Λευκανία - Figlio del Sole e della Lupa

di B e t c h i
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Λευκανία* - Figlio del Sole e della Lupa

- Capitolo I -

«Lucano».
La voce di Grecia Antica si addolciva nel pronunciare quel nome e il piccolo Heracles, dal canto suo, se ne accorgeva sempre. 
Un pizzico di gelosia stropicciava quell’espressione perennemente apatica in un broncio appena accennato, sicuramente meno evidente di quello che invece esibiva il bambino seduto  al suo fianco. Quel bambino a cui, Mamma Grecia, aveva dato il nome di Lucano**.
Grecia Antica socchiuse gli occhi e scosse leggermente il capo.
La rigidità e l’austerità che era solita usare con i suoi figli, si sciolse di fronte a quello scricciolo indomabile dai capelli bruni che, adesso, teneva il capo basso e lo sguardo fisso sui suoi piedini nudi, sporchi di terra e succo di more.
La donna si chinò alla sua altezza. 
Sollevò leggermente la tunica e piegò le ginocchia contro il marmo freddo del pavimento del tempio, sotto lo sguardo incuriosito di Heracles.
La mano di Grecia Antica si insinuò sotto il collo di Lucano, gli avvolse il mento e strinse le dita contro le sue guancia, costringendo il bambino a sollevare il capo.
«Lucano, devi guardarmi negli occhi quando pronuncio il tuo nome».
Lucano sbatacchiò le palpebre. Il cuoricino martellava così forte contro il petto da fargli male, le guance arrossirono sotto la pressione delle dita della donna; le labbra rosse avevano assunto una forma buffa, lo rendevano quasi adorabile.
Gli occhi ambrati, intrappolati in quel contatto visivo forzato, trasudavano un misto di terrore e rispetto per lo sguardo severo di quella donna che adesso lo scrutava con biasimo.
Solo quando annuì – dimostrando di aver capito – Grecia Antica liberò il bambino dalla morsa ferrea e per nulla dolorosa, ma forte e emblematica come solo un rimprovero materno sa esserlo.
«Non devi avere paura di me, Lucano» sentenziò la donna, accennando un sorriso allo scattare del capo del bambino – Lucano aveva già assimilato la lezione «Heracles lo sa» disse poi rivolgendo uno sguardo al suo prediletto «i retti ragionamenti fanno più presa delle robuste mani. Non oserò sfiorarti, terrò fede al mio ideale, ma le mie parole e i miei sguardi sapranno essere più dolorosi di uno schiaffo».



*Λευκανία: teoricamente, se non erro, questa parola arcana significa Lucania in greco. 
Secondo una mia stramba teoria, Romano nasce come rappresentate della Lucania, una regione storica dell'Italia antica che comprendeva quasi tutta l'odierna Basilicata, con l'esclusione della zona settentrionale del Vulture e della zona più orientale oltre il fiume Bradano dove si trova Matera, ma con l'aggiunta a ovest del Cilento e del Vallo di Diano oggi in Campania, e sud-ovest fino al fiume Lao oggi in Calabria.

**Lucano
: è il nome che Grecia Antica dà a Romano. Penso che dedicherò un capitolo al loro primo incontro in cui sarà spiegato anche il significato del titolo di questa raccolta.
Il nome Lucano viene oggi usato per indicare gli abitanti della Basilicata ed ha un significato, a mio parere, bellissimo e azzeccatissimo per Romano: "Pieno di Luce".

 


Angolino buio e polveroso di Betchi_

Beh, alla fine sono riuscita a pubblicare qualcosina anche a pochi giorni dall'inizio degli esami.
Da metà luglio - o forse anche prima, poveri voi - tornerò attiva sul sito e pubblicherò sicuramente con più frequenza.
Adesso devo un attimo dannarmi e disperarmi per la maturità. Ringrazio chi lascerà un parerino e chi inserirà questa cagatina tra le preferite, seguite o ricordate. ♥ 


 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Λευκανία - Figlio del Sole e della Lupa

- Capitolo II -


Heracles parlò e le dita di Magna Grecia si irrigidirono, smettendo improvvisamente di pizzicare le sottili corde della Lira. 
La musica cessò e tra i portici del cortile, furono i passetti veloci del piccolo Heracles a rompere il silenzio. 
Lo sguardo incredulo della donna cadde sul suo prediletto, avvicinatosi per la prima volta - di sua sponte - al piccolo Lucano. 
Mai aveva osato proferir parola in sua presenza, Heracles, piuttosto si limitava a studiarlo da lontano, infastidito e intimorito allo stesso tempo dalla presenza ingombrante di un altro scricciolo con cui dividere le attenzioni di Eirene. 

