ora fra le mani di Akashi.
«Ti
ringrazio», pronuncio, mantenendo lo sguardo basso per la
vergogna.
«Apprezzo
molto che tu voglia essere d’aiuto, solo cerca di non
esagerare».
«M-Mi
dispiace. Aspetterò qui seduta che abbiate finito».
Mentre
mi appresto a posare i pochi asciugamani in mio possesso sulla panca
più
vicina, rinunciando un po’ a malincuore a sdebitarmi con i
membri della
squadra, un rapido cambiamento nel tono di Akashi mi incoraggia ad
interrompere
le mie azioni.
«Perdonami.
Stavo solo cercando di dire che mi rattristerebbe molto se ti facessi
male».
Vinta
dalla gentilezza e dalla premura delle sue parole, mi volgo indietro
per
incontrare finalmente il suo sguardo. Nonostante sul suo viso siano
evidenti i
segni della fatica, l’espressione nei suoi singolari occhi
rubini è
incredibilmente affabile. Le sue profonde pupille nere splendono di
un’accorata
inquietudine e le sue labbra sono dischiuse in un sorriso di sincera
apprensione. Ad un tratto mi torna alla mente Naoko; quel suo
atteggiamento
protettivo; quella sua dolce ansia materna, in virtù della
quale non può fare a
meno di vegliare costantemente su di me. Sono perfettamente consapevole
che
Akashi non abbia nulla in comune con mia sorella, eppure la sensazione
che
provo ora in sua presenza è lo stesso sentimento di tiepido
conforto che mi
trasmette Naoko. Anche in questo ragazzo riesco ad avvertire la stessa
preoccupazione, la stessa volontà di proteggere e al
contempo spronare.
«Cercherò
di stare più attenta».
Pronuncio
queste parole lasciandomi guidare dall’istinto, assecondando
l’intimo desiderio
di corrispondere alle sue premurose attenzioni.
«Bene»,
risponde Akashi, visibilmente sollevato, aggiungendo immediatamente
dopo: «Sono
felice di essere riuscito a parlare con te».
I
miei occhi lo seguono in una silenziosa contemplazione mentre si
allontana da
me e da Aomine per raggiungere l’allenatore. Mi sento
insolitamente serena.
Avevo immaginato la mia prima conversazione con Akashi in modo molto
diverso.
In un conteso molto diverso. Uno dei motivi per cui mi sono sempre
adoperata
nel mantenere le distanze da lui era perché temevo che un
confronto diretto
avrebbe ulteriormente minato la mia già malferma autostima,
acuendo il divario
che ci separa. Ero inoltre sicura che una persona brillante come lui
non avesse
alcun desiderio di socializzare con una ragazza mediocre come me. Anche
se
apparteniamo allo stesso mondo, anche se abbiamo ricevuto
un’educazione molto
simile, come unico erede della sua famiglia, Akashi è
destinato a portare sulle
proprie spalle il peso di responsabilità e aspettative che a
me resteranno
invece sconosciute. Benché mi ritenga una giovane
studentessa piuttosto coscienziosa,
o per lo meno immune alle frivolezze tipiche della mia età,
non posso negare la
maturità, forse un po’ precoce, che traspare dalla
persona di Akashi. Non è
insolito cogliere nel suo sguardo un indizio di quella
serietà consumata, di
quella rigida disciplina che hanno plasmato la sua autorevole
dignità, ma anche
il suo carisma, fin dall’infanzia. L’immagine che
mi sono costruita di questo
ragazzo, di questo mio coetaneo, ha sempre esercitato una forte
soggezione sul
mio inconscio, portandomi istintivamente a fuggire da lui. Allo stesso
tempo,
però, mi ha indotta ad ammirarlo, a guardare con meraviglia,
e con un pizzico
di invidia, alla sua forza interiore, alla sua determinazione, alla sua
perseveranza, a quella sua inattaccabile sicurezza. A
quell’innata genialità
che gli consente di eccellere in qualunque campo, di accogliere il
successo
come un’ovvietà, senza doverlo rincorrere o
inseguire, arrancando lungo il
cammino.
Mio
cugino Seiichi è quello che viene generalmente definito un
prodigio, un
individuo a cui la natura ha fatto dono dei suoi migliori talenti. Da
quando ho
memoria, non ricordo di essere mai stata testimone di un suo
fallimento. Fin da
bambino si è dimostrato un sublime musicista e un poeta
dalla profonda
sensibilità letteraria. Crescendo ha poi rivelato di
possedere anche una vivace
intelligenza, che lo ha portato ad inoltrarsi negli intricati ambiti
scientifici del sapere, guadagnandogli attestati e riconoscimenti sia
in
Giappone che in Inghilterra. Tuttavia la sua passione indiscussa resta
la
pittura. Buona parte dei capolavori esposti nella villa Wadsworth, sono
il
frutto maturato dal pennello e dal raffinato senso estetico di Seiichi.
Mio
padre e zia Azumi hanno più volte provato a convincerlo ad
allestire una mostra
qui a Tokyo, ma mio cugino si è cocciutamente dichiarato
contrario all’idea di
cedere la sua arte a “profani”. «La
natura», ha detto, «mi ha concesso il dono
dell’arte perché omaggiassi le sue bellezze
catturandole sulla tela, non perché
le svendessi. La mia arte partorirà solo piaceri, mai
profitti».
A
parte la sua peculiare filosofia, che tuttavia ritengo piuttosto
affascinante e
neanche tanto sbagliata, è indubbio che Seiichi abbia
ricevuto alla sua nascita
il bacio con il quale la natura benedice i suoi pupilli. E a questo
punto sono
portata a credere che anche Akashi sia stato scelto per entrare in
quella
ristretta cerchia di fortunati per i quali il fato ha già
disposto i suoi
favori.
Ad
ogni modo, penso che anch’io potrei ritenermi in un certo
senso una “favorita”.
Dopotutto, ho avuto la possibilità di incontrare due
protetti della Fortuna. Ho
promesso che mi sarei impegnata ad accogliere con ottimismo le
opportunità che
il Cielo sarà abbastanza benevolo da porre sulla mia strada.
E credo di aver
compiuto un altro passo in avanti proprio oggi. Osservare Akashi da
vicino,
entrare in una relazione amichevole con lui potrebbe aiutarmi a
scoprire il
“mio” talento, o semplicemente a farmi apprezzare
di più, a comprendere il vero
significato celato dietro concetti astratti come il sacrificio, la
forza di
volontà, la risolutezza. La vicinanza di una persona tanto
carismatica,
oltretutto mia coetanea, le cui origini affondano le proprie radici in
quella
stessa società elitaria che ha accolto la mia venuta in
questo mondo, potrebbe
rivelarsi un insostituibile incoraggiamento a coltivare speranze e
ambizioni
che possano infiammare il mio tiepido animo.
_______________________________________________________________________________________
Nota
d’Autrice:
Buongiorno a tutti! Spero che abbiate trascorso un piacevole week-end e
che
l’inizio della nuova settimana non sia stato troppo
traumatico (XD).
Come
sempre vi ringrazio per avermi seguita fino a questo punto. Come vi
avevo accennato,
questa storia è solo all’inizio e questa prima
parte è un po’ un’introduzione con
la quale intendo prepararvi un po’ alla volta prima di
entrare nel vivo della narrazione.
Purtroppo devo infirmarvi che, a causa degli esami universitari, potrei
non essere
in grado di pubblicare i prossimi capitoli con frequenza settimanale,
perciò vi
chiedo scusa fin da ora. Tuttavia vi incoraggio sempre a condividere
con me le vostre
opinioni in attesa del prossimo aggiornamento.
Un
bacione a tutti!
Lady
L.
|
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Capitolo 15 *** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (seconda parte) ***
***
Arthur
parcheggia la limousine a pochi metri dai cancelli della scuola,
abbastanza
lontano da non dare nell’occhio e permettermi di scendere dal
veicolo senza
attirare attenzioni sospette.
«E’
sicura di non volere che l’accompagni fino
all’interno dell’edificio?», domanda
quindi, aprendo la portiera e porgendomi una mano per aiutarmi a uscire
dall’auto.
«Si,
sono sicura», rispondo afferrando le sue dita, fasciate da un
candido guanto.
Una
volta alla luce del sole, mi concedo qualche secondo per studiare
l’espressione
sul suo volto. I suoi limpidissimi occhi di cobalto evitano il mio
sguardo,
rimanendo posati sulla mia mano, saldamente stretta nella sua.
Percepisco la
sua esitazione nel lasciarmi andare e questo provoca in me un
sentimento di rammarico:
sono consapevole di essere io la causa della sua profonda
preoccupazione.
Come
mio autista personale, probabilmente in questo momento Arthur si sente
in
dovere di proteggermi dalla minaccia che, da diversi giorni ormai,
incombe su
di me. Ho promesso a me stessa che avrei trovato una soluzione al mio
problema
senza coinvolgere la mia famiglia. D’altro canto,
però, avevo bisogno di
confidarmi con qualcuno che potesse consigliarmi e così ho
finito con il
rivolgermi all’unica persona che sapevo avrebbe rispettato la
mia decisione di
tenere i miei fratelli e i miei genitori al di fuori di questa storia.
«Mi
dispiace averti coinvolto, Arthur», pronuncio infine
sinceramente pentita di
averlo costretto al silenzio perfino nei confronti di mia madre, per la
quale
nutre un grande rispetto e una fedele devozione.
«Non
si preoccupi. Sono solo felice che abbia deciso di confidarsi con
qualcuno,
invece di affrontare la cosa completamente da sola. Le ho promesso che
manterrò
il suo segreto, tuttavia…», le dita di Arthur si
stringono attorno alla mia
mano e i suoi occhi si sollevano per incontrare i miei, «se
dovessi rendermi
conto che la sua vita è in pericolo, informerò
immediatamente la Signora e
tutti i membri della sua famiglia».
Non
potendo oppormi alla sua condizione, ma ancor meno alla risolutezza nel
suo
sguardo, annuisco remissiva. Solo dopo aver ottenuto il mio consenso,
si
convince dunque a liberare la mia mano e a farsi da parte
affinché possa
incamminarmi verso i cancelli della scuola.
Mentre
avanzo, con passo incerto, esamino attentamente qualsiasi studente mi
si
avvicini, nella speranza di scorgere preziosi indizi che possano
rivelarmi
l’identità del misterioso persecutore che ogni
giorno lascia lettere minatorie
nel mio armadietto. Purtroppo non ho idea di chi possa essere. Inoltre
questa
persona non si è mai preoccupata di farmi conoscere il
motivo del suo astio nei
miei confronti. In ognuno dei messaggi che ho ricevuto fino a ieri, si
è
limitata ad intimidirmi preannunciando incidenti
che avrebbero attentato alla mia incolumità.
L’unica certezza di cui sono in
possesso è che si tratti di uno studente della Teikou,
tuttavia non ho informazioni
nemmeno sul suo sesso, anche se personalmente sono portata a credere
che possa
trattarsi di una ragazza, o almeno così mi dice
l’intuito.
***
Allo
scoccare della pausa pranzo mi preparo a raggiungere Satsuki in
cortile,
insieme a Mayumi, quando Midorima si presenta in classe nostra,
portandomi un
messaggio da parte di Akashi.
«Che
cosa?!», la voce di Mayumi esplode al mio fianco, emettendo
un suono talmente
acuto da provocare un breve fischio nel mio orecchio.
«E’
davvero necessario urlare in questo modo?», la interroga
Midorima, assicurandosi
di esprimere tutta la sua irritazione.
«Certo
che lo è», ribatte prontamente Mayumi, incurante
dell’implicito rimprovero.
«Hai appena detto che Akashi ha invitato Eiko a pranzare con
lui».
Il
ragazzo di fronte a noi emette un lungo sospiro, prima di procedere a
sistemarsi gli occhiali sul naso. Le sue dita sono accuratamente
fasciate e le
unghie limate con perfezione millimetrica. Una sera, al termine degli
allenamenti, osservando Midorima intento a controllare le proprie
unghie, ho
interrogato Kise: a quanto pare il motivo per cui dedica
così tanto tempo alla
cura delle sue mani è perché sostiene che la
lunghezza delle unghie influisca
sulla precisione dei suoi tiri.
«Tu
che cosa dici, Eiko?», questa volta l’attenzione di
Mayumi si sposta su di me.
«Hai davvero intenzione di andare?».
«Non
lo so. Satsuki ci sta aspettando e…».
Ammetto
di sentirmi impreparata. L’ultima cosa che mi sarei aspettata
era un invito da
parte di Akashi. È vero che ultimamente i rapporti fra di
noi sono migliorati e
non sono neanche tanto rare le occasioni in cui ho la
possibilità di conversare
piacevolmente con lui. Tuttavia ero convinta che Akashi preferisse
trascorrere
il proprio tempo in solitudine, o tutt’al più in
compagnia di Midorima, magari per
una partita di shogi. Per quanto mi sforzi di pensare, non riesco ad
immaginare
per quale motivo abbia convocato proprio me. Una parte del mio ego
vorrebbe
trovare una risposta a questa perplessità, ma
d’altro canto avevo già promesso
il mio tempo alle mie due amiche.
«Accidenti,
adesso sono troppo curiosa», Mayumi porta il pollice alle
labbra e inizia a
mordicchiare nervosamente l’unghia. Quindi, dopo aver
espirato sonoramente,
afferra le mie spalle e pronuncia solenne: «Devi andare da
lui».
«Ne
sei sicura?», le chiedo, sperando in fondo in una risposta
negativa per almeno
due motivi. Primo, non me la sento di venire meno alla parola data e di
rinunciare ad incontrare Satsuki: ho davvero bisogno della sua vivace
compagnia
per non pensare al mio pericoloso e anonimo molestatore. Secondo,
vorrei
evitare di sottopormi allo stressante interrogatorio a cui mi
costringerà
Mayumi al mio ritorno. L’unico motivo per cui sarebbe felice
di convincermi ad
accettare l’invito di Akashi è per conoscere le
intenzioni che si celano dietro
le azioni del capitano della squadra di basket.
«Hai
il mio permesso e quello di Satsuki, non preoccuparti»,
dichiara la ragazza,
sospingendomi verso Midorima prima che possa controbattere.
A
questo punto non ho altra scelta: trascorrerò la pausa
pranzo in compagnia di
Akashi.
***
Durante
il breve tragitto, la mia mente è impegnata a filtrare la
moltitudine di domande
che si accatastano rapidamente nella mia testa. Si accumulano le une
sulle
altre, come detriti sul letto di un fiume, ingarbugliando il flusso
regolare
dei miei pensieri. I miei occhi sono posati sui miei piedi e
sull’alternarsi
dei miei passi. Ho accettato di incontrare Akashi, ma forse sono stata
troppo
precipitosa. L’aura che emana da questo ragazzo è
così intesa e austera da
suscitare in me una forte suggestione e mentirei se affermassi si
sentirmi a
mio agio in sua presenza. Non è che abbia paura di lui.
Piuttosto,
l’ammirazione che nutro nei suoi confronti è
talmente radicata nel mio inconscio
da impedirmi di abbassare la guardia e rilassarmi. Quando sono con lui
avverto
la necessità di mostrare il mio lato migliore. Anche se non
l’ho mai ammesso
apertamente, desidero che Akashi abbia in ogni momento
un’opinione positiva di
me.
Infine
raggiungiamo il luogo dell’appuntamento. Con un gesto sicuro,
Midorima fa
scorrere la porta dell’aula, aprendola. Nella stanza regna un
silenzio
assoluto. Tutti gli studenti si sono allontanati approfittando della
pausa, con
l’eccezione di un solo ragazzo.
«Akashi»,
esordisce Midorima, con il tono grave della sua profonda voce,
annunciando la
nostra presenza.
Mi
sporgo leggermente oltre la sua figura per catturare la dignitosa
immagine del
giovane seduto all’altro lato della stanza. Quasi non si
fosse accorto del
nostro arrivo, Akashi rimane immobile, continuando ad offrirci le
spalle. Il
suo capo è lievemente inclinato in avanti per analizzare con
imperturbabile
concentrazione la scacchiera. La sua mano si muove quindi per
raccogliere la
pedina su cui è inciso l’ideogramma che indica il
Re e posizionarla sulla
griglia.
«Ohi,
Akashi», per la seconda volta, Midorima reclama
l’attenzione del capitano.
La
testa si solleva e la voce autoritaria del ragazzo vibra nella quiete
dell’aula.
«Midorima,
puoi andare adesso».
Il
prodigioso tiratore si accinge ad eseguire l’ordine, in
rispettoso silenzio,
senza mostrare alcun malcontento per la freddezza racchiusa nelle
parole del
giovane playmaker.
Rimasta
sola con Akashi, costui decide infine di deviare su di me la sua
concentrazione.
«Bene
arrivata, Eiko. Ti stavo aspettando», pronuncia sollevandosi
dalla sedia e ruotando
il corpo fino ad incontrare il mio sguardo.
Contraccambio
il saluto con un cenno del capo. Il suo viso sembra così
diverso da come lo
ricordavo: non riesco a scorgervi la stessa dolcezza del nostro primo
incontro.
L’espressione nei suoi occhi vermigli per un attimo genera un
sentimento di
sterilità nel mio cuore, raggelandolo.
«Ti
vedo turbata. Credevo mi avessi dato il permesso di chiamarti per
nome»,
dichiara Akashi, interpretando erroneamente il mio disagio.
«Infatti
è così», rispondo sforzandomi di
spingere la voce al di fuori della mia bocca.
«Sono solo sorpresa. Non mi aspettavo un invito».
«Spero
di non averti causato problemi con questa mia improvvisa
richiesta».
Scuoto
la testa in segno di negazione: non posso confessargli che avrei
preferito
trascorrere la pausa in compagnia di Mayumi e Satsuki.
Nell’intento
di aiutarmi a rilassarmi, Akashi mi esorta a prendere posto insieme a
lui. Lo
raggiungo dunque al banco, appena accanto alla finestra.
L’intera superficie
del tavolo è occupata da una scacchiera di pregiatissima
fattura, su cui sono
state posizionate tutte le pedine, in modo da simulare una vera partita
di
shogi.
Akashi
si accomoda di fronte a me e con un cenno della mano mi invita ad
unirmi a lui
in qualità di suo avversario. Purtroppo, con mio immenso
dispiacere e imbarazzo,
mi vedo costretta a rifiutare.
«Temo
di non avere dimestichezza con questo gioco. Conosco a malapena le
regole»,
confesso chinando il capo e mordendomi lievemente il
labbro inferiore.
Il
pensiero strategico non è mai stato un mio punto forte. Una
volta mio cugino Yoichi
mi ha sfidata amichevolmente ad una partita di scacchi.
Benché abbia appreso i
fondamentali di questo gioco quando ero bambina, la partita si
è rivelata
impari fin dalle prime battute. Fra tutti i miei cugini, Yoichi
è quello forse
meno portato per le discipline che implicano una fervida
attività mentale.
Eppure quel giorno la sconfitta si è abbattuta su di me in
modo inesorabile, dimostrando,
dopotutto, quanto impraticabile resti per me il terreno delle battaglie
strategiche.
«Sarò
più che lieto di insegnarti, se avrai piacere di
imparare».
L’offerta
di Akashi è accompagnata da un sorriso gentile, tuttavia non
avverto in esso lo
stesso calore a cui pensavo di essermi ormai abituata. Nonostante sieda
a pochi
centimetri da me, distinguo chiaramente la gelida distanza che ci
separa in
questo momento. L’atmosfera che si è creata
intorno a noi è così opprimente da
angosciarmi. D’altro canto l’intuito che lentamente
si fa strada nel mio animo
continua a sussurrami che potrei non essere io la causa di questa
insolita
freddezza.
«Akashi»,
raccogliendo dunque il mio coraggio, sposto il centro della
conversazione
sull’argomento principale, «perché hai
chiesto di vedermi?».
La
sua mano si solleva dalla scacchiera, ma non prima di aver spostato il
Cavallo
bianco in campo nemico, portando così avanti
l’offensiva. I suoi occhi,
socchiusi in un’espressione di profonda concentrazione, si
posano sul cielo
terso che si apre oltre la finestra. Il suo silenzio sollecita il
battito del
mio cuore e per un attimo dimentico di respirare. Infine la sua bocca
si
dischiude per emettere il suono più amabile e affettuoso che
abbia mai udito.
«Che
cosa ti turba, Eiko?».
La
dolcezza con la quale il mio nome abbandona le sue labbra scalfisce
l’involucro
che fino a questo momento ha avvolto la mia fragilità,
celandola e
sopprimendola. Questo sentimento è solo il frutto di un mio
desiderio
inespresso, non può corrispondere alla realtà.
Ciononostante continuo a sperare
che il ragazzo di fronte a me abbia parlato in questo modo
perché consapevole;
che i suoi compassionevoli occhi, i quali sembrano accarezzare
così teneramente
i miei, siano davvero riusciti a scorgere quella paura che ho provato a
nascondere. Possibile che se ne sia accorto?
Quasi
avesse percepito i miei pensieri, Akashi risponde alla mia silenziosa
domanda
con un cenno del capo, appena percettibile ma abbastanza inequivocabile
da
incoraggiarmi a frantumare l’involucro attorno al mio cuore
per liberarlo.
«Ho
paura. Non so cosa fare», confesso infine, portando una mano
sul petto. Le mie
dita si stringono con forza attorno al tessuto della mi divisa, mentre
cerco di
dominare il tremito nella mia voce.
«Va
tutto bene. Prova a calmarti adesso».
Guidata
dal suono quieto e posato delle sue parole, mi concentro su me stessa,
focalizzando la mia mente sull’ansia e sul turbamento che
lottano per possedere
il mio animo. La solida presenza di Akashi mi è di grande
conforto in questo
momento di debolezza. E’ come se volesse spronarmi, con la
sua sola esistenza,
a non disperare, a non rinunciare a chiedere aiuto. Forse è
ancora prematuro
per me pretendere di uscire illesa dalla mia attuale situazione,
affidandomi
unicamente alle mie forze, e Arthur, purtroppo, non può
rimanere al mio fianco
mentre sono a scuola. Penso che sarebbe più sicuro avere
qualcuno che possa
assistermi anche durante le ore scolastiche, almeno finché
non avrò scoperto
l’identità del mio persecutore. Consolati da
questi pensieri, il mio cuore si
acquieta e il mio respiro si regolarizza.
«Ti
ringrazio», la tensione nella mia mano si scioglie,
allentando la presa sui
miei vestiti.
«Quando
sono iniziate le minacce?».
Alla
domanda di Akashi, le mie palpebre si allargano. «Come fai a
sapere che…?».
«Non
è stato difficile capirlo. Ultimamente non fai che guardarti
intorno con
circospezione e sussulti appena qualcuno ti si avvicina».
La
semplice consapevolezza che lo sguardo vigile del capitano abbia
vegliato su di
me per tutto questo tempo colora le mie guance di imbarazzo. Ma
è la sua
estrema accortezza a provocare la mia gratitudine: pur avendo scoperto
il mio
segreto, ha scelto di parlarmi in privato, rispettando il mio desiderio
di
riservatezza. Riflettendoci con attenzione, neanche Midorima, la
persona più
vicina ad Akashi, sembrava essere a conoscenza della reale motivazione
che ha
indotto questo insolito incontro.
«Ho
ricevuto la prima lettera dieci giorni fa», rivelo dunque,
rispondendo alla
domanda del ragazzo seduto di fronte a me. «Il foglio non era
firmato. Tuttavia,
l’autore non ha scritto nessuna vera minaccia. Solo un
avvertimento. Un ordine,
più che altro».
«Che
cosa ti ha ordinato?»,
«Di
lasciare questa scuola».
«Hai
conservato tutte le lettere?».
Annuisco.
«Le ho nascoste in camera mia: volevo evitare che la mia
famiglia le trovasse».
«Dunque
nessun altro, a parte me, è a conoscenza della
situazione?».
Questa
volta scuoto il capo in diniego. «Ho raccontato di questa
storia ad Arthur, il
mio autista».
Akashi
si concede qualche secondo di silenzio, probabilmente per cercare di
visualizzare nella sua mente il volto di Arthur. Quindi torna a
dedicarmi le
sue attenzioni con animo sereno: è come se
l’essere venuto a conoscenza di
Arthur lo avesse in qualche modo tranquillizzato.
«Hai
qualche sospetto?».
«Nessuno
in particolare, purtroppo, ma non riesco a togliermi dalla testa
l’idea che possa
essere una ragazza».
«Ho
capito», pronuncia Akashi, spostando un’altra
pedina sulla scacchiera.
Seguendo
il movimento della sua mano, i miei occhi scivolano sulla tavola di legno. Benché
non sia un’esperta di shogi, mi
basta un’occhiata attenta per prendere atto della situazione:
il Re Nero si
trova sotto scacco, minacciato a destra dall’ombra imponente
della Torre e sul
fianco sinistro dalla punta acuminata della Lancia; l’unica
possibilità che ha
di sottrarsi momentaneamente alla cattura è battere in
ritirata retrocedendo
verso l’ultima casella, sul bordo della griglia.
Diversamente
dal Re Nero, io non conosco ancora l’identità di
chi mi sta minacciando, ma mi
sento ugualmente con le spalle al muro. Se le parole del mio
molestatore sono
vere, potrei cadere vittima di un suo agguato in qualsiasi momento.
L’ignoranza
nella quale brancolo ogni giorno sta compromettendo la mia vita
scolastica,
oltre alla mia sanità mentale. Questa volta il nemico
è reale e forse ora mi
sta osservando da un angolo ben protetto della scuola. Il pensiero di
essere
costantemente controllata mi sta lentamente portando a dubitare delle
persone
che mi sono più vicine: i miei stessi amici. Persino in
questo momento una parte
di me, quella più insicura, continua a ripetermi di
diffidare di Akashi. Fin
dal mio primo giorno qui alla Teikou ho cercato di non dare
nell’occhio, di
frequentare le lezioni con la massima discrezione possibile, ma non
appena ho
deciso di aprirmi e di coltivare nuove amicizie ho attirato su di me il
rancore
di uno sconosciuto (e mi auguro che sia soltanto uno) che ha giurato di
vendicarsi, attentando alla mia stessa vita. È assurdo. Non
ho neanche idea di
che cosa abbia fatto per meritare tanto odio. E se fosse…?
In questo caso,
però, anche Satsuki e Mayumi sarebbero in pericolo. Se per
colpa mia dovesse
succedere loro qualcosa...
Sono
ancora in tempo. Dopotutto devo solo convincere i miei genitori a
trasferirmi
in un’altra scuola prima che le cose peggiorino. Non importa
se alla fine sarò
costretta a raccontare la verità. Non posso rischiare di
coinvolgere le mie
amiche, né i ragazzi della squadra di basket. Ho sbagliato.
Parlare con Akashi
è stato un errore. Non sarei dovuta venire. A questo punto
anche lui potrebbe
già essere entrato nel mirino del nemico e se
così fosse non posso restare con
lui. Questa è la mia battaglia: se non sono abbastanza forte
per vincerla, non
mi resta che accettare le condizioni del mio ricattatore e proteggere
così
almeno i miei amici. Questa sera, appena arrivata a casa,
confesserò ogni cosa
a mia madre e la implorerò di avviare le pratiche del mio
trasferimento.
«Tu
non lascerai questa scuola».
Sicura
di non aver espresso ad alta voce i miei pensieri, sollevo il capo
cercando il
volto di Akashi. Mi rendo allora conto che per tutto il tempo i suoi
occhi sono
rimasti su di me, senza mai perdermi. Solo dopo avere ottenuto la mia
attenzione, si abbassano sulle mie mani: ancora una volta le gelide
dita si
sono richiuse intorno alla stoffa, stringendola con una forza tale da
rallentare il defluire del sangue sotto la mia pelle. Senza rendermene
conto,
ho manifestato attraverso i miei gesti il tormento del mio animo,
permettendo
involontariamente ad Akashi di apprendere i miei pensieri.
«Non
ho altra scelta», ribatto con un impeto assolutamente
anomalo. «Se non mi
trasferisco, chiunque abbia scritto quelle lettere potrebbe decidere di
prendersela non solo con me. Non voglio coinvolgere Mayumi o Satsuki e,
a
pensarci meglio, non voglio coinvolgere neanche te, Akashi».
«E’
un po’ tardi, Eiko. Se davvero fossi stata disposta fin
dall’inizio ad
accettare la condizione che ti è stata imposta, non saresti
venuta da me».
«Che
cosa vuoi dire?».
«Che
non hai motivo di lasciare questa scuola. Tutto quello di cui hai
bisogno è fidarti
di me».
Uno
schiocco proveniente dalla scacchiera attira la mia attenzione: il Re
Nero è
circondato.
«Scacco
matto», dichiara Akashi, con imperturbabile calma.
Nel
suo sguardo fermo è impressa l’irremovibile
sicurezza di colui che ha accettato
la sfida pregustando una vittoria assoluta. Se ha davvero deciso di
lasciarsi
coinvolgere nel mio problema, non sarò in grado di fargli
cambiare idea in
alcun modo. Quando si è abituati al successo, è
facile abituarsi anche all’idea
di avere sempre ragione e questa consapevolezza non fa che accrescere
l’autostima e la presunzione nell’essere umano.
Benché tenti forse di
mascherarlo dietro i modi affabili, è piuttosto evidente ai
miei occhi quanto
arrogante sia la natura di Akashi, ma allo stesso tempo non posso
biasimarlo.
Quest’aura confidente che circonda la sua persona in
realtà mi tranquillizza,
trasmettendomi un sentimento di quieta pace. Per questa semplice
ragione, non
potrei infuriarmi con lui neanche se mi stesse usando solo per
combattere la
noia. Ma se anche fosse così, accetterei di assecondarlo nei
suoi capricci,
sicura di ricevere in cambio l’aiuto che nessun altro
potrebbe offrirmi. In
ogni caso, Akashi mi ha esplicitamente proibito di lasciare questa
scuola: gli
ordini del capitano non si discutono e chiunque proverà a
costringermi ad
infrangere questo divieto dovrà risponderne direttamente a
lui.
«Avrei
una richiesta», pronuncio dunque, accogliendo infine di buon
grado la proposta
di alleanza .
«Ti
ascolto».
«Vorrei
evitare di coinvolgere gli altri, soprattutto Mayumi e Satsuki. Se
venissero a
sapere delle lettere, sono sicura che si preoccuperebbero e finirebbero
con
l’attirare l’attenzione del molestatore. Meno
sapranno, meno pericoli
correranno».
«Hai
la mia parola», mi assicura Akashi, dischiudendo le labbra in
un sorriso
indulgente. I suoi occhi rubini, socchiusi in una tenera espressione
compassionevole, dissipano le ultime nubi di incertezza nel mio cuore,
colmandolo di una serena fiducia.
***
Per
fortuna anche questa giornata si è conclusa senza incidenti.
Dopo avere
incontrato Akashi, mi sono riunita alle mie amiche, come promesso, e ho
trascorso con loro il resto della pausa pranzo. In qualche modo sono
riuscita
ad eludere le assillanti domande di Mayumi, evitando di rivelarle il
vero
motivo del mio incontro con il giovane capitano. Nel pomeriggio mi sono
concentrata sulle lezioni, sforzandomi di assumere un atteggiamento
quanto più
naturale possibile, per non insospettire i miei due compagni di classe.
Al
trillo della campanella mi sono quindi involata nei corridoi, senza
attendere
Mayumi e Kise. Per non allarmarli, ho detto loro di dover tornare a
casa per
studiare con il mio tutore privato. Non ho mentito, sebbene non abbia
raccontato tutta la verità. Volevo infatti raggiungere il
mio armadietto,
all’ingresso dell’edificio scolastico, senza che mi
seguissero.
Anche
oggi, nascosta sotto la suola delle mie scarpe, ho trovato una nuova
lettera e,
come sempre, non era firmata. Combattendo la tentazione di aprirla,
l’ho
infilata nella mia cartella, senza farmi vedere da nessuno, e mi sono
incamminata verso i cancelli. Prima di rendermene conto, Akashi era al
mio
fianco.
«Un
altro messaggio?»
Annuisco.
«Anche questa volta manca il nome del mittente».
Continuiamo
a camminare, percorrendo tutto il cortile, finché la figura
di Arthur si
materializza davanti a noi. I suoi occhi si assottigliano pieni di
diffidenza,
mentre analizzano rapidamente lo sconosciuto che mi accompagna.
«Va
tutto bene, Arthur», lo rassicuro una volta lontana dagli
sguardi indiscreti
degli studenti che si affrettano a lasciare la scuola.
«Akashi è un mio amico e
si è offerto di aiutarmi».
«Akashi?»,
ripete Arthur, rilassando l’espressione sul suo volto.
«Il giovane rampollo della
famiglia Akashi?».
«Sono
lieto di fare la tua conoscenza, Arthur. Ho sentito parlare molto bene
di te»,
esordisce il giovane capitano, offrendo la mano al ragazzo in divisa
per il
saluto occidentale.
Le
pupille di Arthur si spostano quindi su di me, in attesa di un mio
comando e,
solo dopo aver ricevuto il mio consenso, il suo busto si piega
rispettosamente
in avanti per il reverenziale
saluto
orientale.
«L’onore
è solo mio, signorino Akashi».
«Vedo
che sei bene istruito sui costumi giapponesi», commenta il
ragazzo al mio
fianco, ritraendo la mano e ricambiando la formalità con un
gesto appena
accennato del capo.
«Arthur
ha familiarità sia con la cultura britannica che con quella
nipponica»,
aggiungo con una punta di fierezza, mantenendo lo sguardo
sull’immagine
ossequiosa del giovane londinese.
Ricordo
con quanta devozione e con quanto sacrificio si sia sottoposto al
periodo di
formazione, appena arrivato qui a Tokyo. Essendo nato e cresciuto in
Inghilterra,
non aveva dimestichezza con le usanze giapponesi, diversamente da me,
che sono
stata allevata in un ambiente multiculturale fin dalla mia nascita.
Tuttavia si
è fin da subito mostrato disposto ad imparare per essere
ritenuto degno di
servire la famiglia Wadsworth e ripagare così il debito
lasciato da sua madre.
Arthur è un ragazzo che impara molto in fretta e in breve
tempo è riuscito ad
apprendere i fondamenti della cultura giapponese, dimostrando di
padroneggiarla, in alcuni aspetti, meglio di me. Per questo ero sicura
che
avrebbe fatto un’ottima impressione ad Akashi.
«Non
è sicuro parlare qui», osserva il ragazzo al mio
fianco, invitandomi a salire
in auto.
«Ho
raccontato ad Akashi delle lettere», mi accingo a spiegare,
portando le mie
attenzioni su Arthur, nuovamente sospettoso, mentre mi accomodo sul
sedile
posteriore della limousine. «Ho pensato che sarebbe stato
meno rischioso avere
un alleato anche all’interno della scuola. In fondo
è stato abbastanza
perspicace da accorgersi da solo della mia situazione».
«In
questo caso, le sono profondamente grato per essersi offerto di
proteggere la
signorina Eiko».
«Eiko
è una preziosa amica», dichiara Akashi,
indirizzandomi uno sguardo colmo di premura
attraverso il finestrino dell’auto, «non potevo
abbandonarla in un momento
tanto pericoloso».
Sentirlo
pronunciare queste parole mi è di grande conforto in questo
momento. Mi ha
chiesto di fidarmi di lui e ora so di non avere accettato solo
perché si
trattava di un ordine del capitano: fin dal giorno del nostro primo
incontro,
ho capito che Akashi è quel tipo di persona che mantiene
sempre la parola data.
Dal momento che ha promesso di proteggermi e di impegnarsi a catturare
il mio
persecutore, sono sicura che non si arrenderà
finché non avrà raggiunto
l’obiettivo. E, tenendo conto della sua straordinaria
intelligenza, non dovrò
attendere molto prima di scoprire chi si cela dietro le lettere
minatorie.
«Per
oggi torna a casa e cerca di riposare.», conclude Akashi,
congedandosi da me e da
Arthur. Lo seguo con lo sguardo mentre raggiunge la limousine nera, in
attesa
di fronte ai cancelli della scuola. Solo dopo averlo visto entrare
nell’abitacolo ed essermi assicurata che l’auto si
sia allontanata abbastanza
dall’edificio, concedo ad Arthur il permesso di accendere il
motore e
incamminarsi verso casa.
|
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Capitolo 16 *** Sei tu Eiko Wadsworth? ***
Capitolo
5
“Sei
tu Eiko Wadswoth?”
La
mattina seguente, non essendo riuscita a dormire molto, mi alzo prima
del
solito. Nonostante manchino due ore all’inizio delle lezioni,
decido di
prepararmi e scendere in sala da pranzo per la colazione. Terminato il
pasto,
lascio la residenza con largo anticipo e mi dirigo a scuola. Arrivati a
destinazione, Arthur mi scorta fino all’ingresso, studiando
con attenzione i
dintorni, infine, dopo avermi strappato la promessa di contattarlo
immediatamente qualora dovesse succedermi qualcosa, si allontana per
raggiungere la limousine, dove molto probabilmente mi
attenderà fino al termine
della giornata.
L’aria
pungente di questa mattina primaverile accarezza la mia pelle
risvegliandola
dal torpore di una notte insonne, mentre con incedere stanco percorro
il
cortile. Le uniche persone a venirmi incontro per accogliere il mio
arrivo sono
i due guardiani della scuola. Sono sicura che anche questa loro
giornata sia
iniziata con il sorgere dell’alba. Saluto entrambi con molta
cordialità mentre
mi oltrepassano, armati di scope e sacchi dell’immondizia:
con ogni probabilità
trascorreranno la prossima ora a raccogliere i petali caduti dai
ciliegi in fiore,
che ricoprono ormai una buona parte del cortile frontale.
A
quest’ora non ci sono studenti in giro, se non i membri dei
club sportivi che
si allenano regolarmente in vista dei prossimi campionati. Ovviamente
anche i
ragazzi della squadra di basket sono già in palestra. Visto
che sono in
anticipo, potrei fare un salto per vedere come se la cavano. Prima di
incamminarmi verso il campo, però, voglio raggiungere
l’edificio principale e
assecondare questo angosciante sentimento che mi assilla da quando ho
lasciato
casa.
***
Ultimamente
mi capita sempre più spesso di provare un po’ di
invidia nei confronti di
Akashi e degli altri membri della squadra. La perseveranza che li
spinge ogni
mattina ad arrivare a scuola prima degli altri studenti solo per
sottoporsi ad
un allenamento sfiancante è qualcosa che fino a poco tempo
fa avrei ritenuto
incomprensibile. Perché mai un ragazzo delle medie
sceglierebbe spontaneamente
di sacrificarsi in questo modo, spingendosi oltre i propri limiti? Per
amore
del basket? Per autocompiacimento? Per noia? Sacrificare preziose ore
di riposo
o di svago per passare il proprio tempo in una palestra, correndo per
ore fino
a sentire i polmoni soffocare, tirando una palla fino a sentire le
braccia
staccarsi dal corpo. Che cosa c’è di tanto
straordinario nell’avere un
obiettivo e nel ridursi allo stremo delle forze per raggiungerlo? Ogni
volta
che osservo questi ragazzi impegnarsi tanto e ambire alla vittoria a
costo del
sacrificio non posso fare a meno di interrogarmi sul reale motivo che
li spinge
a tanto. Eppure, nonostante la mia limitata capacità di
comprendere fino in
fondo la loro passione e la loro devozione verso questo sport, prima
ancora di
rendermene conto, sono diventata gelosa. Tuttavia non si tratta di un
sentimento negativo. Forse sarebbe più corretto chiamarlo profonda ammirazione. Dopotutto, da
emozioni come l’invidia e la
gelosia, scaturisce il desiderio di possedere l’oggetto di
quella stessa ammirazione,
strappandolo così ad altri. E se non si riesce
nell’intento, la frustrazione
spinge ad ostacolare e danneggiare la persona invidiata, fino alla
miseria.
Benché la determinazione di Akashi e degli altri ragazzi
susciti ogni volta la
mia meraviglia, questo non vuol dire che anche io desideri
ciò che al momento
non possiedo. Questa gelosia che sento dentro non fa di me una persona
avida,
una persona desiderosa di possedere l’oggetto della sua brama
ad ogni costo. La
verità è che, pur invidiando segretamente coloro
che hanno un obiettivo e che
si impegnano per realizzarlo, non sono ancora disposta a sacrificarmi
allo
stesso modo: sarebbe un sacrificio inutile e sciocco. Parlando
ottimisticamente, il mio potrebbe essere il comportamento di una
ragazza
estremamente razionale, che prende atto dei propri limiti e rimane con
i piedi
ben piantati a terra. D’altro canto, la mia potrebbe invece
essere
semplicemente codardia, paura di mettersi in gioco, di vedere le
proprie
speranze deluse, di accettare il confronto con persone eccezionali come
Akashi
solo per essere costretta a dichiarare pubblicamente la mia
mediocrità.
Qualunque sia la risposta, è indubbio che sono ancora
lontana dal realizzare il
mio proposito e diventare una persona migliore. Al contrario, il mio
entusiasmo
non ha fatto che diminuire da quando ho scoperto di essere entrata nel
mirino
di uno sconosciuto deciso a sbarazzarsi di me con ogni mezzo. Anche
questa
mattina, nonostante sia arrivata a scuola prima del solito, ho trovato
una
nuova lettera nel mio armadietto. Ho promesso ad Akashi che lo avrei
immediatamente messo al corrente qualora il misterioso ricattatore mi
avesse
lasciato un nuovo messaggio, però oggi non sono sicura di
volerlo informare,
non dopo aver letto il contenuto del biglietto.
«Per
questa mattina ci fermiamo qui», la voce di Akashi risuona
all’interno della
palestra, annunciando il termine degli allenamenti.
Senza
farselo ripetere, la squadra si ritira negli spogliatoi, mentre Satsuki
e
Mayumi si apprestano a raccogliere i palloni sparpagliati per il campo.
Osservo
le mie amiche darsi da fare, standomene seduta sulla panchina. Sembrano
così
felici, soprattutto Mayumi. Mi ha confessato di essere diventata una
manager
solo per poter passare più tempo insieme a Kise, ma sono
certa che ora prenda
molto seriamente il suo ruolo ed è evidente che si sia
affezionata anche agli
altri membri della squadra. Si dà sempre un gran da fare per
sostenere tutti
quanti durante gli allenamenti, nonostante questo la costringa ad
alzarsi
presto ogni mattina e a sacrificare spesso i week-end. Eppure non si
è mai
lamentata una sola volta. Non potrei perdonarmi se a causa mia dovesse
perdere
tutto ciò per cui sta lavorando così duramente.
«E’
piuttosto insolito vederti assistere agli allenamenti così
presto».
«Akashi»,
pronuncio con molta calma, nonostante il suo saluto improvviso mi abbia
bruscamente risvegliata dai miei pensieri. «In effetti, non
sono un tipo
mattiniero», un lieve sorriso si distende sulle mie labbra
mentre con estrema
cautela allontano il mio sguardo da quello del capitano. È
stata una reazione
involontaria, ma sono sicura che abbia insospettito Akashi. Percepisco
infatti
i suoi occhi rubini che scrutano silenziosamente il mio volto. La sua
vicinanza
in questo momento è soffocante: se non mi allontano da lui
mi forzerà a
confessargli ciò che ho intenzione di tacergli.
«Penso
che aiuterò Mayumi e Satsuki», mi alzo dalla
panchina per raggiungere le mie
amiche intente a raccattare i palloni. Forse sono stata troppo
esplicita e a
questo punto è impossibile che una persona acuta come Akashi
non abbia capito.
Entro la fine di questa giornata dovrò comunque affrontarlo,
ma per ora ho
bisogno di un po’ di tempo per riorganizzare i miei pensieri.
Mentre
mi allontano da Akashi, la mia attenzione viene tuttavia attirata dalla
figura in
penombra sulla soglia della porta della palestra. Non l’avevo
notata prima.
Forse è uno dei ragazzi di ritorno dagli spogliatoi, anche
se a giudicare dalla
corporatura insolitamente esile probabilmente mi sbaglio. Per qualche
secondo i
miei occhi si posano sulla misteriosa ombra. Se ne sta immobile e ho
come
l’impressione che stia proprio guardando me. Stringo le
palpebre cercando di
mettere meglio a fuoco l’immagine. Un improvviso e gelido
brivido percorre la
mia schiena, provocando un tremito nel mio corpo. E’ la
stessa sensazione che
ho avvertito questa mattina appena arrivata a scuola. Che si tratti del
mio
persecutore? Possibile che mi abbia osservata per tutto questo tempo?
Fino ad
oggi non avevo idea di chi fosse, ma adesso, guardando con
più attenzione, non
ho più dubbi: si tratta davvero di una ragazza. Se la
cogliessi di sorpresa
correndo nella sua direzione potrei riuscire a vederla in faccia. No,
è meglio
di no, dopotutto non sono sola. Se adesso provassi a rincorrerla
metterei in
allerta anche Mayumi e Satsuki. Inoltre sono sicura che Akashi non
resterebbe a
guardare e si precipiterebbe all’inseguimento. Dopo la
lettera che ho ricevuto
questa mattina, non voglio assolutamente che Akashi entri in diretto
contatto
con una persona tanto pericolosa e imprevedibile. Credo sia
più sicuro far
finta di niente e raggiungere le mie amiche come avevo programmato.
«Eiko,
che cosa fai lì imbambolata?», è la
voce di Mayumi: meglio non insospettirla.
«Non
è niente», ribatto portando le mie attenzioni su
di lei con un sorriso forzato.
«Volevo aiutarvi a raccogliere i palloni».
Mi
affretto quindi verso il centro del campo di gioco, trascinando con me
il
carrello, ma prima decido di riportare velocemente le pupille sulla
misteriosa
figura nascosta nella penombra solo per rendermi conto che è
sparita. Fino ad
oggi non si era mai avvicinata così tanto a me.
Probabilmente vuole farmi
sentire sotto pressione facendomi sapere che, finché
resterò in questa scuola,
nessun posto sarà abbastanza sicuro per me. Se queste erano
davvero le sue
intenzioni, è riuscita a raggiungere lo scopo.
***
Il
trillo dell’ultima campanella della giornata è
accompagnato da un esasperato
sospiro di liberazione. Sono esausta. Non credevo che mantenere la
guardia alta
per tutto il giorno fosse così stancante. Non è
stato affatto semplice evitare
di rimanere da sola con Akashi e tenermi allo stesso tempo lontano dai
luoghi
più isolati della scuola; dopotutto non volevo rischiare di
incombere in un
attacco a sorpresa da parte del mio perseguitatore. Finalmente capisco
come si
sentono i poveri animali della savana che devono costantemente
guardarsi le
spalle dai loro feroci predatori. La consapevolezza di avere una
pericolosa
sconosciuta alle calcagna pronta ad attentare alla mia vita ha
innescato ancora
una volta il meccanismo della paranoia nella mia testa. Ho dovuto
impiegare
ogni singola cellula del mio corpo per mascherare la mia inquietudine
in
presenza di Mayumi e di Satsuki. Quelle due sono incredibilmente acute
e se mi
avessero costretto a vuotare il sacco non sarei stata in grado di
mantenere il
sangue freddo, non questa volta.
«Ehi,
Eiko, ti vogliono».
Mayumi
conquista la mia attenzione indicando la ragazza in attesa sulla porta
della
classe. Non credo di conoscerla, ma non appena i nostri sguardi si
incrociano
mi invita ad avvicinarmi chiamandomi a sé con la mano. Ha un
viso dolce,
rotondo e incredibilmente grazioso. I capelli neri e liscissimi le
ricadono
sulle spalle incorniciando le guance rosee.
«Sei
tu Eiko Wadsworth?», mi domanda con voce sottile e lievemente
acuta. Annuisco.
«Takeda-sensei vuole vederti. Dovresti raggiungerlo in sala
professori».
«Ti
ringrazio, vado subito», le assicuro, senza mostrare
eccessivo entusiasmo,
intuendo il motivo dell’improvvisa convocazione.
Il
professore Takeda insegna arte e ha un’ossessione per il
talento artistico di
Seiichi. Sono sicura che vorrà di nuovo chiedermi di
convincerlo a prendere
parte a qualche mostra. Non importa quante volte mio cugino lo
respinga:
quell’uomo non sa proprio quando arrendersi. Dopo essermi
data appuntamento con
Mayumi e Kise al cancello principale, mi separo da loro per dirigermi
in sala professori.
Le mie gambe si muovono più per dovere che per un mio reale
desiderio e una
volta giunta a destinazione il tocco delle mie nocche sulla porta
è
accompagnato da un profondo respiro di rassegnazione.
«Professore,
posso entrare?».
«Eiko,
vieni, ti stavo aspettando», la voce di Takeda-sensei
è ovattata dalla parete
che ci separa, ma non abbastanza da camuffarne l’entusiasmo
in essa racchiuso.
Mi preparo dunque ad affrontare l’euforico insegnante,
sapendo di non potermi
sottrarre all’estenuante sessione di richieste che mi
attende, e compio il
primo passo all’interno della stanza.
***
Il
sole è già tramontato quando Takeda-sensei si
decide a lasciarmi andare.
Seppure contro la mia approvazione, è riuscito a strapparmi
la promessa di
convincere Seiichi ad esporre almeno una delle sue opere alla mostra
che sarà
allestita la prossima settimana per presentare i giovani talenti
artistici
della città. Sono pronta a scommettere fin da adesso che,
qualsiasi cosa dirò
per persuadere mio cugino, si risolverà nel mio fallimento,
costringendomi, per
l’ennesima volta, a deludere le speranze del professore
Takeda. Lo so che questa
sua ostinazione è semplicemente la prova del suo desiderio
di vedere mio cugino
debuttare ufficialmente in società, ma preferirei non essere
coinvolta in
questo duello, del quale dubito vedrò mai una lieta
conclusione.
Mi
affretto giù per le scale ed esco fuori. Costeggio
l’edificio per raggiungere
il cancello principale, dove Arthur mi sta aspettando. La scuola
è silenziosa
come un cimitero notturno e improvvisamente il mio animo è
colto
dall’inquietudine. Affretto la marcia mentre passo sotto le
finestre del
corridoio dell’ala nord. So che a quest’ora non ci
sono più studenti a scuola,
eppure ho la sensazione di essere osservata. Nonostante sia
l’unica persona nei
paraggi, non posso fare a meno di guardarmi intorno con il cuore in
gola. Credo
di essere paranoica ma, dopo aver letto l’ultimo biglietto
lasciatomi dal mio
persecutore e dopo lo strano incontro di questa mattina in palestra, mi
sembra
di percepire una presenza invisibile e ostile spiarmi
nell’ombra. Forse avrei
dovuto accettare l’offerta di Akashi e lasciare che mi
aspettasse, ma non me la
sono sentita di costringerlo a rimanere a scuola fino a tardi. In
questi ultimi
giorni mi sono abituata così tanto alla sua presenza
protettiva che adesso mi
sento completamente vulnerabile senza di lui al mio fianco.
E’ inutile piangere
sul latte versato. Se ho il tempo di pentirmi della mia decisione,
è meglio che
mi sbrighi a raggiungere Arthur.
Forse
è perché questa notte non sono riuscita a
chiudere occhio, ma il mio corpo è
diventato incredibilmente pesante e la stanchezza che sono riuscita ad
ignorare
fino adesso si sta ora imponendo sui miei piedi, rallentando il mio
passo. A
giocare da complice, è anche lo stress che ho accumulato
giorno per giorno da
quando ho scoperto di essere diventata la preda di un insano cacciatore
senza
nome e senza volto.
Scuoto
la testa per scacciare via la sonnolenza che si aggrappa alle mie
palpebre: non
è stata una mossa intelligente, ma non ho il tempo di
pentirmene. Il brusco
movimento altera momentaneamente il mio senso
dell’equilibrio, facendomi
barcollare. Non potendo fare affidamento sulla vista,
anch’essa manomessa e
instabile, cerco con la mano qualcosa a cui appigliarmi per non
precipitare
sull’asfalto del cortile. Ma più cerco di dominare
lo stordimento, più sento di
perdere il controllo sul mio corpo. Come in uno di quegli specchi che
si
trovano nei parchi a tema, la realtà intorno è me
è ora completamente distorta
a tal punto che non posso distinguere l’alto dal basso, la
destra dalla
sinistra. Mi sembra di fluttuare in una dimensione intermedia, al di
fuori
dello spazio terrestre. Conosco questa sensazione fin troppo bene:
è il
preludio a un episodio di svenimento. Le mie gambe si piegano con uno
scatto,
come due rami spezzati, e mi trascinano in basso. Sollevo gli occhi al
cielo e
scorgo una figura, lontana, sbiadita. Istintivamente porto in alto un
braccio e
cerco di toccarla ma è troppo in alto perché
possa raggiungerla. Un dolore
acuto si diffonde dalla mia nuca e il mondo sparisce momentaneamente
davanti ai
miei occhi, come per l’effetto di un improvviso blackout.
Percepisco il ruvido
asfalto sfregare contro la mia schiena mentre cerco di muovermi. Quando
riapro
le palpebre, l’indecifrabile figura è ancora
lì, sopra la mia testa. La vedo sporgersi
da una delle finestre e alzare entrambe le braccia. Le sue mani
sembrano stringere
qualcosa di rotondo, ma sono troppo debole e assonnata per chiedere
aiuto. L’ultimo
ricordo impresso nella mia coscienza è il suono di una voce
familiare che grida
il mio nome.
Nota
D’Autrice: Salve, Ragazzi! ^^
Finalmente,
dopo la lunga pausa estiva, il nuovo capitolo è pronto. Vi
chiedo di perdonarmi
per l’interminabile attesa ma ho dovuto dedicare
l’estate agli esami. L
Ma
oggi ho ripreso di nuovo a scrivere e conto di portarvi nuovamente
nuovi capitoli
con più o meno regolarità.
Vi
esorto sempre a condividere con me i vostri pensieri e vi abbraccio
tutti.
Buon
Week-end!!!! >_<
|
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Capitolo 17 *** Non voglio avere più niente a che fare con te ***
Capitolo
6
“Non
voglio
avere più niente a che fare con te”
Conosco
questa voce. È la voce di Akashi. Credevo fosse
già
andato via: dopotutto sono stata proprio io a dirgli di non aspettarmi.
