Volare lontano, insieme.

di talkingdead
(/viewuser.php?uid=945661)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come si può ancora volare. ***
Capitolo 2: *** Ricordati di come si fa a volare. ***
Capitolo 3: *** Devi solo continuare a volare. ***



Capitolo 1
*** Come si può ancora volare. ***


 ⇉ Questa fanfiction partecipa al contest “ Take a picture and never forget ” indetto da Sethmentecontorta sul forum di EFP ⇇
⌞ prompt e immagine (8!) segreti fino al 24 giugno ⌟
 
Autore: talkingdead (hes!).
Titolo: “ Volare lontano, insieme. ”
Fandom: “ L'attacco dei giganti / Shingeki no Kyojin / Attack on Titan (SNK / AOT) ”
Genere: angst.
Personaggi: Eren, Levi (ed altri, che vengono accennati).
Rating: giallo.
Avvertimenti: spoilers! (capitoli 81-82) + missing moments.
Introduzione: “ [...] Portavano lo stesso mantello, spiegavano le stesse ali e attingevano ossigeno dalla stessa ostinazione che li aveva spinti ad incontrarsi. I loro mantelli erano strappati, rovinati, e portavano con sé le cicatrici di battaglie vissute, eppure custodivano ancora lo stemma che dava loro ragion d’essere; le loro ali erano ferite e stanche, ma niente avrebbe impedito loro di continuare a volare. Puntare alto, andare lontano, avere un obiettivo: trovare qualcosa per cui proseguire. [...] ” 
Note dell’autore: ⇊ in fondo alla raccolta (terzo capitolo) ⇊

 

VOLARE LONTANO, INSIEME
COME SI PUÒ ANCORA VOLARE
capitolo 01 - Eren (82)

“ Ti ho promesso che avremmo visto l’oceano insieme. Ti ho mai mentito, Eren? 
Tutto bruciava; tutto bruciava con lui. Entrambi bruciavano, dentro o fuori.
E ciò che ardeva, prendeva energia dal guizzo dello sguardo vivo dell'altro.
Rabbia, speranza, incomprensione, follia.
Perché la vittoria doveva proprio nascondersi dietro il sacrificio di un amico?

[...]

Quella sera, Jean stava dando sfogo del suo egotismo, compiacendosi delle proprie apparenti qualità davanti a Mikasa: una visione che in un altro contesto avrebbe contrariato Eren a tal punto da sfidarlo, e che invece in quel momento gli contorceva lo stomaco in fitte di disapprovazione. Non che avesse a che fare con l’idea di loro due – insomma, non era nemmeno immaginabile – ma era quanto diceva Jean che lo scuoteva. Come poteva sprecare fiato in quel modo, e come riusciva a pensare ad altro che non alle vite scivolate davanti agli occhi anche quelle ultime ore? Forse perché non sentiva il peso della responsabilità, forse perché tutto non dipendeva da lui; forse perché non aveva il mantello macchiato di sangue. Sangue che, se veniva pulito sulla stoffa, non lo era nel cuore, nella mente, nello stomaco. 
Comunque fosse, Eren era intenzionato a lasciarlo stare: ormai aveva imparato a conoscere Jean, e poteva stimare in un certo senso che quell’atteggiamento rasente il narcisismo fosse solo apparenza. Jean stava solo cercando di distrarre se stesso e gli altri, e il fine non era quello di mettere in luce la sua persona o le sue qualità: si era semplicemente reso mezzo di quello che avrebbe dovuto fare lui, Eren, ma che in quel momento era oltre il limite delle sue possibilità. Eren sapeva di essere la più grande riserva di speranza agli occhi di chi ancora osava combattere e lasciarsi cullare da desideri color smeraldo, ma finché lui non si sentiva pronto, non poteva pretendere e fingere che l’ottimismo fosse in lui come un pozzo senza fondo. Non si trattava di rischiare o arrendersi, ma di coltivare l’illusione e l’ipocrisia. Lui non avrebbe gioito o parlato allegramente nonostante quello che era successo, non quel giorno. Non finché aveva quel sangue sul suo mantello.

[...]
 
