Il mondo non finisce a Tokyo

di kiku77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nessun segnale ***
Capitolo 2: *** Lei odia Tokyo ***
Capitolo 3: *** Pali della luce, cielo nero ***
Capitolo 4: *** Errori di valutazione ***
Capitolo 5: *** Gli occhi del mondo addosso ***
Capitolo 6: *** Scatto di crescita ***
Capitolo 7: *** Intorno alle ferite ***
Capitolo 8: *** Recuperare ***
Capitolo 9: *** Sono una matricola anch'io ***
Capitolo 10: *** Un concentrato puro di bellezza ***
Capitolo 11: *** Scavare l'animo ***
Capitolo 12: *** Quattro parti ***
Capitolo 13: *** La vita non si programma ***
Capitolo 14: *** Le misure del mondo ***
Capitolo 15: *** Chi è Yukari? ***
Capitolo 16: *** Metodo Wakabayashi ***
Capitolo 17: *** Tokyo - Nankatsu ***
Capitolo 18: *** Il sostegno di tutti ***
Capitolo 19: *** Non mi hai mai chiamato ***
Capitolo 20: *** Lente d'ingrandimento ***
Capitolo 21: *** Un soggetto difficile ***
Capitolo 22: *** Tokyo mi fa male ***
Capitolo 23: *** Irraggiungibile ***
Capitolo 24: *** Il più ingenuo fra i pesci ***
Capitolo 25: *** All'altezza del cuore ***
Capitolo 26: *** Principio d'intento ***
Capitolo 27: *** Studiarsi ***
Capitolo 28: *** Farfalle nella pancia ***
Capitolo 29: *** Una fetta di torta ***
Capitolo 30: *** Dopo un attimo di felicità ***
Capitolo 31: *** Un insieme di cose ***
Capitolo 32: *** Io vedo lontano ***
Capitolo 33: *** Contrattempo ***
Capitolo 34: *** Il fuoco dentro ***
Capitolo 35: *** Il mondo non finisce a Tokyo ***
Capitolo 36: *** Bella filosofia, Nishimoto ***
Capitolo 37: *** Scarpe canine ***
Capitolo 38: *** E' il tuo volto che parla ***
Capitolo 39: *** Poesia popolare ***
Capitolo 40: *** Cambio di passo ***
Capitolo 41: *** Parole che diventano carne ***
Capitolo 42: *** L'animo sulla pelle ***
Capitolo 43: *** All'altezza della gola ***
Capitolo 44: *** Terra di mezzo ***
Capitolo 45: *** Pesce o farfalla ***



Capitolo 1
*** Nessun segnale ***


Sanae si fa vedere timidamente, uscendo dalla cucina.
“Ragazzi, la cena è pronta…”
E’ la terza volta che prova ad attirare l’attenzione di Tsubasa e Ryo.
Uno è fisso di fronte allo schermo del pc; l’altro è quasi sdraiato sul divano, con un braccio a sostenergli la testa, lo sguardo attento al cellulare.
“Tsubasa…” sussurra di  nuovo.
Il capitano si gira verso di lei; per un attimo rimane serio, poi le sorride.
“Sì, scusa… arriviamo. Dai Ryo, forza. Andiamo a mangiare.”
Il difensore si tira su. Insieme si dirigono in cucina e prendono posto.
C’è un’atmosfera strana.
Dovrebbero essere al settimo cielo: ancora pochi giorni ed inizieranno le partite di qualificazione per la Coppa d’Asia.
Invece non c’è traccia di felicità sui loro volti.
“Ancora niente?” domanda la ragazza, per rompere il silenzio.
I due si guardano appena e scuotono la testa, quasi all’unisono.
“No, niente. Inizio ad essere sinceramente preoccupato.”
 “Sì, anch’io” replica il difensore, facendosi il piatto.
Genzo non si fa sentire dalla fine di maggio.
Da quando cioè, ha perso la partita della vita: la finale di Champions contro il Manchester United.
L’Amburgo vinceva uno a zero fino a cinque minuti dalla fine. In un attimo hanno preso goal e da lì è stato un susseguirsi di errori.
Il Manchester ha vinto ai rigori: il loro portiere è riuscito a pararne uno. Lui no.
Da quella notte è come se fosse svanito nel nulla.
Non ha risposto alle telefonate, alle email, ai messaggi.
Nessuno l’ha visto, l’ha incontrato.
Al rientro dopo la breve pausa estiva, non si è presentato in ritiro con la sua squadra.
I giornali tedeschi hanno già fatto i primi titoloni con quelle parole che per un giocatore sono l’anticamera della fine.
E di rimbalzo in Giappone è quasi caccia all’uomo.
E’ stato convocato e tra due giorni dovrà presentarsi al primo allenamento con la nazionale.
Tutti lo stanno cercando.
Tutti.
Ma lui non si fa trovare.
“Se domani sera non viene al nostro ritrovo, non si presenta nemmeno in ritiro. Questo è poco ma sicuro” sentenzia Ryo, prendendosi un sorso di vino.
Il capitano si sofferma un momento su Sanae, poi ricade con lo sguardo sul piatto. La pensa così anche lui.
Ormai, riunirsi prima del ritiro per una cena fra amici, è diventato un piccolo gesto di scaramanzia, un rituale. Se dà buca, è la fine.
“Verrà, ne sono sicura”, se ne esce la ragazza, “con l’Amburgo può avere anche chiuso, ma non con il Giappone. Non con la Nazionale. Vedrete. Domani ci sarà.”
I due giocatori si aggrappano a quelle parole, come se fossero una preghiera, come se ci fosse qualcosa di sacro. Forse è perché le ragazze sono sempre così belle e profumate quando dicono queste cose.
Forse è solo perché non c’è altro da fare.
“Adesso cerchiamo di cambiare argomento, eh?” chiede, sorridendo.
La cena riprende e Sanae prova in tutti  i modi a distrarre i due ragazzi.
“Ryo allora siamo d’accordo?”
“Su cosa, scusa  Anego?”
“Ma come! Domani devo andare a prendere Yukari alla stazione e poi, dopo la cena, ci penserai tu a riaccompagnarla!”
Il difensore si dà un colpetto sulla fronte.
“Scusa, certo. A che ora arriva?”
Sanae si alza e serve le altre pietanze, “intorno alle due. L’accompagno nel suo appartamento a posare le ultime cose e poi pensavo di andare in un centro commerciale a scegliere gli oggetti che le mancano. La sua casa mi sembra un po’ spoglia.”
Ryo annuisce, “già, diciamo pure squallida. Non so perché non abbia accettato di stare da me o in questo appartamento. Tanto voi sarete a Barcellona tutto il tempo! Quando s’impunta su una cosa, non c’è proprio modo di farle cambiare idea.”
“Sì, hai ragione. E’ proprio cocciuta alle volte” aggiunge Sanae e nella sua voce s’intende chiaramente che c’è ammonimento.
“Siete un po’ ingiusti” interviene Tsubasa.
Sanae e Ryo si guardano.
“In che senso, scusa?”
Il capitano si alza: non ha più fame.
“Sta cercando di farcela da sola, con le sue forze. Appoggiarsi a noi le deve sembrare solo una via di fuga, un modo per aggirare le difficoltà. Io la capisco. E sinceramente l’ammiro.”
“Beh… se la metti così…”
“La metto com’è. Io non vorrei abitare da te Ryo e non vorrei vivere nemmeno qui se fossi in lei. Lasciamola stare e… Sanae…”
“Sì?”
“Non forzarla domani: se non vuole comprare niente, lasciala fare. Non è il tipo di persona che accetta regali facilmente.”
“Lo so…” sospira Sanae, “d’accordo. In fondo l’appartamento deve piacere a lei, non a me.”
Il capitano annuisce e incrocia le braccia, volgendo lo sguardo all’altra stanza.
Con la testa è ancora di fronte allo schermo del pc.

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Capitolo 2
*** Lei odia Tokyo ***


E’ tutto pronto.
La sua camera si è come svuotata: sono rimasti i vecchi libri sugli scaffali, i cd che ormai non ascolta più e pochi altri oggetti personali.
Gran parte delle scatole sono già a Tokyo: suo padre ha affittato un furgone e sono andati a portare tutto qualche settimana fa, in un pomeriggio piovoso e umido.
Sdraiata sul letto, fissa le pareti candide, si sente sola e triste.
Non vuole andarsene, non vuole. Eppure deve.
Lei odia le città, odia le metropoli, le cose che non hanno misura, che non si possono contenere dentro lo specchio visivo.
Lei odia Tokyo.
Non è adatta a vivere in un posto del genere. Lo sa, l’ha sempre saputo.
Ma deve andare.
Non può deludere i suoi genitori, non può accontentarsi di frequentare un corso qualsiasi.
Lei deve andare avanti. Deve fare qualcosa di importante.
“Yukari…”
La ragazza si solleva, poggia saldamente le mani sul letto.
“Entra pure mamma.”
La donna apre con calma la porta.
“Hai dimenticato la tua maglietta rosa.”
Yukari le sorride, mentre sua mamma gliela porge, pulita, stirata e ben piegata.
“E’ un portafortuna…”
“Lo so. Appena mi sono resa conto che la stavi dimenticando, l’ho messa a lavare. Ed eccola pronta.”
Con un’occhiata rapida si assicura che sia tutto a posto e che non ci siano altre cose da portare via.
Resta ancora un momento in piedi, poi si siede accanto a Yukari.
“Hai l’aria tesa. Sei preoccupata?”
“Un pochino. Non mi ambiento facilmente. E poi…”
“E poi?
“I corsi che ho scelto sono molto duri.”
Si morde il labbro, incrocia i piedi scalzi, come quando era bambina.
Dopo il liceo si è presa un anno sabbatico, nel quale ha seguito un corso attitudinale per capire cosa fosse meglio per lei. Ha anche lavorato saltuariamente, e per qualche mese ha pensato che avrebbe potuto continuare a vivere così, senza un lavoro fisso, senza certezze.
Ma vedeva che i suoi genitori non erano contenti.
Una donna, senza un’istruzione adeguata, non ha un grande futuro.
Era diventata la frase che suo padre le ripeteva tutte le mattine e tutte le sere. E in fondo forse aveva anche ragione.
Così ha preso un po’ di coraggio e si è iscritta all’università.
L’ha fatto senza riflettere troppo, perché la tentazione di restare immobile era davvero forte ed ora, ora è arrivato il momento di prendere in mano la propria vita.
“E’ normale avere delle paure. Le abbiamo tutti. Ma a Tokyo ci sono i tuoi amici, non sei sola.”
“Alcuni vanno e vengono, lo sai. A parte Ryo che è stato acquistato dall’FC Tokyo, gli altri hanno la loro vita in giro per il Giappone e fuori. Sanae si trattiene solo per questi impegni della nazionale. E poi se ne torna in Spagna.”
“Arriveranno amici nuovi, vedrai.”
Yukari non ci prova nemmeno a intavolare una conversazione su questo; non vuole decostruire, deframmentare le teorie favolose di sua madre.
Servirebbe solo a creare ulteriori ansie e non è proprio il caso.
“Sì, certo.”
“L’unica cosa che preoccupa me è il fatto che il tuo appartamento sia così in periferia. Dovrai fare dei lunghi tragitti in metro per raggiungere la facoltà. Perderai molto tempo.”
“Lo sfrutterò studiando. Prendere una casa più vicina era da pazzi. Hai visto quanto costano gli affitti, no?”
La donna fa sì con la testa, piega leggermente la bocca. Ha un’espressione incompleta, come se volesse aggiungere altro.
E Yukari sa cosa vuole dire.
“Di andare a vivere da Ryo, non se ne parlava proprio.“
“Ma almeno a casa di Sanae…”
“Ne abbiamo già parlato mille volte mamma. Preferisco così. Non torniamoci sopra.”
La madre di Yukari si alza, solleva le mani in segno di pace.
Si arrende.
“Faccio una doccia e finisco di prepararmi. Tra poco devo andare in stazione”.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Pali della luce, cielo nero ***


Appena scende dal treno, si accorge che il senso di pentimento per ciò che sta facendo è già a livelli altissimi.
Raggiunge l’uscita e infastidita dal nulla, fa uno squillo a Sanae.
“Sono qui!” risponde lei, sbracciandosi.
Yukari la individua e si limita ad alzare il mento per un cenno di saluto.
“Tutto bene?” domanda la moglie del capitano, avvertendo una sorta di malessere.
L’amica annuisce; socchiude gli occhi per un breve istante.
La gente si muove in maniera rapida, decisa ed anonima. Loro sono due piccole pedine immobili, in un marasma di corpi, odori, pulsazioni vibranti.
“Immaginavo che avessi una borsa più grande…” farfuglia Sanae, vedendola invece munita solo di uno zaino.
“Io e papà abbiamo portato tutto durante il trasloco vero e proprio. Qui ho solo poche cose.”
“Allora possiamo fare prima le commissioni ed andare dopo a casa, che ne dici?”
Yukari la osserva con lieve perplessità. Non sa bene cosa intenda con il termine commissioni.
“Vorrei semplicemente fare un po’ di spesa. Ho bisogno di sapere che la dispensa è piena ed in ordine. Sai che ho i miei attacchi isterici di appetito…”
Sanae scoppia a ridere divertita. Invece Yukari è piuttosto seria.
Non è una battuta: può stare anche un giorno intero senza mangiare per poi trascorrere quello successivo senza fare altro.
I suoi disordini alimentari non sono mai stati presi sul serio da nessuno.
Nessuno sembra averci mai fatto caso, salvo il suo stomaco malandato e sadico.
“C’è un supermercato non lontano da qui. Possiamo andare a piedi e poi tornare in taxi.”
“Sì, d’accordo.”
Si avviano in silenzio e un po’ distaccate l’una dall’altra, poi Sanae la prende per mano e continuano il tragitto così fino a quando non arrivano ai piedi di un edificio imponente.
Yukari sfila dalla tasca un foglietto con la lista delle cose da acquistare e con calma attraversano i singoli reparti riempiendo un carrello.
Una volta fuori, la moglie del capitano chiama un taxi e si mettono lì ad aspettare.
“Sei sicura che non ti occorra altro? Non vuoi prendere nulla per l’appartamento?”
Yukari non la guarda in faccia: gli occhi fermi a terra.
“Del tipo?”
Sanae scuote la testa per prendere tempo.
“Tipo un vaso, uno specchio, un quadro…”
Silenzio. Silenzio profondo, mentre la città grida, stride, urla le sue mille parole, le sue mille luci, i suoi pensieri feroci e tremendi.
“No. Tendo ad essere essenziale.”
Sanae si sente terribilmente in default. E dire che Tsubasa aveva anche cercato di dissuaderla.
“Come preferisci” replica con dolcezza, per riparare alla crepa che inevitabilmente sta contribuendo a creare.
Sono salvate dal taxi che arriva e le carica.
Il quartiere è desolante: la periferia delle periferie. Case popolari, cemento, cemento, cemento.
Pali della luce, cielo nero.
Il palazzo di Yukari è uno dei meno peggio.
Ci sono tre gradini grigi e poi la portineria. Peccato che sia sguarnita di custode.
Superano l’imbarazzante entrata, salgono due rampe di scale e poi Yukari apre la porta.
C’è odore di vernice fresca e la luce del tramonto compensa l’assenza di ogni minimo segno di calore umano.
Sanae guarda involontariamente l’orologio e si sente sollevata: giusto il tempo di darsi una sciacquata e dovranno salire su un altro taxi per raggiungere gli amici al ristorante.
Yukari apre le ante del cucinino e comincia a sistemare la spesa.
“Se vuoi ti do una mano.”
“No, non preoccuparti… mi sa che siamo già un po’ in ritardo. Se vuoi rinfrescarti in bagno, puoi andare, così io finisco qui e poi mi cambio.”
Sanae annuisce. Attraversa un minuscolo andito ed è subito in bagno.
E’ tutto perfettamente in ordine e pulitissimo. Non potrebbe essere altrimenti dato che, se si esclude la biancheria, non c’è altro.
Fa subito la pipì, poi si sfila la maglia e si lava le ascelle, il collo. Dalla borsa prende la sua brume profumata e se la sparge con cura.
Si controlla il volto e ripassa le palpebre con un filo di matita.
“Ecco fatto.”
Yukari si è fermata a mezza spesa: la testa fissa alla parete sgombra di mobili di quella parte di stanza che dovrebbe somigliare ad una sala.
Forse potrei decorarla, dipingere dei fiori.
Forse potrei metterci un bel quadro.
“Yukari…”
Come da un sogno appena sognato si sveglia.
“Sì, dimmi.”
Sanae controlla l’ora. Sono davvero in ritardo adesso.
“No è che… dobbiamo sbrigarci.”
Yukari allora riprende svelta a sistemare le cose, poi va di là. Si sente lo scorrere dell’acqua, il cigolio di un cassetto che si apre.
Passano pochi minuti e ritorna in cucina.
Senza parlarsi, prendono le borse, infilano le scarpe e scendono giù. Il loro taxi è lì che le aspetta.

Attraversano mezza città, nel traffico insistente della metropoli che non si quieta mai, come la pancia del lupo. Sempre affamata, sempre in attesa, sempre al limite.
Sanae paga la corsa e in un secondo sono già dentro.
I ragazzi hanno affittato tutto il ristorante, per evitare confusione, intrusi e curiosi.
E non si sente volare una mosca.
“Ecco Sanae e Yukari!” esclama Ryo, vedendole entrare.
Tutti le salutano, alcuni si alzano da tavola e fanno un inchino.
Taro addirittura va loro incontro.
“Come state?” domanda.
Le due rispondono con cortesia e sorridono.
Il giovane giocatore le accompagna e indica i loro posti: Sanae accanto al capitano, Yukari tra Ryo e Mamoru.
C’è qualche istante di confusione e poi si ripiomba in un certo tipo di silenzio: il silenzio dell’attesa.
Sanae si guarda intorno e nota una sedia libera, proprio là, a capotavola.
Anche Yukari la nota, ma non capisce.
“E’ meglio ordinare, cosa dite?” chiede Teppei, ormai privo di speranza.
“Sì, sì, ordiniamo” replica Tsubasa, risoluto.
I ragazzi si consultano rapidamente, cercano di nascondere in qualche modo la delusione e quando hanno deciso, fanno chiamare i camerieri.
Arrivano delle bottiglie di champagne. Tsubasa si alza, ne prende una e la stappa.
E’ incavolato nero e si vede. Ha stampato addosso un sorriso nervoso, livido. Fa i bicchieri e li distribuisce a mano a mano che gli arrivano.
Yukari beve quasi alla goccia.
Sanae invece posa il bicchiere senza nemmeno bagnarsi le labbra.
Ormai tutti sanno che quello che hanno sperato non succederà, quindi si lasciano andare e iniziano a parlare del più e del meno. Ryo si lancia addirittura a fare qualche battuta.
Le portate sono esclusivamente a base di pesce e i piatti caldi si alternano a quelli freddi.
Dopo una lunga pausa vengono scelti i dolci.
Genzo segue l’ombra del cameriere che regge un grande vassoio con il sake e dei bicchierini finemente decorati.
Quando sbuca in sala, quasi nessuno fa caso a lui. Ci vuole qualche secondo prima che Teppei lo riconosca e lo metta a fuoco.
“Capitano…” sussurra. L’ha sempre chiamato così.
Genzo si toglie il berretto. Tiene gli occhi bassi, senza guardare qualcuno in particolare.
“Scusate il ritardo. Ho dovuto prendere un taxi e seminare un gruppo di giornalisti che mi pedina da stamattina.”
Individuata la sedia libera, la raggiunge, e come se niente fosse prende posto.
Tutti lo guardano e a fasi alterne si cercano fra loro, come per sincerarsi che non sia semplicemente una visione, ma la realtà.
“Noi abbiamo quasi finito… non pensavamo…” farfuglia Ryo, l’unico a riuscire a tirare fuori due parole dalla bocca.
“Avete fatto bene. Io sono a posto. Non mangio.”
“Hai già mangiato?” chiede Yuzo.
“Più o meno. Però se mi versate un po’ di sake, lo bevo volentieri.”
Tsubasa gli allunga un bicchiere e lo fissa. E’ rabbioso nello sguardo.
Genzo gli sorride ironico.
“Hai fatto preoccupare mezzo pianeta” dice secco.
Genzo beve il sake e poi si rimette il berretto.
Non risponde.
L’aria è ancora tesa, però allo stesso tempo è come se qualcosa si fosse finalmente sciolto.
Dal fondo della stanza arriva una musica, una musica che riempie tutte le cose non dette.
“Siamo felici di vederti” si lascia scappare finalmente Sanae.
Lui alza gli occhi per un attimo, poi si richiude in se stesso, incrociando le braccia, come se dovesse dormire.
Tutti sentono di condividere quel sentimento che, detto a voce alta, riesce a conciliare le emozioni di un’estate vissuta in ansia.
C’è di nuovo una sorta di speranza, c’è di sicuro molto sollievo.
Restano ancora un po’ così, ostentando la solita normalità e per tutto il tempo Genzo non parla.
“E’ meglio andare. Entro le mezzanotte dobbiamo presentarci in sede”; Taro si alza e con il suo gesto invita tutti a seguirlo.
Il capitano raggiunge la cassa e salda il conto, poi dà un’occhiata a Sanae.
“Yukari” dice la ragazza, attirando l’attenzione dell’amica.
“Sì?”
“Ci sentiamo, d’accordo?”
Yukari annuisce.
Si salutano, mentre i vari gruppi si danno appuntamento al ritiro.
“Ishizaki, mi sa che mi dovrai dare uno strappo tu stasera.”
Ryo si gira verso Genzo e si strofina il naso.
“Sì, d’accordo. Prima portiamo a casa Yukari. Ti sta bene?”
Genzo non risponde ma esce dal locale e va dritto fino all’auto del difensore.
Yukari timidamente prende posto dietro, cercando il più possibile di farsi piccola piccola.
Ryo mette in moto e accende lo stereo.
Genzo di tanto in tanto guarda fuori, anche se si scorgono solo le luci impressionanti della città che non dorme mai e vuole vivere tutta la notte.
“Certo che a far preoccupare gli amici sei il numero uno.”
Il portiere sorride alla sua maniera. Non è un caso che fra tutti abbia scelto proprio Ryo per farsi dare un passaggio. Gli altri l’avrebbero messa giù pesante; Ryo invece in queste cose ha una certo stile.
“Sai com’è, non avevo molta voglia di parlare.”
Yukari non riesce a non cercare il suo volto, anche se inutilmente.
“E non ne ho nemmeno ora” conclude, categorico.


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Grazie a tutte le persone che leggono, a coloro che hanno inserito la storia fra le preferite, seguite, da ricordare e grazie mille a chi ha recensito^^

 

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Capitolo 4
*** Errori di valutazione ***


Le lezioni vere e proprie inizieranno soltanto fra un mese, ma per Yukari non c’è tempo da perdere.
Ci sono le prove d’ingresso da superare e un sacco di dispense da studiare.
Soltanto una sciocca come lei può aver pensato di avere tempo di dipingere una parete.
Deve leggere robusti plichi di fotocopie, seguire i seminari ed i laboratori.
La sveglia è alle sei e trenta. Beve un caffè, mangia qualcosa, fa una doccia e poi di corsa alla fermata della metro. Dopo quarantacinque minuti raggiunge la facoltà e inizia la sua giornata che di solito si conclude intorno alle quattro.
Sta incontrando e conoscendo una marea di persone, ma per il momento è tutto a livello superficiale.
Si sente terribilmente sola, inadatta, stupida.
Fortunatamente non può gingillarsi e struggersi più di tanto. Non ne ha il tempo materiale.
E’ troppo occupata a far funzionare questo pezzetto di vita e non si può permettere il lusso di diventare triste.
Stasera c’è il compleanno di Mamoru e rivedrà Sanae. Sono passati quattro giorni dalla cena e probabilmente è l’ultima volta che potrà stare con lei. La moglie del capitano resterà a Tokyo solo per le due partite in programma. Yukari ha già il pass per entrambe, ma sinceramente, vista la mole di materiale da preparare, dubita di poterci andare.
Sono già le cinque passate ed è ancora in biblioteca.
“Devo tornare a casa…”
Yoshiko, la sua tutor, la guarda dall’alto al basso.
“Come mai?”
“Stasera ho un impegno. “
La ragazza annuisce, “capisco: a che punto sei con la preparazione dell’esame a scelta multipla?”
“Eh… insomma. Sono ad un punto morto.“
Yoshiko chiude il suo libro, “magari domani se ti va, ricontrolliamo i primi argomenti e vediamo cosa c’è da approfondire e rivedere.”
Yukari le sorride, “te ne sarei molto, molto grata. A che ora sei disponibile?”
“Dopo pranzo. Ti aspetto in mensa.”
“Grazie” risponde Yukari facendo un inchino.
Appena fuori dalla biblioteca si mette a correre, ma non riesce a prendere il primo treno.
Tocca aspettare un altro quarto d’ora.
Prova a chiamare Ryo, ma è irraggiungibile.
“Accidenti…” sussurra.
Continua a provare ancora mentre è in viaggio, ma niente.
Una volta scesa, riprende a correre e quando arriva davanti a casa, ha il fiatone.
Appoggia le mani sulle ginocchia.
“Ancora due minuti e me ne andavo.”
Genzo, seduto sui gradini d’entrata, si sistema il berretto sulla testa. Si alza, e mette le mani in tasca.
Yukari lo osserva, muta, immobile.
“Ryo è stato sorteggiato per le interviste e la conferenza stampa. Ha chiesto a me di venirti a prendere.”
“Provavo a chiamare ma…”
Il ragazzo mostra una leggera insofferenza.
“Siamo parecchio in ritardo. Meglio se ci diamo una mossa.”
Yukari allora si tira su per bene, quasi come se si sentisse offesa.
“Dammi due minuti e arrivo.”
 Fa i gradini e gli passa accanto; “vuoi entrare?”
“No, ti aspetto qui.”
“Come preferisci.”
Entra nel suo appartamento e le sale un’inspiegabile rabbia da dentro. Ce l’ha con la sua lentezza nell’apprendere, con i treni che partono sempre in orario e con Ryo che fa sempre un po’ come vuole e cambia programma senza avvertire.
Si spoglia quasi strappandosi i vestiti di dosso.
Apre la doccia e ci si ficca dentro cercando di non bagnarsi i capelli.
Si asciuga male e si veste, infilando la busta dei trucchi nella borsa. Genzo non è il tipo che aspetta certe frivolezze.
Se avrà modo, si truccherà nella toilette del locale. Tanto la sua faccia è quella, con o senza trucco.
Genzo è già davanti lo stabile, in macchina.
Yukari sale e prende un grande respiro.
L’auto va veloce e inizia a trafiggere la città che stasera è proprio piena di gente in movimento.
“C’è un traffico assurdo.”
La ragazza si morde il labbro, “mi dispiace, ho perso il treno.”
Genzo non risponde subito, prende tempo.
“Ho l’impressione che tu abbia fatto un errore di valutazione”, se ne esce dopo altri minuti imbottigliati in una strada zeppa di veicoli incastrati quasi l’uno sull’altro.
Yukari si volge verso di lui per un attimo, poi fissa di fronte a sé.
“Mi hanno detto che hai scelto scienze politiche”, continua lui.
“Sì… per ora sto seguendo i corsi preparatori. Quella sarà la specializzazione.”
“La facoltà è diametralmente opposta a dove hai preso casa.“
Lei immagina una cartina di Tokyo, una qualsiasi cartina, anche fra le più semplici e solo ora pare rendersi effettivamente conto della cosa.
“Sì, è… è un po’ lontano.”
“Un po’?” ripete lui, con ironia; “hai valutato male, Yukari.”
La ragazza ha avuto una giornata dura. A dire la verità, è da un po’ che le cose non vanno. E adesso ci manca anche lui che la tratti con questa sufficienza.
Era arrabbiata prima. Adesso lo è ancora di più.
A fare la parte della poverina non ci sta.
“Non siamo tutti come te, Genzo.”
Lui si sposta il berretto per un secondo, “in che senso, scusa?”
“Dai… hai capito” fa lei.
“No, non ho capito proprio per niente.”
“Scommetto che tu di errori del genere non ne fai. Errori di valutazione, intendo… ma non siamo tutti così”.
Genzo mantiene il controllo. Puoi dirgli tutto quello che vuoi, difficilmente reagisce. Difficilmente ti fa capire cosa pensa, che effetto fanno le tue parole su di lui.
“Sì, ne faccio veramente pochi.“
Lei incassa, in silenzio. Ci rinuncia a polemizzare.
Non ne ha voglia.
“L’ultima volta che ho valutato male, l’ho pagata cara però. Per un errore di valutazione, ho perso la finale di Champions League“  dice tutto d’un fiato, ma con molta, moltissima sostenibilità nel tono della voce.
Yukari rimane in silenzio.
Forse da quando è successo, è la prima volta che Genzo ne parla.
Lei quella partita l’ha vista e sa a cosa si riferisce.
Avrebbe tutti gli elementi per rincarare la dose. In fondo il calcio l’ha sempre seguito e un po’ può dire d’intendersene.
Ma a che scopo?
Lei non ha bisogno di giudicare. Non ne ha bisogno.

Non si parlano più fino a destinazione.
Appena raggiungono il parcheggio, Yukari scende nervosamente e se ne va dentro.
Saluta Mamoru e gli fa gli auguri poi va dritta verso Ryo.
“Ciao Yukari, tutto bene?” le chiede, con il suo drink in mano.
“La prossima volta che non puoi venire a prendermi, sii così gentile da farmelo sapere. E soprattutto non mandarmi nessuno! Sono capace di arrangiarmi da sola.”
Senza aspettare risposta, si dirige verso il bagno e Sanae la segue di corsa.
“Ma che ti prende?”
“Niente.”
Quasi tremando, afferra la borsa, apre la cerniera e tira fuori i trucchi.

Genzo arriva con calma.
Dà il suo regalo a Mamoru e si siede appartato.
“Che le hai detto?” domanda il difensore, raggiungendolo.
“Niente. Niente di importante. Se siamo in ritardo è perché vive nel posto sbagliato.“
Ryo gli si siede accanto.
“Sarai anche il portiere più forte del mondo ma con le donne fai pena.”
Genzo si scosta un po’.
“Non sono il portiere migliore del mondo. Il portiere più forte del mondo non fa errori.”
Ryo beve un sorso e capisce che si sta muovendo qualcosa; c’è un fremito nell’aria.
Come da copione, la butta sul ridere.
“Infatti con le donne sbagli tutto. Regola numero uno…” sussurra e si ferma.
Genzo si toglie il berretto e solleva la testa in aria. Vuole fare il disinteressato, il superiore.
Però ormai Ryo lo ha incuriosito e questa regola la vuole proprio sentire anche lui.
“Anche se una donna sbaglia, tu fai finta di niente.”
Genzo lo guarda deluso.
“Perché non vive da te?”
“Vuole fare da sola, vuole farcela da sola.”
“Le deve mancare qualche rotella.”
Ryo alza le spalle.
“E’ solo un po’ ostinata, tutto qui.“
Il portiere si fa versare da bere e ne prende un sorso.
“Dovreste provare a convincerla ad avvicinarsi alla sua facoltà.”
“Fosse facile!” esclama il difensore.
“Non passerà neanche un esame se resta dov’è. Ce lo ridiremo” sentenzia implacabile.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Gli occhi del mondo addosso ***


La festa di Mamoru è passata in fretta.
Yukari prima della mezzanotte ha finto un mal di testa ed è tornata a casa in taxi, così da non scomodare nessuno.
Non è riuscita a parlare con Sanae perché la musica era alta e non si sentiva da qui a lì.
Pazienza.
Si ributta sulle sue dispense e trascorre i giorni a leggere.

I ragazzi in ritiro se la stanno passando piuttosto bene: sono tutti molto concentrati e determinati.
Nessuno vuole perdere.
Genzo è in una forma strepitosa. Non si sa dove sia stato in tutto questo tempo, ma tutti pensano all’unisono: ovunque si sia nascosto, ha speso le sue giornate a correre, lavorare in palestra e sul campo.
Non ce n’è uno fra i compagni più vecchi che abbia avuto il coraggio di fargli domande. Nemmeno Tsubasa, che ne avrebbe tutto il diritto, ha cercato di indagare.
Il fatto di vederlo così sicuro, così “normale”, lo ha fatto desistere.


Per la prima partita, l’allenatore ha deciso di lasciarlo a riposo. Il Giappone ha vinto due a zero contro la Thailandia e con Ken in porta è filato tutto liscio.
Per la partita di oggi, invece, contro la Corea, Genzo gioca titolare.
Durante il tragitto dall’albergo allo stadio c’è un’atmosfera lievemente tesa. E’ la prima uscita pubblica del portiere dopo la rovinosa finale di Champions e i giocatori si sentono gli occhi del mondo addosso.
Genzo si siede da solo in fondo; si è chiuso in un silenzio planetario.
Dalle prime ore del mattino non ha scambiato parola con nessuno.
Appena scendono dal pullman si rendono conto di quanto sia importante questa partita. Dove ti giri, ti giri, è un brulicare di flash, telefonini che s’illuminano, giornalisti, microfoni, operatori televisivi.
Sono professionisti e di un certo livello: dovrebbero esserci abituati, ma questa volta si avverte davvero che c’è qualcosa di speciale, un’attenzione particolare.
Genzo va dritto nello spogliatoio, tiene lo sguardo fisso e basso, il berretto a proteggerlo dalla violenza di questo luccichio invadente.
Si siede ed inizia a cambiarsi.
Anche gli altri fanno lo stesso.
Ora non vola una mosca, nemmeno Ryo se la sente di rompere la tensione pre-gara con una delle sue scappate.
Il Mister entra e fa una camminata fra i ragazzi, ma anche lui non fiata.
Ogni parola sembra fuori luogo.
Quando non manca molto, tutti in ordine si avviano verso la bocca dello stadio. Il tunnel è pieno di curiosi, addetti, persone che hanno avuto l’autorizzazione a stare lì.
Sanae e Yukari sono quasi in fondo.
La moglie del capitano ha talmente insistito che l’amica non se l’è sentita di restare in appartamento.
Non volevano neanche farle passare, ma Anego ha tirato fuori la sua solita grinta e ce l’ha fatta ad ottenere il permesso.
Guardano i loro amici sfilare e Tsubasa, notandole, si ferma un attimo.
Fa l’occhiolino.
Sanae gli sorride, mentre Yukari indietreggia, come se si sentisse nel posto sbagliato al momento sbagliato.
“Niente libri oggi Nishimoto?” grida Ryo, che ora sente l’adrenalina premergli da dentro.
Qualcosa deve proprio dire.
Yukari diventa rossa come un peperone.
Abbassa la testa mentre Genzo, l’ultimo della fila, le passa a pochi centimetri.
“In bocca al lupo!” esclama Sanae.
Mamoru e Taro si voltano e fanno segno di vittoria, poi vengono inghiottiti dallo stadio che si apre in un boato assordante e terribile.

La partita sembra infinita invece dura il solito.
Il Giappone non è mai in difficoltà. Gestisce benissimo tutte le zone del campo e Tsubasa fa goal dopo appena un quarto d’ora.
Riescono a segnare anche Hyuga e Taro prima della fine del primo tempo.
Genzo è in assoluto controllo di tutta la difesa. Impartisce indicazioni, che, in qualche raro caso, diventano ordini, e si muove solo lo stretto necessario.
Esce sempre con un tempismo impeccabile e nelle due sole occasioni pericolose, se la cava alla grande.
Quando l’arbitro fischia la fine, lo stadio rimbomba di suoni, applausi, cori.
Il capitano abbraccia i suoi compagni e Ryo inizia a fare qualche battuta delle sue. Tutti ridono e sembrano davvero soddisfatti.
Teppei raggiunge Genzo: il portiere è rimasto indietro.
“Bella partita, non è vero capitano?” chiede il ragazzo, sorridendo all’amico.
Genzo fa qualche passo, tenendo lo sguardo basso.
“Sì…” farfuglia, senza guardare.
Teppei si avvicina un po’ di più perché il tono della voce del compagno gli sembra strano.
“Tutto bene Genzo?” domanda, perplesso.
Il portiere alza la testa. E’ bianco come la morte. Non risponde e si accascia a terra.
Un corpo immobile in un immenso fazzoletto d’erba.

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Grazie a tutte le persone che leggono e seguono questa ff^^

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Capitolo 6
*** Scatto di crescita ***


“Se non fosse già adulto, parlerei di influenza da scatto di crescita decreta il medico, finendo di compilare la cartella clinica di Genzo, mentre l’allenatore e lo staff tecnico della nazionale sono lì, a fissarlo.
“Aveva quaranta di febbre quando l’hanno portato in infermeria. Ma ora è già più bassa. Le analisi sono buone. Non è niente di grave.“
Continuano ad osservare il medico che scrive il suo poema.
“Probabilmente era così teso che… alla fine della partita si è liberato di un enorme fardello. Ed è crollato.”
Fa ancora una pausa, poi finalmente posa la cartella e guarda in faccia i suoi interlocutori, “non date troppo peso all’avvenimento. Ha bisogno di riposo, ma non appena passa la febbre, può tranquillamente riprendere gli allenamenti.”
Il Mister tira un sospiro di sollievo e si avvia verso l’uscita: i ragazzi stanno aspettando notizie.
Tsubasa e gli altri gli corrono quasi addosso.
“E’ tutto ok, ragazzi. Ha solo avuto un febbrone da cavallo.”
E’ una spiegazione piuttosto scarna e anche poco convincente. Notando la perplessità sui volti dei giocatori, si sente autorizzato ad utilizzare il vocabolario del medico.
“E’ come se avesse avuto uno scatto di crescita… è così che ha detto il dottore.”
“Uno scatto di cosa?” domanda Ryo, confuso e preoccupato.
“E’ stato il suo modo di sbollire la sconfitta della Champions: mettiamola così.”
Ora è tutto chiaro.
Cala un silenzio quasi irreale. Sono tutti contenti di sapere che Genzo non abbia nulla di grave ma allo stesso tempo, solo adesso, riescono a cogliere quanto debba aver sofferto veramente.
Sanae e Yukari sono in fondo alla stanza, ma sono riuscite a sentire tutto.
“Povero Genzo…” si lascia scappare Anego.
L’amica non aggiunge parola.
“Chissà se i suoi genitori sono in Giappone” conclude la moglie del capitano, sospirando.
Yukari si stacca dal muro cui si era appoggiata e avanza di qualche passo.
“Qualcuno li avrà avvertiti. Vedrai che se non sono qui, prenderanno il primo volo per arrivare e stare con lui.”
“Me lo auguro. Sai, Genzo non è un tipo facile… non accetta il nostro aiuto.“
“Fossi in te non mi preoccuperei così tanto”; Anego la guarda infastidita.
“Perché ce l’hai con lui? Cosa ti ha fatto?”
Yukari sgrana gli occhi ed indietreggia.
“Niente, non mi ha fatto assolutamente niente!”
“E allora perché sei sempre così ostile verso di lui?”
“Io?”
“Sì, Yukari, non credere che non me ne sia accorta!”
La ragazza scuote più e più volte la testa.
“No, guarda che ti sbagli. E’ solo che non mi sta molto simpatico. In fondo diciamoci la verità: se ha perso la Champions, è in gran parte colpa sua. Non è invincibile come tutti credevano. E forse ora l’ha capito anche lui.”
“Sei saccente…”
“No, cosa c’entra. E’ solo che mi dà molto, molto fastidio questo atteggiamento di riverenza che hanno tutti verso di lui…”
Sanae la osserva perplessa, “ti sbagli, guarda che non c’è alcun tipo di riverenza nei suoi confronti.”
Yukari non vuole litigare con la sola persona che fino ad oggi le è stata accanto.
Perdere lei, significherebbe ritrovarsi veramente, inesorabilmente sola. E non se lo può permettere.
“Forse è solo la mia impressione…” prova a spiegare, per rimediare un po’ le cose.
Sanae non le risponde, ma con gli occhi l’ammonisce nuovamente.
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Grazie a tutte le persone che leggono e seguono questa ff^^

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Capitolo 7
*** Intorno alle ferite ***


In 24 ore la febbre se n’è andata del tutto.
Si sente un po’ intontito ma sta bene: in piedi, già lavato e vestito, sta finendo di rimettere le cose nella sua borsa.
La stanza d’ospedale è silenziosa ma esageratamente calda e non vede l’ora di andarsene.
Suo padre è alla finestra, mentre sua madre è ad un passo da lui. Vorrebbe aiutarlo a riporre meglio i panni, ma è una cosa che ha smesso di fare anni fa ed ora non ha più alcun senso.
“Quando pensi di tornare a casa?”
Il portiere resta concentrato su ciò che sta facendo, “io sono già a casa, papà.”
L’uomo si fruga in tasca – ha una gran voglia di uscire a fumare.
“Intendevo in Europa, Genzo. Ad Amburgo.”
“Fra qualche giorno.”
“Continuano a chiamare, a chiedere. Il tuo procuratore non sa più cosa inventarsi. Perché non rispondi alle sue telefonate? Lui sta cercando di curare i tuoi interessi. E anche la tua immagine”, fa una pausa e poi riprende, “anche se sinceramente non sembra che t’importi molto…”
Genzo resta silente e finisce di riempire la borsa.
“Non ho voglia di parlare. Non ho molto da dire. Tanto mi pare che ad Amburgo abbiano già deciso cosa fare, no?”
Il signor Wakabayashi avanza e fa un cenno con la mano a sua moglie.
“Non ti sei presentato al ritiro. Sei tu in torto, Genzo.”
“Sì, infatti” replica secco il ragazzo.
La signora si alza e congiunge le mani per afferrare la sua pochette. Si sistema la giacca sulle spalle.
“Abbi cura di te, Genzo. Non ti affaticare.”
Lui la guarda, le sorride, poi si infila il berretto.
“Lo accetti un consiglio da tuo padre?” chiede ancora l’uomo.
“Dimmi.”
“Non andare a Nankatsu e non ti fermare in uno dei nostri appartamenti qui a Tokyo. Sono tutti sotto tiro dei giornalisti. Sei l’argomento del giorno.“
“Li ho depistati tutta l’estate. Non mi fanno né caldo né freddo”.
Si sente qualcuno bussare.
“Avanti…”
Tsubasa entra e, vedendo i genitori dell’amico, fa un inchino e un passo indietro.
“Buongiorno… scusate, non sapevo foste qui.”
“Oh non preoccuparti ragazzo. Stiamo andando via. A presto.”
La madre di Genzo lascia la stanza seminando il suo profumo francese e quando la porta si chiude, Genzo raggiunge la finestra. Per paradosso, assume la stessa posizione di suo padre.
Il capitano si accomoda su una sedia posta accanto al letto.
“Come stai?”
“Bene. Sto aspettando il foglio di dimissioni e me ne vado. E’ stato…”
“Uno scatto di crescita” conclude il capitano.
“Sì, diciamo così.”
“E’ più facile dare un nome figurato alle cose.”
Genzo si mette le mani in tasca, tiene gli occhi bassi, “sì, fa meno male.”
C’è un po’ di silenzio, un silenzio denso, fatto di molte cose che passano senza che si debba per forza dirle. Momenti preziosi e unici.
“Sono venuto a salutarti. Dopo pranzo abbiamo il volo per Barcellona” riprende Tsubasa, cercando di farsi forza, di trovare un terreno da cui partire per arrivare al succo del problema.
“E Sanae?”
“E’ da Yukari. Passerà molto tempo prima che si possano rivedere. Si è raccomandata di salutarti e di farti un grande in bocca al lupo.”
“Grazie. Pare che ne abbia proprio bisogno, eh?”
Tsubasa gli sorride e si alza, gli si avvicina. Ora entrambi guardano fuori dalla finestra. La stanza dà su un enorme parco pubblico.
“Come pensi di muoverti? Voglio dire…” chiede timidamente il capitano.
“Non lo so. Mi troverò una nuova squadra.”
“Ce ne saranno tante che ti vogliono.”
Genzo non risponde, ma la cosa è palese. Ha ricevuto chiamate e email da moltissime squadre, persino dal Manchester United.
“Magari mi ritrovi a Barcellona…” fa il portiere, per sdrammatizzare.
“Sarebbe magnifico.”
Di nuovo cadono in un momento di imbarazzo.
Tsubasa vorrebbe andare più a fondo, dirgli qualcosa che abbia davvero significato, che possa essere di aiuto, ma con Genzo non è facile trovare le parole.
“So che hai vissuto un periodo tosto. Lo immagino.  E so che non ne vuoi parlare.”
“Ecco, bravo.”
Tsubasa si allontana, prende lentamente la via dell’uscita.
“Per qualsiasi cosa, sappi che io ci sono, Genzo.”
Il portiere si volta, e ora lo fissa dritto negli occhi.
“Grazie. Non ne ho mai dubitato.”
Il capitano apre la porta, sta praticamente uscendo.
“Non puoi girare intorno alle ferite. Lo sai, vero?”
Genzo avanza fino al letto, prende la borsa e la posa a terra.
“Purtroppo credo di averlo imparato sulla mia pelle. Tuttavia…”
“Tuttavia?”
“Con il carattere che mi ritrovo non è facile convivere con questo tipo di fallimento. Io ero abituato a vincere. Ad ottenere tutto con il sacrificio e l’impegno. E’ dura, accorgersi che le cose a volte non vanno come dovrebbero.”
“Puoi sempre vincere la prossima volta. Hai ancora molte occasioni, molte partite, molte opportunità davanti a te.”
Genzo si richiude nella sua solita espressione seria.
Ha trascorso mezza vita ad Amburgo, c’ha costruito tutta la sua forza, è stata la sua casa e con una fatica enorme, dopo aver trascinato la squadra fino all’ultimo minuto dell’ultima partita, dopo la vittoria del campionato, è riuscito a sbagliare l’appuntamento più importante.
Come se non bastasse, ad esclusione di Kaltz, la squadra gli si è rivoltata contro, dandogli anche delle colpe che non aveva.
Non solo sente di aver fallito, ma di essere stato tradito da quella che fino a novanta minuti prima aveva considerato parte della sua famiglia.
Si sposta il berretto: troppi pensieri, troppo dolore e quella sensazione di non avere più la terra sotto i piedi.
“Stammi bene Ozora” conclude, ostentando indifferenza.
“Fatti vivo ogni tanto, mi raccomando. Non sparire.”
Tsubasa non aspetta risposta: dopo un’estate di silenzio, pensa che sia il minimo da pretendere.

