Fly On

di Neera Everdeen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vita da babbani ***
Capitolo 2: *** Lo stalker. ***
Capitolo 3: *** Paure ***
Capitolo 4: *** Il Gramo ***
Capitolo 5: *** POPOLO! C'E' UN ANNUNCIO PER VOI! ***
Capitolo 6: *** Lilia ***
Capitolo 7: *** Una nuova casa ***
Capitolo 8: *** Demoni ***
Capitolo 9: *** Da Marie's ***
Capitolo 10: *** Strega ***
Capitolo 11: *** Luna Park ***
Capitolo 12: *** Equivoci pericolosi ***
Capitolo 13: *** Amanda ***
Capitolo 14: *** Incubi ***
Capitolo 15: *** Green Eyes ***



Capitolo 1
*** Vita da babbani ***


Draco, il nuovo mangia morte, passeggia per la città babbana. Sente urla in una lingua sconosciuta, un barbone gli chiede l’elemosina, un cane randagio gli annusa un piede.
Odia i babbani. Li odia. Li odia con tutto il cuore. Li odia per colpa della loro vulnerabilità, della loro mancanza di magia e per colpa della loro stupidità. Guarda gli alti grattacieli di quella città sconosciuta, New York. Vede i taxi gialli, gli autobus, le persone babbane troppo veloci, frenetiche, piene di vita inutile.
Si avvicina ad un bar e compra una briosce. Ha rubato dei soldi babbani a delle persone normali grazie alla sua bacchetta. La addenta, mentre il cioccolato cola dal cornetto. Si siede sul gradino di una scalinata. Si guarda in giro , adocchiando una libreria. In fondo deve abituarsi a questo posto no? Non c’è modo migliore che entrare in una libreria, un luogo pieno di libri e pochi babbani.
Attraversa la strada e tentenna un po’ prima di entrare. Quando varca la soglia sente un profumo intenso di libri nuovi e silenzio. Alcuni babbani stanno girando per il negozio, chi annoiato, chi felice di aver trovato un libro di loro gusto. Due ragazze vestite in modo succinto e con del rossetto rosso sulle labbra, lo guardano sorridendo. Ma l’unica cosa che riesce a fare è sentire un brivido freddo salirgli per la schiena. Vanno al bancone con fare altezzoso e snob, porgendo alla commessa un paio di libri alti e grigi. “cinquanta sfumature di grigio”, recita il titolo. Incuriosito si mette a leggere qualche pagina, per poi richiudere il libro disgustato. Questi babbani provano davvero questo piacere nel leggere cose del genere?
Cerca un posto tranquillo e qualcosa di normale da leggere. Sale al terzo piano, entrando in un punto in cui si trovavano dei libri adolescenziali. Non c’è nessuno. Prende un libro in mano. Una ridicola storia d’amore in cui un ragazzo si innamora di una ragazza , quest’ultima indecisa se scegliere lui e un altro. Patetico. Per Draco l’amore è utile come un soprammobile o un dolcetto da prendere durante uno spuntino. L’essenziale è rimanere un mago purosangue.
Comincia a gironzolare. Legge qualche pagina di filosofia, qualcosa sull’esoterismo o sulla poesia. Lo colpisce una poetessa italiana , una certa Alda Merini.
“L’amore vero fa gelare il sangue”, c’è scritto sul retro della copertina. L’amore. “Sempre amore. I babbani non pensano ad altro, non pensano ad altro che amare, avere affetti. Sono sempre alla ricerca di qualcosa che li completi. Si aggrappano a qualcosa di indefinito , con la speranza di distinguersi dagli altri agli occhi di questa persona.”, pensa. Comincia a riflettere sull’amore man a mano che legge quelle poesie. Pensa ai suoi genitori, cerca nei ricordi qualcosa che gli ricordi amore. L’affetto di sua madre lo ricorda bene, ma non segni di affetto tra i due. Si chiede se un giorno diventerà come loro.
Sta ragionando su questo, quando sente una voce femminile chiederli qualcosa di inaspettato:
- Potresti allungarmi un altro di quei libri? Io non ci arrivo e non trovo la scaletta.-
Il giovane Purosangue tende il braccio per prendere un altro di quei libri di poesie. Si gira, per porgerlo alla voce che gli ha fatto la richiesta. E la vede. Vede i capelli neri sciolti sulle spalle, mossi in onde secche e nette, vede i grandi occhi verdi, vede la pelle bianca e il sorriso bianchissimo rivolto proprio a lui. Vede il medaglione dorato, vede i jeans neri e la camicetta di jeans. Vede le scarpe nere ai suoi piedi. Resta interdetto a fissarla. Di certo lei non è una babbana qualunque. Lei gli sorride di nuovo porgendogli la mano, e lui come folgorato le cede il libro.
- Io sono Leya.- si presenta. Draco non sa cosa fare. Tutti lo conoscono nel regno dei maghi. Ma chi è in mezzo ai babbani?
- Io sono Draco.- le risponde, con il solito fare altezzoso che usa quando è in mezzo ai compagni.
La ragazza lo squadra divertita. Capisce che lei non è davvero una babbana qualunque. Vede qualcosa in lei che la distingue dalle altre. Lui le aveva osservate. Molte di loro erano come quelle di prima al piano di sotto, oppure erano veramente troppo velenose. Ripensa a quando aveva ascoltato due babbane sparlare di una ragazza solo perché con qualche kilo in più. Anche lui lo aveva  fatto tante volte, ma in quel momento si rende conto che non le ammirava o non le aveva prese in considerazione più di tanto. Capisce che vuole di più di una vipera come lui.
- Bel tatuaggio.- gli dice Leya, osservando ammirata il simbolo dei Mangia morte. Non sa cosa fare per la seconda volta.
- Grazie.- gli esce dalle labbra, come se per lui fosse una cosa naturale. Naturale per Draco dire “grazie”? in quale universo parallelo è finito? Resta come immobilizzato. Lui, Draco Malfoy, un Serpeverde, che dice “grazie”?
- Di nulla. È fatto davvero bene.- commenta lei, avvicinando la mano come per toccare l’avambraccio di lui. Quest’ultimo ritira il braccio come se il solo contatto potesse ucciderlo.
- Come non detto.- dice lei, alzando le spalle – è stato un piacere Draco.- gli dice, salutandolo con la mano ed avviandosi verso il bancone. Lui resta per un secondo a guardarla pagare, prima di abbandonare il libro sullo scaffale e pedinarla. La vede avvicinarsi ad un bus ed entrare. Lui si fionda nello scompartimento dietro. La guarda sedersi e leggere. Ne osserva il profilo concentrato nel riflesso del vetro. Ne osserva il naso piccolo e il viso dolce. Si appoggia al sedile e guarda fuori, guardando pian piano le varie zone. Arrivano in una zona con un grosso parco , pieno di alberi e in mezzo ai grattacieli. All’ultimo momento nota che sta scendendo e lui fa lo stesso.
“Come può una babbana spingermi a tanto?” si chiede, osservandola entrare in Central Park.





ANGOLO AUTRICE:
Ma oilà, buonasera.
LO SO, "cinquanta sfumature" non dovrebbe esserci, ma buh, mi ispirava metterlo.
Parliamo dei personaggi:
Draco: rendetelo diverso dal film. Non. Immaginatevelo. Come. Nel. Film. Immaginatevelo seriamente F R E G N O. Ripetete con me: F r e g n o.
Leya: non altissima (noi basse conquisteremo il mondo. Shh, non dite a nessuno questo segreto.), capelli neri e occhi verdi. Insomma, una Serpeverde. Il suo piccolo difetto è che non è per niente una come Draco.
Che ne pensate? :)

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Capitolo 2
*** Lo stalker. ***


Oltrepassa i cancelli, seguendola da lontano. Tantissime coppie sono sedute sull’erba soffice mangiando qualcosa, chi legge un libro e chi disegna il paesaggio. Una bambina sta pattinando a tutta velocità seguita da un bambino su un triciclo. Draco si sposta, rischiando di essere investito da un ragazzo in bicicletta che gli lancia non proprio un complimento. Il ragazzo è tentato di trasformarlo in un maiale, ma si ferma. Non può di certo farlo in mezzo a tutta questa gente. Gira la testa a destra e a sinistra, cercando di nuovo la giovane babbana. Quando crede di averla persa, la ritrova seduta sotto ad un albero a leggere lo stesso libro di prima. Quando si siede su una panchina per osservarla meglio senza essere osservato, scopre sorpreso l’arrivo di un gruppo di ragazzi che la accerchiano e la salutano. Una giovane babbana dai capelli biondi la abbraccia , mentre un babbano dai capelli neri le dà un bacio sulla guancia. Draco vorrebbe scomparire. Si sente stupido, doveva capirlo prima che una babbana ha degli amici, a differenza sua.  Sente che sta diventando rosso. E si sente doppiamente stupido. Quando sta per andarsene sente la voce di Leya parlare. Sa che sta andando nella sua direzione, quindi fa finta di non vederla o sentirla. Ma si deve ricredere quando la sente chiamarlo:
- Draco!- esclama. Lui sa che sta sorridendo, lo sente nelle ossa. Cerca di ricomporsi prima di voltarsi e parlarle. Inutile dire che quando se la trova davanti a malapena ricorda il suo stesso nome.
- Leya.- dice lui , sentendo spuntare un leggero sorriso sulle labbra – che ci fai qui?- le chiede, come se fosse capitato lì per caso. Seh, come no.
- Dovevo incontrare i miei amici.- gli risponde lei, indicando il quadretto dietro di lei. Una ragazza dai capelli marroni lo squadra in modo non proprio amichevole, e lui fa lo stesso. Nota con sorpresa che sta puntando proprio al suo tatuaggio, ma non le dà peso: è troppo preso dagli occhi color erba di Leya per farci caso in modo approfondito.
- E tu?- gli chiede lei, sorridendo in modo cordiale.
- Volevo vedere la città.- mente , sicuro di non fare brutta figura. Di certo non può sapere che l’ha seguita, giusto?
- Possiamo accompagnarti noi.- propone lei. Draco ha alternative? No.
- Per me va bene.- dice, con fare altezzoso, come se la domanda fosse solo di cortesia. La osserva avvicinarsi agli altri e proporre anche a loro l’idea, ma , con sorpresa, i ragazzi non accettano. Anzi, le dicono di stargli alla larga. La più ostile è di certo la brunetta di prima, assieme al morettino, che sente chiamare rispettivamente Jane e Jakob. Due gemelli, a quanto vede.
- Stagli lontano.- sente sibilare –quel ragazzo non mi piace. È impossibile che vi siate incontrati per caso, dopo che vi siete incrociati appena stamattina.- capisce che a parlare è stato Jakob, e Draco gli lancia uno sguardo velenoso.
- E quel tatuaggio? Secondo me appartiene a qualche gang. – sente dire da Jane, che lo guarda storto.
- Ma se è in camicia!- protesta Leya. La cosa sembra stupire il gruppo in generale. L’unica che sembra meno crudele nei suoi confronti è la ragazza bionda, una certa Lilia.
- Sei sicura di voler andare con lui?- le chiede, toccandole teneramente una spalla.
- Sono sicura.- le dice Leya, toccandole il braccio con sicurezza.
A malincuore gli altri la lasciano andare, non prima di aver scrutato un Draco piuttosto nervoso. Si incamminano per il parco fino ad uscirne. Cominciano a parlare. Parlano dei libri, della loro vita ( dove Draco mente parlando di una madre giornalista e un padre banchiere) e scopre che la ragazza è orfana, poi adottata dalla madrina, una donna grassoccia e proprietaria di un negozio di fiori vicino a loro.
Mentre la ascolta parlare Draco si chiede se davvero l’amore che tanto disprezza non sia così inutile.




