Edward's New Moon

di Barbara Baumgarten
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Festa ***
Capitolo 3: *** Punti ***
Capitolo 4: *** Fine ***
Capitolo 5: *** Ottobre ***
Capitolo 6: *** Novembre ***
Capitolo 7: *** Novembre parte 2 ***
Capitolo 8: *** Dicembre ***
Capitolo 9: *** Gennaio o forse Febbraio ***
Capitolo 10: *** Decisamente Febbraio ***
Capitolo 11: *** Nuovo inizio ***
Capitolo 12: *** La caduta ***
Capitolo 13: *** De profundis ***
Capitolo 14: *** Voglio morire ***
Capitolo 15: *** San Marco ***
Capitolo 16: *** Sogno o son morto? ***
Capitolo 17: *** Verdetto parte I ***
Capitolo 18: *** Verdetto parte II ***
Capitolo 19: *** Volo ***
Capitolo 20: *** La verità ***
Capitolo 21: *** Votazione ***
Capitolo 22: *** Il patto ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Queste gioie violente hanno fini violente. Muoiono nel loro trionfo, come la polvere da sparo e il fuoco,

Che si consumano al primo bacio

-Romeo e Giulietta, atto II, scena VI

 

Sei mesi. Questo era il tempo trascorso da quel giorno nella radura e non era passata nemmeno un’ora nella quale Edward non avesse ringraziato Dio per lo splendido regalo. C’erano delle giornate nelle quali stare con Bella era stupendo: baci, sempre più frequenti e passionali, gli abbracci… perfino le sue espressioni buffe e corrucciate lo facevano impazzire. Poi, c’erano giorni come gli ultimi tre, nei quali Edward dovette ricorrere più di una volta all’autocontrollo.

Si stava avvicinando il compleanno di Bella e, a quanto pareva, la cosa non faceva che renderla nervosa. Nel sonno piangeva e si agitava ma non gli aveva mai voluto rivelare cosa avesse sognato. Edward non desiderava altro se non la felicità di Bella e vederla sempre così arrabbiata e delusa lo faceva sentire impotente. Se solo avesse potuto leggerle nel pensiero…

“Sei più piccolo di me, Edward. Già di un anno! E sarà sempre peggio…”. Ecco il vero problema: Bella voleva fermare il tempo, dare al suo corpo la staticità dell’immortalità, essere un vampiro. Edward non capiva davvero come si potesse voler essere come lui, ma per la ragazza sembrava ormai una ossessione. Avevano affrontato il discorso più e più volte ottenendo sempre lo stesso risultato: Bella s’imbronciava e lui si alterava.

Nella sua esistenza quasi secolare, Edward Cullen non aveva trascorso giorno senza rimpiangere la vita mortale e non si capacitava di come Bella potesse, con così tanta leggerezza, credere che l’eternità fosse un sogno da dover realizzare.

“Io non posso darti quello che tu vuoi, Bella. Mi stai chiedendo troppo”. Il viso del vampiro, sebbene marmoreo, lasciava intravvedere tutta la sofferenza e l’impotenza di gestire una situazione come quella.

“Ma Alice mi ha vista, Edward!”.

Alice… era vero che la sorella aveva visto Bella vampira, eppure Edward, da quando gli era stata rivelata la visione, si chiedeva se sarebbe stato lui a farlo. La risposta era sempre al stessa: no. Ma allora chi? Anche quando ne parlò con Carlisle, il patrigno si era dimostrato più che comprensivo della situazione ed Edward sapeva che nessuno della sua famiglia avrebbe tradito la sua fiducia. Ma il tarlo di quel pensiero non faceva che tormentarlo.

Alle prime luci di quel nuovo giorno, Edward guardò la distesa di alberi che circondava la sua casa. Era giunto il momento tanto detestato da Bella: il suo compleanno. Lui sapeva bene quali fossero le regole del gioco, la ragazza era stata categorica: niente regali, niente feste, niente auguri. Se per lui quel dictat era più che limpido, lo stesso non poteva dirsi per Alice, intenta da ormai un paio di giorni ad organizzare la festa.

“Sono più che sicuro, Alice. Non le piacerà”. Edward guardava la sorella con lo sguardo di uno che la sa lunga, mentre Alice parlava con Esme degli ultimi ritocchi per la festa di compleanno di Bella.

“Edward” disse Alice in tono spazientito “Nella nostra famiglia non capita più da molto tempo di festeggiare un vero compleanno. Bella farà diciotto anni! Ti rendi conto? Diciotto!”.

“Sì, lo so”, ammise, “Ma ciò non toglie che non le farà piacere”. Era impossibile cercare di far ragionare Alice, soprattutto quando c’era di mezzo una festa. Lei era l’organizzatrice per eccellenza: minuziosa e impeccabile in tutto. Quando qualche giorno prima era entrata in camera sua per dirgli che voleva organizzare qualcosa per il compleanno di Bella, Edward le disse subito che alla ragazza non avrebbe fatto piacere. Lo sapeva. Eppure, Alice decise di ignorare categoricamente.

“A tutti fa piacere una festa, Edward. Credimi. Le piacerà!”. Con tutto quell’entusiasmo, Edward non seppe più come fermare la sorella. Così decise di lasciar perdere.

Mentre Alice ed Esme riguardavano assieme la lista delle cose, Edward prese le chiavi della macchina e la giacca. Dovevano andare a scuola. Non che ne morisse dalla voglia ma era da una nottata intera che non vedeva Bella. Non si separavano mai, se non in rare eccezioni. E quella notte era stata una di quelle: mentre Alice si dava al compleanno, lui era andato a caccia da solo. Gli altri avevano deciso di partecipare all’organizzazione e lui era stufo di dire e ridire la stessa identica cosa: Bella sarebbe andata su tutte le furie.

“Alice, io vado a scuola”, disse scocciato Edward.

“Aspettami che vengo con te”. Lui alzò gli occhi al cielo. Sapeva, anzi ci avrebbe scommesso anche l’anima che non aveva più, che una volta saliti in macchina avrebbe ripreso a chiedergli un parere sui colori, sui regali, sui fiori… e lui non avrebbe più assecondato una tale pazzia.

Preso il posto di guida e messa in moto la Volvo, rivolse un ultimo sguardo ad Alice. “Azzardati a parlare della festa e giuro che ti stacco la testa”. La sorella lo guardò di traverso, arricciando la bocca.

“Tanto lo so che mi vuoi bene lo stesso”. Edward cercò di mantenere il viso serio il più possibile ma più ci provava più le sue espressioni diventavano assurde. Finchè non esplose in una sonora risata. Alice era fatta così: impossibile tenerle il broncio.

 

Giunti al parcheggio dell’istituto superiore di Forks, Edward fermò l’auto ed entrambi scesero.

“Arriva”, disse Edward guardando nella direzione dalla quale il pick up di Bella avrebbe fatto capolino.

“No Alice, non è l’odore a dirmi che sta arrivando. Ma lo scoppio di quel motore più vecchio di me”. La domanda di Alice era stata formulata mentalmente: spesso la vampira preferiva quell’intimità alla parola. In fondo era un metodo più rapido e con meno dispendio di energie. Solo in quel momento Edward si rese conto che la sorella teneva in mano un pacchetto.

“Stai scherzando, vero?”, le chiese in tono d’accusa guardando il regalo.

“E’ solo un pensiero, Edward. Le piacerà, vedrai!”. Il vampiro stava per ribattere ma si rese conto che era troppo tardi: il pick up Chavy del ’53 aveva appena imboccato l’ingresso del parcheggio e Bella li aveva visti.

Alice non riuscì nemmeno ad aspettare che Bella fermasse il veicolo che subito le corse incontro, mentre Edward rimase appoggiato alla Volvo, ridendo.

“Buon compleanno, Bella!”, disse Alice raggiante.

“Ssssh”, sibilò in tutta risposta Bella.

“Il regalo lo apri adesso o più tardi?”. Questa, Edward, non se la voleva perdere e si preparò all’espressione adirata di Bella.

“Niente regali”. Beh era andata meglio di quanto lui si fosse aspettato. Non appena le due gli furono vicine, Edward allungò la mano per prendere quella di Bella. Per un attimo pensò di scappare, di portarla nella piccola radura e di rimanere sdraiati insieme per tutta la giornata. Poi, pensò che, sebbene per lui quello fosse un giorno di scuola come i milioni che lo avevano preceduto, per Bella ogni lezione era una novità che non doveva perdere. Così ricacciò l’idea indietro da dov’era venuta e si limitò a sorriderle.

“Quindi, come stabilito, ho il divieto di farti gli auguri di compleanno, ho inteso bene?”, chiese Edward con il suo solito lessico d’altri tempi.

“Hai inteso benissimo”, fece eco Bella. Alice che camminava a fianco a loro non riusciva a comprendere per quale motivo Bella fosse così restia a festeggiare il compleanno. Così glielo chiese.

“Cosa può esserci di così brutto?”. Bella si prese qualche istante per rispondere.

“Che sto invecchiando”. Edward, che fino a quel momento aveva un sorriso stampato in faccia, si rabbuiò. Lo sapeva… sapeva che anche quel giorno, anzi che soprattutto quel giorno, Bella avrebbe ripreso con maggior vigore la richiesta di trasformazione.

“Diciotto anni non sono tanti”, disse Alice, sperando di cacciar via le nubi.

“Sono più vecchia di Edward”. Il vampiro sospirò rumorosamente. Inutile sottolineare il fatto che, tecnicamente, ne avesse ben più. Per l’anagrafe Edward aveva diciassette anni al momento del decesso e su questo, Bella, si fece irremovibile. Mentre Edward era assorto fra le sue preoccupazioni, non si era accorto che Alice avesse già intrapreso l’ardua conversazione sulla festa di compleanno.

“Allora a che ora vieni a trovarci?”, domandò Alice con il plauso di Edward: non aveva detto la parola “festa”.

Seguirono alcune scuse senza senso di Bella, durante le quali Edward non sapeva se ridere divertito o fare la faccia seria di chi comprende perfettamente la situazione. Poi, per tagliare corto la conversazione, disse che sarebbero arrivati per le sette. Bella avrebbe continuato a lamentarsi per tutto il giorno, ma poco importava. Era meglio una Bella arrabbiata che una Alice frustrata.

*******     

Mentre le ore a scuola trascorrevano lente fra una lezione e l’altra, Edward sentì crescere dentro di sé una strana sensazione. Era un peso, alla base dello stomaco, difficile da ignorare. I suoi pensieri si fecero cupi perché conosceva bene quella sensazione: era l’allarme di pericolo. Per quanto si stesse chiedendo da dove provenisse, Edward cominciò a maturare la paura, anzi il vero e proprio terrore, che qualcosa di spaventoso stesse per accadere.

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Capitolo 2
*** Festa ***


Nel pomeriggio, Edward e Bella guardarono insieme Romeo e Giulietta. Il vampiro non amava particolarmente la tragedia di Shakespeare: troppe cose sbagliate nel comportamento di Romeo. Ma c’era una cosa che apprezzava: la facilità del suicidio. Per gli esseri umani, la vita poteva finire da un momento all’altro semplicemente per una scelta. Ma per un vampiro, le cose erano diverse. In un certo senso, Romeo e Giulietta tendevano a ricordargli quanto bramasse la morte, prima di incontrare Bella, e quanto fosse difficile trovare il modo di concretizzare quel desiderio. Solo i Volturi avrebbero potuto aiutarlo; solo loro avrebbero potuto porre fine alla sua esistenza.

Sebbene fosse felice, la primavera precedente aveva nuovamente pensato a loro. Quando credeva che Bella potesse essere… non riusciva nemmeno a pronunciare nella sua mente quella possibilità. Non avrebbe sopportato l’idea di perderla. Se James l’avesse uccisa, se quel nomade le avesse strappato la vita, Edward non avrebbe più potuto esistere.

Anche trovare le parole per spiegare a Bella il proprio flusso di pensieri non fu facile. Raccontare ad un mortale i supplizi di un vampiro poteva risultare quasi ridicolo… eppure, Edward ci provò.

“Cosa sono i Volturi”, gli chiese, curiosa.

“Una famiglia”, rispose guardando un punto lontano. “Una famiglia di nostri simili, molto antica e potente. Non ricordi la storia di Carlisle?”

“Certo che sì”, rispose convinta.

“Ad ogni modo, i Volturi non vanno fatti arrabbiare. A meno che non si cerchi la morte”. Il tono di voce di Edward era talmente calmo da far accapponare la pelle. Sembrava freddo e distaccato. Bella gli prese il volto fra le mani, stringendo quanto le fosse possibile.

“Non devi mai, mai, mai più pensare ad una cosa del genere!”, gli disse, seria. “Non importa ciò che potrebbe accadere a me, non ti permetterò di fare del male a te stesso”.

“E’ un discorso inutile… non ti metterò mai più in pericolo”.

“Come se fosse stata colpa tua!”. Lei era… arrabbiata? Edward capiva quanto l’idea di perderlo la facesse soffrire, ma era nulla se paragonato alla sofferenza che lui avrebbe provato sapendo di essere stato la causa della sua morte. Bella non comprendeva quanto la vita assieme ad un vampiro fosse piena d’insidie, nemmeno in quel momento dopo ciò che avevano passato in primavera. Dopo James…

“Tu cosa faresti, a parti invertite?”, gli chiese, sperando di farle capire.

“Se succedesse qualcosa a te? Preferiresti che mi togliessi la vita?”. Questo non l’aveva valutato. In effetti, se avesse saputo che morendo avrebbe condannato a morte anche lei, non si sarebbe perdonato. Forse, dopotutto, aveva ragione Bella. Si appartenevano come due elementi di uno stesso corpo: la perdita di uno, comportava la morte dell’altro.

La discussione venne interrotta dall’arrivo di Charlie che entrò in casa con del cibo d’asporto. Edward guardò i due cenare, sopportando, non senza ridere, i commenti di Charlie sulla sua dieta. Capo Swan non l’aveva mai visto mangiare e si preoccupava: non si capacitava della forma fisica del vampiro. Edward sostenne l’idea che saltava la cena mangiando in modo sconsiderato durante il giorno e a Charlie bastò.

“E’ un problema se prendessi in prestito Bella per sta sera?”. Non poteva certo raccontare della festa: Bella non si sarebbe mossa di casa.

“Va bene…”, rispose Charlie, sotto l’occhio vigile della ragazza e i due uscirono.

Edward e Bella si allontanarono da Forks a bordo del vecchio Chavy. Il vampiro guidava irritato dalla velocità limitata del pick up e dall’agitazione per l’eventuale reazione di Bella alla festa. Sapeva che la ragazza avrebbe fatto rimostranze, eppure sperava che si sarebbe divertita. Tuttavia, quella brutta sensazione che l’aveva accompagnato durante l’intera la giornata si fece viva, nuovamente, mentre imboccavano la strada che conduceva a casa Cullen. Perché non riusciva a vivere con maggiore leggerezza? Perché doveva esserci sempre qualcosa che minava la sua felicità?

Le finestre dei primi due piani della casa erano illuminati a giorno, mentre grossi vasi di rose decoravano il patio e i gradini. Alice aveva fatto proprio un bel lavoro.

“E’ una festa”, disse infine Edward, tramutando in realtà le paure di Bella. “Cerca di fare la brava ragazza”.

“Certo”, mormorò Bella, evidentemente terrorizzata.

Tutta la famiglia al completo li attendeva nel grande salotto bianco. Non appena furono dentro, in coro la salutarono con un “Buon Compleanno, Bella!”. Edward sorrise. Aveva davvero una bella famiglia: le migliori persone – perché, ne era certo, non erano dei mostri- che avesse mai incontrato. Il vampiro si guardò attorno: erano anni che non vedeva la casa decorata in quel modo. Vi erano candele rosa, dozzine di vasi di cristallo colmi di rose e, vicino al pianoforte, spiccava un tavolo bianco colmo di regali.

Esme andò incontro a Bella, abbracciandola con cautela. “Mi spiace, Bella, ma non siamo riusciti a trattenere Alice”. Edward sorrise a quell’affermazione: dare la colpa a Alice era la strada più facile. Ma tutti avevano partecipato felici all’organizzazione, Esme compresa.

“E’ ora di aprire i regali!”, disse con entusiasmo Alice, prendendo a braccetto Bella e portandola accanto al tavolo con i pacchetti ordinati.

Il primo regalo fu quello di Jasper, Rosalie ed Emmett. Edward guardava affascinato le innumerevoli espressioni che si accalcavano sul volto di Bella. Quando riuscì a scoprire una scatola vuota, risero tutti.

“E’ un autoradio per il tuo pick up”, disse Jasper ridendo. “Emmett è andato a montarla, così non potrai rifiutarla”.

Bella sorrise ed Edward si sciolse. Finalmente, era felice.

“Adesso”, intervenne col solito entusiasmo Alice, “Apri il mio e quello di Edward”. Bella guardò il vampiro con fare inquisitorio.

“Avevi promesso…”, gli disse. Edward alzò le mani in segno di resa.

“Non ho speso un centesimo”, cercò di scusarsi. Era vero. La promessa che lui le aveva fatto, riguardava l’andare a comprare un regalo e lui non l’aveva fatto. Edward guardava Bella mentre si rigirava fra le mani il piccolo pacchetto. La guardò infilare il dito sotto il nastro per poter sciogliere il fiocco.

“Oh cavolo”, disse Bella mentre guardava la minuscola goccia di sangue che colava dal dito: si era tagliata.

Accadde tutto troppo velocemente. Edward si rabbuiò all’istante, quando l’odore del sangue di Bella lo raggiunse. Ricordava la primavera precedente… poi, il dramma. Jasper allargò le narici e le pupille si dilatarono. Edward sentì i suoi pensieri… Sangue… Sete… Bella…

L’avrebbe attaccata, Edward lo vedeva chiaramente nella sua mente.

Paura.

“No!”, ruggì lanciandosi contro un Jasper che già era scattato con un balzo verso Bella.

Rabbia.

Edward si mise in mezzo spingendo Bella lontana e preparandosi a impattare contro Jasper. Anche Emmett si mise in mezzo, afferrando Jasper per le braccia, che sembrava un ossesso. Ringhi cupi echeggiavano per il salotto.

Jasper non riusciva a calmarsi, mentre Edward era pronto a staccargli la testa se fosse stato necessario. Non aveva mai preso in considerazione l’eventualità di fare del male alla propria famiglia, almeno fino a quel momento. Era disposto a tutto pur di salvare Bella.

Bella…

Era ancora a terra, circondata da miriadi di pezzi di vetro e sanguinava. Ecco perché Jasper non riusciva a riprendere il controllo. La quantità di sangue che Bella perdeva era più grande di quanto credesse.

Frustrazione.

Per quanto Edward si fosse ripromesso che non avrebbe mai più messo Bella in pericolo, era accaduto nuovamente. Solo che il mostro non era più James. Il mostro era dentro la sua famiglia.

In quel momento, Edward si sentì perso. Sotto i suoi piedi si sgretolava quel mondo felice che aveva cercato di costruire per sé e per Bella. Un vampiro e un umana non avrebbe mai potuto funzionare e ora lo sapeva.

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Capitolo 3
*** Punti ***


Edward corse al fianco di Bella. Era incapace di gestire il ringhio profondo che risaliva dalla gola. Rabbia, delusione e paura: questi erano i sentimenti che si alternavano nella sua mente. Come era potuto succedere? Jasper non aveva mai dato segni così evidenti di poter perdere il controllo, eppure era bastato il sangue di Bella per farlo crollare. Edward non trovava modo di perdonarlo né di perdonarsi. Aveva giurato a se stesso che avrebbe tenuto al sicuro Bella, che l’avrebbe protetta… invece, il pericolo era giunto proprio nel luogo dove si riteneva più al sicuro: la sua casa.

Il vampiro guardava la ferita sul braccio di Bella, incapace di trattenere la sete. Non avrebbe perso il controllo, questo lo sapeva, eppure il suo corpo dava segnali contrastanti: le pupille erano dilatate e i muscoli tesi. Aveva dovuto smettere di respirare. Prese in braccio Bella per portarla vicino al tavolo della cucina dove Carlisle l’avrebbe medicata. Vi erano troppi vetri nella ferita e andavano rimossi. Voleva starle accanto ma anche Carlisle si era accorto di quanto stesse soffrendo. La sete e la paura lo stavano divorando dall’interno.

“Vai a parlare con Jasper, Edward, si starà tormentando per quello che è successo”. Non voleva. Non credeva che avrebbe avuto la forza di tranquillizzare Jasper dopo quello che aveva fatto. Non pensava nemmeno di poter essere in grado di perdonarlo.

Eppure, Jasper aveva involontariamente acceso una lampadina su un angolo buio della mente di Edward. Il vampiro aveva sempre considerato l’idea di porre fine alla sua storia con Bella se avesse avuto anche solo il sospetto di poter causare la sua morte e, Jasper, aveva creato l’imponderabile. Edward non avrebbe mai considerato la sua famiglia un pericolo e avrebbe continuato a sottovalutare il rischio. Grazie a Jasper aveva avuto l’occasione per guardare in faccia la realtà: la storia fra una mortale e un vampiro non poteva funzionare. Ci aveva provato –solo Dio poteva sapere quanto- ma aveva fallito. Non per causa propria né per colpa di Bella: semplicemente, si era scontrato contro la realtà, svegliandosi da uno splendido sogno.

Decise di dar retta a Carlisle e si recò da Jasper. Era sulla terrazza, accovacciato in un angolo e guardato a vista da Emmett. Quando lo vide, tutta quella rabbia che credeva di provare si dissolse, lasciando il posto alla pietà. Sapeva quanto fosse difficile lottare contro la bestia, quanto la sete potesse diventare incontrollabile e Jasper aveva lottato con tutte le sue forze fino a quella sera. Edward capì che doveva essere grato alla propria famiglia per non avergli mai rinfacciato il fatto di aver chiesto un simile sforzo. Lui aveva portato un’umana in casa e aveva preteso che tutti mostrassero lo stesso autocontrollo che lui stesso faticava a mantenere. Era stato un egoista.

Lentamente si avvicinò a Jasper, chiedendo a Emmett di lasciarli soli. Per pochi istanti Edward lesse la mente di quel vampiro che si stava tormentando davanti a propri occhi, leggendovi uno strazio immane. Si accovacciò di fianco, rimanendo in silenzio e aspettando che fosse Jasper a parlare.

“Edward… io non… scusami”. Vi era un dolore e un rimorso tale che nemmeno Edward avrebbe saputo gestire.

“Non posso dirti che non è successo nulla, Jasper, sappiamo entrambi che non è così. Però, permettimi di scusarmi con te. Ho preteso che tu e tutti gli altri vi adattaste a Bella ed è stato mostruoso chiedervelo. Mi spiace di averti portato a questo, credimi”. Edward e Jasper si guardarono negli occhi per qualche istante, accettando entrambi le scuse dell’altro.

“Bella come sta?”, chiese Jasper, preoccupato.

“Sta bene. È con Carlisle ora”.

“Ah, quanto vorrei avere la vostra forza. Sai, Edward, quanto io invidi te e Carlisle? Mi tormento da troppo tempo, ormai. Credevo fosse più semplice adattarmi alla nuova dieta ma è… difficile”. Jasper era stato l’ultimo a convertirsi, incoraggiato da Alice e supportato da tutta la famiglia. Il passaggio dal sangue umano a quello animale non era per tutti immediato, anzi. Richiedeva una gran forza di volontà e Jasper l’aveva dimostrata.

“E’ la prima volta che perdi il controllo. Può accadere e non devi fartene una colpa. Semmai, sono io il vero colpevole qui”, disse Edward a fil di voce. Il silenzio di Jasper confermò al vampiro che le sue paure erano reali.

“La lascerai, vero?”. La domanda di Jasper lo colpì in pieno stomaco.

“Sbaglierei?”

“Non lo so, Edward. Tu e Bella siete davvero unici insieme. Lei ti ama tanto, non ho mai visto un amore così forte. Ma…”

“E’ umana”, Edward concluse la frase di Jasper.

“Già”.

Non c’era via d’uscita da quell’impasse. Fin tanto che Bella rimaneva umana, era in pericolo.

“Perché non la trasformi? Renderebbe tutto più facile per lei, per te… per tutti”. Era la prima volta che loro due affrontavano la questione anzi, era la prima volta che Edward ne parlava seriamente con un membro della famiglia.

“Tornassi indietro, Jasper, e ti venisse data una scelta, cosa faresti? Sceglieresti ancora l’immortalità?”. Jasper non aveva mai pensato a quella cosa: lui era stato trasformato, come tutta la famiglia Cullen, contro la propria volontà. Nessuno gli aveva offerto una scelta.

“Non credo che sceglierei di essere un vampiro, Edward”.

“Era la risposta che mi aspettavo. Ora capisci perché non posso trasformarla”.

 

 

Edward rientrò in casa venendo pervaso dall’odore del sangue di Bella. Carlisle aveva terminato di medicarla e stavano parlando del giorno in cui il dottore aveva deciso di trasformare Edward.

