Cinque minuti e arrivo

di Eliessa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


PROLOGO

Jane era sotto le mani di quell’uomo.
Era sdraiata sul suo letto, immobilizzata.
Sentiva la lama del bisturi fredda e precisa penetrarle lentamente e dolorosamente.
Era la sua fine.
Lo aveva immaginato dall’inizio che questa volta questa battaglia non l’avrebbe vinta ma ora stava diventando realtà. Aveva i minuti contati. La sua vita aveva i minuti contati e in un secondo la sua mente ripercorse alcuni ricordi, le ultime parole scambiate pochissimi minuti prima con Maura. Le loro ultime parole, il loro ultimo scambio di sguardi. L’ultima volta che Jane sentì la voce della donna. La sua donna.
Jane era sul letto, senza forze per liberarsi da Hoyt o per gridare.
Ma all’improvviso la porta della camera da letto si aprì e Maura entrò lentamente e silenziosamente pugnalando senza esitazione due volte Hoyt alla schiena, perforandogli cuore e polmone.
Hoyt cadde a terra in una pozza di sangue. Con un calcio Maura allontanò il bisturi dell’uomo e poi si fiondò su Jane  liberandole i polsi tagliando la corda con i bisturi e mentre con una mano cercava di bloccare il sangue con l’altra avvisò Frankie di mandare un’ambulanza.
Maura era riuscita ad arrivare in tempo. Pochi secondi più tardi e tra le mani avrebbe stretto soltanto il cadavere di Jane.

-Avevi detto 5 minuti e arrivo, sei stata di parole.- disse Jane sforzandosi con la voce.
-Scc, non sforzarti. Ora sono qui. Con te.-

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


Chapter 2


Hoyt era tornato. Riusciva a perseguitare Jane, sapeva come farle avere paura. Aveva capito come fare per tenerla in pugno, per toglierle il sonno. Era riuscito a diventare l’unico pensiero fisso della sua amata ed allo stesso tempo tanto odiata Jane.
Era passato un mese. Un mese pieno di ansia, paura, indagini che non portavano a niente… Era passato un mese eppure sembrava una vita.
I detective della polizia di Boston stavano dando la caccia ad un fantasma.
Erano le otto di una fredda sera di novembre quando Korsak e Frost convinsero Jane a staccarsi dalla sua scrivania.
-Tra cinque minuti vado via, giuro!- esclamò Jane.
-Questi cinque minuti non ti servono a niente. Non troverai Hoyt. Puoi continuare domani mattina. Va a casa.- continuò Korsak.
-Ha ragione.- replicò Frost. –Dai ti offro un passaggio fino a casa.-
-Prenderò un taxi, non c’è bisogno della scorta.-
-Il mio era solo un semplice passaggio, poi se vuoi fartela a piedi fino a casa con questo freddo, beh…-
-Ok, ok. Grazie.-
aggiunse dopo qualche secondo sorridendogli. In fondo aveva ragione, gli aveva soltanto offerto gentilmente un passaggio fino a casa.
-Scommetto che se al posto nostro ci fosse stata Maura non avesti fatto tante storie. Tu che dici Korsak?-
-Ma Maura ora non c’è. A quest’ora sarà in viaggio di ritorno dal convegno.-
finì di dire Jane.
-Dai andiamo.- suggerì Frost. –Korsak, vieni anche tu?-
-Arrivo.-
-Ora le guardie sono due?-
-Ehi signorina, ho la macchina rotta, lo hai dimenticato?-
-Nossignore, andiamo su. Ah e per tua informazione stavo scherzando. Lo so volete essere solo gentili con me, ma non ci sono abituata.-
-E ti abituerai allora, andiamo.-
I tre poliziotti uscirono dalla centrale ed entrarono nel parcheggio sotterraneo dove Frost teneva l’auto. Mentre stavano raggiungendo l’appartamento di Jane a lei venne l’idea di improvvisare una cena a casa sua.
-Ragazzi stavo pensando che nel frigo ho qualche birra, che dite se prendiamo le pizze e mi aiutate a finirle?-
-Io ci sto.-
disse Frost.
-Beh, non rinuncerei mai ad una birra ed una pizza.-
-Allora Frost, al prossimo incrocio gira a sinistra, ci fermiamo da “Mario”.-
E così Frost si fermò da Mario. Jane andò a prendere tre pizze una ai funghi, una al salame e una ai wurstel mente i due uomini l’aspettarono un macchina. Una decina di minuti e la donna era già di ritorno e in meno di cinque erano già sotto casa di Jane.  I tre salirono insieme nell’appartamento e una volta arrivati li Korsak e Frost erano già a loro agio, era come se fossero a casa loro. Iniziarono a togliersi le giacche e mentre Frost sistemava le pizze sul tavolino in soggiorno davanti la tv, Korsark prese le birre dal frigorifero. Jane invece iniziò a sigillare la porta d’ingresso con le sue serrature a prova di scasso.
-Paura?!- chiese Frost seduto sul divano tranquillo mentre Jane aveva  appena finito di mettere l’ultimo sigillo alla porta.
-C’è un uomo li fuori che mi vuole morta. Un uomo che da un mese mi toglie il sonno, che mi fa sussultare ad ogni piccolo rumore. Un uomo che sta pensando a come recidermi la carotide e farmi morire in una pozza di sangue di notte da sola. Credo che almeno qui in casa un po’ di attenzione in più non faccia male Frost.-
-Però non hai risposto alla mia domanda.-
continuò Frost. –Hai paura?-
-Si, me la faccio sotto dalla paura. Credo che sia più che normale.-
-Finalmente lo hai ammesso. Jane non sei un robot, anche tu provi dei sentimenti.-
-Ma sono una poliziotta.-
rispose a Frost riponendo la pistola e il distintivo in un cassetto di un basso mobiletto color legno nel salotto alle spalle del divano. -E non dovrei averne se voglio prenderlo.-
-Lo prenderemo.-
disse Korsak. –Dovrà commettere un errore, si dovrà rifare vivo in qualche modo.-
-Magari uccidendomi. Comunque ora non parliamo di lui. Ho fame quindi passatemi una fetta di pizza.-
Erano tutti in salone intenti a guardare una partita in tv, ma Jane era assente con la mente, pensava ad Hoyt. Da quando era evaso dall’ospedale era sparito nel nulla, ma qualcosa, una sensazione le diceva che era vicino a lei. Un killer vuole studiare la sua preda per trovare il momento propizio per attaccarla. Si sentiva osservata anche quando con lei non c’era nessuno ed era sicura di essere da sola. L’ossessione per quell’uomo era forte e la stava facendo impazzire e forse Hoyt voleva proprio questo: vederla crollare per poi darle il colpo finale, quello mortale.
Verso le 11 p.m. i due uomini uscirono da casa di Jane ma Frost prima di salire in auto mandò un messaggio alla dottoressa Isles con scritto “Va da Jane ora, solo tu puoi starle accanto”. Poi si rivolse a Korsak.
-Credo che nessuno la capisca come Maura. E’ l’unica persona che può farla ragionare e soprattutto starle vicino ora.-
-Da quanto sei innamorato di Jane, Frost?-
Il poliziotto rimase un po’ spiazzato dalla domanda del collega.
-Saresti un ottimo detective, sai?- Frost rise e salì insieme a Vince in auto. Avrebbero dovuto fare dieci minuti di viaggio insieme e per quanti pochi minuti fossero sapeva che Korsak non gli avrebbe dato tregua, doveva dargli una risposa, così fece un respiro profondo e gli confessò la verità. –Beh, da tanto… molto. E’ successo così all’improvviso. La vicinanza, il lavorare insieme, i suoi modi di fare così forti ma che in fondo nascondono una donna molto più sensibile di quello che in realtà è. Non ho mai fatto nulla per dimostrargli i miei sentimenti.-
-E perché? Sei un bel ragazzo, un ottimo poliziotto, non ti manca nulla. Non ci sarebbe nulla di così strano.-

-Perché quando ho preso coraggio ho capito che non avrei mai avuto una possibilità. È innamorata di un’altra persona.-
-Di chi? Non frequenta nessuno, io lo saprei. Secondo me ti sbagli.-
-Ancora non ci arrivi eh? E’ innamorata di lei.-
aggiunse Frost dopo qualche attimo di silenzio indicando Maura appena scena dalla sua Jaguar nera.
-Jane e Maura stanno insieme?-
-No, ancora no e non capisco cosa aspettino.-
-Forse ti sei sbagliato e non è come credi.-
-No, so quello che dico, fidati presto scatterà la scintilla vera tra loro. Ora andiamo.-
Frost mise in moto l’auto e partì; intanto Maura arrivò davanti la pota di casa dell’amica, bussò e aspettò che Jane le aprisse.  Lei  era sdraiata sul divano, caduta quasi tra le braccia di Morfeo ma appena sentì bussare senza far rumore si alzò, andò a prendere la pistola e si avvicinò alla porta. Solo quando vide Maura dallo spioncino emise un sospiro di sollievo, abbassò la pistola, tolse i catenacci e aprì la porta.
-Dormivi?- chiese Maura sfoggiando uno dei suoi più bei sorrisi.
-Si, cioè no; ero sul divano. Sto cercando di togliermi dalla testa le urla di Frost e Korsak.-
-Si, li ho visti sotto mentre andavano via.-
disse Maura mentre Jane richiuse tranquillamene la porta a chiave.
-Piuttosto, tu che ci fai qui?-
-Pensavo ti facesse piacere. Appena finito il convegno mi sono diretta qui da te. Non voglio che rimani sola, lo sai come la penso. E poi avevo voglia di un bicchiere di vino, e quale migliore compagnia se non la tua?-
-Non hai reclutato nessuno bel medico al convegno con cui condividere un bicchiere di vino?-
-Preferivo un’amica a un estraneo.-
-Uhm, comunque io prendo la birra.-
-Non avevo dubbi.-
Le due donne si scambiarono un sorriso, poi andarono in cucina a prendere il vino e un calice per Maura e una birra dal frigo per Jane e si diressero in camera da letto. Era notte. Tra 7 ore la sveglia di Jane avrebbe suonato per annunciare una nuova giornata con tutto quello che si sarebbe portato dietro.
-Allora com’è andato il convegno? Rracconta!- disse Jane riponendo la pistola sul comodino per poi mettersi a letto con Maura.
 -A te non interessano queste cose Jane.-
-Però mi interesso di te, che è un po’ diverso.-
-Era solo un convegno annuale per anatomi patologi. Ti lascio immaginare il dottor Popof quello che ha fatto non appena è finito.-
-Oddio! Popof!-
-Invece qui com’è andata in mia assenza?-
-Come sempre. Ho passato la giornata a capire se qualcuno mi spiasse, a morire di paura, e per concludere non ho trovato Hoyt. Tutto sommato sono ancora viva quindi non è andata male, ma neanche bene.-
-Dovresti prenderti una pausa.-
-Dovrei… ma dovrei anche prendere Hoyt.-
-Lo prenderai , ti serve solo un po’ di tempo.-
-E a me manca proprio questo, il tempo. Voglio Hoyt è chiedere troppo?-
-Dormici su, questa notte resto a farti compagnia.-
-Si, ora ho proprio bisogno di una bella dormita.-
Le due donne finirono i loro bicchieri di vino e birra.
-Grazie Maura, notte.-
-Notte Jane.-
  In poco tempo Maura si addormentò mentre Jane la guardava dormire, meravigliata dalla bellezza che aveva accanto e se avesse avuto il coraggio di ammettere i suoi reali sentimenti sarebbe stata sua, forse.
Era troppo tempo che guardava Maura con occhi diversi, ma da lì ad ammettere di essere innamorata della sua migliore amica era troppo anche se era la verità.
Era l’unica persona che la conosceva davvero, che sapeva cosa desiderava, ma Maura non sapeva che volesse lei.
Jane era distesa accanto alla donna bionda e pensava al momento in cui le avrebbe confessato la verità ovvero i suoi sentimenti per lei. Il loro rapporto sarebbe finito la oppure sarebbe evoluto, sarebbero state insieme come una coppia innamorata e felice?
Finché non glielo avrebbe confessato non lo avrebbe mai saputo, ciononostante Jane non aveva ancora preso in considerazione la cosa più importante: Maura provava per lei i suoi stessi sentimenti?
 Il mattino seguente Jane si svegliò presto, qualche minuto prima della sveglia e quelle ore di sonno furono ore passate in tranquillità, accanto a Maura si sentiva sicura, protetta. Lei la faceva stare bene.
Prima di alzarsi dal letto, rimase a guardare la sua amica dormirle accanto come un angelo, ma la sua tranquillità si fermò quando un rumore proveniente dalla cucina la fece sobbalzare dal letto: era Angela, la madre. Era entrata in casa senza far rumore, vista l’ora, per preparare la colazione ma due piatti di ceramica le scivolarono dalle mani finendo in tanti pezzi sul pavimento.
Jane si alzò subito dal letto e Maura, svegliandosi di soprassalto, si alzò con lei.
-Vengo con te.- sussurrò Maura.
-No, tu resti qui.- rispose determinata Jane ma in fondo aveva paura. Non poteva essere Hoyt pensò. Lui entra di notte nelle case e soprattutto senza far rumore così che le sue vittime non si accorgano di quello che sta per succedere.  Prese la pistola e adagio andò verso la cucina e li trovò la madre. –Mamma! Accidenti, vuoi farmi morire di paura? Come se già lì fuori non c’è un serial killer che mi vuole sgozzare.-
-Ehi calma. Abbassa la pistola. Ero solo venuta a prepararti la colazione.-
-Si, grazie ma. Scusa.-
Poi con un tone di voce un po’ più alto chiamò Maura. –Puoi venire Maura, falso allarme. E’ solo mia madre.- Finì di dire quando la donna era già arrivata.
-Buongiorno.- disse Maura con un sorriso.
-E tu che ci fai qui così presto?- chiese Angela.
-O così tardi.- Rispose Maura. –Dopo il convegno sono venuta direttamente qui.-
-Allora la questione è davvero seria se Maura si precipita qui in piena notte.-
-Solo ora l’hai capito mamma?-
-Pensavo che tendessi ad esagerare per non avermi tra i piedi.-