ANGLETTO AUTRICE:
Ma rieccomi qui?
Vi piace Draco versione Stalker Confuso? E gli amici di Leya?
Insomma, anche io avrei la loro stessa reazione se mi trovassi di fronte ad uno sconosciuto con un tatuaggio inquietante che cerca di rapire la mia migliore amica. Tsk.
Piccoli Stalker crescono, giàgià.
 

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Capitolo 3
*** Paure ***


Passeggio accanto a Leya. I lunghi capelli neri sono sciolti sulle spalle, sulla camicia di jeans. Cammina con passo sicuro e veloce, parlando animatamente della sua infanzia, dell’adozione e della madre adottiva, una donna di nome Miriam. Me la descrive come una donna bassa e grassoccia, dalla voce calda e gli occhi blu.
- E tu?- mi chiede, sempre con quel suo irresistibile sorriso.
- Io cosa?- le rispondo, forse un po’ troppo brusco. Subito me ne vergogno, non dovrei comportarmi così con una ragazza, perlopiù una sconosciuta. Probabilmente quell’idiota di Harry Potter mi prenderebbe in giro per mesi se fosse qui ad assistere alla scena.
- Hai una famiglia, no?- mi chiede, guardandomi spalancando gli occhi e con un’espressione interrogativa.
- Io ehm.. uhm..- cerco di trovare una soluzione efficace e non esagerata- mia madre è una giornalista e mio padre un banchiere.- rispondo tutto d’un fiato. Spero che se la beva. Deve credermi.
- Forte!- risponde, mentre vedo i suoi occhi illuminarsi. Occhi così io non ne ho mai visti.
- Già. – aggiungo, mettendomi le mani in tasca. Poi so che voglio saperne di più.
- I tuoi amici..- comincio , non sapendo bene come continuare. Non devo destare sospetti.
- Si preoccupano solo per me. Perdonali, ma molte volte sono troppo.. sospettosi. Prima di uscire con un ragazzo fanno sempre delle indagini assurde: dove vive, come si chiama, da dove viene..  è stressante.- mi dice, guardando la strada. Mi sembra così indifesa. È più bassa di me di una spanna, potrei scambiarla per una bambina. È anche maledettamente magra. Non scheletrica, ma nemmeno con qualche chilo di troppo. Semplicemente è molto magra.
- Come mai mi odiano così tanto?- le chiedo, aspettando che il semaforo pedonale diventi verde. Aspetta qualche secondo prima di rispondere, come se stesse ragionando alla domanda.
- Non ne ho idea. Non ho mai visto Jane e Jack così risoluti e decisi.- sorride prima di ridere – quando Jane ha detto che potresti essere di qualche gang stavo per riderle in faccia.-
Mi ritrovo a sorridere anche io, immaginando di appartenere ad una qualche gang. Ma cos’è una gang?
Ovviamente non glielo chiedo, non devo passare per stupido. Finalmente il semaforo diventa verde e attraversiamo la strada con altre venti persone circa. Poi la vedo. Jane. È qualche metro dietro di noi, e so che non devo essere promosso a un M.A.G.O. per sapere che da qualche parte c’è anche Jakob. Perché ci seguono? Perché sono così diffidenti? Ricordo lo sguardo di Jane sul tatuaggio, gli occhi di un azzurro slavato puntati sul mio avambraccio. So che c’entra quello. Mai una volta che questo marchio passi inosservato.
Cerco di non pensare a loro. E la mia attenzione torna tutta su di lei quando mi rivolge una semplice e diretta domanda:
- Perché sei qui?- mi chiede, fermandosi e guardandomi negli occhi, come se non capisse perché io sono qui, di fronte a lei.
- Sono scappato di casa.- le dico. In parte è vero. In parte io sono scappato, forse non da una vera e propria casa, ma sono scappato. E mi rendo conto che scappando sono probabilmente sulle mie tracce? Chi? Tutti. Tutto il mondo magico mi starà cercando. Penso a mia madre, a come mi abbracciava da piccolo. A mio padre non voglio nemmeno pensarci. Per un attimo nella mia mente si affaccia il ricordo di quando ha cercato di convincermi a diventare un mangia morte. Mi sento uno schifo.
- Non ti trovavi bene con i tuoi?- mi chiede di nuovo ma sottovoce, come se volesse fare quella domanda ma non avesse il pieno coraggio per farlo.
- Non mi trovavo bene in generale.- le rispondo.
- Capisco.- mi dice, come se mi capisse davvero.
Passiamo di fronte ad un negozio di dischi, ad un parrucchiere, ad una libreria, ad un negozio di abbigliamento. Ma è di fronte un vicolo che lei si ferma di botto, scrutando i cassonetti e le pozzanghere formatosi vicino ai sacchetti della spazzatura.
- L’hai visto anche tu?- mi chiede, aggrottando le sopracciglia.
- Cosa?- le chiedo, cominciando a guardare con terrore il vicoletto semibuio.
- Non ne ho idea, ma qualcosa si è mosso.- mi avvisa, cercando di entrare nel vicolo.
- No!- esclamo, prendendola per il polso – è pericoloso.-
Mi guarda interrogativa, e la mia mente galoppa cercando l’ennesima scusa per una mia mossa avventata.
- Potrebbe essere un assassino o un balordo. Potrebbe esserci qualsiasi cosa là dentro.- le dico, guardandola negli occhi.
E quando ce ne andiamo,non riesco a non pensare che se o Mangia morte mi stanno tenendo d’occhio sanno anche di lei.

ANGOLINO MAGICOSO AUTRICE:
Heilà miei piccoli maghetti e streghette! Come state? Vi piace la storia scritta dal punto di vista di Draco?
Se sì mi fa molto piacere, se no vi chiedo consigli o critiche nei commenti :)

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Capitolo 4
*** Il Gramo ***


Passeggiando ci troviamo a quella che Leya chiama “Times Square”, una piazza piena di giganteschi schermi che mandano ininterrottamente pubblicità di avvenenti ragazze in costume; assieme ad un branco di negozi di abbigliamento. È affollata e decidiamo di andare da Starbuck’s a prendere una cioccolata calda per mettere qualcosa nello stomaco. Mentre siamo in fila le lancio una raffica di domande:
- Qual è il tuo colore preferito?- le chiedo porgendo un biglietto da cinque al cassiere, un ragazzo dai capelli lunghi raccolti in una semicoda e con una folta barba.
La vedo ridere coprendosi la bocca con una mano.
- Credo che questa sia la domanda più strana che un ragazzo mi abbia mai rivolto prima di adesso.- mi dice, continuando a ridacchiare – il verde, comunque.- mi risponde con un enorme e meraviglioso sorriso.
- Il tuo?- mi chiede, prendendo la cioccolata e mettendoci un pochino di zucchero.
- Uhm..- dico , pensandoci su – direi il verde anche io, anche se il nero non mi dispiace.- le rispondo, prendendo a mia volta la cioccolata che mi ha allungato una paffuta donna di colore dai capelli riccioluti e folti.
- Com’erano i tuoi genitori?- Le chiedo mentre usciamo dal negozio e aprendole la porta come un vero gentiluomo.
- Mia madre mi somigliava molto, spesso ci scambiavano per sorelle. Solo che lei aveva gli occhi color oliva ,i capelli castani e la pelle olivastra e veniva dall’Egitto, anche se entrambi i genitori erano inglesi. Mio padre invece condividevamo gli stessi occhi e i capelli, forse anche qualche tratto del carattere. Era un uomo attraente, sempre sbarbato e pronto a farmi sempre felice. Il matrimonio dei miei genitori è avvenuto presto, e altrettanto presto sono nata io , anche se con tante complicazioni.  Ho rischiato di morire molte volte e per cause sconosciute.- mi dice, mordendosi il labbro, mentre io non riesco a non lanciarle uno sguardo interrogativo.
- Cause sconosciute?- le chiedo, alzando lievemente un sopracciglio. La vedo tentennare e mordersi con più forza il labbro inferiore, cosa che la rende per un attimo, non so come, più forte ai miei occhi.
- I tuoi genitori invece?- mi chiede, cercando di sviare il discorso.
- Mio padre ha i capelli lunghi e biondi e si veste spesso di nero. Tutti dicono che ci assomigliamo, e la cosa mi dà fastidio. Mia madre invece ha i capelli marroni e qualche ciocca grigia. Credo di essere affezionato più a lei che a mio padre, non so come spiegarlo. Tutti i ragazzi che conosco sono affezionati al proprio padre, io invece quando lo vedo vorrei prenderlo a pugni- dico tutto d’un fiato, stringendo forte i pugni dal nervosismo. Sento una mano piccola allargare le dita della mia mano destra e stringerla forte. Guardo Leya con gli occhi sbarrati. Mi sta davvero prendendo per mano?
In una frazione di secondo la vedo passare dall’avere un sorriso dolce stampato in faccia a un’espressione preoccupata. Sta guardando l’orizzonte come se ci fosse un mostro pronto ad attaccarci. Si aggrappa al mio braccio e mi sussurra qualcosa che mi suona letteralmente impossibile:
- Lo vedi anche tu?-
- Cosa?- le chiedo, preoccupato.
- Quella cosa, nel riflesso della vetrina.- mi dice, indicando un negozio con l’indice tremante. Cerco di mettere a fuoco, ma l’unica cosa che vedo è un lampo nero a cui non do peso.
- Non era nulla, forse avrai visto male.- le dico, alzando le spalle e prendendole la mano, ma lei la ritrae subito e mi si para davanti, pallida e con una luce dura nello sguardo.
- Mi prendi per pazza , vero?- mi chiede con un ringhio.
- Cosa?- le chiedo, sempre più perplesso.
Senza altre spiegazioni la vedo avviarsi a passo di marcia verso al vicolo che avevamo visto qualche isolato più indietro. La seguo riluttante e pronto ad estrarre la bacchetta nascosta tra la calza e il pantalone , tramite un cinturino, in caso di pericolo.
- Che diavolo stai facendo?- le chiedo, strattonandola verso di me. Vedo che nei suoi occhi c’è una scintilla di determinazione e coraggio, prima di osservarla entrare nel vicolo. C’è un odore di piccioni e spazzatura, mentre per terra si sono formate delle pozzanghere dall’aria non proprio pulita. Delle mosche ronzano intorno a dei grossi sacchi neri dell’immondizia che sembrano buttati a caso vicino a un muro.
E , proprio dietro a quello che sembra la cornice di un quadro, c’è il gramo ad aspettarci.

