Sora and the beast

di Winry977
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Risveglio ***
Capitolo 2: *** Combattere? ***
Capitolo 3: *** Perseverare ***



Capitolo 1
*** Risveglio ***


-Ma che diavolo è questo?!

Ecco, questa, si può dire, fu la prima cosa che sentì non appena sveglia. Anzi, non appena cominciò ad avere dei ricordi. Si era svegliata in un posto sconosciuto, popolato da bestie sconosciute e ogni cosa si faceva sempre più confusa; ma questo non lo aveva ancora capito. Non sapeva nulla di sé o del posto in cui si trovava. Conosceva solo il suo nome.

Un vocione profondo e rude l’aveva svegliata, facendola sobbalzare. Subito una sensazione di vuoto la colse sotto la schiena ed una mano gigantesca e… e pelosa le afferrò un braccio con forza.

-Più che “questo”,- puntualizzò una voce acuta -direi “questa”.

Non aveva ancora messo a fuoco il mondo che la circondava, di fatto, vedeva tutto sfocato, forse per il lungo sonno o forse per la luce troppo forte.

Quando finalmente comprese che stava per cadere giù da una sorta di terrazza, il suo corpo si irrigidì, nonostante venisse sollevata su con una certa forza dal fatidico braccio peloso. Finalmente la vista le si schiarì, e mise a fuoco un enorme viso di… un orso?

In quel momento doveva esserle preso un colpo, perché il suo cuore cominciò ad accelerare i battiti e lei si agitò non poco. Gettò un urlo così forte che l’orso, antropomorfo osò definirlo, la lasciò cadere per terra come un sacco di patate.

Poco importava del dolore al fondo schiena, si alzò e corse verso il luogo che le sembrava più “sicuro”, o meglio, ci arrivò a grandi salti: sul piano dove si trovava c’era una piccola casetta a due livelli, con una piccola terrazza anche sul secondo; distese le braccia e grazie alla rincorsa e ad uno scalino, sfruttato come punto d’appoggio, si arrampicò, arrivando sul terrazzino superiore. Con lo stesso procedimento raggiunse il tetto, e lì rimase, guardandosi attorno semi terrorizzata.

-Ma che ha quella?- l’orso si grattò il capo, perplesso, alzando un sopracciglio.

-Femmine- sghignazzò la scimmia (antropomorfa, insistette la sua mente) dalla voce acuta di prima.

Li osservò, tentando di calmarsi e di capire cosa stesse succedendo. L’orso aveva una pelliccia di un rossiccio scuro, indossava una maglia sgualcita bianca e dei calzoni blu allacciati ai fianchi da una fascia nera; la scimmia, dal manto marrone scuro, indossava una casacca giallo acceso e dei calzoni bianchi e si lisciava la barbetta grigia che portava sul mento con aria beffarda.

-Ma cos’è tutto questo chiasso?- una nuova voce, accompagnata da uno sbadiglio, spuntò dal nulla. Sembrava più simile a quella di un “umano”, più da ragazzo. E così era: un ragazzo, dall’abbigliamento simile a quello dell’orso e con un’enorme massa di capelli, sbucò da sotto il terrazzino del secondo piano, stropicciandosi con il palmo della mano un occhio.

-Guarda tu stesso, Kyuuta.- la scimmia la indicò.

-Mh?- il ragazzo alzò lo sguardo, incrociandolo col suo. Sembrava essersi incantato, perché ad un tratto l’orso gli diede una pacca così forte sulla schiena, che lei sorprese di come non avesse perso l’equilibrio.

-Ehi, cascamorto. Vedi di capire chi è quella tipa e che ci fa sopra casa nostra.

-Ahio!- si lamentò lui, guardandolo storto. Nonostante si stessero fulminando a vicenda con lo sguardo, il ragazzo eseguì l’ordine, e mi raggiunse sul tetto. Non appena lei si rese conto che l’aveva quasi raggiunta, si spostò il più lontano possibile dal parapetto. Lui salì senza troppe difficoltà, e non appena la vide cominciò ad avvicinarsi. Già al suo primo passo, la ragazza era in posizione difensiva.