Si era lasciato quindi alle spalle tutti e aveva deciso, in qualche modo, di lavare il mantello come meglio poteva, strofinandolo nell’acqua del ruscello accanto all’accampamento. Non si può dire che fosse concentrato se l’intento non era quello di combinare disastri, ed è quello che Armin gli aveva detto, poggiando una mano sulla sua spalla e prendendo posto accanto a lui.
« Lascia fare a me. Non sono un grande esperto, ma almeno so come fare per non strapparlo – ulteriormente. »
L’espressione sul suo volto in quel momento valeva come oro puro: gli angoli della bocca si erano piegati lasciando intendere che sì, quella sera anche Eren Jaeger poteva sorridere – con un po’ di sforzo e di immaginazione.

[...]

Gliel’aveva perfino ricucito - un po’ alla bell’e meglio, diciamolo, ma aveva funzionato: lo strappo non c’era più, e il vuoto era stato colmato con qualche punto. Eren non gli aveva chiesto come ci fosse riuscito: in quel momento, specialmente, gli era sembrata quasi un’opera d’arte, una magia che solo Armin poteva essere in grado di eseguire. Non aveva la precisione chirurgica di chi è nato per cucire, ma quella decisa di chi si sa adattare: un altro modo per dire che, ancora una volta, l’amico aveva trovato una soluzione ai suoi guai. Una cosa fatta su misura.

“ Ogni cosa ha le sue cicatrici. ”
 
Glielo aveva detto quando glielo aveva porto nuovamente, come se fosse stato il passaggio di un testimone, o semplicemente di una testimonianza. Forse, invece, se lo era immaginato Eren, vedendo il viso pallido dell’amico e il suo sguardo perso a mirare altrove. Stringeva il pugno nella tasca destra, come per trattenere qualcosa. Qualcosa che Eren era certo di sapere cosa fosse. Era stata Christa, in un moto di tenerezza dei suoi, che li aveva presi e li aveva colorati con chissà cosa, sfoggiandoli come regali, cose preziose che ognuno di loro avrebbe dovuto tenere con sé al momento della partenza, quando si sarebbero allontanati. Dei semplici sassolini erano diventati la pietra ferma della loro promessa: tutti loro l’avrebbero riabbracciata, tutti loro sarebbero tornati da lei.Tutti loro sarebbero sopravvissuti. Anche Eren l’aveva nella tasca, il proprio sassolino, e gli era venuto automatico portare la mano sulla sporgenza che rivelava la sua presenza. 
« Vedremo l’oceano insieme, Eren. Con o senza questa. »
E aveva lanciato la sua pietra, che, dopo tre salti, era affondata sotto l’acqua trasparente e viva, nel momento in cui ad Eren era venuto il sospetto che Armin avesse ceduto per sempre la propria innocenza. E mentre quella pietra perdeva colore, offriva all’acqua e al contesto uno spettacolo bellissimo.
[...]

Era sopravvissuto a molti suoi compagni, ma poteva essere in grado di sopravvivere ad Armin?
Mentre il biondo giaceva inerte davanti a lui, ad Eren tornò in mente quella scena al ruscello, e quella pietra che lentamente si scuriva. Come quella, l’amico gli aveva concesso di vedere uno spettacolo indimenticabile: uno scorcio oltre la disfatta, la luce intensa di una speranza che nasce.  Con o senza questa: con o senza di luiL'avrebbe fatto per entrambi, con gli occhi di entrambi e per la libertà di entrambi. Aveva in pugno Bertholdt; sapeva cosa fare.
Sapeva come poteva continuare a volare.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ricordati di come si fa a volare. ***


⇉ Questa fanfiction partecipa al contest “ Take a picture and never forget ” indetto da Sethmentecontorta sul forum di EFP ⇇
⌞ prompt e immagine (8!) segreti fino al 24 giugno ⌟




VOLARE LONTANO, INSIEME
RICORDATI DI COME SI FA A VOLARE
capitolo 02 - Levi (81)