ANGOLO AUTRICE:
Scusate scusate scusate se pubblico due capitoli per volta, ma adesso sto andando a scrocco di internet e fino al 14 non potrò pubblicare nessuna storia. Vi chiedo umilmente perdono.
 

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Capitolo 5
*** POPOLO! C'E' UN ANNUNCIO PER VOI! ***


Buonasera miei piccoli maghetti e streghette, ho un annuncio da farvi!
Volevo chiedervi se qualcuno di voi volesse partecipare ad un contest per alimentare di personaggi la storia, creandone di nuovi, anche se pochi.
Mi servono:
Nome:
Cognome:
Età:
Status economico:
E' un Purosangue, un Sanguemarcio, un Mezzosangue o un Babbano? (ci stanno anche i traditori di sangue, tsk)
Aspetto fisico:
Carattere:
Curiosità:
Se è un mago, che bacchetta usa?
Se è un mago, ha un animale magico? O semplicemente un coso peloso o no che gira per casa?
Se non è un mago, ha un animale non magico?

Vorrei ringraziare calorosamente la vodafone perchè grazie alla benedettissima offerta riesco ad usare il wifi  (YEE) ma vorrei anche madarli dal Signore Oscuro perchè la tariffa non si è espansa anche al mio caro telefonino. Già, credo di essere l'unica sfigata a cui non va sul telefono.
Cordiali saluti, una pazza che si è messa in testa di scrivere un raccont assurdo ( e che sta per spaccare il telefono, gn.)

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Capitolo 6
*** Lilia ***


“Il gramo è qui. Il gramo  sa dove sono, sa che sono con Leya e ora mi porteranno via. “ penso in un attimo. Comincio a strattonare la ragazza verso l’uscita, mentre il gramo continua a ringhiare nel suo angolino. Cominciamo a correre per le vie di New York, fermandoci solo quando capiamo che se avesse voluto davvero seguirci avrebbe fatto un bello scompiglio. Mi appoggio al muro, con la testa appoggiata a quello che sembra marmo scuro, che riveste tutto l’edificio imponente. Leya scoppia a ridere e mi guarda con un’espressione divertita.
- Abbiamo corso fino a qui per un cane?- mi chiede, prima di ricominciare a ridere.
- Per un gramo.- sussurro, cercando di non farmi sentire.
- Hai detto qualcosa?- mi chiede, cercando di riprendere fiato e guardandomi sottecchi.
- Niente. Dove andiamo adesso?- le chiedo, alzando lo sguardo verso i grattacieli e il cielo limpido.
- Che ne dici di andare a Wall Street? Potremmo andare a vedere il toro.- mi dice, indicando con il pollice la strada.
- Per me va bene.- le dico, con un’alzata di spalle prima di prenderla per mano.
Ci incamminiamo per le strade affollate di gente continuando a parlare del “cane” e delle nostre vite. Scopro che le piace leggere e dipingere, oltre che suonare il violoncello e il pianoforte. Ha una passione per le fragole e per la cioccolata. Le piace andare in montagna a fare le escursioni con i suoi amici, stando via per qualche giorno armati di tende e sacchi a pelo, a cantare davanti al fuoco arrostendo marshmallow. Le piace la musica contemporanea , ma anche quella rock metal e classica. Le piacciono i libri poco ricercati e quelli di poesie. Conosce il linguaggio dei fiori e li usa per comunicare i suoi stati d’animo con la madre adottiva. Le piace socializzare e conoscere gente nuova, parlare di cose in comune e conoscere nuovi punti di vista. Le piace viaggiare.
- Sono stata in Spagna, in Portogallo e in Egitto, ma anche in Inghilterra e in Italia. A Praga e in Russia, a volte per le vacanze andiamo in Irlanda. Poi ,uhm, mia madre è stata in Perù e in Argentina, anche alle Maldive, dove mi vuole portare.- mi dice, controllando il nome di una via secondaria.
- Tu che paesi hai visitato?- mi chiede, attraversando la strada.
- Eh, uhm, l’Irlanda.- le dico, cercando di stare sul vago.
- E in che città sei stato?- mi chiede, con gli occhi accesi da una scintilla di felicità.
- Ehm, non mi ricordo.- rispondo- I miei mi ci hanno portato quando ero ancora molto piccolo, ricordo molto poco.-
- Oh, mi spiace. Sai suonare qualche strumento?- mi chiede ancora, cercando con gli occhi di vedere oltre la folla che si sta muovendo per la città.
- No.- le dico, deluso. Vorrei davvero avere qualche argomento comune, ma l’unica cosa di cui so parlare è di magia, cosa che non credo sia prudente rivelarle adesso.
Le stringo forte la mano quando arriviamo di fronte ad una statua rappresentante un enorme toro dorato e dalle lunghe corna. Restiamo a fissarla senza dire una parola per qualche minuto , fino a che qualcuno non ci interrompe.
- Lilia!- urla Leya andando incontro alla sua amica, che ha in mano un mazzo di fiori viola incartati con un foglio di carta beige.
- Leya!- esclama, abbracciandola.
- Vedo che sei nel bel pieno di un appuntamento.- le sussurra con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
La vedo diventare tutta rossa e cercare di cominciare tre frasi diverse prima di arrendersi e annuire con un cenno del capo.
- Draco questa è Lilia, l’unica persona di cui mi fido ciecamente.- mi dice, indicandomi la ragazza con un gesto della mano.
- Che ne dite un caffè? Io ho una certa fame.- propone la biondina indicando un cafè vicino.
Sconsolato e seccato dall’interruzione, decido di accettare.
Quando entro nel bar l’odore di caffè mi travolge come un’onda. Il bancone è carico di pasticcini e brioche, mentre dei ragazzi stanno lavorando senza sosta per servire i tavoli il prima possibile. Mi siedo di fronte alle due ragazze in un tavolino all’angolo, mentre sposto un vasettino  di fiori che mi blocca la vista. È bianco e sottile, mentre i fiori hanno lo stelo lungo e sono dei colori più disparati.
- Che cosa prendete? Io pensavo ad un cappuccino e ad un muffin.- dice Lilia osservando attentamente il menù.
- Io non prendo niente. Ho già preso una cioccolata calda prima con Draco.- dice Leya in risposta.
- Idem per me.- dico, non sapendo bene cosa rispondere. Una ragazza bionda passa accanto a me portando in fretta del cibo al tavolo accanto, portandosi dietro un profumo invitante di caffè.
Quanto mi manca la burrobirra.
Cominciano a parlare di altra gente, che io ovviamente non conosco.
- Sai Gioel, quel bel ragazzo di terza? Vuole uscire con Annemary.- dice sottovoce Lilia con una faccia che lascia trapelare l’incredulità.
- Annemary? Ma stai scherzando?- chiede Leya con gli occhi sbarrati.
- Giuro. Dovevi vedere come si vantava in corridoio. “uh Gioel mi ha chiesto di uscire sbato sera. Andiamo al pub poi in discoteca.”- dice l’altra con una vocina stridula- non posso sopportarla. Sempre al centro dell’attenzione.-
- Ti ricordi quando mi ha umiliato davanti a tutti?- chiede Leya tutta rossa in viso.
- Se me lo ricordo? Ti ha dato della sgualdrina davanti a tutti perché l’hai battuta nelle Olimpiadi delle scienze.- dice alzando gli occhi al cielo. Un cameriere le porta una tazza con del cappuccino e un muffin al cioccolato. Lo addenta con un morso enorme per poi tuffarsi nel cappuccino. I capelli dorati le scivolano sul viso, mentre la bocca carnosa è circondata da un alone di schiuma bianca. I grandi occhi nocciola osservano prima me e Leya con curiosità.
- Allora- comincia, cominciando a pulirsi le mani dalle briciole – da quant’è che questa storia va avanti?- chiede, con un sorrisetto malizioso e una strizzatina d’occhi, che fanno diventare Leya rossa come un peperoncino.
- Da oggi?- domando a mia volta con un sorrisetto.
- Hai ragione, mi ero dimenticata dei vostri “incontri casuali”. Sappi che se tu dovessi rivelarti uno stronzo senza spina dorsale potresti trovarti in guai seri.- mi avvisa, puntandomi l’indica con fare giocoso- Ma potresti anche trovarti in buone acque, visto che Miriam ci fermerebbe prima di compiere un omicidio.-
- Fate sul serio allora. Leya non scherzava.- dico, scoppiando a ridere.
- Sappiamo già dove seppellirti, ma non dirlo a nessuno, è un segreto.- dice sottovoce sporgendosi verso di me. Mi sta di certo più simpatica degli altri due.
Si gira verso Leya , scoppiando a ridere di fronte alla sua faccia.
- Dopo esco con Jakob, Jane e Anne. Volete unirvi a noi?- chiede con un grosso sorriso.
- Io non so se..- comincio, lanciando un’occhiata incerta a Leya, che riesce a salvarmi da loro per l’ennesima volta.
- Dobbiamo ancora fare un sacco di giri e sai benissimo cosa pensano gli latri di lui.- le dice, lanciandole un’occhiata significativa. Lilia alza le spalle e prende il suo mazzo di fiori, prima di pagare e salutarci. Proseguiamo ognuno per la propria strada, lei da sola e io in compagnia.
- Perché aveva quei fiori?- le chiedo, ricordando i fiorellini viola che portava con sé. La vedo imbarazzarsi e mordersi un labbro prima di rispondere:
- Per sua madre. E’ morta quando era piccola, durante una rapina. Le hanno prese come ostaggio e le hanno divise in stanze diverse, prima di essere liberate. Ma la madre non è uscita viva da quella cascina.- dice, tutto d’un fiato, cercando di essere impassibile durante tutto il racconto.
- Non l’avrei mai detto. Sembra così..- dico, non sapendo bene come descriverla. È come se avesse un’aurea di felicità tutt’intorno.
- Felice?- dice, prendendomi per mano.
- Già. Felice.- ripeto io, perdendomi nei miei pensieri.
Ma , quando volto il viso verso una vetrina, vedo di nuovo un lampo nero passare come un fulmine accanto a lei.