In realtà non sapeva come facesse a saper fare tutte quelle cose. Era praticamente salita sul soffitto come se nulla fosse, saltando e balzando da un terrazzo all’altro; non capiva nemmeno come facesse a sapere quale fosse la posizione di difesa e come distinguerla da quella di attacco, eppure, era come se quelle conoscenze fossero così ben radicate in lei da saperle sfruttare al meglio.

Un venticello si insinuò tra i due. Il ragazzo aveva degli occhi curiosi, incollati sul viso della ragazza, per di più, come se non avesse mai visto un altro essere umano.

-Calma, non voglio combattere.

Strinse gli occhi su di lui, ma non si mosse.

-Chi sei?

-Io sono…

-Dove mi trovo?- tuonò senza lasciargli finire la frase. -Che cos’è questo posto?!

Lui fece un passo avanti. -Calmati, io sono…

-Non ti avvicinare!- era così agitata da avere la pelle d’oca. Come quando ad un gatto si rizzano i peli; mancava solo che gli soffiasse contro.

Lui sbuffò e senza preavviso scattò in avanti, verso di lei.

-Se solo tu…- si scansò in tempo e approfittandone della situazione, gli afferrò un braccio e, posta una gamba dietro la sua, lo fece cadere a terra in poco tempo. Questione di secondi. -…mi lasciassi…- rotolò sulla schiena e si strinse alle sue gambe attraverso le proprie. -… parlare…- le fece perdere l’equilibrio, e gli finì praticamente addosso, i gomiti piantati nelle cavità delle clavicole.

-Ahio!- si lamentò di nuovo, però le riuscì a bloccare le mani, stringendole i polsi, prima che potesse fare una qualsiasi altra mossa. -Io sono…- ansimò. -Kyuuta.- la guardò dritto negli occhi, scoprendo, sotto un ciuffo di capelli neri, degli occhi incredibilmente verdi.

-Buon per te!- tentò di liberarsi lei, visibilmente a disagio.

-Se mi dici il tuo nome e non mi attacchi più, ti lascio andare.- azzardò un sorriso quasi malizioso.

Lei tentò un’ultima volta, poi gettò un urlo di rabbia, -Sora! Mi chiamo Sora!- e subito lui la lasciò andare. Lei fece un balzo indietro e lo fissò arrabbiata, mentre si massaggiava i polsi.

-Molto piacere, Sora- pronunciò quasi con cura il suo nome. -Da dove vieni? O comunque, che ci fai qui?

-Non lo so.- borbottò lei.

-Come, non lo sai?

-Non lo so.- insistette lei. -So solo che mi chiamo Sora e che tutto questo è eccessivamente strano.- incrociò le braccia al petto.

-Però sai combattere.- Kyuuta si alzò, restando, tuttavia, lontano da lei.

-Si, ma non mi spiego nemmeno questo.- pian piano, cominciava a calmarsi.

-Mmm…- si fermò a riflettere. -E va bene. Per ora starai con noi.

-Che?!- il vocione dell’orso tuonò dal piano di sotto. Sora arrossì di colpo.

-Beh, mi sembra chiaro che non abbia un posto in cui andare!- si affacciò il ragazzo, che già aveva cambiato tono. -Sa a stento chi è!

-Non significa nulla! Io ho già te come discepolo, non me ne serve un altro!- Sora si accigliò. -E poi, noi altri siamo maschi, dove la vuoi mettere una donna?- il cipiglio aumentò, finché lei non ne poté più.

-Senti un po’…- si sporse anche lei dal parapetto. -Nessuno ha detto che io voglia diventare la tua discepola.- puntualizzò, puntandogli un dito contro. Con un salto, poi, scese sul terrazzino del secondo piano. -Tuttavia,- scese al piano terra. -mi trovo a concordare con Kyuuta.- si tenne a giusta distanza da quell’energumeno di orso, i cui muscoli spiccavano sotto la maglia nonostante il pelo arruffato. -Non ho un posto in cui andare.- lo fissò dritto negli occhi. -Quindi, per favore, ospitami, e non ti sarò di alcun intralcio; anzi, mi occuperò io stessa della casa.- fece un inchino profondo, i capelli lunghi le scesero tutti sul viso.