-Mamma, lì fuori c’è un serial killer che uccide delle donne tagliandole la gola e il suo unico obiettivo ora sono io. E’ riuscito solo a lasciarmi questo ricordo perenne.- disse Jane alzando le sue mani per mostrare le cicatrici che Hoyt le aveva fatto quando l’aveva inchiodata per terra. –Non è riuscito ad uccidermi perché Korsak e Frost sono arrivati in tempo ed ora vuole terminare quello che ha iniziato con me.-
-Oh mio dio, Jane!-
La madre strinse la figlia in un forte abbraccio materno, quello di cui Jane aveva bisogno anche se non lo dimostrava. –Perché non resti a casa allora? Prenditi del tempo.-
-Mamma, sono una poliziotta e il mio compito è catturare gli assassini. E poi in una centrale di polizia sono molto più che al sicuro. Non mi succederà nulla.-
-Ma per andare in centrale dovrai pur uscire di casa.-
-Senti, non posso parlare delle indagini ma per ora Hoyt non si è fatto vivo, quindi tranquilla.-
-Non so se è più un bene o un male.-
continuò Angela.
-E’ una certezza. Ora vado a cambiarmi, poi accompagno Maura a casa e vado in centrale.-
-Sta attenta.-
finì di dire Angela e Jane le fece l’occhialino per poi andare a cambiarsi in camera. –Maura, dimmi la verità: quanto sta rischiando Jane?-
-Jane ha la testa sulle spalle. E’ in gamba, un ottima poliziotta, la migliore che conosca, lo prenderà. Prima o poi lo prenderà.-
-E per allora Jane sarà già distrutta. Distrutta psicologicamente. E’ troppo orgogliosa per chiedere aiuto.-
-Jane chiede aiuto a modo suo. E’ difficile starle accanto ma non impossibile per chi la conosce ed io per lei ci sarò sempre anche se la situazione fosse dieci volte peggiore di questa.-
-Peggio di così non c’è niente.-
disse Angela mentre Jane ritornò dalla sua stanza vestita con il suo solito tailleur nero, con una maglia bianca al posto di una camicia.
-Noi andiamo mà.-
-E la colazione?-
-Prendo un pancake, lo mangio in macchina. Andiamo?-
chiese rivolta a Maura.
-Andiamo. Ciao Angela.- Le due donne uscirono dall’appartamento mentre Angela rimase in cucina con la colazione pronta ed a malapena toccata da Jane e Maura ma a finirla ci pensò Frankie. La madre sapeva che stava per smontare dal turno di notte così si fece raggiungere a casa della figlia.
Intanto le due amiche dopo una decina di minuti di viaggio arrivarono a casa di Maura e mentre lei andò a cambiarsi per una nuova giornata lavorativa Jane preparo del caffè istantaneo, quello che a casa sua non aveva preso e che a Maura non piaceva ma lo beveva lo stesso. Mentre sorseggiava il suo caffè aprì il televisore per sentire il notiziario della mattina: informazioni sul traffico in tempo reale, sul meteo, la partita imminente dei Red Soxs, e la notizie di attualità: la popolazione era ancora spaventata per Charles Hoyt che ancora vagava indisturbato per la città di Boston e la polizia, e quindi Jane, ancora non aveva idea di dove si nascondesse.
-Sentito Maura?- Disse Jane con la sua tazza di caffè in mano, gli occhi fissi sul televisore che passavano le foto di Hoyt e l’amica accanto. –La popolazione è stanca, ha paura ed io non l’ho ancora preso. Avrei voglia di mollare tutto.-
-So che non lo faresti mai, non è da te. La Jane che conosco io non mollerebbe mai.-
-Non so più neanche chi sono, insomma…-
-Sei Jane Rizzoli, l’indistruttibile…-
-Non direi indistruttibile. E’ già riuscito a fami a pezzi una volta. Mi ha quasi distrutto.-
-Appunto, quasi. Nessuno riesce a fermarti. Nessuno neanche un pazzo come lui. La poliziotta che è in te non ti permetterebbe mai di arrenderti, di lasciarlo libero dopo quello che ha fatto… che ti fatto. Ci ha fatto.-
aggiunse Maura dopo un attimo di silenzio. Jane la guardò fissa negli occhi. “Ci ha fatto”, perché aveva detto proprio in quel modo?
-Ci ha fatto?-
-Ho sofferto quando te. Quando sei arrivata in ospedale i medici erano sicuri che non avresti potuto più recuperare la manualità.-
disse Maura prendendole dalle mani la sua tazza di caffè per posarla sul bancone e poi stringerle le mani. –E’ come se avessero detto a me che non avrei più potuto usare le mani. Jane, non sopporterei di nuovo l’idea che ti succedesse qualcosa di brutto.-
-Ma non è successo, guardale. Ho di nuovo il pieno possesso delle mani, riesco a tenere la pistola nelle mani e continuo a suonare il piano di nascosto ma non dirlo a mia madre.-
-Jane, promettimi che lo prenderai, fallo per noi.-
disse Maura stringendo le mani dell’amica ancora di più nelle sue.
-Si, per noi. Te lo prometto.-
Maura era una donna che non riusciva ad esprimere i suoi sentimenti, era una donna che si basava sulla logica e cercava di prevedere quando avrebbe provato un sentimento più che provarlo in quel preciso momento.
Ora che Hoyt era in libertà provava rabbia e paura, ma sapeva anche che quando sarebbe stato catturato, vivo o morto, avrebbe provato sollievo. Era così difficile per lei esprimere i suoi sentimenti che non si era accorta di provarne uno molto grande e profondo: l’amore.
L’amore per Jane, la sua migliore amica.
Il confine tra amicizia e amore era diviso da una linea sottilissima, confine facile da superare ma difficile da ammetterlo, riconoscerlo.
Il bisogno di proteggere Jane, la voglia di starle accanto, la paura di perderla era rinchiusa in una sola parola: “Amore”.
Le due donne erano ancora in casa quando un attimo prima di uscire Jane si sentì afferrata: era Maura che la strinse in un lungo, forte e caloroso abbraccio.
Jane fu sorpresa nel riceve quell’abbraccio così all’improvviso che per un attimo non capì quello che le stava accadendo, ma quando realizzò ricambiò l’abbraccio. Un abbraccio dove si sentì protetta, capita, ricambiata… amata!
-Andiamo o  faremo tardi.- disse Jane uscendo di casa seguita da Maura.
Durante il viaggio in auto verso la centrale non parlarono. Pensavano a tutto quello era successo  in quel periodo,  a cosa sarebbe successo in futuro e soprattutto quando sarebbe successo, impossibile da prevedere.
Arrivati in centrale le sue donne presero due ascensori, Maura scese nel suo ufficio, mentre Jane salì nel suo e arrivata alla sua scrivania trovò l’agente Gabriel Dean dell’FBI ad aspettarla.
-L’FBI qui in centrale. E’ successo qualcosa?- chiese Jane.
-Buongiorno anche a te Jane. Sono qui in appoggio alle indagini.-
-O per fregarci l’indagine?-
-Dai Jane.-
disse Korsak. –L’agente Dean è qui solo per aiuto.-
-Farò finta di crederci.-
-Poso offrirti un caffè così mi aggiorni?-
-No grazie, l’ho appena preso.-
-Ok, allora...-
-Allora sediamoci e ti dico tutto.-
Jane aggiornò Gabriel. Non c’era molto da dire, i fantasmi non hanno vita e da un mese Hoyt era diventato quello. Ora l’unica speranza che avevano tutti era quello che Hoyt commettesse anche un piccolissimo errore, qualcosa con cui poter continuare le indagini, qualcosa su cui concentrarsi invece di girare a vuoto.
-Devo dire che è molto abile a far perdere le sue tracce.- disse Dean dopo aver ascoltato la storia.
-Si, è abile ma io di più perché ti giuro che lo prenderò.-
-Non devi dimostrare niente a nessuno, non è meglio una pausa? Ci pensiamo noi ad Hoyt, io, i tuoi colleghi, il dipartimento.-
-Ma che avete tutti che mi dite di prendermi una pausa? Sono una poliziotta e non ci penso proprio. E poi l’FBI vuole soffiarci il caso? Avevo ragione allora!-
-Nessuno vuole portarti via nulla, né a te, né al dipartimento ed io non sono qui per rappresentare l’FBI, ma sono solo una persona che vuole aiutarti a catturare un serial killer. Che dici, possiamo lavorare insieme esaminando tutto quello che abbiamo su Hoyt?-
Jane annuì.
I due si chiusero in una delle sale interrogatori libera per poter lavorare tranquillamente. Riesaminarono in modo dettagliato tutti i fascicoli del caso, scavarono per l’ennesima volta a fondo nella vita di Hoyt, rilessero testimonianze e andarono avanti con il lavoro fino a quando alle due del pomeriggio Maura portò il pranzo agli agenti.
-Pensavo che una pausa pranzo vi faccia bene. Siete chiusi qui dentro da troppe ore.-
-Si, ci voleva proprio.-
-Senti, ma i tuoi appunti personali dove sono?
Magari ne ricaviamo qualcosa, lo conosci meglio di tutti noi.-
-Si… li ho dimenticati a casa. Ho avuto un risveglio complicato e volevo andare via il prima possibile. Vado a prenderli ora.-
-Ti accompagno!-
esclamò Gabriel.
-No, vado io, tranquillo.- rispose Maura.
-Faccio venire Korsak, così pranza anche lui e ti dirà quello che pensa lui di Hoyt, un altro punto di vista forse è quello che ci vuole. Ci vediamo tra mezz’ora.-
-A dopo.-
salutò Gabriel. Jane e Maura uscirono dalla sala interrogatori, passarono da Korsak per avvertirlo e poi uscirono dalla centrale. Sembrava una giornata come tante altre e invece no. Jane uscì per prima dalla centrale e aspettò Maura in auto mentre andava a prendere la sua borsa in ufficio. Arrivati davanti casa della detective notarono una busta per terra, infilata per un quarto sotto la porta. Maura le passò un paio di guanti di lattice presi sua borsa e Jane raccolse la busta. Una busta anonima, senza indirizzo o mittente e quando l’aprì dentro trovò una polaroid, una foto fatta una decina di minuti prima, quando Jane uscì da sola dalla centrale. Dietro la foto c’era scritto “Da parte di un ammiratore.”
-E’ Hoyt. Mi sta seguendo, si è rifatto vivo. Finalmente!- aggiunse Jane dopo qualche secondo stringendo con rabbia la foto tra le mani.