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Capitolo 7
*** Una nuova casa ***


Il pomeriggio è stato fantastico. Abbiamo girato in lungo e il largo per la città, abbiamo visitato una silenziosa biblioteca e abbiamo fatto chiasso in pub, guardando una partita di calcio; uno sport molto seguito dai babbani, e abbiamo vagabondato per città per tutta la serata. Verso le nove la accompagno al cancello di quella che sembra una bella villa, con un grosso giardino ben curato e dal vialetto di scricchiolante ghiaia. Ci fermiamo di fronte al cancello nero , uno di fronte all’altra. La luce del lampione le illumina il viso, mostrando gli occhi verdi, il naso delicato e la bocca carnosa. Si stringe la vita con le braccia e resta a fissarmi per un po’, prima di avvicinarsi al cancello e appoggiando una mano alla maniglia scura.
Si ferma, prima di voltarsi verso di me.
- Ti andrebbe di dormire da noi, stanotte? La casa è abbastanza grande per tre persone.- mi dice, mordicchiandosi un labbro. Il sorriso che si fa strada sul mio viso deve essere il migliore che mi sia mai capitato di fare in sedici anni di vita. Deve intenderla come una risposta positiva, perché la vedo sorridere a sua volta ed aprire il cancello, tenendolo aperto per farmi passare. Il profumo che si sente nel giardino è dolce e per niente fastidioso. Nella penombra riesco a vedere un salice e una quercia con un’altalena, una casetta su un albero e l’entrata della villa. Apre la porta estraendo un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni. Entra, facendomi entrare a mia volta in quella che sembra la casa migliore che io abbia mai visto. L’entrata è normale, con degli attaccapanni attaccati al muro bianco, vicino ad una cassapanca con delle fotografie. Mi guida verso la cucina, dove troviamo una donnetta grassoccia, dai lineamenti dolci e gli occhi azzurri. Mi porge la mano e scusandosi per il disordine, anche se non ce n’è bisogno, visto che non vedo niente fuori posto. Sui fornelli sta bollendo qualcosa in una pentola dall’odore invitante. Ha una stretta decisa , e si presenta come Miriam, dicendo a Leya di fargli fare il giro della casa, accogliendomi a braccia aperte.
- Mostragli  la stanza degli ospiti, così non si perderà stanotte. Tranquillo caro, qui sei il benvenuto, chiedi tutto quello che vuoi.- mi dice, dandomi un buffetto amorevole sulla guancia. Leya mi guida su una rampa di scale di marmo bianco, dove sono appese sulle pareti delle foto o dei quadri. In una di queste si vedono una donna dalla pelle olivastra e i capelli scuri con in braccio un neonato, affiancata da un uomo dai capelli neri e gli occhi verdi. Riconosco immediatamente i genitori di Leya, soprattutto per la somiglianza alla madre e i colori del padre. Mi scorta fino ad una porta bianca e con la maniglia di ottone, aprendola con decisione.
- Da daaan!- esclama, mostrandomi con un cenno l’enorme stanza che mi si presenta davanti. È bianca, con un grosso letto matrimoniale e un armadio di legno scuro. Una scrivania è posizionata vicino ad una finestra che dà sul giardino.
Resto a fissare a bocca aperta la stanza, non trovando le parola per ringraziarla.
Mi tocca una spalla con un sorriso e mi porta nella sua camera. Anche questa è bianca, ma con un pezzo sopraelevato che porta ad un armadio tramite un paio di gradini. Una scrivania di legno è vicino ad una finestra posizionata davanti al letto matrimoniale a baldacchino, ma senza il tettuccio, con solo delle colonne di legno.  Una porta bianca copre il bagno personale, vicino ad un mobiletto con una piccola tv. È una stanza davvero bella e semplice, per essere di una ragazza. Una libreria ad angolo è piena zeppa di libri, che sono persino messi in orizzontale, pur di essere tenuti “in ordine” tra gli scaffali. La vedo buttarsi nel letto e sorridere rivolta al soffitto.
- Che ne pensi della tua stanza?- mi chiede, quando mi sono seduto per terra, vicino a lei.
- Mi piace.- le dico, girando la testa per guardarla.
- Lo speravo.- mi dice, in un sussurro, prima di tornare a guardare il soffitto o chiudere appena gli occhi. Appoggio la testa al materasso e assaporo il silenzio, fino a quando la madre adottiva non ci urla che “la cena è pronta”, e scendiamo a malincuore dabbasso. ~~Il pomeriggio è stato fantastico. Abbiamo girato in lungo e il largo per la città, abbiamo visitato una silenziosa biblioteca e abbiamo fatto chiasso in pub, guardando una partita di calcio; uno sport molto seguito dai babbani, e abbiamo vagabondato per città per tutta la serata. Verso le nove la accompagno al cancello di quella che sembra una bella villa, con un grosso giardino ben curato e dal vialetto di scricchiolante ghiaia. Ci fermiamo di fronte al cancello nero , uno di fronte all’altra. La luce del lampione le illumina il viso, mostrando gli occhi verdi, il naso delicato e la bocca carnosa. Si stringe la vita con le braccia e resta a fissarmi per un po’, prima di avvicinarsi al cancello e appoggiando una mano alla maniglia scura.
Si ferma, prima di voltarsi verso di me.
- Ti andrebbe di dormire da noi, stanotte? La casa è abbastanza grande per tre persone.- mi dice, mordicchiandosi un labbro. Il sorriso che si fa strada sul mio viso deve essere il migliore che mi sia mai capitato di fare in sedici anni di vita. Deve intenderla come una risposta positiva, perché la vedo sorridere a sua volta ed aprire il cancello, tenendolo aperto per farmi passare. Il profumo che si sente nel giardino è dolce e per niente fastidioso. Nella penombra riesco a vedere un salice e una quercia con un’altalena, una casetta su un albero e l’entrata della villa. Apre la porta estraendo un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni. Entra, facendomi entrare a mia volta in quella che sembra la casa migliore che io abbia mai visto. L’entrata è normale, con degli attaccapanni attaccati al muro bianco, vicino ad una cassapanca con delle fotografie. Mi guida verso la cucina, dove troviamo una donnetta grassoccia, dai lineamenti dolci e gli occhi azzurri. Mi porge la mano e scusandosi per il disordine, anche se non ce n’è bisogno, visto che non vedo niente fuori posto. Sui fornelli sta bollendo qualcosa in una pentola dall’odore invitante. Ha una stretta decisa , e si presenta come Miriam, dicendo a Leya di fargli fare il giro della casa, accogliendomi a braccia aperte.
- Mostragli  la stanza degli ospiti, così non si perderà stanotte. Tranquillo caro, qui sei il benvenuto, chiedi tutto quello che vuoi.- mi dice, dandomi un buffetto amorevole sulla guancia. Leya mi guida su una rampa di scale di marmo bianco, dove sono appese sulle pareti delle foto o dei quadri. In una di queste si vedono una donna dalla pelle olivastra e i capelli scuri con in braccio un neonato, affiancata da un uomo dai capelli neri e gli occhi verdi. Riconosco immediatamente i genitori di Leya, soprattutto per la somiglianza alla madre e i colori del padre. Mi scorta fino ad una porta bianca e con la maniglia di ottone, aprendola con decisione.
- Da daaan!- esclama, mostrandomi con un cenno l’enorme stanza che mi si presenta davanti. È bianca, con un grosso letto matrimoniale e un armadio di legno scuro. Una scrivania è posizionata vicino ad una finestra che dà sul giardino.
Resto a fissare a bocca aperta la stanza, non trovando le parola per ringraziarla.
Mi tocca una spalla con un sorriso e mi porta nella sua camera. Anche questa è bianca, ma con un pezzo sopraelevato che porta ad un armadio tramite un paio di gradini. Una scrivania di legno è vicino ad una finestra posizionata davanti al letto matrimoniale a baldacchino, ma senza il tettuccio, con solo delle colonne di legno.  Una porta bianca copre il bagno personale, vicino ad un mobiletto con una piccola tv. È una stanza davvero bella e semplice, per essere di una ragazza. Una libreria ad angolo è piena zeppa di libri, che sono persino messi in orizzontale, pur di essere tenuti “in ordine” tra gli scaffali. La vedo buttarsi nel letto e sorridere rivolta al soffitto.
- Che ne pensi della tua stanza?- mi chiede, quando mi sono seduto per terra, vicino a lei.
- Mi piace.- le dico, girando la testa per guardarla.
- Lo speravo.- mi dice, in un sussurro, prima di tornare a guardare il soffitto  chiudere appena gli occhi. Appoggio la testa al materasso e assaporo il silenzio, fino a quando la madre adottiva non ci urla che “la cena è pronta”, e scendiamo a malincuore dabbasso.