La situazione era più tesa di quello che sembrava, e tra i presenti era calato un silenzio secco.

-Che succede qui?- una voce gentile si insinuò nelle orecchie di Sora. Dagli scalini che conducevano alla casetta era spuntato un monaco, dall’aspetto di suino. Dai suoi occhi trapelavano una sorta di calma e preoccupazione insieme. Sora si era rizzata sulla schiena, studiando il nuovo arrivato. -Kyuuta,- il monaco si rivolse al ragazzo, ancora sul tetto. -una tua consanguinea?

-Ma no,- ridacchiò lui, -però credo che sia anche lei un’umana.

“Si era notato” si trattenne lei.

La scimmia si avvicinò al monaco e poggiò un gomito sulla sua spalla, -Ha appena chiesto a Kumatetsu di ospitarla.- ghignò -E non sa nemmeno chi sia o come sia arrivata qui.

Prima che il monaco potesse replicare, Sora si rianimò.

-Dunque ti chiami Kumatetsu.- rifece l’inchino. -Ti prego, ospitami, Kumatetsu, farò tutto il possibile per non esservi d’intralcio.

-Non vorrai dirle di no- incalzò il monaco. -Se non ha un altro posto dove andare, direi che dovresti proprio offrirle soggiorno.

-Oh, e va bene! Basta che ti tiri su e la pianti con queste smancerie.- tuonò l’orso. -Ma sappi che dovrai stare alle mie regole e arrangiarti, ragazzina!- poi alzò lo sguardo. -Kyuuta, sarà una tua responsabilità.- e senza dare possibilità di risposta, entrò in casa.

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Capitolo 2
*** Combattere? ***


Di fatto, i primi giorni erano stati difficili per Sora. Kumatetsu non mostrava alcun segno di disponibilità nei suoi confronti, spesso era scortese o rozzo nei suoi modi di fare. Tuttavia, non si poteva dire che con Kyuuta fosse pure troppo gentile, nonostante fosse chiaro che per il ragazzo avesse un occhio di riguardo; perciò, alla fine della prima settimana, Sora si mise l’animo in pace, e cominciò quasi a rispondergli a tono. Di certo, non si sarebbe piegata così facilmente.

Kyuuta le aveva presentato gli “amici” (se tali si potevano definire, ma vista la frequenza delle loro visite, a quanto pare lo erano) di Kumatetsu: Hyakushuubou era il monaco che si era presentato proprio quando Sora aveva avanzato la proposta di essere ospitata da Kumatetsu; aveva un animo gentile e si preoccupava sempre di Kyuuta così come, ora, anche di lei. Tatara invece era il nome della scimmia che la prima volta che l’aveva vista la aveva denominata “questa”: i litigi con Tatara erano persino più frequenti di quelli con Kumatetsu: la scimmia passava il tempo a punzecchiarla e a lanciarle frecciatine. Certo, Kyuuta le aveva detto che aveva fatto la stessa cosa con lui nei primi periodi in cui aveva vissuto col suo maestro (spesso definiva così quell’orso burbero), anzi spesso aveva tentato di convincerlo a mollare. Eppure alla fine, persino Tatara aveva cominciato a rispettarlo.

-Devi solo dargli un po’ di tempo.- disse una sera con un mezzo sorriso. Si erano seduti sul bordo della terrazza superiore ad osservare la città illuminata.

Sora sospirò. -Non si può certo dire che quei due mi stiano rendendo la vita facile. E pensare che mi occupo io della casa, anche se tu, da quello che mi hai raccontato, hai praticamente fatto la maggior parte del lavoro. Quella casa era così sporca quando sei arrivato?

-“Sporca” è un eufemismo.- ridacchiò lui. -Dovevi vedere la faccia di Kumatetsu quando ci è rientrato la prima volta dopo che io l’avevo messa a nuovo.