Yukari sistema lo strano oggetto di vetro che le ha portato Sanae.
“Lo so che è un po’ fuori dall’ordinario, ma… ho pensato che potesse farti piacere” spiega Anego come a doversi giustificare per un regalo.
Tsubasa ha provato a farglielo capire in tutti i modi, ma lei non ha proprio resistito. Doveva lasciare un segno in quella casa senz’anima.
“… ci sta proprio bene” si limita a dire la ragazza, continuando a girarlo e rigirarlo.
Sedute per terra, si versano il tè e iniziano a sorseggiarlo parlando del più e del meno.
“I libri non ti mancano…” osserva Sanae, dandosi un’occhiata intorno.
“Già. Non faccio che leggere. Mi sento la testa piena di parole, ma è come se non riuscissi ad assimilare.”
“Vedrai che piano piano prenderai il tuo ritmo. Devi solo avere un po’ di pazienza.”
“Speriamo” risponde Yukari, anche se dal tono della voce si evince quanto sia scettica.
Sanae finisce di bere e poi si alza.
“Purtroppo me ne devo andare. Tsubasa mi starà già aspettando. Mi dispiace di aver passato solo poche ore con te.”
“Dispiace anche a me, ma non è colpa di nessuno.”
Anego all’improvviso sembra essere diventata triste.
”Per me è ancora difficile partire…”
“Immagino. Per me  è dura stare a Tokyo. Non so come fai ad allontanarti così tanto… sei forte.”
Lei scuote la testa, “no, sono solo molto innamorata. Per amore si fa tutto, Yukari.”
“Sì, certo” risponde lei, anche se le suona come una frase di circostanza.
“Tu e Tsubasa siete una coppia stupenda.”
Sanae arrossisce.
“Un giorno anche tu troverai la persona giusta.”
Yukari solleva le spalle.
“Per il momento non ci penso. Vorrei solo riuscire a trovare un po’ di sicurezza in me stessa, in quello che posso fare. Tendo a deprimermi facilmente, lo sai.”
“Lo so, lo so… per questo ci sono io a tirarti su! Quando sei sulla strada della depressione, mi telefoni e ci penso io!” Sanae lo dice ironicamente, per farla sorridere e ci riesce.
“Grazie Sanae…”
“Ah sciocca! Non devi ringraziarmi! Pensa a stare bene, a studiare e...”
“E?”
“Cerca di essere felice, Yukari.”
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Grazie mille a tutte le persone che leggono la mia storia^^

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Capitolo 8
*** Recuperare ***


Rimane ancora un po’ a fissare i tabelloni appena usciti.
Ormai se ne sono andati via tutti.
Lei invece è ancora lì, con due lacrime che le stanno spuntando dall’animo.
La sua tutor è appena dietro.
“Yukari, dai andiamo… ti devo parlare.”
La ragazza allora si gira e segue Yoshiko fino alla caffetteria.
E lì le due lacrime diventano striscioline impercettibili sul suo volto di porcellana.
“Pensavo che saresti passata al test a scelte multiple.”
Yukari non risponde. Si vergogna troppo.
Si sente nuda, come se tutto il mondo la stesse guardando, giudicando.
“Non è una tragedia. E’ solo una gran rottura perché dovrai andare a recupero fino all’inizio delle lezioni. E il recupero ti terrà occupata ogni sabato.”
La ragazza tira fuori una piccola salvietta e se la passa sotto gli occhi.
Studiare fino all’alba, ricopiare gli appunti in bella, non è servito a niente.
Devo essere proprio stupida. Continua a ripetersi.
Yoshiko la fissa, ordina un caffè per entrambe e aspetta una parola, una domanda, qualcosa, ma Yukari è immersa nel suo mondo e non pare aver voglia di riemergere in superficie.
“Yukari, mi hai ascoltata?”
Lei annuisce più volte.
“Nessun problema per il sabato. Tanto non ho mai niente da fare. Non ho amici qui.”
“Ah… beh e Ishizaki?”
“Ishizaki è molto impegnato con la sua carriera. E anche gli altri. Non faccio mai niente il sabato.”
Yoshiko si sente un po’ in imbarazzo. Di solito le matricole che non superano il test, fanno subito richiesta di recuperare una sera a settimana e polemizzano su tutto. Yukari invece non fa una piega.
“Se vuoi possiamo andare in biblioteca così ti mostro su che manuale devi studiare. Hai una trentina di giorni per prepararti, dopo di che avrai di nuovo la prova. Se passi, ok. Se non passi purtroppo dovrai scegliere un corso secondario, ma non potrai frequentare quello principale. Qui funziona così.”
“Sì, lo so. E’ il regolamento.”
Prendono il caffè ed ognuna resta sulle sue. In fondo non sono amiche e se non fossero state abbinate dal caso, non si sarebbero mai cercate.
Sono l’una l’opposto dell’altra.
Yoshiko è una studentessa modello e sembra non avere difetti: è sempre puntuale, in ordine, profumata, vestita con cura e gusto.
Yukari invece è approssimativa. Perennemente in ritardo, in disordine, un po’ insicura nel vestire, nel modo di porsi.
“A volte la nostra facoltà viene sottovalutata. Alcuni studenti si iscrivono così, tanto per fare. Ben presto capiscono che se vogliono proseguire, devono studiare seriamente. Sono in tanti a non superare il test la prima volta. Non buttarti troppo giù per questa cosa. Cerca di reagire subito.”
Yukari la guarda per un istante. Vorrebbe avere un solo centesimo della sua determinazione, un solo briciolo della sua forza di volontà.
Le sembra una macchina da guerra, una di quelle persone che macina un successo dopo l’altro.
“Grazie del tempo che mi dedichi” si sente di dire.
“Di niente, non preoccuparti“ risponde Yoshiko, alzandosi.
Le due si dirigono a passo spedito in biblioteca. C’è un po’ di fila per ritirare la copia del manuale, così la tutor, dopo averle dato tutte le indicazioni, la saluta.
Yukari rimane in coda per tre quarti d’ora. Quando finalmente tocca a lei, il manuale è già stato preso in prestito in tutte le sue copie.
Dovrà accontentarsi di un buono sconto per acquistarlo in libreria. Le fotocopie del volume sono vietate.
Il fatto che diverse persone prima di lei l’abbiano preso, in un certo senso la fa sentire meno sola.
Prende il buono e corre subito nella prima libreria che trova, nei pressi della facoltà.
Acquista il manuale e poi si affretta verso casa.
Prende il treno delle sei e dieci e appena si siede, comincia a sfogliarlo distrattamente.
Non sa se prendere il telefono e chiamare casa per dare la triste notizia o tenersi tutto per sé.
La notte prima dell’esame ha fatto un brutto sogno, quindi per scaramanzia non ha detto ai suoi che avrebbe avuto il test.
Forse è stato solo un gesto di  vigliaccheria. Di fatto ora è in una botte di ferro: non è obbligata a dirlo.
Decide di prendersi un po’ di tempo ed infila il manuale nella borsa.
Appoggia la testa al finestrino. Non ha neanche più voglia di piangere. E’ talmente delusa che non ha voglia di niente.
Scende fiaccamente dal treno e cammina verso casa con molta, moltissima calma.
E’ ormai buio e il quartiere non è dei più raccomandabili, ma Yukari non ha paura.
Proprio davanti a casa, ha la sensazione che le vibri il cellulare, così abbassa la testa, si ferma e fruga nella borsa per rispondere.
Lo afferra ma non suona. Accende lo schermo ma non pulsa. Nessuna chiamata: è stata solo un’impressione.
“Ancora due minuti e me ne andavo.”
Alza lo sguardo di scatto e fa anche un piccolo salto per lo spavento.
Genzo è seduto sui gradini d’entrata.
Si alza, si mette a posto il berretto e poi infila le mani in tasca. Ai suoi piedi un borsone da viaggio.
“Cosa… come mai qui?” domanda.
“Come te la passi Nishimoto? Come vanno gli studi?”
Lei si avvicina, fa due gradini, gli è proprio di fronte, anche se deve tenere la testa un po’ indietro per guardarlo.
“Tutto bene” risponde, sicura che le crederà perché gliel’ha chiesto solo per educazione.
Di come vanno i suoi studi, non gliene frega niente.
“Torni sempre così tardi?”
“Più o meno.”
Genzo si sposta, “è dura la vita in periferia, eh?” chiede con un filo di ironia.
Yukari avrebbe voglia di dargli uno schiaffo, di mandarlo a quel paese, ma si trattiene.
Si rende conto che  sta soffrendo della stessa riverenza nei suoi confronti che ha criticato tanto in Sanae qualche giorno fa.
“Come mai sei qui?”
Genzo le si avvicina.
“Avrei bisogno di un favore.”
“Un favore? Da me?”
“Sì.”
Yukari si fa strada, “beh vieni dentro. Non vorrei che ti tornasse la febbre a causa mia, a star qui fuori.”
Genzo prende il borsone senza replicare.
Sa bene che c’è un tempo per scherzare ed uno per essere seri.
Entrano nel piccolo appartamento e si tolgono le scarpe. Genzo posa il borsone a terra, Yukari accende le luci in cucina, mette su il tè.
“Accomodati.”
Non c’è molto da accomodarsi, pensa Genzo, notando quanto sia piccolo quel rettangolo.
La ragazza, prepara le tazze, lo invita a sedersi in cucina.
Il portiere prende posto. Si volta ancora verso la parte centrale della stanza, “posso darti un consiglio?”
Non è ancora entrato e già comincia con le sue frasi, pensa lei.
“Togli quella specie di vaso. Con tutto il resto ci sta proprio male.”
A lei scappa da ridere e pur cercando di trattenersi, non riesce a non farlo.
“Me l’ha regalato Sanae. Non le piace molto questo appartamento. Lo trova un po’ squallido.”
“Beh con quello, oltre ad essere squallido, diventa anche un po’ kitsch. Mi dispiace per Sanae.”
I due iniziano a bere e adesso c’è un silenzio tremendo. E’ misto al disagio di essere insieme e soli.
“Vorrei restare a Tokyo ancora qualche giorno” dice, ad un certo punto lui, dal niente.
“Oggi hanno detto alla televisione che sei partito.”
“Appunto… sono riuscito a fregarli ancora.”
Yukari lo osserva, fissandolo.
Lui il test a scelte multiple l’avrebbe superato anche senza studiare.
“Scusami ma non capisco…”
“Volevo sapere se puoi ospitarmi. Qui sono al sicuro. Nessuno mi verrà a cercare.“
Yukari ingoia il sorso di tè.
“Ospitarti qui?”
“Sì.“
“Ma non ho una camera degli ospiti, lo vedi, no? Non c’è posto…”
“Se hai un futon, io mi arrangio qui. Non ti darò fastidio. Prometto.”
Yukari si alza. Prende la tazza e la sciacqua nervosamente. Con lo sguardo e mentalmente attraversa tutta la casa e si sente sollevata: ha fatto le pulizie proprio ieri ed è tutto perfetto.
“Non è per il fastidio, è che…”
Genzo non è abituato a pregare nessuno, figurarsi se si mette ad elemosinare ospitalità alla Nishimoto.
Si alza, va verso l’andito, prende il borsone.
“Fai conto che non ti abbia chiesto niente” dice asciutto come la parete che Yukari vorrebbe tanto dipingere.
Fa per aprire la porta.
“Ma dai aspetta… “ dice lei raggiungendolo, “va bene. Va bene.”
Genzo si gira verso la ragazza.
“Sicura?”
“Sì, certo…”
“Ti ringrazio” replica il portiere, posando nuovamente la borsa a terra.
“Vado a prepararti il letto. Dormirò io qui” gli dice, dirigendosi saldamente in camera.
“No, perché? Non ho bisogno di una stanza.”
“Devo studiare e mi serve il tavolo. Poi devo consultare le dispense, sulle mensole” e dicendolo, col dito passa in rassegna la sua piccola, grande biblioteca; “mi sentirei a disagio, se fossi tu a dormire qui. Credimi, è meglio così”.
Il portiere non insiste e si siede a terra, mentre Yukari va in camera e prepara il letto. Controlla che sia tutto a posto e poi mette della biancheria pulita in bagno, sul mobiletto bianco.
“Fai come se fossi a casa tua. Ora preparo qualcosa da mangiare.”
Genzo prende il borsone, “io ho già mangiato, grazie. Vado a dormire, se non ti dispiace.”
“No, figurati. Ma… sono solo le otto e mezzo. Vai a dormire sempre così presto?”
Il portiere si ferma, si toglie il berretto, “sono molto stanco. Non ho voglia di niente. Ho solo voglia di dormire. Non fare caso a me. Se vedi che dormo, non svegliarmi, per favore. Ho bisogno di recuperare.”
Yukari rimane ferma su se stessa e lo guarda filare dentro la sua camera.
Anch’io, Genzo. Anch’io ho bisogno di recuperare, pensa fra sé e sé, senza proferire parola.

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Grazie a tutte le persone che leggono questa ff^^

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Capitolo 9
*** Sono una matricola anch'io ***


Yukari si sveglia un’ora prima del solito.
Scivola in bagno come una biscia, si lava, si veste, trattiene il respiro per non fare rumore. Tiene il rubinetto aperto un filo.
In punta di piedi raggiunge la cucina e beve un bicchiere d’acqua.
Prende lo zaino, indossa le scarpe ed esce di casa.
A passo spedito si dirige verso il piccolo mercato ambulante del quartiere.
Non ci va spesso perché i prezzi sono decisamente alti e per comprare bene bisogna avere tempo, girare banco per banco, scambiare qualche parola con i venditori.
Tuttavia non vuole fare brutta figura e crede sia il caso di trattare il suo ospite con riguardo.
Compra un po’ di tè, di due qualità differenti, della frutta fresca, dei pomodori e riso di prima scelta.
Di tanto in tanto controlla l’orologio sul telefonino: oggi comincia un seminario nuovo e, alla luce della situazione, non può permettersi di arrivare in ritardo.
Quasi correndo, raggiunge i pressi di casa sua. Proprio a ridosso dell’entrata riprende fiato, cerca di calmare il suo battito cardiaco, di recuperare un attimo di lucidità, poi scompare all’interno.
Una volta dentro, cerca di disporre la spesa nel modo più ordinato ed accurato possibile.
Prende una ciotola azzurra per la frutta, un piccolo barattolo per il riso e due scodelle per il tè.
E’ tutto in bella vista così che Genzo, al suo risveglio, avrà l’imbarazzo della scelta.
Afferra lo zaino e scivola via nuovamente.
Si sente strana, anche se non sa dire in che misura, in che termini.
Avverte che tutta la sua persona è come avvolta da quella sensazione di novità, mista ad inadeguatezza, tipica di quando si ritrova con lui.
Non è capitato molto spesso in passato, ma quella riverenza ritorna ogni volta: così palese negli altri, ora se la ritrova addosso e un po’ le dà fastidio, un po’ le piace.
Forse è solo perché è del tutto inaspettata in una routine che in sostanza, stava quasi cominciando a diventare noiosa.
Yukari è così: si abitua alle situazioni con fatica, anche a questa vita di città che non le piace per niente.
Ma quando succede, quando tutto piano piano diventa un’abitudine, lei tende un po’ a spegnersi.
E’ pericolosissimo: il rischio è quello di perdersi, di lasciarsi andare, di farsi sfuggire il focus sugli obbiettivi che si è posta.
Ce la sta mettendo tutta per non cadere, per resistere, e da oggi si butterà anima e cuore al suo manuale per ridare l’esame.
Cerca di restare vigile, di mandare via tutte le distrazioni, ma la riverenza, quella sensazione di novità, sta passando sopra a tutto il resto.
In treno si cerca nel vetro del finestrino e scruta il suo volto come un’adolescente.
Con le mani si raccoglie i capelli e pensa che forse starebbe meglio se li tagliasse, poi dalla tasca tira fuori un rossetto e se ne dà un po’, con molta disinvoltura per convincersi che è un gesto indifferente e senza motivo.
Invece una voce dentro le sta dicendo chiaramente che quelli sono i primi segnali della ricerca della bellezza.
Vorrebbe essere carina, sì.
Abbassa la testa e gli occhi ricadono sui titoloni del suo libro.
In fondo non c’è poi niente di male a voler essere belli.
Per poco non manca la sua fermata, così scende goffamente dal treno e rischia di inciampare su un bambino che stringe la mano a sua madre.
La donna la trafigge con lo sguardo, Yukari fa un inchino per scusarsi e poi scappa via.
Alla prima fontanella si ferma e si sciacqua il viso, dimenticandosi che ha messo il rossetto, così si ritrova con la faccia tutta stropicciata di rosa.
Prende una salvietta e si pulisce, riflettendo la sua figura sulla prima vetrina disponibile.
Stupida! esclama.
Sosta ancora qualche minuto, poi s’incammina verso la facoltà, ma questa volta con calma, cercando di ritrovare la Yukari di sempre.
Non sa che se ne sta andando. Non immagina che quella Yukari, la solita Yukari sta cambiando, sta diventando altro.
Non è ancora in grado di comprenderlo.
Continua solamente ad avvertire che c’è qualcosa di strano.

Il seminario è interessante e riesce a seguire abbastanza bene. Durante la pausa pranzo si apparta e controlla il telefono.
Va in caffetteria e prende qualcosa da bere.
E’ a digiuno da ieri sera eppure ancora non ha appetito.
Yoshiko è seduta ad un tavolo con alcuni suoi compagni, le fa cenno di avvicinarsi.
“Buongiorno.”
“Ciao Yukari, allora? Come va?”
Lei abbassa la testa e sorride.
“Bene, grazie. Ho comprato il manuale. Più tardi inizio a leggerlo.”
Yoshiko annuisce compiaciuta.
“Che idea ti sei fatta del seminario?”
“Notevole…“
“Oggi sono un po’ impegnata, ma domani sono a disposizione in sala studio. Per qualsiasi cosa puoi trovarmi là.”
“Grazie Yoshiko.”
Yukari fa un altro inchino poi se ne torna in classe.
Le sue compagne sono già sedute, intente a parlare di altro.
Ci sono un sacco di eventi, serate, feste, e nei loro occhi, nelle loro voci c’è tutto l’entusiasmo di chi si affaccia ad una vita nuova, piena di cose da scoprire.
Lei, sarà per via del suo anno sabbatico, si sente un po’ fuori posto rispetto a loro, un po’ vecchia.
Ha ricevuto mille inviti, ma ancora non è andata da nessuna parte.
Sta facendo molta fatica ad uscire dal suo piccolo circuito di amicizie, nonostante da parte di tutti ci sia grande apertura, grande disponibilità.
Il problema non sono gli altri. Il problema è lei.
“Yukari, sabato non puoi mancare! C’è la festa delle matricole! Non puoi dare buca!” esclama Atsuko.
La ragazza sorride, si chiude nella sua sedia, come se volesse svanire.
“Beh… in effetti sono una matricola anch’io…”
Tutte scoppiano a ridere, come se avesse fatto la battuta più divertente del mondo.
Lei diventa rossa come un peperone e avrebbe ancora più voglia di sparire.
“Cercherò, sì ecco cercherò di esserci…”
“Puoi portare chi vuoi!”
“Ah sì? Cioè… bisogna portare qualcuno?”
“No, non è che bisogna. Se vuoi, puoi. Tutto qua. Vedi un po’ tu!”
“Mi raccomando!” esclama Mitsume, “se porti un ragazzo, che sia bello e simpatico!”
Di nuovo tutte a ridere, mentre lei a questo punto è proprio sparita.
“Un ragazzo’? Ma non conosco…”
“Ma come! Tu sei nel giro della nazionale! Figurati!”
“Qui a Tokyo c’è Ishizaki…” replica timidamente lei.
“Guarda che va più che bene! E’ un bel tipo!”
Yukari fissa la sua interlocutrice con lieve sorpresa: Ishizaki non è certamente il più bel ragazzo sulla terra.
“Potrei provare a chiederglielo. Se non ha la partita… ora come ora non so bene com’è il calendario.”
“E’ libero. Hanno la pausa per il fatto che c’è stata la Nazionale” risponde prontamente Mitsume, “dì un po’: ma lo segui il calcio o fai finta?”
A questo punto sente di aver fatto la figura della bella addormentata e se ne vergogna tremendamente.
Nel frattempo entra il professore e in un attimo cala un silenzio assoluto.

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Grazie a tutte le persone che leggono e seguono questa ff^^

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Capitolo 10
*** Un concentrato puro di bellezza ***


Per tutto il pomeriggio, resta incollata alla sua sedia, in biblioteca.
Ha letto il manuale due volte da pagina uno a trentacinque: ora sta sottolineando i punti fondamentali che poi ricopierà in un quaderno.
Ha un modo di studiare vecchio e macchinoso, ma se salta un passaggio non si sente a posto.
Più volte ha provato a cambiare atteggiamento, ma sempre con scarsi risultati.
Questo è l’unico modo di studiare che conosce e anche se le ci vuole il doppio del tempo, sa di non poter avere alternative.
Quando finalmente si decide ad andarsene, sono quasi le sette.
Accende il cellulare e vede due chiamate perse di Ryo.
Si avvia verso la stazione e nel frattempo gli fa uno squillo.
Dopo un attimo il telefono suona e lei risponde subito.
“Ciao Ryo!”
“Ma dov’eri finita?”
“In biblioteca a studiare.”
Ryo si sistema per bene l’auricolare, mentre guida la sua auto sportiva.
“Oggi è il mio ultimo giorno di libertà: da domani riprendo gli allenamenti. Ti va un aperitivo?”
Yukari si guarda intorno.
Pensa che Genzo è nel suo appartamento e che forse dovrebbe rientrare subito a casa, poi ricorda le sue parole.
Non vuole essere disturbato.
Non si sono dati alcun tipo di regola, quindi non vede perché mai dovrebbe rifiutare.
“Certo… io sono nei pressi della mia fermata e tu?”
“Ti vedo” replica secco lui, “stavo girando nei dintorni. Fermati dove sei. Due secondi e ti raggiungo.”
Yukari allora s’immobilizza e si gira, anche se di fatto non sa da che parte arriverà Ryo.
Poi passa una frazione di secondo e nel traffico individua la sua auto.
Lui accosta e Yukari sale.
“Come mai eri proprio da queste parti?”
Ryo si sfila l’auricolare e si strofina il naso.
“Beh da che mondo è mondo, le zone universitarie sono un concentrato puro di bellezza.”
Yukari scuote la testa poi si stringe nelle spalle, come per diventare invisibile.
Per qualche istante non parlano, poi, quando Ishizaki ha mentalmente deciso dove andare, la conversazione riprende.
“Come sta andando?”
“Tutto bene… più o meno” risponde lei con un filo di voce.
“Che significa più o meno?”
“Niente… è un modo di dire… c’è sempre qualcosa che può andare meglio.”
“Già… capisco” chiude secco lui.
Dopo poco parcheggia l’auto e indica un bistrot proprio a ridosso della strada.
Yukari scende e lo segue in silenzio.
I due prendono posto in fondo al locale. E’ pieno zeppo di gente e alcuni fermano Ryo, lo riconoscono, gli chiedono una foto, un autografo.
Il ragazzo si sofferma, con pazienza e disponibilità; non si nega a nessuno.
Una volta raggiunto il tavolo, sospira compiaciuto.
“Sto diventando sempre più popolare…”
Yukari lo guarda mentre sembra un pavone che fa la ruota.
“Scommetto che la cosa ti fa solo piacere…”
“Perché? Non dovrebbe? Fa parte del gioco.”
Yukari afferra il menu e comincia a leggere. Ora, a dirla tutta, ha un po’ di appetito.
“Io non riuscirei a reggere.”
“Allora non finire con un calciatore. Ormai siamo messi tutti così.”
C’è un momento di disagio che passa subito leggero quando il cameriere arriva a prendere l’ordinazione.
“Champagne per entrambi, no?”
Yukari annuisce.
Ryo si sistema più comodamente. Non è più solo il ragazzo spiritoso delle medie: ora sta diventando un uomo; il livello di autostima, di fiducia nei propri mezzi è notevolmente aumentato e finisce che questa sicurezza che gli viene da dentro si propaga anche sulla sua figura.
Sembra più bello.
“Allora domani ricominci?” domanda Yukari, per imbastire una conversazione più solida.
“Sì… ricominciare è sempre un po’ dura: bisogna attenersi agli orari, alla dieta, alle regole. Ma per il pallone, si fa questo ed altro.”
“Il pallone è il tuo migliore amico.”
“Sì. Lo sarà sempre.”
“Quando avete la prima partita?”
“Martedì prossimo.”
Yukari attraversa rapidamente il calendario con la testa.
“A cosa pensi?”
“No, è che sabato abbiamo la festa delle matricole. Mi chiedevo… hai voglia di venire?”
“Scherzi?” risponde subito il difensore, ”certo che ne ho voglia!”
“Alcune mie compagne di corso vorrebbero conoscerti.”
“Dov’è questa festa?”
“A Roppongi. Poi ti darò i dettagli.”
“Fantastico!”
“Bene.”
Arriva lo champagne e i due sorseggiano i calici in silenzio, senza guardarsi, ognuno perso nel proprio mondo.
“Le tue compagne sanno che sei nel giro della nazionale?”
Yukari deglutisce, e si mette una mano sul petto, “sì… è successo per caso. Sono finita in una di quelle riviste di gossip… voglio dire… sono in alcune foto con voi. Mi hanno riconosciuta e allora ho spiegato un po’ la mia storia.”
“Allora è troppo tardi…” si fa scappare Ryo.
Yukari lo osserva, mentre si fa un altro bicchiere.
“Troppo tardi per cosa?”
“Per non finire dentro questo circolo vizioso.”
Yukari sorride e guarda fuori dalla finestra.
“Ma no, figurati. Erano solo delle stupide foto. Non significano niente.”
Ryo non commenta, distoglie lo sguardo per un momento.
“Hai saputo di Genzo?” chiede dal nulla.
Lei a fatica trattiene lo stupore per quella domanda.
“No… cosa?”
“E’ partito senza dire niente a nessuno. Come al solito.”
“Forse sta solo cercando di sfuggire alla pressione mediatica che c’è intorno a lui. Sarebbe stato troppo rischioso parlare con qualcuno di voi.”
“Io non avrei spifferato una parola. Tantomeno gli altri… questo atteggiamento inizia ad infastidirmi.”
La ragazza abbassa la testa.
Comprende bene le parole dell’amico e in un certo senso le condivide.
Allo stesso modo però, non si sente di condannare la scelta di Genzo.
“Si farà vivo e si spiegherà, vedrai.”
“Me lo auguro proprio, Yukari.”

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Ringrazio tutte le persone che leggono questa ff^^

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Capitolo 11
*** Scavare l'animo ***


Quando entra in casa, la prima cosa che avverte è un profumo buonissimo.
Attraversa il piccolo andito e si ritrova in un ambiente buio e silente.
Sono le nove passate: Genzo sicuramente è già a dormire.
La cucina è in perfetto ordine: Yukari accende una piccola luce e si accorge che il portiere si è fatto il tè, ha mangiato un po’ di frutta, niente di più.
Il riso è intatto e sul lavandino compare solo una tazza lavata e a testa in giù.
Se ha cucinato, deve aver fatto altro e poi rigovernato subito tutto.
Sul tavolo c’è il suo portatile chiuso e anche il telefono: deve averlo dimenticato oppure lasciato lì apposta.
Di tanto in tanto lampeggia e vibra: arrivano email, messaggi, notifiche.
Lei si avvicina, si allunga sopra l’oggetto come per scrutare lo schermo, ma  dopo un secondo si ritrae: non sono affari suoi, non è la sua vita.
Si guarda intorno e si tocca il ventre: l’aperitivo le ha rovinato la fame e lo stomaco.
Vorrebbe prepararsi qualcosa di caldo ma ha paura di fare troppo rumore e la sua pancia le suggerisce di bere solo dell’acqua.
Va in bagno, fa la pipi, si lava i denti. Si spoglia e si infila nella doccia.
Per qualche minuto si lascia completamente andare e ripensa alla sua giornata, poi inizia a lavarsi e riflette sulla strana situazione in cui si sta trovando.
Prova ad immaginare la giornata di domani.
Potrebbe rientrare un po’ prima e vedere di trovarlo sveglio, preparargli la cena, una tipica cena giapponese.
In fondo in cucina se l’è sempre cavata piuttosto bene.
Oppure potrebbe timidamente parlargli delle perplessità di Ryo: perplessità che coinvolgono tutto il gruppo.
Sciacquandosi, si scrolla come un animale: no, nessuna delle due idee è realizzabile.
Genzo è praticamente un estraneo, una persona di cui non sa quasi nulla, se si esclude la carriera sportiva.
Non può pensare di fare chissà cosa.
Molto meglio concentrarsi sui propri impegni e restare nell’ombra.
Uscendo dalla doccia, avverte ancora quel profumo.
Si ritrova faccia a faccia con se stessa, riflessa nello specchio: si interroga, poi guarda altrove.
Con grandissima attenzione, cerca di non fare confusione e se ne torna in salotto, sistema il futon e si mette a letto.
Decide di riposizionare la sveglia alla sua solita ora: in casa non manca nulla e non occorre tornare al mercato.
Fa un po’ fatica a prendere sonno, poi piano piano l’effetto della doccia fa il suo corso e si addormenta.

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Sono le quattro passate quando apre gli occhi. E’ un pomeriggio assurdo.
E’ sprofondato in un abisso di silenzio e tenebre e non sa nemmeno lui come abbia fatto a risvegliarsi.
Si solleva lentamente e sente di essersi riposato abbastanza da un punto di vista fisico.
E’ la testa ad essere ancora pesante e piena di pensieri.
Guarda verso la finestra poi esce dalla stanza di Yukari.
Si muove come se conoscesse quella casa a memoria invece è solo da due notti che ci dorme.
Dà un’occhiata al computer abbandonato sul tavolo e al telefono che, se pur controvoglia, afferra ed inizia a scrutare.
Ci sono tantissimi messaggi, email, e alcune telefonate perse.
Si siede e ripone il cellulare a poca distanza dal suo corpo. Vorrebbe tornare a letto, richiudersi come un riccio, ma sa bene che non può.
Prende un bel bicchiere d’acqua e insieme a quello tutto il coraggio necessario per vedere di ricominciare la sua vita, mettere insieme i pezzi.
Per prima cosa va in bagno, si fa una doccia, si cambia.
Poi torna al cellulare, lo prende, ripercorre un po’ le ultime ore e si decide a telefonare al suo avvocato.
“Iniziavo a stare in pensiero sul serio…” risponde il signor Naibe, appena riconosce il numero del suo assistito, aprendo la telefonata.
“Avevo bisogno di starmene per conto mio. Mi spiace averla fatta preoccupare.”
L’avvocato respira, si avvicina alla finestra del suo studio, osserva fuori.
“Dove sei?”
“Ancora qui. In Giappone.”
“Immaginavo… nessuno riusciva a trovarti. I tuoi genitori erano quasi decisi ad andare alla polizia. Per non parlare del tuo procuratore! Ho dovuto fare i salti mortali per farli pazientare ancora un po’. Ero sicuro che non ti fosse accaduto nulla.”
Genzo si alza e con la mano attraversa la superficie del banco da lavoro della minuscola cucina di Yukari.
“A volte è necessario prendersi del tempo, cercare di disintossicarsi. Non so se capisce… ero, ero molto arrabbiato.”
“Ed ora? Ora ti è un po’ passata?”
Il portiere scuote la testa, stringe un pugno, dal nulla.
“Non lo so.”
“La dirigenza vuole chiudere tutta questa faccenda nella maniera più indolore possibile per entrambe le parti. Ti rendi conto che, non presentandoti in ritiro, hai complicato tutto, no?”
“Sì. Mi rendo conto.”
L’avvocato cerca nervosamente le sue sigarette, si tasta un po’ dappertutto, poi si siede alla scrivania.
“Io dico che se cerchi di essere collaborativo, ne usciamo bene, sia economicamente che a livello d’immagine.”
“Non m’interessa quello che pensano. Non m’interessa quello che pensa la gente.”
“Davvero?
“Sì.”
“Allora perché sei scappato? Perché ti sei nascosto?”
“Non sono scappato!” esclama.
Dall’altra parte l’uomo capisce che è il momento di tacere. Genzo è troppo giovane.
“Odio solo i giornalisti. Mi stanno addosso, come se mi volessero scavare l’animo.”
Ora il signor Naibe scoppia a ridere.
“Oh no… davvero pensi questo? E quando ti lascerà la tua donna? Allora come farai? Come ti sentirai? Solo l’amore scava l’animo, Genzo. I giornalisti fanno semplicemente il loro mestiere.”
Il ragazzo rimane spiazzato da quelle parole.
Cerca nuovamente una sedia, con lo sguardo va al suo bicchiere d’acqua vuoto.
“Io partirei subito con il primo volo di stasera.”
Il portiere non risponde.
“Genzo…” ripete l’uomo.
“Eh? Sì, sì… d’accordo. Faccio la borsa e chiamo un taxi. La raggiungo nel suo studio.”
“Perfetto. Intanto faccio controllare i voli e prenoto i biglietti. Avviso anche il tuo procuratore, così che possa venirci a prendere quando arriviamo.”
Genzo preme il pulsante rosso del suo telefono.
Si appoggia con forza su quel banco.
“Accidenti” impreca, fra le labbra, quasi a non volersi fare sentire dai muri.
Lentamente si stira, poi si stropiccia gli occhi e torna in camera di Yukari.
L’attraversa tutta, senza portarsi niente dentro.
E’ una stanza quasi vuota.
Non c’è niente di personale, niente che le somigli, che in qualche modo la ricolleghi a lei.
Prende le sue poche cose e le mette dentro la sua borsa, così come capita.
Non ha voglia di andare.
Che diavolo mi prende? si domanda.
Non c’è niente che lo tenga in Giappone, niente che gli impedisca di trovare una squadra anche dieci volte più forte dell’Amburgo.
Eppure gli sembra impossibile qualsiasi cosa.
Si sciacqua la faccia in bagno, come per riacquistare un minimo di lucidità e poi finisce di raccogliere i suoi effetti personali: il pc, il telefono, i soldi.
Chiama un taxi e mentre aspetta, continua a leggere i messaggi.
Scrive due righe ai suoi poi cerca un foglio in giro.
Apre tutte le ante dei pochi mobili e riesce a recuperare un piccolo block-notes, forse lasciato lì per la lista della spesa.
Si siede, scrive qualcosa e finalmente esce senza voltarsi indietro.

..

Grazie a tutte le persone che leggono questa ff^^

 

 

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Capitolo 12
*** Quattro parti ***


Sale sul treno quasi al volo. Mancava un soffio e lo perdeva.
Si appoggia dove può perché è strapieno di gente.
Controlla sconsolata l’ora: è troppo tardi.
Dopo il seminario, Mitsume ha insistito perché andasse con lei e le altre in centro, in giro per negozi.
Ora che ha ufficializzato la presenza di Ryo alla festa, le sue compagne sembrano essere adrenaliniche più che mai.
Ha rinunciato al manuale e ha seguito il gregge per le vie dello shopping.
Hanno attraversato i quartieri alla moda e visitato due centri commerciali. Alla fine, presa dall’entusiasmo del gruppo, ha persino trovato un vestito per la serata delle matricole: un bustino nero che si apre su una gonna di finto tulle.
Se non sta attenta questo mese dovrà chiedere ai suoi altri soldi.
Tiene il suo acquisto ben saldo fra le mani e nel frattempo con la mente accarezza una miriade di pensieri sparsi.
Giunta a destinazione, sosta a comprare del pane francese e al piccolo market all’incrocio prende tutto l’occorrente per preparare le frittelle di soia.
Magari questa sera Genzo è sveglio e potranno mangiare qualcosa insieme, chissà.
Sente la bocca dello stomaco che si chiude, come appena prima degli esami.
Da una parte vorrebbe trovarlo  in camera a dormire.
Dall’altra invece vorrebbe vederlo, parlargli.
Posa la roba a terra per un attimo e di nuovo fa quel gesto inconsueto: si raccoglie i capelli, come se li volesse legare.
Subito dopo li lascia ricadere sulle spalle.
Riprende in mano le sue cose e sale le scale di casa.
Apre la porta cercando di fare piano.
Appena varca la soglia dell’appartamento, avverte ancora quel buonissimo profumo che ormai si è appiccicato alle pareti.
Cerca di prenderlo tutto, inspirando profondamente, poi si rilassa e si sente piccola piccola.
Le stanze sono silenziose e buie, quindi ne deduce che Genzo sia già a dormire.
Sono ormai le nove: doveva immaginarselo.
Accende la luce in cucina e ripone la spesa sul piano di lavoro. Posa la busta con il suo abito su una sedia.
Apre il frigo, lo richiude, di nuovo lo apre.
Sosta lì davanti e prende una lattina di birra.
Ne beve un sorso e si appoggia con la schiena sull’anta chiusa dell’elettrodomestico.
E’ solo a questo punto che nota il tavolo sgombro. Non c’è più il computer. Non c’è più il cellulare.
C’è soltanto un misero foglio.
Si avvicina, lo solleva.
C’è un numero di telefono ben scritto e un messaggio di poche parole appena sotto:
Grazie dell’ospitalità.
Ti devo un favore, Nishimoto.
Genzo

Resta lì, con il foglietto in mano e lo rilegge più e più volte.
Dopo poco si rende conto di aver già imparato il numero a memoria.
Afferra il cellulare, d’istinto, senza pensare, lo memorizza in rubrica.
Piega il foglietto e lo stringe come a volerlo gettare, poi fa marcia indietro, ci ripensa, cerca di stirarlo con le mani e lo piega ordinatamente in due e a seguire quattro parti.
Corre in camera e lo infila in un quaderno che ripone nel cassetto del piccolo scrittoio.
Fa per tornare di là, ma si ferma immediatamente.
Dà una rapida occhiata alla camera.
E’ la sua stanza e tutto è al suo posto. Non c’è traccia di Genzo.
Eppure Yukari ha come la percezione del suo essere stato lì.
Non sa razionalizzarlo, spiegarlo, giustificarlo. Lo sa e basta.
Non sa se essere contenta o triste.
Va un momento in bagno e proprio mentre il suo giro di perlustrazione sembra finito, scorge sulla banchina della finestra, una boccetta di profumo francese da uomo.
Lo conosce perché è famoso.
Se ne spruzza un brivido sul polso ed annusa.
Ecco… pensa.
Si siede per terra con il profumo fra le mani.
Socchiude gli occhi e cerca un punto fermo con lo sguardo.
Un punto su cui concentrarsi e perdersi.
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Grazie a tutte le persone che leggono e che seguono la mia ff^^

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Capitolo 13
*** La vita non si programma ***


“E’ tutto chiaro?”
Yoshiko si solleva e sistema le cose nella borsa.
Yukari è ancora con la testa ferma alle ultime frasi degli appunti.
“Hey… ci sei?” domanda ancora.
La ragazza alza il capo di scatto, come se si stesse riprendendo da un sogno.
“Sì, scusa… sì. E’ tutto più o meno chiaro”, ma mentre lo dice, ricade con la testa sul foglio.
Yoshiko torna a sedersi.
“Che cosa c’è, Yukari?”
“Eh? Niente…”
“Mi sembra che abbiamo lavorato bene questa mattina, no?”
Yukari annuisce, ma cerca di sfuggirle “sì, assolutamente.”
C’è un momento di silenzio, poi si fa coraggio e sputa il rospo, “no, è che è stata una settimana un po’… ho avuto qualche piccolo imprevisto e non ho studiato come avrei voluto.”
“Beh, a me pare che tu stia affrontando tutto seriamente. Non ho notato lacune nella tua preparazione.”
“Ma secondo i miei calcoli, avrei dovuto fare più pagine del manuale…”
Yoshiko dà un’occhiata al volume.
“Recupererai nei prossimi giorni. Dai, non buttarti giù e non programmare troppo. La vita non si programma.”
Yukari allora la fissa: detto da una così, da una che non ha neanche un capello fuori posto, suona come una frase di cortesia, eppure i suoi occhi sono limpidi, sinceri.
“Lo sai che io ho una specie di sesto senso?” aggiunge, dopo un secondo, mentre è nuovamente in piedi, pronta per andarsene.
Yukari continua a fissarla.
“… di solito indovino sempre quale sarà l’argomento centrale dell’esame. E questa volta, questa volta vedrai che è Diritto Internazionale, la mia materia preferita. Se vuoi lunedì, ti porto un po’ di materiale aggiornato.”
“Grazie… Diritto Internazionale… dio, fa paura solo a pronunciarlo!”
La tutor scoppia a ridere, “Yukari sei proprio un po’ strana! Guarda che se sei qui, di Diritto Internazionale te ne dovrai occupare ed anche a lungo!”
La ragazza diventa rossa e cerca di nascondere l’enorme imbarazzo in cui sta sprofondando.
“A proposito… cioè non c’entra niente ma sono curiosa: andrai alla festa delle matricole stasera?”
Yukari fa sì con la testa, ancora rossa e a disagio.
“Allora, buon divertimento!”
“Grazie…, grazie Yoshiko.”
La ragazza ora afferra la sua borsa e fa per allontanarsi sul serio.
“Aspetta…” fa ancora Yukari e mentre lo dice, si alza, “grazie del tuo tempo. Dei tuoi consigli.”
La tutor le sorride, “di niente, figurati. Mi sei simpatica, Nishimoto. Anche se non ti capisco…”
La osserva attentamente mentre esce dalla biblioteca e quando realizza che è rimasta veramente sola, si siede, risistema velocemente gli appunti e ripone tutto con cura dentro lo zaino.
Abbandona la sala senza convinzione, come se volesse camminare all’indietro, rallentare il tempo, ma appena fuori, sente il telefono che vibra.
Lo tira fuori dalla tasca e riconosce il numero di Ryo.
Non risponde alla chiamata. Aspetta che squilli a vuoto fino a che il cellulare ritorna un oggetto inanimato e lo rimette dentro la tasca.
S’incammina verso la fermata della metropolitana e nel frattempo inizia a pensare a tutti i possibili modi per evitare la festa.
Non è in vena, non ne ha voglia.
Le sue amiche l’aspettano in centro per la manicure e acquistare le ultime cose per la serata, ma lei si sente un po’ anonima.
Anonima spettatrice di quello che sta accadendo agli altri.
Capisce che è tardi. Tardi per rinunciare, per dare buca a tutti.
E allora, mentre aspetta la metro, digita l’ultimo numero e dopo poco la voce di Ryo risuona lucida, calda.
“Dov’eri finita Nishimoto?”
“In biblioteca.”
Vorrebbe dirgli che durante la settimana Genzo è stato da lei e che non si sono mai incrociati.
Non è rimasto nulla di lui, tranne quella boccetta di profumo e quel misero pezzetto di foglio.
Eppure non riesce a staccarsi dal pensiero di lui.
Vorrebbe sparare a zero, aprire il cuore e ritrovarsi senza più parole.
Ma sa che sarebbe un errore. Ne fa già troppi anche così.
E poi c’è anche l’altra questione: l’esame da ripetere all’insaputa dei suoi genitori, di Sanae, di tutti.
“Le conversazioni con te sono il massimo dell’allegria” dice Ryo dopo un minuto buono di assoluto silenzio.
“Scusa, è che… sono… sono un po’ confusa.”
“A che proposito?”
“No, niente; sciocchezze.”
Ryo si sdraia sul divano.
“Ho una brutta notizia.”
Yukari si irrigidisce “non vorrai mica darmi un bidone?” chiede immediatamente.
“No, scherzi? Non potrei mai!” esclama subito lui, per tranquillizzarla.
“Purtroppo però non potrò fare molto tardi. Domani pomeriggio ho allenamento e riunione tecnica. L’allenatore ci sta riempiendo di impegni.”
“Beh… non è un problema. Neanch’io posso fare tardi. Ho molto da studiare.”
“Con tutto il rispetto Yukari, io spererei di finire la serata con una delle tue splendide amiche. So che nel tuo cuore mi ami, ma… non sei il mio tipo.“
Yukari alza gli occhi al cielo, “mi domando ancora come mai io mi ostini ad intavolare dei discorsi seri con te!”
Ryo si strofina il naso e si mette seduto.
Accende distrattamente la tv e comincia a cambiare canale, senza guardare niente in particolare.
“Beh, come ci organizziamo? Ti devo venire a prendere?”
“Sì, mi faresti un favore. Alle nove, va bene?”
“D’accordo, alle nove sono a casa tua.”
“Perfetto. Allora a stasera.”
Ryo riattacca e se ne torna sdraiato, sul divano.
Yukari riprende il suo viaggio verso il centro.
Appena raggiunge il luogo dell’appuntamento, ritrova le sue amiche.
“Hey, ma dov’eri?” chiede ironicamente Mitsume, andandole incontro.
“Scusate… scusate il ritardo.”
Dopo i saluti del caso, il gruppo inizia il suo pellegrinaggio lungo le vie dello shopping della capitale.
Per prima cosa, entrano nel salone di bellezza scelto e a turni di tre, si fanno fare la mani, non dopo aver disquisito tutte insieme sulle tinte dello smalto da scegliere: nessun doppione, nessun colore fuori luogo.
A Yukari è andata piuttosto bene: le hanno consigliato un bel colore rosa, né troppo acceso né troppo tradizionale e dovrebbe stare perfettamente con il nero dell’abito.
Durante la manicure, si parla, si scherza, si ride.
Il tempo scorre con leggerezza e Yukari si ritrova dentro una bolla di assoluta non vita: per un po’ dimentica tutte le sue paranoie, le sue paure, i suoi sensi di colpa.
Una volta fuori, decidono di fare un piccolo spuntino ad una caffetteria poco distante e poi un ultimo giro.
Chi ha più disponibilità di denaro, rimette in discussione il vestito scelto e si ferma a vedere qualcosa di nuovo: le altre assistono, curiose e divertite.
Yukari non intende spendere altri soldi, quindi si limita a guardare e a sognare abiti dal taglio inconfondibile ed unico, di quelli che dal vivo ha visto indossare soltanto da Sanae.
Lei sì che ha gusto, e soprattutto, può permettersi determinate cose.
Viene attraversata da un brivido e dopo poco si ritrova a rincorrere le altre, già lontane, alla vetrina successiva.
Quando tutte sembrano soddisfatte e un po’ stanche, si decidono per il ritorno.
Dopo essersi salutate, ognuna prende la sua strada.
Yukari sale sull’ultimo treno utile e riesce persino a trovare un posto libero.
Si siede e stende le sue mani: belle, riposate, luminose.
Poi le ritrae, come a vergognarsi.
Appoggia la testa al finestrino e ritorna alla sua vita di sempre, alle sue paure, le sue paranoie, i sensi di colpa.
Deglutisce, respira profondamente e chiude gli occhi.

