Never gonna be alone

di A lexie s
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Never gonna be alone

Capitolo 1
 
Profumo di fiori.
Una decina di Peonie legate con un nastro bianco per addobbare le grandi panche color mogano. Petali di Rosa, petali bianchi distribuiti su tutto il lungo tappeto rosso. L’incedere lento della donna, alternato da brevi pause per aggiustare il vestito e non rischiare di cadere. Il braccio stretto a quello del padre ed il frusciare del tulle leggero e delicato.
Musica.
Il suono dolce di un organo ad accompagnare la marcia, il rincorrersi delle note per creare la melodia perfetta per quel momento così solenne.
Gli sguardi.
Gli sguardi di tutti puntati su di lei, sorrisi dipinti sui volti dei presenti ed occhi pieni di commozione. Non sapeva che espressione avesse, la sua sicurezza non tradiva alcun tipo di agitazione nonostante agitata lo fosse parecchio.
Un paio di occhi azzurri si distinsero in quella massa di persone che la fissavano. Due occhi azzurri come il mare, un mare caldo, un mare d’estate quando il sole riscalda la pelle e le onde s’infrangono piano sulla battigia. Rimase qualche secondo inchiodata a fissarli, quasi incantata dalla sottile tristezza che emanavo in quel momento nonostante vi fosse dolcezza in quello sguardo. Qualche secondo dopo si accorse di stare indugiando troppo in quegli occhi, occhi che non appartenevano a quelli del suo futuro marito.
Quello era proprio di fronte a lei, un sorriso che occupava tutto il volto e due occhi marroni vispi e felici. Altri occhi però gli infuocavano la schiena, se li era lasciati alle spalle ma erano presenti e stampati nella sua mente. L’espressione di chi si sforza di essere felice, pur non essendolo affatto. Proprio per niente.
Si fece coraggio e fece l’ultimo passo verso l’altare, afferrò la mano che l’uomo le porgeva e si avvicinò a lui in modo impacciato. Decisamente quel vestito non le permetteva movimenti fluidi, oppure era lei che non voleva avvicinarsi?
 
Una settimana prima
 
“Abbiamo fatto uno sbaglio” disse seccamente, cercando a tentoni i vestiti buttati da qualche parte del letto. Trovò le mutandine e la maglia ed indossò tutto rapidamente, mentre si muoveva nell’oscurità per infilare i pantaloni e poi le scarpe.
“Un minuto e dieci secondi, riesci a rivestirti ogni volta più velocemente” affermò l’uomo con disappunto, lasciando l’orologio che stava guardando sul comodino posto accanto al letto.
“Adesso conti anche i secondi?” Chiese Emma, i suoi capelli biondi si spostarono e permise al suo viso di guardarlo un’altra volta, non aveva avuto il coraggio di voltarsi fino a quel momento. Mossa sbagliata mia cara, i suoi occhi infuocati lasciavano scie sulla sua pelle incendiandola dentro. Era decisamente meglio guardare il muro, la carta da parati color salmone non era decisamente più interessante ma era sicuramente meno pericolosa.
“Ogni secondo passato con te è un secondo che vale la pena vivere”. Smielato e tentatore. Dolce. Esagerato. Forse sincero.
Sentì le sua mano scostarle i capelli e le sue labbra poggiarsi su quel punto del collo, il suo punto sensibile e lui lo sapeva bene. Chiuse gli occhi per un secondo perdendosi in quelle sensazioni, prima di maledirsi mentalmente  ed alzarsi di scatto.
“Fammi indovinare” disse Killian in modo ironico, avvicinando un dito alle labbra come a voler soppesare le sue parole, finse di pensarci un attimo e poi continuò, “non succederà più?”
“Non succederà più.” Affermò lei con sicurezza, mentre si avviava verso la porta ed afferrava la maniglia come se da quella dipendesse la sua vita.
“Come l’ultima volta” soffiò lui, prima di sentire la porta sbattere e lasciare un vuoto dove prima c’era lei.
 
5 giorni prima
 
Aveva l’ultima prova del vestito quel giorno, la prova definitiva e poi lo avrebbe portato a casa per indossarlo tra cinque giorni esatti. Il grande giorno si stava avvicinando ed Emma si sentiva particolarmente claustrofobica, peccato che in quel momento si trovava in uno spazio aperto e nessun muro minacciava di stringersi intorno a lei fino quasi a schiacciarla, allora cos’era quella sensazione che le stringeva il petto fino a soffocarla?
In pochi minuti si trovò seduta in una panchina, la fronte madida di sudore ed il respiro affannoso. In quel parco non c’era nessuno in quel momento, erano solo le 7:00 del mattino e fare jogging non era stata decisamente una buona idea quel giorno. Pensava di poter scaricare la tensione ma aveva ottenuto un risultato diametralmente opposto. Si sentì persa e sola, i contorni degli alberi divennero più sfocati e la sensazione di soffocamento aumentava ogni secondo di più. Sapeva cosa stava accadendo, eppure erano anni che non le veniva un attacco di panico. In quel momento, la prima persona che volle sentire, la prima persona che pensava potesse aiutarla a calmarsi era l’unica che avrebbe dovuto evitare viste le circostanze. “Emma?” Solo in quel momento si accorse di avere il telefono in mano. Lo aveva chiamato davvero, che razza di idiota.
Non riusciva a parlare, non riusciva a rispondere. Si mise una mano sul cuore per cercare di rallentare i battiti e comincio a fare respiri profondi. Era quello che le era stato insegnato fin dalla prima volta, “respira piano e profondamente piccola, va tutto bene, vedrai che passerà presto” le rassicurazioni di Ingrid, l’unica che in quell’orfanotrofio tenesse davvero a lei.
“Emma? Ti prego, mi stai spaventando.” La voce di Killian arrivò concitata, le parole uscivano a rantoli, agitate e talvolta sconnesse.
“Kil- Killian..”
“Tesoro, che succede?”
“Pu-puoi venire al parco vicino casa mia?” Mormorò piano, la voce si stava ripristinando ma non seppe frenare il suo bisogno di lui in quel momento e la sua mente vagò verso tempi lontani quando lui era appena arrivato in orfanotrofio ed aveva colorato il suo mondo, lo aveva reso meno triste, lo aveva reso bello e luminoso.
Pochi minuti dopo lui era lì, i capelli sfatti e mezza camicia fuori dai jeans neri. Si sedette al suo fianco e la prese tra le braccia, non disse nulla. Lasciò semplicemente che la testa della donna si posasse sul suo petto e che il suo respiro si regolarizzasse scandito dai battiti del suo cuore.
“Pensavo non li avessi più” le sussurrò tra i capelli, lasciandovi un bacio leggero.
“Lo pensavo anche io” ammise lei, avvolgendo il braccio intorno alla sua vita e stringendolo ancora di più come se lui potesse proteggerla. E poteva.
“Non dovrebbe farti stare così” le sollevò il mento e la fissò per alcuni secondi, scostandole di tanto in tanto qualche ciuffetto biondo dal viso. “Il matrimonio dovrebbe essere una cosa bella, dovrebbe portarti gioia e renderti impaziente” chiarì.
Emma annuì piano, poi si passò una mano sugli occhi e si convinse di stare bene, lo disse così forte a se stessa e poi lo ripeté a lui allo stesso modo per renderlo credibile.
Si alzò lentamente, lo ringraziò con un cenno del capo e si avviò verso casa. Killian si alzò, le parole rimasero bloccate nella sua gola, in procinto di uscire e poi si persero nell’aria perché lei era già andata via.
Niente prova del vestito quel giorno.
 
3 giorni prima
 
Sentì bussare alla porta più volte. Aprì gli occhi e si voltò verso la radiosveglia, erano le 23:30, pensò di aver immaginato tutto e si voltò dall’altra parte cercando di riprendere sonno ma altri due colpi la ridestarono. Si alzò rapidamente, cercò al buio le ciabatte ma non trovandole abbandonò l’idea e si recò scalza in soggiorno. Guardò dallo spioncino e lo vide, il braccio poggiato alla porta e la testa adagiata su questo. Girò la chiave nella toppa ed aprì.
“Che ci fai qui?” Le braccia incrociate al petto ed il piede che tamburellava nel legno del parquet.
Killian alzò lo sguardo ed i suoi occhi blu, lucidi ed arrossati, incrociarono quelli verdi di Emma. Il viso di quest’ultima si addolcì, sciolse la protezione che le braccia avevano costruito intorno a lei e lo aiutò ad entrare. Cercò di accompagnarlo sul divano, lui rischiò di cadere e di trascinarla con sé ma lei riuscì a far leva su un mobile che si trovava nei paraggi, qualche oggetto si riversò sul pavimento ma loro furono salvi.
“Quanto hai bevuto per ridurti così?” Gli chiese, scostandogli delle ciocche umide dal viso. Lui fece un gesto strano con le mani che voleva indicare che avesse bevuto molto e poi rise piano, quasi a singhiozzi. Emma gli tolse le scarpe e lo aiutò a sdraiarsi sul divano, poi fece per tornare nella sua stanza.
“Emma” la richiamò lui, gli occhi la cercarono e la trovarono un attimo dopo ed un sorriso triste si aprì sul suo volto.
“Cosa?” Chiese lei, vedendo che lui non si decideva a dire nulla.
“Per favore, Emma, almeno per stanotte resta vicino a me” la sua preghiera fu così dolorosa, così dolorosamente rassicurante e dolce allo stesso tempo, e faceva male, un male fisico come se sentisse il suo cuore spezzarsi in tante piccole parti. Sorrise dolcemente e si sedette sul divano vicino a lui, si sdraiò piano appoggiando la schiena al petto dell’uomo e notando quanto perfettamente i loro corpi s’incastrassero insieme e si lasciò perfino abbracciare pensando a quanto tutto quello fosse giusto, così perfetto e semplice come respirare. Si sarebbe sposata tra tre giorni, quello non era giusto e tantomeno semplice.
Era un errore che si permise di fare comunque.
 
2 giorni prima
 
Si era alzata presto per preparargli la colazione, aveva adagiato tutto sul tavolo e gli aveva scritto un biglietto in cui lo avvisava che aveva un appuntamento con Neal che non poteva rimandare, si sa “questioni da matrimonio”.
Killian si alzò con un forte mal di testa, cercò Emma in giro ma non ottenne nessuna risposta, lasciò la colazione quasi del tutto intatta preoccupandosi soltanto di prendere una grande dose di caffeina. Lesse il biglietto più volte, poi decise di andare a casa così prese una penna e scrisse una breve risposta sotto quello stesso pezzo di carta.
 
“Mi dispiace per ieri sera, non sarei dovuto venire e non succederà più. Ci vediamo al matrimonio.”
 
La penna rischiò più volte di bucare il foglio prima che si decidesse a toglierla. Uscì velocemente da quella casa, non voleva rischiare che tornando  avrebbe potuto trovarlo ancora lì, intento ad ammirare tutto quello che quel posto raccontava di lei.
 
Quando Emma tornò e lesse quella riga, ebbe lo strano impulso di chiamarlo solo per chiedergli se stesse bene, se la sbronza fosse passata, se avesse voglia di pranzare con lei magari avrebbe potuto fare quella pasta al formaggio che lui tanto amava. Poi si diede della stupida, lei stava per sposare un altro uomo e ciò comportava cambiamenti. Aveva sbagliato troppo verso Neal, era andata al letto con Killian. Diverse volte. Ed era stato bello e, nonostante si fosse ripromessa di non farlo, avevano dormito insieme anche la notte precedente. Ed era stato ancora più intimo del sesso.
Si sentiva in colpa per averlo tradito, schifosamente colpevole. Non era da lei farlo, Emma Swan non tradiva, erano sempre stati gli altri a tradire lei.
Amava Neal, forse non quanto amava Killian, decisamente non quanto amava Killian ma gli voleva bene. Lui l’aveva sempre trattata bene, ed era così diverso da loro, così diverso da sembrare giusto. Aveva una famiglia che lo amava, dei genitori che avrebbero fatto di tutto pur di vederlo felice ed in più era una brava persona. Le aveva salvato la vita, letteralmente. Dopo un brutto incidente le aveva salvato la vita e lei si era sentita in debito nei suoi confronti, non era solo gratitudine ma quasi l’obbligo di ripagarlo. Lei e Killian si erano allontanati, lui era partito per lavoro e lei non poteva essere la stupida ragazzina che gli chiedeva di rinunciare al suo sogno per lei così gli aveva detto di andare. Quando lui era tornato però, lei era già in debito con Neal e lui l’amava così tanto che quando lei aveva tentato di lasciarlo, lui l’aveva scongiurata di non farlo, lo aveva visto stare così male da aver paura che avesse potuto commettere qualche sciocchezza.
Ed adesso si era ritrovata quasi sposarlo, i mesi erano passati ed il matrimonio era stato organizzato. E lei gli voleva troppo bene per spezzargli il cuore.
“Ma lo stai spezzando a me” la voce di Killian risuonò forte nella sua testa tanto da credere che fosse lì davvero.
 
19 ore prima

“Volevo ringraziare tutti per essere qui stasera” Neal alzò il calice pieno di champagne verso l’alto prima di far tintinnare il bicchiere con quello di Emma che si stampò un sorriso tirato sul viso.
Tutti intorno a loro applaudirono, incitandoli a scambiarsi l’ultimo bacio da fidanzati, l’indomani non lo sarebbero stati più.
Emma appoggiò la mano sulla spalla del suo futuro marito prima di avvicinarsi lentamente, fu un bacio appena accennato, un semplice sfiorarsi di labbra e poi si staccò ed i suoi occhi si posarono subito su qualcun altro.
Non le piacevano le smancerie in pubblico, non le piaceva trovarsi al centro dell’attenzione, non lo era mai stata e non era abituata.
Dopo aver consumato il dolce, gli invitati si diradarono pian piano, allora anche Killian si alzò lisciandosi lentamente i pantaloni sulle gambe. Si passò una mano sui folti capelli e pensò che forse era il caso di tagliarli, “io vado ragazzi” sorrise in imbarazzo e controllò l’orario sul suo cellulare prima di riporlo nuovamente nella tasca del giubbotto di pelle.
La porta sembrava così lontana mentre si avviava in silenzio verso di essa, “Killian, ti dispiacerebbe accompagnare Emma a casa?” La tradizione diceva che i futuri sposi non potessero dormire insieme la notte prima del matrimonio, e le tradizioni andavano rispettate secondo Neal.
“Posso prendere un taxi così non dovrai fare nessuna deviazione.” Lo rassicurò la bionda, volgendo uno sguardo di rimprovero verso il suo quasi marito.
“Andiamo Emma, non essere sciocca, non è un problema accompagnarti.” E’ un piacere aggiunse mentalmente, ma si guardò bene dal non dirlo.
Lei annuì, raccolse velocemente le sue cose nell’altra stanza e seguì l’uomo giù per le scale.
La guida sicura di Killian era sempre riuscita a tranquillizzarla, la sua presa salda sul volante e l’altra mano adagiata sul cambio, la naturalezza con la quale sfrecciava per le strade poco trafficate della notte. Nessuna parola durante il tragitto, ma adesso la macchina stava accostando sotto al suo palazzo e qualcosa doveva pur dire prima di scendere. Forse bastava un semplice “grazie” o un “ci vediamo domani”, forse doveva semplicemente aprire quel cavolo di sportello e scendere dalla macchina.
“Forse è stato un errore venire stasera.”
Un errore? Cosa?
“Perché?” La sua mano era ferma a mezz’aria, voleva aprire quello sportello e scappare prima di sentire la risposta. Ed allora perché hai chiesto, Emma, se non volevi sapere?!
“Dovevamo vederci direttamente domani così quando ti avrei vista camminare verso l’altare sarei stato sicuro di perderti e non sarei qui, non saremmo qui, ed io non avrei avuto la possibilità di chiederti di non farlo. Ti avrei semplicemente lasciata andare. Sarebbe stato più semplice.” Sembrava quasi non stare parlando nemmeno con lei, come se soppesasse da solo quell’eventualità con gli occhi persi a contemplare le luci stradali.
“Verrai domani?” Chiese la donna, preoccupata che non volesse più prendere parte alla cerimonia. Era strano come avesse bisogno di lui per farlo e come la sua presenza lì, d’altro canto, avrebbe potuto bloccarla.
“Hai davvero bisogno che ci sia?”
“Sei il mio migliore amico” sussurrò lei, lo era stato. Era stato il suo primo amico, il suo primo bacio, la sua prima volta, il suo primo amore.
“Ci sarò.”
 
Quella notte fu tormentata per Emma, mille pensieri incombevano dentro di lei. Non riusciva a capire cosa fare, c’era troppo vicina per disdire tutto. La cerimonia, il ricevimento, i parenti – tutti di Neal.
Sarebbe stata bene con lui, si sarebbe preso cura di lei. Era la sua sicurezza, mentre con Killian era sempre stato tutto incerto sin da bambini, nessuno dei due sapeva bene come vivere, avevano le stesse paure, le stesse incertezze.

 
“Neal Cassidy, vuoi prendere la qui presente Emma Swan come tua legittima sposa, promettendo di amarla e rispettarla sempre, in ricchezza e in povertà, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia,  e di amarla ed onorarla ogni giorno della tua vita?”
“Lo voglio.” La voce solenne di Neal la risvegliò dal suo stato di trance, erano già arrivati a quel punto della cerimonia e lei non si era resa conto di nulla.
“Emma Swan, vuoi prendere il qui presente Neal Cassidy come tuo legittimo sposo, promettendo di amarlo e di rispettarlo sempre, in ricchezza e in povertà, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo ed onorarlo ogni giorno della tua vita?” La stessa formula fu rivolta a lei, il sorriso rassicurante di Neal e la pressione leggera alla mano che teneva tra le sue.
Lo voleva?
Si voltò verso il posto in cui fino a poco prima stava seduto Killian e lo ritrovò completamente vuoto. Lo cercò rapidamente tra la folla e lo vide proprio lì vicino alla porta, le mani nelle tasche dei pantaloni e gli occhi alti verso di lei. Poteva vedere l’azzurro luccicare anche a quella distanza.
Lo voleva?
“Emma?”
 

Note:
Salve a tutti! :)
Questo è il primo capitolo di un'idea che mi è venuta ultimamente. In realtà, doveva essere completamente diverso ma poi si è scritto da solo ed è uscito così. Spero che possa incuriosirvi, adesso che sono più libera conto di poter aggiornare con maggiore costanza, scrivere mi mancava parecchio quindi ho deciso di lanciarmi in questa nuova storia, sperando che esca decentemente! xD
Le riprese sono cominciate, abbiamo avuto già diverse foto moltooo interessanti e sicuramente ne usciranno molte altre. Speriamo che questi due mesi passino in fretta perché questa nuova stagione mi rende davvero tanto curiosa ed ovviamente ci auguriamo tutti una buona dose dei nostri CaptainSwan.  
A presto! :* 

 

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Never gonna be alone

Capitolo 2

Presente, ore 8:15.
 
Un altro nuovo giorno aveva inizio.
Emma si era alzata alle 7:30 come ogni giorno nelle ultime due settimane, le servivano almeno quarantacinque minuti buoni se voleva riuscire ad essere attiva per non combinare disastri. Così dopo un toast al formaggio ed una doccia, era riuscita ad indossare la divisa ed a scendere sotto per il suo turno di lavoro.
“Ciao bellezza” la salutò la sua amica Ruby, pizzicandole dolcemente la guancia e porgendole un caffè nero e poco zuccherato, la conosceva bene e sapeva che aveva bisogno di una buona dose di caffeina per sopportare la giornata.
“Grazie Ruby” prese il bicchiere in plastica dalle mani dell’amica e lo ingurgitò senza accertarsi che fosse abbastanza freddo, il liquido caldo le ustionò un po’ la lingua ma poco importava.
“Vacci piano” mormorò la mora ridacchiando.
Granny’s, la piccola tavola calda in cui lavorava da poco, brulicava già di gente. Una famigliola felice stava seduta al tavolo vicino la porta, il profumo di torta di mele e cioccolata calda invadeva l’aria insinuandosi nelle sue narici, vi era anche un altro aroma che avrebbe riconosciuto sempre, cannella.
I giorni all’orfanotrofio erano tristi, soprattutto prima dell’arrivo di Killian, ma c’era una cosa che Emma adorava e che le era concessa soltanto la domenica o durante le feste, una tazza di cioccolata con panna e cannella. Quello rappresentava un ricordo felice della sua infanzia, ed i ricordi erano ancora più piacevoli se pensava a quante volte l’avesse condivisa con Killian.
 
14 anni prima
 
“Voglio solo farti provare una cosa” gli sorrise e prese la sua mano in modo incerto. Il ragazzo ricambiò subito la stretta e legò le loro dita in un intreccio, tanto da non capire dove finisse la mano di uno ed iniziasse la mano dell’altra.
“Sono molto curioso, Swan.” Amava utilizzare il suo cognome, lei lo sembrava davvero.. Un cigno!
Era una ragazzina molto bella, era forte e vivace. Anche se, chi la osservava bene poteva notare la tristezza che, in genere, cercava di nascondere. Non amava sentirsi esposta, preferiva tenere le cose per sé ma quello strano ragazzino riusciva a scalfirla. Riusciva a penetrare la sua corazza e vedere lei, ed ogni volta che lui la guardava riusciva a sentirsi compresa. Condividevano questo strano legame che li aveva portati in poco tempo a stare sempre insieme, a proteggersi a vicenda. Erano un piccola famiglia, in qualche modo.
Quando la ragazza gli porse la tazza, lui sembrò interdetto. Sembrava una cioccolata calda ed era molto tempo che non gustava quella bevanda, l’odore era gradevole ed anche l’aspetto, poi era stata lei a dargliela e lui non le avrebbe mai negato nulla.
“C’è un sapore che non riconosco” constatò il ragazzo.
“Cannella” disse lei sorridendo trionfante, “ti sei sporcato tutto” lo prese in giro, cercando di pulire col dito tutta la panna che gli era rimasta sul naso ed all’angolo delle labbra.
Killian le bloccò il polso e l’avvicinò maggiormente a sé, “potresti pulirmi in un modo più efficace” pronunciò piano, facendola arrossire in tutto il viso. Solo quattordici anni e già sapeva come affascinare le ragazzine. Il bacio che seguì quella frase fu dolce e fu il primo per lei, ed anche per lui ma solo in seguito glielo avrebbe rivelato. Nulla a che vedere con i baci che seguirono negli anni avvenire. Erano l’unica famiglia di cui avevano bisogno.
 