Stringeva il mantello tra le mani, senza preoccuparsi di sciuparlo ma curandosi di non rovinarlo ulteriormente. Poco faceva di quella stoffa un indumento, e di certo non erano le pieghe e gli strappi. Era piuttosto quell’abitudine che gli imponeva di attaccarselo all’uniforme; la necessità di sentirsi libero, non più privo delle ali della libertà che aveva già provato a domare. Il suo sguardo era fisso su una striscia scura che ledeva come marciume quel verde che altresì sarebbe valso la speranza della gente, ma non la sua. Lui non vedeva nient’altro che la mera realtà; i sogni, per quello che lo riguardavano, erano già svaniti da tempo; al posto loro, le occhiaie scandivano il metro di quanto fosse sporca quella vita, incorniciando lo sguardo cinico, critico e severo delle difficoltà che già erano passate e di quelle che si sarebbero scomodate a tornare. Era  nuovamente rimasto solo.

“ Farai meglio a tornare tutto intero, Aniki. Ad ogni costo. ”
 
Aveva provato a pulire, con un lembo di quella stoffa così preziosa, le gote smorte di Isabel. Lo aveva passato con cura sulla sua pelle, svelto quanto la prontezza di doversi rialzare e tornare a combattere gli aveva imposto come ritmo. Si specchiava nei suoi occhi vitrei senza riuscire a vedere niente, e mentre l’angolo di quel mantello si tingeva inesorabilmente di rosso, la sua immagine scivolava come un’ombra nel cupo significato di quella morte: uno zero così tondo che occupava la mente e ingombrava le membra; uno zero al tempo stesso così spigoloso che faceva male. Quella morte che valeva molto per lui, e che, eppure, non era valsa a niente nella via verso il riscatto dell'umanità.

“E’ un ordine, Rivaille?”
 
La voce di Farlan gli giungeva ancora alle orecchie, come se l’eco di un timbro così famigliare fosse stata l’ossessione più estranea di qualcosa che l’avrebbe tormentato per sempre. E, in fondo, lui sapeva che sarebbe andata così. Quando glielo aveva chiesto, le sue ultime parole avevano mandato in tilt il cervello mirando a tutt’altra parte, sfregiando il cuore ma colpendo lo stomaco. Si era sentito scuotere da brividi che non avevano niente a che fare con la pioggia che era il principale innesco di quella disfatta. Un ordine, come poteva essere un ordine? Se fosse stato davvero ciò che l’aveva definito l’amico, sicuramente sarebbe stato tutto diverso. L’ordine, per Levi, non era dettato dal caos, ma dalla piena consapevolezza di avere tutto sottocontrollo; in quella situazione, quello era tutto fuorché un ordine. Non si era mai trovato davanti niente di più disordinato, e si sentiva come ad un bivio, lo sguardo offuscato da un’incognita più grande della scelta che gli si parava a pochi secondi di distanza,  mentre brandiva e muoveva alla cieca la sua fermezza e la determinazione nel tentativo, forse un po’ vano, di camuffare quella sicurezza che oscillava pericolosamente al ritmo di zoccoli impantanati nel terreno e di sillabe che rimanevano incastrate in gola. E mentre si allontanava, era sicuro di vedere i loro mantelli volare come le ali che avevano sempre desiderato. Ali rese pesanti dalla pioggia, che però invece di prendere il volo si schiantavano piano piano a terra.
 