Allora
perché sento la sua voce così vicina?
«Eiko.
Stai bene? Riesci a sentirmi?».
Sto
bene? Non lo so. Ho perso i sensi: devo essere svenuta di
nuovo. Ultimamente mi sento sempre meno me stessa e, quando torno in
me, non
ricordo nulla di quello che è successo. Proprio come ora.
«Signorina
Eiko, la prego, apra gli occhi».
Arthur?
Questa è sicuramente la sua voce. È insolitamente
tremolante. Immagino sia molto preoccupato per me, ma non riesco a
ricordare
nulla. Che cosa mi è successo? Lentamente sollevo le ciglia
e la luce perfora
le mie pupille con una forza tale da indurmi a distogliere lo sguardo.
Qualcosa
di morbido e caldo accarezza la mia testa dolorante.
Un’intensa fragranza di
lavanda penetra le mie narici e risveglia i miei sensi. Apro gli occhi
e sopra
di me compare un soffitto che non riconosco: questa non è la
mia stanza e con
ogni probabilità non sono neanche a casa mia. Ruoto la testa
di lato e due
gemme di rubini splendenti mi salutano con tenerezza.
«Finalmente
ti sei svegliata».
«Akashi?»,
il suono che abbandona le mie labbra è più simile
a
un gorgoglio che ad una voce. Le mie iridi appannate scivolano sul
ragazzo al
suo fianco. Proteso in avanti, mi osserva con i suoi occhi di cobalto
lucido,
quasi trasparente. «Arthur, sei tu?».
«Si,
signorina. Sono qui con lei».
L’espressione
nei suoi occhi è così pietosa e allo stesso tempo
intrisa di colpevolezza. L’ultima cosa che voglia
è che si senta responsabile
di quanto mi è accaduto.
«Sto
bene, Arthur», pronuncio distendendo le labbra in un
sorriso, «perciò, ti prego, non sentirti in
colpa», infine domando: «Dove mi
trovo?».
«Sei
a casa mia», risponde Akashi.
Questo
spiega perché non ho riconosciuto né la stanza
né l’odore
di lavanda che emana dalle lenzuola che mi avvolgono. Provo a
sollevarmi dal
cuscino e subito dalla mia testa esplode una tremenda pena, simile a
mille
aghi, che provoca il mio grugnito di dolore.
«Non
ti sforzare. Sei ancora debole», il braccio di Akashi si
stringe dolcemente intorno alla mia schiena e ne accompagna la discesa
sul
materasso.
«Che
cosa è successo?», mi informo, non sopportando di
non
ricordare.
«Ti
spiegherò tutto dopo. Adesso pensa solo a
riposarti»,
nonostante il tono gentile della sua voce, la severità nello
sguardo di Akashi
mi è sufficiente ad interpretare le sue parole come un vero
e proprio ordine.
Tuttavia non posso fare a meno di preoccuparmi.
«Mi
sono preso la libertà di contattare la tua famiglia e
informarli che questa notte sarai mia ospite», le mie pupille
si allargano
mentre cerco di processare l’improvviso annuncio di Akashi.
Questo vuol dire
che trascorrerò la notte a casa sua? E i miei genitori sono
d’accordo?
Le
mie attenzioni si spostano prontamente su Arthur, in attesa
di un chiarimento.
«Ho
parlato con la Signora e le ho assicurato che sarei rimasto
con lei».
Ora
ha più senso. Sapendo che Arthur è insieme a me,
è naturale
che i miei genitori non abbiano opposto resistenza. Tuttavia sono
pronta a
scommettere che Tatsuo non l’abbia presa tanto bene, invece.
Probabilmente
quando tornerò a casa mi sottoporrà ad una severa
ramanzina. A volte sembra più
un vecchio padre geloso della figlia, che un fratello maggiore. In
fondo è
sempre stato il più apprensivo di tutti nei miei confronti.
«Visto
che sei sveglia, ti farò portare la cena»,
dichiara
Akashi sollevandosi dalla sedia. «Hai bisogno di recuperare
forze».
Con
un lieve cenno del capo, ringrazio silenziosamente il capitano
e lo seguo con lo sguardo mentre si appresta a lasciare la stanza. Mi
sento
ancora parecchio frastornata, ma ho come la sensazione che ci sia
qualcosa di
sbagliato nel modo in cui si allontana da me. Qualcosa di diverso nella
sua
camminata. Possibile che Akashi sia ferito? Una nuova pungente fitta
alla testa
mi ammonisce, ordinandomi di mettere a riposo il mio cervello e, con
esso, il
mio corpo. Prima di chiudere gli occhi, invito Arthur a sedersi accanto
a me.
Sebbene incerto e titubante, acconsente alla mia richiesta senza
distogliere lo
sguardo dal mio volto stanco e insieme attendiamo il ritorno di Akashi.
***
«È
sicura di non voler magiare altro?», domanda Arthur, sperando
in un mio ripensamento.
«Non
ho più fame», rispondo allontanando il piatto
ancora mezzo
pieno. Quindi mi volgo verso Akashi. «Mi spiace. Sono sicura
che i tuoi cuochi
si siano dati molto da fare per preparami la cena, ma ho un
po’ di nausea e non
credo sarebbe saggio ingoiare un altro boccone. Però vorrei
che sapessero che
era tutto delizioso».
«Mi
assicurerò di riportare i tuoi elogi
personalmente»,
promette Akashi, ordinando subito dopo a una domestica di portare via
il
vassoio d’argento brillante.
Ora
che mi sono rifocillata, sento di aver ripristinato parte
delle mie energie, anche se non posso affermare di essere completamente
in
salute. La benda che avvolge la mia testa è più
stretta di quanto necessario e
sento il cervello pulsare violentemente nel mio cranio, come un
martello che
batte incessante su un chiodo troppo testardo per conficcarsi nella
parete. Non
sono nelle condizioni migliori per sostenere una conversazione, ma non
ho
intenzione di rimandare oltre. Ho bisogno di sapere cosa è
successo. Abbandono
dunque la schiena sui cuscini dietro di
me e cerco di mettermi in una posizione quanto
più comoda possibile,
anche se non è facile rilassarsi in un letto che non mi
appartiene, circondata
da mura estranee.
«Sono
pronta ad ascoltare il tuo racconto», dichiaro infine,
invitando Akashi a mettere luce sulla nebbia che offusca la mia
memoria.
«Oggi
hai corso un grande pericolo, Eiko», esordisce il ragazzo
al mio fianco, in tono serioso. «Qualcuno ha seriamente
attentato alla tua
vita».
Le
mie gote gelano mentre il sangue defluisce dal mio volto,
scolorandolo. Dunque la figura che ho visto sporgersi dalla finestra
era il mio
persecutore? Non oso immaginare cosa ne sarebbe stato di me se Akashi
non mi
avesse trovata in tempo. Perché credo di non sbagliare nel
supporre che sia
stato lui a salvarmi.
«L’ultima
cosa che ricordo è che, dopo aver parlato con
Takeda-sensei, mi sono diretta ai cancelli principali per raggiungere
Arthur e
tornare a casa», confesso portando una mano alla tempia. Per
quanto mi sforzi
di ricordare, tutto ciò che è avvenuto dopo non
è che un enorme buco nero.
«E’
stato il signorino Akashi a trovarla poco prima che perdesse
i sensi», il tono rammaricato di Arthur mi induce a spostare
lo sguardo su di
lui. I suoi occhi rifiutano di incontrare i miei mentre le sue mani si
stringono in due pugni lungo i fianchi. Oh Arthur, quanto ancora hai
intenzione
di biasimarti a causa mia? Darei qualsiasi cosa per cancellare dal tuo
volto il
senso di colpa che ingiustamente ti stai imponendo.
«Appena
ti ho vista collassare», Akashi interrompe le mie
riflessioni reclamando la mia attenzione, «ho notato il vaso
che precipitava e
l’ombra del colpevole che si ritirava all’interno
della scuola. Probabilmente
in quel momento si è accorto della mia presenza e si
è dato alla fuga».
«Hai
detto vaso?», ripeto, sgranando gli occhi. Questo significa
che l’oggetto rotondo che ho intravisto tra le mani del mio
assalitore era un
vaso, l’arma che ha utilizzato per sbarazzarsi di me.
Istintivamente porto una
mano alla nuca, accarezzando il punto da cui il dolore sembra
propagarsi al
resto del mio cranio.
«Quella
ferita te la sei procurata quando sei svenuta»,
chiarisce immediatamente Akashi.
«Vuoi
dire che il vaso non mi ha colpita?».
Il
capitano annuisce. «Sono riuscito a raggiungerti prima che
ciò accadesse».
La
nebbia nella mia memoria comincia lentamente a diradarsi e la
voce di Akashi, che disperatamente chiama il mio nome, prende forma tra
i miei
ultimi ricordi. In poche parole, mi ha protetta con il suo corpo e ha
incassato
il mortale colpo al mio posto. Questo spiegherebbe
l’irregolarità che ho scorto
poco fa nella sua andatura. Quasi certamente il vaso si è
frantumato sulla sua
schiena mentre mi faceva da scudo. Come ho potuto permettere che
rischiasse la
vita per una persona come me? Se le cose fossero andate diversamente e
Akashi
non fosse stato così fortunato…? Quel vaso era
destinato a me e me soltanto. Un
momento. Perché a quell’ora Akashi si trovava
ancora a scuola nonostante gli
avessi detto di non aspettarmi?
«Pensavi
davvero che ti avrei lasciata sola sapendo che qualcuno
ti stava pedinando?», ancora una volta la risposta del
capitano anticipa le mie
parole, decifrando i miei pensieri. «Dopotutto, ho promesso
di tenerti al
sicuro».
Giusto.
Ma se avessi saputo che nel farlo avrebbe rischiato la
sua stessa vita, avrei rifiutato la sua proposta di alleanza senza
battere
ciglio. Tutta questa storia mi sta sfuggendo di mano. Non riesco a
capire per
quale motivo una persona dovrebbe arrivare a tanto solo per liberarsi
di una
ragazza come me. Che cosa mai avrò fatto per finire in
questa situazione? Beh,
dopo aver letto l’ultimo messaggio di questa mattina, ora
penso di avere
un’idea. Ed è proprio per questo che non posso
assolutamente coinvolgere Akashi
più di quanto non abbia già fatto.
«Ti
spiacerebbe dirmi cosa stai facendo?», si informa Akashi
mentre mi osserva annaspare tra le lenzuola.
«Sto
cercando di alzarmi per tornare a casa mia», rispondo senza
interrompere i miei movimenti. Tutti miei muscoli sono indolenziti e il
terribile mal di testa che sta esplodendo nel mio cranio con lo stessa
potenza
di mille cannoni non mi rende le cose meno complicate.
Un
lungo sospiro esasperato abbandona le labbra di Akashi e il
suo sguardo, dapprima indulgente e compassionevole, si assottiglia in
due
minacciose fessure cremisi.
«Rimettiti
subito a letto, Eiko».
Il
modo in cui il capitano pronuncia il mio nome provoca un
brivido lungo la mia schiena. Non avevo mai sentito tanta asprezza,
tanto
distacco, tanta intimazione nella sua voce. Il comando che mi ha appena
impartito vibra sotto la mia pelle come il freddo pungente
dell’inverno e senza
volerlo le mie braccia si stringono attorno alle mie spalle, proprio
come da
bambina ero solita rannicchiarmi in un angolo della mia stanza dopo
essermi
svegliata nel cuore della notte per colpa di un incubo. Ma il tono con
il quale
Akashi ha emesso il mio nome è reale, così come
è reale la sensazione di
disagio che provo in questo momento. Mi sento pietrificata, non solo
nel corpo,
ma anche nella mente. La sola idea di trasgredire all’ordine
del capitano è sufficiente
ad annullare completamente la mia volontà e a piegarmi ad
una servile
ubbidienza. E proprio come un servo sottomesso, non oso sollevare lo
sguardo
sul volto di Akashi.
«Per
favore, Eiko, torna a letto».
Le
labbra del capitano si schiudono nuovamente ma questa volta
la sua voce è di nuovo gentile e mi abbraccia con una
dolcezza che irradia
tepore in tutto il mio essere. È calda e sembra voglia
sciogliere il mio
turbamento, rassicurandomi.
«I-Io…non
posso. Mi dispiace», lascio cadere le braccia sul mio
grembo e rilasso le spalle. Ammiro Akashi con tutta me stessa e non
potrò mai
ripagarlo abbastanza per avermi salvato la vita. Il suo comando
intimidatorio
per un attimo mi ha colta di sorpresa, ma in fondo ho sempre saputo
quanto
autoritario fosse il capitano della squadra di basket ed è
proprio questa sua
silenziosa e implicita arroganza, frutto di un’esistenza di
successi, a
renderlo un indiscutibile leader. Ma è altrettanto vero che,
per quanto
straordinario, geniale sia, Akashi resta sempre un essere umano, con un
corpo
umano, vulnerabile al dolore e alla morte. Di conseguenza devo
allontanarmi da
lui prima che sia tardi, prima che il degenerato che oggi ha attentato
alla mia
vita decida di deviare il suo risentimento verso di lui. Non posso
indebitarmi
ulteriormente; non posso diventare io stessa una minaccia al futuro di
Akashi,
non adesso che sono finalmente venuta a conoscenza della motivazione
che sta
muovendo il mio aggressore contro di me.
«Arthur,
prepara l’auto: torniamo a casa».
Mi
sollevo dal materasso sostenendomi alla testiera del letto e
punto verso la porta. Arthur si affretta a recuperare la mia cartella e
mi
affianca ma, non appena raggiungo l’uscio e afferro la
maniglia, mi accorgo che
la serratura è bloccata.
«Se
vuoi lasciare questa stanza avrai bisogno di questa», una
piccola chiave dorata oscilla a mezz’aria fra il pollice e
l’indice di Akashi.
«Che
cosa significa?», protesto all’indirizzo del
capitano.
Akashi
abbandona la sedia e si avvicina, mantenendo gli occhi
ben piantati nei miei. Il suo volto si arresta a pochi centimetri dal
mio,
esponendo un’espressione insolitamente amareggiata.
«Questo
dovrei chiedertelo io. Che cosa mi stai nascondendo?».
Nel
momento in cui le mie orecchie carpiscono la domanda il mio
corpo si immobilizza
nuovamente. Se ne è
accorto. Si è accorto del mio segreto. Da quanto tempo, poi?
Possibile che
abbia iniziato a sospettare di me da questa mattina, in palestra?
Trattandosi
di Akashi, è piuttosto probabile. E se ha aspettato fino
adesso per uscire allo
scoperto significa che sperava in una mia spontanea confessione. Una
confessione che, tuttavia, non avrai. Questa volta sarò io a
proteggerti.
«Non
capisco di cosa parli», rispondo all’accusa,
imponendomi di
non distogliere lo sguardo.
«Ne
sei sicura?».
«Assolutamente».
Le
pupille di Akashi si abbassano sulla mia cartella, saldamente
impugnata da Arthur. Il suo braccio si distende infine per afferrare
l’oggetto
e il mio corpo reagisce istintivamente alla provocazione.
«Non
toccare!», la mia mano si stringe con forza attorno al suo
polso.
Negli
istanti di silenzio che seguono il mio gesto impulsivo, un
ghigno compiaciuto guizza sulle labbra del capitano per ritirarsi
immediatamente e riportare la bocca in posizione neutrale.
«Hai
ancora intenzione di negare?», la sua voce è
pacata ma
seriosa. «Qualunque cosa tu stia nascondendo in quella
cartella, ha sicuramente
a che fare con l’incidente di questa sera. Mi sbaglio,
Eiko?».
Per
una persona perspicace come Akashi, il mio silenzio è
più
eloquente di mille parole. Non posso più mentire: dal
momento che sono stata
scoperta sarebbe sciocco e inutile. Ma non voglio confessare. Ho deciso
di
mantenere il segreto a qualunque costo. Ebbene, sia!
«Se
vuoi il contenuto di questa cartella, dovrai prenderlo con
la forza», esclamo infine, strappando la cartella dalle mani
di Arthur e
stringendola al petto.
«Mi
stai chiedendo di usare violenza su una persona ferita?
Capisco. Deve trattarsi di qualcosa di molto importante se sei disposta
a
tanto», commenta Akashi, compiendo un passo indietro e
allontanandosi da me.
«E’ chiaro che non posso accettare la tua sfida. In
tal caso, resteremo
entrambi chiusi in questa stanza».
«Vuoi
tenermi prigioniera qui per sempre?», la mia voce esplode,
piena di indignazione.
«Ti
sbagli, Eiko. Sei tu a tenerti in prigione di tua volontà.
Ti basterebbe confessare e domani saresti libera di lasciare questa
casa».
Perché
è così testardo? Ma soprattutto,
perché lo sono io? Non è
da me prendere posizioni così ostinate. Fronteggiare
qualcuno con tanta veemenza
e ardore. Ho sempre vissuto cercando di non sbilanciarmi mai; di
mantenere i
miei sentimenti in perfetto equilibrio; di affrontare ogni situazione
con
moderata razionalità. In un simile frangente sarebbe logico
rivelare il
contenuto dell’ultimo biglietto lasciatomi dal mio aggressore
e affidarmi
all’intelligenza e ai mezzi di cui dispone Akashi per
superare la crisi. In
poche parole, sarebbe normale lasciare che sia lui a risolvere la
faccenda,
visto che ha promesso di catturare il mio persecutore e tenermi al
sicuro.
Mantenere il silenzio significa invece raccogliere sulle mie spalle
tutto il
peso e farmi carico della frustrazione, dell’angoscia,
dell’insicurezza che ne
deriveranno. E questo è esattamente l’opposto di
ciò che sono. Allora perché?
«Hai
così poca fiducia in me, Eiko?».
Mi
volto verso Akashi e lo vedo lì, in piedi, in tutta la sua
armoniosa
dignità, accentuata dal nobile e affabile sorriso sulle sue
labbra, dall’elegante
mano protesa verso di me in un silenzioso invito. Una visione
principesca che riporta
alla mia mente le splendide opere della ritrattistica rinascimentale,
di quell’arte
aristocratica tesa a omaggiare la gloria di illustri signori e potenti
sovrani;
capace di rievocare ancora oggi i fasti della vita di corte intrisa di
cospirazioni,
amori illeciti, favoritismi, ma anche di eccellenza, rettitudine,
saggezza, virtù.
Come
potrei non riporre la mia fiducia in una persona che emana perfezione
e sicurezza da ogni minuscola parte di sé; che irradia
un’aura di pura nobiltà e
vivace intelligenza da ogni gesto, ogni parola? E’ ovvio che
mi fidi di Akashi,
ma, esattamente come un devoto popolano pronto a dare la vita per il
suo magnanimo
signore, anche io, in virtù di quella inestirpabile
ammirazione che nutro dentro
di me, non posso esporre il mio salvatore al pericolo.
«Akashi»,
il mio lungo silenzio infine si spezza, «in questo momento
sei forse la persona di cui più mi fido. Ma sei anche la
persona a cui devo la vita.
Per questo motivo vorrei che rinunciassi a trovare il mio
aggressore». Inspiro profondamente
per non ritornare sui miei passi e lasciarmi convincere dal
ripensamento. Sicura
di aver preso la migliore decisione, infine dichiaro: «Non
voglio avere più niente
a che fare con te».
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Capitolo 18 *** Questo è un ordine ***
Capitolo
7
“Questo
è un ordine”
«Non
voglio avere più niente a che fare con te».
Per
un attimo le labbra di Akashi si increspano in una muta irritazione e
il mio
cuore sobbalza, poiché temo di avere provocato la rabbia del
capitano. Non ho
mai visto Akashi davvero infuriato o, per meglio dire, non
l’ho mai visto
esprimere collera in modo palese, come fanno tutti, strepitando,
urlando,
imprecando e ricorrendo a gesti violenti. E in tutta onestà,
non riesco neanche
ad immaginare un Akashi Seijūrō che inveisce contro qualcuno a
squarciagola o
che minaccia col pugno serrato. Semplicemente non è quel
tipo di persona. Ma
ciò non significa affatto che non sia in grado di intimidire
il suo
interlocutore bloccandogli il respiro in gola o paralizzandogli le
gambe
affinché non fugga da un confronto diretto. E in questo
momento la sola curva
rovesciata delle sue labbra è sufficiente a scoraggiarmi, a
estinguere la
determinazione nel mio cuore, a farmi istintivamente indietreggiare di
un
passo, come una lepre in presenza della volpe.
«D-Dico
sul serio, Akashi, non devi più avvicinarti a me».
E’
fuori discussione che Akashi prenda sul serio parole tanto labili,
pronunciate
da un animo che vacilla. Se mi trovassi al suo posto, io stessa non mi
crederei. Tuttavia non riesco a pensare ad altro modo per convincerlo a
farsi
da parte.
I
suoi occhi vermigli si assottigliano, infastiditi dal mio comando. Mi
investono
con tutta la loro tremenda intensità, inchiodando il mio
coraggio al tronco
legnoso e raggrinzito di un albero invisibile, scatenando intorno a me
la
terribile arsura di un fuoco insostenibile al pari degli antichi roghi
su cui un
tempo ardevano streghe e fattucchiere. Eppure la crudeltà
con cui gli
inquisitori conducevano ispezioni ed esecuzioni mi sembra ben poco cosa
se
paragonata alla silenziosa condanna che ora brucia nello sguardo di
Akashi.
Quasi non riconosco il ragazzo che ho di fronte. Ed è forse
proprio questo a
terrorizzarmi così tanto. Il mio istinto urla dentro di me e
indietreggio di un
altro passo mentre Akashi avanza ed accorcia la distanza che ci separa.
Stringo
la cartella al petto, quasi fosse uno scudo, e retrocedo fino a sentire
la
porta della camera battere contro la mia schiena. Una scossa attraversa
i miei
nervi mentre osservo la figura di Akashi farsi sempre più
vicina. Che cosa sta
succedendo? Perché si comporta così? Che
intenzioni ha? Divarico le labbra ma
non un suono esce dalla mia bocca: la mia voce è incastrata
tra le corde
vocali, come in un groviglio di rovi. Quando cerco di parlare, sento il
battito
del mio cuore pulsare nella gola e contrarre la laringe ostruendo il
passaggio
dell’aria. Intanto Akashi continua a camminare, ignorando lo
stato di panico in
cui verso ormai da parecchi secondi. La sua indifferenza alla mia
condizione mi
esaspera a tal punto da causare nel mio stomaco una violenta serie di
spasmi.
Tra
pochi passi mi avrà raggiunta e allora cosa ne
sarà di me? Come può farmi
questo dopo aver giurato di proteggermi? Non si rende conto di quanto
mi stia
spaventando? Perché all’improvviso mi ritrovo
nella necessità di fuggire dal
ragazzo che ha promesso di tenermi al sicuro?
«Hai
detto che non avresti usato violenza su una persona ferita!».
Le
parole scoppiano nella mia bocca come petardi e le mie braccia si
sollevano
sulla mia fronte nel disperato tentativo di proteggere la testa
fasciata. Con
gli occhi serrati attendo il dolore che la mano di Akashi
imprimerà sul mio
corpo convalescente. È un’attesa infinita e
pesante, tanto lunga da
confondermi. La mia pelle dovrebbe ormai bruciare per
l’impatto e le mie membra
dovrebbero essere in uno stato di profonda sofferenza. Allora
perché non sento
nulla?
Allargo
le braccia per liberare il volto e dischiudo gli occhi:
l’immagine di Arthur si
concretizza di fronte a me; la sua ampia e solida schiena si erge
davanti alla
mia persona come una muraglia inespugnabile. Con il suo corpo a farmi
da scudo
contro Akashi, emano infine un lungo sospiro abbassando le spalle.
«Non
le permetterò di toccare la signorina Eiko», la
voce di Arthur vibra nella
stanza, impavida e categorica.
È
in quel momento che, nascosta dietro Arthur, colgo il respiro di
Akashi: un
suono di rassegnazione. Mi sporgo lentamente oltre la figura di Arthur,
non
avvertendo più alcun pericolo imminente. Il mio sguardo
incontra quello del
capitano. In esso non vi è traccia del gelido risentimento
di pochi istanti fa.
Al contrario le sue iridi brillano di un rosso carminio caldo e
gentile. È la
stessa espressione di profonda tenerezza che ricordo dal nostro primo
incontro.
«A-Akashi?»,
pronuncio, assicurandomi che il ragazzo davanti a me sia ancora lo
stesso di
cui ho deciso di fidarmi.
«Non
era mia intenzione spaventarti», è la risposta con
cui mi rassicura. Il pugno
serrato si dischiude rivelando la piccola chiave dorata al centro del
palmo.
«Hai avuto una giornata difficile e non voglio infierire
sulla tua salute,
quindi accetta questa chiave e riposati».
Le
mie pupille si abbassano sull’oggetto luccicante.
È davvero giusto per me
trascorrere qui tutta la notte? Akashi sembra essere tornato in
sé, ma non
posso negare l’agitazione che ancora domina il mio animo.
D’altro canto se
tornassi a casa adesso sarei costretta a giustificare, soprattutto a
Tatsuo, la
mia testa bendata e sono sicura che questo attarderebbe la mia
guarigione.
«Dato
che la mia presenza è per te fonte di disagio, non
rimetterò piede in questa
stanza fino a domani mattina».
Akashi
l’ha fatto di nuovo, è di nuovo riuscito a leggere
tra i miei pensieri. Come
posso dubitare di una persona che sembra conoscermi
meglio di me stessa? Forse sono stata troppo
impulsiva nel giudicarlo. Forse prima ho completamente frainteso le sue
intenzioni. Del resto non sono ancora in grado di pensare lucidamente a
causa
del dolore alla testa. Inoltre Arthur è con me: se Akashi
dovesse davvero tentare
qualche mossa falsa, mi proteggerebbe, proprio come ha appena fatto.
«È
una promessa?», balbetto ancora scettica.
«Hai
la mia parola», la chiave scivola nella mia mano.
«Se deciderai di restare,
Arthur potrà alloggiare nella stanza affianco»,
conclude Akashi prima di
oltrepassarmi e scomparire al di là della porta.
Infine
rimango sola con Arthur. Il mio animo è dibattuto. Cosa
dovrei fare? Con la
chiave della camera in mio possesso, mi basterebbe bloccare la
serratura per
essere certa che Akashi non infranga la promessa. D’altro
canto, però,
barricarmi in questa stanza equivarrebbe ad ammettere la mia sfiducia
nei suoi confronti,
nonché la mia incapacità di prendere una
decisione coerente con la situazione
in cui mi trovo. Se decido di restare qui devo credere alle parole di
Akashi e
confidare in lui. Ma se non riesco a sradicare completamente la
diffidenza che
aleggia nel mio cuore è meglio che torni a casa mia. Che
cosa vuoi fare, Eiko?
Fai la tua scelta e fa’ in modo che sia quella definitiva.
«Arthur»,
la mia voce vibra nel mio petto con fermezza.
«Si,
signorina».
«Questa
notte resteremo qui».
Nonostante
il suo silenzio, vedo chiaramente il turbamento sul volto di Arthur, ma
non
revoco la decisione presa. Al contrario, mi accosto al letto e adagio
la
cartella sulla sedia. Dischiudo la mano sul cui palmo giace la piccola
chiave
luccicante: ho scelto di chi fidarmi e non tornerò sui miei
passi.
«È
proprio sicura?», domanda Arthur, restio a lasciarmi sola.
Annuisco.
«Se tornassi a casa in queste condizioni, farei solo
preoccupare tutti quanti»,
le mie dita sfiorano le bende che cingono la mia testa. «Oggi
ho corso un grave
pericolo, lo so, ma grazie ad Akashi sono ancora qui e, nonostante
tutto, sto
bene. Per fortuna la ferita che ho riportato non è grave,
quindi sarebbe inutile
allarmare i miei genitori o i miei fratelli». Mi volto
indietro e alzo lo
sguardo su quello di Arthur. «Ecco perché ti
chiedo ancora una volta di assistermi
e mantenere il segreto», nelle mie parole non
c’è alcun intento perentorio,
solo una supplichevole richiesta.
Dopo
qualche secondo, Arthur inizia a muoversi nella mia direzione,
avvicinandosi
lentamente. Persino in un momento come questo, la sua immagine
è impeccabile.
Adesso che siamo soli, mi rendo conto di quanto rassicurante sia la sua
presenza. Akashi mi ha salvato la vita, ma solo in compagnia di Arthur
riesco
ad abbassare completamente le mie difese. La sua fedeltà nei
miei confronti
sarà anche solo il frutto di un dovere, eppure dentro di me
ho la certezza che,
qualsiasi cosa accada, qualunque strada io decida di percorrere, Arthur
sarà
sempre al mio fianco.
«Se
questo è il suo volere, non informerò la sua
famiglia su quanto è accaduto»,
promette, infine, prima di tacere nuovamente. Il suo breve silenzio
è più pesante
di quanto credessi.
Il
suo sguardo di cobalti splendenti si posa quindi sul mio. È
così intenso da
farmi girare per un attimo la testa. Una bellezza tanto ammaliante da
farmi
istintivamente ricordare Aomine. Proprio come all’acquario di
Ikebukuro, anche
adesso la mia immagine riflessa nelle profonde iridi di Arthur ha un
effetto
ipnotico e calmante su tutto il mio essere. Ho sempre avuto un debole
per il
colore blu, poiché è in grado di riportare la
pace nel mio animo e rischiarare
i miei pensieri.
L’espressione
negli occhi di Arthur, al contrario, è cupa, colma di
rammarico. La sua
tristezza penetra il mio cuore e scava in profondità.
Percepisco il suo senso
di colpa come fosse il mio. Arthur non è solo il mio
autista. Il profondo
legame che lo connette a tutti noi, e in particolare a mia madre, fa di
lui un
membro della nostra famiglia. Ed è esattamente
così che l’hanno sempre
considerato i miei genitori, i miei zii, mio nonno materno, Tatsuo,
Naoko, zia
Azumi e i miei cugini. E, ovviamente, è così che
l’ho sempre considerato anch’io.
Per questo motivo non sopporto di vederlo abbattuto, soprattutto se a
causa mia.
È
strano. Le lacrime, che fino adesso sono rimaste immobili sul fondo dei
miei
occhi, spingono ora in superficie. Oggi è stato un giorno
pieno di emozioni per
me: ho provato paura, diffidenza, smarrimento, indecisione, confusione
e non
una sola volta ho avvertito la necessità di piangere. Ma
è bastato il volto
afflitto di Arthur a scuotermi abbastanza da provocare il mio pianto,
muto e
colpevole. Le infinite gocce di acqua che stillano dai miei occhi umidi
sono
una liberazione e una condanna allo stesso tempo. Sono la prova di
quanto
duramente mi sia trattenuta fino a questo momento e di quanto
ingiustamente
Arthur abbia biasimato se stesso. Ma soprattutto sono la prova della
mia
debolezza; della debolezza di quella ragazza ancora incompleta e
immatura che
ha costretto il proprio amico a rischiare la vita per correre in suo
soccorso.
«Signorina
Eiko».
La
mano di Arthur, dapprima serrata lungo il fianco, si dischiude e il
braccio si
solleva con estrema lentezza. Protende verso di me e le dita inguantate
di
bianco sfiorano la mia guancia. È un gesto legnoso e
impacciato, che tradisce
insicurezza e imbarazzo. È un gesto difficoltoso e audace,
da cui traspare
un’insanabile contraddizione. Il palmo tremolate si posa
appena sulle mie gote
inumidite dalle lacrime. Il tocco sulla mia pelle è delicato
come piuma, quasi
impercettibile. Porto lo sguardo sul volto di Arthur e i suoi
lineamenti
irrigiditi si addolciscono non appena i nostri occhi si incontrano.
«La
prego, non pianga».
Questo
suono… è confortevole come la fiamma
scoppiettante di un camino in inverno; gentile
come una carezza; rasserenante come un bacio sulla fronte. Abbraccia il
mio
cuore angosciato e stanco, sciogliendo la tensione e la tristezza. Le
dita di
Arthur premono dolcemente sulla mia guancia e il morbido tessuto del
guanto
assorbe gradualmente le mie lacrime. Non ho mai visto Arthur esprimere
così
apertamente i suoi sentimenti. Al contrario, ha sempre mantenuto una
formale e
rispettosa distanza da me. Pur essendo ogni giorno al mio fianco, non
ha mai
cercato di varcare quell’invisibile linea che separa un
servitore dal suo signore.
E confesso che, certe volte, avrei voluto vederlo comportarsi come un
vero fratello
e abbandonare per un attimo tutti quegli atteggiamenti cerimoniosi che
il suo
rango gli impone. Altre volte avrei voluto sentirlo ridere a crepapelle
mentre
Tatsuo raccontava una delle sue incredibili storie; o vederlo prendere
posto
attorno alla tavola insieme a tutti noi per festeggiare il Capodanno; o
agghindare l’albero di Natale e appendere le luci festive.
Avrei voluto vederlo
passeggiare per il parco indossando dei normalissimi abiti quotidiani.
Sfidare
Seiichi a una partita di scacchi; rimproverare affettuosamente Haruka
per i
suoi modi da maschiaccio; cavalcare per la tenuta insieme a Mikio.
Avrei voluto
vederlo esattamente come adesso, premuroso, fraterno, spontaneo.
Sentire la sua
mano sul mio viso che dissolve ogni timore e incertezza.
«Ti
devo delle scuse, Arthur», le mie parole provocano la
sorpresa del ragazzo che
lascia cadere la mano dal mio volto. «Non sono stata del
tutto onesta con te,
né con Akashi. Questa mattina ho trovato un nuovo messaggio
del mio
persecutore. Ho promesso che vi avrei informati entrambi non appena
avessi
ricevuto un altro biglietto, ma avevo paura delle conseguenze e per
questo sono
rimasta in silenzio Però adesso ho capito che non ho nulla
da temere, perciò ho
deciso: domani mattina rivelerò sia a te che ad Akashi il
contenuto della
lettera che si trova in questa cartella», dichiaro,
abbassando lo sguardo sul robusto
oggetto quadrato abbandonato sulla sedia. «Quindi, per questa
sera vai pure a
dormire e non preoccuparti per me». Infine, per la prima
volta in vita mia, pronuncio:
«Questo è un ordine».
Non
ho mai impartito un solo comando a nessuno dei domestici della nostra
famiglia
e di certo non pensavo che avrei rivolto il mio primo ordine proprio ad
Arthur.
Ma è l’unico modo che ho per assicurarmi che
questa notte la trascorra dormendo
in un letto caldo e accogliente, preoccupandosi solo di ripristinare le
sue
energie attraverso un profondo e sereno riposo.
«Se
dovesse accadere qualc…».
«Non
mi accadrà nulla», lo interrompo con perentoria
irremovibilità. «Dimentichi che
siamo a casa di Akashi. In questo preciso momento, è forse
il luogo più sicuro
in cui potrei trovarmi».
Un
guizzo di rabbia balena nelle iridi di cobalto che mi scrutano e so che
non è
destinata a me. È una collera silenziosa e inespressa che
Arthur sta riversando
su se stesso per quella che ritiene essere una sua mancanza nei miei
confronti.
Sentirsi debitore di un giovane rampollo che solo fino pochi giorni fa
non aveva
alcun legame con i Wadsworth e che invece questa sera ha salvato la
vita dell’erede
più giovane della casata è
un’umiliazione troppo gravosa per un subordinato devoto
e leale come Arthur. Anche se Akashi ha agito esclusivamente per il mio
bene, sfruttando
un tempismo provvidenziale, il suo gesto eroico ha profondamente ferito
nell’orgoglio
il giovane figlio di Victoria e, purtroppo, questa ferita
resterà aperta per molto
tempo. Tutto quello che posso fare io, è concedergli
l’intera notte lontano da me,
cosicché non sia costretto, guardandomi, a ricordare
l’offesa inflitta alla sua
dignità di servitore.
***************************************************************************************************
Nota
d’Autrice: Salve ragazzi!!! Ecco il nuovo capitolo.
Finalmente sono riuscita a pubblicarlo
tra un esame e un corso all’università. So che la
storia sta procedendo lentamente
ma spero davvero che tutti voi siate dei lettori pazienti
perché alla fine, anzi
presto, la vostra pazienza verrà premiata e la storia
entrerà nel vivo della narrazione
;)
Vi
auguro una splendida domenica e vi abbraccio!
Lady
L.
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Capitolo 19 *** Sono orgogliosa di te ***
Capitolo
8
“Sono
orgogliosa
di te”
L’indomani,
al mio risveglio, l’eco della promessa fatta ad
Arthur risuona ancora nella mia memoria. Temevo che la lunga notte
avrebbe
indebolito la mia fermezza, ma sapere di essermi sbagliata è
una lieta
consolazione. Oggi non c’è scuola per cui decido
di prendermi del tempo prima
di abbandonare le coperte. Come immaginavo, non è facile
rilassarsi in un letto
sconosciuto e non posso dire che il mio riposo sia stato confortevole
quanto
avrei sperato. Il dolore alla testa mi ha tenuta sveglia per gran parte
della
notte, ma è stata soprattutto la lettera che ho promesso di
mostrare ad Akashi
e ad Arthur a turbare il mio sonno. Dopo che Arthur si è
ritirato nella sua
stanza, ho aperto la busta per rileggerne il contenuto e ho dovuto
attendere
diverse ore prima di ritrovare la giusta quiete per addormentarmi.
Mi
sollevo dal materasso, attenta a non compiere movimenti
bruschi che aggraverebbero solamente quello che per ora è un
mal di testa appena
accennato. Per fortuna questa camera è dotata di un piccolo
bagno personale.
Una volta vestita, prendo con me la cartella e mi dirigo alla porta.
Non appena
dischiudo l’anta, però, anche le mie labbra si
aprono in un’espressione di
incredulità.
«Buongiorno,
signorina Eiko».
«A-Arthur?»,
pronuncio con gli occhi sgranati. «Cosa ci fai qui
fuori?».
«La
stavo aspettando», risponde Arthur sollevando il capo. Forse
è solo una mia impressione, ma lo sguardo nei suoi occhi
sembra rimarcare
l’inutilità della mia domanda.
«Da
quanto tempo mi stai aspettando?», domando, temendo la
risposta.
«Un’ora
e diciassette minuti».
«Sei
qui fuori da più di un’ora?!», la mia
voce schizza dalla
gola, acuta come un fischio, riuscendo a provocare perfino una reazione
involontaria di Arthur. Non c’è da stupirsi. Io
stessa sono meravigliata: non
credevo di poter raggiungere simili note. Ma è proprio
questa nuova
consapevolezza a spingermi all’imbarazzo e a portare entrambe
le mani sulla
bocca.
«Perché
non hai bussato?», riprendo, assicurandomi questa volta
di mantenere il volume il più basso possibile.
«Non
volevo interrompere il suo riposo», confessa Arthur
candidamente.
Una
risposta sicuramente degna di lui, ma non avrebbe dovuto
spingersi a tanto. Spero almeno che sia riuscito a dormire un
po’ questa notte.
Osservandolo mi sembra più tranquillo, quindi forse il mio
piano ha avuto
successo.
«Signorina
Eiko, si sente meglio? È riuscita a riposare
bene?»,
a quanto pare anche Arthur è a preoccupato per me.
«Ho
ancora un po’ di mal di testa ma nulla di grave. Quanto al
dormire bene… mi sarei trovata più a mio agio nel
mio letto ma credo di non
potermi lamentare, date le circostanze attuali. Dobbiamo essere grati
ad Akashi
per averci permesso di restare a casa sua. A proposito, sai
dov’è?».
«Il
signorino Akashi si è alzato presto e ha dato ordine alla
servitù di non venirla a disturbare fino al suo
risveglio».
«Davvero?
Allora dovrò ringraziarlo», un brontolio irrompe
dal
mio stomaco e le mie guance si colorano di vergogna.
«È che ieri sera non ho
toccato quasi cibo quindi ora…», tento di
giustificarmi tra un balbettio e
l’altro.
«Prima
di vedere il signorino Akashi, sarà meglio placare il suo
appetito».
Arthur
mi
invita a seguirlo giù per le scale e io ubbidisco
affrettandomi dietro di lui.
Questo giorno è appena iniziato e mi sono già
messa in ridicolo per ben due
volte nell’arco di pochi minuti. Anche se c’era
solo Arthur, è stato ugualmente
imbarazzante.
Arrivati
nella sala da pranzo, una domestica mi fa accomodare
alla lunga tavola. Improvvisamente ripenso ad Anna e a quel suo sorriso
che
ogni mattina precede la mia colazione. La donna che mi sta servendo
ora,
invece, ha un’espressione fredda e seriosa. Non è
giovane come Anna ma non
penso affatto che la sua rigidità sia dovuta
all’età. Riflettendoci, da quando
sono arrivata, ho percepito un’atmosfera piuttosto pesante.
Da quello che so,
in questa casa vivono soltanto Akashi e suo padre, oltre alla
servitù,
ovviamente. Al mio arrivo non vi ho trovato alcuna traccia di quella
festosa
vitalità a cui invece sono abituata. Forse è
perché sono cresciuta in una
famiglia numerosa che ho subito provato un profondo sentimento di
solitudine
non appena ho varcato i cancelli della villa. Non sono abituata a tutto
questo
silenzio e a non potere interagire con i domestici. Ma non ho altra
scelta se
non adeguarmi. Dopotutto, sono soltanto un’ospite di
passaggio.
Prendo
posto a tavola e subito la donna in cuffietta e grembiule
mi porge la colazione. Alla vista del ricco pasto le mie pupille si
dilatano
deliziate ma confuse allo stesso tempo. Adagiati in una coppa azzurra,
decine
di pezzettini di frutta coloratissima sembrano traboccare dal bordo
cristallino. Luccicano come perle preziose e mi basta uno sguardo per
capire
che tale effetto è dovuto al velo di sciroppo
d’acero di cui sono ricoperte. Un
sospetto attraversa infine la mia mente.
«Arthur,
è opera tua questa?», mi informo, non riuscendo a
pensare a nessun altro a conoscenza delle mie abitudini alimentari.
«È
stato il signorino Akashi», è invece la risposta,
del tutto
imprevista. «Questa mattina è venuto a cercarmi
per chiedermi quale fosse il
suo piatto preferito. Dal momento che ieri sera non ha mangiato quasi
nulla,
voleva assicurarsi che questa mattina il pasto fosse di suo assoluto
gradimento».
«Ha detto proprio
così?».
Arthur
annuisce. È un gesto molto premuroso da parte di Akashi e
mi ha resa di sicuro felice. Guardando la coppa azzurra, è
evidente con quanta
attenzione ai particolari abbia fatto imbandire la tavola appositamente
per me.
Ma è altrettanto chiaro il suo tentativo di mettermi a mio
agio. Immagino che
questo sia il suo modo di farsi perdonare per quello che è
successo ieri sera. Devo
assicurarmi di ringraziarlo.
«Signorina
Wadsworth», la domestica dalla sguardo serio e
inflessibile mi rivolge la parola. La sua voce è matura ma
più gentile di
quanto avessi creduto. «Ho un messaggio per lei da parte del
signorino Akashi:
la attende nel suo studio non appena avrà terminato la
colazione».
«V-Va
bene. Lo raggiungo subito».
«Ha
detto di prendersi tutto il tempo di cui ha bisogno, quindi
faccia pure con calma», aggiunge subito la donna, invitandomi
a risedere.
Avevo
intenzione di incontrare Akashi il prima possibile, ma se
mi concedo qualche minuto per gustare la colazione che ha fatto
preparare
esclusivamente per me non succederà nulla di male, giusto?
In fondo sarebbe
scortese rifiutare un simile dono.
***
Al termine del pasto, la
coppa è completamente vuota mentre il mio stomaco, riempito
a sazietà, ha
finalmente smesso di brontolare. Dopo aver ringraziato la donna dallo
sguardo
serio e rigido, io e Arthur veniamo entrambi scortati da un nuovo
domestico
fino allo studio di Akashi. Mentre camminiamo per la lussuosa
residenza, un suono
improvviso cattura la mia attenzione. È gradevole e
armonioso. Si propaga per
la villa silenziosa come una leggera brezza primaverile. È
il canto di un
violino, ora malinconico, ora lieto. È un canto trasparente,
puro, cristallino
in ogni sua nota. È una voce ammaliante che eccita il cuore.
È il primo, reale
segno di vita che spezza l’angosciante silenzio di questa
villa; che disegna
nella mente un’immagine inconfondibile: Akashi.
«Siamo
arrivati».
Il
nuovo servitore si ferma davanti a una porta chiusa. Con un
colpo di nocche annuncia il nostro arrivo e dischiude
l’uscio. La luce del
mattino mi investe, attraversando l’immensa finestra e
illuminando la stanza
con un bagliore folgorante. I miei occhi si chiudono, feriti
dall’insostenibile
splendore del sole. Senza la vista a farmi da guida, resto immobile, in
ascolto. La musica si infrange contro le mie orecchie, scomponendosi in
un
volteggiare di note simili a ninfe danzanti. Mi avvolgono nel loro
cerchio
melodico sospingendomi verso il centro della stanza. Muovo un passo e
poi un
altro. Mi fermo e un fruscio di abiti si mescola alla voce del violino.
Le mie
palpebre si sollevano e i miei occhi intorpiditi accolgono la luce del
giorno.
Le pupille si stringono e si allargano per adeguarsi
all’intensità del bagliore
mattutino e posarsi, estasiate, su di lui, sul giovane musicista dallo
sguardo
di rubini. La raffinata maestria delle dita che picchiettano le corde
mi
incanta e costringe i miei sensi a indugiare sulla loro
rapidità. Ad ogni
movimento, una nuova nota prende vita, in un continuo crescendo di
intensità e
di voci differenti che si sovrappongono in un potente ma armonioso coro.
Quando
l’ultima nota si spegne nel silenzio, il volto di Akashi
si solleva e le sue iridi, ancora intrise di passione, si posano su di
me.
Bruciano come fiamme cremisi, ricordandomi la furia impetuosa di una
colata
lavica, lenta nel suo discendere, ma indomabile nella sua distruzione.
Involontariamente, abbasso lo sguardo, nell’illusione di
fuggire dalla valanga
infuocata che si avvicina. Avanza inesorabile ma invece di travolgermi,
si apre
davanti a me, circondandomi, quasi volesse abbracciarmi, senza tuttavia
toccarmi, per poi richiudersi alle mie spalle e proseguire indifferente
la sua
discesa.
«Buongiorno,
Eiko».
«Buongiorno,
Akashi».
E’
soltanto un saluto, eppure la mia risposta è
inaspettatamente
spontanea. Avrei creduto che tra di noi ci sarebbe stato
dell’imbarazzo, o per
lo meno dell’incertezza. Akashi non può aver
dimenticato la nostra
conversazione e il suo comportamento di ieri sera, proprio come non
l’ho
dimenticato io.
«Spero
che almeno tu sia riuscita a riposare questa notte»,
pronuncia Akashi, dandomi momentaneamente le spalle per riporre il
violino
nella pregiata custodia.
«Vuoi
dire che tu non hai dormito affatto?», lo interrogo a mia
volta.
Come
risposta alla mia domanda, Akashi dispiega le labbra in un
pallido sorrido, quindi mi invita a sedere insieme a lui. Lo raggiungo
e prendo
posto su una delle quattro poltrone sistemate accanto alla finestra. Il
paesaggio
che si staglia oltre il vetro cattura la mia attenzione, suscitando la
mia
meraviglia. Il parco annesso alla villa si apre sotto i miei occhi come
la
tavolozza di un pittore, offrendo allo sguardo una combinazione
infinita di
colori che si abbracciano in uno splendido dipinto degno di essere
immortalato
su una cartolina.
«Sono
certo che i giardini della residenza Wadsworth siano di
gran lunga più incantevoli».
«Io
invece non ne sarei così sicura», obietto
scuotendo
lievemente il capo, mentre Akashi si accomoda di fronte a me.
«Chiunque si sia
preso cura di queste aiuole, lo ha sicuramente fatto pensando a coloro
che le
avrebbero ammirate guardando da questa finestra».
Un
breve momento di silenzio interrompe la conversazione. Con la
coda dell’occhio esamino il volto di Akashi. I suoi occhi,
leggermente
socchiusi in un’espressione assorta e lontana, contemplano
l’artistico
paesaggio, fin quando scivolano su di me. Provando vergogna per essere
stata
sorpresa a sbirciare, abbasso la testa, interrompendo il contatto
visivo.
«Forse
hai ragione. Forse chi ha curato i giardini ha davvero
pensato a chi li avrebbe guardati sedendo in questo studio. O forse non
è
così». Le ultime parole di Akashi sono cariche di
disillusione e mi
rattristano. Sono fredde, non lasciano spazio alla speranza. Sono come
un’oscura
formula magica pronunciata per spezzare l’incanto di una
fiaba. Sarebbe davvero
assurdo se qualcuno in questa villa svolgesse il proprio lavoro con
l’intento
di rendere felici altre persone? No, i miei stessi pensieri sono
l’unica cosa
davvero assurda. Continuo a dimenticare che questo luogo non
è affatto come
casa mia. Che il padrone di questa villa non ha nulla in comune con i
miei
genitori, se non la ricchezza e il fasto della propria dimora. Il padre
di Akashi
è un uomo che ha fatto del successo la sua unica ragione di
vita. È un uomo che
non si è concesso nemmeno un giorno per piangere la morte
della sua giovane
moglie e che ha cresciuto e istruito il proprio figlio imponendo una
disciplina
che esclude qualsiasi emozione umana.
«Spero
che tu possa perdonare il mio comportamento di ieri sera,
Eiko».
Le
mie riflessioni vengono bruscamente interrotte dalle parole
contrite di Akashi. Non mi aspettavo che sarebbe stato il primo a
toccare
l’argomento, ma non posso dirmene dispiaciuta. Ad essere
onesta, stavo ancora
cercando una scusa per introdurre il motivo della mia visita.
«Ormai
è acqua passata», rispondo, scuotendo il capo.
«Forse è
perché ho avuto tutta la notte per pensarci sopra, ma credo
che tu abbia ragione».
«Davvero?»,
le sopracciglia di Akashi si sollevano appena a
disegnare la sorpresa nel suo sguardo.
Annuisco.
«In effetti, avevo anch’io un motivo per
incontrarti
questa mattina».
Raccolgo
la cartella ai miei piedi e la adagio sul mio grembo. Gli
occhi di Akashi seguono ogni mio movimento
con attenzione. La mia mano trema mentre la infilo nella borsa e
un’improvvisa
secchezza inaridisce la mia bocca quando infine estraggo la lettera.
Diversamente
da quanto avessi immaginato, la reazione di Akashi è
piuttosto normale, quasi
avesse previsto le mie intenzioni.
«Non
sei sorpreso?», domando, in fondo delusa per la fredda
risposta.
«Quando
ti ho vista entrare stringendo la cartella fra le mani,
ho immaginato per quale motivo avessi accettato di vedermi»,
la confessione di
Akashi è accompagnata da un tiepido sorriso.
«Sapevo
di non poterti nascondere la verità ancora a lungo. Ieri
sera ho provato fino all’ultimo a respingerti e a mentirti
perché speravo di
convincerti a lasciare perdere tutta questa storia. Non era mia
intenzione
farti arrabbiare o ferirti. Volevo
solo…proteggerti».
Non
riesco a credere a quello che sto dicendo. Io? Proteggere
qualcuno? Eppure è la verità. Da ieri non ho
fatto che pensare a come tenere
Akashi fuori dai miei guai. Dopo essermi resa conto che la situazione
mi stava
sfuggendo di mano e che in ballo non c’era più
soltanto la mia incolumità, non
ho più potuto accettare l’aiuto e il
coinvolgimento del capitano. Ero
terrorizzata all’idea di quello che sarebbe successo se
Akashi fosse rimasto al
mio fianco. La consapevolezza di avere il pericolo così
vicino, così concreto,
mi ha fatto agire di impulso, ma avrei dovuto sapere fin da subito che
non
sarei riuscita ad ingannare Akashi.
Senza
volerlo, emetto un lungo e sonoro sospiro. Se avessi
realizzato prima la situazione, Akashi non si sarebbe arrabbiato.
«Non
hai motivo di scusarti, Eiko. Spaventarti e farti dubitare
di me è stato un mio imperdonabile errore», Akashi
posa un involucro sigillato
sul tavolino.
«Che
cos’è?», lo interrogo.
«Il
motivo per cui speravo avresti accettato di incontrarmi
questa mattina».
Il
capitano mi invita a raccogliere la busta e ad aprirla.
All’interno ci sono alcune fotografie di una ragazza molto
carina. Nella
maggior parte degli scatti, indossa una divisa scolastica che riconosco
all’istante: si tratta senza dubbio di una studentessa della
Teikō, anche se
non credo di conoscerla. No, un momento. Guardandola meglio, ha
un’aria
famigliare, ma non ricordo dove l’ho vista.
«Chi
è questa ragazza? Una tua compagna di classe? O forse
è una
delle manager della squadra di basket? Ho come l’impressione
di averla già
incontrata, ma non riesco a ricordare né dove né
quando».
«E’
la persona che ti ha scritto quella lettera», pronuncia
Akashi in tono secco e grave.
I
miei occhi seguono il suo sguardo fino al biglietto che pochi
attimi prima giaceva sul fondo della mia cartella. Le mie mani gelano e
il
sangue ghiaccia nelle
vene.
«Vuoi
dire che questa ragazza è…».
«Il
tuo stalker», conclude Akashi. «E’
l’artefice di tutte le
minacce che hai ricevuto fino ad oggi. Il suo nome è Aizawa
Yukiko». Mentre
continua a parlarmi, il capitano raccoglie una ad una le foto ora
sparpagliate
sul tavolino.
Dovrei
sentirmi sollevata adesso che il mio aggressore ha
finalmente un nome e un volto, invece provo solo sconforto.
Come’è possibile
che una ragazza così bella e all’apparenza fragile
si spinga a tanto? È davvero
la stessa persona che ieri sera ha attentato alla mia vita con un vaso?