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Ringrazio di cuore tutte le persone che mi leggono e seguono^^

 

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Capitolo 14
*** Le misure del mondo ***


Si fa una doccia veloce, si asciuga i capelli a testa in giù e poi sosta un po’ fra il bagno e l’antibagno, nuda, in solitudine.
Apre frettolosamente il mobiletto accanto lo specchio e si spruzza una goccia di profumo francese.
Inarca la schiena, come se avvertisse la presenza di qualcuno, ma è sola, solissima.
In camera inizia a vestirsi con lentezza, poi torna in bagno, si trucca senza eccedere: una noce di crema e di primer, un po’ di cipria su naso e zigomi. Si traccia una bella linea decisa sulle palpebre con una matita grigia, e con una spugnetta si bagna di ombretto dorato tutto il contorno dell’occhio.
Definisce lo sguardo con il mascara e infine sceglie un rossetto che stia bene con il colore dello smalto.
Sistema le sue poche cose in una borsetta, indossa la giacca e scende di sotto.
Ryo arriva in perfetto orario.
Esce dall’auto e lì per lì rimane un attimo sulle sue.
“Che hai da guardare?”
“No, niente… stai… sei quasi carina”, replica secco, per togliersi dall’imbarazzo.
“Ma smettila!” risponde l’amica, con ironia, proprio per evitare di cadere in difficoltà.
In macchina cercano di sembrare i soliti Yukari e Ryo, ma entrambi sanno che non è così.
C’è un po’ di tensione, un’adrenalina nuova, nei corpi e nel cervello.
Sono emozioni che cambiano di continuo, si trasformano ancor prima di essere comprese, elaborate, e quindi nessuno dei due riesce a gestirle.
Arrivano al locale e con una certa fretta di dividersi, scendono dall’auto, entrano.
Yukari individua quasi immediatamente le sue amiche e fa strada.
“Eccoci…” sussurra.
“Vi presento Ryo” dice, dopo mezzo secondo, mentre lui sorride e attraversa con uno sguardo tutta la giovinezza, la bellezza, la felicità di quei volti.
Mitsume è stupenda e raggiante.
Da questo momento in poi, non si staccherà da Ryo nemmeno per un minuto.
Yukari vaga come un pesce che non sa più nuotare.
Sta un po’ con il gruppo, poi si allontana, balla qualche canzone, beve un paio di drink e fa di tutto per sentirsi parte di qualcosa da cui invece continua a percepirsi fuori.
Ostenta sicurezza e beve ancora un bicchiere di vino.
Accetta le battute di Ryo che non si deve sforzare per niente di essere qualcuno. E’ semplicemente un dio e tutte le ragazze cercano di essergli simpatiche.
Succederà anche a Genzo pensa lei.
Succederà di continuo ad ognuno di loro insiste.
E all’improvviso sente che sta tornando se stessa, la ragazza di Nankatsu che ha tardato un anno ad iscriversi all’università perché si sentiva un po’ vuota, senza idee, senza prospettive.
La ragazza che alla fine ha ceduto e ha scelto una facoltà che forse non le somiglia per niente.
E una città che le sfugge, che non si addice ad una così, ad una come lei.
D’improvviso capisce che quello non è il suo posto e che Genzo è davvero fuori da qualsiasi portata.
Un punto inarrivabile.
Stupida
Stupida
Stupida
Non dovevi ospitarlo.
Non dovevi accondiscendere.
Non dovevi cedere alla riverenza.
Stupida
Seduta in un angolo, osserva in lontananza la disinvoltura di alcune sue compagne. Sulle loro scarpe nuove, si comportano come persone esperte, che conoscono le misure del mondo.
Ryo è felice e divertito.
A questo punto si alza e va al guardaroba. Prende la sua giacca ed esce fuori.
Cammina per l’intera via, mentre altri gruppi di ragazzi sono ancora in coda per poter entrare.
L’aria è fresca e per un momento ha l’impressione che sia freddo.
Si stringe e avverte una solitudine nuova e diversa.
Prende coraggio e si avvia verso la fermata dei taxi.
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Ringrazio le persone che mi leggono e seguono e grazie mille a coloro che dedicano tempo a recensire^^

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Capitolo 15
*** Chi è Yukari? ***


Kaltz entra sorridendo alla domestica. La donna gli fa strada, anche se il difensore è di casa.
Posa una scatola sul ripiano della cucina, proprio dove Genzo sta facendo ordine.
I due non si salutano e non si guardano.
L’ospite si fa versare da bere dalla donna che poi prende una brocca e si allontana, lasciando soli  i due ragazzi.
Il portiere incarta una ciotola di porcellana e la ripone in un contenitore di legno.
Si avvicina alla scatola portata dall’amico e comincia  a vuotarla.
Ci sono delle riviste, alcuni libri di filosofia e psicologia sportiva, due maglie della salute, un’acqua di colonia agli sgoccioli e una boccetta del suo profumo.
Genzo la stringe, osservandola con attenzione.
“Cade a pennello. Devo aver dimenticato l’altra bottiglietta da Yukari.”
Kalz beve un sorso, si siede, lancia un’occhiata all’amico, perplesso.
“Chi è Yukari?”
Genzo non risponde.
Passa forse un altro minuto e nel frattempo il portiere è tornato al suo posto, ad incartare oggetti di porcellana e a riporli nel contenitore di legno.
“Com’è stato?” chiede Kaltz.
Genzo alza le spalle, senza smettere di restare concentrato sul proprio lavoro, “squallido. E’ stato squallido, direi.”
Il difensore prende un altro sorso, si alza dallo sgabello, fa qualche passo verso la finestra.
“E’ una brutta storia.”
“Puoi dirlo forte” replica il portiere, con convinzione; ”mi hanno fatto la paternale, poi mi hanno letto i miei diritti, ribadendo le mie mancanze e mi hanno fatto firmare un sacco di scartoffie.”
E’ appena finita un’epoca per l’Amburgo.
E’ finito un mondo e tutti e due sanno che, per quanto amici, qualcosa di loro si è già perso.
Vittime di un meccanismo che è inarrestabile, dovranno farne i conti; e prima ci riusciranno, meglio sarà .
“Mi dispiace.”
Genzo prende un bicchiere d’acqua, “anche a me, lo sai. Ma quello che è successo è inevitabile.”
“Cerchiamo di guardare le cose dal lato positivo: ti sei sbarazzato dei giornalisti.”
“Già…”
“Come hai fatto?”
Il ragazzo prende un altro bicchiere d’acqua e si siede sullo sgabello dove poco prima c’era il suo amico.
”Ho dovuto chiamare la polizia e far transennare la zona. Non ne volevano sapere di andare.”
“Ad Amburgo non succede mai niente… tu hai portato un po’ di adrenalina, bisogna capirli.”
Kalz non riesce a stare fermo per più di cinque minuti e cammina avanti e indietro.
Cerca di prendersi tempo, di centellinare le domande.
“Ho letto l’annuncio su internet.”
Genzo riprende la sua occupazione.
Ha fatto pubblicare un annuncio sulle sue pagine social e sul suo sito ufficiale: per un po’ non ci saranno aggiornamenti.
“Lo so che non sei d’accordo.”
“No, beh… capisco. Non vuoi scocciature.”
“Sono stato praticamente obbligato. Se informo le persone, mi ritrovo invaso da paparazzi, giornalisti, cronisti. Non è il momento.”
“Neanche fossi una pop star…”
“Esatto.”
Kaltz scuote più e più volte la testa, “i tuoi fan ci saranno rimasti male.”
“Capiranno.”
L’atmosfera s’irrigidisce. Il silenzio si fa più consistente. Nessuno dei due sa come procedere oltre.
Kaltz ha tutta l’aria di prendere e andare.
Ma Genzo non vuole restare da solo e allora, a modo suo, cerca di trattenere l’amico ancora un po’.
“Se ti chiedessi di occuparti della vendita della casa? Cosa risponderesti?”
Il ragazzo si drizza sulla schiena, finisce il suo bicchiere.
“Nessun problema. Ci penso io. Meglio non fidarsi delle agenzie immobiliari.”
“Se riuscissi a venderla o anche solo ad affittarla… meglio affittarla, forse: non sono pronto. Non sono ancora pronto a liberarmene completamente.”
In questa frase, detta così, a mezza voce, c’è un universo di paure ed emozioni che passa.
Lo sanno tutti e due.
“Non preoccuparti. Ci penso io.”
“Grazie.”
“Eh invece…” prosegue Kaltz per provare a farsi un piccolo varco dentro quel mare di silenzio che è Wakabayashi, “invece tu? Tu dove andrai?”
Il portiere inizia ad incartare il servizio da tè; “non lo so. Non lo so ancora, Kaltz. Mi prenderò un periodo sabbatico. Fino al mercato invernale non posso tornare a giocare quindi… quindi… non so.”
“Lontano dai campi per un bel po’… in astinenza da gara.”
“Non stare a sottolinearlo. Ancora non me ne capacito” risponde Genzo, con un velo di tristezza nella voce.
“Beh, io la preferisco all’astinenza da sesso”, prova a dire l’altro per strappare un sorriso al suo amico.
Genzo piega la bocca, sarcastico.
“Voi europei siete tutti uguali… con questa fissa del sesso…”
Il difensore sorride fiero e compiaciuto, “la fissa del sesso ce l’abbiamo tutti.”
“Certo…”
“Comunque non hai risposto alla mia domanda: dove andrai?”
Genzo alza le spalle, intanto altre cinque tazze e relativi piattini sono fatti, “te l’ho detto. Non lo so. Domani parto per Parigi.”
“Allora vedi che lo sai?”
“Sto da Taro per qualche giorno. Vedo come butta e poi da lì viaggerò un po’ per l’Europa. Dipenderà da quanto sarò “braccato”. Quando mi sentirò al sicuro, mi fermerò. E mi allenerò.”
“E questa roba invece?” domanda ancora, alludendo al contenuto che con così tanta cura sta incartando.
“E’ un dono di famiglia. Un regalo dei miei nonni. Porcellana antica. Questa cassa parte per Nankatsu, villa Wakabayashi.”
“Il piccolo villaggio di Nankatsu…” sussurra Kaltz.
Quante volte l’ha sentito nominare. Quante volte ha provato ad immaginarlo.
“Sì… dai miei. A casa. In Giappone.”
“In Giappone.”
Ecco che adesso, dopo aver pronunciato e ribadito la parola magica, si apre una voragine di confusione interiore.
Entrambi sentono che la lacerazione è avvenuta, lo strappo di cui tutti e due temevano l’esito è fatto.
Nessuna lacrima, nessun ferito.
E’ solo un altro pezzetto di vita che va, e loro che diventano uomini sotto l’occhio vigile del destino.
“Sarà meglio che vada…”
Kaltz si alza e con gli occhi cerca il suo amico.
Genzo lo guarda un attimo, poi se ne torna al suo lavoro.
“Stammi bene, mi raccomando. E fatti sentire di tanto in tanto.”
“Lo farò, Kaltz. Grazie dell’aiuto.”
Il ragazzo fa un cenno con la mano, come a dire non importa.
Si ferma un’ultima volta, si gira e sosta in mezzo alla stanza.
“Genzo…”
“Dimmi.”
“Chi è Yukari?”

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Grazie mille a tutte le persone che mi leggono e seguono^^

 

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Capitolo 16
*** Metodo Wakabayashi ***


E’ il gran giorno.
Yukari sistema le sue cose sul banco, prende la penna e aspetta che l’insegnante ordini l’apertura della busta.
Con attenzione meticolosa, lede la carta e ne estrae il test. E’ concentrata e non esiste altro.
Tutto soffocato dentro il suo animo, dentro il suo cuore blindato.
Traccia una crocetta dopo l’altra: inesorabile, decisa, senza alcuna pietà ed esitazione.
Rilegge le domande e si concede il lusso di riflettere un quarto d’ora sull’unico dubbio che ha.
Yoshiko aveva ragione: i due terzi delle domande sono relative a Diritto Internazionale.
Poco prima che l’insegnante chieda l’abbandono dei fogli, lei consegna il compito e se ne va.
Appena si ritrova fuori, tira un sospiro di sollievo, sistema lo zaino e corre via.
“Yukari!” esclama Mitsume, facendole un vistoso cenno con la mano.
La ragazza la raggiunge e poco prima di arrivare da lei si accorge che è in compagnia di Ryo.
Ishizaki ha uno sguardo serio: c’è un po’ di delusione ed anche imbarazzo.
“Yukari…” chiama ancora l’amica, quando sono tutti e tre vicini.
“Ciao…”
“Come, com’è andata?”
“Bene. Credo bene.”
Mitsume guarda Ryo poi Yukari; sospira e sulla faccia le compare un’espressione che, volendo, parlerebbe da sola; “mi dispiace… io pensavo che Ryo sapesse del tuo esame… non vorrei aver creato un incidente diplomatico!”
Yukari sorride all’amica, senza nascondere un po’ di disagio; “non preoccuparti, Mitsume, non fa niente.”
Ryo si mette le mani in tasca e rimane serio.
“Mitsume, vorrei stare un po’ da solo con Yukari, se non ti dispiace” dice, categorico.
“Certo, certo!... Magari ci sentiamo più tardi, se ti va” e fa un inchino verso il difensore.
“Ok.”
La ragazza s’incammina frettolosamente verso la biblioteca, mentre i due amici restano un attimo lì, a scrutarsi silenziosamente.
“Prendiamo un caffè?” propone lui, sempre teso in volto.
“D’accordo.”
Ryo le fa strada e la precede fino al parcheggio.
Di tanto in tanto si fermano, perché qualche studente, riconoscendolo, gli chiede una foto, un autografo; tuttavia il tragitto è breve.
In macchina non si dicono una parola, ognuno chiuso nel proprio involucro di cristallo.
Ad un certo punto il difensore accosta e scendendo, consegna le chiavi dell’auto al portiere di un hotel di lusso; lei scende e aspetta sempre che lui le faccia strada.
Si fermano al bistrot interno, non lontano dalla reception: una sala bellissima, con arredamenti particolari, decorazioni preziose, e opere d’arte contemporanea appese alle pareti.
Ordinano e poi si guardano per un secondo.
Yukari si sente in torto e allo stesso tempo sta cercando nella sua testa tutte le ragioni che l’aiutino a difendersi.
“Pensavo fossimo amici.”
 Ishizaki esordisce nel modo più facile.
“Avrei voluto parlartene, ma… ero rimasta così male, ero… non l’ho detto neanche ai miei.”
“Immagino. Però ad un amico si possono dire certe cose. Certe cose che ai genitori è meglio tacere. No?”
Yukari prende un sorso di caffè, si bagna le labbra, deglutisce in maniera vistosa.
“Non ne fare una questione personale” replica sottovoce.
“Per me tutto è personale. Lo sai.”
“Non è facile ammettere i propri fallimenti, Ryo. E’ stata una grandissima delusione per me.”
“Guarda che ti capisco benissimo Yukari. Però…”
“Però?”
“No, niente… lascia stare…”
Yukari si drizza sulla schiena e appoggia la tazza sul tavolo, “no, no. Non lascio stare proprio per niente. Finisci la frase, per cortesia.”
Il difensore si strofina il naso: dalla ragione, rischia di passare dalla parte del torto.
“Quello che voglio dire è che il tuo carattere non ti … non ti aiuta. Devi sempre sbattere addosso alle cose, con tutto quello che comporta. E fino a quando non ci sbatti il naso, non capisci.”
“Che cosa significa, scusa? Che sono stupida? Sono stupida perché non ho superato l’esame la prima volta?”
Ryo scuote la testa ed ora è quasi diventato rosso, “no, sai benissimo che non intendo questo. Vorrei solo che ti fidassi più di noi, dei nostri consigli…”
Yukari finisce di bere il suo caffè in tre sorsate, “ti riferisci al consiglio di venire ad abitare da te, o nell’appartamento di Sanae e il capitano?”
“Beh, quello può essere un esempio pratico, ma è solo una delle tante cose.”
Lei non risponde subito. Pensa bene alle parole.
“Ascolta Ryo, se ti senti offeso perché non ti ho parlato dell’esame è un discorso e lo capisco. Ma non sono disposta ad accettare paternali sul mio modo d’essere.”
“Lo vedi? Sta succedendo anche ora!” esclama lui, aprendo una mano verso Yukari, “appena qualcuno ti fa un’osservazione, ti chiudi come un riccio. Sei murata. Blindata!”
“Non sei in alcun modo obbligato a frequentarmi, se non ti vado bene” incalza lei.
Ryo si appoggia alla sedia e con il gesto inarca all’indietro le braccia: è il suo gesto di resa.
“Io non ti frequento Yukari” dice in tono serio, mentre sulla sua faccia si disegna una delle sue solite smorfie da pagliaccio.
“Neanch’io!” risponde lei, ancora risentita, ma sulla via di ammorbidirsi.
Torna il cameriere e chiede se desiderano altro. Ryo fa cenno di no e appena se ne va, fa l’occhiolino a Yukari.
“Pace?” domanda.
“Pace…” risponde lei, cercando di ritornare alla calma.
Sente un gran caldo dentro, come se fosse scoppiata una guerra e si rende conto che Ryo non ha detto nulla di falso. Perché è così rigida? Perché tende sempre a difendersi così e subito?
Con la testa ricade alla sua tazza vuota e le sembra di essere diventata improvvisamente triste.
Ryo se ne accorge, si accorge di avere forse esagerato e sa che deve trovare qualcosa per cambiare argomento.
“Dovevi vedere la faccia di Mitsume quando si è accorta che io non ero al corrente dell’esame. Si sarebbe seppellita viva” e mentre lo dice, sorride e scuote la testa. I suoi occhi brillano.
Yukari lo osserva e sorride a sua volta.
“E’ molto carina…”
“Sì, molto. Molto carina. E poi è anche simpatica.”
“Beh, se l’hai incontrata è anche merito mio. Almeno questo me lo dovrai riconoscere” aggiunge Yukari, per provare a lasciare definitivamente tutte le tensioni di poco fa.
Ryo la guarda ed ora è sul suo viso che compare un po’ di malinconia.
“C’è… C’è forse qualcosa che non va?”
“No, niente…” risponde lui, anche se è evidente che qualcosa c’è.
“Ishizaki sputa il rospo. Ce l’hai in gola. Forza.”
Il difensore inizia a giocare con il contenitore dello zucchero. Adesso ha proprio un’aria triste.
“Dopo la sera della festa ci siamo visti un paio di volte. Oh, sia chiaro, non è successo niente: neanche un bacio. Io… io sono un ragazzo serio. Sono anche un po’ all’antica…”
Yukari scoppia a ridere ma in silenzio. Ha la vaga sensazione che Ryo si stia innamorando.
“E quindi?”
“No, niente… lei, lei mi piace molto. Però…”
“Però cosa?”
“La prima volta siamo andati a cena e la seconda volta abbiamo fatto una passeggiata al parco poco lontano da casa mia. Ogni due minuti ero fermo.”
“Stai diventando davvero famoso…” farfuglia lei, con un po’ di malizia nel tono della voce.
Ryo la fissa seriamente, “sì. E mi fa piacere.“
“Hai avuto l’impressione che desse fastidio a lei?”
“No, tutt’altro. Sembrava divertita. All’inizio si divertono tutte, poi… poi quando inizi a chiuderti in casa perché devi concentrarti sul campionato e fuori ci sono troppe distrazioni, sai cosa fanno? Non ne resta nessuna.”
Yukari congiunge le mani, “mamma mia, che frasona… sembra che sei un uomo vissuto… come se avessi avuto mille storie.”
“Non parlo per esperienza diretta, ma perché vedo un po’ come ruota il mondo intorno a noi. Tutto sommato, stare insieme ad un giocatore non è una gran cosa. Bisogna avere… bisogna…”
“Bisogna?”
“Bisogna avere la vocazione.”
Yukari resta un attimo lì, con le parole di Ryo che lasciano una specie di eco nell’aria.
E’ perplessa, forse perché non si aspettava di finire a parlare di questo.
“La vocazione ce l’hanno i monaci, i predicatori, gli avvocati e gli insegnanti. Non ha nulla a che fare con le ragazze” se ne esce fuori, all’improvviso.
“Ci vuole pazienza e bisogna adeguarsi. A volte non si può fare nemmeno la cosa più banale di tutte, tipo un giro in centro e via dicendo.”
“Ci sono un sacco di ragazze pazienti a questo mondo. E anche un sacco di coppie felici.”
Ryo fa un cenno al cameriere.
La conversazione si sta intensificando: meglio ordinare qualcosa da bere che sia all’altezza.
“Avanti, dimmene qualcuna. Sono tutto orecchi.”
Yukari si morde il labbro inferiore, incrocia i piedi, e per un secondo distoglie lo sguardo.
“Sanae e il capitano. Yayoi e Jun.”
“Ok, sono due. Due coppie. E poi?”
La ragazza cambia posizione sulla sua poltroncina, “ma ce ne saranno tante altre… ah  Hikaru e Yoshiko.”
“Siamo a tre. Complimenti Nishimoto: sostieni le tue teorie con una serie di prove incontestabili.”
Yukari si spazientisce e arranca nel buio, “hai capito benissimo cosa intendevo dire!”
“Sì, l’ho capito, ma non mi basta. Non mi basta. Le ragazze che hai nominato sono le eccezioni alla regola. Alla normalità.”
Lei allora si inarca lievemente sulla schiena: questo modo di classificare le persone non le piace per niente.
Ryo lo nota e mentre versa lo champagne nelle coppe, si schiarisce la voce.
“Prendiamo Sanae, per esempio…”
“Dai, sì: prendiamo lei!” esclama Yukari.
“A parte che si è innamorata di Tsubasa quando era una bambina.”
“E lui di lei.”
“Va beh… diciamo di sì.”
“Questo cosa c’entra?”
“C’entra, ma non è determinante. Comunque Sanae ha praticamente modellato la sua vita in base al capitano. Si è adeguata a lui. Ha lasciato tutto per lui. Ed è felice così. Non cerca di affermarsi in qualcosa. Si è quasi inventata un lavoro su di lui: gestendo il rapporto con i suoi fanclub sparsi per il mondo e amministrando le sue pagine sui social, non fa altro che cucirsi dei ruoli intorno a lui.”
“Non ci vedo niente di sbagliato in tutto questo.”
“Infatti non c’è assolutamente niente di male. Anzi: se escludiamo il suo pessimo carattere, sarebbe la fidanzata ideale” e dicendolo, scoppia a ridere divertito.
Yukari lo osserva infastidita.
“Sanae non ha un brutto carattere.”
“Va beh, questo non inficia il mio ragionamento di fondo.”
“Se non dai una possibilità a Mitsume, non saprai mai come potrebbe andare a finire.”
“Ed è qui che ti sbagli, Nishimoto!”
Lei continua a non capire, e segue il discorso faticosamente. Beve un sorso dopo l’altro perché adesso è anche un po’ arrabbiata.
“Io so già come finirà. Finirà male, Yukari. Finirà come finisce il novanta per cento delle storie: si stuferà dei miei orari, del mio regime alimentare, delle mie abitudini, dei miei impegni. Si sentirà incatenata e, non le interesseranno più i bei posti, i bei regali, la bella vita che le potrei offrire in cambio. Lei studia, vuole essere indipendente, vuole… vuole fare quello che vuoi tu.”
“Che voglio io?” domanda la ragazza.
“Sì, insomma… vuole fare carriera.”
Yukari scuote la testa.
“No, no, aspetta un attimo… io, io non ho le idee così chiare.”
“Allora perché studi scienze politiche, scusa? E’ una facoltà che prevede degli impieghi di un certo rilievo.”
Lei non risponde, abbassa la testa, posa il bicchiere.
“Voglio restarne fuori.”
“Facevo per farti capire… dio mio Nishimoto, lo vedi? Con te non si può parlare!”
Posa il bicchiere anche lui e si guarda intorno perché si rende conto che ha alzato leggermente la voce e non ce n’era assolutamente bisogno.
“Scusami, scusami Yukari.”
Lei riprende a bere, “sono ancora convinta che dovresti darle una possibilità. Se una persona ti piace, devi darle una possibilità.”
“Già… non ci sono molte altre strade. Puoi provare, e rischiare di farti del male. O vivere tutto con leggerezza e pensare solo a divertirti. Ma io sono all’antica, te l’ho detto. Oppure c’è il metodo Wakabayashi…”
Yukari deglutisce quasi con violenza, “il metodo come?”
“Il metodo Wakabayashi. Che poi in fondo è anche il metodo Nishimoto.”
“Che stai dicendo?”
“Blindarsi il cuore. Non fare entrare nessuno.”
“Non mi blindo affatto io!” esclama lei, con un tono risentito ed offeso, “è un metodo veramente del cavolo!” aggiunge, per sminuire Genzo. Ma appena pronuncia la frase, comincia a sentirsi in colpa, per via della sensazione di riverenza che ruota intorno al portiere.
“E invece credo sia l’unico che funzioni. Solo che io non sono come lui. Non sono come Genzo.”
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Grazie a tutte le persone che mi leggono e a coloro che dedicano tempo a recensire questa storia^^

 

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Capitolo 17
*** Tokyo - Nankatsu ***


Se esiste la malinconia, non c’è un posto al mondo in cui si capisca meglio che a Tokyo.
Non lo sai fino a quando non ci passi tutta la stagione, arrivandoci in piena estate e attraversando tutte le declinazioni dei colori, delle temperature.
Vedi che le giornate cambiano, senti che le persone s’incupiscono e riflettono il ritmo del nuovo tempo che arriva.
Nei quartieri popolari alle otto di sera nessuno è per strada.
Il cuore della città invece, si accende al tramonto trasformandosi in un caleidoscopio di maschere per poi sfiorire all’alba e ritornare polmone della quotidianità, degli affari, delle avanguardie e di un turismo che è sempre più alla ricerca degli eccessi, del “mai visto”.

Quando poi arriva l’inverno, sei talmente assuefatto che ormai il ritmo della vita urbana è diventato il battito del tuo corpo. Non ci fai caso, continui a vestirti a cipolla e osservi sempre meno il mondo intorno a te perché hai imparato a conoscerlo e a riconoscerlo: non ti stupisce più ed è la cosa più triste che ti possa capitare.

Yukari ha questa sensazione in circolo ed è davvero satura.
Ha lottato con tutte le sue forze per addormentare i suoi incubi, i suoi dubbi.
Si è lacerata l’anima su quel misero pezzettino di carta nascosto in un cassetto, nell’appartamento in periferia. C’ha passato notti insonni, cercando un pretesto, un favore da chiedere, un motivo per fare quella maledetta telefonata.
Ma ogni notte finisce con il giorno, con le lezioni da seguire, i treni da prendere, gli esami da preparare.
Così lei quella telefonata non l’ha fatta mai.
Nonostante la sua debolezza di fondo, è riuscita a resistere al ritmo universitario e, non solo ha superato brillantemente il test a scelte multiple, ma è anche quasi in pari con gli esami.

Terminate le pulizie, controlla la borsa e si tira dietro la porta; per le vacanze invernali tornerà a Nankatsu.
Inizialmente aveva pensato di restare nella capitale e non spezzare il ritmo di lavoro che così faticosamente ha costruito. Ma ha troppa voglia di casa.
Alla tesina  che deve ancora consegnare, penserà a gennaio.
“Yukari!”
Si sente chiamare e oltre la fermata degli autobus, scorge la figura di Mitsume.
La raggiunge e le due si salutano.
“Allora? Sei proprio in partenza?”
La ragazza annuisce, quasi in imbarazzo.
“Sì,… in fondo un po’ di vacanza non guasterà, cosa dici?”
“Scherzi? Io direi che ci meritiamo un po’ di riposo ed anche alla grande!”
Yukari le sorride, “beh nel tuo caso senza dubbio. Con tutti gli esami dati e con i voti che ti ritrovi… Io avrei potuto fare meglio, ma…”
“Ah, sciocchezze! Sei stata brava anche tu!” esclama Mitsume, cercando di concentrarsi sulle cose che le due hanno in comune, piuttosto che sulle differenze.
Yukari apprezza. Fra tutte le ragazze, Mitsume è sicuramente quella con cui si è trovata meglio e con cui ha legato di più.
“Dai, ti faccio compagnia fino a quando non arriva il tuo pullman.”
“Grazie. Ma... come mai da queste parti?”
Mistume fa l'occhiolino, alza le spalle, senza rispondere.
Le due si muovono senza accorgersene, come se ballassero seguendo una musica inesistente. E’ il freddo che non le fa stare ferme.
“Pensi che verrà anche Ryo?”
Yukari la fissa poi si concentra su un punto lontano.
“Il campionato è finito, quindi è possibile. Però se non ho capito male, la nazionale deve disputare due amichevoli, quindi non so se gli conviene tornare a Nankatsu.”
“Mi piacerebbe presentarlo ai miei genitori. E’ per quello che te lo chiedo…”
Yukari si solleva sulla punta dei piedi, “davvero?”
Mitsume annuisce e allo stesso tempo arrossisce.
“Ultimamente ci siamo visti un po’ di meno per via dei reciproci impegni, però mi piace sempre molto.”
“Sono contenta. Anche tu piaci molto a lui.”
“Tu credi?... Sai non è che si capisca molto…”
L'amica le sorride e si sforza di rassicurarla, “porta pazienza; Ishizaki è un tipo un po’ particolare. Tu continua a vivere questa storia piano piano, giorno dopo giorno. Sai, lui fa sempre il buffone, vorrebbe dare l’impressione di essere spavaldo e sicuro di sé, ma in realtà…”
“In realtà è di burro!”
“Esatto!”
Le due scoppiano a ridere e intanto si vede in lontananza arrivare il pullman di Yukari.
“Che cosa farai a casa?”
“Mah, per prima cosa chiederò a mia mamma di cucinarmi tutte le sue specialità. E poi… poi non so. Forse vedrò qualche amico. Cercherò di riposare un po’. Niente di speciale.”
“Beh, se mai dovessi annoiarti, ricordati che noi siamo qua.”
“Certo. Mitsume, mi raccomando, passa delle buone feste e… ci sentiamo, ok?”
“Ok!”
Yukari lascia passare avanti gli altri passeggeri e sale per ultima.
Si siede sola e prova a rilassarsi.
Il viaggio è tranquillo e piacevole: ogni tanto le arriva un messaggio di Sanae che è già a Nankatsu e vedrà domani. Per un po’ si appisola e per il resto del tempo osserva il paesaggio dal finestrino, godendosi il tramonto e l’imbrunire del cielo.
La fermata degli autobus del suo villaggio è proprio il contrario di quelle che ci sono nella capitale: poche persone, biglietteria chiusa da un’ora, nessun baracchino aperto.
Si sente sollevata, completamente a suo agio, e prende a camminare con calma verso casa.
All’angolo della sua via, fa capolino il padre. L’aspetta camminando avanti ed indietro, fumandosi una sigaretta. E’ accompagnato dal cane che,  gironzola e passeggia, annusando ogni centimetro di marciapiede.
Si salutano con affetto; lui insiste per tenerle la borsa, e Yukari si lascia andare completamente quando si abbassa per accogliere le coccole e le feste canine di Flush.
Inizia il classico dialogo da rientro:
com’è andato il viaggio? – bene;
c’era molta gente?- no, non troppa;
traffico? – solo nei dintorni di Tokyo poi poco e niente;
hai fame? – sì tantissima;
la mamma ti ha preparato un sacco di cose buone
… e così via.
In casa, Flush apre la strada e corre da una parte all’altra, la sua gioia è incontenibile; la signora Nishimoto fa un inchino, poi sorride alla figlia, e l’abbraccia teneramente.
Chiede le medesimo cose, nel medesimo ordine, ma Yukari risponde di nuovo, senza il minimo segno d’insofferenza.
Il semplice contatto dei piedi con il tatami di casa sua, la fa sentire talmente bene, che dimentica tutta la stanchezza, tutte le tensioni, le paranoie, le mille domande. Per un buon quarto d’ora, dimentica completamente anche il suo chiodo fisso: il pezzetto di carta chiuso in un cassetto a Tokyo.
Va un momento in bagno e ritrova tutte le cose che conosce perfettamente: i profumi della famiglia, i colori tenui che ama da sempre.
La finestra che ora dà sul buio, domani le regalerà tanta luce buona.
La tavola è apparecchiata con infinita cura e quando tutti sono seduti, inizia una cena stupenda: i piatti della tradizione che preferisce Yukari si susseguono in una danza lenta ma continua.
La conversazione è molto tranquilla.
Suo padre attacca subito con le domande sull’università: vuole sapere nel dettaglio come sono andati gli ultimi esami, quali materie sembrano appassionarla di più, mentre sua madre è concentrata maggiormente sull’aspetto sociale e concreto della sua vita a Tokyo.
Si è fatta molti nuovi amici? Mangia a sufficienza? Come va con il treno?
La ragazza è presa dal cibo, dall’assaporare tutti i gusti che per qualche mese ha potuto soltanto provare nel ricordo e nel suo immaginario; ora è ancora più rilassata di prima, quindi risponde con estrema serenità a tutte le domande, anche se resta lineare e punta all’essenzialità.
Non è mai stata di molte parole, ma i suoi lo sanno bene perciò sembrano comunque soddisfatti.
Dopo il dessert, bevono un bicchierino di sake e poi la madre di Yukari inizia a riporre tutto in cucina.
La ragazza si alza e fa per dare una mano.
“Non preoccuparti, Yukari. Vai a riposare.”
Lei fa un inchino e sale in camera.
Suo padre le ha lasciato la borsa accostata alla parete, vicino alla porta.
Lei la solleva, ed entra nella stanza.
E’ tutto perfettamente pulito ed in ordine: ogni oggetto è al suo posto.
Posa la borsa e scosta la sedia dello scrittoio.
Con lo sguardo attraversa le pareti, le mensole, i libri, tutta la sua vita passata e si sente meno sola.

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Ciao a tutti^^
Qui compare un nuovo personaggio: il cane di famiglia;-)
Anche Flush avrà modo di dare il suo contributo narrativo^^
Inoltre compare un’altra cosa che in un certo senso caratterizza gran parte dei miei lavori: i salti temporali;-)
Qui non poteva mancare… E infatti eccolo^^
Siamo arrivati alla fine dell’anno e, come molti di voi immaginavano, Yukari non ha avuto il coraggio di chiamare Genzo, anche se in sostanza, pensa a lui ogni giorno.
Almeno con l’università sembra aver ingranato la marcia giusta e tutto sommato sta "benone".
Chissà come andranno queste vacanze…
Chissà se avrà modo di vedere Genzo…
Speriamo^^
 
Grazie a tutte le persone che leggono questa storia^^

Auguro a tutti Buon Ferragosto^^

A presto^^
kiku

 

 

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Capitolo 18
*** Il sostegno di tutti ***


Suonano alla porta e la signora Nishimoto, asciugandosi le mani con uno strofinaccio, si reca nel corridoio per aprire.
Non sono ancora le nove, eppure c’è un gran fermento in casa.
“Buongiorno Sanae!” esclama, vedendo la ragazza che, avvolta in una nuvola di freddo, si stringe meglio la sciarpa al collo.
“Buongiorno.”
Sanae entra frettolosamente, si sfila le scarpe e avanza, togliendosi il cappotto.
Yukari la raggiunge in un baleno.
Le due si abbracciano in silenzio, si sorridono e restano un momento con le mani l’una nell’altra.
“Come stai?” chiede Anego.
“Abbastanza bene… e tu?”
“Bene, bene, grazie.”
Insieme prendono posto in cucina e la signora Nishimoto offre loro il tè e dei dolcetti appena sfornati.
“Quando sei arrivata Sanae?” domanda la madre di Yukari, prima di lasciare le amiche un po’ da sole.
“Due giorni fa. A proposito…” fa lei, deglutendo, “Tsubasa verrà a salutarvi più tardi. E’ andato a correre.”
“Grazie. E’ un caro ragazzo.”
Yukari si alza e mette su il caffè. Ha bisogno di svegliarsi per bene.
“Io sono in lavanderia. Se vi occorre qualcosa o se uscite, avvertitemi.”
La ragazza s’inchina, “certo mamma”.
Per qualche istante si osservano senza parlare, poi Sanae ricalca esattamente la fila di domande che Yukari ha ricevuto ieri sera.
Risponde e inaspettatamente è felice di dover ripetere per l’ennesima volta le solite cose.
Nel frattempo, senza dare troppo nell’occhio, scruta la sua Anego.
E’ vestita in maniera impeccabile: indossa un bel golfino beige e un paio di pantaloni dal taglio sartoriale. Dimostra forse qualche anno in più rispetto alla sua età, ma fa una gran bella figura.
“Che hai da guardare?”
“No… niente… sei… sei vestita veramente bene, Sanae.”
La moglie del capitano sorride, e un lieve rossore le compare sulle guance, ”grazie… anche tu stai molto bene.”
Yukari si guarda i piedi: si trova assolutamente anonima e uguale a quando era alle superiori. Non c’è stata alcuna evoluzione, a suo parere.
Mentre versa il caffè bollente in due tazze candide, restano a parlare di niente come se si fosse creata una barriera imperscrutabile fra loro.
Non sono disposte ad accettarlo anche se entrambe ne prendono sempre più coscienza.
Cercano di ostentare una certa confidenza, cercano di fare finta che sia sempre tutto come sempre.
Invece è ormai inevitabile che le cose siano cambiate.
“Che cosa farai a Natale?” chiede ad un certo punto Yukari, per provare a vedere se ci sono margini ed organizzare qualcosa insieme.
“I nostri genitori ci raggiungono a Tokyo. Oggi pomeriggio partiamo per la capitale.”
Yukari sbianca, si siede.
“Ma come? Io sono appena arrivata. E anche voi… Io… io pensavo che avreste trascorso le vacanze qui!”
Anego si morde il labbro, afferra nervosamente la sua borsa, estrae il tablet, lo accende e mostra la sua agenda.
“Tsubasa ha moltissimi impegni… guarda tu stessa: gli sponsor, la presentazione del dvd sul Barcellona. E poi ti dimentichi la cosa più importante…”
Yukari resta lì, a fissare la pagina immobile di quello schermo artificiale.
“Cosa?” domanda, ormai rassegnata.
“La Nazionale. La Nazionale, Yukari.”
Lei si fa piccola piccola.
Già, la nazionale…
“Non fare quella faccia, dai… non farmi sentire troppo in colpa!” esclama Sanae, cercando ti tirare fuori un po’ del suo carattere.
“No, no. Capisco. E’ solo che… ma non puoi lasciare che il capitano se la sbrighi da solo? In fondo con lui ci stai 24 ore su 24. Con me non stai da una vita.”
Anego sorride.
“Se potessi lo farei, ma… lo sai, no? E’ mio marito. Il mio posto è accanto a lui. E poi da quando gli faccio da assistente… senza di me è un po’ perso!”
La mette sul ridere lei.
Cerca di minimizzare il piccolo dramma che si sta consumando.
Invece Yukari, fresca di studi, con il cervello che macina quintali di libri a settimana, è una macchina da guerra.
Non la freghi con una battuta.
Non risponde, non sta al gioco.
Allora Sanae torna seria.
“Beh non penserai di restare a Nankatsu per tutte le vacanze!” ribadisce a questo punto, con una voce che è quasi snob.
“Perchè? Cos’hai contro Nankatsu? Per me resta il posto più bello del mondo!” replica di forza Yukari.
Anego beve il caffè, ripone il tablet nella borsa.
“Qualcuno di noi vedrà di farti avere i pass per le partite. Se torni a Tokyo possiamo festeggiare il capodanno insieme. Possiamo fare shopping, divertirci un po’. Potresti stare un po’ da noi, tanto Tsubasa va in ritiro.”
Yukari gioca con il suo tovagliolo di carta: lo piega in mille minuscoli riquadri, poi lascia che si apra come un fiore.
“Non so, vedremo…”
“Non sei mai mancata alle partite della Nazionale. Non vorrai cominciare ora?”
La ragazza alza le spalle.
“Se non ci sono, non se ne accorge nessuno.”
“Sì, figurati… Ishizaki se non ti vede, è capace di chiamare la polizia!” esclama Anego, divertita.
“Ora ha altro per la testa.”
“Già… cos’è questa storia? Chi è questa Mitsume?”
“Non c’è bisogno che te lo spieghi. La vedrai molto presto”.
Cadono in un silenzio fastidioso. Dentro c’è disagio, senso di fraintendimento, un po’ di rabbia, forse anche un pizzico di rivalità.
Si sa, tra donne si fa presto a finire a litigare per niente.
La moglie del capitano propone di andare a fare due passi e Yukari, in segno di pace, accetta.
Trascorrono la mattinata all’aria aperta, e cercano in ogni modo di non argomentare più su Tokyo e gli altri tasti dolenti. Parlano di cose stupide, inutili, ma in un certo senso è un passaggio necessario.
Quando si salutano, è già mezzogiorno.
Di fronte a casa Nakazawa, Yukari si ferma.
“Non vuoi entrare?”
“No, sarà meglio che vada. Salutami tutti. Salutami il capitano…”
Ma proprio mentre lo dice, la porta si apre e Tsubasa compare sulla soglia.
“Nishimoto!”
Yukari diventa improvvisamente rossa in volto e saluta il capitano.
“Come stai?”
“Bene… molto bene, grazie. E tu?”
“Anch’io, grazie. Dai forza, entrate!”
“Yukari deve andare a casa” interviene secca Sanae.
“Ah davvero?... beh allora mi racconterai tutto a Tokyo, eh?”
La ragazza incrocia lo sguardo limpido di Ozora per un istante, poi ritorna alle sue mani vuote.
“Sì… beh… se possibile, certo.”
“Come se possibile? Non fare scherzi, Yukari! Conto sulla tua presenza per le nostre prossime partite. Sai che anche se si tratta di gare di rappresentanza a noi non importa. A noi importa soltanto vincere. E per vincere abbiamo bisogno del sostegno di tutti.”
Yukari fa un passo indietro, sorride, s’inchina.
Sente il peso di parole belle, anche se un po’ stanche.
Se le avesse pronunciate un altro forse ci avrebbe riso su, ma dette dal capitano fanno sempre un certo effetto.
--

Ciao a tutti^^

Era inevitabile che le tensioni iniziali fra Yukari e Sanae diventassero materiale narrativo e segnassero l’intreccio della storia.
Tornare a casa per Yukari non è soltanto dolcezza: significa anche fare i conti con tutti e tutto e riverificare il peso dei rapporti.
Purtroppo, tra le due amiche ora c’è molta distanza: una distanza che, più che fisica, è proprio di “attitudine” alla vita; una distanza di vedute, direi.
Crescere significa anche questo…

Grazie mille a tutti coloro che dedicano tempo a questa storia^^

A presto
kiku

 

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Capitolo 19
*** Non mi hai mai chiamato ***


Per i due giorni successivi, Yukari non vede nessuno. Si barrica in casa.
Vuole solo dormire e mangiare, riprendere la sua vecchia esistenza, ricordarsi che effetto fa vivere come viveva prima dell’università.
Vuole fare scorta di emozioni, grasso e sensazioni buone, di modo che al ritorno a Tokyo non avrà problemi e resterà a galla fino all’estate.
Sua madre le ha cucinato tutto il repertorio dei piatti preferiti e in quantità industriali.
Stasera si sente letteralmente scoppiare.
“Che cosa c’è?” chiede suo padre, sollevando lo sguardo dal giornale.
“Ho mangiato troppo…”
Il signor Nishimoto dà una rapida occhiata alla moglie e tutti e due all’unisono scoppiano a ridere.
“Guardate che è più che altro per colpa vostra!” esclama la ragazza, sentendosi spalle al muro.
“Perché non esci un po’?” le suggerisce sua madre.
“Ma è già buio…”
“Beh, non avrai mica paura di girare al buio! “ risponde suo padre, posando giornale ed occhiali.
“Non so dove andare. I miei amici sono tutti a Tokyo. Sono sola.”
“Fare un giro non significa andare da qualche parte. Significa semplicemente camminare.”
“Senza una meta?” domanda lei, in maniera scettica.
“Sì, senza una meta precisa. A volte è la strada che ti porta in un determinato posto, senza che tu nemmeno te ne renda conto.”
Yukari si massaggia lo stomaco e si solleva dal divano.
“Forse non avete tutti i torti. Magari mi porto Flush.”
“Ottima idea.”
Non appena nomina il cane, ecco che l’animale inizia ad agitarsi e a puntare verso l’ingresso dove solitamente viene tenuto il guinzaglio.
Yukari si alza lentamente e un po’ svogliatamente. Segue il cane, indossa il giubbotto, le scarpe, afferra il guinzaglio e salutando i suoi, esce di casa.


