Supernatural Skills

di Always221B
(/viewuser.php?uid=825614)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La leggenda di Còra ***
Capitolo 2: *** Cene imbarazzanti ***
Capitolo 3: *** Occasioni ***
Capitolo 4: *** Strane relazioni nel centro di Bruxelles ***
Capitolo 5: *** Incontri in campagna! ***
Capitolo 6: *** Saving PEOPLE, hunting THINGS, The family BUSINESS ***
Capitolo 7: *** Notte fantasma ***
Capitolo 8: *** Si torna a casa? ***
Capitolo 9: *** We need you! ***
Capitolo 10: *** Raccontami, Cas. ***



Capitolo 1
*** La leggenda di Còra ***


 Ciao fangirl! Eccomi qua con il mio primo Crossover! Vi avverto che sarà un po' lunghetto, ma spero che vi piaccia, mi sto impegnando  parecchio!
 Finalmente Sher e Jawn incontrano i fratelli Winchester e l'angioletto di Dean :3
 Ship slash, ovviamente, come da copione : Johnlock, Mystrade, Destiel;
 Spero che vi possa interessare, per favore lasciate una recensione anche piccina piccina in modo che possa migliorare!
 Cooomunque, i personaggi purtroppo non mi appartengono, altrimenti sarebbero già state coppie canon.
 Appartengono a Sir Arthur Conan Doyle (anche a Satana e al suo tridente) e ad Erik Kripke. 
 Sì, mi piacerebbe molto possedere ciascuno di quei personaggi.
 Recensite, recensite, recensite! Vi aspetto, grazie dell'attezione!




                     
                                                                   
                           
                            
                           



                                  La leggenda di Còra


                                                                                                                                                                                                                                                                                                Bruxelles, Belgio (UE).
20 dicembre
 
La pioggia non cessava, percuoteva con forza le finestre, mandava in frantumi i vetri.
La porta sbatteva rumorosamente.
Il gelo si infilava in ogni fessura.
La luce dei lampi rischiava la notte, rendendola ancora più spaventosa.
Un rumore inquietante che intasava le orecchie.
Un foglio, lasciato fuori dal sottoscala.
La donna prese in mano la carta stropicciata.
-No!- urlò sua figlia -Mamma, no!
La madre rassicurò la bimba, sorridendole. - Tesoro, l'hai scritta tu?
-E' stata lei.- disse, tremando.
-Chi? - chiese, stranita.
-La bambina nel sottoscala.
 
 
 
 
                                                                                                                    Londra, Inghilterra (UE) .
                                                                                                                    28 gennaio

 
Entrammo a Baker Street, dopo una corsa di due ore.
I capelli impregnati di sudore e il mio corpo che urlava il diritto a doccia e riposo.
Gli occhi di Sherlock esaminavano l'appartamento, con aria indagatrice.
Disse qualcosa di incomprensibile riguardo alla posizione della polvere e al cuscino della sua poltrona che era stato spostato.
Un'ondata di panico passò come un fulmine nelle iridi color cielo. -Qualcuno è stato qui.
-Un criminale?-chiesi.
-No.- disse, con un sorriso malizioso.
Il mio collega, si sedette sulla poltrona, osservando il soggiorno da quell'angolazione. -Un cliente. - annunciò, sollevandosi e andando verso il camino.
Sollevò un telegramma, trionfante.
-Me la leggeresti, John? - mi chiese, con una punta di dolcezza nel tono di voce.
"Caro signor Holmes, le scrivo per una questione insolita che mi sono trovato ad affrontare.
Dopo due settimane di assenza sono rincasato notando che la mia abitazione di campagna era vuota, e che mia moglie e mia figlia erano sparite..."
-Noioso. - mi interruppe.
-"Preferisco tenere il mio nome all'oscuro, perché sono terrorizzato. Lei ha mai sentito parlare della leggenda di Còra? "- continuai.
-Prosegui. - disse il moro, con lo sguardo vispo e attento.
-"Tredici anni fa, nella mia abitazione viveva la famiglia Dilanhwere.
L'uomo, Robert, era un agricoltore molto importante per il nostro villaggio, ma un giorno, improvvisamente assassinò sua moglie, Catherine.
Sua figlia, Còra, che aveva appena otto anni, assistette all'omicidio, e lui la punì rinchiudendola nel sottoscala con i suoi cani da caccia, che la divorarono in tre giorni, dopo una settimana in cui la bimba venne lasciata senza mangiare.
Successivamente venne chiuso in manicomio, e morì misteriosamente.
Io non sono bigotto, non credo alle storie di fantasmi.
Il problema è che la mia famiglia è sparita, il portone ligneo dell'ingresso è chiuso, e la porta del sottoscala spalancata, con i cima una filastrocca.
Secondo la leggenda, essa è una formula: un codice che la riporta tra i vivi, pronta a vendicarsi.
La prego di essere comprensivo e prudente.
Spero  che mi aiuti a trovare la mia famiglia, se è ancora viva.
Le lascio il testo.
Sono rassegnato dalla paura."
-Agghiacciante. - commentai.
-Oh non essere sciocco. E' invenzione pura.
Gli passai la lettera, e lui estrasse un foglio giallognolo.
Bloccai la sua mano con la mia, trattenendolo.
-Andiamo John, non sarai mica superstizioso? -mi domandò Sherlock, sistemandosi la camicia viola.
No, è ovvio che non lo sono. E' che non mi piace giocare con certe cose.
-Mettila via, sono solo sciocchezze. -risposi, indicando la pergamena che teneva tra le sottili dita di marmo bianco.
-Corro tra i prati, nelle selve e nei boschi, - cominciò - il mio nome è il sussurro del vento.
-Sherlock, andiamo. - dissi, non senza rabbrividire.
-Non succederà niente, è solo una filastrocca. Sei un uomo di scienza!- provò a rassicurarmi.
-Sì, è che è sempre meglio non..- fui zittito con un gesto stizzito della mano, e poi dalle sue parole.
-John, se mi interrompi non scoprirò mai la verità. - rispose, fissandomi con l'espressione ovvia del suo sguardo di cristallo.
-Come credi. -dissi, senza pensarlo.
-...L'acqua gelida che bevi dalle cascate. - si interruppe un attimo, mi guardò.
-Sono l'ombra che cammina al tuo fianco, il rumore dei passi che senti nel buio, sono figlia della notte, orfana di luce. -continuò. -Non osare sbuffare.
Aggiunse la frase come se potesse prevedere ogni mio gesto e ogni mia parola.
-Sono alle tue spalle, sono nei tuoi pensieri. Ora che mi conosci non mi puoi dimenticare. Sono Còra, il mio nome non scordare. - concluse.
Sospirai, nel vedere che niente intorno a noi era mutato.
Come diavolo potevo pensare che sarebbe successo qualcosa?
-Interessante. - disse il consulente investigativo, rigirando il foglio ingiallito tra le mani.
-Cosa? - chiesi per l'ennesima volta.
-Ascolta.
Restai per un attimo in silenzio, mentre sentivo solo il battito del mio cuore che martellava, causa della vicinanza del moro al mio fianco.
Stupido.
-Io non sento niente.
-Appunto. - disse, sollevando l'angolo destro della bocca, facendo sbocciare un sorriso.
 
 
 
                                                                          
 
                                                                                                                  Baltimora, Marylande (USA)
                                                                                                                  29 gennaio
 
 
Era una mattinata tranquilla al Winston Coffee, una come tante altre.
Il profumo del caffè e delle brioches appena sfornate riempivano la caffetteria.
Al bancone, un ragazzo dall’aria assonnata, con un taccuino in mano, si guardava intorno, come se fosse stato appena svegliato.
-Hey Winchester! Prendi qualcosa? – domandò, riconoscendo uno dei suoi soliti clienti, anche se gli pareva insolito vederlo a quell’ora.
-Due fette belle grosse di crostata al cacao,  del caffè, e…- gli rispose un uomo dai capelli chiari e gli occhi verdi, lasciando in sospeso la frase.
-Sì? – chiese il cameriere.
-Un frullato alla mela verde. – disse, imbarazzato.
Il ragazzo lo guardò come per chiedersi se fosse serio.
-Non è per me, è per lui. –continuò, indicando un uomo molto più alto di lui di un paio di centimetri, che sedeva ad un tavolino guardando lo schermo luminoso di un computer portatile.
-Ah… capisco! Ora preparo il tuo caffè e il frullato per il tuo compagno. Un attimo e vi porterò l’ordinazione.
-E’ mio fratello. – lo corresse Dean Winchester.
-Oh, pensavo avessi cambiato fidanzato. – rispose.
Dean sbuffò, e lasciò cadere il discorso.
Si chiedeva perché tutti dovessero sempre fare riferimenti alla sua sessualità.
Il biondino si sedette di fronte a suo fratello, poggiando la testa alla morbida poltroncina del bar, guardando fuori dalla finestra.
L’uomo che gli sedeva davanti, Sam, decise, dopo qualche minuto di silenzio di iniziare un discorso che non volevano aprire da settimane.
-Dean, dobbiamo parlarne. – esordì il moro.
-Non c’è niente di cui parlare. – rispose lui, quasi con freddezza.
-Hai trovato la nuova agenda di papà, dobbiamo darle un’occhiata. Trovare un nuovo caso..oppure…
-Non mi muovo di qui senza Cass. – rispose lui, con un tono di acuto risentimento nella voce.
-Castiel tornerà Dean, sta solo parlando con il Grande Capo. – tentò di tranquillizzarlo Sam.
-Sammy, tu non capisci.
-Sì Dean.
Sam sapeva sempre cosa dire, pensò il biondo, ma non poteva comprendere cosa stava succedendo.
Era Castiel, l’angelo caduto che era vissuto tra gli umani come se fosse uno di essi.
Il suo Cass, il suo migliore amico.
Più che un fratello per lui.
-Scusami fratellino…è che.. solo, dobbiamo trovarlo. – disse. – Giuramelo Sammy, dimmi che mi riporterai Cass.
Sam per risposta gli sorrise, e Dean ricordò quando da bambini lo sgridava quasi per ogni cosa, perché era suo fratello maggiore e voleva tenerlo al sicuro. Da tutti, anche da sé.
-Hey… - lo rassicurò – ti ho detto che mi ha chiamata Charlie? – chiese il più piccolo.
Un sorriso si spalancò prepotentemente sul viso del maggiore.
-Le serve una mano. Per un caso. Nel libretto di papà ci sono segnate le coordinate che mi ha dato lei.
Dean sbuffò. – Dove ci porta stavolta?
-Belgio. – rispose lui, elettrizzato  all’idea  di vedere l’Europa.
-Non ci troverà. – disse Dean, preoccupato.
-Che dici? – domandò Sam.
-Cass.
-Vuoi stare tranquillo? È ai piani alti. Non è sparito nel nulla. – tentò il minore, guardando suo fratello che appariva sempre più consumato da un’infuocata disperazione.
-Io non l’ho più visto. Non viene da me quando lo chiamo. – disse il biondo, con una tenacia che a stento si rassegnava.
-Bruxelles. – ripropose Sam. –Domani andremo in Belgio.
-Non senza Cass.
Si faceva sempre come voleva il maggiore. Sempre.
E Sam Winchester era stufo.
Loro sapevano dove si trovava Castiel, e certo, anche lui era preoccupato ma era ora di mettere da parte la situazione.
-Salviamo le persone. Sono affari di famiglia. – continuò Sammy. – E’ quello che facciamo, e che faremo.
-Sì, aiutiamo tutti ma mai quelli che ci stanno vicino. – rispose Dean, in uno scatto d’ira.
Il cameriere si avvicinò, finalmente, ma nessuno dei due fratelli gli rivolse parola.
-Cass lo sa che cosa provi.
Tutto si bloccò in quel preciso moment.
Il tempo si era fermato, e le persone intorno a lui erano immobili.
Era quasi irreale.
-Sa che ci tieni. – continuò Sam. – Credimi, prova lo stesso.
Perché continuava a dire così?
Perché pensava di sapere? No, non lo sa.
E non lo sa neppure suo fratello.
Il maggiore dei Winchester guardò la sua crostata degna di venerazione, ma provò un senso di nausea.
Istintivamente allontanò da sé il piatto, e si alzò di scatto per saldare il conto.
Sam lo guardò, sconcertato dal gesto, senza smettere di bere il suo frullato verde.
Sammy rifletteva sul da farsi, sul come tranquillizzare suo fratello.
Aveva bisogno di Castiel, ora più che mai.

··············
Erano passate un paio d'ore, e Dean sembrava già stare meglio.
Erano appena le dodici, quando, avendo finito la cassetta delle birre decise di mandare un messaggio a Sam per farle comprare, visto che era andato all'alimentari.
l telefono vibrò, aprì le email.
 
"
CharlieMOTHEROFDRAGONS :   Salve femminuccia, mi dai la risposta? Vi sto aspettando. "
 
Dean sorrise, ricordando i stupidi nomi che si erano dati in quel sito.
Pensò che anche la sua amica era da proteggere.
 
"
BABY67 : Hey maschiaccio, dammi le informazioni, domani mattina prendiamo il primo aereo. "
 
"
CharlieMOTHEROFDRAGONS : Moglie e figlia spariscono dalla loro abitazione, resta solo una lettera."
 
"
BABY67 : Che dice?"
 
"
CharlieMOTHEROFDRAGONS : E' una filastrocca."
 
"
BABY67 : Filastrocca?"
 
"
CharlieMOTHEROFDRAGONS  : Una formula."
 
"
BABY67 : Ti prego, non le streghe."
 
"
CharlieMOTHEROFDRAGONS : Fantasmi."
 
"
BABY67  Grazie a Dio."
 
"
CharlieMOTHEROFDRAGONS : Ti chiamo."
 













Spazio note :

Eccomi ancora qui! Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto, o almeno vi abbia in qualche modo colpito!
Lasciatemi un commento, spero che le vostre critiche possano essermi costruttive!
Ciao gente, al prossimo capitolo!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cene imbarazzanti ***


 
Ciao carissimi! Grazie mille di essere stati presenti! Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno lasciato una recensione, quelli che seguono le mie storie o le ricordano!
Eccovi il secondo capitolo di questo crossover, e perdonatemi se non è esattamente il massimo ma è molto difficile per me, sopprattuto perché è il primo!
Vi lascio alle gioie delle mie patatose OTP.
Ship come se piovessero!









                                                 Cene imbarazzanti



                                                                                     Bayonne, New Jersey (USA)
                                                                                              01:11 am
 
Si sentiva così abbandonato.
Senza un’ancora di speranza, tanto meno di salvezza.
Passeggiava con la barba incolta e il trench chiaro macchiato di olio e salsa.
Era caduto, ancora una volta, sapendo di aver nuovamente tradito la fiducia di suo Padre.
L’ennesima rivolta tra angeli lo stava soffocando,  pretendevano di averlo come leader, e lo controllavano costantemente affinché non si rimettesse in contatto con i Winchester.
‘Sono pericolosi Castiel.’ gli aveva detto la sua amica Anna. ‘Non farti coinvolgere.’
Il problema è che ormai stava sentendo quello che aveva sempre voluto provare.
Solo che non era gestibile come avrebbe sperato, o immaginato.
Era immerso nel turbine di passioni e sensazioni che gli umani non smettevano mai di provare.
E poi c’era quello che succedeva quando vedeva Dean.
Che non sapeva cosa fosse, ma era a conoscenza del fatto che era diverso con chiunque altro, ma in fondo era consapevole che era sempre stato così.
Ripensava ancora a quella voce che non cessava di chiamarlo, fino a diventare quasi un sussurro esasperato, fino a bruciare e a marchiarli la mente.
Suono che tintinnava nelle sue orecchie, che gridava con tutto sé stesso qual era la strada che avrebbe dovuto prendere.
Castiel continuava a vagabondare nei vicoli bui e stretti di qualche malsana periferia del Bayonne, alla ricerca di qualcosa che il suo migliore amico aveva lasciato lì.
Davanti a lui, finalmente, il nero brillante della vecchia Chevrolet Impala del ’67 coperto da uno strato di polvere alto quasi due dita.
L’angelo sorrise, soddisfatto.
Aprì la portiera dell’auto e maledisse il fatto che non aveva idea di come si guidasse, nonostante avesse avuto a che fare con altre vetture.
Per l’affetto che provava per il proprietario era spaventato all’idea di rovinarla.
Prese un bel respiro. ‘Dean mi ucciderà.’ Pensò, facendo partire la macchina in modi tutt’altro che convenzionali.
Si sedette e sistemò lo specchietto.
Sarebbe tornato da Dean tra qualche ora, avrebbe rivisto la sua famiglia di cacciatori.
Ricordò la terribile  giornata in cui dovette abbandonarli, per via di sanguinose battaglie tra i suoi fratelli. Il giorno in cui i Winchester dovettero lasciare lì l’autovettura, scappando per l’ennesima volta dalla polizia.
Partì, lasciandosi dietro il New Jersey alla volta di Baltimora, seguendo quella voce che non cessava un attimo di chiamarlo, frustrata.
 
 
                                                                           Baltimora,  Maryland
                                                                                                                                                                                                              Tre ore dopo
 
-Hai preparato tutto, Sammy? – domandò Dean,  dando un’ultima occhiata rassegnata al bunker dove stavano vivendo.
Suo fratello ridacchiava, consapevole che la preoccupazione del maggiore fosse dovuta al suo terrore per gli aerei. –Sì, lo sai. Prendiamo l’auto di Bobby.
-Rivoglio Baby.- rispose lui, tentando di regolare il tono della sua voce.
‘Quelle dannatissime macchine volanti’  pensò.
In effetti gli aerei erano sempre stati il suo incubo.
Giganti ammassi di ferro che pretendono di poter volare.
Non era come farlo con Castiel, con lui era diverso.
-Ok, preso tutto? – domandò, ancora una volta, seduto nella vettura.
-Per l’amor del cielo, metti in moto questa vecchia carretta. – rispose Sam, divertito dall’aria esasperata di suo fratello. –Sono contento, comunque, che tu abbia cambiato idea.
-Non l’ho fatto. – sentenziò l’altro, girando la chiave e mettendo in moto l’arcaico pick-up.
L’autostrada era vuota, solo poche macchine passavano a quell’ora.
Sammy non era abituato ai viaggi in auto silenziosi, faceva strano non sentire la musica rock riempire la vettura. –Ci vorrebbe della musica. – disse infatti.
-Baby avrebbe provveduto. – rispose suo fratello, ripensando alla sua bellissima Impala.
-Carry on my wayward son… -iniziò ad intonare il più piccolo.
-There’ll be peace when you are done…
-Lay your weary head to rest…
-Don’t you cry no more! *
I fratelli si guardarono, sorridendo.
Era la loro canzone, dopotutto. Quella della loro vita, che li avrebbe uniti per sempre.
In un’impercettibile frazione di secondo la scena mutò.
Dean frenò bruscamente, non riuscendo ad evitare lo scontro con un’altra auto.
-Brutto bastardo.- il maggiore scese dalla auto, lasciando suo fratello immobile sul sedile, che fissava l’altro con un certo sconcerto.
Iniziò a correre, raggiungendo l’altra autovettura.
Gli bastò una rapida occhiata per riconoscerla: Baby era di nuovo di fronte a lui.
Ogni graffio, ogni ammaccatura, erano segni della vita dei Winchester.
E ora aveva un faro rotto.
Aveva acciecato baby.
Aprì con rabbia lo sportello, e trovò davanti a sé i due grandi occhi oltreoceano dell’angelo per cui aveva quasi perso la voce.
Se non la testa.
-Bastardo. – ripeté, tirandolo per il trench e facendolo sollevare. –Cosa ti è saltato in mente? – gridò.
-Dean. – lo chiamò l’altro, semplicemente, con il suo solito sguardo stupito, come se si trovasse lì per caso, come se fosse appena stato svegliato.
-Cass. – sussurrò il maggiore dei cacciatori, stringendo il suo migliore amico in un abbraccio che iniziava a fare male.
 
 
                                                                                     Londra, Inghilterra
                                                                                      11:00 am



Era una delle tante mattinate grigie di Londra.
Sherlock giaceva immobile sul divano ormai da un paio d’ore.
Era immerso nel suo mondo, nel suo palazzo mentale.
Il suo telefono iniziò a squillare, due, tre, quattro volte.
Senza che lui paresse sentirlo.
La stanza era immersa nel buio, ma per abitudine ormai riuscivo a distinguere le sue forme, e in particolare quelle del mio inquilino.
Le mani giunte sotto il mento a punta.
La carnagione pallida che brillava come sassolini sotto la luna.
La debole luce proveniente dall’unica finestra gli rischiarava il volto.
Due rughe di espressione sulla  fronte facevano crollare quel moto di perfetta apatia ed indifferenza.
Gli occhi color cielo nascosti dalle folte ciglia.
La sua voce profonda spezzò il silenzio. –John? – mi chiamò, rendendosi conto di essere osservato.
Fu imbarazzante essere colto nell’atto di guardarlo.
Liberò gli occhi gelidi dal peso delle palpebre, e mi scrutò, come se volesse dedurre il corso dei miei pensieri.
Sorrisi, e mi guardai i piedi, tentando di dissimulare la vergogna che stavo provando.
Ringraziai il cielo del buio, perché mi sentivo bollire, e ci avrei scommesso  tutto l’oro del mondo che stavo arrossendo.
Il problema è che con Sherlock Holmes i silenzi valgono molto più di quelle futili parole dette tanto per riempire le assenze di rumore.
Non necessarie, passive, immaginarie.
Ma con il consulente investigativo si vive di sguardi interminabili, palpabili.
‘Devo inventare qualcosa subito’, pensai.
-Ho sentito il tuo cellulare suonare. – dissi. – Non sapevo se te ne fossi accorto.
Fece roteare gli occhi al cielo, quasi deluso -Quando? –  chiese.
-Da un po’. – risposi, sorridendo al pensiero che non se ne fosse accorto.
Si mise a sedere, cambiando posizione. –Devo averlo rimosso. Preferisco i messaggi. – disse, guardando lo sfondo luminoso del suo cellulare.
-Non rispondi? – chiesi.
-E’ Mycroft.
Ridemmo.
-John, stasera andremo ad analizzare la casa.
-Ho una cena con Sarah.
-John, per favore.
Il suono della sua voce riusciva sempre ad ipnotizzarmi.
-D’accordo. – mi arresi.
Il telefono riprese a squillare.
-Rispondi. - disse, mettendomi il rumoroso aggeggio tra le mani.

“Dottor Watson, vorrei parlare con mio fratello.” Esordì la voce del maggiore degli Holmes, dall’altra parte del cellulare.
“Come…?”
“Non sprechiamo tempo. Ho una questione urgente di cui discutere. Gli dica che riguarda l’operazione DWF.*”
Ripetei a Sherlock la sigla.
Lui sbatté le palpebre, sbiancando.
Prese il telefono e salì al piano di sopra, per non farsi sentire.
Mi sedetti sul divano.
Il bisogno di riflettere si faceva sempre più opprimente.
Perché dovevo sentirmi sempre così?
Imprigionato in una gabbia di convinzioni.
Lui si allontanava da me, ogni giorno, ad ogni ora.
Sempre di più, come se avesse deciso per non so quale intuizione di privarmi di sé.
Le sue parole diventarono più fredde, gli sguardi più brevi.
E io restavo seduto lì, a contemplare il vuoto della sua poltrona, con una profonda fitta di disillusione.
Erano mesi ormai, che non riuscivo più a far finta di niente.
E Sherlock non smetteva di allontanarsi, convinto che non mi accorgessi della distanza che stava ponendo fra di noi.
-Una sciagura.- mi interruppe la sua voce in uno strillo degno solo di una vera prima donna.
Mi schiarii la voce. -Ora che succede?
-E se morissi? - continuò, senza ascoltarmi. - Sono in grave pericolo.
Amplificò il pathos del suo monologo con tangibili gesti di disperazione. -Ho bisogno di te, John.
Una preoccupazione folle iniziò a colorarmi il volto, o forse era stata quell'ultima frase, detta nel sussurro folle della paura.
-Che succede?
Il moro non pareva calmarsi, e lo strattonai, finché non mi ritrovai ad un palmo dal suo respiro.
E non mi resi più conto di niente.
Perché era lì, con le pupille dilatate, che accompagnava la mia presa con la sua mano.
Che mi stringeva, pur gridando di essere liberato.
Smisi di impugnare la sua camicia, e lo liberai dalla morsa che avevo creato con il mio corpo.
-La noia mi ucciderà. Tutto ma non la cena con i miei genitori. - disse, con un filo di voce roca.
-I tuoi genitori? -chiesi, perplesso dalla rivelazione. -Un soliloquio così solo per una cena di famiglia?
Lui mi guardò senza dire una parola, con la bocca semi aperta in una smorfia di disgusto e sconcerto.
-Devo venire con te?-gli chiesi.
-Come farei senza il mio dottore? – domandò, avvicinandosi a me.
Ancora una volta lo spazio personale era andato a fottersi, insieme alla razionalità di pensiero.
Giurai a me stesso che non avrei più permesso una cosa del genere.
-Non possiamo andare ad analizzare il probabile luogo del delitto. – sbuffò, come un bambino che fa i capricci.
 