Voleva riaccompagnare a casa Bella, eppure faticava a guardarla negli occhi. Come poteva amarlo fino a quel punto? Fino al punto di passare sopra a ciò che era accaduto quella sera?

Attese che Bella si cambiasse la maglietta aiutata da Alice e rimase immobile accanto alla porta d’ingresso. Esme gli rivolse un sorriso materno al qual non rispose. Nemmeno quando Carlisle gli mise una mano sulla spalla ebbe una reazione. Tutti, in quella casa, sapevano che Edward stava prendendo la decisione più difficile di tutta la sua vita.

Per tutto il tragitto dalla casa al pick up, Edward non proferì parola. Temeva di poter esplodere, di poter dire o fare cose di cui si sarebbe pentito. Ma Bella non poteva rimanergli seduta al fianco senza parlare con lui.

“Dì qualcosa”, lo implorò con le lacrime agli occhi.

“Cosa vuoi che ti dica?”. Era freddo, distaccato. Lui aveva preso la sua decisione e stava convincendo se stesso che fosse la scelta migliore.

“Che mi perdoni per essere stata così… Se fossi stata più attenta tutto questo non sarebbe successo”. Edward scosse la testa, incredulo.

“Bella, se fossi stata a casa di Mike Newton, assieme a Jessica, Angela e agli altri tuoi amici normali, cosa avresti rischiato? Di non trovare le bende? Magari Mike Newton ti avrebbe tenuto la mano mentre ti ricucivano e sarebbe rimasto là senza dover lottare contro l’istinto di ucciderti. Non pensare che sia colpa tua, Bella. Non faresti altro che rendermi ancora più nauseato di me stesso”. Edward aveva dato voce alla propria frustrazione usando un tono più duro di quanto volesse. Eppure, ciò che aveva detto era la verità e, sebbene gli bruciasse come il fuoco, se Bella fosse stata con quel… Newton non le sarebbe accaduto nulla di male.

Continuò a guidare guardando il buio. Era come se una parte di lui lo stesse tenendo lontano da Bella. Era arrabbiato, frustrato, impaurito… ma quella parte, profonda e silenziosa, lo stava condizionando. Ebbe la sensazione di distacco e di rottura.

Giunti casa di Bella, la ragazza insistette per avere un bacio e lui cedette. La baciò con tutto il dolore che gli lacerava l’anima. La guardò addormentarsi fra le proprie braccia, anche lei tormentata.

Nel buio della camera da letto, nel silenzio di Forks, Edward Cullen aveva preso una decisione. Si sarebbe ucciso piuttosto di fare del male a Bella, ma forse poteva darle l’opportunità di essere davvero felice.

Lo sguardo, vuoto e triste si posò su Bella che dormiva con la fronte corrucciata fra le sue braccia. L’amava, più di quanto avesse mai creduto possibile. L’amava a tal punto da farsi da parte. Lamava così tanto da preferirla nelle braccia di un altro piuttosto che in pericolo ancora una volta.

L’amava così intensamente da dirle addio.

 

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Capitolo 4
*** Fine ***


Edward non riuscì a trascorrere l’intera notte con Bella. Mentre lei sprofondava nel sonno profondo, le baciò la fronte e uscì dalla finestra. Doveva prendere aria, doveva riflettere. Stava male, troppo.

In tutta la sua esistenza non avrebbe mai pensato di poter stare così. Ne aveva passate tante ma non aveva mai dovuto rinunciare all’aria stessa. Bella era l’aria, la sua vita, il suo amore… tutto. Sei mesi prima non avrebbe nemmeno pensato di poterle dire addio in modo così doloroso. Ma tutto cambia e lui lo sapeva. Solo non si aspettava che sarebbe cambiato così in fretta.

Non correva fra i boschi ma camminava. Aveva le mani in tasca e guardava per terra. Se mai avesse incontrato un Quileute si sarebbe fatto divorare. Sarebbe stato meglio. Mentre camminava pensava a cosa avrebbe detto a Bella. Scosse la testa sprofondando in un dolore che lacerava l’anima. Pensava e ripensava a diversi modi per dire che l’avrebbe lasciata, ma non riusciva a trovarne uno che lo facesse stare meglio: avrebbe detto addio a Bella e sarebbe morto per sempre.

Si sedette ai piedi di un grande albero, tenendo in mano un filo d’erba fiocamente illuminato dalla luce della luna. Se lo rigirava fra le mani mentre la sua mente vagliava possibilità assurde. Come si può dire addio all’amore? Come si fa a dire addio senza soffrire o far soffrire? Diede un pugno sul terreno, lasciando un buco nel quale avrebbe voluto seppellirsi. Avrebbe desiderato morire lì, quella stessa notte, per non dover affrontare l’indomani. Guardò la luna. Era una luna vecchia, ricca di ricordi e speranze, di amore e di felicità. Quella che avrebbe guardato la sera seguente, sarebbe stata diversa, sarebbe stata nuova. Una nuova luna, un nuovo inizio e una nuova vita. Almeno per Bella. Per lui sarebbe stata una luna carica di un nuovo dolore e avrebbe dovuto imparare a conviverci.

Le prime luci dell’alba lo destarono dai suoi stessi tormenti. Guardò il cielo farsi grigio segno che l’addio era vicino. Grigio come la morte; grigio come il suo umore. Il grigio non è un colore definito ma un non colore. Non è niente, come Edward Cullen senza Bella Swan. Niente.

Non si cambiò d’abito, semplicemente prese l’auto e andò a scuola. Faceva movimenti meccanici senza prestarci attenzione e quando incrociò lo sguardo di Bella ringraziò l’immortalità per impedirgli di piangere. Le aprì lo sportello del pick up e l’aiutò a scendere.

“Come ti senti stamattina?”, le chiese cercando un’inclinazione naturale della voce.

“Splendidamente”. Mentiva. Edward non poteva leggerle nel pensiero ma non era uno stupido: Bella aveva capito che c’era qualcosa che non andava.

Camminarono in silenzio, uno accanto all’altro finché non dovettero separarsi per le lezioni. Edward seguì l’orario come un automa: senza espressioni, senza interessa e senza vita. Così andò avanti l’intera mattinata e la giornata scolastica, fino a quando si incontrarono nuovamente per andare verso le macchine.

“Puoi venire più tardi, stasera?”, gli chiese Bella. Nessuno dei due sapeva come affrontare quei lunghi silenzi e la ragazza cercò di parlare come se fosse tutto normale. Ma non era così.

“Più tardi?”

“Oggi lavoro, devo restituire alla signora Newton la giornata libera di ieri”.

“Ah”. Edward ebbe come un’illuminazione: forse quella sarebbe stata l’occasione per fare in modo che lui non fosse mai esistito.

“Però, quando torno a casa puoi venire, d’accordo?”, incalzò Bella.

“Se vuoi, ci sarò”. Edward lesse la frustrazione negli occhi di Bella e capì che stava soffrendo. Eppure, non solo lui aveva già preso la decisione ma aveva anche appena compreso come l’avrebbe resa reale. Bella uscì dal parcheggio mentre Edward la guardava. Ciò che entrambi videro fu un riflesso nell’acqua, un ricordo di ciò che una volta furono.

********    

Edward entrò dalla finestra, facendo attenzione a non rovinare nulla. Si fermò, in piedi, a guardare il letto. Inspirò profondamente l’odore di Bella per ricordarselo, per imprimerlo nella sua mente. Si sdraiò e mise il viso sul cuscino, premendo forte. Sentiva un dolore indescrivibile mentre con la mente vagava per i ricordi: la prima volta che l’aveva vista, la prima volta che l’aveva baciata… la prima volta che le aveva salvato la vita. L’unica in cui lui non avesse colpa. Aprì gli occhi: doveva fare ciò per cui era venuto. Si rialzò e si diresse verso lo stereo, estraendo il cd che lui stesso le aveva masterizzato e se lo mise in tasca. Tolse dalla camera qualunque cosa avesse a che fare con lui ogni singolo ricordo.

Lui doveva scomparire.

Sarebbe stato come se lui non fosse mai esistito.

Per ogni cosa che toccava, un ricordo lo avvolgeva e una nuova fitta gli toglieva la vita. Aveva un dolore immane, il peggiore che avesse mai provato. E sarebbe stato peggio quando avrebbe dovuto affrontare Bella.

Il tempo passa in fretta quando si vorrebbe fermarlo. Edward uscì dalla camera e tornò a casa per prendere la sua auto e tornare a casa di Bella, dove s’incontrarono. Lui si prese qualche istante prima di scendere dalla Volvo: strinse il volante e cercò di ricacciare indietro il nodo che sentiva premere la gola. Sapeva che nel momento stesso in cui sarebbe sceso dall’auto avrebbe dovuto fingere. Fingere che non gli importasse, fingere che andasse tutto bene. L’unica speranza era che finisse in fretta e che Bella credesse alla sue parole.

Mise un piede fuori dalla Volvo con la morte che lo pervadeva. Sapeva che se fosse stato umano, avrebbe cominciato a tremare e a piangere, e per questo ringraziò l’immortalità. Le andò incontro senza espressione, trattenendo il respiro.

“Facciamo una passeggiata?”. Lo chiese con freddezza, non perché fosse indifferente ma perché si era calato nella parte. Lui non era più Edward Cullen follemente innamorato di Bella, almeno non in quel momento, ma era il vampiro che con razionale freddezza stava lasciando ad una mortale la possibilità di continuare a vivere.

Insieme e in silenzio, si diressero nel bosco proprio dietro casa di Bella. Edward continuava a guardare davanti a sé raccogliendo tutto il coraggio che poteva trovare. Quando si fermarono, lui incrociò lo sguardo di lei.

“Bene, parliamo” gli disse. La forza e il coraggio di Bella lo sorpresero e gli diedero la forza. Era giunto il momento. Stava per morire. Quasi tutto d’un fiato parlò.

“Bella, stiamo per andarcene”. Edward parlò telegrafico, senza alcuna inclinazione. Ciò che non mostrava all’esterno era il volto di un ragazzo che gridava dal dolore.

“Perché proprio adesso? Ancora un anno…”

“E’ il momento giusto”, la interruppe bruscamente. “Per quanto tempo credi potremmo restare ancora a Forks? Carlisle dimostra appena trent’anni e già ne deve dichiarare trentatrè. Comunque vada, non passerà molto tempo pima che ci tocchi ricominciare da capo”. Era vero: non avrebbero comunque potuto rimanere a Forks ancora a lungo. Faticavano a dimostrare l’età che dichiaravano e, presto, avrebbero dovuto lasciare quel posto per poi ricomparire un centinaio d’anni dopo.

“Hai detto stiamo…”. Bella lo disse sussurrando e lui si sentì male.

“Sì, intendo la mia famiglia ed io”. Edward dovette scandire ogni singola parola per non tentennare con la voce. Sperava che Bella capisse. Desiderava che tutto finisse al più presto.

“Okay”, disse Bella, “Verrò con te”. Edward maledisse se stesso. Scavò a fondo cercando un appiglio per non crollare.

“Non puoi, Bella. Dove stiamo andando… non è il posto giusto per te”. Non sapeva cosa dire. Non voleva risultare arrabbiato ma neppure concedere a Bella la possibilità di intravvedere uno spiraglio per loro due insieme.

“Il mio posto è dove sei tu”. Ogni sicurezza, ogni tentativo di resistere, crollò nell’istante stesso in cui Bella pronunciò quella frase. Lei lo amava quanto lui la amava e in quel momento Edward comprese che sarebbero stati in due a morire quel giorno. Ma la morte di Bella sarebbe stata per lei un nuovo inizio. Lui le stava dando una possibilità di essere felice, quella stessa possibilità che stava negando a se stesso. Edward non avrebbe più conosciuto la gioia né l’amore, perché entrambi erano con Bella.

“Non sono la persona giusta per te. Il mio mondo non è fatto per te”. Ad ogni parola vedeva il dolore riflesso negli occhi della ragazza. Avrebbe voluto abbracciarla, accarezzarla… baciarla. Ma non poteva. Doveva continuare ciò che aveva iniziato faticosamente.

“L’hai promesso! A Phoenix hai promesso di rimanere…”. La sua voce era strozzata e annaspava in cerca d’aria.

“Fino a quando fosse stata la cosa migliore per te”.

“NO! Non dirmi che il problema è la mia anima! Prenditi pure la mia anima, non mi interessa! Senza te non mi serve: è già tua!”. Quelle parole bruciavano nel petto di Edward. Quanta forza, quanto amore stava urlando Bella! Ma lui non poteva… non voleva rimanere lì. La sua vicinanza non avrebbe fatto altro che portarla verso la morte. No. Doveva lasciarla e fare il suo bene, ma per farlo avrebbe dovuto affondare sempre di più il colpo nel suo cuore sanguinante.

“Bella, non voglio che tu venga con me”. Ecco, l’aveva detto.

“Tu… non… mi vuoi?”

“No”. Edward avvertì il tempo fermarsi. La vita si era ritirata dal proprio corpo così come dal mondo che lo circondava. Quel rifiuto era quanto di più doloroso potesse dirle e nel farlo aveva confermato la propria morte. Lei rimase in silenzio. Aveva un sofferenza negli occhi che Edward non aveva mai visto ed era stato lui a dargliela. Forse, però, era la prima volta in cui farle del male l’avrebbe aiutata.

Edward continuava a ripetersi che lo stava facendo per lei, per salvarle la vita. Cercava di aggrapparsi a quella convinzione come un naufrago si attacca ad un pezzo di legno galleggiante nel mare in tempesta. Sarebbe stata l’ultima volta che la guardava negli occhi.

“Posso chiederti un favore, se non è troppo?”.

“Tutto quello che vuoi…”

“Non… non fare niente di insensato o stupido”. Improvvisamente, Edward sentì la testa giragli.

“Lo farò”.

“In cambio, ti faccio anch’io una promessa. Prometto che sarà l’ultima volta in cui mi vedi. Non tornerò. Non ti costringerò mai più ad affrontare una situazione come questa. Proseguirai la tua vita senza alcuna interferenza da parte mia. Sara come se non fossi mai esistito”.

Bella fece per abbracciarlo. Lui avrebbe voluto stringerla a sé, gridarle quanto l’amava! Avrebbe preferito mille volte morire piuttosto che sopravvivere senza di lei, ma sarebbe stata una scelta egoista. Lui non l’avrebbe resa felice. Con forza estrema le prese le mani e le riavvicinò ai suoi fianchi.

“Fai attenzione” le disse, mentre lei chiudeva gli occhi. Edward posò delicatamente le sue labbra sulla sua fronte e assaporò il suo profumo. Sarebbe stata l’ultima volta. La memoria di un umano guarisce in fretta, basta un po’ di tempo. Lei si sarebbe ripresa… Lui no. Non avrebbe mai dimenticato la sua Bella.

Soffrendo, si costrinse a voltarsi e a correre. Corse verso la macchina, la mise in moto e corse via. Prese a pugni il volante, si prese a schiaffi. Urlava, Edward, incapace di piangere e di sfogare il dolore.

Urlò come mai aveva fatto.

Urlò come mai avrebbe pensato di fare.

Edward Cullen moriva quel giorno assieme al sogno di vivere per sempre assieme a Bella.

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Capitolo 5
*** Ottobre ***


Edward guardava le montagne innevate che abbracciavano la casa di Denali. I suoi pensieri avevano una costante, un punto fermo attorno al quale giravano vorticosamente: Bella. Non era facile dimenticare e, a dire il vero, non ci aveva nemmeno provato. Non voleva che l’odore di Bella venisse cancellato dalla sua memoria né che il volto di lei sparisse nella nebbia del tempo. Edward Cullen ripassava ogni piccolo tratto del suo viso, delineandolo con piccoli gesti delicati nell’aria davanti a sé, immaginando che lei fosse davanti a lui. Nessuno della famiglia aveva avuto il coraggio di parlare con lui di quanto era successo. Soprattutto Jasper. Il vampiro si sentiva profondamente colpevole di aver distrutto la felicità di Edward e non riusciva a guardarlo negli occhi. Edward aveva provato a fargli capire che lui non aveva più colpe di quanto egli stesso non sentisse di averne, ma Jasper non superò la cosa. Perfino Alice si tenne a distanza da Edward: anche lei soffriva la lontananza con Bella e non si sentiva la persona migliore, in quel momento, per consolarlo.

Il clan di Denali era quanto di più vicino alla famiglia Cullen esistesse. Carlisle aveva deciso di andare a chiedere “asilo” mentre discutevano sul da farsi. La famiglia era composta da tre donne e una coppia. Eleazar e Carmen, e tre sorelle: Tanya, Kate e Irina. Condividevano con i Cullen l’alimentazione animale ed erano tutti caratterizzati dai tipici occhi ambrati. Edward non aveva legato con nessuno in particolare: semplicemente lasciava che la vita scorresse, ora dopo ora, nell’attesa dell’eternità. Eppure, c’era chi sosteneva una certa simpatia di Tanya nei suoi confronti: la vampira non ne fece mai un eccessivo segreto. Edwrad era bello, era in gamba e a lei piaceva. Ma lui non condivideva alcun interesse sebbene, per sua stessa ammissione, fosse una donna eccezionalmente bella.

Edward soffriva di un male che non avrebbe trovato cura. Nessuna donna avrebbe mai potuto prendere il posto di Bella nel suo cuore morto e questo era un fatto evidente anche a Tanya. Perciò, la vampira si limitava ad alcune carinerie e accortezze, nella speranza, un giorno, di poter prendersi un piccolo posto in quel cuore legato a Bella.

Le giornate si svolgevano per lo più identiche fra loro: Edward fissava le montagne, correva per i boschi e rincasava rinchiudendosi in se stesso. Ogni singola alba era accompagnata dall’idea di tornare a Forks e guardare Bella da lontano. Gli sarebbe bastato anche solo uno piccolo e breve scorcio sulla sua vita, sapere come stava e, soprattutto, sapere se le mancava. Aveva paura di non mancarle. Era terrorizzato dall’idea di trovarla felice. Forse era per questo motivo che non si azzardava a tornare a Forks, per il timore di trovarla sorridente. Ma non era questa la ragione per cui le aveva detto addio? Non voleva che lei si rifacesse una vita? Eppure, fra il dire e il fare c’era di mezzo il baratro della consapevolezza che Bella si fosse adattata rapidamente alla sua assenza.

Edward guardava le montagne innevate e cercava la forza di resistere al richiamo di Forks. Non era distante, in tempi di corsa vampireschi, e avrebbe raggiunto Bella in meno di un’ora se avesse voluto. Trattenersi era quanto di più difficile trovava in quella nuova situazione. Non era la solitudine a spaventarlo ma l’assenza. Sapere che fino a qualche giorno prima aveva tutto e ora non aveva più nulla lo straziava.

“Non ti fa bene”. La voce di Tanya lo fece rinsavire dai suoi pensieri distorti. La vampira era in piedi alle sue spalle e lo guardava con affetto. Edward non ci mise molto a leggerle nei pensieri e capire ciò a cui si stava riferendo.

“Lo so. Ma non posso smettere di pensare a lei”. Era monocorde, Edward, senza alcuna inclinazione, come se fosse un automa. La vampira gli si avvicinò: era sinuosa ed elegante. Edward pensò che era davvero bella e che, comunque, non sarebbe bastato.

“Ah, l’amore. Che cosa difficile”. Tanya disse quelle parole con la disillusione di chi, nel tempo, ha perso ogni speranza.

“Ti sei mai innamorata, Tanya?”, le chiese il vampiro.

“Io? No. Non credo almeno. Ho provato attrazione per molti uomini, devo ammetterlo, ma non ho mai perso me stessa per un’altra persona che non fossi io”. Tanya non aveva mai avuto un compagno e sembrava non volerlo cercare. Ogni sua conquista era, per l’appunto, una conquista e nulla di più.

“E tu sei convinto che ne valga la pena? Perdere se stessi intendo”. Edward tacque.

“Ti vedo, sai? Mentre ti tormenti e cerchi con tutte le tue forze di stare lontana dall’umana”.

“Bella. Si chiama Bella” la rimproverò Edward, infastidito dal termine umana. Lei sorrise.

“Ma è questo quello che lei è, Edward, un’umana. Forse se tu ti guardassi fra la tua specie non avresti di questi problemi”. Il vampiro la guardò di sottecchi: era la prima volta che si faceva così esplicita. Perché non si rassegnava all’idea che lui non la vedeva come lei avrebbe voluto?

“Tanya, ti prego”. Lei sbuffò.

“Potremmo anche solo divertirci un po’”, disse mentre si alzava per andarsene. “Magari potresti stare bene per qualche ora”.

Edward voleva ribattere ma Tanya era già rientrata. Che avesse ragione? Era vero il detto che chiodo scaccia chiodo? Con una vampira non avrebbe dovuto trattenersi e Tanya era bella. Eppure c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quei pensieri che lo fece sentire in colpa anche il solo formularli.

Tornò a guardare le montagne. Quel giorno sarebbe stato uguale a tutti gli altri, ma su una cosa Tanya aveva ragione: stava perdendo se stesso.

 

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Capitolo 6
*** Novembre ***


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Due mesi. Edward era riuscito a rimanere lontano da Forks solo per due miseri mesi. Correva verso sud, verso quei boschi che sapevano di casa e di Bella. Era sbagliato, tremendamente sbagliato, ma non gli importava. Avrebbe guardato da lontano la sua Bella, senza interferire, senza che lei potesse accorgersene. Non resisteva più a non sapere cosa stesse facendo e, soprattutto, come stesse. E sebbene la paura di trovarla felice lo attanagliasse riuscì comunque a correre, incurante di tutto, incurante di Alice che urlava il suo nome.

“Edward! Fermati!”. La vampira correva dietro di lui cercando di bloccare quel malsano tentativo. L’aveva visto qualche istante prima che lui uscisse dalla casa di Denali. Non era servito a nulla urlare il suo nome: lui era già lontano. Così si mise a rincorrerlo, tentando di portare un po’ di lucidità nei pensieri tormentati di Edward.

“Ti prego, lasciami andare”. Edward sembrava implorare, voleva ricevere una grazia che Alice non avrebbe potuto concedergli.

“Almeno parliamone. Poi potrai scegliere”. L’ultimo baluardo: una richiesta accorata e ragionevole alla quale Alice si aggrappò con tutte le sue speranze. Edward si fermò dandole ascolto.

“Cosa?”, domandò frustrato. Alice si fermò proprio accanto a lui, guardandolo con rimprovero e dolore.

“Hai promesso, Edward. Le hai detto che non saresti più tornato! Ora non puoi presentarti a Forks e se lei ti dovesse vedere? Ci hai pensato?”. Il rimprovero della sua voce era pari solo a quello che aveva nella testa. Edward cominciò a camminare come un leone in gabbia cercando una possibile soluzione.

“Non mi vedrà”, sussurrò appena, forse più a se stesso che alla sorella. Alice scosse il capo.

“No, Edward. Non puoi rischiare… se tu… se la dovessi vedere…”

In quel momento di difficoltà Edward comprese che Alice sapeva qualcosa. C’era troppa preoccupazione nelle sua voce: lei gli stava nascondendo la verità.

“Cosa… sai, Alice? Perché tutta questa paura? Sai bene quanto sia capace di avere autocontrollo perciò spiegami qual è il motivo della tua paura”. Alice abbassò i suoi occhi ambrati. Per quanto fosse abituata a nascondere i propri pensieri a Edward, non era mai stata molto brava con le emozioni. In effetti, la sua reazione era stata troppo forte, perfino per lei.

“Edward, non c’è niente che ti sto nascondendo…”

“Stronzate!”. La voce del vampiro era diventata un tuono. Aveva ruggito come mai prima d’ora lasciandosi andare ad uno sproloquio che in rare occasioni aveva avuto modo di sentire. Era furioso. Da due mesi cercava di trovare la forza necessaria per stare lontano da Forks e sua sorella sapeva qualcosa che gli avrebbe fatto male. La guardava negli occhi cercando di scalfire quel muro che Alice si era costruita per occludere i propri pensieri. La mascella serrata, gli occhi neri… erano settimane che non si nutriva. Le mani si chiusero a pugno mentre cercava di penetrare nei pensieri di Alice che tentava di resistere. Edward non aveva mai usato il suo potere in quel modo, non aveva mai cercato di obbligare la lettura. A dire il vero, nessuno dei Cullen aveva mai pensato che il potere di Edward potesse essere coercitivo.

“Edward, ti prego”. Alice cercava con tutte le sue forze di farlo smettere, ma lui non ne voleva sapere. Non aveva mai visto Edward in quelle condizioni: la lontananza da Bella, la sofferenza… l’avevano reso diverso.