“Finalmente…” farfuglia a mezza voce, mentre arriva a Nankatsu.
Senza volerlo, inizia a rallentare e cerca di riconoscere ogni piccola sfumatura del suo villaggio, nonostante sia buio.
Il telefono, sul lato passeggero, continua ad illuminarsi e a vibrare, come se ci fosse una festa, ma Genzo lo ignora.
Non vuole rispondere, non vuole fermarsi a leggere i messaggi.
Ha solo voglia di ascoltare il battito di casa sua, il posto dove tutto è iniziato e dove sente che una parte del suo animo ritrova davvero la pace.
Allunga la strada come a non voler far finire questo momento di riconciliazione, poi si decide ed imbocca il lunghissimo viale per villa Wakabayashi.
La strada è costeggiata da lumi nuovi, moderni, e di un candore che quasi si confonde con la neve appena caduta.
Non c’è nessuno in giro perché è ormai tardi e a Nankatsu la vita riflette seriamente le ore di luce e di buio. In questo somiglia un po’ ad Amburgo e per un momento si sente preso da una stretta di malinconia.
Distoglie lo sguardo, si cerca il berretto sulla testa e non appena si accorge di averlo ben saldo, si rassicura subito.
Manca proprio poco all’entrata della villa, quando nota una piccola figura umana.
Rallenta e anche la figura quasi si ferma, forse impaurita dalla luce dei fari dell’auto.
Improvvisamente è immobile e curva su un’altra sagoma, sagoma di animale.
Dev’essere un cane pensa, mentre avanza.
A pochi passi, Genzo frena con dolcezza e abbassa il finestrino.
Yukari, che si rende conto di lui solo quando ce l’ha davanti, si trasforma in una statua di pietra.
Fortuna che la poca luce non permette di vedere bene i volti, le espressioni ivi disegnate.
“Nishimoto” dice lui, togliendosi e rimettendosi il berretto, come a nascondere un immotivato nervosismo.
“Ciao…” sussurra lei.
“Come… come mai da queste parti?” domanda il ragazzo, guardando avanti, verso casa sua.
“Facevo una passeggiata.”
“Una passeggiata a villa Wakabayashi?”
Yukari si volta verso la casa che ora è visibile e compare in tutta la sua bellezza.
“Sì… cioè no. Ho camminato senza una meta precisa. Volevo… ho mangiato troppo.”
Genzo afferra il telefono, sembra completamente disinteressato.
“Sei… quando sei arrivato?”
“Adesso.”
Passa ancora un momento di silenzio, poi Flush inizia ad attirare l’attenzione perché vuole muoversi, andare.
“Bentornato, allora” spiaccica lei, nell’imbarazzo più completo.
Genzo ingrana la marcia, come a ripartire.
“Non mi hai mai chiamato.”
Yukari lo fissa per un secondo, poi distoglie lo sguardo.
“Beh… io…”
“Immagino tu non abbia avuto bisogno di molti favori. Sei una che va dritta per la sua strada, eh Nishimoto?”
Lei indietreggia, con la mano che trattiene a stento il guinzaglio.
“Sei stato gentile a lasciarmi il tuo numero…”
“Come va con l’università? Come sta il tuo appartamento? Vivi sempre in periferia?”
“Sì, tutto… tutto più o meno bene. Il mio appartamento sta bene. Cioè… è sempre uguale.”
Genzo si lascia andare ad un sorriso malizioso.
Il telefono inizia a squillare in maniera spasmodica.
Il portiere lo afferra ma non risponde.
“Devo andare.”
Yukari si allontana.
“Certo… ciao…”
“Stammi bene Nishimoto.”

--
Ciao a tutti^^

Certo che Genzo parla poco, ma appena apre bocca, è implacabile e va dritto al punto^^
Per questo, ho deciso di intitolare il capitolo con una delle sue poche frasi.
In quelle parole, secondo me, dice molto, moltissimo…
E’ stato un incontro un po’ “strano” e ahimè, breve.
Speriamo che però sia l’inizio di un momento di svolta^^

Ringrazio tutti i lettori di questa ff, ma anche tutti coloro che si avvicinano alle mie storie passate.
E un grazie speciale anche a tutti coloro che mi scrivono e che commentano.

A presto^^
kiku

 

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Capitolo 20
*** Lente d'ingrandimento ***


Dopo l’incontro con Genzo, Yukari va nel pallone.
Il giorno di Natale, a casa dei nonni, fatica ad ingoiare l’antipasto di pesce, poi si chiude in un silenzio anomalo per tutto il tempo.
Sanae inizia a bombardarla di messaggi per convincerla a raggiungere gli amici a Tokyo e Ryo, con la scusa che i suoi andranno a trovarlo, si offre di farle dare un passaggio.
Lei prende tempo, esce spesso, cammina con Flush a tutte le ore e sa benissimo che lo scopo è uno solo: ritrovarsi di fronte a lui, così per caso.
Si sente stupida, irragionevole, incoerente, eppure non riesce a frenarsi.
Non è capace di stare ferma, di rimanere a casa.
Ma è chiaro che Genzo è solo di passaggio: convocato anche lui in nazionale, se non è già a Tokyo, ci andrà presto.
Cerca con tutte le forze di reagire, di riconquistare centimetri di lucidità e si costringe alla sedia della biblioteca di Nankatsu: non c’è un’anima e questo silenzio sarebbe l’ideale per ricominciare a mettere in ordine le idee e riprendere in mano un libro.
Lei invece si legge tutti gli arretrati dei quotidiani sportivi per ripercorrere l’autunno del portiere.
Non trova molto: avendo oscurato le sue pagine sui social e avendo depistato i cronisti, le notizie al riguardo sono frammentarie e poco certe; ma a lei è sufficiente per capire che deve essersi liberato di tutti e di tutto per finire in un angolo remoto del cosmo, ad allenarsi e a cercare di chiudere con una delle tante squadre che lo corteggiano.
Magari è sempre rimasto a Tokyo e nessuno se n’è accorto arriva addirittura a pensare.
Solleva gli occhi dall’ultima colonna di un articolo e si accorge che è tardi.
L’inserviente le lancia un’occhiata minatoria e capisce in fretta di doversene andare.
Raccoglie le sue cose e prende la strada verso casa.
Il suo non è un procedere spedito e sicuro; piuttosto, è un camminare lento e silente.
Entrando in casa, avverte l’odore fortissimo della cena.
Un odore buono, ma che la infastidisce.
Siede comunque a tavola, mentre si sente quattro occhi puntati addosso.
“Hai studiato?” domanda suo padre, servendole il pesce e le verdure.
“Mah… sto cercando di rimettere ordine agli appunti, più che altro” risponde lei con fine diplomazia.
La signora Nishimoto attende il suo turno perché sia pronta anche la sua porzione, poi versa da bere alla figlia.
Yukari la guarda un attimo e a seguire si sposta ad osservare suo padre.
“Che cosa c’è? Cos’avete?”
Il signor Nishimoto solleva le spalle, “nulla perché?”
“Sembrate strani…”
Sua madre si schiarisce la voce, “no è che… tra due giorni c’è la partita della Nazionale.“
“Lo so. E quindi?”
“Non fraintenderci, ma pensavamo che saresti tornata a Tokyo. I tuoi amici sono tutti là. Sanae, in special modo.”
Lei beve un sorso di vino. Poi afferra la bottiglia del sake e inaspettatamente si fa un bicchierino di quello.
Si sente improvvisamente sotto esame e s’innervosisce.
“Se non mi volete qui, basta dirlo.”
“Yukari… non girare la frittata: sai bene che puoi restare a casa anche fino all’ultimo giorno delle vacanze.”
“Allora non vedo dove sia il problema. I miei amici sono là, ma non mi pare che si stiano preoccupando più di tanto di me.”
“Ma se hanno chiamato varie volte anche oggi!”
“Beh… saranno telefonate di facciata” replica lei, mordendosi il labbro, “non mi hanno neanche lasciato i pass per le partite! Rendetevi conto!”
Suo padre deglutisce il boccone e si pulisce le labbra, “magari pensavano di darti i biglietti direttamente e di persona.”
La ragazza abbassa la testa, perché sa bene di essere in difetto.
“Se torno a Tokyo, è per sempre. Voglio dire… fino a giugno sarà tutta una tirata.”
Sua madre annuisce, “lo sappiamo Yukari, lo sappiamo.”
“E sappiamo anche quanto tu sia affezionata a Nankatsu. Tuttavia…”
“Tuttavia? Cosa?”
“Ora sei, sei grande e la tua vita sta sbocciando. Devi sentirti più libera di andare.”
Yukari scuote la testa, si alza e se ne va in camera.
I due terminano la cena senza parlare, entrambi consapevoli che questa discussione è stata inevitabile e necessaria.
E’ soltanto mentre la signora Nishimoto rigoverna che riprendono a parlare.
“Secondo te siamo stati troppo diretti?”
L’uomo fa no con la testa, “è troppo intelligente. Sa benissimo che tornare a Tokyo è la soluzione più giusta. Non dimenticarti che i suoi studi prevedono carriere complesse: viaggi, trasferte, ruoli di responsabilità e magari anche fuori dal Giappone.”
“Che stia dubitando delle sue scelte?” domanda la donna.
“Ha avuto tutto il tempo che ha voluto per decidere. E sono sicuro che abbia ponderato bene ogni cosa. Solo che ha un carattere difficile. In fondo ce l’abbiamo tutti… sta lottando contro le sue stesse paure e sta crescendo. Cerchiamo di sostenerla, ma di rimanere lucidi. E’ per il suo bene.”
La signora Nishimoto annuisce e nel frattempo riempie il bollitore per il tè.
Proprio mentre sta scaldando le tazze, suonano alla porta.
Guarda con sorpresa il marito, che le rimanda un’occhiata altrettanto stupita.
E’ già tardi.
La donna si precipita alla porta.
“Buonasera.”
“Genzo… buona… buonasera.”
“Scusate l’orario” il ragazzo fa un inchino e si toglie il berretto.
“Prego, entra;  stavo giusto preparando il tè.”
“La ringrazio, ma sono… vado di fretta.”
Lei lo guarda e rimane lì, in attesa di capire.
“Dovrei dare i pass per le partite a Yukari. Fra una cosa e l’altra, Sanae e Ryo non si sono capiti e hanno finito per dimenticarsene.“
“Te la chiamo subito. Ma sei sicuro che non vuoi entrare?”
Lui annuisce e fa un altro inchino.
La signora Nishimoto fa qualche passo verso le stanze interne.
Yukari sopraggiunge dopo poco.
La sua faccia parla da sola.
Appena riesce a realizzare che si tratta di Genzo, distoglie lo sguardo, cerca sua madre, che sta tornando in cucina per lasciare i due da soli.
Il portiere porge la mano con i due pass per le partite.
“Ishizaki ha fatto un po’ di casino. Nella foga di farteli avere…”
“Se n’è dimenticato.”
“Diciamo di sì.”
“Grazie…” dice lei.
Tiene la testa bassa, piena di imbarazzo e di vergogna.
“Che hai?” domanda lui.
“Niente… è solo che… non so, non so se verrò alle partite. Se vengo, anticipo il mio rientro a Tokyo. E fino a giugno non potrò tornare a casa.”
Genzo si rimette il berretto e tiene lo sguardo su un punto lontano oltre il contorno della ragazza.
“Nankatsu è il luogo delle certezze. A Tokyo invece si raccolgono tutte le tue paure, eh Nishimoto?”
Lei lo fissa, con gli occhi lucidi. Vorrebbe rispondergli a tono, parola su parola, ma sa bene di non poterlo fare. Sarebbe come rinnegare se stessa.
Lui ha colto nel segno.
Ricade a terra con lo sguardo e non dice una parola.
“Con Sanae si è rotto l’incanto e Ishizaki ha incontrato una ragazza. Se non hai altri motivi, non hai tutti i torti a voler rimandare il tuo rientro a Tokyo” aggiunge secco il portiere.
Yukari ascolta ogni frammento e si sente vivisezionata dentro, come se il suo cuore, i suoi pensieri fossero sotto una lente d’ingrandimento. Le manca la saliva, non può mettere insieme due parole.
“Devo andare. Domani sera devo essere in Federazione, e in giornata ho alcuni impegni.”
“Stai partendo ora?”
Il ragazzo annuisce, “preferisco guidare di notte.”
Lei si sente sempre più ai margini, spiazzata, senza possibilità di replica.
“Yukari, porteresti fuori tu Flush” domanda suo padre, avanzando per salutare l’ospite.
Appena compare, con il cane che si fionda ai piedi del giovane per fargli festa, si avverte un lieve imbarazzo generale.
Genzo prima si accovaccia per salutare il cane, poi si solleva e tornando a togliersi il berretto, fa un inchino di cortesia.
“Buonasera Genzo.”
“Buonasera.”
“Ti dispiace far fare una corsa a Flush?” ribadisce.
Yukari lo guarda, ma con la testa è altrove, “certo che no…”
Si mette le scarpe, infila il giubbotto e fa uscire Flush senza il guinzaglio. Il cane rapidamente corre per affondare nell’abisso della sua siepe preferita.
Genzo saluta il padre della ragazza e poi esce, seguendo a distanza di qualche passo l’amica.
Fa un freddo assurdo e la neve è quasi dappertutto una patina sottile di ghiaccio.
Dopo qualche secondo i due si ritrovano uno accanto all’altra e in un baleno, raggiungono l’auto di Genzo.
Yukari si mette le mani nelle tasche e si chiude dentro il suo giubbotto, ciondolandosi leggermente sui piedi.
Lui sosta davanti alla portiera della macchina, come in preda ai suoi demoni.
“Oggi il mio amico Kaltz mi ha detto che forse ha trovato un acquirente per la mia casa ad Amburgo. Se troviamo un accordo, lascerò anche l’ultimo anello che mi lega a quella città.”
Non sa perché lo dice, e appena se ne rende conto si pente di averlo fatto: capisce di essersi lasciato andare ad una specie di piccola confessione.
Si abbassa la visiera sulla fronte, come a nascondersi, anche se è inutile: è tutto immerso nel buio.
Si riescono a scorgere solo sagome, profili.
“Non dev’essere facile lasciare definitivamente Amburgo. In fondo è stata una specie di Nankatsu per te.”
A Yukari le parole spuntano fuori dal nulla e anche lei, non sa perché l’ha detto.
Lui la fissa per un secondo, poi se ne torna ad osservare il vuoto.
“Ormai Amburgo è il passato. Devo pensare al presente. Al futuro.”
“Certo…” sussurra lei, senza alcuna convinzione.
Genzo se ne accorge e comprende che non può comportarsi in questo modo, non può più ormai.
“Credo che nel mio animo ci sarà sempre un posto speciale per Amburgo. E credo anche che sia giusto così. Per tanto tempo è stato il luogo delle mie certezze. E sono stato bene. Sono stato felice. Questo non si può cancellare.”
Yukari alza la testa, poi cerca di rintracciare Flush che sta girovagando non lontano da loro.
Si avvicina al portiere di un passo, poi di un altro, fino a che con la testa si trova ad un millimetro dal suo petto.
Vorrebbe sprofondare nel suo torace, baciarlo, sussurrargli una parola, anche una sola, ma a quella minima distanza, realizza che non può.
Indietreggia immediatamente.
“In bocca al lupo per tutto...”
E scappa via.
Genzo incassa il colpo, assorbe l’odore del corpo di lei, come se fosse il profumo della terra, la cosa più buona del mondo.
Si fa forza, prima che le ginocchia lo tradiscano, apre la portiera, sale in macchina e se ne va.  

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Ciao a tutti^^
Con questo capitolo iniziamo a percepire un’intensità narrativa ed emotiva diversa.
Mi sembra che ci sia stata una piccolissima svolta. E’ tutto ridotto al minimo, tutto qui è per sottrazione, come se i gesti e le parole fossero tutti in difetto.
Eppure… eppure qualcosa si sta muovendo…

Grazie mille a tutti^^

A presto^^
kiku
                                                                                               

 

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Capitolo 21
*** Un soggetto difficile ***


Attraversare i corridoi della Federazione è motivo di una strana insicurezza.
Per tutto il viaggio non è riuscito a razionalizzare le sue emozioni, perché sono troppe e troppo varie.
Tornare in campo sul serio, ritrovarsi a dover decidere con quale squadra giocare il prossimo campionato e tutto il resto: da fuori può sembrare facile, ma dentro Genzo i demoni danzano e brindano.
Il Paradiso è lontano.
Cerca di rallentare il passo, si calma.
In segreteria trova un biglietto da firmare. Hanno fatto l’appello senza aspettarlo.
Avanza e vede che il piano inferiore ha tutte le luci spente.
Proprio appena prima di prendere l’ascensore, nota un biglietto posato su un tavolo. Insieme ad esso c’è un bel pacco di carta.

Genzo Wakabayashi, stanza numero 8, cena al sacco.

Segue un codice a barre.
Lui afferra biglietto, pacco e sale di sopra.
Il corridoio è vuoto e silenzioso: ognuno ha già preso possesso del suo posto e il coprifuoco è già stato attivato.
Soltanto un paio di porte sono socchiuse: Yuzo, Mamoru, Teppei, il Capitano e Ishizaki parlottano e la luce delle loro stanze s’intravede bene.
Genzo passa tossendo, così che i compagni possano uscire. Sa bene che stavano aspettando il suo arrivo.
“Alla buon’ora…” sussurra Ozora, mentre Ishizaki fa il segno della vittoria.
“Avrei fatto prima, se solo Ryo si fosse ricordato i suoi doveri.”
Il difensore si strofina la testa, imbarazzato.
“Hai trovato Yukari?”
“Sì, l’ho trovata. Le ho dato i pass e a causa vostra ceno con una scatola.”
I ragazzi sorridono, perché questa frase detta dal portiere suona come una battuta simpatica.
“Come… come sta la Nishimoto?” domanda ancora Ryo.
“Sta benone…, sta benone. Non so se verrà a Tokyo. Ci deve pensare.”
Il difensore non nasconde un minimo di turbamento.
Genzo si ferma a pochi passi da lui, “Sta sbocciando, Ishizaki.  E le ragazze quando sbocciano, si sa, fanno davvero ciò che vogliono.”
Tutti rimangono lì, quasi impietriti.
Non è una frase da Genzo.
Ozora lo osserva fino a che non scompare dietro la porta accanto. Resta ancora qualche secondo in bilico, tra l’andare da lui o rientrare in camera sua.
E’ questione di un attimo e quando si muove, capisce che ormai è troppo tardi.
Va a dormire, anche se nel suo sguardo è palese un po’ di sconcerto.
Genzo ormai è già dentro la stanza numero 8.
Taro è steso a letto, in balia del telecomando.
Si solleva e saluta con un cenno della testa.
“Il mio compagno di stanza preferito” farfuglia ironicamente il portiere, posando la cena sulla scrivania.
“Preferivi Ishizaki, lo so. Ma cosa vuoi. E’ il prezzo da pagare per il ritardo.”
Genzo incassa e sorride maliziosamente.
Si stira, apre finalmente la scatola e ne esamina il contenuto: una ciotola di plastica con riso e pesce, una fetta di crostata, una mela e una bustina di tè.
“Lo so, lo so… hai l’acquolina in bocca” fa Taro, con ironia.
Il portiere si alza, va in bagno, si sfila la felpa, apre l’acqua e si lava la faccia, il collo. Poi si dà un po’ del suo profumo.
Taro lo avverte subito.
Ne rimane inebriato e per un secondo ringrazia gli dei di essere finito in stanza con lui.
L'amico si stende a letto e allunga la mano per farsi dare il telecomando.
“Allora? Come stai?” e mentre lo dice, si accorge che appoggiato alla parete c’è un altro pacco, più grande e più sottile.
Non aspetta la risposta  e chiede cos’è.
“E’ per te, da parte di mio padre.”
Genzo allora si tira su, va alla parete, scarta l’involucro e si ritrova di fronte ad un suo ritratto.
Per un momento non parla.
“E’… è notevole.”
Taro si sdraia nuovamente.
“Ma come… quando…” farfuglia il portiere, osservandolo di fino.
“Ha fatto qualche bozzetto durante la tua visita in Provenza, quest’autunno. Poi ha lasciato perdere, perché dice che sei un soggetto difficile. Quando ci si è rimesso, ne è venuto fuori quello.”
“Accidenti… “ replica l’altro; “grazie… grazie mille.”
“Non ringraziare me.”
“Domani chiamo tuo padre.”
“Bravo. Gli farà piacere. Era un po’ titubante se dartelo o meno.”
“Perché?”
“Te l’ho detto, Genzo: a suo parere sei un soggetto difficile”.
“In tutti i sensi.”
“Esatto.”
Genzo torna a letto, dopo aver riappoggiato il quadro alla parete, con premura.
Lo fissa e dopo un po’ si ricorda della sua domanda, “come stai, Taro?”
“Benone. Però credo che dovrei trovarmi una ragazza…”
Genzo cambia canale, deglutisce, fa finta di niente.
“Una bella francesina?” domanda, con ironia.
“Sì. O anche una bella giapponese. Stile Sanae, o Yukari…”
Il portiere piega il labbro, resta vigile, stringe i pugni.
“Sono praticamente l’ultimo single del Paris Saint-Germain, escludendo i giovanissimi.”
Genzo non replica, continua a stare concentrato su uno stupidissimo programma della televisione.
“Immagino che la cosa non ti sfiori minimamente.”
“Beh sai com’è, prima della ragazza, io devo trovarmi una squadra. Una squadra, capisci?”
“Certo.”
Taro si alza, va in bagno, e quando se ne torna, ha occhi nuovi.
“A che punto sei?”
“In questi giorni decido. Decido tutto, Taro.”
“Bene” replica l’altro, mettendosi a letto.
Per una decina di minuti non parlano, ognuno di loro chiuso nel proprio guscio di pensieri.
“Taro…” sussurra Genzo, sprofondando la testa nel cuscino.
“Dimmi…”
“Vedrai che prima o poi una ragazza la trovi.”
L’attaccante si gira dall’altra parte, “speriamo. Speriamo proprio Genzo.”
Allunga il braccio, spegne la luce e tutto tace.

--

Ciao a tutti^^

Capitolo di transizione, questo; per rifiatare un attimo prima dei prossimi momenti narrativi che sono importanti e determinanti per il proseguire della storia.

Grazie a tutte le persone che mi leggono e seguono. Grazie a coloro che mi scrivono e recensiscono, dedicando tempo a questa ff^^

A presto^^
kiku

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Capitolo 22
*** Tokyo mi fa male ***


Arriva il pullman e Yukari si fa dare la borsa da suo padre.
Ha trascorso il capodanno a casa con i suoi, senza fare niente di speciale, ma ora capisce di dover andare.
Ha saltato la prima delle due partite amichevoli della nazionale e, a differenza di quanto immaginava, la sua assenza ha seminato un certo disappunto. Oltre alle telefonate di Sanae e Ishizaki, si è beccata un sano rimprovero dal capitano, due messaggi pepati di Mamoru, una mail di Taro e un video messaggio da parte di Teppei.
Non vuole passare per snob, per asociale, e quindi raccoglie le sue cose, ingoia le sue ansie e saluta di nuovo casa sua.
“Quando te ne vai da Nankatsu, il tuo volto cambia espressione.“
Lei osserva suo padre che in fondo all’animo è un poeta e sa sempre comprendere i suoi stati d’animo senza che lei si debba esporre più di tanto.
“Tokyo mi fa male, lo sai.”
Lui si accende una sigaretta, mentre le persone iniziano a creare una fila per poter salire sul pullman.
“Lo so, ma devi sempre tenere a mente che lo stai facendo per il tuo bene. Nankatsu non scappa. Qui potrai sempre tornare. Ma prima di tornare, è necessario partire.”
Yukari s’inchina e con gli occhi inumiditi si mette in coda.
Sono tante le sensazioni che sta attraversando. Sono molte le cose di cui vorrebbe parlare con suo padre. Ma il tempo è finito e non può più rimandare.
Prende posto accanto ad una signora piccola piccola che si mette subito a leggere un testo religioso e allora lei, forse per spirito di condivisione, tira fuori una dispensa di appunti di geopolitica ed inizia a guardarli.

Una volta a Tokyo, scende  alla fermata più comoda per raggiungere l’appartamento di Anego.
Sprofonda immediatamente in una cappa surreale. La cappa che ha questa metropoli.
Affonda nel disagio e si sente subito sporca, mal vestita, inadatta in tutto il suo essere.
Si ferma, prende una bottiglietta d’acqua dalla borsa e la beve quasi tutta senza sosta, tanto che quando si stacca dalla circonferenza di plastica, le manca il respiro.
Si calma, guardandosi intorno, poi riprende a camminare.
Raggiunge la meta dopo circa quindici minuti; si avvicina al grande palazzo, con la portineria tutta in vetro, pareti illuminate di colori.
Entra e l’inserviente la stoppa subito: nessuno l’ha avvisato del suo arrivo.
“Buongiorno, sono un’amica di Sanae Ozora.”
Lui fa un inchino e chiede di attendere un momento.
Fa una telefonata e dopo poco se ne torna con un altro sguardo, un altro atteggiamento.
“Prego… salga pure.”
Yukari prende l’ascensore e sbuca in un corridoio di lacche, porcellane finissime, tutto che luccica.
Sanae è alla porta.
Si salutano, poi Anego fa entrare l’amica.
Si scambiano qualche parola di facciata, e intanto la moglie del capitano le mostra la camera degli ospiti.
“Ti fermi qui stanotte, no? Almeno stanotte…”
Yukari annuisce. Non ha voglia di litigare, di lottare. E poi, questo appartamento è di certo molto meglio del suo.
Dopo uno spuntino, si preparano ed escono.
Fanno un giro per negozi e si fermano a lungo in una delle boutique preferite da Sanae. Le commesse si dedicano completamente alle due ragazze e durante la prova dei capi, offrono addirittura il tè.
Yukari osserva gli abiti e ammira Sanae, mentre si veste e si sveste più volte.
“Provati qualcosa, dai. Ti faccio un regalo.”
La ragazza scuote la testa, abbassando gli occhi, “no, non mi serve niente, grazie. E poi… e poi è tutta roba che non avrei occasione di indossare.”
Anego la fissa un istante.
“Domani dopo la partita abbiamo una cena. Quella è un’occasione.”
“Una cena?”
“Sì, una cena fra noi. La solita cena, dai…”
“Beh per quella non ho bisogno di mettermi un vestito di questa portata. Grazie lo stesso, Sanae.”
“Sei sempre la solita…” si lascia scappare l’amica, senza nascondere un po’ di disappunto.
“La solita… la solita come? Cosa significa?”
“Niente, niente, facevo per dire” si limita a spiegare Anego, indicando le cose che ha intenzione di acquistare.
Una commessa raccoglie tutto e inizia ad incartare, impacchettare.
“No, scusa. Preferirei che ti chiarissi. Ho avuto un diverbio anche con Ishizaki, al riguardo.”
“Non è il luogo e nemmeno il momento. Non fare la bambina.”
Yukari incassa il piccolo, grande rimprovero. Ingoia la lieve umiliazione, e sente crescere il disagio.
In macchina restano in silenzio, prese da una distanza che ormai è innegabile.
Tornate in appartamento, Sanae ha la brillante idea di aprire una bottiglia di vino e questo aiuta ad allentare la tensione.
Ascoltano un po’ di musica mentre cucinano insieme e di tanto in tanto, dopo essere arrivate a metà bottiglia, riescono anche a ridere e fare battute.
Yukari decide di non tornare sull’argomento e semplicemente di accontentare Sanae in tutto: in fondo si tratta di una sera e, a parte le evidenti incomprensioni, è comunque la sua migliore amica.
Anego si rende perfettamente conto di aver esagerato: non riesce a tenere a mente il suggerimento di Tsubasa.
Si sente in difetto, così fa di tutto per non imporsi più del dovuto.

La mattina seguente, si svegliano tardi, fanno una colazione abbondante, poi escono a visitare una mostra fotografica a cui Sanae deve presenziare.
Yukari fa un giro fra i padiglioni, si lascia cullare dall’immaginazione e decide di concedersi una giornata senza pensieri.
Stasera tornerà a casa sua, in periferia, e da domani ricomincerà a studiare.
Visto che è a Tokyo, seguirà le lezioni facoltative del laboratorio politico e in questo modo la ripresa dei corsi sarà più dolce.
Oggi vuole solo rilassarsi.
Sanae legge un breve resoconto e pronuncia qualche frase di ringraziamento, poi firma un assegno per contribuire all’associazione che sponsorizza giovani fotografi emergenti e dopo una breve relazione di fine anno tenuta dal direttore e curatore della mostra, tutti gli ospiti vengono fatti accomodare in una sala di ricevimento dove è imbandito un aperitivo all’occidentale.
Ci sono tantissime cose buone e le due amiche assaggiano un po’ di tutto.
Quando se ne vanno, capiscono di essere quasi in ritardo.
Prendono un taxi e tornano in appartamento.
Fanno una doccia, si cambiano e dopo un'oretta sono di nuovo in macchina per andare alla partita.
E’ solo quando si iniziano ad intravedere i fari dello stadio, già illuminati, che Yukari sente una stretta fortissima allo stomaco.
“Che bello, eh?” fa Sanae, notando l’espressione di stupore dell’amica.
Yukari annuisce, incapace di parlare.
Attraversano i sotterranei con i pass ben in vista e quando sbucano in tribuna, si ritrovano immerse in un boato enorme.
Lo stadio è pieno zeppo di gente e c’è la musica, ci sono i cori, tutti i rumori del mondo sembrano essere concentrati lì.
“Yukari!” esclama Mitsume, facendosi strada.
La ragazza la saluta con entusiasmo e appena sono vicine, si prendono per mano.
“Sanae, questa è Mitsume.”
La moglie del capitano le sorride e fa un inchino, cercando di osservarla minuziosamente senza dare troppo nell’occhio.
“Piacere di conoscerti.”
“Il piacere è mio.”
“E’ da molto che sei arrivata?”
“Una ventina di minuti. Temevo che non venissi nemmeno questa volta…”
Yukari si concentra con lo sguardo sul campo: stanno entrando le squadre.
Prima il Kuwait, poi la nazionale giapponese.
Genzo è l’ultimo e lievemente staccato dal gruppo.
“Che emozione…” sussurra Mitsume, mentre gli occhi di Sanae continuano ad analizzarla in ogni centimetro di corpo.

--

Ciao a tutti^^
E’ un rientro piuttosto amaro per Yukari.
Anche se continua a non volerlo ammettere, ormai la distanza da Sanae è un dato di fatto.
E anche Sanae, per quanto voglia cercare nel limite delle sue possibilità, di “accettare” i cambiamenti dell’amica, si trova ormai in un’altra dimensione.
E’ una situazione difficile e delicata. Non so come ne usciranno…

Grazie mille a tutte le persone che leggono e dedicano tempo alla ff.
Grazie di cuore a coloro che commentano e mi scrivono.
Grazie per le vostre riflessioni, per manifestare il vs punto di vista e per condividere le vostre sensazioni e i vs ragionamenti.
A presto^^
kiku

 

 

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Capitolo 23
*** Irraggiungibile ***


La partita è piuttosto noiosa.
Si sblocca solo nel secondo tempo con due goal di Hyuga e un goal di Tsubasa.
Il Kuwait non è mai pericoloso, ma allo stesso tempo è la classica squadra che non ti fa giocare, che spezzetta continuamente le azioni di gioco, quindi è tutto macchinoso.

Le ragazze si sono divertite lo stesso.
Ora, nei corridoi che precedono gli spogliatoi, stanno aspettando che i giocatori escano.
Ci sarà la conferenza stampa, qualche intervista e poi finalmente andranno a cena.
Alcuni giornalisti passeggiano avanti e indietro, e ogni tanto Sanae si rende conto che le telecamere sono puntate su di loro.
Si sente un po’ infastidita, così fa cenno alle amiche di spostarsi in un angolo.
Yukari è completamente disallineata e disconnessa.
Non è riuscita a togliere gli occhi di dosso da Genzo e sembra su un altro pianeta. Si sta aggrappando con le unghie al briciolo di lucidità che le è rimasto, ma sente che è una guerra persa in partenza.

L’attesa è lunga, sembra interminabile.
Poi, finalmente i primi giocatori cominciano a venire fuori e si distribuiscono fra i cronisti presenti.
Tsubasa e Hyuga naturalmente sono fra i più richiesti.
Il capitano, appena si accorge che Sanae è in compagnia di Yukari, fa il segno della vittoria e sorride.
Le raggiunge dopo poco e inizia a scherzare con loro.
“Era ora che ti facessi viva Nishimoto!”
Yukari arrossisce e per un attimo guarda Mitsume, imbarazzata.
“Vi siete divertite?” domanda a tutte e tre.
“Sì, moltissimo” risponde la ragazza di Ishizaki, ”ma Ryo dov’è finito?”
Il capitano scoppia a ridere, “si sta dando il gel… sai, da quando ti frequenta, è diventato ancora più vanitoso!”
Il difensore apre la porta dello spogliatoio proprio in quel momento e va dritto verso Mitsume, sorridendo, con passo spedito e sicuro.
Quando arriva lì vicino, tutte e tre scoppiano a ridere.
“Beh? Cos’è successo?”
Tsubasa fa l’occhiolino “nulla Ishizaki, è solo che ci metti un’eternità a prepararti dopo la partita.”
“Ma se sono uno fra i primi ad essere uscito!” esclama lui, aprendo le mani.
Nel giro di qualche minuto la porta dello spogliatoio si apre più e più volte ed escono quasi tutti.
L’angolo di Sanae è ormai diventato un alveare. Tutti confluiscono lì e si crea un bel po’ di confusione.
Yukari scambia qualche parola con gli amici e lì per lì non si accorge che anche Genzo è finalmente fuori.
Improvvisamente si fa quasi silenzio: le voci diventano dei sussurri, mentre i giornalisti si accalcano.
Lui attraversa il corridoio senza guardare nessuno, tenendo gli occhi fissi verso un punto immaginario davanti a sé.
E’ affiancato da due uomini occidentali, vestiti benissimo. Uno è giovane, alto e magro, mentre l’altro un po’ più tarchiato ed anziano.
I suoi compagni lo osservano sfilare via e sprofondano in un silenzio di tomba, mentre le ragazze si avvicinano come per capire il da farsi.
Yukari sente che i suoi occhi si stanno riempiendo di lacrime perché Genzo non si è accorto di lei.
Il senso di riverenza ora si mischia all’umiliazione.
Deglutisce, con la mano si accarezza il volto, distoglie lo sguardo.
“Certo che è un tipo veramente particolare…” farfuglia Mitsume.
Tsubasa si mette le mani in tasca, cerca di ricompattare il gruppo, “beh ragazzi, allora? Andiamo?”
Mamoru e Teppei guidano tutti gli altri verso l’uscita e al parcheggio, si organizzano per darsi appuntamento al  locale prestabilito.
Yukari, in macchina con Sanae e Tsubasa, è una maschera di dolore.
I due se ne accorgono anche se non capiscono.
“Tutto bene, Nishimoto?” prova a chiedere il capitano.
“Sì, tutto ok. Scusatemi… sono di poche parole stasera.”
“Stasera?” domanda ironicamente Sanae, “tu sei sempre di poche parole”.
Lei incassa, si chiude ancora di più, ancora di più cerca di nascondersi dietro e per tutto il resto del tempo non contribuisce in alcun modo alla conversazione.

Il ristorante è un po’ diverso dal solito: è estremamente elegante negli arredi e nella cura dei dettagli.
Per evitare scocciature, Ozora l’ha prenotato in esclusiva. L’unico tavolo apparecchiato è il loro.
Le ragazze si dirigono in bagno per cambiarsi d’abito.
Mitsume sembra essere perfettamente a suo agio e già in sintonia con Sanae. Chiacchierano e si confrontano su vestiti e scarpe, come se fossero amiche da una vita.
Yukari ricicla l‘abito indossato alla festa delle matricole e si ripassa il trucco svogliatamente.
Non vede l’ora di andarsene.
Ormai i posti sono assegnati e si ritrova a dover stare fra Sanae e Ryo.
Si siede, alza gli occhi e di fronte ha il capitano.
Si morde il labbro, consapevole che il suo malessere non potrà che aumentare di minuto in minuto.
Lui di tanto in tanto la osserva, come a volerle leggere l’animo.
Lei, quando ci riesce, gli sfugge.
La cena inizia con un po’ di ritardo e c’è una discreta confusione. I ragazzi non hanno potuto festeggiare il capodanno perché in ritiro, quindi stanno approfittando dell’occasione per fare un po’ di baldoria e bere qualche bicchiere in più.
A metà delle portate, alcuni sono già un po’ sbronzi e ogni tanto emerge una risata più sonora, una battuta stonata, una parola farfugliata.
Il capitano, pur rimanendo completamente sobrio e vigile, non rimprovera nessuno; anzi, cerca di stare il più possibile agli scherzi e alle battute.
In fondo è una serata speciale, questa.
“Hey…” fa ad un certo punto Taro, tenendo lo sguardo fisso su Genzo che avanza e, avendo individuato il suo posto, si siede.
Prima che lo dica lui, i suoi compagni più intimi si guardano e in coro pronunciano la solita, vecchia frase:
scusate il ritardo
Immediatamente dopo, scoppiano a ridere.
Genzo scuote la testa e non riesce a trattenere un sorriso bellissimo.
Alza lo sguardo e attraversa tutto il tavolo, con occhi grandi, lucidi e vivi.
E’ felice.
“Dov’è lo champagne?” chiede, quando è tornata la calma.
Si fa silenzio.
“Dobbiamo festeggiare. Ho appena accettato l’offerta del Manchester United. Vado a giocare in Premier League.”
Per un secondo resta tutto silente, come se non fosse successo nulla, poi si scatena il putiferio: applausi, grida, anche qualche fischio. Chi può, si scatena.
Yukari si alza, afferra la sua giacca, e cerca l’uscita: le sta mancando l’aria. Deve respirare.
Nessuno se ne accorge perché si è mossa con calma, senza gesti esagerati, come quando ti alzi per andare in bagno.
Cerca l’uscita, ma non si ricorda più dov’è; trova allora una porta finestra che dà su un balcone e la spinge con foga.
Fuori l’aria è terrificante. Invece di sentirsi sollevata e ritrovare il respiro, le sembra di soffocare ancora di più.
Si appoggia al balcone, poi s’infila la giacca, chiude gli occhi.
Scuote la testa.
Non è vero, stai solo sognando, non è vero. E’ solo un sogno.
Prova a convincersi, ma più  trascorrono gli attimi, più si rende conto che è tutto vero.
Non vuole crederci, vorrebbe tornare di là e dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma si rende conto che ha le mani legate.
“Finirai per prenderti una polmonite.”
Si solleva con il busto per darsi contegno e dopo un secondo Genzo le è accanto.
Guarda avanti, fa di tutto per sembrare lucida. Non parla.
“Pensavo che non saresti venuta a Tokyo prima del tempo. Mi sembrava di aver capito che non avessi alcun motivo per tornare in anticipo.”
Lui è calmo, si esprime gelidamente, senza esitazioni, senza alcun tipo di problema.
Yukari invece vorrebbe sparire, vorrebbe reggere il confronto, e sa che non può. Lo sa ancor prima di provarci.
“Stavo… stavo cercando di visualizzare la distanza che c’è tra Tokyo e Manchester.”
Lui si mette le mani in tasca, “ormai non esiste più distanza tra le cose. Con i social, il telefono, i computer, sei ovunque e in ogni momento. E poi Yukari, ci sono gli aerei…”; riesce persino ad essere ironico.
Anche lui forse ha i suoi motivi per provare a difendersi.
“Gli aerei… io… io non sono mai salita su un aereo” risponde Yukari, sentendosi sempre meno a suo agio, sempre più piccola.
“Prima o poi lo farai. Prima o poi ci salgono tutti.”
“Io, io faccio fatica a farmi tre quarti d’ora di treno dalla periferia al centro… per me la minima distanza è…”
“E’?” incalza lui.
“E’ fisica. Non mi basta il telefono, non mi basta un computer. Non mi basta un aereo. Io le cose le devo vivere… le devo… le devo sentire.”
Genzo fa un passo indietro. Questa volta è lui a sentirsi a disagio.
Yukari prende irragionevolmente coraggio, non sa nemmeno come, non sa perché.
“Sei irraggiungibile, Genzo.”
Ecco che ora il silenzio si fa più profondo, come se si amplificasse, come se inglobasse tutti i rumori del mondo.
“Ma dove siete finiti?” domanda il capitano, trovandoli lì, inaspettatamente.
Tsubasa si ferma un istante, percependo qualcosa nell’aria.
“Scusatemi… “ aggiunge, in difficoltà, “è che hanno portato lo champagne. Sai che è di buon auspicio che lo apra la persona che festeggia, no?” domanda retoricamente, rivolgendosi a Genzo.
Il portiere annuisce, ostentando calma e tranquillità.
“Sì, certo. Stavamo per tornare dentro, non è vero Yukari?” chiede alla ragazza, con molta disinvoltura.
Yukari ha il cuore a pezzi, il volto distrutto, ma senza lacrime.
Annuisce, senza dire parola, e segue i due di nuovo verso l’interno.
Per tutto il resto del tempo, è come se non fosse più lì, al suo posto. In fondo festeggiano qualcosa per  cui lei vestirebbe egoisticamente a lutto.
Si sforza soltanto di non apparire troppo seria, troppo triste, ma è evidente che parecchi si sono accorti che qualcosa è cambiato.
Al momento di andare via, assiste ai saluti restando un po’ in disparte.
Genzo si trattiene ancora un po’ nel locale con Mamoru, Teppei e pochi altri;  in pratica i due non si riparlano più.
“Ti fermi da noi, eh Yukari?” domanda il capitano, una volta che sono in macchina.
Ormai è troppo tardi: Yukari vorrebbe rispondere di no, e chiedere a Sanae di potersene andare a casa sua, in periferia, come da programma;  ma il rischio di dover spiegare l’inspiegabile è troppo grande.
“D’accordo. Grazie” risponde, con un filo di voce.