**
 
“Perché sorridi?” Chiese Granny, l’anziana signora stava preparando in un vassoio la consegna da fare al tavolo quattro ed aveva più volte richiamato l’attenzione di Emma.
“Nulla, solo un ricordo.” Annuì la ragazza, prendendo ciò che la donna le stava porgendo e recandosi verso i clienti. Faceva quel lavoro soltanto da qualche giorno, ma si era ambientata piuttosto bene e riusciva a gestire i tavoli assegnati a lei con tranquillità. Ruby e Granny erano state davvero gentili con lei, le avevano offerto una sistemazione e perfino un lavoro, molto più di quanto osasse sperare o chiedere.
Killian le mancava, non era stato facile lasciarlo a Phoenix e partire verso Storybrooke ma quella piccola cittadina era tranquilla e confortevole. Poi c’era la burrascosa questione del matrimonio. Neal non l’aveva presa affatto bene, ed era comprensibile. Quando fu il suo turno di dire “lo voglio”, l’unica voce che sentiva nella sua testa le gridava di non volerlo affatto e l’unica parola che riuscì a pronunciare fu “no” prima di correre via.
Tutti gli invitanti erano rimasti di sasso, nessuno si aspettava una cosa del genere, quei due ragazzi sembravano davvero una coppia equilibrata, non una di quelle che fa follie per amore ma sembravano stabili.
Killian l’aveva seguita ma lei non aveva voluto vederlo, stare con lui in quel momento l’avrebbe fatta sentire troppo colpevole.
Quando era stato Neal ad andare da lei, non aveva potuto negargli la sua presenza, gli doveva una spiegazione e ciò che ne seguì fu parecchio triste.
Lui era a conoscenza del profondo legame che la unisse a Killian, ne era a conoscenza ma lo aveva sottovalutato in qualche modo perché credeva, erroneamente, che lei avrebbe potuto amare lui un giorno più di quanto non avesse fatto con l’altro. Sicuramente non credeva possibile che la sua Emma, la persona più leale che avesse frequentato in vita sua fosse arrivata al punto di tradirlo. Era sempre stato tutto lì davanti ai suoi occhi, ed in quel momento, col senno di poi, comprese tutti i comportamenti della donna.  Lei si scusò, gli disse quanto fosse splendido e quanto meritasse qualcuno che lo amasse ma lui era troppo arrabbiato per ascoltarla.
Le rinfacciò di averle salvato la vita mentre lei era riuscita solo a distruggere la sua, e che forse avrebbe fatto meglio a non salvarla affatto. Lei si sentì ferita, gli intimò di andarsene e lui lo fece senza replicare.
Dopo qualche giorno decise che cambiare aria e lasciare Phoenix avrebbe potuto giovarle. Aveva chiamato Killian per avvisarlo nonostante non si sentissero da qualche giorno, non per colpa di lui. Il cellulare continuava a suonare a vuoto, magari era lui a non volerla sentire in quel momento, ed allora aveva optato per un messaggio ed ovviamente l’uomo non l’aveva presa molto bene.
“Posso portarle un altro pezzo di torta di mele?” Chiese ad una donna bruna piuttosto austera, “no grazie” rispose questa, ed allora lei tornò al bancone. Guardò l’orologio ed era già ora di pranzo, il tempo era trascorso senza che riuscisse a rendersene conto e la ragazza che doveva coprire il suo turno era appena arrivata così da permetterle di andare a mangiare.
“Vai pure Emma, ci penso io” disse Mary Margaret togliendole il vassoio dalle mani con gentilezza, la ragazza la ringraziò e si tolse il grembiule.
Prese del formaggio grigliato e degli anelli di cipolla dalla cucina, chiuse il tutto in un sacchetto ed optò per fare una passeggiata visto che la giornata era soleggiata ed il clima piacevole.
Storybrooke era una bella cittadina e Ruby era stata fortunata a finire lì, mentre altri non avevano avuto nulla di simile, anzi il contrario.
La permanenza di Ruby all’orfanotrofio era stata davvero breve, Granny che all’epoca viveva ancora a Phoenix si sentiva sola e voleva adottare una bambina, la vide e le ricordò subito la sua defunta figlia. Rivedeva in lei gli stessi occhi verdi, i capelli scuri ed i lineamenti gentili così decise di prenderla con sé e dopo poco tempo si trasferirono.
Era un ottimo posto per i bambini, un tasso basso d’incidenti, belle scuole e strade pulite. Vi erano ampi spiazzali per giocare e grandi alberi in cui arrampicarsi per i più avventurosi ed inoltrandosi verso il porto si accorse che la vista era davvero meravigliosa. Decise di sedersi in una panchina per consumare il suo pranzo e rimanere per un po’ a guardare quel mare così azzurro e familiare.
 
2 settimane prima
 
“Che significa?”
“Cosa?” Emma sapeva cosa lui intendesse, eppure rispondere con un’altra domanda era più facile piuttosto che dire – sai che c’è, me ne vado.
“Vado via.” Lesse lui portando lo schermo del piccolo apparecchio sotto al suo sguardo e poi sventolandolo vicino al viso della ragazza, “che cazzo significa?”
“Ho bisogno di un po’ di tempo” sussurrò lei, scostandosi per lasciarlo entrare nel suo appartamento.
“Avevi bisogno di tempo ed io te l’ho dato. Non ti vedo da sette giorni, poi ho trovato la tua chiamata ed ho pensato che desiderassi parlarmi o vedermi ed invece poi trovo questo?” Sventolò il suo telefono nuovamente vicino al suo viso e poi si sedette sul divano. Il capo stanco appoggiato sulla mano e gli occhi chiusi, si massaggiò le tempie per qualche secondo.
“Quando avresti intenzione di partire?” Domandò poi, guardandola e cercando un qualcosa nel viso della donna che amava, che amava e che voleva lasciarlo.
“Domani” mormorò.
La testa del ragazzo si alzò di scatto ed il suo viso divenne colorito nuovamente, “domani?” sbottò arrabbiato, si alzò in piedi, fece un giro intorno al divano e si risedette prima di alzarsi di nuovo.
“Perché?” Cercò di capire se vi fosse un ulteriore motivo, se vi fosse qualcosa che lei non gli avesse detto o qualcosa che avrebbe potuto fare.
“Te l’ho detto, Killian. Ho solo bisogno di un po’ di tempo.”
“E quindi mi stai lasciando?” Era stanco, stanco mentalmente, fisicamente, moralmente. Era semplicemente stanco di non poter avere la donna della sua vita.
“Tu mi hai lasciata” concluse lei, sottovoce ma non abbastanza da sfuggire a lui, poi si avviò verso la cucina e prese un bicchiere dalla dispensa per versarsi un po’ d’acqua.
“Quindi mi stai punendo? Vuoi che io stia male come lo sei stata tu?” Si passò una mano sulla fronte. Ad Emma cadde il bicchiere di mano, tante piccole schegge finirono dentro al lavandino e lei rimase impassibile per alcuni secondi prima di parlare nuovamente.
“Killian, non essere stupido.” Le sue mani si mossero freneticamente per cercare di prendere tutti i cocci ed accumularli in un angolino della cucina per poi gettarli.
“Torniamo sempre a quel punto, Emma. Tu mi hai detto che potevo andare ed io l’ho fatto, ma poi sono tornato, sono tornato da te perché tu sei la mia famiglia.” Si avvicinò a lei e l’abbracciò da dietro. Le tolse tutto quel vetro dalle mani per non rischiare che si tagliasse, prese la pattumiera e spinse tutto dentro. Si sciacquò bene le mani per evitare che vi fossero residui e poi le asciugò lentamente, movimenti cauti e prudenti. Una piccola bolla di silenzio.  Tornò da lei ed intrecciò le dita alle sue prima di stringerla nuovamente. La sua testa si muoveva piano e le sue labbra lasciavano una scia di baci umidi sul collo, “ti ricordi?” Le sussurrò all’orecchio prima di voltarla dolcemente in modo da trovarsi faccia a faccia.
“Noi siamo l’unica famiglia di cui abbiamo bisogno.” Rispose lei. Quante volte si erano scambiati quelle parole?
Tante, troppe.. La prima volta erano ancora in orfanotrofio e mille altre volte a seguire dopo, ad ogni bacio, ad ogni evento importante che presupponeva la presenza dei familiari, quasi ogni volta che facevano l’amore. Poi avevano smesso di dirlo, lui era partito e lei aveva incontrato Neal. Ed ogni volta si chiedeva se fosse giusto pensare che la sua famiglia fosse Killian?
Questa era la prima volta che quelle parole lasciavano la sua bocca e vibravano nell’aria intorno ai loro corpi stretti. La prima volta che si concedevano di dirlo nuovamente.
“Si, Emma.” Le mani le accarezzarono il viso, con i pollici le asciugò le lacrime che si formavano all’angolo degli occhi della ragazza e con le labbra si avvicinava per prendere il suo agognato bacio. Era passato decisamente troppo tempo dall’ultima volta.
Quello che ne seguì fu estremamente dolce all’inizio, le lacrime lo rendevano dolce e salato contemporaneamente. Subito dopo divenne più coinvolgente, più passionale ed urgente. Le mani si spostarono sui fianchi della ragazza issandola sulla penisola della cucina e lei aprì leggermente le gambe per permettergli di avvicinarsi ancora di più.
Un attimo di lucidità le permise di scostarsi leggermente, lui rimase subito immobile quasi spaventato da quello che con le sue parole avrebbe potuto distruggere. Respirarono la stessa aria per qualche secondo e poi lei si tirò indietro, appoggiò la fronte a quella del ragazzo e con il pollice allontanò le sue labbra tanto da permetterle un ragionamento coerente, la troppa vicinanza a lui non l’aveva mai resa lucida e questo la rendeva arrendevole il più delle volte.
“Forse è meglio che vai.”
Lui annuì sconfitto e si allontanò piano quasi sperando che lei potesse cambiare idea ma cosciente che non lo avrebbe fatto, lasciandola ancora sopra quel mobile. Emma si ricompose, scese e si sistemò la camicetta sgualcita sul petto, si lisciò i capelli con le dita e lo accompagnò alla porta.
Adesso che Killian vi prestava attenzione, poteva notare che quella casa era piuttosto vuota. I mobili erano tutti al loro posto, ma non vi era più la loro foto sopra la mensola ed il cigno che le aveva regalato per uno dei loro Natali insieme non era più sul tavolino accanto al divano. C’era qualche maglia accatastata sulla sedia ed una valigia vicino la porta della camera da letto. Aveva deciso.
“Posso venire all’aeroporto domani?” Si fermò sulla soglia, le scostò una ciocca di capelli ed indugiò sulla sua guancia più del dovuto.
“Sarebbe meglio di no, non rendiamo le cose più difficili” proruppe la ragazza, prendendo la mano dal suo viso ed adagiandola piano vicino al fianco di lui.
Ed ovviamente lui andò lo stesso.
 
**
 
Avrebbe dovuto evitare di perdersi in quei ricordi, le facevano male e le ricordavano che era stata lei stessa a volerlo. Ed in più aveva perso la cognizione del tempo ed adesso era decisamente in ritardo e doveva rientrare dalla pausa. Finì in fretta di mangiare, si concesse un ultimo sguardo verso il mare e poi corse via per ritornare al lavoro.
Rientrò dalla porta sul retro per non attirare l’attenzione dei clienti. Respirava in modo affannoso a causa della corsa ed era comunque arrivata in ritardo di dieci minuti, Granny era una persona gentile ma quello era il suo lavoro e non poteva permettersi di arrivare in ritardo, doveva smetterla di abbandonarsi ai ricordi e dimenticarsi persino del presente. Lui era lì però, ricordarlo era un modo per renderlo più vicino.
“Emma stai bene?” Chiese Ruby, passando dalla cucina con un vassoio pieno di prelibatezze. L’altra annuì ancora col fiatone poi prese il grembiule da sotto il bancone per metterlo.
“Non hai una bella cera” Mary Margaret si avvicinò per osservarla più da vicino e notò quanto fosse pallida, “forse è meglio che ti riposi per oggi. Copro io il tuo turno.” La rassicurò, prendendole le mani e riservandole un ampio sorriso. Era una ragazza così dolce.
“Non è giusto, è la tua ultima settimana e non voglio che a causa mia ti sorbisca i doppi turni. Sarà solo per via della corsa, ma qualche minuto e mi riprenderò.”
La settimana dopo sarebbe ricominciata la scuola e la ragazza sarebbe tornata ad insegnare alle elementari abbandonando il lavoro da cameriera che svolgeva d’estate per racimolare qualche soldo in più.
“Mi fa piacere rimanere un po’ di tempo in più con Ruby, dato che non potremmo più vederci tanto spesso quindi sta tranquilla e goditi il pomeriggio a Storybrooke. Sei nuova di qui e magari potresti fare un bel giro turistico.” Le propose allegramente, battendo le mani entusiasta.
“Credo che tornerò in camera mia a stendermi allora” aveva realmente mal di testa, forse l’aria fresca al porto non le aveva fatto bene.
“Si, forse è meglio. Farai il giro un’altra volta.” Ripropose la ragazza, poi sia lei che Ruby furono richiamate da una nuova ondata di clienti ed Emma tornò nella sua stanza.
 
“Mi mancherai, Swan” le diede un buffetto sulla testa, prima di tirarla in un abbraccio stretto e un po’ goffo.
“Anche tu” lo rassicurò la ragazza – più di quanto immagini aggiunse mentalmente.
“Allora resta.”
“Non posso, devo capire chi sono, chi voglio diventare, non possiamo vivere come due alberi intrecciati cresciuti insieme nelle avversità. Non lo capisci? Dobbiamo riuscire a stare da soli prima di poter stare insieme.” Gli accarezzò il viso, col pollice stuzzicò la sua barbetta sfatta e poi gli lasciò un bacio all’angolo della bocca.
“Non è tanto male stare intrecciato a te, Swan.” La prese in giro, afferrandole la vita con le mani ed alzandola un po’.
“Smettila idiota, non siamo più ragazzini.” Lo ammonì lei, e lui mise la tipica espressione da cucciolo bastonato.
“Resta” ripeté piano, spazzolò il suo naso su quello di lei e ne baciò la punta. Emma teneva gli occhi chiusi, quasi a voler assaporare tutto di quel momento.
“Ci facciamo sempre del male.”
Gli occhi di lui si strinsero piano sotto la consapevolezza di quelle parole, forse era vero che si erano fatti del male ma questo non era paragonabile al bene perché quando stava con lei, quando la guardava o l’ascoltava sentiva il suo cuore vibrare, liberarsi nell’aria ed andare sempre più in alto e tutto intorno non c’era più nulla, se non lei.
Lei lesse ciò che stava provando, alzò il mento e tutto quello che avrebbe voluto dirgli a parole, tutto l’amore che avrebbe voluto trasmettergli lo riversò in quel bacio.
“Rimani con gli occhi chiusi” gli intimò poi quando si staccò dalle sue labbra, e lui l’accontentò, lo faceva sempre.
Passarono solo alcuni secondi prima che li riaprisse e di lei non vi era più traccia.
E lui era solo.
 
Emma lo vide da lontano, nascosta dietro ad una colonna, e non correre da lui fu una delle cose più difficili che avesse mai fatto in vita sua.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Never gonna be alone

Capitolo 3

Era piacevole stare semplicemente lì senza far nulla.
Sentire la consistenza dell’erba sotto al proprio corpo ed i raggi del sole posarsi sulla sua pelle. Un momento di quiete, non ne aveva avuti molti nella sua vita sempre impegnata a fare qualcosa per andare avanti senza accorgersi che il tempo passa inesorabilmente.
Aveva trovato quella piccola radura quasi per caso durante una delle sue passeggiate. Non aveva avuto molto possibilità di fare escursioni da piccola, per lo più stava chiusa in quella piccola struttura in ferro o nel piccolo spiazzale adiacente che era tutto fuorché un parco. Con l’età non vi aveva più prestato attenzione e di conseguenza importanza, si era lasciata prendere dalla frenetica vita cittadina ed aveva dimenticato quanto desiderasse un’avventura nei boschi o semplicemente mangiare seduta su una piccola tovaglia a scacchi e con un cesto di vimini lì accanto.
Continuava a rigirarsi tra le mani un piccolo filo d’erba, mentre la natura attorno a lei si svegliava. Tutto brulicava di vita, il cinguettio degli uccelli, il frusciare timido delle foglie sugli alberi ed altri suoni che non riusciva ad identificare e che rendevano quel posto quasi incantato.
Ci fu un altro suono che la distolse dai suoi pensieri, ed era un suono facilmente identificabile visto che non aveva nulla a che vedere con la natura.

Time, is going by, so much faster than I,
And I'm starting to regret not spending all of it with you.

 
Il suo cuore cominciò a battere freneticamente mentre assumeva una posizione scomposta per cercare quell’aggeggio dentro la borsa. Non aveva nemmeno bisogno di leggere il nome sullo schermo, quella suoneria già svelava tutto ciò che voleva sapere, era stato lui ad impostargliela per ricordarle che non sarebbe mai stata sola.
 
Now I'm, wondering why, I've kept this bottled inside,
So I'm starting to regret not telling all of this to you.
 
Rigirò il cellulare tra le mani mentre osservava la foto lampeggiare sullo schermo. Ricordava l’esatto momento in cui l’avevano scattata, carnevale di qualche anno prima. Non si erano mai travestiti ma quell’anno avevano deciso di farlo, di abbandonare i propri panni e rivestire quelli di qualcun altro per una sera. Doveva essere bello dimenticare i propri problemi per un attimo e semplicemente vivere come qualcun altro. Lui indossava un panciotto scuro con dei ricami in oro ed un lungo cappotto, ma per caratterizzare il suo look da pirata non poteva non servirsi di un vecchio uncino in metallo che Emma aveva trovato per lui nel piccolo rigattiere in cui lavorava in quel periodo. In quella foto, con quell’uncino e con la sua mano formava un asimmetrico cuore destinato a lei. Non era mai riuscita a toglierla, le ricordava quella serata spensierata e buffa.
Trascinò il dito sulla cornetta verde e si decise a rispondere alla chiamata, indugiò un attimo prima di portare l’apparecchio all’orecchio e quando lo fece la prima cosa che udì fu un piccolo sospiro seguito dal suo nome.
“Ciao Killian” prese nuovamente un piccolo filo d’erba e cominciò a torturarlo con le dita, stavolta, staccandone piccole parti e lasciando che si ricongiungessero al prato.
“Swan, come stai?” Il suono caldo della sua voce riuscì a rilassarla, il sole cominciava a darle fastidio quindi si alzò lentamente, cercando di non far cadere il telefono che aveva adagiato tra il collo e l’orecchio piegando la testa, si pulì la terra che le era rimasta attaccata al retro dei pantaloni ed andò ad appoggiarsi all’ombra di una grande quercia.
L’uomo, dall’altro capo del telefono, aspettava pazientemente. La sua mano ricadeva piano sulla coperta in lino blu che rivestiva il suo letto a due piazze, guardandosi intorno e interrogandosi sulla sua inutilità dal momento che non aveva qualcuno, lei, con cui condividerlo.
“Tutto bene..” Mormorò piano, non aggiungendo altro, cosa che non gli sfuggì. Aveva composto il suo numero un po’ come un impulso meccanico, qualcosa di simile ad un’abitudine che ormai non aveva nemmeno più visto che era passato quasi un mese dall’ultima volta che si erano sentiti.
Lei lo aveva chiamato solo per avvisarlo del suo arrivo, solo per non farlo preoccupare si era rassicurata mentalmente. Nei giorni a seguire aveva trovato altre scuse per chiamarlo, l’amore riscoperto per il formaggio grigliato, una piccola barchetta a vela che aveva visto al porto, la radura che aveva trovato, tutte cose che voleva condividere con lui. A tutte quelle scuse non erano seguite chiamate, non aveva avuto la forza per paura che forse avrebbe preferito non sentirla, un taglio netto no? Si dice così.
Quindi aveva sempre desistito alla fine, anche se aveva osservato il suo nome sullo schermo un centinaio di volte.
“Sei imbarazzata?” Se c’era una cosa che aveva sempre adorato in lui era il suo essere diretto. Killian era spontaneo, spesso non si preoccupava di dire cose che altri avrebbero evitato ma sapeva usare le parole, era molto bravo in questo al contrario suo.
Sorrise e scosse brevemente la testa in segno di diniego come se lui avesse potuto vederla, dimenticando per un secondo che non fosse così.
“Non devi esserlo, sai, non è come se non potessimo più sentirci, giusto?” Aveva dimenticato di non avergli realmente risposto.
“Non lo sono. Pensavo che forse non avresti avuto molta voglia di sentirmi.” Chiarì poco dopo, per lei pronunciare determinate parole ad alta voce era quasi uno sforzo immane. Cosa poteva dirgli? Che non era giusto che lei lo tenesse ancorato a sé anche solo chiamandolo, che aveva il diritto di andare avanti se ne avesse avuto l’occasione?
“Che sciocchezza” constatò lui, era leggibile anche qualche forma di rabbia nella sua voce come se lo infastidisse terribilmente che lei avesse potuto pensare una cosa del genere.
Ancora silenzio, un silenzio imbarazzante sul serio stavolta, non come quelli che erano abituati a condividere solitamente. Il loro rapporto, seppur ricco di tante parole, era stato sempre imperniato dalla presenza di molti silenzi, quei silenzi giusti in cui non vi è bisogno di dire nulla, quelli che significano semplicemente esserci e condividere qualcosa senza bisogno di parole.
Invece quel silenzio sapeva di “non so che discorso toccare per non farti soffrire, non so che parole usare per tenere alla larga ciò che ti fa male”. E sebbene Killian fosse più bravo di lei con le parole, questa volta nemmeno lui sapeva da dove cominciare, così decise di chiedere la cosa più banale che si può chiedere ad una persona che si è appena trasferita in una nuova città.
“Come ti stai trovando?” A quella domanda all’apparenza semplice Emma non seppe subito dare risposta. Non era realmente semplice dal momento che rispondendo “bene” lui avrebbe potuto intendere che non nutrisse una certa tristezza dovuta alla sua mancanza, mentre rispondendo “male” avrebbe potuto soltanto sollecitarla a tornare e lei, forse, avrebbe ceduto quella volta.
“Storybrooke è davvero carina” tre ore a pensare e quella era la cosa più sensata che era riuscita a dire. Grandi progressi Emma.
“Non senti la mia mancanza?” Era persino dolce il modo in cui le aveva posto quella domanda ed Emma inaspettatamente rise, non per prenderlo in giro quanto per l’incredulità che potesse credere il contrario. “Ti faccio ridere, eh?” Riusciva quasi a vedere il finto broncio che aveva messo su, poi lo immaginò mentre si grattava l’orecchio, oddio persino quello le mancava.
“Uhm.. Un pochino” disse infine rispondendo alla seconda domanda, mentre per la prima le ginocchia si piegarono automaticamente mentre con il braccio le stringeva al petto quasi per chiudere una voragine che minacciava di aprirsi.
“Solo?”
“Da morire.” Era chiaro ad entrambi che quella fosse la risposta alla prima domanda.
 
Avevano trascorso al telefono una buona mezz’ora durante la quale aveva toccato argomenti decisamente più leggeri. Avevano parlato del lavoro, del cibo, perfino del tempo.
 
“Mi chiamerai?” Sussurrò lui ad un certo punto, quasi volesse una rassicurazione, quella di non dover aspettare altri ventisei fottutissimi giorni per risentirla.
“E tu? Tu mi chiamerai?” Killian era a conoscenza di quel suo vizio, vizio che la portava a rispondere alle domande con altre domande, quindi la sua “risposta” non lo sorprese più del dovuto.
“Mi sembra chiaro che non possa essere altrimenti.”
Le sue labbra si piegarono in un sorriso mentre ascoltava quella risposta, lui sapeva sempre come rassicurarla, come placare i suoi timori, ma allora perché era così difficile stare insieme?
Loro si appartenevano, sarebbe dovuto essere semplice. Nella sua mente tornando a qualche anno fa, lei sarebbe stata egoista, gli avrebbe chiesto di rimanere con lei e di non seguire la sua passione, lui non sarebbe partito ed il tempo non sarebbe trascorso, lei non avrebbe perso il loro bambino in quell’incidente. Un bambino che non sapeva nemmeno di portare in grembo, lui non sarebbe partito altrimenti, si sarebbe assunto le sue responsabilità e li avrebbe amati. Sarebbero stati l’unica famiglia di cui avevano bisogno.
Ed adesso faceva troppo male, nonostante il tempo, stare con lui portando quel segreto dentro.
Aveva perso il loro bambino. E lui nemmeno lo sapeva.
“Lo farò se lo vuoi.” Era troppo stanca, quei pensieri costituivano uno sforzo troppo grande, troppo dolore, troppo senso di colpa nei suoi confronti. Riuscì soltanto a dirgli questo, lo avrebbe chiamato se lui avesse voluto ma adesso aveva bisogno di mettere fine a quella conversazione.
“E’ ovvio che ti voglio, Emma.” Lui aveva voluto dirle altro con quelle parole, la voleva, voleva più di una telefonata ma lei non era ancora pronta a dargli ciò di cui aveva bisogno.
 
Avevano riattaccato poco dopo, lei aveva scattato una foto alla radura e gliel’aveva inviata mentre lui rispose con una tazza di cioccolata con panna, e sicuramente cannella anche se non poteva vederla.
Quella foto le scaldò il cuore, le fece dimenticare i pensieri precedenti per qualche minuto. Era senza dubbio per tenerla più vicina e, magari, anche lui in quel momento ricordava la prima volta che l’avevano bevuta insieme, ripercorrendo il viale dei ricordi come aveva fatto lei qualche settimana prima.
 