La barriera cedette. Edward riuscì ad entrare nei pensieri di Alice che in tutto quel tempo lontana da Forks non aveva mai smesso di guardare Bella. E lui la vide…

Bella sola, nella sua stanza, che guarda apatica il mondo. Bella che scrive lettere ad Alice. Bella che urla nel cuore della notte e Charlie che accorre per consolarla. Bella che non parla. Bella che non vive.

“Che cosa ho fatto?”. Edward si mette in ginocchio affondando le mani nella terra fredda del bosco. Si aggrappa al suolo mentre vorrebbe solamente dilaniare il mondo. Bella sta male e per colpa sua. Non pensava possibile che lei soffrisse così.

“Edward. Ascoltami. Tutta quella sofferenza è necessaria. Lei riuscirà a dimenticarti ma devi darle tempo”.

Tempo. Voleva solo correre a Forks, abbracciare Bella e chiederle perdono per ciò che aveva fatto. Era riuscito a rovinare la cosa più bella che gli fosse capitato e non si dava pace.

“Se le succedesse qualcosa, io…”. Non aveva parole e non aveva mai pensato che lui potesse infliggerle così tanto dolore. La sua Bella. La sua vita.

Si alzò nuovamente e si voltò in direzione di Forks.

“Non farlo, Edward”. Era l’ultima preghiera di Alice.

“Perdonami, almeno tu. Perché io non ci riesco”, disse senza nemmeno voltarsi. Poi in un secondo era già lontano, nei boschi.

 

**********       

 

Era notte fonda quando Edward giunse sull’albero dal quale molte volte aveva osservato casa Swan. Forks dormiva silenziosa, cullata nella notte senza luna. Si era appoggiato ad un ramo, sporgendosi leggermente in avanti e guardando in direzione della camera di Bella. La luce era accesa. Velocemente, si avvicinò alla casa spiando dalle finestre il soggiorno. La televisione mandava una replica di una partita di football mentre Charlie dormiva tenendo la mano sul telecomando. In un attimo Edward fu alla finestra di camera di Bella. Si sporse leggermente per poter spiare l’interno.

Bella era sdraiata a letto. I suoi capelli erano sciolti e accarezzavano il cuscino. Edward sentì la voglia irrefrenabile di avvicinarsi, di toccarla. Cercò di capire con la mano se la finestra fosse aperta. Lo era. Dopo due mesi Bella dormiva ancora con la finestra aperta.

Muovendosi silenziosamente scivolò all’interno.  L’aria sapeva di lei mentre il suo respiro giungeva alle proprie orecchie, melodioso. Rimase fermo a guardarla. L’amava con tutto se stesso e si sentiva morire. Avrebbe voluto svegliarla e dirle che sarebbe rimasto con lei per sempre, abbracciato sul letto per proteggerla. Voleva solo dirle che l’amava e che non l’avrebbe mai dimenticata.

“Edward”. La voce di lei lo fece sussultare. Aveva appena pronunciato il suo nome con dolore. L’aveva sentito? Si era accorta di lui?

Cominciò a piangere nel sonno. Singhiozzi violenti che sembravano lacerarle l’anima. Non poteva vederla così… non riusciva. Mosse un passo verso di lei e in quel preciso momento lei urlò. Vi erano dolore e disperazione in quel grido urlato dal profondo e con esso Edward si sentì sprofondare. Sentì i passi svelti di Charlie lungo le scale e scelse di andarsene. Riuscì ad uscire dalla finestra appena in tempo, prima che l’uomo aprisse la porta e abbracciasse la figlia, per svegliarla.

Bella si strinse nelle braccia del padre, piangendo a dirotto e domandando perché.

 

 

Dopo pochi chilometri di corsa, Edward si fermò. Tirò un pugno ad un albero che si abbatté a terra, violento. L’urlo di Bella era ancora nelle sue orecchie e mai se ne sarebbe andato.

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Capitolo 7
*** Novembre parte 2 ***


Quasi d’istinto, oppure d’abitudine, Edward cambiò strada e si diresse a casa Cullen nei boschi poco fuori Forks. Non riusciva a mandare via quel senso di colpa e di oppressione per aver causato tutto quel male a Bella e ripararsi all’interno di un ambiente famigliare sembrò la soluzione migliore. Tornare a Denali era fuori discussioni, almeno per un po’. Non voleva rivedere Alice e di certo non aveva voglia di parlare con Carlisle o Esme di quello che era successo. Tanto sapeva perfettamente cosa gli avrebbero detto. Carlisle lo avrebbe invitato alla riflessione, Esme lo avrebbe guardato come si fa con un cucciolo ferito e Alice… beh avrebbe avuto l’aria del “te lo avevo detto” che, di certo, non avrebbe digerito bene.

Edward doveva e voleva rimanere solo. Per prima cosa, avrebbe dovuto imparare il senso del “prendersi la responsabilità” delle proprie azioni: aveva lasciato Bella per un motivo preciso e doveva fare sì che tutto quel dolore che lui… che lei, provava avesse un senso. Secondariamente, doveva imparare ad essere un uomo e smetterla di piangersi addosso per ogni sventura. Senza Bella doveva imparare ad essere un vampiro diverso, migliore, per quanto possibile. Si sedette al pianoforte, accarezzandone i tasti dolcemente. Amava suonare anche se l’ultima volta che l’aveva fatto era stato per Bella. Guardava i tasti bianchi e neri che rilucevano alla luce del nuovo giorno che stava illuminando Forks. Lentamente si mise a suonare la ninna nanna di Bella…

Ad ogni nota il dolore cresceva fino ad esplodere nel petto. Riviveva ogni singolo momento trascorso assieme a lei, e per ogni ricordo ne associava un altro nel quale aveva messo in pericolo la vita della ragazza. Sperava in un qualche modo di dare un senso concreto alla fine della loro storia, convincendosi che la scelta fosse stata la migliore. Nessuno avrebbe potuto dirgli come superare quel momento. Nessuno, a parte se stesso.

Sbagliò nota: un suono stonato ruppe l’atmosfera. Edward prese quell’errore come un segno. Stava dimenticando…

Rimase a Forks per tutto il giorno girovagando per casa. Si sdraiò in camera sua ascoltando qualche vecchio cd e cercando di liberare la mente dalla presenza di Bella. La musica sfumò delicata fino a finire lasciando la camera e l’intera casa nel silenzio. Sbuffò. Per quanto avesse cercato il silenzio dai ricordi gli sembrò di sentire l’odore di Bella. Inspirò profondamente lasciandosi trasportare da quel profumo così dolce che la memoria gli stava ricordando. Poi, aprì gli occhi di colpo. Non era un ricordo… era l’odore di Bella. Era lì.

Velocemente si appostò dietro una finestra e scrutò fuori. Eccola. Vide la ragazza avanzare cauta verso il vialetto di casa Cullen, con lo zaino in spalla e i capelli sciolti tenuti in ordine solo da un cerchietto. Si fermò all’altezza del primo gradino e guardò la casa. Edward sapeva che non avrebbe potuto vederlo, eppure rimase immobile dietro la tenda, confidando nel riverbero del vetro per sfuggire allo sguardo implorante della ragazza. La guardò. I suoi occhi erano tristi e vuoti, scavati da notti insonni e lacrime. Era dimagrita? Sembrava emaciata, sofferente… solo un pallido ricordo della Bella che era fino a qualche mese prima. Ed era colpa sua.

La ragazza guardava la casa cercandovi segni di vita. Edward non poteva leggerle nel pensiero eppure sentiva di comprendere perfettamente i suoi sentimenti. Sperava di trovare qualcuno? Sperava di poterlo rivedere? La guardò piangere silenziosa mentre i loro occhi, all’insaputa di lei, si stavano incrociando. Edward era lì a pochi metri, ma rimase fermo.

Doveva imparare ad essere un uomo, a prendersi le responsabilità delle proprie azioni. E doveva cominciare da subito.

Bella girò le spalle e tornò da dov’era venuta mentre Edward allungò una mano come per cercare di accarezzarle la spalla.

*******************************************************************************

Era notte quando, finalmente, si decise a tronare a Denali. Diede un ultimo sguardo alla casa sorridendo amaro. Addio pensò fra sé. Probabilmente sarebbero trascorsi un centinaio di anni prima che rimettesse piede là dentro per cui si godette quell’arrivederci per qualche istante.

Camminava tranquillo tra i boschi in direzione nord, canticchiando fra sé una vecchia canzone che tanto piaceva a sua madre, quando udì qualcosa. Sembrava un ramo spezzato. Con un balzò salì sopra un albero dal quale avrebbe goduto di una buona visuale. Dopo alcuni secondi dalla parte opposta rispetto a quella dalla quale stava camminando, sbucarono quattro grossi lupi. L’alfa, un lupo dal pelo nero, si fermò annusando l’aria. Quileute, pensò il vampiro, e quello deve essere Sam. Rimase immobile, senza emettere il minimo rumore mentre leggeva i pensieri di quei cagnacci.

Sam, credi che sia passato di qua?

Sì. Ma credo fosse un Cullen.

Strano. Jacob dice che se ne sono andati.

Un ringhio cupo accompagnò lo sguardo dell’alfa.

Ti fidi dei Cullen?

Un guaito di sottomissione.

Tra poco saremo in tanti. Lo sento. Jacob è vicino alla trasformazione, manca poco.

Quando sarà un lupo sai che palle, eh Sam?

Il lupo nero sembrò ridere.

Eh già, sarà tutto un Bella di qua e Bella di là…

Andiamocene, evidentemente mi devo essere sbagliato sulla scia.

In un attimo i lupi in formazione si dispersero nel buio della foresta.

 

Edward rimase inebetito per alcuni istanti. Perché quel Jacob pensava a Bella? Credeva davvero di potergli rubare la ragaz… fermò i pensieri. Lui non era il fidanzato di Bella e sei lei fosse riuscita a trovare la felicità con quel Quileute tanto meglio. Eppure i suoi denti digrignavano solo all’idea.

Scese dall’albero e cominciò a correre verso Denali. Sarebbe tornato a Forks, di tanto in tanto, giusto per capire se Bella e Jacob… Sì, sarebbe tornato e di nascosto avrebbe guardato la loro felicità.

Eppure un senso di morte lo pervadeva in ogni fibra del suo essere perché, finalmente o purtroppo, stava lasciando andare Bella.

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Capitolo 8
*** Dicembre ***


Capodanno. Edward guardava la folla passare festeggiando il nuovo anno dal suo appartamento a Rio e i pensieri, come sempre, furono solo per lei, Bella. Si era trasferito nella grande e caotica città brasiliana poco dopo essere ritornato Denali. La scelta non era stata accettata di buon grado dalla sua famiglia ma Edward aveva bisogno di spazio e solitudine per rimettersi in carreggiata. L’aver visto Bella in quelle condizioni l’aveva destabilizzato nel corpo e, soprattutto, nell’animo e a nulla valsero le preghiere di Carlisle ed Esme. I suoi genitori putativi erano in pensiero per lui e temevano gesti poco razionali. Sebbene Edward fosse, a detta di tutti, un vampiro con la testa sulle spalle, più volte aveva accarezzato l’idea dell’Italia e questo alla sua famiglia non piaceva.

Un fuoco d’artificio lo fece tornare alla realtà. Era mezzanotte e l’anno nuovo veniva salutato con musiche e danze. Edward scostò la sottile tenda bianca che lo separava dal mondo e si sporse sul davanzale. Le persone, gli esseri umani, sapevano essere felici nonostante la loro vita fosse solo un piccolo bagliore in un’eternità di buio, mentre lui non poteva fare a meno di essere triste. Da quando aveva lasciato per sempre Forks, dicendo addio a Bella, qualcosa si era rotto e lui sapeva che non si sarebbe mai ripreso del tutto. Aveva bisogno di tempo ma l’infinito non sarebbe bastato.

Una giovane donna incrociò lo sguardo con il suo. Era bella nella sua carnagione meticcia, i capelli neri mossi che erano stati raccolti in una semplice coda. Danzava a ritmo di musica tenendo gli occhi puntati su quelli del vampiro. Edward sorrise. Nei pensieri della ragazza scorrevano immagini di festeggiamenti prolungati che in un altro tempo e in un altro spazio l’avrebbero imbarazzato. Ma in quel momento gli sembrarono un diversivo interessante. Sarebbe mai riuscito a dimenticare Bella? Avrebbe trovato altre donne?

Edward era sicuro di no, che non sarebbe riuscito a dedicarsi ad un’altra se non al fantasma di Bella. L’amore, quello vero, bussa alla nostra porta una volta sola e se non sentiamo o lasciamo che passi oltre l’avremo perso per sempre. Questo era ciò che gli aveva detto una volta Jasper quando, insieme, guardavano il cielo notturno a Denali. Edward non aveva mai pensato che fra loro potesse nascere un’amicizia grande: erano diversi sebbene i modi e l’educazione fossero simili. Jasper era stato un soldato, aveva esperienza nelle battaglie e il suo passato l’aveva temprato fin troppo nell’arte della strategia. Edward non riusciva a pianificare nulla che potesse essere più in là di cinque minuti. Eppure, Jasper aveva sempre avuto ottimi consigli per lui e quella frase, sussurrata davanti alla Luna, si era incisa nella propria mente a fuoco vivo. Aveva incontrato l’amore, l’aveva sentito bussare e aveva aperto la porta. Eppure, si era ritrovato a dover richiudere quel battente con doppia mandata e accettarne la perdita sperando di potersi perdonare.

Il suo cellulare cominciò a vibrare nella tasca dei pantaloni di lino beige.

“Sì?”

“Ciao Ed! Buon anno!”. Era la voce di Alice, squillante e felice come sempre.

“Buon anno anche a voi”. Non c’era entusiasmo nelle sue parole, solo un ripetere meccanico e sciapo. “Dove siete?”, domandò, sperando di poter cambiare discorso. Non aveva mai amato la notte di San Silvestro e quell’anno era particolarmente difficile da accettare.

“A Denali”, rispose Alice. Edward era stato il primo a lasciare il clan “cugino”, seguito da lì a breve da Carlisle ed Esme che si erano rifugiati in Europa.

“Che si dice?”. A volte parlare del più e del meno lo aiutava a non pensare.

“Nulla di importante. Si è aggiunto un nuovo membro, Laurent… ti ricordi?”. In un secondo le immagini dei tre nomadi che avanzavano sul diamante il giorno della partita di baseball si fecero nitide davanti ai suoi occhi. Ringhiò.

“Edward… non c’è bisogno che ti arrabbi così. È cambiato, sai? Ora vuole integrarsi con gli umani e far parte del clan. Credo che ci sia del tenero fra lui e Irina”

Forse Alice aveva ragione, forse doveva semplicemente mettersi alle spalle tutto quello che era successo e andare avanti così come tutti riuscivano a fare. Inconsciamente strinse il pugno.

“Cosa hai intenzione di fare? Vagherai ancora un po’ oppure torni?”

Edward si prese qualche secondo prima di rispondere sebbene sapesse già cosa dire.

“Alice, più rimango lontano da lei meglio è. Non passa giorno in cui non vorrei tornare a Forks e abbracciarla. A proposito, sai qualcosa?”. Edward si detestò nell’attimo stesso in cui pronunciò quell’ultima domanda. Per dimenticare bisogna smettere di domandare.

Dall’altro capo del telefono Alice sospirò.

“Sembra si stia riprendendo”. Non era convinta ma Edward finse di crederci.

“Bene”, chiosò.

“Io Jasper siamo in partenza. Credo che andremo a Isola Esme… ci vediamo lì?”. Isola Esme si trovava poco distante da Rio e non era certo un caso che Alice avesse scelto quella meta.

“Non credo, Alice. Posso chiederti un favore?”

“Certamente”, Edward notò la leggera inflessione delusa nel tono di voce della vampira dopo il suo rifiuto a incontrarsi.

“Potresti non dire nulla a Laurent di me e di… Bella? Ho uno strano presentimento…”

Edward non avrebbe saputo come spiegarlo, ma una parte di lui sembrava essere costantemente in pensiero per Bella. A volte aveva l’impressione che la ragazza avesse bisogno di lui, che gli comparisse davanti agli occhi. Non si fidava di quel Laurent, soprattutto dopo quanto era accaduto quel giorno. Loro avevano ucciso James.

“Non abbiamo mai parlato di quello che è successo, Edward. Laurent non sa che hai lasciato Bella”. In un certo senso Edward si sentì sollevato.

“Bene, allora. A presto Alice” e riagganciò la conversazione. Edward guardò per qualche istante il display del cellulare attendendo che la retroilluminazione si spegnesse e cercò con lo sguardo la ragazza di prima. Non era più là. Probabilmente aveva trovato qualcuno con cui festeggiare.

Si sedette sulla poltrona accanto al letto, avvolto dal buio. Il fatto che quel nomade fosse così vicino a Bella lo preoccupava ma non sapeva cosa fare. Tornare a Denali avrebbe implicato ammettere che lui non la frequentava più e non voleva far sapere a Laurent che la ragazza era sola.

Promettimi che non farai nulla di insensato. Gli tornarono in mente quelle ultime parole sussurrate a Bella il giorno in cui si erano lasciati per sempre. Sperava con tutto se stesso che lei le tenesse sempre a mente, che tenesse fede a quella promessa. Eppure, c’era qualcosa dentro di lui che lo tormentava. Temeva che Bella avesse bisogno di lui, che in un modo o nell’altro potesse accaderle qualcosa. Poi, i suoi pensieri cambiarono rotta e andarono su Jacob. A detta del branco si stava trasformando ed era innamorato di Bella… forse avrebbe potuto vegliare su di lei, sebbene un lupo non fosse mai affidabile. Ma ciò bastò per tranquillizzarlo. Bella non era sola, c’era Jacob con lei e, per quanto quell’idea lo facesse impazzire, era la sola cosa che lo potesse tenere alla larga da Forks e si aggrappò con forza.

Non devo tornare a Forks.

Forse, non avrebbe mai smesso di ripeterselo.

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Capitolo 9
*** Gennaio o forse Febbraio ***


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I mesi avevano la capacità di trascorrere indifferentemente dalla percezione del tempo di Edward, che continuava a portare avanti la propria esistenza senza nemmeno tentare di cambiare qualcosa. Aveva un gruppo di azioni che periodicamente ripeteva come un automa, incapace di dar loro un senso: andava a caccia, ascoltava musica, leggeva, passeggiava. Tutte cose che cominciavano sempre con Bella in testa e che terminava sempre con lo stesso pensiero. Doveva cercare di alleviare la perdita, ma come? I vampiri non possono ricorrere agli stessi mezzi degli umani che, sempre più spesso, si trovava ad invidiare. Quando camminava per le strade di Parigi, città nella quale si era trasferito da qualche settimana, si scopriva invidiare la capacità di perdere coscienza degli umani semplicemente esagerando con l’alcool. Ubriacarsi per dimenticare… questo gli aveva detto un uomo, una sera. Edward stava passeggiando lungo un viottolo poco illuminato e, d’improvviso, quell’uomo è apparso in fondo: barcollava tendendo in mano un sacchetto di carta contenente una bottiglia di alcool economica. Edward si era fermato quasi affascinato dall’oblio che quell’essere umano era riuscito a creare nella propria mente, a tal punto da non avere la minima idea di come si mantenesse l’equilibrio. Così, poco dopo, lo sconosciuto gli passò accanto e i loro sguardi s’incrociarono. Edward non avrebbe saputo dire cosa vide quell’uomo, eppure sembrò leggergli dentro.

“Non ne vale la pena, amico mio”, gli disse sbiascicando il proprio francese e, vedendo l’espressione incerta dipingersi sul volto del ragazzo, si affrettò a chiarire. “L’amore… non ne vale la pena. Per quanta gioia possa donarti riuscirà sempre a toglierti più di ciò che ti ha dato. È un gioco perverso nel quale si perde sempre”

Quell’uomo sconosciuto era riuscito a vedere nel vampiro la sofferenza e a Edward venne in mente Empedocle… il simile conosce il simile. Era vero, dunque?

“Io ho perso ma non rimpiango di averlo fatto”, rispose Edward a mezza voce, guardando in basso. L’uomo scoppiò in una risata alcolica.

“Tu credi? Ah amico mio, allora i casi sono due: o sei tanto stupido o sei tanto stupido”, disse fra le risate grasse e i colpi di tosse.

“Perché?”. La domanda di Edward fu quasi liberatoria: parlare con uno sconosciuto ti rende le cose sotto una luce diversa e lui desiderava provarci.

“Sai perché sto bevendo?” gli domandò l’uomo. Edward lesse rapidamente i suoi pensieri e rispose.

“Perché vostra moglie ha preferito il suo capo a voi?”. L’espressione dell’uomo si fece seria per qualche istante.

“Sei uno stregone?”

Edward rise al modo in cui sbiascicò la parole stregone.

“No”

“Eppure leggi nei pensieri…”

“No, sono solo uno che tira ad indovinare”

“Sì, mia moglie se ne è andata. Così come la tua bella”

Edward annuì.

“Vuoi un goccetto? Bere aiuta a dimenticare” gli disse. Sapeva che l’alcool non avrebbe avuto effetto così acconsentì giusto per non offendere l’uomo. La bevanda economica scese nella sua gola come acqua.

Ecco il problema: quell’uomo poteva annegare il suo dolore nelle bevute mentre Edward no. Non c’era nulla che potesse alleviare il proprio, nemmeno l’alcool.

Quella stessa sera Edward pensò di trasferirsi in Italia, ma accadde qualcosa che, davvero, non avrebbe saputo spiegarsi. Era tornato nella stanza d’albergo con l’intento di preparare le sue cose e incamminarsi per le Alpi, quando un vecchio pensiero si era fatto strada nella sua testa, strisciando perfido. I Volturi… Era passato più di un anno da quella notte in cui aveva scritto le lettere e per la prima volta dopo tanto tempo, stava accarezzando nuovamente l’idea. Ma proprio in quel momento, accadde. Bella apparve davanti a lui, eterea quasi come fosse solo un riflesso nell’acqua. Edward l’aveva guardata meravigliato e lei gli aveva detto “Non puoi farlo, Edward”.

Quella visione gli aveva parlato e lo aveva distolto dal pensiero dei Volturi. Erano trascorse settimane da quando aveva visto Bella, stanca e affranta fuori dalla sua casa di Forks, e gli era apparsa così. Lui aveva cercato di allungare la mano per accarezzarle il volto, ma la visione era cessata con la stessa velocità con cui era apparsa. In un certo senso, sebbene fosse strano, quel che aveva visto l’aveva fatto sorridere: poteva vedere Bella. E poco importava il fatto che, con ogni probabilità, stava impazzendo: poteva vedere Bella.

Un pensiero contorto, quasi morboso, attraversò il suo cervello: forse Bella poteva apparirgli nei momenti più pericolosi e tragici. Forse, se lui avesse tentato di mettere in pericolo la propria vita, Bella sarebbe apparsa di nuovo.

Il dolore e la sua assenza lo avrebbero accompagnato per sempre ma aveva trovato un modo per poter stare con lei, anche se per pochi istanti

Un sorriso gli illuminò il volto e si diresse a grandi falcate vero le Alpi sicuro che avrebbe rivisto lo spirito di Bella.

 

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Capitolo 10
*** Decisamente Febbraio ***


Non appena ebbe varcato le Alpi, Edward si sentì euforico. Adorava il profumo dell’Italia, così ricco di storia da far impallidire un vampiro. Ma, a proposito di esseri secolari, quella penisola che aveva ispirato tanti letterati, era anche la casa dei Volturi ed era proprio a Volterra che si sarebbe diretto. Voleva capire se la sua intuizione sulle “apparizioni” di Bella fosse giusta e l’unico modo che aveva era quello di mettersi in pericolo. Aveva smesso di correre e passeggiava con un sorriso stampato sul volto, felice di poter vedere ancora Bella e sicuro che la sua mente non si sarebbe mai potuta dimenticare i suoi lineamenti. L’aveva potuta vedere bene, aveva quasi potuto sfiorarla. Sapeva che era solo una visione ma non poteva fare a meno di sperare che fosse reale.

Scendeva dai pendii delle montagne italiche affondando nella neve ma senza per questo esserne rallentato. Nevicava da diverse ore e il paesaggio era anche più bello di quanto si ricordasse. A mano a mano che si avvicinava a valle venne colpito da forti odori di cucina. In nessun altro posto al mondo era possibile avere così tanti profumi culinari come in Italia: a qualunque ora del giorno o della notte ci sarebbe stata una piccola donna che preparava qualcosa di buono per la propria famiglia. Giunse in prossimità di una piccola cittadina e mentre camminava attirava su di sé lo sguardo sospettoso degli abitanti incuriositi da uno straniero che indossava solo una giacca. Faceva freddo, almeno per gli esseri umani, perciò Edward capì che se desiderava passare inosservato avrebbe dovuto indossare un giaccone da montagna. Non ci mise molto a trovarne uno in un vecchio bar che sapeva di alcool scadente e antitarme: gli anziani erano impegnati di un’importantissima sfida a briscola per occuparsi delle giacche. Ma, mentre passava a fianco del tavolo da gioco, incrociò lo sguardo di un vecchio che s’irrigidì alla sua vista e gli si parò davanti, impedendogli di uscire.

