I sepolcri

di General_Winter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rivale ( Francis e Horatio Nelson ) ***
Capitolo 2: *** Compagno (Ivan e Lenin) ***
Capitolo 3: *** Il miglior nemico (Arthur e Napoleone Bonaparte) ***
Capitolo 4: *** Gli uomini illustri (Feliciano e le tombe di Santa Croce) ***
Capitolo 5: *** L'ebreo errante (Natalja e Marc Chagall) ***



Capitolo 1
*** Rivale ( Francis e Horatio Nelson ) ***


Rivale


Osservò a lungo il sepolcro nero come l’ebano.
Corrugò la fronte, scrutando ogni lettera dorata che era incisa sul legno. Assottigliò maggiormente gli occhi, quasi sdegnato, per poi rilassare i lineamenti rassegnato. Tutta questa vasta gamma di emozioni che era passata sul volto del francese non restò inosservata da parte dell’inglese, che gongolava e si preoccupava allo stesso tempo: erano già dieci minuti, da quando erano entrati nella cattedrale di St. Paul, che stavano fermi di fronte alla tomba di Nelson. In realtà Arthur se l’era quasi immaginato che quell’altare di memoria avrebbe attirato l’attenzione del francese, ma si aspettava una reazione ben più teatrale, qualcosa tipo “Napoleone ce l’ha più grande” oppure “Ridammi l’albero della mia nave!”; non di certo lunghi istanti di silenzio in compagnia di muti pensieri che deformavano il viso di Francis. Stava per chiedere a quella rana maliziosa cosa gli passasse per la testa, ma il silenzio fu interrotto da una frase del francese, come una quieta litania nella sua lingua madre, sconnessa come il delirio di un malato: « Meglio la gloria dopo una ferita mortale o un mito dopo la vecchiaia? Con la magia hai estratto dalla feluca a brandelli il coniglio della tua Trafalgar, ma scommetto che avresti preferito un’isola in comproprietà nell’Atlantico. Non è così, Horatio? ».
Arthur guardò stralunato il francese, quasi spaventato dalle sue parole, insicuro su cosa stesse dicendo.
Non riuscì a domandarlo che il francese aveva già abbandonato il nemico sul campo di battaglia.




Angolo autrice:
Torno dopo mesi con questa raccolta senza pretese. Spero piaccia l'idea anche se può risultare scontata. Aspettatevi altri lavori durante quest'estate!
A presto.

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Capitolo 2
*** Compagno (Ivan e Lenin) ***


Compagno



Gli era sempre parso una fiamma; carminio come le ideologie che per anni lo hanno animato, amaranto come il sangue versato per farle vivere. A Ivan era sempre sembrato particolarmente adatto per la salma che conteneva, la quale pareva essersi spenta il giorno prima e non immobile da quasi cent’anni.
I turisti si stavano dissipando, ma lui intendeva restare, aveva un ultimo mazzo di fiori da posare: le ampie corolle dei girasoli parvero danzare all’arrivo di uno sbuffo di vento. I passi risuonarono nel riverbero del vuoto mausoleo; si fermò, chinandosi a posare il grosso bouquet. Non si illudeva che la mattina dopo qualcuno lo avrebbe preso e buttato nella spazzatura, ma ci teneva a lasciare ancora l’ennesima prova che lui non aveva dimenticato l’evento che aveva rivoltato come un guanto la sua secolare esistenza.
Ritto nella propria stazza, Ivan si chinò un poco in un riverenziale inchino, socchiudendo gli occhi, celando così alle iridi cobalto la vista del cadavere del rivoluzionario.
« Спасибо, compagno Lenin ».




Angolo autrice:
capitolo più corto del precedente, ma vedrò di rifarmi col prossimo...
Comunque, una cosa che non ho detto riguardo allo scorso capitolo e alla raccolta: un grazie a Foscolo e una richiesta di perdono a De André...
Nel prossimo capitolo avremo il nostro inglese preferito!
A presto, 
General_Winter

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Capitolo 3
*** Il miglior nemico (Arthur e Napoleone Bonaparte) ***


Il miglior nemico



C'era freddo a Parigi quel giorno e le nuvole plumbee minacciavano pioggia. Arthur non ne era particolarmente toccato: era troppo abituato alla pioggia per esserne realmente infastidito, ma per una volta che non si trovava a Londra preferiva evitare l'acqua.
Si coprì di più con il colletto della giacca, mentre le prime gocce scendevano dal cielo, correndo a ripararsi a Hotel de Invalides, lì vicino.
Osservò la pioggia cadere a secchi, cercando di concentrarsi su quel rumore ritmico che colpiva il cemento, piuttosto che sulla presenza alle proprie spalle che pareva scrutarlo con occhi inesistenti: come un'ombra che soffiava insospettita il proprio fiato freddo sul collo di Inghilterra; che lo invitava a voltarsi e a farsi sfidare ancora.
L'orgoglio inglese non resse a quella silenziosa provocazione. Si voltò di scatto, pronto ad affrontarlo, restando comunque intimorito per alcuni secondi: il lucido legno bruno della tomba del generale francese rifulgeva di un colore più fioco per la luce grigia delle nubi.
Arthur serrò la mascella e distolse lo sguardo, dandosi poi mentalmente dello stupido per non riuscire a sostenere l'imponenza di una tomba. Una tomba particolarmente massiccia per un uomo così basso.
La realtà era che, pur nella sua piccola statura, gli era sempre sembrato fin troppo grande.
Fece una smorfia.
Caduto come tutti gli altri che hanno tentato di sottometterlo, ma pur sempre un grande rivale.