***
 
Sentiva qualcosa colarle lungo il viso ed un dolore lancinante ma non riusciva a capire da dove venisse, sembrava coinvolgere tutto il suo corpo. Cercò di aprire gli occhi per capire cosa fosse successo ma non vi riuscì immediatamente, poi sentì delle voci spaventate intorno a lei, persone blateravano su chissà cosa ma lei non riusciva a capire, la sua testa era così pesante.
Qualcuno cercava di rassicurarla ma non sapeva chi fosse, sentiva una mano che le spostava i capelli dal viso e perlustrava la sua testa, ma perché diavolo non si decidevano a tirarla fuori da lì?
Aveva troppo sonno.
C’era puzza di disinfettante, un odore così forte da provocarle la nausea. Tossì e sputò qualcosa, un color cremisi così intenso che altro non poteva essere se non sangue. La sua testa continuava a pulsare, sentiva quasi di impazzire.
“Non ti muovere” le intimò una voce dolce, una donna con dei capelli a fungo si abbasso su di lei e le strinse piano la mano, poi chiamò qualcuno dietro di lei ed una flotta di dottori cominciano a girarle intorno.
Si sentì spostare e poi fu accecata da una luce, pensò di essere morta ma sentiva ancora troppo male. Possibile che la morte fosse così dolorosa?
Senti qualcosa poggiarsi sul suo naso e sulle sue labbra e poi il vuoto.
“Come sta?” Una voce raggiunse i suoi sensi ancora intorpiditi, aveva soltanto dei brevi flash delle ore precedenti. Il camion spuntare all’improvviso e colpire il suo maggiolino giallo, doveva essersi ridotto proprio male pensò tristemente, ne avrebbe comprato uno uguale un giorno si ripromise.
Non riusciva a riconoscere la voce, sperava fosse di Killian ma nonostante non fosse completamente lucida sapeva che non poteva essere così. Lui non c’era.
“Si dovrebbe risvegliare a breve, non possiamo dirle altro, lei non è un familiare.” Aprì lentamente gli occhi, era più difficile di quanto immaginasse. Come poteva un movimento quasi meccanico risultare così pesante, provò nuovamente fino a quando riuscì a mettere a fuoco una piccola stanza bianca e asettica. Qualcosa le pungeva il braccio, si voltò piano e vide delle flebo con un enorme ago conficcato nella sua pelle.
Sentiva ancora di avere qualcosa sulla faccia, alzò il braccio libero e provò a togliere la mascherina quando qualcuno la raggiunse.
“Vedo che ti sei svegliata, cara.” Una signora sulla cinquantina le si avvicinò bonaria e le tolse la mascherina, “questa possiamo toglierla visto che riesci a respirare da sola”.
Le sollevò piano la testa e la ragazza gemette di dolore, ma c’era anche un altro dolore che coinvolgeva il suo addome, il suo viso si contrasse e lei cercò di respirare lentamente.
“Ti aumento un po’ le dosi della morfina così non sentirai altro dolore” la donna che suppose fosse un’infermiera si avvicinò alla flebo e regolò le dosi della morfina mentre spiegava il tutto ad Emma per evitare che si agitasse, anche se quella non riusciva davvero a capire nulla, quasi nemmeno la sentiva. Ciò che comprese fu quando le venne detto che il dottore sarebbe arrivato in breve per assicurarsi delle sue condizioni.  
 
***
 
Emma si alzò di colpo ansimante. In un primo momento non comprese dove si trovasse, poi si ricordò del matrimonio mancato, di Killian, del suo viaggio. Storybrooke. Era nella sua stanza a Storybrooke e tutto quello che aveva sognato non stava accadendo adesso, era successo due anni prima.
<< E’ passato >> si convinse mentalmente, lo ripeté ad alta voce per tranquillizzarsi mentre portava una mano al petto e cercava di regolare il respiro per provare a rallentare i battiti cardiaci.
Aveva i capelli attaccati alla fronte, ed aveva la pelle imperlata di sudore. Scostò il lenzuolo leggero e con i piedi lo spinse affinché si raggomitolasse e le permettesse di alzarsi. Cercò a tentoni la luce dell’abatjour e l’accese.
Decise di fare una doccia, nonostante fosse notte, aveva bisogno di lavare via i brutti pensieri, il sangue e la puzza di disinfettante che aveva rivissuto in quell’incubo. Si tolse il pigiama ed entrò nella doccia sperando che lo scorrere dell’acqua potesse aiutarla a rilassarsi e magari conciliarle il sonno. Mise un po’ di bagnoschiuma sulla spugna e sfrego forte le braccia e le gambe come a voler lavar via residui di sangue che ormai non vi erano più da tempo. Non faceva incubi da più di un anno ormai, ma quella telefonata pomeridiana aveva risvegliato in lei vecchi ricordi, in realtà, nonostante gli incubi si fossero diradati nel tempo, ogni volta che sfiorava Killian o lo fissava negli occhi non poteva fare a meno di chiedersi se il loro bambino avrebbe avuto gli occhi azzurri e brillanti come i suoi, oppure quella piccola fossetta che gli compariva sulla guancia destra ad ogni sorriso riservato a lei. Forse per questo le faceva così male stare con lui, vedeva in lui ciò che aveva inesorabilmente perso, ed era ovvio che non fosse colpa sua però la faceva soffrire comunque.
Un piccolo Killian, un bimbo vivace con gli occhietti blu ed i riccioli neri, la mani e le guanciotte paffutelle. In realtà, era troppo presto anche solo per conoscerne il sesso quindi avrebbe potuto essere anche una bambina, ma lei la immaginava sempre uguale a lui.
Non era mai riuscita a dirglielo, certi giorni ci era andata vicino quando faceva troppo male anche solo guardarlo, ma era già passato un anno dall’accaduto prima che lui tornasse e per un periodo, anche grazie a Neal, sembrava stare meglio.
Quando era tornato, l’aveva trovata con un altro uomo, gli si era spezzato il cuore ma poi aveva preferito avere una parte di lei anziché niente, non sapendo che aveva ancora tutto di lei. Poi avevano ricominciato ad amarsi, non avevano mai smesso.
Sciacquò via tutti i residui di bagnoschiuma, non sapeva esattamente quanto tempo fosse trascorso mentre si perdeva in quei pensieri ma aveva le mani abbastanza raggrinzite quindi suppose abbastanza.
Frizionò bene la pelle ed indossò un pigiama pulito prima di tornare a letto. Aveva paura che riaddormentandosi avrebbe continuato quel brutto sogno da dove si era interrotto, questo comprendeva la parte peggiore e la notizia più dolorosa che non voleva rivivere ancora una volta, troppe volte per troppe notti e giorni l’aveva tormentata. Qualsiasi cosa facesse era lì come un tarlo che la torturava da dentro scavando un buco profondo nella sua anima.
Cercava di chiudere la sua mente, si impegnava a ripetere filastrocche o canzoni, persino a fare i conti piuttosto che lasciarla libera di vagare. Forse aveva rifiutato di abbandonarsi a quel dolore, forse se lo avesse coinvolto, se avesse rivelato tutto a Killian avrebbero potuto superarlo insieme però adesso era passato troppo tempo, perché avrebbe dovuto infliggergli altra sofferenza?
Bastava la sua, se lo avesse tenuto lontano non avrebbe mai avuto possibilità di dirglielo e lui, un giorno, l’avrebbe dimenticata e sarebbe andato avanti.
“Mi chiamerai?” La sua promessa continuava a martellarle la testa, gli aveva detto che lo avrebbe fatto ma a cosa avrebbe portato? Solo altra sofferenza per lui, ed il doppio della sofferenza per se stessa unita al senso di colpa.
Spense la luce e si convinse a stendersi nuovamente, si mise su un fianco, poi a pancia in giù, poi sull’altro fianco ma non riusciva a trovare una posizione comoda.
Non poteva controllare il suo inconscio, poteva però controllare la parte conscia e se magari si fosse permessa di rivivere quei terribili momenti, forse sarebbe riuscita a controllarsi meglio e non si sarebbe svegliata nuovamente senza respiro e col cuore scalpitante.
 
Il dottore era arrivato qualche minuto dopo, le aveva controllato il polso e poi le aveva poggiato lo stetoscopio al petto e le aveva chiesto di fare respiri profondi, e lei ci aveva provato nonostante avesse poco fiato.
I ricordi di tutto quello che c’era intorno erano un po’ sbiaditi, non riusciva a ricordare cosa disse esattamente o di chi fossero le voci che sentiva, sicuramente c’era la televisione accesa visto che era un mormorio continuo.
Ricordava però il preciso istante in cui le aveva dato la notizia della sua gravidanza e ricordò le emozioni provate. Prima paura perché non era pronta ad un bambino, poi la voglia di avere Killian vicino, poi la gioia e l’amore verso qualcuno che non c’era ancora, poi nuovamente la paura perché non sapeva se stesse bene o meno.
Si era portata le mani al ventre, nonostante riuscisse a muoversi a mala pena, lo aveva accarezzato piano e si era stretta con le braccia quasi a volersi proteggere, voleva proteggerlo dopo tutto ciò che gli aveva fatto passare in quelle ore.
Poi, aveva visto lo sguardo del dottore farsi triste in un lampo, prima che la perfetta maschera di compostezza coprisse tutte le sue emozioni, ricordò di essersi spaventata molto.
“Io non lo sapevo” doveva aver sussurrato qualcosa del genere, la sua voce era sicuramente uscita in maniera discontinua ma era comunque riuscita ad essere comprensibile, “sta bene, vero?”
“Mi dispiace” aveva mormorato quello. Solo due parole che avevano mandato in pezzi tutto il suo mondo. La mano del dottore si era adagiata piano su sulla sua ancora tremante e poi era entrata  l’infermiera che l’aveva aiutata prima, le si era avvicinata, le aveva accarezzato lentamente i capelli stando attenta a non farle male,  ma lei inghiottiva dei fiotti d’aria e non riusciva più a respirare mentre gli occhi le si appannavano.
“Su tesoro, fai dei respiri profondi” aveva cercato di tranquillizzarla la donna, passandole ancora la mano sulle braccia, solo dopo quella crisi lei si era lasciata andare completamente ad un pianto disperato.
 
Non aveva mai pensato ad avere figli, anzi l’idea l’aveva sempre spaventata perché lei era cresciuta in un orfanotrofio e non sapeva come fare la mamma, come affrontare una gravidanza, come consolare un bambino e comprendere i suoi più profondi bisogni, nessuno aveva mai compreso i suoi da piccola.
Dal momento, però, che aveva saputo di lui aveva sentito di amarlo, in un istante si era vista con un frugoletto tra le mani e Killian dietro ad accarezzare entrambi, era stato un amore forte ed incontrollabile, un calore nato dal cuore e propagato a tutto il resto del corpo ma già lui non c’era più, il suo bambino non c’era più prima che lei avesse saputo della sua esistenza. Non c’era e lei non aveva nessuno da amare.
 
Le lacrime rischiavano quasi di soffocarla, avrebbe voluto gridare ma era notte fonda ed avrebbe svegliato tutti, per di più, l’avrebbero presa per una folle, probabilmente licenziata e cacciata e non avrebbe avuto dove andare, sarebbe finita sotto ad un ponte – ammesso che a Storybrooke ci fossero, non aveva ancora verificato – senza soldi e senza nulla. Forse l’aveva fatta troppo drastica, ma comunque era meglio evitare di urlare.
Nascose il viso nel cuscino cercando di soffocare i singhiozzi, fino a quando si addormentò stremata e con gli occhi appiccicosi di lacrime.
La mattina successiva fu un totale disastro, non riusciva a combinare nulla di buono. Pensieri della notte precedente affollavano la sua mente, la rendevano stanca ed instabile, irritata persino.
Cercò in ogni modo di superare quella giornata, ogni dieci minuti guardava l’orologio alla parete sperando che il tempo scorresse in maniera più veloce, provò a concentrarsi sul lavoro, ordinazioni, pulire i tavoli, accogliere i clienti, servire i piatti. Doveva essere attenta e meticolosa al lavoro, si era ripromessa che non avrebbe permesso ai cattivi pensieri di intralciare il suo lavoro ma quel giorno fu particolarmente difficile.
Alla fine del suo turno era stremata, ovviamente non aveva telefonato a Killian ed aveva trovato un suo messaggio in cui le chiedeva come andasse, non aveva risposto. Aveva persino spento il telefono sapendo che se lui avesse chiamato non sarebbe riuscita ad ignorarlo e non riusciva a parlare con lui in quel momento, non riusciva a parlare con nessuno veramente.
Ruby le chiese se le andasse una serata tra donne, lei e Mary Margaret dovevano andare in un nuovo locale il “The Rabbit Hole” che aveva aperto da poco. Un paio di cocktail, qualche Margarita ed una buona dose di Tequila forse l’avrebbero aiutata ma non le andava di uscire. Declinò l’invito, ma non si poteva semplicemente rifiutare un invito di Ruby, non funzionava così. Le ragazze irruppero nella sua stanza, le intimarono di vestirsi e la trascinarono fuori.
Il locale era piccolo ed affollato, la musica era decisamente troppo alta per i suoi gusti e l’odore d’alcool era quasi inebriante, unica nota positiva.
C’erano diversi individui dall’aria discutibile che non facevano altro che bere e giocare a biliardo, mentre altri semplicemente ingurgitavano noccioline in quantità con in mano un bicchiere di Scotch.
Sembravano tutti rilassati o forse cercavano solo di affogare i pensieri nel liquido ambrato e, forse, avrebbe fatto meglio a fare lo stesso.
Ci diede giù pesante: Tequila, Vodka, persino il Rhum. Ed era stata una cattiva scelta, quel liquido le ricordava Killian, dannazione, sapeva essere il suo preferito.
“Emma, forse è il caso che andiamo. Hai bevuto parecchio.” Ruby rise, anche lei un po’ brilla, mentre Mary Margaret rimbeccava Emma. Lei era la sobria del gruppo e non solo perché doveva guidare.
Trascinò le due amiche fuori, l’aria fresca fu un utile per entrambe. Emma si sentì subito più lucida, e non era un bene dal momento che avrebbe volto farsi dodici ore di sonno senza pensieri e senza incubi.
“Puoi portarci a casa?” Biascicò, poi rise rumorosamente. Casa si fa per dire, avrebbe dovuto dire puoi portarmi nella mia piccola stanza alla locanda, completamente sola e senza più nulla? Ci pensò su ridendo, sarebbe stato meglio non riformulare. Decisamente.
“Dai, Emma, è appena mezzanotte.” Ruby aveva ancora voglia di divertirsi, mentre l’altra concordava esattamente con Emma.
“Ho sonno, vi ho accontentate ma adesso voglio andare” si avviò verso l’auto, “per favore” supplicò voltandosi nuovamente verso le amiche.
Quella notte riuscì a dormire, il mattino seguente non seppe se fu più facile o più doloroso.
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Never gonna be alone

Capitolo 4

Quattro chiamate perse, due messaggi non letti, tre messaggi lasciati in segreteria.
Non poteva dire di essere sorpresa. Si aspettava che lui si facesse vivo ed era giusto, gli aveva promesso di chiamarlo e poi non lo aveva fatto.
 
Da Killian – ore 11:38
Sono passati tre giorni, Emma. Mi avresti chiamato, eh? Mi sto davvero chiedendo quanto valgano le tue parole..
 
Da Killian – ore 16:46
Ti avrò lasciato tre messaggi in segreteria ma non mi hai mai richiamato, non sono certo nemmeno che tu li abbia ascoltati. Non capisco perché tu mi stia facendo questo. Mi sembrava che la mia telefonata ti avesse fatto piacere, mi ero illuso che avremmo ripreso a sentirci, che sarebbe stato come prima, che fossimo pronti. Beh, magari non per te, forse sbagliavo. Non puoi semplicemente fare finta che io non esista, mi devi una spiegazione.
 
Non gli aveva mai risposto in quei giorni, non aveva nemmeno ascoltato i messaggi in segreteria e lui aveva ragione ad essere arrabbiato.  Si convinceva del fatto che era per lui che faceva tutto quello, lo teneva lontano per non farlo soffrire ma in realtà era anche per tenere a bada il suo senso di colpa. L’aveva chiuso in una piccola scatola di plastica e l’aveva messo da parte, questa qualche volta si riapriva ed a quel punto lei faceva nuovamente di tutto per rimettere il dolore dentro ed andare avanti.
 
Per quanto si ostinasse, in verità, aveva bisogno di lui. Più cercava di soffocare quel bisogno e più quello emergeva prepotentemente in ogni momento, poteva rivedere dei piccoli pezzi di lui in ogni azione quotidiana. Il rimprovero quando non mangiava abbastanza, le sue braccia forti che la stringevano durante la notte, la sua mano a scostarle i capelli dalla fronte ed i suoi occhi a guardarla. L’aveva sempre guardata come a voler vegliare su di lei, era sempre stato lì per proteggerla nonostante lei non avesse bisogno di protezione. Era una donna forte, e prima ancora, era stata una bambina sveglia e caparbia. Lei poteva badare a se stessa, ma era bello sapere di avere qualcuno a guardarle le spalle.
Ripiegò un paio di jeans e lo depositò dentro la cesta, aveva appena finito di fare il bucato e stranamente senza fare pasticci dato il momento di riflessione. Prese il telefono che aveva poggiato sulla lavatrice ed eliminò velocemente i messaggi in segreteria così non avrebbe avuto più la tentazione di ascoltarli, di richiamarlo, di riprendere a parlare regolarmente, di tornare da lui.
Salì rapidamente le scale, cercando di non urtare con la grande cesta il piccolo mobiletto posto nel corridoio. Tenne tutto tra il ginocchio ed il braccio sbilanciandosi un po’ in avanti per prendere le chiavi della camere posti nella tasca posteriore dei jeans. Aprì ed entrò dentro, voltandosi per richiudere la porta alle sue spalle e poi, un tonfo, il cestino era a terra ed i vestiti sparsi sul pavimento.
“Killian..” L’uomo stava comodamente sdraiato nel suo letto, le mani adagiate dietro la testa ed un sorriso amaro dipinto sul volto. Aveva delle occhiaie profonde che Emma notò subito e se ne dispiacque, probabilmente quelle dipendevano da lei.
“Che ci fai qui?” Si abbassò per raccogliere i vestiti, una maglia, un paio di pantaloncini, un’altra maglia e così via, tutto metodicamente ripiegato. Gli occhi bassi concentrati sul muoversi delle proprie mani e le orecchie tese cercando di carpire una risposta che non accenna a venire.
Percepì un piccolo movimento, lo scricchiolare del letto e dopo pochi secondi lui era lì, piegato sulle ginocchia e le mani protese per aiutarla a sistemare i vestiti.
“Non hai chiamato..” Non era una domanda, non le stava semplicemente chiedendo il motivo. Stava ponendo dinanzi a lei quella verità usandola come risposta alla domanda precedentemente posta. Cosa pensava? Che bastasse non rispondere più ai suoi messaggi e non richiamarlo? Era ovvio che non fosse così, lui era pur sempre lui e non la lasciava. Lei non aveva voluto parlargli e lui una spiegazione era venuta a prendersela.
“Sono stata impegnata” bofonchiò, si alzò piano stirando le gambe che erano state piegate per troppo tempo, poi si diresse verso i cassetti mettendo una nuova distanza tra loro.
“Anche per rispondere ai messaggi?” Quanto poteva volerci a scrivere un messaggio. Qualche secondo? Forse un minuto al massimo. Era ovvio che non credeva a quella stupida scusa che gli stava propinando.
“Si” continuò.
“Ho fatto male a venire?” Voleva che lei ammettesse qualcosa, una spiegazione dopotutto pensava gli fosse dovuta. Sapeva quanto lei lo amasse, non era presunzione o vanità, lo vedeva nei suoi occhi. Prima che il cesto le cadesse di mano per la sorpresa, una scintilla aveva fatto brillare i suoi occhi verdi. Non comprendeva perché si ostinasse a volerlo tenere lontano, nonostante lui si fosse imposto e le avesse chiesto di non farlo, l’aveva rassicurata dicendole che qualunque fosse il reale motivo potevano superarlo ma non c’era stato verso e lui voleva sapere perché.
“Si.”
“Lo sai anche tu che non è vero.” La sua voce vibrò nell’aria, bassa e più calma di quanto lei credesse possibile. Un lieve cambiamento d’aria le scombinò i capelli, solo allora si accorse di aver lasciato la finestra aperta o, forse, l’aveva aperta lui per fumare una sigaretta, usanza che aveva quando era particolarmente nervoso o agitato. Cercava di mantenere la calma però, almeno apparentemente.
“Come hai fatto ad entrare?” Si avvicinò alla finestra per chiuderla.
“Non essere sciocca, pensi sia entrato dalla finestra?!” Ridacchiò passandosi una mano sulla fronte, “Ruby” concluse poi. Giusto, doveva immaginarlo. Era anche una sua amica dopotutto.
“Perché sei qui, Killian?” Le sembrava di essere stata chiara l’ultima volta con tutta quella storia delle radici intrecciate, il voler capire da sola chi era, una parziale verità.
“Mi sembra ovvio, Emma. Sono qui per te.” Ed allora lei si voltò e fissò il suo sguardo su di lui. Aveva i capelli scombinati, i vestiti sgualciti ed una barbetta incolta, ma era comunque bellissimo. Gli occhi blu erano sempre accesi di desiderio ogni volta che la guardava, ma c’era qualcosa di più che non seppe classificare, forse preoccupazione.
Non lo vedeva da un mese e l’unica cosa che avrebbe voluto era correre da lui, stringerlo, affondare le mani nei suoi capelli ed ispirare il suo odore, inebriarsi di lui, lui che non le aveva fatto chiudere occhio per diverse notti tormentandola col pensiero che stesse soffrendo forse più di lei, lui che era il suo porto sicuro nella tempesta e la tempesta stessa che minacciava di scombussolarla ancora di più. Lui che, semplicemente per quanto di semplice non ci fosse nulla, era l’uomo che amava.
“Tu sei qui per me?” Ripeté piano, quasi a se stessa. Sveglia, Emma. Lui è sempre stato lì per te, anche quando non era presente fisicamente.
“Dovresti saperlo” ed a quel punto fece qualcosa che sorprese entrambi, i suoi piedi vagarono verso la porta e quando lei rialzò lo sguardo quella era già chiusa dietro di lui.
Scivolò in basso fino a quando le sue ginocchia toccarono terra, sembrava che fosse diventata brava non solo a ferirlo ma anche a metterlo in dubbio.
 