“Inopportuno camminare così fra la gente, soprattutto quando si ha fame”, gli disse il vecchio a fil di voce senza distogliere mai il proprio sguardo dagli occhi di Edward. Il vampiro si stupì della frase e dei modi dell’uomo.

“Ci conosciamo?”, gli domandò Edward, incapace di leggere nella mente del vecchio. Fu davvero snervante aver trovato un’altra persona con la quale il suo dono si dimostrava del tutto inutile.

“Grazie a Dio no, straniero”, rispose. Si guardarono per istanti interminabili poi, il vecchio gli fece cenno di aspettarlo lì. Edward lo guardò tornare al tavolo da gioco e dire agli altri che doveva rincasare. Tutti lo salutarono così prese la sua giacca e precedette Edward nel freddo del primo pomeriggio.

“Dove stiamo andando?”, chiese Edward. Non era nervoso – sarebbe potuto scappare in qualsiasi momento e quel vecchio non sembrava per nulla pericoloso – piuttosto era curioso di sapere chi fosse quell’uomo.

“Non ti sforzare di leggermi nel pensiero, Edward. Non riusciresti nemmeno fra mille anni. Stiamo andando a casa mia dove potremo parlare senza che io mi becchi un raffreddore”

Quel vecchio aveva il fare del soldato e per un istante gli ricordò Jasper.

“Come vi chiamate, signore?”

“Mario”, rispose sorridendo. “Siamo di buone maniere, non è vero giovanotto? Quanti anni hai?”

Con molta naturalezza Edward rispose alla domanda.

“Sono nato nel 1901, signore”

L’uomo lo guardò divertito.

“Porca miseria! Hai solo quindici anni in più di me e te li porti benissimo, eh?” disse, scoppiando in una fragorosa risata.

“Eh già”. Edward si sentì a proprio agio con Mario, senza sapere perché. Aveva un fare burbero eppure paterno e chissà per quale ragione il fato li aveva fatti incontrare.

“Allora, Edward, cosa ti porta in Italia?”

Il vampiro dovette riflettere qualche istante prima di rispondere.

“Una ragazza, o almeno spero”

L’uomo si fermò di scatto e lo guardò con rimprovero. Poi, quell’espressione severa sparì dal suo viso così com’era apparsa.

“Ah, non capirò mai abbastanza voi vampiri. Avete l’immortalità, la bellezza, la forza… eppure nemmeno voi siete felici della vita. Credevo che l’angoscia del morire fosse la causa del malessere dell’uomo ma, caro mio, alla fine mi sono convinto che l’infelicità si atavica in noi. Per quanto possiamo ottenere non ci basta mai”

“Come… Come conoscete i vampiri?”

L’uomo fece spallucce alla domanda.

“Esattamente per lo stesso motivo per cui li conosci tu”

“Ma voi non siete uno di noi”. Edward era confuso: quell’uomo sapeva dei vampiri pur non essendo uno di loro, com’era possibile? I Volturi erano sempre stati molto attenti a non far trapelare la loro esistenza fra la gente.

“E’ vero, Edward, non sono un vampiro. Ma mia moglie sì”

Il vampiro si fermò sul posto, sconvolto. Mario capì i dubbi e si sbrigò ad indicare una piccola casa poco lontano da dove si trovavano.

“Abito laggiù. Vieni, lì potremmo parlare liberamente”

 

Qualche minuto dopo, Edward si trovò accolto in una casa piccola ma confortevole. Tutto in quell’abitazione raccontava una storia: le fotografie, alcuni oggetti decisamente antichi. Vi era anche un grazioso camino sopra il quale troneggiava il ritratto a olio di una donna del Settecento.

“Jacqueline”, disse l’uomo alle sue spalle. “La donna del ritratto intendo. È mia moglie”

In quell’istante, Edward avvertì l’odore di un vampiro e si voltò fulmineo incrociando lo sguardo di una donna giovane.

“Non mi abituerò mai abbastanza alla vostra rapidità”, disse ridendo Mario. “Edward”, continuò l’uomo, “Lei è mia moglie Jacqueline. Tesoro” disse infine verso la donna, “Lui è Edward”.

I due vampiri si guardarono per una frazione di secondo in tempi umani ma per un lasso di tempo sufficientemente lungo per due immortali, fino a quando Edward s’inchinò e fece il baciamano.

“Un uomo d’altri tempi, eh? Non ero più abituata a certe etichette”, disse sorridendo la vampira.

“Ti offrirei qualcosa da bere Edward ma…”

“… Ma non bevo sangue umano”, concluse il vampiro.

“Hai visto, cara? Ti avevo detto che sarebbe arrivato! Così finalmente la smetterai di fare l’infermiera per l’AVIS e ti occuperai del tuo vecchio maritino”

“AVIS?”, domandò Edward disorientato.

“E’ l’associazione italiana dei donatori di sangue. Mia moglie lavora lì in modo da poter usufruire del servizio. Ho cercato di farle capire che ci sono altre strade ma lei non ha mai voluto darmi retta” e così dicendo abbracciò la vampira e le diede un bacio. Edward si sentì in imbarazzo per qualche istante: quell’uomo era decisamente più vecchio di lei, almeno esteticamente.

“Esatto, Edward”

“Esatto cosa?”

“Esteticamente… solo in apparenza sono più vecchio”. Ancora una volta, quell’uomo gli aveva letto nel pensiero e lui non riusciva a ricambiare il “favore”.

“Snervante, eh? Essere spiati nei pensieri. Ho scoperto di avere questo dono molti anni fa, quando ancora ero un giovanotto. È stato così che ho conosciuto mia moglie: le ho letto nei pensieri e ho capito”

La vampira sorrise al ricordo. “Stavo camminando disperata dalla fame quando lui mi si è parato davanti e mi ha detto So cosa sei e ti posso aiutare. L’ho seguito, mi ha portato nell’ospedale e ha rubato qualche sacca di sangue per me. Il resto è storia…”

“Come mai eri ridotta così? Insomma, sei una vampira d’esperienza…” si azzardò a domandare Edward.

“Come sei elegante Edward! Sì, è vero, sono molto vecchia… scappavo dai Volturi. Avevo combinato un bel casino con Caius e… insomma, ero in pessime condizioni”. Edward poté vedere un velo di paura attraversare gli occhi di Jacqueline mentre ricordava i Volturi e d’un tratto si ricordò il motivo per cui si era recato in Italia.

“Sono diretto a Volterra”, disse tutto d’un fiato e facendo tornare serio anche Mario.

“Non farlo, Edward”, gli disse l’uomo.

“Non c’è altra via” rispose tristemente Edward. “Non c’è altra via”, ripeté.

“Perché non ci racconti, eh?”, chiese gentilmente Mario sebbene sapesse già tutto quello che c’era da conoscere. “E poi decidiamo insieme la soluzione”

“Perché mi vorresti aiutare, Mario?” il tono gli uscì forse un po’ più duro di quanto volesse, ma davvero non si spiegava il motivo di un tale interesse.

“Perché non dovrei? Non sono molti gli esseri umani che conoscono la vostra verità e a volte, dico a volte, noi umani riusciamo ad essere un po’ più pratici rispetto a voi. Sarà che siamo abituati a decidere in tempi brevi…”

Edward sorrise. Non poteva leggere nella mente di quell’uomo eppure non gli sembrava cattivo. Così decise di aprire il suo cuore e raccontò tutto quanto era accaduto fra lui e Bella. Il racconto fu lungo e dettagliato, sembrava che Edward non vedesse l’ora di poter parlare con il cuore in mano del suo amore perduto. Quando ebbe finito, Mario e sua moglie lo guardavano con comprensione.

“Non è facile far funzionare una storia d’amore come questa, Edward, e nessuno più di noi lo può sapere. Jacqueline ha lottato molto contro se stessa prima di poter giacere con me nel letto e non ti nascondo che ci sono stati diversi incidenti

“Incidenti?”, domandò Edward, mentre la sua mente ripercorreva i pericoli che Bella aveva corso a causa sua.

“Sì… vedi è capitato che gli facessi male”, fu Jacqueline a rispondere, “e non passa giorno in cui non mi senta colpevole. Ma la forza di Mario, il suo amore per me… tutto questo ha reso la nostra vita insieme possibile”

“Ci può essere un futuro per voi, Edward. Ma sono troppo stanco per parlarne ora”, concluse ridendo Mario. Era notte e l’uomo era davvero stanco. Il vampiro sorrise.

“Ti troverò qui al mio risveglio domani?” gli domandò Mario gentilmente. Edward ci pensò sopra: dopotutto, i Volturi potevano aspettare.

“Certamente”

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Capitolo 11
*** Nuovo inizio ***


Guardò Mario risalire la piccola scala a chiocciolo che lo avrebbe portato in camera da letto. Sembrava felice.

“Come stai?”. Una domanda quasi banale nella sua semplicità, ma Edward fu colto di sorpresa da quell’interesse sincero. La vampira lo guardava con ammirazione, senza pregiudizi e senza quella vena di commiserazione che, diversamente, avevano tutti quelli della sua famiglia. Era strano poter parlare con un vampiro che avesse provato ciò che lui aveva provato.

“Non lo so. Credevo di voler morire, ma sono morto nell’istante in cui l’ho lasciata”

Jacqueline gli mise una mano sulla spalla. Fu un contatto protettivo e comprensivo.

“Ti va di raccontarmi?”

Edward non ci pensò molto: fu come se non aspettasse altro, come qualcuno lassù gli avesse concesso la possibilità di confrontarsi con qualcuno che lo potesse aiutare davvero.

“Ci abbiamo provato, sai? Ho fatto qualunque cosa in mio potere per far sì che la mia natura non mettesse a rischio la storia. Ma per quanto io abbia tentato, non sono riuscito a proteggerla dalla mia stessa famiglia”. I ricordi volavano rapidi, scrutando in tutti quei momenti meravigliosi e travagliati al contempo, provocandogli strane sensazioni. Si sentiva senza aria, come se facesse fatica a sopravvivere a se stesso.

“Non ho mai chiesto molto dalla vita. Ho sempre creduto che la mia maledizione mi avesse definitivamente chiuso ogni possibilità di essere felice. Eppure, quando ormai la mia speranza era morta da tempo, è arrivata Bella. Ho capito di appartenerle poco dopo averla incontrata e ho faticato a tenermi distante”

Jacqueline lo guardava in silenzio, sorridendo a quel racconto fatto di amore, quello vero. E quando Edward tacque scuotendo la testa sconsolato, cercò di spiegare come lei si fosse sentita con Mario.

“Posso dire, credo, di essere una delle poche che possa capire ciò che stai passando. Anche io, come hai fatto tu, decisi di lasciare Mario. Non sapevo fino a che punto sarei stata in grado di resistere. Ho creduto di poter donare all’amore della mia intera esistenza la possibilità di essere felice”. Quanto simili erano le loro storie… talmente tanto che Edward stentò a crederci.

“Perché sei tornata indietro?”

Quella domanda era la più importante e Jacqueline ci pensò.

“Perché non importa quello che facciamo per amore, la vita ci ha fatto un dono e, quanto è vero Dio, quel dono ti appartiene. È stato creato per te, per renderti felice e più chiuderai la strada che conduce al tuo cuore più la vita ti mostrerà altre vie che ti condurranno a lui. Non troverai nessuno come lei, Edward. Nemmeno se navigassi nel mare dell’eternità fino alla fine del tempo”

I due vampiri si guardarono per molto tempo. Non sapevano come dar voce ai propri pensieri o, forse, non ne ebbero bisogno. Lei conosceva la tempesta che imperversava dentro Edward e sapeva che solo lui avrebbe potuto domarla.

“Ho paura”, disse infine lui, rompendo quel silenzio.

“Lo so”, rispose laconica.

Con lo sguardo perso nel vuoto, Edward pensò a infine possibilità per tornare indietro. Avrebbe corso e nuotato fino a Forks e se si fosse impegnato sarebbe giunto in un paio di giorni. Sarebbe corso a casa sua, avrebbe saltato sul piccolo davanzale della sua finestra e l’avrebbe aperta lentamente. Nel silenzio della notte si sarebbe sdraiato affianco a lei e le avrebbe chiesto scusa. Perdono per ciò che aveva fatto e per ciò avrebbe fatto in futuro. Perdono per tutto, anche di essere nato. Ma in quel mare di scuse avrebbe urlato il suo amore, le avrebbe detto che l’amava e che l’avrebbe amata per sempre.

“Dovrei trasformarla?”

Jacqueline sorrise dolcemente a quella domanda.

“Non credo di essere la persona adatta per risponderti, Edward. Se avessi potuto avrei trasformato Mario molti anni fa”

“Ma non temevi per lui? Non avevi… paura che poi non ti perdonasse per ciò che gli avevi fatto?”

“Sì, ero terrorizzata, Edward. Ma vedi, se l’averlo perso per pochi mesi mi aveva distrutta, perderlo per sempre mi avrebbe condannata. A volte porsi troppe domande non serve a nulla Edward: non serve a noi… non serve alla storia…”

Edward si alzò e si avvicinò alla finestra guardando il paesaggio addormentato sotto la neve. Nel buio di quel cielo freddo e terso vide solo il volto di Bella. Doveva tornare. Con un sorriso si girò a cercare Jacqueline.

“Credo che andrò”. Lei sorrise.

“Credo che faresti la cosa giusta”.

“Salutami Mario e chiedigli scusa se non ho rispettato la parola data”. Lei lo guardò perplessa.

“Quale parola?”, chiese curiosa.

“Che mi avrebbe trovato qui domani mattina”

Si salutarono come fossero vecchi amici e, in effetti, Edward era convinto di averne trovato una davvero speciale. Aprì la porta e si tuffò nel buio col sorriso sulle labbra. Aveva fatto pace con il mostro che credeva essere in lui ed aveva finalmente compreso cosa volesse davvero. Doveva correre verso Forks. Doveva correre verso Bella.

Ricordò di aver lasciato la loro foto a Rio, quella scattata la sera del compleanno di Bella. Non poteva presentarsi a lei senza quella foto. L’avrebbe ripresa e sarebbe andato da lei.

 

 

La luna non era più nuova. La luna sembrava essere una cara amica, una di quelle che c’è sempre nel momento del bisogno. Nel buio e nel bianco della neve, un vampiro correva felice e Jacqueline fu quasi convinte di sentire uno Yoh Uh echeggiare nella vallata.

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Capitolo 12
*** La caduta ***


Alle luci delle stelle Rio conservava sempre un fascino romantico, soprattutto quando le strade si facevano silenziose, fatta eccezione per alcuni gruppi sparuti di festaioli. Edward amava quella città: ne adorava il profumo, la musicalità e le persone. Era una città allegra, lo era sempre stata, e lui l’amava per la sua capacità di coinvolgerlo anche nei momenti più tristi. L’albergo dove aveva la camera non era stellato né godeva di particolari confort ma conservava tutta la genuinità del Brasile e tanto bastava per strappargli un sorriso ogni volta che vi faceva ritorno. I proprietari lo conoscevano ormai bene e non gli rivolgevano mai domande troppo personali sicché era un ottimo luogo dove rifugiarsi. Aprì la porta in legno bianco e la stanza buia lo accolse come una vecchia amica. Aveva lasciato alcuni effetti personali così da ritrovare un po’ di casa quando ritornava anche se, ogni volta, qualcosa mancava all’appello. Sapeva che i proprietari avevano il vizietto di fare un giro in sua assenza e rivendere gli oggetti ma a lui non importava: i soldi non erano mai stati un problema per la famiglia Cullen e se i suoi averi potevano far felice una coppia non se ne disturbava. Erano le tre del mattino, ovvero troppo tardi per mettersi in viaggio verso Forks a meno di non voler essere in piena luce del sole da lì a un paio d’ore, così decise di fermarsi per l’intera giornata. Dopotutto si era preso già abbastanza tempo per decidersi a tornare a Forks e qualche ora in più non avrebbero certo fatto la differenza. Era felice perché finalmente era riuscito a fare un po’ di chiarezza in se stesso e l’idea di poter rivedere Bella lo aiutava a mantenere un’espressione ebete davvero buffa. Nel viaggio di ritorno dall’Italia aveva fatto un paio di tappe, la prima delle quali era stata Londra dove aveva incontrato Carlisle ed Esme. Stavano bene, anzi alla grande, e si erano mostrati entrambi contenti di vederlo e, soprattutto, di sapere che il lungo esilio da Bella fosse in fase conclusiva. In un certo senso Edward avvertì come la sensazione che i due genitori avessero sempre saputo che si sarebbe trattato di un momento passeggero. Quando, infatti, ne diede notizia la reazione fu piuttosto poco sorpresa.

“Finalmente, Edward!”, disse Esme abbracciandolo. “Speravo tanto che tu potessi ripensarci”. Esame aveva sempre adorato Bella fin dal primo giorno. Non che la ragazza non sapesse farsi apprezzare ma sapere che Esme l’accettava per quel che era rappresentava un vero sollievo per lui. Anche Carlisle non aveva mai celato il suo affetto per Bella ma lui era molto più pragmatico e si preoccupava soprattutto degli aspetti quotidiani. Bella era un’umana e questa era una cosa che nessuno poteva ignorare. Tuttavia, il grandissimo autocontrollo che Edward aveva dimostrato più volte a Carlisle, rincuorarono il patrigno sulle sorti della loro relazione. Ovviamente, nessuno si sarebbe mai aspettato la reazione violenta di Jasper e il dramma che ne era conseguito, ma l’ottimismo era sempre di casa fra i Cullen.

“Quando torni a Forks?”, gli aveva chiesto Carlisle.

“Appena possibile. Ho voluto farvi visita per sapere come stavate e credo che mi fermerò anche da Alice e Jasper. Ho saputo che si trovano a Isola Esme”, rispose Edward, ricordandosi della conversazione avuta con Alice la notte di San Silvestro.

“Credevo che, una volta presa la decisione, ti saresti fiondato da Bella. Come mai aspetti?”. La domanda di Carlisle era quanto di più sensato vi fosse ed Edward si prese qualche secondo per rispondere.

“Da una parte vorrei già essere lì, Carlisle, credimi. Eppure sento di dover fare le cose con calma, senza fretta. Se mi presentassi in queste condizioni passerei per un matto e non credo che sarebbe una buona idea”. Per quanto quelle motivazioni reggessero, Esme lo guardava dubbiosa.

“Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?”, domandò Edward notando lo sguardo della vampira.

“Credo… sono convinta che ci sia dell’altro, Edward. Tu hai paura di qualcosa, vero?”. Era incredibile quanto la sua famiglia lo conoscesse bene, a tal punto da saper leggere fra le righe e scovarne i punti deboli. In effetti sì, Edward aveva paura.

“Ho saputo che Jacob ha preso una cotta per lei”, cominciò cercando di rimanere neutrale nei toni. “E so che si sta trasformando, anzi credo che sia già diventato un lupo. In realtà non so perché io sia così spaventato… insomma, voglio dire, per quale motivo dovrei temere Jacob, giusto?”

“Edward?”, cercò di intromettersi Esme.

“Lei ha sempre detto di amarmi e io beh… sì, vero che l’ho abbandonata ma, diamine, avrà pure voluto dire qualcosa il tempo che abbiamo passato insieme, no? ”

Se c’era una cosa che tutta la sua famiglia conosceva fin troppo bene era il modo di parlare frettoloso e senza pausa che aveva Edward quando provava paura e imbarazzo.

“Edward?”

“Sì?”, disse finalmente il vampiro interrompendo il fiume di considerazioni.

“Calmati, per favore. E ricominciamo da capo. Hai paura che Bella si sia rifatta una vita con Jacob?”

Quella domanda bruciava come il sale sulle ferite.

“Sì”, ammise infine.

“Ascoltami, se fosse vero significherebbe che lei non era quella giusta per te, Edward. A volte può capitare che incontriamo qualcuno che ci fa innamorare e che, purtroppo, non si rivela la persona adatta a noi. Però, non credo che sia questo il caso”, gli disse sorridendo Esme.

“Perché ne sei così convinta?”, domandò Edward.

“Per via di ciò che mi ha detto Bella l’estate scorsa”. Lo sguardo di Edward si fece interrogativo e lei capì di dover spiegare. La vampira si sedette sul comodo divano che troneggiava al centro della sala del grazioso appartamento londinese dei Cullen e gli fece cenno di accomodarsi al suo fianco.

“Un pomeriggio Bella venne a farci visita ma tu, assieme a Emmett, Jasper e Alice, eri andato a caccia. Così ho fatto gli onori di casa e siamo rimaste io e lei sulla grande terrazza a chiacchierare. Ho domandato della sua famiglia e lei mi ha raccontato della storia fra i suoi genitori. La conosci?”. Edward fece cenno di sì con la testa.

“Credo di conoscerla, sì. Ogni tanto Bella ne parla”

“Bene, allora. Sai che Reneè ha lasciato Charlie perché sentiva Forks stretta, perché non era in grado di poter vivere lì. Sai cosa mi disse Bella? Che per lei Forks o qualsiasi altra città al mondo sarebbe stata ugualmente fantastica purché avesse avuto te al suo fianco. Ricordo che lì per lì credetti di sentire la classica frase esagerata di un adolescente innamorato, ma dovetti ricredermi.

Le dissi che ti amava davvero tanto e che eri fortunato. Bella si fece seria e con una determinazione che mai ho visto in tutta la mia esistenza mi disse “Sono io ad essere fortunata, Esme. Spero solo di poter avere a disposizione anche solo l’eternità per dirglielo ogni giorno””. Esme smise di raccontare, lasciando che quella frase acquisisse tutto il senso e l’importanza che meritava nella mente di Edward.

Spero solo di poter avere a disposizione anche solo l’eternità per dirglielo ogni giorno. Era una dichiarazione di amore sconfinato, di assoluta devozione. La sua matrigna aveva ragione: non ci sarebbe stato nessun Jacob nella sua vita capace di portagliela via e dopo quella epifania si sentì stupido. Aveva messo in discussione Bella troppe volte e aveva creduto possibile che lei potesse innamorarsi di qualcun altro. Stupido, stupido, stupido!

Fu con quella frase in testa che Edward si sedette davanti alla finestra della sua stanza Rio, quella stessa frase che l’aveva accompagnato anche a isola Esme. Era rimasto a Londra qualche settimana e altrettanti giorni li aveva trascorsi assieme ad Alice e Jasper. Ora, dopo poco più di un mese trascorso in giro a chiarirsi sempre di più le idee, aveva finalmente deciso di tornare a Forks.

Prese dall’armadio piccolo e sgangherato la sua valigia e cominciò a riempirla con le sue cose. Non sarebbe più tornato a Rio o, almeno, non in quell’albergo. Aveva il suo sorriso stampato in volto e canticchiava le note di una vecchia canzone. Fu ballando le note di una ballata degli anni Trenta che rispose al telefono. Dall’altro lato c’era Rosalie.

Solo una frase, ma tanto bastò per fargli cadere lo stereo che stava riponendo nella valigia.

“Bella si è tolta la vita”

Il mondo prese a vorticare mentre Edward cadeva nel baratro della disperazione.

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Capitolo 13
*** De profundis ***


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In un attimo tutto quello in cui aveva sperato crollò davanti ai suoi occhi, sgretolandosi in milioni di pezzi. Non poteva credere a quello che Rosalie aveva appena detto perché se fosse stato vero allora Bella era morta e lui non avrebbe mai potuto perdonarsi per quello. Il suo cervello sembrava congelato in quell’istante, incapace di ragionare e formulare un pensiero. Fu l’istinto a venire in suo soccorso e le dita si mossero prima di comprendere ciò che stava facendo, digitando il numero di casa di Bella. Doveva sapere se fosse reale, doveva avere conferma di ciò che sua sorella gli aveva detto e l’unico modo per farlo era chiamare. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe potuto dire…

Dopo un paio di squilli, fu Jacob a rispondere. Edward impiegò qualche secondo per fare la domanda che più temeva, perchè non si aspettava che il lupo fosse a casa di Bella. O forse, sì? Era rimasto lontano da Bella così tanto da permettere a quel cane di prendere il suo posto? Era davvero bastato così poco perché Bella si dimenticasse di lui? Ma se lei aveva trovato la felicità, perché si era suicidata? Allora era ancora viva? Cercò di ricacciare in gola il ringhio che risaliva perché, in fondo, poteva essere normale che Jacob fosse a casa Swan… Poteva essere normale se Bella era…

“C’è Bella?”, disse telegrafico e con la voce tremante. Pregava che Jacob non gli dicesse che Bella era morta, scongiurava qualunque dio che Rosalie avesse detto una menzogna. Il fragile equilibrio che teneva insieme i pezzi della sua anima tremava e, se fosse stato umano, il suo respiro sarebbe stato affannato e avrebbe sentito nelle orecchie il battito convulso del suo cuore.