 
                                                                           Londra, Inghilterra
                                                                            07:00 pm
 
La tavola da pranzo era lunga e spaziosa.
Apparecchiata per sei.
Doppi piatti, doppie posate, doppio bicchiere.
Sherlock mi tirò per il polso, sorprendendomi, come se fosse terrorizzato dall’idea di stare solo in mezzo agli altri.
Mrs Holmes sembrava euforica d conoscermi. – Sherly mi ha parlato così spesso e bene di te!
Sorrisi, comprendendo la bugia. – Oh, sono sicuro che Sherly non mi abbia citato tanto frequentemente . – risposi, ricalcando il nomignolo.
Sentii il mio amico strattonarmi la manica della giacca, ma rimanere perfettamente in silenzio, e immobile agli occhi di un osservatore esterno.
Era insolito vederlo così, era e sarebbe stata l’unica volta della mia vita in cui lo vidi  impacciato.
Quella casa era un mondo in cui tutti , o quasi, erano capaci di capire cosa provasse e come.
Pareva si sentisse spiato,  e l’impassibilità del suo sguardo e dei suoi gesti sembrava pian piano sgretolarsi.
Si stava mostrando. E io ero l’unico a rimanerne totalmente incantato.
-Sherly, Myc ancora non è arrivato! – sospirò la donna, ricevendo da suo figlio un moto scortese di ovvietà.
-John caro, accomodati pure sul divano! Ti porto subito delle foto del mio bambino quando era piccolo. – ridacchiò, dirigendosi fuori dalla porta, per poi salire al piano superiore.
-Ehm, Sherlock?
-Mmh?
-Tua madre è convinta che noi..? –tentai di chiedere, lasciando la frase incompiuta.
-Sì, pensa che anche tu sia gay. – sbuffò, visibilmente annoiato.
-Non era quello che intendevo.
-Sì invece. – sentenziò guardando in alto, con evidente stizza e noia.
-…Crede che stiamo insieme? – trovai il coraggio di dire
-Lo pensano tutti, non  fa differenza. –osservò.
-La fa per me. – risposi.
Mi scrutò per qualche istante, aprì la bocca per ribattere a la richiuse immediatamente, senza proferire parola.
Spaventosamente insolito.
-Ultimamente mi stai respingendo. – dissi, riuscendo finalmente a togliere fuori questa questione, che mi soffocava come un palloncino nella gola, impedendomi di respirare.
-Lo sai come sono John. Mi annoiano i vostri discorsi. Talvolta ho bisogno di passare del tempo con menti superiori rinchiuso nel mio Mind Palace.
Sorrisi per la pessima umiltà del mio amico, ma tornai subito serio. –Ti sento.. diverso.
Mi guardò con aria interrogativa, poi sorrise, sollevando l’angolo destro delle labbra. –Cosa vorresti da me, dottore?
-Magari vorrei te.
In quel momento vidi il perfetto palazzo mentale di Sherlock Holmes cadere mattone dopo mattone.
Sentivo il rumore dei cocci che si frantumavano cadendo al suolo da un’altezza così notevole.
Vidi il suo viso mutare espressione, per poi tornare impenetrabile, ancora più del solito.
Marmo: bianco, liscio, immobile.
Non rispose, amplificando la frustrazione di quei silenzi lunghi eternità che non smetteva mai di riservarmi.
-Sherlock, dì qualcosa. – tentai, spaventato dalla sua reazione.
Rimase ancora a guardarmi, ma in quegli occhi di cielo pioveva.
La bocca semi aperta, come se non riuscisse più a  muoversi secondo il regolare ritmo del tempo.
Quello sguardo dal colore indefinito mi fissava, il verdeazzurro che danzava nel ciano e nell’antracite.
Mrs Holmes tornò con il libro delle fotografie tra le mani, me lo consegnò con un sorriso melenso, e poi andò in cucina per finire di preparare le varie pietanze.
Ma suo figlio continuava a non muoversi, a non distogliere lo sguardo.
Lei non sembrò accorgersene..
-Sherlock, ti prego, dimmi qualcosa.  Qualunque cosa.
Iniziava a diventare frustrante, imbarazzante.
-Me? – domandò, con un gli occhi pieni di inconsapevole spavento.
-Sei mio amico, Sherlock, direi il migliore che io abbia mai avuto. – replicai – potresti tornare in te?
L’uomo mi guardò, sforzò un sorriso, un po’ come al solito, e riprese le sembianze marmoree che aveva sempre avuto.
Come se la conversazione tra noi non fosse mai avvenuta.
-Hey? – lo chiamai.
Ma lui non sembrò sentirmi, e seguì i passi di sua madre.
Feci lo stesso.
-Oggi  conosceremo la fidanzata di Myc. – disse Mr Holmes, felice.
Guardai il mio coinquilino, notando che sogghignava.
-Myc? – gli sussurrai, divertito.
L’appena nominato suonò al campanello, entrando con la solita perfetta eleganza britannica.
Tutti attendevamo il suo ingresso, nel corridoio, come se fosse una qualche celebrità.
‘In effetti’, pensai, ‘è il governo britannico.’
L’uomo fece oscillare per tre volte il suo ombrello, prima di decidersi ad appoggiarlo.
Giurerei che fosse triste di abbandonarlo.
-Lei dove sta? – chiese Mrs Holmes, sorridendo, mentre aiutava suo figlio maggiore a levarsi il cappotto.
-Lui. – la corresse Sherlock. –Sei ingrassato, fratellino?
Mycroft Holmes tirò un sorriso. –Sono dimagrito.
-Attento con la cena, non si sa mai quanti chili sei in grado di sopportare. –continuò a stuzzicarlo.
Risi sotto i baffi, sperando di non essere visto, ma tutti si accorsero di me.
Il maggiore entrò, e dietro di lui intravedemmo un uomo.
I capelli brizzolati, grigio biancastri,  gli occhi scuri  e il sorriso caldo e morbido.
Rimasi qualche secondo a bocca aperta, rendendomi conto di chi mi trovavo davanti.
Era uno dei miei migliori amici, e io non sapevo niente.
-Salve Gavin. – esordì Sherlock, ondeggiando.
Non riuscivo a non guardare il suo corpo perfetto.
-Greg. – lo corresse l’ispettore Lestrade.
-Ancora ti fai chiamare così? – domandò il consulente investigativo.
-Oh per l’amore del cielo Sherlock, Gregory non ha inventato il suo nome. –intervenne Mycroft.
-Ah. – il mio coinquilino  sembrò deluso, - non me l’avete mai detto.
Risi, e lui mi guardò. Sorrise. –L’abbiamo fatto. – risposi.
Mr Holmes guardava la scena, insicuro se intromettersi nel discorso. –Oh beh,- riuscì a dire, infine, all’ispettore –spero che almeno a te, tra gli uomini della famiglia, piaccia il football.
Lestrade sorrise, felice di essere stato accettato tanto facilmente da dai genitori dei due più grandi geni che Londra abbia mai visto. –Assolutamente sì.
-Andiamo a tavola!- disse il signor Holmes.
Rimasi indietro, tirando Sherlock –Lestrade e Mycroft? Da quanto lo sapevi?- domandai, sconcertato.
-Come sei noioso John, era lampante. –rispose, saccente.
-Ma no! –protestai.
-Sotto gli occhi di tutti.  –riprese, con tono ovvio.
-Ma Sherlock!
-Cristallino. –continuò, con un lampo di sfida nello sguardo.
-Oh sì giusto. Per te è sempre tutto così ovvio.
Il mio migliore amico sollevò un sopracciglio.
-Era eterosessuale. – tentai di fargli capire la mia perplessità.
Lui rise.
-Cosa? – chiesi, infastidito , come se si fosse beffato della mia di sessualità e non di quella di Greg.
-Bisessuale. –sentenziò, aspettandosi da me una qualche reazione, ma la mia risposta non fu differente dal ‘Ah, giusto.’
-E tu? – mi chiese lui,  mantenendo un sorriso beffardo.
-Finora non ho mai provato attrazione per gli uomini.- risposi, tentando di chiarire una volta per tutte il concetto.
Ed era vero, dannazione. Fottutamente vero.
Fino ad ora.
-E per me? – domandò, confuso.
E’ umanamente impossibile descrivere l’autocontrollo con il quale risi, fingendo che fosse una battuta, per poi dirigermi in cucina per tentare di far diventare normale la mia carnagione.
Ma io conoscevo Sherlock Holmes, e in cuor mio sapevo, e speravo, che non avrebbe lasciato in sospeso la discussione.
Mi seguì, e si sedette al mio fianco.
Mrs Holmes iniziò a riempire i piatti di cibo.
-Mi piace l’autocontrollo dei soldati. – mi sussurrò all’orecchio.
‘Che fa’? Si mette anche flirtare ora?’ pensai.
Mi voltai a guardarlo e risposi : -Non so di cosa parli.
‘Imposizione John Hamish Watson. Non ti serve altro. Hai invaso l’Afghanistan, dannazione.’
Eppure le mie labbra si seccavano e la gola diventava sempre più arida, e per quanto mi sforzassi non riuscivo a smettere di guardarlo nemmeno per un attimo, terrorizzato dall’idea di vederlo ancora andare via.
-Ah no? –mi chiese, tirando ancora la manica della mia giacca da sotto il tavolo.
Aveva dedotto il mio desiderio di un suo contatto.
Non gli risposi, provando a non ascoltare la disperata sensazione che cominciava a farsi strada in me sempre più prepotentemente.
Sentii il riccio poggiare una sottile mano lattea sulla mia coscia sinistra.
Tossii, tentando di ignorare il suo tocco.
Mentre il desiderio di spogliarlo si faceva sempre più esasperato.
E lui l’aveva capito.
Quella vicinanza folle e priva di confini stava logorando il mio buon senso.
Continuavo a guardarlo, lasciando perdere il fatto che tutti, compreso lui, lo stavano notando.
La sua pelle lunare, il corpo aggraziato ed elegante, così alto e caldo, al contrario di ciò che sembrerebbe.
I folti ricci scuri indomabili, come il suo carattere.
Presi un sorso di vino come per poter permettere la fuoriuscita delle parole. –Sherlock che stai facendo?
Il moro sorrise e non rispose, fingendo di ascoltare spazientito il discorso dei suoi genitori.
-Sono così felice che mi abbiate presentato i vostri fidanzati. – stava dicendo la signora Holmes, prima di iniziare un brindisi. –A voi! – brindò, sorridendo ai suoi due figli.
-Non siamo una coppia. – risposi, meccanicamente, senza ormai pensare nemmeno più a quel che stavo dicendo.
Nessuno, tranne Sherlock, ribatté, ma l’espressione divertita di  Mycroft mi fece intuire che lui sapeva.
-Io sento il tuo corpo dire tutt’altro. – bisbigliò il consulente investigativo.
Lo sentii sbottonare i miei jeans.
Tossii, per coprire l’eccitazione che ovviamente il Politico avrebbe notato comunque.
-Oggi tossisci spesso, non starai mica male. –scherzò Sherlock, in un suono praticamente inudibile.
Schiacciai il piede del mio amico, cercando d farlo desistere.
Continuai a schiarirmi la voce, senza mai parlare.
La fame era completamente cessata, ma mi sforzai ad ingerire qualche boccone di cibo, e non solo il vino, necessario per trovare una scusante all’imbarazzo che mi colorava le gote.
-Vedi John, - cominciò –non sarò bravo in queste cose.
-No, per nulla. –affermai, guardando gli altri Holmes e Lestrade alzarsi dalla tavola dopo aver finito il pasto.
-Vi lasciamo soli.  – bisbigliò Mycroft, allontandosi con Greg e il resto della famiglia.
Sherlock lo ignorò -Ma se c’è qualcosa in cui sono imbattibile è la chimica.
-Tu sei pazzo. – gli risposi.
Finalmente trovai il coraggio ti togliergli le mani dalle mie gambe, spaventosamente vicine al mio sesso. –Avrebbero potuto scoprirci.
-Scoprire cosa? – mi chiese, ancora una volta atono.
-Di noi.
Fece uno strano effetto dirlo.
-Nessuno lo saprà. –rispose, impassibile.
-Cosa significa quello che hai fatto? –domandai, disperato.
-Cosa pensi che voglia dire?
 
 


                                                                  Aeroporto,           Baltimora
 
-E’ ora di cena o di colazione? –chiese Cass, guardando un grande orologio davanti  al posto in cui erano seduti attendendo l’arrivo dell’aereo,  che segnava  le quattro e mezzo.
-Spuntino. –disse Dean, guardandosi intorno alla ricerca di un H24.
Castiel piegò la testa di lato, come faceva sempre, e il maggiore dei Winchester lo trovò tenerissimo.
‘Ho davvero detto questo?’ pensò il biondo, sconcertato da sé stesso.
-Quello dovrebbe essere un bar.- disse Sam, indicando un punto ad una ventina di metri da noi.  –Sembra sia aperto, le luci sono accese anche lì.
Cass si guardò intorno e, notando che vi erano molte poche persone, poggiò una mano sulla spalla del suo migliore amico e lo portò poco distante all’ingresso della caffetteria.        
Sam ridacchiò, vedendo Dean e Castiel che in lontananza si sfiorarono la mano.
Quando la coppia si avvicinò con i caffè, trionfante, Sammy fu felice di non essere più seduto da solo.
-Come mai non hai risposto alle nostre chiamate? – chiese rivolto all’angelo.
-Ero sorvegliato. In Paradiso, vi volevano morti. –affermò, scuro in viso.
-Nessun cambio di programma, dunque. –disse Dean, cercando il lato ironico della situazione.
-No, nessuno. –rispose Cass, serio –mi dispiace Dean. Non avrei voluto lasciarti.
Sam rise sotto le basette.
Dean gli sorrise.
-Hey, aspetta.  – disse il più piccolo –non potresti portarci tu? – chiese a Castiel.
-No.- sentenziò il biondo. –E’ stanco, ha fatto un viaggio lungo e le lotte ai livelli superiori l’avranno sfinito. Non ce la farebbe mai.
Il moro sollevò un sopracciglio. 
‘Vuole andare in aereo per non farlo stancare?’ pensò, e risorrise maliziosamente.
-Che c’è Sam? È tutta la sera che fai sorrisini strani. Fai paura. – intervenne Dean, scocciato.
-No, niente. È che sembrate una coppia sposata.
Sammy venne fulminato dallo sguardo del cacciatore  più grande.
Il biondo osservò l’angelo bere il caffè e stupirsi ad ogni sorso, che non sembrava essersi accorto della discussione che stava avvenendo e che lo riguardava.
-Non osare commentare. –Dean sgridò suo fratello minore, che si stava preparando una nuova battuta.
Sam l’aveva capito da subito. Da quando suo fratello sembrò perdere letteralmente la testa.
E fissava quel blu, incapace di essere salvato dalla profondità di quell’abisso.
Il più alto dei Winchester sorrise soddisfatto, guardando il suo computer portatile. –Ok, sono riuscito a prenotare il tuo biglietto, Cass.
L’angelo sorrise. –Dove stiamo andando?
-Belgio. –rispose Dean, prontamente.
-Che succede?
-Charlie ha bisogno di una mano. Un fantasma che a quanto pare non si riesce a catturare.
-I resti? – domandò Castiel, che ormai aveva appreso l’arte della caccia.
-Non si trovano, la rossa sta impazzendo : ha hackerato tutti i siti possibili, ma non ha trovato niente. – rispose Sam.
-Qualche idea? – chiese ancora l’angioletto moro.
-Niente di niente. – intervenne Dean.                  







Spazio note:
Nota1: testo della canzone dei Kansas 'Carry on my wayward son', diventata ormai simbolo della serie di Supernatural.
La traduzione potete trovarla ovunque, questa è quella della strofa che ho citato: 'Non ti fermare figlio ribelle, ci sarà pace alla fine. Posa la tua testa stanca e falla riposare,non piangere più. 
Nota2 : DWF la sigla sta per 'Dinner with family' ovvero cena con la famiglia.



Eccoci qui alla conclusione di un altro capitolo! Spero che vi sia piaciuto, lasciatemi un commento!
Ciao ciao fangirl! E fanboy? D: 
Baci, al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Occasioni ***


Eccomi! Scusatemi per il ritardo ma dire che ho avuto da fare è un eufemismo! 
Spero di riuscire ad aggiornare più in fretta, anzi vi prometto che lo farò u.u
Buona lettura, lasciatemi una recensione anche microscopica per aiutarmi con lo stile e con le idee!
Ciao a tutti, grazie di avermi seguita e di continuare a recensire e a sopportare le mie storie! 













Occasioni


                                                                                                    
                                                                               
                                          Londra, Inghilterra


La cena era stata così imbarazzante che da quel momento in poi rividi i genitori di Sherlock solo in un’occasione.
Purtroppo per me, con Mycroft Holmes non potevo fare lo stesso.
E neppure con Lestrade.
Faceva freddo anche quella notte, il gelo era quasi ingestibile.
I maglioni natalizi non riuscivano a scaldarmi, come neanche il tea.
Nonostante questo continuavo a persistere con entrambi, con la speranza che l’indomani la giornata sarebbe stata anche solo un po’ più calda.
Avevo paura di guardare in faccia il mio coinquilino.
Nonostante lui provasse a gridare e a sbuffare per attirare la mia attenzione.
Sbadigliava. ‘Come sei noioso John.’
Il problema è che proprio non ce la facevo.
Quella notte non andai a letto, rimasi seduto sul divano, al buio, nella speranza di sentire suonare Sherlock.
Erano le tre in punto, quando sentii il suo passo leggiadro e quasi privo di rumore.
La vestaglia blu notte che strisciava sul pavimento.
Osservai la sagoma scura andare alla finestra, con il suo costoso violino.
Poggiò il capo, e iniziò a comporre la melodia più triste che io avessi mai pensato di poter sentire.
Sembrò non essersi accorto di me, ma probabilmente lo aveva fatto.
Mi avvicinai a lui, senza parlare.
Ma perché essere sempre così spaventato da me stesso?
‘Non mi importa niente, nessuno parlerà di noi: non più di quanto già faccia.’ Pensai.
Guardavo quei ricci, quelle spalle nivee.
Provai l’impulso di tirarlo verso di me, rovinando quella melodia dolce e tremendamente triste.
Sfiorai con un dito la stoffa leggera della sua vestaglia, sentendola liscia al tatto.
-Salve John. –sussurrò, smettendo di suonare.
-Non dovevi fermarti. – gli dissi.
Accennò un sorriso. –Forse stava diventando noioso.
-Sherlock.. okay, io non so come dire. – annunciai, tremando.
Mi guardò con un’occhiata rapida, ma Dio solo sa quanto intensa e mirata fosse.
Io sapevo che con quello sguardo aveva letto di me molto più di quanto avessero fatto le psicologhe dopo l’Afghanistan. 
La cosa che mi sconcertò fu che io fui in grado di capire lui.
La fronte corrugata, in un’espressione malinconica, gli occhi intensi che non riuscivano a guardare i miei con la solita tenacia. 
Provava lo stesso, capii. 
E forse lo provava da anni.








                                                                                                                   Bruxelles, Belgio

                                                                                                                      Ore 9:00



Sam non vedeva l'ora di lasciare i suoi due accompagnatori da soli, anche perché talvolta in loro presenza provava imbarazzo.
Charlie era l'occasione perfetta, commentare con la sua migliore amica l'ultimo episodio di Game Of Thrones sarebbe stato un ottimo pretesto.
Anche lui aveva deciso di vedere la serie, ma non aveva abbandonato l'idea di leggere tutti i libri.
La rossa li salutò raggiante, aprendo la porta della sua camera del motel. -Ho fatto bene o no a prenderla tripla? - domandò, sorridendo.
-Siamo in quattro. - la corresse Dean, curiosando nella stanza, anche se in realtà non gli interessava niente dell'ambiente se non un letto ad una piazza e mezzo 
appiccicato all'angolo del muro, affiancato alla finestra.
Pensò che sarebbe stato bello sdraiarsi lì.
Gli altri due letti, anch'essi della stessa dimensione si trovavano uno a qualche mentro di distanza, al centro della stanza, e l'altro appena affianco, a pochi passi.
I copriletti erano pesanti e avevano strane decorazioni animalesche.
-Non erano disponibili stanze quadruple. -affermò la ragazza di bassa statura, sogghignando alla vista di Castiel. -Non ci siamo presentati! Io sono Charlie!
-Io sono un angelo del Signore. - rispose l'uomo in trench, con voce pacata e dura.
-Lui è Cass. - disse Dean, coprendo la voce rilassata di Castiel. 
Sam alzò gli occhi al cielo e trovò nello sguardo della rossa un accenno di complicità. 
-Ok, quindi tu e Castiel dormite insieme. - affermò il giovane Winchester.
L'angelo fece spallucce, mentre Dean sembrò strozzarsi con la saliva. -Scordatelo.
-Non ti preoccupare Dean, io posso aspettare. Ho molte più energie di quanto si creda.
Il cacciatore in questione alzò gli occhi al cielo, e con uno sbuffo tentò di coprire il senso di pietà e tenerezza che aveva suscitato in lui la frase detta dal suo
migliore amico. -Dormi con me, ma via le armi angeliche.
Cass lo guardò confuso, senza capire il doppio senso della frase.
-Cazzo amico, hai bisogno di guardare qualcosa dal mio computer.- affermò Dean.
-Usciamo io e Charlie per ora, andiamo a controllare se il quartiere è sicuro, più tardi controlleremo la casa. Vi chiamiamo. - affermò Sammy.
Il maggiore interruppe suo fratello: -Non se ne parla, noi veniamo con voi. Dieci ore di volo sono stancanti per tutti, in più il fuso orario...
-Non dormi da giorni Dean, e Castiel non sembra avere un aspetto più riposato.  -Venne zittito dal tono sfinito e arrabbiato di suo fratello.
L'angelo ne convenne. -Io posso venire. Lui necessita di riposo.
-Anche tu. - sbottò Dean rivolto all'angioletto. 
-Ok, restiamo entrambi qui.
Charlie sogghignò e Sam fece lo stesso. - Vi chiamiamo. - disse la rossa.