Una
persona tanto graziosa da sembrare una fata stava davvero cercando di
uccidermi? Una ragazza bellissima? Certo, ora ricordo dove
l’ho vista. E’ la
ragazza che ieri è venuta a cercarmi per conto del
professore Takeda. Questo
vuol dire che anche l’altra mattina, in palestra, era lei la
figura che ho intravisto
nella penombra.
«Signorina
Eiko, si sente bene?».
Il
tocco apprensivo di Arthur sulla mia spalla mi richiama nel
presente. «Si, sono solo sorpresa, tutto qui».
«Questa
è l’ultima lettera che hai ricevuto,
giusto?», Akashi si
impossessa dell’involucro e lo apre sotto i miei occhi
atterriti. L’istinto mi
dice di strappargliela dalle mani prima che possa leggere, ma il mio
corpo
rifiuta di muoversi. Non voglio che la legga. Non voglio che sappia che
per
tutto questo tempo in cui è rimasto accanto a me per
aiutarmi, la sua vita è
stata in pericolo e, probabilmente, lo è ancora. Se leggesse
la lettera si
allontanerebbe da me e l’ultima cosa che voglio adesso
è perdere la sua
amicizia.
«Akashi,
aspetta!». Infine allungo il braccio per afferrare la
busta ma la mano di Akashi è più rapida e la
sottrae alla mia presa. Le sue
pupille iniziano quindi a scorrere sulla carta e nella mia mente recito
il
contenuto del messaggio, visualizzando ogni singola parola, impressa
ormai
nella mia memoria.
“Ti
avevo
avvertita di stare lontana da Akashi-sama, piccola sgualdrina. Una
nullità come
te non ha alcun diritto di camminare al suo fianco, né
tantomeno di rivolgergli
la parola. Un rifiuto insignificante come te, non dovrebbe vivere nello
stesso
mondo di Akashi-sama. Muori!”
Terminata
la lettura, Akashi consegna il foglio ad Arthur. Il
suo volto è completamente inespressivo, non ho idea di quali
siano i suoi
pensieri in questo momento. Anziché accettare il pezzo di
carta, Arthur si
inginocchia accanto alla mia poltrona e attende. Non ho il coraggio di
parlargli. Chino il capo per dare il mio consenso e solo allora preleva
la
lettera dalla mano tesa di Akashi. Pochi secondi dopo, il fruscio della
carta
stritolata dal suo pugno serrato riempie il silenzio attorno a me.
«Ho
bisogno del tuo aiuto, Arthur», dichiara improvvisamente
Akashi, ottenendo l’attenzione del mio autista. «Ho
intenzione di porre fine a
questa follia, ma mi occorrerà la tua
collaborazione».
«Qualsiasi
cosa, se servirà a proteggere la signorina Eiko».
«Che
cosa vuoi fare, Akashi?», chiedo in un impeto di ansia.
«Costringere
Aizawa ad uscire allo scoperto e, per riuscirci,
anche tu, Eiko, dovrai recitare la tua parte. Voglio che tu faccia da
esca e
induca Aizawa ad attaccarti».
«Stai
scherzando, vero!?», mi sollevo dalla poltrona con uno
scatto talmente violento da catapultare la cartella abbandonata sulle mie ginocchia fino ai
piedi di Akashi.
«Vorrebbe
che la signorina Eiko mettesse di proposito a
repentaglio la sua vita?», la domanda di Arthur è
un’esplicita accusa
all’assurdità appena dichiarata da Akashi.
Tuttavia
il capitano non sembra minimamente turbato dalla nostra
opposizione. Al contrario, senza perdere compostezza, condivide con
entrambi i
dettagli del suo piano, avanzando infine un’ulteriore
richiesta.
«Mi
rendo conto che la mia proposta suoni inaccettabile, tenendo
conto che sono proprio io il motivo per cui ci troviamo in questa
situazione ,
ma la mia priorità assoluta è la sicurezza di
Eiko». Il suo sguardo risoluto
incontra il mio. «Ecco perché vorrei chiederti il
permesso di coinvolgere anche
i ragazzi della squadra di basket. La loro partecipazione è
indispensabile per
tenerti al sicuro».
Coinvolgere
la squadra? È esattamente quello che ho cercato di
evitare fino adesso. Tuttavia un altro pensiero assilla
la mia
mente.
«Akashi,
come hai scoperto che è stata Aizawa a scrivermi le
lettere?».
Anziché
rispondere alla mia domanda,
Akashi raccoglie ancora una volta l’involucro giallo
contenente le fotografie e
da esso estrae una seconda busta, più piccola e
minuziosamente decorata, che
non avevo notato.
«Confronta
questa lettera con quella che
hai ricevuto questa mattina», mi esorta infine porgendomi la
carta.
Studio
per un attimo la busta colorata
fin quando la mia attenzione ricade sul nome del destinatario scritto
sul
retro.
«Questa
lettera è indirizzata a te»,
esclamo infine, rivolgendomi ad Akashi. «È
una…lettera d’amore?!». Sapevo che
Akashi gode di una certa popolarità tra le studentesse della
Teikō, ma
immaginavo che fra le sue ammiratrici ci fosse qualcuna tanto
coraggiosa da
dichiararsi. «Non posso leggerla. È troppo
personale».
«Desidero
che presti particolare
attenzione alla calligrafia. Tutto il resto è
irrilevante».
Irrilevante?
Come può definire i
sentimenti di una ragazza innamorata “irrilevanti”?
io sono forse l’ultima
persona a poter parlare, dato che non ho alcuna esperienza in questo
campo, ma non
trovo giusto umiliare in questo modo una sincera confessione
d’amore, anche se
non corrisposta. D’altro canto se Akashi considera questa
lettera “irrilevante”
per quale motivo l’ha conservata? Avrebbe potuto gettarla
via. Comunque è
inutile immischiarmi in faccende che non mi riguardano. Meglio restare
concentrata sulla mia situazione.
Come
suggeritomi da Akashi, inizio a
scorrere il contenuto l contenuto della lettera soffermandomi con
attenzione
sulla calligrafia. Mi basta leggere la prima riga per riconoscerla.
«Ma
è la stessa scrittura. Vuoi dire che
la stessa persona che da settimane minaccia di uccidermi ti ha scritto
questa
lettera?».
I
miei occhi si abbassano quindi sul
nome del mittente, riportato al termine del messaggio: Aizawa Yukiko.
Akashi
prende la parola, approfittando
del mio sgomento. «L’ho ricevuta qualche giorno fa
e ho notato subito la
somiglianza con la calligrafia delle lettere minatorie che hai
ricevuto.
Tuttavia, avevo bisogno di una prova concreta per affermare con
sicurezza che
Aizawa fosse l’autrice delle minacce».
Un
campanello suona improvvisamente
nella mia testa. Inizio quindi a frugare tra le fotografie
finché trovo quella
che stavo cercando, la foto incriminante. Nell’immagine si
vede infatti Aizawa
che, con fare circospetto e cauto, infila qualcosa
nell’armadietto delle mie
scarpe. Si tratta sicuramente di un biglietto minatorio. A questo punto
non ci
sono più dubbi sull’identità del mio
stalker. La gelosia di Aizawa nei
confronti di Akashi le ha fatto completamente fraintendere la mia
relazione con
il capitano della squadra di basket, facendomi diventare una sua rivale
in
amore. E a giudicare fino a che punto è disposta a spingersi
pur di eliminare
la concorrenza, dubito che mi ascolterebbe se provassi a spiegarle che
fra me e
Akashi non c’è assolutamente niente di quello che
pensa.
Eppure
qualcosa non mi quadra. Per quale
motivo ha preso di mira soltanto me? Satsuki e Mayumi trascorrono
insieme ad
Akashi molto più tempo di me, essendo manager della squadra
di basket,
soprattutto Satsuki che, da quanto so, aiuta e sostiene la squadra
già da tre
anni. Io, al contrario, mi sono avvicinata ad Akashi solo di recente e
fino a
poco fa non ci rivolgevamo nemmeno un saluto. Non avevamo alcun tipo di
rapporto. Allora perché? Possibile che Aizawa ce
l’abbia con me per qualcosa
che le ho fatto senza rendermene conto? Ma anche in questo caso, non
ricordo di
avere mai avuto nulla a che fare con lei prima di questa storia.
«So
di avertelo già chiesto», Akashi
interrompe le mie riflessioni. «ma non mi hai ancora dato una
risposta».
«A
che proposito?», domando seriamente
confusa. In questo momento non riesco a pensare ad altro se non al
motivo che
mi ha fatta finire nel mirino di Aizawa.
«Sei
d’accordo a mettere al corrente
della situazione anche i ragazzi della squadra?».
Ah,
giusto, ora ricordo. Akashi ha detto
di avere in mente un piano e che tale piano prevede la collaborazione
di Kise e
degli altri. Anche se adesso che so chi è il mio nemico,
anche se si tratta
solo di una ragazza delle medie, sono comunque preoccupata. Aizawa
è una
persona pericolosa e imprevedibile. Se messa con le spalle al muro,
potrebbe
decidere di aggredire anche Mayumi e Satsuki. Ma se il suo odio
è rivolto
esclusivamente a me, come spero, anche se dovesse finire
all’angolo e ripiegare
su una strategia disperata, io resterei il suo unico obiettivo,
l’unico vero
intralcio al suo amore.
«Accetto
solo se mi prometti che sarò
l’unica a dovermi esporre al pericolo. Qualunque ruolo
abbiano gli altri nel
tuo piano, dovrà garantire la loro sicurezza».
Avrei
preferito dettare le mie
condizioni in tono più risoluto, ma non posso fermare il
tremore che percorre
ora tutto il mio corpo. Nonostante questo, Akashi sembra avere apprezza
il mio
coraggio e la mia sincerità, accettando infine la mia
richiesta.
Una
volta raggiunto l’accordo, io e
Arthur trascorriamo il resto della mattina nello studio di Akashi,
ascoltando
con attenzione i dettagli del suo piano mentre il sole affretta la sua
scalata
in cielo.
***
All’imbrunire
del giorno, sono di nuovo a casa, nel mio letto.
Prima di potermi finalmente rilassare tra le lenzuola pulite,
però, ho dovuto
affrontare l’interrogatorio di Tatsuo e inventare sul momento
una scusa che
giustificasse la mia ferita alla testa. Come immaginavo, alla vista
della benda
sulla mia fronte, tutti i membri della mia famiglia si sono allarmati e
non è
stato semplice rassicurarli. Ho detto loro di essermi fatta male
durante la
lezione di pallavolo: mi sono tuffata per prendere la palla, ma non ho
visto il
palo della rete e vi ho sbattuto contro. Dati i miei precedenti e la
mia
naturale goffaggine, la bugia è suonata piuttosto credibile
anche se mi è valsa
una severa ramanzina da parte di Tatsuo.
«Ti
avevo detto che riprendere a frequentare le lezioni di
educazione fisica era una pessima idea. Se pensi che verrò
di nuovo a scuola
per convincere la tua prof. ad esonerarti, ti sbagli di grosso.
L’ultima volta
mi ha letteralmente trascinato in infermeria e ha cercato di saltarmi
addosso.
Mi vengono i brividi solo ripensarci», ha detto con il
terrore negli occhi e
una smorfia di disgusto sulle labbra.
A
scuola tutti sanno quanto la professoressa Fujioka sia alla
disperata ricerca di un uomo. Stando ai pettegolezzi, tutti gli uomini
che ha
frequentato fino adesso l’hanno alla fine lasciata per una
nuova fiamma. Dopo
l’ultima storia andata a rotoli ha deciso di saziare la
propria fame cacciando
prede più giovani, dalla carne più fresca. Fino
ad oggi, non avevo capito che
anche Tatsuo è stato costretto a difendersi
dall’audace attacco della
professoressa Fujioka, rischiando di diventare un suo trofeo di caccia.
Non oso
immaginare cosa abbia dovuto sopportare per il mio bene, ma di certo
gli sarò
grata per il resto della mia vita.
A
parte i rimproveri di mio fratello, che ancora una volta si
è
dimostrato essere il più protettivo e apprensivo, il ritorno
a casa è stato
abbastanza tranquillo e adesso posso finalmente godermi la calma e la
famigliarità della mia stanza. Poter dormire di nuovo nel
mio letto è
abbastanza per alleviare il dolore alla testa e sciogliere la tensione
nel mio
corpo. Queste ultime ventiquattro ore mi hanno caricata di emozioni
troppo
forti per essere smaltite in una sola notte. E resta sempre il fatto
che sto
mentendo alla mia famiglia riguardo ad Aizawa e al reale pericolo che
ho corso
ieri sera. Non credo che riuscirei a sopportare la loro reazione se
venissero a
sapere che qualcuno ha attentato alla mia vita. La quantità
di ansia da gestire
mi schiaccerebbe, ma soprattutto non potrei accettare di vedere
l’angoscia
negli occhi di mia madre o di mia sorella Naoko. Nonostante quello che
mi sta
succedendo, è un periodo sereno per la mia famiglia e non
voglio essere io a
spezzare lo loro felicità. Non ne ho il diritto.
Mi
giro su un fianco, cercando una posizione comoda sul
materasso. Mi raggomitolo nelle lenzuola, inspirandone il profumo
quando la
porta della mia camera si dischiude.
«Stai
già dormendo, Eiko?», Naoko fa capolino nella
stanza,
chiamandomi con la sua voce melodiosa.
«Non
ancora», le rispondo emergendo dalle coperte.
Naoko
si chiude la porta alle spalle e si avvicina al letto,
sedendosi infine accanto a me. Averla di nuovo al mio fianco,
così vicina, mi
fa istintivamente sorridere.
«Non
puoi immaginare quanto mi renda felice poter di nuovo
vedere il tuo sorriso», la mano di Naoko si stringe
affettuosamente intorno
alla mia.
«Mi
dispiace averti fatto preoccupare».
«Ciò
che conta è che tu stia bene,
nient’altro», mi risponde
scuotendo lievemente il capo. «Immagino non sia stato facile
per te».
«La
residenza degli Akashi è molto diversa dalla nostra e ad
essere sincera, mi sono sentita un po’ a disagio per tutto il
tempo. Non vedevo
l’ora di tornare a casa». Naoko accarezza
dolcemente i miei capelli e questo
basta a darmi la certezza che ho tutta la sua comprensione.
«Ad essere onesta,
però», riprendo, «Akashi ha cercato di
farmi sentire a mio agio. Pensa che
questa mattina ha perfino ordinato alla servitù di preparare
la mia colazione
preferita».
«Si
è preso molta cura di te», commenta Naoko,
mostrando
sollievo e gratitudine. «Dovremo assicurarci di
ringraziarlo».
Annuisco
con decisione, condividendo il suo pensiero. Un istante
dopo, un improvviso silenzio cala fra di noi dandomi il tempo di notare
l’espressione curiosa ma perplessa sul volto di mia sorella.
«C’è
forse qualcosa che ti turba?», la interrogo allora
preoccupata.
«Non
direi. Sono solo sorpresa. In realtà lo siamo tutti.
Nessuno di noi si sarebbe aspettato di ricevere una telefonata del
giovane
Akashi che chiedeva il permesso di ospitarti a casa sua per un intero
giorno».
Capisco
perfettamente cosa intende dire. E in qualche modo posso
visualizzare nella mia mente lo stupore di mia madre quando ha risposto
al
telefono. In fondo, prima di oggi, nessun membro della mia famiglia
aveva mai
interagito personalmente con i membri della famiglia Akashi.
«Avevo
intenzione di parlartene», confesso abbassando lo sguardo
imbarazzata. «La verità e che nelle ultime
settimane ho stretto amicizia con i
membri della squadra di basket, di cui Akashi è il capitano.
Fino ad oggi mi
sono sempre tenuta in disparte e non mi sono mai lasciata coinvolgere
da
nessuno. Ma all’inizio di quest’anno mi sono
ritrovata di nuovo in classe con
Mayumi e mi ha convinta ad assistere agli allenamenti della squadra.
Ah, non ti
ho detto che tra i miei nuovi compagni di classe
c’è anche Kise Ryouta, il
famoso modello, per cui Mayumi ha una cotta, e che anche Kise
è un titolare
della squadra di basket. È un ragazzo molto socievole ed
esuberante, proprio
come Mayumi e, prima che me ne rendessi conto, siamo diventati amici.
Grazie a
Mayumi, che adesso è diventata manager della squadra, ho
incontrato gli altri
membri del club di pallacanestro. Sono tutti ragazzi eccezionali e
all’inizio
avevo paura. Sono molto diversi da me, così pieni di
passione ed entusiasmo.
Perfino Akashi. Il fatto è che è successo tutto
così in fretta e neanch’io
riesco ancora a crederci ma…potremmo dire che loro sono i
miei primi amici».
Un
calore sale fino alle mie guance mentre pronuncio l’ultima
parola. Per una ragazza solitaria come me è imbarazzante
ammettere di avere
finalmente stretto delle amicizie. È una sensazione aliena, irriconoscibile, ma non
spiacevole.
Mentre
sono ancora persa nei miei pensieri, le braccia di Naoko mi
attirano a sé, accompagnando la mia testa al suo petto.
«Sono
orgogliosa di te, Eiko».
Forse
è perché desideravo sentire queste parole
più di qualsiasi
altra cosa, o forse è semplicemente il senso di colpa che
percuote la mia coscienza
bugiarda, ma calde lacrime rigano le mie guance mentre mi lascio
viziare per un
po’ dalle carezze di mia sorella, fino a quando i miei occhi
si chiudono in un profondo
sonno pacifico.
°°°
Nota
d’Autrice: Innanzi tutto mi scuso con tutti voi per
l’immenso
ritardo, ma sono in periodo di esami universitari e ho fatto del mio
meglio per
trovare sempre un po’ di tempo per scrivere. Questo capitolo
è abbastanza lungo
e sono quasi certa che lo saranno anche i successivi. Spero che questo
possa compensare
il fatto che pubblicherò con meno frequenza, ma la storia
andrà comunque avanti.
Non perdete la speranza! ^^ vi incoraggio sempre a condividere con me
le vostre
opinioni e vi abbraccio tutti.
Lady L. ; )
|
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Capitolo 20 *** Io non sono come te ***
ATTENZIONE:
In
questo
capitolo si menziona più volte il tema della morte.
Capitolo
9
“Io
non
sono come te”
La
suoneria del cellulare interrompe bruscamente il mio sonno,
avvisandomi che un nuovo giorno è iniziato. Ancora
intorpidita, mi sollevo dal
materasso. Porto una mano dietro la nuca e una calda umidità
bagna le mie dita.
Un velo di sudore ricopre la mia pelle e minuscole gocce di acqua
scivolano dal
mio collo fino all’incavo della gola. Un’intensa
agitazione pervade il mio
corpo mentre inizio a boccheggiare. Sento il cuore battere furiosamente
e nella
mia testa si addensano le ultime ombre di un incubo. Non ricordo cosa
ho
sognato, ma il sentimento di angoscia è ancora nitido e
pulsa dentro di me.
Martella nel mio petto e nel mio stomaco, nel mio cranio e nella mia
gola,
nelle mie braccia e nelle dita dei miei piedi. Avvicino le mani al viso
solo
per notare il forte tremore che mi impedisce di controllarle.
L’interno della
mia bocca è secco come un deserto africano e sulla lingua
percepisco un sapore
di acidità. Questa giornata non promette nulla di buono. Di
solito non sono una
persona che crede nelle premonizioni, ma il disagio che provo in questo
momento
potrebbe essere un campanello d’allarme. Un ammonimento a
rimanere a casa, al
sicuro. Potrebbe essere il mio istinto primordiale che urla per
mettermi in
guardia da un pericolo. E l’incubo sbiadito che aleggia nella
mia memoria
potrebbe essere una visione del futuro che mi attende. Ma cosa mi
aspetta
esattamente? Cosa ho visto nel mio sogno? Se non riesco a ricordare,
forse non
dovrei dare troppo peso alla questione. Forse è solo la mia
instancabile
paranoia che ancora una volta cerca di sedurmi con le sue illusioni.
Si, è
sicuramente così. Ho accumulato più stress di
quanto avessi creduto e adesso il
mio organismo sta tentando di disfarsene lasciando al mio subconscio il
compito
di gestirlo. È esattamente questo. Nulla di più.
Nulla di cui preoccuparsi.
Nulla a cui prestare attenzione. Nulla di cui preoccuparsi.
Nulla…
***
Arrivo
in classe poco prima del trillo della campanella. Mi
trascino fino al banco con passo fiacco e mi lascio cadere sulla sedia
come un
sacco pieno di farina.
«Hai
una cera orribile, Eiko. Che cosa è successo?».
Mayumi
compare al mio fianco, salutandomi con una smorfia di stupore.
«Questa
notte non ho dormito bene», le rispondo con voce
monotona e priva di energia. Sento ancora la bocca impastata e le
parole si
aggrovigliano fra i denti. Ruoto gli occhi verso di lei, notando
qualcosa di
insolito.
«Sei
piuttosto in ritardo questa mattina».
Mayumi
posa la cartella sul banco e si siede di fronte a me. «In
ritardo? Non direi. Sono a scuola da almeno un paio di ore. Questa
mattina
c’erano gli allenamenti della squadra di basket. A proposito,
che fine ha fatto
Kise? Ero sicura che stesse camminando dietro di me».
«Saaaafe!».
La
porta dell’aula si spalanca annunciando l’arrivo di
Kise. La
divisa in disordine, i capelli arruffati sulla testa e il volto esausto
sono
sicuramente opera delle sue ammiratrici. Come fanno ad essere
così energiche
già di primo mattino?
«Oh!
Eiko-cchi!!!».
Non
appena gli occhi d’ambra di Kise si accorgono di me, il sorriso torna sul
suo volto perfetto.
L’aria stremata e dimessa di pochi istanti fa è
presto – troppo presto – sostituita
da un nuovo, travolgente entusiasmo.
«Non
so perché, ma mi basta guardarti per sentirmi di nuovo
pieno di energia! Questa giornata non poteva iniziare meglio di
così!!!», le
sue lunghe braccia si stringono attorno alle mie spalle imprigionandomi
in un
vigoroso abbraccio.
«Ki-Kise,
così mi soffochi».
«Ah!
Scusami! Stai bene!?», Kise si allontana da me lasciandomi
respirare. Rispondo con un cenno del capo mentre si sistema nel banco
accanto
al mio. Mentre le mie attenzione sono ancora rivolte a lui, Mayumi
prende la
parola.
«Eiko,
sai forse se è successo qualcosa ad Akashi?».
«Perché
me lo chiedi?», la interrogo a mia volta.
«No,
niente. È solo che questa mattina, durante gli allenamenti,
sembrava molto più serio del solito. Ha anche chiesto ai
ragazzi, a me e a
Satsuki di raggiungerlo in palestra dopo le lezioni. Ha detto che aveva
qualcosa di urgente e importante da comunicarci. Ah, ovviamente ha
convocato
anche te».
Ovviamente.
Dopo tutto è proprio di me che vuole parlare. Quindi
vuole mettere in atto il suo piano il prima possibile. Vorrei poter
dire di
essere d’accordo con lui, ma sono ancora un po’
preoccupata. È davvero giusto
coinvolgere Mayumi e tutti gli altri? Anche se mi ha dato la sua parola
di
tenerli al sicuro, c’è sempre una minima
probabilità che le cose non vadano
come previsto e se dovesse accadere il peggio…
«Eiko?
Mi stai ascoltando?».
La
mano di Mayumi si posa sulla mia spalla, facendomi riemergere
dai miei pensieri.
«Si!
Si, ti sto ascoltando».
«Allora?
Non sai davvero niente?».
Deglutisco
pesantemente mentre osservo il sopracciglio destro di
Mayumi inarcarsi con sospetto.
«No,
non so niente, mi dispiace», non credevo che pronunciare
queste parole sarebbe stato così difficile, ma che scelta
ho? È meglio che sia
Akashi a rivelare la verità. Io non saprei da dove iniziare.
Delusa,
Mayumi sospira
sonoramente mentre la campanella dichiara l’inizio della
mattina.
***
Le
lezioni terminano, così come la giornata; sui volti dei miei
compagni di classe i segni della stanchezza o della noia lasciati dalle
estenuanti spiegazioni dei professori. Mayumi raccoglie i quaderni
inserendoli
nella cartella tra uno sbadiglio e l’altro. Neanche Kise
sembra essere in piena
forma e i suoi movimenti rallentati sono la prova della sonnolenza che
sta
cercando di sedurre il suo corpo. Io, al contrario, benché
non possa definirmi
completamente sveglia, mi sento ancora piuttosto attiva. Se non altro
abbastanza da accorgermi dei due ragazzi nel corridoio.
«Yo,
Eiko».
«Aomine.
Siete ancora qui?».
«Visto
che siamo tutti diretti in palestra, abbiamo pensato che
potevamo andare insieme», spiega rapidamente Kuroko.
«Mi
sembra un’ottima idea. Stavamo giusto per avviarci anche
noi», risponde Mayumi afferrando la cartella.
Mentre
camminiamo, la mia mente è distratta e non presta
attenzione ai discorsi dei ragazzi. Ad ogni passo l’ansia e
l’incertezza
crescono nel mio cuore. Come reagiranno alle parole di Akashi? Vorranno
ancora
essere miei amici? Che diritto ho di coinvolgerli? E se per colpa mia
qualcuno
finisse col farsi male? Come potrei giustificarmi davanti alla sua
famiglia? Ma
non è detto che accettino di aiutarmi. Giusto, anche se si
tratta di una
richiesta del capitano, possono sempre rifiutare. Devono rifiutare. In
tal caso
nemmeno Akashi potrebbe costringerli.
«Secondo
voi di cosa vorrà parlare Akashi-cchi di così
urgente?».
L’improvvisa
domanda di Kise mi fa sussultare.
«Non
lo so, ma lo scopriremo presto», risponde Aomine
spalancando la porta della palestra.
L’ampio
salone è illuminato a giorno ma, oltre a noi, non vi
è
nessun altro.
«Dov’è
Akashi?», pronuncia Mayumi, dando voce a tutti i nostri
pensieri. «Visto che è stato lui a chiederci di
venire, dovrebbe essere già
qui».
«Akashi
arriva subito».
La
voce squillante di Momoi si alza alle nostre spalle. Le sue mani
stringono un plico di fogli considerevolmente spesso.
«L’allenatore
lo ha trattenuto, ma dovrebbe essere qui a
momenti».
«Un’altra
riunione?», domanda Mayumi.
Momoi
annuisce, massaggiandosi la base del collo intorpidita.
Essere l’assistente dell’allenatore sembra un
lavoro più faticoso di quanto
appaia. Al suo posto avrei sicuramente rinunciato dopo il primo giorno.
Molto
presto anche Midorima e Murasakibara si uniscono al
gruppo, convocati dal capitano, mentre di Akashi non si vede neanche
l’ombra.
Forse
gli è successo qualcosa? Un sospetto agghiacciante mi
balena in testa? E se il sogno della scorsa notte avesse voluto
avvisarmi
proprio di questo? Non è possibile. Non deve accadere.
Aizawa non ha motivo di
prendersela con Akashi perché sono solo io la persona che
odia. Ma devo
accertarmene di persona.
Le
mie gambe si mettono in moto e mi guidano verso la sala
professori, dove dovrebbe trovarsi Akashi. Dietro di me sento le voci
di Mayumi
e Satsuki diventare sempre più lontane e infine tacere. Come
ho potuto essere
così ingenua? Aizawa è pericolosa e folle. Lo
sapevo fin dall’inizio. Akashi
non è mai stato al sicuro. Nessuno dei miei amici lo
è. È stato un errore
coinvolgerli. Spero solo di arrivare in tempo.
Salgo
la rampa di scale avanzando due gradini alla volta. Il
desiderio di salvare Akashi è l’unica forza che
muove le mie gambe pesanti. Raggiunta
la cima della scalinata i miei occhi scorgono l’allenatore
della squadra di
basket mentre si appresta a lasciare la stanza.
«Professore!»,
la mia voce esplode in un’eco che si propaga per
il corridoio solitario.
«Wadsworth?
Non lo sai che non si corre per i corridoi?».
«Dov’è
Akashi?», lo interrogo, ignorando il rimprovero. Il mio
respiro è affaticato e per un attimo la figura del
professore perde nitidezza.
No, non devo svenire.
«Akashi?
Se stai cercando Akashi si è già incamminato
verso la
palestra. Mi aveva chiesto il permesso di usarla per una riunione
straordinaria
con i ragazzi della squadra».
«Ne
è sicuro? Mentre venivo qui non l’ho
visto».
«Non
saprei. Avrete preso due strade diverse. In fondo ci sono
tanti modi per raggiungere le palestre».
Non
va bene. Ad ogni secondo che trascorre la paura cresce, così
come la mia disperazione. L’unica cosa che posso fare
è ritornare indietro
percorrendo una strada diversa. Se sono fortunata, forse lo
raggiungerò. Mentre
riprendo a correre per la scuola, infilo una mano nella tasca della
gonna
cercando il cellulare: devo avvisare Mayumi e gli altri
perché si mettano alla
ricerca di Akashi.
«Eiko,
ma
dove sei finita?»,
Mayumi risponde immediatamente alla telefonata.
«Akashi
è in pericolo! Non riesco a trovarlo da nessuna
parte!»,
sono le prime parole che escono dalla mia bocca.
«Che
stai
dicendo? Akashi è appena arrivato e dovresti tornare anche
tu».
«Cosa
hai detto?». I miei piedi si fermano, inchiodando la mia
corsa sfrenata. «Sei sicura? È davvero
lì con voi?».
«Si,
è
qui. Insomma, Eiko, che ti prende? Perché sei
così agitata?».
Akashi
sta bene? Per fortuna i miei timori erano infondati. La
mia mano si abbassa e il pollice interrompe la chiamata. Sollevata,
collasso
sul pavimento per riprendere fiato. Mi sto lasciando condizionare
troppo dal
mio sogno. Akashi è troppo intelligente per cadere in una
trappola di Aizawa. È
evidente che oggi sono più paranoica del solito. Devo
calmarmi o farò solamente
preoccupare i miei amici. Farò meglio a ritornare prima che
Akashi pensi che mi
sia davvero successo qualcosa.
Mi
sollevo scuotendo la polvere dalla gonna e mi incammino verso
la palestra. La scuola è silenziosa, ma io sono troppo
impegnata a reprimere
l’agitazione che mi domina per prestare attenzione. Cammino
assorta nei miei
pensieri, combattuta tra i miei sentimenti, rimuginando
sull’assurdità di
questa situazione. Prima di accorgermene, sono di nuovo
all’esterno, nel
cortile posteriore della scuola, che conduce ai club sportivi. A
quest’ora non
si vedono studenti in giro e i campi di allenamento giacciono
nell’oscurità. Le
uniche luci che brillano nel paesaggio serale sono quelle della
palestra.
Affretto perciò il passo, avvertendo di nuovo una profonda
ansia. Il fruscio delle
mie scarpe sul terreno riempie le mie orecchie e amplifica il silenzio
che mi circonda.
All’improvviso sono costretta a
fermarmi: il mio respiro si spezza in brevi e rapide boccate mentre il
cuore
inizia a pulsare frenetico. Conosco questa sensazione, è la
stessa di questa
mattina. Un sudore freddo scivola dalla mia fronte, bagnandomi le
sopracciglia.
Ordino al mio corpo di riprendere a muoversi ma si rifiuta di
ubbidirmi. Resto
immobile, osservando il profilo della palestra che si staglia davanti a
me. Perché
mi sono fermata? Che cosa mi sta succedendo? Mi sento strana. Che
cos’è questa
forza che spinge dal fondo della mia mente per emergere? No, non
è una forza.
Sembra più una voce. È fredda e cinica.
È impaziente e irritata. Risuona nel
mio cervello facendo vibrare il mio cranio. Il dolore è
insopportabile. Cado
sulle ginocchia prendendo le tempie fra le mani. Vorrei urlare per
chiamare aiuto,
ma la mia voce si rifiuta di uscire. Anzi, è come se venisse
risucchiata nella
gola, per sprofondare nello stomaco. Sento che sto per perdere
conoscenza.
«Ciao,
Eiko».
Un
nuovo suono si leva alle mie spalle. È una voce femminile.
La
riconosco. Piegata dal dolore che tormente la mia testa, mi volto
indietro.
Aizawa. La ragazza che ha promesso di punirmi, che ha minacciato di
uccidermi,
è ora in piedi di fronte a me; la sua minuta figura velata
dalla penombra della
sera.
«È
lei?».
Una
seconda voce, maschile, spezza il silenzio. Aizawa non è
sola. Due ombre la accompagnano e sembrano emanare un’aura
minacciosa. Che si
tratti di due studenti? Due complici di Aizawa? È troppo
buio per vedere i loro
volti.
«Sei
sicura di volerlo fare?», l’ombra sulla sinistra si
rivolge
ad Aizawa.
I
miei occhi scorrono su di lei. Non posso leggere
l’espressione
sul suo viso ma sono quasi certa che stia sorridendo con malizia, o
almeno così
mi suggerisce la sua voce.
«È
la giusta fine per un rifiuto come lei».
Le
sue parole sono cariche di veleno e di eccitazione. Sono
parole di compiaciuta perfidia. Eppure non mi spaventano. In questo
momento non
ho paura di Aizawa, né di quello che potrebbe farmi. Il mio
terrore scaturisce
invece dall’interno del mio stesso corpo. Nella mia testa si
addensano pensieri
sadici, immagini di pura crudeltà, desideri nati da una
insana perversione.
Questa non sono io. Non posso essere io.
Chi
diavolo sei? Esci dalla mia testa!
«L’unica
che deve togliersi dai piedi sei tu».
Di
nuovo quella voce. Sto forse impazzendo?
Una
fitta potente come una scarica elettrica attraversa il mio
cervello facendomi piegare sul terreno. Apro la bocca solo per emettere
un
grido muto. Perché non riesco ad urlare?
«Che
cosa le prende? Aizawa, che cosa facciamo?».
«Ci
atteniamo al piano, idiota».
«Ma…».
«Niente
ma. Vi ho pagati per terminare il lavoro».
Mentre
il mio corpo si contorce nel dolore, i complici di Aizawa
iniziano a mostrare incertezza.
«Che
cosa fate lì impalati? Prendetela!», ordina Aizawa.
I
due ragazzi si chinano su di me e mi sollevano con forza,
trascinandomi all’interno della scuola. Sono troppo debole
per respingerli. Il
dolore ha prosciugato tutte le mie energie. Non riesco più a
distinguere le
voci dei miei rapitori. Che cosa posso fare?
«Te
l’ho
detto. È arrivato il momento che tu ti faccia da
parte».
Ancora
quella voce? Non so a chi appartenga, ma sembra sentire i
miei pensieri. Continua a dirmi di farmi da parte, ma cosa vuol dire?
Più mi
sforzo di riflettere, più sento la mia coscienza
affievolirsi. Se adesso
perdessi i sensi sarei alla completa mercé di Aizawa. Non
posso svenire.
«Smettila
di opporre resistenza e levati di mezzo. Ho aspettato anche fin
troppo».
Come
posso fidarmi? Non so chi sei. Come sei entrata nella mia
testa?
«Non
ci
sono entrata. Sono sempre stata qui».
Che
cosa vuoi dire? Chi sei?
«Sono
l’unica persona che può toglierti da questo
casino».
Davvero?
E come pensi di fare?
«Questo
non ti riguarda. Una nullità come te non dovrebbe fare
domande. Ti trovi in
questa situazione perché hai voluto fare di testa tua. Se mi
avessi lasciato
fare a modo mio fin dall’inizio tutto questo non sarebbe
successo. Sei un’incapace.
Mi sono stancata di assecondarti. Da adesso prendo io il
comando».
Comando?
Si può sapere chi sei e cosa vuoi da me?
«Sparisci!».
«Che
diavolo succede, adesso?».
«Non
lo so. Si è messa a urlare
all’improvviso».
Per
un attimo riesco di nuovo a percepire il mondo intorno a me.
Il mio corpo è ancora pesante. La vista non è
limpida ma sono sicura di essere
all’interno della scuola. Probabilmente i due complici di
Aizawa mi hanno trascinata
fino a qui mentre ero svenuta. Quello che non capisco è
perché si siano fermati
all’improvviso. Con gran fatica sollevo la testa e
un’ombra si abbassa fino al
livello dei miei occhi, contrariata e piena di irritazione.
«Che
cosa hai detto?».
Il
viso rotondo di Aizawa prende lentamente forma a pochi
millimetri dal mio naso. Le sue sopracciglia sono piegate in
un’espressione di
puro odio. Solo allora ricordo: la mia voce ha infine abbandonato le
profondità
della mia gola per irrompere all’esterno. Probabilmente
Aizawa ha creduto che
stessi parlando con lei. Ma non ho il tempo di spiegarmi. Con una mano
afferra
i miei capelli facendomi piegare la testa indietro.
«Come
osi ordinarmi di sparire? Non sei che un inutile rifiuto.
Non montarti la testa solo perché Akashi-sama ti ha rivolto
la parola».
Il
disprezzo nelle sue parole è la prova dell’odio
che nutre
verso di me.
Non
avrei dovuto cercare di cambiare. Non avrei dovuto cercare
di diventare qualcuno che non sono. Non avrei dovuto essere egoista e
presuntuosa.
Non si può cambiare la realtà. Io sono Eiko
Wadsworth. Sono una ragazza
solitaria, senza ambizioni, insicura e introversa. Sono passiva e non
amo
rincorrere sogni impossibili. Sono il tipo di persona che passa
inosservata, di
cui nessuno si accorge. Sono mediocre in tutto quello che faccio e non
ho
talenti. Ma, soprattutto, non ho rimpianti. Ho accettato fin da subito
la mia
mediocrità e ciò mi ha permesso di trovare un
posto in questo mondo. Perché allora ho pensato
di poter cambiare? Una
pecora non diventerà mai un lupo.
Amici?
Sogni? Speranze? Desideri? Da quando ho iniziato a
interessarmi a queste cose? Da quando ho deciso di ignorare il buon
senso per
correre dietro alle illusioni? È vero. È solo
colpa mia se ora mi trovo in
questa situazione.
«Finalmente
l’hai ammesso».
Non
so chi tu sia, ma avevi ragione. Peccato solo che sia troppo tardi per
tornare
sui miei passi.
«Non
è troppo tardi».
Si
che lo è. Sono senza forze e tra poco perderò di
nuovo i sensi. A quel punto,
Aizawa potrà fare di me ciò che vuole.
«Non
se ti fidi di me».
Fidarmi
di te? Vuoi che ti ceda questo mio corpo debole e vulnerabile? A che
scopo?
«Io
non sono come te.
Io non sono debole».
Forse.
Ma loro sono in tre e tu saresti da sola.
«Ti
cosa ti preoccupi?
Non hai forse deciso di arrenderti?».
Arrendermi?
È vero che ho deciso di smettere di lottare per cambiare, ma
non voglio che
Aizawa l’abbia vinta. Una sconfitta del genere sarebbe troppo
umiliante persino
per me.
«Allora
vogliamo la
stessa cosa».
Perché
mai dovresti aiutarmi?
«Non
ho mai detto di
volerti aiutare. Io non sono tua amica e non ho intenzione di
diventarlo».
Allora
perché sei venuta da me?
«Perché
tu sei debole».
Vuoi
dire che se ti lasciassi prendere il mio corpo potresti tirarmi fuori
da questa
situazione? Potresti punire Aizawa per avermi minacciata?
«Farei
molto di più.
Farei ciò che tu non avresti mai il coraggio di
fare».
Non
puoi farlo!
«Tu
non puoi, ma io
si».
Commetteresti
un crimine!
«Preferisci
allora che
sia Aizawa a commetterlo? Sei davvero pronta a morire?».
Io…
io non lo so. Sono stata egoista, è vero. Ho provato a
cambiare ciò che sono e
forse è giusto che paghi. Però…non
posso accettare che Aizawa la passi liscia.
D’altro canto non saprei come fermarla. Sono completamente
sola e senza forze.
Non riesco più a sentire il mio corpo.
«Mettetela
sulla sedia e legatela stretta».
«Ma,
Aizawa, è ancora cosciente».
«Non
importa. Vorrà dire che la ucciderò con un unico
colpo, invece di farla
soffrire. Per sicurezza, però, chiudetele la bocca in modo
che non possa urlare».
Non
so neanche dove mi trovo. Non ho mai visto questa stanza. Sono davvero
destinata a morire così? Se avessi creduto al sogno di
questa mattina, le cose
sarebbero andate diversamente? Andrebbero diversamente che riuscissi a
salvarmi? Tornerei di nuovo ad essere la vecchia Eiko senza amici?
Adesso che
so cosa si prova, sarei davvero capace di rinunciare a Mayumi, a
Satsuki, ad
Akashi e a tutti gli altri? Perché sono così
insicura? Perché sono così debole?
Qual è la cosa giusta da fare?
«Lo
sai qual è. Lascia
che me ne occupi io».
Non
posso. Sento che tu sei più pericolosa di Aizawa.
«Tu
hai bisogno di me! Non
hai altra scelta! Se non vuoi farti da parte, mi prenderò il
tuo corpo e il tuo
tempo con la forza».
Che
cosa… No, smettila! Fa male!
«Aizawa!».
«Ma
che diavolo…? Non le ho ancora fatto niente. Tenetela
ferma!».
Fa
male! Fa troppo male! Esci dalla mia testa! Non posso fidarmi di te.
«È
inutile resistere.
Te l’ho detto. Io non sono come te. Io non sono
debole».
«Aizawa,
non riusciamo più a trattenerla!».
«Com’è
possibile che due ragazzi non riescano a tenere a bada una stupida
ragazzina?
Siete degli incapaci! Tenetele la testa. Non so a che gioco tu stia
giocando, Eiko,
ma con me non funzionerà. Ti avevo avvertita di stare alla
larga da Akashi-sama».
«Aizawa,
quello è…».
«È
solo un anestetico che ho rubato dall’infermeria».
Non
posso svenire adesso. Non devo.
«A
quanto pare non avrò
bisogno di usare le maniere forti. Mi basterà aspettare che
l’anestetico faccia
effetto».
Non
ti lascerò prendere il mio corpo.
«Non
hai scelta. Tu sei
debole. Ah! Ah! Ah! Finalmente. Le cose sarebbero dovute andare
così fin
dall’inizio. Una volta che avrò il totale
controllo del tuo corpo farò ciò che
tu non hai avuto il coraggio di fare».
Non
lo permetterò. Non ti lascerò commettere un
crimine usando la mia faccia.
«Ipocrita!
Sappiamo
benissimo entrambe che è quello che vuoi anche tu».
Non
è vero!
«Si che lo
è. Altrimenti perché avresti
ignorato l’avvertimento di Aizawa sapendo che sarebbe
successo tutto questo?
L’hai fatto perché volevi un pretesto.
Perché sei troppo codarda per seguire i
tuoi veri desideri».
Ti
sbagli. Io non ho mai desiderato la morte di nessuno.
«Smettila
di mentire!
Mi fai vomitare. Se solo non fossimo costrette a condividere lo stesso
corpo…».
Che
intendi dire?
«Non
l’hai ancora
capito? Sei più stupida di quanto credessi. Bhe, non ha
importanza.
L’anestetico sta già facendo effetto. Tra pochi
secondi potrò finalmente prendere
possesso del tuo corpo. Il tuo momento è giunto al termine,
Eiko. Da adesso in
poi, il tuo tempo appartiene a me».
°°°
Nota
d’Autrice:
Ciao
ragazzi. Ritorno dopo tanto tempo con un nuovo, importante capitolo. Un
capitolo
che segna il primo punto di svolta all’interno della storia e
spero sia
riuscito a catturare la vostra curiosità. Vi ringrazio per
avermi seguita fino a
questo punto. Vi abbraccio tutti e vi auguro un buon fine settimana. ^^
|
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Capitolo 21 *** Non voglio sparire ***
ATTENZIONE:
In questo capitolo alcuni personaggi fanno uso
di un linguaggio offensivo, ma non necessariamente volgare. Si menziona
inoltre
il tema dell'omicidio.
Capitolo
10
“Non
voglio sparire”
Questa
sensazione. La sensazione di avere finalmente un corpo e
poterlo sentire. Quanto ho dovuto aspettare? Per quanto tempo sono
rimasta intrappolata?
Ma adesso che sono libera non
tornerò più laggiù. Il mio posto
è qui, nel mondo reale. Perché io e soltanto
io sono reale. Questo corpo è mio di diritto. Questa vita
è mia. Non
condividerò il mio tempo con nessun altro.
Ah,
giusto. Prima però devo occuparmi di questi inutili rifiuti.
Il mio primo giorno fuori di prigione non poteva offrirmi di meglio.
Com’è che
si chiamava la ragazza? Aizawa? Aah, chi se ne importa? Qualunque sia
il suo
nome, una volta che avrò finito con lei, non saranno
comunque in grado di
riconoscerla.
«Aizawa,
si sta svegliando».
«Che
diavolo dici, idiota? Le ho dato abbastanza anestetico da
addormentare un cavallo. Semmai dovrebbe essere morta!».
Dove
pensi di mettere quelle schifose mani? Solo perché quella
buona a nulla ha avuto il controllo di questo corpo fino adesso, credi
forse di
potermi toccare dove ti pare?
«Come
fai ad essere sveglia? Rispondi! Che trucco hai usato?!»
«A-Aizawa,
forse è meglio lasciar perdere. Io non credo che sia
una buona idea».
«Lo
credevi anche questa mattina, mentre prendevi i miei
soldi?».
«Se
è solo questo il problema, puoi riprenderteli i tuoi
soldi».
«Satō,
aspetta, non vorrai lasciarmi da solo in questo casino?».
«Mi
dispiace, Morikawa, ma la faccenda ci sta sfuggendo di mano.
Aizawa ha detto che sarebbe stato un lavoro rapido ma…
questo è troppo!».
«Vuoi
piantarmi in asso, codardo?».
«Io
sarò anche un codardo, ma tu hai dei seri problemi,
Aizawa».
«Se
tu te ne vai, Satō, allora lascio anch’io. Non ne vale la
pena. Trovati qualcun altro, Aizawa».
«Non
avrei dovuti fidarti di spazzatura come voi, ma non posso
lasciarvi andare».
Aaaah,
no, no, no, no, no. Non ci pensare neanche. Non sono
rimasta qui a guardare per farmi fregare il divertimento proprio sotto
il naso.
«Guardate!
Come ha fatto a liberarsi? Eppure ero sicuro di aver
stretto le corde al massimo».
Si,
esatto. È proprio questa l’espressione che volevo
vedere.
Comunque, persino un bambino sarebbe riuscito a liberarsi. Quasi quasi,
non c’è
neanche gusto a prendersela con nullità del vostro calibro.
«Che
cosa state aspettando? Catturatela!».
Tipico
dei parassiti: lasciare che siano gli altri a fare il
lavoro sporco. Al contrario, è decisamente meglio sporcarsi
le mani di persona.
Trovo che dia maggiore soddisfazione. Penso di essermi riposata
abbastanza.
Sono riuscita a smaltire quasi tutto l’effetto
dell’anestetico. E poi, non
posso lasciare che quel parassita di Aizawa si diverta da sola.
«Do-Dove
pensi di andare, Wadsworth?».
Da
nessuna parte. Dopotutto, la festa è appena iniziata.
«Che
cosa vi prende? Perché vi siete fermati?».
«C’è
qualcosa di strano, Aizawa. Questa
ragazza…sembra…diversa».
«Morikawa
ha ragione. C’è qualcosa di diverso nei suoi
occhi».
Non
vi ho ancora fatto niente e state già tremando?
Così non è
divertente. In fondo, mi sono solo alzata dalla sedia.
«Non
indietreggiate! È solo una ragazza!».
Esatto.
Non starete mica pensando di scappare, eh? Ah, come se
poteste farlo. Forse sarà meglio sistemare prima i due
ragazzi, così poi potrò
prendermi il mio tempo con Aizawa.
«N-Non
ti avvicinare. S-Stai lontana da me, mostro!».
«Mostro?
Io? Non nego che possiate avere ragione, ma pensate di
essere diversi, voi? Fino a un attimo fa parlavate di come togliere di
mezzo quella
buona a nulla di Eiko».
«Mi
prendi in giro? Credi forse di spaventarmi?».
«Aizawa,
che cosa vuoi fare?».
«Non
ti immischiare, Morikawa! Non capisci? Sta solo fingendo.
Il suo non è che un patetico tentativo di salvarsi, ma io
non mi lascio ingannare!
Non so come hai fatto a resistere all’anestetico, ma ti
assicuro che non
uscirai viva da qui. Lo sapevo che stavi nascondendo qualcosa. Ti sei
avvicinata ad Akashi-sama perché volevi averlo tutto per te,
confessa! Questa è
la tua vera natura. Per tutto questo tempo non hai fatto che
fingere!».
«Akashi?
Ah, il capitano della squadra di basket. Quel tipo non
mi interessa affatto. Io e lui siamo troppo simili per andare
d’accordo. Ma
forse tu stavi parlando di quella buona a nulla di Eiko. Io e
quell’incapace
non abbiamo niente in comune, se non questo corpo. Ma adesso che sono
libera
non dovrò più dividerlo con lei. Eiko non
tornerà più».
«Cosa
stai dicendo? Sei tu Eiko! Perché continui a parlare in
terza persona? Non sei mica una bambina».
«Ti
ho detto di non associarmi a quella perdente. Io non sono
affatto come lei. Io non sono debole».
«Aizawa,
andiamo via. Questa ragazza è pericolosa. Non mi piace
il suo sguardo».
«Non
vi azzardate a muovere un solo passo o vi ammazzo! Pensate
di poterla passare liscia? Ormai voi siete miei complici.
L’avete dimenticato?
Siete stati voi a trascinare Eiko fino a qui e a legarla. Siete
colpevoli
quanto me».
«Ti
sbagli! Tu hai cercato di ucciderla con quell’anestetico.
Noi non abbiamo fatto niente».
«Quanto
siete ingenui. A chi pensate che crederanno i
professori? A due reietti, due teppisti falliti come voi o a una
studentessa
onorevole come me? Per quale motivo pensate che abbia scelto proprio
voi per
questo lavoro?».
«Non
ci credo… ci hai usati!».
«La
colpa è solo vostra. Vi siete lasciati comprare dal mio
denaro perché siete dei rifiuti».
Gli
esseri umani sono tutti uguali. Finché credono di potersi
salvare, sarebbero pronti a fare qualsiasi cosa. Sono deboli e facili
da
manipolare. Sono spazzatura. Ma è proprio per questo che
è divertente
tormentarli. Basta una parola per confonderli, per dare loro speranza o
per
distruggere quella stessa speranza. Alla fine si preoccupano solo di se
stessi,
perché è nella loro natura. Sono disgustosi ma
è proprio la loro perversione,
la loro ipocrisia a renderli interessanti. Visto che ne ho la
possibilità,
dovrei divertirmi un po’ con loro.
«Voi
due. Si, voi ragazzi. Ho una proposta».
«U-Una
proposta?».
«Il
tuo nome è Satō, giusto?».
«Si»
«E
tu, invece, sei Morikawa».
«E-Esatto».
«Da
quel che vedo, vi trovate in una brutta situazione. Aizawa ha
approfittato di
voi senza farsi alcuno scrupolo e, da quando mi sono svegliata, non ha
fatto
che offendervi. Si è presa gioco di voi e vi ha coinvolti
nel suo crimine. Se
si venisse a sapere che cosa è successo in questa stanza,
sareste soltanto voi
a pagarne le conseguenze. Quello che ha detto Aizawa probabilmente
è vero. I
professori non vi crederebbero e vi consegnerebbero alla legge. Anche
se siete
minorenni, verreste ugualmente puniti
e
condannati, mentre lei continuerebbe a venire a scuola come se nulla
fosse. Nemmeno
io trovo che sia giusto. In fondo la vostra unica colpa è
stata cadere nel suo
inganno».
«S-Si,
è vero. È andata così. Noi non abbiamo
fatto niente di male. Giusto, Satō?».
«Bhe…
ti abbiamo legata al quella sedia, ma non avevamo intenzione di
ucciderti
veramente. Abbiamo accettato solo perché pensavamo che
Aizawa volesse
spaventarti un po’».
«Ma
certo, lo so benissimo. Ecco perché non trovo giusto che
siate voi ad essere
puniti».
«Taci,
sgualdrina! Ho capito cosa stai cercando di fare. Satō, Morikawa, non
ascoltatela. Sta solo cercando di confondervi per salvarsi».
«E
tu invece, Aizawa, cosa stavi cercando di fare? Non volevi forse usare
questi
due ragazzi e sacrificarli al tuo posto? Satō, Morikawa, pensateci
bene. Che
male vi ha fatto Eiko? Voi non avete nulla contro di lei, dico
bene?».
«In
effetti, prima di oggi non ti abbiamo mai rivolto la parola».
«Esatto.
Quindi non avete alcun motivo per farle del male. Eiko è
sicuramente una buona
a nulla, ma non ferirebbe nessuno intenzionalmente. Non ne avrebbe il
coraggio.
La verità, ragazzi, è che siete stati trascinati
nella vendetta di Aizawa.
Nella sua gelosia. Siete anche voi delle vittime».
«Sta’
zitta, sgualdrina! Sei soltanto un rifiuto. Non meriti di
vivere».
«Sgualdrina.
Rifiuto. L’unica cosa che sai fare è offendere, ma
posso capirti. Il vero
motivo per cui odi così tanto Eiko è
perché sei invidiosa. Perché sai di essere
un’incapace. Per tutto questo tempo ti sei limitata a
guardare Akashi da
lontano perché non avevi il coraggio di avvicinarti a lui.
Una buona a nulla
come Eiko, invece, non solo gli ha rivolta la parola, ma è
riuscita a
conquistare la sua fiducia e la sua amicizia. E questo ti ha costretta
ad
ammettere la tua inferiorità».
«Che
diavolo ne sai di me?! E comunque, se fossi in te non farei tanto la
spaccona.
Ti ricordo che sei sola e che io sono armata».