Sora accennò ad un sorriso. Kyuuta, fino a quel momento, si era dimostrato l’unico con cui potesse parlare in tranquillità senza sentirsi attaccata o a disagio. Certo, Hyakushuubou era cortese e trasmetteva tranquillità anche solo quando gli si rivolgeva la parola per chiedergli di passargli il sale; però la ragazza sentiva di potersi aprire soltanto con il suo coetaneo.

Un venticello si insinuò tra di loro.

-Senti, perché non ti alleni con me e Kumatetsu?- disse Kyuuta per spezzare quel silenzio.

-Che?!

-Perché no? Sei agile e forte, secondo me, se gli dimostri che ci sai fare, potrebbe persino cambiare opinione su di te.

-Ma da che punto di vista, io sarei agile e forte?

Kyuuta la guardò con condiscendenza. -Devo davvero rimembrarti la prima volta che ti abbiamo trovata?

-Tu non c’eri.- mugugnò lei.

-Certo, ma mi è stato raccontato.- Kyuuta si curvò su se stesso, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e sporgendosi un po’ di più. Sotto non c’era nessuno, si vedeva solo la luce accesa della cucina, dalla quale provenivano le discussioni accese di Tatara e Kumatetsu. -Hyakushuubou mi ha raccontato di come sei praticamente saltata sul tetto, anzi- le rivolse un’occhiata di sbieco -di come ti ci sei arrampicata.- Sora sospirò. -E poi, ho avuto prova della tua forza e delle tue prestazioni quando abbiamo avuto il nostro primo incontro.- concluse con tono teatrale.

-A-ha, molto divertente.- gli diede una gomitata. Poi si fermò a riflettere. Fino a quel momento, la sua mente non le aveva concesso nemmeno una risposta a riguardo di chi fosse, cosa ci facesse lì o quale fosse il suo obiettivo. Per giorni non aveva saputo nulla della sua identità e nel timore di perdere quel poco che conosceva, non si era mai allontanata da casa. Forse, capendo quali fossero le sue vere abilità (ancora non si spiegava nemmeno quelle) avrebbe ottenuto qualche risposta.

Si girò a guardare il ragazzo, che era tornato a fissare la città. -Va bene, ci sto. Mi allenerò con voi.

 

 

Se l’apprendista aveva mostrato entusiasmo per la decisione di Sora, il maestro non si aveva mostrato troppa eccitazione. Anzi…

-E perché dovrei? Io ho già Kyuuta.- borbottò. Stavano facendo colazione, la solita ciotola di riso e uova crude; Sora si era abituata a quel pasto, semplice nell’apparenza, ma difficile da digerire, dopo un paio di giorni. Eppure, a lei, Kumatetsu non sembrava troppo convinto nel suo atteggiamento. Mal celava una sorta di interesse, come aveva fatto in quei giorni. Non notare la presenza di una ragazza in casa, prima di tutto, non era così semplice; e inoltre, Sora non nascondeva affatto le proprie abilità: si arrampicava sugli alberi persino con più agilità di Tatara, restava in equilibrio sulla punta dei piedi sullo schienale di una sedia quando si trattava di arrivare in posti alti.

“Per essere una ragazza, è piena di sorprese.” aveva sentito dire dal monaco una volta. Eppure lei non ci trovava nulla di tanto strano.

-Perché lo vedo che se curioso.- si sporse di più sul tavolo, guardandolo dritto negli occhi. -E secondo me, ancora non hai visto niente.- incrociò le braccia al petto, con aria di sfida.

-Seh, come no.- disse con sarcasmo la scimmia, seduta accanto a lei. Sora non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

La situazione era un po’ tesa, i due non staccavano l’uno gli occhi dall’altra e viceversa.

-Sei in grado di combattere?

-A mani nude? Contro di te? Sarò brava, ma tu sei troppo massiccio per poter considerare un nostro combattimento alla pari.