11 anni prima

“Devi solo fidarti di me” le sussurrò dolcemente, lasciandole una scia di baci umidi sul collo. Gli occhi della ragazza si chiusero assaporando quella sensazione di calore che si formava al centro del suo corpo e si diramava ovunque imporporandole persino le guance.
“Fidarmi di te? Non ti ricordi che tutte le persone di cui mi sono fidata mi hanno tradita partendo dai miei genitori. Perché dovrei ricominciare adesso?” La stanza era poco illuminata, solo una candela permetteva ai due ragazzi di guardarsi negli occhi ed Emma era silenziosamente grata per quello, non avrebbe potuto sopportare che la luce rivelasse le sue paure, al buio sembrava più facile.
“Io non lo farei mai, sei la mia famiglia, noi siamo uguali.” Vide il bambino orfano che varcava le soglie dell’istituto in quel momento, i vestiti sgualciti e lo sguardo rammaricato. Poi lui le posò un bacio casto sulla fronte mentre con le mani faceva scivolare piano sulle braccia le bretelle della sua canotta azzurra.
“Killian..” sussurrò piano sulle sue labbra, spostando le mani dietro la nuca del ragazzo ed immergendo i polpastrelli nei suoi capelli neri.
“Si?” Si staccò subito cercando qualche segno di tentennamento nello sguardo della sua fidanzata, la vide sicura e forte. Emma era due persone, la ragazza orfana e la donna forte, la malinconia e la tenacia si scontravano nel suo sguardo ogni volta che la guarda ma questa volta entrambi i sentimenti erano stati sostituiti da qualcosa che classificò come lussuria.
“Mi sono fidata di te dal primo giorno” confessò, tornando a baciarlo per non aggiungere altre parole a quello che si era già lasciata sfuggire. Lui voleva di più però.
“Non me lo hai mai detto. Perché?” Le sue mani scesero accarezzandole le braccia fino a ricongiungerle ed intrecciarle con quelle di lei. La tirò piano conducendola nel piccolo lettino al centro della stanza e sedendosi con lei.
“Sapevo che non mi avresti ferita ma avevo paura, paura di essere nuovamente fragile.”
“Tu sei la donna più forte che conosca” la rassicurò. Un tuono spezzò il silenzio che si era formato nella stanza, un temporale estivo era sicuramente in arrivo. Avrebbe squarciato il cielo per un paio d’ore, giusto il tempo di rendere tutto intorno un po’ più magico. Il suono della pioggia, Emma amava dormire col suono della pioggia ed ispirare forte l’odore di terra bagnata.
Sorrise e si avvicinò nuovamente a lui, i loro nasi si scontrarono dolcemente una, due volte prima che le loro labbra si ricongiungessero in un incastro perfetto. Una lacrima di commozione abbandonò gli occhi della ragazza rigandole la guancia e finendo dritta sui polpastrelli di Killian che la raccolse con devozione. Entrambe le mani poggiate sul suo volto. Aprì gli occhi e la guardò un attimo, i capelli le ricadevano davanti in onde scomposte, le labbra dischiuse ed il volto un po’ umido. Lo stava aspettando, come quando si desidera una cosa così tanto da rendere l’attesa più piacevole del momento che la segue. Rimase lì a fissarla per alcuni secondo, fino a quando il verde si spalancò di fronte a lui e lo catturò. Era così bella la sua Emma, fragile e forte al contempo.
“Ti amo” la vide sbarrare gli occhi per un attimo e poi sorridere, tutto si illuminò con quel sorriso ed il suo cuore perse un battito vedendo la felicità provocata da due semplici parole che provava dalla prima volta che l’aveva vista.
In quel momento pensò che nulla poteva essere più perfetto e che non avrebbe mai smesso di lottare per vedere quel sorriso illuminarle il volto.

 
 
Non poteva lasciarlo andare così, capiva la sua reazione e si rendeva conto di essere stata pessima nei suoi confronti. Lui aveva bisogno di una spiegazione, anzi meritava persino di conoscere la verità, mentre tutto quello che lei gli riusciva a dare era l’incertezza. Aveva preso un aereo per raggiungerla e non meritava di ritornare a casa senza aver avuto nemmeno una parola carina, un sorriso, una spiegazione, un abbraccio da parte sua.
Si alzò in maniera scomposta ed afferrò le chiavi della stanza prima di lanciarsi velocemente in una corsa giù dalle scale. Era rimasta seduta sul pavimento solo per alcuni minuti prima di riscuotersi, lui non poteva essere già tornato all’aeroporto. Doveva trovarlo.
Lo cercò ovunque, percorsa la strada che l’avrebbe portata all’aeroporto completamente a piedi e quando giunse a destinazione con un grande fiatone, chiese informazioni sul prossimo volo e scoprì che non c’era nessun volo per Phoenix fino al giorno dopo. Si guardò intorno ma di lui non vi era traccia. Assistette alla scena di un ricongiungimento familiare, i bambini correvano incontro al padre per poi tuffarsi tra le sue braccia e la moglie li guardava dolcemente a pochi metri di distanza prima che il marito la raggiungesse a grandi falcati e la baciasse proprio lì, con i figlioletti che lanciavano urletti intorno a loro. La trovò dolce.
Tornò indietro sconfitta, non riusciva a camminare fino alla locanda così prese uno dei taxi che si trovava fuori dalla struttura e gli diede indicazioni, poi poggiò la testa sul sedile ed altre lacrime silenziose scivolarono giù. Successivamente si concentrò su ciò che accadeva fuori dal finestrino, gli alberi, una donna a spasso con il cane, un gruppo di ragazzi che ridevano, le auto che le passavano accanto ed ogni volta che incontrava un volto maschile cercava qualcosa di lui. Uno aveva lo stesso naso, l’altro la stessa forma del viso, uno persino la stessa corporatura ma nessuno era lui.
Le scale che aveva percorso rapidamente in discesa, stavolta furono salite molto lentamente. Le spalle ricurve come se il peso del mondo gravasse su esse, poteva non gravarvi il peso di tutto il mondo ma sicuramente quello del suo si.
Poteva tentare il tutto per tutto e recarsi all’aeroporto il giorno successivo, magari aspettare che lui arrivasse. E dopo? Dopo che avrebbe fatto, gli avrebbe detto di restare, di andare, la verità. Non lo sapeva, ma sapeva che aveva bisogno di trovarlo.
Un’idea le balenò in testa mentre pensava ad una strategia per il giorno seguente, magari non l’aveva trovato all’aeroporto perché davvero non vi era mai andato.
Dato che non lo aveva visto arrivare con delle valigie, doveva aver pur trovato una sistemazione per la notte, a meno che non volesse dormire nelle panchine del parco cosa che sicuramente non era da lui.
Scese di nuovo giù per chiedere spiegazioni a Ruby, la ragazza le confermò che aveva effettivamente preso una camera da loro ma adesso non aveva la minima idea di dove fosse. Si guardò intorno nel locale, sperando di vederlo lì magari mangiare o bere qualcosa ma nulla. Aveva però una risposta in più, i suoi bagagli erano lì e stavolta poteva effettivamente essere lei ad aspettarlo in stanza. Sarebbe tornato.
Poi l’insicurezza la divorò nuovamente. Dopo che era andato via non sapeva se volesse vederla ancora, o se magari si fosse rifugiato nell’alcool tornando con qualcuna rimorchiata in qualche bar. La parte ragionevole di lei sapeva che non lo avrebbe fatto, mentre la parte irrazionale le diceva che lei era stata una stronza ed anche se l’avesse fatto non avrebbe potuto biasimarlo. Ciò su cui entrambe le parti concordavano era che nel caso quello non sarebbe stato uno spettacolo a cui voleva assistere.
Erano le 20:00, strano come il tempo fosse passato velocemente fino a quel momento ed adesso sembrava non voler trascorrere mai.
Fece di tutto per tenersi occupata, non aveva fame ma si fece una doccia, lavo con cura i capelli. Arrivò perfino a svuotare i cassetti ed a ripiegare tutti i vestiti, due volte. Di tanto in tanto si affacciava alla finestra per vedere cosa accadesse fuori, o si fiondava fuori dalla porta ad ogni minimo rumore senza risultati.
Passarono delle ore e di lui non vi era traccia. Emma era indecisa sull’andare a cercarlo nuovamente ma se non tornava evidentemente non voleva neppure essere trovato. Alla fine mise un paio di pantaloncini ed una canotta e si stese. Non aveva intenzione di dormire, sarebbe probabilmente rimasta lì tutta la sera ad ascoltare ogni movimento, le venne in mente quella volta del mese precedente in cui si era ubriacato per via del matrimonio ed avevano finito per passare la notte abbracciati. Sorrise mentalmente mentre fuori un tuono seguito da un lampo illuminò il cielo ed una pioggerella leggera ma costante cominciava a scendere. La preoccupazione cominciava a farsi strada in lei quando all’improvviso dei colpi piuttosto rumorosi scossero la porta. Si affrettò ad aprire, non voleva mica che si svegliassero tutte le persone del piano, in realtà voleva solo vederlo.
“Non mi hai chiamato?” Ripeté, qualche ciocca bagnata gli si era appiccicata sul viso.
“Ti ho cercato, sono stata preoccupata nelle ultime cinque ore, ti ho cercato.” Disse lei, accarezzandogli piano il viso. Il palmo si fermò sulla sua guancia e lui inclinò la testa per appoggiarsi completamente alla sua mano.
“Non intendevo oggi.” E lei capì.
Poi tutto accadde velocemente. Lui la spinse piano verso il muro mentre con il retro del piede dava un calcio alla porta che si chiuse con un tonfo. Lei si trovò piacevolmente schiacciata contro il muro, il corpo di lui premeva sul suo e poteva sentire tutta l’eccitazione dell’uomo. Spontaneamente allargò di più le gambe mentre lui passava le mani sul suo sedere afferrandolo e permettendole così di intrecciare i piedi dietro la sua vita. Le sue labbra si fiondarono fameliche sul suo collo, poi sulle spalle scoperte risalendo piano fino alla mandibola ed alle labbra. Lambiva ogni traccia di pelle e lei si sentiva finalmente a casa e completa, mentre lui la baciava e le accarezzava i capelli.
La pioggia cominciava a farsi più intensa e così anche la loro passione. “Anche la prima volta che abbiamo fatto l’amore pioveva” sussurrò lui ancora sulle sue labbra.
“Te ne ricordi?” Sorrise lei con aria sognante, mentre gli accarezzava i capelli e spazzolava il naso sul suo.
“Mi ricordo tutto di noi.” La distanza venne nuovamente azzerata mentre si staccava dal muro e la conduceva sul letto, tenendola stretta tra le sue braccia. L’adagiò piano, i suoi boccoli biondi si sparpagliarono sul letto mentre lo tirava ancora su di se, “troppi vestiti” mugugnò afferrando i lembi della sua camicia e tirandola con forza. I bottoni volarono intorno a loro, “spero non ci fossi affezionato.” Killian sorrise eccitato prima di togliersela e gettarla in un angolo. Poi le fece alzare le braccia per toglierle la canotta gettando via anche quella. Le sue dita percorsero leggere tutte le forme della ragazza, le accarezzarono i fianchi, girarono intorno all’ombelico e risalirono più su ponendosi a coppa sui suoi seni. Il respiro di Emma diventava più affannoso, lui la guardò con un sorriso ammiccante e poi si abbassò su di lei lasciando che la bocca prendesse il posto delle sue mani.
“Killian..” Ansimò piano. Gli afferrò la testa e la riportò accanto al suo viso e poi prese a baciarlo profondamente. Ribaltò la posizione e sganciò velocemente la cintura dell’uomo. Lui l’aiutò alzando il bacino nonostante lei fosse a cavalcioni su di lui, fece scivolare via i jeans rivelando tutto il suo desiderio.
Era una danza frenetica, lei rincorreva lui e così faceva lui, posizioni che si ribaltavano e passione che non veniva ancora pienamente soddisfatta. Entrambi volevano prolungare quel momento il più possibile, perché il presente era ciò che avevano ed il futuro era ignoto ad entrambi.
I pantaloncini di Emma raggiunsero ben presto il pavimento, “Dio Emma, è passato troppo tempo dall’ultima volta che sei stata mia” proruppe accigliato e continuava a guardarla come se lei fosse tutto, quello sguardo le faceva bene e male contemporaneamente lacerando piano ogni sicurezza che aveva faticato a costruire nell’ultimo mese.
“Lo sono sempre stata” ammise, il suo viso si addolcì e per un attimo strinse il suo capo al petto e lo cullò. Lui la lasciò fare mentre si godeva le sue carezze, poi queste tornarono a bruciare sulla sua pelle ed una nuova urgenze nacque dalle sue viscere.
Quando si ricongiunsero, quando ogni barriera venne dissolta ed i loro corpi si fusero insieme nuovamente fu così giusto che nessuno dei sue ebbe dubbi. In quel momento quella stanza era casa, loro erano casa. La pioggia continuava a battere sul vetro della finestra mentre loro dondolavano avanti ed indietro alla deriva.
Le mani si stringevano e le fronti si sfioravano, i respiri si mischiavano ed i corpi si intrecciavano. 
Lei pensò di non poterne fare più a meno, mentre lo stringeva e si perdevano nelle ultime spinte poi entrambi stanchi si accasciarono insieme. Killian la sistemò sul suo petto ed alzò il lenzuolo per coprirla curandosi di non farle prendere freddo, con le dita continuava a disegnare cerchi immaginari nella sua pelle pur rimanendo in silenzio.
Il momento in cui si accorse davvero di non poter rinunciare a lui venne dopo e la sorprese, non era solo per il sesso anche se anche quello era grandioso, era il momento che veniva dopo quando tutto intorno a loro sembrava fermarsi e lei si sentiva così sicura tra le sue braccia. Davvero aveva pensato di poter rinunciare a lui? Era chiaro che non poteva.
Si puntellò su un braccio e rimase a fissare i suoi lineamenti distesi, era completamente rilassato e le occhiaie profonde che gli cerchiavano gli occhi poco prima sembravano magicamente svanite. Gli baciò piano il petto, la sua mano andò ad incatenarsi alla sua vita e la sua coscia si mosse automaticamente per ancorarlo a sé e come una calamita anche lui si mosse simultaneamente stringendola di più. Il viso poggiato sui capelli di lei che le solleticavano il naso, ma andava bene pur di non staccarsi. L’avrebbe tenuta lì per sempre se avesse potuto chiudendo il mondo fuori da quella stanza, sarebbero stati solo loro.
Si addormentarono così, svegliandosi varie volte durante la notte ed alternando momenti di dolcezza e momenti di passione ma finendo poi sempre in quella stessa posizione, sempre nello stesso abbraccio. La pioggia aveva smesso di cadere, rivelando una luna piena e qualche pallida stella che illuminava pigramente la stanza aiutata dalle luci della città che persistevano nonostante la notte.
“Killian, qualsiasi cosa succederà voglio che tu sappia una cosa” forse quello non era il momento delle grandi verità, non era certamente il momento di condividere un passato doloroso e rovinare il ricordo di quella notte perfetta. Ci sarebbe stato tempo per quello domattina. Prima di addormentarsi però, prima di concludere quella nottata, c’era qualcosa che lei sentiva di dovergli dire, qualcosa che lui meritava di sentire dopo molto tempo.
“Cosa?” Chiese lui, aprendo gli occhi e puntandoli interrogativi verso di lei.
“Io t..” non era la prima volta che gli diceva di amarlo, ma non glielo aveva più detto dopo aver perso il bambino perché sapeva che quelle parole l’avrebbero sempre legata a lui, le avrebbero ricordato cose che le dolevano, ma non poteva semplicemente omettere una cosa per annullarla. Quel sentimento, se possibile, era cresciuto inesorabile sfidando il tempo e lo spazio e si era consolidato ancora più di prima.
“Non è necessario che tu lo dica, lo so.” La rassicurò lui, ponendo un dito sulle sue labbra.
“No, ho bisogno di dirlo e voglio che tu lo senta.” Un altro silenzio.
“Non sento nulla.”
“Stupido” lo ammonì ridendo, poi divenne seria nuovamente. “Io ti amo Killian Jones, sempre è stato e sempre sarà così.”
Lui annuì, gli occhi lucidi di consapevolezza, e la strinse nuovamente lasciandole un bacio sui capelli.
Anche lei aveva gli occhi lucidi ma per altre ragioni. Sapeva che quel “ti amo” avrebbe potuto non rappresentare  un inizio qualora lei gli avesse rivelato il suo segreto, avrebbe potuto essere una fine e lei lo avrebbe perso senza conservare la certezza che fosse lei a tenerlo lontano per preservarlo bensì che fosse lui a voler stare lontano.
Quella notte era ancora loro però, e mentre lo stringeva e chiudeva gli occhi aveva potuto sentire l’ “anch’io” che lui le aveva sussurrato.
 
Note:
Ciao a tutti! ^^
Come vanno le vostre vacanze? Quanti come me vogliono che passino in fretta per avere la nuova stagione? Sono davvero troppo curiosa e non vedo l'ora che arrivi il 27 Settembre. 
In questo capitolo si sono rivisti (e non solo xD). Non riesco a lasciarli per troppo tempo separati ma forse, effettivamente, dovevano soffrire ancora un po' prima di ricongiungersi ahahaah. Ad ogni modo, è uscito così ed ho deciso di non modificarlo. 
Volevo ringraziare tutte le persone che leggono la storia, la recensiscono o l'hanno semplicemente aggiunta ad una delle categorie. 
Al prossimo capitolo, un bacio! :* 

 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Never gonna be alone

Capitolo 5

Dovevano vedersi da Clementine’s quel giorno, mentre Killian imboccava la Michigan Ave tutto quello che riusciva a pensare era all’evoluzione di quella giornata.
La temperatura primaverile rendeva piacevole la sua passeggiata ed i primi alberi in fiore arricchivano il paesaggio di un’armoniosa magia che non vi era tutto il resto dell’anno. Il tutto era migliorato dal fatto che di lì a poco avrebbe visto Emma, lui era così sicuro che lei fosse la donna della sua vita da non dubitare nemmeno un attimo che anche se avesse accettato l’offerta loro sarebbero rimasti insieme e lo avrebbero affrontato. Non lo aveva fatto però, almeno non prima di parlarne con lei.
Che quella fosse la sua grande occasione era fuor di dubbio, ciò che amava fare non era semplice e ci voleva fiuto, cosa che non gli mancava di certo, oltre a quello però servivano pure le risorse e quelle erano tutt’altra storia. Non provenendo da una famiglia ricca, non provenendo affatto in realtà, non aveva avuto il sostegno necessario ed il supporto affinché i suoi sogni si realizzassero eccetto per Emma. Lei lo aveva sempre sostenuto, lo aveva spinto a superare le sue difficoltà ed i suoi limiti, ad impegnarsi, studiare per essere ciò che voleva essere e fare della sua vita cosa più gli risultasse congeniale.
Avevano raggiunto un equilibrio, stavano bene per quanto riuscissero ad andare avanti a stenti dal punto di vista economico. Erano ancora due ragazzi, potevano fare qualsiasi cosa volessero della propria vita e diventare qualsiasi persona sognassero di essere, ne avevano tanti di sogni ed erano sicuri di avere la grinta per realizzarli.
Tutto trascorreva normalmente, fino a quel giorno. Quando Killian si era svegliato doveva recarsi nel museo dove lavorava a tempo parziale per cercare di recuperare dei resti di chissà cosa, era da sempre stata la sua passione, scoprire ed analizzare cose che agli occhi degli altri potevano risultare privi di significato ma per lui non era così, tutto andava esplorato, capito e vissuto. Quando il signor Edward Teach, rinomato ricercatore di città sommerse, aveva pubblicato il suo articolo richiedendo giovani caparbi e competenti, Emma stessa lo aveva invogliato a fare domanda ma quando la risposta dopo ben otto mesi non era giunta entrambi avevano abbandonato l’idea accantonandola da una parte per far spazio al subentrare delle questioni quotidiane. Affitto, bollette da pagare, spesa da comprare ma c’era anche molto altro, questioni piacevoli che non avevano nulla a che vedere con le responsabilità della vita da adulti. C’era il modo in cui si amavano, il condividere il caffè o la cioccolata, il fare l’amore fino al mattino ed il perdersi nelle piccole espressioni dell’altro, le carezze appena accennate e quelle, invece, graffianti. C’era semplicemente l’esser la loro famiglia, l’unica di cui avessero bisogno, l’unica che avessero mai conosciuto, l’unica che non volevano mai smettere di essere.
La telefonata, quindi, non era più in programma da molto tempo. La domandina era stata gettata nel dimenticatoio, sommersa da altre mille scartoffie che erano giunte alle mani dello studioso più tardi del previsto quindi quando Killian sentì il telefono squillare nella sua tasca e rispose per un attimo non riuscì a credere alle sue orecchie.
E adesso continuava a percorrere la strada, svoltando sulla 500 Phoenix street ripensando alle parole di apprezzamento che gli erano state rivolte ed alla grande possibilità che gli era stata concessa. Quello che proprio non si aspettava quando aveva compilato la domanda, tanto meno in quel momento a distanza di quasi un anno, era che quello che gli venisse offerto fosse uno stage di ricerca nell’Oceano Atlantico della durata di sei mesi. Insomma, non pensava nemmeno che si potesse stare sei mesi in mare aperto, figurarsi fare immersioni annesse con tanto di telecamera per l’esplorazione dei fondali marini.
Il Clementine’s era un gran bel localino, i prezzi erano abbordabili e l’ambiente accogliente. La moquette aveva una fantasia a fiori che dava l’idea di entrare in un giardino, mentre il muro fatto di piccoli mattoni rendeva tutto più rustico ed in qualche modo più caldo. Inoltre era molto luminoso e vi era sempre un sottofondo musicale che sembrava smorzare le conversazioni e renderle più piacevoli senza però il bisogno di dover alzare la voce per farsi udire.
Emma era già lì, lo aspettava dietro ad un piccolo separé in legno che rendeva una serie di tavoli più appartati. Quello era ormai il loro posto, non che fossero amanti delle cose abitudinarie per quanto riguardava certe attività, ma per il cibo si così come per la loro routine di incontrarsi lì durante la pausa pranzo per condividere il Chicken&Wild Rice Soup ed una porzione di Fish and Chips.
“Hey, raggio di sole” la prese in giro ma era stata davvero questo per lui, il suo piccolo sole personale ed il rimedio contro le nubi, nonostante ricordassero la pioggia con particolare affetto da quando stavano insieme.
I capelli della donna si spostarono rivelando un sorriso sul suo volto rilassato mentre sorseggiava una bevanda.
“Ho già ordinato” lo avvisò lei, mentre lui toglieva la giacca nera e l’adagiava nel sedile al suo fianco. Poi si era inchinato a darle un breve bacio, l’inquietudine che sentiva dentro era cresciuta man mano che si avvicinava al locale ed in quel momento aveva raggiunto picchi esponenziali che lui mal celava di nascondere.
“Qualcosa non va?” Lo conosceva bene e percepiva il suo turbamento, il sorriso tirato che le aveva rivolto prima di sedersi ed il modo in cui teneva le spalle, troppo teso.
“Devo parlarti di una cosa.” Diversi campanelli d’allarme si attivarono nella mente di Emma, non perché presupponesse un affievolirsi dei sentimenti del suo fidanzato, Killian era sempre stato chiaro in quello e non in modo melenso od ostentando il suo amore ai quattro venti, semplicemente lo dimostrava, per lo più, rimanendo al suo fianco ed affrontando la vita con lei nella tacita consapevolezza che fossero due pezzi dello stesso puzzle nati per occupare una posizione l’uno accanto all’altro. I campanelli d’allarme nascevano dalla consapevolezza che la vita riserva sempre delle cose inaspettate, e per Emma la maggior parte di queste erano state in negativo tanto da cambiare la naturale concezione ottimistica della vita di qualsiasi essere umano. Era matematicamente certo che se la sua vita era andata bene per un certo periodo, ad un certo punto doveva arrivare qualcosa a ribaltare la situazione, e gli ultimi anni erano stati fin troppo agevoli per quanto la vita permettesse.
 