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


Chapter 3 

Jane e Maura erano ancora davanti la porta dell’appartamento della detective.
Ancora incredule per la foto che avevano appena ritrovato rimasero in silenzio.
Jane era spaventata ma allo stesso tempo la poliziotta che era in lei aveva qualcosa da cui partire, qualcosa con cui continuare le indagini.
Maura invece era atterrita. Hoyt era di nuovo vicino a Jane, di nuovo esposta al pericolo e non riusciva a non pensare al peggio. Tante erano le persone finite sul suo tavolo autoptico per colpa di quell’uomo ed ora aveva paura che potesse finirci l’amica. Era così testarda, così decisa a prenderlo che nei momenti in cui doveva essere protetta se ne dimenticava e trattava Hoyt come un qualunque serial killer, non come il suo personale… d’altronde voleva solo Jane. La sua rivincita.
-Quel bastardo è qui. Mi sta sorvegliando. Mi segue e chissà quante altre volte sarà venuto qui a casa mia senza che me accorgessi.-
-Bisogna subito informare Korsak e gli altri.-
-Si, entriamo un attimo per prendere i fascicoli e torniamo in centrale.-
Le due donne entrarono in casa a prendere gli appunti e uscirono, il tutto a grande velocità per poi dirigersi in macchina e una volta saliti Jane sfrecciò sulle strade di Boston per arrivare in poco tempo alla centrale. Arrivati alla stazione corsero direttamente nell’ufficio di Jane dove c’erano Korsak, Frost, Dean e Frankie, che anche se aveva smontato dalla notte voleva contribuire alle indagini, ed appena li vide mostrò il souvenir che le aveva lasciato Hoyt.
-L’ho trovata poco fa davanti casa mia ed…-
-Ed..?-
chiese Dean.
-Ed è stata scattata prima, quando sono uscita per andare a casa.-
-Hoyt è qui!-
Esclamò Korsak.
-Allora? Che succede?- Chiese Cavanaugh sentendo le voci un po’ alterate.
-Hoyt è tornato.- disse Frankie passandogli la foto.
-Rizzoli, da questo momento metterò degli agenti di guardia davanti la tua abitazioni e le visite saranno ridotte.-
-Ma signore, non c’è bisogno. Sono una poliziotta!-
-Lo decido io di cosa hai bisogno. Non possiamo correre il rischio che ti uccida. Ci stava già riuscendo una volta.-
-Credo che non sia il caso che torni a casa. Hoyt sa dove abita, è spietato, sappiamo di cosa è capace e non saranno di certo due agenti a fermarlo. Aggiungeremo solo altre vittime.-
disse Korsak.
-Si, credo che tu abbia ragione, Vince. Dimmi, hai un posto dove andare?- chiese Cavanaugh rivolgendosi a Jane.
-Può venire a stare da me.- disse Maura. –Non sarebbe mai da sola e di certo i poliziotti in casa mia non mancano mai.- disse guardando negli occhi prima Frankie, il fratello di Jane e poi il tenente, il compagno della madre di Jane.
-D’accordo, può andar bene. Ma due agenti in più non farebbero male. Avrai due agenti come scorta che non ti perderanno mai di vista a partire dal momento in cui metterai piede fuori la centrale.-
-E il mio parere non conta?-
chiese Jane.
-Jane, per l’amore del cielo sei in pericolo. Hoyt vuole ucciderti!- disse il tenente scandendo bene l’ultima frase. –Lo vuoi capire che ci stiamo preoccupando per te?-
-Non c’è bisogno di agitarsi.-
disse Korsak. –Jane lo sa.-
-Infatti perché o così o sarai sospesa dal servizio senza aver la possibilità di indagare.-
Jane sospirò. -Ora, Korsak tu prendi i filmati delle telecamere di sicurezza della centrale e guardale, fatti aiutare da Frost. Frankie tu cerca se vicino casa di Jane ci sono telecamere e controllale.-
-Ed io? Posso partecipare o sono fuori?-
-Tu e l’agente Dean continuate ad indagare. Jane questa è ancora la tua indagine, la vostra indagine.-
disse Cavanaugh indicando i colleghi. –Non ti sto chiedendo di non indagare ma solo di stare attenta e se farai a modo tuo l’indagine te la toglierò.-
-Agli ordini capo.-
-Io intanto posso darvi una mano.- 
disse Maura. –Posso rendermi utile con le sue cartelle cliniche. Posso riguardarle.-
-Va bene.-
rispose Dean. –Il suo aiuto può essere fondamentale.-
-Andiamo ragazzi!-
esclamò Jane. Tutti iniziarono a svolgere il proprio lavoro.
Hoyt era di nuovo “tra loro”. La loro priorità era trovarlo, aveva ucciso molte persone, ma aveva ancora toccato Jane.
La Jane di Korsak, che lui vede come una figlia pronto a tutto pur di proteggerla; la Jane di Frost, la sua partner e migliore amica; la Jane di Frankie, la sorella minore che voleva proteggere, ma alla fine era sempre il contrario e la migliore poliziotta ai suoi occhi; la Jane di Angela, la figlia adorata che ancora tende a proteggere in un modo quasi ossessivo ma il suo era solo amore di madre; la Jane di Cavanaugh, “la figlia acquisita” e una delle migliori risorse del dipartimento; la Jane di Maura, l’amica fidata, la migliore amica che aveva e che sapeva capire e soprattutto amare come nessuno mai avrebbe potuto fare; e infine la Jane della centrale di Boston, ammirata da tutti i colleghi perché era riuscita con il suo carattere forte e determinato a conquistarsi la fiducia e il rispetto dei colleghi, soprattutto quando era passata alla Omicidi ed era l’unica detective donna. Non reagiva agli scherzi idioti e alle provocazioni che le facevano i colleghi i primi tempi e rispondeva agli insulti risolvendo casi che i colleghi si trascinavano per mesi.
Hoyt una volta preso non sarebbe più uscito dal carcere. Per lui sarebbe stato l’inizio della sua fine, una vita in carcere, in isolamento. Prima però dovevano prenderlo.
Il dipartimento di Boston si stava mobilitando per trovarlo ovunque si trovasse.
I detective della omicidi erano dietro le loro scrivanie in cerca di riscontri, indizi di qualcosa che li conducesse nel suo nascondiglio. Hoyt a Boston non conosceva nessuno, era solo eppure sapeva come muoversi per rimanere nell’ombra e uscire quando voleva senza essere notato.
Jane aveva passato il pomeriggio a controllare e ricontrollare carte e fascicoli, aveva scovato per l’ennesima volta nel passato di del suo seria killer, ma niente. Poteva recitare a memoria gli  incartamenti che aveva sotto gli occhi, li aveva letti troppe volte, fino a quando non esplose.
-Basta!- gridò Jane alzandosi dalla sedia e facendo volare un paio di fogli a terra. –Vuole vedermi impazzire e ci è riuscito. Io non ce la faccio più.-
-Ora calmati.-
disse Gabriel raggiungendola alla finestra con le sbarre e poggiandole una mano sulla spalla ma Jane a quel gesto si allontanò e Dean ritrasse la mano. –Lo prenderemo.-
-Diciamo così da un mese e ancora nulla. A questo punto dubito che lo prenderemo.-
-Andiamo a prendere un po’ d’aria fuori Jane.-
disse con ton calmo e pacato Maura.
-Si, credo di averne bisogno, andiamo.- Jane si era già diretta verso la porta d’uscita lasciando Gabriel nella stanza e Maura che la seguiva senza però dire una parola. –Passiamo da Frost, vediamo se ci sono novità.-
-Avete già finito di lavorare?-
chiese Frost quando vide le due donne.
-No, solo una breve pausa. Tu dimmi che hai qualcosa.-
-Ho controllato le videocamere di sorveglianza del palazzo di fronte il tuo. E’ sicuro che Hoyt ha lasciato la busta davanti la tua porta di casa, guarda.-
Frost indicò il monitor. –E’ lui, quello con la felpa nera e il cappuccio. Non si vede in volto ma altezza e corporatura corrispondono alla sua.-
-Merda! Possibile che Hoyt è qui e non riusciamo a beccarlo?-
-Sto seguendo anche un’altra pista Jane, sto facendo il possibile. Appena sono sicuro di quello che ho in mano ti chiamo immediatamente. Ora vai un po’ fuori con Maura ora.-
finì di dire Frost.
-Dai, andiamo Jane.- continuò Maura. Le due donne uscirono dal dipartimento per fare due passi all’aria aperta, fuori da quelle quattro mura della centrale che sembravano soffocarle.
-Ti rendi conto Maura?- iniziò a dire Jane. –Non riesco neanche a fare il mio lavoro. Non riesco a…-
-Tu sei brava nel tuo lavoro, lo sai. E’ questo caso, è Hoyt che ti sta togliendo il sonno, la calma, la lucidità.-
-E’ in questi casi che si riconoscono le persone, eh…-
-Vero. Tu ora puoi mollare tutto, lasciare l’indagine e nessuno ti biasimerà, oppure puoi tornare di sopra come me e insieme agli altri lavoriamo per catturare Hoyt.-
-La sto facendo troppo lunga, vero?-
chiese Jane poggiata con la schiena al muro e portandosi le mani alle tempie.
-No, altri al tuo posto non avrebbero retto due minuti. Staccare un po’ ti fa bene, ma devi decidere cosa fare ora.-
-Hoyt è un assassino ed io sono brava nel prendere gli assassini. Non sarà lui a farmi passare per una persona snervata, inabile e incapace. Ci ho messo tanto a conquistarmi la fiducia e il rispetto di tutti, quindi sai che ti dico? Saliamo e cerchiamo di prendere quel pezzo di merda.-
Jane e Maura entrarono nella centrale e andarono di nuovo nella sala interrogatori, ma Frost li fermò non appena li vide.
-Ehi, ferme. Jane ho qualcosa!- esclamò Frost.
-Cosa?- chiese Jane.
-Chiamate tutti.-
-Ci penso io.-
rispose Maura e mentre Korsak e Frankie si avvicinavano alla scrivania, Maura ritornava con Cavanaugh e Dean.
-Allora? Dai Frost, parla.- lo intimò Jane.
-Questa persona incappucciata è quella che ha lasciato la foto davanti casa tua.- Iniziò a dire Frost indicando sul monitor del pc l’uomo interessato. –Non si vede in viso ma è lui così ho cercato di ricostruire il suo percorso. E’ stato in gamba a non farsi mai riprendere in faccia dalle telecamere, ma si vede perfettamente che dopo aver lasciato la busta cammina per cinque isolati fino al “ The Midtown Hotel”-
-Frost, sei un genio.-
disse Jane. –Tenente, se lei è d’accordo andrei con una foto di Hoyt in questo hotel per sapere se è ancora lì.-
-Vai insieme a Korsak e Frost ma se è dentro non fate nulla, chiamate i rinforzi.-
-D’accordo, dai andiamo.-
finì di dire Jane mentre prendeva le foto segnaletiche di Hoyt per poi infilarsi la giacca ed incamminarsi verso gli ascensori. Con la sua Jaguar nera, Jane, il suo partner e Korsak andarono all’hotel. Finalmente avevano trovato il suo nascondiglio. Jane lo aveva avuto quasi sotto casa e chissà per quanto tempo l’aveva spiata quando era in casa o seguita in girò per la città. In auto nessuno fiatava, era un momento importante, si chiedevano cosa sarebbe successo, se Hoyt fosse stato ancora lì o le indagini sarebbero arrivati per l’ennesima volta ad un vicolo cieco. Arrivati in hotel Jane si identificò.
-Buongiorno, sono il detective Jane Rizzoli, dipartimento della omicidi di Boston, loro sono i miei colleghi, i detective Frost e il sergente Korsak.-
-Salve, posso fare qualcosa per voi?-
chiese l’uomo brizzolato alla receptionist.
-Si, ha mai visto quest’uomo?- Jane gli mostrò la foto di Hoyt.
-Si. Noah McEnzie, ha lasciato l’hotel questa mattina verso le 9. Avevo da poco iniziato il turno.-
-Come, è andato via?-
chiese Jane
-Si, sono stato io a preparargli il conto. E’ arrivato ieri nel primo pomeriggio ed ha chiesto una camera singola per una sola notte.-
-Ha pagato con una carta di credito?-
chiese Frost.
-No, in contanti.- rispose l’uomo della reception.
-Maledizione!- esclamò Korsak. Jane intanto si allontanò di poco per chiamare Cavanaugh ed avvertirlo della situazione.
-Comunque ora non è più così.-
-Che vuole dire?-
chiese Frost.
-Ha i capelli più corte e un aspetto un po’ più giovane.-
-Dovremmo aggiornare le informazioni.-
disse Korsak rivolgendosi a Frost. –Senta, non è che potremmo dare un’occhiata alla stanza dove ha alloggiato?- continuò a dire volgendosi all’uomo.
-Non potrei…-
-Possiamo anche ottenere un mandato di perquisizione, ma ci impiegheremo un paio d’ore e sono ore tolte alle indagini dove noi potremo scoprire qualcosa. E’ uno spietato assassino, ci dia una mano.-