-Quindi è un no?- poggiò la ciotola di riso vuota sul tavolo, spaparanzandosi sulla sedia. Sora ridusse gli occhi a due fessure, soppesando la situazione. Forse la sua statura non sarebbe stata un problema, era piccola, schivare i colpi non sarebbe stato un problema. Ma cosa sarebbe successo, qualora avesse dovuto incassare? Dopo tutto, le sue capacità le erano chiare a stento, anche se, in effetti, quando Kumatetsu le aveva proposto il combattimento, il suo corpo si era quasi rinvigorito tutto in una volta, come se volesse rispondere di sì al suo posto.

-E’ un sì.

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Capitolo 3
*** Perseverare ***


Quello stesso pomeriggio erano già fuori, in terrazza, a prepararsi per l’incontro. Entrambi si riscaldavano, l’uno saltellando sul posto e provando i propri pugni contro l’aria, l’altra sgranchiva le gambe, stirandole e facendo diversi esercizi. L’unico pubblico che assisteva comprendeva Tatara e Hyakushuubou, seduti su una panchina di legno.

Sora indossava dei pantaloni larghi che le permettevano di potersi muovere facilmente ed una canottiera, al contrario del maestro di Kyuuta, che non si era fatto troppi problemi a lasciarsi addosso solo i pantaloni: era scalzo e a petto nudo, anche se con tutto quel pelo, non si poteva definire del tutto nudo.

-Allora!- Kyuuta li interruppe. Reggeva una sorta di piatto abbastanza grande e dorato, per suonare il gong di inizio combattimento. -Niente scorrettezze,- guardò il suo maestro in modo provocatorio -Kumatetsu.

-Che c’entro io?- sbuffò lui, scocciato e non cogliendo lo scherzo.

-Tu c’entri sempre… ma comunque!- non gli diede tempo di ribattere. -Avete un solo round a disposizione, quindi, che vinca il migliore.

-Ma senti, quante diplomazie inutili.- si mise in posizione di difesa, continuando a saltellare sulle gambe. Sora, da parte sua, non aveva detto nulla, aveva alzato la guardia anche lei, restando tuttavia immobile sulla sua postazione. Si sentiva rilassata, almeno per quel momento.

-Pronti?- il ragazzo batté il gong.

Il primo passo fu compiuto dall’orso. Kumatetsu scattò in avanti, preparandosi a caricare un calcio diretto all’addome. Sora riuscì a calcolare due probabilità: poteva essere realmente indirizzato al suo stomaco così come poteva essere una finta.

Vinse la seconda possibilità: Sora si abbassò, evitando un calcio che in realtà sarebbe stato diretto dritto in faccia.

Ora toccava a lei: dalla sua posizione, piegata sulle ginocchia, sferrò un calcio, a sua volta, alla gamba portante dell’orso, squilibrandolo. Subito, approfittandone della situazione, si alzò all’altezza del ventre dell’avversario e colpì con un affondo, per poi allontanarsi di scatto dall’avversario, ora semi piegato su se stesso.

-Ma come, Kumatetsu che si fa mettere KO in questo modo da una ragazzina?- lo provocò Tatara.

Sora intanto, si studiava le nocche del suo pugno destro, facendo attenzione con la coda dell’occhio all’avversario. Erano rossissime e doloranti, era stato quasi come colpire un tronco d’albero. I muscoli dell’orso erano senza dubbio massicci come lui stesso dava a vedere. Nonostante le sue capacità ed i suoi riflessi fossero ben sviluppati, Sora calcolò che, primo: non poteva assolutamente farsi colpire da lui, un pugno l’avrebbe mandata al tappeto, figurarsi un suo calcio; secondo: avrebbe potuto sferrargli altri tre pugni per mano, prima di cominciare a lesionarsi veramente le mani.

Mentre Kumatetsu si preparava a riattaccare e man mano si avvicinava a lei, Sora capì che doveva basare quello scontro sulla propria difesa, se non voleva restarci secca.

Riuscì a schivare altri due calci e più di un pugno diretto al viso e alla pancia, ma non poteva andare avanti in quel modo. Anche perché, in un momento di distrazione dovette parare un calcio col suo avambraccio: quando la tibia dell’orso entrò a contatto con il braccio della ragazza, lei avvertì una fitta lancinante che si propagava da lì fino a tutta la schiena.