Voi siete… io voglio…
 
Aveva già imparato a capire la differenza tra quello che voleva lui e ciò che erano loro. Lui, fino all’ultimo istante, aveva sperato di trarli in salvo da una situazione estrema, e aveva puntato verso l’ultimo nodo di quella corda che avrebbe significato la vittoria, ma non aveva potuto prevedere che ci fosse un altro estremo, dopo quel traguardo, che avrebbe permesso a quell’appiglio spazio e motivo sufficienti per ucciderli, tutti quanti. Seguire e trovare Erwin per eliminarlo gli era sembrata la giusta soluzione, e aveva fatto della pioggia la sua complice, senza aver messo troppo in conto che quella aveva già preso le parti nemiche e s’era fatta assassina, pronta a corrodere come l’acido due vite così preziose, dietro al fetore delle fauci spalancate di giganti travestiti da morte. Voleva solo proteggerli, e, credendo di averli semplicemente lasciati, aveva finito con l’abbandonarli. Avrebbe voluto più tempo, stare con loro e mantenere le sue promesse. Non c’era bisogno che esprimesse quelle parole: lo sguardo diceva ciò che lui non riusciva a intrappolare in un suono, e quando quello era nascosto dal cappuccio e dal mantello, ci pensavano i gesti e i ricordi a colmare la necessità di palesare tutto ciò. Nessuno, tra Farlan e Isabel, avrebbe mai osato sostenere il contrario e preteso di ignorare ciò che era scolpito ovunque: loro erano i suoi unici amici, il tesoro più grande di uno che aveva dovuto subire per anni le avances smoderate della miseria. Loro lo avevano compreso e si erano fidati.
E Levi si era ritrovato a strappare lo stemma ambiguo delle ali della libertà dal corpo esanime di entrambi.
Come si era poi arrangiato con Petra e gli altri: raccogliere i cadaveri e coprirli sotto la stoffa che li rendeva tutti uguali, tutti immobili, come oggetti. Punti e trofei di una partita giocata tra l’autodistruzione e l’annientamento da parte dei nemici. Loro si fidavano.

Bastava un colore sparato in aria per comprendere il pericolo: la strategia di Erwin era geniale, eppure non abbastanza sufficiente. Quei colori, nella mente di Levi, si offuscavano e si mescolavano tra di loro: non erano più quel verde, quel rosso o quel nero a seconda di ciò che incontravano. Era tutto uno scherzo, come se quei pigmenti si concentrassero sul grado di ordine che occupava la mente del caporale.  Ma non era più un problema, vero? Non sarebbero più serviti, eh, Erwin? No, perché lui avrebbe ucciso il Titano Bestia. E no, perché non ci sarebbe stato più nessuno da avvisare del pericolo dei Titani: chi fa da esca non può pretendere di vivere per sempre: eccoli, gli ultimi colori sparati contro il nemico, che segnalano la posizione, metro più metro meno, dove moriranno tutti!

Mentre lasciava che il sangue dei Titani lo raggiungesse, sporcandogli il volto e macchiandogli nuovamente l’uniforme, Levi cercava di limitare nel più breve tempo possibile la distanza tra lui e l’obiettivo. Dietro di sé non stava lasciando solo cadaveri putridi di bestie infami o quello che erano, ma anche amici, famiglie, compagni; nomi e volti da aggiungere alla lista infinita dei caduti. Una manovra più brusca delle altre gli permise di sopraffare un altro gigante, ma gli procurò anche un taglio sul braccio. Da quella ferita, il sangue cominciò presto a tracciare il contorno sempre più spesso del dolore che provava, e impregnò la stoffa intreccio dopo intreccio. Sentire il proprio sangue e la propria carne così esposta lo faceva sentire nudo, più vicino al suo momento finale, ma anche e specialmente più vivo. Quel brandello dell’uniforme gli ricordava di come, alla fine, tutto riconducesse alla solita trama, all’unico filo conduttore che intrecciava tutti gli altri, strappati dalla stessa matassa informe, e disposti così in un tessuto ordinato che li legava insieme e li annodava come per ricordare che nessuno di loro poteva fare a meno dell’altro. Isabel, Farlan, Petra, Auruo, Erd, Gunther, Hanji, Erwin – Quel reticolato di volti e ricordi era  davvero destinato a scucirsi?
Per l’ultima volta, guardò indietro, e ciò gli valse la constatazione più amara della sua vita che tornò a bussargli come se ancora si aspettasse qualcosa da lui: vide Erwin disarcionato, cadere da cavallo e non alzarsi più. Anche l’ultima persona che si era ripromesso di proteggere aveva finito per classificarla come un debito da aggiungere a tutto quello che la vita gli aveva tolto, o che lui aveva tolto alla vita. Poteva essere ancora vivo?