***
 
Allungò la mano lungo il letto, i raggi del sole cominciavano a filtrare pallidi dalla finestra dopo la notte di pioggia e c’era una pacifica sensazione di quiete che le occupava il petto donandole una sorta di armonioso risveglio. Lampi della notte prima cominciarono a diffondersi nella sua testa, tutto quello che le era mancato riemerse insieme alla paura di poterlo perdere nuovamente. Cominciò a tastare il letto più attentamente con la sicurezza di trovare un corpo caldo a pochi centimetri da lei, ma di quello non vi era nessuna traccia. I suoi occhi si aprirono di scatto, mossa dolorosa in quanto erano ancora impastati dal sonno. Si guardò intorno, la stanza era come la ricordava dalla sera prima tranne che per i vestiti sparsi sul pavimento. I suoi erano attentamente ripiegati e poggiati su una sedia, mentre di quelli dell’uomo non vi era nessuna traccia.
“Killian?” Lo chiamò piano, si alzò attorcigliandosi il lenzuolo intorno al corpo nonostante fosse completamente sola e si avviò verso il bagno, ma anche lì era tutto perfettamente in ordine.
Afflitta dalla sua assenza tornò in camera e si sedette sul letto, non le era mai piaciuto risvegliarsi da sola dopo aver passato la notte insieme ma forse lui non aveva ancora smaltito il suo comportamento dei giorni precedenti, e non poteva dargli del tutto torto dato che non gli aveva fornito una reale spiegazione.
Tornò a buttarsi sul letto, sconfitta. Il cuore che fino a poche ore prima si era librato in alto, adesso era incredibilmente pesante.
“Sei già sveglia?” L’uomo irruppe nella stanza silenziosamente fino a quando volgendo lo sguardo verso la sua bionda si era accorto che non fosse più beatamente dormiente.
I suoi occhi azzurri la guardarono in modo languido, scorgendo i pezzi di pelle che sfuggivano al lenzuolo di lino ed avvicinandosi a lei con passo felpato e, sorprendentemente, con un vassoio pieno di cibo tra le mani.
Emma sorrise trovando ancora in lui una delle loro prime abitudini. Killian era sempre il primo ad alzarsi al mattino, ed era solito svegliarla in un modo tanto speciale che le era mancato in quei, troppi, mesi in cui ne aveva fatto a meno.
“Hai fame?” Chiese gentilmente, appoggiando il vassoio sul comodino ed abbassandosi su di lei per posarle un bacio all’angolo delle labbra dischiuse. L’aroma del caffè aveva invaso completamente la camera, facendo risvegliare lo stomaco di Emma e rivelando molta più fame di quanto ella stessa credesse di avere.
La sera prima non aveva cenato effettivamente.
“Affamata” mormorò facendo scorrere lo sguardo tra lui ed il vassoio.
“Vediamo.. Vuoi un tè, un caffè o un me?” Il sopracciglio alzato era il suo marchio.
“Allettante” la mano della donna si mosse piano lungo l’avambraccio di Killian, tracciando con l’indice il profilo della spalla e scendendo sul petto. La camicia scura aveva i primi due bottoni aperti, Emma afferrò quei lembi e lo avvicinò a sé perdendosi in un bacio mattutino, un buongiorno, un ti amo, un ci sono. Tutte le sensazioni che aveva provato qualche minuto prima erano ormai completamente svanite lasciando il posto alla perfezione del suo tocco ed alla dolcezza delle sue parole.
Gli lasciò una scia di baci lungo il collo fermandosi un attimo nel suo pomo d’adamo , Killian deglutì eccitato mentre le sue mani si spostavano sui fianchi della donna. “Se continui così non usciremo da questa stanza oggi” la rimproverò, accarezzandole delicatamente le cosce. Lei si mosse sulle sue labbra, rivelando l’ombra di un sorriso che si aprì piano coinvolgendolo con sé perché quando lei rideva lui non poteva fare a meno di seguirla.
“Ahimè, devo lavorare mio caro” a malincuore dovette reclinare quella lussuriosa offerta, gli lasciò un piccolo bacio a stampo e gli scompigliò piano i capelli in modo affettuoso. Li adorava, erano così morbidi ed amava accarezzarglieli nei momenti di dolcezza, o tirarglieli in quelli di passione.
Prese un croissant dal vassoio e lo addentò lasciando che lo zucchero a velo le sporcasse gli angoli delle labbra.
“Che sbadato, credo di aver dimenticato i tovaglioli” la informò, vedendo il suo sguardo verdino vagare alla ricerca di qualcosa con cui pulirsi nel vassoio.
“Si, proprio sbadato.” Lo rimproverò, portando il cornetto alle sue labbra e lasciando che anche lui godesse di quel dolce sapore.
“Dato che adesso siamo entrambi sporchi, suggerirei un modo per ripulirci.” Masticò il boccone,  passandosi la lingua intorno alle labbra prima di avvicinarsi nuovamente a lei e fare lo stesso.
 
***
 
Il Phoenix Sky Harbor era una grande struttura aeroportuale sito a 4,8 Km dal centro della città. Una struttura senza dubbio imponente, le pareti era di un grigio piuttosto asettico ed ospitava diversi terminal dalla quale partivano aerei diretti in varie direzioni.
Mentre Killian si trascinava dietro il trolley con la mano destra, con l’altra teneva salda la mano della donna al suo fianco. Questa camminava lentamente e con il capo rivolto verso il basso, cercando di sorridere di tanto in tanto quando il suo ragazzo le rivolgeva qualche sguardo apprensivo.
Per raggiungere la nave che l’avrebbe portato verso la sua occasione, Killian doveva prima prendere un aereo fino a Washington e da lì una macchina li avrebbe portati al porto.
Avevano discusso tanto di quella proposta, il loro equilibrio si stava lentamente spezzando dopo la notizia iniziale. Emma voleva che lui partisse per realizzare il suo sogno, era un’occasione enorme che avrebbe potuto davvero aiutarlo in ciò che desiderava fare, d’altro lato però c’era una sensazione che le attanagliava lo stomaco. Era una sensazione del tutto irrazionale, lui sarebbe stato lontano, avrebbe inseguito il suo sogno e lei l’avrebbe lasciato fare e si sentiva fiera per questo, orgogliosa di lui ma c’era quell’altra cosa che non la faceva sentire bene, tantomeno giusta. Lui sarebbe andato via e tutto quello che avevano avuto fino a quel momento sarebbe svanito di colpo, lasciando il posto al nulla. Non potevano nemmeno sentirsi dato che si ritrovava in mezzo al mare, sarebbe rimasta lì senza sapere più nulla di lui,  lui che era stato la sua unica famiglia. Si sentiva così male.
Si sentiva nuovamente sola e lui era ancora lì a stringere la sua mano, le mancava già in quel momento figurarsi quando sarebbe stato via davvero.
“Va tutto bene” cercò di rassicurare se stessa e di certo non riuscì a rassicurarlo, poggiò la sua fronte su quella di lui mentre trascorrevano gli ultimi momenti insieme.
“Andrà tutto bene” ripeté nuovamente, accarezzandogli il volto ed incrociando le braccia dietro al suo collo.
“Basta una tua parola ed io mando tutto a puttane, davvero.”
“Non funzionerebbe, sarei sempre la persona che ti ha fatto rinunciare al tuo sogno ed io non voglio essere quella persona. Voglio che tu sia felice.” Un singhiozzo cercò di venir fuori ma lei lo soffocò prontamente mentre si portava una mano al petto per rallentare il cuore.
“Io sono felice con te” le sussurrò l’uomo, mentre spazzolava il suo naso contro quello lentigginoso di lei e raccoglieva i suoi capelli per portarli dietro alle orecchie.
“Lo so” annuì piano, mentre la mano che stava sul suo petto si posò su quello di lui.
 
<< Tutti i passeggeri del volo delle 9:00 con direzione Washington sono pregati di recarsi presso il terminal 3. Ripeto tutti i passeggeri del volo delle 9:00 con direzione Washington sono pregati di recarsi presso il terminal 3. >>
 
“Devi andare” gli sussurrò all’orecchio.
“Si.”
“Vai” lo esortò, non poteva più stare lì, altri due minuti e gli avrebbe chiesto di restare con lei mandando al diavolo tutti i suoi buoni propositi sul non essere egoista.
Un ultimo bacio prima di prendere il borsone adagiato sulle piastrelle bianche, Emma rimase lì ferma a fissarlo mentre faceva il check-in, mentre prendeva le scale mobili che l’avrebbero portato alla galleria dell’aereo. Lui le lanciò un ultimo sguardo e le mimò un “ti amo” con le labbra prima di sparire dietro ad una massa di persone.
Tutto intorno era un caos indistinto, persone che si salutavano sorridendo ed altre che lo facevano in lacrime, famiglie in partenza per le vacanze ed in quel caotico scalpitare di persone lei non riusciva a vedervi proprio nulla come se il mondo fosse bloccato e lei fosse lì inerme senza sapere più come muovere i propri passi.
Solo quando vide l’aereo muoversi attraverso le grandi vetrate riuscì ad avvicinarsi ed a poggiare una mano sopra esse, vederlo era impossibile da quella distanza ma in qualche modo sentiva di salutarlo così.
Il carrello percorse velocemente la pista e poi l’aereo si alzò piano piano nel cielo azzurro e limpido di Phoenix.
Le immagini si susseguirono come lampi nella sua mente mentre l’aereo diventava sempre più piccolo fino quasi a svanire.
 
“Ciao, sono Killian Jones” un ragazzino dagli occhi brillanti e dal sorriso furbo ma triste.
Lei afferrò la sua mano seppur tentennando, “Emma Swan.”
“E dimmi Emma Swan, tu non sorridi mai?” Nemmeno si conoscevano e lui osava rivolgersi così a lei come se ci fosse qualcosa per cui sorridere nel trovarsi lì, non fino a quel momento almeno.
“Mi stai già antipatico” sentenziò quella, incrociò le mani al petto e sbuffò sonoramente osservando quello che sorrideva divertito.  Arrabbiata voltò le spalle per andare via.
“Imparerai ad amarmi” le urlò dietro.
 
“Ciao Swan” si avvicinò con passo spavaldo mentre quella si trovava in un angolo assorta nei propri pensieri.
“Vai via, non tira aria oggi.” Appoggiò pesantemente le spalle contro il muro e prese a fissarsi le punte dei piedi. Le sue scarpe erano ormai quasi logore.
“Sei sempre un raggio di sole” si sedette vicino a lei ed assunse la medesima posizione.
Emma non rispose, si limitò a fare una smorfia infastidita forse così sarebbe andato via. Ci sarebbe rimasta male in realtà, quello strano ragazzo era quanto di più vicino avesse ad un amico nonostante fosse scostante, particolarmente saccente ed a tratti persino fastidioso con tutte quelle sue battutine a doppio senso. Aveva imparato a conoscerlo però durante quelle settimane, ma quello non era proprio il giorno giusto per stuzzicarla.
“Dimmi cosa non va” la esortò lui seriamente, la sua mano andò a posarsi sul palmo aperto della ragazza lasciandola libera di prendere una decisione. Scostarsi od intrecciare le dita con le sue?
Rimase indecisa, e decisamente colta di sorpresa mentre fissava le loro mani insieme, poi con un movimento impacciato decise di dargli un’occasione.
E mentre portava le proprie dita ad incastrarsi con le sue sussurrò piano “oggi è il mio compleanno e non importa a nessuno.”
Killian non disse nulla per qualche secondo, poi staccò la mano da quella della ragazza che preoccupata alzò lo sguardo su di lui. Fece scivolare l’anello che teneva all’indice e glielo diede dolcemente, “importa a me.”
Quello che nessuno dei due si aspettava era la reazione di Emma, lei non si era mai lasciata andare ad effusione di alcun genere con nessuno eppure con lui sentiva qualcosa. Lo abbracciò di slancio, affondando la testa nel suo collo non per il regalo in sé, quanto per le parole che avevano accompagnato quel gesto, parole che nessuno le riservava da molto tempo. Aveva dimenticato quanto fosse bello sentirsi importanti per qualcuno.
Lui ricambiò l’abbraccio, le accarezzò i capelli biondi realizzando finalmente il desiderio di lasciare scorrere le dita tra quei fili d’oro.
“Ma sei sicuro? Lo porti sempre, deve essere importante per te.” Concluse la ragazza, sussurrando quelle parole al suo orecchio e facendolo rabbrividire.
“Lo è, proprio per questo voglio che lo tenga tu.”
 
E poi tanti altri ricordi, la piccola scatola che avevano sepolto per il quindicesimo anno di Killian con la promessa di riaprirla al diciottesimo, il primo ballo che avevano danzato senza musica nel buio dei loro dormitori, le parole sussurrate per non farsi sentire dagli altri, il loro primo appartamento, i film sul divano, i bagni insieme.
Si ripeteva che non lo stava perdendo, erano solo sei mesi di lontananza, mesi in cui non avrebbe nemmeno potuto sentirlo frequentemente. Sarebbero passati però, ed allora perché non poteva smettere di vedere tutti i loro momenti scorrere nella sua mente?
Rimase immobile e non seppe nemmeno per quanto tempo, lì a fissare una vetrata ed il nulla oltre questa.
 
***
 
C’era qualcosa di profondamente doloroso nel vederlo seduto in quello sgabello mentre la aspettava. La luce che irradiava in quel momento misto al senso di felicità che provava lei nell’averlo lì erano una miscela davvero pericolosa.
Sentiva il senso di colpa crescere ad ogni sguardo, ad ogni sorriso sentiva dei pugni contro il suo stomaco ed al pensiero del modo in cui si erano baciati, toccati o solo sfiorati questo si contraeva in una morsa come se le budella le si intrecciassero tra loro facendo milioni di nodi che non sarebbe riuscita a sciogliere.
Sarebbe potuto essere tutto perfetto in quel momento, se lei non avesse avuto dentro quel segreto che la torturava. Il pensiero di mentirgli, di ricostruire ciò che avevano prima ma non fondandolo sulla più profonda sincerità le faceva male.
Si tolse il grembiule e lo mise nel piccolo armadietto vicino al mobile della cucina, prese un bel respiro e tornò da lui.
“Sei pronta? Cosa vogliamo fare?” Chiese l’uomo sorridendo, alzandosi in piedi e ripiegando il giornale che aveva trovato sul bancone e che stava leggendo.
“Siamo a Storybrooke non è che ci sia molto da fare” mormorò lei, stringendo la mano che quello le offriva.
“Ragazzi, vi ho preparato qualcosa per il pranzo” Granny sbucò dalla cucina con una grande busta di carta dalla quale proveniva un odore piuttosto invitante.
“Sei un tesoro” le disse Killian, facendole un occhiolino ed afferrando quanto questa le porgeva.
Sapeva di certo come affascinare le signore, in quelle poche ore aveva chiacchierato alacremente con lei mentre da dietro il bancone serviva bevande e dolci. Lei gli aveva raccontato un po’ dei primi tempi con Ruby, gli aveva confessato che aveva parlato molto di loro, dei suoi strambi amici e del rapporto magnifico che avevano.
Poco dopo trascinò Emma fuori dal locale offrendole il braccio, mentre passeggiavano tra le vie alberate della città.
“C’è un bel posto dove potremmo mangiare” ricordò Emma, una bella panchina davanti all’oceano era di certo un panorama ideale.
Camminarono per qualche minuto prima di trovarsi davanti ad una schiera di barche a vela, Killian sentì una fitta dentro. L’ombra di una chiamata che aveva ricevuto quella mattina, giusto in quel momento che le cose sembravano procedere per il verso giusto.
Cercò di scacciare quella sensazione e si accomodò accanto a lei.
“E’ rilassante l’orizzonte, non trovi?”
“Lo è” confermò quello con uno strano cipiglio, era rimasto così tante volte sul ponte della nave a guardare l’orizzonte immaginando di essere con lei. Cominciarono a mangiare un po’ delle prelibatezza che Granny aveva preparato per loro, mantenendo il silenzio mentre masticavano quasi in un mistico senso di relax.
“Mi piacerebbe vedere la tua radura dopo, se la pausa pranzo lo permette” chiarì guardando l’orologio che portava al polso.
Lei si accese per un attimo pensando al momento esatto in cui aveva voluto condividerla con lui, c’era sempre qualcosa però che non le permetteva di godersi il momento pienamente.
“Se ci sbrighiamo possiamo farcela” si alzò dalla panchina e gettò tutti i resti in un cassonetto lì vicino. Proprio in quel momento le arrivò un messaggio di Ruby: “Copro io il tuo turno, divertitevi! ;)”
Sorrise leggendolo e rispose velocemente per ringraziarla.
“Abbiamo tutto il pomeriggio” lo informò poi, tendendo la mano verso di lui e tirandoselo addosso.
Si incamminarono così lungo la strada che portava ad un piccolo sentiero, le mani intrecciate ma ognuno con i propri pensieri, temendo che questi potessero inclinare ciò che avevano riavuto a fatica.
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Never gonna be alone

Capitolo 6

Quel telefono pesava nella tasca dei suoi pantaloni, sembrava quasi di avere un enorme masso attaccato addosso. Non le aveva detto nulla perché non sapeva che reazione aspettarsi, non voleva rivivere il passato e tutto quello che aveva comportato, sperava di andare avanti con lei. La situazione si presentava più facile adesso che aveva un lavoro stabile presso il dipartimento di archeologia, non era sicuramente come lavorare sul campo e non si sentiva l’ebbrezza della scoperta di cose importanti ma era pagato bene, aveva una stabilità che gli permetteva anche il concedersi due settimane di ferie per andare a trovare la sua.. La sua ragazza? Non sapeva se definirla così fosse appropriato, non sapeva più cosa fossero ma infondo erano sicuramente qualcosa ed era l’unico qualcosa a cui riusciva a pensare e di cui sentisse il bisogno.
Quel telefono continuava a pesare però perché lui era un tipo intraprendente, sentiva ancora che gli mancava qualcosa per realizzare se stesso e sapeva quanto quella fosse una magnifica esperienza. L’aveva trovata emozionante già la prima volta, ed adesso aveva una maturità maggiore che gli avrebbe permesso di vederla con nuovi occhi.
Nonostante questo, aveva declinato seppur dopo essersi prodigato in una serie infinita di ringraziamenti. Non voleva farle questo nuovamente, la prima volta che era andato via qualcosa si era spezzato in lei ed un po’ di quella luce non l’aveva più ritrovata al suo ritorno. Emma sembrava l’ombra di quel che era, aveva lo sguardo spento e, per di più, gli aveva annunciato di non poter più stare con lui.
Lui che era tornato per lei, nonostante gli avessero offerto di prolungare il mandato per altri tre mesi.
Non poteva rischiare che ricapitasse, la consapevolezza di perderla era stata così distruttiva per lui da trascinarlo in basso fino a diventare qualcuno che non voleva.
Non riusciva ad addormentarsi quella notte, tutti quei pensieri non gli davano tregua. Anche Emma sembrava inquieta nel sonno, continuava a rigirarsi nel letto e si potevano notare piccole goccioline che le imperlavano la fronte.
Le spostò una ciocca bionda dietro la testa e lei sembrò rasserenarsi per un attimo, poi riprese a rigirarsi fino a quando si alzò di scatto.
 
Emma aveva nutrito quella sensazione per tutto il giorno. Una sensazione di profonda inquietudine nello stomaco che le rendeva difficile perfino pensare lucidamente, aveva dovuto concentrarsi per fare in modo che lui non lo notasse ed il cercare di nascondere quella sensazione, non faceva altro che accrescerla.
Mentre lui le accarezzava i capelli, mentre era sdraiata tra le sue gambe ai piedi della grande quercia e lui spazzolava tacitamente il suo naso sul suo collo e le sfiorava la pelle, perfino sulla strada del ritorno nell’intreccio delle loro mani, lei non riusciva a liberarsi di quel senso di colpa.
La giornata era stata fantastica, ottimo risveglio, favolosa colazione, un crescendo di emozioni che però non aveva abbattuto completamente ciò che fingeva di poter ignorare quando in realtà non era così. Il suo subconscio si era ribellato al suo volerlo tenere a bada, ed era esploso nel culmine del suo sogno facendola risvegliare ansimante e spaventata.
E mentre lui si prodigava nel rassicurarla, lei continuava a pensare di non meritarlo affatto. Tutte quelle attenzioni, il suo starle vicino incondizionatamente, l’esserci sempre quando lei non aveva fatto altro che ripagarlo con un segreto più grande di loro.
“Tesoro, era solo un incubo” le circondò le spalle dolcemente portandola più vicina al suo petto e lasciando che vi appoggiasse il viso. Non era solo un incubo, era la verità per questo faceva così male al risveglio.
Scosse la testa ed i suoi capelli si spostarono solleticandogli il petto ma lui non vi prestò attenzione preso com’era dal tentare di rincuorarla.
“Se vuoi potresti raccontarmi questo sogno, magari parlarne ti aiuterebbe” propose e venne subito inchiodato dai suoi occhi verdi e grandi, completamente sbarrati, “oppure no” aggiunse non volendole fare pressione.
Emma si alzò senza proferire parola ed andò in bagno per sciacquarsi il viso, spruzzò un po’ d’acqua nei capelli prima di tirarli indietro in una coda scomposta. Lasciò che l’acqua poi le continuasse a scorrere sulle braccia e poi nuovamente sul viso quasi a voler lavar via i segni di quell’incubo. Indecisa. Indecisa se parlarne o meno con lui.
Poteva davvero costruire una vita insieme a lui fondandola su un segreto non rivelato? Si sentiva così male però, il pensiero di rovinare tutto ciò che avevano in quel momento non era facile da digerire.
“Emma, stai bene?” Quando alzò il viso, vide i suoi occhi riflessi nello specchio e quello che vi lesse le provocò un ulteriore dolore. C’era paura e preoccupazione.
Lui aveva paura che lei scappasse nuovamente, ignorando che lei avesse la medesima paura nei suoi riguardi perché sapeva per certo che lui sarebbe andato via. Non al principio, se lo avesse saputo al momento opportuno sarebbe rimasto ed avrebbe fatto di tutto per rimettere insieme i pezzi di loro, avrebbe utilizzato lo scotch, la colla od il suo corpo stesso pur di impedire che lei si sgretolasse. Non gli aveva dato questa occasione però e non perché non si fidasse di lui abbastanza, ma proprio perché si fidava troppo e sapeva sarebbe rimasto mentre lei si sentiva morta dentro e non poteva offrirgli nulla di quello che meritava. Lui era rimasto comunque, e lei adesso era solo una sporca bugiarda.
E lei odiava chi mentiva, riusciva anche a fiutare le bugie.
“No, non sto bene” confessò, asciugandosi le mani e tamponando poi il viso. Due forti mani si posarono sulle sue spalle e lei sentì tutto il calore sulla pelle prima che questo svanisse con un suo passo.
Si sedette sul letto sfatto, le ginocchia portate al petto ed il respiro irregolare.
“Emma, mi stai seriamente preoccupando” Killian spuntò dal bagno in tutta fretta, sistemò una sedia davanti a lei e le afferrò le mani per evitare che se le torcesse ancora.
“Parlami.”
Nessuna parola, solo calde lacrime rigarono il viso della donna. Lacrime che l’uomo che le stava di fronte catturò prontamente, continuò ad accarezzarle il viso ma la preoccupazione aleggiava in modo tangibile nella stanza, nonostante lui non le mettesse pressione era ovvio che volesse sapere cosa le passasse per la testa.
“Parlami.”
Un altro lungo silenzio, interrotto da brevi singhiozzi e poi una scintilla di lucidità. Prese le sua mani forti e le allontanò dal suo viso. Si alzò in piedi, fece avanti ed indietro un po’ di volte e poi finalmente proferì parola.
“Quello che dirò potrebbe ferirti.”
La conversazione non si preannunciava semplice, l’uomo voltò la sedia leggermente per aver la possibilità di guardarla meglio ma rimase immobile. Mille pensieri invasero la sua testa, vide altre due braccia a stringerla improvvisamente e sentì una fitta al petto solo al pensiero.
“In che modo?”
La stanza era poco illuminata, quasi non riusciva a vederla mentre continuava a mordersi il labbro e a torturarsi i pantaloni della tuta. Fino a quando non si fece più vicina.
“Però Killian, io non ho mai voluto ferirti. Io volevo evitare che soffrissi come ho fatto io, poi è passato troppo tempo e non riuscivo a dirlo” si inginocchiò di fronte a lui ed afferrò le sue mani in modo saldo. Voleva che lui le credesse, che si convincesse che non lo aveva fatto per punirlo di qualcosa di cui non aveva colpa bensì per proteggerlo.
“Io non ti capisco” sciolse la presa e si alzò spazientito, non capiva davvero cosa fosse la questione così grave di cui non riuscisse a parlare, tanto da ridursi in quel modo.
“Non mi aspetto che tu lo faccia” chiarì lei, prima di alzarsi a sua volta. Si era creata una profonda tensione nell’aria, carica di parole non dette eppure urlate. Era il momento di parlare, o sarebbe crollata e non avrebbe detto più nulla ed allora seriamente avrebbe perso ogni speranza di riaverlo con sé perché Emma odiava mentire, e non avrebbe più continuato a farlo specialmente non all’uomo che amava.
“Dannazione, Emma.”
Le mani strette al petto, lei si riscosse e lanciò un’occhiata all’orologio. Erano le 4:30 del mattino, non proprio il momento ideale per una conversazione del genere ma se c’era una cosa che proprio le mancava era il tempismo.
“C’è stato un momento, è durato circa cinque secondi. In quei cinque secondi rividi quella luce che da sempre caratterizza i tuoi occhi. Non credo di conoscere qualcun altro che quando sorride riesce a farlo pure con gli occhi. Poi ho spento quella luce quando ti ho respinto, ed adesso io non voglio che accada lo stesso.” La verità di quelle parole sorprese anche lei, non aveva mai creduto che avrebbe iniziato la conversazione in quel modo, confessando quell’intima emozione che provava dentro ogni volta che vedeva il suo sguardo accendersi.
“Intendi respingermi?”
Scosse la testa piano, “sarai tu a farlo.”
Killian in tre falcate percorse la distanza che li separava, le mani si spostarono nelle sue braccia sottili “se non mi parli, io impazzisco. Per favore.” La pregò.  
Annuì.
“Io ti amo, Killian. Non ho mai smesso di amarti nonostante ti abbia detto il contrario quando sei tornato, quando ti ho respinto io ti amavo.” Intrappolò le lacrime, cercò in tutti i modi di ricacciarle indietro per impedire che scendessero. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, sentì il perché silenzioso dell’uomo ancor prima che questo lo pronunciasse ad alta voce.
“Perché non riuscivo a dirti la verità. Ero così spezzata, confusa e vuota. Stavo ancora male.” Si massaggiò le tempie brevemente.
“Emma, io non volevo lasciarti. Pensavo fossimo d’accordo, erano solo sei mesi e noi ci amavamo, avremmo dovuto superarli insieme.” I suoi occhi si scusarono in quel momento, dolci nonostante la paura. Non voleva che i ricordi le infliggessero dolore, invece lei sembrava piegarsi sotto un ammasso di pesi che lui nemmeno immaginava.
Sembrava così provata da quella conversazione. Le occhiaie sotto ai suoi occhi si facevano più marcate, le sue spalle erano quasi ricurve ed il suo sguardo basso.
“Lo so. Ho perso qualcosa, Killian. Ho perso qualcosa quando tu sei andato via, qualcosa che nemmeno sapevo di poter perdere.”