       
                                                                                                   Londra, Inghilterra
                                                                                                   Ore 8:00



Aprii gli occhi, infastidito dal freddo lasciato da una finestra inusualmente aperta.
-Mi sembra il momento adatto. - disse Sherlock, sistemandosi il cappotto. -Hai preparato le valige? 
Il mio coinquilino era seduto sul mio letto e sembrava parlare con me da chissà quanto tempo. 
-Che ci fai qui?- chiesi, inquietato.
Lui sbuffò. -Hai preparato le valige? 
-Perché? - chiesi, spaventato dalla sua domanda.
-Partiamo.
-Ok. E comunque mi hai svegliato.
Com'è possibile che non chieda mai informazioni?
-Farà più freddo che a Londra?- domandò, ignorando le mie osservazioni.
-Oh sì sì. - risposi, non sapendo di cosa stava parlando.
Il mio migliore amico parve riflettere un secondo sul da farsi. -Hai fame? Posso preparare qualcosa.
Mi misi a sedere e lo guardai confuso. -Grazie. - risposi, sorpreso dalla dolcezza della sua richiesta.
Sherlock Holmes che fa qualcosa per qualcuno al di fuori di sé.
Ed è meraviglioso, essere tu quel qualcuno.
La figura improponibilmente alta e prestante del consulente investigativo si alzò dal mio letto e abbandonò la camera.
Il mio udito da soldato continuava a non mancare un colpo.
Sorrisi, mentre sentii il passo felpato di Sherlock scendere le scale e dirigersi in cucina.
Sentii il suono dell'acqua che scendeva nella teiera.
Mi alzai dal letto e andai di corsa in bagno per farmi una doccia, constatando di aver sudato parecchio quella notte.
Mi vestii e rimasi a fissare il mio riflesso allo specchio, il viso contratto in una smorfia di disonestà.
La verità è che non mi sono mai sentito più sporco in tutta la mia vita.
Avevo perso la capacità di vedermi e riconoscermi.
In quel momento vidi la mia vita andare in frantumi, perché non desideravo nient'altro che quello che avevo.
Non volevo altro che sentire Sherlock che mi svegliava, preso dall'euforia di una nuova avventura.
Addormentarmi ogni notte cullato dalla melodia dolce del suo violino antico.
La sua voce, profonda, incredibilmente palpabile, afferrabile.
Vedere i suoi occhi spalancarsi quando arriva alla soluzione di un caso. L'indefinito aspetto policromo. 
E le sue espressioni, la sua risata, la sua saccenza e la sua ingenuità. 
La verità è che lui mi aveva letto dentro, e non perché è la mente più geniale che io abbia mai avuto l'opportunità di conoscere.
Mi aveva visto fragile, zoppo e deluso da me stesso, e mi aveva reso forte, abile e sicuro di me.
Mi alzavo la mattina nella speranza di poter dire 'non oggi' ogni volta che ripulivo la mia pistola, nel secondo cassetto della scrivania, nella mia vecchia abitazione.
Bevevo un tea che sapeva di cartone e salvia, e speravo che qualcosa si imponesse e stravolgesse la mia vita.
E l'avevo trovata quella forza, quell'uragano indomabile, leonino; Avevo trovato Sherlock, e Dio solo sa quanto ormai ne avevo bisogno.
Sherlock è come una droga per me.
Fissai ancora la mia immagine nello specchio, e capii che finalmente avevo trovato me stesso.
Uscii dal bagno e presi dai cassetti i primi indumenti che riuscii ad afferrare, e li lanciai senza cura all'interno della valigia grigiastra che tenevo sotto il letto.
Scesi le scale, e già dopo due gradini sentii  l'aroma degli agrumi che riempiva tutto il soggiorno.
Sherlock sedeva sulla sua poltrona, un braccio lasciato penzolare dal bracciolo.
Le gambe lunghe accavallate. 
La camicia bianca, che si faceva difficoltà a distinguere dalla sua carnagione, e i pantaloni scuri.
-Ci ho messo parecchio? - domandai, notando l'espressione annoiata del mio amico.
-Secondo i miei calcoli fra tre minuti il tea dovrebbe raffreddarsi. - rispose lui, pacato.
-Grazie. - dissi, sedendomi nella mia poltrona, di fronte a lui.
Sorseggiai il tea, era dannatamente squisito, e appena finito gli feci i complimenti.
Lui accennò un sorriso, e mi porse la mano con un biglietto aereo.
Provai l'impulso di afferrargli il polso, e lo feci.
Tirai l'uomo verso di me, fino a trovarmelo addosso. 
Avevo dimenticato di misurare la forza.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso, ma poi parve divertito dalla situazione.
Mi venne da ridere rendendomi conto che il mio amico aveva le gambe chilometriche.
Si mise più comodo su di me. 
Non disse una parola, il che mi sconcertò parecchio.
Tuttavia, la situazione mi spinse ancora di più a fare ciò che volevo realmente fare.
Lo tirai per il colletto, in modo tale da non dover vedere il suo viso dal basso.
I lineamenti che sapevano essere delicati e al contempo duri, crudi, spigolosi.
Raggiunsi quel sorriso divertito, che sapeva di tea, l'arancia e il limone che si perdevano nella curva morbida delle labbra.
Continuai a stringerlo, mentre mi accorsi che ormai anche lui faceva lo stesso.
I respiri accelleravano e si spezzavano sempre più rapidamente. 
Il bacio perse ogni connotato dolce e assunse un'immagine sempre più pretenziosa. 
Le sue dita lunghe, gelide e affusolate si infilavano sotto il maglione, mentre le mie gli avevano già sbottonato mezza camicia.
Il mio sguardo ricadde sul biglietto, ormai steso al suolo.
Mi odiai letteralmente per averlo fatto.
-Sherlock?
-Mmh?
-Abbiamo il volo tra un'ora. - dissi, mentre sentivo i suoi baci che scendevano verso la clavicola.
L'idea di avere le erezioni a contatto mi stava facendo impazzire.
Non sapevo se imbarazzarmi  o se lasciarmi eccitare.
-Ce ne sarà un altro più tardi. -rispose, levandomi il maglione grigio.
-Sherlock.. 
-Sta zitto.- rispose lui.









                                                                                                                          Bruxelles, Belgio 
                                                                                                                            Ore 11:00




Charlie aprì la porta di scatto, e sorrise vedendo ciò che aveva davanti.
Sammy spalancò gli occhi, sconcertato, allungò la mano verso il pomello della porta e la richiuse, lasciando sé stesso e la ross chiusi fuori dal motel.
Dean tossì, imbarazzato, mentre Cass continuava a guardarlo senza sapere bene cosa fosse successo.
I due ragazzi erano nudi, e ricordavano come se ce l'avessero stampato a fuoco nella mente, il modo in cui si erano ritrovati in quello stato.


                                                                                                                      Due ore prima



 

-Non capisco perché ci debbano sempre tenere qua come bambini. - sbuffò Dean, rivolto a Castiel.
-Perché siamo più stanchi di loro.- affermò quest'ultimo lasciandosi scivolare nel letto sul quale era seduto il cacciatore.
Allentò il nodo alla cravatta. -Non ricordavo cosa significasse essere stanchi.
Il biondo si sdraiò al suo fianco. -Sei un angioletto scarico, eh?- domandò.
-Dean?- chiese l'altro dopo un lungo silenzio. -Cosa si prova con un bacio?
Il  Winchester lo guardò dritto negli occhioni oltremare, e si rese conto di avere un sorriso ebete.
-E' bello. - disse.
-Sì ma cosa si prova? 
-Dipende, a volte è meccanico, altre è...
Le labbra di Castiel sfiorarono quelle di Dean, in un bacio un dolce, inconsapevole e inesperto.
-Angelico. -continuò il biondo, con un'espressione di puro timore dipinta nel volto.
Cass guardò il suo amico, e si scusò pensando a quanto spiacevole potesse essere stato per lui.
Dean lo afferrò per il trench mettendosi a cavalcioni su di lui.
Lo mise a sedere.
-Dimmi tu cosa si prova. -affermò.
Posò le labbra su quelle dell'angioletto in un'azione tutt'altro che pura e pacata.
Gli occhi blu dell'angelo erano divorati dalle pupille nere.
Cass sorrise e si lasciò togliere il trench e la camicia dal suo cacciatore preferito.
I baci si sparsero, Dean percorse tutto il petto dell'angelo, fino ad arrivare ai pantaloni che sbottonò e abbassò fino alle ginocchia.
Castiel non capì cosa stava succedendo ma sapeva che era tutto perfetto così, e non osava frenare l'uomo che amava.
Con un senso di potenza, riuscì ad invertire le posizioni, e si ritrovò a guardare dall'alto il suo migliore amico.
Dean guardò Cass e sorrise, senza nemmeno  capire cosa stava succedendo. 
Si rese conto che i vestiti bruciavano come se fossero colmi di radiazioni, e il pensiero di vedere l'angelo mezzo nudo lo stava surriscaldando.
Tirò Castiel su di sè, appiattendo i loro corpi privi di vestiti, mentre i morsi e i baci continuavano a non essere gestiti da nessuno dei due.
Un convulso intreccio di corpi.
Non sembravano in grado di capire quel che stavano facendo, agivano semplicemente, spegnendo il cervello.
Senza domande, e senza chiarimenti.




Spazio note:
Ok lo so, non è il massimo ma ci ho provato!
Fatemi sapere che ne pensateee ho bisogno di aiuto!!
Un bacio a tutti, al prossimo capitolo :3


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Strane relazioni nel centro di Bruxelles ***


Ciao a tutti, eccomi ancora qua! Come promesso ho aggiornato prima dell'ultima volta, un ritardo così non è accettabile, lo so, anche perché io per prima muoio quando devo aspettare secoli per leggere qualcosa!
Spero vi piaccia perché ho l'impressione, come al solito, di aver fatto qualche disastro!
Grazie a tutti quelli che mi seguono e mettono la mia storia nei preferiti, o nei seguiti o quant'altro! Grazie di cuore per le recensioni, spero di sentirvi ancora perché mi aiuta molto sentire i vostri pareri per continuare questa storia! 
Comunque sono ancora qui a rompervi un po' le scatole, finalmente i nostri EROI si trovano nella stessa città. 
Pronte a shippare? 








                                    Strane relazioni nel centro di Bruxelles



 
                                                                                                    Bruxelles, Belgio 



Noi non parlavamo mai apertamente della nostra situazione.
Guardavamo in alto fingendo di non avere nulla da dire, e tantomeno da pensare.
Arrivammo in Belgio con qualche ora di ritardo, e Bruxelles era stupenda, illuminata dalle lucine rosse e verdi del Natale.
I mercatini nelle strade rendevano la città accogliente, sembravamo quasi far parte di essa. 
Il mio migliore amico rispondeva stizzito che era noioso girare le bancarelle, perché lui doveva risolvere un caso, e non comportarsi come se fosse in vacanza, e 
inoltre, aggiungeva che i mercatini londinesi erano meglio forniti e più luminosi.
Stretto nel suo cappotto nero e con la sciarpa blu che gli riscaldava il collo, continuava a sbuffare, sperando che qualcuno cadesse a terra, morto, di fronte a lui.
-Troppa tranquillità, John. -affermò, mentre ci dirigevamo in una zona un po' più isolata, nell'attesa di un taxi.
-Non preoccuparti Sherlock, tra poco andremo in hotel e sistemeremo le nostre valige, stasera saremo a visitare la casa. 
-Non so nemmeno perché ho accettato questo caso, mi sta facendo aspettare troppo. -rispose, offeso, come se fosse colpa di qualcosa di inconsistente.
-Io adoro le fiere di natale.- dissi, ignorando le sue ultime lamentele.
-Lo so. - disse, porgendomi un pacchetto scuro. -So che ci tieni a certe cose. 
Il mio migliore amico era di fronte a me, con gli occhi cerulei che mi guardavano. 
-Posso? - gli domandai, prendendogli il polso.
Lui fece una smorfia di disinteresse, tentado di nascondere un sorriso.
Ci sedemmo su una panchina. -Sarebbe il caso di chiamare per telefono? Non mi pare passino spesso dei taxi qui. -dissi, senza lasciare la mano nivea.
Sherlock ritrasse la mano e inviò un freddo e coinciso messaggio a suo fratello. "Bruxelles, taxi : lato est fiera natalizia centrale".
Il freddo rendeva il suo respiro leggermente più pesante, osservava le sue mani come se gli bruciassero.
Probabilmente, pensai, il mio contatto l'aveva infastidito parecchio.
Mise le mani nelle tasche esterne del cappotto, con un gesto insolito.
Fra di noi tutto era muto, nessuno osava dir niente mentre la folla alle nostre spalle gridava, presa dall'allegria tipica delle feste invernali.
Il silenzio è una di quelle cose che fa terrore, perché è il momento in cui il tuo io ti sbatte la verità in faccia, senza cortesia.
Spaventa perché ti costringe a pensare. 
Ti lascia solo, isolato, nonostante attorno a te ci siano miliardi e miliardi di persone.
Quell'immobilità che ti costringe a nasconderla dai pensieri.
Ero consapevole di non essere più quello che ero qualche anno prima, i maglioni e il tea continuavano ad essere gli stessi ma mi sentivo cambiato, diverso.
Ora rimanevo imbambolato di fronte alla figura lunare e snella del mio migliore amico. 
Rimanevo incantato, mentre i riccioli neri venivano scossi dal vento,  si muovevano irregolari, imprecisi, quasi violenti come se graffiassero la bufera.
Sembrò ancora una volta volersi immischiare nei miei pensieri quando all'improvviso affermò : -Noi non stiamo insieme. 
E' indefinito, pensai, il colore di quegli occhi che erano rivolti verso di me ma che non mi guardavano. 
Il celestino abisso del suo sguardo fingeva di osservarmi, ma sbirciava oltre le mie spalle, verso il panorama innevato e poco assolato.
Sentivo un freddo dentro, che nessun altro al mondo avrebbe potuto mai capire. -Lo so. -risposi, mentre temevo che il mio sangue gelasse.
Solo a Baskerville vidi in lui quello sguardo, spaventato, irrazionale.
-Non è così che funzionano le storie d'amore. -affermò, cercando di dare un contegno alla voce che ormai tremolava.  -Non è normale.
-Vieni tu a parlarmi di cosa è normale e di cosa non lo è ? -domandai, sconcertato dalle sue parole.
Ma alla fine mi aspettavo che Sherlock Holmes fosse troppo per aprire il suo cuore ad uno stupido ex soldato.Troppo.
-La chimica non mente John, mi accorgo anche io che il mio corpo e la mia mente mi danno ordini differenti. Pupille dilatate, brividi sulla superfice dell'epidermide.
Questa è chimica, non è l'amore che tu professi. Niente coccole nei caffé, niente viaggi a Parigi nel weekend. Un matrimonio nella casa di un dio al quale non credo? 
Per favore John, non è quello che cerchi. - affermò il mio amico tutto d'un fiato, come se si fosse scottato al non parlare.
-Sei una dannata prima donna, Sherlock! -sbottai, detestando ogni parola che disse.
-Appunto John, cosa ti aspetti da me? - domandò con un accento di disgusto nella voce, come se provasse la nausea ad affrontare ancora il discorso.
-Sherlock...
Le iridi gelide del mio amico erano governate dal nero del foro pupillare. -Tra sei secondi il taxi svolterà da sinistra.- disse, tentando di controllare il tono della sua voce.
La marmoreità dei gesti e del colorito riprese il sopravvento, e il moro si sollevò sistemandosi cappotto e bavero. -Andiamo?-domandò, indicando l'auto appena arrivata.
-Hotel del Nevischio. - ordinai all'autista, che nel silenzio più totale ci accompagnò nella via richiesta.






                                                                                               Bruxelles, Belgio
                                                                                               Shaptar Motel



-Non una parola. 
-Non una parola. - ripeté Sam, osservando il soffitto, senza riuscire a guardare in faccia suo fratello.
-Io e l'angioletto facciamo un giro, okay?-si intromise Charlie, tirando Castiel per un braccio.  
Lo sguardo di Dean scivolò sulla schiena ancora nuda dell'angelo moro. 
Metabolizzò ciò che aveva appena fatto.
-Dean! - lo sgridò suo fratello. -Cass, va a metterti addosso qualcosa. Abbiamo un caso!
L'angelo si vestì in fretta, dimenticando l'adorato trench sul letto del suo migliore amico. La nerd salutò, e uscì con l'uomo.
-Ok Sammy, mi dispiace. Non so cosa mi sia venuto in mente di fare. - Il maggiore iniziò a parlare, soppesando ogni parola come se fosse un macigno.
-Non devi scusarti. - rispose il più piccolo. - Sapevamo tutti di te e Castiel.
-Ma non c'è niente tra me e Cass.- rispose il cacciatore, con una voce meccanica, simile a quella di un computer che ha un solo comando.
Lo sguardo del moro tolse al rockettaro tutta la voglia di ribattere. 
-Mi dispiace, okay? - disse, semplicemente. -Non me l'aspettavo neppure io. 
-Ok, ok, non voglio sapere. Sono solo felice che finalmente stiate insieme. -affermò il più alto, ancora immobile e con gli occhi fissi sul soffitto. 
-Sammy non è la prima volta che mi vedi a letto con qualcuno. 
-No, ma solitamente non è un angelo del Signore. - ribadì ancora sconcertato Sam.
-Non accadrà più. -rispose Dean, rivestendosi. 
-Dean? -domandò, sollevando un sopracciglio diffidente.
-Andiamo Sammy non lo so. Non so cosa mi stia succedendo.- rispose, spostando una tendina della finestra e guardando Charlie e Cass che giravano intorno ad una vettura che Sam aveva appena 
preso a noleggio.
-Ti conosco bene, io so che sei a conoscenza di ciò che ti sta accadendo ma so anche che non vuoi ammetterlo. - disse il minore, guardando indagatore suo fratello.
-Certo Samantha, ne parliamo la prossima volta che ti faccio le treccine guardando piccole donne. -affermò Dean, tentando di fuorviare l'argomento.
Sam sorrise, comprendendo che l'ironia del fratello nascondeva ben altro, e lasciò una pacca sulla spalla di Dean, finalmente guardandolo negli occhi. -Li facciamo rientrare? - domandò.
-Sarà il caso che io e Cass..-cominciò il maggiore, una volta che tutti e quattro si trovavano nella sala.
-Riposiate? - azzardò Charlie, ridendo.
-Andiamo a controllare la casa. -disse il più grande dei Winchester, ignorando l'affermazione dell'informatica.
Sam guardò prima il moro e poi il biondo, senza sapere se fidarsi totalmente di lasciarli andare da soli. -Controllare la casa, miraccomando. 
Charlie rise di gusto. -Mi accompagni al prossimo gay pride Dean?-domandò.
Lui le fece il dito medio, e insieme all'angelo si allontanò verso l'auto.



------------------------------

-Sam non c'è, posso sedermi davanti? -domandò Castiel.
-Hai dimenticato il trench. -rispose Dean, notando che il suo angelo assumeva un aspetto più sexy quando lo indossava.
'più sexy?' pensò.
-Anzi no, lascia perdere non prenderlo. -continuò. 
Cass guardava il suo amico senza capire. -Non capisco Dean, posso sedermi o no? -domandò.
Il biondo fece cenno di sì con la testa e azionò la musica a tutto volume, intonando le note più basse di Highway to Hell.
'Sull'autostrada per l'inferno' disse a sé stesso.
-Cosa siamo noi? -domandò il moro.
-Io sono un umano e tu sei un angelo con le piumette scariche.-rispose Dean, diverito dalle sue stesse parole.
-Le mie ali sono grandi. -rispose Cass, confuso.
-Quanto grandi? -domandò.
-Vorresti vederle? -chiese l'angelo.
Dean spalancò gli occhi, rendendosi conto di stare flirtando con un uomo.







                                                                                                       Bruxelles, Belgio 
                                                                                                       Hotel del Nevischio



Le valige erano più pesanti di quanto potessi ricordare.
Il mio animo da ex soldato mi spingeva a fingere di poter sollevare tale peso per cui rifiutai l'aiuto dell'addetto ai bagagli del Nevischio.
Il consulente investigativo indicò le valige al giovane ragazzo, con un gesto annoiato.
Doveva avere poco più di trent'anni e la divisa rossa sembrava ingiovanirlo di più. 
-Trentatré. -affermò Sherlock, entrando nella traiettoria dei miei pensieri. 
Il giovanotto non udì il mio amico, ma sforzò un sorriso. -Alla reception vi chiederanno di riconfermare la prenotazione. Non si sa mai.
-Hanno disdetto molti ordini di persona? -domandò il mio migliore amico.
-Ultimamente. -rispose. 
-Siamo in campagna, è raro che riceviate prenotazioni. -affermò Sherlock.
-Non è vero! -rispose offeso il trentenne.
-Senti, so di avere ragione. Le tue mani sono troppo curate perché tu possa svolgere questo incarico spesso, eppure nel tuo cartellino c'è scritto che svolgi questo
lavoro da tre anni. L'albergo è piccolo e poco conosciuto, gli strati di polvere sui tappeti dell'ingresso indicano che è raro che qualcuno ci passi sopra, tantomeno con
delle valige... 
-Sei fantastico. -commentai, ammirato. 
Lui bloccò la frase e mi sorrise.
In quel momento giurai a me stesso che per niente al mondo l'avrei fatto allontanare da me.
Il giovane rimase con la bocca spalancata, e indicò al mio 'amico' la reception.
-Holmes. -disse Sherlock al lavoratore di fronte a lui, appena arrivammo nel luogo indicato.
L'uomo aprì i registri cartacei, e sfogliò pagina per pagina lasciandoci attendere parecchi minuti.
-Non finga di avere avuto molte prenotazioni. Holmes, vada sulla H.- continuò il mio amico, stizzito.
L'addetto era un ometto basso e paffuto.
Gli occhialetti sembravano stargli stretti. 
I denti sporgenti, come se fosse sempre pronto a mordicchiare groviera.
Un roditore, pensai, guardandolo.
Ci fissò con i minuscoli occhi grigi e prese la chiave della stanza numero 20.  -Buona luna di miele. -affermò, con ironia.
-Noi non siamo... 
Sherlock prese la chiave, senza dire una parola.
-In luna di miele. -aggiunsi. 
-Avete chiesto una suite. -rispose stranito il receptionist.
-Capisco ora perché non avete molti clienti. Nessuno che riesca a farsi gli affari suoi. -sbottò stizzito il mio compagno. -Andiamo John? 
L'hotel non era esattamente qualcosa che si adattava al mio coinquilino.
Somigliava più ai miei gusti che ai suoi.
Tappeti enormi e decorazioni natalizie ovunque.
I piedi mi facevano male e il pavimento in parquet verdegrigiastro era docile nei loro confronti.
Salimmo una scalinata breve di sei o sette gradini, mentre sollevavo il peso morto della mia valigia.
L'addetto ai bagagli era già sparito da qualche minuto con la valigia retrò di Sherlock e con il suo cappotto.
Il mio amico indossava un completo nero che gli stava come se fosse stato baciato dagli angeli o dalle fate.
Come se gli fosse stato cucito addosso.
Pareva non sentire il peso degli abiti umidi, e tantomeno della fatica della camminata tra le bancarelle. 
Di fronte a noi un ascensore platinato.
Guardai supplicante il mio buon amico, che indicò l'ascensore come per fingere che fosse una sua idea.
-Ha detto terzo piano? - chiesi. 
In risposta pigiò il bottone.
Pochi istanti dopo le piccole porte dell'ascensore si aprirono e l'albergo divenne ancora più carino.
I grandi lampadari erano un po' impolverati, ma l'ambiente lasciava un alone romantico nell'aria.
Il piano aveva tre porte, aprimmo la nostra.
Una stanza molto grande ci accolse.
Il rosso domiava la camera.
Al centro di essa un grande albero natalizio, addobbato di nastri e palline.
-Ci tengono molto a queste scemenze? - domandò il mio inquilino.
-Non sono stupidaggini. -dissi, tastando con la mano il pacco che mi aveva regalato un'oretta prima.
-Sai già cosa è. -disse lui. -E sappi che ho molto più buon gusto di te.
-Non avevo dubbi.- risposi ridendo.
Lo tirai verso il letto. -Anche io ho qualcosa per te.
Il mio coinquilino osservò la mia mano che stringeva il suo polso, con fare indagatore. -Mi stai riservando molte attenzioni ultimamente. -affermò.
Mi spaventarono quelle parole dette con l'ingenuità di un bambino, ma non sapendo come rispondergli mi ritrovai a fissarlo, come se non avessi capito.
-Tutti questi contatti umani, intendo. -disse. -Non pensavo li avresti mai dedicati a me.
-Sherlock.
-E' chimica. -rispose lui, con ovvietà.
Sospirai -Certe cose non si possono razionalizzare.
-Certo che sì. -rispose. - E' basilare.
-Tu proprio non capisci. 
-Sei tu che non riesci a capire. Io non sono come credi, non sono l'eroe delle tue storie. L'hai scritto anche tu. Io sono come una macchina. 
-Io so esattamente che non sei come nel mio blog. Quelle sono solo parole.
-Restano le tue parole. Non è questo che vuoi.
-Tu non sai cosa voglio. -risposi, avvicinandomi a lui al punto che fu costretto ad abbassare lo sguardo per vedermi in viso.
Ci mise pochi secondi per intuire quel che stavo provando, ma dai suoi occhi capii che si sentiva sperduto e terrorizzato.
Mi tirò il polso e io non riuscii a parlare, quasi immobilizzato.
Ci guardammo per un paio di secondi, che sembrarono divorare i minuti e le ore seguenti.
Perché si sa come sono i suoi sguardi, quelli veri, privi di ogni artificio.
Sinceri, combattivi, esplosivi.
-Tieni. -gli dissi, consegnandogli il mio pacchetto. 
Lo soppesò e lo scosse. -E' una maglietta? -domandò stupito.
-Mary mi ha dato una grande idea. -risposi ridendo, pensando alla mia ex moglie.
Lui mi guardò accigliato. -Che cosa c'entra Mary? -domandò con voce impassibile.
-Geloso?- domandai, divertito dalla situazione.
-Certo che no, posso comunque mandare un messaggio ad Irene. -rispose lui, con un tono di sfida nella voce.
-Oppure potresti sbottonarti la giacca. - affermai, cercando un po' dello spirito intraprendente che solitamente circolava nelle vene mie e del mio compagno.
-E buttare quell'orrendo maglione che indossi.
-Non ti piace? - chiesi, affascinato dal gioco di flirt in cui ci stavamo infilando.
-E' decisamente da togliere. -rispose, con la voce profonda e glaciale.
-Mi dai una mano?
-Ti potrei mai lasciare con quel coso addosso?