Voi siete… io voglio…
 
Avrebbe voluto tante cose, ma specialmente che nessuno di loro se ne fosse andato o che fosse rimasto, a seconda dei casi.
In quel momento poteva desiderare tante cose, ma quello che loro erano stava lì, inciso come un epitaffio: erano tutti, inesorabilmente morti.
La sua maledizione era diventata una danza macabra intorno allo sguardo cinico che aveva forgiato con la sconfitta: la morte si adagiava sulle sue occhiaie appesantendo lo sguardo e il cuore, gonfio di lacrime e rabbia che non sarebbero mai riemerse totalmente. Ovunque posasse le iridi grigie vedeva il nero della morte e il marciume dei giganti che lo accerchiavano. Aveva fallito ancora una volta: la sua era stata una dose eccessiva di fiducia riposta in una scelta sbagliata che gli era costata la vita degli ultimi amici. Eppure non poteva arrendersi, anche in quella situazione così tragica: il suo istinto di sopravvivenza si era appigliato alla consapevolezza di un ultimo sguardo amico che di sicuro avrebbe voluto incrociare di nuovo. Quegli occhi chiari che a lui mancavano; tutto ciò di cui aveva bisogno, la prospettiva secondo cui avrebbe comunque potuto ritrovare la speranza. Eren.
E all’improvviso si ricordò di come si fa a volare.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Devi solo continuare a volare. ***




⇉ Questa fanfiction partecipa al contest “ Take a picture and never forget ” indetto da Sethmentecontorta sul forum di EFP ⇇
⌞ prompt e immagine (8!) segreti fino al 24 giugno ⌟



VOLARE LONTANO, INSIEME
DEVI SOLO CONTINUARE A VOLARE
capitolo 03 - Levi & Eren (82+)


Portavano lo stesso mantello, uno un po’ più sgualcito e l’altro decisamente tenuto con più cura, ma era comunque lo stesso mantello verde su cui si stagliava con orgoglio e prepotenza quello stesso stemma che poteva valere la stima di molti e la rabbia di altri. Le avevano chiamate “ali della libertà”: un nome decisamente impegnativo, e probabilmente anche condannabile da chi, credendoci ciecamente, ne era rimasto fregato. Chi si diceva oramai accorto e non si faceva più troppe illusioni, sosteneva che quei decori altro non fossero che lame, per  cui il detto “ chi di lama ferisce di lama perisce” era il credo più radicato nel destino di chi vi aveva a che fare, che fossero giganti o uomini non faceva differenza: sarebbero morti per mano delle lame per il semplice motivo che, scegliendo di esporsi ed utilizzarle, finivano per morirci.

Eppure ancora due persone si ostinavano a fondare la propria battaglia su quella definizione. Quell’azzurro e quel bianco per il primo significavano il cielo e le nuvole, forse perché prima di “volare” non li aveva mai visti; anche l’altro non nutriva alcun dubbio al riguardo: dovevano simboleggiare l’oceano e quelle distese di ghiaccio che era sicuro che un giorno avrebbe visto. Tutti e due sarebbero andati fino in fondo, assaporando la loro libertà passo dopo passo, gigante dopo gigante. Si sarebbero beati entrambi della vista che avrebbero trovato, una volta superato l’ostacolo delle Mura. Una volta liberi, avrebbero guardato anche per chi non poteva più farlo. Lo avevano promesso, e nessuno dei due era tipo da rimangiarsi quanto detto, specialmente se a chiederlo erano state le persone a cui tenevano di più al mondo.

Quello stesso mantello, quella stoffa verde sarebbe valsa la terra che avrebbero conquistato e sottratto ai giganti.
Alla fine la trama era la stessa, e i fili di quella stoffa tendevano tutti all’orizzonte, stretti l’uno all’altro e cuciti insieme.
Un tempo  si erano sentiti chiedere se avessero davvero la stoffa per divenire qualcuno di importante; da quel momento, o forse anche prima, entrambi si erano dati da fare per tessere la storia che avrebbero voluto raccontare e sentire, la storia di come l’umanità sarebbe riuscita finalmente a vincere.
Molte volte, molte scelte li avevano portati a tirare i fili di quell’intreccio forse più del dovuto, e troppo spesso si erano ritrovati ingarbugliati in gomitoli e complicazioni, nodi da sciogliere che li avevano messi alla prova.  Si erano spesso trovati a camminare su quel filo di seta pronto a strapparsi, e vi si erano appesi, con tutte le loro paure e i loro rimorsi. Avevano ceduto? No, perché in qualche modo avevano sempre trovato un’ Arianna pronta a salvarli, se l’erano dovuta creare, l’avevano scelta.