«Il
coltellino? Si, l’ho visto, ma ti dirò una cosa:
non avrai occasione di usare
quella lama su di me. Ecco la mia proposta, ragazzi. A questo punto
è evidente
che Aizawa cercherà di scaricare il suo crimine su di voi, a
meno che voi non
le impediate di parlare».
«E
come possiamo fare?».
«Uccidendola».
«Sei
impazzito, Satō! Vuoi davvero ammazzarla?!».
«Perché
no? Se non la mettiamo a tacere, prima o poi andrà dai
professori e noi saremo
accusati di un crimine che non abbiamo commesso».
«Ma
se la uccidiamo, diventeremo davvero dei criminali!».
«Di
questo non dovete preoccuparvi. In questa stanza ci siamo solo voi,
Aizawa, e
io. Ad essere sincera sono arrabbiata quanto voi e voglio vendicarmi.
Aizawa
stava progettando di uccidermi e non è giusto che la passi
liscia. Se ci diamo
una mano a vicenda, nessuno di noi si farà male. Nessuno a
parte Aizawa, ovviamente.
Voi fate ciò che ritenete giusto e io vi prometto che non
una sola parola
uscirà dalla mia bocca. Di me potete fidarvi. Sono dalla
vostra parte».
«Non
ascoltatela. È una bugiarda! Vi sta mentendo!!
Se mi aiuterete ad ucciderla, vi pagherò il
doppio. No, il triplo».
«Sei
davvero patetica. Stai ancora cercando di comprarli? Pensi davvero che
questi
due ragazzi siano così stupidi da cedere ancora alla
tentazione del denaro?».
«Infatti.
Aizawa, tu hai cercato di approfittarti di noi e se adesso ti
lasciassimo
andare ci tradiresti alla prima occasione. Se c’è
qualcuno di cui non possiamo
fidarci, quella sei tu».
«Sono
d’accordo con Morikawa. Non possiamo rischiare che tu vada a
denunciarci alla
polizia. Va bene, Wadsworth. Se giuri di non parlare, ci occuperemo noi
di
sistemare Aizawa una volta per tutte».
«Sei
sicuro, Satō?».
«Non
abbiamo scelta, Morikawa. Se non la togliamo di mezzo adesso, saremo
noi ad
essere sacrificati».
«Il
tuo amico ha ragione, Morikawa. Sareste solamente voi due a finire
dietro le
sbarre. Non preoccupatevi, avete la mia parola assoluta. E comunque io,
a
differenza di Aizawa, non avrei alcun motivo di fare la spia. Non mi
gioverebbe
a niente».
«Questo
è vero… D’accordo. Non credo che ci
siano problemi. Nessuno ci ha visti entrare
qui. Se facciamo attenzione, nessuno verrà a
saperlo».
«Non
vi avvicinate o vi ammazzo!!! È tutta colpa tua,
Eiko!».
«Non
addossarmi colpe che non merito, Aizawa. Io ho semplicemente detto che
avrebbero dovuto trovare un modo per non farti parlare. Li ho solamente
incoraggiati a fare la cosa giusta. Ma sono stati loro a decidere quale
fosse
la cosa giusta da fare. Quella di toglierti di mezzo è stata
una conclusione a
cui sono giunti da soli».
«Proprio
così, Aizawa. Questa ragazza non c’entra niente,
non prendertela con lei. Anzi,
se non fosse stato per le sue parole, sia io che Morikawa saremmo
caduti nel
tuo tranello».
«Idioti!
Non capite che state facendo il suo gioco perverso?».
«Sei
tu a non capire, Aizawa. Se non ti fermiamo, qualcun altro
finirà col credere
alle tue bugie. Come hai detto tu stessa, anche se andassimo a
raccontare tutto
ai professori, non ci crederebbero, ma solo perché fino a
questo momento sei
stata capace di nascondere la tua vera natura».
«Adesso
che sappiamo chi sei veramente, non possiamo lasciarti andare. Tu non
sei
normale, Aizawa. Hai provato ad uccidere questa ragazza solo per
gelosia! Hai
dei problemi».
«Voi
non siete migliori! Non appena vi è stata offerta una
scappatoia, non avete
esitato a rivoltarvi contro di me».
«Sei
stata tu ad ingannarci per prima. Wadsworth ci ha soltanto aiutati ad
aprire
gli occhi. Morikawa, sbarra la porta!».
«Subito».
«Mi
spiace che tu debba assistere alla scena, Wadsworth, ma non possiamo
rischiare
che Aizawa scappi».
«Oh
non preoccupatevi per me. Aspetterò in
quell’angolo che abbiate finito».
Si,
aspetterò che abbiate finito di intrattenermi.
***
È
durata meno di quanto sperassi. Devo però ammettere che
Aizawa mi ha stupita:
non credevo sarebbe riuscita a tenere testa a due ragazzi. Immagino che
il suo
spirito di sopravvivenza fosse più forte del suo odio verso
quella buona a
nulla di Eiko. In ogni caso, farò meglio a lasciare questo
posto prima che
arrivi qualcuno. Ah, già, devo pulire la mia divisa, non
posso uscire così.
Questa stanza ha tutta l’aria di essere un magazzino. Se
guardo in giro forse
troverò qualcosa per lavare via queste macchie.
«Eiko!
Dove sei?!».
Accidenti.
Mi hanno già trovata? E va bene, cambio di programma.
«Sono
qui! Aiutatemi!».
«Eiko!
Satsuki, presto, chiama gli altri! L’ho trovata! Va tutto,
bene amica mia, non
preoccuparti».
Questa
ragazza deve essere Mayumi. Per ora mi fingerò quella buona
a nulla di Eiko.
Meglio non aggravare la situazione.
«Ma-yumi?».
«Si,
Eiko, sono io. Sono qui. Che cosa ti è successo? Sei
ferita?».
«Mayumi,
dov’è Eiko!».
«Satsuki!
E’ qui, ma credo che sia ferita».
«Eiko!
Eiko, sono io, Satsuki. Mi riconosci?».
«Sa-tsuki.
Non preoccuparti, sto bene»
«Satsuki,
guarda. Questo non è…sangue? Oh mio Dio, Eiko!
Dobbiamo portarti subito
all’ospedale!».
«Mayumi,
no. Sto bene, davvero. Questo non è il mio sangue.
Piuttosto, dobbiamo pensare
a loro».
«Mayumi,
c’è qualcuno laggiù. Aizawa? Cosa ci fa
qui? Ci sono anche due ragazzi.
Sembrano tutti in condizioni gravi. Dobbiamo avvertire i custodi della
scuola e
chiamare un’ambulanza».
«Eiko,
cos’è successo qui?».
«Ve
lo spiego dopo. Per adesso occupiamoci di Aizawa e degli
altri».
«Aspetta,
non alzarti».
«Te
l’ho detto, Mayumi, io sto bene. Non devi
preoccuparti».
«Stai
tremando come una foglia. Come puoi stare bene?».
«Sono
solo scioccata, tutto qui».
«Ragazze,
abbiamo avvertito i custodi. Dov’è
Eiko-cchi?».
«Sono
qui, Kise, e come vedi sto bene».
Uff.
Recitare la parte di quella buona a nulla è sfiancante.
Quante volte ancora
dovrò ripetere che sto bene? E perché diamine
continua ad arrivare gente?
«Oh,
Akashi-cchi. Per
fortuna Eiko sta bene,
non preoccuparti. Eiko-cchi, il capitano era davvero in pensiero per
te. Non
appena si è accorto che eri sparita si è messo
subito alla tua ricerca».
«Davvero?
Beh, immagino di doverti ringraziare allora».
«Stai
davvero bene? Mi dispiace. È tutta colpa mia».
Almeno ne sei consapevole. Se avessi mostrato la tua vera
natura, ora non mi troverei in questo casino. Ma forse, non mi troverei
nemmeno
qui. A pensarci bene, è anche merito tuo se sono riuscita a
liberarmi.
«Ho avvertito Arthur».
Che
cosa hai fatto?! Ritiro quello che ho appena detto. Sei un idiota! Come
hai
potuto chiamare Arthur? È l’ultima persona che
voglio incontrare in questo
momento. Accidenti, se adesso mi vede, rischia di far saltare la mia
copertura.
Non penso di poterlo convincere con la mia recitazione. Quel ragazzo
è troppo
sveglio. Non mi è mai piaciuto. Aspetta. Magari mi sto
preoccupando
inutilmente. Arthur farebbe qualunque cosa per proteggere quella buona
a nulla
di Eiko perciò, anche se dovesse riconoscermi, sono
piuttosto certa che
terrebbe la bocca chiusa. Penserò ad Arthur quando
arriverà, per ora voglio
solo uscire da questa stanza.
«Mayumi,
accompagnami fuori».
«Certo,
Eiko. Hai bisogno di calmarti. Meglio uscire di qui».
Non
vedo l’ora di tornare a casa. Ma come diavolo faccio a
liberami di questi
parassiti? Mayumi non mi molla un attimo. Quella Satsuki, poi, continua
a
piangere come se avessero pestato lei, invece di Aizawa. Per non
parlare di
Akashi. Da quando è arrivato non mi ha tolto gli occhi di
dosso. In questo
momento il senso di colpa lo starà consumando – in
fondo aveva promesso di
proteggere quella buona a nulla di Eiko – ma io non sono lei,
anche se abbiamo
la stessa faccia. Se non la pianta di fissarmi con quello sguardo da
fallito,
giuro che lo prendo a pugni. So benissimo che anche la tua è
solo una farsa. Io
e te, in fondo, siamo uguali.
«Signorina
Eiko».
È
già arrivato? Mah, suppongo di dovermi ritenere fortunata.
Se gioco bene le mie
carte, potrò lasciare questo posto e andare a casa.
Pensa…Pensa…Cosa direbbe
ora quella buona a nulla di Eiko? Si, questo potrebbe andare.
«Arthur,
mi dispiace. Mi dispiace tanto. Non volevo che accadesse tutto
questo».
«L’importante
è che lei stia bene».
«Si,
sto bene, ma quei ragazzi…».
Oh,
ti prego, fa’ che se la sia bevuta. Se sarò
costretta a dire ancora una volta
che sto bene, vomiterò.
«La
porterò ugualmente in ospedale, per essere sicuri.
Dovrò avvisare anche la sua
famiglia».
Tanto
prima o poi devo incontrarli. Meglio togliersi subito il pensiero. In
fondo da
adesso in poi trascorreremo un sacco di tempo insieme.
«Non
mi guardi così. Le avevo detto che avrei coinvolto i suoi
genitori se le fosse
accaduto qualcosa».
«Ma
non mi è successo niente. Sto benissimo».
«Questo
saranno i medici a stabilirlo».
Lo
ripeto: questo ragazzo non mi piace. È più
testardo di un mulo. Ma non è ancora
il momento giusto. Per adesso devo comportarmi come farebbe la vera
Eiko.
«Inoltre,
signorina, dovrà prepararsi a testimoniare».
Non
l’ho dimenticato. In realtà, ho già
pensato ai dettagli della storia che
racconterò alla polizia. Una promessa è una
promessa. Ho dato la mia parola a
quei due che non li avrei traditi e ho intenzione di mantenerla.
Dopotutto, non
mi interessano i piccoli rifiuti. Incriminare i due ragazzi sarebbe un
finale
troppo scontato.
***
Ho
continuato a rispondere alle domande della polizia per due ore: sono
esausta.
Mayumi e tutti gli altri sono tornati a casa dopo avere avuto conferma
che
stessi davvero bene. Solo Akashi ha insistito per restare e coprire le
spese
mediche. Non so a quanti esami ho dovuto sottopormi prima che Tatsuo
potesse
ritenersi soddisfatto. Non ha impiegato molto a raggiungere
l’ospedale dopo
aver ricevuto la chiamata di Arthur.
«Lascia,
ti aiuto io».
«Ti
ho detto che non c’è n’è
bisogno. Posso benissimo mettermi le scarpe da sola».
Non
importa quante volta lo ripeta: Tatsuo non mi lascerà in
pace fino a quando non
saremo a casa. Che seccatura. Fra tutti i membri della famiglia, lui
è di
sicuro il più fastidioso. Ma ora come ora vorrei che Akashi,
più di chiunque
altro, si levasse dai piedi e tornasse a casa.
«Ti
restituirò i soldi che hai anticipato per coprire le cure di
Eiko».
«Non
è necessario. È il minimo che potessi fare.
Dopotutto, è colpa mia se Eiko è stata
aggredita. Qualunque cosa faccia, non sarà abbastanza per
farmi perdonare».
Ecco
che si inchina di nuovo. Quante volte lo avrà già
fatto? Dieci? Venti? Ormai ho
perso il conto. Se non altro la polizia ha subito creduto al mio
racconto,
quindi, almeno un problema sembra risolto. Pare che le condizioni di
Aizawa
fossero critiche: al momento si trova in coma. Alcuni medici hanno
detto che
anche se dovesse svegliarsi, ci sono pochissime probabilità
che ricordi cosa le
è accaduto. L’ultimo colpo alla testa che le ha
inflitto Satō ha sicuramente
giocato un ruolo importante. Le tracce di anestetico che hanno trovato
nel mio
sangue, infine, sono servite a rendere più credibile la mia
storia. Ovviamente
la scuola ha deciso coprire la faccenda: solo i due custodi e il
direttore sono
a conoscenza dei dettagli. Dettagli che, tra l’altro, io
stessa ho fornito
loro. Quanto a Satō e Morikawa, ho sentito che sconteranno una pena
ridotta non
appena saranno dimessi dall’ospedale. Ovviamente devono
ringraziare me: secondo
la versione che ho rilasciato alla polizia, hanno agito solo per
fermare
Aizawa. In poche parole, mi hanno salvato la vita.
Tatsuo
ha appena finito di parlare con il dottore che mi ha esaminata.
«Sorellina,
possiamo tornare a casa».
«Finalmente.
Te l’ho detto che non avevo nulla».
«La
sicurezza non è mai troppa. Ah, assicurati di ringraziare
Akashi appena entra».
«È
ancora qui?! Che diavolo ci fa ancora qui?».
Accidenti!
Sono stata troppo diretta. Spero di non aver insospettito Tatsuo.
«Mi
ha raccontato delle lettere».
Perfetto.
Altre seccature.
«È
molto preoccupato per te. Vi lascio qualche minuto per
parlare».
E
cosa dovrei dirgli? Ma perché non può
semplicemente andarsene a casa?
Non
appena Tatsuo lascia la stanza, Akashi prende il suo posto. Il suo
busto si
piega subito in avanti in un profondissimo inchino.
«Perdonami,
Eiko. Perdonami».
«Ti
ho detto che non devi scusarti. Non è stata colpa
tua».
«Avrei
dovuto proteggerti, come avevo promesso».
Patetico.
Il vero Akashi non si abbasserebbe mai ad implorare perdono in questo
modo, ma
soprattutto non ammetterebbe mai di aver fallito. Anche se non ci siamo
mai
incontrati di persona fino ad oggi, io l’ho sentito. Mentre
ero prigioniera, ho
avvertito una presenza agitarsi dentro questo ragazzo. L’ho
capito immediatamente:
Akashi è come Eiko. È debole. È
codardo. Sta mentendo. Ma io l’ho sentito. Ho
sentito il vero Akashi. L’ho sentito urlare, proprio come me.
Anche lui è un
prigioniero. Anche lui sta lottando. Forse è per questo che
trovo la presenza
di Akashi particolarmente fastidiosa: siamo troppo simili e per questo
non andremo
mai d’accordo. Visto che siamo soli, farò meglio a
mettere le cose in chiaro.
«Basta
così, Akashi. È inutile che continui a scusarti.
Non so perché ti rifiuti di
andare a casa ma lascia che ti dica una cosa: non so che farmene delle
tue
scuse. Se avevi il tempo di pensare a come giustificarti per la tua
incapacità,
avresti dovuto usarlo per mantenere la tua promessa. In tutta
onestà, ti trovo
insopportabile, ma se proprio vuoi il mio perdono, porta la tua odiosa
faccia
da qualche altra parte, in modo che non possa vederla. Il solo averti
di fronte
a me mi nausea. E tu saresti il rampollo della famiglia Akashi? Non
capisco
come quella buona a nulla di Eiko ci tenesse così tanto ad
essere tua amica.
Forse perché, dopotutto, siete della stessa pasta. Ma io non
sono disperata
quanto lei. Noi due non saremo mai amici e presto lo capirai anche tu.
Invece
di preoccuparti degli altri, dovresti pensare a te, se non vuoi
rischiare che
il tuo tempo venga rubato da qualcun altro. Dimenticati di Eiko: lei
non
tornerà. Ma soprattutto, stai alla larga da me».
Esatto.
Ogni volta che Akashi è nei paraggi, sento come se la mia
energia venisse
prosciugata. Questo ragazzo è come un buco nero che tenta di
risucchiarmi nel
suo vortice. Se gli resto troppo vicino, potrei sparire di nuovo. Devo
lasciare
subito questa stanza. Ne approfitterò mentre è
ancora sconvolto. Tatsuo e
Arthur dovrebbero essere qui fuori.
Cosa
mi succede all’improvviso? Cos’è questa
terribile sensazione? Mi sento…debole?
Io? È come se tutte le mie forze venissero prosciugate.
Prosciugate? Non dirmi
che…?
«Cosa
diavolo pensi di fare?! Lasciami subito!!».
«Hai
detto quello che volevi e credi potertene andare via come se nulla
fosse?».
Lo
sapevo. Questo è il vero Akashi. Sta di nuovo cercando di
prendere il comando.
Ricordo quello sguardo. È lo stesso che ha mostrato ad Eiko
quella sera, a casa
sua. Le mie parole devono averlo provocato. Per ora sono ancora io la
più
forte. Non ho alcuna intenzione di farmi sopraffare.
«Se
non mi lasci immediatamente, mi metto ad urlare. Tatsuo e Arthur sono
proprio
dietro questa porta. Pensi di poter tenere testa ad
entrambi?».
«Se
è così, tutto quello che devo fare è
impedirti di parlare».
Dannazione.
Se adesso mi tappa la bocca con la mano stabilirà un
contatto più forte con me.
Non ho alcuna intenzione di tornare in quella prigione.
«Levati…di
mezzo!».
Bene,
sono riuscita ad allontanarlo con un calcio. Mi basta aprire la porta e
sarò al
sicuro. Eh? No! Non è possibile! Non deve succedere!! Non
voglio sparire di
nuovo. Non è giusto! Maledetto Akashi! Che tu sia dannato!!
«Eiko!
Sorellina che cos’hai?».
Ta…tsuo…Sto
perdendo il controllo di questo corpo. I miei occhi sono pesanti. Non
riesco a
muovere nemmeno un muscolo. Sta
diventando…tutto…buio. Non
voglio…non…voglio…sparire.
***
«Eiko!
Mi senti? Ti prego, svegliati!».
«Signorina
Eiko!».
Arthur.
E…Tatsuo? Perché Tatsuo è qui? Dove
sono? Sono di nuovo svenuta? Non ricordo
niente.
«Sorellina,
sono io. Mi riconosci?».
«Tatsuo…che
cosa è successo?».
«Grazie
al cielo hai aperto gli occhi», Tatsuo mi attira a
sé, stringendomi fra le sue
braccia. Con l’orecchio appoggiato al suo petto, sento il suo
cuore battere:
sembra piuttosto agitato. I miei occhi catturano quindi
l’immagine di Arthur,
appena dietro di lui: l’espressione rammaricata e sollevata
allo stesso tempo.
«Come
ti senti?».
Conosco
questa voce. Con le mani allontano lievemente mio fratello per
sciogliermi dal
suo abbraccio abbastanza da poter ruotare il corpo.
«Akashi,
sei tu?».
Il
ragazzo annuisce, mentre i suoi occhi di rubini luccicano come gemme
bagnate
dalla rugiada. Le sue labbra si dischiudo articolando
un’unica parola muta:
«Perdonami». Quindi, dopo aver rivolto il proprio
saluto a mio fratello, si
allontana per non tornare più. Confusa e stordita, cerco
ancora una volta le
attenzioni di Tatsuo.
«Mi
dici che cosa è successo? Perché sono in
ospedale? Perché Akashi era qui? Ma,
soprattutto, perché tu sei qui?».
«Una
domanda alla volta, sorellina. Prima di tutto assicuriamoci che tu stia
bene».
Senza
manifestare il minimo sforzo, Tatsuo mi solleva dal pavimento, come un
fiero
principe giunto a soccorrere la principessa in pericolo, e mi adagia
dolcemente
sul letto. Quindi preme il pulsante dietro il cuscino e subito
un’infermiera
compare nella stanza. Pochi attimi dopo, un uomo in camice bianco e
stetoscopio
al collo inizia ad esaminarmi con
molta
attenzione.
«Non
c’è nulla di cui preoccuparsi. Lo svenimento
è con ogni probabilità una
conseguenza dello shock. Ci vorrà qualche giorno prima che
il suo inconscio
riesca a “digerire” questa esperienza, ma non
è nulla di allarmante».
L’uomo
in camice bianco si allontana da me per rassicurare Tatsuo. Infine il
colore
torna sul volto insolitamente pallido di mio fratello, mentre il
dottore
conferma la mia dimissione e il permesso di lasciare
l’ospedale. Prima di
metterci in macchina, Tatsuo insiste
per
guidare, dopodiché non apre più bocca fino a casa.
***
L’atmosfera
che ha dominato l’intero viaggio era talmente pensate che
quasi avevo paura di
respirare. Non ho mai visto mio fratello così. Per la prima
volta in tutta la
mia vita mi sono sentita a disagio vicina a lui. Di tanto in tanto
spiavo il
suo volto attraverso lo specchietto dell’auto: i suoi occhi,
fissi sulla strada
notturna, erano freddi, rabbiosi, irriconoscibili. Senza rendermene
conto, mi
sono ritrovata a tremare più volte. Non avrei mai pensato
che Tatsuo potesse
emanare un’aura tanto spaventosa. Ho visto le sue dita
stringersi attorno al
volante con una violenza tale da cancellare qualunque traccia di colore
sulla
pelle.
Ancora
una volta non ho fatto che causare problemi alle persone a cui tengo.
È solo
colpa mia se Tatsuo ha mostrato questo lato di sé. La mia
incoscienza ha
turbato la serenità della mia famiglia, privandoli del
sonno, testando
crudelmente il loro autocontrollo. Il ricordo dei loro occhi sconvolti;
il viso
sciupato, provato dalla disperazione, di mia madre dopo avere ascoltato
il
racconto di Arthur, la sua confessione su Aizawa, sulle lettere
minatorie, sul
mio rapimento. L’avvilimento di mio padre per non essere
riuscito a proteggere
la più piccola dei suoi figli e il senso di fallimento. Il
dispiacere nello
sguardo di Shizuka e Naoko per il mio silenzio, per essermi rifiutata
fino
all’ultimo di chiedere il loro aiuto. La sfiducia, causata
dal mio tradimento,
che ha ammutolito Haruka; la rabbia che ha spinto Yoichi a meditare
vendetta; la
tristezza che ha scatenato il pianto di zia Azumi e di Mikio. Ma
ciò che, più
di ogni altra cosa, mi ha fatto
realizzare la gravità delle mie azioni è stata
l’indifferenza di Tatsuo. Una
volta tornati a casa, è salito in camera sua senza degnarmi
di uno sguardo,
senza rivolgermi una sola parola.
Come
ho potuto ripagare l’amore della mia famiglia con una simile
crudeltà? Sono una
persona orribile. E quel che è peggio, è che non
ricordo assolutamente nulla di
quello che è successo. Nella mia memoria
c’è un enorme vuoto che non riesco a colmare
in alcun modo. Non solo, da quando ho ripreso i sensi in ospedale,
avverto
qualcosa di diverso dentro di me, qualcosa che prima non esisteva e che
adesso
sembra aver lasciato una macchia indelebile sulla mia coscienza, prima
di
sparire. Nonostante sia nel mio letto, tra le mura che conosco, le mie
mani non
cessano di tremare. Sulla mia pelle è rimasto un odore
nauseante, di ruggine.
L’unico indizio che ho, è un alone brunastro sul
polpastrello del mio indice.
Terra? Ruggine? Polvere? Cosa mai avrà lasciato questa
macchia sul mio dito? Ho
implorato Arthur più volte, ma non ha voluto dirmi nulla.
L’unica risposta a
cui riesco a pensare è che abbia ricevuto ordine da mio
padre di mantenere il
silenzio. Ma perché? Cos’è che non
vogliono dirmi? È inutile rimanere a letto,
non riuscirò comunque ad addormentarmi.
L’orologio
sul comodino segna le 02:38. È notte fonda. Dovrebbero ormai
dormire tutti a
quest’ora. Prendo con me il cellulare. Nonostante sia buio
pesto, la villa non
mi spaventa. Questo è il luogo in cui sono cresciuta, in cui
sono stata amata,
il luogo in cui mi sono rifugiata trovando protezione.
Discendo
l’elegante scalinata, illuminata in parte dal bagliore
argenteo della luna che
mi osserva dall’immensa vetrata dell’atrio. Mi
soffermo qualche istante a
contemplarla. Durante la mia infanzia, ricordo una volta di essere
sgattaiolata
dalla mia camera per correre in giardino, nel cuore della notte. Era la
prima
volta che vedevo la luna piena. Sono rimasta a guardarla fino
all’arrivo di
Naoko. Mi aveva cercata per tutta la tenuta, preoccupata, ma, una volta
trovatami, mi ha abbracciata e mi ha sorriso con tenerezza. Allora io
ho
puntato il dito verso il cielo, indicando la luna e lei ha steso una
coperta
sul prato facendomi sedere sulle sue ginocchia. Insieme abbiamo
iniziato a
fantasticare sui buffi e bizzarri abitanti della luna, su come sarebbe
stato
bello poter volare fin laggiù per incontrarli e stringere
con loro amicizia. Poi
mi sono addormentata e nei miei sogni ho incontrato delle piccole
creature
dalla pelle d’argento, gli occhi di diamanti e i capelli di
neve e con loro ho
giocato fino al sorgere del sole.
Prima
di oggi, non avevo mai visto il volto di Naoko senza sorriso. Sono
stata io a
rubarglielo; a soffocare la gioia di questa casa con la mia
sconsideratezza. Riuscirò
mai a farmi perdonare?
Abbasso
lo sguardo, lasciandomi la luna alle spalle, e mi incammino verso la
cucina per
preparami una tisana che possa concedermi il sonno. Rovisto nella
credenza,
cercando una tazza, mentre l’acqua inizia a bollire. Mi siedo
nella penombra e
osservo il filtro colorare lentamente l’acqua. Inspiro
profondamente,
catturando l’aroma delle erbe, e
la
tensione nelle mie spalle si scioglie, liberando i miei sensi. Quando
infine
porto la tazza alle labbra per bere, un brusio indistinto cattura la
mia
attenzione, mettendomi in allerta.
A
quest’ora dovrebbero essere tutti a letto. Eppure mi sembra
di udire delle voci
provenire dal salone. Ladri? In questa casa? Non è
possibile, il sistema di
sicurezza che mio padre ha fatto installare è tra i
più sofisticati e
affidabili che il mercato di oggi possa offrire. Questo può
voler dire una sola
cosa: c’è ancora qualcuno sveglio.
Un
po’ a malincuore, lascio la tisana ancora calda sul bancone e
inizio a seguire
le voci. Mentre avanzo i suoni diventano sempre più chiari e
riconoscibili fino
a quando raggiungo il salone. Un velo di luce filtra tra le fessure
della porta
appena socchiusa. Mi avvicino e dischiuso un’anta quel tanto
che basta per
sbirciare all’interno.
«Ti
ripeto che è una pessima idea!».
L’esclamazione
improvvisa mi fa sussultare, ma riconosco la voce: Haruka. Mi sporgo,
cercando
di allargare il mio campo visivo. Seduto accanto ad Haruka, Yoichi
gesticola
animatamente contro di lei. Sembra che stiano litigando.
«Calmatevi,
adesso», Naoko interviene ad interrompere la lite.
«È un problema che prima o
poi avremmo dovuto affrontare, ma l’unica cosa a cui dovremmo
pensare adesso è
prendere la decisione migliore».
«È
esattamente quello che sto cercando di fare», Haruka torna a
sedersi senza
reprimere uno sbuffo annoiato.
Di
cosa stanno parlando così animatamente? La mia famiglia si
riunisce spesso per
discutere di questioni importanti. Mio padre dice sempre che
è fondamentale,
per i membri della famiglia, esprimere la propria opinione; che le
questioni
famigliari devono essere discusse tutti insieme. Allora
perché io sono l’unica
a non essere stata avvisata?
«Personalmente,
sono d’accordo con Yoichi», Naoko riprende la
parola, rivolgendosi all’intera
assemblea.
«Infatti.
Eiko ha il diritto di sapere».
Io?
Stanno parlando di me? Che cos’è questa storia?
«Comprendo
il tuo punto di vista, ma come credi reagirebbe se scoprisse la
verità?»,
adesso è Seiichi a parlare. La sua figura elegante e
dignitosa non si scompone
neppure di fronte all’irruenza di Yochi. «Eiko ha
un animo estremamente
sensibile, che la porterebbe a coltivare dentro di sé il
senso di colpa. Col
trascorrere dei giorni e degli anni, l’amore che prova per
ognuno di noi la
indurrebbe ad allontanarsi, a chiudere per sempre le porte del suo
cuore».
«E
come si sentirebbe, invece, se un giorno scoprisse che la sua famiglia
le ha
mentito per tutto questo tempo?».
«Non
è corretto affermare che le abbiamo mentito».
«Mantenere
il silenzio è come mentire».
«La
fiamma della rabbia non si è ancora estinta. Se continuiamo
ad ignorarla si
vendicherà», Mikio si intromette nella
discussione. Le sue parole criptiche
sono accompagnate, come al solito, da un’atmosfera di
mistero. È come se stesse
annunciando l’avvicinarsi di una terribile maledizione.
«Mikio,
ha ragione. Dobbiamo prendere la situazione di petto. Questo significa
che
dovremo raccontare la verità ad Eiko. Deve sapere
dell’esistenza di quella ragazza».
Di
chi stanno parlando? Chi è questa ragazza? È
forse qualcuno che conosco?
«Mi
dispiace, Lydia, ma non sono d’accordo».
Non
credo di aver mai visto zia Azumi così infuriata. Il modo in
cui sta guardando mia
madre mi è del tutto sconosciuto. Non pensavo fosse in grado
di mostrare una
simile espressione.
«Mettere
Eiko al corrente della situazione significa accettare
l’esistenza di quella ragazza,
darle una possibilità per farsi
ascoltare da tutti noi. Se le facciamo capire che ha qualche speranza
di
prendere il posto di Eiko, finirà col non volersene
più andare».
Prendere
il mio posto? Che cosa sta succedendo? E chi è questa
persona che continuano a
menzionare?
«Akihiko,
di’ qualcosa anche tu», zia Azumi si rivolge ora a
mio padre. L’opinione del
capo dell’assemblea è sempre tenuta in grande
considerazione da tutti. In
fondo, mio padre è un uomo molto saggio.
Il suo
capo si
solleva lentamente e i suoi occhi iniziano a scorrere sui membri della
famiglia, per fermarsi infine su Tatsuo.
«Tu cosa pensi? Non hai ancora espresso la tua
opinione, ma
ci terrei particolarmente a conoscere il tuo parere».
Le palpebre di Tatsuo si allargano per un attimo. Durante
tutta la riunione non ha provato minimamente ad inserirsi nella
disputa. Al
contrario, è rimasto in disparte, in piedi, appoggiato alla
parete con lo
sguardo sul pavimento di marmo. Non è da lui essere
così silenzioso. Che sia
ancora arrabbiato per colpa mia?
«Io…credo che non spetti a noi
prendere una decisione».
La voce di Tatsuo è così flebile,
svigorita. Le sue pupille
spente sembrano guardare a una dimensione lontana, inaccessibile a
chiunque
altro. Persino la sua risposta sembra distaccarsi dal resto della
famiglia.
«È esattamente quello che penso
anch’io», dichiara subito
dopo mio padre, distendendo le labbra in un sorriso di approvazione.
«Eiko è
ormai abbastanza grande da poter fare la sua scelta da sola. Il nostro
unico
dovere è sostenerla, qualunque strada deciderà di
percorrere».
Haruka trattiene un commento di dissenso fra i denti
mentre
Yoichi si limita a schioccare la lingua, rassegnato. Mikio e Shizuka
annuiscono
silenziosamente rivolgendo poi lo sguardo a Naoko e Seiichi che, a loro
volta,
si dimostrano ben disposti ad accettare la proposta del capofamiglia.
Infine anche
mia madre concede il proprio consenso rivolgendo uno sguardo di
gratitudine
verso mio padre.
«Sei
davvero convinto che sia la soluzione migliore?».
La
voce di zia Azumi tradisce apprensione ma i suoi occhi sono pronti a
seguire il
volere generale dell’assemblea.
«Dal
momento che siamo giunti a una decisione unanime, resta solo una cosa
di cui
occuparsi. Arthur».
Arthur?
Anche lui è qui? Non che la notizia mi sorprenda. Dal
momento che è considerato
da tutti noi un membro ufficiale della famiglia, non è la
prima volta che viene
invitato a prendere parte a queste riunioni.
Non
appena mio padre pronuncia il suo nome, abbandona la sua posizione e
dal fondo della
sala si avvicina al resto dell’assemblea. Con un inchino di
formalità, accoglie
la richiesta di mio padre.
«Ho
un favore da chiederti, ma prima, alza la testa. Tu sei un membro di
questa
famiglia. Dimentica le formalità per un momento».
Arthur
solleva il capo, ubbidendo a quello che sicuramente ha interpretato
come un
ordine. Ovviamente, nelle parole di mio padre vi era soltanto
l’affetto di un
genitore.
«Tutti
noi abbiamo un’immensa fiducia in te ed è per
questo che ritengo che tu sia la
persona più adatta all’incarico».
«Mi
sta sopravvalutando, signore».
«Affatto.
Se così non fosse, non ti avrei invitato a prendere parte a
questa riunione.
Ascolta, figliolo: se Eiko deciderà di conoscere la
verità avrà bisogno di
qualcuno che la assista e che la guidi. Qualcuno che possa essere al
suo fianco
durante tutto il giorno. Ma soprattutto qualcuno che sappia comunicare
con lei. Di tutti noi, tu sei colui
con cui
quella persona ha interagito di
più.
A differenza nostra, non sei un estraneo e gli avvenimenti di questa
sera ne
sono una conferma».
«Se
mi permette, non penso di meritare tanta fiducia».
«Arthur»,
con grande sorpresa del ragazzo, mia madre prende il suo volto tra le
mani.
«Sei come un figlio per noi e hai già ripagato il
tuo debito il giorno in cui
ti sei presentato ai cancelli di questa tenuta. Il solo vederti ha
riempito il
mio cuore di una gioia che non potresti mai immaginare e
l’unico motivo per cui
ti abbiamo assunto come dipendente di questa famiglia è
perché abbiamo creduto
di dovere onorare la tua dignità di uomo. Potresti esprimere
il desiderio di
lasciare il tuo lavoro in qualsiasi momento e tutti noi ti
accoglieremmo a
braccia aperte. Ma se non ti senti ancora pronto ad accettarci quale
tua
famiglia, concedici almeno una piccola richiesta. So bene quanto tu sia
affezionato ad Eiko perciò potresti, da adesso in poi,
pensare a lei
semplicemente come alla tua sorellina e prendertene cura?».
All’improvviso
la scena davanti ai miei occhi inizia a sfocare. Calde e silenziose
lacrime
bagnano le mie guance al pensiero di poter finalmente vedere realizzato
il mio
più grande desiderio. L’onestà di mia
madre, la sincerità dei suoi sentimenti
potrebbero infine convincere Arthur a considerare tutti noi come parte
della
sua famiglia. Questa sola speranza è sufficiente a farmi
dimenticare il vero motivo
della riunione. Assicurandomi di non fare rumore, chiudo la porta per
fare
ritorno in camera mia. Non appena mi infilo nel letto, le ombre della
notte
calano sui miei occhi, trascinandomi in un sonno profondo.
°°°
Nota
d’Autrice:
Buona domenica a tutti!
Vi porto un nuovo capitolo. Come forse avrete capito, la prima
personalità di Eiko
ha finalmente fatto la sua comparsa. Con l’introduzione di
questa co-protagonista
anche lo stile di scrittura è cambiato. Ho infatti dato
molto più spazio ai pensieri
interiori e ai dialoghi piuttosto che alle descrizioni.
Come
sempre vi ringrazio per il tempo che mi dedicate leggendo queste pagine
e spero
di leggere presto le vostre impressioni. Un abbraccio.
Lady
L.
^^
|
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Capitolo 22 *** Tu non sei un mostro ***
Capitolo
11
“Tu
non sei un mostro”
L’indomani mattina, mentre
siamo tutti a
tavola per consumare la colazione, mio padre annuncia che non
dovrò prepararmi
per andare a scuola.
«Ma
oggi non è giorno di festa», gli ricordo, pensando
che forse possa aver fatto
confusione con le date.
«Lo
so, piccola mia, ma è comunque un giorno speciale e vorrei
che lo
trascorressimo insieme».
Incerta
su cosa rispondere, mi guardo attorno, chiedendo spiegazioni con lo
sguardo.
Naoko mi sorride, come a volermi dire di non preoccuparmi. I miei
cugini mi
rivolgono a turno breve occhiate, senza tuttavia parlare. Quando infine
mi
volto verso Tatsuo, rimane con il capo chino, ignorandomi
completamente.
D’istinto apro la bocca per chiamarlo e attirare
così la sua attenzione, ma un
secondo pensiero mi convince a fermarmi e a rinunciare. È da
ieri sera che non
sento la sua voce. Di solito, tutte le mattine irrompe nella mia
stanza,
svegliandomi con la sua allegria, spolverando le prime ore della mia
giornata
con il suo contagioso buon umore. Oggi, invece, non si è
presentato alla mia
porta, nonostante mi sia trattenuta in stanza, aspettando il suo
arrivo. So che
è arrabbiato con me e il motivo per cui non ho voluto
raccontare a nessuno di
Aizawa era perché non volevo che si preoccupassero. Volevo
solo dimostrare di
non essere un peso, di potermela cavare da sola. Invece ho provato,
ancora una
volta, di essere un’incapace e una presuntuosa. Non solo ho
fatto preoccupare
tutti quanti, ma ho fatto credere loro, con il mio comportamento, di
non avere
fiducia nell’amore che provano per me. È normale
che Tatsuo non voglia vedermi:
al suo posto, anche io mi sentirei tradita.
«Io
ho finito», senza aggiungere altro, mio fratello si alza da
tavola. Pochi
minuti dopo, il portone nell’atrio si apre e un’eco
di passi sfuma rapidamente
al di fuori della residenza.
Rattristata
e in colpa, fisso la coppa azzurra davanti a me, senza alcuna desiderio
di
continuare a mangiare. Oggi, più che mai, vorrei salire in
camera, finire di
prepararmi e correre a scuola, invece rimango seduta, senza sapere cosa
fare.
«Va
tutto bene, Eiko».
Impietosita
dal mio stato d’animo, Naoko prova a consolarmi. Non volendo
darle altro
pensiero, riprendo la mia colazione in silenzio.
***
Poco
per volta tutti quanti lasciano casa per dirigersi a scuola,
all’università o
al lavoro. Soltanto mio padre, come promesso, rimane alla villa. Prima
di
separarci al termine della colazione, ha detto che mi avrebbe aspettata
nel
giardino delle rose. Oggi il sole è caldo e luminoso, ideale
per una
passeggiata. Mentre mi lavo i denti, non posso fare a meno di chiedermi
a cosa
stesse pensando nel momento in cui si è incamminato verso il
parco della
tenuta. Non mi sarei mai aspettata che mi incoraggiasse a saltare la
scuola
solo per passare del tempo insieme. Ovviamente non posso dirmene
dispiaciuta,
ma continuo a credere che debba esserci un’altra ragione
dietro il suo improvviso
invito.
Raggiungo
il parco con il cuore in trepidazione. Intorno a me è una
festa di colori e di
profumi, ma le corolle arancioni delle rose coltivate da mia madre
conquistano
presto il mio sguardo. I miei occhi si posano sull’uomo che,
seduto placidamente
sulla panchina di pietra bianca, le contempla ora con amore. Mi
avvicino e,
senza disturbarlo, prendo posto accanto a lui.
«Il
giorno in cui tua madre decise di piantare queste rose, tu avevi tre
anni».
Mio
padre inizia la sua storia, sorridendo con nostalgia a un passato del
quale io
non possiedo alcuna memoria. I ricordi che ancora conservo della mia
infanzia
sono frammentari e non sempre nitidi. Per la maggior parte, si tratta
più che
altro di racconti condivisi e tramandati dai miei genitori o dai miei
fratelli.
Stranamente, però, non sono mai stata curiosa al riguardo,
non ho mai mostrato
un reale desiderio di conoscere i primi anni della mia vita. Dentro di
me, al
contrario, ho sempre percepito quel capitolo della mia esistenza come
estraneo.
Per quanto mi riguarda, la mia storia è iniziata dieci anni
fa. I quattro anni
che precedono questa data non sono altro per me se non carte scritte da
una
mano sconosciuta, da un’anima indipendente. Questo
è quello che ho sempre
creduto ogni volta che provavo a sfogliare quelle pagine scritte in una
calligrafia che non riconoscevo, intrise di eventi di cui non ero io la
protagonista.
«Quel
giorno ha cambiato le vite di tutti noi», mio padre continua
a parlare, senza
distogliere lo sguardo dai giardini in fiore, «e adesso
potrebbe cambiare anche
la tua, se è ciò che vorrai».
Finalmente
il suo viso ruota verso di me e il mio cuore sussulta per un attimo.
E’ la
prima volta che tra noi due viene a crearsi un’atmosfera
tanto grave. In
passato mi è già capitato di affrontare
conversazioni importanti con mio padre,
ma oggi l’espressione nei suoi occhi è decisamente
più intensa. Le sue parole
sono ben studiate – me ne sono accorta dalle brevi ma
frequenti pause che ha
inserito tra l’una e l’altra. Probabilmente non
vuole condizionarmi dicendo
qualcosa che possa alla fine influenzare la mia decisione. Tutta questa
formalità, questa cautela nel parlarmi mi impensieriscono.
È come se mio padre
volesse farmi credere che dalla mia scelta dipenderà tutto
il mio futuro.
«Hai
detto che solo io posso scegliere», mi rivolgo infine a lui,
desiderosa di
comprendere, «ma cosa dovrei scegliere esattamente? Quali
sono le opzioni?».
«Prima
di rispondere alla tua domanda, lascia che ti chieda una
cosa», domanda lui,
valutando attentamente la mia reazione. «Non hai notato nulla
di strano in
queste ultime settimane? Nulla di diverso?».
Sorpresa
dalle sue parole, inizio a riflettere. Ad essere onesta, mi stanno
accadendo
molte cose a cui non riesco a dare una spiegazione, ma una in
particolare mi
preoccupa.
«In
effetti, c’è qualcosa di cui vorrei
parlare», rispondo quindi, confidando nella
saggezza di mio
padre. «Dopo quello che
è successo ieri, ho come l’impressione che tutti
stiano cercando di evitarmi,
quasi avessero paura di rivolgermi anche solo uno sguardo, soprattutto
Tatsuo.
So che è arrabbiato con me perché ho agito da
sconsiderata e capisco che non
voglia vedermi, ma vorrei avere una possibilità per
chiedergli scusa e farmi
perdonare». Gli occhi di mio padre si allargano, sbalorditi.
Forse non ero
questo che si aspettava di sentire ma, dal momento che ne ho
l’opportunità, preferisco
chiedere il suo aiuto. «Il problema, però,
è che non saprei da dove iniziare a
scusarmi. La verità è che non ricordo nulla. Cosa
è accaduto dopo che sono
svenuta? Come sono finita in ospedale? Cos’è
successo ad Aizawa e a quei due
ragazzi che erano con lei?
Perché…perché sui miei
vestiti…c’erano tracce
di…sangue?», la sola parola mi fa rabbrividire, ma
riesco ugualmente a
pronunciarla. «Certo, Arthur mi ha raccontato, eppure
continuo a non ricordare.
Se dovessi rispondere alla tua domanda, papà, allora direi
che ultimamente ci
sono un’infinità di cose strane che mi stanno
accadendo e che non riesco a
spiegarmi. L’ultima cosa che ricordo è che ieri
sera, dopo essere stata
avvicinata da Aizawa, subito prima di perdere i sensi, ho sentito una
voce. Era
fredda, cinica, impaziente. Ho cercato di guardarmi intorno credendo ci
fosse
qualcun altro insieme ad Aizawa e i suoi due compagni, ma non ho visto
nessuno.
Però sono certa di aver sentito quella voce. Continuava a
ripetermi di non
essere debole e voleva che mi facessi da parte, ma non so cosa volesse
dire
esattamente. Sto forse impazzendo, papà? In questi giorni mi
sento sempre
fiacca e assonnata. Mi capita di svenire e di non ricordare nulla.
Vorrei solo
sapere se ho qualcosa che non va. Perché Tatsuo non vuole
parlarmi? Perché mi
odia tanto? Solo perché ho mentito? Solo perché
non ho confessato subito di
aver ricevuto quelle lettere? Non volevo farvi preoccupare, pensavo di
potermela cavare da sola. Volevo dimostrare a me stessa di essere
cresciuta, di
essere cambiata. Solo questo, davvero!».
«Adesso
calmati, Eiko», le mani di mio padre afferrano dolcemente le
mie spalle. «Lo so
che non avevi cattive intenzioni, perciò lasciami chiarire
una cosa: Tatsuo non
è affatto arrabbiato con te. Piuttosto, è in
collera con se stesso. Tutti noi
lo siamo. Ognuno, a modo suo, si sente colpevole nei tuoi confronti.
Ecco
perché hai avuto l’impressione che ti stessero
evitando, ma fidati di me,
nessuno in questa casa ti odia e mai ti odierà, qualunque
cosa accada. Tu sei e
sarai sempre la nostra piccola Eiko. Nulla potrà cambiare
questa verità». Per
un attimo sono certa di aver visto un luccichio negli occhi di mio
padre. Una compassione
diretta forse non soltanto a me. «Se vuoi conoscere la
verità, te la
racconterò», superato il momento di commozione, la
sua voce si carica di una
nuova gravosità, in attesa della mia risposta.
«Tu
sai che cosa mi sta succedendo, papà? E sei disposto a
dirmelo?».
«Si,
se è quello che vuoi».
Le
sue parole sono pesanti, sofferte. Quanto grave potrà mai
essere il segreto che
custodisce? È così terribile da indurlo a
mostrare quell’espressione? Ma non
voglio continuare ad essere l’unica a non sapere. Se
scoprissi di avere una
malattia o di essere semplicemente pazza lo accetterei e, per il bene
della mia
famiglia, mi sottoporrei a qualunque tipo di trattamento per guarire.
Rimanere
nell’ignoranza non è più una
alternativa accettabile.
«Papà,
ho deciso:», mio padre trattiene il respiro, attendendo il
verdetto finale, «io
voglio sapere».
Le
spalle di mio padre si abbassano lentamente ed egli, con un cenno del
capo,
annuisce. «Capisco. Se è quello che vuoi, ti
racconterò ogni cosa dall’inizio».
Pensavo
che avrebbe cercato di farmi cambiare idea o di convincermi a pensarci
più
attentamente. Vederlo accettare la mia richiesta senza opporre
resistenza mi ha
un po’ delusa. La mia decisione non sarebbe ugualmente
cambiata, ma non è
esattamente questa la reazione che mi aspettavo. Se questo segreto
è davvero
così terribile, non avrebbe almeno dovuto provare a
discutere un po’ con me?
Oppure, in fondo in fondo, sperava che le cose andassero in questo modo
e che
io esprimessi la volontà di sapere? Ad ogni modo, anche se
non è stupito né
sconvolto dalle mie parole, vedo chiaramente quanto sia preoccupato per
me ma,
come promesso, inizia il suo racconto partendo proprio da quel passato
di cui
non conservo ricordi.
***
«Ora
sai la verità, Eiko. Ma prima che tu dica qualunque cosa,
sappi che non è colpa
tua. Non è colpa di nessuno».
Dopo
aver ascoltato la sua confessione, non posso credere alle sue parole.
Come può
non essere colpa mia? Aizawa. Quei due ragazzi. Sarebbero potuti
morire, e
sarebbe stato solo a causa mia. Come è accaduto? No,
perché è accaduto? Perché
proprio io? Da un po’ di tempo sospettavo ci fosse qualcosa
di sbagliato in me,
ma la realtà è peggio di quanto avessi
immaginato. Ora capisco perché Tatsuo
non vuole parlarmi. Neanche io vorrei avere nulla a che fare con
un….mostro
come me. Pensavo di essere una ragazza normale, una come tante altre.
Ho
accusato Aizawa senza sapere di essere io stessa un pericolo.
Cosa
dovrei fare? Cosa dovrei dire? Come dovrei reagire? Cosa dovrei pensare
di me
stessa? A questo punto non so più chi sono. Non ho neppure
la certezza che
questi pensieri siano miei. Personalità multipla? Io? Avrei
preferito scoprire di
essere pazza, ma questo…. Come si cura una simile malattia?
E’ curabile almeno?
Fino ad oggi ne avevo sentito parlare solo in televisione, nei libri,
nei film.
Per me non era neanche reale, solo un’invenzione
cinematografica o letteraria.
Dovrei arrabbiarmi? O forse sentirmi umiliata? Dovrei disprezzare me
stessa? O
dovrei accettarlo? Dovrei avere paura?
Se
non altro adesso so che cosa è successo ieri sera. So a cosa
erano dovuti gli
svenimenti e i vuoti di memoria, gli sbalzi d’umore e tutto
il resto. Ma non mi
sento affatto sollevata. E se accadesse di nuovo? Dentro di me esiste
davvero
un’altra Eiko? Questo vuol dire che in fondo sono una persona
a cui piace
bearsi delle disgrazie altrui? Che prova piacere nel tormentare chi
è confuso o
insicuro? Che si compiace delle proprie menzogne? No, mi rifiuto di
accettare
una simile Eiko. Io non sono così. Non istigherei nessuno a
commettere un
crimine. La sola idea mi disgusta. Ma mio padre non mi mentirebbe mai,
quindi
significa che tutto ciò che mi ha raccontato è la
verità.
«Capisco
che tu sia sconvolta, bambina mia, ma non darti pena. Ricorda che non
sei sola.
Insieme troveremo una soluzione».
«Insieme?!»,
la mia voce esplode in un grido stridulo e frustrato. «Questo
è impossibile,
papà! Hai dimenticato che mi stanno tutti evitando?
Soprattutto Tatsuo. Come
posso chiedergli di aiutarmi? È assolutamente normale che
non voglia avere a
che fare con me, con un…»
«Eiko!
Adesso basta!».
Sussulto.
Mio padre non aveva mai urlato in questo modo, perché non
è una persona che
urla o perde la pazienza facilmente. Questo vuol dire solo una cosa:
è di nuovo
colpa mia. Ho di nuovo ferito un membro della mia famiglia
costringendolo a
mostrarmi un lato di sé che mai avevo visto prima.
Perché le mie azioni non
coincidono mai con i miei desideri? Forse è vero. Forse non
sono io ad avere il
controllo del mio corpo. Non voglio ferire le persone che amo. Un
abominio come
me non merita di essere amata. Perché? Perché non
posso essere una ragazza
qualunque? Perché devo costringere i miei genitori a questa
tortura?
«Tu
non sei un mostro. Sei la nostra piccola Eiko».
Le
braccia protettive di mio padre mi attirano a sé, soffocando
il mio pianto
contro il suo petto. La sua mano mi accarezza con amore, cullando la
mia
disperazione.
«Non
pensarlo mai più, bambina mia, perché nessuno di
noi lo pensa».
La
pacatezza della sua voce fa vibrare il suo petto contro la mia guancia.
Stretta
al mio papà, continuo a piangere. I miei singhiozzi sono
l’unico suono udibile
in tutto il parco. In questo momento non riesco a pensare ad altro che
a
versare lacrime.
«Tatsuo
non è arrabbiato con te. È in collera con se
stesso. Il motivo per cui ti sta
evitando è perché non ha il coraggio di
guardarti. Tuo fratello non potrebbe
mai odiarti, ma la consapevolezza di non essere riuscito a proteggerti
è una
vergogna troppo grande per lasciarti incrociare il suo
sguardo».
«Ma
non ha nulla di cui vergognarsi! Non è colpa sua se sono
così! Perché dovrebbe
sentirsi responsabile?!».
«Perché
tuo fratello ti ama immensamente e non potrebbe sopportare di vederti
piangere
in questo modo. Tutti noi ti amiamo e, sebbene ognuno a modo suo,
proviamo quello
che prova Tatsuo. Ma come ho detto prima, non è colpa di
nessuno. Né tua, né di
tuo fratello. Dagli solo un po’ di tempo per
calmarsi».
Non
è giusto che pianga, che sia io l’unica a sfogare
la mia frustrazione. Tatsuo.
Naoko. Mia madre. In questo momento sono confusi quanto me. Non posso
farmi vedere
così debole. Non voglio farli preoccupare più di
quanto abbia già fatto. Ma
soprattutto non voglio perderli. Se il prezzo da pagare per riavere mio
fratello è nascondere i miei sentimenti, reprimere la mia
paura, accettare a
testa alta la realtà, allora sia. La mia condizione potrebbe
non essere così
grave. La mia maggiore virtù è conoscere bene i
miei limiti. Io ho bisogno
della mia famiglia, di tutta la mia famiglia. ho bisogno di averli
accanto a
me, ora più che mai. Piangere non serve. Adesso che conosco
la verità posso
fare la mia scelta. È una scelta egoistica, ma è
la migliore per me.