L’uomo si girò a prendere le chiavi della stanza di Hoyt.
-Prendete, questa è la chiave elettronica. La stanza è la 171, terzo piano a destra.-
-La ringrazio.-
rispose Korsak.
-Posso solo chiedervi un po’ di discrezione? Non vorrei che gli altri ospiti si allarmassero.-
-Stia tranquillo, nessuno si accorgerà della nostra presenza.-
Poi Korsak si girò verso la collega. -Jane, vieni. Andiamo a perquisire la stanza.-
-Senza un  mandato?-
-Il signore ci ha concesso gentilmente le chiavi, quindi…-
-Quindi abbiamo il permesso. Avanti andiamo.-
I tre presero l’ascensore e seguendo le indicazioni dell’uomo arrivarono nella stanza 171. Aprirono con la tessera ed entrarono.
-E’ stata ripulita.- disse Jane. –Avranno fatto le pulizie, non troveremo nulla.-
-Controlliamo lo stesso.-
disse Korsak.
-E’ tutto tempo perso. Non troveremo un solo indizio qui dentro.-
-Jane ha ragione, Korsak. E’ stata ripulita quindi se anche ci fosse stato un solo indizio sarà andato perso.-
-Siamo arrivati tardi, e siamo di nuovo al punto di partenza.-
ribadì Jane mentre i due uomini girovagavano nella stanza senza nessun risultato. –Dai, torniamo in centrale.-
Con l’umore a terra e la rabbia repressa dentro uscirono da quella stanza, consegnarono la card alla reception e tornarono alla centrale.
Hoyt per l’ennesima volta era riuscito a dileguarsi, era sempre un passo avanti a loro. Prevedeva le loro mosse in qualche modo e sapeva come comportarsi. Era molto astuto e ora era di nuovo libero in una città di quasi 620 mila persone, e la polizia per quanto in allerta fosse non poteva controllare ogni angolo della città. Hoyt si muoveva a piedi quindi si mascherava facilmente nella popolazione ed ora la polizia era di nuovo in attesa di un altro suo sbaglio, o traccia lasciata sul suo cammino.
Dopo un quarto d’ora i tre erano di nuovo nel loro ufficio.
-Allora?- chiese Cavanaugh.
-Niente di niente. Solo tempo perso.- ripose Jane sprofondando nella sua sedia.
-Abbiamo accertato la presenza di Hoyt li, ma ora è di nuovo libero in città.- continuò Korsak.
-Come diavolo è possibile?- iniziò a dire il tenente.
-Signore mi scusi, è sabato sera, sono quasi le sette. Potrei avere il permesso di andare?-
-Rizzoli, sei sicura di voler continuare sul caso?-
-Si, però per questa sera mi mandi a casa.-
Cavanaugh guardò Jane negli occhi. Stava prendendo in considerazione l’idea di sollevarla dal caso. Stava iniziando a perdere la lucidità necessaria ma allo stesso tempo si fidava di lei.
-D’accordo, anzi andiamo tutti a casa. Ragazzi, ci si vede lunedì sempre se domani qualche omicida non decida di farci venire a lavorare.-
-A lunedì gente.-
disse Frost.
-Jane, mi accompagni in ufficio così torniamo a casa?- chiese Maura.
-Veramente.- s’intromise Gabriel. –Potrei invitarti a casa questa sera?-rivolgendosi a Jane.
-Questa sera?-replicò confusa la donna. Maura a quella richiesta s’irritò. Era lei che doveva invitarla a cena, era lei che l’amava, con lei avrebbe dovuto cenare quella sera, ma non disse nulla. Tenne dentro di se la frustrazione che provava in quel momento. –Va bene.- continuò Jane chiedendosi nello stesso istante se faceva bene ad accettare quell’invito. Voleva declinarlo, aveva sbagliato ad accettare di uscire con lui. Aveva capito che Gabriel voleva qualcosa di più e lei non poteva darglielo, ma probabilmente poteva anche rivelarsi una semplice cena tra amici.
 -Allora andiamo.-
-Mi raccomando Dean.-
disse Cavanaugh. –Ricordatevi che gli agenti non vi perderanno di vista.- Jane annuì.
-D’accordo, allora notte a tutti eh…- continuò Jane rivolgendosi a Maura. –Ci vediamo tra poco da te.-
-Ti aspetterò.-
rispose la donna.
-Le chiavi dell’auto.- disse Jane. –Portala da te.-Maura le annuì e le sorrise mascherando il suo vero stato d’animo.
In poco tempo l’ufficio diventò vuoto. Tutti erano tornati a casa, tranne Gabriel e Jane che si stavano recando in un ristorante.
-Hai qualche preferenza?- chiese Dean mentre con la macchina era fermo ad un semaforo rosso.
-No, è uguale, decidi tu.-
-Uhm, va bene. Allora alla prossima giro a destra, c’è un ristorante carino.-
-Si, il Black&White, ne ho sentito parlare ma non ci sono mai stata.-
-Questa sera ci andrai.-
Dean ripartì con la sua macchina e con un colpo di fortuna riuscì a trovare parcheggio. Prima di scendere i due si guardarono e Gabriel scostò dal viso della donna una ciocca di capelli che le cadeva sull’occhio sinistro e lentamente si avvicinò con il viso per baciarla. Jane si allontanò con il volto, era la seconda volta in quella giornata che cercava di avvicinarsi a lei e nonostante lo avesse capito accettò l’invito a cena.
-No Gabriel, no.-
-Perché? Perché non vuoi?-
Jane non rispose. Non se la sentiva di dirgli che amava un’alta persona, per di più una donna dal nome Maura. Rimase semplicemente in silenzio. –C’è un altro?- Jane continuò a non rispondere. –C’è un altro. Lo conosco?-
-Che importanza ha?-
-Ti amo.-
Jane rimase interdetta davanti a quelle due parole. Non aveva il coraggio di rovinargli quel momento di confessione, ma non poteva fare altro. Non provava nulla per lui e mai sarebbe successo qualcosa tra loro. Jane scosse il capo come per dire “io no” e scese dall’auto lasciando Gabriel in auto da solo.
Dietro di loro c’era la macchina con i due agenti che scortavano Jane. Lei si avvicinò all’agente seduto dal lato guida e gli chiese gentilmente di accompagnarla da Maura. Salì in auto e andarono dritti a casa della dottoressa, l’unico luogo dove veramente voleva trovarsi Jane. Quando arrivò davanti la porta principale esitò ad aprirla, ma alla fine con fare deciso girò la chiave nella toppa ed entrò. Fece qualche passo in avanti e la vide davanti i fornelli intenta a preparasi un te.
-Ehi, Maura!-
-Ehi, non ti ho sentito entrare. E’ stata molto breve la cena a quanto vedo.-
-Veramente non c’è stata nessuna cena. E’ finita ancora prima di iniziare.-
disse Jane avvicinandosi all’amica.
-Come mai?-
-Ha tentato di baciarmi.-
-Cosa?-
-E poi ha detto di amarmi.-
-E tu?-
-Sono andata via, l’ho lasciato in auto davanti il ristorante.-
-Ne vuoi?-
chiese Maura indicando il te.
-Ma si dai, è stata una giornata pesante, beviamo questa roba schifosa per alzare il morale.-
-Se preferisci c’è della birra in frigo.-
-No, il tuo schifoso te andrà bene.-
-Racconta allora.-
la esortò Maura mentre toglieva il bollitore dal fuoco e Jane prendeva le tazze dalla credenza.
-Non c’è niente da dire. Dean per me rimane un federale, forse un amico ma nulla di più.- Maura a quelle parole provò un senso di sollievo. Non amava Gabriel, ma questo non voleva automaticamente dire che amasse lei. Intanto Jane mise dentro le tazze lo zucchero e i filtri per il te e Maura versò l’acqua calda. Le due donne rimasero in silenzio e il solo rumore che si poteva udire erano i cucchiai che urtavano alle tazze mentre giravano il te per addolcirlo. Quando smisero alzarono gli occhi dal te e si guardarono. Uno sguardo dolce, tenero, pieno di amore. Fu un attimo, i loro sguardi s’incrociarono così come le loro labbra così morbide. Un bacio che forse aspettavano di darsi da molto tempo ma lo reprimevano dentro di loro. Un bacio pieno d’amore, il loro amore frenato da tempo e ora all’improvviso era uscito fuori.
Non erano pronte per quel bacio avvenuto così in modo inaspettato eppure c’era stato e ora non sapevano se continuare quel momento d’amore o fermasi lì. Fu Jane a prendere l’iniziativa staccandosi da quelle labbra così morbide e delicate. Senza dire nulla tornò a guardare Maura  con lo stesso sguardo d’amore di prima, prese il suo te e si diresse nella stanza dove sapeva che avrebbe dormito, lasciando l’amica immobile in cucina e senza neanche darle il tempo di dire o di fare una qualsiasi cosa.
Quando uscì dallo stato di confusione in cui si trovava prese il te e andò davanti la porta della stanza dove si era chiusa Jane. Voleva entrare per parlare, per vederla. Aveva bisogno di risposte, di certezze, ma non ebbe il coraggio di invadere in quel momento, in quella circostanza, la sua privacy così si chiuse nella sua camera da letto, sorseggiò appena il te e si mise a dormire.
Jane invece si stese sul letto e iniziò a pensare. Era scappata da Gabriel perché non era lui la persona che voleva accanto ma Maura e quando finalmente prese il coraggio di baciarla scappò via come una codarda.
Lei poteva essere molte cose, ma non una codarda. Si stava per alzare dal letto per andare da lei quando decise che era più saggio dormirci su una notte.
Maura aveva ricambiato il bacio, ma lo aveva fatto d’istinto o perché anche lei provava davvero qualcosa?
Aveva troppe domande in testa, troppe cose a cui pensare così s’infilò il pigiama che Maura le aveva preparato sul letto come sempre, come ogni volta che Jane passava la note lì e cercò di dormire, di rilassarsi e di prepararsi per la giornata che le aspettava l’indomani dove forse, non avrebbe dovuto affrontare solo Maura.
Qualcun altro le stava preparando una sorpresa. O una trappola.