Il viso austero di Grecia parve macchiarsi di un’impercettibile traccia di imbarazzo - che solo Mamma Grecia riuscì a cogliere - ma la sua voce restò ferma e sicura, certo che l’appellativo da lui scelto fosse adatto al ruolo che ormai Lucano ricopriva nella sua vita.
«Cugino.»
Lucano - dal canto suo - alzò prontamente la testolina, rispondendo senza esitazione al richiamo del bambino che adesso gli era di fronte.
Gli occhietti ambrati, celati dalle palpebre socchiuse, riconobbero la minuta sagoma di Heracles che si stagliava tra i raggi del sole estivo. 
Così Lucano si alzò da terra, abbandonando il cavallino in legno - che con tanta cura aveva intagliato -  sul pavimento di pietra, guardando Heracles dritto in volto. L’espressione confusa, incuriosita da quell’inaspettato avvicinamento, lasciò presto posto allo stupore. 
Le braccia che Heracles aveva tenuto ben nascoste dietro la schiena, uscirono allo scoperto mostrando al piccolo Lucano il suo dono: una manciata di fichi bianchi, tanti da riempire entrambi i palmi delle sue manine, raccolti  intrufolandosi nelle campagne limitrofe appositamente per  lui. 
Lucano non ci pensò due volte ad avventarsi su quei frutti prelibati. Con entrambe le mani ne infilava in bocca a due alla volta, divorandoli voracemente e macchiandosi il musetto del succo rossastro che fuoriusciva ad ogni boccone, mangiando dalle mani di Heracles come un disperato cucciolo affamato.
Quando ebbe finito, lasciando i palmi di Grecia vuoti e appiccicosi, Lucano si pulì il muso passandosi il dorso della mano sulle labbra. 
Esalò poi un sospiro soddisfatto sentendo finalmente il suo pancino pieno, per poi chinarsi a terra e raccoglire il suo cavallino di legno. Lo porse ad Heracles reggendolo con entrambe le mani e deviando lo sguardo su un punto lontano. Lui non era abile come Grecia a nascondere l'imbarazzo proninciando a sua volta quella parola.
«Cugino.»
E Magna Grecia sorrise, riprendendo a suonare.






 
 
Angolino di un'autrice che ancora ci prova, ma chissà...

Tornare su EFP mi riporta sempre ad uno dei periodi più belli e spensierati che io abbia mai vissuto. Periodo a cui penso spesso quando mi sento triste, perché Hetalia era la mia piccola fonte di gioia, il mio porto sicuro, una coccola e allo stesso tempo un'avventura che mi ha accompagnata in quasi tutta la mia adolescenza, regalandomi momenti speciali,  l'amore per la storia e per la scrittura. 
Tornare fa anche un po' male, perché nella vita si sbaglia e io di errori ne ho fatti tanti, forse anche troppi. 
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum...ed io ho perseverato, tanto. Esageratamente.
Di storie incomplete ne ho sempre lasciate tante, la speranza è sempre quella di concluderle prima o poi. Chissà se ora che l'ispirazione è tornata riuscirò a gestire meglio anche il mio tempo libero. Ci credete? Io un po' sì, lol.
Ho lasciato EFP da ragazzina e sono tornata da ragazzina che non vuole crescere e torna disperatamente alla ricerca del suo passato, a tratti imbarazzante. ^^"

Betchi è tornata,
in qualche modo.

Alla prossima!




 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Λευκανία - Figlio del Sole e della Lupa

- Capitolo III -


 
Lucano era un terremoto, un cucciolo sgraziato e indisciplinato che passava le sue giornate ad arrampicarsi sugli alberi e a rincorre ogni bestia che non superasse la grandezza di un leprotto. Aveva le gambette sottili martoriate da grosse chiazze violacee e la guancia destra solcata da un profondo taglio obliquo, squarcio che si era procurato cadendo in un rovo di more, nel tentativo di raccoglierne una manciata per Eirene ed Heracles. Aveva un linguaggio tutto suo per esprimere gratitudine, regalare frutta era uno dei mezzi che aveva scelto per dar voce ai suoi sentimenti. Non erano rare le volte in cui il piccoletto si avvicinava ad Eirene - pieno di nuovi tagli sul volto e sulle braccia - con le manine cariche di ciliegie, fichi o mirtilli e qualche fiorellino colorato raccolto per strada.
Magna Grecia poi smezzava il bottino con lui, e approfittava dello spontaneo avvicinamento di Lucano per parlargli di come gli Dei avessero benedetto la sua terra e dell’imminente cerimonia che lo avrebbe visto vestito della sua prima armatura.
E così Lucano, ipnotizzato dalle parole della donna, si lasciava avvicinare e poi toccare perché lui - cucciolo selvatico - andava corteggiato con estrema cautela per riuscir ad entrare nelle sue grazie.
Solo in quei momenti il piccoletto pareva chetarsi, poggiava la testolina sulle gambe di Magna Grecia e lasciava che ella le accarezzasse la ribelle chioma castana finché le palpebre non si facevano tanto pesanti da darla vinta al Dio dei Sogni.
Una volta accertatasi che Lucano fosse crollato, Eirene si perdeva nell’osservarlo constando – a mal in cuore – quanto quel visino vispo e quei riccioli castani stessero diventando, giorno dopo giorno, spaventosamente simili al volto del suo più acerrimo nemico.
Chissà quanto tempo aveva concesso loro Kronos, prima che Impero Romano venisse a rivendicare l’affetto del piccolo Lucano.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Λευκανία - Figlio del Sole e della Lupa