 
This is the way it ends,
don't tell me it's meaningles,
there'll be no compromise.
We fall.

 
Aveva quasi paura a chiedere, così il suo “cosa?” uscì flebile ed impersonale, quasi come fosse una parola che non esisteva neanche. Solo un insieme di lettere senza un reale significato.
“Il nostro bambino.” Lacrime.
Un brivido lo scosse profondamente, nemmeno capiva il senso di quello che stava dicendo. Il loro bambino? Quale bambino? Come? Quando?
Vuoto.
Non riusciva nemmeno a percepire nulla, il suo corpo aveva perso completamente ogni sensibilità. Non riusciva a sentire le braccia della donna intorno al suo corpo, le lacrime che gli bagnavano il petto, era semplicemente immobile e non sentiva assolutamente nulla se non una sensazione al petto.
Dolore.
Piano si intensificava al centro del suo petto, poi cominciò a propagarsi nel resto del corpo attraverso delle scariche che arrivavano dritte ai suoi nervi. Non riusciva ancora a muoversi.
Risentimento.
Non gli aveva detto nulla prima, aveva aspettato tutto quel tempo e lo aveva allontanato facendolo sentire quasi uno scarto umano. Aveva preferito farsi curare le ferite da un altro al suo posto, soccombere al dolore piuttosto che dargli la possibilità di affrontarlo con lei. Lo aveva tenuto distante, si era persino sentito in colpa credendo che dipendesse dalla lontananza, credendo di averla distrutta andando via.
Non riusciva più nemmeno a capire cosa provava, compassione per lei che aveva vissuto tutto quello e rabbia nei suoi confronti per averlo tenuto allo scuro di tutto. I sentimenti cominciavano ad intrecciarsi prepotentemente in lui, era faticoso persino muoversi o provare a fare un pensiero coerente. Lei aveva passato l’inferno, ma lui ci sarebbe stato, avrebbe voluto passarlo con lei e rimettere insieme le cose. Invece adesso sentiva di non avere la terra sotto i piedi. Stavano cadendo.
Le mani si strinsero intorno ai suoi polsi mentre allontanava il suo corpo, lasciò che ricadessero lungo i fianchi e poi fece due passi indietro mentre lei lo guardava ancora in lacrime.
Era come se vi fosse una barriera invisibile tra i due, una linea di confine che lui aveva appena tracciato e che lei aveva paura di varcare.
Si fissarono per alcuni minuti, incapaci di proferire parola.
“Mi dispiace” mormorò poi lei, cercando di protendersi verso di lui che la bloccò con una mano a mezz’aria. Si fermò.
Lui si mosse velocemente alla ricerca dei jeans, non ricordandosi dove diavolo li aveva lasciati. Li vide in un angolo della stanza, li prese velocemente e l’infilò mentre cercava una maglia tra la pila di vestiti sopra al mobile.
“Che stai facendo?” Chiese lei, nonostante fosse abbastanza chiaro.
Lei si aspettava urla, rabbia, non voleva che andasse via così senza chiedere nulla, senza discutere, non era nemmeno l’alba ed aveva paura.
Lui afferrò il giubbino e lo indossò, chiudendo la cerniera. Sentiva freddo, freddo dentro le ossa e non riusciva a provare calore da nessuna parte se non al cuore che sembrava ardere.
“Killian?” Lo richiamò, prima che uscisse dalla porta. Lui si voltò a guardarla per un attimo, ma il suo sguardo era spento davvero. Assente. Non poteva, così le diede nuovamente le spalle.
“Ho bisogno d schiarirmi le idee.” Asserì, prima di aggrapparsi alla porta come se fosse la sua ancora di salvataggio.
“Non è nemmeno l’alba.” Sembrava pregarlo di restare.
“Non posso stare qui, non posso stare nella stessa stanza con te adesso. Non riesco nemmeno a guardarti negli occhi. Dopo tutto questo tempo, non pensavo di non riuscire più a riconoscere chi fossi.” Rimase di spalle, respiri strozzati lo scuotevano malamente. Emma sorpassò quella linea immaginaria e si avvicinò, una mano si andò a posare sulla sua spalla e rimase lì per qualche secondo, prima che lui la scuotesse via.
“Non voglio dire qualcosa di cui potrei pentirmi” era strano come non volesse ferirla, nonostante lui stesso lo fosse da lei.
“Oh Killian, ma dilla. Qualsiasi cosa tu dica, posso sopportarla ma non andare.” Cercò di scuoterlo, era meglio sentirsi insultata piuttosto che il nulla. Lui si voltò ma non la vedeva realmente, sembrava che tutto quello che sapeva di lei fosse svanito e fosse rimasto solo un involucro vuoto. Era il loro bambino maledizione, e lui non sapeva nulla, non aveva saputo nulla. Non gli aveva dato il diritto di soffrire, di immergersi nel dolore per poi riuscire a riemergere, adesso sentiva di affogare come se i suoi polmoni fossero pieni d’acqua.
“Meritavo di saperlo. Era mio figlio.” Sputò fuori.
Emma sospirò prima di mandare giù il groppo amaro che quelle parole le suscitavano. Sapeva quanto avesse ragione, era il suo piccolo bambino dai capelli neri e gli occhi blu. Riusciva quasi a vederlo, e poi vedeva l’uomo che amava comportarsi da padre, vedeva tutta la dolcezza.
“Lo meritavi. Ero ferita Killian.”
“E volevi ferire anche me? Gettandomi via come nulla, facendomi credere che non ci fosse motivo, che non mi amassi, per poi dirmi questo adesso?” Si conficcò le unghie a forza nel palmo delle mani per evitare di urlare, le nocche sbiancarono e gli uscì quasi sangue, non sentiva nemmeno il dolore per quello tanto era debole rispetto a quello che sentiva dentro.
“No, certo che no. Avevo paura, non volevo soffrissi come stavo facendo io.” Gli occhi bassi, lo sguardo colpevole.
“Dovevo scegliere io, dovevo averne la possibilità. Ma dimenticavo, tu sei Emma Swan, ed Emma Swan scappa quando le cose si fanno difficili no?” Colpita.
I ricordi invasero entrambi in un attimo.
 
“Andiamo via Killian” una piccola sacca riempita da qualche vestito era adagiata sul letto sfatto.
“Non possiamo semplicemente scappare” la rimproverò bonariamente, “dobbiamo restare e dimostrare che possiamo farcela.”
Da un po’ di tempo le cose si erano fatte più difficili, l’aria che si respirava lì era più pesante del solito tanto da rendere Emma profondamente stanca di vivere in quel luogo.
 
E poi altre immagini attraversarono la mente di entrambi. Emma che si rivestiva velocemente ed affermava che non si sarebbe più ripetuto. Emma che lo chiamava affannata in un parco, lasciandolo in quella panchina poco dopo. Lei che andava via in abito da sposa rifiutandosi di vederlo.
Ed ancora una volta, lei che andava via da Phoenix. Un ultimo bacio amaro scambiato in aeroporto prima che lei svanisse, lasciandolo lì immobile e solo.
 
“Questo è ingiusto.”
“Non cercarmi, ho soltanto bisogno di pensare. Voglio delle risposte e tornerò per riceverle, quindi non cercarmi.” La porta si richiuse con forza per la seconda volta nel giro di appena due giorni. Ed era tutto cambiato nuovamente, il litigio, il perdersi ed il ritrovarsi solo per poi perdersi nuovamente. E si sarebbero mai ritrovati? Emma davvero non lo sapeva questa volta.
Cercò di non dare di matto, il panico però continuò a diffondersi in lei trasformandosi ed assumendo nuova forma, il respiro che usciva a rantoli e quel dolore allo stomaco. Doveva concentrarsi su altro, smettere di pensare, preoccuparsi soltanto di respirare lentamente per non essere inghiottita dal buio che minacciava di risucchiarla. Si sdraiò e cominciò a contare mentalmente, una mano posata sul polso per sentire il battito. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, cominciava a rallentare man mano che contava, ed anche il respiro migliorava fino a quando stava concentrata su quello.

***
 
Il sole era più brillante quel giorno. Mancavano esattamente 16 ore, 34 minuti e 19 secondi prima di rivederla. Era riuscito a chiamarla solo tre volte nel corso di quei mesi, due delle quali l’aveva trovata normale e contenta di risentirlo, mentre l’ultima volta risalente ai quattro mesi precedenti era stata distaccata, aveva messo fine alla conversazione piuttosto rapidamente ed era decisamente strano quel comportamento. Era stato inquieto cercandone un senso, ed aveva provato a richiamarla senza successo dato che non avevano più toccato la terra ferma.
Le ricerche erano andate bene, avevano un piccolo sottomarino che permetteva di scendere a grandi profondità, avevano recuperato a 6500 metri di profondità delle rocce di granito, ed era una cosa strabiliante dal momento che quelle si potevano trovare solo sulla terra. Grazie al braccio meccanico di cui era dotato il sottomarino avevano raccolto diversi campioni che adesso dovevano sottoporre ad analisi petrografiche, geochimiche e geologiche. Un gruppo di ricercatori doveva quindi rientrare per effettuare queste analisi, mentre altri avrebbero perlustrato un’ampia circonferenza per rilevare l’ampiezza in cui queste rocce potevano essere ritrovate.
Era stata una scoperta emozionante come tutta quell’avventura del resto, svegliarsi con l’odore del mare ed addormentarsi cullati dal dondolio lieve dell’imbarcazione. Poteva causare problemi a chi soffrisse di mal di mare, ma non a Killian, lui lo adorava. Nonostante questo, non riusciva nemmeno più a contare tutti i tramonti che avevano osservato tristemente dal ponte della nave sperando di averla accanto. Era una mancanza costante, un piccolo tarlo insinuato nella mente ed ancora più profondamente nel cuore. Quindi nonostante la grandiosa esperienza per cui era grato, non aveva potuto fare a meno di contare i minuti che lo separassero dalla sua Emma.
Quando aveva messo piede sulla terra ferma dopo il volo che lo aveva riportato a Phoenix, non poté fare a meno di guardarsi intorno all’aeroporto sperando di vedere la sua chioma bionda distinguersi dalle altre ma di lei non vi era traccia, questo non lo sorprese più di tanto dato che lei non sapeva esattamente il giorno in cui sarebbe arrivato, era solo la sua mente che giocava brutti scherzi ma tutto sarebbe finito. Lui l’avrebbe ritrovata nel loro piccolo appartamento, si sarebbero stretti e tutto avrebbe ripreso a girare nel verso giusto.
Non era andata proprio così però.
Emma era nel loro piccolo appartamento, lo aveva guardato sempre con lo stesso amore ma dietro questo si poteva scorgere la tristezza. Lo aveva abbracciato, ma quando lui si era accostato al suo viso per baciarla si era girata velocemente dall’altra parte.
Quello che c’era stato dopo, lui preferiva non ricordarlo.
Preferiva non ricordare il suo sguardo farsi all’improvviso duro, la sua voce che non sembrava più nemmeno la sua. Preferiva non ricordare la prima volta che l’aveva vista sorridere per un altro uomo, i baci che si scambiavano e che erano per lui come una coltellata in pieno cuore.
Le spiegazioni non erano state sufficiente, lei aveva bofonchiato qualcosa sul fatto che Neal l’aveva salvata e lui davvero non capiva in che modo. Emma aveva chiuso il discorso rapidamente, Killian non lo aveva accettato. L’aveva cercata per mesi chiedendole spiegazioni, cercando in lei una parola, qualcosa che gli ricordasse la Emma di prima, ma lei era come spenta. Sembrava andare avanti per inerzia, senza essere davvero lei come se non le importasse più.
Era così ferito che per molto tempo non era riuscito nemmeno più a guardarla, ma quella mancanza aveva continuato a lacerarlo piano, così si era riavvicinato.
Le stava accanto in silenzio guardando la sua vita come uno spettatore esterno. Cercando qualcosa di lei in ogni azione, e lei piano piano era tornata. Non come prima, non con la stessa forza ma era riemersa nelle piccole cose, nei piccoli sguardi.

***

 
Lanciò un calcio ad un sasso mentre tutto quello che aveva passato nell’anno appena trascorso assumeva un senso. Anche le piccole azioni che lei aveva fatto involontariamente e a cui lui non aveva attribuito peso adesso sembravano più chiare. Avrebbe tanto voluto che le cose avessero preso una strada differente, lui sarebbe tornato e sarebbero stati in tre con la loro bambina dagli occhi verdi. Una famiglia.
Avrebbe voluto saperlo, starle vicino, soffrire insieme per poi rialzarsi. E se lei avrebbe voluto, lo avrebbero fatto un bambino.
Adesso non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, gli aveva negato la possibilità di scegliere e non poteva, non riusciva a perdonarla. Mentre girava tra le strade di Storybrooke cercava delle giustificazioni al suo comportamento, delle giustificazioni che gli permettessero di accantonare il risentimento perché l’amava, ma tutto quello che riusciva a trovare erano milioni di motivi per cui avrebbe dovuto dirglielo.
Ed allora la rabbia che cercava di controllare, rimontava prepotentemente dentro di lui prendendo il sopravvento.
Dannazione, aveva messo da parte la sua carriera per lei. Aveva gettato via ogni possibilità di continuare le sue ricerche in mare, per non turbarla e per non lasciarla nuovamente.
E lei che aveva fatto per lui? Lo aveva allontanato, gli aveva sbattuto in faccia la sua relazione con un altro, gli aveva nascosto la verità per più di un anno, lo aveva lasciato ed era scappata in quella cittadina.
Prese il telefono ed istintivamente, ancora prima di accorgersene compose un numero.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Never gonna be alone

Capitolo 7

Rientrò poco dopo l’alba, i raggi che penetravano dalla finestra illuminavano il viso pallido di un’addormentata Emma.
Poteva scorgere gli occhi gonfi nonostante il sonno, occupava una piccola porzione di letto. Le ginocchia rannicchiate contro il petto ed i capelli biondi sparsi ovunque. La stanza era silenziosa, soltanto il cinguettio degli uccelli tutti impilati sul filo della corrente elettrica che si poteva scorgere dalla finestra.
Killian si avvicinò senza fare rumore e si sedette nella sedia affianco alla ragazza. La sua mano si mosse involontariamente fino ad accarezzarle le guancie, non era più umide ma avevano ancora la tipica consistenza appiccicaticcia di chi ha pianto per molte ore.
Le accarezzò piano, pensando a quanto fosse bella persino in quelle condizioni.
Si sentiva strano, l’amore che provava per lei non era svanito e nemmeno si era attenuato. Continuava a rimanere stabile e gli riempiva ancora il cuore, ma adesso era accompagnato anche da qualcos’altro. Una sorta di dolore che aveva cercato di metabolizzare nelle poche ore precedenti, senza riuscirvi del tutto.
Avevano perso qualcosa d’importante, questo inevitabilmente aveva segnato il loro rapporto ma c’era dell’altro. Non poteva incolparla per aver perso il bambino, anche se aveva ancora bisogno di risposte al riguardo. Ciò di cui non poteva evitare di farle una colpa era il non essersi fidata della loro famiglia. Ed il fatto che lei avesse preferito un altro piuttosto che lui per tenere insieme i pezzi di se stessa, Dio, gli spezzava il cuore.
All’improvviso sentì una mano posarsi sulla sua, troppo distratto per accorgersi che la ragazza si era ormai svegliata e lo guardava con dispiacere, e con qualcosa che somigliava alla speranza forse per il fatto che fosse lì con lei in quel momento.
Tolse piano la mano e la guardò tristemente. Era più facile stare con lei mentre dormiva, quando i suoi occhi verdi non erano capaci di penetrarlo scavandogli l’anima.
Emma si mise a sedere, rimase in silenzio aspettando che fosse lui a dire qualsiasi cosa. Una cosa qualsiasi.
D’altro canto, Killian stava cercando di riordinare i pensieri e le domande che avrebbe voluto farle.
“Sei tornato” incapace di trattenere l’emozione nella sua voce, aveva bisogno di sentirlo parlare e lui sembrava indeciso sul proferire parola, non era riuscita più a sostenere il peso di quel silenzio.
“Per parlare” chiarì lui, la sua voce risultò più fredda di quanto egli stesso credesse.
La donna annuì. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato e sebbene non fosse pronta a reggere i suoi occhi feriti, doveva provare a dargli le spiegazioni che gli erano dovute.
“Quando?” Non riusciva ad articolare una frase compiuta, il tempo sembrava essersi fermato nonostante la sveglia sul comodino continuasse a scandire i secondi che inesorabilmente passavano.
Emma sospirò e si scandì la voce per evitare che uscisse a singhiozzi, “ho avuto un incidente qualche giorno dopo la tua seconda telefonata.”
Sentì un’altra fitta, anche quel dettaglio non gli era stato rivelato. Ecco perché l’ultima volta che l’aveva chiamata l’aveva sentita così diversa, anche quel tassello tornò al proprio posto mentre si apprestava a formulare la parola seguente.
“Come?” Saperla in ospedale, sola e spaventata, era dura da digerire. Se solo lo avesse saputo, se lei glielo avesse detto in quell’ultima telefonata, avrebbe fatto di tutto per tornare da lei evitando quei quattro mesi che rimanevano di assenza. Avrebbe persino preso la nave con la forza, se gli altri si fossero dimostrati contrari.
“Con il maggiolino” vide la sua espressione stranita e si affrettò a spiegare, “so che ti ho detto di averlo venduto, scusa. Non ricordo molto bene, sono per lo più cose confuse. Ricordo di aver immaginato che fossi lì, ho sentito la tua voce” provare a ricordare quel momento era doloroso.
La mano dell’uomo si posò subito sulla sua, non voleva che stesse male.
“E poi mi hanno detto del bambino. Non sapevo nemmeno di aspettarlo, Killian. Ti giuro che non lo sapevo, te lo avrei detto, non l’ho fatto per farti partire tranquillo. Ed in quel momento non c’era già più ed io mi sentivo così vuota e sola senza di voi.” Una lacrima le rigò il viso.
Killian non sapeva davvero cosa fare, vederla così lo distruggeva dentro ma in quel momento non poteva fingere che nulla fosse successo ed andare semplicemente avanti. Per quanto l’amasse.
“Mi dispiace per tutto quello che hai passato. Avrei voluto passarlo con te, guarire insieme, avrei voluto che me l’avessi permesso.” Asserì sconfitto, mentre si alzava cautamente dalla sedia.
Fece quattro passi in circolo, continuava a battere il piede per terra, un tic dovuto al nervosismo che rischiava di far impazzire Emma da un momento all’altro.
“Hai detto che non mi amavi, che amavi un altro.” Prese a massaggiarsi le tempie cercando di evitare che la sua testa scoppiasse.
“Ho mentito, Killian. Come hai potuto non capirlo” si asciugò una lacrima con il dorso della mano.
“Io non ho il tuo fottutissimo superpotere, Emma.” La sua mano sbattuta contro il muro ed il sussulto della ragazza lo fece sussultare a sua volta, prima di calmarsi leggermente e tornare a sedersi.
“Io lo volevo, un bambino tuo, lo volevo!”
L’uomo alzò gli occhi di scatto, incrociandoli finalmente a quelli verdi della donna. Vedeva la verità nei suoi occhi, dopo tante menzogne, vedeva finalmente la verità.
L’azzurro si sciolse ed il mare esplose.
Sentirle dire che voleva un bambino suo era quanto di più bello e doloroso contemporaneamente.
Si prese la testa con le mani e con i polpastrelli continuò a massaggiarsi le tempie con lenti movimenti circolari, non voleva che lo vedesse piangere ma lei comprese subito e s’inginocchiò al suo fianco.
Gli afferrò il viso e lo avvicinò a sé, lasciando che si appoggiasse sulla sua spalla. In un momento le posizioni cambiarono e si ritrovarono entrambi sul pavimento, lei gli circondava le spalle e lui soffocava le lacrime sul suo petto.
“Perdonami” mormorò lei piano, tracciando cerchi immaginari sulla sua schiena.
“Perdonami” ripeté, passando ad accarezzargli i capelli.
“Perdonami” una lenta cantilena che cullava entrambi.
Nessuno dei due seppe quanto tempo passarono seduti lì, forse pochi minuti od ore. Il sole era alto nel cielo, quando Killian si alzò e delle lacrime che aveva versato non vi era più alcuna traccia.
Soltanto gli occhi arrossati mal celavano il suo stato d’animo.
“Emma, io…  Devo tornare a Phoenix” concluse, porgendole la mano per fare in modo che si sollevasse mentre le diceva che doveva andare via, quando quello che lei avrebbe voluto sarebbe stato solo sprofondare ancora più in basso.
“Devi tornare?” Chiese spaesata, credeva che avesse ancora due settimane di ferie per cui tornare doveva essere una sua scelta personale, una sua scelta che derivava dal fatto che volesse lasciarla. Dunque tutte le sue paure si sarebbero avverate, l’avrebbe perso per avergli tenuto nascosta la verità.
“Occorre condurre delle analisi particolari su alcune rocce che hanno ritrovato, analisi che richiedono la mia presenza.” Chiarì, e lei in cuor suo gioì del fatto che si trattasse realmente di lavoro.
“O-Okay” mormorò piano, asciugandosi gli occhi nuovamente e sfregando le mani sulla maglia. “Io posso tornare con te, voglio dire, possiamo tornare insieme a Phoenix.”
“Ma la tua vita adesso è qui” asserì lui, allargando le braccia per indicarsi attorno.
“Una stanza ad una locanda ed un lavoro come cameriera? Il motivo per cui sono venuta qui era perché non sopportavo di farti del male, te ne ho fatto comunque purtroppo.” Le strinse le dita per un attimo conducendola sul letto e lasciando che si sedette sul bordo di questo, poi avvicinò la sedia per mettersi esattamente di fronte a lei.
“Quando sei andata via e sei venuta qui, in aeroporto mi hai detto una frase che mi ha fatto pensare parecchio. Hai detto che non possiamo vivere come due alberi intrecciati cresciuti insieme nelle avversità. Che dobbiamo riuscire a stare da soli prima di poter stare insieme. Ed io non capivo davvero perché stare con te era l’unica cosa che desideravo.”
“Che desideravi?”
Lui sorrise un attimo della sua preoccupazione, non capendo come potesse dubitare del suo amore quando lui era lì davanti a lei ed aveva cercato di affrontare la situazione in modo maturo cercando di evitarle altra sofferenza. Eppure adesso riusciva a capire le sue parole, riusciva a comprendere quanto reali fossero anche per lui.
“Io ti amo, Emma. Nonostante tutto. Avevi ragione però, noi siamo sempre stati insieme tanto che non sono mai riuscito ad immaginare la mia vita senza di te fino a quando tu hai deciso di lasciarmi fuori.”
“Io non volev..”
“Lo so, anche se ancora non riesco a capire perché tu non ti sia fidata della nostra famiglia e mi hai fatto male. So che probabilmente non lo hai fatto per ferirmi, ed io non sto facendo questo per ferire te. Non ho mai immaginato di dover passare la vita senza i tuoi baci, senza le tue carezze, senza le tue parole ed i tuoi occhi fino a quando tutto ciò che mi è rimasto di te era uno sguardo spento e delle parole vuote. Ho lottato per averti, anche come amica se non mi volevi in altro modo.” I ricordi di quel periodo irruppero prepotentemente nella sua mente, rendendolo ancora più abbattuto per quanto fosse possibile.
“Io ti ho sempre voluto, Killian. L’unico motivo per cui ti ho allontanato è che volevo davvero evitare che soffrissi, ma ti amavo così come ti amo adesso.” La mano della donna si posò sulla sua guancia, mentre gli occhi cercavano i suoi per far si che vi leggesse il vero.
“Credo sia più di questo, ho paura che sia più di questo.” Ci aveva pensato molto, la sua mente aveva elaborato una possibilità ulteriore e totalmente differente.
“Che intendi dire?” C’era qualcosa di più profondo che nemmeno lei riusciva a comprendere? Qualcosa che l’avesse spinta a tenerlo lontano? Lo chiese a se stessa dopo aver posto la domanda a lui, aspettando la risposta che tardava ad arrivare.
Killian si prese il suo tempo prima di dar voce ai suoi pensieri perché quella stessa verità lo spaventava e lo faceva sentire in colpa a sua volta.
“Ci ho pensato e sono arrivato alla conclusione che tu mi ritenessi colpevole per avervi lasciato, seppur inconsapevolmente, tanto da tenermi a distanza. Emma è chiaro che se io fossi stato lì, le cose sarebbero potute andare diversamente.”
Emma soppesò quelle parole, non che in cuor suo lo credesse davvero o gliene facesse una colpa ma era, si, era possibile che inconsciamente lo avesse allontanato anche per questo. Non ci aveva mai riflettuto apertamente, accantonando l’idea in qualche angolo recondito della sua mente.
“E’ possibile che ci abbia pensato, non voglio nasconderti più nulla, però non era solo per questo. Ti prego non dubitare del fatto che io volessi risparmiarti quella pena, che volessi risparmiarti me visto che non ero più la persona che conoscevi.” Lo accarezzò piano, lasciando che la sua barbetta ispida solleticasse i suoi polpastrelli. Era stata una tale stupida, aveva sbagliato tutto.
“Quindi è ufficiale, vuoi andare via?”
Le mani di entrambi si mossero involontariamente, ed ognuno la diresse verso la propria fronte mentre entrambi sussurravano “ufficiale”.
Si guardarono in quell’esatto momento per poi scoppiare a ridere. Non riuscivano a smettere mentre le lacrime si mischiavano alle risate. Era una cosa che avevano preso a fare guardando “How I met your mother”, era una tale sciocchezza ma ogni volta che pronunciavano la parola “ufficiale” oppure “maggiore” lo facevano automaticamente senza nemmeno riflettere. E questo aveva causato molte situazioni imbarazzanti nell’anno precedente. Risero insieme di quello strambo momento.
Era strano come venisse fuori proprio in quell’attimo, in una circostanza oltremodo delicata come a voler stemperare la situazione.
“E’ lavoro, devo farlo. Ho bisogno di farlo da solo. Non ti impongo di rimanere qui perché la vita è tua, però non cambierebbe nulla al momento.” Lei annuì, ancora scossa dalle risate precedenti mentre buttava stancamente la testa sulla sua spalla.
“Devi andar via adesso?” Mormorò, tirando su col naso per impedire ad altre lacrime di uscire. Sembrava una bambina, ed era assolutamente adorabile. Le ciglia lunghe imperlate da piccole gocce, i capelli scombinati e la fronte corrugata per il disappunto.
“C’è un volo tra tre ore, quindi penso sia l’ora di salutarci.” Le si avvicinò cautamente, stampandole un bacio sulla fronte.
“Non è come se fosse finita per sempre vero?” Chiuse gli occhi nel momento esatto in cui lui si allontanò un po’ dalla sua fronte, era stato così intimo quel contatto che il pensiero di doversene privare la tormentò.
Killian negò con la testa “non per sempre”.
“Starai bene?” Era importante per lui, Emma sorrise di queste sue piccole accortezze, di come si preoccupasse di lei comunque.
Non rispose, ma cercò di tirare gli angoli delle labbra in un piccolo sorriso “e tu? Tu starai bene?”
“Ciao Swan” le accarezzò brevemente il braccio prima di andare verso la porta, l’adagiò piano alle sue spalle mentre lei sussurrava “ciao Killian”.
 