«Papà,
ho deciso», mi sciolgo dal suo abbraccio e asciugo le ultime
lacrime prima di
sollevare lo sguardo. «Voglio che Tatsuo torni a guardarmi e
a parlarmi, perciò
non posso mostrarmi debole. Non piangerò, poiché
non cambierebbe la situazione
in cui mi trovo, ma non sono abbastanza forte da poterne uscire da
sola. Ecco
perché ho bisogno del tuo aiuto, di quello di Tatsuo. Ho
bisogno del supporto
di tutta la mia famiglia per affrontare con coraggio questo momento. Ho
deciso
di fare tutto il possibile per migliore la mia condizione e guarire
perciò,
anche se è una richiesta egoistica, vorrei che rimaneste al
mio fianco per darmi
il vostro supporto. Avrei però una condizione».
Mio
padre annuisce attendendo la mia dichiarazione. Infine dispiega le
labbra in un
caldo sorriso di approvazione.
***
Il
giorno dopo mia madre mi accompagna a scuola. Insieme raggiungiamo
l’ufficio del
preside dove lei firma le carte per il mio trasferimento. Terminate le
pratiche
ufficiali, mi lascio la Teikō alle spalle. Abbandono
l’edificio insieme a mia
madre, senza incontrare Mayumi, né Satsuki, senza salutare i
ragazzi. In
silenzio, come sono arrivata, me ne vado, con la sola speranza di non
incontrare mai più nessuno di loro. Nel mio cuore sono grata
per la loro
amicizia, ma non posso esprimere la mia gratitudine di persona. Se ora
li
incontrassi sarei obbligata a rivelare la mia vera identità,
a confrontarmi con
il loro disprezzo, la loro paura, il loro rifiuto. Non voglio che il
mio ultimo
ricordo qui alla Teikō sia legato ai volti delusi dei miei amici, alle
loro
parole di ripugnanza. Non lo sopporterei. So che andare via senza
incontrarli
significa scappare, ma questa è la cosa migliore per me.
Dopotutto, io sono un’egoista.
Mi
infilo nella limousine bianca, resistendo alla tentazione di voltarmi
indietro
a guardare per l’ultima volta il profilo della scuola.
«Sei
sicura di non voler salutare i tuoi amici?», domanda mia
madre, ritardando la
partenza.
«E’
meglio così», rispondo, abbozzando un sorriso.
«Incontrarli renderebbe tutto
più difficile».
Rispettando
la mia decisione, mia madre chiede infine ad Arthur di mettere in moto
l’auto.
***
Durante
i mesi successivi ho continuato i miei studi a casa, grazie
all’aiuto degli
insegnati assunti da mio padre. Nei primi giorni dopo il mio
trasferimento,
Mayumi e Satsuki si sono presentate una volta davanti ai cancelli della
villa,
ma sono state accolte da mia madre che ha raccontato loro del mio
viaggio in
periferia, verso la residenza dei miei nonni paterni. Ovviamente era
una bugia
per convincerle a non tornare più a cercarmi. Nel frattempo
ho iniziato a
frequentare regolarmente uno psicologo, oltre a sottopormi a controlli
di
routine in ospedale. La terapia da seguire non è facile, dal
momento che lo
scopo principale delle sedute è aiutarmi a ricordare quella
parte del mio
passato che avevo inconsciamente deciso di dimenticare.
Grazie
ad Arthur sono riuscita a scoprire qualcosa in più sulla
misteriosa personalità
che ha preso il controllo durante l’incidente di Aizawa. A
quanto pare, si è
manifestata per la prima volta durante la mia infanzia, proprio durante
quel
periodo della mia vita di cui non conservo alcun ricordo.
«Mi
ha detto di chiamarsi Meiko», mi ha rivelato Arthur. Secondo
il suo racconto, è
stato l’unico ad incontrarla e a parlare con lei. A prima
vista, gli è parsa
una ragazza molto orgogliosa, con un grande risentimento nei miei
confronti.
«Ciò
che mi ha subito colpito, sono stati i suoi occhi. Erano colmi di
malizia,
troppo audaci, provocanti, ma non in modo sessuale. No, niente di tutto
questo.
Erano vispi e attenti. Cercavano di scrutare nell’animo per
carpirne le
debolezze e sfruttarle per il proprio divertimento. Ho riconosciuto
immediatamente
quegli occhi. Quella sera, a scuola, ho capito immediatamente che la
ragazza
impaurita, coperta di sangue, non era più lei, signorina,
Eiko».
«Hai
capito che non ero io?», gli ho chiesto, stupita.
«Ho
subito pensato che dietro l’incidente ci fosse Meiko, ma ho
deciso di
assecondare il suo gioco, fingendo di credere alla sua messinscena. Non
sono
mai riuscito a dimenticare quegli occhi».
Mentre
Arthur mi parlava di Meiko, le sue labbra si sono più volte
curvate in una
smorfia di rabbia. Non so ancora bene quale rapporto esista fra tutti e
due, ma
da quanto ho visto, la ricomparsa di questa pericolosa
personalità ha reso
Arthur molto inquieto.
Dopo
quella sera, Meiko non si è più fatta vedere, ma
io so che non è sparita. Di
tanto in tanto ho l’impressione di sentire i suoi pensieri.
Percepisco la sua
minacciosa presenza nel mio subconscio perciò non posso
abbassare la guardia
nemmeno durante il sonno. So che al minimo segno di cedimento
tenterebbe di
riprendere il controllo.
Per
fortuna non solo sola e, ora che Tatsuo è tornato a
parlarmi, sento di essere
diventata più forte e sicura di me. Gli ultimi pensieri
della mia vita da
studentessa delle medie sono positivi e pieni di speranza per il mio
futuro. Tutto
ciò che mi resta da fare è cominciare a
camminare, stringendo senza timore le
mani delle persone che amo.
°°°
Ciao
a tutti! ^^
Con
questo capitolo si conclude la prima delle tre parti di questa storia.
Vi ringrazio
per avermi seguita fino a questo punto e spero continuiate a leggere
con interesse
i prossimi capitoli. Vi auguro una buona domenica.
Un
bacione
Lady
L.
|
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Capitolo 23 *** Benvenuta alla Seirin! ***
Capitolo
12
“Benvenuta
alla Seirin!”
«Eiko, sbrigati o
faremo tardi!».
In
piedi davanti alla porta spalancata della mia stanza, Haruka continua a
tamburellare nervosamente il piede a terra. A intervalli regolari
controlla
l’ora sul display del cellulare fino a quando, esasperata, mi
agguanta per il
polso e mi trascina giù per la scalinata. Ho appena il tempo
di afferrare la
cartella prima di ritrovarmi nella limousine bianca, seduta accanto
alla mia
esuberante cugina.
«Non
ho avuto neanche il tempo di fare colazione», mugugno,
provando a sistemare il fiocco
verde sulla mia nuova divisa scolastica.
«Mangia
questo».
Senza
molte cerimonie, Haruka infila un croissant nella mia bocca ancora
aperta e mi
ordina di masticare. Ubbidisco e la ringrazio con un cenno del capo
mentre
l’auto si mette in moto.
«Visto
che oggi è il tuo primo giorno di scuola, ti
porterò in giro a dare
un’occhiata», commenta Haruka con evidente
sicurezza. «Sono certa che ti
ambienterai subito, ma se dovessi trovarti in difficoltà
vieni a cercarmi. Di
solito nel pomeriggio ho gli allenamenti con il club di pallavolo
perciò mi
trovi in una delle palestre. Durante la pausa pranzo vengo a prenderti
in aula,
perciò aspettami lì e non muoverti. Cerca di non
attirare troppe attenzioni, ma
questo non sarà un problema per te. Se qualcuno ti parla sii
amichevole ma non
dare troppa confidenza. Ricorda che da oggi inizia la tua nuova vita
perciò non
menzionare, per nessun motivo, la Teikō. Non abbassare mai la guardia:
non
appena gli altri studenti scopriranno che siamo cugine, inizieranno a
ronzarti
intorno come api per diventare tuoi amici. Ovviamente il loro obiettivo
sarà
solo ingraziarsi un altro membro della nostra famiglia. Luridi
parassiti»,
sulle ultime due parole, la mano di Haruka si stringe in un pugno,
pronto a
rilasciare un potente colpo.
«Ho
capito, calmati adesso», la incoraggio ad abbassare il
braccio e a rilassare i
muscoli tesi. «Non devi preoccuparti. Non ho intenzione di
commettere lo stesso
errore dell’anno scorso».
Chino
il capo ripensando agli avvenimenti dell’anno passato, quando
ho scoperto di
soffrire di Disturbo Dissociativo dell’Identità.
Quando mio padre mi ha rivelato
che dentro di me vive un’altra persona, non volevo credere
alle sue parole.
Questa ragazza pericolosa è comparsa per la prima volta
davanti ad Arthur,
durante la mia infanzia, dicendo di chiamarsi Meiko. Pochi mesi fa, a
causa
sua, tre studenti della Teikō sono stati ricoverati in ospedale in
condizioni
piuttosto gravi. Tra di loro c’era anche Aizawa,
l’artefice delle lettere
minatorie che, da un po’ di tempo, trovavo ormai nel mio
armadietto. La ragione
di tale odio nei miei confronti è stata la mia amicizia con
Akashi e i ragazzi
della squadra di basket.
Dopo
aver lasciato la Teikō ho continuato i miei studi a casa e mi sono
diplomata
privatamente. Inoltre ho iniziato il ciclo di cure che dovrebbero
aiutarmi a
riprendere il pieno controllo su me stessa. Anche se da quella sera non
si è
più manifestata, Meiko non è sparita.
È ancora presente da qualche parte nel
mio subconscio e io non posso dirmi al sicuro. Di conseguenza
è comprensibile
l’ansia di Haruka.
Oggi
inizia la mia vita da liceale e tutta la mia famiglia ha deciso
perché io
frequentassi la stessa scuola di Haruka. Mia cugina è
più grande di me di un
anno, quindi ora è una mia senpai.
Ma
in realtà le è stato affidato il compito di
tenermi d’occhio. Avere un membro
della famiglia vicino a me, ha spiegato lo psicologo, mi
aiuterà ad affrontare
il nuovo contesto scolastico con più serenità e a
mantenere stabili le mie
emozioni. Inoltre ho deciso di fare del mio meglio per non fare
più preoccupare
nessuno. Per questo mi assicuro di arrivare sempre in orario agli
incontri con
la mia psicologa e di assumere ogni giorno i medicinali prescritti.
Voglio
evitare a tutti i costi che si ripeta quanto successo l’anno
scorso. Affronterò
questo nuovo anno come farebbe la vera Eiko, senza attirare attenzioni
inutili,
senza pretendere di trovare un posto nella piccola società
scolastica ma,
soprattutto, senza stringere amicizie. In questo modo non
dovrò temere di
coinvolgere persone innocenti nei miei problemi. In fondo, non ho
bisogno di
amici.
«Che
cos’è quell’aria depressa?».
La
voce di Haruka richiama la mia attenzione.
«Non
è niente, stavo solo ripetendo le regole. Come ho detto, non
devi preoccuparti.
Questa volta farò attenzione a non stringere amicizia con
nessuno».
Alla
mia dichiarazione, Haruka sospira infastidita, quindi si gira verso di
me e
colpisce la mia fronte con un dito.
«Ti
dirò una cosa: tu sei una stupida!», dichiara
infine esasperata, facendo
sussultare persino Arthur seduto al volante. «Stammi bene a
sentire, Eiko.
Nessuno ha detto che devi vivere la tua nuova vita da liceale come un
reclusa o
un’asociale. Hai dimenticato cosa ha detto la dottoressa:
l’auto-isolamento è assolutamente
vietato. Non pensare nemmeno lontanamente di chiuderti in te stessa e
rinunciare a farti degli amici, o ti prendo a pugni il primo giorno di
scuola»,
di nuovo la sua mano si chiude minacciosa. «Ok, prima ho
esagerato con le
raccomandazioni ma volevo solo ricordarti di essere prudente, per il
tuo bene. Invece
tu non hai capito niente. Conosco quella faccia. Stavi di nuovo
pensando a
quello che è successo l’anno scorso,
ammettilo!!!».
«No,
io…», incapace di discolparmi, infine confesso,
piena di vergogna.
«Eiko»,
Haruka posa una mano sulla mia spalla e la sua voce si addolcisce.
«Ne abbiamo
già parlato e nessuno pensa che sia colpa tua,
perciò smettila di fare
l’insicura e abbi più fiducia in te stessa. E poi
ci sono io con te. Vedrai:
quest’anno sarà il migliore della tua vita e tu
conoscerai un sacco di nuovi
amici. So che sei ancora legata ai tuoi compagni della Teikō, ma adesso
devi
guardare avanti», dispiegando un larghissimo sorriso, mi
dà un colpetto sulla
spalla e io ritrovo fiducia.
L’auto
si ferma e Arthur annuncia che siamo arrivati a destinazione. Esco
dall’abitacolo insieme ad Haruka e uno sbuffo di vento corre
tra i miei
capelli. È di nuovo primavera e i ciliegi sono fioriti
ancora una volta.
«Sei
pronta?», si assicura Haruka dopo essersi sistemata la gonna,
arruffata dal
vento. Le rispondo con tutta la decisione di cui sono capace quindi,
solleviamo
entrambe lo sguardo sull’imponente edificio che si staglia
davanti a noi.
«Benvenuta alla Seirin!».
***
I
cortili della scuola pullulano di stand. Ovunque è un
energico vociare di
studenti impegnati a conquistare l’attenzione delle nuove
leve. Come all’inizio
di ogni nuovo anno, i membri di tutti i club gareggiano ferocemente tra
loro
per strappare agli avversari nuovi iscritti. Io e Haruka avanziamo
intrepidamente attraverso il campo di battaglia, ma senza eludere gli
ostacoli.
Proteggendomi dall’assalto simultaneo dei rappresentati di
diversi club, mia
cugina si assicura di collezionare un volantino da ognuno di loro per
poi
cedermelo.
«Prenditi
del tempo per dare un’occhiata a tutti. Magari trovi qualcosa
che ti
interessa».
Seguendo
il suo consiglio, inizio a sfogliare i depliant: club di letteratura,
club di
shogi e scacchi, club di fotografia, club di recitazione, club di
giardinaggio,
club di calcio, club di scherma, club di nuoto, club di scienza. I miei
occhi
si soffermano infine sul volantino del club di scrittura. Da quando
sono
iniziate le sedute terapeutiche scrivo regolarmente in un diario.
È stata la
mia psicologa ad assegnarmi questo compito che devo svolgere ogni
giorno. Non
avevo mai scritto nulla di personale prima e non avevo mai pensato di
comporre
testi di alcun genere. Non avevo idea di quanto benefico e liberatorio
fosse
scrivere, riportare sulla carta bianca i propri pensieri e le proprie
emozioni.
È un ottimo metodo per fare chiarezze nella mia mente e nel
mio cuore e adesso
non riesco più a farne a meno. Questa mattina ho deciso di
infilare nella
cartella anche il mio diario, sebbene Haruka non fosse
d’accordo. Mi rendo
conto che sia rischioso: se qualcuno dovesse leggerlo verrebbe a
conoscenza del
mio segreto e sapere che l’ultima erede della famiglia
Wadsworth soffre di
personalità multipla offrirebbe solo un succulento spunto
per il prossimo
gossip dei media. Ecco perché da domani lo
lascerò di nuovo ben custodito nel
cassetto della mia scrivania, nella mia camera. Oggi è il
mio primo giorno di
scuola e volevo assicurarmi di registrare tutte le mie emozioni prima
di
dimenticarle.
«Il
club di scrittura?», Haruka si sporge sul foglio di carta,
appoggiando il mento
sulla mia spalla. «Potrebbe essere una buona idea provare a
scrivere qualcosa
di diverso. Magari scopri di essere una grande scrittrice e di avere
del
talento».
«Io?
Del talento?».
Sentire
questa parola accostata al mio nome provoca una smorfia di
assurdità sul mio
viso.
«Perché?
Non puoi saperlo», riprende Haruka, disapprovando la mia
reazione. «Hai
dimenticato? Non rinunciare prima di aver provato. Mah, siamo solo al
primo
giorno, quindi hai tutto il tempo per decidere col calma».
Il
suo braccio mi attira a sé mentre la sua mano scompiglia
affettuosamente i miei
capelli.
«Haru-chan!
Da questa parte!».
Una
voce femminile e squillante si alza tra la confusione. Haruka solleva
il
braccio salutando una ragazza che stringe in mano un pallone da
pallavolo. Mi
fa cenno di seguirla e ci avviciniamo a quello che sembra essere lo
stand del
club di pallavolo.
«Non
avevi detto di non poterci aiutare perché avevi da fare?
Cosa ci fai a scuola
così presto?», domanda la ragazza imbronciando le
labbra. «Aspetta, chi è
questa ragazza? E’ così carina! Sembra una
bambola. La conosci?».
«E’
mia cugina e oggi è il suo primo giorno», risponde
Haruka in tono svogliato.
«Impossibile!»,
dichiara la ragazza scuotendo energicamente la testa in segno di
negazione.
«Come può un maschiaccio come te avere una cugina
tanto graziosa? Come ti
chiami?», chiede infine rivolgendosi direttamente a me e
ignorando gli insulti
di Haruka.
«Mi
chiamo Eiko Wadsworth. Molto piacere».
Non
appena termino la presentazione non solo la ragazza davanti a noi, ma
anche le
altre compagne di squadra di Haruka si avvicinano piene di
curiosità. Dopo
avermi guardata, iniziano a squittire e urlare in coro, prendendomi a
turno fra
le loro braccia e accarezzandomi come fossi un cagnolino. È
la prima volta che
il mio volto da bambina scatena una reazione tanto veemente.
«Capitano,
possiamo tenerla?», implora una giocatrice.
«Si,
si. La voglio assolutamente in squadra!», le fa eco una
seconda.
«Potremo
coccolarla e accarezzarla quando vorremo!», minaccia infine
una terza.
«Che
diavolo state dicendo, cretine! Eiko non è mica un
cane!!».
Haruka
esplode strappandomi dalle grinfie delle sue scalmanate compagne.
«Mi
dispiace, ma purtroppo io non sono brava come Haruka. Non sono portata
per gli
sport», confesso subito dopo nella speranza di soffocare
l’entusiasmo del
gruppo.
«Questo non
è un problema», controbatte il
capitano. «puoi diventare la nostra manager».
«Temo
che finirei solo col combinare pasticci».
«Nooo!
È anche impacciata! E’ assolutamente
adorabile!!!».
A
quanto pare, qualunque cosa dica non servirà a demotivarle.
Per fortuna Haruka
interviene prima che la situazione degeneri.
«Vi
avverto: state lontane da Eiko o dovrete vedervela con me.
Maniache!».
«Sei
sicura di poter parlare così al tuo capitano e alle tue
compagne?», le chiedo
preoccupata. Apprezzo le sue intenzioni, ma forse ha esagerato.
«Non
preoccuparti, siamo abituate al linguaggio di tua cugina»,
interviene il
capitano con una risata. «Beh, non posso obbligarti a entrare
nel club se non
vuoi. Ma sappi che se dovessi cambiare idea, sarai sempre la
benvenuta».
Approfittando
della distrazione di Haruka, impegnata a tenere a bada il resto della
squadra,
il capitano mi fa l’occhiolino per poi richiamare
all’ordine le ragazze. Dopo
un breve saluto alle compagna di squadra, Haruka mi prende con
sé e ci lasciamo
alle spalle lo stand.
«Sembrano
delle ragazze simpatiche», commento quando ormai siamo
lontane.
«Si,
ma non abbassare la guardia o ti divoreranno. Adesso che sanno che sei
mia
cugina, proveranno in tutti modi
a
convincerti a entrare nella squadra. Se dovessero infastidirti le
sistemerò io».
Non
ho dubbi al riguardo e non posso che sentirmi in ansia. E’
chiaro a questo
punto che Haruka non perderà di vista le sue compagne.
Inizio ad essere un po’
preoccupata per loro. Il mio primo incontro qui alla Seirin ha
sicuramente
lasciato un forte impatto e più tardi devo ricordarmi di
riportarlo nel mio
diario. Sono felice di aver conosciuto le compagne di squadra di
Haruka. E’ un
bel gruppo affiatato e ora sono impaziente di assistere alle loro
partite.
***
Arriva
il momento di separarmi da mia cugina e raggiungere la mia aula.
Purtroppo la
sua classe si trova al piano superiore, quello riservato al secondo
anno. Prima
di varcare la soglia prendo un bel respiro e nella mente ripeto le
parole di
incoraggiamento di Haruka. Non posso cambiare quello che è
successo in passato,
ma non devo lasciare che condizioni il mio presente. Preferirei
dimenticare la
mia esperienza alla Teikō ma so che non accadrà mai. Il
ricordo di quella sera
è ancora nitido nella mia memoria, così come i
volti di Mayumi, Satsuki,
Akashi. Ma ho promesso di guardare avanti e non tormentarmi. In questa
scuola
non mi conosce ancora nessuno quindi posso ricominciare da zero,
procedendo con
cautela. Anche se Meiko non è più ricomparsa, i
dottori hanno detto che la mia
condizione è ben lontana dal definirsi stabile. Se non altro
so che la mia
seconda personalità tende a riemergere quando mi trovo in un
forte stato
emotivo o psicologico. Di conseguenza mi basterà evitare le
situazioni estreme
e rimanere in un contesto il più tranquillo possibile.
Una
volta ritrovata la calma compio il primo passo verso la mia nuova vita.
Un
vento impetuoso di voci mi travolge. Schiamazzi e risate, ovunque
è una festa
di suoni che colpiscono le mie orecchie, di gesti teatrali che
catturano il mio
sguardo. Intimidita dall’atmosfera giocosa e incredibilmente
vivace che domina
l’aula, mi infilo tra la massa informe. Grazie alla mia
statura minuta riesco
ad avanzare senza intoppi. I miei chiassosi compagni di classe non
sembrano
accorgersi di me, immersi come sono nelle loro conversazioni. Sono per
lo più
divisi in piccoli gruppi sparsi per la stanza, intenti a condividere le
prime
impressioni sulla nuova scuola, su qualche senpai avvicinatosi per
promuovere
il proprio club o su qualche possibile interesse romantico appena
sbocciato.
Ciò che però accomuna ogni studente è
sicuramente il desiderio di socializzare
e familiarizzare il prima possibile con i nuovi compagni di classe e
approfittarne magari per stringere qualche alleanza che potrebbe
rivelarsi
fruttuosa durante l’anno.
Dentro
di me cresce un’agitazione mescolata
all’entusiasmo. Mi sento combattuta fra
una miriade di sentimenti differenti per natura e intensità.
Per quasi un anno
mi sono tenuta a debita distanza da qualunque tipo di luogo pubblico.
Dietro
ordine dei medici, mi trovo di nuovo in balia di questa burrascosa
tempesta che
chiamano società, con il compito, o forse sarebbe
più appropriato dire
missione, di infiltrarmi e diventare parte di essa. Se da una parte
è un bene
che non ci siano volti conosciuti tra quelli dei miei compagni, che
potrebbero
riportare alla mente la mia terribile esperienza alle scuole medie,
dall’altra sapere
di dover ripartire dalle basi per instaurare una qualsiasi relazione mi
fa
sentire incredibilmente insicura. Tuttavia, ora che so quanto ancora
instabile
sia la mia condizione, non posso permettermi il lusso di cedere allo
sconforto
e abbattermi alla prima difficoltà.
Ma
il destino sembra avere in serbo per me la più devastante
delle prove. Proprio
quando penso di aver trovato la serenità giusta ad
affrontare la mia nuova
vita, un’altra matricola, di cui non mi ero accorta fino a
questo momento, mi
passa accanto sfiorandomi. Il contatto è minimo ma
sufficiente a farmi voltare
per incrociare lo sguardo del ragazzo. Due iridi, splendenti e chiare
come geme
di topazio, bloccano il respiro nella mia gola. Il cuore quasi mi
schizza in bocca
per la sciagurata coincidenza ordita dal Fato. Ero sicura che non avrei
più
rivisto nessuno di loro, che avrei potuto voltare pagina e ricominciare
da
zero. Invece, l’improvvisa apparizione di Kuroko Testuya
davanti ai miei occhi
mi risveglia bruscamente dal mio sogno, affogando i miei pensieri in un
caos
primordiale da cui, sento, non riemergerò facilmente. Se il
mio cervello ha
congelato la sua capacità razionale, l’istinto
è ancora abbastanza valido da
precipitarsi in mio soccorso. Appena un attimo prima che Kuroko
dischiuda le
labbra per rivolgermi la parola, i miei piedi si mettono in moto e mi
portano
lontano da lui.
Non
importa che la sorte abbia deciso di prendersi gioco di me facendomi
incontrare
uno dei miei vecchi amici. Durante questi mesi mi sono preparata a
fronteggiare
anche questa possibilità. Dopo il mio trasferimento, tra i
corridoi della Teikō
ha iniziato a circolare la voce che avessi perduto parte della mia
memoria a
causa di un incidente. Un pettegolezzo che lo stesso preside, col
consenso dei
miei genitori, si è prodigato a diffondere per giustificare
la mia improvvisa
partenza. Ma questa bugia è stata approvata da tutta la mia
famiglia
soprattutto per far fronte a una crisi imprevista, e
l’incontro con un vecchio
membro della squadra di basket rientra, senza ombra di dubbio, nella
categoria
degli incontri critici. Fingere. Fingere di non riconoscere. Fingere di
non
ricordare. Fingere di non vedere, di non sentire. Ogni giorno trascorso
mi sono
allenata con l’obiettivo di risultare credibile. So bene che
è una tattica
meschina, ma nella mia condizione attuale rappresenta l’unico
appiglio
abbastanza sicuro per me. L’unica strategia che possa tenermi
ancorata ad una
realtà stabile, a una dimensione in cui sono ancora io ad
avere il controllo.
Accelero
il passo e la mia camminata si trasforma presto in corsa. La mia testa
è
annebbiata dall’improvviso incontro con Kuroko. Come
giustificherò il mio comportamento?
Riuscirò a convincerlo di aver perso la memoria? Sono stata
sicuramente
sfortunata ad incontrarlo, ma sono ancora in tempo per entrare nel
personaggio
e interpretare il ruolo. Le mie riflessioni vengono violentemente
interrotte.
La mia fuga si arresta contro la schiena di uno studente e la potenza
dell’impatto mi fa cadere all’indietro, sul
pavimento.
«Tutto bene?».
«Si, grazie», rispondo afferrando la
mano tesa. È molto più
grande della mia e la sua stretta vigorosa.
Di nuovo in piedi, solevo lo testa. Un ragazzo dallo
sguardo arcigno, tanto intenso da conferirgli un’aria
più matura della sua età,
mi osserva dalla cima della sua eccezionale statura. I due occhi,
sormontati da
un paio di bizzarre sopracciglia biforcute, splendono come due
cristalli di
granato rosso.
«Sei
davvero piccola», commenta con una voce lievemente graffiata.
Per qualche
curiosa ragione, quel suono evoca subito nella mia mente
l’immagine di una
tigre selvaggia, il cui riposo sia stato interrotto dal festoso gioco
di due
goffi cuccioli.
«Mi
spiace», rispondo d’istinto, dimenticando per un
attimo che il ragazzo davanti
a me non è affatto un predatore della savana e che io non
sono un esuberante
tigrotto.
«Eh?!
Non devi scusarti. Non è colpa tua se sei piccola».
Cosa?
Le parole del ragazzo mi risvegliano dalle mie fantasie. Ovviamente non
posso
rivelare il vero motivo per cui mi sono scusata, o mi prenderebbe per
pazza, ma
non voglio che questo ragazzo fraintenda.
«No,
volevo dire che mi spiace di esserti venuta addosso. E’ colpa
mia, stavo
correndo nei corridoi».
Sul
volto dello studente compare il colorito della vergogna e la
severità che prima
aveva dominato il suo sguardo lascia ora il posto
all’imbarazzo.
«Pensavi
che mi fossi scusata per essere così piccola?»,
gli chiedo, sondando i miei
dubbi. Il suo silenzio impacciato mi spinge a sorridere. «Se
la metti così,
allora anche tu dovresti scusarti…per essere così
alto», concludo indicando la
sua statura decisamente fuori dal normale. «Sei
giapponese?».
«Si,
lo sono, ma ho vissuto in America fin da bambino. Non volevo
offenderti, è che
non sono abituato a vedere studentesse così
piccole», confessa il ragazzo
portando una mano dietro la nuca. «Tu invece non sembri
giapponese».
«Sono
di famiglia mista. Mio padre è giapponese mentre mia madre
è britannica.
Neanche tu però sembri il tipico adolescente giapponese. Per
caso pratichi
sport?».
«Mi
sono appena iscritto al club di basket».
Basket?
Questo vuol dire che prima o poi incontrerà Kuroko e magari
diventeranno
compagni di squadra. Fino a che punto può arrivare la
sfortuna di una persona?
Se avessi saputo che questo ragazzo era un giocatore di basket, non gli
avrei
rivolto la parola. Non è prudente per me avere troppi
contatti con questo
sport. Farò meglio a troncare qui la conversazione.
«Scusa
ma ora devo tornare in classe», senza attendere una risposta
ruoto su me stessa
e ripercorro la strada da cui sono venuta. Tornata al punto di
partenza,
spalanco la porta dell’aula ma appena prima di varcare la
soglia, una presenza
imponente compare alle mie spalle.
«Così
siamo compagni di classe».
Lo
stesso ragazzo che credevo di aver lasciato nel corridoio attende ora
di
entrare in aula, la mia aula. Mi faccio da parte e lo lascio passare.
Lo seguo
con lo sguardo mentre prende posto nel banco dietro il mio. Il suo
arrivo ha
destato la curiosità di tutti gli altri studenti. La prima
impressione non è
certo la migliore. Questo tipo incute davvero paura e intorno a lui si
respira
un’aura opprimente, così intensa da mettere in
soggezione chiunque si trovi
nelle vicinanze. Non mi sorprende che i miei compagni di classe si
tengano a
debita distanza da lui. E la stessa cosa ho intenzione di fare
anch’io, sebbene
per un motivo diverso. Stringere amicizia con lui mi porterebbe ad
incrociare
nuovamente il mio cammino con quello di Kuroko e, più in
là, con quello di
tutti gli altri vecchi miei amici.
Anche
se il Fato ha deciso di mettermi a dura prova, non cadrò
nella sua trappola.
Non sono sola, Haruka è in questa scuola, insieme a me e io
non sono più la
stessa Eiko dell’anno scorso. È vero,
l’incontro con Kuroko mi ha colta di
sorpresa ma da adesso in poi non mi farò trovare di nuovo
con la guardia bassa.
Si tratta solo di resistere tre anni, i prossimi tre anni. Da questo
momento in
poi avrò la possibilità di mettere in pratica i
frutti del mio addestramento. A
parte Kuroko, nessun altro è a conoscenza del mio passato
alla Teikō e
solamente Haruka sa del mio segreto. Un segreto che potrebbe disonorare
il nome
Wadsworth. So che nessun membro della mia famiglia teme di perdere la
faccia a
causa della mia malattia. La loro unica preoccupazione è che
io sia in grado di
vivere serenamente la mia vita. I miei genitori non hanno mai badato a
cose come
la reputazione, il prestigio. Per loro sono altri i valori importanti,
ecco
perché non hanno paura che il mio segreto diventi di dominio
pubblico. Il loro
unico timore è che potrebbe condizionare la mia vita ed
espormi al giudizio
della gente. In poche parole si preoccupano solo di me, senza badare
affatto
all’influenza negativa che il mio disturbo potrebbe avere sul
nome della
famiglia. Ma io la penso diversamente. Dal momento che non posso
contribuire ad
accrescere il prestigio della compagnia poiché non ho
talenti, voglio almeno
proteggerla dalle malelingue. Ecco perché la missione che io
stessa mi sono
imposta è quella di impedire, in qualunque modo e con
qualunque mezzo, che il
mio segreto venga rivelato. Non posso esporre alla vergogna le persone
che amo.
Sicura
di aver preso la giusta decisione, rinnovo infine, nel silenzio, il mio
voto.
Entro in aula e con passo saldo mi
avvicino al mio banco. Intanto il resto della classe accompagna la mia
avanzata
con bisbigli preoccupati di sottofondo, dovuti alla presenza del
ragazzo giunto
dall’America. Da parte mia, invece, ignoro l’unico
paio d’occhi puntato sulla
mia figura. Da quando sono ritornata, infatti, lo sguardo silenzioso di
Kuroko
non si è sollevato da me. Facendo appello alla mia
determinazione, sfilo
davanti al mio vecchio amico e, ignorandolo, prendo posto di fianco a
lui.
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Capitolo 24 *** Io continuerò a credere in te ***
Capitolo
13
“Io
continuerò a credere in te”
La
mia vita da
liceale è iniziata ufficialmente dieci giorni fa con una
sorpresa, invero non
molto gradita: ho infatti scoperto che tra i miei compagni di classe
c’è anche
Kuroko. L’idea di trascorrere il resto dell’anno
insieme a lui non mi
entusiasma affatto, al contrario mi preoccupa. L’essermi
riunita ad uno dei
miei vecchi amici della Teikō mi ha costretta fin da subito ad alzare
le mie
difese e rinforzarle. Eppure qualcosa mi infastidisce. Dopo
l’ultimo tentativo
da parte sua di iniziare una conversazione e il mio consequenziale
rifiuto,
Kuroko non ha più cercato di avvicinarsi a me. Non
l’ha presa bene quando gli
ho detto di non ricordare chi fosse, ma non sembrava arrabbiato,
piuttosto
dispiaciuto. La cosa positiva è che, almeno per ora, sono
riuscita a
convincerlo a starmi lontano. Ho dovuto calcare un po’ la
mano e confesso che
non è stato facile fingere di trovare la sua presenza
inquietante e ordinargli
di lasciarmi in pace. Ma non mi pento affatto di quello che gli ho
detto. Sono
tuttavia contenta che si tratti di Kuroko. Per fortuna è un
ragazzo che passa
facilmente inosservato e che non ama spettegolare, perciò
non devo preoccuparmi
che racconti a qualcuno del mio passato. Inoltre non è una
persona invadente e
questo significa che non proverà a riallacciare i rapporti
con me contro la mia
volontà. Come avevo previsto, è entrato nella
squadra di basket. Era
inevitabile, del resto.
«Kiseki
no Sedai?».
«Che
cosa hai
detto?», chiedo a Haruka.
Anche
oggi siamo
insieme sul terrazzo della scuola per la pausa pranzo. Questo
è il terzo giorno
consecutivo che veniamo qui per sfuggire alle ragazze della squadra di
pallavolo: a quanto pare mi hanno eletta mascotte ufficiale a mia
insaputa.
Spero che cambino presto idea perché non ho intenzione di
unirmi al loro club.
Riporto
le mie
attenzioni su Haruka. Sono diversi minuti che sfoglia una rivista
sportiva,
senza troppo interesse, a dire il vero. Ma la sua espressione sembra
ora
cambiata. Forse ha finalmente trovato un articolo degno della sua
attenzione.
Incuriosita mi sporgo sul giornale per dare un’occhiata.
«Non
si può dire
che non si siano dati da fare nel frattempo», commenta mia
cugina, osservando l’immagine
in primo piano.
Immortalati
nella
fotografia che accompagna l’articolo, i volti dei miei vecchi
amici. Akashi,
Midorima, Aomine, Kise, Murasakibara e, infine, Kuroko posano davanti
all’obiettivo.
«L’articolo
si
riferisce ai campionati nazionali dell’anno scorso. A quanto
pare la Teikō si è
riconfermata come la scuola migliore del torneo», commenta
Haruka con
sufficienza. «Chiunque abbia scritto il pezzo, non poteva
scegliere un titolo
più stupido di questo. Kiseki no Sedai? La Generazione dei
Miracoli? Che
idiozia! È chiaro che si tratta solo di un altro squallido
tentativo di fare
pubblicità alla scuola».
Haruka
chiude la
rivista e con un gesto annoiato la getta ai suoi piedi per riprendere a
mangiare. Avendo terminato il mio pranzo, la raccolgo e inizio a
sfogliarla
fino ad arrivare alla pagina che mi interessa. Ancora una volta i miei
occhi si
concentrano sui volti dei sei ragazzi. Questa foto è stata
scattata solo
qualche mese dopo il mio trasferimento dalla Teikō, eppure tutti loro
sembrano
così diversi. Nei loro sguardi non c’è
la gioia di chi ha vinto un importante
campionato. Non c’è passione. Al contrario,
sembrano tutti pallidi come fiori
appassiti. L’espressione nei loro occhi si è
indurita, maturando prima del
tempo. Ha perso la sua freschezza. Ma fra tutti quanti, Aomine sembra
particolarmente infelice. La sua luce si è affievolita.
Ricordo bene il sorriso
che mostrava sempre quando giocava, lo scintillio nei suoi occhi
entusiasti. Ma
in questa foto, nonostante i colori con cui è stata
scattata, la sua figura
appare sbiadita, opaca. Non voglio essere tanto presuntuosa da credere
che
questo cambiamento sia stato provocato dalla mia improvvisa scomparsa.
Sono
invece sicura che sia successo qualcosa che ha costretto tutti loro a
cambiare
così profondamente. Se anche dovessi incontrali, non
sarebbero le stesse
persone che ricordo. Forse è un bene che le nostre strade si
siano separate.
«Ho
sentito che
sono stati ingaggiati da scuole differenti», pronuncia Haruka
alzando lo
sguardo sul cielo terso. «Questo vuol dire che presto
dovranno giocare sullo
stesso campo come rivali. Sei preoccupata per loro?».
«Non
saprei»,
rispondo abbassando la rivista sulle mie gambe distese. «Fino
adesso l’idea che
potessero diventare avversari e giocare gli uni contro gli altri non mi
era mai
passata per la testa. Ma se devo essere onesta, non è questo
a preoccuparmi.
Credo che sia successo qualcosa dopo il mio trasferimento dalla Teikō.
Qualcosa
che ha cambiato profondamente tutti loro. Ovunque siano, spero solo che
continuino a divertirsi giocando a basket», anche se i volti
in questa
fotografia sembrano tutta’altro che gioiosi.
«Forse
non è vero
che sono tutti cambiati», continua Haruka, portando lo
sguardo sul giornale.
Seguendo
i suoi
occhi, le mie pupille si soffermano sulla figura minuta di Kuroko. Non
sono
sicura che Haruka abbia ragione. Almeno in questa fotografia, anche
l’espressione sul suo volto sembra in qualche modo avvilita,
piena di
rimpianti. Da quando è iniziato il nuovo anno qui alla
Seirin, però, e
soprattutto da quando è entrato nel club di basket, Kuroko
sembra più sereno,
quasi avesse trovato un nuovo proposito per cui lottare. E non penso
che il suo
incontro con il ragazzo venuto dall’America sia del tutto
casuale. Se ricordo
bene il suo nome è Kagami. Non conosco il suo modo di
giocare ma pare andare
molto d’accordo con Kuroko. A volte, guardandoli insieme, mi
torna in mente
l’affiatamento che c’era con Aomine. Forse lo stile
di gioco di Kagami è più
simile a quello di Aomine di quanto possa apparire. In ogni caso non
voglio
lasciarmi coinvolgere. Se dicessi di non essere nemmeno un pochino
curiosa su
quei due mentirei, ma incrociare ancora una volta il mio cammino con
quello di
Kuroko renderebbe solo più difficile la mia guarigione.
«Uffa,
è già ora
di tornare».
Con
uno sbuffo
Haruka di solleva dal pavimento raccogliendo alla rinfusa la scatola
del
pranzo. Ora che la pausa è terminata dobbiamo rientrare per
le attività del
pomeriggio. Le restituisco quindi la rivista e mi incammino al suo
fianco verso
la prossima lezione.
***
Haruka
è ancora
impegnata con gli allenamenti ma ha detto che dovrebbe finire fra
un’ora. Dopo
averle promesso che l’avrei aspettata per tornare a casa
insieme, decido infine
di passare il tempo che resta al Maji Burger. È un fast-food
a pochi passi
dalla scuola, dove si radunano spesso anche altri studenti della
Seirin.
Personalmente non ci sono mai stata prima di questa sera, ma dovendo
aspettare
Haruka e avendo un po’ di fame ho alla fine deciso di
entrare, accompagnata da
Arthur.
Una
folla di
studenti e famiglie attende di avvicinarsi alla cassa per ordinare. Mi
aggrego
alla coda e inganno la lunga attesa scorrendo la lista dei vari
menù riportata
su alcuni tabelloni. Non posso dire di essere un’amante dei
fast-food dal
momento che preferisco cibi più salutari, quindi decido di
ordinare solo una
porzione di bocconcini di pollo fritto e un piccolo toast al
prosciutto. Arthur
invece rifiuta di prendere qualsiasi cosa e si limita a seguirmi da
vicino
mentre prendo posto ad un tavolo davanti a una delle finestre.
«Yo!».
Un
ragazzo dalla
statura imponente mi rivolge il saluto e mi basta una rapida occhiata
alle sue
sopracciglia biforcute per capire che si tratta di Kagami, il ragazzo
venuto
dall’America.
«Ciao,
Kagami,
anche tu qui?», rispondo spalancando subito dopo gli occhi
alla vista della
montagna di hamburger sul suo vassoio. Non dovrei sorprendermi: dato il
suo
fisico è piuttosto normale che il suo appetito sia
proporzionato alla sua
corporatura.
«Non
ti ho mai
vista da queste parti», continua alzando un sopracciglio,
perplesso.
«In
effetti non
amo molto i fast-food ma oggi ho deciso di fare un’eccezione.
Sto aspettando
mia cugina», spiego brevemente.
Notando
quindi lo
sguardo diffidente di Arthur mi affretto nelle presentazioni.
«Questo
ragazzo è
un mio compagno di classe. Si chiama Kagami Taiga».
«Sei
un amico della
signorina Eiko?», lo interroga Arthur con aria poco
amichevole.
«Non
direi»,
risponde Kagami con naturalezza. «Questa è la
terza volta che parliamo».
Se
Kagami non
fosse intervenuto probabilmente avrei risposto io al suo posto e avrei
usato le
stesse parole. Tuttavia sentire quella frase uscire dalla sua bocca con
tanta
spontaneità, come fosse la cosa più ovvia del
mondo, mi ha in qualche modo
infastidita. Non che mi aspettassi una reazione diversa, ma avrebbe
almeno
potuto esitare un po’.
«Beh,
non credo
che lei mi consideri suo amico, almeno», pronuncia subito
dopo, portando una
mano dietro la testa per nascondere l’imbarazzo.
«Il fatto è che non abbiamo
avuto molte occasioni per parlare
perciò…»
«In
effetti non
sono molto socievole. Perdonami».
«No-non
devi
scusarti. Non è colpa sua se sei timida. Credo».
«Credo?».
Il
tono di Arthur
è improvvisamente ostile e la sua guardia è
chiaramente alta in questo momento.
Sono quasi certa che percepisca Kagami come una minaccia o, se non
altro, come
un individuo poco affidabile.
«A-Arthur,
non
fare quella faccia, in fondo Kagami non ha tutti i torti. E comunque
sono
sicura che non volesse offendermi. È stato solo molto
sincero, giusto?».
Kagami
annuisce
alla mia domanda.
«Se
sei da solo,
perché non ti siedi con noi», propongo infine.
La
prima
impressione che ho avuto di Kagami non è stata la migliore,
lo ammetto, ma
guardandolo adesso non riesco a credere ai pettegolezzi che giravano
sul suo
conto fino a qualche giorno fa. Non sembra affatto una persona
pericolosa e
terribile. Certo ha uno sguardo sempre corrucciato, troppo maturo per
la sua
età, e la sua statura incute un po’ di paura, ma
parlando con lui è facile
intuire che tipo di ragazzo sia in realtà. Questa potrebbe
essere un’occasione
per chiacchierare e conoscerci meglio, dopotutto ho promesso ad Haruka
che
avrei provato a farmi dei nuovi amici.
«Ehi,
Kuroko, a te
sta bene?».
Al
nome del mio
vecchio compagno un brivido percorre la mia schiena, facendomi
irrigidire sulla
sedia.
«Hai
detto
Kuroko?», le mie labbra si muovono a stento mentre i miei
occhi si spostano
sulla piccola figura giunta ora al fianco di Kagami.
«Salve,
Eiko-san».
Il
nuovo arrivato
mi rivolge un breve inchino. La mia risposta al suo saluto è
puramente
istintiva: con uno scatto abbasso la testa interrompendo il contatto
visivo.
Non mi aspettavo un confronto diretto con Kuroko così
presto. Sono stata
ingenua. Avrei dovuto prendere in considerazione la
possibilità che Kagami
fosse venuto qui con qualche membro della squadra di basket, ma fra
tutti i
possibili candidati doveva trattarsi proprio di Kuroko.
«C’è
qualche
problema?».
Notando
forse la
tensione fra me e Kuroko, Kagami interviene ad interrompere
l’improvviso
silenzio.
«N-No,
nessun
problema», balbetto io, cercando di controllare
l’ansia.
«Forse
dovremmo
sederci da un’altra parte».
La
proposta di
Kuroko è troppo invitante perché io la respinga.
Non sono ancora pronta ad
affrontarlo. Se ora sedesse al mio tavolo non sarei in grado di
iniziare alcun
tipo di conversazione e l’atmosfera diventerebbe presto
insostenibile, non solo
per me.
«Potete
sedervi
qui, tanto io e Arthur stavamo per andare. A quest’ora mia
cugina avrà finito
con gli allenamenti».
Con
evidente
fretta mi alzo dalla sedia e mi allontano dai due ragazzi senza
preoccuparmi di
salutarli. Kagami penserà sicuramente che sono una ragazza
strana e non avrà
una buona opinione di me, ma in questo momento non
c’è altro che possa fare.
Purtroppo ho perso la mia occasione di rafforzare la mia relazione con
lui ma
ho troppa paura dell’influenza che potrebbe avere su di me la
presenza di
Kuroko. Sono una codarda, ma non me ne vergogno. Non ancora almeno.
Scuoto la
testa per scacciare ogni ripensamento dalla mia mente mentre,
dall’altro lato
della strada, Haruka, libera di tornare finalmente a casa, agita il
braccio in
aria chiamando il mio nome.
***
La
scorsa notte ho
sognato Kagami. Non ricordo esattamente il sogno, ma so per certo di
aver visto
il suo volto. Quando mi sono svegliata ho provato una strana delusione.
Ultimamente mi sta succedendo qualcosa di strano e poco piacevole. Non
saprei
dire quando è iniziato, né per quale assurdo
motivo, ma mi capita sempre più
spesso di pensare a lui. Anche a scuola, prima che me ne renda conto, i
miei
occhi cercano la sua figura e le mie orecchie reagiscono alla sua voce.
Di una
cosa però sono assolutamente sicura: non mi sono innamorata
di lui! Sono giunta
a questa conclusione poiché parlare con lui non mi fa
sentire imbarazzata;
quando i nostri sguardi si incrociano non sento la necessità
di fuggire; ma
soprattutto quando mi è vicino il mio cuore non batte
all’impazzata, il respiro
non mi muore in gola e non sento le farfalle nello stomaco. Qualunque
sia la
natura del mio interesse nei suoi confronti, dunque, non ha nulla a che
fare
con il romanticismo. Semplicemente, c’è qualcosa
in lui che mi attira e mi
incuriosisce. Qualcosa di famigliare, il che è assurdo. Come
potrebbe essermi
famigliare un ragazzo che ho incontrato per la prima volta poche
settimane fa?
Eppure non riesco a reprimere questa curiosità che sta ormai
diventando
un’ossessione, a tal punto da farmi incontrare Kagami perfino
nei miei sogni.
Oggi
Haruka non è
venuta a scuola. Ieri sera abbiamo deciso di vedere un film insieme a
Shizuka e
Naoko – una serata tra sole ragazze – e abbiamo
ordinato del cibo da un
ristorante tailandese che conosce Haruka. Il problema è che
ha finito col
mangiare quasi tutto lei e questa mattina non riusciva neanche ad
alzarsi dal
letto a causa dei crampi allo stomaco che l’hanno tenuta in
bagno tutta la
notte. Di conseguenza sono venuta a scuola da sola e ho dovuto
avvertire i
professori e il capitano della squadra di pallavolo al suo posto. Le
mie
lezioni sono appena terminate ma il giorno è ancora luminoso
e non mi va di
tornare a casa.
Il
mio pensiero
vola improvvisamente a lui, il ragazzo venuto dall’America
che tormenta i miei
sogni. Oggi pomeriggio ci sono gli allenamenti del club di basket e ho
sentito
che tra qualche giorno è prevista una partita amichevole con
un’altra scuola,
ma al momento non ricordo il nome. La mia testa dice che non dovrei
farlo, che
non dovrei avvicinarmi alla palestra, ma il mio cuore è di
tutt’altra opinione.
Perciò continuo a camminare verso la struttura, consapevole
che Arthur mi stia
aspettando fuori ai cancelli. Ho intenzione di sbirciare solo per un
attimo,
giusto il tempo di mettere a tacere questa insana curiosità
che martella dentro
di me. Kuroko sembra andare molto d’accordo con Kagami, ma
soprattutto sembra
rispettarlo. Non ho mai visto Kagami sul campo, ma se in qualche modo
ha
ottenuto l’approvazione di Kuroko deve essere un giocatore di
talento.
Un
groviglio di
voci e lo stridere delle scarpe mi avverte che sono giunta a
destinazione.
Avendo deciso di dare solo una rapida occhiata e andarmene subito,
socchiudo la
porta e mi infilo nella palestra. La luce del sole che filtra dai
finestroni
illumina la polvere sospesa nell’aria creando una nebbiolina
sottile che
solletica le mie narici spingendomi quasi a starnutire.
L’odore del legno del
parquet investe il mio olfatto mentre con lo sguardo inizio a
familiarizzare
con il nuovo ambiente.
È
in corso una
partita di allenamento. I ragazzi sono concentrati sul pallone e sugli
avversari, di conseguenza non si sono accorti di me. Io, al contrario,
non ho impiegato
molto a individuare la figura di
Kagami sul campo di gioco e ora tutte le mie attenzioni sono su lui.
Adesso che
è finalmente davanti a me mi sento sollevata e
più tranquilla. La tensione ha
abbandonato i miei nervi, come se mi fossi appena liberata di un peso.
Senza
perdere di
vista Kagami, vado a sedermi a bordo campo. Appoggio la schiena al muro
e la
frescura della parete mi provoca un piccolo brivido sottopelle. Per
diversi
minuti osservo semplicemente il mio compagno di classe correre da un
estremo
all’altro del campo, senza badare a ciò che lo
circonda, senza soffermarmi
sulle sue azioni. Mentre cerco di capire per quale motivo mi senta
così
attratta da lui, i miei occhi colgono un’ombra appena dietro
la sua figura. Stringo
le palpebre per ottimizzare la vista e il profilo di Kuroko prende
forma
accanto a quello di Kagami. Un’improvvisa realizzazione
scoppia dunque nella
mia mente, come una bolla di sapone: Aomine.
Il
paragone tra il
mio vecchio amico e Kagami è inevitabile. Vedere
quest’ultimo insieme a Kuroko
ha rievocato il ricordo di Aomine. Lo stesso entusiasmo. La stessa
passione. La
stessa luce negli occhi. Kagami è esattamente come Aomine.
Finalmente
capisco
per quale motivo mi sentivo così attratta da lui. Il mio
istinto aveva capito
da tempo ciò che la ragione si rifiutava di vedere. Che sia
un’altra
coincidenza? Un’altra trama ordita dal Fato? A questo punto
non importa quanto
io provi a tagliare i ponti col passato poiché esso
troverà sempre un modo per
incatenarmi di nuovo. Forse è arrivato il momento di farmene
una ragione e
accettare l’indissolubilità di questo legame. Del
mio legame con Kuroko, Aomine
e gli altri miei amici della Teikō. Kagami potrebbe essere il ponte di
collegamento eretto dal destino per incoraggiarmi ad attraversare la
corrente e
raggiungere l’altra sponda del fiume dove tutti loro
aspettano. Essermi riunita
a Kuroko in questa scuola e aver incontrato Kagami sono due messaggi
inequivocabili. Ma non riesco ancora a prendere la mia decisione. Ho
così tanto
da nascondere, così tanto da temere. Il segreto che porto
con me e che devo
custodire ad ogni costo mi rende troppo vulnerabile. Mayumi, Satsuki,
Aomine,
Kise, Akashi, Midorima, Murasakibara e ovviamente Kuroko, tutti loro mi
mancano. Ma il presente è più spaventoso del
passato. Ora che so cosa è
successo quella notte non ho il coraggio di rischiare solo per
assecondare un
mio desiderio egoistico. In fondo non sono cambiata: sono sempre la
vecchia
Eiko debole e insicura.
Col
cuore gonfio
di rammarico, mi sollevo dal pavimento e lascio la palestra. La mia
determinazione vacilla come mai prima. Sono combattuta tra i miei
sentimenti e
i miei doveri a tal punto da non accorgermi della presenza alle mie
spalle.
«Eiko-san».
I
miei piedi si
arrestano senza tuttavia ruotare verso colui che ha pronunciato il mio
nome.
«Non
fraintendere,
ero qui solo di passaggio», le parole escono dalle mie labbra
in un unico
respiro affrettato. Mettere le mani avanti è da codardi ma
ammettere la verità
sarebbe umiliante.
«L’hai
notato
anche tu, vero?».
Non
è difficile
intuire il significato delle parole di Kuroko. Si, ho notato quanto
Kagami
assomigli ad Aomine.
«Capisco
perché ti
piace tanto», pronuncio abbassando le spalle ed emettendo un
profondo sospiro.
«Quel ragazzo emana una luce accecante. Sarai felice di aver
trovato un degno
sostituto di Aomine».
«Kagami-kun
non è
un sostituto. Lui è…la mia speranza. Dopo che te
ne sei andata dalla Teikō,
Aomine-kun e gli altri sono cambiati. Il loro basket è ora
molto diverso da
quello che ricordi».
«Vuoi
dire che tu
non sei cambiato, invece?».
«Credo
ancora in
tutti loro».
Dunque
non sei
cambiato. Hai sempre avuto fiducia nei tuoi compagni di squadra, questo
non
l’ho dimenticato. Il tuo legame con ognuno di loro
è più solido del mio e
infondo è giusto che sia così.