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Capitolo 8
*** Demoni ***


La cena è squisita. Il brodo è caldo e la carne è al sangue, ma tenera e saporita, e il dessert, un budino al cioccolato, è assolutamente paradisiaco. Io e Leya torniamo in camera per giocare a “indovina chi”, e ci divertiamo un sacco. Scelgo apposta i più difficili solo per vedere il suo viso concentrato e prenderla scherzosamente in giro, senza essere troppo cattivo. Anche lei però mi riserva delle frecciatine taglienti. Quando concludiamo l’ennesima partita decidiamo di accendere la radio e di ascoltare qualche canzone.
- Che ne dici di Halsey?- mi chiede, estraendo un cd dalla sua custodia. Faccio le spallucce e lei mette in moto la radio. La prima canzone credo che sia la migliore.
- “I’m bigger than my body, i’m colder then this home, i’m meaner then my demons, i’m bigger than this booneeeesss”-  canta, con una voce profonda ed armoniosa, identica a quella della cantante in sottofondo.  Resto meravigliato nel sentirla cantare e riflettendo sulle sue parole.
- Hai mai avuto paura dei tuoi demoni?- le chiedo, pensando ai miei.
Vedo il suo sguardo rattristarsi e i suoi occhi fissarmi, come due grandi pozzi vuoti, identici a quelli di Piton.
- Io ci convivo ogni notte, Draco. Non mi lasciano dormire.- mi dice, in un lieve sussurro.
“ They beg me to write them, so i’ll never die when i’m dead.” ,continua in sotto fondo la canzone.  Parte , subito dopo, quella che sembra la canzone di un’altra cantante.
- Sia.- mi dice lei con un nuovo sorriso incalzante. Comincia a ballare come un pezzo di legno, cercando di muoversi a ritmo della canzone. Proviamo a ballare, ma siamo entrambi negati. La vedo sforzarsi per fare bella figura, ma senza successo, visto che ad un certo punto diamo una zuccata fortissima entrambi. Ci tocchiamo la fronte e ridiamo fino a non avere più fiato in corpo.
Lei si asciuga una lacrima con il dorso della mano, continuando a ridere imperterrita.
Anche io sto ridendo sguaiatamente, con mia sorpresa. Quando lascio la sua camera e mi metto a letto, comincio a rigirarmi nelle lenzuola. Stremato, comincio a fissare il soffitto bianco, ricamato con le ombre proiettate dal giardino. Osservo le ombre dei rami che si muovono alla leggera brezza, assieme agli altri oggetti nella stanza, come un serpente di ceramica in uno degli scompartimenti della libreria. È un grosso cobra bianco, con la lingua biforcuta in fuori e tutto attorcigliato su se stesso. Il mio sguardo, inevitabilmente, si posa sul mio braccio, dove un altro serpente scuro svetta sulla pelle pallida. Il teschio sembra quasi soddisfatto e malvagio, mettendomi i brividi. Quasi penso di strapparmi la pelle, pur di non vederlo, ma non ne avrei il coraggio. Penso ai miei, di demoni. Quasi sorrido pensando cosa direbbe mio padre vedendomi ospite in una casa babbana, di una ragazza babbana. Penso a quali potrebbero essere i suoi demoni. Non ha i genitori, sono morti pochi giorni dopo il suo ottavo compleanno, ma lei non ricorda nulla. Sospiro, cercando una zona frasca nelle coperte. Passo le dita tra i capelli biondi e sprofondando nel cuscino bianco. Non riesco a stare fermo, devo muovermi, persino pensare mi fa stare male. Mi appoggio al davanzale della finestra, guardando fuori. Apro la finestra, facendo così entrare l’odore dolce dei fiori e i rumori della città. Qualche clacson, un’ambulanza, un cane che latra furioso e .. un pianoforte? Resto per un attimo perplesso a fissare il vuoto, prima di rendermi conto che il rumore non viene da fuori, ma da dentro casa. Le noti sono così struggenti, così cupe e tristi da farmi fissare con malinconia il cielo puntellato di stelle. Riconosco, nelle note del pianoforte, una specie di mutamento. Le note sono più decise, più forti, più rabbiose. Sembra che un’ondata di rabbia riempia la stanza. Sembra che la musica ci dica di ballare, che il mondo sta finendo, che è tutto in fiamme, che non c’è più tempo. E , quando l’ultima nota svanisce nell’aria, mi chiedo quali siano i veri demoni di Leya.

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Capitolo 9
*** Da Marie's ***


La luce che entra dalla finestra aperta mi dà fastidio agli occhi, che cerco di coprire con l’avambraccio. Miriam sta spalancando le finestre per fare entrare luce nella stanza, e io cerco rifugio nel cuscino. La sento scuotermi dolcemente la spalla prima di dirmi di raggiungerle di sotto. È passata una settimana da quando sono arrivato qui e la madre di Leya ha deciso di accogliermi sotto le sue ali protettive. È buona e generosa, oltre che essere una cuoca eccezionale e una buona madre. Quando scendo, in pigiama, sul tavolo mi aspettano una pila di pancake e marmellata, assieme ad una tazza di latte fumante e miele. Mi siedo accanto a Leya, che sta mangiando con gusto un pancake con della marmellata di fragole. Mi saluta con un cenno e la bocca a criceto, con le guance piene di cibo, prima di ingoiare tutto e salutarmi a dovere. I capelli sono arruffati e gli occhi stanchi, oltre che essere ancora in pigiama, ma credo che questo sia il momento che preferisco nella giornata. Bevo un sorso di latte, guardandone di sottecchi l’espressione concentrata per spalmare al meglio un altro piccolo strato di marmellata sulla colazione. È buffa quando si concentra:le sopracciglia scure si aggrottano e storce appena la bocca, formando una fossetta.  Dopo aver finito, andiamo a prepararci per uscire. Leya non va a scuola, studia da autodidatta, perché, a detta di sua madre, a scuola non si trovava bene. A volte lavora per lei in negozio, ed è la beniamina dei clienti abituali. Quando riemergiamo dalle nostre camere siamo pronti per uscire. Lei porta dei pantaloni scuri e una felpa grigia, mentre un paio di jeans e una camicia bianca. Usciamo all’aria aperta, inspirando forte l’odore del giardino, e ci catapultiamo nella città. Estrae dalla tasca il telefonino nero, digitando il numero di Lilia.
- Hey!- sento esclamare dall’altro lato del telefono.
- Hey , ti andrebbe di girare con me e Draco? Tanto è domenica, non credo che tu abbia molto da fare.- le dice, con un sorriso spiaccicato in faccia.
- Da Marie’s?-  chiede l’altra, e io le faccio cenno che va bene alzando un pollice,
- Da Marie’s. – conferma Leya.
Quando riattacca , alzo un sopracciglio.
- Marie’s?- le chiedo, con un sorrisino furbo sulla faccia.
- Marie’s è il più grande ritrovo per i ragazzi della nostra scuola. Vedrai , ti piacerà.- mi dice ridacchiando.
Camminiamo e parliamo, io stando attento a non rivelare niente di me e lei a raccontarmi come la trattavano a scuola.
- Mi chiamavano L’ “orfana” prima di trasferirmi da Miriam. Secondo loro ero una specie di reietta e , quando mi chiesero se volessi ricominciare gli studi in città, ero troppo spaventata dall’dea di essere di nuovo messa da parte per accettare la proposta; ed ora studio da sola.- mi dice, scrutando tutto intorno.
Quando arriviamo da Marie’s rimango senza parole. È un bar con, accanto e dietro , un’enorme pista da skateboard, dove tantissimi ragazzi stanno andando su degli skate colorati e diversi. Lilia, armata di cappellino bianco e rosso, maglietta a maniche corte e jeans, si sta allenando su uno skate disegnato come se fosse una pizza, con tanto di salamini disegnati. Ci saluta con una mano prima di avvicinarsi. Con lei c’è anche una ragazza bassina, dai capelli rossi e gli occhi color mogano. Non sembra molto contenta di vedermi.
Lilia abbraccia fortissimo Leya prima di salutarmi con un buffetto sulla spalla, presentandomi ad Anne. È una ragazza che può definirsi carina, con un nonsoche di francese, ma che appena posa lo sguardo su di me, si dimostra subito ostile. Ci sono anche Jakob e Jane, che ci salutano con un cenno del capo. Ovviamente è Lilia a portare un po’ di allegria nella situazione.
- Qualche giretto sullo skate?- chiede, indicando la pista. Io e Leya rifiutiamo, anche se veniamo praticamente obbligati a prendere in prestito alcuni della proprietaria e provare a girare. Entrambi cadiamo più e più volte dallo skate, ma riusciamo a riderci sopra. Anne, di origini chiaramente francesi, come denota anche un leggero accento, mi guarda storto.
Quando un ragazzo le sta per tagliare la strada , lei sussurra qualcosa che mi sembra “babbano”, anche se non ne sono pienamente sicuro.
“Ha davvero detto babbano?” mi chiedo, osservando i capelli infuocati risplendere contro lo sfondo grigio-azzurro della piattaforma di cemento.
- Attento!- mi dice Jakob tirandomi per una manica, giusto in tempo prima di volare giù come un dilettante.
- Grazie.- gli dico, stringendogli la mano in segno di pace. Seh, come no, lui sembra quasi disgustato dal mio tocco. Scuote le spalle prima di sollevare Leya e farla girare intorno, cosa che mi provoca una fitta di gelosia. Io non sono mai stato geloso, nemmeno quando ho avuto quella breve sbandata per la Granger.
Guardando in cagnesco gli altri, mi dirigo verso il bar per prendere una bottiglia di acqua. bevo un paio di sorsi seduto su una sedia di metallo all’aperto, prima che mi si avvicinino un paio di babbane dagli shorts imbarazzanti. Mi squadrano con un sorrisino, prima che una delle due; una biondina con un stacco di gamba davvero sbalorditivo, si sieda accanto a me e non mi rivolga un sorrisino millefluo.
- Hey carino.- mi dice, masticando una gomma alla fragola – sei nuovo? Non ti ho mai visto da queste parti.-
- Sì, sono appena arrivato.- le dico, cercando di staccarmela di dosso. La vedo tirarsi indietro i lunghissimi capelli biondo ossigenato.
- Che ne dici di andare al Luna Park stasera? Ci sarà da divertirsi.- mi sussurra all’orecchio.
- Ho da fare stasera.- dico, disgustato da tanta e simile sfacciataggine.
- Peccato. Ci si rivede.- dice, sempre con quel suo sorrisino sulla faccia. L’altra, una ragazza con un caschetto rosso tinto la segue a ruota.
Torno a bere un altro sorso di acqua, quando si avvicina un ragazzo muscoloso e dall’aria spaventosamente minacciosa. Mi punta un indice contro.
- Cosa credevi di fare con Annemary?- mi chiede, sporgendo la faccia verso la mia. Alzo un sopracciglio, alzandomi dalla sedia.
- Non so chi sia tu e non mi interessa, ma sappi che è stata lei ad avvicinarsi per prima.- gli dico, sporgendomi verso di lui con fare altrettanto minaccioso. Ma chi si crede di essere?
- Non me ne frega, moccioso. Sappi che lei è mia, non osare avvicinarti o giuro che saranno guai seri.- mi sibila, vedendo che una minacciosa Leya si sta avvicinando. Fa quasi paura, con i capelli mossi che le fluttuano intorno per colpa della brezza, gli occhi scintillanti e lo sguardo minaccioso.
- E tu chi ti credi di essere?- gli sibila, toccandogli con l’indice i pettorali.
- Oh, ora è arrivata pure l’orfanella.- dice, ridacchiando verso i suoi amici.
La vedo come barcollare all’indietro e sto per andare verso di lei, quando la vedo stringere i pugni e sferrare un cazzotto davvero potente al ragazzo, che barcolla come un toro ubriaco. Lei , non contenta , gli balza addosso, atterrandolo e riempiendolo di sonori schiaffi.
- MOLLAMI!- urla a Jakob, che la sta sollevando a forza da quello che sento chiamare Budler. Ha una zazzera di capelli marroni, rasati ai lati, e con il ciuffo dalle punte chiare. Un piercing è attaccato al sopracciglio destro, mentre un tatuaggio è impresso sulla spalla destra. Si massaggia la guancia destra, quella più rossa delle due, prima di battere in ritirata. Mentre gli altri cercano di calmarla, non riesco a non lanciare uno sguardo di sfida a Budler, che risponde quasi con un ringhio.