Fino a quel momento si era spostata solo fisicamente, non si era voluta proteggere con i propri arti proprio perché cominciava a temere la forza del suo avversario, che lui, d’altro canto, manifestava al massimo della potenza.

Di attaccare con i calci, non se ne parlava, l’orso avrebbe afferrato con estrema facilità le sue gambe, qualora avesse mirato alla faccia, come invece lui si ostentava a fare. Poteva, però, fare affidamento sulle ginocchia. “Io ci provo” pensò, approfittando della vicinanza. Caricò con il ginocchio, ma questo non raggiunse la destinazione: Kumatetsu si era scansato, arrivando, in modo impercettibile alle spalle di Sora.

Il colpo alla nuca fu così veloce che lei nemmeno lo sentì arrivare: il dolore si diffuse in tutta la schiena e la testa, la vista le si offuscò; lei crollò sul pavimento, restando in ginocchio, i gomiti sulle piastrelle impolverate, mentre la testa, tra le mani, le girava.

-Beh, tutto qui?- sentì la voce dell’orso che si allontanava.

No, che non era tutto lì. Assolutamente. Sora, attese che almeno la vista si ristabilisse. Quando si rialzò le tempie le pulsavano, il colpo alla nuca la fece barcollare.

-No.- ansimò. -Non è tutto qui.- Vide Kyuuta che si stava avvicinando a lei per aiutarla; lei alzò una mano in segno di non avvicinarsi. -Non è finita.

-Ragazzina, non ti reggi in piedi ed io ho vinto.

-Lei è in piedi.- disse insicuro il ragazzo. -In teoria, dovrebbe continuare, ma…

-Niente “ma”!- Sora alzò la voce. Ci fu un breve periodo di silenzio. Kumatetsu stava studiando a sua volta la situazione. Poteva scegliere: lasciarla lì oppure insegnarle una lezione.

-Peggio per te, ragazzina.- si riavvicinò al ring.

-Il mio nome…- scattò in avanti. -E’ Sora!- la sua gamba aveva bluffato: se prima era stata indirizzata verso il fianco scoperto dell’orso, ora si era ripiegata e puntava alla pancia. Doveva essere veloce. La ginocchiata affondò nel ventre dell’orso, il secondo colpo -un pugno dritto dritto sul mento- era pronto e già ben piazzato sotto la faccia di Kumatetsu.

Tuttavia…

Poco prima che lui potesse perdere l’equilibrio, afferrò il braccio di Sora, e la scaraventò verso l’orlo della terrazza. Le scarpe di lei bruciarono sul terreno, non riuscendo a fermarsi né ad aggrapparsi a qualcosa per evitare di cadere. La spinta era stata troppo violenta; sarebbe caduta di sotto.

Il suo tallone sbatté con il gradino che separava il cemento dal vuoto, e perse l’equilibrio. “Ho perso?” pensò mentre cadeva. Guardò il muretto. “Non voglio.” Riuscì ad afferrarlo con una mano. Tutto il suo peso dipendeva dalla sua mano. Cacciò un urlo. -NON VOGLIO!- tirò su con tutta la forza che le rimaneva, portando anche l’altra mano, prima penzoloni, sul muretto. Tentò un’altra volta di tirarsi su, ma più ci provava, più si indeboliva.

Il problema non era solo cadere: forse la caduta le avrebbe fatto male, sarebbe stato come cadere dal balcone al primo piano di una casa qualunque. Il problema era che se avesse mollato, per lei sarebbe significato arrendersi.

-Maledizione!- tentò un’altra volta. I polsi le facevano male e ad ogni tentativo scricchiolavano in modo impressionante, le mani le facevano male, i polpastrelli e le unghie erano sul punto di sanguinare e le bruciavano da morire.

Improvvisamente una mano si avvolse attorno al suo braccio sinistro e la tirò su. Ricordava perfettamente quella presa così forte. Sora si trovò faccia a faccia con Kumatetsu. -Certo, ragazzina…- gli sanguinava il labbro e si teneva lo stomaco con l’altra mano. -… che ci sai fare.- e per la prima volta le rivolse un sorriso.

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