Erano i vetri rotti di tutte le bottiglie che solo Pixis poteva raccontare di aver visto. Duri e fragili, già plasmati ma malleabili in determinate situazioni. Misteriosi e trasparenti come solo gli eroi sanno essere. E come quelle bottiglie, avevano una storia da portare a qualcun altro. Ciò che portavano con sé era dolce e amaro allo stesso tempo,  sapeva come riscaldare il loro cuore e inebriare la loro mente. I ricordi erano i vetri sbriciolati che facevano male pur essendo così colorati; erano il dessert a cui potevano attingere pur sapendo di doversi limitare, perché troppo faceva male, così come l’assenza creava nostalgia, vuoto. E loro avevano bisogno di quella fetta di paradiso in quella crosta di inferno.

Erano lì, sul campo di battaglia o quello che ne rimaneva. Il loro obiettivo? Entrare in quella dannata cantina. Quello vero? Voltarsi e scoprire di non essere più soli. Ognuno di loro si fidava dell’altro per diversi motivi, perché erano diversi e perché erano simili. E nonostante tutti quei metri di distanza, Levi sentiva la presenza di Eren come Eren sapeva che lui era ancora vivo. Non se l’erano chiesti, né lo davano semplicemente per scontato. Sapevano soltanto che, qualunque cosa fosse successa, entrambi avrebbero continuato a combattere.

Portavano lo stesso mantello, spiegavano le stesse ali e attingevano ossigeno dalla stessa ostinazione che li aveva spinti ad incontrarsi. I loro mantelli erano strappati, rovinati, e portavano con sé le cicatrici di battaglie vissute, eppure custodivano ancora lo stemma che dava loro ragion d’essere; le loro ali erano ferite e stanche, ma niente avrebbe impedito loro di continuare a volare. Puntare alto, andare lontano, avere un obiettivo: trovare qualcosa per cui proseguire. Avrebbero continuato a spalleggiarsi e a proteggersi a vicenda, schiena contro schiena, lama per lama. E dopo tanti tentativi, debiti e perdite, alla fine ci sarebbero riusciti. Per tutti quelli che avevano amato e avevano conosciuto. Per i tanti compagni che avevano perso e per i pochi amici che avevano avuto.
Per Farlan ed Isabel.
Per Erwin ed Armin.
Per loro stessi.



 ↻ note dell'autore
Forse ci sarebbero un paio di cosette da spiegare ma, siccome queste hanno a che fare con prompt e immagine, attenderò a renderle esplicite fino a fine contest. / / / Okay, utilizziamo questo spazietto per le chiacchiere legali: ho scritto questa breve raccolta perché sono convinta che dal capitolo 83 in poi i due avranno davvero bisogno l'uno dell'altro - inutile dire che aspetto con ansia un intervento tempestivo da parte di Eren per aiutare Levi. Ma si tratta di Levi ed Eren, meh. Al centro di questo mio popò di cose nuove - eh, non avevo mai scritto una fanfiction prima, né partecipato ad un contest - ci sta la considerazione di quelle responsabilità che i nostri due eroi hanno allegato a quello stemma sull'uniforme. Ho giocato con la definizione di "Ali della Libertà" - e sul colore, da come si può vedere dal titolo - e per ogni capitolo ho piantato le mie rogne. Entrambi potrebbero aver perso uno (il biondo - che coincidenza, eh) del fantastico trio che formano, il "migliore amico", la mente del gruppo. E fa male, lo so - però mi pare giusto che si debbano alzare e combattere comunque, per coloro che hanno perso e coloro che non devono assolutamente perdere (Levi x Eren più che mai~). Mi sono persa tutte le cose intelligenti che dovevo scrivere, chiedo scusa - se mi vengono in mente, aggiorno/edito/smanetto. Grazie per aver letto e resistito! 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3468648