«Sai,
Kuroko, ti
confesso che ho sempre un po’ invidiato il tuo ottimismo.
Sono sicura che
Aomine sarebbe felice di sapere che tieni ancora così tanto
a lui». Lo penso
veramente.
«Eiko-san,
tu non
credi più nella nostra amicizia?».
Un
palpito
violento scuote il mio petto. A una domanda così diretta
cosa dovrei rispondere?
Dal punto di vista di Kuroko potrebbe sembrare che abbia deciso di
abbandonarlo. Da quando è iniziato il nuovo anno scolastico,
poi, mi sono data
un gran da fare per evitarlo, ho persino mentito – e da
attento osservatore
qual è, lo avrà notato sicuramente
– quindi
è normale che ora pensi
questo di me.
«Kuroko,
anche io
sono cambiata», non è facile per me ammettere
questa verità. «Sono successe
tante cose e io non sento di essere la stessa persona»,
quanta pateticità nella
mia voce. Da dove nasce tutta questa disperazione? Ogni mia parola
suona come
una miserabile richiesta di aiuto.
«Io
continuerò a
credere in te».
«Sei
davvero un
ragazzo ottimista», le mie labbra si distendono in un sorriso
di
auto-commiserazione. Sono proprio patetica: trovare consolazione nelle
parole
di un amico che ho tradito e abbandonato. La mia piccolezza
è pari solo alla
mia vergogna. Se prima ero indecisa, adesso è impossibile
per me incontrare il
suo sguardo. Non ho bisogno di vederlo per sapere che i suoi occhi
stanno
brillando di gentilezza e onestà ed proprio questo a farmi
sentire miserabile e
fortunata allo stesso tempo.
«Domani
abbiamo
una partita contro la scuola Kaijō».
«Quella
nella
prefettura di Kanagawa? So che hanno una squadra di basket molto
forte», rispondo
pensando all’articolo sulla rivista di Haruka.
«Anche
se si
tratta di un’amichevole, ho intenzione di vincere insieme ai
miei compagni».
«Lo
so. Dai sempre
il massimo in campo e sono sicura che tu e Kagami ce la
farete», a questo punto
non ha più senso fingere di non ricordare.
«Il
nostro
avversario è Kise-kun».
Il
nome del mio ex
compagno di classe non mi lascia indifferente, ma non sono sicura del
perché.
«Per
quale motivo
me lo stai dicendo?», domando, invece, nascondendo la mia
agitazione. «Speri
forse che venga alla partita e che magari decida di
incontrarlo?».
«Kise-kun
sarebbe
felice di vederti», ribatte Kuroko, fermo nella sua posizione.
«Se
è vero che è
cambiato, come hai detto, probabilmente ti sbagli. Perché
dovrebbe essere
contento di vedere una ragazza che se n’è andata
senza neanche dirgli addio?».
«Perché
non sei tu
la causa del suo cambiamento».
«Allora
qual è?».
«Io…non
lo so». La
voce di Kuroko trema per un breve istante, seguito dal suo silenzio.
Cosa
può essere
successo di così terribile da rattristarlo tanto? Se nemmeno
Kuroko ha una
risposta, la situazione deve essere estremamente complicata. Se fossi
rimasta
alla Teikō con i miei amici, sarebbero cambiati? Kuroko ha detto che
non sono
io la causa di questo mutamento, eppure non mi sento di escludere la
possibilità. L’incidente di quella sera
avrà sicuramente avuto qualche effetto
su di loro. Mi basta ricordare il volto pallido e terrorizzato di
Satsuki per
non avere dubbi. Nessuno potrebbe rimanere impassibile davanti a tre
giovani
corpi esanimi, o davanti alla visione di un’amica coperta di
sangue. E non è sufficiente
a discolparmi il fatto che sia stato il mio alter ego a manipolare quei
due
ragazzi affinché aggredissero Aizawa.
L’aria
si è
appesantita. Né io né Kuroko osiamo parlare.
Forse anche lui, come me, non sa
cosa dire. Purtroppo, a differenza sua, io non ho parole di conforto
per lui
perciò è meglio che sia io a terminare qui la
conversazione.
«Perdonami,
Kuroko
ma…».
«Ku-ro-ko!».
Kagami
emerge
dalla palestra, palesemente irritato. Incurante della tensione che
domina il
momento, avanza verso di noi a grandi falcate, come un toro inferocito
pronto a
caricare il matador. Quando il minuto compagno di squadra è
infine alla sua
portata, la sua mano cala violentemente sulla sua testa, stringendola
energicamente.
«Per
quanto ancora
vuoi battere la fiacca, eh?».
«Kagami-kun,
potresti lasciarmi adesso?».
La
piccola vena
sulla tempia di Kagami inizia a pulsare furiosamente. Nonostante lo
sforzo
sovraumano, la collera di Kagami esplode alla reazione assolutamente
composta
di Kuroko. Il tono pacato della richiesta non rende giustizia alla
crudeltà
della tortura.
«Cosa
diamine ci
fai qui fuori?».
«Stavo
parlando
con Eiko-san».
Mi
volto
lentamente, non potendo evitare di dedicare le mie attenzioni al nuovo
arrivato, se non altro per cortesia. Alla realizzazione della mia
presenza, un
sopracciglio del ragazzo si solleva, disegnando un arco sopra
l’occhio.
«Ciao,
Kagami»,
esordisco. «Stavo giusto per andarmene, non avevo intenzione
di interrompere il
vostro allenamento».
Kagami
allenta la
presa su Kuroko che, prontamente, inizia a sistemarsi i capelli in
disordine. I
suoi grandi occhi turchesi si posano quindi sul mio volto per la prima
volta.
Sono pieni di aspettativa e incondizionata fiducia.
«È
meglio che vada
adesso», pronuncio sbrigativa, non sopportando più
la pressione.
Do
le spalle ai
due ragazzi, ma prima che riesca ad allontanarmi le parole di Kuroko mi
trattengono per un attimo.
«Ti
aspetto domani
mattina».
«Non
ti prometto
nulla», gli rispondo, incamminandomi verso i cancelli.
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Capitolo 25 *** Non sono abbastanza maturo da lasciar correre ***
Capitolo
14
“Non
sono abbastanza maturo da
lasciar correre”
L’indomani
mattina cammino avanti e indietro nella mia stanza, incapace di
prendere una
decisione. L’invito di Kuroko ronza nella mia testa come un
fastidioso insetto
estivo, alterando continuamente i miei stati d’animo.
Qualunque forza
soprannaturale abbia operato il suo sortilegio su di me, può
ora dirsi
soddisfatta: senza pensare oltre, raccolgo le mie cose ed esco dalla
stanza.
Il
mio arrivo a scuola è presto accolto dagli occhi ridenti e
compiaciuti di
Kuroko. Ma non è lui a venirmi incontro, bensì
una ragazza con i capelli corti
e un fischietto appeso al collo.
«Mi
chiamo Aida Riko e sono il coach della squadra», si presenta.
Ha uno sguardo
brillante, che suggerisce un ottimo spirito di osservazione.
«Io
sono Eiko Wadsworth, molto piacere».
I
suoi occhi si illuminano dopo avermi osservata con più
attenzione e un sorriso
di pura simpatia mi conferma che ancora una volta il mio tenero aspetto
è
riuscito a conquistare un’altra ragazza.
«Kuroko
mi ha parlato di te», riprende subito dopo aver recuperato
una certa
compostezza.
«Spero
di non
essere stata troppo indiscreta nel presentarmi qui senza
preavviso».
«Chiunque
ami il basket è il benvenuto e poi fa piacere avere
un’altra ragazza nel
gruppo».
Dopo
un breve giro di presentazioni generali, il capitano, Hyūga senpai,
annuncia
che raggiungeremo la scuola Kaijō usando i mezzi pubblici. Ovviamente
Arthur
non è felice della notizia e tenta in tutti modi di
convincermi a salire sulla
limousine.
«Non
sarebbe gentile da parte mia utilizzare la limousine e purtroppo
l’auto non è
abbastanza spaziosa per ospitare tutta la squadra. Oggi sono solo un
ospite e
non voglio creare problemi a nessuno», confesso sinceramente,
sperando di
dissuaderlo.
«In
questo caso
non mi lascia altra scelta, signorina: verrò insieme a
lei», dichiara Arthur,
irremovibile. «Ho il dovere di accompagnarla personalmente
ovunque vada quindi,
se è decisa a prendere i mezzi pubblici, lo farò
anch’io».
Concordando
con lui che sia la soluzione migliore, ci aggreghiamo alla squadra per
raggiungere
insieme la meta.
***
La
prima impressione che la scuola ha lasciato su di noi è
assolutamente positiva.
Tutti i membri della squadra non smettono di guardarsi attorno con aria
di
meraviglia e, forse, un po’ di invidia. Il complesso
scolastico sembra di
costruzione abbastanza recente ed attrezzato per ospitare le
più disparate
discipline sportive. Assomiglia a uno di quei campus gestiti dalle
grandi
associazioni agonistiche che ogni anno preparano quelli che saranno
sicuramente
dei futuri campioni mondiali. Ho convinto Arthur ad aspettarmi fuori ai
cancelli: la sua divisa avrebbe dato troppo nell’occhio e
tradito
immediatamente il mio status sociale. Non riesco ancora a capacitarmi
di essere
qui, insieme a Kuroko, nella stessa scuola di Kise. Sta succedendo
tutto troppo
in fretta e comincio a pentirmi di essere venuta. Mi sento angosciata
all’idea
di non sapere come reagirà Kise vedendomi. Prendo un lungo
respiro sperando che
mi aiuti a calmarmi ma il suono che odo subito dopo fa schizzare il mio
cuore
in gola.
«Ehi,
ragazzi!».
Mossa
dall’istinto, mi porto dietro Kagami, per nascondere la mia
presenza. Se
potessi rimpicciolirmi come Alice mangiando semplicemente un pezzetto
di fungo.
Ma questo non è il paese delle meraviglie e io non sono
l’eroine di un romanzo.
Sono solo una ragazza che ha commesso un errore e che ora
dovrà accettarne le
conseguenze.
«Kise!».
La voce di Kagami riporta la mia attenzione sul ragazzo che ora corre
verso di
noi.
«Questo
posto è enorme così ho pensato di venirvi a
prendere».
«Ti
ringrazio». Aida-senpai si fa avanti per esprimere la propria
gratitudine a
nome della squadra, ma viene completamente ignorata.
Senza
degnare di uno sguardo gli altri ragazzi, Kise indirizza il suo
esclusivo
interesse a Kuroko.
«Kuroko-cchi,
da quando hai rifiutato il mio invito, ho passato tutte le notti a
piangere nel
letto».
Come
un bimbo capriccioso, incurva le labbra in una smorfia di delusione. Il
piagnisteo è prontamente accompagnato da qualche lacrima di
scena, degna del
più esperto attore, mentre il tono petulante della lamentela
si guadagna presto
un commento del capitano Hyūga.
«Si
può sapere qual è il suo problema?».
Dall’espressione
irritata che sta mostrando, direi che la sua prima impressione di Kise
non è
delle migliori.
«Piantala
e facci strada!».
«Nemmeno
una ragazza mi ha mai rifiutato», continua Kise, senza badare
minimamente al
commento di Kagami.
Al
contrario, per nulla turbato dall’atmosfera, Kuroko prende
infine la parola.
«Potresti
evitare di fare del sarcasmo?».
L’espressione
nei suoi occhi è
rilassata, ma non indulgente. Il suo atteggiamento nei confronti di
Kise non è
mutato nemmeno per un secondo. L’impassibilità con
la quale ha pronunciato il
suo implicito rimprovero mi lascia perplessa. Davvero Kuroko non
è capace di
esprimere alcuna emozione?
«Ora
sono proprio curioso di saperne di più sul ragazzo che
è riuscito a far parlare
Kuroko-cchi in questo modo».La voce di Kise è ora
improvvisamente grave e
seria. Nei suoi occhi c’è un intenso luccichio di
gelosia e curiosità mentre si
rivolge a Kagami. «Non mi importa molto del titolo Kiseki no
Sedai, ma non
posso certo ignorare una sfida tanto ovvia. Non sono abbastanza maturo
da
lasciar correre. Perdonami, ma ho intenzione di distruggerti usando
tutte le
mie forze».
L’atmosfera
scherzosa e infantile di pochi attimi fa ha lasciato il posto a una
pericolosa
e palpabile tensione. Kagami è riuscito a catturare
l’interesse di Kise e dalle
sue parole traspare già una profonda rivalità nei
suoi confronti.
«Interessante»,
appoggiata alla schiena di Kagami, sento vibrare le sue parole sotto la
sua
pelle.
Lanciata
la dichiarazione di guerra, Kise sembra finalmente pronto a dare le
spalle a
Kagami per scortare la squadra all’interno della palestra
dove si terrà la
partita. Pensando di aver scampato il pericolo, mi rilasso emettendo un
sonoro
sospiro, ma la mia imperdonabile leggerezza diventa presto causa della
mia
rovina.
«Uh,
Eiko-cchi?».
Al
pronunciare del mio nome il mio corpo inizia a tremare.
«Eiko-cchi,
sei davvero tu!».
Ancora
una volta la
voce di Kise cambia per passare a toni euforici. Sapevo che venire qui
sarebbe
stata una pessima idea. Kise sarà infuriato di vedermi e non
posso dargli
torto. Speravo almeno di non dovermi esporre davanti ai membri della
squadra. Cosa
penseranno di me dopo che Kise avrà spiattellato del mio
passato alla Teikō per
vendicarsi del mio tradimento? Potrei provare a scappare per attirarlo
lontano
e vedermela poi con lui in privato, ma con le sue abilità
atletiche mi
catturerebbe dopo il primo passo. A questo punto non posso fare altro
che
accettare stoicamente la mia sorte e preparami al peggio.
Mi
stringo nelle
spalle, serrando i pugni lungo i fianchi in attesa che Kise faccia
qualunque
cosa abbia in mente di fare. La sua reazione, però, mi
lascia assolutamente di
stucco. Le sue braccia si stringono attorno alla mia vita e mi
sollevano in
aria. Prima di rendermene conto, la bocca di Kise è
incollata alla mia guancia
in un bacio pieno di affetto.
«Ki-Kise,
per
favore, mettimi giù adesso», lo imploro dopo aver
notato gli sguardi sbigottiti
dei miei compagni di scuola. L’unico che sembra invece
compiaciuto della
situazione è Kuroko.
«Pensavo
che non
ti avrei mai più rivista», piagnucola Kise con il
solito tono infantile,
accettando di rimettermi sulla terraferma, sebbene contro voglia.
«Io…non
so che
dire. Non sei arrabbiato con me?», lo interrogo, confusa.
«Arrabbiato?
Semmai ero preoccupato. Dopo che te ne sei andata, non abbiamo avuto
più
notizie di te. Avevo paura che ti fosse successo qualcosa di terribile.
Sai
dopo quella sera…». I suoi occhi d’ambra
si socchiudono in un’espressione di
tenera compassione. «Sono così felice di vedere
che stai bene».
Una
lacrima
scivola sulla sua guancia e so che questa volta è vera. Fino
a questo momento
ho temuto di incontrarlo e fino all’ultimo ho pensato di
fuggire. Senza sapere
nulla, ho immaginato le più terribili parole uscire dalle
sue labbra. Mi sono
focalizzata così tanto sul mio senso colpa da non prendere
in considerazione
neanche una volta le persone che ho tradito. Non mi sono mai soffermata
davvero
sulle loro emozioni, sulla tristezza generata dal mio comportamento
egoistico.
Ogni volta che immaginavo il mio incontro con ognuno di loro, vedevo
soltanto
la mia sofferenza, la mia paura di essere rifiutata, disprezzata,
odiata. Ero
ossessionata dall’opinione che avrebbero avuto di me e dalla prospettiva di
un futuro senza
amici, perciò ho mentito. Ho mentito a me stessa ripetendomi
che il cambiamento
non era nella mia natura, che non avevo bisogno di loro, né
di diventare una
persona diversa, migliore. Ma erano solo menzogne per nascondere la mia
solitudine e la mia insicurezza. Se, nonostante i miei errori, Kuroko e
Kise mi
considerano ancora loro amica, che diritto ho di privarli di questa
piccola
gioia? Loro non mi hanno mai abbandonata, neppure quando ho voltato
loro le
spalle per andarmene. Li ho feriti, li ho respinti quando hanno provato
a
raggiungermi di nuovo, eppure riescono a versare lacrime di gioia per
me.
«Mi
dispiace,
Kise. Se puoi, perdonami», mi piego in avanti, portando la
testa il più in
basso possibile. Mi sento così piccola davanti alla
sincerità di Kise.
«A-Ah,
che cosa
fai, Eiko-cchi? Alza la testa!».
Il
mio amico prova
a risollevare il mio busto afferrandomi per le spalle, ma io oppongo
resistenza
per rimanere in posizione. Ho troppa vergogna per guardarlo negli occhi
e
troppa riconoscenza per esprimerla a parole.
«E
va bene, allora
mi scuso anch’io».
La
testa di Kise
si abbassa fino al mio stesso livello in un inchino profondissimo.
«Kise,
no!
Perché…», non ho il tempo di finire la
frase.
«Perché
anch’io
voglio chiederti scusa. Non sono stato in grado di proteggerti quando
ne hai
avuto bisogno. Sono un pessimo amico!».
«Non
è vero! Sei
il migliore amico del mondo, invece. Quando Kuroko mi ha inviata qui
oggi, non
ho accettato subito perché avevo paura di incontrarti.
Temevo che mi avresti
odiata e che non avresti voluto più avere nulla a che fare
con me».
«Eiko-cchi».
«In
tutta onestà,
non sono ancora sicura di meritare il tuo perdono o quello di Kuroko,
ma la
vostra generosità mi ha ridato speranza . Perciò
posso solo esservi grata di
avermi concesso una seconda possibilità».
Un
groviglio di
emozioni si addensa nella mia gola e nel mio cuore. So purtroppo di non
poter
ricambiare pienamente la loro sincerità a causa del segreto
che devo custodire,
ma questo non vuol dire che il mio affetto sia una menzogna. Voglio
davvero
bene a questi due ragazzi, se non latro per la fiducia che hanno avuto
in me
fino a oggi, ed è quindi giusto che mi impegni a ricambiare
provando a
ricostruire la nostra amicizia.
«Ora
che è tutto
chiarito, vi faccio strada», sollevato dalle mie parole, Kise
mi rivolge un
largo sorriso e ci invita a seguirlo verso il luogo del match.
***
Il
primo incontro
con il coach del Kaijō non è per nulla amichevole, come
invece prevedeva il
contesto della partita. Al nostro arrivo in palestra, infatti, il campo
di
gioco era diviso in due mezzi campetti. Questo perché
l’allenatore della
squadra avversaria non ha ritenuto necessario utilizzare il campo
regolare per
una partita contro una squadretta di seconda categoria come il Seirin.
Come era
facile prevedere, né Aida-senpai né Hyuga-senpai
hanno preso bene l’affronto.
Come se non bastasse il coach Takeuchi ha impedito a Kise di giocare,
reputando
la sua presenza in campo eccessiva. Di sicuro l’inizio non
è stato promettente
per i ragazzi del Seirin, in modo particolare Kagami sembrava sul punto
di
scoppiare per la rabbia e l’evidente umiliazione. Tuttavia,
pochi secondi dopo
il fischio d’inizio, è stato proprio lui a mandare
a segno il primo punto della
partita, portando così in vantaggio la nostra scuola.
L’unico problema è che
adesso la nostra squadra deve un canestro nuovo al Kaijō. Nonostante
Aida-senpai
sia corsa a scusarsi con il coach Takeuchi, sta trattenendo a stento un
sorriso
compiaciuto e soddisfatto. A questo punto saranno costretti a giocare
sul campo
regolare. Aida-senpai torna a sedersi sulla panchina mentre Kise fa il
suo
ingresso in campo. I suoi occhi si focalizzano sul nuovo giocatore e le
sue
labbra si lasciano scappare un commento di preoccupazione.
«C’è
qualche
problema, senpai?», la interrogo.
«Kise
è un atleta
fuori dal comune. Non sarà facile avere la meglio su di
lui».
Che
Kise avesse
del talento, non era un segreto, ma gli occhi esperti della senpai
devono aver
sicuramente notato qualcosa che nessun altro sarebbe in grado di
cogliere.
L’arrivo
in campo
di Kise ha dato una svolta definitiva all’andamento del
match. Perfino io sono
in grado di capire quanto il ritmo di gioco sia vertiginosamente
aumentato a
tal punto da costringere Aida-senpai a chiedere un timeout a soli
cinque minuti
dall’inizio. I ragazzi sembrano già stremati e mi
domando se riusciranno a
reggere fino alla fine. L’umore generale è
piuttosto basso, ma non disperato.
Purtroppo gli avversari si stanno rapidamente abituando allo stile di
gioco di
Kuroko e questo costringerà il Seirin a rivedere i propri
schemi.
Passata
una prima
fase di assestamento, la partita prende una nuova piega. Le azioni
combinate di
Kuroko con il resto della squadra riportano il Seirin in una posizione
vantaggiosa. Hyūga-senpai ha appena segnato un canestro da tre punti,
accorciando così le distanze dal Kaijō.
L’improvvisa rimonta del Seirin ha
sicuramente impressionato gli avversari, ma è soprattutto
Kise ad essere stato
colto di sorpresa dal gioco di squadra di Kuroko. Non capisco bene, ma
Kise
sembra davvero scosso dal comportamento di Kuroko, dal suo cambiamento.
Non so
a cosa si stia riferendo, ma potrebbe avere a che fare con quanto
successo alla
Teikō dopo il mio trasferimento. In tal caso è normale che
io non sia a
conoscenza dei dettagli.
La
tensione
agonistica fra Kise, Kuroko e Kagami non ha fatto che crescere negli
ultimi
minuti di gioco. I miei due compagni di classe sono incredibilmente
affiatati e
la loro sintonia è riuscita a mettere sotto pressione gli
avversari. Kise
appare visibilmente frustrato, soprattutto dopo l’ennesimo
tentativo di attacco
andato a vuoto. È troppo ansioso, non ha più il
controllo della situazione. il
ritmo frenetico del gioco ha condizionato anche me. Mi sembra di
camminare su
una lastra di ghiaccio scricchiolante. Ogni passo rischia di farmi
sprofondare
nelle acque gelide, ma è il fischio dell’arbitro,
invece, a gelare il sangue dì
nelle mie vene.
«Kuroko-kun!».
Il
grido di
Aida-senpai guida i miei occhi fino al centro del campo. Kuroko giace
sul
pavimento, immobile. Senza volerlo, Kise lo ha colpito violentemente
alla testa
e probabilmente non sarà in gradi di continuare a giocare.
Osservo il mio
compagno mentre viene riportato a bordo campo dal capitano.
È molto pallido e a
stento si regge sulle proprie gambe. Una macchia di sangue fresco copre
metà
del suo volto e la sola visione è sufficiente a farmi
sussultare di paura. Prima
di oggi, non avrei mai creduto il basket uno sport tanto pericoloso.
Per
fortuna le
condizioni di Kuroko sono migliorate e Aida-senpai ha accettato di
farlo
rientrare. Confesso di non essere molto d’accordo con la sua
decisione, ma al
so posto avrei forse fatto la stessa cosa. Questa partita ha un
significato
speciale per Kuroko e, conoscendo la sua testardaggine, non sarei
riuscita ad impedirgli
di rientrare in gioco. Ma questa volta è Kise a
preoccuparmi. Dopo gli ultimi
minuti di smarrimento, dovuti forse al senso di colpa per aver ferito
Kuroko,
il suo sguardo è cambiato. La provocazione lanciata dal
ritorno di Kuroko ha
infiammato il suo spirito combattivo. Non ha alcuna intenzione di
perdere e
francamente mi sembra un po’ strano. Non l’ho mai
visto dare così tanta
importanza alla vittoria. Il suo desiderio di trionfare su Kagami e
Kuroko è
quasi morboso. Da quando vincere è l’unica cosa
che conta? Forse è a questo che
si riferiva Kuroko quando ha detto che erano cambiati, che il loro modo
di
giocare non era più quello che ricordavo. In effetti in
questo momento non
riconosco il mio vecchio compagno di classe. Mi sembra di vedere una
persona
completamente diversa. Il ritmo di gioco è di nuovo
frenetico. Mancano pochi
secondi al fischio di chiusura e nessuna squadra è
intenzionata a cedere. Il
punteggio è di 98 a 98, con meno di venti secondi alla fine.
Il cuore potrebbe
scoppiarmi da un momento all’altro per la tensione. Porto le
mani al petto e
inizio a tamburellare nervosamente con il piede. Dieci secondi
è sarà tutto
finito.
Kagami
avanza col
pallone alla mano, affiancato da Kuroko. Kise è subito
davanti a loro per
fermarli, ma è da solo, i suoi compagni si trovano
all’altro lato del campo. I
miei occhi si dilatano alla scena che segue. Kuroko è sotto
il quadrato e
sembra prepararsi a tirare. Kuroko non ha mai tirato a canestro e con
tre
secondi tempo non ha alcuna possibilità di segnare. Il
pallone lascia le sue
mani e vola fino alla rete, ma il tiro è troppo corto.
L’intera panchina resta
col fiato sospeso, pregando per un miracolo.
Quando
tutto
sembra perduto, una luce arriva a portare speranza. Kagami è
sospeso in aria.
Il suo braccio teso intercetta il pallone catturandolo nella sua solida
presa.
Il tempo attorno a lui sembra essersi congelato. Solo
l’ultimo fischio dell’arbitro
spezza l’incantesimo decretando la fine del match.
***
Kise.
Devo trovare
Kise. Nella mia testa non c’è altro pensiero,
nonostante Kuroko, Kagami e il
resto della squadra stiano ancora esultando per la vittoria. Niente di
tutto
questo è importante per me. Devo vedere Kise. I miei occhi
cercano frenetici la
sua figura in mezzo al campo. Quest’ansia non è
normale. In fondo è solo una
partita, perché dovrebbe preoccuparmi tanto? Eppure
l’idea di vedere la
disperazione sul volto di Kise mi angoscia.
Eccolo
laggiù. Le
sue spalle sono leggermente curvate in avanti e le sue mani coprono il
viso.
Stringo una mano sul petto, per soffocare la fitta al cuore. Le lacrime
sgorgano dai miei occhi, condizionate dal pianto del mio amico. Non ho
mai
visto tanta disperazione sul suo viso. Era davvero così
importante vincere?
Cosa è successo da farti pensare che la vittoria sia tutto?
Come può una
piccola sconfitta farti piangere in quel modo? Il ragazzo che ricordo
non
avrebbe mai mostrato un’espressione tanto avvilita. Non si
sarebbe lasciato
piegare dallo sconforto. Allora perché? Ogni lacrima che
nasce dai suoi occhi
d’ambra appesantisce il mio cuore. Non riesco a pensare
lucidamente. Mi sento
strana. Perché la sofferenza di Kise mi opprime al punto che
mi sento mancare
il respiro nei polmoni? Non riesco a fermare queste lacrime, questi
pensieri,
questi sentimenti. Il pianto sgorga dai miei occhi ma sembra nascere
contro la
mia volontà. La mia mente è confusa. Se provo a
concentrarmi su qualcosa, il
mio pensiero è costretto a ritornare su Kise. Non mi
è permesso distogliere lo
sguardo dalla sua figura perfetta, dai suoi capelli dorati, dai muscoli
definiti che risaltano sotto il tessuto della divisa. Vorrei toccare le
sue
mani, bagnate dalle lacrime, e intrecciare le sue dita alle mie. Vorrei
accarezzare la sua guancia e asciugare il suo pianto con la mia pelle.
Vorrei
portare la sua testa sul mio petto e nascondere il suo bellissimo
volto. Vorrei
che fosse mio, solo mio. Vorrei sentire il calore del suo corpo
contaminare il
mio mentre le sue braccia mi attirano a sé. Vorrei che le
sue labbra
desiderassero le mie e…
«Eiko-san,
dobbiamo andare».
A
cosa stavo
pensando? Cos’erano quelle immagini così
imbarazzanti? Perché sto piangendo? Kuroko?
Da quanto tempo è qui? non ricordo cosa stavo facendo.
Abbiamo vinto la
partita, allora perché non stavo festeggiando con i miei
compagni. Perché mi
sento così triste?
«Va
tutto bene?».
La
mia testa si
abbassa lentamente sulla mia spalla, sulla mano di Kuroko.
«Certo
che sto bene:
abbiamo vinto!», esclamo con un largo sorriso. Non ho tempo
di pormi domande.
Devo riprendermi o rischio di insospettire qualcuno.
«Stiamo
per andare
via», mi avvisa Kuroko.
Nonostante
la
vittoria sembra piuttosto tranquillo. Beh, non dovrei meravigliarmi ma,
considerando quanto importante fosse per lui questa partita, mi sarei
aspettata
una reazione un po’ più energica. Alzando le
spalle rassegnata, seguo Kuroko
all’esterno della palestra.
«Visto
che siamo
in due distretti diversi, se ci incontreremo di nuovo sarà
all’Inter High».
«Ci
saremo
sicuramente. Non voglio confessare il mio amore con le chiappe al
vento»,
dichiara Hyūga-senpai, tremando al pensiero dell’umiliante
punizione.
I
due capitani si
stringono infine la mano e ogni squadra prende la propria strada.
Quanto a
Kise, è sparito subito dopo la partita e non si è
più fatto vedere. Spero solo
che stia bene.
Il
rientro a casa
non è per me dei più sereni. Non riesco infatti a
togliermi dalla testa quello
che è successo in palestra, al termine del match.
Più ci penso e più sono
spaventata. Ricordo perfettamente la sensazione. La situazione di
questa
mattina è la stessa di quella sera e non promette nulla di
buono. Di una cosa,
però, sono abbastanza sicura: non credo che
c’entri Meiko. Anche se si è
trattato di pochi secondi, i sentimenti di quel momento
erano
completamente diversi da quelli provocati dal risveglio di Meiko. Ma
sono
ancora troppo confusa per sostenere con certezza la peggiore delle
ipotesi. Per
questa sera andrò a dormire, cercando di non rimuginarci
troppo su.
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Capitolo 26 *** Non distruggerai il mio sogno d’amore ***
Capitolo
15
“Non
distruggerai il mio sogno
d’amore ”
Oggi
è domenica e
mio cugino Seiichi ha insistito perché lo accompagnassi in
centro, in un
negozio di musica in cui lavora un famoso liutaio italiano. Quando
abbiamo
lasciato la villa, Seiichi sembrava particolarmente di buon umore, non
che non
lo sia normalmente, ma è chiaro che questo piccolo viaggio
sia legato a un
evento importante. Quello che mi ha sorpresa, però,
è stato ricevere un invito
diretto da lui. Di solito non ama avere compagnia quando si reca in
città per
qualche commissione particolare. Non perché non sopporti di
portare con sé
qualcuno della famiglia, quanto per una “dimostrazione di
riguardo”, come dice
lui. Seiichi è consapevole di isolarsi completamente dal
mondo quando trova
qualcosa di suo interesse, soprattutto se si parla di arte o di musica.
Mio
cugino non è un genio solo col pennello, ma anche con
l’archetto. È infatti un
“violinista raffinato e di carattere”, come lo ha
definito qualcuno. Ora, io
non sono un’esperta del settore, ma non posso negare il suo
talento musicale.
«Non
mi hai ancora
detto dove stiamo andando», pronuncio iniziando
così una breve conversazione
che possa allietare il viaggio.
«Ritengo
che
mantenere il segreto renderà la sorpresa maggiormente
gradita», ribatte
Seiichi, scansando elegantemente la questione.
«Dimmi
almeno perché
hai voluto che ti accompagnassi», insisto io, decisa a vedere
soddisfatta
almeno una delle mie curiosità.
Per
qualche
istante Seiichi mi osserva con una gentile premura negli occhi, quindi
risponde: «Ho il sospetto che qualcosa ti turbi
profondamente».
Con
uno scatto
abbasso la testa per interrompere il contatto visivo. Le mie mani si
chiudono
sulle mie ginocchia e le mie spalle si irrigidiscono.
«Non
temere, mia
cara, non ho in me di persuaderti a condividere le tue angosce, dal
momento che
non lo desideri».
Le
parole di
Seiichi sono strane come al solito, ma ho capito che non mi
costringerà a
parlare, a meno che non sia io a volerlo fare. È una grande
consolazione per
me, poiché non saprei cosa dire. Ma adesso mi è
finalmente chiaro per quale
motivo mi ha chiesto di accompagnarlo: vuole farmi distrarre in modo
che non mi
tormenti con le mie preoccupazioni. Sono felice di avere accettato il
suo
invito, perché non sono molte le occasioni per trascorrere
del tempo insieme a
lui. E poi, desidero davvero conoscere meglio il suo mondo. Seiichi
è molto
saggio e sono sicura di poter imparare qualcosa di utile stando al suo
fianco.
Il
negozio si
trova ad Asakusa, un quartiere del distretto speciale di Taitō, nella
parte
nord-est di Tōkyō. È una struttura che non passa
inosservata, non tanto per le
dimensioni, quanto per l’aspetto. La sua architettura,
infatti, non ha nulla
dello stile tradizionale giapponese, bensì rimanda
chiaramente al gusto italiano
del XVI secolo.
«Non
sapevo che in
Giappone ci fossero negozi come questo», pronuncio,
osservando meravigliata
l’edificio a due piani in pietre e mattoni. «Sembra
una vecchia bottega
italiana del Tardo Rinascimento».
«In
vero lo è»,
risponde Seiichi. «O almeno lo è la sede
originaria che si trova in Italia. Ma
vieni, entriamo».
L’interno
del negozio
mi lascia assolutamente a bocca aperta. Un piccolo mondo antico sembra
aprirsi
davanti ai miei occhi. Avevo visto luoghi simili solo nelle vecchie
pitture dei
libri di mia madre e mai avrei creduto di mettere un giorno piede in
una vera
bottega di liutai. La stanza è avvolta in una calda luce
color fiamma, che
conferisce alle pareti, rivestite di pannelli di legno, e al pavimento,
in
mattonelle di terracotta rossa, un velo di antichità. Il
soffitto, in legno più
scuro e incredibilmente basso rispetto agli standard moderni,
è a cassettoni e
in ogni quadrato è scolpito un piccolo fiore in
bassorilievo. L’ambiente è
pervaso da un profumo silvestre e dalle note classiche di un allegro
motivetto
barocco. Ai muri della sala e al centro sono posizione delle bacheche
all’interno delle quali fanno bella mostra di sé
decine di strumenti, dai
violini ai violoncelli, alle chitarre. Mentre mi guardo intorno con
occhi colmi
di meraviglia, un uomo emerge dalla porta che dà
probabilmente sul laboratorio
vero e proprio. Cammina con passo lento e claudicante. Il suo corpo
rotondo
mortifica un’altezza per natura non eccezionale. Ma sono i
tratti del suo viso
a catturare il mio maggiore interesse e a suggerirmi che non si tratta
di un
uomo asiatico.
«Seiichi,
figliolo!», esordisce
abbracciando mio
cugino.
«Mastro Rampini, mi permetta di
ringraziarla ancora», risponde Seiichi, piegandosi subito
dopo in un profondo
inchino ossequioso.
«Su,
su ragazzo,
conserva queste formalità per i signori locali. Io sono solo
un umile liutaio
venuto anni or sono dall’Italia per onorare la richiesta di
un amico».
L’anziano
artigiano sorride imbarazzato. I suoi occhi sono gentili e pieni di
vita, non
sembrano affatto quelli di un uomo che ha superato il mezzo secolo di
vita. In
compenso gli occhiali appoggiati sul naso curvo tradiscono qualche
acciacco
dovuto all’età e ai numerosi anni di lavoro.
«Chi
è questa
adorabile signorina?», le attenzioni dell’uomo si
spostano all’improvviso su di
me.
«E’
mia cugina»,
risponde Seiichi, incoraggiandomi a presentarmi.
«Mi
chiamo Eiko
Wadsworth e sono onorata di conoscerla, Mastro
Rampini».
«Ah,
ah. Non
seguire il cattivo esempio di tuo cugino. Puoi chiamarmi
tranquillamente Luigi».
«Oh,
non potrei
mai mancarle di rispetto».
«Vedo
che sei
testarda quanto Seiichi, ah, ah! Ma puoi tralasciare tranquillamente il
Mastro. Per i miei affezionati
clienti
sono semplicemente il signor Rampini». Il buon uomo torna
dunque a rivolgersi a
Seiichi. «Concedimi qualche minuto, ragazzo mio. Voglio
controllare un’ultima
volta che il tuo nuovo violino sia perfetto».
«Nuovo?»,
ripeto
guardando mio cugino.
«Qualche
mese fa
ho commissionato un nuovo strumento all’illustrissimo Mastro Rampini.
L’abilità delle sue dita e la solidità
della sua esperienza
non conoscono pari in tutto il Giappone».
«Così
mi fai
arrossire», commenta il signor Rampini.
«Sarà meglio che vada a ultimare il
lavoro, adesso». Quindi si ferma un attimo per consultare il
grande orologio a
pendolo. «Tra poco dovrebbe arrivare anche lui».
«Si
riferisce al giovane
chitarrista?», lo interroga Seiichi.
«E’
qualcuno che
conosci?», gli chiedo a mia volta, curiosa.
«Non
particolarmente. È anche egli un cliente fedele del
negozio».
«Dovrebbe
avere
più o meno la tua età», aggiunge il
signor Rampini. «Viene tutte le settimane
per controllare se è arrivato qualche nuovo cd. È
un ragazzo molto disciplinato
e ben educato. Inoltre è anche un bel giovanotto»,
conclude il signor Rampini
con un occhiolino allusivo.
Il
cigolio della
porta del negozio interrompe la conversazione. Con un impeccabile
sincronismo,
ci voltiamo tutti e tre verso l’ingresso della bottega
attendendo che il nuovo
cliente si riveli. Quando la sua figura entra infine nella stanza, i
miei occhi
si allargano, increduli.
«Sei
puntuale come
al solito, figliolo!»,
sorride il
signor Rampini, accogliendo il ragazzo.
«E’
un po’
imbarazzante sapere che mi stava aspettando», risponde il
nuovo arrivato, portando
una mano dietro la testa. Quindi, i suoi bellissimi occhi
grigio-azzurri
scivolano su Seiichi.
«Buongiorno»,
pronuncia mio cugino, ricambiando le attenzioni.
Ancora
sorpresa,
dimentico di rivolgere il mio saluto al giovane. Il mio sguardo rimane
invece
immobile su di lui. Nonostante sia consapevole che il mio comportamento
sia
inappropriato, non posso fare a meno di fissare con insistenza il suo
volto.
Al
contrario, il
ragazzo rifiuta di incontrare i miei occhi, mostrandosi evidentemente a
disagio.
Il
signor Rampini
si piega verso di me per sussurrarmi all’orecchio:
«Te l’avevo detto che era un
bel giovanotto, ma è piuttosto timido con le ragazze. Forse
non dovresti
fissarlo in quel modo».
«Cos…io…mi…mi
dispiace è solo che…non mi aspettavo di
incontrare qui il capitano del Kaijō»,
confesso infine, provando a mascherare l’imbarazzo come
meglio posso.
«Kasamatsu-san
è
dunque una tua conoscenza», osserva Seiichi, sorpreso almeno
quanto me.
«L’ho
incontrato
l’altro giorno, durante l’amichevole contro la
scuola Kaijō, ma non ci siamo
mai presentati ufficialmente», quindi, ricordando le buone
maniere, rivolgo
finalmente il mio saluto al ragazzo. «Mi chiamo Eiko
Wadsworth. Io e Kise
eravamo compagni di classe alla Teikō. Piacere di conoscerti».
«Ah…Ehm…Io…io
sono…Ka-Kasamatsu Yu-Yukio. Pi-Piacere mio».
Non
credo di
esagerare se dico che il ragazzo che ho ora davanti a me non ha nulla
in comune
con il capitano della squadra che, l’anno scorso, si
è dimostrata degna di
partecipare ai campionati dell’Inter High. Se non fosse per
il meraviglioso
colore dei suoi occhi, che è rimasto impresso nella mia
memoria come una
macchia di inchiostro indelebile, e il suono della sua voce, penserei
di
trovarmi in presenza di una persona completamente diversa. Il balbettio
nervoso
della sua presentazione non ricorda in alcun modo il tono sicuro e
deciso con
cui, solo l’altro giorno, spronava i suoi compagni di squadra
sul campo di
gioco.
«Du-dunque,
Eiko, sei…un…un’amica
di Ki-Kise?».
«E-Eiko?
Mi…Mi hai
chiamata per nome?».
Contagiata
forse
da Kasamatsu, non passa molto tempo prima che anche io inizi a
balbettare. La
mia osservazione, tuttavia, provoca l’immediata reazione del
capitano.
«Per-perdonami!!!
Non…non so come mi sia ve-venuto in mente. Non avevo
intenzione di…di
offenderti», in balia del proprio imbarazzo, Kasamatsu compie
un paio di passi
all’indietro urtando un piccolo scaffale sul quale sono
esposti, in modo molto
ordinato, diversi spartiti. L’impatto improvviso dapprima fa
oscillare il
mobiletto che infine cade a terra con un tonfo sordo, sparpagliando sul
pavimento
di terracotta i numerosi fascicoletti. Senza pensare, mi inginocchio a
raccoglierli. Il mio corpo si muove prima del mio cervello e quando
finalmente
realizzo che la reazione di Kasamatsu è stata tanto rapida
quanto la mia è
ormai troppo tardi. Le nostre teste cozzano l’una contro
l’altra con una forza
tale da far ricadere entrambi all’indietro sul fondoschiena.
«Oh
caspita! State
bene ragazzi?», il signor Rampini si prodiga immediatamente
per aiutarmi a
rimettermi in piedi.
«Si,
credo di si»,
rispondo accettando il suo aiuto.
«So-sono
mortificato! Ti sei fatta male?», nonostante anche lui sia
una vittima del
buffo incidente, Kasamatsu non sembra avere accusato minimamente il
colpo. Al
contrario si rialza immediatamente solo per implorare il mio perdono
con una
serie di profondissimi inchini.
«Sto…sto
bene.
Dico davvero. Ecco, guarda!», sperando di convincere il
capitano a rialzare la
testa, mi sporgo in avanti e scopro la fronte alzando la frangia con
una mano.
«Visto? È solo un piccolo
bernocc…».
Ancora
una volta agisco
senza pensare. Prima di riuscire a terminare la frase, il volto di
Kasamatsu si
solleva alla stessa altezza del mio. La distanza tra di noi
è ora talmente
ridotta che, nel momento in cui i nostri sguardi si incontrano, i
nostri nasi
si sfiorano. Il lievissimo contatto fisico ammutolisce entrambi e le
guance del
capitano si colorano rapidamente di un intenso colorito roseo.
Sospettando che
la stessa cosa stia accadendo anche a me, compio un passo
all’indietro per
allontanarmi, ma il mio piede si posa sulla copertina plastificata di
uno
spartito facendomi perdere così l’equilibrio.
Mentre precipito all’indietro, agguanto,
d’istinto, il filo delle grandi cuffie posizionate attorno al
collo di Kasamatsu,
trascinando anche lui con me nella rovinosa caduta. Preparandomi
all’impatto
con il pavimento, chiudo infine gli occhi.
Il
freddo delle
mattonelle di terracotta trapassa i miei vestiti e si diffonde su tutta
la mia
schiena. Tuttavia, due punti del mio corpo emanano un vivido calore. Il
retro
della mia testa, che dovrebbe giacere sul gelido pavimento e dolere per
la
collisione con la dura superficie,
è invece
illeso. Durante la caduta, la mano del capitano è
rapidamente scivolata dietro
la mia nuca per proteggerla. I suoi riflessi mi hanno salvato la vita.
Mentre
penso che dovrò assolutamente sdebitarmi con lui, riapro gli
occhi e quello che
vedo quasi mi strappa il respiro dalla gola. Il volto di Kasamatsu
copre
interamente la mia visuale. I suoi occhi sono così vicini
che riesco a vedere
la mia immagine riflessa nelle sue pupille. Ma, soprattutto, le sue
labbra sono
ora premute sulle mie in quello che a chiunque apparirebbe come un
bacio. Il
mio primo bacio.
«Però,
sei più
audace di quello che sembri, figliolo»,
chiaramente divertito dalla situazione, il signor Rampini spezza
l’imbarazzante
silenzio con la sua gioiosa risata.
Risvegliato
dal
commento dell’anziano artigiano, il capitano torna finalmente
in sé e si
allontana da me, liberandomi dal peso del suo corpo e premettendomi di
rialzarmi. Il mio cuore galoppa come un cavallo selvatico, senza redini
né
freni. Le mie orecchie catturano appena la voce lontana e ovattata di
Kasamatsu
che ancora una volta implora il mio perdono e mi basta uno sguardo per
capire che,
grazie a questo incidente, il suo livello di mortificazione ha infine
raggiunto
il picco. Non sono nemmeno sicura che in questo momento stia
pronunciando
parole di senso compiuto, quanto piuttosto una serie di sillabe
incompiute e
totalmente scollegate fra di loro. Probabilmente si aspetta che io dica
qualcosa, o reagisca comunque in qualche modo. Invece resto
completamente
immobile, con lo sguardo vago e la mente incapace di formulare anche il
più
semplice dei pensieri. La verità è che, se ora
decidessi di aprire bocca, tutto
ciò che ne uscirebbe sarebbe solo una successione di mugugni
indecifrabili, versi
primitivi e suoni ben lontani dal definirsi umani.
«È
meglio che me
ne vada! Rampini-san, la prossima volta la ripagherò per lo
scaffale».
«Non
è necessario,
figliolo. Piuttosto, sei sicuro di
stare bene?».
«S-si,
sto
benissimo, ma ora devo proprio andare. A-Arivederci!!!».
Il
saluto
disperato di Kasamatsu spezza la trance in cui ero caduta e per la
terza volta
il mio corpo agisce prima di ricevere il comando dal cervello. La mia
mano cattura
la felpa del capitano, impedendogli di fuggire.
«Aspetta!». I miei occhi
scendono quindi sulla sua mano. Le nocche delle dita sono ricoperte di
numerosi
graffi. Dalle piccole ma profonde ferite, il sangue scorre, disegnando
sulla
pelle tanti sottili ruscelli che gocciolano sul pavimento creando una
densa
macchia rossa. Consapevole che tutto questo sia successo
nell’attimo in cui la
sua mano ha protetto la mia testa e mettendo da parte
l’imbarazzo per un
attimo, mi faccio coraggio.
«Per
favore, lascia
almeno che mi prenda cura della tua mano».
«No,
non…non
serve».
«Ti
prego».
La
mia supplica
sincera mi guadagna il consenso del capitano il quale, dopo aver preso
un lungo
respiro ed essersi calmato, chiude la porta del negozio e rivolge la
propria
richiesta al signor Rampini.
«Possiamo
usare il
suo kit del pronto soccorso?».
«Non
devi neanche
chiederlo, figliolo. Corro subito a
prenderlo».
Lesto
come una
lepre, seppur zoppicante, il signor Rampini scompare nel retro della
bottega
per ricomparire pochi minuti dopo con una cassetta bianca tra le mani.
«La
ringrazio»,
prendo con me la scatoletta e raggiungo Kasamatsu nella sezione dei cd.
Il
capitano siede
su una poltrona antica, usata probabilmente per la consultazione delle
riviste
musicali che si trovano nella saletta accanto. Il suo profilo per un
momento mi
lascia senza fiato. I gomiti appoggiati sulle ginocchia sorreggono il
busto
completamente rilassato. La mano sinistra stringe quella gemella e
ferita, in
un pugno gentile, che non impedisce però al sangue di
infilarsi nelle sottili
fessure tra un dito e l’altro e gocciolare sul pavimento. Gli
occhi, sormontati
da due sopracciglia corrucciate e scure come l’espressione
nello sguardo di
Kasamatsu, fissano un punto indefinito davanti a loro, inducendomi, per
la loro
intensità e bellezza, ad ammirarli in segreto. Il mio
vagheggiamento dura però
poco. Ricordando il vero motivo per cui mi trovo qui, annuncio infine
la mia
presenza.
«Ho
portato la
cassetta del pronto soccorso».
Distratto
dalla
mia voce, Kasamatsu riemerge dalle sue riflessioni per accogliere il
mio arrivo
con un improvviso rossore sulle guance. Le sue pupille vagano sulla mia
figura
senza però salire mai all’altezza dei miei occhi.
«Non
dovevi
disturbarti, sono solo graffi», pronuncia balbettando ogni
singola sillaba.
«È
solo colpa mia
se ti sei ferito. Permettimi almeno di rimediare».
Mi
avvicino quindi
tenendo ben stretta la cassetta al petto, immaginando che sia un
potente
talismano capace di tramutare il mio imbarazzo in spavalda sicurezza.
Contagiata dal disagio del capitano, avverto a mia volta
l’agitazione crescere
dentro di me. Mi inginocchio di fronte al mio salvatore osservando la
piccola pozza
di sangue ai suoi piedi. Usando diversi fazzoletti di carta, la
ripulisco,
incolpandomi per l’accaduto. Il silenzio assoluto scandisce
ogni mio gesto
mentre cospargo l’unguento sulle ferite aperte, mentre
ripongo il tubetto nella
cassetta e mentre avvolgo in bende pulite la mano del capitano.
L’imbarazzo che
ho provato poco prima ha ora lasciato il posto al rimpianto e al senso
di
colpa. Kasamatsu è proprio qui, davanti a me, eppure non ho
il coraggio di
alzare lo sguardo sul suo volto. Se ora incontrassi i suoi meravigliosi
occhi
non riuscirei più a trattenere le lacrime. Mentre mi prendo
cura delle sue
ferite, penso a come la mano che sto tenendo in questo momento tra le
mie
appartenga allo stesso ragazzo che senza esitazione mi ha protetta
mettendo a
repentaglio la sua stessa incolumità. Mi sento
così sciocca e incapace. Come è
potuto succedere?
«Mi…mi
dispiace»,
Kasamatsu prende timidamente la parola.
«Perché
ti scusi
con me? Sono io a doverti chiedere perdono», confesso
assicurando l’estremità
del bendaggio con un piccolo nodo sul dorso della mano. «Se
cadendo non ti
avessi trascinato con me, non ti saresti fatto male».
La
mia voce è
fioca, ridotta quasi ad un soffio di rimpianto, mentre mi accingo a
rimettere
in ordine, assicurandomi di mantenere lo sguardo basso, come un
servitore alla
presenza del suo signore.
«Mi
dispiace…averti
chiamata per nome», dichiara Kasamatsu. Per un ragazzo
rispettoso come lui, è
sicuramente una mancanza imperdonabile nei miei confronti.
«Non
preoccuparti,
ci sono abituata. Le persone mi chiamano sempre per nome la prima
volta. A
quanto pare è un riflesso incondizionato e a me non
dà fastidio».
In
verità, mi ha
fatto piacere sentirlo pronunciare il mio nome con tanta naturalezza.
Anche se
solo per un breve attimo, mi ha fatto credere che fossimo amici.
«Puoi
continuare a
chiamarmi per nome, se vuoi», aggiungo sperando in una
risposta positiva. Ma
come avevo immaginato, Kasamatsu è troppo legato alle regole
per infrangerle
una seconda volta intenzionalmente.
«Anche
se sei
amica di Kise, non posso prendermi questa libertà. Non dopo
quello che ho fatto
prima».
«Prima?
Intendi
salvarmi la vita?», domando confusa, sollevando la testa.
I
nostri occhi si
incontrano in un nuovo silenzio. Dall’espressione imbarazzata
di Kasamatsu
capisco che i suoi pensieri sono diversi dai miei, fino al momento in
cui
un’intuizione si accende nella mia mente. Porto allora
entrambe le mani alla
bocca ricordando la sensazione delle sue labbra sulle mie. Il mio primo
bacio è
avvenuto per sbaglio, con un ragazzo incontrato per caso. Per fortuna
non ho
vissuto la mia vita credendo al principe azzurro e attendendo che
arrivasse in
sella al suo cavallo bianco. Sarebbe comunque normale se ora mi
sentissi triste
o arrabbiata o delusa. Non solo il mio primo bacio è stato
un imprevisto, ma è
stato preso praticamente da uno sconosciuto.
Eppure
è strano. A
parte un enorme senso di vergogna, non mi sembra di provare rabbia,
né
tristezza, né delusione. Forse è
perché non ho mai fantasticato sul mio primo
bacio. Se non fosse stato per le parole di Kasamatsu non me ne sarei
neanche
ricordata. Del resto, tutti i miei pensieri erano solo per la sua mano
ferita e
sanguinante. Ma adesso che la reazione del ragazzo davanti a me ha
riportato in
vita il ricordo che sembrava sepolto in profondità, non
posso ignorare che sia
successo. In fondo me ne sono accorta fin dal primo istante in cui i
miei occhi
si sono posati sul capitano del Kaijō: lui mi piace. Magari sarebbe
più giusto
dire che qualcosa di lui mi piace. Di sicuro mi ha lasciato una forte
impressione il nostro incontro e non penso sia solo per il colore dei
suoi
bellissimi occhi. Inoltre, dopo il piccolo incidente, sono decisamente
più
consapevole della sua presenza, soprattutto in questo momento.
È vero, sono a
disagio, ma non è quel tipo di situazione dalla quale,
solitamente, cercherei
di fuggire. Al contrario, vorrei che il tempo rallentasse per darmi
l’opportunità di approfondire questi miei
sentimenti. Per la prima volta, ho il
desiderio di conoscere davvero qualcuno, di guardarlo negli occhi e di
essere
guardata a mia volta. Chiacchierare scegliendo gli argomenti
più quotidiani,
senza pretese, senza aspettative. Semplicemente chiacchierare per
scoprire la
persona che ho davanti. Provare una curiosità tanto genuina
e incondizionata
verso qualcuno è per me una gradevole novità.