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


CHAPTER 4

Jane e Maura passarono la notte in bianco. Passarono la notte immerse nei loro pensieri, e soprattutto pensarono e ripensarono al bacio della sera prima, il bacio che desideravano da tanto e che ora era la causa che le aveva allontanate quella notte.
L’unica cosa che volevano in quel momento era vedersi per chiarirsi, per spiegarsi, mettere in chiaro quello che stava accadendo tra loro ma nessuno delle due ne aveva il coraggio.
Jane aprì gli occhi quando uno spiraglio di luce le entrò in camera dalla finestra di fronte al letto. Si portò una mano agli occhi per la luce accecante e poi prese in mano il telefono per guardare l’ora: erano le otto. Aveva dormito fino a tardi, o meglio era rimasta a letto fino a tardi quella domenica perché la notte appena passata fu molto agitata. Decise di rimanere a letto altri dieci minuti in modo tale da svegliarsi per bene, anche se senza caffè non era un risveglio vero e proprio, ma in realtà non era pronta ad affrontare lo sguardo di Maura. Il bussare alla porta però le aveva tuttavia fatto capire di aver fatto un pensiero sbagliato, Maura stava per entrare nella sua stanza.
-Ehi Jane, sei sveglia?- chiese Maura restando sulla porta.
-Mmh, si.- rispose la donna. –Entra, non stare lì ferma.- Jane si sollevò per mettersi a gambe incrociate sul letto e Maura si sedette accanto a lei. Erano imbarazzate, non sapevano come iniziare la conversazione. Erano così amiche che ora riuscivano a stento a guardarsi negli occhi e iniziare una conversazione seria, così Maura iniziò a parlare restando sul vago.
-Non hai bevuto il te. Non lo hai nemmeno toccato.-
-No, non mi andava, e poi mi sono addormentata subito.-
Mentiva.
-Allora avrai fatto qualche incubo, ti ho sentito lamentarti, non negarlo.-
-Pensavo ad Hoyt e…-
-E al bacio.-
Jane alzò lo sguardo su Maura e si fissarono. –E’ inutile negarlo o far fine di niente perché oramai è successo.- Jane annuì.
-Io non… Ah è così difficile.-
-Perché? Perché è stato un errore da non rifare o è stato un errore di cui non ti penti e che vorresti ripetere?-
-Perché ti amo. Perché non ne posso più di nascondermi di far finta che la nostra sia solo amicizia, che noi siamo solo due amiche…-
-Quindi questo non è stato un errore?-
-No, direi proprio di no.-
-Tu sei pronta per una relazione? Sarà un inferno, lo sai vero?-
-No, con te non si può andare all’inferno, stare con te sarà il paradiso.-
Maura si avvicinò a Jane, e la travolse in un lungo e caloroso bacio pieno di passione, quella passione che finalmente non dovevano nascondere anzi finalmente la potevano sprigionare. Erano sdraiate sul letto, con le gambe intrecciate tra loro, le mani dell’una poste nelle mani dell’altra mentre continuavano a baciarsi. Non erano pronte per andare oltre ma più che altro fu qualcos’altro che impedì alle donne di andare avanti e le fece subito drizzare sul letto. Era Angela che entrò in casa e si erano dimenticate che le avrebbe potuto sorprendere in qualsiasi momento.
- Mia madre!- esclamò Jane. –Ha il potere di sapere  quando sia il momento giusto da interrompere.- Maura sorrise. –Dici che si arrenderà a cercarci?-
-No, credo che inizierà a guardare ovunque.-
-Non abbiamo scelta a quanto pare. Però prima di andare devo chiederti una cosa.-
-Dimmi pure.-
-Possiamo tenerlo per noi? La nostra storia per il momento può restare tra queste quattro mura? Non voglio gridarlo al vento, voglio avere per una volta una cosa tutta mia, da difendere, da proteggere.-
-Ma certo.-
rispose Maura abbracciando Jane. -Dai, andiamo. Ti preparo il tuo caffè istantaneo.- Jane s’infilò le pantofole e s’incamminò con Maura verso la cucina.
-Ah, eccovi!- esclamò Angela appena li vide. –Iniziavo a preoccuparmi.-
-E’ domenica mà. Non è un reato restare un po’ di più a letto.-
-Cos’è avete fatto le ore piccole?-
-Siamo solo reduci di una giornata pesante.-
Jane iniziò a preparare il suo caffè istantaneo, Maura si dedicò invece al suo espresso, Angela invece prendeva Yogurt, latte e cerali.
-Senti Maura.- disse Angela. –E’ un problema se al pranzo si aggiunge anche Cavanaugh?-
-No, nessun problema.-
-Bene, allora inizio a cucinare. Il ragù alla bolognese fatto come si deve richiede molto tempo e poi ci sono anche le altre cose da preparare.-
-C’è qualche festa in particolare, mà?
Sembra che devi cucinare per il pranzo di Natale da come parli.-
-No, ma vorrei fare un bel pranzo domenicale. Per una volta che siamo tutti insieme, quando mi ricapita di avere a pranzo anche Tommy e Frankie.-
-Possiamo pensare però alla colazione ora?-
chiese Jane sorseggiando il suo caffè come se ad ogni assaggio il caffè avesse avuto il potere di svegliarla sempre di più. Le tre si sorrisero e consumarono la loro colazione in pace. Jane guardò la madre, chissà se quando le avrebbe confessato la sua storia con Maura l’avrebbe vista ancora come sua figlia, se sarebbe stata contenta per lei oppure l’avrebbe abbandonata a se stessa, non rivolgendole la parola, allontanadola per sempre dalla sua vita. Aveva paura, ma l’amore che provava per Maura era più forte di quella paura di essere giudicata o guardata male.
Non le importava quello che sarebbe stato se al suo fianco avrebbe avuto Maura. Si sarebbero sostenute a vicenda e avrebbero combattuto se si trattava di difendere la loro felicità, il loro amore.
Dopo aver finito la colazione Jane e Maura andarono a cambiarsi per quella domenica in famiglia e poi tornarono da Angela per preparare il pranzo.
Le due donne si scambiavano sguardi profondi, avevano il desiderio di stare vicino, di accarezzarsi, di bacarsi, di stare sul divano loro due da soli e dedicarsi un po’ di tempo, invece erano li in quella cucina, distanti. Non sarebbe stato facile. Il primo ostacolo era proprio in quella casa, Angela viveva praticamente da Maura e avrebbe potuto scoprirle in qualsiasi momento quindi dovevano essere molto prudenti.
Verso le undici iniziarono ad arrivare prima Frankie con Tommy e un’ora più tardi si aggiunse Cavanaugh che portò con se una bottiglia di vino rosso, un ottimo Cabernet.
Quel pranzo fu strano. Quello per Jane e Maura fu il primo pranzo da coppia non ufficiale. Avevano un segreto da custodire gelosamente, il segreto più bello che entrambe potessero condividere, ma anche il più difficile perché non sarebbe stato facile nasconderlo ad Angela ed ai colleghi di lavoro.
Dovevano continuare ad avere il loro rapporto di sempre ma già sapevano che sarebbe stato difficile, il non trattenersi dagli sguardi che ci sarebbero stati tra loro, la voglia di darsi un abbraccio o un bacio innocente di sfuggita, arrivare mano nella mano al lavoro senza che nessuno la guardasse male, con disprezzo o come qualcosa da evitare.
Ma loro erano più forti delle provocazioni che ci sarebbero state, loro erano Jane e Maura.
-Allora Jane.- chiese Cavanaugh per iniziare una conversazione. –Com’è andata la cena ieri sera?-
-La cena?!-
rispose Jane distogliendo lo sguardo da Maura e riportandolo su Cavanaugh.
-Con l’agente Dean.-
-Ah si, alla fine non c’è stata nessuna cena.-
-Sono troppo indiscreto a chiederti il perché?-
-Ero stanca, preferivo andare a dormire.-
concluse la frase alzandosi dalla tavola per portare in cucina il suo piatto con il dessert che aveva appena terminato pur di non rispondere ad altre domande dovendo dare innumerevoli spiegazioni. Maura seguì l’amica con lo stesso pretesto che aveva usato lei, portare i piatti in cucina, ma dietro di lei c’era Tommy che la seguiva.
-Dai, ti do una mano.- disse Tommy portano alcuni bicchieri.
-Posso fare da sola.-
-No, ti aiuto così prepariamo gli scacchi. Mi devi una partita, ricordi?-
Maura non poté rifiutarsi così annuì semplicemente.
La tavola fu riportata in ordine, Angela preparò la lavastoviglie e iniziò a lavare i banconi della cucina, Jane, Frankie e Cavanaugh si spostarono sul divano per guardare una partita di baseball in Tv e Maura e Tommy iniziarono la loro lunga partita a scacchi.
Verso sera, Angela e Cavanaugh decisero di uscire.
-Ragazzi noi andiamo a teatro e poi ceniamo fuori.- disse Angela. –Ma non preoccupatevi per la cena, vi ho messo da parte degli avanzi di oggi.-
-Allora usciamo anche noi.-
disse Jane alzandosi dal divano.
-Jane, non vorrai andare…-
-Tenente, capisco che lei come tutti voi siate preoccupati per me, ma non posso restare chiusa in casa. E poi...-
aggiunse dopo qualche attimo -Devo solo andare a prendere degli effetti personali a casa. Sono armata e addestrata per usare la pistola.-
-E io andrò con lei.-
aggiunse Maura.
-Adesso si che mi sento sollevato.- disse Cavanaugh sarcastico.
-E poi c’è la pattuglia che mi scorta. Stia tranquillo capo.-
-Allora vengo anche io.-
disse Frankie. –O ancora meglio, vado io a prenderti quello che ti occorre.-
-Andresti tu a frugare tra i cassetti della mia biancheria intima e nel mio armadio? Avanti non l’hai mai fatto, almeno con me.-
-Ah, Jane. E’ vero, non ho mai guardato nei tuoi cassetti, ma se serve a proteggerti lo farò.-
-Dai Frankie!-
disse Jane abbracciandolo. –Mezz’ora, al massimo un’ora e sono di nuovo qui. Se non ritorno vieni a cercarmi a casa. Giuro che se fai irruzione esco disarmata e con le mai in alto.- Risero entrambi.
-Scema.- gli rispose affettuosamente.
-Ehi, questo è oltraggio a pubblico ufficiale.- affermò Jane mettendosi quasi in posizione seria. –Potrei arrestarti, sono sempre un tuo superiore, agente Rizzoli.- Si sorrisero. –Allora, noi andiamo, non distruggete la casa a Maura. A dopo ragazzi.- Jane e Maura uscirono di casa e quasi subito se ne andarono anche Angela e il tenente.
-Finalmente un  po’ da soli, eh.- disse Jane appena con la compagna entrarono in auto.
-Godiamoci questo viaggio, non avremo altri momenti da soli.- rispose Maura cingendole la mano sinistra di Jane e portandola sulla sua gamba. –Sai, il pranzo di oggi, se gli altri avessero saputo di noi non avrei desiderato altro, io, te e una famiglia con cui riunirmi per ridere, scherzare, stare insieme.-
-Io però credo sia prematuro dire di noi adesso.-
-Lo so Jane, lo so e ti do ragione. La penso come te, non sappiamo come andrà la nostra storia, e poi voglio anche un po’ di privacy. Voglio che sia la nostra.-
-Oh, Maura…-
-Non potevo chiedere di avere accanto una persona migliore, sei tutto quello che volevo, che desideravo e che non volevo ammettere.-
-Uhm, questa è la tua prima dichiarazione. Sai, non ti facevo così romantica dottoressa Isles.-
-Solo perché eseguo autopsie non vuol dire che io sia fredda ed insensibile.-
Per una frazione di secondo Jane guardò Maura, le sorrise dolcemente e poi ritornò a fissare la strada. Due minuti dopo arrivarono sotto casa di Jane, scesero dall’auto e tornarono ad essere per gli altri le solite due amiche di sempre.
La macchina con gli agenti di polizia che li seguivano parcheggiarono dietro di loro e mentre Jane stava per salire i primi gradini dell’appartamento a Maura squillò il telefono. Era un tecnico di laboratorio di turno e aveva bisogno di una consulenza urgente da parte della dottoressa.
-Cinque minuti e arrivo.- disse Maura. Jane rispose con un cenno del capo e comprendendo che era una questione di lavoro urgente, continuò a dirigersi vero casa.
Arrivata davanti la porta del suo appartamento fece un respiro profondo. Infilò la chiave nella porta e quando la girò la porta si aprì subito.
-Avrei giurato di averla chiusa a chiave.- vociferò. Appena entrata aprì, vide la luce e subito dopo il buio.