“Non è in casa. È al funerale”, rispose Jacob, riagganciando subito dopo. È al funerale… Quelle tre parole rimbombarono nella sua testa, facendogli perdere il controllo.

Ecco quale deve essere la sensazione di cadere nel baratro dell’Inferno, pensò Edward, una caduta libera fatta di terrore e dolore. La sua mente precipitava mentre la vista si appannava. L’ultima volta che aveva provato una cosa simile si trovava fra le braccia di Carlisle in un letto di ospedale, quando stava per morire. Stritolò il cellulare, che si ruppe fra le sue mani come fragile cristallo, e si passò una mano fra i capelli, incapace di stare in piedi. Dovette appoggiarsi al letto per non cadere. Tutto girava, vorticava intorno a lui.

Era la fine.

Bella era morta. Persa per sempre. Per colpa sua.

Come avrebbe mai potuto continuare a vivere sapendo di aver ucciso Bella per la sua stupida presunzione di poterla rendere felice? Aveva sbagliato tutto, come sempre. Un urlo rabbioso uscì dalla sua gola mentre crollava sulle proprie ginocchia, tenendosi il volto fra le mani. I vetri della camera andarono in frantumi e i cani nelle vie buie di Rio presero ad abbaiare spaventati. Fu un grido disperato, carico di dolore e morte, e tutti quelli che lo udirono sentirono il vero terrore scorrere nelle proprie vene. Il tempo stesso si fermò davanti al suo lutto e l’Universo pianse quelle lacrime che Edward non poteva versare.

Quando la gola stanca non riuscì più a sostenere lo sforzo di gridare, Edward mantenne la bocca aperta senza farne uscire alcun suono. Rimase così, come chi brama aria dietro un sacco di plastica, incapace di muoversi anche solo di un millimetro. Poi, traballando si rimise in piedi. Sapeva perfettamente cosa fare.

Con un balzò uscì dalla finestra e atterrò in strada, incurante di chi o di cosa lo potesse vedere. Corse a perdifiato, corse verso l’Oceano. Passava vicino ai negozi chiusi, ribaltando i tavolini e facendo volare pezzi di carta qua e là. Quando passò accanto a due ubriaconi, questi nemmeno si accorsero di ciò che stava accadendo, ma sentirono solo una folata di vento gelido. Freddo come la morte. Si tuffò in acqua, facendo schizzare l’acqua con violenza, e lasciò che le ampie bracciate lo guidassero in quel profondo blu dal quale non voleva più riemergere. Le immagini di Bella gli scorrevano davanti agli occhi mentre tutto il mare osservava stranito quella creatura secolare che nuotava nel suo silenzio. I pesci scappavano, impauriti da quell’animale mai visto prima e nemmeno gli squali sembravano avere la tentazione di inseguirlo. Edward avrebbe voluto che uno di quei bestioni si accanisse su di lui, facendolo a pezzi, ma sapeva che non sarebbe accaduto. La sua pelle, così dura, non sarebbe stata nemmeno scalfitta dai denti del pescecane mentre la povera bestia si sarebbe frantumata la mascella poderosa nel tentativo di mangiare.

Tutto era avvolto dal nero profondo dell’incertezza: perché Bella l’aveva fatto? Perché non si era ricostruita una vita con Jacob? Maledisse quel cane per essere stato così incapace di fare l’unica cosa buona che potesse fare: lasciare che lei s’innamorasse di lui. Ma Bella aveva un solo amore e quello stupido l’aveva abbandonata a se stessa nel bosco. Edward non aveva più certezze, eppure era sicuro solo di una cosa: sarebbe andato in Italia e l’avrebbe fatta finita. Se i Volturi si fossero rifiutati di ucciderlo, allora avrebbe fatto in modo che venissero obbligati. Per la prima volta dopo tanto tempo, Edward si sentiva pronto per fare una carneficina se fosse stato necessario: avrebbe ammazzato così tante persone che i Volturi non avrebbero potuto permettersi che rimanesse impunito. Vampiri di ogni epoca erano stati uccisi per molto meno e questo gli dava fiducia. Non aveva più nulla per cui valesse la pena vivere e nemmeno Alice avrebbe potuto impedire che il suo piano giungesse alla fine. Anche se avesse corso più veloce di lui, non lo avrebbe distolto dal suo obiettivo.

*******

Era il tramonto quando alcuni turisti che passeggiavano lungo la costa avvistarono un tizio che emergeva dalle acque. Era pallido e i pochi lembi di pelle esposti alla luce del sole sembravano brillare come tanti cristalli. Il vampiro raggiunse la riva, senza degnare di uno sguardo le persone curiose che lo osservavano e a passo deciso si diresse verso Volterra. Passò accanto ad un cartello che lesse per capire dove si trovasse esattamente: “Benvenuti a Cecina”. Era sulla strada giusta e ne ebbe la conferma qualche chilometro dopo quando, in prossimità di un altro cartello, lesse “Volterra, 45 Km”.

Sorrise e riprese a correre, lasciando la strada per seguire le campagne. Da lì a breve sarebbe stato al cospetto dei Volturi e tutto, finalmente, sarebbe finito.

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Capitolo 14
*** Voglio morire ***


Volterra era avvolta dalle tenebre. Edward aveva atteso che il sole calasse del tutto prima di avvicinarsi alla grande piazza che si apriva davanti al palazzo dei Volturi. Camminava lentamente sui sanpietrini, senza emettere alcun rumore, e guardava dritto davanti a sé. I suoi occhi erano ormai neri come la notte che regnava nel suo animo e le labbra erano pallide. Troppo tempo era trascorso dall’ultima volta che si era nutrito, ma poco importava visto il motivo per cui si trovava in Italia. Voleva morire e non avrebbe opposto resistenza. Sperava solo di poter convincere Aro.

La piazza circolare era pressoché deserta, le luci artificiali ne disegnavano i contorni. La grande fontana troneggiava solitaria e lo zampillare dell’acqua aveva un ché di malinconico, mentre dalle finestre, che si affacciavano sulla piazza, pendevano drappi rossi. L’indomani si sarebbe tenuta una manifestazione, un corteo per festeggiare San Marco, il patrono della città, ma a Edward non interessava. Non avrebbe visto il corteo o lo avrebbe usato per essere ucciso: in entrambi i casi sarebbe morto e poco importava se lo avrebbe fatto fra gente in tunica rossa. Si fermò a guardare la fontana, a seguirne le linee. Nell’acqua vide riflesso il volto di Bella che lo accusava: i suoi occhi erano carichi di rancore e gli gridavano tutta la rabbia di cui erano capaci.

“Perdonami, se puoi”, sussurrò a fil di voce. Non si sarebbe mai perdonato di ciò che aveva fatto, di ciò che aveva causato all’amore della sua vita, e solo la morte avrebbe potuto mettere la parola fine a tutto quanto. Sollevò gli occhi cercando il Vicolo Mazzoni dove Aro, Caius e Marcus avevano la loro dimora e s’incamminò.

Il grande portone era aperto e venne accolto da una luce fioca. Alcuni suoni provenivano da qualche parte e lui poteva avvertirne l’eco. Seguì l’odore di sangue, così forte da fargli stringere la mascella e dopo alcuni metri imboccò un ascensore. Edward sapeva dove trovare i padroni di casa, lo aveva sempre saputo da quando Carlisle gli aveva raccontato della sua permanenza in Italia, perciò si mosse con sicurezza. Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Edward si trovò davanti ad un lungo corridoio. Mettendo un piede davanti all’altro camminava con la schiena dritta e lo sguardo fiero, consapevole di ciò a cui stava per andare incontro. Credeva che Aro avesse già avvertito la sua presenza e che lo stesse aspettando nella sala grande, dove tre troni lo attendevano incombenti. Appena fu abbastanza vicino alla porta a doppio battente, questa si aprì lasciando Edward libero di proseguire la sua marcia al cospetto dei Volturi.

 

Erano tutti lì e lo fissavano compiaciuti. I primi con i quali Edward incrociò lo sguardo furono alcuni vampiri dei quali ignorava il nome, probabilmente burattini al servizio di Aro, seguiti da due occhi famigliari: Jane. Era stata trasformata quando ancora era una ragazzina, forse dodici o tredici anni, ma il suo dono l’aveva resa una risorsa fondamentale per Aro. Lei era capace di provocare dolore senza alcun contatto fisico. Per certi versi, aveva molto in comune con Kate anche se la cugina di Denali non l’aveva mai usato con il sadico piacere di fare del male. Accanto a Jane c’era l’inseparabile fratello Alec. Entrambi erano stati trasformati da Aro, estasiato dalle loro potenzialità come vampiri: se Jane provocava dolore, Alec era capace di privare chiunque dei propri sensi. Insieme erano l’armata più temibile al soldo dei Volturi.

Edward cercò di ignorare gli sguardi carichi di malvagità dei due fratelli e tirò dritto, verso il centro della stanza, dove Aro, Caius e Marcus lo attendevano. Erano in piedi e lo osservavano con curiosità.

Quando fu a pochi metri da loro, Edward si fermò e fece un breve inchino, provocando una risata compiaciuta ad Aro.

“Mio caro Edward Cullen!”, disse il vampiro, scandendo ogni singola parola, accarezzandola come fosse fatta di velluto. “Per noi è un piacere averti come ospite nella nostra umile dimora”. Aro aprì le braccia in segno di benvenuto.

“Dicci, dunque, cosa ti porta così lontano da casa? Non sarà accaduto qualcosa al nostro amato Carlisle?”. Edward sapeva che Aro e il suo patrigno avevano un legame stretto e la preoccupazione dell’italiano era sincera.

“No, Aro, non è accaduto nulla né a Carlisle né alla mia famiglia”, cercò di tranquillizzarlo Edward. “Sono qui per chiedervi un favore”. Una risata squarciò il silenzio, simile ad uno squittio maligno.

“Un favore?”, s’intromise Caius. “E di qual natura?”, continuò sospettoso.

“Sono venuto a chiedervi di porre fine alla mia vita”. Silenzio. Tutti i vampiri nella stanza lo guardavano come se avesse appena pronunciato qualcosa di assolutamente incomprensibile. Chiunque non fosse stato nella sua situazione avrebbe di certo trovato stramba una simile richiesta e Aro si chiese proprio se il giovane Cullen non fosse uscito di senno.

“Morire?”, domandò stupito. “Tu sei venuto qui per chiedere di morire?”. Ogni volta che Aro pronunciava la parola morire, Edward aveva un lieve sussulto. Raccolse tutta la sua determinazione e annuì.

“Sì”

“Mio caro… mio giovane Edward! Perché? Perché vuoi porre fine alla tua vita?”

Edward sapeva che avrebbe dovuto raccontare tutto ad Aro, perché era un vampiro curioso che amava sapere e conoscere ogni sfumatura della natura umana e vampira. Ma lui non aveva le parole per parlarne, né la forza.

“Lascia che ti mostri”, disse rassegnato. Aro alzò le sue sottili sopracciglia, divertito dall’invito e, senza farselo ripetere due volte, con uno scatto elegante fu al fianco di Edward. Delicatamente gli prese la mano e osservò i suoi pensieri. I suoi occhi brillavano e un sorriso apparve sul suo volto. Quando ebbe terminato si voltò verso Caius e Marcus.

“Edward è innamorato!”, annunciò in pompa magna. Tutti risero divertiti. “E la fanciulla si è uccisa”, terminò. Le risate si spensero, forse tutti in quella stanza si ricordavano cosa significasse amare.

Aro tornò a guardare Edward e nel suo sguardo comparvero comprensione e affetto.

“Oh, quale disgrazia! Capisco come tu ti possa sentire”. In quel momento, Edward avvertì una leggerezza dentro di sé: Aro avrebbe acconsentito alla sua richiesta.

“Tuttavia”, si affrettò a chiarire l’italiano, “Non credo sia la tua morte la soluzione migliore. Perché non ti unisci a noi? Potresti trovare una famiglia qui, potresti perfino ritrovare la felicità perduta”. Quella leggerezza che Edward aveva avvertito, lasciò il posto alla rassegnazione.

“Ho già una famiglia che mi ama, Aro. Quello che cerco… quello che voglio è la morte”. Fu perentorio nel formulare quella richiesta e per un attimo vide l’espressione contrita di Aro.

“No, non lo faremo”, disse il capo dei Volturi tornando a sedersi sul proprio trono. Edward sentì la rabbia montargli dentro. Perché? Perché non era libero di scegliere di morire?

“Non costringermi a costringervi”, sibilò Edward. Quella minaccia era già di per sé un motivo per ucciderlo e Jane non perse l’occasione provocandogli un dolore estremo. Il ragazzo cominciò a contorcersi come un verme attaccato all’amo, felice che quella vampira avesse voluto accontentarlo. Ma il dolore cessò, con la stessa velocità con cui era arrivato.

 “Ho detto di no, Edward. E tu non farai nulla di stupido”. Non c’era via di scampo. Aro non avrebbe mai perso l’occasione di avere Edward fra le sue fila.

Con le ultime forze rimaste, Edward lo pregò.

“Ti… scongiuro, Aro. Io non posso continuare a vivere con questa colpa”, la voce usciva a stento, rotta dal dolore e dalla disperazione. “Ti prego”, disse infine mettendosi in ginocchio.

“Che cosa umiliante e ridicola”, sentenziò Alec, facendo ridere la sorella. “Piegarsi come un lurido verme implorando la morte?”

“Alec, uccidimi. Non lasciare che una visione così orripilante come la mia supplica occupi il tuo sguardo ancora a lungo”. Edward sapeva che Alec e Jane l’avrebbero accontentato seduta stante e sperava di poter contare sulla loro sete di sangue. Ma Aro alzò una mano, bloccandoli.

“Perché non ottemperare a questa richiesta, fratello?”, domandò Caius, seriamente incapace di darsi una risposta. Aro non voleva e non poteva rispondere a quella domanda, la cui risposta era conosciuta solo a Edward.

“Perché mi vuole con voi, vuole il mio dono e… Alice”. Con un gesto rapido della mano, Aro diede a Jane il via per torturare Edward. Probabilmente aveva scavato troppo nella sua mente e non desiderava che parlasse. Edward sentiva il dolore lacerargli le membra, rendendolo incapace di muoversi. Faceva male, terribilmente, ma la sua debolezza non avrebbe retto ancora a lungo. Doveva solo aspettare e Jane, senza nemmeno rendersene conto, l’avrebbe ucciso liberandolo dal tormento. Avrebbe sorriso Edward se solo avesse avuto il controllo dei propri muscoli: stava per morire e ne era felice. La vista diventava sempre più offuscata e il dolore sempre più sordo quando venne sollevato da due vampiri.

“Portatelo via. Dategli da mangiare e… tenetelo buono”.

Aro aveva rifiutato.

I Volturi non lo avrebbero ucciso.

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Capitolo 15
*** San Marco ***


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Edward guardava con occhi vuoti la grande sala dove era stato scortato affinché cambiasse idea riguardo alla morte. Sapeva che a nulla sarebbero valse le sue rimostranze, perciò che senso aveva rimanere là dentro? Doveva trovare il modo per costringere Aro e gli altri ad accontentarlo e l’unico pensiero fisso, in quel mare di incertezze e dolore, era la festa di San Marco. Migliaia di persone si sarebbero riversate fra le strade di Volterra e una dimostrazione dell’esistenza dei vampiri avrebbe di certo infastidito i Volturi a tal punto da ucciderlo. Il suo unico problema era che Aro non avrebbe dovuto scoprire i suoi intenti e prendere in giro quel vampiro non era cosa semplice. Sapeva che i Volturi avrebbero usato la festa del patrono per avere sangue fresco e che sarebbero stati impegnati per tutta la mattinata nell’organizzazione del banchetto in nome di Marcus. Edward sorrise amaro all’ironia della sorte: Volterra si preparava a festeggiare Marco, il vescovo che riuscì a scacciare i vampiri dalla città, senza sapere che quell’uomo era ancora vivo e vegeto ed era un mostro. Sarebbe stato un bell’affronto rovinare i festeggiamenti e infangare il nome di Marcus. A mano a mano che il suo piano prendeva forma, Edward sentiva crescere dentro di sé la serenità: sarebbe morto, in un modo o nell’altro, e non avrebbe più sofferto. Sapeva che non avrebbe potuto rivedere Bella: lei era sicuramente in Paradiso mentre lui sarebbe finito lontano nel tempo e nello spazio. Tuttavia, era certo che l’Inferno sarebbe stato più accettabile del Limbo nel quale aveva vissuto fino a quel momento. Non poteva pensare di vivere un giorno in più sapendo che l’amore della sua vita si era ucciso per colpa sua, per il suo egoismo e per la sua ossessione. Perciò, avrebbe atteso fino a mezzogiorno, quando il sole sarebbe stato perpendicolare alla piazza, e si sarebbe esposto alla luce mandando in frantumi il piano dei Volturi di mantenere segreta l’esistenza dei vampiri.

******

“Voglio vedere Edward e voglio farlo da sola”. La voce proveniva da dietro i grandi battenti che separavano il vampiro dal corridoio esterno. Edward sapeva di chi fosse e si preparò a recitare bene la sua parte. La porta si aprì e Jane camminò leggera verso di lui con un sorriso malizioso sul volto. I suoi occhi rossi, dal taglio infantile, lo guardavano con odio e sadismo, e lui sapeva che quella vampira era quanto di più malato esistesse nel mondo delle ombre. Edward rimase immobile e in silenzio fin quando Jane gli fu abbastanza vicino da poter sentire l’odore del sangue che aveva da poco bevuto.

“Mi sono sempre chiesta perché Aro accettasse la vostra famiglia”, disse piegando la testa leggermente di lato come un felino che studia la sua preda. Edward non rispose. “Animali… Una volta sono stata costretta a cibarmi con un cavallo e credo che sia stato il punto più basso che io abbia mai raggiunto”

Edward la guardava negli occhi e lei s’irritò. Avrebbe voluto lo scontro, almeno verbale, e quell’atteggiamento remissivo la stava innervosendo.

“Stavo pensando”, aggiunse sorridendo sadica, “che cosa accadrebbe se io ti uccidessi adesso? Di certo Aro si arrabbierebbe ma sono convinta che durerebbe poco. In effetti, il mio gesto potrebbe invece scatenare una guerra fra la tua famiglia e noi, e questo sarebbe di gran lunga più divertente. Pensa, Edward che meraviglioso combattimento ne verrebbe fuori”. Lo stava provocando e lui non voleva cascarci.

“Detto fra noi, Jane, credo che morireste tutti. Non hai mai saputo perché Aro non ci attaccasse? Ti rispondo io: ha paura”. Un lampo di malvagia crudeltà attraversò gli occhi rubino di Jane seguito da un’isterica risata.

“Tu credi?”, disse ridendo sonoramente. “Ah, Edward, Edward… tu non hai la minima idea di cosa possiamo fare semplicemente io e mio fratello. Sareste tutti morti in men che non si dica”. Edward rise assieme a lei, finché il sorriso sul volto di Jane non scomparve.

“Sei venuta qui per uccidermi, Jane? Allora fallo!” e così dicendo le fu accanto con uno scatto fulmineo, giungendo a stringerle il collo con la mano. “Anche se non mangio da settimane intere sono comunque più forte di te, Jane”, sussurrò e gli occhi della vampira si ridussero a due fessure.

“Dolore”, disse a fatica e la mano di Edward si staccò dal suo collo. Il vampiro si contorse sul pavimento in preda agli spasmi.

“Jane!”. La voce di Aro interruppe quel piacevole incontro e Edward fu nuovamente capace di stare in piedi. “No, no, no, no, Jane”, disse Aro accompagnando le parole col dito indice. Jane abbassò lo sguardo ma con la coda dell’occhio osservò Edward.

“Aro, credo che avessi ragione prima. Ho deciso di unirmi a voi”. Le parole uscirono fredde e meccaniche dalla bocca di Edward e furono accolte da un risolino acuto.

“Magnifico!”, disse Aro battendo le mani come un bambino il giorno di Natale, mentre Jane era carica di odio. Per lei, avere Edward intorno avrebbe significato la fine.

“Il viaggio e il dolore mi hanno provato molto, Aro. Se non fosse disturbo, vorrei andare a caccia così da rimettermi in forze. Ho sentito che ci sono cinghiali fantastici nelle colline qui intorno”. Edward contava sulla sua capacità di sembrare innocente sperando di convincere Aro.

“Certamente, mio caro. Spero solo che in futuro questa insana idea di bere sangue animale ti passi”

“Attenderò il calare del sole, allora”, concluse Edward e Aro, assieme alla sua guardia Jane, uscirono dalla stanza. Era stato fin troppo semplice ed Edward lo sapeva. Aro non era il tipo di vampiro sprovveduto come cercava di sembrare, perciò avrebbe dovuto muoversi in fretta. Era mattina e la piazza cominciava a popolarsi. Non appena il grosso campanile avesse rintoccato mezzogiorno sarebbe uscito.

 

****************

Il clamore della folla era udibile perfettamente anche sotto terra. Edward era felice: finalmente avrebbe posto la parola fine a tutto il suo dolore. Da qualche minuto erano passate le undici e mezza, e lui doveva prepararsi ad uscire. Si avvicinò alla porta e l’aprì, sicuro che avrebbe trovato qualcuno a fare la guardia. Quando incrociò lo sguardo di due vampiri Edward si detestò per avere sempre ragione. Erano neonati: una mossa astuta da parte di Aro che sapeva perfettamente che Edward non avrebbe mai potuto combattere nelle sue condizioni contro al forza di due neonati. Uno di loro gli mise la mano sul petto per fermarlo.

“Dove vai?”, gli domandò ringhiando.

“Al bagno”, rispose Edward ironico. Il ringhio aumentò fino a diventare un tuono. Edward doveva calmarlo o non avrebbe fatto in tempo ad uscire da lì. “Ascoltami, Aro ha ragione. Sono stufo di sangue animale e visto che passerò molto tempo qui, ho deciso di cominciare da oggi”. Edward lesse nella mente del giovane vampiro che aveva di fronte… non stava abboccando.

“Accompagnami da Aro se non ti fidi”, gli disse. Il neonato lo guardò per qualche istante indeciso sul da farsi ed Edward intuì di avere una possibilità di far breccia nella sua volontà. Anche il neonato aveva sete e il suo autocontrollo non era certo raffinato. “Senti, sono troppo debole per tentare qualunque cosa e l’odore di sangue che proviene da fuori mi sta facendo impazzire”. Non c’era odore ma Edward conosceva perfettamente il potere della suggestione: anche il solo parlare di sangue avrebbe aumentato l’arsura nella gola di quei neonati. I due si guardarono e con un cenno d’intesa lo fecero passare. Insieme si diressero verso la grande sala dei troni dei Volturi ed Edward sapeva che sarebbero passati accanto all’ascensore, ovvero l’unica via d’accesso. Mentre camminavano lenti Edward pensava a come evadere da lì: se si fosse mantenuto alle loro spalle avrebbe potuto entrare nell’ascensore senza che loro se ne accorgessero. Così, rallentò lievemente il passo, facendo in modo che i neonati gli camminassero davanti e quando passarono accanto all’ascensore schiacciò il bottone. I neonati erano troppo impegnati a pensare al sangue e la loro reazione fu lenta: non appena le porte dell’ascensore si aprirono, Edward vi entrò e con uno sforzo immenso spintonò via i due vampiri mentre cercavano di braccarlo. Le porte si richiusero e l’ascensore cominciò a salire. Edward guardava fisso davanti a sé.

Poi, la folla urlava.

Dal portone entravano spiragli di luce solare. Pochi passi e avrebbe aperto la strada alla morte. Appoggiò una mano a aprì il grosso battente. Una marea rossa si stendeva davanti a lui ma Edward non la vedeva. Non era interessato alle persone incappucciate che festeggiavano San Marco, non voleva che nulla lo potesse distrarre dal suo obiettivo. Le sue mani scivolarono sui bottoni della camicia mentre, lentamente, avanzava verso il sole e gli occhi chiusi erano pronti alla luce. Si sfilò la camicia incrociando gli occhi di una bambina che lo guardava curiosa. Per un istante, un piccolissimo istante, gli parve di sentire l’odore di Bella e sorrise: mancava poco e avrebbe avuto ciò che desiderava.

Un colpo.

Un abbraccio.

Riaprì gli occhi e il tempo si fermò. Due iridi marroni lo stavano guardando, due braccia tenere e calde lo stavano tenendo. Un profumo famigliare, un profumo di casa.

Bella.

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Capitolo 16
*** Sogno o son morto? ***


“Straordinario”, disse Edward sorridendo. Fu meraviglioso constatare che Carlisle avesse ragione che c’era davvero qualcosa dopo la morte. Non si aspettava tutto quello, non credeva che avrebbe meritato la grazia di trovarsi nuovamente Bella accanto… o forse era l’Inferno? Poco importava: lei era davanti a lui e le sensazioni erano così vive che sembravano reali.