--

Ciao a tutti^^

Invece di semplificarsi, le cose si complicano ancora di più…
Almeno un nodo è sciolto: Genzo ha scelto proprio la squadra che l’ha punito in Champions League e sembra molto contento.
Yukari invece è veramente al fondo di sé.
Speriamo che possano rivedersi prima che il portiere lasci il Giappone…


Grazie mille a tutti^^

A presto
kiku

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Capitolo 24
*** Il più ingenuo fra i pesci ***


Attraversando il corridoio stretto e lungo dell’appartamento di Genzo, Tsubasa prova a ricordarsi l’ordine in cui sono poste alcune stampe fotografiche.
Una spiaggia, una donna bellissima, un cane, il fondo di un vicolo, la piazza di una città europea, un campo di fiori viola.
Arrivato alla fine, si ritrova in un ampio salotto, diviso da un mezzo muretto, da dove s’intravede la cucina modernissima e all’avanguardia in fatto di elettrodomestici ed utensili.
Genzo è comodamente seduto sul divano e sta sfogliando i giornali.
“Allora? Sei l’argomento del giorno, eh? Gran colpo.”
Lui posa il quotidiano, si alza, va al banco della cucina, mette su il tè.
“Oggi mi sento come se mi fossi tolto un peso enorme dallo stomaco.”
“Immagino” fa Ozora, strofinandosi il naso, sedendosi sul tappeto a gambe incrociate.
“Sanae? Come mai non è venuta?”
Tsubasa dà un’occhiata al titolo di una pagina, “ha accompagnato Yukari a casa sua, in periferia. Per un bel pezzo non potranno vedersi. Ho preferito lasciarle un po’ sole.”
“Partite stasera?”
Il capitano annuisce; “e tu?”
“Domani o domani l’altro. Non sono ancora sicuro. Loro mi aspettano entro la fine della settimana. Mi hanno già trovato casa, quindi non dovrò stare in albergo neanche una notte.”
“La Premier è un sogno che si realizza. Hai dovuto soffrire ma… ne è valsa la pena, non credi?”
Genzo prepara le tazze e avanza, porgendone una all’amico.
“Sì, direi di sì. Ti confesso che…”
“Che?”
“Sono anche un po’ teso. Mi sono sempre allenato, ma questi mesi di inattività sono… sono stati lunghi. Dovrò riabituarmi ai ritmi settimanali, alle partite, alla continuità. Alle tensioni, allo stress delle gare e alle critiche. Sono cose che mi mancano. Per quanto abbia cercato di lavorare, mi sento un po’ fuori dal giro.”
Il capitano beve un sorso, poi si solleva, va fino alla tv e sosta di fronte alla videoteca di Genzo.
“E’ del tutto normale. Ma sei talmente forte psicologicamente che supererai ogni step senza particolari problemi. Ne sono certo.”
Genzo si sente improvvisamente più tranquillo. Sa che Tsubasa non parla mai a sproposito e fuori luogo. Se deve togliersi un sassolino dalla scarpa lo fa, senza esitare. Sa bene che le parole appena pronunciate sono semplicemente il suo puro e vero pensiero.
Quello che Genzo non sospetta è il resto.
“Ci sono altri problemi, per caso?” domanda il capitano, dopo aver preso un dvd fra le mani.
Il portiere si alza e posa la sua tazza sul tavolo, senza averne bevuto neanche un sorso.
“No. Nessun problema, perché?”
“Ho avuto la sensazione di interrompere qualcosa quando sono venuto a chiamarti ieri sera… fuori.”
Genzo si lascia andare ad un’espressione sorpresa ma imperscrutabile.
“Non hai interrotto niente.”
“Bene,” replica secco il capitano, consapevole di doverci andare piano.
“Sì, infatti” ribatte Genzo, sedendosi nuovamente.
“Mi sembri nervoso.”
“No, perché? Non sono affatto nervoso.”
“Yukari mi sembrava molto, molto strana…”
“Ah sì?” domanda il portiere, alzandosi di scatto, tornando alla sua tazza di tè ormai tiepida.
“Sì. L’ha notato anche Sanae. Non vorrei che…” e si ferma. Prende un po’ di tempo.
“Dimmi, Tsubasa.”
“No, dico… non è che c’è stato qualcosa con te?”
“Con me?” ripete lui.
“Sì, con te.”
“No, niente. Sai come la penso al riguardo, no?”
“Già…” replica perplesso il capitano. Fa una pausa, finisce di bere, poi riprende, ”esiste solo il calcio.”
“Esatto. Adesso più che mai.”
“Guarda, sarò sincero: in questo momento è la cosa migliore per tutti e due: tu devi restare concentrato.”
Genzo si alza, come toccato nelle corde dell’animo, “io sono sempre concentrato, Ozora”.
“Certo, certo…”
C’è un brevissimo, lunghissimo momento di silenzio fra i due.
Poi il capitano riprende, “non fraintendermi: quello che volevo dire è che tu devi concentrarti sulla Premier e Yukari sui suoi studi. Non siete adatti a…”
“A cosa?”
“Hai capito, no?” domanda Ozora, strofinandosi la testa.
“No, Ozora. A fare cosa?”
“A stare insieme.”
Il portiere si mette a lavare la sua tazza. Il rubinetto è al massimo e il getto d’acqua spruzza da tutte le parti, ma nessuno dei due ci fa caso.
“Figurati. Nel caso volessi trovarmi una ragazza, ne cercherei una di tutt’altra portata.”
Non fa in tempo a finire la frase, che già si è pentito di averla detta.
“Sì, infatti” ribadisce il capitano per dargli corda, e lasciare che si apra un po’.
“Oddio”, riprende Genzo, chiudendo l’acqua, “non vorrei essermi espresso male. A volte le mie frasi suonano snob anche se nell’intenzione c’è tutt’altro.”
Tsubasa si siede per terra.
Ora la conversazione sta prendendo esattamente la piega che voleva lui, e non vuole assolutamente rompere l’incanto.
“Spiegati pure. M’interessa il tuo punto di vista” aggiunge con tono distaccato, per sembrare più credibile.
Genzo a questo punto ha abboccato come il più ingenuo fra i pesci.
Asciuga la sua tazza, rimette a posto il dvd che Ozora ha lasciato accanto alla tv, e si siede sul divano, tornando alle riviste.
“Non vorrei darti l’impressione di considerare Yukari non all’altezza.”
“Guarda che se è ciò che pensi, puoi dirlo tranquillamente.”
“Non lo penso” dice lui, subito; “non lo penso affatto” ribadisce con forza. Fa una pausa, poi riprende: “è carina.”
“Sì… sì. E’ una bella ragazza”, il capitano continua a tenere la tensione bassa.
“In quanto a carattere, inizialmente pensavo fosse piuttosto debole. Invece… invece mi sono dovuto ricredere.”
“Sta cercando la sua strada. I momenti di debolezza ci possono stare. Poi…”
Il portiere posa la rivista, si siede per terra di fronte al suo capitano.
“Poi?”
“Poi magari capita un imprevisto e… si fa presto a crollare.”
“Un imprevisto?”
“Sì” fa Tsubasa, annuendo più e più volte.
“Che tipo di imprevisto?”
Tsubasa si alza e si stira. Fa capire che è tempo per lui di andare. Si affaccia al lungo, bellissimo corridoio dell’appartamento di Genzo.
“Un imprevisto come te, per esempio.”
Genzo ricalca esattamente le stesse mosse dell’amico. Pende dalle sue labbra.
“Io non sono un imprevisto.”
“Se lo dici tu…”
Tsubasa infila le scarpe. Se ne sta andando.
“In bocca al lupo per tutto.”
Il portiere, cercando di riconnettersi al presente, lo guarda con convinzione e annuisce.
“Crepi. In bocca al lupo anche a te.”
Il capitano apre la porta e fa per andarsene.
“Tsubasa…”
“Sì?”
“Devo… devo dirti una cosa.”
Il capitano fa un passo verso l’interno, “dimmi.”
“Sono stato a casa di Yukari un paio di giorni, prima di tornare ad Amburgo ed affrontare la società, recidere il contratto, l’anno scorso. Mi sono nascosto da lei.”
Il capitano ascolta, senza commentare. Aspetta altre parole.
“… volevo seminare i giornalisti. Mi sentivo braccato. E soprattutto, mi sentivo stanco. Lei mi ha ospitato. Non ci siamo mai visti. Io ho sempre dormito, mentre lei aveva lezione all’università, capisci?”
Ozora continua a non parlare.
“Non è successo niente. Assolutamente niente” dice ancora Genzo, come a giustificarsi.
Ed è in questo momento, in questo preciso momento che Tsubasa inizia a scuotere la testa.
“Ti sbagli, Wakabayashi.”
Il portiere abbassa gli occhi, in attesa.
 “E’ successo qualcosa. E’ cambiato tutto.”
Il capitano, dopo aver parlato, riprende la sua strada.
Oltre la porta, oltre l’appartamento di Genzo dà un’ultima occhiata.
Non c’è altro da dire.
Entrambi lo sanno e non hanno bisogno di spiegarselo.
Si dividono, senza salutarsi, lasciando che la porta si richiuda muovendo un alito di vento.

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Ciao a tutti^^
Vorrei ringraziare nuovamente miki87 per aver ripubblicato la sua recensione al capitolo 23 e grazie mille anche maryladyb e marychan82 per le loro recensioni che purtroppo sono scomparse e ad oggi non sono visibili.
Purtroppo sono riuscita a leggerle solo una volta, quindi non sono in grado di dare una risposta articolata ai commenti.
Ci tenevo però a ringraziarvi pubblicamente.

Per quanto riguarda questo capitolo, beh… diciamo che secondo me i tempi erano maturi per un confronto un po’ più profondo tra Genzo e Tsubasa.
Il capitano, se pur a grandi linee, ha colto il disagio di Yukari e forse anche qualcosa di diverso nel portiere, tant’è vero che poi, in maniera strategica, riesce a farsi dire parecchio…
A questo punto mi verrebbe da dire che è tutto nelle mani di Genzo…

Grazie mille a tutte le persone che leggono, seguono e commentano questa storia^^

A presto^^
kiku

 

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Capitolo 25
*** All'altezza del cuore ***


Mitsume non frequenta il laboratorio politico: lei le vacanze le vuole spremere fino all’ultimo.
Oggi si è dedicata allo shopping e ha pensato bene di fermarsi nei pressi della facoltà e vedere se riesce a beccare Yukari.
Si ferma in biblioteca, attraversa il lungo corridoio con le bacheche degli annunci esposti e dopo un quarto d’ora ecco che individua l’amica. L’attira a sé con un cenno della mano e Yukari, appena la riconosce, la raggiunge velocemente.
“Come mai da queste parti?” domanda.
Mitsume solleva alcune buste di carta e sospira “shopping”.
“Ah… giusto…”
“Com’è il laboratorio?”
“Molto interessante… non credevo” risponde Yukari, sistemandosi lo zaino per bene sulla schiena.
“Hai tempo per un caffè o devi tornare subito a casa?”
“No, anzi. Un caffè è proprio quello che ci vuole.”
Le due ragazze escono dalla facoltà e fanno pochi passi fino ad una delle prime caffetterie dei dintorni.
Si siedono, parlano del più e del meno, ordinano i loro caffè e aspettano di essere servite.
Non c’è molta gente e l’attesa è davvero breve.
Davanti alle loro tazze fumanti, si sentono perfettamente a loro agio.
“Allora? Come sono andate le vacanze a Nankatsu? Avrei voluto chiedertelo ieri l’altro, durante la partita, ma fra una cosa e l’altra, non ne ho avuto il modo.”
Yukari alza le spalle, con tutte e due le mani afferra la tazza, ma non beve; “bene, direi… sono state giornate tranquille”. Fa una pausa, poi si corregge, “abbastanza tranquille.”
Mitsume la osserva e ha come la sensazione che Yukari nasconda qualcosa.
“Hai un’aria diversa.”
“No, sono sempre io. Sono sempre la solita Yukari. Un po’ scontata, un po’ ovvia.”
“Guarda che tu sei tutto tranne che scontata ed ovvia!” replica Mitsume.
“Dici?”
“Assolutamente.”
Scoppiano a ridere e poi per qualche istante distolgono lo sguardo.
“Ho avuto l’impressione che tu ti sia sentita completamente a tuo agio con Sanae, e gli altri ragazzi della nazionale” interviene Yukari, per cercare di convergere l’attenzione sull’altra.
“Sì, mi sono trovata davvero bene. All’inizio, non so perché, ma mi ero immaginata che Sanae fosse una persona totalmente diversa…”
“In che senso?”
Mistume scuote la testa, come a scacciare un’idea sbagliata, “nel senso che  credevo fosse piuttosto sottomessa a Tusbasa. Invece… invece ha un carattere molto forte.”
Yukari sorride e nel suo sguardo c’è malinconia.
“Sì, ha un carattere estremamente forte. E’ decisa, sa quello che vuole. E’ sempre stata molto determinata.”
Mitsume annuisce, “chissà perché la stampa e i media in generale vogliono far passare questa immagine di lei…”
“E’ più comodo, più convenzionale. In fondo, incarna l’ideale della donna giapponese tradizionale. Non credo ci sia molto interesse a farla apparire per quello che è realmente. Ma a lei non importa. Non bada a certe cose. E soprattutto non legge certe riviste.”
Mitusme beve un sorso e arrossisce, come a sentirsi messa sotto accusa, “beh, io le leggo ma più per curiosità, che per altro…”
“Lo so, lo immagino” replica Yukari con tono pacato e tranquillo. Non c’è alcuna intenzione d’innescare una polemica; “spero solo che la facoltà che abbiamo scelto ci aiuti a costruire un’idea di donna un po’ diversa. Migliore…”
Mitsume sorride, “il laboratorio politico sta già facendo effetto?” domanda con ironia.
Yukari alza le spalle, “sì, forse…”
C’è un altro piccolo attimo di silenzio.
E’ come se tutto questo argomentare servisse solo ad allontanarsi dalle questioni che scottano.
“Piuttosto…” incalza allora Mitusme, prendendosi un po’ di rischio, “ tu mi sei sembrata sotto tono.”
Yukari lancia una rapida occhiata alla sala della caffetteria. Si sta riempiendo poco alla volta e i rumori si confondono.
“No, è che… mi sento quasi fuori luogo. Ormai, non c’è molto che mi leghi alla nazionale. Mi fa male dirlo, soprattutto mi fa male dirlo ad alta voce. Ma mi rendo conto che… più passa il tempo, più è così.”
L’amica si drizza sulla schiena, si fa seria in volto, “perché dici così? Ryo è molto affezionato a te. E come lui, mi sembra molti altri. E poi c’è Sanae!”
“Mah… sì, certo, anch’io sono  molto legata a tutti loro, ma allo stesso tempo sento che mi sto distaccando. E’ difficile da spiegare logicamente. Cioè... da un punto di vista logico.“
“Sanae è… dev’essere la tua migliore amica…” fa Mitsume, come per scacciare la brutta piega che il discorso sta prendendo.
“Certo. Le voglio molto bene. E gliene vorrò sempre. Però…”
“Però?”
“Però… una persona, una persona forse ha descritto al meglio quello che sta succedendo a noi due. Ha detto che si è rotto l’incanto.”
Ora anche Mistume è diventata seria e quasi triste. Abbassa lo sguardo sconsolata.
In fondo sa bene di cosa si tratta.
“Ti capisco. Anch’io… anch’io sto sentendo la stessa identica cosa verso alcune mie vecchie amiche. Amiche storiche. Loro hanno scelto altre vie, e vuoi per un motivo, vuoi per un altro, quando ci vediamo, non è più come prima.”
“Stiamo diventando adulte. Forse è un passaggio obbligato della vita, del crescere.”
“Fa parecchio male.”
“Già” ribadisce Yukari, più sconsolata dell’altra.
“Il bene però rimane per sempre, no?” chiede Mitsume, dal nulla.
“Certo. Quello non ce lo può portare via nessuno.”
La cameriera si ferma e chiede se vogliono ancora caffè, ma entrambe comprendono che è ora di andare.
Si alzano, Mitsume paga per tutte e due e all’uscita della caffetteria si salutano, consapevoli di aver fatto un ulteriore passo verso un’intesa che è sempre più forte.
“Ci vediamo all’inizio delle lezioni, fra pochi giorni.”
Yukari annuisce e aspetta che la sua amica abbia ripreso la strada verso casa.
Sosta qualche minuto, si gingilla davanti alle vetrine, senza sapere bene perché.
Lentamente si avvia alla fermata della metropolitana, ma sa di non avere alcuna voglia di tornare a casa.
Sul treno, controlla il telefono e cerca il numero di Genzo in rubrica.
Vorrebbe far partire una telefonata, lo vorrebbe con tutta se stessa.
Fa avanti e indietro con i tasti del cellulare, fino a quando si rende conto che sarebbe davvero insensato chiamarlo e allora rimette il telefono dentro la tasca del giubbotto e appoggia la testa al finestrino.
Socchiude gli occhi e cerca di isolarsi da tutto e da tutti.
Giunta a destinazione, s’incammina verso casa.
Si ferma a comprare un panino per la cena ed entra in edicola per curiosare e vedere le prime pagine delle riviste che ha criticato poco prima in caffetteria.
Finito il rapido giro delle ovvietà, si decide a prendere un ritmo un po’ più spedito e dopo pochi minuti arriva a casa.
Poco più avanti, rispetto al suo palazzo, c’è un’auto nera parcheggiata.
E’  di grossa cilindrata, con vetri scuri, e stona completamente rispetto a tutto il resto.
E’ impossibile non notarla, ma Yukari dopo averla individuata, ne ingoia l’immagine senza farsi troppe domande.
E’ solo dopo pochi altri passi che comincia a rallentare, a riprendere contatto con la realtà.
“Ancora due minuti e me ne andavo.”
Genzo si alza dai gradini di casa, si mette il berretto, gli occhi fissi a guardare lontano.
Yukari rimane ferma dov’è.
Salivazione azzerata, battito del cuore alla massima potenza.
“La prima volta che ti trovo a casa, apriamo una bottiglia” aggiunge il portiere per vedere di scatenare una minima reazione.
“Io… io ero al laboratorio politico… non… che ci fai qui?” farfuglia, mette insieme brandelli di parole, pezzetti di frasi e di pensieri. Non può gestire razionalmente la cosa, questo lo sa, quindi ci rinuncia da subito.
“Dunque sei anche una sovversiva?” domanda lui, per cercare di abbassare la tensione.
Yukari non risponde, ma intanto sta avanzando e gli è quasi a fianco.
“Vieni, ti offro il tè” dice, sussurrando.
“Non posso. Ho finito il tempo. Sto…  sono arrivato un’ora fa. Ho aspettato per un’ora. Pensavo che un’ora fosse anche troppa per salutarti.”
Lei incassa, non fiata, rimane esattamente dov’è.
“Adesso non ho più tempo, devo andare in aeroporto. Se resto ancora, rischio di perdere il volo.”
Lei non lo guarda, non si muove, non riesce a dire una parola.
Genzo si toglie il berretto, poi lo rimette e si avvia verso l’auto.
“Aspetta…” dice lei, con un filo di voce, afferrandolo per un braccio, solo per un istante.
Genzo si ferma e si gira verso di lei.
E’ gelido, imperscrutabile, inamovibile.
“Posso… posso venire con te?”
Yukari non riflette più, non ragiona più, non sa che le sue parole possono sembrare altro.
Così, quando  il portiere svela  una certa sorpresa, realizza soltanto dopo che la sua frase è troppo generica.
“Volevo dire… mi dispiace che tu abbia aspettato qui per un’ora. Io non… “
“Non è colpa tua, Nishimoto.”
“Vorrei… posso accompagnarti in aeroporto?”
Genzo si mette le mani in tasca, guarda la macchina.
“Sono tre quarti d’ora di traffico. Se te la senti…”
“Me la sento. Me la sento, Genzo.”
Lui annuisce e le fa strada.
Si siedono ad una certa distanza, mentre l’autista mette in moto.
“La signorina viene in aeroporto con me. Ti dispiace riaccompagnarla qui quando mi avrete lasciato al mio gate?” domanda Genzo all’uomo.
“Certo che no, signore” replica immediatamente l’autista.
Yukari guarda il finestrino per un tempo che deve sembrarle infinito, cerca di razionalizzare il momento.
Questi tre quarti d’ora saranno i più brevi della sua vita: se vuole dire qualcosa, dovrà farlo bene e in fretta.
Genzo tiene lo sguardo fisso alla strada.
Il fatto che niente li divida dal guidatore è un grosso impedimento per tutti: si sentono evidentemente in imbarazzo e forse l’autista, per quanto si sforzi, lo è ancora più di loro.
Il silenzio è rotto solo da rumori minuscoli.
E’ chiaro. Nessuno dirà niente.
E poi che senso avrebbe?
Yukari continua a fissare i vetri, mentre la strada si esaurisce sotto le ruote della macchina nera.
L’asfalto è diventato di cristallo, di ghiaccio: scivola che è un piacere e un dolore insieme.
L’auto nera avanza inesorabile; ingoia km come se fossero piccoli granelli di polvere, atomi, molecole, microrganismi sotto una lente d’ingrandimento.

Arrivare all’aeroporto è stato come bere un sorso d’acqua gelida.
Nei pressi delle partenze internazionali c’è molta confusione: auto, pullman, navette, gente a piedi e tantissimi giornalisti.
“Qualcuno deve aver saputo, signor Wakabayashi…”
E’ l’uomo a rompere il silenzio, liberando tutti e tre da una specie di agonia.
Genzo, che fino a quel momento non ha parlato, scruta dai finestrini.
“Immaginavo.”
Si infila il giubbotto e facendolo, si sposta in avanti e anche verso di lei.
“Ti conviene restare in macchina. Altrimenti fra qualche ora sarai su internet e domani su un sacco di giornali.”
Per la prima volta in assoluto, a Yukari non importa. Fosse per lei, dall’auto scenderebbe e anche subito.
Ma comprende che la frase di Genzo non è un consiglio. E’ una richiesta.
Si limita ad annuire, con occhi grandi, lucidi.
Genzo prende il telefono in mano per un attimo per poi rimetterlo nella tasca interna della giacca, mentre il suo autista scarica i bagagli. Si avvicina alla portiera per aprirla.
“Usi un profumo da uomo?” le domanda all’improvviso.
Yukari lo fissa: "è il tuo. L’ hai dimenticato a casa mia.”
 Genzo si lascia sfuggire un sorriso. Poi torna subito serio.
“Ti devo sempre un favore Nishimoto, non dimenticarlo.”
Yukari sa che il suo tempo è veramente finito, quindi adesso o mai più: prende il telefono, cerca nella rubrica il suo numero e gli fa uno squillo.
Genzo sente vibrare il suo cellulare e si palpa all’altezza del cuore.
“Chiamami tu” fa lei, abbassando la testa, "è questo il favore che ti chiedo.”
Il portiere prende coraggio ed esce dalla macchina.
Inaspettatamente sosta lì qualche istante così che una nuvola di cronisti lo circonda.
Ma a lui non importa.
Non è successo niente.
Eppure è cambiato tutto.


--

Ciao a tutti…
Eh lo so: forse alcuni di voi si aspettavano un bacio. Anche solo uno.
E invece… e invece niente.
Ogni volta che la trama sembra piegarsi verso una direzione, ne prende invece un’altra.
Il narratore ce la sta mettendo davvero tutta per complicare le cose;-)
Scherzi a parte: sarebbe stato bello se si fossero avvicinati ancora un po’, ma forse la storia avrebbe perso in freschezza (almeno dal mio punto di vista;-))
 

Vorrei ringraziare tutte le persone che leggono questa ff e tutti coloro che l’hanno inserita fra le storie preferite, seguite, da ricordare.
E un “grazie mille” a chi dedica tempo a recensire, offrendo spunti di riflessione e motivi di confronto^^

A presto^^
kiku

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Capitolo 26
*** Principio d'intento ***


Non importa quanto sei stato bravo prima di oggi; non contano i goal che hai fatto e che sei riuscito ad evitare. Non conta quanti trofei hai conquistato.
Ogni volta che cambi squadra, devi ricominciare da capo.
E’ una regola basilare, che tutti i calciatori conoscono.
Quando ti trovi a viverlo però, non è mai facile.
Subentrare a campionato iniziato non è stato il massimo per Genzo.
Ha dovuto dare tutto se stesso e subito.
Riprendere confidenza con il campo e le partite, per prima cosa; poi imparare a conoscere i compagni, studiandone minuziosamente gli atteggiamenti, i ritmi di gioco, in allenamento e durante la gara; inoltre conquistare la fiducia del mister, dei senatori della squadra e dell’ambiente in generale.
Ed infine restare lucido, rimanere impassibile di fronte alle prime critiche, alle osservazioni, alla pressione mediatica.

Ora che il campionato è finito e il Manchester l’ha vinto, gli sembra tutto lontano.
Ora che hanno anche conquistato la Coppa d’Inghilterra, sente come se tutta la fatica fosse stata un prezzo giusto da pagare.
Una parte del suo cervello è già proiettata alla prossima stagione: riuscire a vincere entrambi i trofei e perché no, anche la Champions League, gli sembra il desiderio su cui fondare ogni principio d’intento, non appena sarà di nuovo in ritiro con la squadra.
Sfoglia il book fotografico che gli hanno regalato i ragazzi del suo fan club: attimi di gioco, momenti di felicità e tensione, scatti che raccontano storie e parlano senza voce.
Non sa come sia riuscito a non farsi prendere dallo sconforto, specie all’inizio.
E' un giocatore famoso e conosciuto; tuttavia c’è stata un po’ di diffidenza e di distacco da parte di tutti.
Anche quando sono cominciate le partite e lui si è dimostrato solido come le pietre, molti sono stati ingrati e scettici.
Lui certamente non ha un carattere malleabile e, riservato e gelido, nel primo periodo ha dato solo prova di enorme disciplina, di grande educazione e di essere bravissimo a stare in silenzio.
Ha cambiato quasi subito casa, nascondendosi in un angolo di campagna inglese, barricato nel suo mondo, poco propenso a legare fuori dagli impegni sportivi o di rappresentanza.
Niente interviste, niente uscite con i compagni, niente di niente.
E poi, per non lasciare la squadra, ha chiesto alla Federazione giapponese di poter essere esonerato dalle due partite previste per aprile per le qualificazioni alla Coppa d’Asia.
Una pioggia di critiche orientali gli è piombata  addosso e una nuvola di giornalisti è volata a Manchester per controllarlo a vista.
Forse è stato il momento più duro, il momento più difficile, in cui avrebbe avuto bisogno di qualcuno per confrontarsi e parlare. Ma anche in quell’occasione ha spento il telefono e si è chiuso in sé, come se fosse la cosa più normale da fare.
In quei giorni tutta la città sembrava essere in fermento, e pioveva sempre.
La pioggia ha spazzato via tutto, scalfito ogni piccola traccia di esitazione e di dolore e Genzo forse, chiudendosi, ha capito da solo che doveva fare qualcosa.
Ha cominciato a parlare un po’ di più, e, di tanto in tanto anche a rispondere scherzosamente a qualche battuta nello spogliatoio.
Ha partecipato alla prima festa organizzata da un compagno e si è fatto fotografare con gli ospiti, sforzandosi di sorridere.
Ha deciso di rilasciare una lunga intervista per spiegare le sue scelte e anche per farsi  conoscere un po’ meglio.
E ha iniziato a frequentare di più i suoi difensori, a parlare loro in allenamento, a far sentire la sua voce.
Ha cominciato ad essere davvero se stesso.
E ha tirato fuori il leader che è nelle sue corde: un portiere che ha intelligenza tattica, tecnica, ma anche un senso profondo del gioco del calcio.
Tutti hanno colto il cambiamento e l’hanno apprezzato, come se riuscissero a vederlo solo da quel momento in poi, sotto la pioggia incessante d’Inghilterra.
La stampa nazionale ed internazionale sostiene che la sua miglior partita sia stata il derby con il Manchester City, vinto 4 a 2 durante una gara piena di agonismo e giocate esaltanti, ma anche estremo senso sportivo e grande rispetto reciproco.
Genzo invece sa che non è così.
La sua partita, quella che gli ha cambiato la testa c’è stata proprio sotto quella pioggia maledetta, in trasferta a Liverpool.
Una partita stradominata ma persa, perché i reparti del Manchester hanno iniziato a comunicare e a provare a vincere troppo tardi.
Lui ha parato un rigore e ad un certo punto, non sa nemmeno come, si è ritrovato fuori dall’area a gridare ai suoi cosa fare.
Non voleva solo vincere: Genzo voleva trasmettere ai compagni il suo amore per questo sport, anche quando le cose vanno veramente male, e sei costretto a finire nel fango, a scivolare in errori stupidi, in nervosismi gratuiti.
Il portiere sa che da quel momento è cambiato tutto.
E’ cambiato tutto, anche se quel giorno di fatto non è successo niente.
Ripensandoci, sorride.
Chiude il book, va alla finestra e cerca il telefono.


Inginocchiata e ricurva su se stessa, Yukari chiude l’ultimo scatolone di dispense. Ne ha riempiti tre e li ha allineati lungo la parete del corridoio.
“Portarli allo spaccio studentesco sarà un problema… pesano tantissimo” dice ad alta voce, sollevandosi lentamente.
Le lezioni sono terminate da una decina di giorni, ma è ancora a Tokyo.
Non ha più tutta questa fretta di tornare a casa.
E’ stato un inverno lungo e rigido, ma è passato rapido.
Quando devi dare gli esami non puoi stare lì a perderti nei tuoi pensieri, nelle tue ansie o nelle paranoie.
Ad un certo punto, devi prendere in mano la tua vita e devi darti da fare.
Così Yukari si è fatta coraggio, semplicemente vivendo giorno dopo giorno, senza guardare mai oltre i piccoli obiettivi che si è posta a mano a mano che si presentava necessità.
Ed è stato un atteggiamento vincente: ha superato tutti gli esami e si ritrova perfettamente in corso, con una media migliore rispetto a quanto potesse immaginare.
Il fatto è che le materie che studia l’appassionano e, anche se con i suoi tempi, si è integrata benissimo.
Si è fatta molti nuovi amici e grazie all’aiuto della sua tutor, nei momenti di difficoltà, ha sempre avuto qualcuno con cui parlare.
Certo, la nostalgia di Nankatsu si è fatta sentire spesso, specie allo sbocciare della primavera. La tentazione di prendersi una settimana di pausa e salire sul primo treno per tornare a casa c’è stata; ma ha saputo resistere.
Ha sperato di ricevere il favore chiesto; inizialmente l’ha sperato ogni singolo giorno. Poi piano piano si è come arresa alla realtà e ha capito che non poteva più sperare.
Genzo è troppo lontano, è troppo fuori dalla sua portata.
E sa che è stata davvero stupida a pensare qualsiasi cosa nei suoi confronti.
Non è nemmeno tornato per la Nazionale: non tornerebbe quindi mai per una ragazza.
Quando si ferma a fantasticare, lo fa davvero per pochi istanti. La sua coscienza la riporta subito in superficie, apostrofandola con un aggettivo benevolo, ma inequivocabile: sciocca.
Osserva la sua libreria: è quasi vuota.
Per un attimo si sente triste e vorrebbe riaprire le scatole, ricominciare a riempire le mensole, poi scuote la testa: da ottobre riprenderanno i corsi e ben presto l’appartamento sarà sommerso di materiale.
Controlla l’ora e si rende conto che è già tardi.
Si dirige in bagno per farsi una doccia, ma proprio mentre sta per spogliarsi, sente il telefono squillare.
Torna indietro e afferra il cellulare dal tavolo.
E’ una chiamata senza numero.
“Pronto…”
“Come andiamo, Nishimoto?”

--
Ciao a tutti^^

Altro salto temporale… Genzo e Yukari si sono “salutati” a gennaio ed ora siamo in estate. Sono quindi passati diversi mesi. Il capitolo ci racconta di com’è andato l’inverno per entrambi; anche se i loro percorsi sono diversi, ci sono alcuni aspetti antitetici ed altri speculari.
E’ stato un periodo lungo ed intenso, ma come sostiene Yukari , “è passato rapido”.


Grazie mille a tutti^^

A presto^^
kiku

 

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Capitolo 27
*** Studiarsi ***


La voce è inequivocabile. Lei rimane senza fiato.
Si stacca dal telefono e ricontrolla, ma la chiamata è senza numero.
“Nishimoto, ci sei?”
“Sì…”
“Come andiamo?”
“Bene… è… solo che… scusa… Non mi è comparso il tuo numero. Io, io me l’ero memorizzato.”
“Se tutti quelli che chiamo, vedessero il mio numero, non avrei più una vita” replica lui, senza modulare la voce; “ho un programmino nel  cellulare che lo fa sparire quando telefono. E’ un’applicazione particolare.”
“Ah… capisco…” ma Yukari non ha capito proprio niente, lo dice solo per dire.
E’ andata nel pallone. Si siede per terra, poi si tira su, va in bagno, poi alla finestra, infine si appoggia al muro.
“Sei tornata a casa? “ chiede lui.
“No, non ancora.”
“Non mi dire che sei diventata amica di Tokyo...”
“Beh… non saprei… diciamo che mi ci sono abituata.”
“Sei diventata farfalla.”
“Come dici?”
“No, niente…” Genzo cerca di riprendere il tono iniziale.
“Complimenti per il campionato e per la coppa d’Inghilterra.”
“Grazie… l’università? Come va?”
“Abbastanza bene. Con gli esami sono in pari. Nei prossimi giorni torno a Nankatsu per le vacanze.”
“Le vacanze quindi le passi tutte a casa? Nessun progetto, nessun viaggio?”
Yukari torna alla finestra: troppe domande. Non è da Genzo.
“Nessun progetto. E tu?” domanda lei, mentre ancora si sente un po’ frastornata.
“Nemmeno io."
“Sarai un po’ stanco…”
“In che senso?”
“Nel senso che hai avuto una stagione molto intensa. Avrai bisogno di riposare.”
“Se per questo credo anche tu.”
“Sì, sì, diciamo di sì.”
E’ una conversazione assurda e a questo punto non pare avere molto senso portarla avanti. Yukari ha quasi l’impressione che Genzo la stia prendendo in giro.
“Beh mi ha fatto piacere sentirti… sei stato gentile a chiamarmi” fa lei, per chiudere.
“Quindi ora siamo in pari anche noi, no?”
“Che cosa significa?”
“Mi avevi chiesto un favore, ricordi? L’ho appena fatto. TI ho chiamato.”
Yukari monta di rabbia. Vorrebbe riattaccare senza replica, poi ci ripensa.
“Sì. C’hai messo un bel po’, ma immagino sarai stato molto, molto impegnato, quindi… quindi siamo a posto così.”
“Bene.”
“Bene.”
“Ti saluto, Genzo.”
“Ti saluto anch’io, Nishimoto.”
“Buona estate…”
“Grazie.”
Genzo riattacca mentre Yukari rimane con il telefono all’orecchio, immobile.
Passano due minuti prima che si decida a buttarlo sul piccolo divano.
Va in bagno, si spoglia con rabbia, ma chi si crede di essere eh? Ma cosa pensa, che non ho avuto altro da fare che pensare a lui?
Parla da sola, farfuglia come i matti, che progetti hai per l’estate, come stai Nishimoto? E’ sempre stato antipatico e spocchioso e lo sarà sempre, è inutile!
Continua a parlare con se stessa ad alta voce e ne ha anche quando esce dalla doccia, mi meraviglio di te, Yukari, che, pur con tanti difetti, sei una persona intelligente! Come puoi confonderti con un soggetto così?
Abbasso gli snob! Tutta la vita!
Rabbiosamente si asciuga, apre l’armadio, infila i jeans attillati e una bella T-shirt bianca con su disegnata una stella.
Si pettina i capelli poi con l’asciugamano se li scrolla a fondo.
Fa caldo e non è necessario usare il fon.
Prende la borsa e si dirige verso l’uscita.
Quando ha indossato un sandalo, le suonano il campanello.
Infila anche l’altro ed apre, immediatamente.
Genzo si abbassa il berretto sugli occhi, non appena la vede.
“Questa volta mi sono fatto furbo. Prima di passare, ho telefonato. Sai com’è: trascorrere il tempo ad aspettarti sui gradini del palazzo non è il massimo.”
Yukari è in totale ed assoluta confusione.
“Io pensavo fossi… pensavo che mi avessi chiamata dall’Inghilterra.”
Lui fa un mezzo passo indietro, “sono arrivato due giorni fa. Stranamente non l’ha ancora imparato nessuno.”
La ragazza è ancora immobile e impotente.
“Mi sembra di intuire che comunque ti ho trovata per un pelo”, aggiunge il portiere, notando i sandali ai piedi.
“Beh, sì… io stavo, stavo andando a mangiare. Ho finito le mie provviste.”
“Capisco” fa lui, mostrando il primo leggero momento di esitazione; “visto che sono qui, potremmo andare insieme” aggiunge, senza un filo di espressione, “sempre che tu non debba vedere qualcuno.”
“Anche tu devi cenare?”
“Più o meno.”
“Per me va bene, ma…”
“Ma?”
“Dovrai accontentarti di un chiosco sulla strada: qui non ci sono i ristoranti eleganti a cui sei abituato.”
“Io non sono abituato a niente. Mi va bene qualsiasi cosa” replica secco e rapido.
Yukari incassa, traballa; vorrebbe tanto poter tornare in bagno e darsi un’occhiata, controllare che faccia ha e subito si rende conto che quando arriva lui, torna la riverenza, tornano le ansie da prestazione, e quel maledetto desiderio di bellezza.
Scuote la testa nervosamente.
“Stai traslocando?” domanda Genzo, per vedere di smuoverla un po’, dopo aver notato le tre scatole ben allineate alla parete.
“No, sono tutte le mie dispense, i miei libri di quest’anno di corso. Devo portarli allo spaccio universitario.”
Genzo fa una faccia strana, sorpresa, “dove?”
“Allo spaccio. E’ una specie di mercatino per gli studenti. Puoi portarci i tuoi materiali, di modo che possano servire ad altri. E’ una maniera per evitare sprechi, fotocopie, spese aggiuntive.”
“Come pensi di portarli al tuo spaccio?”
“Eh… questo è un problema. Pesano che spiombano.”
“Immagino.”
Yukari si sistema la borsa e finalmente si scrolla dal suo posto, avanzando di modo che entrambi si ritrovano fuori, uno ad un centimetro dall’altra.
“Chiederò a qualcuno che ha la macchina di venirmi a dare una mano.”
“Già… lo spirito universitario è anche questo, no?”
Lei non replica, facendo finta di non aver sentito. Non vuole rispondere alle provocazioni.
Scendono le scale senza parlare e una volta in strada, la ragazza fa cenno di dirigersi verso la fine del quartiere.
Camminano a fianco, ma ora sono distanti. Oltrepassano l’auto nera di Genzo e vanno avanti per circa dieci minuti.
Si scambiano pochissime parole, come se avessero bisogno di studiarsi.
“Ecco. Io di solito vengo qui” dice, fermandosi ad un chiosco illuminato da piccole lampadine decorate in maniera un po’ antiquata.
Il portiere si mette le mani in tasca, si nasconde il volto, e fa un cenno di ok.
“Hai paura di essere riconosciuto?”
“No… ma  meglio non dare nell’occhio.”
Yukari fa strada verso la veranda interna. C’è pochissima gente, ma nonostante questo, sceglie il tavolo più appartato, nei pressi della cucina.
Si siedono e a questo punto Genzo si toglie il berretto. Per un attimo i loro occhi si incontrano veramente, ma Yukari cerca subito di guardare altrove.
E’ più forte di lei: appena si sente osservata, ha l’impressione di essere debole.
Una ragazza viene a prendere l’ordinazione.
“Per me frittelle di riso e alghe” dice Yukari, senza nemmeno controllare il menu.
“Io una mezza porzione di granchio al vapore.”
La ragazza segna e poi chiede il bere.
“Una birra.”
Genzo guarda prima lei, poi la cameriera, “per me solo dell’acqua, grazie.”
Quando la ragazza se n’è andata, Yukari si toglie la borsa dalle spalle, “sei a dieta anche durante le vacanze?” domanda, per provare a sentirsi forte.
“No, è che vorrei restare lucido.”
“Lucido?”
“Sì. Sono fuori allenamento con questo genere di cose” risponde, senza pesare le parole.
Yukari si guarda intorno, poi scuote la testa, “i calciatori hanno una vita sociale piuttosto intensa. E’ cosa risaputa….”
“Alcuni” risponde pronto lui.
Yukari alza la testa, lo cerca.
“Alcuni calciatori. Non tutti, Nishimoto.”
“Certo…” gli fa eco lei, scettica.
Genzo è sicuro dei suoi mezzi, non scende a compromessi, non si lascia scalfire dalla sua ironia. Resta imperscrutabile.
“Anche gli studenti universitari hanno una vita sociale molto intensa. “
Di nuovo Yukari si trova nella condizione di incassare. Respira.
“Sì, non hai tutti i torti. Ci sono sempre molti eventi e feste. E non ti nascondo che mi sono divertita parecchio. Tuttavia…”
“Tuttavia?”
“Tuttavia, ho sempre dato priorità al dovere. Prima lo studio, poi il resto.”
“Non avevo dubbi, Nishimoto”, il portiere fa una breve pausa, poi riprende, “beh allora ti sei proprio ambientata.”
“Sì, direi di sì. Devo molto a Yoshiko, la mia tutor. Nei momenti di crisi, c’era lei a sostenermi.”
Il portiere solleva lo sguardo, si appoggia meglio sulla sedia, “perché parli al passato?”
“Perché si è laureata la scorsa settimana. Domani sera ci sarà la sua festa di addio. Dal prossimo anno sarò sola. Il tutor è previsto solo per le matricole.”
“E tu hai superato quello step.”
“Esatto…”
Yukari sente un’improvvisa stretta al cuore, come se prendesse consapevolezza di essere cresciuta solo ora che Genzo glielo sta dicendo. Nella sua mente piccoli momenti dell’anno appena trascorso passano e lasciano sul suo volto un’emozione imprecisata.
C’è qualche minuto di silenzio, ed  arriva la loro ordinazione; una volta di fronte alle pietanze, prendono ancora più coraggio. Poco alla volta, stanno togliendo tutte le armature.
Yukari beve subito un sorso di birra e si maledice per non aver chiesto un bicchiere di vino.
Genzo inizia a vivisezionare il suo granchio.
“Qui il pesce ed i crostacei sono freschissimi. Non temere.”
Il portiere assaggia poi posa le bacchette sul piatto, “sì hai ragione. E’ molto buono.”
La ragazza sorride e finalmente si sente un attimino più a suo agio.
“Non volevo fare dell’ironia prima. Lo so che hai avuto una stagione molto difficile e piena…”
Genzo la osserva e poi passa in rassegna tutta la veranda.
“Già… ho avuto i miei momenti di crisi anch’io. Soprattutto all’inizio. Ma io quando ho un problema tendo a cercare di risolverlo da solo… senza l’aiuto degli altri.”
Yukari gli sorride, anche se nel suo sorriso c’è un po’ di tristezza, “tu per natura non avresti mai e poi mai bisogno di un tutor.”
Il portiere si versa dell’altra acqua, “non è tanto una questione di bisogno. E’ il fatto che per come sono, faccio fatica a chiedere aiuto.”
“Hai fatto il tuo percorso e piano piano hai trovato il tuo equilibrio. Alla fine i fatti ti hanno comunque dato ragione.”
“Hai seguito il campionato?” domanda lui, di straforo.
“Più o meno… vedevo le partite su internet. Poi in biblioteca abbiamo accesso a tantissimi quotidiani occidentali. Ho cercato di seguire un po’ tutti.”
“Certo… Quindi anche Taro… Ozora…”
“Sì, a grandi linee ho seguito un po’ tutti.”
Il portiere abbassa la testa. Non sa nemmeno perché siano finiti in questa discussione.
“Hai visto anche il derby? La mia partita della rinascita?” domanda ancora, come per avere la certezza che quelle di Yukari non siano semplici parole di convenienza.
La ragazza annuisce, “sì, certo che l’ho vista. Anche se onestamente, non sono per niente d’accordo con i tuoi critici. Tu non sei affatto rinato in quella partita.”
Il portiere lascia le bacchette sul tavolo. Beve un sorso d’acqua, si sposta sulla sedia.
“Wuau… oltre a studiare, hai maturato anche un forte spirito critico” replica, ironico, per rompere l’emozione che invece sta provando dentro.
“Non sono un’esperta ma penso di capirci qualcosa. In fondo seguo il calcio da quando ero alle medie. Un minimo di spirito critico, a forza di partite, viene a chiunque, no?”
Lui non muove. Pende dalle sue labbra.
“E quindi?” chiede, quando si rende conto che per lei la cosa è chiusa.
“Quindi cosa?”
“Quando ci sarebbe stata la mia rinascita?”
Yukari ingoia un pezzetto d’alga bagnata di salsa.
Si pulisce accuratamente la bocca.
“A Liverpool, sotto una pioggia tremenda. Formazione sbagliata, partita sbagliata, difesa costantemente fuori tempo."
A Liverpool.
Lui non dice niente. Cerca semplicemente di nascondere lo stupore.
“Lo so che non sarai d’accordo con me, ma è il mio pensiero” ribadisce lei, sicura di quello che dice.
Genzo rimane in silenzio per un minuto buono.
“Se vuoi domani posso accompagnarti io allo spaccio universitario. Sono libero.”
Lei lo fissa e questa volta non distoglie lo sguardo.
“Non ho niente da fare” aggiunge ancora lui.
Yukari ricade sul piatto a cercare le sue frittelle di riso.
“Beh se è così… grazie.”
Genzo beve un sorso d’acqua. Sente che sta sbagliando tutto.
Ha la netta sensazione di aver permesso ad un piccolo spiraglio di aprirsi dentro l’animo.
E non sa che a volte uno spiraglio può diventare voragine.