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


CHAPTER 5

Jane era entrata in casa ma qualcosa la colpì in pieno volto tanto da farla cadere a terra e farle perdere i sensi.
Hoyt era entrato in casa sua. Si era rifugiato lì in attesa che la sua preda ritornasse e finalmente era tornata.
Era tornata e lui era rimasto lì, paziente.
Hoyt  trascinò Jane fino alla camera da letto, la sollevò e la distese sul letto, immobilizzandole i polsi sopra la sua testa e le caviglie con della corda sottile e molto stretta contro la pelle, giusto in tempo perché la donna rinvenisse.
-Ehi, ben svegliata!- esclamò Hoyt accarezzandole il viso.
-Hoyt!-
-Ehi, quanta rabbia nella tua voce. Perché lo sei?-
-Non uscirai vivo da qui.-
-Voi poliziotti dite sempre così, è solo una vostra strategia per perdere tempo.-
-No, sotto ci sono due agenti della polizia e la dottoressa Isles, se non mi vedranno scendere in poco tempo verranno a cercarmi.-
-Allora ho due possibilità: ucciderti e uscire da casa tua come se nulla fosse, d’altronde per voi sono un fantasma, oppure aspettare che qualcuno salga e iniziare lo spettacolo davanti a loro.-
-A quel punto sarai morto.-
-Ma lo sarai anche tu.-
Jane tentò di liberarsi dalla corda inutilmente. Era troppo stretta e non c’era nulla che le permettesse di sfilacciarsi. Era in trappola. La sua unica speranza era che Maura o gli agenti di scorta sarebbero saliti a breve.
-Inutile che provi a liberarti.- disse Hoyt dandole le spalle mentre sceglieva tra i suoi strumenti i il bisturi con cui incidere la pelle delicata di Jane. –Ti farai solo male.-
-Sei solo un pezzo di merda e non riuscirai a farmi a pezzi ancora.-
-Già, quella volta ti avevo inchiodato le mani a terra e se non fossero arrivati quei due poliziotti saresti morta.-
Hoyt le si avvicinò molto lentamente. –Ci ho messo un po’ a cercare di organizzare questa trappola, pensavo saresti tornata prima, così ieri notte ho dovuto dormire qui, non potevo andare via. Sono stato attento  a non farmi scoprire, ti ho ripulito quella misera dispensa , sai dovevo pur mangiare, ma ne è valsa la pena  perché ora non hai il controllo di niente, ora sei totalmente sotto il mio dominio.-
-Avanti, togliti il pensiero. Fallo, uccidimi, sgozzami.-
-No, queste cose richiedo calma e pazienza perché vedi.-
Hoyt si avvicinò a Jane e le puntò il bisturi alla gola –E’ un attimo, mi basta fare pressione qui, la lama si infila nella pelle,e poi è fatta. E’ finita. Le pareti qui intorno si dipingeranno di schizzi rossi, del tuo rosso sangue e intanto morirai qui da sola.- Hoyt prese con la mano sinistra i capelli dalla donna, e li tirò al’indietro mentre con la destra fece un lieve taglio alla parte destra della gola di Jane. Lei trattenne per un attimo il fiato, le lacrime le uscirono dagli senza poter far nulla per arrestarle. Pensava a Maura che era sotto, a quanto tempo avevano sprecato e forse ora era arrivata la fine non solo della loro storia ma anche della sua vita.
-Di solito, le donne a cui facevo la prima incisione urlavano aiuto e mi imploravano di smettere, tu invece sei una tosta.-
-Perché non lo fai? Uccidimi.-
-Perché è più bello se prima giochiamo un po’.-
Jane era nelle mani del suo serial killer mentre Maura aveva appena finito la chiamata. Salì su nell’appartamento, notò la porta socchiusa e capì che non era un buon segno. Jane non l’avrebbe mai lasciata così, anzi l’avrebbe chiusa anche a chiave.
Così Maura dalla borsa prese il suo bisturi che portava sempre con se e prese anche il telefonino per inviare un messaggio a Frankie dicendogli di raggiungerla subito da Jane e a sua volta, Frankie avvisò il tenente e mentre le pattuglie della polizia facevano capolinea a casa della detective, Maura entrò.
Non poteva permettersi di aspettare un solo minuto in più, ne aveva già persi tanti con quella chiamata.
Dal soggiorno sentiva la voce inconfondibile di Hoyt provenire dalla camera da letto e quando arrivò sulla porta di quella stanza vide l’orrore: Jane sul letto, il sangue addosso a lei e Hoyt che le si avvicinava.
Jane era sotto le mani di quell’uomo.
Era sdraiata sul suo letto, immobilizzata.
Sentiva la lama del bisturi fredda e precisa penetrarle lentamente e dolorosamente.
Era la sua fine.
Lo aveva immaginato dall’inizio che questa volta questa battaglia non l’avrebbe vinta ma ora stava diventando realtà. Aveva i minuti contati. La sua vita aveva i minuti contati e in un secondo la sua mente ripercorse alcuni ricordi, le ultime parole scambiate pochissimi minuti prima con Maura. Le loro ultime parole, il loro ultimo scambio di sguardi. L’ultima volta che Jane sentì la voce della donna. La sua donna.
Jane era sul letto, senza forze per liberarsi da Hoyt o per gridare.
Ma all’improvviso la porta della camera da letto si aprì e Maura entrò lentamente e silenziosamente pugnalando senza esitazione due volte Hoyt alla schiena, perforandogli cuore e polmone.
Hoyt cadde a terra in una pozza di sangue. Con un calcio Maura allontanò il bisturi dell’uomo e poi si fiondò su Jane  liberandole i polsi tagliando la corda con i bisturi e mentre con una mano cercava di bloccare il sangue con l’altra avvisò Frankie di sollecitare i soccorsi.
Maura era riuscita ad arrivare in tempo. Pochi secondi più tardi e tra le mani avrebbe stretto soltanto il cadavere di Jane.
-Avevi detto 5 minuti e arrivo, sei stata di parola.- disse Jane sforzandosi con la voce.
-Scc, non sforzarti. Ora sono qui. Con te.-
Jane era riuscita a ringraziare l’amica e poi chiuse gli occhi.
-Ehi, devi resistere. Apri gli occhi. Jane! Jane!!!- Maura cercava di tenerla sveglia ma Jane non apriva gli occhi e mentre continuava a fare pressione con la mano sulla ferita arrivarono in casa Frankie insieme a Cavanaugh e dopo qualche istante fece irruzione Angela anche se le era stato ordinato di aspettare sotto. Ma si trattava della figlia e non riusciva a stare ferma mentre la vita di Jane  era appesa ad un filo.
-Jane!- esclamò in lacrime Angela mentre cercava di avvicinarsi alla figlia.
-No mamma!- la fermò Frankie impedendole di entrare nella camera da letto di Jane. –Non guardare, scendi sotto.-
-Non mi muovo di qui, è mia figlia, tua sorella.
- Cavanaugh intanto si avvicinò ad Hoyt, controllò il polso, ma oramai non c’era niente da fare.
-E’ morto.- esclamò il tenente.
-L’ambulanza dov’è?- esclamò Maura.
-Sta arrivando.- rispose Frankie.
-Frankie trova qualcosa per tamponare la ferita e liberatele le caviglie.- In una manciata di minuti arrivò l’ambulanza e quando i paramedici presero in cura Jane, Maura s’identificò.
-Dottoressa Isles. E’ stato praticato un taglio con un bisturi, ho cercato di tamponare immediatamente l’emorragia, mentre l’uomo…-
-Ho sentito che l’uomo è morto quindi occupiamoci di lei.-
disse il paramedico prendendo in mano la situazione. –Da quanto ha perso i sensi?-
-Due minuti al massimo.-
-Allora andiamo, noi siamo pronti.-
disse il paramedico dopo che la ferita fu tamponata e Jane fu sistemata su una barella.
-Vengo in ambulanza con voi.- continuò Maura.
-Anche io.- disse Angela.
-No mamma, lascia andare lei, noi li seguiremo in macchina.-
-Ma è Jane, Frankie.-
-Ma, ascoltami, vieni con me. Fidati di me.-
Rispose il figlio prendendole la mano ed accompagnandola in macchina. La camera da letto di Jane rimase piena di poliziotti mentre gli altri scesero in strada per entrare in macchina e iniziare la corsa verso il pronto soccorso. In auto mentre Frankie guidava, Cavanaugh avvisò Korsak e Frost mentre Angela avvisò Tommy.
In ospedale fu proprio Tommy ad arrivare per primo e a vedere Jane piena di sangue mentre veniva trasportata nel blocco operatorio, mentre Maura scese dall’ambulanza e si avviò verso l’atrio del pronto soccorso dove si accasciò su una sedia. Era inutile correre dietro i medici del pronto soccorso, non l’avrebbero fatta entrare. Un attimo dopo arrivò Frankie seguito dalla madre e dal tenente.
-Frankie, ehi Frankie come sta?-
-Non lo so, non ne ho idea Tommy. L’ho vista prima ricoperta di sangue e poi è stato un attimo, siamo corsi fino a qui.-
-Maura.-
disse Angela avvicinandosi alla donna. -Non avevate detto che non ci sarebbero stati pericoli?- Maura non rispose, abbassò semplicemente lo sguardo. Forse aveva ragione Angela. Se non avrebbe risposto al telefono, se fosse salita insieme a lei Jane non sarebbe stato in pericolo. O forse ci sarebbero stati due cadaveri da piangere. Cavanaugh su quella sedia del pronto soccorso vide una Maura diversa, fragile, spaventata, sottoshock, una Maura che non aveva mai conosciuto. La vide stringersi a se dal freddo così le avvolse la sua giacca attorno alle spalle, poi si sedette accanto a lei.
-Ti va di raccontarci com’è andata?- chiese con tono pacato il tenente e lei annuì, fece un respiro profondo, spiegò la situazione e gli altri si avvicinarono a lei per udire ciò che era successo poco prima.
-Eravamo arrivate sotto casa sua, siamo scese dall’auto e… ho ricevuto una chiamata dal laboratorio così mi sono trattenuta fuori a rispondere mentre Jane iniziò a salire. Saranno stati 5, massimo 7 minuti. Quando sono salita la porta era socchiusa, Jane non avrebbe mai lasciato la porta in quel modo, anzi l’avrebbe chiusa a chiave così ho avvisato Frankie, ho preso il bisturi dalla mia borsa, l’unica arma di difesa che possedevo e sono entrata. Non potevo aspettare i rinforzi, se lo avessi fatto probabilmente non saremmo mai arrivati qui in ospedale. Comunque una volta entrata sono andata dritta verso la camera da letto, da dove provenivano le voci e ho aspettato il momento adatto per entrare, ma ho atteso troppo evidentemente. Quando Hoyt mi diede le spalle sono entrata e l’ho pugnalato, poi mi sono dedicata a Jane.
-E’ finita.-
disse Frankie sedendole accanto. –Hoyt non le darà più la caccia.-
-Sarà anche finita ma voglio vedere Jane, viva.-
aggiunse dopo qualche attimo.
Mentre aspettavano qualche dottore che andasse da loro per dargli notizie arrivano Korsak e Frost.
Le persone in quell’atrio del pronto soccorso facevano avanti e indietro ansiosi di ricevere qualsiasi notizia. L’attesa era snervante. Tutti aspettavano che una figlia, una sorella, un’amica, una poliziotta, una compagna, uscisse dal blocco operatorio viva, d’altronde Jane era sempre stata una roccia ma più passavano i minuti e più i pensieri terribili prendevano il posto di quelli della speranza.
Angela continuava a piangere, Cavanaugh si divideva tra la sua compagna e i suoi sottoposti, Maura sembrava non essere concentrata su quello che avveniva lì, pensava solo a Jane e l’idea di non poter far niente per aiutarla la faceva sentire inutile e se la sa donna non sarebbe rimasta viva, lei sarebbe morta con Jane. Passarono due ore, ma alla fine un medico uscì dal blocco operatorio.
-Allora dottore?- chiese Maura vedendo il dottore andare incontro a tutti loro.
-E’ fuori pericolo. E’ riuscita ad intervenire in tempo con un ottimo lavoro dottoressa.-
-Possiamo vederla?-
-È meglio una sola persona per questa sera.-
-Vai tu, Angela.-
disse Maura.
-Non è meglio invece se vai tu, Maura?- chiese Sean. –Non è il caso che Jane vede sua madre in queste condizioni.-
-Si, Sean ha ragione, vai tu.-
disse la donna.
-Sicura?- Angela annuì. –Va bene.- Maura ritornò la giacca che qualche ora prima le aveva prestato il tenente e si avviò insieme al dottore nella camera di Jane. Appena arrivò sulla soglia della porta la vide stesa sul letto con una camicia d’ospedale,  un’enorme medicazione alla gola e il corpo pieno di fili collegati alle macchine che tenevano sotto controllo i suoi segni vitali, per fortuna nella norma. La donna dalla chioma scura aveva gli occhi chiusi e Maura pensò che stesse riposando così, silenziosamente, entrò e si sistemò sulla sedia accanto a letto. Una manciata di secondi dopo Jane aprì gli occhi e la vide, il volto stremato dal dolore e gli occhi gonfi e rossi per colpa dalle lacrime che aveva versato.
-Ehi, Maura!-
-Credevo dormissi.-
rispose Maura avvicinandosi per sedersi sul letto accanto a Jane e le prese la mano destra deliacamente per stringerla tra le sue facendo attenzione a non muove troppo il filo che collegava l’ago alla flebo.