“Edward torna subito all’ombra! Muoviti!”. La voce di Bella era rotta dalla fatica e dalla paura, ma non per questo fu meno potente. Perché era così preoccupata? Ora avevano davvero tutta l’eternità davanti.

“È incredibile, sono stati velocissimi. Non ho sentito niente… che bravi”, disse Edward mentre, con gli occhi chiusi, le baciava i capelli. “La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza”. I versi di Romeo e Giulietta gli sembrarono così giusti, in quel momento, che li recitò col sorriso sul volto. Era stupefacente la capacità dell’al di là di conservare ogni più piccolo dettaglio, perfino l’odore.

“Hai lo stesso profumo di sempre”, aggiunse Edward, inspirando a pieni polmoni fra i suoi capelli.

“Non sono morta”, sbottò Bella. “E nemmeno tu! Ti prego, Edward, dobbiamo muoverci. Ci prenderanno!”. Perché preoccuparsi ancora? Perché temere qualcosa?

“Puoi ripetere?”, le chiese educato. Sebbene fosse certo di essere morto, la reazione di Bella gli insinuò un dubbio.

“Non siamo morti, non ancora! Ma dobbiamo andarcene prima che i Volturi…”

Bella non era morta… lui non era morto… Un lampo di lucidità gli attraverso lo sguardo, in tempo per realizzare il pericolo. Con un gesto rapido prese Bella e la portò con sé all’ombra aprendo poi le braccia per proteggerla. L’odore di vampiri si era fatto decisamente troppo forte e due figure si mostrarono presto davanti a loro. Edward sapeva che Aro avrebbe voluto conoscere Bella, che avrebbe cercato di trasformarla o peggio di separarli per sempre. Non voleva che Bella varcasse quella soglia troppo pericolosa, né desiderava affrontare i Volturi debole com’era. Se fino a qualche istante prima avrebbe dato qualsiasi cosa per morire, ora bramava la vita come non mai.

“Buon giorno signori”, disse Edward con tono calmo e pacato, sebbene dentro stesse tremando per la paura. “Non credo che oggi varò bisogno dei vostri servigi. Vi prego soltanto di portare i miei ringraziamenti ai vostri padroni”. Per quanto avesse pronunciato quelle parole con convinzione, sapeva perfettamente che non sarebbero servite a molto.

“Vogliamo continuare la conversazione in un luogo più consono?”, sussurrò minaccioso uno dei due. Edward s’irrigidì non solo nei muscoli ma anche nella voce.

“Non credo sarà necessario. Conosco le vostre istruzioni, Felix. Non ho infranto alcuna regola”. Era vero, almeno in parte. Era evaso e aveva cercato di mettere in ridicolo i Volturi a casa loro ma Bella lo aveva fermato prima che ciò accadesse, perciò, tecnicamente, non aveva infranto alcuna regola.

“Felix allude alla luce del sole. Cerchiamo un riparo migliore”. La seconda voce, più suadente della prima, proveniva da un vampiro decisamente più persuasivo di Felix: Demetri. Edward non aveva scelta se non quella di assecondare le richieste dei Volturi ma la sua preoccupazione più grande era Bella.

“Vi seguo”, replicò infine. “Bella”, aggiunse poi in direzione della ragazza, “perché non torni in piazza a goderti la festa?”

“No, la ragazza viene con noi”, sussurrò Felix. Edward non poteva permettersi di portare Bella tra le fauci dei Volturi: lei sapeva dei vampiri e loro sapevano che lei sapeva… troppo pericoloso.

“Puoi scordartelo”, imbeccò Edward. Non c’era via d’uscita se non lo scontro ma finché fossero rimasti all’aperto nessuno avrebbe attaccato o, almeno, così credeva. Eppure, sia Edward che Felix tesero i muscoli pronti allo scontro. Fu Demetri a prendere le redini della conversazione.

“Felix, non qui”, disse rivolto al compagno. Poi, volgendo il suo sguardo spietato su Edward aggiunse “Aro desidera soltanto conversare di nuovo con te, se infine hai deciso davvero di non sfidarci”. Era un tranello?

“Certamente”, rispose Edward, “ma lasciate libera la ragazza”. In cuor suo sperava di poter evitare a Bella un incontro con i Volturi e chiamandola semplicemente “la ragazza” si augurava di far perdere interesse ai vampiri.

“Mi dispiace, credo non sia possibile. Dobbiamo obbedire alle regole”, ribatté Demetri frantumando ogni speranza.

“Allora temo che non potrò accettare l’invito di Aro, Demetri”

“Aro sarà molto deluso”, sospirò il vampiro. Non vi era una sola briciola di comprensione in quelle parole al veleno che nascondevano una grossa minaccia ed Edward lo sapeva. Aveva tentato in ogni modo di lasciare Volterra senza incontrare nuovamente Aro ma ogni suo tentativo era naufragato. Non gli rimanevano altre possibilità se non quella di perseverare.

“Sono certo che sopravvivrà al dispiacere”. Non c’era sicurezza nella sua voce, né speranza, solo la determinazione di chi non si arrenderà mai al suo destino. I due vampiri allargarono i mantelli chiudendo ogni via di fuga Edward e Bella e costringendoli a proseguire verso l’incontro. Edward non si mosse di mezzo centimetro ma s’irrigidì ancora di più, convinto che in un modo o nell’altro sarebbe finita presto e che lui avrebbe combattuto fino alla fine. Poi, di scatto, tutti e tre i vampiri si voltarono in risposta ad un lieve rumore.

“Vogliamo darci un contegno?”, chiese una voce cristallina e assai famigliare. “Non ci si comporta così di fronte a delle signore”. Alice avanzava verso di loro, elegante e apparentemente calma. Edward si rilassò, anche se di poco, mentre Felix e Demteri s’irrigidirono maggiormente non gradendo l’idea di un confronto alla pari.

“Non siamo soli”, sussurrò Alice guardando un punto tra la folla. Una famigliola li stava osservando, parlottando fra loro. Attirare così l’attenzione non era una delle prerogative dei Volturi e ciò non avrebbe fatto altro che infuriare di più Aro.

“Ti prego Edward, ragioniamo”. Era una preghiera sincera: Aro non avrebbe mai perdonato a Demetri e Felix un simile errore. Era l’occasione per tentare, nuovamente, la fuga.

“D’accordo. Ce ne andiamo subito, pari e patta”, disse Edward.

“Almeno lascia che ne parliamo in privato”. Non mollavano la presa. Non credo che riusciremo a convincerli, Edward pensò Alice, trovandolo d’accordo. Aveva ragione, questo era innegabile, ma che scelta avevano?

“No”, replicò saldo. Pronto a correre? Ah già, dimenticavo: è pieno giorno Edward, dove possiamo nasconderci senza rivelare la nostra natura? Il sarcasmo di Alice non serviva ma la vampira aveva paura quanto lui. Loro due da soli non avrebbero mai potuto sopravvivere ad uno scontro, soprattutto Edward che non si nutriva da troppo tempo. Siamo soli, Edward. Il vampiro stava per rispondere ma una voce lo fece trasalire.

“Piantatela”. Era una voce giovane e melodiosa sebbene carica di quel sadismo che Edward conosceva fin troppo bene. Era davvero finita e la rassegnazione si fece evidente sul volto di Edward nell’istante stesso in cui pronunciò il nome al quale apparteneva la voce.

“Jane”. Non c’era più alcuna speranza di sopravvivere né di salvare Bella. Dobbiamo seguirli, Edward e sperare che Aro abbia davvero buone intenzioni. Non puoi salvarla… non così, gli disse Alice tranquilla. Le spalle del vampiro si abbassarono, sciogliendo la tensione, mentre un sorrisetto beffardo si dipingeva sul volto di Jane. Insieme, seguirono la giovane dall’aria così poco rassicurante, scendendo per quel viale stretto che li avrebbe portati da Aro. Edward non voleva lasciare Bella, non dopo averla ritrovata e così la teneva attaccata a sé, con forza e determinazione. Ancora una volta, per colpa sua, Bella si trovava in pericolo ma per quanto quella riflessione lo facesse star male c’era qualcosa di diverso dalle altre volte. Per un istante gli tornarono in mente le parole di un’amica incontrata per caso, parole sussurrate in un piccolo salotto qualche settimana prima.

Perché non importa quello che facciamo per amore, la vita ci ha fatto un dono e, quanto è vero Dio, quel dono ti appartiene. È stato creato per te, per renderti felice e più chiuderai la strada che conduce al tuo cuore più la vita ti mostrerà altre vie che ti condurranno a lui. Non troverai nessuno come lei, Edward. Nemmeno se navigassi nel mare dell’eternità fino alla fine del tempo

Jacqueline aveva ragione: non avrebbe mai trovato un’altra Bella. Ora lo sapeva, ora l’aveva capito: loro due erano stati creati per stare insieme e non avrebbe avuto alcuna importanza quanto sforzo lui mettesse per tenerla lontana. Erano uno la vita dell’altra e senza l’uno, l’altro non sarebbe sopravvissuto comunque.

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Capitolo 17
*** Verdetto parte I ***


Seguirono Jane verso un tombino dove vennero risucchiati dall’oscurità. Era un passaggio nascosto, una via dalla quale i Volturi amavano uscire o facevano percorrere a vampiri in attesa di colloquio. Edward teneva stretta Bella cercando di infonderle coraggio: sapeva quanto tutto quello potesse sembrarle terrificante e, in fondo, anche lui aveva paura. Jane faceva strada con sicurezza e ben presto si trovarono davanti ad un ascensore che Edward conosceva bene. Il viaggio durò poco e presto si ritrovarono in quella che sembrava una segreteria di lusso. Dietro una scrivania sedeva una giovane donna che non appena li vide si apprestò a salutare garbatamente.

“Buongiorno, Jane”, disse solare. Edward notò immediatamente il roseo colorito delle sue guance: era umana. Si chiese cosa potesse spingerla a rimanere lì al servizio dei Volturi ma ben presto la sua domanda trovò una risposta nel modo giulivo con cui la ragazza sorrise di rimando a un occhiolino di Felix. Sperava, anzi no, bramava essere trasformata. Attraversarono un’altra porta e trovarono ad accoglierli Alec.

“Jane, esci a prenderne uno e ne riporti indietro due… e mezza”, disse in tono divertito squadrando Bella. “Bel lavoro”, concluse scatenando le risate di Jane. Edward era teso nel vedere i due fratelli insieme ma non lasciò trasparire i suoi timori per non spaventare ulteriormente Bella.

Non mi piace, non mi piace pensava Alice, anche lei tesa per la situazione. Jane e Alec erano famosi per il loro sadismo e l’assenza di scrupoli e vederli insieme avrebbe agitato chiunque.

“Bentornato, Edward”, disse Alec. “Mi sembri finalmente di buon umore”

“Un poco”, ammise. Non voleva che Bella sapesse cosa aveva chiesto ai Volturi e sperava che il discorso non venisse fuori.

“Questa sarebbe la causa di tutti i tuoi problemi?”, domandò Alec osservando divertito Bella che si teneva aggrappata al suo braccio. Edward sorrise sprezzante e si fermò. Non voleva continuare, non voleva andare davanti ad Aro.

“Fatti avanti”, disse dietro le sue spalle Felix. Edward non riuscì a trattenere un ringhio cupo che lentamente risalì dalla sua gola. Felix sorrise e lo invitò ad avvicinarsi, sfidandolo.

“Sii paziente”, lo ammonì Alice, sfiorandogli il braccio. Edward guardò la sorella negli occhi ambrati. Non servirebbe a nulla ora. Collaboriamo o finirà tutto ancor prima che inizi. Tu sei debole, Edward, e io da sola non posso fare molto. Cerca di calmarti e andrà tutto bene, gli disse Alice nel pensiero. Potersi parlare in quel modo poteva essere un vantaggio: Alice avrebbe controllato l’immediato futuro di Aro per sapere se e quando avrebbe deciso di ucciderli tutti. Doveva sperare che la sorella avesse ragione.

Continuarono a camminare preceduti da Jane e Alec che si tenevano per mano. Edward sembrava non fare a caso a nulla in particolare ma in realtà osservava tutto, cercando possibili vie di fuga. Stava memorizzando il tragitto, contando le finestre e, soprattutto, stava pensando a come portare Bella fuori da lì.

Se avesse avuto un cuore, questo si sarebbe fermato nell’attimo stesso in cui entrarono al cospetto di Aro. Bella era persa nella visione ed Edward poteva sentirne il respiro affannoso e spaventato. C’erano altri vampiri, tutti impegnati in conversazioni tranquille ma Edward aveva occhi solo per Aro. Fu lui a farsi incontro, avvicinandosi con la grazia di un predatore, avvolto nel suo mantello nero come la notte.

“Jane, cara, sei tornata!”, disse gioioso.

“Sì, signore. L’ho riportato indietro vivo, proprio come voi avete chiesto”, rispose la vampira. Per un attimo Edward capì che Jane non l’avrebbe mai lasciato vivere se non fosse stato per Bella e Alice. In un certo senso, quell’inaspettata visita gli aveva salvato la vita.

“Ah, Jane, che conforto mi dai!”, disse squittendo Aro. “E ci sono anche Alice e Bella!”, continuò battendo le mani come un bambino. “Che lieta sorpresa! Meraviglioso!”. In un’altra situazione, Edward avrebbe trovato divertente il modo di fare infantile di Aro, ma in quel momento sembravano solo le fusa di una tigre pronta ad attaccare. Lo sguardo di Aro passò in rassegna gli ospiti, soffermandosi su Bella e poi su Edward.

“Vedi Edward?”, continuò guardandolo quasi in modo affettuoso, “Cosa ti dicevo? Non sei lieto di non aver avuto ciò che mi hai chiesto ieri?”

“Sì, Aro, lo sono”, rispose Edward stringendo il braccio attorno alla vita di Bella. Era davvero felice di non essere morto ma i festeggiamenti avrebbero tardato ad arrivare.

“Adoro i lieto fine”, sospirò Aro. “Sono così rari. Ma voglio sentire tutta la storia. Com’è potuto accadere? Alice?”. Il vampiro si voltò a fissare nelle iridi Alice. “Tuo fratello ti credeva infallibile, ma a quanto pare c’è stato un errore”. Edward s’irrigidì. Sapeva che Aro desiderava una come Alice nella sua guardia e che le sue domande erano sinceramente interessate a sapere se il suo potere avesse dei problemi.

“Ah, sono tutt’altro che infallibile”, rispose Alice, sfoderando un brillante sorriso. Edward aveva sempre ammirato la capacità di Alice di sembrare tranquilla anche quando non lo era. “Come hai potuto vedere tu stesso, risolvo tanti problemi quanti ne creo”.

“Sei troppo modesta”, disse Aro. “Ho seguito certe tue imprese straordinarie e devo ammettere di non aver mai osservato doti come le tue. Meraviglioso!”. Per una frazione di secondo gli occhi di Edward e quelli di Alice s’incrociarono. Osservato? Edward, credo che Aro voglia qualcosa da noi… che non aspettasse altro per averci qui, pensò Alice. Aveva ragione: Edward maturò il forte sospetto che Aro sapesse già tutto prima che lui mettesse piede a Volterra. Il loro sguardo non sfuggì ad Aro che, prontamente, tentò di giustificarsi.

“Scusa, non ci siamo ancora presentati, vero? È soltanto che mi sembra di conoscerti già e a volte mi faccio prendere la mano. Tuo fratello mi ha parlato di te ieri, in maniera piuttosto singolare. Vedi, ho un certo talento in comune con lui, ma purtroppo il mio deve sottostare a certi limiti”. In quel momento Edward capì che il potere di Aro era di molto più forte di ciò che sperava: poteva navigare fra i ricordi delle persone senza che loro potessero in alcun modo saperlo. Edward era convinto di avergli mostrato solo Bella; in realtà Aro aveva sbirciato ben oltre.

“Ma è di gran lunga più potente”, rispose secco Edward. Di cosa stai parlando, Edward?, gli domandò Alice e lui si affrettò a precisare. “Aro ha bisogno del contatto fisico per ascoltare i pensieri ma riesce a coglierne molti più di me. Aro percepisce ogni pensiero che la mente della persona abbia mai generato”

Questo complica le cose, Edward… ma potrebbe anche rivelarsi utile, pensò Alice. Aro notò lo sguardo complice fra i due e ne sembrò infastidito. In quel momento, Aro e gli altri alzarono lo sguardo verso un punto alle spalle dei tre ospiti: Felix era di ritorno, portando con sé gli altri due Anziani.

“Marcus, Caius, guardate!”, disse Aro suadente. “Infine, Bella è viva e assieme a lei c’è Alice! Non è meraviglioso?”. Edward cominciava a detestare la parola meraviglioso, mentre né Marcus né Caius sembravano avere interesse per la cosa. Poi, Marcus si avvicinò ad Aro e gli diede la mano, e dopo poco la voce di Aro echeggiò nuovamente nella stanza.

“Stupefacente”, disse, “Davvero stupefacente”. Marcus stava facendo leggere i propri pensieri e Alice sembrava irritata dall’attesa. Cosa stanno facendo? Perché Marcus gli fa leggere la mente, domandò Alice a suo fratello. Edward si girò lievemente verso di lei per dare spiegazioni.

“Marcus vede le relazioni fra le persone. È sorpreso dall’intensità della nostra”. Edward sapeva perché Marcus era così interessato alla loro relazione: non era facile trovare un vampiro che resisteva alla propria cantante.

“Come fai a strale così vicino?”, domandò d’un tratto Aro. Era evidente che Bella non riuscisse a seguire il filo della conversazione ed Edward non avrebbe mai voluto che lei sapesse cosa significava per lui. ma non era più tempo dei segreti.

“Mi costa un certo sforzo”, rispose Edward, calmo.

“Eppure… è la tua cantante! Che spreco!”

“Per me è il prezzo da pagare”, disse monocorde Edward. Molti vampiri, Aro compreso, avrebbero pagato l’oro del mondo per incontrare la propria cantante e potersi nutrire del suo sangue.

“Un prezzo molto alto”, aggiunse Aro, consapevole della fatica che Edward doveva affrontare per controllarsi.

“Ma equo”

Aro rise. “Se non avessi sentito il suo odore nei tuoi ricordi, non avrei mai potuto credere he il richiamo del sangue potesse essere tanto forte. Nemmeno io ho mai provato nulla di simile. La maggior parte di noi darebbe qualsiasi cosa per un dono come questo, eppure tu…”

“Lo spreco”, terminò sarcastico Edward. Nessun vampiro poteva immaginare quanto fosse forte il richiamo del sangue di una cantante: la sete, qualunque tipo di sete, in confronto era nulla.

Aro rise nuovamente. “Ah, come mi manca il mio amico Carlisle! Gli somigli molto… lui però non è così arrabbiato”

“Carlisle ha molte più qualità di me”

“Pensavo che nessuno potesse tenergli testa quanto ad autocontrollo, ma tu lo superi, di gran lunga”

“Non direi”, disse Edward. Era stufo di quei preliminari, di quelle chiacchere vuote… voleva tornare a casa e voleva farlo con Bella. Ma Aro non sembrava intenzionato a far finire la cosa tanto in fretta.

“Il ricordo di quanto ti affascini è tala da stuzzicare la mia sete”, ghignò Aro. Edward s’irrigidì, terrorizzato all’idea che volesse davvero bere il sangue di Bella. Non aveva sopportato tutto quello per dare in pasto Bella ai Volturi!

“Non essere inquieto”; lo rassicurò Aro, avendone letto la preoccupazione. “Non le farò del male. Ma sono molto curioso di una cosa in particolare”, disse osservando Bella. “Posso?”, chiese alzando una mano.

“Chiedilo a lei”, rispose Edward, impassibile.

“Ma certo, che maleducato! Bella mi affascina il fatto che tu sia l’unica eccezione al talento straordinario di Edward… è un avvenimento unico e interessannte! E mi chiedevo, visto che i nostri poteri si somigliano molto, se potessi essere tanto gentile da farmi provare per capire se anche per me costituiresti un’eccezione”. Bella guardò Edward terrorizzata. Nemmeno lui voleva vedere la mano di Aro toccarle le pelle ma non avevano scelta e poi era curioso anche lui di sapere se i pensieri di Bella fossero occlusi anche ad Aro. Ma quante cose gli hai raccontato?, lo sgridò Alice. In effetti, quando Aro gli chiese di vedere la situazione che lo stava portando a chiedere di morire, Edward non si era più di tanto preoccupato di ciò che mostrava. Bastarono pochi secondi per capire che anche Aro non poteva leggere Bella e questo rese felice Edward. Non c’era nulla che non andasse in lui era Bella che era speciale.

“Davvero interessante”, sussurrò Aro, incredulo. “Non è mai accaduto… Che sia immune ai poteri? Jane… cara?”

“No!”, ringhiò Edward. Alice provò a tenerlo per un braccio ma lui scostò rapidamente: non avrebbe mai permesso che Bella provasse la tortura sadica di Jane, soprattutto per compiacere la curiosità di Aro. Accadde tutto molto rapidamente. Mentre Aro chiedeva a Jane di provare il suo talento sulla giovane ragazza, Edward si lanciò contro Jane. Ma non fece molta strada. Sebbene Edward volesse con tutto se stesso mettere la parola fine sul viso infantile di quel mostro, bastò un solo sguardo di Jane per farlo crollare a terra in preda agli spasmi. Edward si contorceva, incapace di rimanere impassibile a quel dolore che gli pervadeva tutto il corpo e la mente. Mai in vita sua aveva provato un dolore simile e nemmeno si ricordava fosse stato così tremendo quando il giorno prima l’aveva atterrato nello stesso modo. Non riusciva nemmeno a sviluppare un pensiero. Poi, nel silenzio della sala, rotto soltanto dai rantolii di Edward, si levò chiara e disperata la voce di Bella.

“Basta!”, gridò la ragazza, incapace di guardare Edward in quelle condizioni e Aro fece cenno a Jane di smettere.

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Capitolo 18
*** Verdetto parte II ***


Il dolore cessò così com’era arrivato ma non si poteva dire lo stesso del ricordo. Il corpo di Edward ricordava quella sofferenza con paura e ogni parte di lui gridava per scappare lontano… ogni parte tranne la testa. La rabbia era montata ben oltre la sopportazione e la voglia di fare a pezzi Jane era quanto di più insano Edward avesse mai provato. Nel momento in cui Edward realizzò che la vampira stava provando i suoi poteri su Bella faticò a trattenere un ringhio cupo, ma ben presto la frustrazione e la paura lasciarono il posto al sollievo. Non sta funzionando, pensò. Jane era contrita nel tentativo di far soffrire Bella e più si sforzava più la sua espressione diventava arrabbiata. Quella stronza non ce la fa, pensò soddisfatto.

“È meraviglioso!”, disse Aro ridendo. “Non essere dispiaciuta cara”, disse poi rivolto a Jane “Siamo tutti in difficoltà”. Edward contrasse la mascella a quell’affermazione. Se da un lato apriva la speranza di lasciare in vita Bella, dall’altra poteva significare che Aro fosse più che mai interessato a loro. Sembrava che lui sapesse qualcosa che ai Cullen era sfuggito, ma cosa?

“E adesso cosa facciamo di voi?”, domandò in modo impersonale Aro. Edward cambiò inconsapevolmente il suo sguardo: quello era il momento che aveva temuto fin dall’inizio.

“Immagino che le possibilità che tu abbia cambiato idea siano minime”. Ovviamente Edward non aveva mai avuto alcuna intenzione di unirsi a loro e Aro lo sapeva bene. Allora perché chiedere di nuovo?

“Preferirei… di… no”. Scandì ogni singola parola perché venisse ben recepita non come un insulto ma come una volontà di andarsene da Volterra il prima possibile.

“Alice? Forse tu sei interessata a unirti a noi?”. Edward sapeva che sua sorella poteva essere molto utile ad Aro e non si stupì del tentativo.

“No, ti ringrazio”, fu la risposta cortese e fredda di Alice. Poi accadde: la domanda venne posta anche a Bella.

“E tu, Bella?”, chiese Aro. Edward venne come scosso per svegliarsi da un incubo. Perché Aro era interessato a Bella? Perché le aveva chiesto se fosse intenzionata a unirsi a loro? Non capisco, Edward… e non mi piace per niente, gli disse Alice. Aro aveva sempre avuto un ottimo intuito nel comprendere le potenzialità delle persone, ma Edward non capiva cosa potesse aver visto su Bella. Ma forse si stava sbagliando: Aro stava solo giocando al gatto col topo. Non aveva mai avuto intenzione di lasciarli in vita.

“No, grazie”, rispose Bella.

“Che peccato. Che spreco”. Ecco la parola che rafforzò l’idea di Edward che fosse tutta una messa in scena: “spreco”. Aro voleva ucciderli perché lasciarli in vita avrebbe rappresentato un pericolo. Eppure c’erano tanti vampiri lì intorno, troppi perfino per i Volturi. Loro rappresentavano la legge e metterne in discussione la giustizia avrebbe messo Aro in difficoltà. L’unica speranza che avevano per uscirne vivi era giocare d’anticipo e costringere Aro a fare marcia indietro.