ANGOLETTO SBRILLUCCICOSO AUTRICE:
Huhu, finalmente della sana violenza! Nah, scherzo. Draco viene letteralmente assalito dalle ragazze e dai loro pseudo(e psicopatici)fidanzati, per essere salvato da una vera e propria Giovanna d'Arco. E gli amici di lei non sono proprio contenti di vederlo ronzare intorno a Leya.
 

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Capitolo 10
*** Strega ***


- Quel cretino. Cosa pesava di fare?- inveisce di nuovo Leya contro il ragazzone di prima, ora a debita distanza. Si vede persino da qui il segno rosso sulla guancia.
- È solo un pallone gonfiato, non dargli retta.- le dice Lilia.
- La cosa che mi urta di più è che esca con Annemary! Annemary! Ma vi rendete conto?- esclama Anne alzando gli occhi al cielo. Ha i capelli nascosti da un cappellino bianco e nero, con la visiera al contrario.
- Che , tra l’altro, ci provava c on Draco.- dice Jane, seduta sul bordo della pista curvilinea.
- Con te?- mi chiede Jakob alzando un sopracciglio. Faccio le spallucce.
- Mi fa chiesto se andavamo al Luna Park per “divertirci”- rispondo, imitando il tono suadente della ragazza. La mia pessima imitazione gli strappa un sorriso.
- A proposito del Luna Park, che ne dite di andarci sul serio stasera? Pare che ci siano un sacco di cose pazzesche.- dice Lilia con gli occhi scintillanti- Zucchero filato, popcorn, mele caramellate, baracconi, la ruota..- sospira sognante. Vedo Jane alzare gli occhi al cielo e Anne ridacchiare, seguita da Leya. L’unico che sembra essere d’accordo è Jakob.
- Vada per il Luna Park.- dice Anne con un sospiro. Guarda l’orologio che ha al polso, impallidendo visibilmente.
- Cazzo! Sono le undici! Avevo promesso a mia madre di aiutarla a pulire il negozio.- dice, sbattendosi una mano contro la fronte. Raccoglie in fretta lo skate, salutandoci in fretta e avviandosi verso il cancello. Accetta quando Lilia le chiede se vuole una mano per evitare la sfuriata della madre. Casa sua è nella periferia di New York, ed è una casa a due piani, bianca, con il piano inferiore adibito a negozio. Quando apre la porta di legno un paio di campanelle segnalano il nostro arrivo, e una voce ci accoglie nel negozietto. Sembra il negozio di una strega: campanelle appese alle travi, un tavolo di vetro con un vaso di fiori al centro, una vetrina piena di pietre e collane fatte a mano, piccoli pestelli e mortai, assieme a qualche amuleto di protezione. Non ne riconosco molte , ma alcune mi sembrano famigliari. Quasi prendo un colpo quando, svoltando un angolo, mi trovo tu per tu con un barbagianni. Quasi faccio un balzo per la paura, emettendo un “che diavolo?” strozzato. Tutti ridono di fronte alla mia espressione, mentre Anne apre la gabbia e , facendo posare l’uccello sul braccio, lo fa uscire all’aria aperta. E’ un esemplare magnifico, bianco e con le ali marroni, dagli occhi scuri come quelli della padrona e con le piume morbide. Sbatte per un attimo le ali, emettendo un verso cupo quando nella stanza entra una donna alta e secca, dal naso all’insù e i capelli rossicci sciolti sulle spalle. È vestita con una lunga tunica blu e leggera, con una lunga collana che scende fino allo stomaco, con una pietra a punta dal colore azzurro acceso.
- Abbiamo compagnia!- esclama , con un forte accento francese.  Dà un bacio sulla fronte alla figlia, che le fa un sorriso tirato.
- Mi hanno chiesto se avevo da fare in negozio e..- dice, sperando che la madre si beva la scusa.
- Certo ragazzi, accomodatevi pure. Vi porto un paio di cioccolate calde mentre mettete a posto. Mi basta che spolveriate i mobili e diate una spazzata al pavimento.- dice, indicando degli stracci e una scopa che sembrano quasi essere apparsi per magia in un angolo, accanto alla grossa scrivania scura, ingombra da un mucchio di scartoffie e da un telefono dall’aria molto vecchia. Ognuno prende uno straccio, mentre Anne si dedica a spazzare il pavimento.
- Mia madre non sopporta gli elettrodomestici, preferisce usate la.. le cose antiche.- dice, alzando gli occhi al cielo, mentre in barbagianni ci osserva sul suo trespolo.
- A volte tua madre sembra una vera strega.- dice Jane con un sorrisino.
- È una Wicca, non una strega.- le dice lanciandole una bonaria occhiataccia.
- La religione Wicca ha gettato le basi del Cristianesimo.- dice la madre, rientrando con un vecchio vassoio pieno di biscotti e tazze di cioccolata calda fumante.
- Molte delle nostre feste sono in realtà le basi del Cristianesimo, come la Pasqua.- dice, con un sorriso rivolto a tutti- ma ora non voglio farvi una lezione di religione. State attenti alla cioccolata, scotta. Ah , e non aprite i cassetti che sono pieni di roba inutile che devo buttare.-
- Signora LeClére, Anne può venire al Luna Park stasera?- chiede Jakob con un grosso sorriso.
- Va bene, basta che non vi cacciate nei guai..- dice, sospirando e tornando nella piccola cucina per gli ospiti nella stanza accanto.
Puliamo da cima a fondo tutto il negozio, ordinando la scrivania e la libreria, tutto sotto lo sguardo vigile del barbagianni.

ANGOLETTO PASQUETTOSO AUTRICE.
Innanzi tutto volevo salutare e ringraziare Amanda_nikita per lo splendido personaggio di Anne (e il suo barbagianni troppo cresciuto) e , anche se non lo leggerà mai, Halsey, che mi ha dato una grossa ispirazione.
Chi ha riconosciuto la canzone nel capitolo "demoni" alzi la manina. *scappano tutti*
Per chi la riconosce tra i miei lettori , forse , ci sarà una sorpresa: verrà integrato (oppure un personaggio inventato dal medesimo) nella storia, come comparsa o personaggio principale!
Chi azzecca per primo il titolo tra i commenti riceverà il meritato premio.
Ditemi che ne pensate per tutto: quale personaggio vi piace e quale no, cosa ne pensate della coppia Leya\Draco e se avete dei consigli.
Buon proseguimento di lettura!

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Capitolo 11
*** Luna Park ***


Torniamo a casa dopo aver salutato la signora LeClére, dandoci appuntamento con gli altri ragazzi davanti a casa di Leya per andare al Luna Park e alla fiera. Sta camminando all’indietro spiegandomi di non esser mai andata sulla ruota panoramica, mentre la cosa di cavallo si muove a destra e a sinistra a ritmo con i suoi passi. Entriamo in casa, trovando un biglietto dio Miriam in cui le dice di essere andata al supermercato a prendere delle fragole e della panna montata per la macedonia.  Andiamo ognuno a farci una doccia e a cambiarci. Quasi mi viene un infarto quando, uscendo dal bagno tutto pronto ed inamidato, trovo la porta spalancata e il barbagianni di Anne con una lettera legata alla zampa.
“ Arriviamo tra mezz’ora. Occhi aperti con Leya perché ci sarà anche Burton alla fiera , forse con Annemary e i suoi compari. Anne, Jane, Jakob e Lilia.” Alzo un sopracciglio. Solo ad Hogwarts usano i barbagianni come postini. Alzo le spalle con noncuranza: forse li usano anche qui ,visto che la madre di Anne non vuole telefoni e lei non ha il mio numero. Io , d’altronde, non ho nemmeno un telefonino. Lascio uscire il barbagianni, che vola libero nell’aria.
Mentre aggiusto il polsino della camicia la porta si apre; e vedo Leya alzare gli occhi al cielo con fare bonario.
- Vuoi davvero venire ad una fiera in camicia?- mi chiede ridacchiando.
- Sì?- le rispondo con un sorriso.
- Non se ne parla.- mi dice piantandosi le mani contro ai fianchi. Sospira ed apre l’armadio.
- Vediamo, uhm..- dice, guardando tra le magliette.
- Ah ecco!- esclama , tirando fuori una maglietta nera con sopra un grosso scorpione bianco. Me la lancia e io riesco a prenderla al volo.
- Vola a cambiarti prima che arrivino gli altri.- mi dice, spingendomi nel bagno. Sospiro. Davvero devo mettere una cosa del genere?
Quando esco dal bagno mi trovo Jakob di spalle che circonda la vita di Lilia con un braccio, mentre Leya è seduta sul letto con Jane e Anne sta cercando di suonare il violoncello. Dopo avermi salutato con un cenno ci avviamo in cucina, dove Miriam sta pulendo delle fragole.
- Domani vi voglio tutti a casa nel pomeriggio per mangiare la macedonia.- ordina con un sorriso e puntandoci contro il coltello. Annuiamo tutti con un sorriso.
Quando usciamo l’aria estiva ci solletica la pelle, mentre i grilli cominciano a gracidare.
- Finalmente le vacanze.- sospira Jane con un sorriso
- Niente scuola, cazzeggio e giri a vuoto per New York a notte fonda.- dice Jakob con una risata – avete altri programmi?- chiede al vuoto con un enorme sorriso. Lilia scoppia a ridere coprendosi la bocca con una mano.
- Io vorrei andare in Italia dai nonni questa estate, portandovi con me ovviamente.- dice Leya con una alzata di spalle.
Il coro che fanno gli altri diventano urla di gioia quando vediamo l’enorme ruota panoramica blu brillare nel crepuscolo. Leya mi trascina verso l’entrata del Luna Park, in un turbinio di babbani, colori, musica e odori. Sorrido. Non potrebbe andare meglio di così.
***
Cerco non spaventami mentre il Calcinculo ,come lo chiamano qui, sta per partire. Gli altri sono entusiasti, ma io sono letteralmente terrorizzato. La giostra parte, cominciando a roteare e far girare me e il mio sedile per aria. Pregando che le catene reggano mi aggrappo a quelle facendo diventare le nocche bianche. Guardandomi intorno vedo Burton e Annemary limonare appassionatamente in un angolo, con vicino una bottiglia di birra. Non la prima, a quanto vedo, visto che lei ride sguaiatamente appena si staccano. Lei è bella, ma di una bellezza volgare ed eccessiva, mentre Burton è il solito pallone gonfiato che se la prende con io primo che passa. Un me in vecchio stile, in pratica. Leya è di fronte a me e urla entusiasta appena il giostraio aumenta la velocità. Poi un ragazzo attira la mia attenzione, con un cappello calato sulla fronte e la corporatura massiccia.
Tiger.