                                                                                                Bruxelles, Belgio
                                                                                                Autogrill



-Il natale è ormai diventato una festa pagana. -cominciò Castiel, interrompendo il suo amico che cantava le ultime note di Hells Bells.
-Mi piace pensare che non sia così. -affermò l'altro.
-Ci si fanno regali, ma sopratutto si elogia un uomo grosso e rosso che finge di essere San Nicola. 
-E' di quel colore perché riprende il logo della Coca Cola. -rispose Dean, abbassando il volume della musica.
-Cosa è? - domandò l'angelo, confuso.
-Non hai mai assaggiato... cosa?! - chiese sconcertato il cacciatore.
Il Winchester bloccò la macchina, di colpo, di fronte ad un autogrill.
-Sono confuso, Dean. Cosa stai facendo? 
-Ti faccio assaggiare una cola. -affermò.
Parcheggiò la vettura noleggiata da Sam e Charlie, poi scese dall'auto.
Cass lo imitò.
-Non sai cosa ti sei perso. - disse il biondo al moro, mentre entravano nell'autogrill.
Il locale era piccolo, chiazze di olio governavano le tovagliette plastificate dei vari tavolini.
Spruzzi di ketchup e salsa coloravano le pareti bianche, ormai ingiallite dal tempo. 
Si sedettero in un posticino squallido ed isolato dagli altri.
La camicia dell'angelo odorava ancora di impala, e Dean sentiva dentro di sé che era meraviglioso che il moro profumasse dello stesso odore della sua piccola.
Un cameriere sui cinquant'anni, con la schiena inclinata da una leggera gobba, sembrava stanco di lavorare e molto poco attento agli ordini che riceveva.
-Doppi hamburger e cola e due fette di crostata al cacao. - disse il Winchester.
Castiel continuava a guardare il cacciatore con un'espressione confusa, la curiosità non riusciva ad abbandonare il suo viso. 
-Dimmi Cass. - disse il biondo, mentre si sistemava più comodo sulla sedia.
L'angelo piegò la testa verso sinistra, poi la rimise diritta. -Io non capisco, Dean. - affermò, in tono serio e calmo.
Il cacciatore non sembrava essere molto incline ad affrontare un discorso con Castiel, non dopo quello che era successo.
Un alone di imbarazzo colorava l'aria, eppure solo Dean sembrava sopportarne il peso.
Lo sguardo dell'angelo rimaneva pulito, puro, senza il minimo conflitto interiore. 
Cass non sembrava provare rancore o rimorso, pareva semplicemente non capire.
Agli occhi del Winchester appariva come un bimbo ingenuo che lo guardava con gli occhi grandi, chiedendosi come fosse fatto il mondo.
E per Dio, l'aveva baciato.
Quel bambino dal quale certe cose non si potevano aspettare.
-Cosa non ti è chiaro? - domandò Dean, tentando di cercare la normalità nella propria voce.
L'angelo continuava a guardarlo, forse nella speranza di trovare le parole giuste.
Gli ordini arrivarono, e il cacciatore abbandonò la vergogna su una fetta grossa di crostata.
'E' dorata e morbida' pensò, tentando di non sollevare lo sguardo dal piatto, sentendo gli occhi oltremare dell'angioletto che continuavano a fissarlo.
-Dean sembra che tu non voglia affrontare l'argomento - domandò l'angelo, con l'ingenuità che può solo essere attribuita ad un infante.
Dean aprì il panino e lo imbotti di ketchup, lasciando quasi scomparire l'hamburger al suo interno. -Non saprei cosa dirti, Castiel. - rispose, continuando a sfuggire allo sguardo del suo amico.
L'angelo prese il bicchiere colmo di liquido scuro e frizzante e lo annusò.
-Ma mi hai spogliato, Dean. - continuò, confuso, come se temesse di avere un ricordo sbagliato.
Il cacciatore quasi si strozzò con un morso di panino. Bevette un sorso di cola. -Faceva caldo e ti davo una mano, tra amici ci si aiuta.
Castiel inclinò ancora la testa, in un'espressione di pura e totale incomprensione. -Bobby non lo fa con voi. - affermò.
L'espressione sconcertata e disgustata del biondo che aveva scongiurato anche l'apocalisse fece capire all'angelo che aveva chiesto troppo.
-Cass ma cosa dici? Bobby è come un padre come noi!
-Tu hai detto che sono come un fratello per te. Però con Sam non fai così.
-Castiel, pensi troppo. Perché non chiudi le ali? Voli troppo in alto.
-E' squisita, comunque. -affermò l'angioletto, dopo aver assaggiato la bibita.
Il cacciatore sforzò un sorriso. 
Ogni parola sembrava forzata, e si fermava nella gola.
Il silenzio li stava ingoiando in una miscela di imbarazzo e di ansia.
-Quindi non siamo come eravate tu e Lisa? -domandò nuovamente l'unico che non sentiva il macigno della vergogna.
Dean tossì. 
-O come Jessica e Sam. -continuò il moro.
-Tu sei vivo, lei no. - affermò il rockettaro. -E ora fa silenzio, mi piace mangiare in tranquillità.
Cass sembrò offendersi e guardò fuori dalla finestra scorrevole, piena di impronte di mani luride e oleose. 
Il biondo trangugiò il suo cibo, senza fare una sosta tra un morso e l'altro. -Andiamo? - domandò.
Castiel pareva voler tenere il muso, e ci mise una lentezza indescrivibile per alzarsi e sparire con il suo amico fuori dall'autogrill.
-Ci sei rimasto male?- domandò il cacciatore, rendendosi conto che il suo migliore amico continuava ad assumere un atteggiamento offeso. -Andiamo Cass, non fare il bambino.
-Sei tu che mi tratti così. -affermò. -Ho bisogno di capire. Se tu riesci aiutami. 
Dean fece roteare gli occhi e sbuffò. -Hai presente che Renly Baratheon aveva una moglie e poi è andato a letto con Ser Loras Tyrell? ***
-Ma tu non hai una moglie Dean. -affermò confuso l'angelo.
-Non è questo il punto Castiel!
-Ho capito che abbiamo fatto sesso. - disse Cass, con ancora un'espressione poco convita sul volto.
L'uomo rimase di sasso, come se non si aspettasse di sentir uscire parole del genere dalle labbra del suo amico.
-Cosa non hai capito allora? -domandò, irato, mentre si sedevano nella vettura.
-Cosa sono io per te?
L'oltremare che guardava il verde. 
Il Winchester alzò il volume della radio, sperando di dimenticare le parole dette dal suo amico.
'E' una maledetta follia', pensò, premendo il pedale dell'acceleratore.
Cass non aprì più bocca, e guardò fuori dal finestrino.
Nella sua mente un mare di gesti senza significato e parole che gli bruciavano come se non riuscissero più a stare in gola.
Continuò a guardare la strada, tentando di trovare una risposta alla sua domanda perché in cuor suo sapeva che l'uomo che gli sedeva al fianco non gliel'avrebbe mai data.







                                                                                               Bruxelles, Belgio
                                                                                               Hotel del Nevischio



Sherlock era immobile, di una bellezza secolare, pura, pulita.
Fingeva di dormire, mentre i miei occhi si perdevan a guardare la pelle nivea e semitrasparente, che metteva in risalto le vene azzurrine che coloravano il bianco
della carnagione come se fossero state dipinte sul suo epitelio con una delicatezza inimmaginabile.
-Hey. - lo salutai, accarezzando quei ricci morbidi color caffé. 
Dio sa quante volte ho sperato di poter infilare le mani fra quei capelli neri come la notte.
La muscolatura scolpita ad arte, come fosse stata plasmata su un marmo macedone. 
I suoi occhi erano come spruzzi di colore, tinte mischiate ad arte su una tela, pennellate materiche, corpose, fisiche.
Tonalità quasi palpabili, ma misteriose. 
Un mondo nel quale ci si perde troppo facilmente.
Fece un mugolio compiaciuto nel sentire le mie mani che lo accarezzavano.
-Solo chimica, vero Sherlock? - chiesi, ridendo.
Il mio amico sollevò gli occhi al cielo e tirò un lembo della coperta, dandomi le spalle.
Risi ancora.
-Sherlock? - lo chiamai.
-Mmh. -protestò il mio amico, senza muovere le labbra.
Plastificato nel suo nascondiglio.
-Sherlock?
-Mmh?
-Dobbiamo andare. - dissi, mettendomi a sedere.
L'uomo sembrò mutare ancora una volta espressione. 
E pensare che dicono che ne ha solo una, priva di ogni caratteristica.
Si sedette anche lui, e potei notare che sembrava brillare, come illuminato dalla luna. 
Al mio cuore mancò qualche battito, mentre ricordavo cosa stavamo facendo, in che casino ci stavamo immischiando.
-Non abbiamo aperto i regali. -disse, ad un certo punto.
Io sapevo che in realtà non gli importava niente di ciò  che nascondeva il mio pacchetto verde smeraldo.
Allungò il braccio verso il comò e prese i due regali.
Aprì il suo con una straordinaria pacatezza, attento a non rompere la carta, ma spazientito dal doverlo fare.
Gli occhi grandi, come quelli di un bambino, indagavano il regalo prima ancora di averlo guardato.
Tra le sue mani comparve una camicia blu. 
Ricordai che ero con lui e con la mia ex moglie, la prima volta che vidi quell'indumento. 
Era nel negozio dove comprai l'abito per il mio matrimonio.

<> mi chiese Mary, guardandosi intorno confusa.
<> risposi io, indicando il mio migliore amico.
La bionda rise, di gusto, e fece prendere due camice bianche. <>

Dallo sguardo del mio coinquilino capii che aveva ricordato quel preciso momento.
Sherlock era di fronte a me, interdetto, con il suo regalo fra le mani. 
Sorrise, e mi spronò ad aprire il mio. 
Una camicia bianca, Armani. Imparagonabile. -Grazie Sherlock, io non so che dire.
-So già che hai intenzione di coprirla con un maglione. Ho avuto il coraggio di comprare anche quello, almeno non indossi l'ennesimo golfino con le renne. -disse, con un 
sorriso sghembo.
Guardai più a fondo e notai un maglioncino nero in cashmere.  
Lo ringraziai ancora, più felice per la maglia che per la camicia.
Il mio amico si sollevò in piedi, completamente nudo.
Io da vero ipocrita mi imbarazzai, guardando altrove.
Era diverso vederlo così dopo averci parlato seriamente. 
Si vestì. 
Aveva gli occhi fissi su di me mentre indossava la camicia che gli avevo regalato.
Le spalle larghe ma eleganti che venivano coperte dalla leggera stoffa bluastra. 
Furono interminabili i secondi che ci mise per abbottonare la camicia.
E ancora di più quelli per stringere i polsini. 
Una meraviglia, uno spettacolo puro.
Un'esplosione di colori su un foglio immacolato.
Mi resi conto di starlo fissando con la bocca leggermente aperta, bloccando la salivazione. 
Mi vestii anche io, ma molto più in fretta, vergognandomi del fatto che il mio aspetto non fosse perfettamente britannico come il suo.
Non sono elegante, non sono alto e snello. 
Mi voltai, dandogli la schiena, preso dall'imbarazzo del silenzio e del corpo del mio amico.
Infilai la camicia e il maglione.
Fu quando mi girai per guardarlo finalmente in volto che mi sentii folgorato dal suo sorriso magnetico che mi studiava, consapevole di ogni pensiero che aveva 
attraversato la mia mente.
-Andiamo?- domandai, tentando di ignorare tutto.
Sherlock si mise il cappotto e lo strinse nel suo corpo perfetto, abbracciato dal nero impeccabile. 
La sciarpa blu notte che ci stava così bene con la camicia che gli avevo regalato, che risaltava il pallore beato della sua pelle.
'In paradiso hanno perso un angelo. ' pensai.

























Spazio note :D

Ok, non ho resistito e ho fatto un riferimento a Game Of Thrones, come avevo già accennato i personaggi seguono la serie (esattamente come nel canone)!
Beh che dire, spero vi sia piaciuto anche questo mio piccolo mostriciatolo di capitolo, lasciatemi un commentino! Tutte le critiche sono, come sempre, ben accette! 
Al prossimo capitolo, ciao patate!




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Incontri in campagna! ***


E che cavolo! Su questo capitolo ci ho decisamente sudato sopra quindi vi prego non siate cattivi ahahahah!
Molto probabilmente farà schifo (sì lo fa, ma ormai non sapevo più come fare per provare a renderlo almeno un po' più carino). 
Spero che non vi venga da vomitare D: 
Lasciatemi una recensione, più vado avanti con la storia più ne necessito x.x
Grazie a tutte voi che commentate, leggete e preferite (o ricordate o seguite) questa storia, grazie davvero!
Ora vi lascio finalmente al grande incontro!


PS: vi lascio morire in questi occhioni ;3




                      

                  