L’anno scorso non mi sarei mai
immaginata così. Che stia cambiando? Se questo cambiamento
è il risultato della
terapia, non mi dispiace.
«Ti
ringrazio. Per
avermi protetta».
Il
mio animo è
sereno, come il sorriso sulle mie labbra.
«Fi-figurati».
Impacciato,
Kasamatsu continua a parlarmi tenendo lo sguardo su un punto vago della
stanza.
Non importa se i suoi occhi non sono ancora pronti per incontrare i
miei,
poiché non ho fretta. La sua timidezza è solo un
altro richiamo per la mi
curiosità.
Questo incontro è
forse l’indizio che stavo
aspettando per ritrovare me stessa, per riscoprire chi sono veramente
ed
esserne grata. Se la vera Eiko è capace di provare simili
emozioni, vale la
pena darle un’opportunità. Fino ad oggi ho vissuto
senza propositi né
ambizioni, ma l’avere incontrato questo ragazzo potrebbe
finalmente avere
acceso dentro di me una fiamma, piccola, è vero, ma viva. Se
voglio capire chi
sono ed evitare che altre entità si impadroniscano del mio
tempo, devo imparare
ad essere abbastanza egoista da non volerlo dividere con nessun altro.
Devo
imparare ad assecondare questo nuovo desiderio, questa nuova voglia di
conoscere e scoprire, di confrontarmi sinceramente con chi è
riuscito ad
risvegliare in me emozioni che credevo di non possedere.
***
Il
tempo insieme a
Kasamatsu vola e, prima che me ne accorga, Seiichi esce dal
retrobottega
stringendo tra le mani un violino nuovo di zecca.
L’adorazione che luccica nei
suoi occhi mentre contempla lo strumento è stata sufficiente
a descrivermi
quanta ammirazione mio cugino nutra nei confronti del signor Rampini.
«Spero
che tornerai
a trovarmi», confessa infine l’abile artigiano,
porgendomi un vasetto di vetro.
«Che
cos’è?».
«Solo
una pomata
per bernoccoli», mi sorride gentile, indicando la mia fronte.
«La
ringrazio e mi
dispiace tanto per quello che è successo».
«Al
contrario, è
stato molto divertente. Non vedevo quel ragazzo così agitato
dalla prima e
unica volta che ha parlato con Maria», dal fondo della sala
una ragazza,
intenta a riordinare le riviste sullo scaffale, sentendo pronunciare il
proprio
nome, accenna un saluto.
«Sono
felice che
l’abbia presa così bene», rispondo,
imbarazzata.
«Yukio
è un bravo
ragazzo, ma ha poca esperienza con il gentil sesso perciò
sii paziente con
lui».
«Neanche
io sono
un’esperta quando si tratta di ragazzi».
«Meglio
così.
Avrete modo di imparare insieme, l’uno
dall’altra».
«I-insieme?
No,
aspetti, non è come crede».
«E
perché no? Non
c’è nulla di male. Siete giovani, divertenti e, da
quanto ho visto, avete una
splendida intesa».
«È
stato solo un
incidente e sono certa che non vorrà rivedermi tanto
presto».
«Di
questo non ne
sarei tanto sicuro», dichiara il signor Rampini, nutrendo le
mie speranze.
Dopo
essermi
scusata un’ultima volta, io e Seiichi lasciamo infine le
atmosfere
rinascimentali della bottega per ritornare alla modernità
del Giappone.
Arrivati a casa, corro in camera mia, per trascrivere sulle pagine del
mio
diario gli avvenimenti di questo incredibile giorno, anticipando con
trepidazione il mio prossimo incontro con il capitano del Kaijō.
***
L’indomani
mattina, al mio risveglio, cerco il mio diario per rileggere quanto vi
ho
scritto la sera prima. Le emozioni sono ancora vivide dentro di me e ho
bisogno
di vedere con i miei occhi l’inchiostro nero sulla carta, per
assicurarmi che
non sia stato un sogno, che il mio incontro con Kasamatsu non sia stato
solo il
frutto di una mia fantasia.
Per
fortuna la mia
confessione è ancora immortalata tra le preziose pagine del
diario, come
l’imbarazzante ma divertente descrizione del mio primo bacio.
Tuttavia, proprio
mentre sto per richiudere il quaderno, mi accorgo di una nuova pagina
subito
dopo quella che ho compilato di mio pugno. Nonostante mi sforzi di
ricordare,
sono certa di non aver parlato d’altro all’infuori
della mia visita al negozio
del signor Rampini. Dunque chi può avere aggiornato il mio
diario senza che me
ne accorgessi? Nessun membro della mia famiglia oserebbe violare la mia
privacy
sapendo quanto questo quaderno sia importante per me. E comunque,
l’unica
persona che ha accesso alle sue pagine sono io. Possibile che ieri
abbia
scritto qualcos’altro dopo essere tornata
a casa? No, non lo è. Ricordo perfettamente
quali sono state le mie
ultime parole su questo diario e chiunque abbia avuto il coraggio di
scrivere sul
mio diario senza il mio permesso sapeva dove trovarlo. Ma
l’unica a conoscere la
combinazione per aprire il lucchetto sono io, dunque vuol dire che sono
stata
io a scrivere? Allora perché non lo ricordo? Questo
aggiornamento è stato aggiunto
alle 03:27. Perché mai mi sarei svegliata nel cuore della
notte per scrivere
nel mio diario? Dal momento che non ricordo, non mi resta che leggere
per
scoprire la verità.
Lunedì,
8 maggio 03:27
È
notte fonda e non c’è nessuno
sveglio a darmi il benvenuto. Non sopporto di essere sola, circondata
dal
silenzio e dalle ombre: è deprimente. Io sono una ragazza
solare e gioiosa. La
notte non mi si addice per nulla. Avevo così tanti progetti
per il mio primo
giorno qui fuori: andare a fare shopping, visitare un centro estetico,
cambiare
colore di capelli, fare colazione in centro e, naturalmente, incontrare
il mio bellissimo
Ryōcchi. Non riesco a togliermi dalla testa il suo volto perfetto, le
sue
lunghe ciglia, quei luminosi occhi d’ambra. Darei qualsiasi
cosa per averlo
qui, tra le mie braccia. Se solo non fossi costretta a dividere questo
corpo.
Come se non bastasse Eiko sembra essersi presa una bella cotta per
quell’insopportabile capitano. Come si è permesso
di prendere a calci il mio
Ryōcchi? Non lo sa che per un modello il corpo è tutto? Un
ragazzo tanto
violento e rozzo starebbe meglio in uno zoo. Come ha fatto Eiko ad
innamorarsi
di lui?
Leggi
bene queste righe, Eiko:
se pensi che ti lascerò frequentare quell’incapace
di un capitano con la fobia
del sesso femminile ti sbagli di grosso. Ha già commesso un
imperdonabile
peccato: come ha osato prendersi il mio primo bacio prima di Ryōcchi?
Solo
perché per un po’ dovremo dividerci questo corpo,
non significa che puoi fare
quello che vuoi, hai capito? Queste labbra appartengono solo a Ryōcchi!
Una
principessa dovrebbe essere toccata solo da un principe. Non
dimenticartelo mai
più!!!
Adesso
che so che sei una
traditrice, non posso fidarmi di te. Ti sei schierata con Tecchi e per
colpa
sua Ryōcchi è stato umiliato. Nessuno osa far piangere il
mio principe senza
pagarne le conseguenze. E pensare che Ryōcchi è stato
così generoso con te da
concederti una seconda possibilità. Tu non meriti affatto di
essere sua amica.
Quando lo incontrerò, gli racconterò di persona
del tuo tradimento e alla fine
ti odierà.
Ma
perché sto scrivendo in un
diario? Siamo nel XXI secolo e nessuno usa più carta e penna
per comunicare!!
Mi verranno i calli alle dita se scrivo un’altra parola! Per
questa notte mi
ritiro, ma sappi che la prossima volta che abbasserai la guardia, Eiko,
prenderò il tuo posto e andrò ad un appuntamento
con Ryōcchi. Ho aspettato
troppo per lasciarti rovinare tutto con la tua stupida cotta per quel
capitano
da strapazzo. Non distruggerai il mio sogno d’amore.
♥SEIKO
♥
°°°
Buona
settimana, ragazzi!
È comparsa una nuova personalità che
farà di tutto per complicare la vita della
povera Eiko. Se siete arrivati fino a questo punto, grazie!
>_<
Come
sempre, se questa
storia vi sta piacendo, sarei felice di leggere qualche vostro
commento. Intanto
vi lascio un abbraccio e vi aspetto al prossimo capitolo. ^^
Lady
L.
|
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Capitolo 27 *** Sta’ lontano da Eiko! ***
Capitolo
16
“Sta’
lontano da Eiko!”
«Sei
sicura di non
essere stata tu a scriverlo?».
«Quante
volte devo
ripetertelo, Yoichi? Non ho scritto io questa pagina del mio diario. E
se anche
fossi stata io, perché avrei dovuto firmare con un altro
nome?».
«Hai
detto che
erano le tre di notte. Magari eri ancora addormentata e hai messo un
nome per
un altro. Trattandosi di te, non mi sorprenderei».
«Così
non mi sei
affatto d’aiuto. Sapevo che coinvolgerti non avrebbe portato
a nulla di buono.
Non prendi mai niente sul serio, tu».
«Va
bene, adesso
non agitarti, Eiko. Vieni, siediti», Naoko indica il posto
accanto a lei.
Prendendo
in
considerazione il suo consiglio, mi sistemo anch’io sul
divano. Non posso certo
dire di essere tranquilla in questo momento. Stamattina, al mio
risveglio, ho
infatti scoperto che qualcuno, a notte fonda e a mia insaputa, ha
scritto nel
mio diario. Ma la cosa davvero terribile è che questa
ragazza, che si fa
chiamare Seiko, altri non è se non una nuova
personalità emersa dal mio
subconscio. Non appena ho capito cosa fosse accaduto, mi sono
precipitata in
camera di Naoko per chiedere aiuto. Mentre parlavo con lei, Yoichi
è entrato
nella stanza cercando mia sorella e ha finito col leggere il mio
diario, così
ho dovuto mettere anche lui al corrente della situazione. Non volendo
allarmare
il resto della famiglia, ho pregato entrambi di mantenere il silenzio,
almeno
per ora. Di conseguenza, ci siamo riuniti tutti e tre nel solone per
una
riunione strategica.
«Penso
che
dovremmo rileggere con attenzione questa pagina. Potremmo trovare delle
informazioni utili», propone Naoko, aprendo nuovamente il
diario. «Se, come
sospettiamo, si tratta davvero di una nuova personalità,
direi che è in qualche
modo collegata a questo Ryōcchi. Nel testo viene menzionato diverse
volte e
Seiko sembra tenere molto a lui. Sorellina, hai idea di chi possa
essere?».
«Io
credo si
tratti di Kise. Ryōcchi potrebbe essere il diminutivo di Ryōta. E poi,
anche
Kise ha l’abitudine di chiamare con lo stesso soprannome le
persone che gli
piacciono».
«Io
invece penso
che sia tutt’altra l’informazione su cui dovremmo
concentrarci», dichiara
Yoichi, estraniandosi dalla conversazione. «Andiamo, qui
c’è chiaramente
scritto che Eiko si è innamorata di un ragazzo. Questa
notizia da sola è
sufficiente ad aprire un’intera indagine!».
Avrei
dovuto
aspettarmelo. Con mio cugino Yoichi finisce sempre così. Non
ho ancora capito
se questo suo prendere tutto alla leggera sia un modo per
sdrammatizzare e
alleggerire un’atmosfera pesante o se sia semplicemente parte
del suo carattere
frivolo e superficiale.
«Tanto
perché tu
lo sappia, Yoichi, non è affatto come pensi. Solo
perché ho incontrato un
ragazzo che è riuscito a catturare il mio interesse non vuol
dire che mi sia
innamorata. E comunque ho un problema più grave al momento,
quindi, se non ti
dispiace, cerca di dire qualcosa che possa essere utile alla
situazione. Ah, e
non ti azzardare a parlarne con nessuno, capito?».
«Va
bene, va bene.
Lascerò perdere per ora. Ma non finisce qui. Ritorneremo
sulla questione»,
minaccia mio cugino con un ghigno divertito.
«Ragazzi,
restate
concentrati. Eiko, dobbiamo raccogliere più informazioni.
Ricordi se negli
ultimi giorni è successo qualcosa che possa aver
incoraggiato Seiko a
manifestarsi?».
«Non
so se abbia a
che fare con lei», inizio a raccontare, «ma il
giorno della partita contro il
Kaijō mi è successa una cosa strana. Alla fine
dell’incontro sono corsa a
cercare Kise e per qualche motivo non riuscivo a smettere di pensare a
lui. Ero
attratta da lui, ma non come amico. Desideravo solo correre da lui,
confortarlo, toccarlo e…baciarlo. Ma ve lo ripeto, non ero
in me in quel
momento, lo giuro! Per me Kise è solo un amico!!».
Sorvolando
sul mio
imbarazzo, Naoko inizia a riflettere. «E’ possibile
che i pensieri di Seiko si
siano per un attimo sovrapposti ai tuoi e che tu abbia provato le sue
emozioni».
«In
effetti,
quando sono tornata in me, stavo piangendo e mi sentivo molto triste,
senza un
reale motivo».
«Questo
è un bel
casino», Yoichi emana un sospiro lasciandosi cadere indietro
sulla poltrona. «A
questo punto, ogni volta che Kise è nei paraggi,
c’è il rischio che Seiko
prenda il tuo posto».
Non
avevo preso in
considerazione questa possibilità, semplicemente
perché non volevo prendere in
considerazione l’idea di dovermi tenere a debita distanza da
Kise. Adesso che
sono finalmente riuscita a ottenere il suo perdono e che siamo tornati
ad
essere amici, risulterei sospettosa se iniziassi ad evitarlo. Ma il
ragionamento di Yoichi potrebbe avere un fondo di verità e,
se non voglio
correre il rischio di farmi rubare di nuovo il tempo, devo
riconsiderare la mia
relazione con Kise.
«Per
fortuna
frequentate due scuole diverse, quindi non dovreste avere molte
occasioni per
incontrarvi», sottolinea mio cugino, alzandosi dalla poltrona.
«Dove
stai
andando?».
«Tra
poco si
sveglieranno anche gli altri. Non vorrai che ci vedano qui e che
inizino a fare
domande?».
«Yoichi
ha
ragione», concorda Naoko apprestandosi a lasciare il salone a
sua volta. «Preferirei
mettere al corrente della situazione anche mamma e papà, ma
rispetterò la tua
decisione, Eiko. Tuttavia sarei più tranquilla se informassi
almeno Haruka. Se
dovesse succedere qualcosa mentre sei a scuola, potrai almeno avere
qualcuno a
cui chiedere aiuto. Inoltre credo che dovresti parlare anche con
Arthur:
dopotutto ha il compito di proteggerti».
«D’accordo.
Parlerò con entrambi più tardi».
I
primi raggi del
giorno si spandono nella sala. Non mi sento affatto tranquilla sapendo
che la
mia serenità è di nuovo minacciata.
L’unica consolazione è che Seiko non sembra
pericolosa, almeno se paragonata a Meiko. Yoichi e Naoko non appaiono
particolarmente allarmati ma io credo che stiano solo nascondendo i
loro
pensieri per non farmi preoccupare. Ad ogni modo, non
c’è nulla che possa fare
al momento se non evitare di incontrare Kise e confidare nel giudizio
di
Yoichi.
***
Come
promesso, in
macchina verso la scuola, racconto quanto accaduto ad Haruka e ad
Arthur. Consegno
il mio diario ad Haruka così che possa leggere da
sé le parole lasciate da
Seiko.
«Come
ti senti?»,
domanda mia cugina, restituendomi il quaderno.
«Per
ora mi sento
ancora me stessa. Yoichi crede che se rimango lontano da Kise non
dovrei
correre pericoli».
«È
assurdo,
totalmente senza senso! Vuol dire che tutti gli sforzi che hai fatto
fino
adesso sono stati inutili? Per non parlare delle terapie e dei continui
controlli in ospedale».
«Mi
dispiace».
«Non
è certo
qualcosa per cui ti debba scusare, Eiko. Non è colpa tua, ma
sono infuriata»,
in un impeto di frustrazione, Haruka colpisce il finestrino della
limousine con
il pugno. «Sono preoccupata per te e non so cosa fare per
aiutarti».
«Stai
facendo già
molto, invece», la smentisco, «Senza di te, non so
come me la sarei cavata a
scuola. È solo merito tuo se mi sto ambientando e se ho
trovato il coraggio di
parlare di nuovo con Kuroko».
Haruka
sospira
esasperata. Nei suoi occhi vedo il senso di colpa, la rabbia,
l’impotenza.
Vorrei che si accorgesse di quanto preziosa e insostituibile sia per me
la sua
presenza, fuori e dentro la scuola, e vorrei trovare le parole giuste
per
rassicurarla. In verità, però, non so nemmeno
come rassicurare me stessa. Non
ho più certezze sul mio futuro, su questa giornata. Non che
prima ne avessi, ma
se non altro mi restava ancora la speranza.
«Scusami,
Eiko»,
Haruka riprende a parlare con più calma. «In
questo momento dovresti essere tu
a urlare e io a consolarti, invece non riesco a controllare la rabbia
che ho
dentro».
«Non
fa niente, ti
capisco. In fondo sei preoccupata per me. E comunque, per adesso sto
bene»,
provo ad essere più convincente mostrando il mio sorriso
migliore.
«Oh,
Eiko», Haruka
mi attira a sé abbracciandomi con energia e scompigliando
affettuosamente i
miei capelli. «Arthur, da questo momento sei anche tu nostro
complice, perciò hai
l’obbligo di mantenere il segreto. Non una parola su Seiko,
hai capito? Mamma e
papà non devono saperlo».
«Come
desidera,
signorina Haruka», assicura Arthur, rispondendo attraverso lo
specchietto
retrovisore.
La
promessa che
mia cugina è appena riuscita a strappare ha
dell’incredibile. Arthur non ha mai
avuto segreti per mia madre e anche l’anno scorso, con la
minaccia di Meiko, ha
dichiarato più volte che non avrebbe esitato ad avvertire i
miei genitori se mi
fossi trovata in pericolo. Il fatto che ora non abbia aggiunto la
stessa
clausola all’accordo è in un certo senso sospetto.
Ma forse questa volta è così
accondiscendente perché non sono sola. Naoko, Yoichi e
Haruka sono al corrente
della situazione e cinque persone che lavorano insieme hanno
sicuramente più
possibilità di superare con successo una crisi.
La
limousine si
ferma davanti all’edificio scolastico. Nascondo il mio diario
nella cartella,
tra i quaderni. So che è rischioso portarlo a scuola, ma
oggi farò
un’eccezione. Arthur mi avverte che resterà tutta
la mattina nei pressi della
scuola, come al solito. Prima di scendere dall’auto, lancio
una fugace occhiata
allo specchietto retrovisore. Arthur è immerso nei suoi
pensieri, tanto da non
accorgersi di me ed Haruka mentre lasciamo l’abitacolo.
Varcati i cancelli
della scuola, mi volto indietro: la limousine è ancora ferma
nello stesso
punto, così come Arthur, ancora immobile con le mani sul
volante e lo sguardo
assorto. E la colpa è di nuovo mia.
***
Sullo
schermo del
mio cellulare compare un nuovo messaggio.
Eikocchiii,
perché
non rispondi? >_<
Per
tutta la
mattina Kise non ha fatto che inviarmi sms che io ho regolarmente
ignorato.
Sono passati diversi giorni dall’amichevole con il Kaijō e
oggi si è messo in
contatto con me per la prima volta dopo molto tempo per invitarmi sul
set del
suo prossimo servizio fotografico.
Il
mio telefono
vibra di nuovo.
Eikocchi!
Eikocchi!! Eikocchiiii!!!
Se
continua così
dovrò riformattare il cellulare. A dire la verità
ho risposto al primo
messaggio scrivendo che il giorno del servizio avrei avuto da fare, ma
Kise non
ha preso bene la notizia e non smetterà di tempestarmi con i
suoi sms fin
quando non cambierò idea. Purtroppo, benché mi
farebbe davvero piacere
accettare il suo invito, per ovvie ragioni non posso. Ho infatti
promesso a
Yoichi che mi sarei tenuta a distanza dal mio amico per un
po’ di tempo. Se
Kise è davvero l’interruttore di Seiko, non
è saggio rimanergli vicino. Spero
solo che Kise non mi odi per questo.
***
Allo
scoccare
della pausa pranzo mi preparo a raggiungere Haruka sul tetto della
scuola.
Mentre sto per uscire dall’aula, Kuroko chiama il mio nome,
attirando la mia
attenzione. Quindi mi si avvicina ed emette un profondo sospiro.
«Eiko-san,
hai da
fare questo venerdì? Kise-kun ci ha invitati sul set
fotografico».
«Si,
lo so. Ho
ricevuto i suoi messaggi, ma gli ho già detto che purtroppo
questo venerdì,
dopo la scuola, sono impegnata. E così ha chiesto a te di
convincermi?».
«Kise-kun
a volte
sa essere davvero insistente. Comunque non preoccuparti. Se hai
già un impegno
non puoi farci niente».
«Mi
dispiace»,
lascio quindi Kuroko e mi affretto a raggiungere Haruka.
Al
mio arrivo, mia
cugina alza le braccia al cielo.
«Finalmente,
Eiko,
ma dove eri finita? Sto morendo di fame».
«Scusa
ma Kuroko
mi ha trattenuta».
«È
tutto a
posto?», domanda Haruka, preoccupata.
«Si,
è solo che
Kise mi ha invitata questo venerdì sul set fotografico del
suo prossimo
servizio. Ovviamente gli ho detto che non posso perché ho un
altro impegno, ma
non l’ha presa bene ed è tutta la mattina che mi
bombarda di messaggi. Visto
che non rispondevo, ha chiesto a Kuroko di provare a
convincermi».
«Non
poteva
scegliere momento peggiore per invitarti. Tu come ti senti?».
«Per
ora bene, ma
ho paura che se continuerò a rifiutarlo, potrebbe
odiarmi».
Haruka
si siede
sul pavimento del terrazzo e alza le spalle. «Non puoi farci
niente. Del resto
non puoi dirgli la verità».
«Lo
so, ma vorrei
non dovergli mentire».
Prendo
posto
accanto ad Haruka e inizio a mangiare, anche se non ho molto appetito.
Ogni
boccone che ingoio è insipido, inconsistente. Avrei davvero
voluto vedere Kise
posare come modello. Sono proprio sfortunata. Mi domando per quanto
tempo dovrò
continuare ad evitarlo. Kise è stato il mio primo amico alla
Teikō e averlo
come compagno di classe rendeva ogni giorno allegro. E’
sempre stato facile
parlare con lui. Diversamente dagli altri ragazzi, è sempre
riuscito a mettermi
a mio agio. In fondo posso capire perché Seiko gli sia
così affezionata.
***
Durante
il
pomeriggio, Kise continua a mandarmi sms, distraendomi dalle lezioni.
Benché
non abbia risposto a nessuno di essi, non ho comunque avuto il coraggio
di
spegnere il cellulare. Non ricordo quasi nulla di quello che hanno
spiegato i
professori e ora mi toccherà studiare il doppio per
compensare la mia mancanza
di attenzione.
«Non
preoccuparti,
se c’è qualcosa che non hai capito, puoi chiedere
a Naoko di spiegartela», mi
ricorda Haruka, mentre percorriamo il cortile frontale della scuola.
«Non
è questo il
problema», le rispondo scuotendo la testa. «Il
fatto è che non posso continuare
ad essere distratta in classe. E se conosco Kise, domani non
sarà diverso. Mi
riempirà di messaggi come ha fatto oggi e io sono troppo
curiosa per non
leggerli, anche se poi non risponderò a nessuno. Potrei
lasciare il cellulare a
casa. No, non servirebbe. Anzi, sono sicura che mi farebbe sentire
ancora più
in ansia».
«Ci
tieni davvero
così tanto ad andare?».
Annuisco.
«E’ la
prima volta che Kise mi invita a trascorrere del tempo insieme a lui e,
ti
confesso, ero emozionata all’idea di vederlo al lavoro. Ma
c’è un altro motivo:
nel suo ultimo messaggio ha detto che c’è una
persona che vuole farmi
incontrare. Ecco guarda».
Apro
la cartella e
inizio a frugare tra i libri per trovare il cellulare. Tuttavia, mentre
rovisto
nel mucchio di quaderni, mi accorgo che il mio diario non è
dove ricordavo di
averlo messo.
«Non
c’è! Il mio
diario è sparito! Oh no, e adesso come faccio? Se qualcuno
dovesse leggerlo,
sarebbe la fine!».
«Va
bene, torniamo
in classe. Magari l’hai lasciato sotto il banco»,
Haruka afferra la mia mano e
inizia a correre verso l’interno della scuola. «Non
preoccuparti, lo
troveremo».
Lo
spero. Ma come
ho potuto essere così sciocca da perderlo? Come se non
bastasse, ho dimenticato
il lucchetto nella limousine, perciò ora chiunque
può aprirlo e leggere quello
che ho scritto. Il mio più grande segreto rischia di
diventare di dominio
pubblico. Provo a scacciare il pessimismo dai
miei pensieri e mi concentro sulla corsa. Haruka
è molto veloce e non è
facile per me tenerle il passo. A complicare le cose, poi, ci pensano
le ondate
caotiche di studenti che avanzano verso di noi, diretti
all’esterno
dell’edificio. Haruka mi trascina su per le scale, facendosi
strada tra urla e
sgomitate. Sembra una forza della natura, un tornado che spazza via
qualunque
cosa abbia la sfortuna di intralciare la sua avanzata.
«Eiko,
guarda!».
Haruka
indica i
due ragazzi che stanno uscendo dall’aula. Si tratta di Kagami
e Kuroko e
proprio quest’ultimo stringe tra le mani il mio diario. Lo
osserva con
attenzione, come se stesse cercando informazioni sul proprietario.
Forse non
l’ha ancora aperto. Le mie gambe iniziano a rallentare per la
stanchezza.
«Non
ce la faccio
più, Haruka».
«Resisti,
ormai ci
siamo!», mia cugina serra la presa sulla mia mano.
«Non
c’è più
tempo!», esclamo terrorizzata alla vista di Kuroko che
solleva lentamente la
copertina del diario. È la fine.
«Accidenti»,
Haruka molla la presa su di me e scatta in avanti. In pochi secondi
brucia la
distanza che la divide dai due ragazzi con la stessa selvaggia
agilità di un
ghepardo che ha puntato la preda. «Non ci pensare
neanche», ringhia prima di
strappare furiosamente il diario dalle mani di Kuroko e sventare
così la
catastrofe.
Sopraffatti
dallo
sguardo rabbioso di Haruka, Kagami e Kuroko restano immobili per
qualche
secondo, troppo impauriti anche solo per sbattere le ciglia. Al
contrario mia
cugina ansima pesantemente come un toro furibondo.
Quando
infine
anch’io raggiungo il trio, i miei due compagni di classe
riprendono a
respirare.
«Eiko,
tieni», Haruka
mi consegna il diario, sfilando sotto lo sguardo terrorizzato di Kagami
e Kuroko.
Credo di dovere almeno una spiegazione ai due ragazzi.
«Kuroko,
grazie
per aver ritrovato il mio diario».
«Di
niente»,
risponde Kuroko, ancora frastornato. «Era sotto il tuo banco.
Devi averlo
dimenticato».
«Se
l’hai trovato
sotto il suo banco, sapevi che era di Eiko. Non avevi alcun bisogno di
aprirlo
per leggere il nome del proprietario. Volevi solo soddisfare la tua
curiosità
leggendo i segreti di qualcun altro, ammettilo!!».
«O-ok,
adesso
calmati», Kagami interviene, ponendosi fra Kuroko e Haruka.
«Non volevamo fare
niente di male. Non c’è bisogno di scaldarsi
così».
«Leggere
il diario
segreto di una ragazza lo chiami “niente di
male”?», grugnisce Haruka,
minacciando Kagami col pugno chiuso.
A
questo punto c’è
il rischio che mia cugina decida davvero di venire alle mani con i miei
due
compagni di classe. Mi intrometto quindi nella disputa e, tirando
Haruka per un
braccio, la richiamo a me.
«Va
tutto bene, in
fondo non è successo niente», pronuncio
sforzandomi di sorridere per
rassicurare Haruka. In realtà dentro di me sono
così agitata che potrei
vomitare. Il pensiero che il mio segreto stava per essere scoperto mi
rende
talmente nervosa e spaventata che mi riesce difficile rimanere in piedi
sulle
mie gambe.
«Non
puoi essere
indulgente. Non questa volta», lo sguardo negli occhi di
Haruka è incandescente
come un braciere.
«Dopotutto
è colpa
mia. Se non fossi così sbadata, non avrei perso il mio
diario. Anzi, è stato un
mio errore portarlo a scuola. Sono stata fortunata che siano stati
Kuroko e
Kagami a trovarlo». Si, voglio credere di essere stata
davvero fortunata. Se i
miei due amici avessero scoperto che soffro di personalità
multipla, non mi
avrebbero giudicata. Forse.
«Senpai»,
Kuroko
prende la parola, dopo essere rimasto in silenzio fino a questo
momento. Si
volge verso Haruka e piega il busto in avanti. «Mi
dispiace». Quindi sposta le
sue attenzioni su di me. «Ti chiedo scusa, Eiko. Non avrei
dovuto aprire il tuo
diario. Perdonami».
«Non
devi scusarti.
Al contrario sono io che dovrei ringraziarti. Grazie di aver ritrovato
il mio
diario».
«Allora
siamo
ancora amici?», Kuroko solleva la testa e i suoi grandi occhi
mi guardano pieni
di speranza.
«M-ma
certo che
siamo…amici».
Dire
questa parola
ad alta voce mi risolleva. Anche se il pensiero che Kuroko potesse
scoprire il
mio segreto mi spaventava, mi terrorizza di più
l’idea di perdere la sua
amicizia. Sono perciò felice che tutto si sia sistemato.
«Non
hai sistemato un bel
niente, invece. Non ti permetterò mai di essere sua amica.
Tecchi è un
traditore».
Improvvisamente
la
mia testa è pesante, sovraccarica di pensieri. E non sono
miei. Questa
sensazione è fin troppo famigliare. Sta succedendo di nuovo,
proprio come
quella sera.
«Non
puoi essere amica di un
traditore. Forse tu l’hai dimenticato, ma io no. Non ho
dimenticato
l’umiliazione che il mio Ryōcchi ha dovuto sopportare a causa
sua. Ho sempre
saputo di non potermi fidare di te, Eiko, ma ora non ho più
intenzione di
starmene a guardare mentre tu ti schieri con il nemico».
La
mia testa
sfrigola come un cavo percorso da elettricità ad altissimo
voltaggio. Le
immagini davanti a me iniziano a sfocare.
«Eiko,
va tutto
bene?», Haruka è subito al mio fianco. La sua mano
dolcemente appoggiata sulla
mia schiena.
«È
solo un mal di
testa», mento per non insospettire i miei due compagni di
classe. «Ma forse ora
è meglio se andiamo».
«Certo».
Haruka
raccoglie
la mia cartella e vi infila dentro il mio diario. Con un cenno
sbrigativo
saluta i due ragazzi prima che possano fare domande e insieme ci
affrettiamo
alla limousine.
Una
volta in
macchina, il terribile dolore alla testa si
placa e io torno a respirare.
«Che
cosa è
successo?», si informa prontamente Haruka.
«Credo
di aver
sentito di nuovo i pensieri di Seiko».
«Cosa?!
Perché
dovrebbe farsi viva adesso?».
«Era
arrabbiata
con me e…con Kuroko».
«Kuroko?
Quindi è
colpa sua», conclude Haruka, abbandonandosi alla morbida
pelle del sedile.
«Non
è colpa di nessuno»,
la contraddico subito, per evitare che indirizzi ancora la sua collera
verso il
mio amico. «Il fatto è che Seiko è
convinta che Kuroko abbia tradito Kise,
anche se non so perché. L’unica cosa di cui sono
certa è che lo considera un
nemico».
«Questo
significa
che adesso anche Kuroko è un potenziale interruttore. Che
casino!».
«Mi
chiedo per
quanto tempo riuscirò a mantenere il segreto».
Senza
volerlo,
esprimo le mie preoccupazioni ad alta voce. Dover mentire costantemente
è
sfiancante, così come dover tenere la guardia alta in ogni
singolo istante
della giornata. Se continuo di questo passo, la tensione mi
farà presto
crollare, per non parlare della mancanza di sonno. Ultimamente dormo
sempre di
meno. Più cerco di oppormi, più loro
contrattaccano, prosciugando le mie energie fisiche e mentali. Prima
Meiko e
adesso Seiko. Non riuscirò a difendermi dai loro agguati
ancora per molto, lo
sento. Sento che la mia forza mentale si sta indebolendo. Tutto quello
che
posso fare ora è sospirare e scacciare momentaneamente da me
la pressione.
«Andrà
tutto
bene», la mano di Haruka si posa sulla mia spalla.
«Anche se il mondo venisse a
sapere la verità e ti giudicasse per questo, noi
continueremo a volerti bene.
So che credi che la tua condizione possa danneggiare il nome della
nostra
famiglia, ma ricorda che non sei sola e che non devi prenderti tutto il
peso
sulle spalle. Se senti che è troppo difficile per te,
dillo».
È
come ha detto
Haruka: qualunque cosa succederà in futuro, potrò
contare sulle persone che
amo. Da parte mia, ora, posso solo fare del mio meglio per tenere a
bada queste
ombre che minacciano la mia esistenza perché, fino a prova
contraria, sono
ancora io la padrona del mio corpo e del mio tempo.
***
Come
ho fatto a
finire in questa situazione? È talmente assurda che non
l’avevo neanche presa
in considerazione. Ma, forse, conoscendo Kise, avrei dovuto
aspettarmelo. Si, avrei
dovuto aspettarmi che si sarebbe presentato ai cancelli della scuola.
Oggi è
venerdì. È il giorno del servizio fotografico e,
non avendo cambiato idea, Kise
ha deciso di passare al contrattacco e venire fino alla Seirin. Questo
significa che non ha creduto alla mia bugia.
«Che
diavolo ci fa
lui qui?», Haruka punta il dito contro Kise, posizionandosi
immediatamente
davanti a me.
«Ho
paura che sia
venuto a prendermi per portarmi sul set del servizio
fotografico», rispondo in
preda al panico.
«Stai
scherzando,
vero? Non gli avevi detto che eri impegnata?».
«Si
e lui non mi
ha creduto. Che cosa faccio adesso?».
Mentre
io e Haruka
pensiamo a come togliermi da questo pasticcio, i miei occhi incontrano
quelli
di Kise. Il mio amico inizia allora ad agitare un braccio in aria e a
correre
verso di me gridando il mio nome. Prima che le sue braccia si stringano
intorno
a me, però, Haruka gli si para davanti, facendomi da scudo.
«Sta’
lontano da
Eiko», ringhia allargando le braccia.
Intimidito,
Kise
compie un passo indietro. Tuttavia, dopo un’occhiata attenta
ad Haruka, la sua
espressione cambia, addolcendosi, e un sorriso galante si apre sulle
sue
labbra.
«Non
mi sono
presentato. Mi chiamo Kise Ryōta e sono…».
«So
benissimo chi
sei», abbaia Haruka interrompendo la presentazione del mio
amico. «Eiko ti ha
detto che non può venire, quindi puoi tornare da dove sei
venuto».
Le
labbra di Kise
si curvano in un’espressione rattristata.
«E’ la prima volta che una bella
ragazza mostra tanta ostilità nei miei confronti».
«Adularmi
non ti
servirà a niente. E adesso sparisci!».
Kise
abbassa la
testa per un attimo, scoraggiato. Vederlo così abbattuto mi
mortifica, ma non
sarebbe dovuto venire fino a qui.
«La
verità è che
ero così felice di rivederti, Eikocchi», lo
sguardo di Kise si solleva
lentamente su di me. «Non potevo più aspettare e
così ho convinto la mia
manager a venire qui. Non era mia intenzione crearti problemi. Mi
dispiace».
Oh,
no. Se mi
guardi con quegli occhi malinconici non posso che sentirmi in colpa.
«Dovrò
dirlo a
Mayumi. Non la prenderà bene. E pensare che era
così entusiasta»., mormora Kise
tra sé e sé.
«Mayumi?
Hai detto
proprio Mayumi?».
«Oh,
ricordi
quanto ti ho detto che volevo che incontrassi qualcuno? Io e Mayumi
lavoriamo
per la stessa agenzia e quando ha saputo che ti avevo ritrovata, mi ha
implorato di invitarti sul set. In fondo eravate migliori
amiche».
All’improvviso
tutta
la mia determinazione a rifiutare l’invito di Kise inizia a
vacillare. Quando
ho lasciato la Teikō, l’ho fatto senza salutare nessuno,
senza dare
spiegazioni. Sono semplicemente sparita poiché non avevo il
coraggio di dire
addio a Mayumi e a Satsuki. Sono stata vigliacca e sono scappata,
rassegnandomi
al pensiero di perdere così le mie due migliori amiche.
Anche se mi sono
comportata da codarda, Mayumi ha chiesto a Kise di invitarmi per
incontrarmi.
«Haruka»,
la mia
voce è piena di rammarico per la mia richiesta egoistica.
«Non
hai bisogno
di aggiungere
altro», risponde mia
cugina abbassando le braccia e sospirando con rassegnazione.
«Se è così
importante per te, non posso che lasciarti andare». I miei
occhi si illuminano
di gratitudine. «Se ti accompagniamo anche io e Arthur non
dovrebbero esserci
problemi, giusto?».
«Questo
significa
che hai cambiato idea?», domanda Kise speranzoso.
Annuisco
e subito
il mio amico si lancia in un abbraccio, che però viene
immediatamente intercettato
da Haruka.
«Tieni
giù le mani
da Eiko!!».
«E’
da prima che
volevo chiedertelo: ma tu chi sei?», la interroga Kise,
inclinando la testa
perplesso.
«Mi
chiamo Haruka
Wadsworth e sono la cugina di Eiko. Inoltre sono più grande
di te, quindi
portami rispetto, moccioso».
Moccioso?
Haruka è
più grande di Kise solo di un anno ma, data la sua altezza,
Kise sembra più
grande quindi, forse, dargli del moccioso è un po’
esagerato. Ma in fondo
questo è il modo di Haruka per far capire al mio amico qual
è il suo posto. Mia
cugina non ha paura di nessuno e non ha problemi a mostrarsi aggressiva
quando
crede di dover proteggere qualcuno. Tutto questo prova quanto mi voglia
bene e
quanto tenga a me. E comunque comprendo bene la sua diffidenza:
dopotutto Kise
rappresenta al momento una minaccia, poiché la sua vicinanza
potrebbe
risvegliare Seiko in qualunque momento. Ma mi dispiace ugualmente per
il mio amico.
Spero che Haruka non se la prenda troppo con lui.
♥
♥ ♥
Finalmente
riesco a
portarvi un nuovo capitolo! >_<
Perdonatemi
per la
lunga attesa, ma diventa sempre più difficile trovare del
tempo per scrivere. Come
sempre vi ringrazio per avermi seguita fino a questo capitolo e vi
auguro un buon
fine settimana.
|
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Capitolo 28 *** Non dimenticarmi, Ryōcchi ***
Capitolo
17
“Non
dimenticarmi, Ryōcchi”
La
location del
servizio fotografico si trova all’interno di un centro
commerciale di Shibuya.
Appena arrivati, saliamo subito all’ultimo piano.
L’equipe è già sul posto,
intenta a preparare il set per i modelli. Kise si precipita a salutare
il
direttore per poi farmi un cenno e incoraggiarmi ad avvicinarmi. Io e
Haruka
veniamo così presentate a un uomo di mezza età,
estremamente carismatico e
socievole. Arthur è poco distante da noi. È
rimasto in disparte ma i suoi occhi
vegliano costantemente su di me. Sono più tranquilla
sapendolo al mio fianco.
Mentre sto ancora sorridendo tra me e me rasserenata, avverto il tocco
di una
mano sulla mia spalla. Di riflesso mi volto indietro e quasi non credo
a quello
che vedo. Una ragazza bellissima dischiude le labbra e pronuncia il mio
nome
con occhi colmi di commozione. Non sono sicura se il luccichio nelle
sue
pupille sia dovuto ai fari montati sul set o ad un sottile velo di
lacrime.
«Sei
venuta»,
sussurra prendendomi affettuosamente tra le sue braccia. La mia nuca si
posa
sul suo petto caldo e una fragranza di vaniglia invade i miei sensi.
«Quanto mi
sei mancata. Sono felice di sapere che stai bene».
«Mi
dispiace»,
rispondo a mia volta con il groppo alla gola. Poter risentire la voce
di Mayumi
è per me una gioia immensa e allo stesso tempo fonte di
rammarico. Forse perché
riesco ad avvertire in essa la consolazione, quel senso di sollievo che
soltanto il mio essere qui, in carne ed ossa, tra le braccia della mia
migliore
amica ha potuto donare al suo cuore in pena. Nel suo stringermi a
sé, quasi non
volesse più lasciarmi andare, riesco a sentire tutto
l’affetto di Mayumi, la
sua amicizia ma anche l’inquietudine che l’ha
turbata dal giorno in cui l’ho
lasciata senza neanche una parola.
«Mi
dispiace»,
continuo a ripetere, sperando che questo basti ad assolvermi dal mio
peccato.
«Mi dispiace».
«Il
passato è
passato. Ciò che conta è che tu sia qui
adesso».
Trattenendo
le
lacrime che altrimenti rovinerebbero l’impeccabile trucco,
Mayumi scioglie
l’abbraccio e si prende qualche istante per osservare il mio
volto. Infine, con
un sorriso nostalgico, dichiara: «Non sei affatto
cambiata».
«Non
posso dire lo
stesso di te», rispondo alzando lo sguardo. «Sei
diventata più alta. La tua
pelle sembra porcellana e il tuo corpo sembra quello di una
modella».
«Perché
lo sono»,
commenta strizzandomi l’occhio.
«Alla
fine hai
realizzato il tuo sogno», i nostri occhi si spostano su Kise,
circondato da
truccatori e stilisti.
«E’
vero che
adesso trascorro molto più tempo insieme a lui, ma Kise
continua a vedermi solo
come un’amica, perciò sono ancora lontana dal
realizzare il mio sogno»,
dichiara con un po’ di delusione.
Quando
infine
viene richiamata dal direttore per iniziare le riprese, con un gesto
amichevole
si allontana. Io e Haruka ci sistemiamo su un lato del set per non
disturbare i
due attori protagonisti. Sebbene non sia io a dover recitare davanti ad
una
telecamera, mi sento emozionata e tesa allo stesso tempo. Non posso che
provare
ammirazione per Kise e Mayumi, per la professionalità con
cui svolgono il
proprio lavoro. Sembrano così diversi dai due compagni di
classe con cui ero
solita trascorrere le giornate tra i vecchi banchi di scuola. Entrambi
hanno
un’aria molto più matura e forse è
proprio questo a farmi provare un lieve
disagio. Guardandoli mi sembra di essere rimasta indietro.
E
invece sono
proprio io ad essere cambiata così profondamente da temere
di perdere me stessa
da un momento all’altro e scomparire per sempre da questo
mondo. Persino ora
sento di non essere al sicuro. I miei occhi continuano a cercare Kise.
Indugiano sulle sue braccia strette attorno alle spalle di Mayumi; sui
suoi
occhi d’ambra socchiusi in una tenera devozione; su quelle
provocanti labbra
che accendono un desiderio che non ha nulla di pudico, che è
puramente carnale.
Un desiderio che non è mio ma che brucia nel mio corpo e
nella mia testa con
una intensità insopportabile. E ogni mio sforzo di
reprimerlo non fa che
intensificarlo, facendomi tremare di passione. Sono stata ingenua a
pensare che
sarei riuscita a soffocare i sentimenti di Seiko con la mia sola forza
di
volontà, dopo averla portata io stessa così
vicina a Kise. A cosa stavo
pensando quando ho accettato di venire qui, ignorando
l’avvertimento di Haruka?
Le
mie gambe
perdono improvvisamente forza facendomi cadere sulle ginocchia. Kise
attira a
sé Mayumi, annullando la distanza tra i loro corpi. Il
battito del mio cuore
accelera e le mie mani si chiudono sul mio petto. Sento lo stomaco
salirmi in
gola e il cervello vibrare con violenza nel mio cranio. Senza volerlo
mi mordo
le labbra finché i miei denti bucano la morbida carne
facendola sanguinare. Una
rabbia devastante cresce rapidamente dentro di me, ma è solo
quando le labbra
di Kise si posano su quelle di Mayumi per un leggero bacio che riesco a
focalizzare con chiarezza il sentimento che pulsa in ogni singola
cellula del
mio corpo. Gelosia. La gelosia di Seiko. Il suo desiderio di
allontanare Mayumi
da Kise. L’irrazionalità del suo odio per la
ragazza che ha osato macchiare il
suo principe.
«Stupida
sciacquetta».
I
suoi pensieri si
sovrappongono rapidamente ai miei, troppo in fretta per darmi la
possibilità di
ricacciarli indietro e, prima che possa avvertire Haruka,
l’oscurità cala
davanti ai miei occhi.
***
Stupida.
Stupida sciacquetta.
Non la perdonerò mai. Pagherà caro questo
affronto. Solo perché non sono libera
di prendere il controllo di
questo corpo quando voglio, pensa di poter mettere le sue sudice mani
sul mio
Ryōcchi? Eiko potrà anche considerarla sua amica ma io non
sono come lei. Questa
sciacquettta è finita sulla mia lista nera nel momento in
cui ha dichiarato di
essere innamorata di lui, del mio principe. E oggi ha decisamente
oltrepassato
il limite. Ha approfittato del lavoro per raggiungere il suo diabolico
scopo.
Ma da adesso non avrà altre occasioni di giocare sporco. Ora
che ho di nuovo il
controllo di questo corpo si pentirà della sua
sfacciataggine. Le mie mani
tremano ancora di rabbia e la mia mente è piena di vendetta.
La fortuna sembra
favorirmi. Il direttore ha appena mandato in pausa l’intero
staff e la piccola
sciacquetta si sta dirigendo da
sola verso i bagni. E’ la mia occasione.
Senza
indugiare un
secondo, mi rimetto in piedi e inizio a camminare con decisione. Devo
allontanarmi prima che Ryōcchi si accorga di me. Per fortuna i bagni si
trovano
sul lato opposto del piano, lontano dal set. Affretto il passo e
raggiungo la
piccola sciacquetta ignara non appena varca la porta della toilette
riservata
alle donne. La mia mano si allunga in avanti, pronta ad afferrare i
suoi
capelli, se non fosse per un paio di braccia che mi tirano indietro,
facendomi
quasi perdere l’equilibrio. Mi libero dalla stretta con uno
gesto brusco e,
livida in volto, mi preparo ad inveire contro chiunque abbia osato
interferire
con la mia vendetta.
«Che
cosa pensi di
fare?», strillo al culmine della collera.
«Questo
dovrei
chiedertelo io», risponde l’altra ragazza e mi
basta un attimo per riconoscere
Haruka. Con le braccia incrociate al petto, mi fissa con diffidenza, in
attesa
di una risposta.
«Non
sono affari
tuoi. Sparisci!», le ordino, per nulla intimorita.
«E’
chiaro che non
sei Eiko», mormora per un istante fra i denti, per riportare
subito dopo le sue
attenzioni su di me. «Chi sei?».
La
sua insistenza
è fastidiosa. «Ti ho detto che non sono affari
tuoi».
In
un moto di
irritazione, Haruka schiocca la lingua. «E’ qui che
ti sbagli. Non si può certo
dire che tu abbia uno sguardo amichevole in questo momento. E se non
hai
intenzioni amichevoli allora, si, sono affari miei. Che cosa volevi
fare a
Mayumi?».
«Darle
la lezione
che merita. Quella piccola sciacquetta ha osato toccare il mio Ryōcchi
e deve
pagare!».
Nonostante il mio tono
infuriato, Haruka non
si scompone, limitandosi a rivolgermi uno sguardo perplesso.
«Ryōcchi?
Dov’e
che ho già sentito questo nome?». I suoi occhi
ruotano verso l’alto, come a
cercare la risposta su un punto impreciso del soffitto. Quando la
lampadina si
accende infine nella sua testa, l’espressione sul suo volto
muta in una smorfia
di delusione. «Seiko?».
Sentirla
pronunciare il mio nome come se fossi l’ultima miserabile di
questo mondo fa
ribollire il sangue nelle mie vene. Come se non fosse abbastanza, un
lungo
sospiro di noia lascia le sue labbra ed è abbastanza per
farmi capire con
quanta sufficienza stia ora guardando alla mia persona. È
evidente che ai suoi
occhi non appaio come una minaccia, quanto piuttosto come una bambina
petulante
e viziata, difficile da trattare solo a causa dei suoi continui
capricci. Mi
sento così umiliata e oltraggiata. Se al mio posto ci fosse
Meiko, lo sguardo
nei suoi occhi sarebbe diverso. Solo perché io non ho
mandato tre studenti in
fin di vita all’ospedale pensa che sia meno pericolosa? Crede
di potermi
ridicolizzare in questo modo?
«E’
meglio che
vieni con me, prima che qualcuno si faccia male». La sua
impazienza e ora più
visibile ma la sua minaccia non mi spaventa. Tuttavia sono le sue
prossime
parole a farmi davvero infuriare. «Sedare una stupida lite
tra due ragazze, che
si prendono per i capelli per il solito belloccio di turno nei bagni di
un
centro commerciale, è l’ultima cosa che voglio
fare oggi».
Accecata
dall’umiliazione,
mi scaglio su di lei, afferrandole i capelli con entrambe le mani. Con
tutta la
forza che ho, inizio a scuotere la sua testa inveendo contro di lei.
«Stupida
lite?
Stupida lite?! Cosa ne puoi sapere tu? Non hai mai avuto uno straccio
di
ragazzo e non ti sei mai innamorata. Sei solo un maschiaccio che crede
di poter
risolvere tutti i problemi con minacce e risse. Non hai il diritto di
parlarmi
così».
«Allora
siamo più
simili di quanto credi», le dita di Haruka catturano i miei
capelli in una
stretta dolorosa e tenace.
«Lasciami
subito
andare, strega!», le ordino serrando a mia volta la presa.
«Prima
tu,
mocciosa!».
«Sei
più grande di
me solo di un anno, non darti tante arie».
«Ma
sono sempre
più grande, perciò molla la presa».
«Non
mi sei mai
piaciuta, lo sai? Il tuo modo di guardare tutti dall’alto
verso il basso mi dà
sui nervi».
«Neanche
tu mi sei
particolarmente simpatica, se è per questo».
Con
uno strattone,
Haruka mi spinge contro uno dei lavandini, tenendomi sempre per i
capelli.
Nonostante il dolore inizi a propagarsi per la mia testa, non intendo
dargliela
vinta. In un momento di lucidità, il suo piede entra nel mio
campo visivo e
decido di passare al contrattacco. Approfittando della sua vicinanza,
utilizzo
tutta la forza di cui dispongo per pestarglielo, cercando di
indirizzare il
colpo sulle dita. Con un urlo, Haruka tira indietro la gamba,
allentando così
la presa su di me. Approfittando del suo sbilanciamento, la spingo
verso la
porta chiusa di uno dei bagni. Purtroppo la mia statura non
è di grande aiuto
in situazioni del genere e non passa molto prima che quella strega di
Haruka
decida di vendicarsi.
«Sei…davvero
una
ragazzina insopportabile», grugnisce appena prima di mordere
il mio braccio.
«E
tu sei una
selvaggia!», le urlo contro cercando di domare il dolore.
Riconosco che è
un’avversaria tenace, ma non sarò io a lasciare il
campo di battaglia per
prima. «Pensi che non sia capace di giocare sporco
anch’io?». I miei denti si
chiudono allora sul suo braccio mentre con le mani riprendo a scuotere
la sua
testa, sperando di farle mollare la presa.
«Eiko!».
All’improvviso,
da
una delle porte chiuse dei gabinetti, emerge Mayumi. In
un attimo è fra me e Haruka. Il suo corpo
statuario riesce infine a separarci ma non prima che io sia riuscita a
ottenere
il mio piccolo premio. Tra le dita delle mie mani, infatti, spuntano
alcune
ciocche di capelli. In un gesto di vittoria, porto il braccio in aria
per
mostrare alla mia rivale il trofeo che attesta la mia vittoria.
Tuttavia il
suono della voce di Mayumi mi fa rinsavire.
«Eiko,
cosa sta
succedendo?».
Tra
le mie mani
sarebbero dovuti esserci i suoi
capelli. Dopotutto era questo il piano originale.
«Tu!
Oggi ti è
andata bene, ma la prossima volta non sarai così fortunata.
Azzardati ad
avvicinarti ancora al mio Ryōcchi e la prossima testa che
prenderò fra le mani
sarà la tua, piccola sciacq…».
Prima
che possa
terminare la frase, la mano di Haruka è sulla mia bocca per
zittirmi e
trascinarmi lontano da Mayumi.
«Tu
adesso vieni
con me senza fare storie», la sua voce è poco
più di un sussurro al mio
orecchio.
«Va
tutto bene, ragazze?».
Haruka
solleva lo
sguardo su Mayumi, visibilmente confusa e preoccupata.
«Si,
tutto bene.
Io e Eiko abbiamo avuto solo una piccola discussione. Ogni tanto capita
tra
cugine, no?».
«Non
sembrava una piccola
discussione», osserva Mayumi,
poco convinta.
«Lo
era, fidati.
Non è la prima volta. Non devi preoccuparti. Forse
è meglio se ora torni sul
set».
Il
tentativo di
Haruka di allontanare Mayumi è fin troppo palese. Continua a
stringermi a sé e
ad indietreggiare come se fossi una bomba pronta ad esplodere da un
momento
all’altro. Farmi vedere da Mayumi in questo pietoso stato
è imperdonabile.