- Capitolo IV -

 
Lucano aveva detto di aver visto Dioniso.
Lo aveva urlato a squarcia gola - a dire il vero - strappando brutalmente Heracles dalle braccia di Morfeo. Il lupetto aveva afferrato il cugino per un braccio e con un energico strattone lo aveva tirato in piedi. Era euforico e trepidante, con una rara luce ad illuminare il suo sguardo perennemente crucciato. Heracles aveva sospirato, abituato ai modi ferini di Lucano, e con gli occhietti ancora assonnati si era lasciato trascinare dall’altro lungo un sentiero boscoso e impervio, lontano dall’ombra della quercia sotto la quale aveva trovato ristoro.
«Ti dico che l’ho visto, è venuto qui per me» aveva insistito il lupetto difronte allo scetticismo del greco. Lo teneva per mano, camminando veloce davanti a lui, mentre Heracles lo seguiva disilluso.
«La tua terra è troppo lontana dagli occhi degli Dei, cugino» aveva risposto, senza avere la reale intenzione di offendere il più piccolo. Aveva solo ripetuto ciò che la mamma sussurrava nella notte al piccolo Lucano ormai addormentato, ciò che non aveva il coraggio di dire a quegli occhietti svegli, verdi e cangianti. Gli Dei lo avevano dimenticato, il suo piccolo pezzetto di terra stava cadendo nell’anonimato. E lui, Lucano - portatore di luce - era destinato a spegnersi prima ancora di sorgere.
Così erano finiti a terra, Lucano aveva spinto Heracles nel terreno fangoso e ci si era immediatamente avventato contro. Gli occhi bruciati di rabbia e i denti stretti, neanche in quello stato quel cucciolo selvatico riusciva ad incutere timore.
«Perché? Perché non mi credi?»
Era sempre il lupetto a cominciare, ad attaccare il cugino quando la collera lo dominava fino a fargli perdere il controllo.
Urlava, piangeva, scalciava e tirava pugni, mentre il più grande si limitava a proteggersi e a mettere fine a quello sfogo afferrandogli i polsi e guardandolo dritto negli occhi.
«Lucano, basta!»
E come ogni volta, la fiamma negli occhi di Lucano si spegneva grazie allo sguardo gelido e presente del cugino.
Si erano poi rialzati, silenziosi e crucciati, con le vesti sporche di terra ed erba e avevano continuato a camminare tenendosi distanti. Lucano e il suo broncio avanti, Heracles e la sua ben celata curiosità dietro.
Quando finalmente giunsero alla tanto ambita meta, il greco aveva spalancato gli occhi increduli.
I due scriccioli, nascosti dietro folti cespugli di alloro e mirto, avevano davvero trovato Dioniso.
Il Dio nuotava pigramente nelle acque basse di un ruscello, immergendosi ogni tanto per bagnare i folti capelli castani. Si stiracchiava poi, dando sollievo ai muscoli tesi delle braccia e del petto che emergevano dall’acqua mostrandosi in tutta la loro possanza. Le labbra arricciate in un sorriso accennato, il viso sempre rivolto al sole. Heracles e Lucano ne restarono incantati. Continuarono a fissarlo assorti anche quando il Dio aveva finalmente deciso di uscire dall’acqua. Aveva scosso la testa come un cane bagnato - piccole goccioline d’acqua si erano vaporizzare nell’aria del tramonto - e Lucano aveva sorriso imitandolo immediatamente. Scosse la testolina felice, nel vano tentativo di sentirsi più simile a lui.
Heracles invece aveva fatto un passo indietro, poi due. I capelli del Dio, ormai liberi dal peso dell’acqua avevano cominciato a riprendere la loro forma originale. Un ciuffetto ribelle si era alzato sfidando le leggi della gravità, arricciandosi indomabile poco sopra l’orecchio.
«Lucano, andiamo via» aveva sussurrato afferrando il cugino per un polso. Gli occhietti spalancati, ciechi di paura, ancora fissi su quell’adone tanto simile agli Dei da essere caduto anche lui nell’inganno. Quell’uomo non era Dioniso - né tanto meno un Dio - e quando lo vide rivestirsi ne ebbe triste conferma. La tunica di lana purpurea, la lorica in metallo che copriva spalle addome, e l’elmetto abbandonato sotto il braccio. Le labbra di Heracles si schiusero lasciando andare un sospiro tremante: «Quello è Impero Romano».



 

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