-Grazie per avermi salvato, ti devo la vita.- disse Jane sforza dosi un po’ con la voce.
-No, non mi devi niente. Sono arrivata tardi.-
-Ma vuoi farmi arrabbiare anche quando sono in queste condizioni? Sei arrivata in tempo! Mi hai salvato la vita e anche se fossi morta tu sei arrivata in tempo, ti ho visto.-
-Ti amo Jane, non farmi mai più uno scherzo del genere.-
Finalmente lo aveva detto. Maura le aveva detto di amarla, due semplici parole che per una persona riservata come Maura voleva dire che la sua confessione era sincera. Non era per niente facile per lei esprimere i suoi sentimenti, ed ora ci stava provando, riuscendoci.
-Anche io ti amo, Maura.- La bionda si avvicino a Jane e le lasciò un leggero bacio sulle labbra, il massimo che poteva fare quella sera, anche se il desiderio di stringerla e portarla a casa per passare del tempo con lei era forte. Passarono qualche minuto in silenzio, i loro sguardi d’amore parlavano per loro.
-Ed Hoyt?- chiese Jane d’un tratto abbassando lo sguardo.
-Non è sopravvissuto alle mie pugnalate.-
-Non dirmi che ti senti in colpa per averlo ucciso?!-
-No.-
rispose decisa Maura. –Qui fuori ci sono tutti, tua madre, i tuoi fratelli, Cavanaugh, Korsak, Frost.-
-Mia madre… come sta?-
-Sconvolta. Ti ha vista svenuta tra le mie mani e con il tuo sangue cosparso ovunque e non era il caso che entrasse ora.-
Mentre le due donne continuavano a chiacchierare dell’indicente avvenuto qualche ora prima furono interrotti dal dottore, lo stesso che accompagnò Maura in quella stanza.
-Mi spiace dottoressa, ma ora dovrebbe lasciare la stanza ora . La paziente deve riposare.-
-D’accordo, esco subito.-
rispose. –Ora vado a casa, mi faccio una doccia, mi cambio e torno.- continuò a dire rivolgendosi alla compagna.
-Non ti farebbero entrare. Sono ricoverata, non morta. E’ troppo presto perché la dottoressa Isles faccia il suo lavoro.- risero entrambe.
-Voglio starti vicino. Aspetterò fuori così domani mattina sarò già qui.-
-Maura, dopo quello che è successo hai bisogno di un bagno caldo, di un disgustoso te e di un buon risposo. Io giuro che non scappo e soprattutto giuro di non togliermi nei guai.-
-Ma domani mattina arriverò presto.-
-Ti aspetterò. Solo, mi faresti un favore?-
-Quello che vuoi.-
-Di a mia madre di stare tranquilla, e assicurati che si riposi. Se non ti dà ascolto avvelenala con il te.-
-Come fai ad essere così amorevole verso tua madre e così perfida nello stesso momento?-
risero insieme.-Tranquilla, mi occuperò di lei, ora riposa.-
-Notte Maura.-
-Notte Jane.-
Maura si allontanò dalla stanza per uscire e Jane la vide mentre andava via. Come passò l’angolo Jane si girò la testa dal lato opposto e cercò di rilassarsi per dormire, mentre Maura intanto arrivava nell’atrio del pronto soccorso dove c’erano gli altri ad aspettarla.
-Allora, come sta?- chiese Angela in preda all’ansia.
-Bene.- rispose Maura. Una risposta breve ma era la pura verità.
-Non lo dici solo per non farmi preoccupare ancora, vero?-
-No, lo dico perché è vero. Sta bene. Deve solo riposare ma domani mattina potrete vederla tutti.-
-Grazie al cielo!-
esclamò Korsak.
-Jane è la persona più forte che conosca.- si unì Frost.
-Tenente, per quanto riguarda Hoyt, sono disposta a prendermi le mie responsabilità. Era un killer spietato, ma io l’ho ucciso.-
-E’ tutto a posto, non ci saranno conseguenze, dovrai solo fare una deposizione. Ma a questo ci pensiamo domani, ora torniamo a casa.-
-Hai bisogno di qualcosa Maura?-
chiese Korsak. –Un passaggio fino a casa?-
-No lo ringrazio. Posso tornare con Tommy.-
-Allora ci vediamo domani mattina in centrale.-
disse Frost.
Tutti annuirono e poi si avviarono verso le loro auto per ritornare tutti a casa. Maura ospitò Tommy e Frankie, quella notte non volevano lasciarla da sola, aveva visto tagliare la gola a Jane, aveva pugnalato Hoyt e per quanto fosse stata la cosa giusta da fare in quel momento, una piccola parte di lei non accettava l’idea di averlo ucciso. Mentre i due fratelli cercarono di mandare giù qualcosa, Maura si fece un bagno caldo, si preparò un te e andò a dormire lasciandoli sul divano a guardare la tv. Quella era anche casa loro.
Angela invece era a casa sua, ancora agitata e sconvolta ed a farle compagnia era rimasto Cavanaugh.
-Un bagno caldo potrebbe aiutarti. Se vuoi intanto ti preparo qualcosa da mangiare.-
-Non ho fame. Cielo, stavo per perdere la mia Jane.-
-Ma non è successo.-
-Ora, ma in futuro?- Da qualche parte ci sarà sempre un altro Hoyt che non aspetta altro  il momento di agire e uccidere qualcuno, di uccidere Jane.-
-Angela, Jane è una detective, una delle migliori del dipartimento. Sapeva cosa volesse dire fare la poliziotta, ne conosceva i rischi ma lei ha accettato. Ha uno spiccato senso del dovere, è in gamba, dedita al suo lavoro. Un incidente può capitare. Ora non pensarci.-
-Vado a dormire, scusa. Ho bisogno di stare da sola-
-Va bene, resto fino a quando non ti addormenti e poi vado dai ragazzi.-
Angela gli sorrise e andò nella sua stanza. Una volta messa a letto non riuscì a dormire, non aveva mai visto la figlia così fragile, neanche quando qualche tempo prima Hoyt le aveva inchiodato le mani a terra. Quella sera l’aveva vista quasi morta e nessuno dovrebbe mai vedere un figlio morire. Ci volle un po’, ma alla fine la donna prese sonno e quando Cavanaugh entrò nella sua stanza e si assicurò che stesse dormendo, andò a casa della dottoressa.
Nel salone di Maura, Frankie e il fratello erano ancora seduti sul divano in silenzio a guardare la tv, e quando arrivò Cavanaugh lo accolsero, scambiarono qualche parola e verso mezzanotte tutti e tre furono accolti dalle braccia di Morfeo.
Verso le sei Maura si svegliò e senza far rumore si vestì per uscire stando attenta a non svegliare gli uomini che in un certo senso le avevano fatto compagnia quella lunga notte. Appena uscita da casa si recò subito in ospedale dalla sua Jane. Dovette aspettare mezz’ora ma alla fine una dottoressa le diede il permesso di far visita a Jane e lei era già sveglia.
-E’ troppo presto.- disse Jane guardando entrare Maura.
-Ed io ti avevo detto che sarei venuta presto. Come hai dormito?-
-Nonostante tutto bene, anzi voglio tornare a casa.-
-Sei la solita.-
disse Maura sedendosi sul letto. –Più tardi parlo con il medico e sento cosa dice.-
-Mia madre?-
-Sta bene, almeno da questo a vedere. Quando sono uscita da tua madre c’era la luce aperta ma sul divano di casa mia c’erano i tuoi fratelli e il tenente Cavanaugh che dormivano.-
-No, non ci credo. I miei fratelli e Cavanaugh? Frankie si vergogna del tenente.-
disse ridendo.
-Dovevi vederli. Magari è la volta buona che Frankie riesce a vedere Cavanaugh sia come tenente che come compagno di vostra madre.-
-Ti ho invaso la casa. Per colpa mia è un porto di mare.-
-Sai una cosa? A me piace. Siete la mia famiglia. Sei la mia famiglia.-
disse Maura baciando dolcemente Jane, ma non si accorsero che sul ciglio della porta erano appena apparsi Korsak e Frost.
-Uhm uhm.- fece Frost quasi come per annunciarsi, per far capire che erano li e li avevano visti, tenendo stretto il mazzo di fiori che avevano portato a Jane.
-Torniamo dopo?- chiese Korsak mentre Maura si alzò di scatto dal letto.
-No.- rispose Jane un po’ imbarazzata. –Entrate.-
-Non volevamo disturbare.-
-Tranquillo sergente.-
continuò Maura. –Prima o poi almeno voi sareste venuto a saperlo.
-Ragazzi, se avete qualcosa da dire, ditelo adesso. Siamo pronti a tutto. Frost, sei il mio partner e se lavorare con me ora dopo che hai visto questo…-
-Si, una cosa voglio dirvela: auguri!-
pronunciò Frost ponendo il mazzo di fiori sul mobiletto accanto il lettino.
-Come?- chiese incredula Maura.
-Diciamo che era un po’ di tempo che mi ero accorto che tra voi il rapporto si era evoluto in qualcosa di più di un’amicizia.-
-E avevi ragione.-
continuò Korsak. –Auguri ragazze.-
-Ragazzi, non lo sa nessuno, per cui…-
disse Jane.
-Tranquille, non lo saprà nessuno.-
-Grazie per essere passati. Ma tra poco non dovete andare in centrale? Farete tardi.-
-Anche io oggi farò tardi, ma siamo tutti perdonati.-
disse Cavanaugh mentre entrava nella stanza insieme ad Angela.
-Tesoro mio.- disse Angela buttandole le braccia al collo. –Come stai?-
-Male mamma, se mi stringi di più soffoco.-
-Non cambierai mai. Allora?-
-Mamma guardami, sono ammaccata ma sto bene. Mi sono sparata con una 44 qualche tempo fa e sono sopravvissuta, non sarà un taglio alla gola a fermarmi.-
-Quanto sei scema. Tu non sai quanto…-
-Mà, ferma. E’ stato brutto vedermi in quel modo, lo capisco, ma non pensiamoci. Sono qui, ho i miei amici vicino, i miei fratelli se ne fregano quindi è tutto come sempre. Anzi, volete farmi un favore?-
-Quello che vuoi.-
rispose Angela mentre gli altri annuirono.
-Mi portate a casa?!-
-Jane!-
risposero i presenti in coro.
-Cosa ho detto? Non so stare in ospedale, voglio casa mia, il mio lavoro, il mio distintivo.-
-Pensiamo prima a farti tornare a casa.-
rispose Cavanaugh.
-Sentite, io vado a parlare con il medico.- disse Maura per poi andare a cercare il medico che si era occupato di Jane per informarsi sulle sue condizioni mediche.
-Noi invece dobbiamo andare.- disse Cavanaugh. –Dobbiamo tornare in centrale.-
-Andate tutti, io da qui non scappo, almeno per ora.-
-Resto io con te.-
la rassicurò la madre.
-Non devi lavorare anche tu mà?-
-Ho chiesto un permesso, è tutto a posto.-
la figlia le annuì.
-Allora noi andiamo.- continuò Frost.
-Torniamo questa sera.-
-Korsak, Frost… grazie di…-
-Pensa solo a rimetterti presto, abbiamo bisogno di te.-
continuò Korsak facendole l’occhialino.
-Ciao Jane.-
-Tenente!-
Cavanaugh, Korsak e Frost andarono via mentre Angela rimase in camera con Jane ed entrambe aspettavano impazienti che Maura tornasse per sapere le condizioni di salute della donna distesa sul letto.
Jane continuava a pensare al giorno in cui avrebbe detto alla madre che la sua compagna di vita era la sua migliore amica. Pensava se l’avesse guardata ancora con quegli occhi teneri e invadenti da madre che solo Angela sapeva e poteva avere.
Pensava se quel giorno l’avesse riempita di domande o se l’avrebbe lasciata impassibile andandosene.
Era sicura che non avrebbe capito la sua scelta, ma l’amore che provava per Maura le dava la forza per superare tutto, la forza di affrontare tutti.
Prima o poi quel giorno sarebbe arrivato e Jane non poteva farne a meno di pensarci.
Dopo una decina di minuti in camera ritornò Maura.
-Allora? Che dice il dottore?- chiese Jane
-Sei stata una buona paziente. I valori sono nella norma, ti tengono qui solo per precauzione ma massimo tre giorni e sei a casa a patto che venga a stare da me. Ho dato la mia parola al medico che mi sarei occupata di te.-
-Grazie, mi hai condonato qualche giorno per buona condotta.-
- Beh, prego.-
-Quindi non ci sono pericoli, insomma sta bene?-
-Puoi stare tranquilla Angela.-
-Ogni volta che dite così succede qualcosa, inizio a dubitare delle vostre parole.-
-Mamma!-
-Scusami Jane, ma ora devo andare, ho del lavoro da finire in ufficio e devo proprio andare.-
-Non preoccuparti. Ho una guardia che mi farà compagnia e…-
Jane e Maura si guardarono negli occhi e quello sguardo era pieno di amore, del loro amore. Era difficile stare lontano, non potersi darsi un bacio, non potersi avvicinare più del dovuto ma ci riuscivano o perlomeno ci provavano.
-E ci vediamo questa sera. Ciao Jane. Angela.-
-Ciao Maura.-
rispose Jane mentre Angela le sorrise.
-Tutto bene tra voi due?- chiese Angela.
-Si perché?-
-Non so, sembrava strana.-
-Le sono svenuta tra le braccia in una pozza di sangue, magari ancora deve realizzare che sono viva.-
Jane rise.
-Ma come fai a ridere dopo quello che è successo?-
-Perché non posso piangermi addosso. Sono viva ed Hoyt è morto. Questa volta ho visto davvero la morte e sai cosa pensavo mentre lui mi tagliava la gola? Che non ho ancora imparato a fare i tuoi gnocchi.-
-E’ inutile. Non riesci proprio a stare seria.-
sorrisero entrambe.
-Allora fai tu le domande.-
-Perché ti metti sempre nei guai?-
-Perché sono una detective, perché amo il mio lavoro perché voglio un modo diverso, un mondo migliore. Perché sono Jane Rizzoli e sono fatta così.-