“La proposta è ‘unitevi a noi o morirete’? L’ho capito da quando siamo entrati. Con tanti saluti alle vostre leggi”, disse d’un botto Edward. Quella frase poteva essere la loro unica salvezza.

“Certo che no, Edward. Eravamo qui riuniti in attesa del ritorno di Heidi. Non di voi”. Aveva funzionato. Aro doveva giustificare la presenza di così tanti vampiri riuniti e per farlo doveva dichiarare che la riunione fosse già in programma da tempo.

“Aro”, sibilò Caius. “La legge li reclama”. Edward rivolse al vampiro uno sguardo carico d’odio e rabbia: con quella frase aveva confermato la sua più grande paura. Lesse rapidamente nella sua mente e ciò che vide non lo rassicurò affatto: Bella sapeva e per loro era troppo rischioso. Eppure, Edward voleva che si giocasse a carte scoperte in modo che i Volturi non potessero mai dire cose che non fossero state vere nei loro confronti e “usare” così tutti quei testimoni. Sapeva che le parole che Caius avrebbe usato sarebbero tornate utili a lui per ribaltare la situazione.

“Spiegati”, gli ringhiò contro.

“La ragazza sa troppo. Le hai rivelato i nostri segreti”. Tombola!

“Eppure, mi sembra che anche nella vostra combriccola ci siano altri umani”. Sul volto di Caius apparve un’espressione a metà fra il sorriso e il ghigno.

“Sì, ma quando non ci sono più utili, diventano una fonte di sostentamento. Tu non farai altrettanto con lei. Se rivelasse i nostri segreti, saresti pronto a distruggerla? Credo di no. E non sei nemmeno disposto a trasformarla. Perciò lei rappresenta un punto debole. È la sua vita che reclamiamo. Voi potete andare, se lo desiderate”. In quel momento Edward si sentì sprofondare: Caius gli aveva mostrato l’unica via per salvare Bella e lui non avrebbe mai voluto intraprenderla. La scelta era fra lasciare che i Volturi trasformassero Bella o farlo lui stesso. In entrambi i casi, Bella ne usciva sconfitta così come la sua anima. Edward, ho visto Bella diventare una di noi, lo sai. Non puoi fermare questa cosa, puoi solo scegliere quando, gli disse Alice. Edward sapeva che aveva ragione e che l’unica scelta che gli era rimasta era quella di farlo con amore.

“E se lo facessi?”. Fu Aro a sorridere.

“Se lo farai, vi concederemo di tornare a casa e di salutare il mio amico Carlisle”, rispose. “Ma temo che dovrai impegnarti con una promessa”, aggiunse infine. Edward si sentì la gola secca e guardò Bella negli occhi. Non voleva trasformarla ma che scelta aveva?

“Prometti, ti prego”, gli sussurrò Bella. Dio! Perché? Perché farmi questo? Urlava Edward nella sua testa. Non poteva fare una promessa simile eppure ne era obbligato. Stava per rispondere quando Alice si mosse verso Aro, porgendogli la mano. Il vampiro la prese e lesse fra i pensieri di Alice con sguardo soddisfatto. Dopo qualche istante, Aro spezzò il silenzio carico di tensione.

“Che gran cosa vedere ciò che hai visto… soprattutto gli eventi che ancora non si sono compiuti!”, disse sbalordito.

“Ma che si compiranno”, concluse Alice.

“Sì, sì, ormai è tutto scritto. Non c’è alcun problema, ne sono sicuro”. In quel momento Edward capì ciò Alice aveva mostrato ad Aro: Bella trasformata.

“Aro!”, esclamò nervoso Caius, incapace di credere a quel repentino cambio di trattative.

“Caius, mio caro, non essere impaziente. Pensa alle opportunità! Non si sono uniti a noi oggi, ma ci resta una speranza per il futuro. Immagina quanta gioia potrebbe portare la giovane Alice, da sola, alla nostra piccola famiglia… e poi, sono davvero curiosissimo di scoprire cosa diventerà Bella”.

Ciò che Edward sapeva e che Aro ignorava era il confine sottile delle visioni di Alice, un confine che avrebbe concesso a loro di andarsene vivi da Volterra e pensare a una soluzione. Per quanto quella speranza di poter evitare la trasformazione di Bella fosse presente in lui, la convinzione che i Volturi avrebbero “controllato” di persona il rispetto della promessa era decisamente più forte. Meglio godere di questa piccola vittoria piuttosto che preoccuparsi già per il futuro, gli disse Alice come se gli avesse letto nel pensiero.

“Perciò ora siamo liberi di andarcene?”, chiese Edward, più tranquillo.

“Sì, sì. Ma vi prego, tornate a trovarsi. È stato davvero incantevole!”, rispose Aro, ancora estasiato.

“E noi ricambieremo la visita”, promise Caius, “Per assicurarci che abbiate rispettato le decisioni. Fossi in voi non attenderei troppo. Non diamo mai una seconda possibilità”. Era una minaccia bella e buona, e Edward lo sapeva. Avevano poco tempo per decidere come uscire da quella situazione ed evitare a Bella la trasformazione, ma giurò a se stesso che avrebbe usato ogni singolo istante di quel tempo.
 

Edward, Bella e Alice si lasciarono i Volturi alle spalle. Nello sguardo di Alice, Edward lesse tutta la preoccupazione che lui stesso provava. Avrebbe dovuto trasformare Bella? Davvero? L’idea non gli era mai piaciuta, ma forse avrebbe potuto conviverci…

L’unica cosa davvero importante in quel momento era andarsene da Volterra e tornare a casa. Avrebbe avuto molto tempo per pensare a ciò che avrebbe dovuto fare: per il momento, aveva Bella fra le sue braccia e non l’avrebbe mai più lasciata.

Di questo era sicuro.

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Capitolo 19
*** Volo ***


L’aeroporto di Seattle era affollato quando Edward, Bella ed Alice sbarcarono dall’aereo che li aveva riportati a casa. Edward era rimasto accanto a Bella senza perderla mia di vista e insistendo per farla dormire. Gli sembrava di vivere nel dormiveglia, una sensazione che non aveva più provato dalla sua trasformazione: tutto gli scorreva accanto a rallentatore mentre i suoi occhi e i suoi sensi erano completamenti persi nelle iridi marroni di Bella e nel suo odore. Trascorse il viaggio di ritorno a casa pensando a tutto quanto aveva vissuto da quel maledetto pomeriggio in cui aveva deciso di lasciare Bella. Decise che non avrebbe mai più sprecato un solo attimo, che non avrebbe più ripensato a quello che era accaduto perché il ricordo di Bella in lacrime nel suo letto lo faceva morire. Erano assieme e questo doveva essere un nuovo inizio.

All’uscita trovarono la famiglia Cullen ad attenderli. Fu toccante vedere Jasper ed Alice rimanere a guardarsi per attimi infiniti durante i quali Edward comprese quanto amore vi fosse fra loro: lo stesso che c’era fra lui e Bella. Fu Esme ad andargli incontro e abbracciare Bella con forza e calore.

“Grazie, davvero” le sussurrò all’orecchio. Edward poteva leggere tutta la rabbia che quella vampira provava per lui, per il suo insano gesto di andare fino a Volterra. Esme era quanto di più vicino a una madre ed Edward sapeva quanto si fosse preoccupata. Anche Carlisle non riuscì a trattenere la gratitudine nei confronti di Bella.

“Grazie, Bella. Ti siamo debitori”. Vi era tutta la sincerità della quale Carlisle era capace in quelle parole ed Edward si sentì affranto dal dolore che aveva procurato ai suoi famigliari. Bella non si reggeva più in piedi: non aveva chiuso occhio e la stanchezza cominciava prendere il sopravvento sul suo piccolo corpo mortale.

“Riportiamola a casa”, disse dolcemente Esme e tutti e quattro s’incamminarono verso il parcheggio dell’aeroporto. Quando Edward vide le due figure che li attendevano accanto alla berlina scura s’irrigidì. Non aveva voglia di parlare con Rosalie, non poteva davvero confrontarsi con lei senza perdere quel minimo di decoro che ancora riusciva ad avere nonostante la fame e la stanchezza mentale.

“È distrutta”, gli disse Esme, comprendendo la situazione.

“Ben le sta”, ribatté Edward, acido. Era stata tutta colpa sua: se invece di prendere il telefono per dirgli che Bella si era suicidata avesse atteso di capire se la visione di Alice fosse vera, tutto quello non sarebbe mai accaduto. Volterra sarebbe rimasta lontana dalla loro vita, dalla vita di Bella e lui non avrebbe dovuto promettere ad Aro di trasformarla. Il solo pensiero di quella promessa lo fece arrabbiare.

“Concedile la possibilità di scusarsi”, disse Esme. “Noi andiamo con Alice e Jasper”. Seppur riluttante, Edward salì in macchina con Rosalie e Emmett, in silenzio.

“Edward”, disse poco dopo essere partiti Rosalie.

“Lo so”, rispose secco. Aveva letto nei pensieri della sorella e sapeva quanto fosse dispiaciuta per l’accaduto. Rosalie non aveva mai apprezzato Bella ma quando fece quella telefonata era sinceramente affranta e preoccupata. Non avrebbe mai pensato di mandare Edward in bocca ai Volturi, altrimenti non l’avrebbe mai chiamato. La rabbia di Edward si era mitigata ma decise di sostenere un po’ la parte, per ripicca.

“Bella?”. Rosalie chiamò la ragazza con una dolcezza che proprio non le si addiceva, a riprova del fatto di quanto si sentisse in colpa.

“Si, Rosalie?”

“Mi dispiace tanto. Tutto questo mi ha fatto stare malissimo, ti ringrazio di cuore per il coraggio con cui hai salvato mio fratello dopo ciò che ho combinato. Ti prego di perdonarmi, se puoi”. Bella non poteva certo leggere nei pensieri di Rosalie per comprendere quanta sincerità vi fosse in quelle parole, ma Edward sì. Il modo in cui aveva pronunciato la parola “fratello” l’aveva commosso. Rosalie gli voleva bene, tanto, e voleva bene anche a Bella sebbene non l’avrebbe mai dichiarato apertamente. Bella sbiascicò una risposta e nell’auto tornò la serenità. Edward fu grato per tutto: aveva una famiglia che gli voleva bene e una ragazza che aveva rischiato la propria vita per salvare la sua. Si mise a guardare la strada che scorreva veloce ai lati della macchina, ascoltando il respiro regolare di Bella che dormiva al suo fianco. Erano mesi che lei non dormiva così, che non riposava sul serio. Ogni tanto appoggiava il proprio naso fra i suoi capelli, facendosi avvolgere da quel profumo che sapeva di casa e le accarezzava la testa, baciandola. Dio quanto l’amava! Era così fragile, così umana, eppure aveva un coraggio e una forza che avrebbe steso tutti, perfino Aro. I suoi pensieri tornarono a Volterra e s’incupì. Avrebbe dovuto affrontare la cosa, lo sapeva, ma ne era terrorizzato. Non aveva idea di quanto tempo gli avrebbero concesso per tenere fede alla parola data e l’incertezza lo attanagliava. Nemmeno si rese conto di essere giunto a casa Swan, quando Emmett entrò con la berlina nel vialetto. Edward vide Charlie e vide il volto di un uomo distrutto. Aveva provato una paura estrema nel non sapere dove fosse Bella e, soprattutto, se stesse bene.

“Bella!”, urlò capo Swan, svegliando Bella dal torpore del sonno.

“Non riesco a credere che tu abbia il coraggio di mettere piede qui!” tuonò Charlie. Edward sapeva che avrebbe dovuto un bel po’ di spiegazioni al padre di Bella e che non lo avrebbe mai perdonato. Charlie avrebbe potuto passare sopra a molte cose, ma non avrebbe mai accettato qualcuno che aveva fatto soffrire la figlia in quel modo.

Nonostante Edward cercasse in ogni modo di evitare a Bella una discussione fra lui e Charlie, capo Swan era decisamente alterato. Lasciarono andare Bella a dormire e si misero in salotto. Charlie lo guardava inviperito, pronto a saltargli addosso in qualunque momento ed Edward pensava a come gestire la cosa.

“Capo Swan”, disse. “Capisco bene che lei…”

“Ah, tu capisci? Davvero, Edward?”. Il vampiro si zittì. “E dimmi, Edward, visto che capisci: come dovrei comportarmi con te, eh? Hai abbandonato mia figlia!”

“Sì, è vero, ma lasci che le spieghi…”

“Tu non hai un bel niente da spiegarmi”, lo interruppe nuovamente. Per un attimo Edward fu convinto di sentire Emmett ghignare da qualche parte nella notte. “Dov’eri quando Bella urlava nel pieno della notte? Dov’eri quando ho cercato assieme a Jacob di farla tornare a vivere? E ora ti presenti qui cercando di spiegarmi?”

Edward non sapeva cosa dire: Charlie aveva ragione su tutta la linea.

“Lo so. So quanto male ho fatto a Bella. Ma credevo di poterla aiutare… credevo di farle del bene. Charlie”, disse poi guardandolo negli occhi. Non lo aveva mai chiamato per nome e l’uomo ne rimase colpito. “Tutto quello che ho fatto è stato per fare del bene a Bella. Credevo di darle una vita migliore, ma mi sbagliavo. Io amo Bella. Davvero”. Charlie levò un pugno che si fermò a mezz’aria. Avrebbe voluto colpire Edward, lo avrebbe fatto davvero. Ma ai suoi occhi era una ragazzino… un ragazzino che aveva sbagliato tutto. Charlie sospirò lasciandosi cadere sulla poltrona.

“Non sarà facile recuperare la mia fiducia, giovanotto. Non credere che mi potrò mai dimenticare ciò che hai fatto”. Edward annuì.

“Ora torna a casa”, gli disse ed Edward si alzò.

“Grazie”, gli disse Edward mentre usciva dalla porta. Fece il giro della casa e si arrampicò sul davanzale della camera di Bella. Quella notte, nulla lo avrebbe tenuto lontano da lei, nemmeno un padre incazzato. Bella dormiva serena nel suo letto e quando lui le si accoccolò accanto, l’espressione sul volto di lei si fece quasi sorridente.

Edward aveva trovato il suo posto nel mondo.

 

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Capitolo 20
*** La verità ***


Trascorsero quattordici ore prima che gli occhi di Edward potessero incontrare quelli di Bella. Quattordici ore durante le quali il vampiro aveva lasciato la sua camera un paio di volte. La prima fu per nutrirsi: era decisamente affamato e debole. La seconda fu per essere messo al corrente dalla famiglia di alcune questioni in sospeso. Quando aveva fatto visita a Carlisle ed Esme, loro erano stati piuttosto vaghi circa la vita a Forks. Non che Edward ne avesse fatto domanda a riguardo ma l’ultima cosa che i coniugi Cullen avrebbero voluto, era mettere Edward in una situazione difficile raccontandogli di Victoria. La vampira sembrava girare vicino a Bella, o almeno era questa la sensazione e quando lo riferirono a Edward per il vampiro fu tutto molto chiaro. L’anno precedente si era concentrato sui pensieri di James trascurando quelli della sua compagna la quale, dopo la morte del suo amore, pareva avere un solo pensiero in testa: vendetta. Nel momento in cui Carlisle ed Emmett misero al corrente Edward della situazione, il vampiro piombò nuovamente nello sconforto. Un altro casino. Eppure, sebbene la preoccupazione fosse tanta, Edward si sentiva… positivo. Non gli capitava da molto tempo e apprezzò se stesso per la capacità di concentrarsi su un’emozione alla volta. In quel momento, la cosa davvero importante era Bella: tutto il resto avrebbe aspettato.

La vide muoversi e capì che si stava svegliando. Rimase immobile accanto a lei in attesa di quell’attimo in cui i loro occhi si sarebbero incrociati e tutto sarebbe andato al suo posto. Ma con Bella le cose non vanno mai nel modo in cui si crede.

Non appena lo guardò, la ragazza ebbe un sussulto.

“Oh”, disse coprendosi gli occhi con i pugni. Lui le accarezzò il braccio, cercando di capire se l’avesse o meno spaventata.

“Oh, merda!”, rincarò Bella, con la voce rotta dalle ore di sonno.

“Che c’è che non va?”. Era preoccupato. Non si aspettava un risveglio da gran film d’amore ma nemmeno un Oh, merda per cominciare!

“Sono morta, vero? Sono annegata. Merda, merda, merda! Charlie ci resterà secco”. Edward si rilassò: non aveva fatto paura alla ragazza né era contrariata dal vederlo… Credeva solo di essere morta.

“Non sei morta”, cercò di tranquillizzarla. Inutilmente.

“Allora perché non mi sveglio?”

“Sei già sveglia”. Davvero Edward non capiva. “Mi rendo conto che tu possa avermi scambiato con un incubo, ma non riesco a immaginare cosa tu possa aver fatto di così brutto da finire all’inferno”. Cercava di nascondere la delusione col sorriso: forse erano cambiate molte cose… Eppure, Edward aveva avuto l’impressione che la forza dell’amore di Bella non avesse ceduto di un millimetro. Strano, davvero strano.

“Se fossi all’inferno tu non saresti con me”. Edward sospirò. Se c’era una cosa certa in quel mondo era che Bella non poteva essere prevedibile nemmeno appena sveglia. La guardò negli occhi cercando di raccapezzarsi.

“Perciò”, disse lei, rompendo il silenzio, “è successo davvero?”. Quella domandò bruciò sulla pelle del vampiro. In un attimo, Edward si ritrovò catapultato nella realtà dove i Volturi l’avevano costretto a fare una promessa che non aveva il coraggio di mantenere. Sperò con tutto se stesso che la parte relativa alla promessa fosse stata rimossa dalla memoria di Bella come un brutto ricordo, che il suo inconscio avesse rimosso quel particolare nei meandri delle emozioni.

“Dipende”, rispose Edward. “Se ti riferisci al fatto che abbiamo rischiato di farci massacrare in Italia, allora la risposta è sì”. Il vampiro cercò di leggere l’espressione di Bella per capire l’effetto della sua frase. Sembrava… meravigliata?

“Sono stata in Italia davvero. Sai che non sono ero mai andata più a est di Albuquerque?”. La situazione degenerava nella pazzia. Sul serio Bella era piacevolmente meravigliata dal fatto di essere stata in Italia? Nemmeno un ombra sui Volturi?

“Forse è meglio che torni a dormire. Stai delirando”. Il viso di lei si fece contrariato all’istante.

“Non sono stanca”, disse in tono capriccioso, quello stesso tono che, spesso, gli aveva strappato un sorriso. “Che ore sono? Quanto ho dormito?”

“È l’una di notte passata. Direi che dormi da quattordici ore”

“E Charlie?”, domandò Bella.

“Dorme”, rispose, chiedendosi se e quando avrebbe dovuto raccontarle la leggera discussione che c’era stata fra loro. “Devo farti presente che in questo momento sto infrangendo le regole. Bè tecnicamente no, perché mi ha vietato di oltrepassare la porta di casa tua e io sono entrato dalla finestra”. Edward non voleva caricare Bella del peso di una discussione fra lui e Charlie, perciò decise di rimanere sul vago.

“Charlie ti ha bandito da qui?”, domandò la ragazza alterata. Edward si sentì in colpa per aver discusso con Charlie e per essere stato la causa delle sue preoccupazioni.

“Cosa ti aspettavi?”. In fondo, capo Swan era prima di tutto un padre attento, anche se burbero, e quella reazione era stata il minimo che Edward potesse aspettarsi.

“Qual è la versione?”

“In che senso?” forse soprappensiero, Edward non aveva capito la domanda.

“Cosa racconto a Charlie? Con quale scusa giustifico un’assenza di… quanto tempo sono stata lontana da casa?”

“Solo tre giorni”, chiosò il vampiro. “A dire la verità, speravo avessi tu una buona idea. A me non è venuto in mente nulla”. Edward non aveva nemmeno pensato a cosa poter raccontare. Le ultime ore erano state ricche di emozioni e nuove preoccupazioni, sicché il fattore Cosa raccontiamo a Charlie? era passato in ultimo piano. Sicuramente Alice avrebbe avuto qualche idea, perché a giudicare dall’espressione di Bella, nemmeno lei sapeva dove aggrapparsi.

Fra un discorso e l’altro, Edward aveva cominciato a pensare che la questione della promessa fosse stata rimossa. In un certo senso si era anche tranquillizzato da quel punto di vista, perché se fosse stato in Bella sarebbe stata la prima cosa di cui avrebbe parlato. Edward cercò di scusarsi più volte sia per quello che aveva fatto qualche mese prima sia per averla messa in pericolo in Italia, ma Bella sembrava non accogliere quelle scuse. Era straordinario e allo stesso tempo stranamente inadatto il modo in cui la ragazza sembrava ignorare i fatti, così come per mesi aveva ignorato che lui fosse un vampiro. Edward non avrebbe saputo dire se fosse dovuto a una mancanza di senso del pericolo in lei o al semplice fatto che Bella non viveva le situazioni con la dovuta attenzione. In un secondo, il vampiro realizzò che tutta quella perfezione aveva un neo: Bella non prendeva mai le cose sul serio. O almeno non prendeva sul serio le cose che per lui erano serie… insomma, Edward non capiva e, ne fu convinto, non lo avrebbe mai fatto. Mentre parlavano il vampiro lottava contro l’irrefrenabile voglia di baciare Bella, motivo per cui a volte rispondeva attento altre volte in maniera meccanica. La fortuna – se così poteva definirsi – di essere immortale era che si aveva tempo a disposizione per imparare a fare più cose contemporaneamente, tipo rispondere a domande e pensare di baciare Bella, oppure obiettare in botta e risposta, e pensare di baciare Bella… Insomma, l’unica, vera costante di tutta quella discussione era baciare Bella. Ma d’un tratto, ogni senso e ogni pensiero furono attirati dalla stessa frase.

“Fai come credi. Ma ti consiglio di essere presente”

“E perché mai?”, Edward capì di essersi distratto troppo.

“Perché sei straordinariamente testardo e sono sicura che ti sentirai in dovere di esporre la tua opinione”. Edward era smarrito… cosa si era perso? La sua opinione? E perché mai avrebbe dovuto dare un parere… Comprese.

“A proposito di cosa?”, domandò di rimando a denti stretti. Fa che non sia quello, fa che non sia quello…

“La questione non riguarda più soltanto te. Sai, non sei al centro dell’universo”, gli disse, leggermente offesa. Se c’era una cosa che Edward non era, era l’accentratore. Non aveva mai preteso di essere l’universo di nessuno… semmai aveva sperato di essere quello di Bella. Tutto lì. “Se la tua stupida ostinazione a non volermi trasformare finirà per metterci contro i Volturi, è giusto che a decidere sia la tua famiglia al completo”, terminò Bella. Un pugno. Ecco la sensazione che Edward provò allo stomaco. Lui ostinato? Lui non voleva maledire la sua anima! Altro che ostinato!

“A- decidere- cosa?”, chiese scandendo ogni singola parola.

“Della mia immortalità. Voglio metterla ai voti”, rispose con freddezza Bella. Edward non l’aveva mai vista così determinata a portare fino in fondo la questione. La cosa che lo terrorizzava di più era il fatto che lui già conosceva la posizione della sua famiglia e non riusciva a vedere la luce alla fine del tunnel.

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Capitolo 21
*** Votazione ***


Non poteva essere più contrariato e, allo stesso tempo, più d’accordo con la decisione di Bella. La loro storia aveva coinvolto la famiglia Cullen talmente a fondo da meritare un posto nella decisione più difficile di tutte: trasformare Bella in un vampiro. Edward sapeva ciò che la sua famiglia pensava e non avrebbe avuto bisogno di quella votazione, ma capiva quanto per Bella fosse importante. Anzi, in realtà non lo capiva ma si sforzava di farlo. C’era una domanda che davvero non trovava risposta nella sua testa: perché Bella fremeva all’idea di diventare un mostro immortale?

“Salta su”, le disse, pronto per portarla a casa sua e dare inizio ad una delle serate più difficili della sua vita. Bella si aggrappò a lui come un koala ed Edward cominciò a correre nei boschi. La stretta di lei attorno al suo collo lo tranquillizzava.

“In qualche modo riconquisterò la tua fiducia”, mormorò Edward. “Fosse l’ultima cosa che faccio”. Sapeva quanto l’averla lasciata avrebbe influenzato i giorni a seguire: non sarebbe stato facile per Bella dimenticare che lui l’aveva abbandonata, ma era più che mai convinto che avrebbe fatto quanto in suo potere per farsi perdonare.

“Ma io ti credo. È di me stessa che non mi fido”, rispose Bella al suo sussurro.

“Spiegati, per cortesia”. Edward non aveva compreso il senso di quelle parole… Stava forse dicendo che non credeva più nell’amore che provava per lui?

