No Past

di cielscheckmate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ghost. ***
Capitolo 2: *** Blood. ***
Capitolo 3: *** Who are you? ***



Capitolo 1
*** Ghost. ***


No Past

Guardai le mie gambe ciondolare giú dalla panchina sulla quale ero seduta. C'era qualcun altro accanto a me, una donna, deve aver avuto 30 anni. Era intenta a scrivere al cellulare, ogni tanto sul suo volto spuntava un sorriso. Lei non si accorse di me, nonostante le sventolassi la mano davanti al viso. Tanto, non se ne sarebbe resa conto. 
Mi alzai, e camminai tra tante persone. Le strade erano piene in quel periodo, e non era neppure molto tardi. Se avessi avuto un orologio, avrei certamente potuto dirlo con piú precisione. Passai davanti al mio negozio preferito, anche se é difficile a dirsi. Non compravo mai nulla — non potevo —, ma adoravo guardare le sue vetrine colorate. Erano sempre decorate a festa, piene di vestiti carini. Se avessi potuto indossare qualcosa, avrei sicuramente indossato uno di quegli abiti. Salutai la cassiera, una ragazza carina e sempre disponibile. Lei, ovviamente, non mi degnó di uno sguardo. Sospirai, guardando il punto dove avrebbe dovuto esserci il mio riflesso nella vetrina. Niente. 
Non ricordo esattamente quanto mi sono accorta di essere un fantasma, nè il motivo per il quale io lo sia diventata. É davvero strano, non ho idea di come sono fatta. Non ho mai visto la mia faccia, non che io ricordi. A volte mi piace immaginarla, ma non mi riesce molto bene. Finisco col pensare alle facce di altre persone che “conosco”: io so tutto di loro, ma loro non sanno niente di me. 
Ho comunque imparato ad osservare. A guardare attraverso le cose, proprio come le persone normali guardano attraverso me. A chiedermi il perchè di molte situazioni. Probabilmente, nella mia vita precedente ero una fotografa con un buono spirito d'osservazione. Ci pensavo spesso, chissà chi ero e se avevo amici, o ero sola allo stesso modo in cui lo sono ora...
Il rumore della saracinesca del negozio che si abbassava mi strappò violentemente dai miei pensieri. Distolsi lo sguardo dalla vetrina, ovviamente sgombra del mio riflesso, e continuai a camminare. A molte persone una situazione del genere farebbe comodo: niente impegni, invisibilità, potersene andare ovunque senza che nessuno glielo possa proibire. Ma essere privi di contatti con il mondo esterno, non avere nessuno con cui confidarsi o scambiare due chiacchiere inutili, tenere una di quelle conversazioni vuote che tanto odiavo, era orribile. Mi sarebbe bastato anche avere qualcuno con cui parlare, che so, del tempo. Qualcosa che ponesse fine alla mia solitudine, che mi ha accompagnata fin da quando mi ricordavo. 
Non che di ricordi ne avessi molti: non conoscevo neppure il mio nome, e non mi ero mai posta il problema di darmene uno. Tanto, chi mai avrebbe avuto bisogno di usarlo? 
Intanto, il sole era scomparso dietro qualche palazzo e lasciava posto alla notte. Di solito, a quell'ora, raggiungevo il mio posto preferito. 
Era una collina lontana dalla città, un posto nel quale nessuno veniva mai. Lo adoravo perchè mi sembrava di poter toccare le stelle. Purtroppo, essere un fantasma non ti da il potere di volare.
C'era un po' da camminare per raggiungerla, ma a me tutto sommato piaceva muovermi. Guardarmi intorno, vedere la vita normale passarmi affianco. 
Costeggiai marciapiedi pieni di negozi ancora aperti, illuminati dalla luce dei lampioni. Urtai qualcuno, mentre mi guardavo attentamente intorno e studiavo l'ambiente, memorizzavo ogni albero di ciliegio, ogni crepa nel muro, l'ubicazione di ogni panchina. Lo facevo spesso per ricordare meglio i posti, e puntualmente mi scontravo contro qualcuno. Anche questa volta, il malcapitato si guardó attorno spaesato ma dopo qualche secondo ritornó a camminare. 
Ero quasi arrivata, i negozi iniziavano a diradarsi e sempre meno persone popolavano le strade. Eppure... Qualcosa catturó la mia attenzione.
Il vecchio magazzino, proprio alla fine della strada. C'erano parecchi vecchi cabinati lí e nessuno ci andava mai. La porta era socchiusa, e una luce bluastra filtrava da sotto. M'insinuai nella stanza, ed ero sicura che se avessi avuto del sangue che mi scorreva nelle vene, davanti a quella scena si sarebbe congelato.