Provo a scalciare e ad agitare le braccia per opporre resistenza, ma
quella selvaggia
di Haruka è più forte di me e non ci impiega
molto a trascinarmi fuori dai
bagni. I miei occhi bruciano di rabbia mentre guardo il mio reale
obiettivo
allontanarsi da me. In questo momento non so chi odiare di
più: se Haruka per
essersi intromessa nella mia vendetta e avermi umiliata di fronte al
mio
nemico; o Mayumi per il suo sguardo di compassione, per quella finta
apprensione nelle sue parole, per quella sua aria di
superiorità. Mi sento
terribilmente frustrata.
Una
volta sole, Haruka
mi lascia finalmente andare. La sua unica preoccupazione è
assicurarsi che il
mio comportamento non abbia insospettito Mayumi e ancora una volta non
posso
fare a meno di sentirmi sminuita. Sono pur sempre sua cugina
anch’io. Solo
perché non parlo come quella perdente di Eiko, non vuol dire
che la mia
esistenza sia meno importante della sua. O che lei sia più
reale di me. Io sono
io. Avremo anche la stessa faccia, ma siamo due persone completamente
diverse.
Pensa forse che sia stato facile per me mettere Eiko a dormire e
prendere il
suo posto? Il mio posto. Si,
perché
anch’io ho lo stesso diritto di usufruire di questo corpo,
nessuno ha mai detto
che fosse solo di Eiko. Non chiedo tanto, in fondo. Solo un
po’ di
considerazione da parte della mia
famiglia.
«Hai
messo su il
broncio?».
L’improvvisa
domanda di Haruka mi fa realizzare ciò di cui non mi ero
accorta: le mie labbra
sono curve in una smorfia di risentimento, come una bambina a cui hanno
portato
via il giocattolo preferito.
«E
a te che
importa?», ribatto voltando la testa di lato nel tentativo di
ignorare mia
cugina. «Scommetto che non vedi l’ora di liberarti
di me per riavere indietro
Eiko».
Non
immaginavo che
le mie parole sarebbero suonate tanto infantili. Sembro davvero una
ragazzina
immatura, ma cos’altro dovrei fare? Io non sono come Meiko,
non ho la sua
stessa aura intimidatoria. E non ho alcuna intenzione di somigliarle.
Non
voglio essere presa in considerazione usando la paura. Ma nemmeno
desidero
essere trattata come un ospite indesiderato. Voglio solo avere la mia
possibilità con Ryōcchi. È tanto difficile da
capire?
«Dove
è Eiko? Sta
bene?», domanda Haruka.
Eiko.
Eiko. Sempre
Eiko. Non ne posso più di sentire il suo nome.
«Eiko
non c’è e ti
posso assicurare che non la rivedrai tanto presto!», la mia
risposta esplode
dal mio petto con lo stesso impeto di uno scoppio di fucile e provoca
una
reazione infastidita di Haruka. Del resto non è mai stata
una ragazza paziente.
Eppure rinuncia a rispondere alla mia provocazione, prendendo un lungo
respiro.
«Torniamo
a casa»,
dichiara infine. «Non posso rischiare che tu faccia qualcosa
di stupido come
prima e metta nei guai Eiko».
«Aspetta!»,
la
parola irrompe dalle mie labbra prima che il mio cervello riesca a
formularla.
C’è
un attimo di
silenzio, durante il quale Haruka cerca di scoprire le mie intenzioni.
A questo
punto non ho altra scelta che essere onesta con lei.
«Non
portarmi via,
per favore. Prometto di non fare niente di…stupido, ma fammi
restare fino alla
fine delle riprese».
«Dammi
un buon
motivo per cui debba accontentarti».
«Perché…te
l’ho
chiesto con gentilezza? E perché ho promesso? Mi sembrano
due motivi abbastanza
validi. No?».
Un
sopracciglio di
Haruka si alza, manifestandomi la sua incertezza
nell’accogliere la mia
richiesta. Non mi importa di apparire disperata, perché lo
sono. Se per
convincerla devo inginocchiarmi davanti a lei, lo farò, ma
spero davvero di non
dovere arrivare a tanto. Non sarebbe salutare per le mie ginocchia.
«E’
solo che…»,
riprendo a parlare in tono incredibilmente affabile per non rischiare
di
innervosirla, «ho aspettato così a lungo questo
giorno. Adesso che sono
finalmente riuscita a prendere il controllo di questo corpo, non voglio
perdere
l’occasione di vedere Ryōcchi con i miei occhi,
anziché attraverso gli occhi di
Eiko o di qualcun altro. Ti chiedo solo di lasciarmi trascorrere
qualche ora
vicino a lui, giusto il tempo di ammirarlo mentre lavora e di
rivolgergli la
parola per la prima volta».
Haruka
rimane in silenzio.
Dopo quello che ho appena fatto, non posso biasimarla se ha qualche
difficoltà
a fidarsi di me. Il suo piede inizia a tamburellare nervosamente per
poi
fermarsi di colpo. Mi sento come un criminale in tribunale. Pensare che
il mio
futuro dipenda dalla sua decisione non mi rende affatto tranquilla. In
fondo ha
detto che non le sono molto simpatica e non mi stupirei se adesso mi
afferrasse
per un braccio e mi trascinasse fuori dal centro commerciale senza
sentire
ragioni.
Il
cuore mi
schizza in gola quando infine dischiude le labbra per emettere il
verdetto
finale ma, al posto della sua voce, a raggiunge le mie orecchie
è invece una
voce maschile, sopraggiunta inaspettatamente alle mie spalle.
«Credo
che la
signorina Seiko non abbia cattive intenzioni».
Non
avrei mai
immaginato che il semplice suono del mio nome potesse farmi sentire
tanto felice.
Riesco chiaramente a percepire il mio viso illuminarsi alla vista di
Arthur che
avanza verso di me sorridendomi benevolo. Nel mio cuore sento sbocciare
un
dolce calore confortevole che scioglie presto ogni nodo di tensione
formatosi
durante la terribile attesa. In questo momento non potrei desiderare di
avere
un alleato migliore. Come faccio ad esserne tanto sicura? È
semplice: Arthur mi
ha chiamata con il mio vero nome e lo ha fatto guardandomi negli occhi.
Diversamente da Haruka sembra avere accettato in qualche modo la mia
esistenza,
anche se forse solo temporaneamente. Ma che importa, se posso avere la
mia
occasione con Ryōcchi?
Tuttavia,
nonostante l’intervento di Arthur, Haruka si affretta a
controbattere.
«Solo
perché
potrebbe non avere cattive intenzioni, non significa che non possa
diventare un
problema».
Abbandonando
l’idea di riuscire a convincere Haruka, dirigo tutte le mie
attenzioni su
Arthur, implorandolo silenziosamente con il mio migliore sguardo da
“adorabile
cucciolo fiducioso”.
«Se
lei è
d’accordo, sono pronto ad assumermi la piena
responsabilità della signorina
Seiko», dichiara Arthur in tono formale.
Sono
felice che
abbia deciso di prendere le mie parti, ma non mi aspettavo che si
spingesse a
tanto. Voglio dire, chiunque al suo posto avrebbe cercato di liberarsi
di me in
favore di Eiko: in questa situazione sarebbe la cosa più
logica da fare. Ma non
per Arthur. Sono confusa: dovrei essergli grata o preoccuparmi? La sua
risposta
alla mia preghiera è stata troppo…veloce.
«Dopotutto
la
signorina Seiko ha promesso di comportarsi bene, giusto?».
Questa
volta la
domanda è rivolta a me, ma nei suoi occhi non vedo alcun
rimprovero, solo molta
complicità.
«Assolutamente!»,
rispondo quindi con sincerità, quasi senza rendermene conto.
Posso solo pensare
che la fiducia di Arthur mi abbia in qualche modo indotta a seguire il
suo
piano, qualunque sia. È vero che non ho cattive intenzioni,
anche se forse
prima ho un po’ esagerato. Non volevo certo fare davvero del
male a Mayumi. Ero
solo arrabbiata e…gelosa. E una ragazza gelosa a volte
può commettere qualche
piccolo errore.
«E’
come ha detto
Arthur», ribadisco con maggiore convinzione. «Non
farò niente di male e mi
comporterò bene, lo prometto, perciò fammi
restare. In fondo Eiko sta dormendo
adesso e ci vorrà un po’ di tempo prima che si
svegli di nuovo».
Forse
non avrei
dovuto menzionare Eiko, visto che il suo nome ha di nuovo messo Haruka
sulla
difensiva, ma è la verità. Tuttavia non posso
fare a meno di compiere un passo
indietro timorosa. Haruka sembra notare la mia paura e tira un lungo
sospiro,
forse per comunicarmi che, almeno per ora, sono fuori pericolo.
«Ti
concedo fino
alla fine delle riprese e resterai incollata a me per tutto il tempo,
hai
capito bene?».
Le
mie labbra si
allargano in un grande sorriso. «Sissignora!».
Haruka
sbuffa
annoiata e con un cenno mi ordina di seguirla. Ubbidisco e la raggiungo
saltellando di felicità. Passando di fianco ad Arthur,
però, mi fermo un
istante e, prima che egli mi rivolga la parola, le mie braccia sono
attorno a
lui.
«Grazie»,
esclamo. Sento il suo corpo irrigidirsi nel mio
abbraccio ma, pur comprendendo il suo disagio, mi concedo qualche
secondo in
più per esprimergli la mia gratitudine. Dopotutto, Arthur
è la prima persona ad
avermi trattata come una di famiglia.
***
Con
l’umore alle stelle, ritorno sul luogo delle riprese e,
come promesso, mi siedo in silenzio vicino ad Haruka. Ancora non riesco
a
credere di essere qui, a un passo dal mio Ryōcchi. Ora che posso
guardarlo di
persona non posso che ammirare la sua perfezione, la sua eleganza, la
sua
indescrivibile bellezza. Il mio cuore freme di gioia ed eccitazione e
sono
troppo felice per soffermarmi sul fatto che Mayumi sia la sua partner
in questo
lavoro. Ogni mio pensiero ruota intorno alla sua immagine e, prima che
me ne
accorga, il direttore si congratula con i due attori per
l’ottimo lavoro
svolto. Tecnici e stilisti si adoperano per smontare le varie strutture
di
illuminazione e raccogliere i costumi di scena. Purtroppo questa
giornata è
giunta al termine più in fretta di quanto avessi sperato e
io non sono ancora
riuscita a parlare con il mio principe. Ma forse non tutto è
perduto.
«Si
è fatto piuttosto tardi», commenta Haruka
osservando il
display del cellulare. «Il sole è ormai calato
quasi del tutto».
La
guardo raccogliere la cartella e incamminarsi verso le
scale mobili, ma non la seguo: non posso ancora andarmene via. Notando
la mia
esitazione, Haruka mi indirizza uno sguardo severo, ma io rimango dove
sono.
«Lascia
almeno che lo saluti», la supplico.
«E’
fuori questione. Se aprissi bocca potresti dire
qualcosa di stupido o sbagliato e destare sospetti. Kise e Mayumi
credono che
tu sia Eiko, ricordi? Per quanto detesti ammetterlo, tu non sei lei, e
questo
significa che non parli e non ti comporti come Eiko, quindi non
possiamo
rischiare. Torniamo a casa».
«Non
è giusto!», la mia protesta esce fuori con
più
veemenza di quanto avessi programmato e mi guadagna immediatamente
un’occhiataccia di Haruka. «Non
è…giusto», ripeto questa volta
moderando il
tono della mia voce. «Ho fatto quello che mi hai chiesto, me
ne sono rimasta
buona per tutto il tempo come promesso. Merito una ricompensa.
È solo un
saluto, in fondo. E poi, come pensi che la prenderebbe Ryōcchi se Eiko
se ne
andasse via senza dire una parola?».
La
mia ultima osservazione sembra fare presa su Haruka,
sebbene non sia contenta che sia stata io a farglielo notare.
«Tu
cosa ne pensi?», Haruka distoglie lo sguardo da me per
interrogare Arthur.
«Penso
che la signorina Seiko non abbia tutti i torti. La
signorina Eiko è una buona amico del signorino
Kise».
«Sapevo
che tu mi avresti capita. Sei il migliore,
Arthur!», esclamo piena di entusiasmo.
Sono
così felice di avere un alleato tanto persuasivo dalla
mia parte che potrei abbracciarlo di nuovo. Ma rinuncio prontamente non
appena
i miei occhi si posano sull’immagine sublime di Ryōcchi che
mi viene incontro
sorridendomi con affetto.
«Eikocchi!»
Non
importa se il nome che esce dalle sue labbra non è il
mio, né se la ragazza che stanno guardando i suoi bellissimi
occhi d’ambra non
sono io. Ciò che conta è che lui sia finalmente
qui, davanti a me e che mi
abbia rivolto la parola. Non ho bisogno di altro per corrergli
incontro,
gettargli le braccia intorno al collo e posare le mie labbra sulle sue
per
donargli il mio primo bacio. Si, ho baciato Kise Ryōta e non mi pento
assolutamente di averlo fatto, poiché questa potrebbe essere
la mia prima e
ultima occasione. So di avere promesso, ma una ragazza innamorata
è capace di
qualsiasi follia.
Non
voglio sentire nulla. Non voglio vedere nessuno. Non
voglio preoccuparmi di quello che mi succederà o delle
conseguenze che Eiko
dovrà affrontare al mio posto. Ryōcchi è fra le
mie braccia. Posso toccarlo,
accarezzare i suoi capelli con le mie mani. Posso sentire il profumo
della sua
pelle che inebria i miei sensi, il suo respiro che riscalda il mio
volto. In
questo momento lui è mio. Fra i nostri corpi non
c’è distanza a separarci.
Riesco a sentire il battito del suo cuore che pulsa freneticamente.
Percepisco il
suo imbarazzo provocato dai miei piccoli seni che premono contro il suo
petto.
È a disagio, confuso e non mi sorprende che lo sia. La vera
Eiko non avrebbe
mai osato tanto. Ma io non sono Eiko e non voglio nascondere i miei
sentimenti.
Quello che provo per Ryōcchi è reale, come il profondo bacio
che stiamo
condividendo.
«Accidenti!».
Sento
la voce di Haruka esplodere alle mie spalle: è
infuriata. Tra pochi secondi proverà a separarmi da Ryōcchi,
mi trascinerà
lontano da lui e forse non lo rivedrò mai più.
Inoltre, Eiko sta per
svegliarsi. Presto mi sostituirà in questo corpo e
chissà se riuscirò di nuovo
a tornare. Il mio futuro con Ryōcchi è così
incerto forse perché io stessa non
ho un futuro. Eiko è fortunata: quando riaprirà
gli occhi la prima persona che
vedrà sarà Ryōcchi. Ma io? Cosa ne
sarà di me? Di questi miei sentimenti che
non verranno mai ricambiati? Di questo intenso desiderio che non
verrà mai
appagato? Perché devo rinunciare al mio sogno
d’amore proprio ora che riesco
finalmente a stringerlo tra le mie mani? Non è giusto. Se
sono destinata a
sparire, voglio assicurarmi di portare con
me almeno il ricordo del ragazzo che amo. Il primo e ultimo ricordo.
Mi
sento più debole e questo vuol dire che Eiko sta per
tornare. Mi stringo a Ryōcchi con le forze che mi rimangono. La sua
bocca si
allontana dalla mia, interrompendo così il bacio. Ha di
nuovo il controllo di
sé e i suoi occhi mi guardano con sgomento. Le sue mani
afferrano le mie
spalle.
«Eikocchi…».
«Ti
prego, non respingermi», lo interrompo prima che possa
rifiutarmi.
Calde
lacrime scivolano sulle mie guance. Non ho più niente
da perdere, tanto vale essere onesta. La mia è una supplica
disperata. Riesco a
vederla riflessa negli occhi di Ryōcchi. Mi osserva, desideroso di
comprendere.
Non è arrabbiato. Non mi odia per quello che ho fatto.
È preoccupato. Per Eiko.
Per la sua preziosa amica che improvvisamente sembra non riconoscere
più. Non
riesco a sopportare che i suoi pensieri siano per lei, nonostante ora
stia
guardando me. Perché non posso essere io Eiko? Non
è giusto. Non è giusto che Ryōcchi
non riesca a vedermi, quando io non ho occhi che per lui.
«Non
è giusto», le mie parole sommesse si mescolano
alle
mie lacrime.
Il
volto del mio principe è davanti a me eppure sembra
così
distante. Il calore del suo corpo si sta estinguendo e la sensazione
dei suoi
capelli fra le mie dita è quasi impalpabile. Non voglio
andare. Non voglio
addormentarmi di nuovo. Ma come posso evitarlo quando le ombre sono
così
vicine? Se soltanto riuscissi a strappargli una promessa.
«Non
dimenticarmi, Ryōcchi», sussurro infine sulle sue
labbra.
Per
un breve istante, le sue pupille si allargano e la sua
bocca si muove, ma la mia coscienza è ormai troppo lontana
perché io riesca a
sentire le sue ultime parole per me.
***
Una
spiacevole sensazione accompagna il mio risveglio. Mi
sento frastornata e ho un mal di testa terribile. Provo a sollevare le
braccia
per toccarmi le guance, da cui sento divampare un intenso calore, ma le
mie
mani si posano su qualcos’altro. Le mie dita iniziano a
scorrere lentamente sul
tessuto, bloccandosi su quello che sembrerebbe essere un nodo. Mi ci
vogliono
qualche secondo e parecchi sbattimenti di palpebra per mettere a fuoco
l’immagine. Una cravatta. La osservo
con più attenzione, notando in essa una certa
famigliarità. L’ultima volta che
ho visto una cravatta simile a questa è stato poco prima che
Kise si togliesse
la divisa scolastica per indossare gli abiti di scena e iniziare le
riprese
dello spot pubblicitario. Mentre provo a fare chiarezza sulla
situazione,
qualcuno mi afferra all’improvviso da dietro, facendomi
ruotare su me stessa.
«Se
pensi di passarla liscia, ti sbagli di grosso. Aspetta
solo che arriviamo a casa e…»
«Haruka?»,
pronuncio confusa, ritrovandomi l’espressione
imbufalita di mia cugina a pochi centimetri dal mio naso. Per qualche
strano
motivo i suoi occhi si assottigliano velenosi. Perché
è così arrabbiata con me?
«Non
provare a fare la finta tonta», minaccia.
«Aspetta,
non capisco. Che cosa sta succedendo?», la
interrogo, non potendo sopportare oltre la sensazione di disagio che
rapidamente
si fa strada dentro di me.
Haruka
sembra pronta a ribattere in un tono affatto
amichevole, ma si zittisce prima di proferire parola. Si prende invece
qualche
momento per studiarmi quindi, avendo confermato i propri dubbi,
riprende
sussurrandomi, in modo che nessun altro possa sentire: «Eiko?
Sei tornata?».
«Tornata?»,
ripeto a mia volta, ma subito realizzo il vero
significato dietro la sua domanda. «Non dirmi che
è successo di nuovo?», le
chiedo sentendomi venire meno per un istante.
«Non
ti preoccupare», mi tranquillizza immediatamente,
temendo che possa cadere nel panico. «Seiko ha combinato un
bel casino, ma
nulla che non possa sistemare. Tu resta calma e lascia parlare
me».
Incapace
di pensare lucidamente, mi affido a mia cugina,
assecondandola nel suo gioco mentre si presta ad affrontare Kise. Ad un
tratto
mi accorgo di quanto mi sia vicino e di quanto turbata sia
l’espressione nei
suoi occhi. Senza volerlo, abbasso lo sguardo, provando
un’inspiegabile
vergogna. Che cosa ha fatto Seiko per farmi provare tanto imbarazzo in
presenza
del mio amico?
Haruka
gli rivolge infine la parola, usando molta cautela.
«Immagino
che tu sia piuttosto confuso, e ne hai tutto il
diritto, ma lasciami spiegare. Come forse avrai notato, oggi Eiko non
si sente
molto bene. La verità è che questa mattina aveva
un po’ di febbre ma ha
insistito per andare ugualmente a scuola». Le sopracciglia di
Kise si
increspano per un momento, mostrando la sua preoccupazione.
«Mia cugina è di
costituzione un po’ debole e temo che durante la giornata le
sue condizioni
siano peggiorate portandola a…delirare».
Cosa?!
Delirare? Cosa sta cercando di fare Haruka? Vuole
farmi passare per pazza?
«E’
chiaro che non era in sé poco fa quindi ti chiedo di
perdonarla e di comprendere la situazione», conclude mia
cugina, sperando di
essere riuscita a convincere Kise.
Con
mia grande sorpresa, il mio amico annuisce e sospira
sollevato. «Confesso che per un attimo non sapevo cosa
pensare», ride
imbarazzato. «Se non stava bene, poteva dirmelo».
«In
realtà lo ha fatto», gli ricorda immediatamente
Haruka,
«ma tu non hai voluto sentire ragioni e hai continuato a
mandarle messaggi per
tutto il giorno».
Un
altro risatina imbarazzata si libera dalle labbra di
Kise. «Mi dispiace, è tutta colpa mia. Non avrei
dovuto insistere».
Le
sue attenzione si spostano quindi su di me. «Ti chiedo
scusa, Eikocchi. Ti ho obbligata a venire nonostante stessi
così male da avere
le allucinazioni».
Allucinazioni?
I miei occhi cercano prontamente Haruka,
domandando spiegazioni, ma mia cugina scuote la testa invitandomi
semplicemente
a reggerle il gioco, per il momento.
«Ehm…non
ti preoccupare», rispondo dunque provando a
mettere una buona dose di convinzione nelle mie parole.
«Credo, comunque, di
dover essere io a scusarmi per…qualunque cosa abbia fatto».
L’espressione
di Kise muta in una sguardo pietoso e il suo
tono diventa più compassionevole. «Devi sentirti
davvero male per non ricordare
nemmeno quello che è successo. Ma forse è meglio
così», mormora infine l’ultima
frase fra sé e sé. Le sue mani si posano allora
sulle mie spalle.«Eikocchi,
torna a casa e pensa solo a riposarti. Non preoccuparti per me, ti
prometto che
dimenticherò tutto, così non ti sentirai a
disagio la prossima volta che ci
vedremo».
Va
bene, adesso sono davvero preoccupata. Perché dovrei
sentirmi a disagio? Se non scopro subito che cosa ha combinato Seiko
durante la
mia assenza, credo che impazzirò.
«Perfetto!»,
esclama Haruka, prendendomi in custodia.
«Adesso che abbiamo chiarito tutto, sarà meglio
che riporti Eiko a casa».
«Certo,
andate pure e, Eiko», questa volta è Mayumi a
parlarmi. «Spero che tu ti rimetta presto».
Sia
lei che Kise mi rivolgono un ultimo sorriso gentile
mentre mi incammino con Haruka e Arthur verso le scale mobili. Appena
prima di
dare le spalle a Kise, però, i miei occhi catturano un lieve
mutamento nel suo sguardo.
Tristezza? Preoccupazione? Qualunque cosa abbia fatto Seiko, ha avuto
su Kise
un impatto sicuramente molto più profondo di quanto il mio
amico voglia dare a
vedere. Spero solo che questo non intacchi la nostra amicizia.
Quella
sera, dopo cena, Haruka ha convocato una piccola
riunione segreta in camera mia, alla quale hanno preso parte anche
Naoko e
Yoichi. Ovviamente anche Arthur era presente. Al termine del suo
dettagliato
rapporto ho pregato che il pavimento si aprisse sotto i miei piedi e mi
inghiottisse, facendomi sparire definitivamente. Come potrò
incontrare di nuovo
Kise ora che Seiko l’ha baciato?!
♥♥♥
Salve,
ragazzi! ^^
Con
questo nuovo capitolo vi auguro uno splendido 2018 e una
magnifica settimana.
Un
bacione a tutti.
Lady
L.
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Capitolo 29 *** Diventa la sua ragazza ***
Capitolo
18
“Diventa
la sua ragazza”
Nonostante
il trambusto creato da Seiko, il finesettimana
sopraggiunge, permettendomi di riprendere fiato e riorganizzare i miei
pensieri, o almeno ciò che ne resta. La confusione che
alberga dentro di me è
infatti paragonabile ad un gomitolo dimesso di fili di lana
ingarbugliati. Ogni
volta che la mia mente formula un pensiero, non posso fare a meno di
domandarmi
se sia il frutto della mia coscienza o se appartenga a qualcun altro.
Ma ho
promesso di essere positiva, se non altro per non offrire a Seiko e a
Meiko un
pretesto per tentare di reclamare il mio corpo e il mio tempo.
Abbandono
il tepore confortevole del letto per iniziare la
mia giornata. Non ho nulla di speciale in programma per oggi
perciò mi prenderò
le prime ore della mattina per pensare a qualche attività
che possa mantenere
la mia mente occupata. Potrei proporre a Naoko, Haruka e Shizuka di
fare
acquisti durante il pomeriggio. Non sono esattamente
un’amante dello shopping
compulsivo, ma almeno avrò una scusa per passare un
po’ di tempo con mia
sorella e le mie cugine. Mentre mi appresto a scendere in sala per la
colazione, però, il mio cellulare iniziare a squillare. Mi
arresto sulla soglia
della camera e richiudo la porta per recuperare il telefono. Il cuore
mi
sobbalza in petto non appena leggo il nome di Mayumi sul display, ma
premo
ugualmente il tasto verde per ricevere la chiamata.
«Pronto,
Eiko?»,
la voce della mia amica trilla
dall’altra parte dell’apparecchio.
«Si,
sono io. Non mi aspettavo una tua telefonata»,
confesso in imbarazzo.
«Perdonami se ti
chiamo all’improvviso, ma volevo chiederti un favore. Se non
hai altri impegni,
ti andrebbe di vederci tra un paio di ore?».
«E’
successo qualcosa?», domando con cautela. La sua
improvvisa richiesta mi ha resa inspiegabilmente nervosa.
«Niente
di particolare. Volevo
solo passare un po’ di tempo con te. Mi ha resa davvero
felice poterti
rivedere»,
il suo tono è
gioviale e la sincerità nelle sue parole sembra genuina.
Forse mi sono
allarmata inutilmente.
«Mi
farebbe piacere stare un po’ insieme. Hai già in
mente
un posto in particolare?».
«In
effetti si. Stavo pensando
alla caffetteria vicino alla stazione, se per te va bene».
«Va
benissimo. Allora ci vediamo più tardi».
Interrompo
la chiamata e inizio a vestirmi. Quando sono
pronta raggiungo il resto della mia famiglia al piano inferiore. Sono
già tutti
nella sala da pranzo ma al mio arrivo mi rivolgono le loro attenzioni
per darmi
il buongiorno. Terminato il pasto, lascio casa, non senza qualche
intoppo. Non
è stato facile ottenere il permesso di Haruka e Naoko di
incontrare Mayumi da
sola, ma alla fine hanno ceduto sapendo che Arthur mi avrebbe
accompagnata.
Comprendo perfettamente la loro preoccupazione dopo quello che ha
combinato
Seiko, ma essendo colpa mia desidero gestire la questione da me, o
almeno
provarci. Non posso aspettarmi che la mia famiglia mi tiri sempre fuori
dai
guai.
***
Chiedo
ad Arthur di farmi scendere appena fuori il centro
abitato in modo da poter fare un po’ di strada a piedi.
Camminando mi fermo ad
osservare qualche vetrina per allentare la tensione. Ovviamente ho
preso in
considerazione la possibilità che Mayumi abbia chiesto di
vedermi per parlare
di Seiko.
Mentre
sono assorta nei miei pensieri, qualcuno mi viene
addosso, facendomi cadere all’indietro. Arthur è
subito al mio fianco per
aiutarmi e quando sono di nuovo sulle mie gambe ciò che vedo
quasi mi toglie il
respiro. Davanti a me un ragazzo con il busto piegato in avanti sta
implorando
il mio perdono e, nonostante il suo volto non mi sia visibile, il suono
della
sua voce è più che sufficiente a farmi capire di
chi si tratta: Kasamatsu
Yukio, capitano della squadra di basket del Kaijō e l’ultima
persona che
speravo di incontrare.
«Ehm…è
colpa mia. Ero distratta e non guardavo dove
andavo», il minimo che possa fare in questa situazione
è scusarmi.
Dopo
un’interminabile serie di inchini e ammende, Kasamatsu
alza la testa e i nostri occhi infine si incontrano e non posso dirmi
stupita
della sua reazione.
«T-Tu
sei…», balbetta appena prima di diventare rosso
come
un semaforo.
Da
parte mia provo a formulare qualche parola di risposta
ma tutto ciò che esce dalla mia bocca è solo un
mugugno sommesso e
incomprensibile. L’imbarazzo ha sicuramente preso il
sopravvento su entrambi e
questo può voler dire che anche Kasamatsu ricorda ancora il
piccolo incidente
nel negozio del signor Rampini. All’improvviso sento le mie
labbra pulsare e
una scarica di calore salire dalle guance fino alla fronte. Come era
facile
prevedere, il silenzio cala sulla conversazione. Ognuno dei due, perso
nei
propri pensieri, cerca disperatamente di evitare lo sguardo
dell’altro. Quanto
vorrei che Mayumi comparisse dal nulla e mi salvasse da questa assurda
situazione. Il caffè in cui ho promesso di incontrarla non
è molto distante da
qui.
Quando
infine mi convinco a fare la prima mossa e a
congedarmi, un nuovo ostacolo sopraggiunge a complicare le cose. Alle
spalle di
Kasamatsu compare Kise con un volto imbronciato.
«Kasamatsu-senpai!
Perché te ne sei andato senza
aspettarmi? Oh! Eikocchi!».
Gli
occhi del mio amico si illuminano non appena si
accorgono della mia presenza ma, diversamente dal solito, Kise non
accenna a
farsi incontro per abbracciarmi. Da una parte gli sono grata
poiché non saprei
come comportarmi se dovessi avere un contatto fisico con lui. Mi sento
come la
protagonista di un triangolo amoroso, anche se in teoria non sto
tradendo
nessuno. Il bacio con Kasamatsu, il mio primo bacio, è stato
solo uno
sfortunato incidente, mentre quello con Kise… In
realtà è stata Seiko a
baciarlo anche se l’ha fatto usando la mia faccia, ma Kise
pensa che sia stata
io perciò…
L’unica cosa che
so
è che non ho coraggio di affrontare nessuno di questi due
ragazzi. Forse la
cosa migliore da fare è agire con naturalezza, salutarli e
proseguire per la
mia strada. Forse risulterò un po’ maleducata ma
non ho intenzione di restare
qui un minuto di più.
«Ki-Kise.
Che coincidenza trovarti qui. Mi fermerei
volentieri a chiacchierare, ma vado un po’ di fretta, quindi
vi prego di
scusarmi».
Non
posso biasimarli se penseranno male di me, ma non ho
altra scelta. La mia priorità è allontanarmi da
entrambi. Mantenendo lo sguardo
basso mi metto in marcia per raggiungere il luogo del mio appuntamento
con Mayumi
ma nell’attimo in cui la mia spalla sfiora involontariamente
quella di Kise, la
sua mano afferra il mio polso. Il calore delle sue dita sulla mia pelle
mi fa
sussultare e senza pensarci mi libero dalla sua presa con uno
strattone. La mia
reazione lascia Kise senza parole ma lo sgomento nei suoi occhi viene
subito
sostituito da un sorriso amichevole.
«Sono
felice di vedere che stai meglio». Per qualche
secondo guardo il mio amico confusa. «Mi dispiace per
l’altro giorno. Ti ho
costretta ad accompagnarmi sul set quando non stavi bene. Ti chiedo
scusa,
Eikocchi!».
Mi
sento in colpa per la bugia che Haruka ha dovuto
raccontargli per coprire il comportamento di Seiko.
«A-Ah,
non preoccuparti. Ti chiedo scusa anch’io per aver
creato dei problemi a te e a Mayumi. A proposito, ho promesso di
incontrarla e
sono in ritardo. Sarà meglio che vada ora».
«Eh?
Mayumi ha invitato anche te?».
Il
mio corpo si irrigidisce all’istante. Come sarebbe a
dire “anche”? Mayumi non mi ha detto che ci sarebbe
stato anche Kise. Cosa significa?
Perché mi ha mentito? Aveva forse paura che non avrei
accettato?
«Vuoi
dire che Mayumi ti ha chiesto di incontrarla alla
caffetteria vicino alla stazione?», domando a mia volta per
sedare ogni dubbio.
Kise
annuisce, sorpreso quanto me. Mi rifiuto di pensare
che Mayumi abbia mentito a entrambi per un secondo fine, ma
d’altro canto sia
Naoko che Haruka questa mattina sembravano piuttosto diffidenti. E se
avessero
avuto ragione entrambe? Forse non avrei dovuto accettare il suo invito.
Ma se
adesso mi tiro indietro Kise penserà di certo che
è per colpa sua. Che cosa
posso fare?
Mentre
cerco di trovare una soluzione al mio problema, Kise
si fa avanti e propone la peggiore di tutte.
«Visto
che ci siamo incontrati qui, non ci resta che
continuare la strada insieme».
Adesso
non ho proprio alcuna possibilità di rifiutare. Ma
è
proprio quando credo che la buona sorte mi abbia completamente
abbandonata che
mi ricordo di lui, di Kasamatsu. Fino adesso è rimasto in
silenzio senza
intervenire ma mi domando cosa farebbe se gli chiedessi di unirsi a
noi. Io
stessa non riesco a credere a quello che sto pensando ma sono pronta a
trascinare con me chiunque pur di non rimanere da sola con Kise e
Mayumi.
«Visto
che non hai più bisogno di me, me ne vado»,
annuncia
invece Kasamatsu mandando all’aria i miei piani di
coinvolgerlo. Per mia
fortuna Kise sembra determinato a portarlo con noi, ma il capitano mi
ha già
dato le spalle quando mi decido a prendere l’iniziativa.
Quello che sto per
fare non è assolutamente da me, ma desidero davvero che
Kasamatsu venga con
noi. Senza preoccuparmi delle conseguenze, mi allungo quindi in avanti
e con
entrambe le mani afferro il suo braccio per trattenerlo.
«Per
favore, unisciti a noi!», esclamo, infine, al culmine
della vergogna.
Il
silenzio che segue la mia supplica è devastante. Le mie
mani iniziano a tremare ma non lasciano la presa. Nemmeno io capisco
cosa mi
stia succedendo. Se ora lasciassi andare Kasamatsu avrei sempre Arthur
al mio
fianco. Eppure, nemmeno la sua presenza in questo momento sembra darmi
il
conforto di cui ho bisogno. Qualcosa dentro di me continua a ripetermi
che mi
sentirei più tranquilla solamente se Kasamatsu accettasse di
venire con me e
Kise. Mentre penso che il capitano potrebbe rifiutare e andarsene, le
mie dita
si stringono intorno al suo braccio con disperazione.
«H-ho
capito, verrò con voi. O-ora però lasciami
andare».
«Davvero?!»,
esclamo alzando la testa. Non appena il mio
sguardo si posa sul volto imbarazzato di Kasamatsu, il tremore nelle
mie mani
sparisce e un senso di profonda calma invade il mio cuore. Per quanto
mi senta
felice, non voglio che lui si senta a disagio, perciò lascio
il suo braccio
solo per incontrare l’espressione perplessa di Kise.
«Eikocchi…quando
sei diventata amica di Kasamatsu-senpai?».
Ci
volevano le parole del mio vecchio compagno di classe
per farmi realizzare la sfrontatezza del mio gesto. Non avrei dovuto
essere
tanto avventata, con un ragazzo che conosco appena. Anche se ha
accettato il
mio invito, non credo affatto che Kasamatsu mi consideri sua amica. Non
so
neanche io come definire la nostra relazione, ammesso che ne abbiamo
una.
L’espressione più corretta forse sarebbe conoscenti,
ma possono definirsi tale due persone che hanno condiviso qualcosa di
tanto
intimo come un bacio? È vero che si è trattato di
un incidente ma le sue labbra
hanno toccato le mie senza alcun dubbio. Ma se io non lo avessi
trascinato con
me nella mia caduta, dubito che Kasamatsu avrebbe mai osato tanto con
una
ragazza come me. Se non siamo conoscenti, né amici allora
come devo rispondere
alla domanda di Kise?
«A
quanto pare io e suo cugino frequentiamo lo stesso
negozio di musica».
Non
so se Kasamatsu abbia notato la mia indecisione, ma
alla fine ha deciso di rispondere a Kise per entrambi. Quello che non
ho però
potuto fare a meno di notare e che non ha negato di essere mio amico.
Forse non
ha nemmeno fatto caso alla parola, ma non posso evitare di provare un
po’ di
gioia. In fondo ho già ammesso di voler diventare amica di
Kasamatsu il giorno
in cui ci siamo incontrati per la prima volta.
***
«Non
avevo intenzione di mentirti, Eiko. Quando ti ho
chiamata questa mattina non avevo ancora invitato Kise. È
stata una decisione
dell’ultimo momento, spero che tu non sia
arrabbiata».
Seduta
di fronte a me, Mayumi si prodiga in una serie di
scuse. Se questa mattina non avessi parlato con Naoko e Haruka prima di
uscire,
le avrei creduto all’istante, tuttavia i dubbi di mia sorella
e di mia cugina
ora sembrano essere anche i miei. Si è trattato davvero di
una decisione presa
all’ultimo minuto? Per qualche motivo non riesco a fidarmi
completamente delle
parole di Mayumi.
«Non
sono arrabbiata e non vorrei che neanche tu lo fossi»,
le rispondo a mia volta desiderando chiarire l’equivoco.
Benché non possa
parlarne apertamente a causa della presenza di Kise, non voglio che
Mayumi
pensi a me come a una sua rivale in amore. Seiko ha agito contro la mia
volontà
ma l’ha fatto usando la mia faccia quindi sarebbe
più che normale se ora la mia
amica si sentisse tradita. Quando eravamo alla Teikō ho sempre
appoggiato il
suo amore segreto per Kise poiché speravo sinceramente che
un giorno le cose
tra loro funzionassero. Ma dopo quanto successo non potrei biasimare
Mayumi se
ora mi vedesse come un potenziale pericolo per la sua relazione con
Kise.
«Purtroppo
ho un ricordo molto vago di quanto è accaduto
l’altro giorno», riprendo a parlare rivolgendomi a
entrambi i miei vecchi
compagni di classe, «ma vorrei scusarmi ancora per essermi
comportata in quel
modo. Anche se non stavo bene, mi rendo conto che il mio comportamento
ha
creato dei problemi a entrambi e quindi vi chiedo di
perdonarmi».
«E’
stata colpa mia, Eikocchi. Non avrei dovuto insistere.
Ad ogni modo io e Mayumi abbiamo già dimenticato tutto,
giusto?», pronuncia
Kise interrogando Mayumi, seduta accanto a lui.
«Certo,
non preoccuparti».
Nonostante
stia sorridendo, Mayumi non sembra molto a suo
agio. Probabilmente le servirà ancora un po’ di
tempo per convincersi che non
ho alcuna intenzione di ostacolarla nella sua relazione con Kise.
Chiarito
quindi il malinteso, per diversi minuti la
conversazione si sposta su toni più allegri. Io e Mayumi
chiacchieriamo del più
e del meno soprattutto per recuperare il tempo perduto. Di tanto in
tanto Kise
si inserisce nella conversazione e per un attimo mi sembra di essere
ritornata
all’anno scorso, quando sedevamo tutti e tre nella stessa
aula, quando la mia
vita non era così complicata, quando non avevo segreti per i
miei amici.
Nonostante tutto, sono felice di avere ritrovato Mayumi.
Ad
un tratto la mia attenzione si sposta su Kasamatsu. Per
tutto questo tempo ho percepito la sua presenza accanto a me ma solo
adesso mi
rendo conto di non avergli rivolto la parola da quando siamo entrati in
caffetteria. È strano: questa è la prima volta
che lo rivedo dopo il piccolo
incidente nel negozio del signor Rampini eppure mi sento piuttosto
calma.
Credevo che mi sarei sentita troppo imbarazzata anche solo per
guardarlo,
invece provo una grande tranquillità. L’ho
trascinato qui con me senza esitare,
senza preoccuparmi di metterlo a disagio, senza mostrare alcuna
attenzione per
i suoi sentimenti, ma lui non si è rifiutato. Non ha
rifiutato me, la mia richiesta.
Quando ho
afferrato il suo braccio per impedirgli di andarsene pensavo che si
sarebbe
liberato dalla presa per allontanarsi il più velocemente
possibile da me, ma
non l’ha fatto. Ha seguito me e Kise e, quando Mayumi ha
insistito per prendere
il posto al fianco di Kise, ha accettato di sedersi accanto a me senza
lamentarsi. Nonostante abbia fatto tutto questo, però, non
posso affermare che
sia stato per il mio bene, né che trovi piacevole la mia
compagnia. Dopotutto
non ha cercato di interagire con me neanche una volta e i suoi occhi
non hanno
mai guardato nella mia direzione. Sembrerebbe che si stia impegnando in
tutti i
modi ad evitarmi e questo mi confonde. Sono felice che sia qui, anche
se trovo
inspiegabile come la sua vicinanza riesca a rendere il mio cuore tanto
sereno,
ma vorrei non essere l’unica a sentirsi così. Sono
stata troppo sfacciata
nell’implorarlo di accompagnarmi ed, essendo un ragazzo in
fondo gentile,
Kasamatsu forse non se l’è sentita di rifiutare.
D’altro canto Kise mi ha detto
che come capitano si prende davvero molta cura di tutti i membri della
squadra,
seppure a modo suo. Vorrei tanto parlargli ma ho paura di infastidirlo
e di
sembrare troppo invadente. Se soltanto mi rivolgesse lui per primo la
parola.
«Senpai,
dove stai andando?».
La
voce di Kise mi fa riemergere dai miei pensieri.
Kasamatsu si è alzato dalla sedia, dandomi le spalle.
«Vado
in bagno», risponde senza guardare Kise. Nella sua
voce c’è qualcosa di strano. Sembra irritato e
imbarazzato allo stesso tempo,
ma non ho modo di soffermarmi oltre poiché la sua figura
sparisce dal mio campo
visivo, lasciandomi con un lieve senso di inquietudine.
Mayumi
riprende a chiacchierare con Kise. Improvvisamente
sembra essere diventata più audace nelle sue interazioni. Le
sue mani sono
strette intorno al braccio del nostro amico e il suo modo di parlare si
è fatto
civettuolo. Kise sembra non aver notato il cambiamento e continua a
parlare con
lei con la solita naturalezza. Soddisfatta di avere tutte le attenzioni
del
ragazzo, inizia a discutere di lavoro con lui e non passa molto tempo
prima che
io mi senta completamente esclusa. Ogni piccolo argomento di
conversazione è
inteso a farmi realizzare quanto lontani siano ora i nostri mondi. Del
resto di
cosa potrei parlare io? Gli ultimi ricordi che condivido con Kise e
Mayumi
appartengono al giorno in cui ho scoperto che c’è
qualcosa di sbagliato in me, qualcuno
estremamente pericoloso che sta
minacciando la mia esistenza. Anche se volessi provare ad inserirmi
nella loro
conversazione non saprei come fare. Non potrei. L’insicurezza
si fa lentamente
strada nel mio cuore. Mi sento così fuori posto, in un luogo
a cui non
appartengo, e vedere Kise e Mayumi così uniti mi rattrista.
No, mi
infastidisce. Mi rende nervosa. Mi fa infuriare.
Kise
si è completamente dimenticato di me. E’ come se
non
esistessi. Nonostante sia proprio di fronte a lui non riesce a vedermi
e la
colpa è solo sua, di Mayumi. Avrei dovuto sbarazzarmi di lei
l’altro giorno. Se
Haruka non si fosse intromessa ora ci sarei io seduta su quella sedia,
abbracciata al mio principe. Kise guarderebbe solo me, parlerebbe con
me, tutte
le sue attenzioni sarebbero per me! Se avessi la forza di muovermi
liberamente
le strapperei tutti i capelli e allora potrebbe dire addio alla sua
carriera di
modella. Non avrebbe alcuna scusa per avvicinarsi a Kise. Se fossi
padrona
della mia voce urlerei a Kise il mio nome così che non possa
dimenticarlo. Se
non fossi così debole, proteggerei la persona che mi
è più cara e non
permetterei a nessuno di portarmela via.
Invece
sono inerme, costretta ad osservare la mia rivale
che tenta di rubare il ragazzo che amo, mentre mi guarda soddisfatta e
compiaciuta della mia impotenza. La sua perfidia non ha limiti e ora le
sue
intenzioni mi sono chiare come il sole: l’unico motivo per
cui mi ha invitata
qui è stato per dichiararmi guerra. Ma ciò che
non posso accettare è di doverle
riconoscere la vittoria nella battaglia di oggi poiché, per
quanto desideri
alzarmi da questa sedia e prendere la sua testa tra le mie mani, so che
non
succederà. Questo corpo non risponde al mio volere ma
insiste nel mostrarmi ciò
che non vorrei vedere. A cosa serve provare rabbia quando non puoi
riversarla
su chi l’ha provocata? A cosa serve provare sentimenti se la
persona che ami
non può vederti, né sentirti? Davvero il mio
bacio è stato così insignificante?
Come può il mio principe mostrare un sorriso tanto
meraviglioso a un’altra
donna, a una sciacquetta che probabilmente lo sta solo usando? Mi sento
terribilmente sola in questa prigione. Vorrei piangere ma non ho occhi
da cui
versare lacrime. Vorrei gridare ma non ho bocca per parlare. Vorrei
lottare ma
non ho mani che possano colpire. Se soltanto sapessero cosa si prova ad
essere
come me. A non essere padrona del proprio tempo. A non possedere un
corpo che
sia soltanto mio. A non essere nemmeno libera di addormentarmi per non
vedere,
né sentire.
«Wadsworth,
che cos’hai?».
Gia,
perché sto piangendo? Quando è ritornato
Kasamatsu?
No, quanto tempo è passato da quando è andato
via? Sono confusa.
«Va
tutto bene?».
Kasamatsu
mi ha finalmente rivolto la parola e mi sta
guardando. Sono felice. Mi sento così serena e…al
sicuro. All’improvviso mi
sono rattristata ma ora non avverto più alcun desiderio di
piangere.
«Eiko-cchi,
perché stavi piangendo?! Ti senti forse
male?!».
«Non
sarà mica una ricaduta». La voce di Mayumi
è di nuovo
cambiata. Il suo sguardo sembra sinceramente preoccupato per me.
E’ così
diverso da quello di poco fa. Credo proprio che Naoko e Haruka avessero
ragione: dopotutto Mayumi aveva davvero un secondo fine. Ho un ricordo
vago dei
pensieri di Seiko, ma le sue emozioni sono ancora vivide nel mio cuore.
Le
lacrime che sento scorrere dagli occhi sono le sue, ma questa tristezza
è in
parte anche mia. La sua coscienza è riemersa per un attimo
affinché venissi a
conoscenza della sua solitudine. Se non fossi stata richiamata nel
mondo reale,
probabilmente le avrei ceduto questo corpo di mia volontà.
Non posso credere di
aver quasi preso questa decisione.
«Mi
dispiace ma penso che tornerò a casa. Mi sento molto
debole e ho un po’ di mal di testa», non sto
mentendo.
«Aspetta,
ti accompagno», Kise si alza immediatamente per
raggiungermi ma io glielo impedisco.
«Non
ce n’è bisogno. Arthur è proprio qui
fuori», quindi,
facendomi coraggio, mi rivolgo a Mayumi. «Mi ha fatto piacere
averti rivista.
Spero che usciremo di nuovo insieme quando mi sarò ripresa
del tutto».
Quasi
certamente non sono le parole che si aspettava di
sentirmi pronunciare poiché i suoi occhi si allargano
increduli, ma è il minimo
che posso fare. Non voglio infatti che mi veda lasciare questo posto
pensando
di aver vinto. Forse è colpa di Seiko o forse è
il mio orgoglio a parlare. In
ogni caso ora ho la certezza che Mayumi mi considera una sua rivale e
che è pronta
a conquistare l’affetto di Kise con ogni mezzo.
***
Naoko,
Haruka, Yoichi e Arthur hanno risposto prontamente
al mio appello e mi hanno raggiunta nel gazebo che si trova nel
giardino delle
rose arancioni. Riflettendo su quanto mi è accaduto questa
mattina, ho ritenuto
saggio condividere con loro il mio incontro con Mayumi.
«Dunque
era come sospettavamo. Quella ragazza ti ha
invitata per uno scopo preciso», conclude mia sorella dopo
aver ascoltato con
attenzione il mio racconto.
«Almeno
non sospetta dell’esistenza di Seiko», osserva
Yoichi, mostrandosi insolitamente concentrato sulla discussione.
«Se
avessi saputo che era quel tipo di persona», continua
Haruka in tono poco amichevole, «quel giorno, al centro
commerciale, le avrei
dato io stessa una bella lezione. Quella piccola…»
«Haruka,
per favore, cerca di rimanere calma». Per fortuna
mia sorella interviene prima che mia cugina possa terminare la frase.
Le
espressioni di Haruka sono sempre molto colorite ma poco adatte a una
fanciulla
di buona famiglia. Naoko riporta quindi la sua attenzione su di me.
«Prima
hai detto che i pensieri di Seiko si sono di nuovo
sovrapposti ai tuoi e che per un momento hai perso la cognizione del
tempo.
Come hai fatto a ritornare in te? Credo che questo sia un punto
importante sul
quale dovremmo soffermarci».
Mia
sorella ha ragione. Tuttavia sono piuttosto confusa io stessa.
Benché sia quasi sicura che il merito sia di Kasamatsu, non
riesco a
capacitarmene. Perché proprio lui? E’ davvero
possibile per una persona che ho
conosciuto solo di recente avere già un’influenza
tanto forte sulla mia
coscienza da respingere una delle mie personalità?
Nonostante gran parte di
quanto accaduto sia solo un ammasso di sensazioni e memorie sbiadite,
al
contrario ricordo perfettamente il momento in cui sono ritornata in me.
Mi è
bastato sentire la voce del capitano per riemergere dal mio subconscio
e
riprendere il controllo della mia mente. Ma forse si è
trattato solo di una
coincidenza.
«Ad
essere onesta», inizio dunque a parlare per condividere
le mie conclusioni, «qualcosa è successo. Come ho
già detto non ricordo quasi
nulla della conversazione avvenuta tra Seiko e Mayumi, ma ricordo con
esattezza
il momento in cui mi sono risvegliata. È stato subito dopo
aver sentito la voce
di Kasamatsu che sono uscita dallo stato di incoscienza e sono tornata
in me».
Naoko,
Haruka e Yoichi si scambiano una lunga serie di
sguardi silenziosi. I loro occhi concordi sembrano essere giunti tutti
alla
stessa realizzazione, seppure con sentimenti differenti.
«Credo
di aver già sentito questo nome», dichiara Naoko.
«Si,
è il capitano della squadra di basket del Kaijō, la
scuola frequentata da Kise. È il ragazzo che ho incontrato
al negozio del
signor Rampini quando ho accompagnato Seiichi», la aiuto a
ricordare.
«Che
relazione hai con lui, Eiko? Siete amici?».
La
domanda di mia sorella mi coglie di sorpresa. Le
occasioni in cui ci siamo parlati si contano sulle dita di una mano, e
neanche
tutte, quindi forse non sarebbe esatto definire la nostra relazione
come
amicizia. Per ora siamo conoscenti. Tuttavia è anche vero
che vorrei
approfondire questa “conoscenza” prima o poi per
potermi un giorno definire a
pieno titolo amica di Kasamatsu. E forse qualcosa di più.
«Mi
chiedo proprio a cosa tu stia pensando, cuginetta. La
tua faccia all’improvviso è diventata
più rossa di un semaforo».
Yoichi
inizia a sogghignare con fare allusivo ed io divento
consapevole del calore che si propaga sulle mie guance. Ma la sua
risatina muta
presto in una esclamazione di sbalordimento.
«E’
lui! Ma certo! E’ il tipo per cui ti sei presa una
cotta! Il capitano con la fobia del sesso femminile. Ho
indovinato?».
Non
so se essere più sorpresa del fatto che Yoichi ricordi
le esatte parole usate da Seiko nel mio diario per descrivere
Kasamatsu, o che
mia cugino sia riuscito ad arrivare da solo alla verità.
«No,
aspetta, dici davvero?!», Haruka non si lascia
scappare l’occasione di interrogare Yoichi per saperne di
più. «Sei proprio
sicuro che sia lui?».
Prima
che possa riprendere in mano la situazione, Yoichi e
Haruka si sono ormai completamente dimenticati di me e per me non
sembra
esserci posto nella loro conversazione. Per mia fortuna è
mia sorella
Naoko a riportare
l’ordine.
«Questa
informazione è più preziosa di quanto credi,
Eiko».
«Cosa
vuoi dire?», le chiedo sinceramente confusa.
«Davvero
non capisci?», Yoichi ha di nuovo portato le sue
attenzioni su di me. Il suo volto è di nuovo solcato da una
seriosa
espressione. «Ragiona. Fino adesso sapevamo per certo che
Kise è l’interruttore
di Seiko e che lei tende a manifestarsi quando c’è
di mezzo il bel biondino. Ma
ora, grazie a quello che hai appena detto, sappiamo invece
chi
potrebbe
diventare il tuo interruttore;
l’unica persona in grado di richiamare la tua coscienza in
questo mondo».
«Ammetto
che è prematuro giungere a una conclusione
definitiva basandoci su un unico episodio», continua Naoko,
«ma vale la pena
tentare».
«Tentare
cosa? Non riesco a seguirvi».
«Eiko»,
Haruka mi afferra saldamente per le spalle e,
guardandomi dritta negli occhi, comanda: «devi stringere
amicizia con
Kasamatsu. No. Meglio ancora: diventa la sua ragazza».
♥♥♥
Sono
tornata! Dopo questo lungo periodo di silenzio sono
finalmente in grado di portarvi un nuovo capitolo. Se avete seguito la
storia
fino a questo punto, avete tutta la mia gratitudine. ^. ^
Vi
abbraccio tutti e vi do appuntamento al prossimo capitolo,
sperando di non farvi aspettare di nuovo così a lungo, eheh.
^_^’
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