“Bè… non sono certa di poter essere abbastanza. Di meritarti. Non c’è niente in me che potrebbe trattenerti”.

Piccola Bella, pensò Edward. Così terribilmente ignara dalla sua perfezione da non capire quanto fosse importante. Il vampiro si fermò e fece scendere la ragazza dalle sue spalle senza, tuttavia, lasciare la presa dalle sue mani. L’abbracciò forte, stringendola al proprio petto.

“Il mio legame con te è permanente e indissolubile”, sussurrò con tutto l’amore di cui era capace. “Non dubitarne mai”. Era incredibile quanto Bella non credesse in se stessa e, pensava Edward, il fatto di averla abbandonata l’aveva resa ancora più insicura. Tuttavia, non riusciva a comprendere quale potesse essere la sua paura più grande: in fondo rischiava di perdere tutto, di lasciarsi alle spalle la sua mortalità ed Edward non capiva cosa potesse esserci di peggio.

“Non mi hai ancora detto…”, provò il vampiro a chiedere. “Quale sia il tuo problema più grande”. Bella allungò un dito a sfiorargli la punta del naso. Era lui? Lui rappresentava ciò di cui Bella avesse più paura? Non avrebbe mai potuto biasimarla, in fondo tutte le cose più brutte che le erano capitate avevano avuto lui come causa. “Sono peggio dei Volturi”, rispose mesto. “Penso di essermelo meritato”. Era giunto a quella conclusione con dolore.

“Il peggio che possano farmi i Volturi è uccidermi”, disse Bella con forza. “Ma tu potresti lasciarmi. I Volturi, Victoria… al confronto non sono niente”. In un attimo, Edward risentì l’urlo angosciato di Bella nella notte, i passi svelti di Charlie che accorrevano a consolarla; rivide l’immagine di quella ragazza emaciata e priva di vita che, con lo zaino in spalla, era andata fino a casa sua nella speranza di vederlo nuovamente. Il male, il dolore, che lui le aveva fatto avevano segnato il cuore di Bella nel modo peggiore: lei aveva paura di lui, temeva che lui se ne andasse di nuovo.

“Se solo ci fosse una maniera di farti capire che non posso lasciarti! Immagino che soltanto il tempo riuscirà a convincerti”. A Bella tornò il sorriso e a lui bastò.

“Quindi”, disse la ragazza con ritrovato buonumore, “visto che hai intenzione di rimanere, posso avere indietro le mie cose?”. Edward scoppiò a ridere.

“Le tue cose sono già lì. Sono in camera tua, sotto le assi del pavimento”. Edward aveva nascosto tutto, non si era portato via nulla a parte la foto. Non avrebbe retto trovandosi davanti agli occhi i ricordi materiali di loro due assieme, così aveva lasciato ogni cosa proprio in camera di Bella.

“Chissà, non ne sono sicura… ma forse, l’ho sempre saputo”, disse lei, gentile.

“Cosa?”

“Una parte di me, forse il mio inconscio, non ha mai smesso di credere che il mio destino ti stesse a cuore. Per questo sentivo le voci, probabilmente”. Edward rimase di sasso.

“Voci?”, domandò il vampiro. In che senso sentiva voci?

“Bè, una sola. La tua. È una storia lunga”, cercò di glissare Bella, intuendo quanto il racconto di ciò che aveva fatto durante la sua assenza l’avrebbe preoccupato.

“Il tempo non ci manca”, rispose Edward, sereno.

“Ricordi quando Alice ha parlato di sport estremi?”

“Ti sei tuffata da uno scoglio per divertimento”. Solo l’idea di Bella che si buttava lo faceva morire.

“Ehm, sì. E prima in moto…”

“Moto?”. Edward faticò a nascondere la rabbia. Bella era andata in moto? Come? Chi avrebbe mai potuto metterle in mano un mezzo a due ruote?

“Immagino che Alice non ti abbia detto nulla”

“No”, disse stringendo la mascella.

“Bè, il fatto è che… ecco, ho scoperto che… ogni volta che facevo qualcosa di pericoloso o stupido… ti ricordavo più chiaramente”, disse imbarazzata. “Ricordavo il suono della tua voce quando ti arrabbi. La sentivo come fosse stata al mio fianco. Di norma cercavo di non pensare a te, ma in quelle occasioni speciali non sentivo il dolore: era come se fossi tornato a proteggermi. Perché non volevi che mi facessi male. Ecco, forse riuscivo a sentirti con tanta chiarezza perché, in fondo, sapevo che non avevi mai smesso di amarmi”

Edward era… incredulo? Arrabbiato? Preoccupato? Non sapeva nemmeno lui dare una definizione al mare di sentimenti che provava in quell’istante.

“Tu… hai… rischiato la vita… per sentire…”, non riusciva a sillabare una frase che avesse senso compiuto. Ciò che Bella gli aveva appena detto era assieme la cosa più importante e quella più assurda che avesse mai pensato di sentire. Lui conosceva quella sensazione… sapeva cosa significavano quelle parole, perché anche lui aveva provato la stessa cosa. Ma decise di non dirglielo perché si vergognava di ciò che aveva fatto. Mentre lei era riuscita comunque a trovare il modo di sopravvivere, di andare avanti, lui aveva deciso di farla finita. La vergogna era immensa.

“Aspetta un secondo!”, disse lei come in preda a una sconcertante scoperta. “Sto per avere una rivelazione”. Edward rimase a guardarla, incapace di dare un senso a ciò che aveva appena detto ma, in fondo, Bella era così: imprevedibile.

“Bella?”, la richiamò Edward notando che si era come assentata.

“Sì. Ecco, ho capito”

“La tua rivelazione?”, domandò impaurito Edward, perché temeva sempre che da un momento con l’altro, Bella avrebbe capito di essere troppo per lui.

“Tu mi ami”, disse quasi meravigliata Bella ed Edward avrebbe giurato di sentire i cori degli angeli cantare l’Alleluja. Finalmente aveva capito? Stentava quasi a crederlo.

*****

Erano giunti a casa Cullen. Dopo le rivelazioni che si erano fatti, anzi, che lei aveva fatto, Edward non era più spaventato da ciò che sarebbe successo. Lei sapeva che lui l’amava, il resto perdeva di significato. Non appena furono entrati, Edward chiamò a raccolta la sua famiglia che, immediatamente, si palesò al loro fianco.

“Bentornata, Bella”, disse Carlisle. “Come possiamo esserti utile? Immagino che, visto l’orario mattiniero, non sia una visita di cortesia”. Edward lesse la preoccupazione nei pensieri di Carlisle.

“Ho un discorso da fare a tutti, se per voi va bene, a proposito di una questione importante”, disse Bella. Carlisle aveva intuito ciò a cui si Bella si riferiva, così come tutti i membri della famiglia. Sai che saremo sinceri, Edward. Conosci il mio pensiero e quello di tutti, disse mentalmente a Edward che lo guardava rassegnato. Sì, lo sapeva. E sapeva anche che da lì a breve avrebbero deciso per la trasformazione di Bella.

Si spostarono nella sala da pranzo, seduti attorno al tavolo. Erano tutti tesi, lo si poteva facilmente leggere anche senza conoscerne i pensieri. Perfino Rosalie azzardò un sorriso, sottolineando la tensione.

“A te la parola”, disse Carlisle dando inizio a quel confronto. Edward guardava tutti e non guardava nessuno: era teso anche se fino a poco prima avrebbe giurato che nulla avrebbe potuto più scalfirlo dopo la rivelazione di Bella.

“Il fatto è che ho un problema”, disse Bella. “Alice ha promesso ai Volturi che sarei diventata una di voi. Manderanno qualcuno a controllare e sono certa che siamo in pericolo… un’eventualità da evitare. Ecco perché siete tutti coinvolti. Ne sono molto dispiaciuta”. Bella non poteva nemmeno immaginare quanto i Cullen fosse dispiaciuti per lei e per Edward. Sapevano quanto fosse importante per Edward mantenere Bella umana, soprattutto lo sapeva Carlisle, l’unico che comprendesse la natura “esistenziale” del problema.

“Ma se voi non mi volete, non vi obbligherò ad accettarmi, sia che Alice voglia trasformarmi, sia che non lo faccia”, continuò Bella. “Sapete tutti cosa voglio. E sono sicura sappiate anche il parere di Edward. Penso che l’unica maniera onesta di decidere sia quella di farvi votare. Se decidete di non volermi, allora… penso che tornerò in Italia da sola. Non posso permettermi che siano loro a venire qui”. Per la prima volta, Edward conobbe i reali pensieri di Bella sull’argomento e capì che non vi era modo di evitare l’inevitabile. Bella sarebbe diventata un vampiro con o senza il suo intervento.

Bella fece un cenno col capo a Carlisle per cedere la parola, ma Edward intervenne. Era da qualche giorno che pensava a una soluzione e pensò che quello potesse essere il momento più opportuno.

“Un momento. Ho qualcosa da precisare prima della votazione, a proposito del pericolo di cui parla Bella. Non credo che dobbiamo lasciarci prendere dalla fretta”. Disse tutto abbastanza velocemente, cercando di bloccare qualunque tentativo di parola.

“Vedete, le ragioni per cui prima di andarcene non ho voluto stringere la mano ad Aro sono molte. C’è una cosa a cui non hanno pensato e che ho fatto in modo da non lasciar trapelare. I Volturi sono molto sicuri di sé e hanno ragione di esserlo. Per loro scovare qualcuno non è mai un problema. Ricordi Demetri?”, chiese in direzione di Alice che, mentalmente, lo stava già interrompendo per capire dove volesse arrivare. Anche Alice ricordava il gesto di Edward di non stringere la mano ad Aro e voleva capire perché.

“Trovare le persone è il suo talento. Ebbene, durante il tempo che abbiamo passato con loro ho setacciato la mente di tutti in cerca di informazioni o di qualunque appiglio potesse salvarsi. Così ho visto in che modo funziona il potere di Demetri. È un segugio mille volte più dotato di quanto lo fosse James. La sua abilità è in qualche modo simile a ciò di cui siamo capaci io e Aro. Scova le tracce dell’… aroma? Non so come descriverlo… della tonalità… ei pensieri della preda, e la segue. Funziona anche a distanze immense. Però, dopo aver visto che Aro e Jane hanno fallito su Bella, bè…”

“Pensi che non siano in grado di trovarmi”, concluse Bella.

“Ne sono sicuro. Si affida soltanto a quel senso in più. E su di te non funziona, saranno come ciechi”, disse contento Edward. Era compiaciuto, perché aveva trovato il modo di rallentare la trasformazione di Bella concedendole altri anni di lieta mortalità.

“Questo risolverebbe qualcosa?”, domandò Bella, demoralizzata.

“Ovviamente, Alice saprà prevedere la visita e dopo che mi avrà avvertito ti nasconderò. Sarà come cercare un ago in un pagliaio!”

“Però potrebbero trovare te”, asserì Bella.

“So badare a me stesso”

La famiglia si spaccò immediatamente: Emmett fu ben lieto di appoggiare il piano di Edward, ma lo stesso non poteva dirsi di Rosalie. Probabilmente Bella stava vedendo la sua possibilità di diventare vampira allontanarsi, ma Edward cominciava invece a sentirsi più convinto che mai.

“Va bene”, intervenne alterata Bella. “Edward vi ha offerto un’alternativa. Ai voti”. Edward si sentì un peso alla bocca dello stomaco: era il momento decisivo. Bella lo guardò intensamente e lui si sentì agitato.

“Vuoi che mi unisca alla tua famiglia?”. Quella domanda era la più importante della sua vita. Certamente voleva stare con Bella per tutto il tempo che la vita gli avrebbe concesso, ma non l’avrebbe mai privata della mortalità. La sua unica speranza era quella di guadagnare abbastanza tempo da far scemare l’attenzione dei Volturi da loro.

“Non in questa maniera. Tu resti umana”. Edward pronunciò quelle parole come una sentenza.

“Alice?”, chiese Bella.

“Sì”, rispose.

“Jasper?”

“Sì”

“Rosalie?”, un sorriso si dipinse sul volto di Edward.

“No”, rispose Rosalie. “Non sono contraria a che tu divenga mia sorella. È soltanto che… fosse stato per me, non avrei scelto questa vita. Avrei voluto che ci fosse qualcuno a votare no per me”. Bella incassò il primo rifiuto, comprendendone le motivazioni.

“Emmett?”, continuò Bella.

“Sì, diamine!”. Edward lo guardò torvo: possibile? Ma se fino a un istante prima aveva accettato il suo piano di distrarre i Volturi?

“Esme?”

“Sì, certo, Bella. Per me tu fai già parte della nostra famiglia”. Edward cominciò a scuotere la testa.

“Carlisle?”

Il vampiro non guardava Bella, ma Edward. La discussione fra loro era già cominciata prima che la ragazza gli rivolgesse la domanda. Devo accettare, Edward, pensò Carlisle.

“No”, ruggì Edward.

“È l’unica strada sensata. Hai deciso di non poter vivere senza di lei, il che non mi lascia molta scelta”. A quelle parole, Edward si alzò dal tavolo e si allontanò. Ciò che gli stava facendo più male erano proprio le parole di Carlisle. Se lui non avesse deciso di innamorarsi di Bella, Carlisle non avrebbe mai accettato che diventasse vampira. Come sempre, era stato lui il colpevole della sorte di Bella; lui e il suo stupido egoismo di averla per sé! Avrebbe preso a pugni in faccia se stesso se solo fosse servito a qualcosa e stava per fare una gran corsa fra gli alberi quando sentì la voce di Bella dall’altra parte della stanza.

“Bè Alice, dove vuoi farlo?”. Edward non ci vide più. In un attimo la sua vista si fece nera ed ebbe la sensazione di avere le vertigini. Tornò nella sala da pranzo correndo come un matto.

“No! No! NO!”, ruggì Edward. “Sei pazza? Hai proprio perso la testa?”. Edward non aveva… parole per quello che Bella stava chiedendo ad Alice. Sua sorella non avrebbe mai avuto il controllo!

“Bella, non credo di essere pronta”, disse Alice, imbarazzata.

“L’hai promesso” imbeccò Bella, dietro le braccia di Edward.

“Lo so, ma… sul serio Bella! Non ho la minima idea di come farlo senza ucciderti”

Edward intravvide il momento per proporre un’ennesima soluzione.

“Ascolta, Bella. Rimandiamo questo discorso a dopo il diploma, quando non vivrai più con Charlie. Se ora… noi… Charlie non ti vedrebbe tornare a casa e sguinzaglierebbe la polizia. Non sarebbe sicuro”. Era sensato? Lo sperava.

“La proposta mi sembra ragionevole, Bella”, disse Carlisle venendo in soccorso a suo figlio. Dopotutto, un anno non avrebbe cambiato molto. La ragazza non sembrò felice, ma fu costretta ad arrendersi.

“Dopo il diploma?”, domandò in direzione di Carlisle.

“Hai la mia parola”, rispose convinto il dottore.

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Capitolo 22
*** Il patto ***


Non è facile essere un vampiro. Non lo è mai stato. Guardare la vita scorrerti affianco, vedere le persone morire non ti rende felice. Edward sapeva quanto quell’esistere fosse vuoto e oscuro, e di certo non avrebbe mai voluto che Bella provasse una pena così. Per lei sembrava essere di vitale importanza abbandonare la mortalità e lui non comprendeva. O, meglio, capiva le motivazioni, ma non la fretta. Lui era morto a diciassette anni e, sebbene ormai ne avesse fatti più o meno un’ottantina, per Bella lei stava per diventare più vecchia di lui. Forse il fatto di essere diventato vampiro così presto non l’aveva spinto ad avere paura dell’invecchiamento; forse per lui il tempo non aveva mai avuto rilevanza. Ma per Bella sì. Edward si era chiesto più volte se sarebbe stato mai pronto a vederla morire di vecchiaia, a cogliere tutti i cambiamenti biologici che si sarebbero susseguiti in una vita insieme. Le rughe, l’artrosi… Bella si sarebbe spenta lentamente fra le sue braccia, sempre a che a coglierla non fosse stata una malattia. Era pronto? L’avrebbe accettato? Ma il punto era diverso: non erano domande alle quali lui avrebbe dovuto trovare una risposta. Dopotutto, ognuno è libero di decidere del proprio destino e chi era lui per scegliere al posto di Bella? Lui l’avrebbe sempre amata: nelle rughe, nell’artrosi e nella malattia. Di questo era assolutamente certo.

Più s’interrogava su questo, più la paura, quella vera, emergeva silenziosa nella sua mente e gli costò non poca fatica ammetterla. Non temeva il tempo, non temeva di perdere, un giorno, Bella… Temeva che lei si stufasse di lui. Guardandola negli occhi avrebbe voluto chiederle se avesse una vaga idea del significato della parola per sempre. L’eternità è più grande di qualsiasi unità di misura conosciuta, va al di là del tempo stesso. Quando il tempo si dilata, le priorità e le abitudini si dilatano con esso: più tempo per vivere, più tempo per pensare, più tempo per trovare noioso qualsiasi cosa. Gli esseri umani riversano nell’amore una speranza di eternità che, tuttavia, rimane solo una speranza. Le parole non dette per non ferire, le azioni non fatte per evitare di rovinare quel poco di buono che si è costruito. Le coppie raggiungono un punto di arrendevolezza: non si litiga davvero, non si parla sinceramente perché, dopotutto, il tempo concesso loro sulla Terra è talmente breve che non vale la pena mandare in fumo una vita vissuta assieme per una discussione. Ma il vampiro no. Lui non ha lo stesso problema e ogni giorno è libero di cambiare ciò che vuole perché, lo sa, avrà l’eternità davanti a sé per costruirsi un futuro diverso.

I giorni successivi al verdetto finale furono per lo più tranquilli. Charlie mise in punizione Bella, sperando di mettere un po’ il bastone fra le ruote alla loro storia. Edward ammirava quell’uomo: ne apprezzava la solidità, i valori e l’amore per Bella. Ma c’era anche un’altra persona che amava quella ragazza, una persona che presto o tardi avrebbe dovuto incontrare: Jacob. Per quanto quel cagnaccio lo infastidisse – al di là del puzzo – sapeva che doveva essergli grato per aver salvato Bella quando lui non c’era. I Quileute avevano lottato contro Laurent e avevano salvato la vita a lei. La riconoscenza per quello non avrebbe mai trovato fine nella vita di Edward.

Quando l’odore arrivò alle sue narici, Edward accettò il fatto che si sarebbe dovuto confrontare con Jacob. Li stava aspettando furibondo e… triste. Il vampiro non amava invadere la privacy delle persone, ma in quel caso volle sapere in anticipo le intenzioni di Jacob. Così, lesse la sofferenza, il tradimento, la preoccupazione e lo sconfinato amore che provava per Bella. Probabilmente si sarebbe aspettato di essere più geloso nel conoscere i suoi pensieri, eppure in quel momento riuscì solo a provare dispiacere per lui.

Il lupo era arrivato davvero arrabbiato perché pensava che fosse Edward a impedire a Bella di andare a La Push e quando il vampiro disse ad alta voce i pensieri di lui, ne rimase sconvolto e irritato.

“Bella non esagerava a proposito delle tue… qualità. Perciò, immagino che tu sappia già perché sono qui”, disse Jacob.

“Sì. Però, prima che cominci, vorrei dirti una cosa”. Jacob attese con i muscoli rigidi, tenendo sotto controllo la rabbia. “Ti ringrazio. Non esistono parole per dirti quanto io ti sia grato. Ti sarò debitore per il resto della mia… esistenza”

Sia Jacob che Bella non capirono ciò a cui lui stava facendo riferimento. Ecco perché fu costretto a chiarire.

“Per aver salvato Bella, quando io… non ho potuto farlo”

“Non l’ho fatto per te”, ringhiò Jacob.

“Lo so. Ma ciò non annulla la gratitudine che provo. Pensavo di dovertelo dire e se ci fosse qualcosa che posso fare per te…”

Levarti dalle palle, per esempio? Gli rispose Jacob mentalmente, mentre alzava un sopracciglio. Edward incassò il colpo.

“Non è mia prerogativa”, rispose il vampiro a quella domanda che Bella non aveva potuto sentire.

“E di chi è allora?”

“Sua”, disse Edward indicando Bella. “Io imparo alla svelta, Jacob Black, e non ripeto mai lo stesso errore due volte. Finché non sarà lei a dirmi di andare, resterò qui”

Fu solo in quel momento che Bella capì quale poteva essere stata la richiesta di Jacob e ne fu irritata.

“Hai bisogno di altro, Jacob? Volevi mettermi nei pasticci? Ma questo non basterà a tenermi lontana da Edward. Niente può riuscirci. Che altro vuoi?”. Le parole di Bella colpirono Jacob come un pugno e il vampiro poté avvertire il suo dolore. Edward ammirò il contegno di quel ragazzo, così capace di nascondere la propria sofferenza dietro al rabbia.

“Volevo solo ricordare ai tuoi amici succhiasangue alcuni punti fondamentali del patto che hanno deciso di rispettare. Il patto è l’unico motivo che m’impedisce di tagliargli la gola, qui e ora”

“Non abbiamo dimenticato”, disse Edward nello stesso istante in cui Bella chiedeva quali fossero i punti.

“Il patto è molto chiaro. Se uno qualsiasi di loro mordesse un essere umano, la tregua sarebbe rotta. Morde, non uccide”. Jacob guardò Edward. Pensavi di poterla rendere un mostro come te? Invece no, tesorino. Se lo farai io ti ucciderò.

Il vampiro fu grato a Charlie che, in quel momento, cominciò a richiamare Bella a casa. Anzi, più che richiamare, sbraitava. Edward temeva che Jacob potesse perdere il controllo e che, nel trasformarsi, potesse fare del male a Bella. Quella discussione fu per lui molto importante, perché comprese quanto sarebbe stato difficile liberarsi di Jacob. Edward si trovava fra tre fuochi, uno più pericoloso dell’altro: da una parte aveva Bella che voleva essere trasformata il prima possibile e con la quale era riuscito a giungere all’accordo di un anno; poi c’erano i Volturi che non avrebbero preso bene il tempo che Edward aveva “strappato” per poter tardare la trasformazione. Infine vi erano i Quileute con il loro accordo stipulato anni prima, quando ancora Edward non sperava di poter incontrare Bella.

Sarebbe stato un anno molto lungo, pensò Edward mentre attendeva che Bella rientrasse a casa per raggiungerla in camera da letto. Ma l’avrebbe affrontato giorno dopo giorno insieme a lei. Rivolse un ultimo sguardo a Jacob.

Ti odio, gli disse il lupo.

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


Il sole brillava caldo sulla verde radura, illuminando gli occhi nocciola di Bella e riflettendosi cristallina sulla pelle di Edward. Amavano entrambi quel posto, così significativo per la loro storia d’amore. Dopo il ritorno di Edward, i fiori avevano ricominciato a crescere e Bella si chiedeva spesso se non fosse un vero e proprio miracolo. Sembrava che quella radura riflettesse il loro rapporto: tanto più era vivo, tanto meglio cresceva l’erba. Edward avrebbe potuto passare la sua eternità in quel posto, accanto a Bella. Amava osservare le sue espressione, annusare i suoi capelli, accarezzare la sua pelle morbida. Ciò che era accaduto solo qualche mese prima sembrò volatizzarsi nella nebbia dei ricordi ed Edward non si era mai sentito così vivo. Parlarono sempre meno della loro separazione, in modo da dimenticarla il prima possibile.

“Tu hai una vaga idea di quanto io ti ami?”, le chiese Edward guardandola negli occhi. Lei arrossì e sorrise.

“Mmm, non so… di sicuro non quanto io ami te”

Erano quei piccoli momenti che lo facevano star bene. Quegli attimi trascorsi a parlare del loro amore, di quanto fosse grande e di quanto avessero l’uno bisogno dell’altra. Edward appoggiò le sue labbra su quelle di Bella e si baciarono. Aveva imparato a mantenere il controllo, ormai avrebbe potuto trattenersi per ore. Con una mano le accarezzava il collo e la sentiva fremere. Ogni bacio era una nuova scoperta; ogni carezza era un nuovo traguardo. Ma non bastava…

Edward avrebbe voluto di più e anche Bella. Ma avevano troppe paure per parlarne apertamente. Lui temeva che il controllo potesse mancare, dopotutto un bacio era un bacio ma il contatto fisico… un’altra storia. Lei aveva paura di non essere mai abbastanza.

“Non so cosa avrei fatto nella vita se non ti avessi incontrata”, le sussurrò Edward.

“Inutile chiederselo. Siamo qui e siamo insieme”. Bella aveva la testa appoggiata alla sua spalla e disegnava dei piccoli cerchi con la punta delle dita sulla sua mano. Aveva ragione: erano insieme.

“Ti amo, Bella”. Edward era sicuro che non si sarebbe mai stancato di ripeterlo.

“Ti amo”, gli rispose Bella e lo baciò.

 

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