Buttò tutto disordinatamente dentro la valigia, aveva bisogno di uscire da lì il prima possibile e non aveva tempo per fermarsi a piegare i vestiti cosa che faceva meticolosamente di solito.
Fortunatamente non aveva tirato fuori tutto quindi non perse molto tempo, la sua canottiera grigia era sicuramente rimasta nel bagno dell’altra stanza ma non poteva tornare a prenderla nonostante avesse soppesato l’idea.
Chiuse la cerniera, non senza qualche difficoltà e si avviò giù per le scale.
“Granny” accennò un sorriso mentre porgeva gentilmente la chiave all’anziana signora, adesso anche un po’ sconvolta.
“Killian” lo richiamò Ruby, il ragazzo si voltò “devo rientrare per lavoro” chiarì in modo sbrigativo.
Le ringraziò con calore, poi si avvicinò a Ruby e l’abbracciò goffamente “stalle vicino” sussurrò al suo orecchio prima di riprendere la valigia ed avviarsi fuori verso il taxi che lo aspettava.
Diede indicazioni affinché lo portasse all’aeroporto e poi si lasciò andare contro il sedile.
 
***
 
Non avrebbe più pianto, si era ripromessa di concentrarsi attivamente per cambiare ciò che non andava nella sua vita cominciando col cercare un nuovo lavoro. Per quanto fare la cameriera fosse un lavoro rispettabilissimo e le permettesse di mantenersi, lei non era fatta per dispensare mille sorrisi ed essere sempre cortese.
Da un po’ di giorni spulciava i giornali locali, in cerca di un lavoro che fosse più consono al suo modo di essere. Un lavoro che le permettesse di sentire nuovamente i suoi muscoli facciali che dopo una giornata di sorrisi sembravano decisamente intorpiditi, qualcosa che le consentisse, perché no, di lasciare la locanda e trovare un posto suo.
Non voleva comprare un appartamento perché non era certa di voler mettere radici in quella cittadina ed un investimento così importante avrebbe reso la scelta di restare più definitiva, pensava di affittare qualcosa magari vicino al centro così da potersi spostare liberamente senza aver bisogno di una nuova auto. Dopo il maggiolino non l’aveva più comprata e doveva ammettere che quella vecchia ferraglia le mancava parecchio.
“Un caffè nero e ristretto” la voce dello sceriffo la distrasse, il locale era ancora vuoto quindi si era permessa di continuare a cerchiare con un colore rosso tutte le inserzioni che le sembravano più indicate.
“Ciao Graham, arriva subito” lo salutò brevemente e cominciò ad armeggiare con la macchinetta del caffè.
L’uomo si sedette ad uno sgabello. Prese a guardarsi intorno con aria sorpresa vedendo il giornale con tutti gli annunci cerchiati in rosso.
“Cerchi un nuovo lavoro?” Chiese vinto dalla curiosità, nonostante non fosse un tipo granché espansivo. La ragazza si voltò, asciugandosi le mani e prendendo la tazza per porgerla allo sceriffo.
“Diciamo che non mi dispiacerebbe smettere di fare caffè. Voglio dire, qui mi trovo benissimo ed è davvero un buon lavoro ma non è..”
“La tua massima aspirazione.” Completò quello, prendendo un sorso della bevanda scura.
“Già non lo è” annuì la bionda.
“Senti, io ed il mio collega, David non so se lo conosci..”
“Si, il fidanzato di Mary Margaret. Lei ha fatto e continua, saltuariamente, a fare dei turni qui quando è libera dall’insegnamento.” Spiegò.
“Ad ogni modo, noi stiamo cercando qualcuno. Per il momento ti occuperesti dell’ufficio, ci sono un sacco di scartoffie da sistemare. Poi potresti seguire diversi corsi per entrare nelle forze dell’ordine, sai Storybrooke è una cittadina tranquilla, non capita quasi mai nulla. David presto si sposerà e mi farebbe comodo una mano ed aiuterebbe lui.” Traspariva dal suo sguardo quanto tenesse all’amico. Soppesando quella proposta, non ci volle molto per ritenerla un’ottima possibilità.
Graham aspettò pazientemente che la ragazza si decidesse a parlare mentre finiva di sorseggiare tranquillamente il suo caffè. Sembrava una brava persona da quello che aveva potuto constatare durante le sue visite, ed a lui e David faceva comodo un aiuto in ufficio dal momento che il suo collega stava per sposarsi.
“Penso che sia un’ottima occasione” rispose Emma, sorridendo lievemente.
“Allora presentati in ufficio quando non sarai di turno e ne parleremo insieme.” Le porse un piccolo biglietto in cui vi era segnato l’indirizzo, non che ci volesse molto per sapere dove si trovasse data la grandezza della città.
Emma annuì, osservando l’uomo uscire e pensò che magari era giunto il momento di fare qualcosa per sé. Iniziare un nuovo capitolo della sua vita e dato che non le andava di cambiare taglio di capelli, avrebbe cominciato cambiando lavoro.
Avrebbe fatto qualcosa per se stessa, ma questo non contemplava comunque il mettere da parte Killian. Lui aveva avuto bisogno di tornare a casa e lei aveva rispettato la sua scelta rimanendo lì, era stato dolce nonostante fosse ferito ed era davvero ammirevole come avesse cercato di non ferirla più di quanto già non fosse.
Doveva amarla tanto, come lei amava lui e non avrebbe permesso che il tempo li allontanasse. Aveva deciso solo di concedergli un po’ di spazio rimanendo in un angolo della sua vita e sperando che lui riuscisse a perdonarla. Ed anche se questo faceva a pugni con la scelta di avere una carriera più stabile lì, non poteva fare a meno di volersi sentire legata a qualcosa.
“Mi manchi. – E” scrisse rapidamente quel messaggio e ripose il telefono nella tasca del suo grembiule. Non si erano sentiti spesso in quei giorni, la maggior parte delle volte lui non rispondeva ma voleva dimostrargli che lei era ancora lì e ci sarebbe stata come lui aveva sempre fatto con lei, e se doveva aspettare, se doveva essergli solo amica in quel momento, se doveva solo accontentarsi di avere un poco di lui, lo avrebbe fatto.
 
***
 
“Mi manchi. – E” sorrise involontariamente nel leggere quelle parole.
Gli era capitato di non dormire in quelle notti da solo, la maggior parte dei giorni si era svegliato con profonde occhiaie violacee ed emicrania continui, ma quelle parole gli diedero sollievo per qualche minuto prima che fosse richiamato per controllare un’analisi.
Ripose il telefono in tasca e si avviò verso Peter. Questo gli mostrò dei fogli in cui figuravano analisi di laboratorio e poi un breve dischetto che conteneva dei frammenti di roccia da analizzare al microscopio.
“Guarda, Killian” l’uomo si avvicinò, ponendosi sotto la luce per leggere meglio. “Questa roccia non poteva trovarsi a quei livelli di profondità. Sono presenti solo nella superficie terreste e sai questo cosa vuol dire?” Chiese tutto eccitato, muovendo concitatamente le mani.
“Si, amico. Vuol dire che abbiamo qualcosa.” Sorrise l’uomo, accarezzandosi la barba leggermente incolta ed avviandosi nell’altra stanza per informare alcuni colleghi.
La giornata era trascorsa più rapidamente di quanto credesse, complici tutte quelle nuove scoperte importanti che rendevano il suo lavoro più interessante. Era stato impegnato a parlare con gli altri, a condurre ulteriori ricerche ed elaborare teorie. Tutto era stato così frenetico che per un momento aveva smesso persino di pensare, ma adesso nella solitudine del suo piccolo appartamento la situazione era nettamente differente e ciò che desiderava, tutto ciò che voleva in quel momento era poter condividere quella scoperta e quell’emozione con lei.
Prese il telefono, indeciso sul da farsi. Chiamarla o mandarle un messaggio?
Si rigirò l’apparecchio tra le mani, mentre i dubbi lo assalivano ed il passato tornava a bussare prepotentemente alla sua porta.
All’improvviso il telefono non era più nelle sue mani ma scagliato contro il muro, cadendo a terra con un rumore sordo attutito dal tappeto.
<< Ottimo, Killian. Spacca il telefono contro il muro solo perché sei frustrato. >> Parlò ad alta voce mentre si avvicinava per recuperare i resti. Fortunatamente sembrava, per lo più, intatto nonostante la batteria si fosse riversata sul pavimento e gli toccasse metterla a posto.
Lo accese velocemente controllando che il quadro funzionasse e poi lo ripose sul mobile lì vicino per recarsi in cucina a preparare qualcosa da mangiare.
 
Non era il giorno giusto quello.
L’avrebbe smaltita prima o poi, il risentimento, l’essersi sentito escluso, ferito, gettato. L’avrebbe smaltito, no?
Non riusciva a parlarle adesso, non nel modo in cui avrebbe voluto. Ed allora che avrebbe fatto?
Lei era l’amore della sua vita, sapeva di non poter buttare tutto. Avrebbe causato dolore a lei ed anche a se stesso. Aveva solo bisogno di altro tempo, tempo per ritrovare nei suoi occhi la persona che era.
L’unica cosa che poteva sperare era che il tempo non li allontanasse ulteriormente.
Che fosse un unguento utile a lavare via il suo dolore.
<< Mi manchi anche tu. >> Non lo scrisse, ma sperò che le arrivasse comunque.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Never gonna be alone

Capitolo 8

“Abbiamo la pizza, lattine di birra e torta al cioccolato” disse Ruby, irrompendo rumorosamente nella stanza dell’amica. Con le mani teneva la scatola della pizza cercando di far stare in equilibrio il piatto con la torta posto sopra questa mentre si avviava con una busta piena di lattine sospesa al braccio.
“Sembra perfetto” urlò la bionda.
Uscì dal bagno con indosso dei pantaloni neri ed una larga maglia da uomo che sicuramente non apparteneva a lei mentre si tamponava i capelli con un asciugamano, faceva ancora abbastanza caldo da poterli tenere in quel modo senza doverli necessariamente asciugare con il phon.
Ruby non disse nulla sul suo abbigliamento, Killian le aveva chiesto di starle vicino e le lo faceva – lo avrebbe fatto in ogni caso – limitandosi a lasciarle i suoi spazi ed aspettando che fosse lei a parlarle di cosa non andava.
“Sto morendo di fame” Emma si sedette sul letto a gambe incrociate, afferrando un enorme pezzo di pizza mentre Ruby stava già addentando il suo.
Poi la vide mentre afferrava il telefono agitata come una ragazzina alla prima cotta, masticare velocemente e deglutire rumorosamente prima di strisciare il dito sulla cornetta verde e rispondere in maniera agitata seppur cercando di nasconderlo.
Poco dopo era vicino alla finestra tutta sorrisi e sospiri. Emma udì parole veloci scivolare via come gocce su una lastra di vetro, prima lentamente e poi in un colpo non vi erano già più.
“Certo, ci vediamo domani” la sentì mormorare, adesso più rilassata segno che la conversazione si stesse concludendo. Tornò sul letto con un gran sorriso che cercò di celare malamente perché gli occhi brillanti la tradivano.
“Un nuovo spasimante?” Chiese Emma pensando che forse era stata troppo preoccupata della sua vita privata per chiedere all’amica se anche lei avesse qualcosa da dirle.
Ruby alzò le spalle, voleva minimizzare per non farla sentire male ed era tipico di lei. Un attimo prima era una macchina animata dall’irrefrenabile desiderio di riempire qualsiasi silenzio con una miriade di parole, l’attimo dopo era la persona comprensiva, troppo attenta ai sentimenti ed incapace di gioire per qualcosa che poteva rievocare il suo dolore.
“Sai che puoi dirmelo, no? Anche se le cose con Killian non vanno bene, non significa che tu non possa parlarmi di ciò che ti rende felice.” Le accarezzò la mano dolcemente, cercando con un sorriso rassicurante di infonderle calore. Le importava di lei.
“Non quando ciò che mi rende felice fa soffrire te” asserì la mora, prendendo un altro boccone di pizza e pensando di aver messo fine alla discussione.
“Non mi fa soffrire” sorrise brevemente, prese una lattina di birra e l’aprì per berne un sorso, “sono felice che tu sia felice. Sei la mia migliore amica ed io voglio poter credere che quest’uomo ti meriti abbastanza ma a giudicare dal tuo sorriso direi che lo fa.” La prese in giro, e nonostante Ruby non fosse il tipo di ragazza da imbarazzo facile, quella volta arrossì leggermente perché quello che sentiva in quel momento non era mai stato così vero.
“Si chiama Victor e lavora in ospedale, è un dottore.” Confessò e poi si lasciò andare davvero, raccontando di come l’avesse conquistata e di come la facesse sentire bene ogni giorno.
Emma sorrise tante volte nell’arco di quella serata, vedere la sua amica così coinvolta in una storia non era una cosa usuale e non solo a causa della distanza ma proprio perché non era mai stata così contenta ed entusiasta di qualcuno.
Così si perse ad ascoltare il fantastico idillio di un nuovo amore che sboccia, con la mente ricordò perfino di quanto lei stessa aveva cominciato a provare quelle emozioni tanti anni addietro e di come queste fossero maturate e si fossero rafforzate con gli anni al contrario di quanto raccontavano le vecchie coppie sull’affievolirsi dell’amore. Ed era vero che una buona parte dei gesti che compivano erano ormai abitudine ma era bello certe volte non aver bisogno di parlare per capirsi, o completare semplicemente le azioni o i gesti dell’altro spontaneamente e non aveva nulla a che fare con la monotonia, sapeva semplicemente di rassicurazione e casa. Quello che non sentiva in quel momento.
Questi pensieri non le impedirono di partecipare attivamente alla discussione, ponendo domande su come l’amica si sentisse e ridendo con lei, ed era bello condividere quei momenti e trovarla così sinceramente felice.
“Sai Emma, io penso che le cose con Killian si risolveranno” la stranì ad un certo punto con quella rivelazione. L’espressione della bionda cambiò repentinamente seppur volesse mantenere una certa compostezza non poteva evitare al suo cuore di accelerare e alle sue mani di sudare. Ed i suoi occhi, beh, quelli la tradivano sicuramente.
“Ormai non sono più sicura di nulla a riguardo” sospirò pesantemente.
“Non so cosa sia successo, ma lui ti ama. Si vede da lontano un miglio quanto ti ami, confesso che non ho mai capito come qualcuno potesse amarsi così intensamente come voi due, le cose si sistemeranno. Fidati, deve succedere.” Sistemò lentamente un pezzo di torta al cioccolato e passò il piatto all’amica.
“Lo spero tanto. Ti devo chiedere scusa Ruby, io avevo dimenticato cosa significasse avere un’amica fino a quando non sono arrivata qui, quello che abbiamo adesso non lo perderemo più anche se le cose dovessero aggiustarsi ed io me ne andassi. Ci saremo sempre l’una per l’altra.” Lasciò il piatto da una parte e si buttò di slancio tra le braccia dell’amica che l’accolse felice e sinceramente commossa.
“Emma Swan che dice cose dolci. Siamo sicure che il mondo stia ruotando nel senso giusto, vero?” La prese in giro mentre le accarezzava i capelli, suscitandole una risata tra i singhiozzi.
“Fa qualcosa per te oltre che per lui e va a riprendertelo” l’ammonì bonariamente stringendola un po’ più forte, “ed adesso mangiamo questa delizia” concluse, porgendole nuovamente la torta e vedendola sorridere tra le lacrime. Gli occhi rossi però erano un po’ più sicuri.
Avrebbe davvero dovuto fare così, forse quello di Ruby era un buon consiglio. Nonostante non avesse voluto che partisse con lui, magari gli faceva comunque piacere vederla lì. L’aveva rincorsa talmente tanto negli anni, che forse toccava a lei adesso fare lo stesso, muovere un passo verso di lui, correre alla sua porta.
“Forse lo farò” annuì velocemente, asciugandosi le ultime lacrime con il dorso della mano e prendendo una forchettata di torta. Mamma mia, era davvero una delizia. L’assaporò con una nuova convinzione, se lo sarebbe ripreso.
 
***
 
L’appartamento profumava di lei quella mattina, l’odore di lavanda si diffuse nella stanza inebriando le narici di Killian ed inducendolo ad aprire gli occhi, solo allora capì di avere il naso immerso in una chioma bionda ed il pensiero della sera precedente irruppe prepotentemente tra i suoi ricordi.
Quanto le era mancata, i suoi occhi, i suoi abbracci, le parole che le sfuggivano in preda al desiderio. Il suo farsi piccola tra le sue braccia forti prima di addormentarsi e l’incastrarsi insieme per poi risvegliarsi accaldati ma felici. La quotidianità.
Non la viveva da troppo tempo. Voleva alzarsi e prepararle la colazione com’era solito fare ma aveva paura, paura che lasciando quel letto anche lei sarebbe svanita. Quindi decise di rimanere ancora un po’, gustandosi il calore del suo corpo, il colore sulle sue guance e quella rilassatezza che lo induceva a credere che fosse felice anche nel sonno.
La mano ancora intrecciata a quella della donna era comodamente adagiata sul petto di quest’ultima che si alzava ed abbassava ritmicamente seguendo il corso del suo respiro regolare. Killian rimase affascinato da quel movimento, e concentrandosi sul battito del suo cuore si rilassò, sembrava quasi una ninna nanna che lo invitava a riprendere il sonno perché tutto era reale ed al nuovo risveglio sarebbe rimasta comunque per lui.
 
As strong as you were, tender you go, 
I'm watching you breathing, for the last time.
A song for your heart, but when it is quiet,
 I know what it means and I'll carry you home.
 
Il secondo risveglio di quella mattina non era stato affatto come il precedente. C’era sempre quel fantastico odore sul suo cuscino e la sensazione di pace che comportava, ma non sentiva più la consistenza del suo corpo sotto la sua mano ed aprendo gli occhi di scatto si rese conto del motivo. Il letto era vuoto.
Le coperte sfatte si trovavano raggomitolate in un angolo e dei suoi vestiti non vi era traccia, come se non fosse mai stata lì. Solo una cosa tradiva quell’apparente assenza.
Un biglietto ripiegato sul comodino e scritto con una calligrafia disordinata e veloce, solo tre semplici parole: non succederà più.
Non ci poteva credere. Non era quello che si era aspettato e decisamente non era quello che voleva.
Non aveva mai voluto essere l’altro perché era sempre stato lui, solamente lui, e non era pronto a sentirsi in quel modo. Usato, triste, spento, non amato e non degno d’amore.
Avevano sempre fatto l’amore con lei, mai del sesso. Era sempre amore, struggente, passionale, emotivo, doloroso, confortevole, ma lo era sempre stato. La notte precedente forse era andata diversamente per lei, forse lo considerava soltanto qualcuno da scoparsi perché il fidanzato non l’appagava abbastanza. Qualcuno da una sola volta, quando lui voleva essere qualcuno da tutta la vita.
 