                                                                                                          Incontri in campagna




L'odore del caffé arieggiva nell'androne dell'hotel, proveniente dal bar. 
Era un pomeriggio freddo, ma meno di quelli ai quali mi ero abituato.
Il sole pomeridiano tentava di farsi strada nel cielo bianco, squarciando tratti di nuvole e sbucando fuori debolmente.
La porta dell'albergo spalancata, ed io ed il mio amico eravamo pronti per andare finalmente a risolvere il nuovo caso.
Il cappotto gli stava così bene, il bavero sollevato che metteva in risalto gli zigomi marcati che sovrastavano quell'incredibile bocca a cuore, piena e dannatamente morbida.
'Dannazione, non c'entrano nulla le sue labbra ora.' mi ritrovai a pensare.
Erano secoli, a sentir le sue lamentele,che non intreprendevamo un'avventura.
Peccato che nemmeno due settimane prima si fosse beccato un proiettile durante un inseguimento.
Era tutto pronto, e il taxi arrivò spaccando il minuto, alle 15:00 esatte.
Aprii la portiera e mi infilai all'interno della vettura, imitando il mio amico.
Sherlock espose i fatti del caso, ma non perché me ne fossi dimenticato, piuttosto perché aveva bisogno di riflettere ad alta voce.
-Madre e figlia spariscono dalla loro casa di campagna, l'uomo, che era via per lavoro quando è rincasato ha trovato l'abitazione vuota. - cominciò il detective.
-Davanti alla porta del sottoscala era presente una filastrocca. - aggiunsi, sotto lo sguardo indagatore del mio amico.
-Ok, e questa favoletta dovrebbe riportare in vita una bambina che venne assassinata anni prima in quella stessa casa. - aggiunse il mio amico. -Che cosa ridicola.
-Però hai accettato il caso. -affermai.
-Tutti questi fenomenti privi di una vera e propria spiegazione scientifica non esistono. E' lampante che è qualcuno che si spaccia per un fantasma. - continuò Sherlock, 
evidenziando con sufficienza l'irrazionalità del paranormale.
-Non hai una mente molto aperta. - contestai, nonostante sapessi bene che il mio buon amico non si sarebbe lasciato convincere di una cosa tanto infantile quanto i 
fantasmi. 
Lui mi guardò sconcertato, con la bocca semi spalancata, come se la mia risposta l'avesse in qualche modo offeso.
-Non posso andare oltre.- affermò il taxista, bloccando la nostra disputa.
Eravamo arrivati in fretta. 
-Perfetto, proseguiremo a piedi. John, pagalo. - disse il mio coinquilino, sistemandosi bene il cappotto e scendendo dall'autovettura. 
Pagai l'uomo e seguii il consulente investigativo. 
Il fisico agile e snello gli aveva permesso in pochi istanti di superarmi di qualche metro.
Osservavo le sue spalle, rendendomi conto di quanto i miei occhi potessero essere beati, in quel momento.
Sherlock seguiva la piccola stradina di ciotoli che, illuminati dal sole, indicavano la strada da percorrere per arrivare alla tanto attesa casa. 
Il mio amico si voltò a guardarmi un paio di volte, sbuffando, come se volesse spronarmi ad aumentare il passo. -Muoviti John. - disse infatti ad alta voce.
Lo raggiunsi dinanzi alla portone dell'ingresso, il legno pregiato ma stranamente rovinato.
-Deve piovere spesso, qui. -affermò il mio amico. -Guarda in che condizioni è la porta d'ingresso.
Bussò un paio di volte, ma nessuno aprì. 
-La loro governante è un'anziana signora che non ha ancora capito da che parte si trovi la porta d'ingresso. -disse Sherlock, con un tono che lasciava intendere un 
sottile disgusto.
-Governante? -domandai.
-Sì John, pensavo che il tuo udito da soldato fosse ancora abbastanza buono. Se ascolti bene si sente che la casa non è vuota, dal rumore dei passi è facile notare
che si tratta di una persona molto lenta perché pesante ed anziana. Perché proprio anziana e non solo sovrappeso? - chiese, guardando la mia espressione concentrata
nell'ascoltare le sue parole.
Mi sporsi verso la porta, come per sentire meglio i rumori che il mio amico sentiva all'interno dell'appartamento, ed annuii nel momento in cui li udii anche io.
-I passi di una persona grassa ma giovane hanno un suono che varia da quello di una persona di una certa età -disse, guardando le margherite e le rose del giardino.
Una vecchina aprì il grosso portone di pochi centimetri, timorosa di sapere chi si nascondesse dall'altro lato della porta.
-Chi è? - domandò, con una voce bassa e gentile.
-Sherlock Holmes, e il mio fidato blogger, John Watson. - ci presentò il mio amico. 
Nel viso pieno di rughe della donna si allargò un sorriso leggero, di cortesia. -La stavamo attendendo signor Holmes. -disse.
La signora spalancò la porta, facendo entrare il mio collega, e mi guardò diffidente come se non fossi accetto quanto lui.
-Io non lavoro senza Watson. -affermò Sherlock.
Arrossii, come un dannatissimo quattordicenne.
-Ecco vede, non lo conosco. - rispose lei, infastidita dalla mia presenza.
-Sherlock, aspetto fuori.- dissi al mio amico.
Mi intristiva l'idea di fargli abbandonare ancora una volta il caso, ma nonostante questo rimasi piuttosto seccato dal comportamento della vecchia.
-Non uscire da quella porta. - mi ordinò. -Bene signora...
-Signorina Leninghway. -disse lei, meccanicamente, sistemandosi il vestito impolverato. 
-Signora Leninghway, io non lavoro senza il mio compagno. - si impose, ricalcando l'appellativo 'signora' . -Constatato il suo rifiuto può anche dire al suo padrone che non è più un mio cliente.
-Mi perdoni. Entri pure. - disse la donna grassoccia, rivolgendosi a me.  
'Sul serio?' pensai.
-Perfetto.-annunciò il mio buon amico, tirandomi per il maglione nuovo. -Vieni qua. -sussurrò. 
Sherlock tolse dalla tasca la sua lente portatile, esaminò con attenzione ogni centimetro della casa, immerso nel suo famigerato palazzo mentale.
-E' ricco. - affermò, parlando del nostro cliente. 
Io guardai stranito il mio coinquilino, poi riguardai la casa, sconcertato dall'aspetto povero. -Non sembra. - affermai.
-Tu guardi ma non osservi. Ha molti dipendenti, una governante, un giardiniere, una donna delle pulizie e una babysitter.  -disse, in un sol fiato.
-Che se ne farebbe se sua moglie era una casalinga? - domandai, non comprendendo il filo del suo discorso.
-Ovviamente lei non è una casalinga. Alle tue spalle, nell'angolo destro c'è una fotografia. Cosa ne deduci? - mi chiese.
Mi voltai, e dinanzi a me vidi l'immagine di un uomo illustre, vestito di tutto punto, come per una festa di gala, al suo fianco una donna di una straordinaria bellezza.
I capelli ricci scendevano morbidi sulle sue spalle, e gli occhi verdi risaltavano grazie al rossetto chiaro. 
La signora teneva in braccio una bimba dal colorito chiaro e i capelli biondi di suo padre, ma gli occhi erano dello stesso verde oliva di quelli della mamma.
-E' una bellissima donna. - commentai.
L'espressione di Sherlock assunse nuovamente i tratti di disgusto, un sopracciglio sollevato. -Come sei superficiale. Le mani John, osserva le mani.
-Sono curate. - risposi, imbarazzato dalla smorfia che aveva assunto la bocca del mio amico.
-Esattamente, manicure e trucco perfetti e coordinati all'abbigliamento. I capelli sono acconciati con eleganza e cura. - disse lui.
-Non è una casalinga. - ripetei le sue parole. 
-Per l'appunto. 
-E come sai dei suoi dipendenti? - domandai, ancora incuriosito dalle sue deduzioni.
-La governante la vedi anche tu, ci osserva come se non stesse capendo una parola di ciò che stiamo dicendo.
-Hey ! - lo bloccò la donna.
Lui le lanciò un'occhiata di rammarico e repulsione, scioccato dall'essere stato interrotto.
-Il giardiniere John, hai visto com'è curato il suo giardino? L' anziana non sarebbe in grado di inchinarsi per curare i fiori, il tocco è esperto e delicato e non 
è possibile che sia stata la figlia, la donna no, non con quelle mani. L'uomo è sempre fuori per lavoro, come egli stesso ci ha detto. 
Rimasi a guardarlo imbambolato, affascinato dall'espressione euforica del suo volto. 
-La donna delle pulizie è presente, basta constatare che in quegli scaffali non è presente neppure un granello di polvere, nonostante la casa sia vecchia e voglia
apparire povera. Non può essere la governante per ovvi motivi. - continuò, indicando la corporatura bassa e grassoccia della signora.
-Fantastico.
-E infine la babysitter John, nel frigorifero c'è un appunto 'Per Christine, Scarlett deve andare al letto alle otto in punto.' - disse Sherlock, entusiasmato dal mio 
stupore. -In conclusione, quest'uomo non vuole tenere privata la sua identità perché terrorizzato da questo mistero ma perché non vuole attirare l'attenzione dei media.
La donna che fino a quel momento aveva taciuto a causa delle occhiatacce di Sherlock decise che era anche per lei il momento di dar voce ai suoi pensieri.
-Dovete semplicemente risolvere un caso, non conoscere la vita privata del mio padrone. - disse, infatti.
Il mio migliore amico sollevò un sopracciglio. -Io non lavoro per i bugiardi. Pretendo di vedere il suo capo, ora.
-E' occupato in questo momento, ritornerà dal suo torneo di scacchi tra quattro ore.
-Sarà il caso che faccia più in fretta, se non vuole risolvere il suo caso da solo. - continuò il mio collega, stizzito e offeso.
-Per l'amor del cielo! - sbuffò la donna, mentre prendeva il suo telefono e chiamava il nostro cliente, e dopo che gli ebbe spiegato la situazione chiuse la chiamata e ci disse che 
sarebbe arrivato entro quindici minuti.
Nonostante ciò il mio coinquilino non pareva soddisfatto. 
-E' solo un quarto d'ora. - tentai di rassicurarlo. 
Passarono dieci minuti nei quali provai in ogni modo a distrarre il mio amico dall'orologio a pendolo presente nel soggiorno.
La signora ci aveva fatto accomodare nella sala degli ospiti, che era più piccola ma molto più accogliente della stanza precedente.
Il divano in pelle era morbido e il corpo del mio amico, affianco a me, era tanto niveo e soffice da confondersi con esso.
Qualcuno bussò al grande portone in ciliegio, e la governante ci abbandonò lì con due tazze di tea macchiate con il latte.
Sentimmo i passi goffi della donna che andava all'ingresso, pronta ad aprire la porta al suo padrone.
Sentimmo due voci che non avevamo mai udito prima, una molto bassa e spazientita, l'altra più acuta ma pacata. 
-Non è arrivato il nostro cliente. Sono uomini troppo giovani. -affermò. -uno è americano l'altro appare privo di accento.
La voce della governante assunse una tonalità più ufficiale, le sue parole divennero più cordiali e distaccate, condusse anche loro nella stanza con noi.
Un uomo dagli occhi blu e i capelli scuri, di una bellezza di quelle che ti fa pensare a qualcosa di inumano. 
L'altro rimaneva un po' più alto, con gli occhi verdi e i capelli più chiari del solito castano. 
-FBI. -disse il biondo, con la voce profonda, mentre mostrava il distintivo a me e ad il mio migliore amico.
Quest'ultimo sollevò l'angolo sinistro della bocca, increspando le labbra in un sorriso divino. -Potrebbe lasciarci da soli? - domandò alla donna, che pareva un mobile, silenziosa
e pronta ad ascoltare qualunque cosa.
-Vorremmo farvi delle domande su quanto è accaduto.. - cominciò il biondino.
-Voi non siete dell'FBI. - affermò il consulente investigativo. -Sul serio nessuno si è accorto che i vostri distintivi sono falsi? - domandò.
Ancora una volta rimasi con la bocca spalancata, innamorato di ogni parola che il mio buon coinquilino pronunciava.
-Non capisco Dean, funziona sempre. - disse l'uomo dagli occhi blu, con una tranquillità nella voce che avrebbe sorpreso chiunque.
-Sta zitto Cass. - rispose l'altro.
-Chi siete voi? - domandai, incuriosito dalla situazione tutt'altro che normale.
-Io sono Dean Winchester e lui è Castiel. - rispose l'uomo dalla voce  spazientita.
-FBI, eh? - chiesi a Sherlock, che sorrise di rimando.
Sapeva che attendevo le sue deduzioni.
-Il portamento è tipico di un uomo che caccia, anche se esattamente non riesco a capire che genere di animali siano le sue prede. Dall'abbigliamento capisco che lei
possiede un solo abito elegante che è stato usato più e più volte, quando utilizza quel distintivo falso, probabilmente. E' naturale pensare che dalla fisionomia del suo
corpo sembrerebbe un uomo atletico e attento alla linea, ma si possono notare delle macchie di ketchup vicino alla tasca interna della sua giacca, odora di fast food, 
e ha delle briciole di pane vicino ai gomiti, non è attento alla linea ma fa spesso lavori pesanti. 
Dal risvolto del pantalone noto delle tracce di terriccio, sembrerebbe uno scavatore, ma quel particolare tipo di terreno è quello tipico dei cimiteri, dunque lei profana le
tombe, considerato che il suo QI non mi sembra dei migliori dubito che lo faccia per scopi scientifici o pratici.  - affermò il mio amico, tutto d'un fiato, in pochi secondi.
Dean Winchester rimase di stucco a guardare il suo interlocutore, con gli occhi sbarrati, quasi spaventato.
-Ah! - sussultò il mio compagno. -Non avevo notato il sangue nel colletto delle sue scarpe, l'emoglobina non ha l'aspetto tipico di sangue umano, tantomeno di animali 
che conosco. Ma non mi diletto sulle varie specie di fauna esistente. Posso prenderne un campione? - chiese, levando dalla tasca un cotoncino sigillato.
-Eccezionale. - affermai, ammirato dalla teatralità dei gesti con i quali accompagnava le sue più brillanti deduzioni.
-Ok, fa paura. - disse il biondo, guardando prima me e poi il mio amico. -Ma lei chi è?- domandò, mentre lo guardava sbigottito che prendeva delle gocce di 
sangue presenti nelle sue  scarpe.
-Io sono Sherlock Holmes e lui è il mio stimato collega, il dottor Watson.
Sherlock non parve più interessarsi al ragazzo dagli occhi verdi, e si volto verso quello dagli occhi color mare.
Fece per aprire la bocca, ma la richiuse. 
Gli occhi spalancati, mentre tentava di intuire qualcosa sull'uomo che aveva di fronte. 
Rimase a guardare quel Castiel per un paio di minuti, ma restò ammutolito, come se fosse incapace di aprir bocca.
-Lei ha zittito Sherlock Holmes?!- mi venne spontaneo dire, senza che riuscissi a mordere la lingua prima di far uscire le parole.
Il mio buon amico mi guardò, e mi sentii totalmente ignorato.
-Che ci fate qui? -domandò il mio collega, tentando di dissimulare il senso di vuoto che traspariva dai suoi occhi.
-Indaghiamo.  - affermarono i nuovi arrivati.
-Bene, siamo in quattro. - dissi io, tentando di rientrare nel discorso. 
Il mio amico non mi rivolse lo sguardo neppure per un istante. 
Non so come facessi a mantenere la calma sempre. 
"Bisogna essere pazienti, John." mi ripeteva la mamma, quand'ero piccolo. 'E' con la pazienza che risolverai tutti i tuoi problemi.'
A distanza di anni continuavo a sentire le parole di mia madre, soprattutto di fronte ai comportamenti assurdi del mio migliore amico.
'Devi solo stare calmo, ok?' non riuscivo a smettere di ripetermelo, mentre il mio coinquilino continuava il suo gioco di deduzioni, osservando Castiel.
Quegli occhi di cielo, macchiati di pioggia e grandine, non cessavano di osservare quelli elettrici del nuovo arrivato.
Un blu così intenso che pareva stringere in una morsa meccanica, fisica, quelli azzurri del mio migliore amico.
Parevano imprigionati in un gioco di sguardi dal quale nessuno dei due aveva intenzione di liberarsi.
Dentro di me sentivo crescere il desiderio di urlare, ma la gola era secca, ed io mi sentivo immobile mentre ogni cosa andava avanti, calpestandomi.
Mentre lui andava avanti, lasciandomi solo.
Continuava a guardarlo, dannazione.
E io non esistevo più.
'Solo noi due, contro il resto del mondo.' pesa le parole Sherlock, prima di pronunciarle.
Abbassò lo sguardo sui vestiti dell'uomo che aveva di fronte, quello dagli occhi oltremare, ma rimaneva insoddisfatto, come se riuscisse a trarne solo semplici e 
futili deduzioni. 
L'altro uomo, invece, Dean Winchester pareva esprimere esattamente quello che stavo provando io.
Era come se mi osservassi dall'esterno.
Lo sguardo fisso sul vecchio tappeto rosso che stava calpestando, l'osservava come se fosse la cosa più interessante che avesse mai visto.
Tutto per non vedere il suo amico fissare il mio.
Sembrava teso, le spalle contratte e gli occhi verdi avevano quell'espressione malinconica che non pareva si adattasse alla sua figura.
I pugni serrati. 
Anche i miei, constatai.
-John, dobbiamo parlare. - la voce di Sherlock mi riportò alla realtà. 
Non riusciva del tutto a distogliere lo sguardo, ma io annuii vigorosamente e lo trascinai per un lembo del cappotto in un angolo della stanza.
-Dimmi. - affermai sottovoce, per non farmi sentire.
-Non riesco a leggerlo, John! - sussurrò.
-E' come Irene? - domandai. 
L'accento marcato della gelosia che pesava sul tono neutro che avrebbe dovuto avere la mia voce.
-E' un'enigma, John. Sai che provo interesse per l'indecifrabile, tranquillo. -affermò, con tono piatto.
-Dipende da che tipo di interesse è. - mi ritrovai a dire, ancora impossibilitato a nascondere il sapore della gelosia.
-Prettamente scientifico. - rispose.
-Dannazione, è tutto scienza per te! -il suono della mia voce si alzò di qualche tonalità e temetti che mi avessero sentito. 
Ma non parve.
-Il sistema solare no. -affermò spazientito.
-Per l'amor del Cielo, Sherl...! 
-Andiamo. -disse, interrompendo la mia frase e indicandomi di seguirlo mentre tornavamo di fronte agli altri due.
Nuovamente i loro sguardi si incrociarono e per Dio, mi sentivo morire. 
Come se il vento dell'Est mi stesse trascinando con sé. 
-Non ci riuscirai.- lo interruppe il biondo. -Non farai con lui il giochetto che hai fatto con me. 
Sherlock parve ricordarsi dell'esistenza di Winchester e lo guardò, serio. -I vestiti sono le nostre impronte digitali. - cominciò. 
Sentivo dentro che mi sarei ancora una volta innamorato delle sue affermazioni.
-Da essi capisco cosa avete fatto, quali sono le vostre abitudini. Capisco chi siete. 
-Mi stupisca ancora. - gli disse Dean, indicando Castiel, che se ne stava zitto ad inclinare la testa di lato con un'espressione confusa dipinta sul volto.
-Ha guidato per ore , tre ore, un'auto che non era la sua e della quale non possedeva le chiavi, è constatabile dal segno sulle mani.
Non può averlo fatto più di due giorni fa perché quel tratto sarebbe meno marcato. Il suo corpo appare stanco, eppure energico. Non fa palestra ma è in forma.
Nel trench sono presenti alcune chiazze di salsa ma non sembra aversele fatte da solo, è più probabile che si sia macchiato in un luogo unto. Forse eravate al fast food insieme per
l'ennesimo appuntamento. 
-Non stiamo insieme. - affermò Dean, ignorando tutto il resto.
Sherlock sorrise. -Ma certo, ti credo.
-Qualcos'altro? - gli domandò il biondo, spazientito.
-Non riesco a leggere di più. -affermò, come se volesse inveire contro sé stesso.
-Cosa sei tu? - chiesi a Castiel, scherzando. 
-Io sono un angelo del Signore. - disse lui, serio. 
-Cass! - lo sgridò il suo amico. -Sta scherzando, ovviamente!- affermò, per poi scoppiare in una risata finta che ci fece quasi paura.
Io e Sherlock ci guardammo, senza capire. 
'Devono essere matti', pensai, continuai a guardare il mio amico e capii che probabilmente pensava lo stesso.










Note:
Eccomi ancora qui a rompere! Spero che il capitolo non sia deludente!
Lasciatemi una piccola recensione se vi va, grazie a tutte! Al prossimo capitolo :)
Ciao ciao ricci :3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Saving PEOPLE, hunting THINGS, The family BUSINESS ***


Hello sweeties, eccomi ancora qui con un nuovo capitolo!
Inutile dire che mi sono ammazzata a scriverlo, forse questo pure peggio degli altri ahahaha D:
Ho fatto la persona gentile, ho messo un po' di fluff, 'cause I need it. 
Grazie mille a tutti voi che leggete le mie storie, che le inserite tra le seguite, le ricordate e le preferite. 
Tante grazie a coloro che recensiscono in particolare, non avete idea di quanto mi aiuti per portare avanti questa storia!
Ora smetto di annoiarvi, vi lascio con Jawnlock e la Destiel, spero che questo capitolo non vi deluda! x3
Ciao ciao dolcezze :3



PS : Non preoccupatevi, anche stavolta vi lascio un'immagine in cui morire :3











                                                                        Saving people, Huntings things : the family BUSINESS






Sherlock sembrava essere stato rapito da Castiel, quasi imprigionato.
Ma quest'ultimo non pareva essere interessato allo sguardo di ghiaccio del mio migliore amico. 
-Volete continuare ancora per molto? Si sta facendo tardi. - esordì Dean Winchester, passandosi una mano fra i capelli biondi. -Angioletto? - aggiunse, spronando il suo collega.
Il mio coinquilino sorrise, sollevando l'angolo sinistro della bocca. -La mia deduzione non era sbagliata, voi state insieme. 
-Se a qualcuno ancora interessa io non sono gay.-affermò il ragazzo dagli occhi smeraldo, con un tono frustrato ma per niente convinto.
Castiel alzò gli occhi al cielo con un'espressione incredula. 
-Non hai idea di quante volte io abbia sentito questa frase, pare che John Watson sia diventato un registratore a furia di ripeterla. - rispose Sherlock, facendomi innervosire.
-Ne abbiamo già parlato, mi pare. -affermai, dopo essermi schiarito la voce. 
Sherlock mi lanciò un'occhiataccia. -Ma certo, John. -disse, freddo.
Sbuffai, facendo roteare gli occhi. 
Il mio collega non ribatté una seconda volta, ma si limitò a guardarmi. 
Mi fissava e io mi sentivo così incapace di alzare gli occhi e ricambiare lo sguardo di quel magnifico azzurro ghiacciato.
Trovai un non quantificabile coraggio per sollevare il capo e rendermi conto che quegli occhi così profondi non avevano abbandonato la loro presa su di me. 
Sarei potuto rimanere un'eternità a perdermi in quel ciano macchiato di carta da zucchero e menta.
La voce di Castiel interruppe i miei pensieri che divagavano in quel mare di sfumature che sono le iridi di Sherlock. -Ora sarai felice John. - affermò, in tono piatto.
Lo guardai confuso. -Che intendi? 
-Avvertivo una sensazione di gelosia. - disse atono. 
Alzai per l'ennesima volta gli occhi al cielo. -Noi non siamo una coppia. - affermai.
Mi sentivo in pericolo, come se il mio segreto potesse essere così visibile. 
Mi resi conto di stare trattenendo il respiro.
-Angioletto, vola basso. Non devi sempre dire ciò che pensi. -si intromise Winchester, poggiando una mano sulla spalla di Castiel. 
Alle parole del biondo sentii di poter far circolare ancora l'aria nei polmoni. 
Sospirai, sollevato. -Abbiamo qualcosa in comune. 
Dean sorrise, mentre Sherlock osservava la situazione, traendo chissà quale deduzione mentre ci guardava con un sopracciglio sollevato.
-Sì. - disse Castiel. -Nessuno dei due sembra in grado di accettare la propria sessualità.
-Per l'amor di Dio! - sbuffai.
-Dannazione Cass, smettila! Chiudi quella boccaccia da angelo. -sbottò Dean.
Sherlock ci fissava incredulo. 
-Pensavo ti piacesse la mia bocca, Dean. - affermò il sedicente angelo, serio.
Dean roteò gli occhi, e mi guardò come se si aspettasse un aiuto. 
Grazie a Dio il rumore del campanello fece cessare l'assurda situazione. 
-Questa dev'essere la vittima. - affermò il biondo.
-Vedo che vi diverte constatare l'ovvio. -affermò Sherlock, che era rimasto fin troppo in silenzio per i suoi standard. 
Sentimmo la vecchia trascinare pensantemente il suo corpo fino alla porta d'ingresso. 
Ci mise un'indecifrabile quantità di tempo, poi gracchiò - Salve signore!
-Signora. - la salutò una voce calma e tranquilla. -Abbiamo ospiti? 
-Oh sì signore. - disse, accompagnando l'uomo nel salotto con noialtri. -Le porto del tea? 
-Caffé. -rispose lui, prima di varcare la soglia della sala.
-Buonasera! - ci salutò. -Io sono il vostro cliente.
Era un uomo basso e tozzo stretto in un elegante completo grigio, che si abbinava ai suoi enormi baffoni e ai capelli tagliati corti. 
-Salve signor conte, io sono Sherlock Holmes. -affermò il mio migliore amico, iniziando con il suo gioco di deduzioni.
Mi rivolse un sorriso, come se non vedesse l'ora di spiegare perché sapeva del titolo nobiliare dell'uomo.
-Ma che diavolo? - chiese, sbalordito. 
-Arthur Brine. E' corretto? - domandò di rimando il mio amico, sempre più intenzionato a rivelargli i motivi della sua scoperta. 
-Sì signore, sapevo del suo genio ma non immaginavo... 
-Come avrebbe potuto? - domandò, con l'ovvietà dipinta sul volto. 
-Ok, basta con questa pagliacciata. Agenti Rose e Cobain. FBI. -affermò Winchester, interrompendo il mio coinquilino e mostrando il distintivo.
Castiel imitò l'amico, e mostrò il documento, ma al contrario. 
-All'FBI interessa il mio caso? -domandò Brine, stupito. 
-Se preferisce parlare con loro posso prendere il primo aereo per Londra. - si intromise Sherlock, visibilmente irritato dall'essere stato messo in disparte.
-Ma signore. - si lamentò allibito il signor Arthur - Non posso parlare con tutti contemporanemanete. 
-Se preferisce la facciamo convocare in centrale. Non avremo difficoltà ad ottenere un mandato di perquisizione. -continuò Dean. 
-Oh no.. la prego. Parlerò con lei e con l'agente Cobain. -affermò l'uomo già terrorizzato dall'opinione dei media.
-Ma si sente? Io sono Sherlock Holmes! - sbottò offeso il mio migliore amico. 
La confusione era tale che non si riusciva più a comprendere niente. 
Un cocktail di voci mischiate. 
Caos. 
Mi voltai alla mia sinistra, in cerca dello sguardo calmo e tranquilo di Castiel, ma quest'ultimo parve essersi dissolto nell'aria.
'Fanculo.' pensai 'nessuno che abbia un minimo di sanità mentale qua dentro.'
'SILENZIO' gridai, con tutta la voce che avevo in corpo. 
Tono e portamento di stampo militare. 
Cessò ogni voce, ogni rumore di sottofondo. -Ora sedetevi. -ordianai, riutilizzando i toni di quando ero ufficiale. 
Il cliente e Dean si sedettero, guardandomi confusi. -TUTTI. -sbottai ancora, nella direzione di Sherlock.
Ques'ultimo mi osservava con la bocca semiaperta, in un'espressione che avrei definito sexy.
'Ditemi che non l'ho pensato.' 
Rimaneva immobile, a fissarmi, come se avesse la malsana voglia di sfidarmi. 
-Sherlock. -grugnii. -Siediti. 
-No. -affermò. 
Lo strattonai con forza per la manica del cappotto, e lo costrinsi a sedersi. 
Sorrise.
'Fottuto Holmes.' 
-Ora resteremo tutti in silenzio, mentre lei, signor Brine, ci racconterà tutto. TUTTO. Non ho intenzione di rifare un altro viaggio per soddisfare i capricci del mio collega.-
continuai, ancora con il solito tono militare.
Sherlock, da vera prima donna, ruotò gli occhi al cielo in modo teatrale, e sbuffò rumorosamente.
-Va b..be..bene. - balbettò il conte, sconcertato dalla mia sfuriata.  - Non c'erano mai stati problemi prima d'ora. 
-Prosegua. - risposi io.
-Come ho già detto ero all'estero per lavoro e al mio ritorno la mia famiglia era scomparsa.
-E lei fin da subito ha pensato che fossero state rapite? - domandò Sherlock.
-E' tutta colpa di quella stramaledetta leggenda, vede. 
-Una leggenda? -si interessò l'agente Rose.
'Che poi Rose e Cobain non erano cantanti?' pensai. 
-La leggenda di Còra. -continuò il mio cliente, sempre sul chi vive. 
-Racconti. - affermò ancora Dean.
L'uomo gli raccontò per filo e per segno ciò che aveva scritto a me e Sherlock sulla lettera. 
-Potrei vedere questa filastrocca? - chiese il biondo, una volta concluso il racconto. 
-Tieni. -disse Holmes, togliendo il vecchio documento dalla tasca interna della sua giacca e porgendolo al ragazzo dagli occhi smeraldo.
-Ok, ditemi che nessuno l'ha letta ad alta voce. -affermò, facendo scorrere lo sguardo sulla pagina ingiallita.
Sherlock continuò a mantenere un'espressione calma e distaccata. -Non ci crederai sul serio, agente Rose. -disse, calcando il nome.
-Dimmi che non sei stato così stupido. -continuò Dean.
Sherlock parve sconcertato e spaventato da quella parola usata contro di lui. 
-Barbarossa. -sussurrò, senza rendersi conto che l'avevo sentito. 
-L'hai letta?! - inveì Winchester, avvicinandosi al mio amico con fare minaccioso.
Feci un passo avanti verso il biondo, pronto a staccargli la testa se avesse osato sollevare un muscolo in direzione del mio migliore amico. -Allontanati. - affermai.
Dean mi guardò confuso, poi si rese conto di stare per attaccare il mio amico. Si allontanò.
-Dannazione, non potete credere a queste cose. -sbuffò il mio coinquilino. 
-Oh Sherlock, te l'avevo detto. - dissi, sconcertato dalla serietà con cui Winchester affrontava l'argomento.
-Sei un uomo di scienza. - mi sgridò Sherlock, guardandomi incredulo. -Non puoi credergli. 
-Perfetto. Ora dovrò controllarvi. -continuò il biondino. 
Sherlock fece per parlare ma lo zittii con un gesto rapido della mano. -E' in pericolo? - domandai.
-Oscilliamo sempre tra la vita e la morte, non è mai stato un problema per te. - rispose il mio amico, offeso dal mio provare a zittirlo. 
-Potremmo essere tutti in pericolo. - affermò Dean. -Dov'è finito Castiel? 
Nessuno di noi rispose, un minuto prima era affianco a me, dopo era sparito nel nulla.
-Cass porta il tuo culo quaggiù. - inveì, contro il soffitto. 
-Ok John,penso che abbia davvero bisogno di aiuto. Sei un medico. - mi disse Sherlock, spingendomi verso Winchester. 
-Dean. -affermai, avvicinandomi a lui. -Va tutto bene? - domandai, poggiandogli una mano sulla spalla.
-Non toccarmi. -ringhiò. -Cass ho bisogno di te, porta subito il tuo culo piumato qua. - continuò, con lo sguardo perso nel vuoto .
Castiel comparve di fronte a noi.
Un secondo prima non c'era e ora era apparso dal nulla, indossando un ridicolo impermeabile beige e poggiando una mano sulla spalla dell'uomo più alto che io avessi
mai visto in vita mia. 
Gli occhi sgranati del mio migliore amico mi portarono a capire che quello che avevo appena visto era vero.
Quel ragazzo dagli occhi blu era apparso dal nulla affiancato da un gigante.
Il conte gridò spaventato.
Io rimasi immobile di fronte alla visione assurda e sconcertante che i miei occhi sostenevano di aver visto.
-Questo è impossibile. -affermai, sconvolto.
Sherlock si mise in piedi, con lo sguardo fisso sui due. -Una volta eliminato l'impossibile, quel che resta, per quanto improbabile, non può che essere la 
verità.
-Voi co.. cosa ...cosa siete? - domandò il cliente, terrorizzato.
-Cacciatori. -affermò Dean. 
Sherlock tremava, lo sguardo perso come durante il caso del mastino.
Si ricompose, guardandomi fisso negli occhi, come per trovare solidità, sicurezza. 
-Avevo ragione allora. - affermò, ostentando la solita sfrontatezza. 
Lo sentii avvicinarsi a me e sfiorarmi il polso.
Il suo contatto mi fece perdere ancora di più il senso dell'orientamento.
-Sì, e hai indovinato anche che non cacciamo la solita fauna. - continuò Dean. 
-Spiegati. - continuò Sherlock. 
-Salviamo le persone. Cacciamo cose. Sono gli affari di famiglia. - dissero i due Winchester all'unisono.
L'uomo alto dai capelli scuri e le basette immense si avvicinò al cliente, vedendolo spaventato a morte. -Sono Sam Winchester. Io e mio fratello le daremo una mano.
'Mantieni la calma John Watson. Hai invaso l'Afghanistan.' mi ripetei.
-Perfetto. - dissi, con un tono pronto e solido, che stupì anche me stesso. -Cosa dobbiamo fare?
-Cacciare. - mi rispose l'infinito uomo. -Abbiamo a che fare con un fantasma.
-Sammy, dov'è Charlie? - domandò Dean, rendendosi conto che mancava qualcuno all'appello. 
-Al motel, sta cercando il luogo di sepoltura di Còra Dilanhwere. - rispose Sam, sventolando i capelli mogano. 
-Perfetto. - affermò il Winchester più basso. -Ci serve sale, molto sale, perché è arrabbiato e assetato di vendetta.  E ferro. Avete qualcosa di ferro?
-Gli attizzatori nel camino, ognuno ne prenda uno. -disse Castiel, che a proposito a quanto pare era seriamente un angelo.
-Staremo tutti qui. - la voce del signor Arthur tremò. -Ho due stanze degli ospiti. 
-Perfetto. Tu controllerai loro. -disse al fratello indicando me e Sherlock. - Io e Cass ci occuperemo del cliente.
Sam sollevò un sopracciglio.
-Non abbiamo bisogno di una balia.- si intromise il mio coinquilino. 
-Diteci solamente cosa dobbiamo fare. - aggiunsi, dandogli man forte. 
-Charlie mi sta pregando. - disse Castiel, con gli occhi socchiusi. - Non trova il cimitero. 
-Usa il tuo radar angelico! - si lamentò Dean.  -Sam, va ad aiutarla. 
-Cass farebbe più in fretta. - affermò l'altro Winchester.
-Vai con Baby. - continuò il biondo, ignorando le lamentele del fratello.
-Sam ha ragione. - si insinuò Cass. 
-Charlie si sentirà più al sicuro con te, ti conosce da più tempo. - affermò, rivolto verso il gigante scuro. 
-Ma Castiel... 
-Ho bisogno di Cass qui! - sbottò Dean. 
L'angelo capì, e poggiò una mano sulla spalla di Sam, sparendo con lui. 
Winchester abbassò lo sguardo, come se fosse triste.
-Sono qui Dean. - disse Castiel con voce calma e neutra, riapparendo di fronte al cacciatore.