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Capitolo 2
*** Blood. ***


No Past 

chapter two.

Tum. Tum. Tum. 
Era questo il rumore che rimbombava nella stanza buia, fiocamente rischiarata dalla sinistra luce bluastra del cabinato. Se fossi stata umana, l'avrei probabilmente scambiato con il battito del mio cuore che accelerava per il terrore. Nonostante avessi una gran voglia di girarmi e tornare sui miei passi, o meglio, letteralmente darmela a gambe, i miei occhi erano incollati sulla scena.
C'era un uomo, riverso sul pavimento. Anche se era buio, sembrava avere un viso giovane. Attorno a lui non c'era altro che una pozza nera, sembrava catrame nel buio di quello stanzino puzzolente. Non era altro che sangue. Il suo. 
Fu la prima cosa che vidi: il viso di uno sconosciuto ancora contorto in una smorfia di paura o dolore. O entrambi. Qualcosa si agitò nel mio stomaco, mi portai instintivamente le mani al viso quando vidi... Lui, l'assassino. 
Era in piedi di fronte al cadavere, stringeva tra le mani un grosso martello. Notai che l'uomo morto aveva una grande ferita sul cranio, dalla quale il sangue scorreva ancora copioso. 
Il mostro aveva un'espressione terrorizzata, ansimava. Lasciò cadere il martello ai piedi del cadavere, ed esso creò un grosso buco nel pavimento lercio. Cadde sulle ginocchia e sferrò un violento pugno al cabinato, — non credo che l'avesse usato, ma che l'avesse piuttosto acceso per farsi luce —che tremò tutto. 
“Cosa ho... Cosa ho fatto? Quella maledetta... Cosa...” Disse l'uomo tra i singhiozzi. 
Forse non aveva intenzione di uccidere l'uomo ai suoi piedi. Dal tono della sua voce, capii che stava piangendo. 
“John... Mi dispiace... Devo... Devo andare a casa a...“ L'uomo non finí la frase. Si alzò in piedi e si avvicinò al cadavere. Pulí il martello insanguinato con gli abiti della vittima e lo nascose sotto il suo giubbotto, largo e di un colore indefinito. Si alzò in piedi e si asciugó violentemente le lacrime, scappando fuori. Lo seguii a ruota, e senza nessun indugio gli corsi dietro. 
L'uomo camminava a passo spedito, con un'espressione contrita. Le strade erano più o meno deserte, l'inverno aveva portato la sera molto presto e a nessuno piaceva essere in giro di notte. Gli alberi e le panchine, illuminati dalle luci smorte dei lampioni, lanciavano ombre inquietanti sulla strada. Gli alberi spogli sembravano mani pronte ad afferrare me e l'uomo e a trascinarci giù, in un posto molto lontano dalla superficie.
Lanciai uno sguardo al cielo. Le stelle continuavano a brillare fredde e crudeli su quella notte di sangue. A loro non importava che una vita fosse stata spezzata.
A strapparmi dai miei pensieri fu il rumore degli scarponi dell'assassino, che si arrestò. Egli era in piedi davanti alla porta di una casa, la targhetta ad essa appesa diceva “Mark B.” Intuii che il nome dell'uomo fosse quello. 