--
Ciao a tutti^^

Per prima cosa vorrei scusarmi con tutti voi per il ritardo nell’aggiornamento.
Non sono a casa in questi giorni e, pur avendo pc e connessione, ho avuto qualche difficoltà a postare.

Questo è uno dei capitoli più lunghi della storia… un capitolo importante, che apre a varie possibilità di sviluppo^^

Grazie mille a tutti coloro che leggono e seguono questa ff.
Grazie di cuore a chi dedica tempo a commentare;-)

A presto
kiku

 

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Capitolo 28
*** Farfalle nella pancia ***


Non sono ancora le nove quando Genzo parcheggia l’auto nei pressi del palazzo di Yukari.
Perde qualche minuto a controllare svogliatamente la posta elettronica, poi si decide: apre il baule che lascia quindi solo accostato e scende dalla macchina per andare da lei.
Yukari non ha dormito quasi per niente: troppa adrenalina, troppe emozioni tutte in una volta.
Vorrebbe cercare di vivere tutto questo con grande leggerezza, ma sa benissimo di essere compromessa completamente. Non può in alcun modo reggere il confronto con lui, non può soffocare le sue sensazioni. Può solo cercare di non farle emergere troppo.
Apre la porta e si fa trovare pronta, in perfetto ordine.
“Buongiorno.”
“Buongiorno…”
Il portiere entra, solleva il primo scatolone e, rendendosi conto del peso, lo posa sul secondo, per poi prenderli tutti e due.
“Sicuro che non siano troppo pesanti? Non vorrei che prendessi uno strappo.”
Lui non risponde, con fermezza e calma scende le scale, va verso l’auto e con un movimento del ginocchio, solleva il portello del baule.
Poi torna di sopra e prende il terzo scatolone, muovendosi sempre con la medesima calma, il suo solito rigore.
Yukari richiude la porta dietro di sé e segue il ragazzo.
Sale in macchina e subito sente le farfalle nella pancia.
L’ultima volta che si è seduta lì, è stato  per accompagnare Genzo all’aeroporto.
Chiude gli occhi, si morde il labbro.
“Tutto bene?” domanda Genzo, notando il cambio d’espressione di Yukari.
“Sì… è solo che…”
“Dimmi.”
“No, lascia stare. Stupidaggini” tronca immediatamente, consapevole che l’episodio sia stato percepito in maniera completamente diversa da lui.
Genzo guida con disinvoltura e non chiede alcuna indicazione. Raggiunge uno dei parcheggi della facoltà senza problemi. Anche se vive lontano, conosce Tokyo come le sue tasche.
“Aspetta qui. Chiedo a qualcuno dei compagni di aiutarci.”
Genzo spegne il motore, scende dall’auto, si stira come un gatto.
Yukari si allontana e se ne torna dopo dieci minuti con due ragazzi alti e magri. Fa le presentazioni e dopo qualche istante di imbarazzo, i tre prendono una scatola ciascuno, mentre Yukari chiude la fila tenendosi un po’ a distanza.
Lo spaccio è un ufficio dal soffitto altissimo, adiacente la biblioteca: un ambiente moderno, con spazi ampi e vetrate immense.
Tutto è proiettato verso l’alto.
Il portiere osserva incuriosito l’architettura, la struttura in generale, soffermandosi sul campione umano che fluttua in quegli ambienti.
Yukari spiega ad una ragazza il contenuto delle scatole, consegnando una specie di elenco e si ferma a parlare un po’ con lei di dettagli burocratici.
“Nishimoto!” esclama Yoshiko dall’entrata, mentre avanza sorridente e felice.
La ragazza si gira, sorride a sua volta e fa un piccolo inchino.
“Che ci fai da queste parti?” domanda alla sua tutor mentre le due ormai sono una di fronte all’altra, all’altezza di Genzo.
“Sono venuta a controllare la posta elettronica. Il mio computer non funziona… E tu?”
“Ho portato le mie dispense, come mi hai suggerito.”
“Brava” fa la tutor, con aria soddisfatta.
La ragazza nota solo adesso la presenza di Genzo. Lo fissa, leggermente imbarazzata.
“Posso presentarti Genzo Wakabayashi?”
Yoshiko fa un inchino e anche lei pare subito sommersa da un senso di riverenza.
“Genzo, questa è Yoshiko, la mia tutor. La mia amica…”
Il portiere si toglie il berretto, s’inchina e sorride. E’ il primo sorriso limpido che fa.
“Yukari mi ha parlato di te e di quanto tu le sia stata vicino in questo primo anno d’università.”
Yoshiko arrossisce, “è stata una matricola esemplare. Anche nei momenti più duri, è riuscita a tirare fuori la forza per andare avanti.”
“Sì, Yukari crede di essere debole, ma è molto, molto forte.”
Yukari ascolta senza intervenire, come se non si parlasse di lei. Non riesce a credere che Genzo abbia detto quello che è appena uscito dalle sue labbra.
“E’ un onore conoscerti… Sei un grandissimo campione” aggiunge Yoshiko, per spostare l’attenzione su di lui.
“Grazie.”
“Bene… ora devo andare, ragazzi. Yukari, non dimenticarti di stasera, mi raccomando!”
Yukari, anche se un po’ tramortita, sorride “come potrei dimenticarmi della tua festa d’addio?”
Yoshiko la guarda soddisfatta.
Fa per andarsene, poi, una volta che è già girata, torna indietro.
“Non vorrei sembrare indelicata, ma… il tuo amico resta con te?” chiede a Yukari, senza riflettere troppo sul senso della domanda.
“Che vuoi dire, Yoshiko?”
La tutor sorride imbarazzata, “voglio dire che se Genzo è a Tokyo per stare con te, è più che benvenuto alla festa” e, dicendolo, sosta lo sguardo sul portiere.
Lui si mette le mani in tasca, è lievemente sorpreso, ma non lo dà a vedere e resta sempre ben lucido con le parole.
“Non sono mai stato ad una festa di questo tipo. Sei gentile ad invitarmi. Se Yukari non ha nulla in contrario, sarei molto contento di partecipare.”
Yukari è completamente andata, non ha le parole, si sente sopraffatta dalla situazione e si limita a deglutire.
“Bene! Allora ci vediamo stasera!” esclama Yoshiko, affrettandosi verso l’uscita.
I due ragazzi sostano di fronte al banco dello spaccio.
“Non ti dispiace, vero?”
Yukari fa cenno di no, con la testa, “figurati. Ci mancherebbe.”
“Vengo a prenderti a casa?”
Lei annuisce, congiungendo le mani, “sì, se puoi, mi fai un favore.”
“Certo. Te l’ho detto: oggi sono libero.”
“Bene…”
Escono da lì e s’incamminano verso l’auto.
“Io devo restare qui. Ho alcune commissioni da sbrigare.”
“A che ora ci vediamo?”
“Verso le otto, va bene?”
“Sì, certo.”
Genzo tira fuori le chiavi dell’auto.
“Che cosa si regala per una festa d’addio?” domanda, rendendosi conto di non potersi presentare a mani vuote.
“Io ho contribuito al regalo dei suoi compagni di corso: una macchina fotografica.”
“Dammi un’idea.”
Yukari mette le mani dietro la schiena, “non saprei…"
“Non vorrei fare qualcosa di troppo sopra le righe, capisci? Ma nemmeno una cosa insensata.”
“Certo” risponde la ragazza, “beh… sono sicura che troverai qualcosa… tu trovi sempre una soluzione.”
Il portiere si lascia sfuggire un mezzo sorriso, si spinge il berretto sulla testa e sale in macchina, senza rispondere.

--
Ciao a tutti^^

La storia comincia ad “aprirsi” un po’ e continuano ad esserci sensazioni positive…
Speriamo che questa specie d’incanto non si spezzi.

Grazie a tutte le persone che leggono questa ff e grazie mille a coloro che dedicano tempo a commentare^^

A presto^^
kiku

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Capitolo 29
*** Una fetta di torta ***


Fa un lungo giro in macchina poi finisce nei quartieri del business e raggiunge gli uffici del padre.
Saluta le segretarie alla reception, perde tempo a sfogliare un giornale a aspetta che i suoi escano dall’ennesima riunione.
Scambiano poche parole poi tutti insieme scendono in strada.
“Pensi di tornare a Nankatsu domani?” chiede il signor Wakabayashi, accendendosi una sigaretta.
Genzo osserva per un istante sua madre mentre estrae dalla borsa uno specchietto e controlla la cipria.
“Sì, stasera sono invitato ad una festa, ma non farò molto tardi. Domani ad una qualche ora mi metto in macchina e vengo a casa.”
“Una festa?”
“Sì, una festa d’addio. Un’amica di Yukari si è laureata.”
La signora Wakabayashi sorride e si sistema la giacca sulle spalle, “ti ci vorrà un regalo, allora.”
“Eh… infatti. Non mi aspettavo questo invito, quindi adesso devo prendere qualcosa. Ma non so cosa. Yukari ha già contribuito ad un regalo di gruppo, quindi non posso farlo insieme a lei. Inoltre doveva sbrigare alcune commissioni: non può stare con me oggi pomeriggio.”
“Qui all’angolo c’è una delle cartolerie più prestigiose della città: ti daranno una mano, vedrai” suggerisce sua madre, avanzando verso l’auto.
Genzo si sistema il berretto in testa, “grazie.”
“A domani, allora” conclude il padre, facendo segno all’autista che possono salire in auto e partire.
“A domani”.
Il portiere aspetta che i suoi siano saliti e che l’auto parta. Dà una rapida occhiata, come se dovesse prendere le misure di quell’angolo di mondo e dopo qualche secondo s’incammina verso la cartoleria.
Entra guardando a terra, per difendersi da eventuali curiosi: quando si accorge che c’è molta calma e pochi clienti, alza la testa e inizia ad osservare la merce.
Avanza fino ad uno dei banchi e spiega il motivo del suo essere lì.
La commessa gli mostra alcuni degli articoli più adatti e in pochi minuti Genzo fa la sua scelta.
Si spostano ad un’altra scrivania ed un signore piuttosto anziano, vestito in modo impeccabile, gli confeziona il dono, lentamente, con una cura maniacale.
Una volta fuori dal negozio, passeggia ancora un po’ poi decide di tornare al suo appartamento.
Fa una doccia, mangia una macedonia e beve il tè.
Legge tutti i messaggi di posta elettronica e controlla le sue pagine social.
Per la prima volta da secoli, tentenna di fronte al suo armadio metropolitano: non sa esattamente come vestirsi.
Si allontana e va alla finestra, torna indietro e si decide in un istante: jeans e una camicia a maniche corte azzurro cielo. Niente giacca e, suo malgrado, niente berretto.
Si dà un po’ del suo profumo francese, prende il regalo e si rimette in macchina.
Guida senza fretta e quando arriva a casa di Yukari è in anticipo di un quarto d’ora.
Aspetta qualche minuto in auto, ascoltando le notizie alla radio. Alle otto meno cinque, proprio quando si decide ad uscire dalla macchina, si accorge che Yukari è sui gradini del condominio: ha un abito scuro a vita alta, con le spalline a farfalla.
I capelli sciolti, fermati solo da una parte con una piccola spilla che luccica. Fra le mani stringe un giacchetto nero e indossa una borsetta a tracolla, di quelle che vanno alla moda quest’anno.
Ai piedi, sandali bassi e sottili, anch’essi semplicissimi, se pur impreziositi da piccoli pezzetti di un qualche materiale che luccica.
Ha occhi grandi, il volto illuminato dalla giovinezza.
Genzo la osserva da dentro l’auto e alla fine esce, la raggiunge.
“Sei qui da molto?” domanda lei, imbarazzata e in difficoltà.
“No, sono arrivato da poco. Ero in anticipo. Ho pensato che dovessi finire di prepararti.”
Lei abbassa lo sguardo, Genzo le sembra un gigante bellissimo, con quel profumo che le spacca il cuore e le azzera la lucidità.
“Sono tornata a casa presto, così sono riuscita a fare tutto per tempo.”
“Bene…” farfuglia lui, sforzandosi di cercare un berretto che non ha.
Si avvicinano alla macchina, prendono posto.
Durante il tragitto parlano poco e niente, ognuno chiuso in un labirinto di emozioni e sensazioni diversissime eppure simili.
Giunti al luogo della festa, Genzo parcheggia e segue Yukari verso l’entrata.
C’è già molta gente e la musica è un po’ alta.
Si fanno strada l’una davanti all’altro e i loro corpi ora sono quasi attaccati: ad un certo punto, c’è così tanta calca che Yukari d’istinto allunga una mano. Genzo l’afferra senza pensare e i due proseguono fino al centro della stanza senza più lasciarsi.
“Yukari!” esclama Yoshiko, individuando l’amica.
“Mamma mia, quanta gente hai invitato?”
La tutor scoppia a ridere, mentre s’inchina alla vista di Genzo, “in realtà siamo in tre a festeggiare! Le mie due compagne di corso sono là, riesci a vederle?” chiede, indicando un punto lontano.
“Sì...“
“Ragazzi, c’è tantissima roba buona da mangiare e poi tra poco liberiamo la sala così possiamo ballare. Divertitevi!”
Yukari annuisce e ringrazia mentre la tutor si allontana per accogliere e salutare altri amici.
Si gira di scatto e Genzo è ancora a due centimetri da lei.
“Le feste degli studenti sono tutte così?” chiede ironico.
“Più o meno…” risponde lei, avvicinandosi ancora di più, per farsi sentire bene.
I due raggiungono il buffet, passeggiano osservando le pietanze. Ogni tanto qualcuno li ferma per salutare Yukari, o perché ha riconosciuto il portiere, ma nessuno è invadente o fastidioso, così Genzo piano piano si rilassa.
Beve una coppa di champagne e se la gusta lentamente. Yukari invece beve con più nervosismo, come se non riuscisse a liberarsi dai suoi incubi.
Mangiano qualcosa, per un certo tratto si dividono e si perdono, poi la musica cambia improvvisamente e alcuni ragazzi iniziano a ballare.
Yukari ha ritrovato le sue amiche e sosta un po’ con loro; beve ancora, poi si mette a ballare un paio di canzoni occidentali che stanno passando insistentemente alla radio in questi giorni e sono diventate un po’ leit motif dell’estate.
Ogni tanto controlla la sala e cerca di ritrovare Genzo, ma non riesce.
Ad un certo punto si ferma, si stacca dal gruppo ed inizia a cercarlo, facendosi spazio tra un corpo e l’altro.
E’ costretta a fermarsi dopo poco perché si spengono le luci e quando si riaccendono, al centro della sala ci sono le tre festeggiate ed un’enorme torta bianca con fragole ed altri frutti colorati.
La confusione è al massimo: applausi, piccoli gruppi che cantano e fischiano e poi di nuovo musica.
Le tre ragazze, a turno, afferrano un microfono e salutano gli amici, poi incominciano ad aprire i moltissimi regali ricevuti.
Yoshiko è l’ultima a scartare e a leggere i biglietti ad alta voce, mentre i suoi invitati le si sono radunati intorno.
Con stupore e felicità apre ogni pacchetto e non smette di ringraziare e di ammirare le bellissime cose che ha avuto in dono.
“Ma è troppo…” commenta, maneggiando la macchina fotografica dei compagni, “è stupenda… la porterò sempre con me. Grazie…”
Yukari, non sa come mai, sente che due lacrime le stanno spuntando da dentro.
L’ultimo, è il regalo di Genzo.
Yoshiko toglie il bel fiocco di seta, apre la carta agli angoli della piccola scatola, preme sull’astuccio e tira fuori una penna a sfera con un giro d’argento.
Nel piccolo biglietto c’è soltanto una frase di congratulazioni e la firma.
Yoshiko si guarda intorno per cercare il portiere, senza trovarlo. I suoi occhi incontrano Yukari, “è… è … grazie…”
La ragazza sorride.
Cerca anche lei Genzo dietro di sé, senza trovarlo.
Decide di rimanere al suo posto e aspetta che le venga servita una fetta di torta.
Con il piatto fra le mani, una volta che le persone intorno a lei iniziano a disperdersi, si allontana e cerca un angolo tranquillo.
Fa per tagliare la torta con la forchetta di plastica, quando sente il profumo di lui sul collo. Si gira e se lo ritrova di fronte.
Deglutisce e porge la torta al portiere, “non l’ho ancora toccata, tieni. Ne vado a prendere un’altra fetta”.
Genzo beve l’ultimo sorso del suo secondo bicchiere di champagne, “niente torta per me, grazie.”
La ragazza allora si riavvicina il piatto e abbassa la testa.
“Il tuo regalo è… Yoshiko l’ha gradito molto.”
“Ne sono felice” fa una breve pausa, poi finisce il suo pensiero, “mi hanno saputo consigliare bene.”
Yukari si sente improvvisamente sopraffatta da una sensazione di tristezza, lo stomaco si sta pian piano chiudendo. Tiene gli occhi bassi e gioca con la forchetta, come se si vergognasse a mangiare di fronte a lui.
“Un giorno anche tu avrai tutto questo.”
Lei lo guarda un istante, “chissà. Lo spero. Io... io non faccio progetti, lo sai. Faccio fatica ad arrivare a sera.”
Genzo posa il bicchiere, si mette le mani in tasca, “intanto il primo anno di corso è passato. E sei arrivata alla fine per bene.”
“Sì, abbastanza bene, diciamo.”
Prende coraggio e taglia quella benedetta torta, ne ingoia una piccolissima porzione. Ha un sapore buono, dolce al punto giusto.
Socchiude gli occhi, si accarezza delicatamente la bocca con la mano, come a controllare che nessuna traccia le sia rimasta addosso.
“Sei proprio sicuro che non ne vuoi?” chiede ancora, per pura cortesia.
Il portiere resta un attimo in silenzio senza staccarle gli occhi di dosso.
Sa benissimo che pagherà a caro prezzo questo istante, lo sa perché con questa sensazione lui c’è nato.
Ma non gliene frega niente.
“Mi hai fatto venire voglia di assaggiarla.”
Lei lo guarda dritto negli occhi mentre si avvicina fino a baciarle le labbra. Una volta, poi un’altra.
Alla fine è un bacio che si prolunga e diventa profondo e silente.
Yukari posa la torta alla meno peggio, mentre Genzo è incollato a lei e non la lascia.

--
Ciao a tutti…
E’ un momento speciale per Genzo e Yukari.
Questa serata, anche se sono in mezzo a tutta quella gente, è solo per loro;-)

Grazie a tutte le persone che leggono e dedicano tempo a questa ff^^

A presto,
kiku

 

 

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Capitolo 30
*** Dopo un attimo di felicità ***


Sotto casa di Yukari, riprendono a baciarsi a lungo, senza parlarsi.
Genzo le sfiora il collo, e ad ogni carezza esplora un centimetro in più di pelle, di corpo, come a tracciare il territorio, a segnarlo e a farlo definitivamente suo, anche se non va oltre certi limiti, perché una parte del suo cervello rimane inaspettatamente acceso e vigile.
Svegliarsi domani sarebbe altrimenti impossibile.
Si staccano un momento e Yukari si risistema l’abito, chiudendosi la gonna per nascondere le cosce, il corpo, tutta se stessa.
Genzo cerca il berretto, ma sa bene che non l’ha con sé. Poggia le mani sul volante, la testa fissa nel vuoto.
“Che significa tutto questo?” domanda Yukari.
“Non lo so. Meglio non farsi domande stanotte.”
Lei incassa; in fondo è la risposta che si aspettava.
“Meglio se andiamo a dormire. E’ molto tardi”, aggiunge con leggero distacco.
Il portiere mette in moto l’auto, controlla l’ora, “già. E’ tardissimo. Domani devo tornare a casa.”
Yukari lo scruta per un attimo, poi torna a fissare davanti a sé, “a casa? A casa dove?”
“A Nankatsu. Hai bisogno di un passaggio o ti trattieni ancora qui?”
La ragazza si mette la borsa a tracolla, raccoglie il giacchetto, “no, in realtà potrei partire anche domani."
“Ti passo a prendere alle undici, va bene?”
“Va bene” fa lei, ancora con distacco e un po’ di disappunto nel tono della voce.
Scende dalla macchina, si avvia verso i gradini del condominio.
Genzo rimane lì a scortarla fino a quando non la vede entrare.
Spinge sull’acceleratore e guida verso la zona ricca della città, fino al suo appartamento.
Cerca di non pensare, perché pensare gli fa male. Cerca di non sentire, perché sentire gli fa male.
C’è qualcosa che gli scava l’animo, qualcosa che non riconosce, che non riesce a distinguere, a comprendere e sa che questo è il primo terribile segnale che colpisce chi si sta indebolendo.
Appena arriva a casa, si spoglia e s’infila sotto la doccia.
Vuole scrollarsi di dosso l’odore di lei, il sapore di quella bocca, di quel corpo buonissimo e giovane.
Vuole dimenticare, tornare indietro, vuole cancellare la serie di errori che ha commesso nelle ultime ore.
Per un attimo s’illude che una doccia sia più che sufficiente.


Yukari si toglie i sandali, lascia cadere a terra la borsa, il giacchetto, corre verso la finestra, apre i vetri, si sporge per vedere se Genzo è ancora lì, ma la macchina è sparita.
Richiude lentamente i vetri, poggiando le mani sulla banchina della finestra.
Si siede per terra, con una mano si accarezza la testa, cerca di respirare il profumo di lui che le è rimasto sul corpo.
Vuole trattenere ogni minimo frammento, perché adesso sente che sta tornando la paura, la desolazione della solitudine, quella sensazione tremenda che arriva subito dopo un attimo di felicità.
Si tira su, va in camera, si siede allo scrittoio e cerca nel cassetto, quel misero pezzo di carta, ormai ridotto un velo, su cui si legge ancora bene il numero di Genzo.
Se dovesse rovinarsi del tutto non sarebbe affatto grave.
Il suo numero è scritto nella rubrica del cellulare e nella memoria di Yukari.
Tuttavia, lo regge sul palmo della mano come una reliquia, come se fosse un amuleto, un portafortuna.
Non vede l’ora che passi la notte e arrivi domani, per rendersi conto della situazione.
E’ stato solo un momento di debolezza per lui o c’è qualcosa di più?
Che cosa significa un bacio per uno come lui?
Per Yukari significa tanto.
Tutto, troppo.
Ed ora comprende bene che la riverenza è diventata qualcos’altro, si è trasformata in un fiore, in farfalla.
In pochi minuti immagina di poter diventare come Sanae e vivere una vita in parallelo.
Dimentica gli studi, la paura della distanza, del viaggio, dimentica i limiti oggettivi della sua vita: le sembrano solo dettagli che si possono sistemare.
Con  un po’ di buona volontà, tutto si può mettere a posto.
Si sdraia sul letto ed inizia a fantasticare come un’adolescente e cerca di addormentarsi sognando, mettendo a tacere la voce della sua coscienza.

--

Ciao a tutti^^
E’ successo qualcosa di veramente importante per Genzo e Yukari: finalmente si sono avvicinati sul serio.
Ora però bisognerà capire che cosa significa “avvicinarsi”.
Svegliarsi da questo incanto è totalmente diverso per Genzo, rispetto a Yukari.
Il nostro portiere inizia a farsela sotto dalla paura.
Invece Yukari… beh Yukari mi sa che ormai non la ferma più nessuno…


Ringrazio tutte le persone che mi stanno seguendo e leggendo, dando una possibilità a questa mia storia^^

A presto,
kiku

 

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Capitolo 31
*** Un insieme di cose ***


Si sveglia di soprassalto e appena realizza che sono quasi le dieci, si alza di scatto.
Va in bagno e si arrende all’evidenza: deve fare una doccia.
Si lava in fretta, cercando di fare mente locale e concentrarsi sulla sua ormai poca razionalità.
In cucina si prepara un caffè amarissimo e dopo averne bevuto due sorsi, torna in camera e finisce di vestirsi.
Prende lo zaino e inizia a riporvi dentro alcuni indumenti, due quaderni grandi, l’astuccio e un manuale.
Non occorre che si porti dietro altro perché gran parte delle sue cose è a Nankatsu: a Tokyo ha sempre tenuto il minimo indispensabile.
Pulisce per bene il bagno, sistema la cucina e la camera, dà da bere alle piante e poi si siede al tavolo.
Aspetta qualche minuto e verso le undici meno cinque decide di andare di sotto.
Richiude la porta dietro di sé e scende fuori.
E’ una bella giornata: in giro c’è gente, molte mamme con bambini che, finalmente liberi dalla scuola, vogliono andare a giocare all’aperto.
Genzo arriva puntuale, parcheggia l’auto poco distante da lei, scende e la raggiunge.
Non appena si ritrovano l’uno di fronte all’altra, Yukari abbassa la testa imbarazzatissima; il portiere si mette le mani in tasca, cerca di sembrare sicuro e imperscrutabile.
Lei allora si appoggia al suo petto, nascondendosi, affondando con il volto in quel torace profumato e forte.
Genzo le accarezza i capelli.
“Andiamo?” domanda, a mezza voce.
Lei annuisce e i due s’incamminano verso l’auto.
A bordo inizialmente non parlano, aiutati dalla voce dello speaker radiofonico che racconta le ultime novità di Tokyo.
“Hai l’aria un po’ assonnata…” dice a un certo punto il portiere.
“Sì… mi sono svegliata quasi per caso. Ho fatto un po’ fatica ad addormentarmi ieri sera. Ero troppo emozionata…”
Genzo fa finta di niente, concentrato ed intento a guidare.
“Tu invece?” chiede allora lei, per rompere il silenzio.
“Ho fatto fatica anch’io ad addormentarmi.”
“Eri… eri emozionato?”
Lui alza le spalle, sempre senza guardarla, “non saprei esattamente dirti… ho fatto fatica e basta.”
Yukari ritorna a se stessa e prende coscienza del momento.
La notte ed i suoi sogni, l’atmosfera che si era creata, quella specie di intesa sottilissima fra i due sembra dissolta definitivamente.
Ricompare quel senso di inadeguatezza, l’impressione di riverenza verso una persona troppo diversa, troppo lontana.
Non parlano più per tutto il viaggio, se non per scambiarsi commenti superficiali su argomenti generici.
Il tempo, la scuola, gli allenamenti, le feste.
Nessuno ha più il coraggio di andare a fondo, provare a vivisezionare quello che è accaduto e Yukari non forza il terreno.
Giunti a Nankatsu, nei pressi di casa Nishimoto, restano un secondo ancora così, sospesi.
“Ti fermerai a lungo?” chiede a questo punto la ragazza.
“No, non molto. E tu?”
“Qualche settimana, credo.”
“Oggi sono impegnato; devo vedere i miei, abbiamo molte cose a mezzo, quindi…”
“Non devi mica giustificarti” replica secca Yukari, quasi infastidita dal tono di Genzo.
“Non mi sto giustificando. Stavo semplicemente cercando di dirti che non potremo rivederci oggi. Magari domani… se non hai impegni” si limita a spiegare lui, con un filo di voce.
“Io non ho impegni.”
“Beh, allora restiamo così: ci sentiamo.”
Yukari scende dall’auto e dallo sportello ancora aperto, risponde senza mezzi termini, “no, così non va bene. Sentiamoci è troppo vago. O mi chiami tu o ti chiamo io.”
Genzo deglutisce, si chiude dietro il suo berretto. Sente di essere in trappola.
“Ti chiamo io, allora.”
Yukari annuisce, “d’accordo.”
Richiude lo sportello e si avvia.
Scende anche Genzo perché si rende conto che i suoi modi non sono stati il massimo della galanteria.
“Yukari, aspetta un attimo.”
Lei si ferma, si gira, “cosa c’è?”
“No, niente. Scusami, sono un po’ nervoso.”
“A causa mia?”
“Un insieme di cose.”
Lei si guarda intorno. E si sente ancora più sola di prima, ancora più debole. Si avvicina, si solleva e mendica un bacio.
Lui le accarezza il volto e l’accontenta subito.
“Allora a presto” fa,  allontanandosi.
“A presto.”
---

Ciao a tutti…
Eh… l’aria è parecchio, parecchio tesa…


Grazie a tutte le persone che mi leggono e seguono^^

A presto
kiku

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Capitolo 32
*** Io vedo lontano ***


Yukari entra in casa e sua madre, quando si rende conto della sua presenza, si apre in un sorriso luminoso.
“Sorpresa…”
La donna le si avvicina, l’abbraccia, le stringe le mani, “ti aspettavo fra qualche giorno. Mi hai proprio fatto una sorpresa!” ribadisce, mostrando tutta la sua felicità.
Yukari annuisce, togliendosi i sandali, posando la borsa all’entrata.
Per quanto sia felice di essere a casa, non riesce a nascondere un po’ di agitazione.
Spiega rapidamente che ha avuto un passaggio da Genzo e racconta a grandi linee gli ultimi accadimenti, facendo attenzione a non menzionare troppo il portiere.
La signora Nishimoto ascolta tutto con attenzione, mentre le due si dirigono in cucina per il tè.
“Dovrai sdebitarti del favore.”
Yukari alza lo sguardo, mentre si è già seduta e sta sfogliando il quotidiano lasciato sul tavolo.
“Quale favore?”
“Beh, Genzo ti ha accompagnato a casa. Sarebbe carino se lo invitassi a cena, no?”
La ragazza fa finta di niente, “vedremo… sai che è molto impegnato.”
“Sì, sì, ma dovrà pur mangiare anche lui, no?”
Yukari abbassa la testa; per un attimo vorrebbe essere come sua madre: semplice, lineare, pane al pane vino al vino.
Sente che la voglia di piangere e gridare è più forte di tutto il resto, così, con una stupida scusa, va in camera, e si stende  a letto.
Esce soltanto all’ora di cena, quando rientra suo padre, il quale, ritrovandosela di fronte, scoppia in una risata piena di colore.
Si abbracciano e prendono posto a tavola.
Con molta pazienza Yukari risponde a tutte le domande e, come spesso le accade negli ultimi periodi, riesce a mantenere una calma sovrumana, considerando la sua indole.
Dopo cena, resta ancora lì a parlare con i suoi, poi, sempre senza dare l’idea di essere insofferente, se ne va a dormire.

Genzo attraversa il lungo viale che porta a villa Wakabayashi.
Parcheggia l’auto e rimane un po’ lì fuori, di fronte ad un roseto.
“Campione…” sussurra un signore, avanzando.
“Nonno!” esclama il portiere, sorpreso; “pensavo fossi in montagna.”
L'uomo si avvicina e si mette a controllare le rose, una ad una, “siamo tornati ieri. La nonna si era stancata di stare lassù. Le mancava villa Wakabayashi.”
Come darle torto?
Soltanto il parco meriterebbe di passarci giornate intere.
“Già…”
I due si avvicinano, si stringono la mano, all’occidentale.
“Sei sempre più forte.”
“Dici?” domanda il giovane.
“Sì. Ti aspetta un futuro radioso. La nonna lo dice sempre.”
Genzo si mette le mani in tasca, “beh… ho avuto anche le mie picchiate a terra.”
“Quelle servono per avere la spinta, e salire più in alto.”
“Mi fido delle tue valutazioni.”
“Io sono vecchio, vedo lontano. Se uno della mia età dice una cosa del genere, è perché ne è sicuro.”
Genzo annuisce, guarda altrove.
L’anziano lo nota con la coda dell’occhio.
“So che hai dovuto affrontare diversi ostacoli, però ora è acqua passata, no?”
“Sì, direi di sì.”
“Allora perché hai l’aria triste?”
Il portiere indietreggia, senza farlo troppo notare.
“Non sono triste…”
“C’è qualcosa che ti preoccupa?”
“No, niente.”
Il vecchio si solleva, con qualche foglia secca fra le mani, “meglio così.”
I due restano ancora qualche minuto uno accanto all’altro, ad osservare magnifici fiori, bellissimi colori.
“Andiamo dentro?”
Genzo fa sì con la testa e segue il nonno verso l’interno.
 

Yukari si sveglia di buon’ora.
Si fa la doccia poi si dirige in cucina per la colazione.
Si siede al tavolo e realizza che ha lo stomaco sottosopra. Inizia l’attesa di una telefonata e tutti i demoni si svegliano.
“Ti preparo il tè o il caffè?” chiede la madre, osservandola dall’alto verso il basso.
“Bevo solo un po’ d’acqua. Non mi sento molto bene.”
La donna riempie un bicchiere e glielo porge, senza domandare altro.
Yukari beve a piccoli sorsi e accompagna il tutto con smorfie che somigliano a dolore.
Si alza e ritorna in camera per vestirsi. Controlla il cellulare mille volte nello spazio di cinque minuti. Comprende subito che deve trovarsi qualcosa da fare per tenersi occupata altrimenti impazzirà.
Torna in cucina, prova a capire il piano della giornata, ma sua madre sembra essere perfettamente in pari con tutti i lavori domestici.
Legge un articolo di giornale poi fortunatamente suonano il campanello.
Yukari si precipita alla porta.
“Sanae!” esclama, ritrovandosi l’amica di fronte.
Anego sorride, e poi l’abbraccia affettuosamente.
Le due amiche si salutano calorosamente, fino a che non si ritrovano sedute in salotto.
“Quando sei arrivata?” domanda Yukari, sollevata.
“Due giorni fa. Genzo ha detto a Tsubasa che ti ha accompagnato a casa, così ho saputo che eri qui.”
Yukari distoglie lo sguardo, per sminuire la situazione, “sì… mi ha dato un passaggio.”
Sanae non dà nemmeno peso alla sua osservazione: da ciò Yukari capisce che il portiere ha mantenuto tutta la sua riservatezza.
“E’ stato gentile.”
“Sì…”
“Dovrai sdebitarti.”
“Me l’ha già ricordato mia madre. Non ti ci mettere anche tu” replica secca lei.
Anego la osserva, con un certo disappunto.
“Sono queste le risposte che t’insegnano all’università?”
“Dai Sanae, sai cosa volevo dire… appena potrò, mi sdebiterò. In fondo non ha salvato il mondo. Mi ha dato un passaggio e basta.”
Sanae fissa il suo tè e non risponde.
Cala un momento di assoluto gelo fra le due, ma dura il tempo di un brivido.
Il cellulare di Anego inizia a vibrare ed è un susseguirsi di messaggi.
“Scusami… sono notifiche alle ultime foto postate sui social.”
“Figurati, fai pure il tuo comodo.”
La moglie del capitano si concentra sul cellulare per diversi minuti, poi lo spegne e torna al suo tè.
Parlano del più e del meno, scambiandosi impressioni ed idee.
Cercano di stabilire un contatto e, così facendo, si aggrappano alla chimica che da sempre le tiene unite.
Tuttavia, entrambe sentono che è ormai cambiato tutto fra loro. Non si sentono estranee, ma quasi.
Yukari dà un’occhiata al cellulare e si lascia andare ad un’espressione di totale desolazione.
“Aspetti qualcuno?” domanda Anego.
“No. Non aspetto niente. Non aspetto nessuno.”

--
Ciao a tutti^^
Sia Genzo che Yukari stanno cercando di tenere a freno le loro emozioni; Genzo forse riesce meglio, mentre Yukari sta facendo veramente fatica…


Grazie mille a tutte le persone che stanno dando una possibilità a questa storia e grazie di cuore a coloro che commentano^^

A presto
kiku

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Capitolo 33
*** Contrattempo ***


Sono trascorsi due giorni interi. Due giorni passati ad aspettare.
Ore ed ore con il telefono appresso per fare in modo di esserci sempre.
E’ uscita con Sanae, ha fatto compere con la madre, è andata a trovare i nonni ed ha persino preparato una torta.
Tutto pur di non pensare, tutto pur di ammazzare l’attesa, che ora, all’alba del terzo mattino, è diventata davvero penosa.
Si alza, va in cucina, si prepara il caffè.
E decide di uscire.
Vaga per Nankatsu con Flush, fino a che non si fanno le nove.
Prende l’unica strada possibile e va a Villa Wakabayashi; suona il campanello.
Le rispondono che Genzo non c’è, è partito da un paio di giorni.
Tornando indietro, accecata dalla rabbia, incontra una delle domestiche, amica di sua madre, che le dà conferma.
Torna a casa, si spoglia e si infila sotto la doccia: deve sbollire tutte le sensazioni brutte, deve respirare per bene, trovare di nuovo un minimo di calma.
Uscita dalla doccia, si asciuga lentamente, si veste, fa colazione, mentre sua madre la osserva perplessa.
Con lo stomaco pieno e la sensazione di essere pulita e fresca, torna in camera, prende il cellulare e chiama Genzo.
Il telefono squilla a lungo, prima che dall’altra parte lui si decida a rispondere.
“Yukari…”
“Avevi detto che avresti chiamato tu.”
C’è una pausa, un momento di silenzio che sembra durare tantissimo per entrambi.
“Lo so, scusami. Ho avuto un contrattempo.”
“Del tipo?” domanda Yukari, gelidamente.
“E’ venuto a trovarmi il mio amico Kaltz. E’ con un gruppo di ragazzi, in giro per il Giappone e…”
“E?”
“Mi ha chiesto se potevo trascorrere con lui qualche giorno alle terme. Non potevo dire di no.”
“Capisco.”
Di nuovo silenzio.
Yukari si siede a terra, alza la testa verso il cielo, “avresti potuto avvertirmi."
Genzo guarda i suoi amici da lontano, si apparta ancora di qualche metro, “non credo che siamo a questo punto.”
“Quale punto, scusa?”
“Il punto in cui ti devo avvertire di tutto quel che faccio.”
Yukari si solleva, vorrebbe riattaccare il telefono, ma è troppo succube, non ci riesce.
“Non è questo che ti sto rimproverando. E’ solo che avevi detto che avresti chiamato.”
“Guarda che l’avrei fatto. Ti avrei telefonato, al mio rientro.”
“Lascia stare. Lascia perdere. Divertiti.”
 E ora riattacca davvero, risentita e nervosa.
Genzo rimane ancora lì, con il cellulare all’orecchio.
Kaltz lo raggiunge, infilandosi un accappatoio di spugna grigia, “tutto bene?”
“Sì, più o meno.”
Il ragazzo l’osserva, prende una tazza di tè dal bancone del buffet, allestito a pochi passi dalla piscina.
“E’ da quando sono arrivato che mi sembri un po’ strano.”
“Che vuoi dire? Sono sempre io. Non sono strano proprio per niente.”
“Sei sicuro? No, perché ho l’impressione che qualcosa sia cambiato.”
“Beh, sai com’è: ho cambiato squadra, campionato, città. Negli ultimi mesi di cose ne sono cambiate tante”, replica il portiere con un filo d’ironia.
“Non mi sto riferendo a questo. E’ qualcosa che non ha a che fare con il calcio.”
“Impossibile. Nella mia vita c’è solo quello.”
“Sei sicuro?”
Genzo si siede, incrocia le braccia, prova ad ostentare la più assoluta indifferenza.
“Sicurissimo.”
--

Ciao a tutti^^
Diciamolo pure: tira una brutta aria…

Grazie mille a tutte le persone che leggono questa storia;-)

A presto^^

kiku

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Capitolo 34
*** Il fuoco dentro ***


Nonostante la sua poca voglia e la generale mal disposizione, Yukari si è vista costretta ad accettare l’invito a cena a casa Ozora.
Come se non bastasse, oltra a lei, c’era tutta la famiglia Nakazawa e anche Ryo.
Con lo stomaco completamente soffocato, si è sforzata di ingoiare il minimo indispensabile e ha cercato di sembrare la solita Yukari.
Non appena ha potuto, se n’è tornata a casa e si è chiusa in camera.
C’è rimasta per tutta la notte e per quasi tutto il resto di oggi.
Non ha voglia di parlare, di spiegare e nemmeno tanta voglia di restare a Nankatsu.
E’ come se improvvisamente sentisse di non appartenere più a niente, e per come sta dentro, l’anonimato del suo appartamento a Tokyo non le sembra poi più così male.
Con la testa inizia a fantasticare su una scusa, una stupida scusa per tornare nella capitale.
Accende il computer, controlla il sito della facoltà, legge tutti gli annunci delle bacheche del comitato studentesco e si prende giù qualche appunto.
Verso l’ora del tè sente che suonano alla porta e dopo un breve mormorio, sua madre la chiama.
Yukari alza gli occhi al cielo. Se dovesse trattarsi di una visita inaspettata di Ryo, è la fine.
Sa bene che il difensore ha un fortissimo ascendente su di lei e il rischio di raccontargli tutto è altissimo.
Sua madre la chiama una seconda volta e allora si decide ad andare.
Intravede il corpo di Genzo, ancora fuori, calmo e fermo, come suo solito.
Lei si avvicina, senza rendersene conto, si raccoglie i capelli da un lato, come per sembrare più in ordine.
“Facciamo due passi?” domanda lui, fissandola intensamente.
Yukari infila i sandali e richiude la porta dietro di sé.
Guarda a destra e a sinistra della strada ma non c’è la macchina: Genzo si è fatto una camminata a piedi fino a lei, forse per chiarirsi le idee.
Nessuno dei due sa come rompere il ghiaccio, così per qualche metro camminano uno accanto all’altra senza dire niente.
Una volta fuori dal vicolo di casa Nishimoto, Genzo cerca di racimolare qualcosa e fare il primo passo.
“Sono appena arrivato. Ho pensato che non avesse senso chiamarti. Meglio vedersi direttamente.”
Yukari tiene la testa bassa, non replica.
“Mi dispiace di essere stato un po’ freddo al telefono.”
“Tu sei sempre un po’ freddo, Genzo. A parte quando mi baci che allora, mi accendi il fuoco dentro.”
Lui deglutisce, ma tiene botta.
Yukari invece capisce bene che ormai non ha proprio più niente da perdere e che sta per arrivare una brutta notizia.
Crede di essere gelida come la pioggia, invece è rovente.
Si fermano al campo da calcio.
“Noi ci passavamo giornate intere. Ora non c’è più nessuno” prova a commentare il portiere, notando il rettangolo di gioco deserto.
Yukari resta in silenzio, si siede sulla prima panchina disponibile.
Lui si mette accanto.
“Forse abbiamo… è stato un errore quello che è successo” dice subito, mettendo le mani avanti.
La ragazza continua a non replicare, così Genzo si sente autorizzato a parlare ancora.
“Ho avuto modo di pensare e anche di riflettere. In questo momento le nostre vite sono troppo… i nostri obbiettivi, le nostre priorità sono troppo lontane. C’è troppa distanza fra di noi, Yukari.”
Lei sorride, con occhi grandi e lucidi, scuotendo più e più volte la testa, "detto da te, fa un po’ ridere.”
Genzo si gira, la osserva.
“Non ti ricordi più di quello che hai detto riguardo alle distanze? Oggi le distanze non esistono… E’ così che hai detto. Ci sono gli aerei, i computer, i social media. La frase che hai appena detto non ti somiglia per niente.”
Genzo si alza, infastidito, “sai benissimo cosa intendo ora e sai benissimo che in quell’occasione parlavo in generale. Adesso sto facendo riferimento ad una situazione molto diversa.”
Lei non risponde, continua a sorridere ironica e dentro la sua testa c’è una voce che le sta insistentemente ripetendo che è soltanto una stupida.
“Vorrei sapere cosa pensi.”
Yukari aspetta che lui si risieda a pochi centimetri.
“Penso che dovremmo darci una possibilità.”
Il portiere scuote la testa, mostrando tutto il suo disappunto, “ci faremmo soltanto del male.”
“Preferirei farmi del male, ma dire che almeno c’ho provato” replica secca Yukari, senza timore.
Genzo si alza di nuovo, “no, guarda non metterla su questo piano. Se qualcuno qui c’ha provato sono stato io!” esclama rabbioso.
“Mettila come ti pare Genzo, non m’importa. In pratica ci stiamo lasciando ancor prima di metterci insieme. Abbi pazienza, ma la trovo una cosa assurda.”
Yukari si alza e quando si gira, si accorge che dietro di loro, ci sono Tsubasa e Sanae: a passeggio, per le strade di Nankatsu, stanno avanzando proprio in direzione del campo.
Passa forse un minuto ed ecco che la coppia li ha raggiunti.
“Hey, che ci fate qui?” domanda la moglie del capitano, sorridendo e facendo festa.
Yukari la gela con lo sguardo, “chiedilo a Genzo. Se la sa cavare molto meglio di me con le parole.”
Senza accelerare la sua andatura normale, si avvia verso casa, lasciando tutti e tre in totale imbarazzo.
“Yukari!” chiama Sanae, dopo pochi istanti.
“Lasciala stare” interviene Tsubasa, “lasciala andare, Sanae.“
Anego guarda prima suo marito poi il portiere.
“Mi spiegate che cosa sta succedendo?” chiede, a mezza voce, con un peso inaspettato sullo stomaco.