***************** 


"Sembrano una coppia." dissi, ridendo, mentre mi spogliavo, pronto a sdraiarmi. 
"Si potrebbe dire lo stesso di noi. " affermò, serio, Sherlock, sedendosi nel letto,affianco a me. 
"Chi è barbarossa?" gli domandai. 
Mi guardò negli occhi, un moto di spavento che navigava nell'azzurro di quegli occhi color cielo.  
Si tolse la camicia, e sbottono i pantaloni, togliendoli. 
Continuai a guardarlo, come se attendessi una risposta. 
-Buonanotte John Watson. - sospirò, sdraiandosi. 



                                                                                                                                              Due ore più tardi




Granelli di polvere svolazzano nell'aria, volano e si posano su una poltrona in pelle nera, vuota. 
Le tende abbassate, e il buio che mi avvolge, stringendomi e soffocandomi.
La scena muta, mi ritrovo in piedi, di fronte all'ospedale, scendo dal taxi.
Sono così arrabbiato, hai provato ad allontanarmi ancora, come sempre.
Il mio cellulare che squilla.
Le tue parole. Quelle maledette frasi.
Quel tono di voce, basso, che mi ha ferito più dei proiettili in Afghanistan.
Nessuno mi convincerà mai che tu mi abbia mentito. 
Nessuno. 
Allunghi la mano, come per stringere la mia, protesa a veramente troppi metri di distanza.
E poi ti butti giù, sfidando la fisica.
Mandato a fanculo quello che sto provando. 
Ignorando il fatto che continuo ad urlare il tuo nome, mentre tu stai volando. 
Mi stai frantumando.
E la gola brucia così tanto, fa così male. 





-John, svegliati.- la voce del mio migliore amico mi riportò alla realtà. 
Mi sentii scuotere con forza, fino a che non aprii gli occhi. 
Lo sentii tirarmi su, per il braccio. 
-Stavi gridando. -disse, guardando fisso i miei occhi blu. 
Lo strinsi così forte che probabilmente lo stavo soffocando. 
-Va tutto bene, John. - mi sussurrò, vicino all'orecchio, mentre sentivo i brividi inondarsi sulla pelle. 
-Non farlo mai più. - risposi, ripensando al sogno. 
Lui parve capire. -Mi dispiace. 
Ricordo come se fosse ieri il suo falso suicidio, e non faceva altro che essere il mio incubo ricorrente. 
Perché la mia mente voleva punirmi ogni giorno, voleva farmi soffrire ancora e ancora. 
-Due anni. - dissi, sentendo il dolore forte come quando aveva allungato una mano verso di me, qualche istante prima di buttarsi giù. 
-Sono qui, John. - sussurrò ancora, ricambiando la stretta del mio abbraccio. 





********************************************

-Dormi pure Dean. - disse Castiel, sedendosi al bordo del letto.  -Sei rimasto tutto il tempo a fissare il soffitto. 
-Almeno non guardavo quel sensitivo pazzo. - gli rispose il biondo, innervosito. 
-Io non ho fatto niente, era lui che non smetteva di osservarmi. - continuò piatto l'angelo. 
-Come poteva smettere di guardare questi dannati occhi? Sono così blu. - sbottò Dean, stringendo il volto di Cass tra le mani. 
Quest'ultimo non capiva se il suo cacciatore preferito lo stesse sgridando. 
Inclinò il capo di lato, a destra, con un'espressione confusa. 
-Sei geloso, Dean? - chiese, provando a trarre le sue conclusioni. 
-Geloso? Io ? Ma per favore! - gli rispose, tentando di tenere un tono di voce calmo. -Ti ripeto angioletto, vola in basso. 
-Allora non capisco perché ti comporti così. 
-Non mi comporto in nessun modo. 
-Se ti interessa io e Sherlock non abbiamo avuto uno scambio di effusioni. - disse ancora l'angelo, atono.
-Sherlock? E' questo che è? SHERLOCK. Non sapevo foste così amici. -continuò ad inveire il biondo. 
Cass si passò una mano fra i capelli color caffé, scompigliandoli ancora di più.  
-Dean. - lo chiamò, semplicemente.  
-Cosa? - chiese, ancora offeso. 
-Non mi importa niente di quell'inglese. -affermò Castiel, sperando di vedere il suo amico sorridere e non guardarlo come se volesse ucciderlo. 
-Sai quanto importa a me invece! - continuò l'altro, come preso da una crisi isterica. 
-Non ho fatto niente. - rispose l'angelo, sollevandosi dal letto.
Passeggiò nella stanza, in attesa che il ragazzo che amava si decidesse a darsi una calmata. 
Cercava di trovare una soluzione, lasciando vagare gli occhi oltremare nel vuoto.
Dean pareva non calmarsi.
Era seduto sul letto, gambe incrociate e gomiti poggiati sulle ginocchia. 
Fissava il suo angelo, come se sentisse il bisogno fisico che l'altro gli desse una spiegazione. 
Castiel si sedette nel letto, di fronte all'amico. -Puoi guardarli tu i miei occhi se ti piacciono. - disse, ingenuamente, sbattendo le ciglia per la prima volta.
Come se lui ne avesse bisogno.
Il biondo provò a rispondergli male, ma si perse in quello sguardo dolce e profondo. 
-Vaffanculo Cass. - disse, tirandolo per la cravatta, finché non si sfiorarono il naso, e i loro occhi erano così vicini che gli smeraldi e i zaffiri formavano un unico gioiello.
Le labbra dell'angelo erano screpolate e asciutte, le umettò passandoci la lingua sopra. 
Dean non esitò a catturarle tra le sue, abbandonandosi ad un bacio dolce. 
Castiel lo strinse a sé, baciandolo avidamente, sempre più bisognoso del suo cacciatore. 
Si sentiva la sua fottuta preda. 
Incastrato tra le braccia dell'uomo che amava. 
Dean accarezzò i capelli scuri dell'angelo, mettendolo sotto di sé e facendogli poggiare la testa su un morbido cuscino. 
Continuò a stringerlo e a baciare quelle labbra morbide, ormai arrossate. 
-Aspetta. - disse, staccandosi un secondo per respirare. -Io respiro Cass. - rise.
Riprese il bacio, mentre l'angelo gli stringeva i capelli chiari, e gli mordicchiava il labbro inferiore, preso da una frenesia tutt'altro che angelica.
Il biondo iniziò a spogliare abilmente il suo compagno, togliendoli i vestiti che diventavano ad ogni bacio più fastidiosi.
Non erano altro che stoffa ruvida che si incollava alla pelle e bruciava ad ogni sfregamento dei corpi. 
Le labbra del biondo si spostarono, attraversando il mento e finendo sotto il collo, fino ad inumidire il pomo d'adamo. 
L'angelo portò la desta indietro, e si lasciò baciare dal suo cacciatore.
I baci si sostarono a livello della clavicola, per poi scendere sempre più umidi fin sotto l'ombelico. 
La forza di Castiel prese il sopravvento. 
Dean si ritrovò con la schiena contro il materasso, con l'angelo che assaporava le sue labbra sempre più insistentemente. 
-Qualcosa non va Dean. - disse però, staccandosi forzatamente dal suo amico. 
Il maggiore dei Winchester provò l'estenuante bisogno di sentire ancora il peso del suo angelo sul suo corpo. -Va tutto bene, vieni qui. 
-Qualcuno è in pericolo. - affermò, sollevandosi. 
-Odio questo lavoro. - gli rispose Dean, infilandosi la maglietta e riallacciando i pantaloni.
-Qualcuno ha gridato. 






*****************************************



-Avranno sentito le tue urla e penseranno che sei in pericolo. - affermò Sherlock, rivolto verso di me, che ancora mi riprendevo dall'incubo.








Spazio note:

Eccomi quaa! Ancora vi rompo! Grazie per essere arrivati fin qua! 
Lasciate una recensione anche piccola piccola se vi va :3
Ciao ciao unicorni :3

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Notte fantasma ***


Hola mishamigos! Eccomi ancora qui, con un nuovo capitolo!
Vi ringrazio tantissimo per stare seguendo questa storia e per stare lasciando il vostro parere, che vi giuro è fondamentale per me!
Grazie tantissime!
Oggi sono di poche parole dai, vi lascio a questo capitolo che spero possa piacervi :3
Ciao ciao :3


PS: feels che implodono per le gif qua sotto :3





                                                                                                                                                                   
                                                                  Notte fantasma






La stanza era fredda e le poche coperte non bastavano a scaldare il grande letto ovale nel quale stavo sdraiato accanto al mio coinquilino. 
Non era una casa ricca, quella del signor Arthur, ma era abbastanza grande da poter far alloggiare degli ospiti. 
La grande finestra della stanza era chiusa, le tende scure tentavano di nascondere la luce dei lampioni del giardino, con un certo successo.
Ripresi a respirare con calma, incollato al mio migliore amico, con la testa poggiata sul suo braccio destro.
Razionalizzai di aver urlato, come un cretino. 
Nel cuore della notte, dopo essere quasi stati minacciati da un fantasma, al quale non sapevo neppure se credere. 
Eppure eravamo lì, con il sale a circondare la stanza e con due attizzatoi da camino sul comò.
-Non volevo gridare. - sussurrai, senza neppure rendermene conto.
Da quando in poi ero diventato un completo idiota che non riusciva più a sopportare un incubo? 
Ripetei il mio mantra, che riempiva ogni spazio della mia mente. 'Hai invaso l'Afghanistan'.
Sherlock sembrava marmorizzato in quell'abbraccio, come se non sapesse quando avebbe dovuto allontanarsi, o semplicemente quando avrebbe dovuto riprendere
a respirare.
Sollevai il capo dal suo braccio e lo ringraziai per avermi svegliato.
'Mai più', pensai, 'non andartene mai più'. 
Si scostò delicatamente, e si rivestì, consapevole che non avrebbe dormito. 
Seguii il suo esempio, infilando i pantaloni e la camicia, feci per abbottonarla quando di fronte a me comparve l'angelo.
Feci un passo indietro, ancora una volta sotto shock dal veder apparire 'occhi blu' all'improvviso, dal nulla.
-Va tutto bene? - chiese, senza battere ciglio.
-Sì, solo un incubo. - affermò Sherlock. -Puoi continuare a divertirti con il tuo amico.
Holmes stava analizzando il portamento dell'uomo, meno stabile. 
I suoi occhi si soffermarono sul suo corpo per pochi istanti, nei quali non riuscì a fare a meno di notare i capelli troppo scompigliati, le pupille dilatate, un bottone 
lasciato aperto e  la cravatta storta.
Castiel lo guardò confuso, e se ne andò riempiendo la stanza del rumore di uno strano fruscio. 
-Non arriverà nessun fantasma. -affermò il mio migliore amico.
-Meglio così, no? - risposi.
-Non esistono queste cose.
-E allora perché sei qui?
-Mi sembravi spaventato. - rispose, con tono ovvio.
Sorrisi, pensando a quanto dolce fosse quella frase pronunciata da 'mr faccio solo quello che voglio quando lo voglio'.
-E l'angelo allora? - gli domandai, ancora sconcertato dalla scoperta.
-Non lo so, John. Non riesco a trovare una spiegazione logica.  - affermò, con un certo rammarico nel bellissimo e baritonale tono di voce.
-Allora esistono. Tutte queste cose. Cosa ci facciamo qui? 
-Risolviamo il caso. - rispose, pratico. 
-Non possiamo arrestare un fantasma. 
-Non essere sciocco John, il nostro compito è risolvere il caso, non mettere in manette qualcuno. Non siamo Grant. - continuò.
-Greg. - lo corressi. -Pensavo dovessimo fare giustizia.
Sollevò gli occhi al cielo, annoiato dal mio buon senso -Gavin. - si limitò a dire.
-Greg. - ripetei, divertito dalla sua ostinazione.
-Ne sono piuttosto sicuro, Gavin. -affermò, incredulo.
-Sherlock, Greg! - lo sgridai, alzando gli occhi al cielo.
-Fa lo stesso. - rispose lui, riallacciandomi gli ultimi bottoni della camicia, che non so perché avevo dimentiato di chiudere. 
Il suo tocco mi mandò a morte, come al solito. 



****


-Tutto okay, Cas? - domandò Dean, non appena l'angelo si palesò.
-Solo un incubo. - gli rispose Castiel. 
Il cacciatore guardava il suo angioletto in tranch con uno strano senso di disorientamento. 
Come se non capisse più cosa volesse.
-Ci siamo interrotti per niente. - affermò Dean, sorprendendo il suo amico. 
-Non capisco, ci siamo fermati per un urlo. - gli rispose, guardando confuso il cacciatore.
L'altro alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a resistere a lungo senza guardare gli occhi blu del suo collega.
-Hey angioletto. - lo chiamò, tirandolo verso di se. -Hai la cravatta storta. 
Le mani dell'uomo dagli occhi smeraldo iniziarono ad armeggiare la cravatta di Castiel in modo da fare un nodo più decente. 
-Ero di fretta. - si scusò Cass, come se si sentisse in colpa per non essersi vestito perfettamente.
-Quindi... - cominciò Winchester, non lasciando la stoffa dell'indumento dell'angelo. - è stato praticamente inutile fermarsi. 
-Improduttivo?
-Totalmente, Cas.
-Si può rimediare? - domandò.
Ancora quello sguardo confuso, dannatamente bello, del quale Dean non riusciva, per quanto si sforzasse, a smettere di innamorarsi.
-Direi proprio di sì. - rispose il biondo, rovinando il perfetto nodo che aveva appena fatto alla cravatta dell'angelo.
Quest'ultimo sorrise, godendosi un Dean stranamente disponibile. 
Castiel non riusciva proprio a non essere confuso dalla situazione. 
Amava Dean. 
Era quella connessione strana che aveva con lui, nata nel momento in cui lo aveva salvato dalla perdizione, e alimentata giorno dopo giorno, sotto quello sguardo
smeraldo che lo fissava indagatore.
Ma Dean, no. 
Lui non sapeva accettare certe cose di sé. 
Preferiva nasconderle agli occhi di tutti, cosicché si allontanassero anche dai suoi.
Non voleva vedere.
Non voleva sentire.
Eppure ogni cosa gli gridava che era giusto così.
Basta sforzarsi, tirare avanti con le solite vecchie frasi.
Con i soliti slogan scritti nella mente, con un pennarello indelebile.
Basta con le bruciature, con le cicatrici che fanno male.
Lo capiva ora, anche se l'aveva sempre saputo. 
Da quando l'aveva visto entrare in quel dannato capannone, con il tranch svolazzante e quegli occhi che, per Dio, lo avevano ipnotizzato.
Aveva capito ora che, forse,non c'entravano proprio niente gli anni di eterosessualità che era deciso a buttare nella spazzatura, insieme al vetro.
Perché non c'entrava nulla. Nulla.
Perché per nessuno al mondo aveva provato questo.
Ed era un uomo, quello a cui in quel momento stava fissando le labbra. 
Quello che avrebbe voluto stringere a sé ancora per un altro secolo.
E lui era Dean Winchester, quello che al college non aveva lasciato nessuna gonna al suo posto, quello che non osava lasciarla neppure ora.
Eppure di fronte a lui c'era ancora Castiel, e affondava le mani in quei capelli così scuri.
Ed era un uomo, quello a cui stava togliendo i vestiti. 
Perché forse non c'era nessuno dei suoi anni da buttare nella spazzatura. 
Perché forse non c'entrava proprio niente che cosa fosse Castiel. 
Perché aveva assaggiato quella pelle nivea, e quelle labbra chiare e screpolate.
E voleva morire in quegli occhi, mentre guardava la pupilla che divorava quell'oceano blu.
Perché era da morire.
Bello da morire. 
Ogni secondo, ogni istante, ogni respiro. 
Mentre l'altro gli marchiava la pelle, con piccoli baci possessivi sull'addome e sulle spalle.
Perché si era innamorato del suo tocco, mentre sentiva le sue mani infilarsi nei boxer.
Della sua voce, mentre lo chiamava con un tono roco ed incredibilmente basso.
Del suo sguardo, macchiato di una lussuria peccaminosa che spesso spaventava quell'angioletto. 
Amava il fatto che, per una volta, qualcuno lo proteggesse. 
A costo della sua vita. 
A costo di tutto. 
Amava Castiel.