Mark inserí le chiavi nella toppa e girò un paio di volte. La porta si aprí cigolando sinistramente su un soggiorno buio, illuminato dalla luce di un televisore acceso. 
Posó il martello sul tavolo e afferrò un controller da qualche parte. Non si curò di accendere la luce. 
La console era già accesa. Il televisore mostrava il menù di pausa di un gioco. Riuscivo ad intravedere, sotto ad esso, un personaggio vestito di verde con i capelli biondi, ed una statua che sembrava la sua copia dietro di lui. 
Mark tolse il gioco dalla pausa, e iniziò a giocare. La musica di sottofondo era inquietante, palesemente suonata al contrario.
Il personaggio sullo schermo correva, e dietro di lui continuava a comparire la statua. Sembrava una maledizione. 
L'uomo imprecò, dirigendosi verso quello che sembrava un lavatoio. Premette ripetutamente un tasto sul controller, e il ragazzo vestito di verde annegò, mentre al suo fianco compariva la sua inquietante statua e una risata stridula risuonava nella stanza. 
Sullo schermo comparve una scritta, “Dawn Of A New Day”. Quando il quadro comparí, Mark lanciò il controller a terra e urlò disperatamente. 
“Che... Cosa vuoi da me?!“ strillò. “Bastardo... Cosa sei?!” 
Si alzò di scatto, scappando verso una stanza in fondo al corridoio. 
Io rimasi a guardare lo schermo, come incantata. Il... Tipo del videogioco... Sembrava che mi stesse fissando. Con quel suo sguardo vuoto, spaventoso. Mi avvicinai, sempre tenendo gli occhi incollati al televisore. Era come se mi vedesse, come se... Sapesse che ero lí. Fin da quando potessi ricordare, mi ero abituata agli sguardi vacui delle persone, ai loro occhi che mi passavano attraverso. Mai mi ero sentita cosí... Osservata. Sbattei le palpebre, e mi sembrò di vederlo distogliere lo sguardo. Indietreggiai, scappando fuori dalla casa di Mark.
Appena fui fuori dalla porta, corsi il più velocemente possibile verso la collina. Inciampai un paio di volte, maledicendomi per quanto ero maldestra, ma ringraziando qualunque cosa ci sia lassù per il fatto che i fantasmi non sentono il dolore. Corsi a perdifiato, fin quando non mi ritrovai al centro del mio posto segreto. Mi lasciai cadere sul prato, nonostante non sentissi alcuna stanchezza. 
Guardai di nuovo il cielo stellato e sperai che mi cadesse addosso, che mi avvolgesse e mi togliesse di dosso quella sensazione, la sensazione degli occhi di quel tizio nel videogame, che mi ridesse il mio passato, che mi facesse capire chi ero. Desiderai di non essere costretta a quella non-esistenza, di essere solo un normale cadavere, costretto ad essere smangiucchiato dai vermi per sempre. Ma ero qualcosa, e dovevo accettarlo. Dovevo capirne di più. 
Sospirai, chiudendo gli occhi e respirando la brezza fresca della notte. Volevo dormire e dimenticare. Pian piano, cullata dal canto delle cicale in lontananza, caddi tra le braccia di Morfeo e scivolai nel solito, lungo sonno senza alcun sogno.