---
Ciao a tutti^^

Purtroppo Yukari e Genzo hanno una visione discordante del loro “poter stare insieme”.
“Discordante”, a dir poco…

Ringrazio di cuore tutte le persone che mi leggono e seguono^^

A presto,
kiku

 

 

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Capitolo 35
*** Il mondo non finisce a Tokyo ***


Genzo se ne va poco dopo, senza parlare.
Sanae, basita dall’assurdità di tutta la situazione, si siede su quella stessa panchina e chiede a Tsubasa.
Il capitano le dice quel poco che sa, e le spiega quello che ha intuito.
“Perché non me ne hai parlato? Io avrei potuto…”
“Non lo so, Genzo mi aveva assicurato che fosse tutto sotto controllo.”
Sane si alza, “devo andare da lei.”
Il capitano annuisce e rimane da solo, a fissare il campo vuoto.

Quando la ragazza arriva a casa Nishimoto, è un po’ affaticata e ha il respiro affannoso.
La madre di Yukari l’accoglie con la solita serenità e Sanae si precipita in camera dell’amica.
“Che stai facendo?” domanda, vedendola raccogliere le poche cose che ha dentro uno zaino per trasferirle in una borsa più grande.
“Me ne torno a Tokyo. Qui non ho niente da fare. Le mie vacanze sono finite senza neanche cominciare.”
Sta piangendo senza che nessuno se ne renda conto.
Sanae si siede sul letto, congiunge le mani sulle ginocchia, “perché non me ne hai parlato? Perché? Avrei potuto…”
“Non c’era niente da dire. Non c’è proprio niente da dire. Sono solo successe delle cose che non hanno senso. Io Genzo lo odio, l’ho sempre un po’ odiato, in fondo.”
La moglie del capitano la lascia dire, senza interromperla.
“Ho sempre odiato quella specie di riverenza che viene a tutti quando c’è lui. Lui non ha niente di speciale. Non riesco a capire cosa ci troviate…  Con me ha chiuso.”
Solleva rabbiosamente la zip della borsa e accende il computer.
“Io ho la mia vita, ormai. E lui la sua. Io sto a Tokyo e lui in Europa. Ognuno va avanti per la sua strada e sono sicura che tutto andrà per il meglio. Il mondo non finisce mica per stupidaggini del genere, no?”
Sta farfugliando, vaneggiando, e Sanae prova un’improvvisa tenerezza per la sua amica.
Si accorge di quanto sia cresciuta, di quanto sia cambiata, di quante cose le abbiano divise e di quanto ormai abbia perso di lei.
Vorrebbe tornare indietro, ma sa bene che è impossibile.
“Il mondo non finisce, hai ragione. Non finisce a Tokyo, non finisce a Manchester. Nemmeno a Barcellona.”
Yukari si asciuga gli occhi, s’inginocchia e abbassa la testa.
“Giuro su Dio che non mi innamorerò mai più. Adesso faccio proprio come dice Ryo: mi blindo il cuore.”
Sanae si avvicina, le sorride, le fa una carezza.
“Mi dispiace di non esserci stata, di aver… non mi sono accorta di nulla. Ormai è come se non ci conoscessimo più molto bene.”
“E’ il prezzo da pagare quando si cresce. L’avremmo pagato comunque e dovunque. Non dipende dalle nostre scelte, Sanae. Ci saremmo ritrovate così anche continuando a vivere l’una accanto all’altra, credimi.”
Non sa dove riesca a trovare le risorse per confortare Sanae, ma ora ha l’adrenalina la massimo; in un certo senso è come se si sentisse invincibile.
Sa che crollerà presto, ma deve tenere ancora duro un momento, perché Sanae non ha alcuna colpa e in fondo, è ancora l’amica migliore che ha.


Genzo rientra a casa dopo aver vagabondato per un po’.
Salta la cena e fa per andare in camera sua.
“Avresti un momento?” domanda suo padre, sbucando da un angolo.
“Certo.”
Il signor Wakabayashi lo precede nel suo studio, si siede alla scrivania, gli porge delle carte, inizia a parlargli di lavoro, rendite, investimenti ma Genzo con la testa è altrove.
“Che ne pensi?”
Il portiere alza le spalle, si toglie il berretto, “mah… sono un po’ stanco. Non… devo darti una risposta proprio adesso?”
“Sì. La negoziazione inizia domani e devo essere certo del tuo consenso. Non mi metterei mai a fare queste speculazioni senza un tuo parere positivo.”
Allora Genzo chiede al padre di rispiegargli tutto, passo dopo passo.
L’uomo con pazienza espone nuovamente la sua strategia.
“Va bene, facciamolo. Ma i miei profitti vanno alla fondazione. Fai aggiungere questa postilla nel contratto.”
Il padre annuisce, “sì, anche i miei. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda.”
Genzo si sforza di sorridere, si alza e fa per andarsene.
“Scusami… scusa ancora un momento” fa il signor Wakabayashi per trattenerlo, “ci sono problemi? Ti vedo scosso, turbato.”
Il portiere si siede nuovamente. Ha un nodo alla gola, gli manca il respiro, gli mancano le parole.
“Sì, non sono al massimo, in questi giorni.”
Il padre di Genzo va alla finestra, si serve da bere.
“Questioni professionali o personali?”
“Personali” risponde immediatamente il ragazzo.
“Capisco.”
“Quasi quasi avrei preferito una grana di carattere calcistico…” aggiunge Genzo, sorridendo. Ma è un sorriso amaro. Amarissimo.
Il padre lo guarda, beve un sorso di sake.
“Se si tratta di una ragazza, concordo in pieno. Le donne ti scavano l’animo. Ti fanno perdere il sonno.”
Il portiere si appoggia sulla sedia, come a rilassarsi, “scavare l’animo… è un’espressione che ho già sentito.”
“E’ il verso di una bellissima poesia. Sarà per quello, Genzo.”
“Tra qualche giorno torno a Manchester. Inizia il ritiro” dice il giovane, per vedere di cambiare argomento, sminuire il suo malessere.
“Lei dov’è? E’ in Inghilterra?”
Genzo scuote la testa.
Il padre si siede di nuovo, “c’è di mezzo una grande distanza, quindi.”
“Già… ”
“Non mi crederai ma da un certo punto di vista ti invidio.”
Genzo si alza, sorpreso, “perché?”
“Perché stai vivendo il periodo più bello della vita. Solo che mentre lo attraversi, ti fa male.”
Il portiere distoglie lo sguardo, si sfila il berretto: non ha più niente da nascondere ormai.
“Sì, fa parecchio male”  aggiunge, andandosene.
--
Ciao a tutti^^
Iniziamo a tirare le somme… i pg cominciano a prendere coscienza delle ferite del crescere, degli spiragli che diventano voragini, dei sentimenti che scavano l’animo…
Grazie mille a tutti coloro che mi leggono e seguono.
Grazie a chi mi scrive e grazie anche tutte le persone che continuano a leggere i miei lavori precedenti^^

A presto
kiku

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Capitolo 36
*** Bella filosofia, Nishimoto ***


La distanza a volte aiuta.
E’ ovvio: non puoi dimenticarti di avere un cuore, di essere vivo, di provare qualcosa per qualcuno.
Le distanze non uccidono le emozioni. Non ammazzano i sentimenti.
Tuttavia, con il passare dei giorni, l’impressione di totale vertigine nei confronti della quotidianità e del mondo, inizia a scemare.
Non puoi dire di essere felice. I tuoi occhi parlano per te, anche quando tu fai di tutto per nasconderti.
Ma riesci ad imbastire un equilibrio, a farti forza, a prendere coraggio.
Così succede che vivi la tua vita, giorno per giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese e ci sono dei momenti in cui ti sembra quasi di essere normale.
Sono rari attimi, ma anch’essi di enorme importanza.

A ridosso delle vacanze invernali Yukari si ritrova non solo in pari con gli esami, ma con una media altissima e completamente integrata nelle attività studentesche .
Le sue giornate iniziano all’alba e terminano al crepuscolo: non ha tempo di crogiolarsi nelle sue tristezze. Non ha tempo per piangersi addosso.
Certo, ha sempre un’aria dolente, come certi pellegrini che, pur continuando a camminare per perseguire la meta, sentono la pesantezza sotto i piedi feriti da tanto andare.
Ma ha capito che c’è un prezzo da pagare e che non può ottenere sconti. Ci vorrà molto prima di esserne completamente fuori, ma prima o poi succederà. Non rimarrà così per sempre, ne è certa.
Nonostante il poco entusiasmo, ha deciso di accettare  un invito a cena da parte di Ryo: sono stati mesi difficili anche per lui e l’ultima volta che si sono sentiti, non ce l’ha fatta a dirgli di no.

Si incontrano direttamente al ristorante.
Ryo ha rimasto un paio di partite da giocare prima della fine del campionato ed è abbastanza rilassato: nella peggiore delle ipotesi si ritroveranno al quinto posto e come piazzamento è ampiamente al di sopra delle aspettative di inizio anno.
Il Tokyo ha cambiato i tre quarti della squadra, riassettando interi reparti con una dirigenza sportiva del tutto nuova, quindi era normale che ci sarebbe voluto del tempo prima di prendere confidenza con il campionato.
Yukari si guarda intorno, avvertendo la solita vecchia sensazione di inadeguatezza: tutti i presenti stanno guardando loro due.
Il difensore fa finta di niente e precede l’amica all’interno di un’altra sala del locale.
Prendono posto, si scambiano qualche parola di cortesia, attendono il cameriere per le ordinazioni, poi, una volta soli, piombano in un lungo fascio di imbarazzo.
Le cose da dire sono tante, troppe, forse. Nessuno dei due si decide a rompere il ghiaccio.
Una volta che viene loro servito un aperitivo, ecco che l’atmosfera si ammorbidisce, Ryo si fa coraggio.
“Questo è il miglior posto per mangiare sushi…”
“… perché non sei mai venuto nel chioschetto dietro casa mia!” Yukari non aspetta quasi che Ryo abbia finito di parlare per attaccarsi subito con una mezza battuta, di modo che tutta questa sensazione di disagio se ne vada all’istante.
I due si sorridono, Ryo scuote più volte la testa.
“Sei sparita.”
La ragazza beve tutto il contenuto del suo calice, cerca disperatamente il cameriere: ne vuole ancora.
“Beh… sì, ho avuto da fare.”
Tutti sanno che c’è stato qualcosa fra lei e Genzo.
Il portiere, le poche volte che è rientrato per gli impegni della nazionale, si è trincerato dietro la sua maschera di gesso e di silenzio.
Yukari ha cautamente evitato di  assistere alle partite e di partecipare alle cene di ritrovo.
Non si è fatta mai vedere.
Ma questi atteggiamenti, anziché placare la curiosità e le perplessità, hanno alimentato le domande e le fantasie del gruppo.
“I ragazzi ci sono rimasti piuttosto male. L’ultima volta, per la partita decisiva contro l’Arabia Saudita, pensavamo che saresti stata dei nostri.”
“Non fa molta differenza se ci sono o meno. Vincete comunque.”
Ryo chiama con un cenno il cameriere e chiede direttamente una bottiglia intera di champagne: sarà una lunga serata.
“Sushi e champagne. Sembra fantascienza” dice Yukari per vedere di cambiare argomento.
“Scappando non si risolvono i problemi, lo sai, no?”
“Non sono scappata. Non sto scappando da niente. E’ solo che…”
“E’ solo che?”
La ragazza beve ancora, si guarda intorno, mette le mani fra le gambe, si morde il labbro.
“Mi sento sempre più lontana… ormai… ormai la mia vita è così diversa… così lontana…”
Ryo la fissa per qualche istante poi distoglie lo sguardo.
“A me sembra che non sei mai stata così coinvolta, invece.”
Yukari incassa, deglutisce.
“Sei ancora convinta di quello che mi hai detto a proposito del darsi delle possibilità? Voglio dire… adesso che con Mtsume ho chiuso.”
Già: con Mitsume è tutto finito da un paio di mesi.
Arrivano le portate in tavola; per qualche minuto tutta l’attenzione si sposta sulle pietanze: pesce prelibatissimo, finemente cucinato e presentato con una cura che vorrebbe aspirare ad essere perfezione.
Nessuno dei due vuole iniziare a mangiare e rovinare le opere d’arte che hanno sotto gli occhi.
“Assolutamente sì” risponde lei, secca, decisa, inesorabile.
Ryo sembra disapprovare.
“E quali sarebbero stati i vantaggi?”
“Potrai sempre dire di averci provato. E anche lei. Vi siete dati una possibilità e per quel poco che è durato, siete stati bene.”
“Il fatto che adesso io stia malissimo non conta niente?”
Yukari intinge un minuscolo pezzo di granchio in una salsa rosata, “è il prezzo da pagare, Ryo”, fa una pausa, “c’è sempre un prezzo da pagare per la felicità”.
“Bella filosofia” risponde lui, in maniera sarcastica.
Yukari cerca di trovare le parole, un pensiero un attimino più strutturato: si accorge che risposte del genere sono troppo misere.
“Mi dispiace sinceramente che la vostra storia sia finita. Non credere che sia indifferente. Mitsume è cambiata un po’ anche nei miei confronti. All’inizio sembrava quasi che volesse evitarmi. Ora ci siamo riavvicinate, ma… si è perso… come dire…”
“L’incanto.”
“Esatto. L’incanto. Eppure all’inizio tutto era partito benissimo.”
Ryo prende le verdure: carote, cetrioli, fagiolini.
“Lo so, ma come ho provato a spiegarti, se una ragazza non ha la vocazione, non può stare con un calciatore.”
Yukari lo fissa con insolenza, “ancora con questa storia, Ryo?”
Il difensore annuisce, sicuro delle sue convinzioni, “fin quando si è trattato di vivere le cose belle, tutto è filato liscio: vedere le partite, andare ad una cena, partecipare a qualche evento, accompagnarmi ad una festa, all’inaugurazione di qualcosa: tutto ok. Poi piano piano, è arrivata la normalità, il lato oscuro, le abitudini…”
“Arrivano sempre.”
“Sì, ma nel nostro caso, il contrasto è piuttosto evidente: ci sono regole nel mangiare, nel dormire. C’è disciplina, ci sono orari, impegni inderogabili. Credo che non abbia capito che il calcio, oltre ad essere un gioco, è uno stile di vita, un mestiere, una causa.”
“Dovrebbe restare solo un gioco, forse.”
“Fondamentalmente deve restare un gioco per chi lo pratica: non mi pesa seguire una dieta, dovermi comportare in un certo modo, avere delle regole di vita anche rigide alle volte. Non mi pesa perché io amo questo sport. Ma chi mi sta accanto, forse non riesce a percepire tutto questo.”
Yukari sorride a vuoto, “forse Mitsume ha solo bisogno di maturare. Viene da un mondo completamente diverso dal tuo.”
“Forse. Ma non ha neanche provato ad adeguarsi. Alle prime discordanze, si è allontanata subito, si è messa sulle difensive. Questo mi ha fatto capire che non era la persona giusta per me.”
“Sei maturato molto Ryo. Devo ammetterlo. Hai una capacità critica che…”
“Che?”
“Che ti invidio. Anch’io vorrei riuscire a razionalizzare gli eventi con tanta lucidità.”
“E’ solo senso pratico, Nishimoto.” e dicendolo, fa l’occhiolino.
La ragazza sorride di nuovo, anche se il suo è un sorriso amaro, pieno di solitudine.
“Genzo ha voluto proteggerti, ponendo distanza”, se ne esce Ryo, dopo una pausa, “ha voluto evitare questa fetta di vita che, diciamolo, è penosa.”
Yukari scuote la testa.
“Sai cosa penso delle distanze, no? Le detesto. Io le cose le devo vivere. Mi ci devo imbattere. Se no, io la vita non la capisco. Così ora mi ritrovo come un pesce che ha perso la sua vaschetta d’acqua. Mi accontentavo di quella, di una vasca artificiale, dove nuotare fino a sentire male. Ma lui mi ha negato persino quella.”
“Tu non sei pesce, Yukari.”
“Era solo un modo di dire… un modo per spiegare…” aggiunge lei, senza guardare l’amico.
“Tu non sei pesce, Yukari” ripete nuovamente Ryo, così che Yukari è costretta ad alzare la testa e a fissarlo bene negli occhi.
“Tu sei farfalla."
--

Ciao a tutti^^

E’ passato del tempo, ma, come possiamo vedere, Ryo e Yukari continuano ad essere su due lunghezze d’onda diverse^^
Penso comunque che il loro dialogare e confrontarsi sia importante per entrambi. Forse anche questo “passaggio" era necessario…

Grazie mille a tutte le persone che mi leggono e seguono^^

A presto
kiku

 

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Capitolo 37
*** Scarpe canine ***


Appena terminano i corsi, Yukari torna a casa.
Quest’anno vuole godersi tutte le vacanze a Nankatsu, senza se e senza ma.
Sa che sono cambiate molte cose e soprattutto è cambiata lei: non ha più troppa paura di Tokyo, non teme più il cambiamento, non ha timore delle città sconosciute.
Ha imparato a convivere con i vuoti d’aria, con la solitudine inevitabile di certi luoghi e non luoghi e piano piano ha capito che la percezione dello spazio là fuori dipende solo e soltanto da lei.
Per questo, il rientro è stato meno commovente del solito, anche se sempre di grande effetto.
Tornare a casa è un po’ come imparare a ritrovarsi: e lei è più che altro questo che non vuole perdere. Sapere chi è, da dove viene; ora sa di essere certa che qualsiasi cosa accada, ci sarà sempre Nankatsu e a Nankatsu un posto per lei.
Con la solita immensa pazienza risponde molte volte alle stesse domande.
Mantiene sempre una certa tranquillità interiore ed anche i suoi genitori, di fronte ad un lungo monologo del nonno durante la cena della vigilia, si stupiscono del fatto che Yukari rimanga seduta sul tatami ad ascoltare, presente ed interessata.
Non ha scatti immotivati di nervoso o i suoi soliti momenti in cui non vuole vedere nessuno.
Vive il tempo in famiglia, incontra gli amici e le amiche di vecchia data, fa qualche passeggiata all’aperto e legge un po’ tutti i giorni.
Sanae non verrà quest’anno. Volerà direttamente in Australia a fine gennaio per seguire la nazionale impegnata nella Coppa d’Asia. In questo modo, per il momento, non c’è pericolo di doversi confrontare su temi che ancora scottano dentro l’animo.
Le due si sono scambiate alcune lettere e diverse telefonate, ma ogni volta hanno glissato l’argomento più importante, ognuna richiudendosi nel proprio pudore, nelle proprie ragioni.
Sono lontane in tutti i sensi e questo ormai è sotto gli occhi di tutti.
Yukari si accarezza i capelli, cercando di non pensare ad Anego: per un momento si è ritrovata triste, accanto al vetro di una finestra.
Si solleva, va in garage, cerca nel mobiletto bianco le sue scarpe da tennis, ma proprio prima di aprirne le ante, nota una scatola abbandonata poco distante.
Toglie il coperchio e ne estrae due cadaveri di scarpe, mangiucchiate ovunque.
“Che stai facendo?” domanda sua madre, intenta a recuperare il bucato.
“Volevo andare a camminare… ma vedo che in mia assenza qualcuno si è divertito con le mie scarpe da ginnastica…” e dicendolo, volge la testa verso Flush che scodinzola fieramente nei pressi delle sue due vittime.
“Non voglio prendere le difese del cane, ma erano comunque messe male.”
Yukari le osserva un’ultima volta, prima di riporle nella scatola. Si alza e fa per andare a buttarle.
“E’ un motivo in più per comprarne un paio nuovo” aggiunge la donna, mentre si sfila dalla tasca alcune banconote; “prendi. Non ti ho fatto ancora neanche un regalo e Natale ormai è passato. Iniziamo dalle scarpe.”
La ragazza abbassa la testa, allunga la mano, prende i soldi, “grazie…”
La signora Nishimoto fa un cenno a Flush e subito il cane la segue.
Yukari resta ancora un po’ lì e si dà un’occhiata intorno: quante cose si raccolgono nel corso della vita...
E alla fine molte di esse finiscono in garage o in mansarda.
Scatoloni di libri, vestiti, oggetti che non servono più, persino i giochi dell’infanzia.
Si rende conto che se volesse, potrebbe raccontarsi la sua storia: sarebbe sufficiente tirare giù le scatole e farle parlare.
Le sembra di aver vissuto tantissimo, come se all’improvviso si trovasse alla fine della strada; si sente il cuore colmo di emozioni diverse che faticano a stare insieme, in pace.
Posa la scatola, respira: non ce la fa a buttare via le scarpe adesso. Lo farà domani.
Torna in casa, sale in camera, si cambia poi va in bagno e finisce di vestirsi per bene.
Si trucca un po’, come farebbe a Tokyo, afferra la borsetta ed esce. Raggiunge la fermata dell’autobus e dopo poco arriva il primo mezzo. Un quarto d’ora di strada ed ecco che si ritrova nella zona industriale della città dove sorge un complesso commerciale con negozi, cinema e ristoranti occidentali.
Fa un primo giro all’esterno per vedere le vetrine, poi, quando il freddo diventa insopportabile, si decide ad entrare.
Si ferma in caffetteria e beve un tè bollente. Mentre lo sorseggia, osserva i passanti e le altre persone sedute ai tavolini, senza però prestare particolare attenzione.
Con la testa è sulle nuvole e ben presto si accorge che sta perdendo troppo tempo.
Si alza, ed inizia a vagare nel labirinto del centro commerciale fino a quando non individua un negozio sportivo che potrebbe fare al caso suo.
Entra e dà uno sguardo alla merce di ogni reparto, tenendo quello delle scarpe per ultimo.
Una volta raggiunta la grande parete con appesi i modelli delle marche più famose, rimane in attesa di sentirsi attratta da qualcosa.
Ci sono scarpe troppo appariscenti, con colori eccessivi per i suoi gusti, e modelli troppo sofisticati che la farebbero apparire ridicola.
Si allontana indietreggiando e si siede su una panca dove altre persone stanno provando delle scarpe.
Aspetta di averle viste tutte; ad un certo punto si alza e ne afferra una, messa in mostra nella seconda parte in basso a sinistra del muro.
La guarda più volte, da tutte le angolazioni, poi se la prova e cerca uno specchio.
Osserva come le sta e nota che non sono poi così diverse dal paio distrutto da Flush. Sono forse un po’ anonime, ma per l’uso che ne deve fare lei, vanno più che bene.
Se la sfila e si siede ancora, dando un altro sguardo a tutta la parete: se riuscisse a trovare un altro modello per fare un confronto, sarebbe proprio il massimo.
“Il colore non è male.”
Yukari resta immobile dov’è, mentre prende lentamente coscienza che quella voce è di Genzo e proviene da poco più dietro rispetto a dov’è seduta lei.
Si alza, si volta.
Genzo avanza, con le mani in tasca, l’aria calma di chi non sta cercando di nascondersi.
La ragazza guarda in qua e là, ma nessuno, a parte lei, sembra essere così interessato al portiere.
“E’ da un po’ che non ci vediamo” aggiunge il ragazzo, una volta che i due sono uno a fianco dell’altra.
“Già… fra tutti i posti possibili, questo onestamente mi sembra quello più improbabile per incontrarti.”
Genzo si gira verso di lei un attimo, poi torna a fissare la parete, “perché?”
Yukari indietreggia, si siede nuovamente, “un centro commerciale… e inoltre proprio nel reparto in cui avrai meno bisogno, visti i regali che fanno gli sponsor ai giocatori.”
“Sei sempre sul pezzo, Nishimoto, eh? Tu non ti rilassi mai…” gli viene da dire, mentre si siede accanto a lei.
C’è un po’ di silenzio, poi Genzo riprende, “a Nankatsu sono un ragazzo qualunque. Quasi mai mi capita che mi fermino per chiedermi una foto o un autografo. Io qui ci sono nato e la gente ha una percezione di me un po’ diversa rispetto a tutto il resto del Giappone, del mondo. E per rispondere alla tua seconda domanda implicita: quello che mi regalano gli sponsor lo do in beneficenza e alla fondazione di mio padre. Le cose per me, visto che posso permettermelo, preferisco pagarle.”
Yukari deglutisce. Le sue erano parole quasi messe lì per convenienza, per poter fare un minimo di conversazione: ora si ritrova nel mezzo di una vera e propria discussione.
“Capisco…” se ne esce, con tono leggermente in difetto. “Dev’essere bello avere un posto in cui puoi comportarti come una persona qualunque.”
“Sì, direi di sì.”
Yukari si alza: capisce che deve acquistare quel modello senza indugiare e deve individuare la cassa il prima possibile.
“Ti compri delle scarpe da tennis, ma non ti interessa più lo sport, il calcio.”
Yukari si ferma, si gira, “perché dici così? A me interessa parecchio il calcio. L’ho sempre seguito. Ho saputo del tuo piccolo infortunio. Mi spiace…”
Genzo si accarezza la spalla, ma senza dare troppa importanza al gesto, “sì, l’ematoma si sta riassorbendo bene. Il club mi ha lasciato tornare qui per farmi visitare e curare dagli specialisti della Nazionale. A gennaio c’è la coppa d’Asia.”
Yukari annuisce, guardando più e più volte a terra.
“Non sei più venuta a vedere una partita del Giappone dopo… dopo che ci siamo parlati. E non sei nemmeno venuta alle nostre solite cene”, riprende il portiere.
La ragazza piega un piede verso l’interno, si ciondola un po’, mordendosi il labbro. Non se ne accorge ma sta letteralmente stritolando la scarpa che ha in mano.
“Ho pensato che fosse la cosa più giusta da fare. Ormai la mia vita è così… così lontana. Ho cercato di spiegarlo anche a Ryo, ma non so se ci sono riuscita.”
Genzo si alza, le si avvicina, “hai visto Ryo?”
Yukari annuisce, “sì, prima di tornare a casa. Ci siamo incontrati, abbiamo parlato un po’. Siamo su due lunghezze d’onda diverse, ma riusciamo ancora a confrontarci.”
“Che vuoi dire con questo? Che con me non ti confronti?”
Yukari capisce che il senso di riverenza sta tornando e le sta offuscando i pensieri. Inizia a perdere il controllo della situazione e sente chiaramente che la cosa sta prendendo una brutta piega.
“No, non volevo dire questo.”
“E quindi?”
“Niente, non importa.”
“Importa eccome, Nishimoto.”
Senza rendersene conto il portiere ha alzato la voce, un paio di persone si girano a guardarlo, poi riprendono subito il loro itinerario.
“Conosco molto meglio Ryo di te. Con lui ho più confidenza, ho un rapporto, diciamo… alla pari. Era questo che volevo dire.”
“L’hai mai baciato?” domanda così, su due piedi.
“Ma che stai dicendo?” replica a ruota lei.
“L’hai mai baciato?” insiste.
“Per carità, no! E’ uno dei miei migliori amici, non potrei mai!” risponde categorica e con forza.
“Allora Nishimoto, scusami se mi permetto, ma hai più confidenza con me che con lui.”
Genzo riprende la sua strada e se ne va, lasciandola lì, accanto alla parete, con la sua mezza scarpa fra le mani.
--
Ciao a tutti^^
E’ come se ci fosse un sostrato rovente fra i due; un sotterraneo di cose non dette che è lì, sulla bocca della superficie, pronto ad esplodere…

Grazie a tutte le persone che mi leggono^^

A presto,
kiku

 

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Capitolo 38
*** E' il tuo volto che parla ***


Lascia il suo acquisto per terra, nell’andito.
Si sfila le scarpe e si dirige in cucina per la cena.
Si siede senza parlare e mangia in maniera approssimativa.
“Non ti piacciono più i ramen di tua madre?” domanda il signor Nishimoto, dopo essersi scambiato vari sguardi con la moglie.
Yukari posa le bacchette, beve un po’ d’acqua, “sì, sì, mi piacciono sempre. Ma… non ho appetito stasera.”
“Che strano.”
“Già” si limita a dire lei.
“Yukari…” chiede ancora suo padre, “c’è qualcosa che non va?”
Lei scuote la testa con decisione, “no, no, niente. Scusatemi…” si alza e corre via.
Si chiude in camera e si stende a letto, quasi soffocandosi.
Non riesce a piangere, non riesce a gridare, a respirare.
Non riesce a fare la più banale delle cose.
Si domanda come abbia fatto a ridursi così. Si chiede perché, nonostante tutto il suo impegno, tutta la sua forza di volontà, non riesca a riemergere, a cancellare quello che, visto da fuori, può sembrare solo un flirt insignificante.
Si sente lacerare dentro.
Sente che il mondo finisce a Tokyo.
Finisce qui, a Nankatsu.
Non c’è alcun posto in cui non finisca.
Perché dentro, è il vuoto. Il vuoto più assoluto.
E si odia, perché non vuole arrendersi all’evidenza, non vuole restare immobile per sempre.
Non vuole rinnegare la donna che vorrebbe diventare.
Ora lo sa che non è necessario essere schiavi dell’amore.
Lo sa che può fare ciò che vuole, può andare dove vuole.
No, il mondo non finisce a Tokyo.
Non finisce a Nankatsu.
Non finisce in nessun posto.

Resta lì qualche minuto, quando sente suo padre che bussa alla porta.
Yukari non risponde, così lui entra.
Resta nei pressi della soglia, convinto che quello sia uno spazio personalissimo e speciale, da non violare mai, se non in casi estremi, come questo.
“Yukari… posso, posso parlarti?”
La ragazza si solleva, si siede a terra, sistemandosi i capelli, lasciando il volto libero.
“Certo, certo che puoi.”
Lui allora fa qualche passo timido, si mette le mani in tasca, si guarda intorno.
“E’ da tanto che volevo… è da tanto che ti vedo diversa, sai?”
La ragazza si alza immediatamente, va verso la finestra, dando le spalle all’uomo, “sto crescendo, papà. E’ normale che io sia diversa.”
“Non intendo… non mi riferisco a quello.“
“Allora non capisco. Sono sempre io. Sono sempre la solita Yukari. Un pesce che vuole un’ampolla entro cui nuotare. Tutto qui.”
L’uomo indietreggia, fa quasi per andarsene e rinunciare.
In fondo che diritto ha di indagare? Di chiedere?
Yukari non è più una bambina.
Poi si ferma.
“Da quando hai iniziato l’università, sei letteralmente sbocciata. Non hai neanche vagamente idea di quanto tu sia brillante nelle conversazioni, di quanto sia piacevole starti accanto e ascoltarti o parlarti. Non stai semplicemente andando bene all’università: tu quello che studi lo vivi sulla pelle…”
Yukari s’illumina: per un istante, un brevissimo momento, ha la sensazione di essere completamente capita.
“E’ così, papà. E’ così. Sono molto felice delle scelte che ho fatto, anche se all’inizio ero spaventata.”
Lui annuisce e improvvisamente diventa serio.
Yukari se ne accorge, avanza per guardarlo meglio in faccia.
“Allora perché i tuoi occhi sono così tristi, Yukari?” chiede, dal nulla.
La ragazza si appoggia al muro.
“Io ti conosco. Io e tua madre conosciamo il tuo volto, lo conosciamo alla perfezione. Non ci servono spiegazioni, non ci serve niente per avvertire il tuo malessere. E’ il tuo volto che parla. Parla anche quando sta zitto.”
Silenzio.
Silenzio assoluto.
E Yukari si lascia andare: lacrime leggere scivolano giù, partorite dal suo ventre fragile e vergine.
“Io sono stato molto rigido su certe cose, specie sul fatto dell’università. E sono ancora convinto che sia la miglior scelta che tu abbia potuto fare. Ma se per un qualche motivo tutto questo ti dà dolore, sono io il primo a dirti di mollare. Rivoglio la mia Yukari. Quella che forse non sa bene cosa vuole, ma ha occhi limpidi, grandi e vivaci.”
Lei abbassa la testa.
“L’università non c’entra.”
Il signor Nishimoto respira, sollevato.
“Anzi… se non ci fosse stata l’università, non so, non so cosa avrei… non so come avrei fatto.”
Lui allora la fissa, impietrito, attonito, perplesso, “a fare cosa?”
C’è una pausa che si espande, come ad inglobare tutta la stanza.
Yukari si solleva, sedendosi sul letto. Stringe i pugni sulla coperta.
Si morde il labbro, guardandosi i piedi.
Ormai non può più nascondersi. Ormai non c’è più nulla, nulla di segreto da custodire.
Non si può cambiare la faccia, non può rinnegare il suo animo.
“Non so come avrei fatto con Genzo. Voglio dire... a restare a galla senza Genzo.”
Ora che ha pronunciato quel nome e che in due parole ha raccontato la sua storia, si sente improvvisamente leggera.
Ma è un'impressione che dura un attimo.
Abbassa la testa, vergognandosi di aver parlato di una cosa così intima, personale, proprio con suo padre. Avverte subito che se lui non se ne andrà, rimarranno impigliati ad una rete d’imbarazzo difficile da sciogliere.
Il signor Nishimoto ha un moto del corpo, le sue braccia si muovono in modo imprecisato e irregolare.
Resta un momento così, in silenzio.
Inizia ad indietreggiare lentamente; senza volerlo, è già scivolato alla fine della stanza, nei pressi della porta.
Si schiarisce la voce perché sa che non lo ripeterà due volte.
“I sentimenti hanno la priorità su tutto.”
La ragazza inarca lievemente la schiena al suono di quelle parole.
“Non dimenticarlo mai, Yukari” dice ancora suo padre, prima di richiudere la porta e sparire.

--
Ciao a tutti^^
Quando sembra che nessuno possa ascoltarci, che tutto vada a rotoli, c’è sempre una piccola luce che si accende.
Ogni volta che Yukari si  sente al fondo di sé, ecco che trova il modo di risalire, di riemergere.
Le parole di suo padre pesano sul cuore. Svegliano le coscienze.
Rispolverano una verità che Yukari non può proprio più ignorare…

Grazie a tutti^^
A presto
kiku

 

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Capitolo 39
*** Poesia popolare ***


Non senza qualche difficoltà, Mitsume riesce a trovare casa Nishimoto.
Sono le tre del pomeriggio e fa un freddo cane.
Prende un bel respiro e si decide a suonare il campanello.
Dopo pochi istanti, Yukari apre la porta.
Per un momento rimane lì, di fronte, senza dire nulla.
“Mistume… che… che ci fai qui?”
La ragazza, rossa come un peperone, si chiude nel suo giubbotto, “sono venuta a trovarti. Disturbo?”
Yukari scuote la testa e la invita ad entrare.
La fa accomodare in cucina e si mette subito a preparare il tè.
“Non trovavo il modo di chiamarti o mandarti un messaggio per chiederti un incontro. Così mi sono fatta coraggio ed eccomi qua.”
Yukari scalda accuratamente due tazze e sorride, “la tua visita è del tutto inaspettata. Ma… molto gradita.”
“Davvero?” domanda lei, ancora piena di imbarazzo.
“Certo! Mi spiace solo che tu ti sia fatta un lungo viaggio, quando magari avremmo potuto vederci a Tokyo. Tra una settimana torno nella capitale, visto che riprendono le lezioni.”
“Non potevo aspettare… e poi stasera riprendo il treno per raggiungere i miei genitori in montagna. Diciamo che ho sfruttato il viaggio per fare questa tappa intermedia. Ho bisogno di cambiare aria…” replica subito Mitsume, senza far passare neanche un secondo dalle parole dell’amica.
Yukari la fissa, sedendosi.
“Ma è successo qualcosa?”
Mitsume solleva leggermente le mani, “no niente, ma… non riuscivo, non riesco a godermi le vacanze. Sentivo che dovevo, ti dovevo una spiegazione. Una spiegazione seria. Perché tu sei sempre stata estremamente corretta con me. Te lo meriti.”
Il tè è pronto, Yukari si alza, lo versa, lentamente.
“Se ti riferisci a quello che è successo tra te e Ryo, non mi devi alcuna spiegazione.”
Mitsume si scalda le mani, accarezzando la tazza, il suo sguardo è serio, intenso.
“Invece io mi sento di doverti spiegare. Se no non ne usciremo bene. E lo sai anche tu. Ultimamente c’è qualcosa che ci frena, non nasconderlo.”
La ragazza si siede nuovamente, “beh, mi sono accorta che cercavi di evitarmi. Non so se volutamente o meno. Ho immaginato che ti fosse difficile confrontarti con me. Credo che sia un atteggiamento normale. Sicuramente ci vorrà solo un po’ di tempo perché le cose tra noi tornino come prima.”
“Non possono tornare come prima, Yukari.”
“Perché dici così?”
“Perché so che ai tuoi occhi ora sono diversa…”
Yukari beve un sorso, osserva Mitsume, mentre si aggrappa disperatamente alla sua buona educazione, alla sua timidezza di fondo.
“Se ti ho dato l’impressione di giudicarti, ti chiedo scusa. Non era nelle mie intenzioni. Certo… certo ci sono rimasta male. Io, io tifavo per voi…”
“Lo so. E Ryo mi piaceva davvero, credimi. Ma forse non sono pronta per il tipo di relazione di cui ha bisogno lui… Io ho ancora… non lo so, forse ho ancora un concetto un po’ acerbo dell’amore.”
Yukari sorride, “Ryo dice che per stare con un giocatore è necessario avere una specie di… vocazione. Io l’ho sempre trovata un’assurdità. Invece forse, in un certo senso, ha ragione.”
Mitsume annuisce, “sì, è vero. Io non ce l’ho la vocazione. Pensavo che giocare a calcio fosse tutt’altra cosa. Invece… invece ci sono un sacco di regole… e… forse non sono pronta per amare una persona così impegnata nella sua carriera. Dovrei… dovrei mettere in secondo piano molte delle cose che ora per me sono prioritarie. E non me la sono sentita.”
“Capisco.”
Mitsume lascia finalmente la sua tazza, si sbottona la camicia ai polsi: ora si sente un po’ meglio.
“Probabilmente per stare con Ryo, avrei dovuto provare un sentimento più forte. L’amore… sai l’amore raccontato in certi film, in certi romanzi.”
Yukari annuisce, mentre le si contorce lo stomaco, si sente sottosopra.
“Mi dispiace che ora stiamo tutti così male” aggiunge ancora.
“Almeno possiamo dire che vi siete dati una possibilità. Io sono ancora convinta che sia stata la cosa migliore per voi. Avete provato e non è andata. Pazienza. Io lo preferisco in ogni caso."
“Sì, la penso come te. Per lui forse è un po’ più dura.”
“Ryo è un gran bravo ragazzo. E’ una persona speciale. So che ora sta soffrendo perché una parte del suo cuore è come se fosse già preparato a tutto questo. Ci sarà sicuramente una vocina dentro di lui che dice, hai visto? Te l’avevo detto, ma i suoi occhi ora sono vivi e so che questa esperienza è stata preziosa per lui. Ti ha voluto bene e con te è stato felice. Questo rimarrà per sempre.”
“Hai parlato così anche a lui?”
“Non proprio… ma ho cercato di fargli capire che la vostra storia, anche se è finita, non è stata un errore. Gli ci vorrà un po’ di tempo per superare la delusione, ma sono sicura che alla fine la penserà come me. Come noi.”
La ragazza muove la testa e sorride. Ora si sente completamente a suo agio e beve con gusto il suo tè.
Sorseggiano la bevanda in silenzio, mentre Yukari si alza e accende la radio.
Passano una vecchia canzone.
“Che belle parole…” sottolinea Yukari, quando si accorge che il testo è la rielaborazione di una poesia popolare.
“L’amore scava l’animo” ripete sussurrando Mitsume.
“E’ così. E’ proprio così.”
Mitsume sussurra le parole cantate, perché conosce molto bene la canzone e tiene il ritmo con le dita, muovendole dolcemente come se dovesse cullare un bambino.
Yukari si alza, va nell’altra stanza e se ne torna con un volume un po’ consumato, dalla copertina dorata.
Mostra il libro all’amica e insieme cercano la poesia sull’amore.
Sull’amore che scava l’animo.

---
Ciao a tutti^^
Così come ho dato voce a Ryo, ci tenevo a lasciare un piccolo spazio a Mitsume…
E’ un pg a cui sono affezionata e che ha avuto un ruolo limitato ma determinante in questa storia.


Grazie mille per condividere “Il mondo non finisce a Tokyo” con me^^
A presto,
kiku

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Capitolo 40
*** Cambio di passo ***


E’ una mattina completamente diversa dalle altre.
Yukari non scende a fare colazione e resta a letto fino a tardi.
Quando si alza, va in bagno e si fa una lunga doccia.
Rientrando in camera, accende il computer e naviga in internet, restando in accappatoio fino all’ora di pranzo.
Si veste velocemente, ma con accuratezza, e quando scende, si ritrova in cucina con sua madre.
“Papà è dovuto rientrare al lavoro in anticipo. Nel suo reparto sono tutti ammalati” dice la donna, servendo il riso.
Madre e figlia parlano del più e del meno e al termine del pranzo si concedono un tè depurativo davanti alla tv.
Sono circa le tre del pomeriggio quando decide di uscire.
Indossa il soprabito, le scarpe nuove e va a camminare.
Il suo passo è cambiato, è insolito: lento e risoluto allo stesso tempo, come se due anime opposte la obbligassero prima ad accelerare e poi a tornare indietro.
Attraversa gli angoli del villaggio che conosce meglio, rivede i posti che hanno segnato la sua adolescenza e in un certo senso, anche se questo non è pienamente razionale, è come se stesse dicendo loro addio.
Una volta arrivata di fronte ai grandi cancelli di villa Wakabayashi, prende un respiro profondissimo.
Si sente pulita, l’animo limpido, come di chi ha scalato una montagna ed ora ha ossigeno puro in circolo.
Sa che non può tornare indietro, perché tutte le domande hanno una risposta ben definita e chiara.
Si trattava solo di prendere un po’ di coraggio, uscire dal crepuscolo e leggerle ad alta voce.
Il momento è arrivato ed ora non ha più paura.
Questa è l’ultima cosa che fa.
Dopodiché, ne è certa, avrà veramente fatto tutto il possibile.
Non dovrà più rimproverarsi di nulla. Non dovrà più incolparsi di nulla.