****




-Non ce la faccio a stare qui senza far nulla. - affermai, mentre Sherlock vagava avanti e indietro nella stanza, annoiato.
-Andiamo a prendere un po' d'aria? - mi domandò, baritonale. - I miei neuroni si stanno suicidando. 
-Prendo la giacca. - gli risposi. 
Mi vestii di corsa, e seguii il mio amico fuori dalla porta della stanza. 
-Non è maleducato girare per la casa di altri nel cuore della notte? - chiesi divertitio al mio amico.
-Solo se stai rubando. - rise, con me. 
-Shh. - provai a zittirlo, mentre sentivo il suo respiro affannato dalla risata.
Sherlock fece scattare la serratura della porta d'ingresso e in pochi secondi una ventata gelida ci colpì il viso. 
Respirai a pieni polmoni, felice di sentire un po' d'aria accarezzarmi il volto. 
-Vieni. - disse, dirigendosi a qualche metro dalla casa dove vi era una gradinata nella quale ci saremmo potuti sedere. 
-Darei qualsiasi cosa per fumare. - continuò, sbuffando. 
-Smettila. - lo ammonii, e lui sorrise ancora.
-Hai la pistola John? - mi chiese, avvicinandosi a me, facendo gli occhi dolci.
-Smettila di fare quella faccia. - lo sgridai.
-E' la mia faccia. - rispose, semplicemente.
-No, no Sherlock, è l'espressione che assumi quando vuoi qualcosa. 
Lui rise. -Hai la pistola? 
-Dovrei avere un'arma mentre siamo ospiti di un nostro cliente? - chiesi.
-Certo, John. 
Sospirai, e tolsi la pistola dalla giacca. 
-Me la puoi dare? - domandò, ancora con quell'espressione dolce.
-Non sparerai contro il muro del signor Brine. - lo ammonii.
Sbuffò. -Noioso. 
-Non la pensavi così prima. - mi ritrovai a dire.
Lui sollevò un sopracciglio, e sorrise. -Flirti con me, John? 
Tossii, sentendo l'imbarazzo uccidermi. 
Che assurdità.
-Io ecco.. non.. 
Rise. -Sono sposato con il mio lavoro. 
-Lo so. - risposi, meccanico. -Solo che non capisco. Non siamo una coppia, giusto? Allora che problemi ti dà il fatto che io sia eterosessuale?
-Tu fai parte del mio lavoro, John. - affermò con voce tutt'altro che distaccata, spezzando i miei pensieri. 
-Sherlock. 
-Sì? - chiese, guardandomi serio. 
-Ho bisogno di saperlo. Provi qualcosa per me? 
-Vuoi che constati l'ovvio. - la voce fredda.
-Devo sentirtelo dire. - affermai, tirandolo per la manica del cappotto. 
-Smettila, John. - rispose, tentando di sottrarsi alla mia presa, ancora ben salda.
-Hai paura. - dissi.
-Salve ragazze, che diamine ci fate fuori dal cerchio di sale? - affermò Dean, interrompendo il nostro discorso. 
Sbuffai, mentre Sherlock riprendeva la sua postura marmorea ed inaccessibile. 
-Era noioso. - rispose, glaciale. 
-Entriamo, signor coniglio è solo in casa. - ordinò Winchester, indicando la porta.
-Coniglio? - domandò Castiel, inclinando la testa di lato. - Ma la vittima non è un roditore.
-Lo so Cass, lo so. 
L'angelo strizzò gli occhi, assumendo un'espressione ancora più confusa. 
Mi resi conto di non aver lasciato la presa sul suo indumento, e notai anche che Dean se n'era accorto. 
-Siamo noi la coppia, eh? - domandò a Sherlock, mentre apriva il grande portone dell'ingresso. 
-Sì lo siete. - affermai io, sbuffando e lasciando la manica del cappotto. 
Entrammo, e chiudemmo per bene la porta. 
-Sveglio signor Coniglio e lo porto qua? - chiese Cas al suo 'amico'. 
-Sì, va' . -rispose il cacciatore. 
L'angelo svanì nel solito fruscio che faceva nello sparire e nel riapparire. 
-Abbiamo interrotto qualcosa?- domandò sogghignando. 
-Smettila. - gli dissi, semplicemente, con una serietà tale che parve intuire di dover smettere sul serio di parlare.
Un freddo improvviso riempì la stanza. 
Feci per parlare, ma vidi il mio respiro condensarsi in piccole nuvolette di vapore.
-Cass. - chiamò Dean, ad alta voce. 
L'angelo arrivò in un battito di ciglia. -Dean. - disse, mentre poggiava una mano sulla spalla del cliente.
Un'agghiacciante canzoncina riempì l'aria ormai divenuta irrespirabile, tant'era gelida.
Quella voce bambinesca ed inquietante si faceva sempre più vicina. 
Ma non c'era niente davanti a noi. 
-Cazzo. - imprecai.
-Oh andiamo, che teatrale. -affermò Sherlock. -Ci vuole davvero così tanto ad apparire? 
-Sei fortunato che ci voglia molto. - gli rispose l'angelo. 
Dean tolse dalla tasca della giacca un sacchetto e iniziò a spargere il sale intorno a noi, in un cerchio. 
-Vi porto via? - domandò Castiel, vedendomi impallidire. 
-Sì, cerca Sam. - affermò il cacciatore. 
-No, noi non andiamo via. Dobbiamo risolvere il caso. -disse Sherlock, mentre faceva vagare gli occhi da una parte all'altra della stanza nella speranza di poter
cogliere un indizio in più.
Sentii che nonostante la sfrontatezza, nella sua voce c'era un accenno di paura.
Gli presi il polso, avvicinandolo a me e stringendolo, dentro il cerchio di sale. 
Dean ci guardò poco convinto. -Prendi il cliente. -disse, e fece un gesto a Castiel, che sparì con l'uomo.
Il gelo si faceva sempre più pesante. 
Un viso infossato, talmente magro e chiaro da far risaltare le occhiaie viola. 
Un bambina, che camminava a passo pesante verso di noi. 
Le unghie lunghe e la bocca spalancata, iniziò a gridare.
Il suono  rimbombò agghiacciante per tutta la stanza, costringendoci a tappare le orecchie con le mani. 
-Eccola. - affermò Sherlock, improvvisamente spaventato. 
Gli occhi grandi che restavano sbarrati.
L'espressione confusa e disorientata. -Non è logico. - bisbigliò. 
La bambina fece aprire una finestra, facendo entrare un vento freddo che spezzò il cerchio di sale.
Avanzò, pensantemente,e  mi afferrò per un lembo della maglione, che fuoriusciva dalla giacca rimasta aperta.
Mi sentii improvvisamente molle, le gambe che nuotavano nel nulla, quell'essere era così forte da fare paura.
Non riuscii ad articolare una sola parola, neppure una. 
Non riuscii neppure a gridare qualcosa di spasmodico e confuso. 
Ma sentii la stretta ferrea del fantasma allentarsi, nel momento in cui mi sentii tirare da dietro, con una forza inumana. 
Sentii il passo pesante di Dean che proveniva dalle spalle della bambina, che cacciò via con un pezzo di ferro trovato chissà dove.
Cadetti a terra, e finalmente sentii la familiare e consolante sensazione di sentire il peso sulle gambe.
Mi voltai, per cercare con lo sguardo Sherlock che ancora stringeva la mia giacca, come se avesse il terrore di perdermi.
Era paura quella che gli colorava il viso.
Lo spavento era così visibile che mi colpì come rumore sordo.
Ancora rimaneva aggrappato a me, come se fosse pronto a riprovare a strapparmi dalle braccia del fantasma ancora una volta.
Dean scacciava quel mostro con attizzatoi e ferraglie che riusciva a trovare sparse per casa, mentre scappavamo. 
Il fantasma sparì per poi riavvicinarsi a noi, ma prima che potesse allungare nuovamente la mano andò in fiamme. 
Bruciò davanti ai nostri occhi, dal nulla. 
Respirai quell'odore incandescente di combustione, che mi bruciava la gola, in contrasto al freddo che aveva riempito la stanza pochi attimi prima.
Dean era affannato, e respirava a stento. -Grazie Sammy. - sussurrò. 
L'angelo, il signor Brine e Sam comparvero davanti a noi, insieme ad una bella ragazza dai capelli rossi, che intuii doveva essere Charlie.
-Tutto bene? - domandò Sam Winchester, preoccupato, guardando suo fratello. 
-Sì. - rispose lui, riprendendo a respirare. 
L'angelo aveva una chiazza rossa sullo stomaco, e camminava sbilenco, prima di appoggiarsi ad una delle sedie della sala. 
-Cass. - lo chiamò Dean, terrorizzato. 
Il moro non rispose, mentre tentava debolmente di aprire la camicia.
-Castiel. -riprovò il biondo, avvicinandosi al corpo del suo amico.
L'uomo dagli occhi chiari alzò lo sguardo verso Dean. -E' tutto okay, guarirà presto. - affermò.
-Figlio di puttana.- sbottò. - Cosa è successo? - domandò rivolto verso gli altri tre. 
-Un giovane l'ha pugnalato con la lama angelica. - affermò Sam. 
-Era una donna. - disse Charlie. -Te l'assicuro. 
-Cosa è successo? - urlò Dean, facendo tremare il cliente, con la sua voce.
-Non era un angelo. - gli rispose Castiel. 
-Un demone? - domandò ancora il cacciatore. 
L'angelo fece un cenno negativo. 
-Che diamine ci faceva con una lama antiangelo? - continuò. 
-Mi ha disarmato. - balbettò il cliente. 
-Si può sapere perché cazzo eri armato? - sbottò ancora.
-Non sgridarlo, Dean. - lo rimproverò Sam.
-Sammy stai zitto. Dimmi perché aveva il pugnale di Cass. 
-Lui ha i suoi poteri, io avevo quello antidemone e Charlie aveva i nuovi proiettili della Colt. Lui non sapeva sparare.. - cominciò il minore dei Winchester. 
-Cazzo. - gridò ancora. -Troviamo quella stronza. 
-Dean, è umana. Noi siamo andati a bruciare le ossa, non pensevamo che arrivasse una persona pronta ad ucciderci.
-Sì Sam, l'avevo capito. - continuò il biondo, ancora irato.
Si avvicinò al suo amico, gli mise una mano nei capelli scuri costringendolo a sollevare il volto per guardarlo. -Come stai? - domandò.
-Comincio a guarire. Tranquillo. - rispose lui, calmo.
-Non lo fare mai più. - lo sgridò. 
-Cosa? - chiese, senza capire.
-Non provare a morire Cass. - gli rispose, inginocchiandosi e baciandolo. 
Sam sbatté un paio di volte le palpebre, respirò pesantemente. -Ok Charlie, ti devo dieci dollari. 
Lei fece un sorriso che le illuminò il viso. -Quindici Sammy, non ci provare. 
-Che ti avevo detto?- mi sussurrò Sherlock, stringendomi ancora il polso in un contatto così bello da scottare. 
-Ti amo. - gli risposi io. 





Spazio note:
Ciao ragazze, eccomi ancora qui, spero abbiate voglia  farmi sapere che ne pensate di questo capitolo u.u
Pubblicherò il prima possibile, ora vado a riguardare per l'ennesima volta supernatural :3
Ciao ciao care:3

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Si torna a casa? ***


 


Eccomi qui, scusate l'infinita attesa ma ho davvero avuto trecentonovantaquattro impegni ultimamente!
Mi siete mancate/i tantissimo, e davvero grazie infinite di recensire e seguire questa storia, siete gentilissime/i a concedermi un po' del vostro tempo!
Spero che questo capitolo non vi deluda, è un po' più breve dei precedenti, ma prometto che aggiornerò a tempo debito! 
Grazie ancora a tutti!













Si torna a casa?







                                         Hotel Del Nevischio




Ok, forse era stato prematuro pensare che Sherlock Holmes si fosse spaventato a tal punto da chiudere la bocca e preparare le valigie per tornare a Londra.
Sì, era stato decisamente prematuro.
Lo intuii una mattina, in albergo, quando lo vidi armeggiare con la sua valigia pressocché vuota, mentre estrasse un piccolo bauletto.
Fece scattare il sigillo che lo teneva chiuso e tolse fuori un kit portatile per rilevare ed analizzare le impronte, un piccolo microscopio, che probabilmente detestava,
e dei fascicoli sui dipendenti del signor Brine.
-Da dove li hai presi quelli?- domandai, notando il blocchetto di documenti.
-Lestrade ha fatto qualche chiamata stamattina, mentre dormivi, ho incontrato il capo della polizia. 
-E ti permette di svolgere indagini affiancato dalle forze dell'ordine? -chiesi, incuriosito.
-Ovviamente John, gli servo.
-Pensi che il colpevole sia la donna che ha accoltellato Cass? - domandai ancora, maggiormente interessato.
-Cass? -chiese, di rimando.
-Castiel. 
-Sì, avevo capito. - affermò freddo. - Comunque mi pare piuttosto ovvio, anche se noiosamente facile.
-Facile?- domandai, sconcertato. -Ci ha fatti quasi ammazzare da un fantasma. 
-Mmh. 
-Ha ferito Cass.
-Ancora quel coso con le ali? -sbottò, sollevando per la prima vola lo sguardo dai fascicoli per fissarmi, offeso.
-Scusa?
-Abbiamo tutti rischiato lì dentro. Non solo il falso agente. - rispose, piatto. 
-Magari se fissi i suoi occhioni blu per un'altra eternità capisci che ha rischiato più di noi, per noi. - dissi, sconcertato. - Sei stato tu a voler rimanere, ad ogni costo. 
Sollevò un sopracciglio. -Quello che dici è fuoriluogo.
-Ah sì? - domandai, senza neppure rendermi conto. 
-Lo stavo semplicemente leggendo. - affermò, atono. 
-E io ringraziavo un angelo di essere stato gentile!
-Mh, sì, affibbiandogli un nomignolo, se non sbaglio. - disse, trasformando la domanda in un'affermazione. 
-L'ho chiamato Cass, come hanno fatto tutti. - sospirai, alzando gli occhi al cielo.
-Per tutti intendi due uomini che conosce da chissà quanto, uno dei quali è il suo 'non ragazzo'. 
-Sherlock Holmes, sei, per caso, geloso? - affermai, ancorando il suo sguardo al mio.
-La gelosia altro non è che una risposta psicologica e fisiologica nata.. 
-Sherlock. - lo chiamai.
-...in relazione ad un atteggiamento..- tentò di continuare. 
-Sherlock! - gridai. 
Quando si rese conto della mia totale assenza di buone intenzioni smise di proseguire quello stupido discorso.
-Cosa? - sbuffò.
-Sì o no?- chiesi, stufo di quei dannati giri di parole. 
-Non mi piacciono affatto queste domande. - affermò, sentenendosi schiacciato. 
-Eppure sei noto per la tua schiettezza. - risposi.
-Questo è falso. Io sono un bugiardo cronico. 
-Non hai mai mentito. Non a me. Ma sai che c'è? Non occorre nemmeno che apri bocca, so già qual'è la risposta.
-John, andiamo! Ti ho mentito un sacco di volte!
-Ma per stupidaggini, per zollette di zucchero drogate o per impedirmi di vedere i miei show preferiti. - affemai, senza riuscire a non sorridere.
-Sono davvero di pessimo gusto. - rispose lui, sogghignando. 
-Non mi hai mai mentito. - dissi, tentando di tornare serio.
-Ti ho fatto credere di essere morto. 
Rimasi di sasso, sentendo ancora una volta quel dolore lancinante. 
Una pugnalata violenta, che squarciò l'aria  e mi fece mancare il respiro, anche se per pochi istanti. 
Un pugno nella bocca dello stomaco.
-E mi hai mentito anche tu. - continuò, con quella voce baritonale che mi avrebbe fatto accettare di vendere l'anima per sentirla ancora. E ancora.
-Io non ti ho mai detto menzogne. - risposi, tentando di ricomporre la mia voce che era ormai andata in frantumi. 
-Ieri mi hai detto... 
-Sì, lo so cosa ti ho detto. 
-Hai detto di amarmi. 








****************






                                                         Shaptar Motel 



Il silenzio era pesante, carico di ansia e paura. 
Castiel era sdraiato sul letto, gli occhi socchiusi e la fronte imperlata di sudore. 
Da quando aveva assunto la grazia di un altro angelo, per tentare di riparare all'assenza della propria, era diventato stanco e molto debole, talvolta avvertiva anche 
uno strano senso di fame, come se non fosse nient'altro che un comune mortale. 
Si sentiva più fragile, tanto che non riusciva neppure a curare quella ferita relativamente superficiale. 
Ma sarebbe guarito, lo sapeva benissimo, solo che gli occorreva più tempo. 
Doveva rassegnarsi ai nuovi ritmi. 
Nel frattempo, nella cucinetta comune del motel, il maggiore dei Winchester, si era armato di tegami e scodelle, deciso più che mai a ripetere la ricetta che sua mamma gli preparava ogni volta che lui prendeva la febbre. 
Sbucciò delle patate, e non seppe neppure quante carote tagliò. 
Finì di cucinare la pietanza e la mise in una delle ciotole sigillate trovate in cucina. 
Dean entrò nella sua camera con la tazza di brodo fumante tra le mani. 
Si avvicinò al letto dove riposava Castiel, e poggiò la ciotola sul comodino, per rimboccargli le coperte felpate e decorate con immagini di animali selvatici. 
Passò una mano in quei capelli dannatamente scuri e scompigliati. 
L'angelo aprì gli occhi, debolmente.  -Dean. - lo salutò, tentando di mettersi a sedere. 
-Aspetta, faccio io. - gli rispose lui, prendendo il peso del suo corpo sulla spalla, per aiutarlo. -Ti ho preparato il brodo. 
-Ma io non mangio. - disse, con un sorriso dolce. 
-Non mi importa. Il tuo corpo ha bisogno di forze. - rispose lui, pronto a costringere Castiel a mandare giù qualche boccone. -Non me ne vado finché non metti
qualcosa nello stomaco. 
Il biondo sollevò il cucchiaio colmo di cibo, avvicinandolo alle labbra del moro.
-Jimmi Novak è morto Dean, non ha bisogno di mangiare. - disse, con un'espressione confusa. -E poi io non voglio che tu vada via.- continuò, respingendo la posata.
-Cass ti prego, ho bisogno che tu stia meglio. - rispose il ragazzo dagli occhi verdi, continuando ad accarezzare i capelli dell'angelo. 
Se suo fratello fosse entrato in quel momento, pensò, sarebbe morto d'imbarazzo.
-Non preoccuparti Dean, siamo vicini alla mia grazia, la sento. - rispose lui.
-Ok, ma per ora mangia qualcosa. 
Prese il cucchiaio semicolmo e lo appoggiò sulle labbra.
Sorseggiò il brodino e sorrise al cacciatore. -Grazie Dean, è squisito. 
-Non sa di molecole? - domandò Winchester, sorridendo. 
-Sono le più buone molecole che io abbia mai assaggiato. -rispose l'angelo, muovendo la testa contro la mano di Dean, come per aumentare il contatto del cacciatore
che gli accarezzava i capelli. 
Il biondo rise. -Ti piace quando faccio così? - chiese, continuando a massaggiare i capelli scomposti. 
Dean pensò di poter morire alla vista dell'espressione più dolce mai esistita.
-Sei fottutamente bello, Castiel. - gli disse, senza pensare e senza potersi trattenere. 
-E' solo un tramite. - gli rispose l'altro, inclinando la testa di lato. 
-Già, e in realtà non mi piaceva neppure prima di conoscerti veramente. 
L'angelo rise. -E' un modo per dire che mi ami anche se indosso un uomo? - chiese, ancora inclinando il capo.
-Dannato pennuto. - gli rispose, facendo incontrare le loro labbra. -E' un modo per dire che ti amo e basta.















Eccomi di nuovo qui, grazie piccole fangirl per esservi fermate a leggere anche questo capitolo!
Alla prossima ragazze :3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** We need you! ***



Ed eccoci qui, è passato un altro secolo e mezzo! Scusatemi davvero per questi ritardi (sono imperdonabile, I know) ma non né posso più! Mai che un qualsiasi aggeggio tecnologico funzioni nelle mie mani! Il cellulare è morto e il computer pure, solo che quest'ultimo ogni tanto risorge -grazie a Dio - dandomi la possibilità di scrivere o di pubblicare!
Non continuiamo a cincischiare, ora vi lascio al capitolo 'We need you', mentre inizio a lavorare al successivo, sempre che il mio pc non si spenga o non muoia di qualche infarto strano. Perché no, secondo me il mio computer ha un cuore di ghiaccio e un cervello che mi detesta. 


PS: Grazie davvero a tutte voi che mi seguite, siete adorabili. Grazie della motivazione  e della voglia che mi date di scrivere il capitolo successivo. 



                  



                                                                                         We need you


                                                                                                     Shaptar Motel


-Stronzette mi dispiace abbandonarvi ma se il caso è risolto preferirei sparire.- fece Charlie, mentre uomini e angeli di lettere facevano colazione.
Rubò a Castiel un toast al burro d'arachidi e marmellata di mirtilli e lo addentò, lasciando l'angelo confuso.
-Non preoccuparti. Grazie mille per averci dato una mano. - rispose Sam, sorridendole raggiante.
La rossa annuì e abbracciò un Dean intento a mordere una fetta di crostata. -Ti amo. - gli disse.
-Lo so.- rispose lui, liberandola dalla stretta.
-Cas, mi raccomando, rimettiti, non vedo l'ora di vederti svolazzare. - disse, rivolta verso il moro che la guardava ancora confuso e consegnandogli il toast rimanente. 
L'angelo lo rigirò tra le mani e poi si decise a mangiarlo.
La nerd si rivolse verso il maggiore. -Non osare lasciarti scappare questo angioletto.
Dean avrebbe voluto nascondersi, ma non avrebbe proprio potuto, per cui si limitò a guardare altrove.
E figuriamoci, pensò, dovevo proprio guardare verso Castiel e farmi intrappolare da quell'indecente e assurdo blu.
-Ah! Quasi dimenticavo, ho girovagato qua e là su internet! - annunciò la rossa, guardando Sammy. 
-Grandioso! Hai scoperto qualcosa? - chiese euforico quest'ultimo.
-Coordinate. So dove si trova la stronza che ha evocato lo spirito. - affermò, mentre dal cellulare mostrava al nerd al suo fiancola posizione.
-E' nel bel mezzo del nulla.- le disse Samuel.
Charlie sorrise. - Lo so, Sam. Controllate. - affermò, consegnando al moro un biglietto con le coordinate. 
La ragazza si congedò così, dando un bacio sulla guancia del più piccolo dei Winchester e stringendo Dean e Cass in un unico abbraccio, successivamente uscì dal motel.

******

La passeggiata mattutina al fianco del mio amicosi rivelò essere molto lunga, e soprattutto, terribilmente fredda.
Il mio coinquilino non faceva che farmi presente che non ero costretto a seguirlo. -Passeggiare al mattino mi schiarisce le idee, John. 
Era una giornata gelida, il cielo era grigiastro, il sole non era ancora sorto.
Mentre ci avvicinavamo al nostro albergo, nella mia mente si faceva sempre più prepotente il desiderio di un bagno caldo, di una buona colazione e magari di vari strati di maglione.
Tuttavia, l'ambiente al nostro ritorno risultò essere molto meno accogliente del previsto. 
Seduto su una poltroncina in pelle rossa, come il resto della stanza, vi era Mycroft Holmes,che ci squadrava dall'alto al basso con un sopracciglio rialzato.

-Una suite, Sherlock? Seriamente? - domandò, alzando gli occhi al cielo. -Come siamo romantici. - continuò evidenziando l'ultima parola. 

-Ingrassato? 

-Dimagrito. - rispose, atono.

-Che ci fai qui? - domandò freddamente Sherlock al suo acerrimo nemico.

-Ho pensato che avessi bisogno di un aiuto. 

-Molto dolce da parte tua. Sei così premuroso. - affermò, seccato.
Mr. Holmes fece oscillare il suo fidatissimo ombrello. -Cos'hai scoperto su Arthur Brine? - domandò, ignorando le parole di suo fratello.
Sherlock non sapeva come spiegare l'assurdità della situazione avvenuta a casa del suo cliente. 
Mycroft rise. -Proprio come pensavo. 
Quel suono stonava con il portamento e il tipico ghigno del maggiore degli Holmes. 
-C'è un motivo se ti ho mandato qui. Immerso nell'irrazionalità. - continuò.

-Si spieghi. -lo incitai.

-Anthea... - cominciò Mycroft, con ovvietà.

Sollevai un sopracciglio. -Continuo a non capire. 

Holmes mi guardò con sufficienza e poi rivolse la sua attenzione verso suo fratello. -Non è la mia sola fidata assistente. Anche Charlie Bradbury lavora per me, in una sezione piuttosto speciale. - disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

-Non conosco nessuno con questo nome.- affermò il riccio, guardandomi con aria interrogativa. 

-Charlie? -domandai. -L'amica dei Winchester.

Il governo inglese fece un cenno di assenso. 

Sherlock schiuse le labbra. ' Oh ' sussurrò. -Era un tuo piano? - domandò, rivolto verso Mycroft. 

-No, Sherlock. Quello che hai visto era reale. Credevo fossi più intelligente. 

Io rimasi di sasso, continuando ad ascoltare con estrema attenzione la vicenda.
Il mio migliore amico lo esortò a continuare, con un gesto stizzito della mano.

-Ha trovato delle coordinate. -affermò. - nessuno deve sapere che la Bradbury lavora per me. 
-Quali coordinate?- domandai.
Mycroft estresse dal taschino interno della giacca blu notte un foglio piegato, con estrema precisione, varie volte su sè stesso. -Lo scoprirete. - disse, poggiando il bigliettino sul tavolino di fronte a lui. 

-Perché non ha dato il messaggio ai Winchester? - domandai.
Sherlock sollevò un sopracciglio. -Probabilmente l'ha fatto.
Mycroft Holmes sforzò l'ennesimo sorriso. -Potrete parlarle voi stessi. - disse, appena un istante prima che qualcuno bussasse alla porta verdastra della nostra stanza.



***


                                                                                                         
Hotel del Nevischio



-Ho svolto delle ricerche. - affermò la Bradbury, guardandoci. -Molto approfondite. - continuò, ammiccando in direzione di Anthea, l'assistente di Mycroft, che l'aveva accompagnata all'hotel insieme a Lestrade.
-Lavori per Mycroft Holmes! - sbottai, sconcertato, una volta che il governo britannico se ne andò dalla stanza insieme a Greg.
-Sì, ma il mio interesse principale era tappare il culo ai miei fratelloni acquisiti.- rispose lei, sottovoce.  -Ho trovato delle coordinate, le ho già consegnate a Dean. 
-Di cosa? - domandai. 
-Ho rintracciato un vecchio camper abbandonato. - cominciò la rossa.
Sherlock sollevò un sopracciglio. -E questo mi dovrebbe importare? - domandò, scettico.
Alzai gli occhi al cielo. -Magari sì, Sherlock! Lasciala finire.
Lui mi guardò, confuso. Sbuffò. 
Charlie si accigliò. - Non capite, ho trovato il luogo in cui si nasconde la donna che ha invocato il fantasma.
Sorrisi. -Ottimo lavoro, Hermione! 
Lei mi rivolse uno dei più ampi e raggianti sorrisi che avessi mai visto. -Grazie, Bilbo Baggins! 
La guardai interdetto, poi risi. -Dovrebbe essere un complimento? 
-Io adoro gli hobbit! - disse, condividendo la mia allegria. 
Sherlock guardava la scena disgustato, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.
Alla sua vista la nerd rise maggiormente. -Qualcuno qui è geloso. 
Io potrei giurare di essere arrossito.




***



                                                                                                      Hotel del Nevischio


Il mio inquilino sembrava decisamente indisposto.
Aveva tacitamente confessato che non avrebbe più aperto una conversazione con me se avessimo parlato di sentimenti reciproci e di 'difetti umani'.
Faceva così male vedere quella dannata maschera di cera comparire all'improvviso, mentre lui mi diceva che andava tutto bene.
Sembrava stizzito, soprattutto a causa della conversazione avuta con suo fratello e con la rossa.

-Possiamo parlarne? - domandai, guardando fisso quegli occhi di cielo. 

Sherlock ignorò le mie  parole, passandomi i fascicoli sui dipendenti del signor Brine.
Mi scoccò uno dei suoi migliori occhi dolci, nella speranza che gli leggessi i documenti ad alta voce. 
Mi lasciai cadere nel baratro di quell'azzurro tanto bello da sembrare quasi irreale.
Sbuffai, rassegnato dalla consapevolezza che ero già caduto nella sua trappola-occhioni dolci.