Angolo autrice:
ringrazio chi ha messo la storia nelle seguite e chi la legge in silenzio, ma un parere vostro mi farebbe piacere ^^'
General_Winter.

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Capitolo 4
*** Gli uomini illustri (Feliciano e le tombe di Santa Croce) ***


Gli uomini illustri


I passi rimbombarono non volutamente, mentre il riverbero si espandeva inesorabile  tra le navate. Feliciano trattenne il fiato come se quel gesto potesse calmare in qualche modo il rumore che aveva causato senza intenzione; premura del tutto inutile, ma non c’era nessuno da disturbare in quell’ora del giorno, giusto qualche turista che si era avventurato sotto l’implacabile sole del mezzogiorno fiorentino o qualche vecchina che non poteva rinunciare alle proprie preghiere e alle invocazioni.
Nel loro più totale rispetto, l’italiano alleggerì il passo sul marmo lucido della chiesa: non voleva recar fastidio ad altri, era lì solo per un saluto.
Un inchino, un palpito del cuore appena più accelerato per il Buonarrotti, che lo aveva reso ancora più bello e desiderabile con la sua delicatezza nel forgiare la pietra e nel ritrarre i corpi.
Un passo malfermo, un’occhiata più penetrante alla tomba dell’Alfieri, che riportò in auge il teatro ormai estinto in un’Italia non ancor nata, ma già piangente sul suo sepolcro.
Abbassò gli occhi in modo riverenziale, Feliciano, quando si mosse davanti alla tomba del Machiavelli, che già da tempo aveva capito come si governava uno stato e lo aveva messo per iscritto affinché tutti potessero usufruirne.
Sorrise grato, piano, per paura di farsi vedere, con un cenno di saluto negli occhi quando quasi si fermò di fronte alla tomba di colui che aveva pianto e sofferto e combattuto quando Feliciano, ormai sconfitto, fu ceduto al dominio straniero: sperava sul serio che fosse tornato nell’amata Zacinto.
Sospirò infine arreso quando, fermo davanti al monumento funerario di Galilei, lo commemorò nonostante il finale atto di presunta codardia di cui era stato accusato: probabilmente lo stesso Italia avrebbe fatto. Le sue idee erano pericolose al tempo, per quanto geniali e veritiere.
Si diresse all’altare, piegandosi in una lieve genuflessione, per poi voltarsi ancora verso le tombe.
Mormorò tra sé e sé: « Meritavate tutti di stare in compagnia di qualcuno del vostro livello. ».

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Capitolo 5
*** L'ebreo errante (Natalja e Marc Chagall) ***


L'ebreo errante



Strinse di più le dita sottili attorno all’asta dell’ombrello che usava per ripararsi dal sole, che quel giorno aveva deciso di abbattersi implacabile sulle lapidi, sui muri delle case e sulle fronde dei rari alberi a Saint Paul de Vence. Gli unici salvi da quella insopportabile calura erano i gatti acciambellati sulle finestre e i pochi turisti e abitanti che non si erano mossi dagli intricati vicoli all’ombra delle costruzioni.
Voleva dell’acqua; la sete le seccava la gola, ma avrebbe dovuto aspettare di uscire dal cimitero per recarsi in uno dei piccoli negozi. Almeno non sarebbe rimasta lì ancora al lungo.
Sospirò piano, quasi infastidita, mentre raccoglieva un ciottolo rotondo da terra e cercava nella borsa una penna: se l’era portata.
All’inizio non le era piaciuto. Trovava le sue opere sghembe e prive di senso, dai colori troppo accesi e poco uniformi. Non capiva quell’arte astratta, come mai certe figure fossero più alte di altre.
« Di questi tempi l’arte deve rappresentare le emozioni dell’artista e la realtà del mondo in cui vive e dire che ciò che ci accade attorno è abbastanza confusionario come i miei dipinti. ».
I caratteri cirillici sembravano sul punto di sbiadire da un momento all’altro sulla pietra. Probabilmente, nel giro di qualche soleggiata e di qualche violenta pioggia si sarebbero cancellate sul serio.
Posò la pietra sulla lapide, come era usanza nella cultura dell’artista: una tradizione strana, Natalja lo ammetteva a se stessa, ma per qualcosa di così minimo non si sarebbe limitata.
Chiuse gli occhi, del tutto svuotata da quell’aura sprezzante che era solita avere con tutti: « Non era così male la tua arte, dopotutto. ».
Tornò in paese. Aveva ancora sete.

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