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Capitolo 12
*** Equivoci pericolosi ***


Il sosia di Tiger sembra solo e io ne approfitto per nascondermi. Appena scendiamo dalla giostra trascino Leya verso un campo da baseball, dove stanno facendo una partita. Anche questo sembra uno sport praticato con enfasi dai babbani. Ci sediamo sulle gradinate di legno e metallo, tutti intenti ad osservare la partita. Precisiamo, tutti intenti tranne me. Osservo gli spalti come un falco, pronto ad estrarre la bacchetta e pietrificare chiunque si avvicini, anche a costo di rivelare la mia vera natura. Sento qualcuno appoggiarsi sulla spalla e divento subito più nervoso che mai. Leya ha appoggiato la sua testa sulla mia spalla e sta guardando la partita.
Potrei baciarla, sarebbe il momento perfetto.
Sto cercando di trovare il coraggio per farlo, quando un gridolino acuto mi perfora i timpani. Annemary, con un alito non proprio fresco, si sta sedendo accanto a me con una risatina e un civettuolo scostamento di capelli. Sento, con rabbia, che Leya ha spostato la testa dalla mia spalla e che si è allontanata appena, cominciando a parlare con Lilia. Dice qualcosa tipo: “li lascio soli..?” e io mi sento come attraversato da una scossa elettrica, come un pugile sconfitto alla fine della gara. Annemary mi mette una mano sulla coscia e comincia a dirmi qualcosa su cosa vorrei fare stasera, che c’è una roulotte per fare certe cose, se ci vogliamo andare. Se no casa sua è libera e può invitare qualche amica, se voglio. Le lancio un’occhiataccia.
- Non voglio andare da nessuna parte.- le dico, glaciale. Lei , senza scomporsi, mi lancia uno sguardo provocante e mi prende per mano, portandomi dietro alle gradinate. Quando si china per baciarmi mi scosto disgustato.
- Non voglio niente da te, lo capisci o no?- le dico, nervoso e arrabbiato. Per colpa di questa idiota Leya comincerà a pensare di me come un cerca donne. Perfetto.
- Niente niente?- mi chiede arricciando il labbro in fuori cercando di risultare attraente.
- Niente.- le dico, dandole le spalle e uscendo dall’anfratto. Cerco Leya e gli altri, ma non li vedo più e comincio a cercarli con lo sguardo, sperando di vedere i capelli color pece in mezzo alla folla. Nulla. Quando sto per andare a cercarli per la fiera vengo fatto girare di centoottanta gradi da un paio di braccia forti. Il volto di Budler mi sta a due centimetri dalla faccia, con l’alito fetido a portata di naso. Mi scosto dalla sua presa, pronto ad affrontarlo.
- Cosa volevi fare con Annemary? Hai capito o no che è mia?- mi dice, soffiandomi un filo di fumo in faccia. Tossisco un po’ prima di rigirarmi verso di lui con i pugni stretti.
- Lo vuoi capire o no che lei mi fa schifo?-  gli dico, praticamente naso contro naso.
Il pugno mi raggiunge con una potenza assurda. Sento gli strilli acuti di Annemary e un rumore secco, come di uno schiaffo. Il labbro sanguina, e il sapore metallico mi inonda la bocca. Sputo per terra preparandomi allo scontro, quando un altro pungo mi prende lo stomaco. Carico come un toro contro la pancia di Budler, mandandolo a terra con una forza che non credevo possibile. Approfittando della distrazione sua e della sua amichetta comincio a correre tra la folla, spintonando la gente e cercando di trovare una via di fuga. L’unica cosa che vedo sono Leya e gli altri che stanno chiacchierando vicino ad un banco di zucchero filato. Mi ritrovo in mezzo a loro e vengo tempestato di domande:
- Che è successo con Annemary?-
- Che hai fatto al labbro? Oddio sanguini tantissimo!-
- Draco? Draco che ti hanno fatto?-
Senza rispondere prendo Leya per mano prima di dire agli altri di andarsene e creare un diversivo per distrarre Budler e di darsela tutti a gambe.
Comincio a correre stringendo il polso minuscolo di Leya come in una morsa. Ci fermiamo, ansimanti e tremanti, dietro ad una delle tante roulotte nelle vicinanze. Lei mi tocca appena il taglio sul labbro, ma mi ritraggo al suo tocco emettendo un sibilo. Diavolo quanto brucia! Prende un fazzoletto dalla tasca dei jeans corti e comincia a tamponarmi appena la ferita, bagnando la carta con un po’ di acqua nella bottiglietta.  Il suo viso concentrato vicino al mio mi fa sentire uno sfarfallio nello stomaco, che cerco di scacciare stizzito. Non è il momento di pensare a quello che provo adesso. Devo portarla via di qui prima che le succeda qualcosa per colpa di quello psicopatico drogato.
Le prendo dolcemente la mano accennando a un sorriso, che si trasforma subito in una smorfia di dolore.
- Meglio se ce ne andiamo, che ne dici?-
- Dico che sarebbe una cosa fantastica.- mi dice, svoltando l’angolo.
Faccio appena in tempo a vedere il pugno arrivare verso di me prima di sentire un dolore lancinante allo stomaco.

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Capitolo 13
*** Amanda ***


Il dolore è lancinante , assurdo. Barcollo all’indietro tossendo come un ossesso e appoggiandomi con una mano alla roulotte di metallo, sporca anche del sangue che ha ricominciato a colare dalla ferita sul labbro martoriato. Cerco di respirare, anche se la cosa mi sembra momentaneamente impossibile. Un altro pugno, stavolta sul fianco destro, rischia di mandarmi ko. Le urla di Leya sono strazianti. Sento appena un “taci puttanella” e il suono secco e forte di uno schiaffo. Socchiudo gli occhi, vedendo Leya a terra con un segno rosso sulla guancia già rossa di umiliazione. Il cerebroleso si sta avvicinando a me con un ghigno trionfante e un pugno alzato pronto a colpire il bersaglio, cioè io. Mi preparo alle botte che di certo seguiranno, al probabile braccio rotto o all’occhio nero, quando vedo il tipo steso da un pugno sferrato da Jakob.
- Certo che ce ne vuole per far tacere sto coglione.- mi dice con un sorrisino e porgendomi la mano, aiutandomi ad alzarmi. Mi spolvero i jeans e mi precipito verso Leya, che sta riempiendo di calci il povero idiota.
- Stronzo! Coglione! Prova di nuovo a darmi della puttanella e vedi come starai bene con una dentiera!- sbraita, mirando bene alla pancia e al “posticino speciale”. Anne la prende da parte per calmarla completamente prima di permetterle di venire verso di me. Mi controlla bene il viso prima di abbracciarmi.
- È tutta colpa mia, non dovevo intromettermi oggi, sono stata una stupida.- si scusa piangendo. Scoppio a ridere, per poi fermarmi per colpa del dolore al labbro.
- Non è colpa tua, è colpa dell’alcol che ha preso.- le dico, sforzandomi di sorridere senza fare smorfie.
- Ti porto da mia madre, lei saprà cosa fare.- dice Anne dopo aver visto le ferite. La sento sospirare e dire qualcosa come:” mi aspetta un mese di pulizia gratis.” Mi sento in debito con lei, e quando la ringrazio si limita ad alzare le spalle con noncuranza. Jakob si sta massaggiando la mano.
- Dio, quello non è umano. Ho dovuto usare tutta la potenza che ho e mi sono quasi spaccato una mano.- dice, lanciandomi una smorfia divertita mentre Lilia osserva la scena ridendo.
Ci avviciniamo alla casa di Anne lesti e silenziosi come gatti randagi, come pantere nascoste nella notte buia. Apriamo la porta e la signora LeClére è nel salotto bersi una tisana.
- Santo cielo!- urla quando mi vede – che diavolo avete combinato! Cosa vi passa per la testa, mascalzoni!-
Cominciano a raccontare tutta la storia, io parlando del tentato approccio di Annemary e gli altri ragazzi dello scontro con Budler. Quando ha finito di mendicarmi scuote il capo con disgusto.
- Avevo detto a sua madre di seguirlo di più, ma lei non ha mai dato retta.- dice con disprezzo.
- Chi?- chiediamo quasi in coro e con la bocca spalancata dalla sorpresa.
- Amanda, la madre di Budler, che domande.- ci dice quasi esasperata.
Comincia così a raccontarci della bellezza di Amanda, che attraeva ragazzi da ogni direzione. Ai balli era sempre la più richiesta, a scuola le offrivano ogni tipo di merenda, fino a finire in un circolo vizioso di ogni vizio e divertimento. Un giorno arrivò un bel ragazzo dal nord. Pallido, capelli biondi e occhi azzurri da far paura. Lei perse la testa per lui, e si fidanzarono. Quando la donna scoprì di essere incinta il giovanotto la lasciò, sparendo dalla circolazione Newyorkese. Lei non seguì mai il figlio nato da quella burrascosa relazione, lasciandolo in un quartiere malfamato e pieno di gang fino al collo. Amanda cominciò a drogarsi e a diventare alcolizzata, lasciando il figlio a sé stesso. Divenne quello che si dice un “cattivo soggetto” sempre nei guai con la polizia e con chi più grande di lui. Un giorno incendiò la scuola e rischiò di uccidere così una ragazza bloccata nei bagni, facendosi un anno di riformatorio, a quattordici anni.
- È sempre in cerca dello sballo, quel ragazzaccio. Una volta è passato di qui dandomi della strega.- dice con un sorriso rivolto, quasi in modo enigmatico, a me.
Torniamo a casa dopo aver ringraziato la signora infinite volte.
Quando mi lavo la faccia e alzo il viso per vedere il riflesso, quasi mi sembra di vedere dietro di me la faccia alterata di mio padre. Ma non mi importa.
Mi sdraio nel letto, ma il dolore non mi fa dormire.