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Capitolo 3
*** Who are you? ***


No Past 

chapter three.
 
Il mattino seguente, mi svegliai che il sole era appena sorto. 
La luce dorata investiva la collina, nel silenzio piú grande. Neanche un rumore, non il clacson di una macchina, non l'abbaiare di un cane. Niente di niente. 
La cittá ancora dormiva, e sembrava che l'unica ad essere sveglia fossi io. 
Ricordavo vagamente ciò che avevo visto la sera precedente, anche se lo sguardo vuoto del ragazzo dai capelli biondi e i vestiti verdi e il sangue sul pavimento erano fotografie stampate nella mia testa. Mi venne da pensare alle fotocamere istantanee, per qualche strano motivo. Nonostante ricordassi qualcosa dell’accaduto, mi sembrava che mancasse qualche pezzo. Non mi ero mai ubriacata, ma avevo sentito spesso i discorsi di persone che avevano bevuto molto la sera precedente: dicevano che i ricordi tornavano in flash, continuamente, e che anche dopo settimane non riuscivano a scoprire quale fosse la parte mancate del racconto, quella fondamententale. Ipotizzai che fosse cosí che si sente un ubriaco: derubato dei ricordi del giorno precedente, con la mente vuota, o non del tutto vuota, ma priva dei frammenti fondamentali. A loro differenza, io non avevo nessun ricordo. E non era stato l'alcol a portarmeli via. 
Sospirai, alzandomi con lentezza. Guardai nel punto esatto in cui ero stesa: i ciuffi d'erba non erano neanche piegati. 
Decisi di camminare un po' tra le vie deserte, immerse nella tranquillità del mattino presto. 
Superai il vecchio magazzino, tentando di guardarlo il meno possibile.
I negozi chiusi, le luci nelle case spente, la città dormiente. Mi chiesi se il mondo, prima che diventassi un fantasma, fosse uguale o diverso: d'altrone non sapevo neppure in che epoca ero morta. 
Pensai a quanto bello sarebbe stato trovare il mio cadavere e saltarci dentro, non sentirmi più cosí leggera. 
Sospirai, lanciando uno sguardo al parco e alle giostre vuote. Mi sedetti sull'altalena, ed immaginai come avrebbe reagito una persona normale al vedere quell'oggetto oscillare senza un soffio di vento. Avevo molto tempo per pensare a quelle cose, dato che nonostante avessi molte domande e cose da dire, non avevo nessuno con cui poter parlare. E anche se gli esseri umani avessero potuto vedermi, perchè parlare ad un fantasma? Non sapevo neppure che aspetto avevo. Lo specchio non mi aiutava evitando di riflettere la mia immagine, ma probabilmente ero un disastro ed ero anche parecchio inquietante, anche se devo ammettere che mi piaceva immaginarmi come una ragazza molto bella, morta tragicamente in un'incidente o cose cosí. Mi domandavo anche come facevo a sapere di non essere un maschio, in realtá. Era solo una sensazione, un mero appiglio nel bianco della mia mente, che era un immenso foglio bianco.
Era tempo, ormai, che passavo ore al cimitero della città, studiando le lapidi e sperando di trovare qualche indizio, quindi decisi di incamminarmi lì, per leggere gli ennesimi nomi che ormai sapevo a memoria. Durante il tragitto, mi sforzai davvero di far riemergere qualcosa dagli angoli bui, dai più nascosti anfratti della mia testa. Ma per quanto ci provassi, niente riusciva a trovare una strada fuori da tutto quel buio, una fioca luce a rischiarare il cammino.
Spinsi delicatamente il cancello del cimitero, che si aprì cigolando. Lanciai uno sguardo alla prima lapide, senza neanche bisogno di concentrarmi per leggerne il nome.

Rose Marie Quinn, 1964 – 1997.
“Andiamo, non ti ricorda proprio niente? Qualcosa, un qualcuno importante per te?” pensai tra me e me.
Mossi qualche passo sul terreno sterrato, guardandomi intorno ancora. Di solito mi concentravo anche sulle tombe degli uomini, tentando di ricordare qualcosa sui miei genitori.

John Brown, 1958 – 1997.
“Non potrebbe essere mio padre? Forse...’’
  • Che cosa stai cercando? – Una voce terribilmente terrificante, qualcosa di diverso dalle voci umane, mi avrebbe fatto accapponare la pelle. Se avesse potuto, ovviamente. Ma non fu quello il motivo che mi spaventò, no. Mi vedeva.
Non avevo il coraggio di voltarmi e guardare, di rendermi conto di chi fosse. Se avessi avuto un cuore, uno che funzionasse almeno, sono sicura che avrebbe battuto talmente forte da balzarmi fuori dal petto. Tentai di rassicurarmi, dicendo a me stessa che anche se avesse voluto farmi del male, le sue braccia avrebbero attraversato il mio corpo, e io non avrei sentito alcun dolore. Fissai il mio sguardo su uno dei fiori sulla lapide di quell’uomo, e soffiai contro uno di questi. Si mosse a malapena, e mi venne in mente che forse avrei potuto scappare anche io.
Però, incontrare qualcuno che potesse verdermi non era sempre stato ciò che avevo sempre voluto? Ciò mi spinse a girarmi, raccogliendo gli unici brandelli di coraggio che avevo dentro di me.
Ciò che vidi mi bloccò al mio posto, e sentii qualcosa pungermi gli occhi.
Come diavolo ci è arrivato LUI qui?
 

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