-Kevin Pace, uomo americano, giardiniere di quarantacinque anni. - cominciai, aprendo un fascicolo. 

-Ignora pure, parliamo di una donna. - rispose il mio amico, in tono ovvio.

-Jessica Leninghway, belga, sesso femminile, anni sessantacinque, governante. - ripresi, per poi richiudere il documento. -Troppo vecchia. 

Sherlock sorrise.-La tua acutezza mi sorprende, dottore.

-Cecilia Morse, anni ventisette, anch'essa belga, sesso femminile, donna delle pulizie. - dissi, dopo essermi schiarito la voce a causa dell'imbarazzo dovuto al suo quasi complimento. 
Sherlock si sedette più comodo, come per ascoltarmi meglio.
-Assunta quattro anni fa, buon curriculum! Ha lavorato precedentemente per altre quattro famiglie. Mi pare proprio il caso di controllarle. - continuai.

-Troppo perfetta? -domandò.

-Inquietantemente troppo perfetta. - risposi, porgendogli una foto della donna. 

Sherlock la osservò, una smorfia d'orrore nel suo viso. -Mi ricorda qualcuno, ma è irrilevante. 

-Sembra la Umbridge. - affermai, disgustato, guardando la foto della donna somigliante ad un rospo rosa confetto.
Il mio amico sollevò un sopracciglio, come se non capisse.
-Harry Potter e l'ordine della fenice! La professoressa di difesa contro le arti oscure, la donna mandata dal governo!
La sua espressione non muto.
-Il sottosegretario anziano del Ministero della Magia! Andiamo Sherlock, ti ho costretto a vederlo l'altra sera! - protestai.
Holmes si accigliò maggiormente.
Sospirai rassegnato aprendo il fascicolo successivo. -Christine Frame, anni ventitré, belga, babysitter. 

-Scheletri nell'armadio? - domandò. 

-Non mi pare, lavora per la famiglia da un anno, ha svolto vari lavori prima di questo, tra cui lavapiatti e cameriera. 

Sherlock sbuffò. - Controlliamole. 

Il mio cellulare vibrò così intensamente che il mio amico mi lanciò un'occhiataccia. -Chi è? - chiese, freddamente.
-Dean. - gli risposi, distrattamente. -Dice che Cas... -
La ferocia del suo sguardo mi fece arrossire e ritrattare la frase. -Dice che Castiel sta male e ha bisogno di aiuto.




***

                                                                                                                                                    Shaptar Motel

 
 
-Avete un cervello così piccolo. -esordì il consulente investigativo, percorrendo la stanza del motel a grandi passi. -Minuscolo.
Il tono di Sherlock non nascondeva disgusto e stizza.
Aumentò la velocità del suo andamento, avvicinanosi a me, e incollando lo sguardo sugli uomini che aveva di fronte.
I cacciatori che ci avevano salvato la vita solo un paio di ore prima attendevano una risposta da parte del mio coinquilino.
-Allora?- sbottò Dean, ormai allo stremo dell'energia.
E lui lo sapeva, era chiaro, che non avrebbe dovuto comportarsi così.
Semplicemente non era da lui essere paziente e attendere con calma che l'uomo probabilmente più insopportabile di Londra si facesse pregare.
-Sherlock. - lo esortai. -Ci hanno aiutato molto.
-Non ho neppure idea di come sia fatta una grazia.- proclamò il mio buon amico, facendo appena roteare gli occhi.
-Io posso percepirla. - affermò Castiel, con una voce bassa e scura.
Il viso pallido, malaticcio e stanco.
I Winchester avevano chiesto al mio inquilino di aiutarlo a ritrovare la grazia perduta dell'angelo.
Sherlock squadrò con malcelato interesse il biondo, che nonostante l'irruenza del tono di voce, pareva supplicarlo con quei brillanti occhi verdi. -Constatato che puoi percepirla, non riesco proprio a capire come posso esserti di ulteriore aiuto. - rispose all'angelo, voltandosi verso di lui.
-Perché sei Sherlock Holmes. - affermò Sam, che fino a quel momento aveva taciuto, osservando la situazione.
Il consulente investigativo parve soddisfatto dalla risposta ovvia data dal gigante.
-Non capisco. - mi intromisi. - Perché?
-Cosa? - domandò il giovane Winchester, facendo svolazzare i capelli mogano.
-Se Castiel può rintracciare la sua... ehm.. grazia, come..?
-Lasciate perdere. Possiamo cavarcela anche senza di voi. - la voce esasperata di Dean spezzò la mia frase.
-Vi daremo una mano. Ma vogliamo solo capire di più.- dissi
-Posso percepire la grazia, ma non so dove sia esattamente.- rispose Castiel, che pareva impossibilitato a stare ancora in piedi
. -Come hai fatto... sì, beh sai... a perderla? - continuai.
-Un altro angelo me ne ha privato, dopo che sono caduto. - la voce pacata, che non lasciava trasparire alcuna emozione.
Sherlock osservava la scena in silenzio, riflettendo.
-Caduto? - domandai incredulo.
-Sì. - rispose, semplicemente. Una piccola ruga sul volto tradì dell'emozione, che ovviamente non era sfuggita allo sguardo attento del mio migliore amico.
Tossicchiai, nervoso. -Giù dal... Cielo? - chiesi ancora, sbarrando gli occhi.
Dean alzò gli occhi al cielo. -Caduto, Watson. E' precipitato giù dal paradiso terrestre!
Avrei voluto chiedere tante di quelle cose in quel momento. Ma ovviamente uscì quella meno adatta. -Come Satana?
Castiel inclinò la testa di lato.
Sembrò rifletterci tristemente sopra. -Sì.
Sam sbarrò gli occhi, e tentò di bloccare Dean per il braccio. -Lui non è come Lucifero!
-Sono certo che il mio collega non voleva urtare la vostra sensibilità.- annunciò il mio amico, spostandosi un ricciolo caffè dalla tempia.
Quelle parole dette da lui, mi lasciarono basito. Tentava di aiutare. -Cass.. se posso chiederlo.. Perché sei caduto? - domandai, seppure con il timore di commettere ancora una volta un errore.
Dean parve sussultare nel sentirmi chiamare così il suo migliore amico.
L'angelo posò il suo sguardo sul maggiore dei Winchester.
Quegli occhi blu, con quell'espressione.
Dicevano ogni cosa.
Dean abbassò lo sguardo, come se si sentisse in colpa.
-Gli angeli non dovrebbero provare emozioni e sentimenti. Tutto ciò è umano. -affermò Castiel, con una nota di tristezza.
L'angelo prese una mano del cacciatore più grande, tirandolo verso di sé.
-Vi daremo senza dubbio una mano. - disse Sherlock.
-Prima però...- cominciò Sam. -Vorrei farvi vedere queste coordinate. - disse, mostrando a me e al mio amico un bigliettino identico a quello che ci aveva consegnato Mycroft, e del quale ci aveva chiesto di non parlare.
-Come le avete ottenute?- domandò Sherlock, fingendo di non sapere niente.
-Charlie.- affermò Dean, senza staccare gli occhi dal suo Castiel.
-Ok, dove conducono?-chiese ancora.
-Dovrebbe ti portarci dalla ragazza che ha evocato Còra.- rispose Sam.





*********


                                                       Coordinate di Charlie.


Era notte, l'oscurità del cielo era immersa nel tipico gelo invernale.
Mi strinsi nella giacca scura, cercando conforto nell'imbottitura in cotone.
Eravamo in un campo, nel bel mezzo del nulla.
Questo era il punto segnato dalle coordinate.
Al centro del niente notammo un vecchio e sporco camper.
Dean ci precedette tutti e fece scattare la serratura della vettura.
L'angelo non riusciva a sopportare il peso del proprio corpo, e con un mancamento si accasciò a Sam.
Il biondo si voltò con un sorriso trionfante, mostrando la porta aperta.

-Cass? - la sua espressione mutò nel vedere il suo amico in quelle condizioni.

Sam si scostò poggiando il corpo dell'amico su suo fratello.

-Va tutto bene. - sussurrò Dean al suo angelo.

Castiel riuscì a sollevarsi, debolmente. -Sto bene.

Sherlock parve ignorare la situazione ed entrò all'interno del camper.
Avrei tanto voluto seguirlo, ma il mio istinto di medico mi imponeva di restare accanto ai due amanti.
Sammy seguì il mio migliore amico, e io rimasi a fissare interdetto i due ragazzi.

-Sono un medico. - dissi. -Non sono esperto di cure angeliche, ma penso di poter fargli abbassare la temperatura corporea.

Dean mi rivolse uno sguardo speranzoso. -Grazie. Entriamo dentro, non può prendere altro vento.

Feci alcuni passi verso il camper, sporcandomi i piedi di fanghiglia putrida. -Ok, entriamo.

L'interno mi inquietò, ma non mi venne la pelle d'oca.
Solo la guerra e Sherlock riuscirono a farmi venire i brividi, chi per un motivo e chi per un altro.
Rappresentazioni sataniche erano sparse per la vettura.
Candele sciolte, e cera essiccata.
Su un piccolo altare di mogano, che stonava con l'ambiente circostante, c'erano un coltello insanguinato e manate nere.
Ero perso nell'osservazione di quel macabro camper.

-Dannazione! - la voce di Sherlock mi portò alla realtà. -Samuel dovresti smettere di fare tutto questo rumore mette cammini!

Dean lanciò un'occhiataccia al mio inquilino per la frase poco carina che aveva dedicato al suo fratellino, ma decise di lasciare correre il suo commento, e sistemò il suo amico (fidanzato?) su un sudicio divano in pelle.

-Sei perfino più rumoroso di lui! - lo sgridò il mio migliore amico indicando Sam e facendomi sorridere

. Holmes ricambiò il ghigno, senza però farsi notare.

-Ti sento! - sbottò Sammy, che nonostante i suoi due metri non riusciva proprio a fare spavento, con quel faccione tenero da alce. -John ti prego spiega al tuo ragazzo che non sto parlando.

-Ti muovi troppo, e non smetti di sospirare. - rispose il mio amico, teatralmente.

-Respiro!- si lamentò il giovane cacciatore.

-È una vera fortuna.- gli rispose sarcastico.

Con un grande sforzo allontanai il mio sguardo da quegli occhi così celestiali e dai quei capelli così morbidi che non solo erano color caffé ma ne avevano anche l'irresistibile profumo.
Concentrai la mia attenzione sull'angelo disteso sul divano.

-Winchester, guarda se c'è dell'acqua ed inumidisci un telo.

Il biondo strappò una manica della sua camicia a quadri e immerse la pezza in una bacinella d'acqua sul lavabo.
Poggiai l'indumento sulla fronte bollente e sudata dell'angelo, che socchiuse gli occhi blu, come se gli bruciassero, cadendo in un sonno relativamente profondo.
Dean mi fissava con attenzione, mentre liberavo il corpo di Castiel dall'ingombro del tranchcoat e della cravatta blu.
Sammy controllava ogni angolo della vettura, correndo da una parte all'altra, mentre Sherlock rimaneva immobile spostando lo sguardo su ogni superficie del camper.

-Basta, non ce la faccio. STATE ZITTI. - sbottò il mio migliore amico. -E tu. - disse, rivolgendosi a Sam. - Non pensare. Stai facendo un rumore terribile.

Si sedette su una poltroncina, anch'essa riversa nelle medesime condizioni del divano.
Portò le mani delicate e nivee sotto il mento, e socchiuse le palpebre.
Al di sotto di esse gli occhi parevano muoversi, come se stesse leggendo, o vedendo qualcosa.

-Ci sono. - annunciò, con il suo impeccabile e baritonale tono di voce.

Dean gli scoccò un'occhiataccia. -Allora? - domandò.

-E' una persona abitudinaria, giovane. Potete notarlo dal genere di cibo che è disperso in questo sudicio camper. - cominciò, indicando pop corn e patatine con ketchup.

Il biondo sollevò un sopracciglio, come per far capire che anche lui consumava alimenti di quel tipo.
Sherlock lo ignorò e continuò il suo discorso.

-E' una donna, lo potete notare da piccoli accorgimenti, come quelle forcine per capelli che spuntano dal divano, ma ovviamente è più constatabile dalle impronte sull'altare. Abitudinaria. Non viene qui più di tre volte alla settimana. -disse, indicando i piatti nel lavandino. - non possono essere di più di tre giorni.

-Magari ha lavato i precedenti. - osservai.

-E ha lasciato il resto della vettura in questo stato? No John, non ha senso. Questa non è la sua casa.

-Anche la casa di Dean sarebbe così.- disse Sam, tentando di fare ironia. -Se solo ne avesse una.

-Ho chiesto silenzio. - rispose Sherlock, tagliente.
Alzai gli occhi al cielo.
Per fortuna quel gigante sembrava non essersela presa.
Com'è paziente, pensai, perfino più di me.
-Oh John. - sussurrò Sherlock, facendo quell'espressione bellissima.
Quella con la quale mi diceva 'So tutto, John.'
-E' così ovvio! - continuò il mio amico. 
Il suo baritonale tono di voce mi mise i brividi. 
 Alzai lo sguardo verso di lui. -Meraviglioso. - dissi.
-Cosa? - domandarono i fratelli, sorpresi.
-Ha appena risolto il caso.








Ok, sono riuscita a portare a termine il capitolo, vi giuro un 'eternità anche per postarlo! Questo computer mi detesta. I know it.
Coomunque, bando alle ciance!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ho aggiunto anche un Mycroft selvatico perché iniziava a mancarmi!
Se vi va lasciate una recensione, suu, stimolatemi hahahaha!
Ciao ciao mishamigos, grazie a tutti delle belle parole :3
Tanto love, Destiel, Jawnlock e Mystrade!
Alla prossima shippers!


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Raccontami, Cas. ***



Ciao dolcezze, eccomi ancora qui!
Io ci provo ad aggiornare più spesso, ma il mio pc non né vuole sapere. 
Oggi è stato molto clemente con me, grazie Baby.
Prima di continuare a leggere questo capitolo vi lascio un avvertimento: le frasi in corsivo sono dal punto di vista di Cas, nel caso non si capisca D:
Ora vi lascio alla lettura, e grazie tante a tutte voi che mi seguite e recensite, perché fa sempre piacere.
Grazie anche a coloro che leggono silenziosamente la storia!



   






                                           Raccontami, Cas.








Dean Winchester uscì dalla doccia ed entrò nella solita vecchia stanza del motel, seguendo lo stesso rituale notturno da una settimana.
Si asciugò e mise dei boxer trovati in fondo al borsone.
Diede un'occhiata a Sammy che dormiva, e al letto vuoto accanto a lui.
Dall'altra parte della stanza, nel suo letto, Castiel sembrava caduto fra le braccia di Morfeo.
Gli occhi chiusi, la fronte rilassata e il respiro lento e appena accennato.
Sorrise, per poi infilarsi sotto le coperte accanto all'angelo che, ancora addormentato, si spostò qualche centimetro per fargli spazio.
Il calore dell'amico lo accolse, avvolgendolo in un tepore che sapeva di famiglia, di casa, di asilo.
L'angelo si voltò, ancora assonnato, e guardò in viso il biondo, scrutando i suoi occhi verdi che, nel buio della stanza, sembravano quasi neri.
Dean tirò a sé il suo angelo, cingendolo per la vita, e affondando una mano nei capelli scuri e scompigliati.
-Dovresti parlarmene, Cas. - gli sussurrò dolcemente.
L'angelo caduto strinse più forte il corpo del suo ragazzo, e posò una mano sulla sua spalla sinistra.

Proprio dove l'aveva posata la prima volta.

Ho preso la tua anima, l'ho tenuta stretta e ti ho salvato dalla perdizione.

Il maggiore dei Winchester sospirò appena, preso da un brivido che gli percorse la spina dorsale.
Era immobile, eppure si sentiva come se fosse in volo, come se potesse sentire il vento freddo colpirgli la faccia.
Era immobile, stretto in quel tocco gentile ma fermo, eppure si sentiva altrove, perso nei contorni sbiaditi di un ricordo che non gli apparteneva.
Ed erano ali enormi, quelle che sembrava avere, erano possenti.
Nere, come il buio, come il vuoto, come l'ambizione.
Ed era tutto così luminoso, ma gli occhi non bruciavano. Non faceva male.
E Dean si sentiva come fumo bianco, inafferrabile ed incontenibile.
Era in una memoria, capì, nonostante non vedesse più nient'altro se non bianco, e non sentiva più altro, se non dolore.
Avvertì una sensazione di vuoto, di solitudine.
Capì di star vivendo non un ricordo qualunque, ma quello che il suo Cas voleva fargli vedere.
E così una voce nella sua mente parlò, ma non gli apparteneva:

 
 
 
 
L'eternità non ha dimensione.
Non è un'incognita fisica che si può quantificare.
Niente cesserà di mutare, nessuno resterà qui.
Neppure tu ci sarai più, quando mio Padre mi toglierà la vita.
Sarai solo cenere e ossa sporche, macchiate, irriconoscibili.
E il Paradiso e l'Inferno saranno rasi al suolo, ingoiati nel profondo abisso dell'eternità.
E il cielo tornerà rosso, e nessun figlio di donna canterà  odi celesti.
E' già stato scritto, e io resterò a combattere.
Resterò per te.
Perché è quello che avresti fatto.
E' tutto caotico, e gli eoni passati qui mi fanno comprendere che non c'è via d'uscita.
Perché parlo con te, Dean?
Non puoi sentire quello che grido senza voce.
Perché mi stai chiamando, Dean?
Non posso raggiungerti.
Ho le mani sporche di sangue, ancora, ancora, e ancora.
Di fratelli.
Di sorelle.
Gli angeli non smettono di gridare.
E c'è confusione.
Ed urlano.
E io non so essere un capo, Dean.
Io so combattere per quello in cui credo.
Ma non so più credere Dean, in nessun altro all'infuori di te.
E gli angeli gridano, perché dicono che devo restare.
Perché cadere fa paura.
E brucia, Dean.
Sento dolore.
E sto cadendo.
E brucia.
Dean.
 

 
 
 
 
Avrebbe voluto gridare.
Io ti sento, ti giuro, ti sto sentendo.
Ma la voce non usciva.
Avrebbe voluto correre, scuotere forte la testa e cambiare le parole che gli agitavano la mente.
Ma la luce bianca lo strinse in una morsa più stretta, costringendolo a vedere un vecchio bosco in Bayonne.
Proprio dove avevano cacciato con Bobby, qualche anno prima.
Perché si sentiva così pesante?
Perché non riusciva a ribellarsi?

 
 
 
Camminare fa male.
Le ginocchia cedono.
Sento vibrare i polmoni quando espiro ed ispiro.
E il cuore batte per davvero.
Questo non è più solo un contenitore ormai vuoto, sono io.
E' la mia pelle, la mia carne.
Non ho più le ali.
E fa male, Dean.
Come se mi avessero calpestato.
Non so per quanto ho dormito.
Sento ancora la tua voce.
Vorrei rispondere.

 

 
 
 
E tutto mutò ancora, e ancora.
Scuotendo quel corpo inconsistente come se fosse agitato da una bufera.
I pensieri dell'angelo che gli cadevano addosso, e pesano, e bruciavano.
Era grandine così fredda da bollire, così gelida da far erodere la pelle.
 

 
 
 
 
 
 
Esiste un angelo, Dean, uno che non conosci.
Uno che vuole far nascere qualcosa da questa confusione.
Che vuole fare il volere di nostro Padre.
Guida una schiera di immacolati, coloro che da sempre hanno aspirato al ruolo di arcangeli.
Nakir sostiene che ci siano angeli che vanno purificati.
Io ero tra questi, ma sono caduto.
E' peccato amare un essere così diverso, Dean Winchester.
 

 
 
 
 
 
Ed è tutto così assurdo.
Così fuori portata.
Perché forse Dean non vuole sentire.
Perché forse fa male sapere.
 

 
 
 
 
Passano i giorni, Dean.
Mi sento così debole.
Non so da quanto sono sveglio, non so da quanto tempo cammino.
Dormo spesso, Dean.
Più di quanto dovrei, nonostante la caduta.
Ma devo camminare, perché non la sento più.
Me l'hanno strappata via, Dean.
Qualcuno mi ha portato via la grazia.
Non ti sento più.

 
 
 
 
Perché sto gridando, ci sto provando. Ma tu continui a non sentirmi.
Perché io sono qui, adesso, e ti sto stringendo.

E cambia tutto, cambia ancora.
Come se nulla potesse fermare quello scorrere di immagini paralizzanti nella sua mente.
E quella voce stanca, distrutta, che continuava a chiamare il suo nome.

 
 
 
Ho trovato dei fratelli morti.
Le loro ali hanno bruciato l'asfalto.
Sono stati spinti giù, Nakir sta rispettando le sue promesse.
Sta facendo pulizie, sta purificando.
I loro contenitori non erano forti come il mio.
Mitzrae e Raziel sono stati puniti.
Come me.
La grazia di un angelo è unica, Dean.
E dura solo pochi minuti, dopo la morte di un caduto.
Ho preso la grazia di Raziel, Dean, e mi vergogno.
Ma a lui non servirà, e io devo trovarti.

 
 
E fu solo quel tocco strano, quello in corrispondenza dell'impronta lasciata dall'angelo.
Fu solo quello a sconvolgerlo, ad immergerlo in quest'atmosfera polverosa.
In questi ricordi spietati, taglienti.
Forse non era davvero pronto.
 

 
Ho mangiato, Dean.
Riesco a sentirti gridare.
Vorrei che mi sentissi anche tu.
Arriverò da te, e da Sam.
Tornerò Dean, raggiungerò l'impala.

 
 
 
 
**


Castiel tirò via la mano dalla spalla del Winchester.
Quest'ultimo aprì gli occhi, sconcertato.
-Ti sento. - disse, rivolto verso l'angelo.
Castiel fece un sorriso contenuto, e appoggiò il capo sul petto del suo ragazzo.
-E' questo che è successo? - domandò, ancora, sconcertato. -Ti hanno buttato giù?
-Me ne sono andato. - rispose lui, piatto.
-Ti hanno costretto. - il tono arrabbiato.
-Ormai sono coinvolto. - affermò. - sentimentalmente.
Dean sorrise per le parole dell'angelo, mentre la sua irritazione era parzialmente scemata.
-Chi è quest'angelo? - domandò poi, ricomponendosi.
-Vuole abolire la corruzione dal Paradiso. - continuò il moro, piatto.
-Tu non sei corrotto. - affermò il cacciatore, disgustato.
-Amo un umano, Dean. E' peccato. - rispose. -E sono caduto. Un altro peccato.
-Ma ti volevano come loro leader! - continuò il Winchester, sconcertato.
-Se mi fossi unito a loro. - continuò a spiegare l'angelo.
-Ok, ok, angioletto. E la grazia? - chiese.
-Non lo so, Dean. - affermò Castiel, scosso e confuso.
-L'ha tolta un immacolato? - domandò ancora.
-Potrebbe.
-E perché? - chiese ancora il biondo.
-La grazia ha un valore inestimabile per un angelo. E' unica, ed insostituibile. Quando privi un angelo della sua grazia è come se lo stessi privando della sua anima.
-E' una punizione per non essere morto durante la caduta?
-E' così Dean. Questa grazia sta svanendo, ne resta così poca. Dopo la morte non ci sarà nessun regno di Dio ad attendermi, ma solo il vuoto.
Il Winchester guardò fisso l'angelo, e gli spettinò maggiormente i capelli. -La ritroveremo Cas.







Ciao ciao fangirls, eccomi ancora qua!
Volevo avvertirvi che il contesto di questa fanfiction è inventato, so niente spoilers :3
Neppure i nomi degli angeli sono presenti nell'universo canon, Nakir non esiste e contro gli immaginari 
Mitzrae e Raziel non sono state recate violenze u.u
Alla prossima care, ciao ciao :3

PS: Fatemi sapere che ne pensate, I need it. 
Baci :3

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3470299