 
***

Passarono tre giorni. Jane dopo la visita mattutina del medico fu dimessa e come promesso andò a stare a casa di Maura.
Un motivo in più per stare con lei, per scambiarsi un bacio di sfuggita o una carezza di nascosto.
Ma il primo giorno lo passò da sola. Maura accompagnò Jane a casa sua, ma dovette rientrare in ufficio e l’unica cosa che faceva stare bene Jane era la certezza che la sua donna dopo il lavoro si sarebbe precipitata da lei, e forse riuscivano anche a ritagliarsi un po’ di tempo da sole.
Ma non tutto andò come se lo era immaginato. Maura rientrò a casa alle 7 P.M. ma non era sola: era seguita da un corteo formato dai fratelli Rizzoli, Angela, Cavanaugh, Korsak e Frost.
Sapeva bene che Jane non voleva persone intorno ma non riuscì a persuaderli dall’idea di andare a trovarla così tutti insieme si recarono a casa Isles.
-Ehi Jane, siamo arrivati!- esclamò Maura.
-Come siamo…?- Jane non riuscì a finire la frase che si ritrovò circondata da persone che conosceva bene. Un po’ se lo aspettava, ma voleva anche restare da sola in casa con Maura.
Com’era difficile stare insieme di nascosto, pensò.
-Beh, non penserai di liberarti così facilmente di noi?-
-Non sia mai Korsak, ci siamo visti solamente ieri.-
rispose Jane.
-Allora Rizzoli, pronta per tornare in servizio lunedì?-
-Non si potrebbe fare domani? Non mi lasci fuori.-
-E’ giovedì, prenditi un altro giorno. Non ti lascio fuori.-
-Inizio lunedì a patto che se dovesse arrivare sulle vostre scrivanie un omicidio, una sparizione, una qualsiasi denuncia rientro immediatamente.-
-Sei proprio una testa dura eh? D’accordo.-
-Grazie.-
rispose esultando Jane.
Passarono tutti insieme un paio d’ore mangiando pizza e parlando con la tv di sottofondo, quando verso le undici Jane decise di ritirarsi in camera. Non aveva voglia di stare ancora in mezzo la confusione così finse di essere stanca e andò in camera. Era sicura che prima o poi gli altri sarebbero andati via e Maura l’avrebbe raggiunta e infatti così fu, in meno di un quarto d’ora in quella casa ritornò a regnare la pace ma quando la sua meravigliosa donna bionda la raggiunse in camera, Jane dormiva dolcemente.
Era passato così poco tempo, ma Jane era stanca tra la serata appena trascorsa, le notti insonne in ospedale e la sua aggressione ancora non era riuscita a riposarsi bene; e così appena si stese sul letto il sonno la colse all’improvviso.
Quando Maura entrò in camera vide Jane dormire beatamente.
Sapeva che prima aveva finto di essere stanca ma vedendola dormire il quel modo, con un sorriso sulle labbra non aveva proprio il coraggio di svegliarla. Chissà cosa stesse sognando, pensò.
Così si soffermò a guardare la sua donna.
Com’era possibile che guardandola solamente lei riusciva ad innamorarsene ogni volta in modo diverso e sempre di più?
Come poteva amarla così tanto? Cosa aveva fatto per meritarsi una bella donna come Jane?
A prima vista poteva sembrare una persona arida, fredda ed insensibile, ma era solo il suo modo di difendersi dal mondo perché in realtà dietro quegli occhi color cioccolato e la capigliatura scura e riccia si nascondeva una donna meravigliosa e fragile. Una ragazza straordinaria, pronta a difendere tutto e tutti.
Chi aveva Jane per amica era la persona più fortunata del mondo.
Maura continuò a guardarla e alla fine decise di infilarsi nel letto accanto a lei, la guardò un’ultima volta e poi si addormentò anche a lei accanto alla sua donna. Accanto alla sua Jane.

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