ANGOLETTO FEBBRICITANTE AUTRICE:
Con la febbre, con il raffreddore e smoccolando viva io sono ancora quaa eeeh già. Ok, giuro che la pianto.
Budler mi sta davvero sulle scatole, ma purtroppo devo dargli importanza. 
A voi una domanda: Secondo voi hi prender le parti di Draco per questa relazione-per ora non relazione con Leya? E chi sarà contro?
Voglio le risposte nei commenti qua sotto e vedrò se accettare i vosti consgli o se lasciarvi qualche idea su come procederà la storia. U.U

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Capitolo 14
*** Incubi ***



L’urlo mi arriva alle orecchie come una frustata. Mi metto a sedere sul letto cercando di capire da dove proveniva, anche se saprei dire ad occhi chiusi la provenienza. Infilo in fretta un paio di pantaloni prima di entrare in camera di Leya.
- Draco!- esclama, portandosi una coperta al petto con una faccia stupita.
Alzo gli occhi al cielo.
- Un cavaliere viene a salvarti e tu ti copri? Bontà divina, mi hai spaccato i timpani.- le dico con un sorriso appoggiandomi allo stipite della porta. La vedo cercare di cominciare almeno tre frasi diverse prima di sospirare e guardarsi le mani appoggiate sul grembo.
- Chiudi la porta e siediti.- mi dice con una voce strana. Mi fa quasi paura. Faccio come dice e mi siedo sul pavimento accanto a lei. Le ombre sul suo viso la rendono spettrale, più delle occhiaie bluastre che ha sotto agli occhi e gli occhi che sembrano l’unica nota di colore nella stanza.
- Gli incubi sono cominciati poco dopo la morte dei miei genitori. Vedo sempre la stessa scena: un castello, dei ragazzi armati di bacchette e un serpente  che prende fuoco. Poi arriva quel grosso cane nero tra le fiamme e io non riesco a muovermi, sono come intrappolata. Quando mi balza addosso diventa tutto nero e mi sveglio urlando.-  mi dice tutto d’un fiato. Resto come immobile ad osservarla, con quel corpo da bambina e la faccia segnata dalle preoccupazioni. Potrei baciarla ora, per farle capire che va tutto bene, ma non ci riesco perché non sarebbe il momento opportuno. Mi siedo accanto a lei sul letto e la abbraccio forte prima di staccarmi. Quando faccio per andarmene lei mi prende per mano e mi supplica di restare. Mi accoccolo vicino a lei nel letto e lascio che mi abbracci nel sonno.
- Non so se riuscirò a dormire.- mi dice con la voce rotta.
- Era solo un incubo, se succede qualcosa io sono qui.-  le dico accarezzandole piano i capelli scuri e ribelli.
Il profumo delle coperte è buono, sa di casa.
- Tu hai mai gli incubi?- mi chiede dopo qualche minuto. Fisso per un po’ il buio e la stringo un po’ di più.
- A volte non dormo nemmeno la notte per la paura di immaginare cosa può attendermi nei miei sogni.-
- Cosa vedi?-
- Preferirei non dirtelo.- le dico con dolcezza. Non voglio ferirla o far scoprire la mia vera natura di mago.
- E non urli mai?- mi chiede perplessa.
- Apro gli occhi e mi rifiuto di dormire per continuare gli incubi. – le dico con un’alzata di spalle. Fa caldo qua sotto, ma il contatto con il suo corpo è tranquillizzante.
Ricomincio ad accarezzarle i capelli fino a che il suo respiro non diventa regolare e capisco che si è addormentata. È bella in un modo particolare. Non posso paragonarla alla Granger o ad altre ragazze belle della mia scuola come Astoria, ma è bella a modo suo. Tutti i difetti la elevano migliaia di anni luce dalle altre, che pensano solo alla magia o a trovarsi un buon partito. Quasi mi vengono i brividi ripensando alla Parkinson e alla sua appiccicaggine nei miei confronti. La detesto, l’unico motivo per cui la frequentavo è perché non avevo dei veri amici. So che è una giustificazione debole, ma so di non essere l’unico a fare cose del genere. La Parkinson è simpatica come i mollicci e come me quando sono di cattivo umore.
Quando sento che l’oblio mi sta raggiungendo, c’è già il gramo ad aspettarmi.

ANGOLO AUTRICE:
Finalmente ho pubblicato il capitolo! Per sbaglio l'avevo postata in un'altra FF e chiedo perdono a tutti i miei lettori.
Ringrazio la lettrice che me l'ha fatto notare (chiedo ancora perdono).

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Capitolo 15
*** Green Eyes ***


Apro gli occhi, sentendo il profumo di Leya inondarmi le narici. Sta ancora dormendo , ma è nella stessa posizione di quando si è addormentata. Scosto appena una ciocca di capelli dalla tempia, scoprendo così il viso pallido alla luce del giorno. Le ciglia sono lunghissime e folte anche senza  mascara, la pelle non ha imperfezioni se non una piccolissima cicatrice sotto al mento, mentre gli occhi, quella che a mio parere è la parte più bella del suo viso, sono nascosti sotto le palpebre. La bocca è rossa e carnosa, ora appena dischiusa. La abbraccio cercando di non svegliarla. È fragile, sento i polsi piccoli che mi circondano il collo.
Il gramo , questa notte, non mi ha lasciato in pace.
Il gramo mi ha ringhiato contro, mi ha morso, mi ha fatto sanguinare ferite invisibili.
Nei miei incubi c’era anche mio padre, che mi obbligava di nuovo di fare quel maledetto marchio.
“ o quello, o lei.” mi sibilava, indicando una Leya tremante dietro di lui, legata ad una sedia e lurida di sangue. Ho accettato, sentendo di nuovo quel dolore lancinante e la consapevolezza di essere sporco. Per lei avrei persino ucciso qualcuno, se necessario.
Torno alla realtà, sentendo la ragazza svegliarsi. È bellissima.
La bacio sulla fronte, tirandomi su e stiracchiandomi appena, giusto il tempo per staccarmi un attimo da lei. quando mi giro a guadarla, noto che mi sta fissando sorpresa.
- Niente incubi.- mi dice, con la voce roca di chi si è appena svegliato. La osservo senza capire.
- Da quando tu hai dormito con me, non ho più avuto incubi.- dice di nuovo con un sorriso. Mi appoggia la testa al petto come se fossimo una vecchia coppia.
- Avrei una proposta da farti.- mi dice dopo una decina di minuti circa, sospirando. Sento il mio cuore battere all’impazzata.
- Tra tre giorni ci sarà il ballo della scuola e mi piacerebbe averti come cavaliere. Insomma, Lilia ha Jakob e Anne ci va con un suo amico, quindi volevo chiederti se ti piacerebbe, ecco.- mi propone, cominciando a mordersi il labbro dal nervosismo.
- E me lo chiedi?- le chiedo a mia volta con un enorme sorriso –Certo che ci vengo, scema.-
La vedo sorridere e, posso giurare sull’odio che provo per mio padre, che in questo momento vorrei baciarla. Niente baci appassionati, niente cose sconce o cose infuocate. Un bacio nel senso più casto del termine. Non un bacio carnale o appassionato alla follia: un bacio semplice, labbra contro labbra e i cuori che scoppiano.
So che la sto osservando come un ebete, quindi mi limito a sorridere di nuovo e ad alzarmi dal letto.
Mi avvio con passo strascicato in camera mia, pensando a come potrei vestirmi. Ora mi mandano avanti a T-Shirt, ma mi mancano le mie amate camicie.

- Questa!- esclama Lilia indicando una giacca da uomo nera e troppo grande per me.
- Non credo che sia il mio genere.- le rispondo grattandomi la nuca.
- Anche secondo me.- mi fa eco Jakob ridacchiando. La sua futura dama alza gli occhi al cielo e rimette la giacca al suo posto.
La povera Leya è stata sequestrata e obbligata a provare mille vestiti sotto l’occhio vigile di Anne e Jane.
La prima volta l’hanno fatta uscire con un abito nero dalle maniche a sbuffo che la faceva sembrare appena uscita da un funerale. La seconda con un abito violaceo che la faceva sembrare ancora più pallida. Quando riemerge è vestita normalmente, con un paio di jeans e un abito che tiene ben coperto con la complicità delle amiche.
Mentre pagano mi giro verso Jakob.
- Ti va di fare una passeggiata?- gli chiedo. Non so perché, ma forse la mia voce o il mio sguardo lo fanno accettare. Appena siamo fuori gli chiedo la domanda da un milione di dollari:
- Perché Leya partecipa ad un ballo scolastico se studia a casa?-
Si ferma e mi scruta come se dovesse soppesare bene le parole.
- Non le piace stare in classe. Spesso aveva attacchi di panico e cominciava a respirare come se le mancasse aria.- mi spiega , cominciando a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua- Poi, un giorno, uno degli attacchi non diminuiva. Sempre quello strano boccheggio, gli occhi sbarrati e la pelle che diventava ancora più bianca. Si accasciò a terra e la portarono in ospedale con l’ambulanza. Non venne più a scuola per una settimana prima di decretare con la preside che lei avrebbe studiato a casa, anche se avrebbe fatto le verifiche a scuola come ogni altro.- si ferma , osservando con uno sguardo assente la strada.
- Gli altri non la capiscono. La insultano, la maltrattano e la deridono anche in faccia. Lei è forte e resiste, risponde colpo su colpo; ma non so quanto resisterà. Promettimi che non le spezzerai il cuore.-
- Lo prometto.- gli rispondo, incerto sul da farsi. Lo vedo molto sollevato dalla risposta.
- Come vi siete conosciuti?- gli chiedo, calciando una lattina lontano da me.
- A scuola. Siamo capitati come vicini di banco. Era timida, riservata e le piaceva leggere. A ricreazione si metteva seduta in un angolo con un libro senza parlare con nessuno. Ogni giorno un libro diverso, sempre diverso.- mi dice come se stesse rivangando dei ricordi lontanissimi – poi , un giorno, cominciammo a parlare per caso, lei mi stava spiegando un mito greco che io non capivo e cominciammo a parlare. Semplice, lineare. L’inizio perfetto per l’amicizia perfetta.-
- Siete rimasti solo amici?- gli chiedo con uno sguardo interrogativo.
- Purtroppo sì.-
- Ne eri innamorato, vero?-
- Maledettamente innamorato.-
- E poi?-
- Poi niente. Lei non ricambiava e io stavo sprofondando in un buco nero e buio come la pancia di una balena. Alla fine arrivò Lilia e la mia vita ha fatto un balzo indietro.-
- Bella storia.- commento, non sapendo cosa dire.
- Tu la ami?- mi chiede scrutando il cielo rannuvolato, di un color piombo che preannuncia un temporale.
Non cosa rispondere, all’inizio. La amo? Resto a pensarci. Non ho mai provato una cosa del genere, prima d’ora. Non ho mai scelto di stare accanto ad una persona per vero affetto prima. Scruto il cielo plumbeo prima che le parole mi escano di bocca senza che io riesca a controllarle.
- Certo che la amo.-
Lo vedo sorridere prima di indicare con un cenno le ragazze raggiungerci con un paio di borse bianche e rigide.
E , quando incontro lo sguardo perplesso di Leya, capisco non vorrei vedere altri occhi la mattina appena sveglio, durante una discussione, durante una passeggiata nella neve, nei miei figli. Io ho bisogno di lei.

ANGOLO AUTRICEH:
Come state? Chiedo scusa per l'assenza, ma è stato un po' il caos in questo periodo. Sorry.

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