Suona il campanello e dopo alcuni istanti, la voce al di là del mondo le chiede chi è.
Yukari si presenta, domanda se Genzo è in casa e se può essere disturbato.
Non c’è risposta, ma i cancelli si aprono.
Lei avanza, sempre con questo cambio di passo che le fa quasi venire un po’ da ridere.
Spera di vederlo spuntare da qualche parte: se riuscisse a parlargli qui, nel grande parco, sarebbe tutto un po’ più facile.
Ma non c’è un’anima.
Di fronte all’entrata, non appena poggia i piedi sull’ampio pianerottolo, una domestica l’accoglie e la invita ad entrare.
Non è necessario togliersi le scarpe: questa è una casa pensata molto all’occidentale.
“Può salire di sopra, signorina” aggiunge la cameriera, indicando una scalinata che si affaccia come una balconata immensa sul salone d’entrata.
Con la mano mostra il corridoio da prendere.
Yukari fa un inchino e in solitudine sale la scalinata, seguendo rigorosamente l’eco di quella mano.
Una volta giunta alla bocca del corridoio, individua una porta semiaperta. Avanza e poi bussa.
Non risponde nessuno, allora lei con la mano spinge l’anta dolcemente, “permesso…” sussurra.
Genzo è girato di spalle; indossa la tuta di rappresentanza del Manchester e sta facendo la valigia.
“Cosa mi racconti, Nishimoto?” domanda, senza girarsi.
Yukari resta un momento lì, poi si fa forza ed entra definitivamente nella stanza: stanza bianca, con mobili essenziali e puliti.
Non ci sono oggetti, non ci sono trofei, poster alle pareti.
Solo un quadro è abbandonato ai piedi della finestra, in attesa forse di partire con il suo legittimo proprietario.
Yukari non può non esserne catturata.
“Che bel ritratto…” se ne esce, forse per potersi avvicinare ancora un po’.
“E’ un regalo del padre di Taro. Me l’ha fatto mentre ero da loro, dopo il casino con l’Amburgo.”
“E’… ha colto perfettamente…” Yukari vorrebbe terminare la frase ma ha un attimo di esitazione; abbassa la testa, stringe i pugni. Cerca di non farsi fregare dalla solita paura e allora riprende, “ha saputo cogliere perfettamente molto di te, della tua personalità.”
“Dici?” chiede lui, ironico.
“Sì, direi di sì.”
“Non sapevo che mi conoscessi così bene.”
Lei fa un passo indietro, si sente già un po’ schiacciata dalla sua incredibile sicurezza, dalla sua ostentata forza, ma subito dopo ne fa uno in avanti. E ancora uno. E un altro ancora.
Così ora è ai piedi del letto, accanto alla valigia.
Lui l’attraversa con gli occhi, si gira dall’altra parte, per cercare qualcosa, il suo berretto forse, poi torna ai panni ben disposti sul letto.
“Conosco molto bene questa sensazione. L’ho già provata altre volte” inizia Yukari, dal nulla.
Lui imperturbabile, non la guarda.
“So che non devo cedere. So che posso reggere a tutto questo. Ormai ho finito la paura. La paura, la riverenza. Tutto. Non mi sembri più irraggiungibile, Genzo.”
Il portiere si ferma, si mette le mani in tasca, va verso l’armadio, apre un’anta, trova un berretto, con molta disinvoltura lo indossa, poi, ormai avendo preso un po’ di distanza, si sofferma a sistemare alcuni libri.
“Cosa sei venuta a fare, qui, Yukari. Avanti…” dice, a mezza voce.
“C’è posto per me nella tua valigia?”
Genzo la fissa, posa i libri, ritorna alla sua roba sul letto, “se hai bisogno di uno strappo fino a Tokyo, non ci sono problemi. Solo che ancora non sono sicuro se parto domani o…”
“Non ti ho chiesto un passaggio. Ti ho chiesto se hai posto per me, nella tua valigia.”
Yukari si avvicina ancora di più, fino a che praticamente si sostituisce al bordo del letto ed è esattamente di fronte a lui.
“Guarda, non è divertente.”
“Infatti non è per niente divertente. Non sono mai stata così seria.”
Lui indietreggia, va alla finestra.
“Io gliel’avevo detto a Ryo che ti manca qualche rotella. In tempi non sospetti…”
Lei si siede sul letto, si mette le mani fra le cosce, “voglio venire con te, Genzo. Voglio stare con te. Rivoglio essere la Yukari di sempre. Quella che ha occhi grandi e limpidi.”
Il ragazzo non risponde, non si gira, è come impietrito, fisso alla finestra. Solleva un braccio e si appoggia al muro, come se volesse ascoltare meglio e ancora.
“Noi non possiamo stare insieme, vivendo separati. Non siamo fatti per questo. Ma per darci una possibilità, dobbiamo prendere delle decisioni. Tu non puoi, lo capisco bene. Quindi lo faccio io. Voglio venire con te, Genzo. Non so se funzionerà, se avrò la vocazione, ma… ci voglio provare.”
Il portiere si gira, incrocia le braccia; “e l’università?”
“Seguirò i corsi online. Tornerò per sostenere gli esami. E, cosa più importante, imparerò bene l’inglese.  Per la mia facoltà è fondamentale. Non ho alcuna intenzione di rinunciare ai miei sogni. Non so ancora bene dove mi porteranno i miei studi, ma quello che faccio mi appassiona e intendo andare avanti.”
“Vivere fuori dal Giappone è un cambiamento enorme. Specie per una persona come te.”
“Non importa. Ricomincerò da dove sarà necessario. Se sarà da zero, pazienza. Ricomincerò da zero.”
“E i tuoi genitori? Non saranno per niente contenti di questa cosa… di questa cosa che è assolutamente folle.”
Si stacca dal muro, e si allontana ancora un po’.
“I miei capiranno. Ne sono certa. Voglio… io vorrei venire con te, Genzo.”
Yukari si alza, si sistema la maglia e sente che tutta la tensione, tutta la paura si sono completamente azzerate.
“Fammi capire bene: quindi sei venuta qui a dirmi queste cose e a loro, a loro ancora non hai parlato?”
Lei scuote la testa, “prima di parlare con loro, dovevo venire da te. Non ha senso fasciarsi la testa prima di spaccarsela, no?”
Il portiere ha finito le domande, ha finito le parole. Tutto questo è assolutamente inaspettato.
“Se provi qualcosa per me, Genzo; se pensi che insieme potremmo anche… voglio dire, se credi che questa potrebbe essere una soluzione, io sono pronta a partire. Se mi vuoi, io appena ho i documenti in ordine, ti raggiungo.”
Yukari si avvicina alla porta. Ha detto tutto e si rende conto di averlo fatto al suo meglio.
“Non posso chiederti una cosa del genere, Yukari. Non potrei mai chiederti di lasciare tutto per me” spiega Genzo, con calma, dal fondo della stanza.
“Io non lo faccio per te, Genzo. Io lo faccio prima di tutto per me. Perché io senza di te, sono davvero una persona a metà. Sono un pesce che non ha neanche un’ampolla in cui nuotare. Io a vivere così mi sto spegnendo. Da sola posso fare anche la cosa più bella del mondo  ma finisce che non me ne frega niente. Non voglio spegnermi senza aver provato a salvarmi.”
Genzo la osserva di straforo. Rimane immobile, silenzioso, mentre lei esce dalla camera e senza fare rumore, torna a casa.
--
Ciao a tutti^^
Dopo essersi confrontata anche con Mitsume, ecco che Yukari trova la forza di fare l’ultimo tentativo…
Ora è tutto nelle mani di Genzo^^


Grazie a tutte le persone che mi leggono e seguono^^

A presto,
kiku

 

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Capitolo 41
*** Parole che diventano carne ***


Sono appena le sette. E’ una mattina gelida e asciutta.
Genzo scende di sotto e si dirige in cucina.
Inaspettatamente, anziché trovarci la domestica, vede sua madre, girata di spalle, intenta a preparare la colazione.
“Buongiorno.”
La signora Wakabayashi si volta di scatto, “Genzo… sei già in piedi? Buongiorno.”
Il portiere si siede, con le mani si copre la faccia, gli occhi.
“Sì. Non mi sono riposato per niente stanotte: ho dormito poco e male.”
La donna gli versa il tè e gli avvicina un vasetto di miele, “metticene due cucchiai pieni. Ti aiuterà a sentirti un po’ meglio” suggerisce, sedendosi lì vicino.
La tavola è ben apparecchiata e ci sono tante cose buone: una torta farcita, plumcakes, macedonia, fette biscottate, croissant di tipo francese, pane nero, e anche un po’ di riso bollito.
“Hai preparato tutto da sola?” domanda il ragazzo, un po’ stupito.
“Sì, perché?”
“No… è che… non ricordo quando è stata l’ultima volta che ti ho visto dietro ai fornelli.”
La donna sorride, nascondendosi il volto con la mano, “adoro cucinare, ma non ho mai tempo. Un giorno forse, quando andremo in pensione, mi ci dedicherò seriamente.”
Genzo mescola con attenzione il contenuto della tazza, lo sguardo teso e stanco.
“State per partire di nuovo?”
La madre annuisice e si alza, come per reazione, “sì, andiamo a Singapore. Ci aspettano settimane molto impegnative. Spero però che riusciremo a venire in Europa molto presto. Mi piacerebbe assistere a qualche tua partita.”
Il portiere sorride, sforzandosi, “lo sai che a me fa sempre piacere.”
Per qualche minuto nessuno dei due parla, come se avessero esaurito tutto il repertorio di argomenti da condividere. Poi Genzo prende un sorso di tè, prova a farsi coraggio.
“Non ti sei ancora stancata di questa vita? Sempre in viaggio, sempre accanto a papà… Sa essere davvero pesante alle volte, no?”
La signora Wakabayashi riprende posto, tenendo ben salda fra le mani, una tazza di caffè nerissimo.
“Non saprei che altro fare, onestamente. Io senza tuo padre, non sono niente.”
Le sue parole escono con una tale naturalezza che all’inizio lui le prende su senza nemmeno ascoltarle.
E’ solo dopo, è soltanto dopo alcuni secondi, che l’eco fa il suo effetto.
“Hai sacrificato tutto per lui, per la famiglia.”
“Non è stato un sacrifico. E’ stata una scelta.”
Silenzio. Le parole diventano carne, vivono di vita propria, accelerano il farsi di questa giornata invernale.
“Non ti nascondo che i miei momenti difficili li ho avuti. Ne ho avuti eccome. Specie quando sei nato tu e avrei voluto… beh avrei voluto crescerti più da vicino. Ma… lui aveva bisogno di me.  Quando abbiamo capito che tu eri così pieno di talento… beh, abbiamo preso delle decisioni forti, dolorose se vuoi, ma penso che sia stato il tuo bene. Guardati ora: sei fortissimo.”
Lui beve un altro sorso, “mah… non sono più così convinto dei miei mezzi. Forse non sono poi così forte, mamma.”
La donna sorride, “dici così perché stai maturando. Quando si cresce, si diventa più critici e anche un po’ più obiettivi. E’ un bene. Mettersi in discussione è un altro dei tuoi talenti.”
Lo sguardo di Genzo ricade sulla sua tazza. Gli occhi sono quasi lucidi. Sente che il cuore gli sta scoppiando.
Lei se ne accorge, ma fa finta di niente. Si alza, gli dà nuovamente le spalle.
“Sei preoccupato per qualcosa, Genzo?” domanda, dal nulla.
Lui si alza, si allontana, cerca un angolo di luce.
“Ieri pomeriggio è stata qui Yukari.”
La donna non commenta, ma rimane in attesa.
Genzo si sente in vena di andare avanti: a qualcuno deve raccontare cosa sta accadendo. Non può tenersi tutto dentro.
“Tra noi… c’è stato qualcosa. Niente di così importante… voglio dire…” e si ferma, torna a sedersi, poi si alza, affianca sua madre nei pressi del piano di lavoro, apre il rubinetto, si lava gli occhi, se li asciuga con uno strofinaccio.
“… abbiamo troncato subito, prima che le cose si complicassero.”
“Di comune accordo?” domanda lei, senza perdere l’attimo.
“Beh, più o meno… sono stato io, più che altro. Io ho ritenuto che non fosse il caso di compromettersi.”
“Capisco” replica la madre, con tono scettico.
C’è una breve pausa, Genzo finalmente trova un posto comodo, ai piedi del tavolo.
“Lei aveva appena iniziato ad integrarsi all’università. Ed io, lo sai, io adesso non ho tempo per niente, tranne che per concentrarmi sulla mia carriera.”
“Certo.”
“Ecco, infatti.”
Genzo si sente sollevato.
“E com’è andata?”
“Come?” chiede, spiazzato.
“No, dico, com’è andata a finire?”
Lui si alza, si toglie il berretto, sente improvvisamente caldo.
“Bene direi. Abbiamo… ci siamo evitati; ma questo era nell’ordine e nella logica delle cose.”
“Non è che puoi dire al tuo cuore di smettere di provare qualcosa per qualcuno, no?” ribatte subito la signora Wakabayashi per farlo sentire a suo agio nel ragionamento.
“Sì, cioè… il senso è quello.”
“Quindi la distanza è stata di grande aiuto.”
Lui fa sì con la testa.
“Bene.”
“Bene, sì.”
“E ieri? Ieri cos’è successo?”
“Ecco… è successa una cosa decisamente folle.”
“Ah sì?” domanda la signora Wakabayashi, sforzandosi di mantenere un tono leggermente distaccato.
“Sì, lei… lei vuole venire con me. Non le importa di nessuno, di niente. Vuole mollare tutto e venire a Manchester. Dice che senza di me, si sta spegnendo.”
Lei deglutisce, “certo che questa ragazza è solida come le pietre. Sa quello che vuole. Non ha paura di cadere.”
Genzo scuote la testa, “dovevi vederla, la prima volta che l’ho incontrata, a Tokyo, dopo tanto tempo… era un animale smarrito. Una persona fragile, insicura… “
“L’ho sentita nominare tante volte, ma non me la ricordo.”
“E’… è molto carina”, dice a mezza voce, abbassando la testa per nascondersi completamente; “adesso forse è ancora più bella. Lei crede di essere piuttosto anonima, ma…”
“Ma quando entra in una stanza, la si nota” deduce la madre, aiutandolo a tirarsi fuori da questo momento di grande intimità.
“Sì. Direi proprio che non puoi fare a meno di notarla. E poi se inizia a parlare… non vorresti mai che la smettesse.”
La donna sorride, con dolcezza si siede, versa altro tè e altro caffè nelle tazze.
“E’ sbocciata. Ed è diventata forte.”
Genzo annuisce, “non ci avrei scommesso uno yen, invece…”
“Eh… noi donne abbiamo una marcia in più, Genzo. Non c’è niente da fare.”
Lui sorride e questa volta il suo sorriso è pieno di dolore, come se dentro si fosse aperta una ferita che non può guarire.
“Non potrei mai perdonarmi di … voglio dire, se adesso io le dico che va bene e poi a Manchester non si ambienta e vuole tornare in Giappone? E se poi non funziona?”
“Bisogna prendersi dei rischi nella vita. Bisogna vedere quanto siete disposti a rischiare.”
“Non so se… non so se ce la farei…”
“Non sai se ce la faresti a fare cosa?”
“A lasciarla tornare a casa… a lasciarla andare via. Se viene con me, è per sempre. Posso sopportare tutto nel calcio. Ma queste cose no. Queste cose mi scavano l’animo. Mi ammazzano.”
La signora Wakabayashi si alza definitivamente, rimette a posto la sedia, si sistema il golf sulle spalle.
Ci penserà la servitù a riordinare la cucina.
Lei ora deve occuparsi della sua valigia, del suo viaggio a Singapore.
“Credo che dovresti dirglielo. Credo proprio che dovresti darti una possibilità. Non c’è niente di più triste che svegliarsi un mattino e sapere che non hai fatto tutto il possibile per essere felice. E’ un rischio che devi correre, Genzo.”
Lui la fissa un momento, poi ricade a terra con lo sguardo.
Si chiude gli occhi con le mani, come a cancellare tutto. Come se potesse liberarsi dell’anima. Del cuore. Dei suoi pensieri più sinceri, delle sue paure. Del suo corpo.
Di tutto se stesso.

--
Ciao a tutti^^
Eh… siamo arrivati al capolinea ormai. E anche Genzo finalmente inizia a permettere al gelo di sciogliersi.

Grazie mille a tutte le persone che leggono e seguono questa ff^^

A presto,
kiku

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Capitolo 42
*** L'animo sulla pelle ***


Mitsume deglutisce, senza smettere di tenere lo sguardo fisso al plico di fotocopie che ha davanti agli occhi.
Yukari le ha appena detto che cosa è successo a Nankatsu.
Piccoli alveari di ragazzi e ragazze gravitano nei loro dintorni. Ci sono rumori, risate, sussurri, la tipica atmosfera che accompagna l’ateneo quando stanno per ricominciare i corsi.
“So che ti sembrerà una cosa folle e piuttosto incoerente rispetto alle mie idee sul ruolo della donna nella società…” si sente di spiegare Yukari.
Mitsume ha lo sguardo appannato.
“No, è solo che… che il tuo amore per lui ha qualcosa si commovente.”
Yukari abbassa la testa, si sente fragile, confusa.
“Io ho provato a resistere. E per resistere, resisto. Ma non sono minimamente vicina alla felicità. Non sono… i miei occhi si spengono. Mi spengo, Mitsume.”
La ragazza fa sì con la testa, una, due, tre volte, “lo capisco.”
C’è un po’ di silenzio. Le due si appartano e si siedono nei pressi della biblioteca centrale.
“Mi sembra impossibile che lui non ti abbia neanche risposto.”
“Già. Sono passati due giorni. Ho paura che abbia già lasciato il Giappone ormai.”
“Avrebbe potuto almeno dirti esplicitamente che non se la sente, o che non prova … non prova niente per te.”
“Infatti. Da uno come lui, almeno questo me lo aspettavo. In fondo io sono andata a casa sua con il cuore in mano. Penso che anche solo per rispetto, me lo meritavo. Evidentemente ha giudicato fosse giusto andarsene così…”
“E adesso? Adesso tu come fai?”
Yukari scuote la testa, “non lo so, non me ne sto rendendo conto. Vorrei… vorrei provare a chiamarlo. Mi deve dire qualcosa. Se non me lo dice, non riesco a realizzare tutta questa situazione. Mi sembra irreale.”
“Quando pensi di chiamarlo?”
“Non lo so… ho troppa paura. Sai, un conto è dirlo in teoria, un altro è sentirsi dire sul serio e nella realtà che di me non gliene frega niente.”
“E’ una storia assurda…”
“Assurda…” replica Yukari, a mezza voce.
Restano sedute qualche minuto senza andare oltre.
Yukari aveva assolutamente bisogno di confrontarsi con qualcuno; Mitsume si trova in una posizione difficile; onestamente non sa come aiutare la sua amica.
Ad un certo punto, quasi all’unisono si alzano.
“Per il momento quindi pensi di ricominciare le lezioni, no?”
“Certo. Non posso fare altro.”
Si salutano, sorridendosi.
“A presto.”
“Sì… ci vediamo in giro, Mitsume.”

Yukari raggiunge svogliatamente la fermata del treno.
Tokyo adesso le somiglia tantissimo. Ma lei questo non lo sa.
Sale sul primo treno e, sedendosi, tira fuori il telefono dallo zaino.
Cerca il numero di Genzo nella rubrica, lo visualizza e con il pollice rimane in bilico sul pulsante che avvierebbe la chiamata.
Resta così per un bel po’, e appoggia la testa al vetro, socchiude gli occhi, sente che le manca l’aria.
Giunta a destinazione, ripone il cellulare nello zaino ed inizia a vagare per il quartiere.
Cammina con lentezza, come se qualcuno la spingesse indietro.
Si ferma ad osservare i giornali della sera, acquista un po’ di tè verde e poi, quando ormai non c’è proprio più nulla da fare, si avvia verso casa.
Sosta per un attimo e capisce che non può più prendersi in giro. Si sfila lo zaino dalle spalle e riprende il telefono.
Senza riflettere preme e fa partire la chiamata a Genzo.
Per un istante trattiene il respiro e teme che le mancheranno le parole.
Ma il telefono le restituisce una voce metallica: Genzo ha il cellulare spento.
Yukari fissa lo schermo con sgomento e delusione.
Dalla tensione le tremano anche un po’ le mani e presa da un attimo del tutto irrazionale inizia a correre indietro, verso il chiosco dei giornali. Cerca quelli sportivi e ne afferra uno, di fronte alla faccia perplessa del venditore. Sfoglia ogni pagina per cercare la notizia del rientro di Genzo in Europa.
A questo punto è evidente: dev’essere partito.
Forse sta volando verso Manchester proprio in questo momento.
Ho perso l’attimo, si dice fra sé e sé.
Ho perso l’attimo, ripete ad alta voce.
Non trova nulla, ma ormai non ha bisogno della conferma di un giornale.
E adesso le prende il panico.
Affretta il passo e intanto pensa a chi poter chiamare, come fare per contattarlo.
Ma la testa gira a vuoto.
Senza neanche rendersene conto, arriva di fronte al suo palazzo.
“Pensavo fossi ancora a Nankatsu.”
Genzo questa volta non si alza dai gradini. Resta seduto dov’è.
Yukari è immobile, sgomenta.
“Ti ho… ti ho appena chiamato…”
Il portiere infila una mano nella tasca, estrae il telefono, “l’ho spento. Non voglio parlare con nessuno.”
La ragazza si avvicina, gli si siede accanto, “temevo fossi già partito per Manchester.”
“A Manchester piove spesso.”
Yukari si sfila lo zaino, “sì, lo so. L’Inghilterra è famosa per la pioggia.”
“Ti sei documentata?”
“Più o meno…”
Ora sono quasi appiccicati. Ci sarebbe tutto lo spazio per stare ognuno per conto proprio, ma senza volerlo i loro corpi combaciano.
“Pensavo fossi ancora a Nankatsu” ripete Genzo.
Lei non risponde.
“I tuoi non ti hanno detto niente?” domanda il portiere.
“No… perché?”
Genzo scuote la testa, con un mezzo sorriso in faccia.
“Ieri sera, convinto che fossi ancora lì, mi sono presentato a casa tua”, fa una pausa, si sistema il berretto sulla testa, “mi ero anche preparato una specie di discorso.”
“Un cosa?”
“Un discorso. Non porto via la figlia a due persone oneste, senza dire una parola”, dice, nascondendo lo sguardo, ma con la voce ferma e limpida.
Lei deglutisce.
“E cos’è successo?”
“Niente… quando mi hanno detto che eri già a Tokyo, mi sono sentito un idiota. Ho cercato di fare lo splendido. Ma loro non l’hanno mica bevuta. Loro…”
“Loro sanno che la mia priorità sei tu”, Yukari si lascia scivolare le sue stesse parole lungo la colonna vertebrale, risuonano come una liberazione.
“La tua priorità…”
“Sì, Genzo.”
Lui si toglie il berretto, si alza, si passa una mano sugli occhi.
“Lo so che io non sono la tua priorità, tranquillo” dice ancora la ragazza, per rassicurarlo; “prima viene il calcio.”
Si alza anche lei.
Senza dire una parola, gli fa strada, e con calma raggiungono il piccolo appartamento.
Si tolgono le scarpe. Genzo si siede a terra, Yukari prende il tè alla menta appena comprato e mette su il bollitore.
Per un po’ non parlano, forse intrappolati nella rete dei loro pensieri, delle loro paure. Forse presi a cercare nuove parole.
Quando l’acqua bolle, Yukari prepara le tazze e versa il tè con meticolosità.
“Lo sai, vero, che se vieni, è per sempre, no?”
Yukari lo fissa, “che vuoi dire, scusa?”
Lui soffia sul tè bollente, gli manca la saliva.
“Se stai con me, è per sempre.”
Yukari non replica immediatamente. Riprende posto, si siede.
“Scusa, non … non capisco bene.”
Il portiere si rimette il berretto, “al centro commerciale, l’altro giorno, ho avuto una reazione spropositata”.
Lei non riesce a mettere insieme i pensieri: le sta sfuggendo il filo del discorso.
Ma quando pensa di dover intervenire e chiedere spiegazioni, ecco che Genzo riprende, “lo sai perché?”, si alza, allontanandosi.
“Lo sai perché?” chiede nuovamente.
La ragazza fa cenno di no con la testa, senza guardare.
“Perché sono geloso. Sono geloso di Ryo. Sono geloso di tutti quelli che ti girano intorno.”
Yukari posa la sua tazza per terra, “non mi gira intorno nessuno, Genzo.”
Il portiere si allontana un altro po’, fin quasi a sfiorare il bordo della stanza, “quando hai detto che con lui hai confidenza, mi è salito il sangue alla testa. Per un attimo non ho capito più niente.”
La ragazza riprende il tè e ne beve qualche sorso.
“Non l’ho detto con malizia.”
“Lo so, lo so bene. Eppure non c’ho visto più.”
Rimangono così per una manciata di minuti: distanti, imperscrutabili, eppure vicinissimi ormai.
“Se vieni a Manchester, è per sempre”, dice ancora Genzo, avanzando verso di lei.
Yukari solleva la testa, lo osserva mentre riprende posto di fronte a lei, per terra.
Ha il cuore sottosopra, non riesce a sistemare i pensieri. Fatica a trattenersi.
“Mi scavi l’animo, Yukari” dice alla fine, come se si arrendesse finalmente all’evidenza.
Lei si solleva, si dirige verso il lavandino e inizia a lavare la sua tazza, rovesciando quasi tutto il tè, perché non le va più.
Genzo aspetta forse qualche secondo poi si fa coraggio e si avvicina, lentamente, fino a chiuderla con il suo corpo.
Yukari non si può praticamente muovere.
Lui le accarezza il collo, le bacia la testa e poi con le mani sui fianchi la invita a girarsi.
Si baciano.
Prima è solo alla superficie, poi sempre più nel profondo.
Ormai l’animo è sulla pelle.
Genzo inizia a perlustrarle il corpo. Guadagna centimetri su centimetri fino a che lei non gli prende le mani e cerca di fermarlo.
“Forse… è meglio aspettare…” sussurra, abbassando la testa, piena di vergogna.
Il portiere riprende a toccare, non intende retrocedere di un millimetro.
“Non abbiamo più tempo, Yukari. Non possiamo più aspettare” sentenzia, implacabile, togliendole ad uno ad uno i vestiti.
--

Ciao a tutti^^
... è stato un percorso lungo e difficile, con alti e bassi, momenti positivi e dolorose cadute, proprio come succede nella vita di ognuno di noi. Al di là però dei singoli eventi, i personaggi sono progressivamente cresciuti e maturati, prendendo sempre più consapevolezza di loro stessi e della loro essenza.  Crescere significa anche questo^^

Grazie mille a tutte le eprsone che mi leggono, seguono e scrivono^^
A presto,
kiku

 

 

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Capitolo 43
*** All'altezza della gola ***


Apre gli occhi e subito li richiude.
C’è una piccola fessura da cui entra una riga luminosa. E’ la luce del mattino.
Di nuovo apre gli occhi e si solleva.
L’altra fetta di letto è vuota, anche se il corpo di Yukari ha lasciato una lieve impronta.
Piega le gambe e si chiude la testa con le mani.
Si alza lentamente, infila i boxer, i pantaloni della tuta e si mette a visionare la stanza con lo sguardo, alla ricerca della sua maglietta della salute.
Attraversa ogni angolo, ogni centimetro di pavimento, senza successo.
Si stira, quasi fosse diventato un gatto, e si decide ad uscire dalla camera.
Oggi sono i profumi a guidarlo: in un attimo si ritrova in cucina.
Il piccolo tavolo è apparecchiato per bene e ci sono tantissime cose da mangiare: frittelle, frutta fresca, riso bianco, pane nero, tè, caffè ed una brocca d’acqua fresca.
Yukari è intenta a cucinare qualcosa, con addosso la maglietta della salute del suo ragazzo, le spalle rivolte al mondo.
Quando si gira, ha il volto pieno di vergogna e in mano regge un piatto con dei dolcetti alla crema.
Genzo si siede, le sorride di sfuggita. Si prende un bicchiere d’acqua, lo beve con lentezza, ma senza interruzioni.
E’ inspiegabilmente, irrimediabilmente triste.
Lei se ne accorge, si siede di fronte.
“Non sapevo cosa cucinare… ma allo stesso tempo, lo desideravo da tanto. Così ho pensato di prepararti la colazione. Ad ogni modo, non sei obbligato a mangiare.”
Lui alza lo sguardo, si passa la mano sugli occhi: deve prendere contatto con la realtà, ma ha il cuore all’altezza della gola, fa fatica a parlare.
“La colazione è bellissima. Grazie.”
Yukari lo osserva e si rende conto che Genzo è inarrivabile: non ha minimante idea di cosa gli stia passando per la testa.
Si alza, infastidita.
“Sembri… sembri molto triste.”
Genzo si fa una tazza di macedonia e comincia a giocare con i pezzetti di frutta.
Sta prendendo tempo, perché non può neanche immaginare di ingoiarne un cucchiaio.
 “Non sembro triste. Io SONO triste, Yukari.”
Lei si siede ancora una volta, si raccoglie i capelli, li ferma con un elastico.
“Non… non ti capisco.”
Il portiere si alza, va verso la finestra, ha bisogno di respirare. Apre il vetro, sporgendo il volto, poi si ritrae e richiude la finestra.
“Stasera devo partire.”
“Lo so, lo so bene, Genzo.”
Dalla tasca dei pantaloni sfila un biglietto da visita, “qui c’è il numero di telefono del mio avvocato. Se hai bisogno per la richiesta di visto, puoi rivolgerti a lui.”
Yukari prende il biglietto, “grazie.”
Passa qualche minuto.
Poi Genzo prende coraggio, “come… come pensi di muoverti?”
“Per prima cosa trascorrerò il fine settimana a casa” replica secca lei, preparandosi una tazza di tè, “così potrò spiegare la situazione ai miei.”
Genzo abbassa la testa, beve un altro po’ di acqua.
“Poi farò i fogli per il passaporto e tutte le pratiche per il visto. Compilerò i moduli per la richiesta di ammissione ai corsi on line della mia facoltà. Ho una buona media: non dovrei avere problemi. Per il resto non c’è molto altro da fare.”
Yukari ha la testa completamente leggera. E’ calma, quasi gelida, come se parte di Genzo si fosse trasferita in lei.
Non ha più paura, non c’è esitazione nel suo cuore, non ci sono più passi incerti.
Il portiere scarabocchia qualcosa sulla tovaglietta di carta, con una matita di fortuna, “ti lascio anche il cellulare della mia segretaria. Se non ti risponde, lascia un messaggio, così poi ti richiama. Lei sa sempre dove trovarmi.”
“Grazie.”
La ragazza si avvicina e strappa il pezzettino di tovaglia, lo piega in due e poi a seguire in quattro parti. Sorride.
“Sei contenta?”
“No… è che sto piegando questo brandello di carta con la stessa cura con cui ho piegato il tuo messaggio, quando te ne sei andato da qui, la prima volta. E’ stata la mia reliquia per un tempo infinito.”
Genzo la guarda intensamente: adesso non ha più voglia di nascondersi.
Ricorda quel giorno, ricorda bene cos’ha sentito, scrivendo quel messaggio.
Uno strappo, la sensazione di essere perso, di non sapere più dove andare e cose desiderare.
Adesso invece sa tutto.
“Cerca di fare presto, Yukari” dice, insistendo con lo sguardo sul suo corpo di farfalla.
Lei diventa rossa come un peperone.
“Sì, ce la metto tutta per raggiungerti quanto prima.”
“Stasera devo partire” ribadisce lui, ora ricadendo con gli occhi sulla sua macedonia distrutta.
“Lo so. Sei guarito dall’infortunio e devi riprendere a giocare. Poi tra una decina di giorni sarai in Australia per la coppa d’Asia. Sei pieno di impegni.”
“Già… mi sembra impossibile.”
Yukari si allontana, con la sua tazza di tè in mano.
“Cosa?”
“Andare via. Lasciarti qui. Era già difficile ieri. Ma adesso… adesso che abbiamo passato la notte insieme, mi sembra… mi sembra impossibile.”
Lei deglutisce, posa la tazza sul lavandino.
Ora è tutto chiaro.
Non è necessario aggiungere altro.
“Avrai bisogno di rivestirti” sussurra, premendo il lavandino con le mani, inarcando un po’ la schiena.
Lui la guarda, alzando la testa, senza capire bene.
“Avrai bisogno di rivestirti, Genzo” ripete lei, senza muoversi.
“Forse è meglio se ti sbrighi e vieni a riprenderti la tua maglietta…” aggiunge, sfilandosi la t-shirt, che ricade a terra, leggera come una piuma.

--
Ciao a tutti^^
Com’è normale che sia, visto l’iter che ha portato Genzo e Yukari fino a qui, c’è ancora un bel po’ di tensione emotiva, perché c’è un bagaglio di cose non dette e sommerse che sta emergendo minuto dopo minuto…
Ma non importa.
La cosa che più conta è che adesso sono insieme^^

Grazie mille a tutte le persone che dedicano tempo a leggere e a seguire questa  ff^^
E grazie di cuore anche a coloro che commentano e mi scrivono^^

A presto,
kiku
 

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Capitolo 44
*** Terra di mezzo ***


Restano a letto fino a mezzogiorno. Poi capiscono che è tempo di andare.
Si alzano, si lavano e rivestono.
Escono in fila e un vento gelido li avvolge nel breve tragitto dalla palazzina all’auto parcheggiata poco lontano.
Non parlano per tutto il viaggio.
Genzo parcheggia al lato del viale, Yukari scende e aspetta che lui le faccia strada.
La portineria è un trionfo di colori, cristalli, oggetti preziosi e strani.
Prendono l’ascensore e dopo poco sono di fronte all’appartamento di Genzo.
Yukari avanza timidamente lungo il corridoio.
Osserva in silenzio, senza commentare le stampe appese ai lati, fino ad arrivare all’ampio salone.
Nota il ritratto di Genzo, appoggiato per terra, in attesa di una collocazione.
“L’hai portato qui…”
Il portiere si sfila alcuni oggetti dalle tasche, si toglie la giacca della tuta, il berretto.
“Sì, ma è di passaggio.”
Yukari lo fissa, perplessa.
“Lo vorrebbe mia madre. Dice che nell’altro appartamento starebbe meglio.”
“L’altro appartamento…”
“Sì, quello dei miei” risponde lui, cercando quasi di chiudere le parole dentro la bocca.
La ragazza si siede sul divano, si fa piccola piccola, “avete due appartamenti a Tokyo?” domanda, ingenuamente.
“Sì, “ risponde il ragazzo, mettendosi a fare il tè, “a dire la verità ne abbiamo diversi.”
Lei abbassa la testa, “capisco.”
Si alza, e raggiunge il banco della cucina. Prende posto su uno sgabello, gioca con un pezzo di carta lasciato lì.
“E’ davvero bello qui.”
“Grazie.”
Genzo le serve il tè, si siede di fronte, ma non parla.
Cerca di capire come mai nel volto di lei ci sia un’ombra, una specie di tristezza, ma non riesce a mettere insieme una frase, si sente sopraffatto dalle emozioni.
Beve un sorso e cerca di recuperare un minimo di tranquillità: in fondo si sono appena messi insieme; non c’è più nulla da temere.
Allunga le chiavi dell’appartamento verso di lei.
“Puoi trasferirti qui, mentre aspetti che tutti i documenti siano pronti, così potrai liberare casa tua e recidere il contratto d’affitto. Per il trasloco puoi sempre fare affidamento sulla mia segretaria. Ti aiuterà lei a trovare qualcuno che ti aiuti.”
“Il trasloco…” farfuglia Yukari, allontanando la tazza da sé.
Genzo annuisce, “sì, non ha senso che continui a stare lì. Che ne pensi?”
Yukari non risponde, come attonita, svuotata, immobile.
“Cosa ti prende?” domanda allora il portiere, alzandosi di scatto.
“No, niente… è che… per un tempo lunghissimo siamo stati come sospesi in una terra di mezzo. Ed ora, in un momento… in un attimo, tutto si stravolge… è strano.”
Lui non risponde; si limita a sorridere con un’espressione tesa in volto.
“I cambiamenti fanno sempre molta paura. Lo so: lo so come ti stai sentendo. Lo immagino” riesce a dire dopo un attimo.
Yukari si alza, cerca una finestra.
“So che per te tutto questo è un grande atto di… coraggio…” aggiunge ancora.
Lei si volta, sorride, abbassa la testa.
“Non è coraggio, Genzo. E’ semplicemente amore.”
Il portiere deglutisce, ricadendo sulla sua tazza di porcellana finissima.
“Il primo giorno che ci siamo rivisti… quel giorno ho pensato che fossi la persona più debole del mondo. Mi sei sembrata così fragile e innocente. Così impreparata alla vita di Tokyo.“
Yukari si siede per terra, ascolta.
“Io mi sentivo superiore. Superiore a tutti, a tutto. Invece ero solo spaventato. Arrabbiato.”
“Sono sensazioni più che giustificate, dopo quello che ti è successo. Non devi essere così severo con te stesso.”
“Sei… sei sbocciata come un fiore. Ti sei fortificata giorno dopo giorno. E ora Tokyo non ti fa più paura. Non ti fa più paura nessuna cosa.”
Lei arrossisce, si chiude un po’ su se stessa.
“Non  è proprio così Genzo…  ho ancora un po’ di paura. E mi sento ancora molto inadeguata… per esempio: mi sento veramente inadatta a questo appartamento…”
Lui si avvicina.
“Possiamo cambiare le cose che non ti piacciono.”
“Ma non c’è assolutamente niente che non mi piaccia. E’ solo che mi sembra troppo… troppo per me.”
Genzo si avvicina, si siede per terra, di fronte a lei.
“Ti ci dovrai abituare.”
Lei annuisce, senza nascondere un po’ di desolazione sulla faccia.
“Ad ogni modo, non sei affatto inadeguata” sussurra a mezza voce il portiere, nascondendosi gli occhi con il berretto.
“Tu dici?”
“Assolutamente” sentenzia categorico, senza la minima esitazione.
Yukari gli sorride timidamente. Sente gli occhi di lui addosso, se li sente sotto i vestiti, dentro il corpo.
Genzo si alza, cerca di concentrarsi su qualcosa che non sia lei.
Se si concentra su Yukari impazzisce di desiderio, si sente mancare la terra sotto i piedi, l’aria nei polmoni.
“Devo finire di preparare la borsa. Vieni di là?”
La ragazza di alza subito e lo segue senza parlare.
Con gli occhi cerca di fare amicizia con la bellezza, con le armonie degli arredi, le poche ma preziose cose che sono disposte qua e là.
La stanza di Genzo è un ambiente completamente inondato dalla luce naturale: l’intera parete che dà sul retro del palazzo, è di vetro.
Particelle infinitamente piccole di pulviscolo vorticano nell’aria, quando un raggio di sole trafigge le superfici.
L’arredamento è sobrio e modernissimo. Ricorda un po’ la camera a Villa Wakabayashi: non c’è assolutamente niente che la personalizzi eppure parla la stessa lingua di Genzo; gli somiglia in ogni minimo particolare.
Yukari si siede sul bordo del letto, mentre il portiere si rimette alla sua borsa.
Per un istante le sembra di rivivere il passato: un pomeriggio in cui ha deciso che le cose dovevano cambiare, il giorno in cui c’è stato un irrevocabile cambio di passo.
Ed effettivamente i gesti sono simili.
Tuttavia, ad essere cambiate sono le condizioni.
“Mi dispiace di non poter venire con te dai tuoi. Purtroppo tassativamente devo rientrare con il volo di stasera.”
“Non preoccuparti. Me la caverò.”
Genzo sospira inaspettatamente, si toglie il berretto, si strofina le mani sugli occhi.
“Non saranno felici… me lo sento. Avevano altre speranze, altre aspettative per te.”
Yukari gli sorride, cerca, come può, di rassicurarlo, “se ne faranno una ragione. Comunque secondo me, diversamente da quanto pensi tu, un po’ se l’aspettano. I genitori sanno cogliere anche i segreti più nascosti, se solo vogliono.”
“Beh… sì, forse in questo c’è qualcosa di vero. Comunque…”
Si ferma, gli mancano le parole.
“Comunque?”
“… se dovessero in qualche modo impedirti di venire in Inghilterra, chiederò un permesso per tornare in Giappone e vedrò di…”
“Non succederà” lo interrompe lei, sicura dei suoi mezzi, “non ce ne sarà bisogno. Avanti…”, fa ancora, per cercare di cambiare argomento, “ti do una mano” e dicendolo, gli si avvicina ed inizia a riporre i panni nella borsa al posto suo.
Genzo si siede a fianco, si rimette il berretto, lo sguardo basso e teso.
Il suo corpo è in tensione, anche se fa di tutto per non darlo a vedere. Le sue emozioni gli stanno tagliando il fiato, gli azzerano i pensieri.
Vorrebbe partire con lei, trovare un modo per aspettarla, per risolvere tutti i problemi, le formalità.
Vorrebbe poter rimandare questo maledetto volo.
Per la prima volta, da quando è un giocatore professionista, prova anche ad imbastire una qualsiasi stupida scusa, per chiedere una proroga al permesso ottenuto per la nazionale.
“Ecco fatto. La borsa è pronta, Genzo.”
Le parole di Yukari lo riportano alla realtà, ai suoi doveri, a se stesso.
“Quest’anno devi vincere tutto” aggiunge, sedendosi poco distante.
“Tutto…” farfuglia il portiere, senza guardarla.
“Sì, Genzo. Proprio tutto. Anche la Champions. Sei il portiere più forte del mondo.“
Una parte dell’animo di Yukari sente la fatica di queste parole, la fatica che si prova a doversi separare ancora, proprio ora che ha la certezza di significare molto per lui.
Ma capisce di essere la più forte, adesso.
E deve esserlo anche per lui.
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Ciao a tuttì^^
Grazie di cuore a tutte le persone che seguono questa ff^^
A presto,
kiku
 

 

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Capitolo 45
*** Pesce o farfalla ***



Ciao a tutti^^
Oggi vi scrivo prima, per poi lasciarvi all’ultimo capitolo della storia. Mi sembra il miglior modo per salutarvi…

Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno “attraversato” questa storia, ognuno nel suo modo unico e speciale: chi leggendo silenziosamente, chi scrivendomi in privato, chi commentando di tanto in tanto e chi recensendo con costanza, passo dopo passo.
Grazie per il tempo che avete dedicato a questa ff, alle vostre osservazioni e riflessioni, ai vostri pensieri, alle vostre impressioni.
Per me tutto questo significa molto.

Spero di ritrovarvi alla prossima storia^^
A presto,
kiku
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Il tragitto verso Narita è intimo e silente.
Genzo guida e sembra concentrato sulla strada.
Lascerà l’auto in aeroporto e poi uno degli uomini di fiducia del padre andrà a ritirarla domani: Yukari tornerà a casa in treno.
“Sei sicura che non vuoi che ti riporti indietro il mio autista?” chiede per l’ultima volta il portiere, voltandosi per un attimo.
“Sì, sono sicura. Preferisco tornare da sola.”
Dentro l’animo del ragazzo c’è come una tempesta: si sente scoppiare, e soffocare, eppure continua a macinare la strada ostentando sicurezza. Con le mani salde al volante, sembra il solito Genzo.
Yukari invece è seduta al suo posto e non è mai stata così calma come adesso.
Si sente perfettamente a suo agio, sicura dei suoi mezzi. Sicura  di sé.
Il suo corpo è ancora in fremito perché ha conosciuto gli abissi dell’altro.
Non le importa se non è vestita bene, non le importa se non ha i capelli in ordine e ben pettinati.
Non gliene frega niente di cosa penserà il mondo, una volta che saprà di questa storia.
E’ talmente in armonia con se stessa che adesso ha proprio l’impressione di essere un bel pesce dentro un’ampolla di cristallo, con acqua fresca, limpida, pulita.
Sa bene che questa sicurezza finirà presto. Durerà giusto il tempo di arrivare al gate di Genzo.
Una volta partito, magari ritornerà alle sue paure, alle sue paranoie, alle sue tremende insicurezze.
Ma anche di questo ora non si cura.
Si tratta solo di un altro piccolo step.
Poi anche lei salirà su una aereo e raggiungerà il suo ragazzo in un’altra fetta di mondo.
Imparerà nuove cose, studierà, s’impegnerà, però questa volta senza spegnersi, senza ripiegarsi su se stessa, come un fiore senza luce.

Sospira, sorride.
“Che hai?”
“Niente… non vedo l’ora di raggiungerti.”
Genzo sorride anche lui, ma solo un istante.
Ha occhi lucidi, come se da un momento all’altro dovesse scoppiare a piangere.
Cosa che è impossibile: Genzo non piange mai. Genzo non sa neanche come si fa a piangere.
Si sente l’animo scavato, come se qualcuno stesse raschiando il fondo.
Fondo fatto di pareti ripide, di argilla e quarzo: polvere sottile gli impedisce di restare vigile.
Ha il cuore nello stomaco, la milza che pulsa come un muscolo vivo.
Gli manca l’aria, gli mancano le parole.
Vorrebbe dirle che è bellissima, che l’ha sempre pensato, sin da quel primo giorno, quando era seduta insieme agli altri e lui si faceva vivo dopo mesi di silenzio ed assenza.
Sin da quella prima sera, per il compleanno di Mamoru, quando si è seduto per la prima volta sui gradini di quella palazzina, in periferia.
Lui lottava contro tanti demoni diversi e non ha saputo riconoscere subito cosa stava succedendo.
Gli sembrava che non stesse succedendo proprio niente.
Invece, lentamente, inesorabilmente, tutto cambiava.
Le ragazze ti scavano dentro, ti fanno diventare l’anima di burro.
E le tue ossa sono di pietra serena, si sbriciolano con niente.
Pensava fossero tutte stupidaggini, rime stonate di poesie popolari, roba che può far emozionare solo un vecchio come suo nonno.
Adesso invece ha capito che non è così e un po’ se ne vergogna anche.
Avesse reagito e realizzato prima, forse non avrebbe perso tutto questo tempo e ora conoscerebbe a memoria il corpo di Yukari. Lo avrebbe memorizzato alla perfezione.
Invece si deve accontentare di averlo solo assaggiato.
Sente il profumo buonissimo della sua pelle candida, ricorda bene com’è stato toccarla, attraversarla, ma ha assoluto bisogno di studiarla.
Vorrebbe dirle che dal momento in cui si separeranno accenderà il cervello su quel corpo. Accenderà il conto alla rovescia.
Glielo vorrebbe proprio dire.
Ma resta in silenzio, con il cuore che scoppia, blindato.

No, pensa Yukari.
Genzo non lo cambi in una notte.
Ci vuole più tempo.
Mettitelo bene in testa: per sciogliere tutto il gelo ci vorrà un po’.
Dovrai lasciare che lui ti studi per bene.
Dovrai permettergli di spogliarti ancora molte volte.
E poi, a mano a mano che imparerà a memorizzare il tuo corpo, il gelo si scioglierà.
Comincerà a parlare.
Comincerà a dirti tutte le cose che vorresti sentirti dire.
Per esempio, che sei bella.
Sei bella: e non importa se hai capelli sciolti o raccolti.
Comincerà ad aprirsi e smetterà di essere chiuso come un riccio.
Il suo cuore blindato, diventerà di burro, scavato fino all’ultimo frammento e tu imparerai a conoscere ogni battito, ogni momento.
Questa sensazione stupefacente diventerà la regola e non ci sarà più alcun motivo di avere paura.
Perché gli avrai scavato l’animo e senza di te si sentirà niente.
Perché ti ha già scavato l’animo e  tu senza di lui ti senti un pesce senza ampolla, un pesce che non sa più come si fa a nuotare.
Non temere: Genzo inizierà a parlare.
A dirti tutte le cose che vorresti sentirti dire.
Non importa se sei pesce o farfalla.
Lui ti dirà che sei bella.
Che sei bella e basta.

 

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