***
 
Tutto sembrava muoversi a rallentatore ed era strano che ogni volta che entrasse in aeroporto le capitasse di sentirsi così spossata. L’ultima volta che vi aveva messo piede la gente sembrava muoversi freneticamente mentre lei non sapeva esattamente cosa fare invece adesso che lo sapeva, tutto procedeva con una lentezza estenuante. Dopo una fila immensa riuscì ad eseguire tutti i controlli utili all’imbarco e finalmente dopo qualche minuto si ritrovò sull’aereo che l’avrebbe riportata a casa. Da lui.
Aveva paura, un’incredibile paura di suscitare una reazione opposta da quella che desiderava. Magari le avrebbe inveito contro, intimandole di tornare a Storybrooke e ricordandole di non averla voluta lì qualche giorno addietro. Il fatto che quello fosse un volo serale e che non aveva nemmeno un posto dove andare, non giovava di certo ai suoi nervi anzi la rendeva ancora più inquieta e spaventata.
Era convinta, però, della sua scelta. Voleva semplicemente fargli capire che lo avrebbe rincorso o aspettato se questo voleva dire riaverlo. Ed anche se non l’avesse voluta lì, lei voleva comunque essere nelle vicinanze ed avere la possibilità di dimostrargli che ci teneva veramente, che aveva commesso tanti errori ma era pronta a combattere per averlo nuovamente e sperava che lui lasciasse aperta la porta per farla entrare nel suo piccolo mondo, così da ricreare il loro piccolo mondo.
Quando atterrò, il cielo era ormai scuro ma il luogo le era familiare come l’ultima volta che vi era stata ed il dolore riaffiorò lentamente. Erano cambiate così tante cose in pochi mesi, Killian sapeva la verità e la sua coscienza era più leggera, ma c’era ancora un velato dolore che sembrava una patina di pellicola trasparente che l’allontanava dal mondo facendole sentire in modo attutito ciò che la circondava.
Aveva salutato Ruby qualche ora prima, lei le aveva dato una certa forza nel compiere quel passo, le aveva promesso di chiamarla non appena arrivata e così fece. La conversazione fu breve e coincisa, quella le aveva augurato buona fortuna e l’aveva rassicurata nuovamente sull’entità dei sentimenti dell’uomo. Emma aveva annuito poco convinta dall’altra capo, preoccupata che i suoi sentimenti non bastassero a risanare il dolore che gli aveva fatto provare non solo nell’ultimo mese ma nel corso di tutto l’anno precedente.
Era il momento della verità però, e se doveva strappare via quel cerotto e lasciare sanguinare la ferita lo avrebbe fatto velocemente con un colpo secco.
Prese uno dei taxi che si trovava già fuori dall’aeroporto e gli diede indicazioni affinché la portasse a casa di Killian.
“Non riuscivo a stare senza vederti” smielato e troppo banale.
“Ti prego non sbattermi la porta in faccia” troppo patetico e da disperata. “Tu sei disperata, Emma” la sua coscienza parlava per lei ormai, nonostante lo fosse non poteva realmente dirgli una cosa del genere.
Non riusciva proprio a trovare una frase decente con la quale cominciare, era partita così in fretta che non aveva avuto nemmeno il tempo di prepararsi un discorso, qualcosa da dirgli.
Aveva fatto la valigia ed era andata a parlare con Graham perché aveva pur sempre preso un impegno e non le andava di lasciare tutto così senza comunicargli nulla.
Lui si era dimostrato comprensivo, d’altronde sapeva cosa significasse fare pazzie per amore e se si era trasferito a Storybrooke era proprio per quello. L’aveva rassicurata e le aveva raccomandato di seguire comunque un corso a Phoenix, così avrebbe comunque potuto avere una strada da seguire nel caso non fosse riuscita nel suo proposito. Lei lo aveva ringraziato ed era scappata via con Ruby al seguito per salutarla prima di andare all’aeroporto. 
Mentre pensava a cosa dire vide la solita Bakery dove spesso si fermavano a fare colazione o dove andavano la sera per lasciarsi andare a qualche peccato di gola al sapore di cioccolato.
“Si fermi un attimo, compro una cosa e torno” comunicò al tassista, aprendo lo sportello senza nemmeno aspettare una sua eventuale risposta.
Quel posto era così familiare, stile francese, piccole poltroncine in vimini ed eleganti tavolini in ferro battuto. La luce tenue conferiva un’aria di relax ed intimità, mentre nell’ala destra vi erano tutti gli espositori contenenti diverse delizie:  cupcakes, brownies, muffins, torte intere e a fette, apple pie, cheesecake, panini.
 
***
 
“Due cupcakes e due muffins da mangiare qui, mentre due pezzi di torta e qualche brownies da portar via”. Avevano scoperto quel piccolo paradiso soltanto da qualche giorno, ma non erano mai potuti andare per colpa di diversi inconvenienti che si erano protratti quella settimana. Adesso Killian sembrava volerlo svaligiare di ogni dolce disponibile ed Emma non poteva far altro che ridacchiare vedendo il suo entusiasmo mentre indicava con l’indice tutti i dolci che da lì a poco avrebbero mangiato.
Si sedettero in un tavolino poco distante e dopo qualche secondo quattro piattini perfettamente intagliati e colmi di delizie vennero piazzati di fronte ai loro volti.
“Ecco qui, le altre cose potete passare a prenderle dalla cassa prima di uscire” disse gentilmente una simpatica ragazza sulla trentina con un marcato accento straniero.
“Va bene, grazie.” Rispose Emma, mettendosi davanti il piatto con il cupcake al cioccolato bianco e fondente che aveva da subito attirato la sua attenzione. Killian rise sotto i baffi nel vederla così allegra solo per del cioccolato, ma sapeva quanto fosse golosa ed aveva ordinato tutto quel cibo proprio per questo. Adorava guardarla mentre mangiava di cuore, arrivando persino a macchiarsi il naso con la crema al cacao. Era completamente diversa dalle altre ragazze, attente a mangiare insalata e cose prive di grassi. Lei viveva e sapeva apprezzare ciò che aveva, ed era dolce e testarda, forte e fragile insieme, e l’amava. Dio quanto l’amava.
“Smettila di fissarmi e mangia” lo ammonì, lo aveva beccato mentre si lasciava andare a quelle mute riflessioni. Sorrise, il suo sorriso da furfante, ed abbassò lo sguardo sul suo piatto per provare quelle pietanze.
“Non avremo preso troppe cose?” Chiese lei, addentò l’ultimo pezzo di cupcake e si ripulì le labbra con un tovagliolino. Lui la guardava completamente rapito dai quei movimenti che reputava buffi e sexy contemporaneamente, come poteva esistere qualcuno che riuscisse a fare una cosa del genere? Sembrare sexy pulendosi con un semplice tovagliolino e poi farlo ridere perché aveva scordato di passarlo anche sul naso.
“Anche qui” disse, catturando quella crema e portandosela alle labbra, “e no, non abbiamo esagerato perché so quanto tu sia golosa” la prese in giro.
Sorrise.
 
***
 
Il brontolare del suo stomaco fu così rumoroso da risvegliarla dallo stato di torpore nella quale era caduta abbandonandosi ai pensieri.
“Emma, non ti fai vedere da queste parti da un bel po’.” Si avviò verso il bancone, dove una simpatica Ella la salutava gioiosamente.
“Non sono stata in città” si perse ad osservare tutti gli espositori fino a quando trovò quello che cercava.
“Non ti vedo dal matrimonio, dimmi vi è piaciuta la torta?” Ella aveva personalmente disegnato e realizzato la torta per il matrimonio. Avrebbe preferito realizzarla per un altro matrimonio dato che adorava quando i due ragazzi mangiavano nella sua piccola Bakery, erano sempre allegri, pronti a prendersi in giro e sembravano così innamorati, tanto che si era sorpresa quando non si erano più presentati da lei ed ancora di più quando lei le aveva commissionato la torta per il matrimonio con un altro.
“Ehm, nessun matrimonio ma sono sicura che la torta sia piaciuta moltissimo a chi l’ha mangiata.” Non sapeva perché avesse chiesto a lei di fare quella torta, quel luogo del resto non l’aveva mai condiviso con Neal, non era mai stato loro e lei non amava andarci nemmeno da sola ormai.
“Puoi darmi due cupcakes al cioccolato bianco con crema di fondente” erano quasi secoli che non ne mangiava uno e le erano mancati in un certo senso.
La ragazza sorrise radiosa riconoscendo ciò che erano soliti prendere, ma non disse nulla. Si limitò a porgerle la scatola, “omaggio della casa e non accetto repliche”.
Emma la ringraziò calorosamente e le promise che sarebbe ritornata al più presto perché nessun altro posto era come quello.
Raggiunse nuovamente il taxi e dopo qualche minuto era sotto l’appartamento di Killian.
Pagò e scese.
Le sue mani erano così sudate e la sue labbra così secche che non era sicura di riuscire a suonare tantomeno a parlare, figurarsi dire qualcosa di sensato.
La porta blu si spalancò e lei ringraziò mentalmente per il fatto che non avrebbe dovuto suonare al campanello esterno, almeno così aveva la possibilità di rimanere sul pianerottolo.
Il ragazzo che uscì le tenne la porta per permetterle di passare e lei lo ringraziò cortesemente prima di correre su per le scale.
Salì al secondo piano, si asciugò freneticamente la mano sui Jeans sgualciti prima di bussare alla porta. Nessun rumore proveniva dall’interno, accostò l’orecchio al legno ma nulla. Sembrava essere vuota, forse non era a casa o peggio si era trasferito per non essere trovato.
<< Calma Emma, stai impazzendo. >> Si ripeté a bassa voce, prese il cellulare tra le mani e fissò il suo numero sullo schermo indecisa se chiamarlo, mandargli un messaggio o non fare completamente nulla ed aspettarlo lì.
Dopo cinque minuti a contemplarlo in cerca di una soluzione, optò per l’ultima opzione e si sedette sulle scale appoggiando la testa al muro.
 
 
Quella giornata di lavoro era stata parecchio stressante e si era protratta più del dovuto, tutti quegli esami richiedevano tempo, tempo per farli, per analizzarli e trascrivere i risultati, e questo comportava il non avere avuto orari decenti nell’ultima settimana. Non che avesse bisogno di tempo per stare a casa, anzi più impiegava la mente in altro e meno pensava alla sua situazione ed era decisamente una cosa buona. Solo quando tornava a casa ed era tutto così vuoto e silenzioso, si sentiva male e cercava di riempire quei momenti con televisione e musica, qualcuno che parlasse ma non sembrava funzionare il più delle volte.
Si trascinò privo di qualsiasi voglia su per le scale, fino a quando arrivato nel suo pianerottolo una testa bionda appoggiata sul muro e decisamente addormentata fece fare un salto al suo cuore che si lanciò in una corsa frenetica che non riusciva mai a controllare.
Si avvicinò piano, cercando di fare un po’di rumore perché si svegliasse da sola non dando a lui l’ingrato compito di chiamarla ma quella sembrava profondamente addormentata e dalle marcate occhiaie che aveva sotto gli occhi sembrava che avesse parecchio bisogno di dormire.
Le tolse la scatola che aveva adagiata sulle ginocchia e l’aprì rivelandone il contenuto e sorridendo dolcemente di fronte a quella visione. Aprì la porta ed adagiò tutto sul ripiano mentre tornava da lei e la sollevava dolcemente facendo leva sulle ginocchia.
Entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle con un piede, Emma mugugnò nel sonno e sorrise inconsapevolmente e la sua mano si mosse a causa di qualche riflesso involontario vicino al suo petto e lei si strinse a lui come se quello fosse il posto in cui volesse stare.
Un brivido percorse la schiena di Killian mentre tutto quello accadeva sotto ai suoi occhi, e non aveva cuore di spostare la mano da lì, così rimase immobile per qualche secondo senza sapere bene cosa fare.
I suoi piedi si mossero da soli verso la camera da letto, le tolse delicatamente la giacca e poi la coprì con una coperta. Andò a farsi una doccia calda per cercare di calmarsi e di ragionare lucidamente.
 
Quella posizione era fin troppo comoda per Emma, aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno spaesata. I pensieri sulla sera precedente riaffiorarono poco dopo, si trovava in un letto e non più sul pianerottolo dove ricordava di trovarsi l’ultima volta che era stata sveglia e cosciente. Ciò che la sorprese fu il tranquillo e costante respiro della persona al suo fianco. Il cielo era ancora buio e lui dormiva profondamente. Non aveva deciso di tenerla lontana o di dormire sul divano ma si era semplicemente sdraiato vicino a lei.
Si era ritrovata mille volte in quella situazione, adorava guardarlo dormire e poi addormentarsi stretta a lui ma questo accadeva prima, non pensava che quella serata si sarebbe conclusa in quel modo.
Le aveva persino tolto la giacca e l’aveva coperta affinché non sentisse freddo.
Si avvicinò lentamente per non svegliarlo e per non spezzare quel momento perfetto e si strinse a lui cercando di non provocare movimenti bruschi. La sua testa adagiata all’altezza del cuore, alzò gli occhi verso di lui e poté giurare che quello che c’era in quel momento sul suo volto addormentato fosse un sorriso.
As strong as you were, tender you go, 
I'm watching you breathing, for the last time.
A song for your heart, but when it is quiet,
 I know what it means and I'll carry you home.
 
I raggi del sole che penetravano dalla finestra rendevano la stanza fin troppo luminosa e questo la ridestò dal suo sonno tranquillo. Si voltò leggermente e stirò una mano sul letto in cerca del corpo caldo che aveva condiviso quella notte con lei. I ricordi di qualche ora prima irruppero nella sua testa, era stato così bello trovarsi lì e semplicemente dormire con lui.
Aprì gli occhi ancora impastati dal sonno e ci mise un po’ per mettere a fuoco la stanza, tutto era perfettamente ordinato eccetto che per il letto, si voltò verso la radiosveglia che segnava le 10:00 del mattino. Si guardò intorno in cerca di una traccia, un rumore, qualcosa che segnalasse la sua presenza ma la casa era perfettamente silenziosa.
Solo sul comodino vi era un Cupcake, probabilmente quello che aveva portato lei la sera prima. Avrebbe voluto mangiarli insieme a lui e non da sola, ma aveva sprecato tutto addormentandosi come una stupida sul pianerottolo, senza avere la possibilità di parlargli, senza poter constatare dalla sua reazione se gli facesse piacere o meno che lei fosse lì.
Aveva dormito con lui ma non sapeva se quella fosse una semplice cortesia dettata dal non volerla lasciare fuori o se lui avesse realmente avuto il piacere di farlo. Adesso che ci pensava non sapeva proprio nulla.
Afferrò il dolcetto e si accorse che sotto c’era un pezzettino di carta ripiegato e scritto con una perfetta calligrafia: Devo andare a lavoro, dormi pure quanto vuoi, ci vediamo a pranzo.
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Never gonna be alone

Capitolo 8

Ripiegò il biglietto e lo lasciò sul comodino. Il suo stomaco protestò nuovamente come la sera prima e solo allora ricordò di non aver mangiato nulla per molte ore, spazzolò via il dolcetto con voracità meravigliandosi di quanto fosse buono nonostante fosse trascorsa un’intera notte.
Si alzò e si guardò intorno nella piccola stanza da letto. Tutto era molto ordinato ed era tipico di Killian che lo fosse, voleva sapere se vi fosse qualche traccia di loro in quella stanza ma non le andava di aprire i cassetti per appurarsene perché sarebbe stato come invadere la sua privacy.
Quella stanza le era ovviamente familiare ma era la situazione ad essere diversa, in genere la lasciava velocemente raccogliendo i vestiti sul pavimento e ripetendo frasi che suonavano come un “non succederà più” o “una cosa da una sola volta”, invece adesso quasi agognava la presenza dell’uomo nonostante fosse visibilmente preoccupata dato che la sera prima era stata così stupida da addormentarsi.
Quando ormai stava perdendo ogni speranza di vedere una traccia di lei, ecco che all’estremità sinistra del piccolo mobile in legno di castagno vi trovò un piccola cornice con una loro foto. Si avvicinò per prenderla tra le mani e la osservò tracciando con il dito il contorno dei loro visi felici e rilassati, lei era in primo piano e dietro lui la circondava con le braccia.
Rimase lì per qualche minuto a contemplarla, qualcosa si era formato al centro del suo stomaco quando l’aveva vista. Qualcosa che sapeva nuovamente di speranza.
Sistemò il letto accuratamente, lisciando tutte le pieghe e pulendo il comodino dai resti del cupcake, poi decise che era l’ora di cambiarsi, andò in bagno per lavarsi e sciacquò anche i vestiti che avevano necessariamente bisogno di una rinfrescata, si recò nell’altra stanza in cerca della sua valigia per mettere qualcosa di pulito, adesso che aveva rilassato un po’ i muscoli con l’acqua calda si sentiva decisamente meglio, si guardò intorno ma della valigia non vi era traccia,  girò in tondo un paio di volte ma sembrava davvero svanita nel nulla.
Ricordi della sera prima si propagarono nella sua mente, lei che scendeva dal taxi e pagava frettolosamente e poi la corsa su per le scale, ed in tutto questo della sua valigia non vi era traccia assolutamente.
“Ripensa all’ultima volta che l’hai vista” cercò di calmarsi mentalmente mentre rifletteva sul suo ultimo ricordo in cui questa fosse presente ma davvero non riusciva a ricordarsi se fosse all’aeroporto o se l’avesse lasciata sul taxi.
“Che stupida!” Esclamò ad alta voce lasciandosi cadere la testa tra le mani. Non aveva nulla da mettere, i suoi vestiti erano completamente zuppi, erano già le undici passate e non poteva andare a cercare la valigia in quello stato, praticamente nuda.
“Mantieni la calma, era solo il tuo essenziale ed ora non hai completamente nulla, ma niente di che, tranquilla” si prese in giro da sola, accorgendosi di stare farneticando come un pazza.
L’unica cosa per non rimanere in quello stato era indossare qualche indumento di Killian, avrebbe aperto i suoi cassetti ma si trattava davvero un’emergenza, non era come se stesse invadendo il suo spazio frugando tra le sue cose.
Dopo pochi minuti uscì dalla stanza da letto con un paio di boxer dell’uomo ed una maglia che le copriva le cosce fin quasi alle ginocchia.
Avrebbe sicuramente avuto il tempo di cambiarsi, in fin dei conti lui aveva detto per pranzo quindi sarebbe tornato verso le 13:30, ed i suoi vestiti per quell’ora sarebbero stati asciutti quindi adesso non aveva nulla da fare se non preparare qualcosa da mangiare.
Non era mai stata una gran cuoca, anzi tra i due era Killian quello che riusciva meglio a dire il vero, però non poteva non fargli trovare nulla una volta che quest’ultimo stava tornando dopo una mattinata di lavoro. Poi dopo pranzo avrebbe cercato di risolvere la questione della valigia, magari chiamando il centro dei taxi per vedere se avessero qualche sorta di ufficio in cui tener gli oggetti smarriti o recandosi nuovamente all’aeroporto.
Uscì vari ingredienti dalla dispensa, “non sai realmente cucinare se non sai fare degli ottimi spaghetti al sugo” si disse ad alta voce. Era una ricetta semplice e poteva tranquillamente cavarsela, sistemò gli ingredienti e mise a cuocere il sugo a fuoco lento. La pasta invece l’avrebbe cucinata più tardi in modo che non diventasse scotta.
Guardò il suo telefono per vedere se vi fossero messaggi e trovò quello di Ruby che le chiedeva come fosse andata. Le chiamò, raccontandole di quanto fosse stata sciocca ad addormentarsi e della situazione in cui si ritrovava al momento, la fece ridere di cuore e dopo una buona mezz’ora decise che era giunto il momento di mettere giù per tornare ad occuparsi del pranzo.
Tornò a guardare l’orologio che segnava mezzogiorno passato, ed adesso che il momento di vederlo si avvicinava sentiva lo stomaco torcersi dall’agitazione. Non aveva nemmeno più voglia di cibo e probabilmente non avrebbe mangiato, mancava così poco per rivedere i suoi occhi ed i suoi vestiti non erano ancora asciutti perché avendoli lavati a mano non era riuscita a strizzarli per bene, però sicuramente sarebbe passata ancora un’oretta prima del suo arrivo quindi avrebbe risolto a costo di indossarli ancora umidi.
Era ancora voltata verso il ripiano della cucina a tagliuzzare una lattuga per farvi anche un’insalata quando un rumore alle sue spalle catturò la sua attenzione, la porta si aprì prima di quanto avesse previsto e lo sguardo del ragazzo si posò sulla sua schiena e lei si sentì completamente paralizzata. Il coltello le scivolò di mano finendo dritto all’interno del lavandino mentre si voltava timorosa per incontrare gli occhi completamente sgranati di Killian.
Quest’ultimo deglutì rumorosamente, il pomo d’adamo fece su e giù in modo visibile. Uno strano imbarazzo si diffuse nell’aria, nessuno dei due sembrava in grado di proferire parola quando Emma si avvicinò a lui piano.
“Ciao” riuscì a bisbigliare dopo un po’ di secondi a fissarsi come inebetiti.
“Ciao” ribadì lui avvicinandosi a sua volta, ancora l’espressione sconvolta che stava cercando di mascherare per superare quella situazione. La verità però era che trovarla lì, così eccitante nella sua cucina immersa a preparargli il pranzo era qualcosa che gli piaceva più di quanto fosse lecito.
“Non che mi dispiaccia” il suo sopracciglio si alzò nella classica espressione ammiccante, “ma di grazia, perché non sei vestita?” Chiese, adesso leggermente curioso dato che non erano proprio in una situazione  rilassata che permettesse un simile approccio.
“Oh Killian, mi dispiace” mise fine alla distanza – ormai minima – che li separava e gli gettò inaspettatamente le braccia al collo. Killian non era sicuramente preparato a quel gesto, si ritrovò ad essere nuovamente immobile ma poi inevitabilmente si sciolse tra le sue braccia ed affondò il naso nel suo collo ispirando a pieni polmoni il suo profumo caldo.
“Io temo di aver smarrito la mia valigia mentre venivo qui ieri sera, ero così agitata all’idea di vederti” confessò imbarazzata mentre si nascondeva tra le pieghe della sua camicia azzurra.
“Agitata?” La sua voce uscì calda e rassicurante, la sua mano si mosse per accarezzarle i capelli mentre lei annuì continuando a nascondere il viso.
“Non sapevo come avresti reagito ed ho fatto un casino, prima mi addormento e poi mi faccio ritrovare mezza nuda perché non so dove sia finita la mia valigia. Ho lavato i miei vestiti e pensavo che tornassi tra un’ora, non era mia intenzione.” Le parole fluivano ancora più agitate e ad una velocità impressionante tanto che il ragazzo faticò per afferrarle tutte, lei alzò il viso per guardarlo e lui notò subito le piccole lacrime che si stavano formando intorno ai suoi occhi ma che lei faceva di tutto per non lasciare andare.
Portò le mani sul suo viso, raccogliendole con i pollici, “tranquilla, va tutto bene.”
Un odore di bruciato giunse alle loro narici ed Emma scattò verso i fornelli ma il sugo era ormai andato, “ottimo, ti ho lasciato anche senza cibo” la frustrazione era palpabile, anche Killian si avvicinò alle sue spalle per verificare la situazione ed effettivamente per il povero sugo non vi era più nulla da fare.
“La mangeremo in bianco, non fa nulla. Ci penso io. ” Strinse dolcemente la sua mano e poi la invitò a sedersi sullo sgabello della penisola perché averla lì era una distrazione troppo grande ed avrebbe finito per guardare lei anziché la cottura della pasta ed allora sarebbero davvero rimasti a stomaco vuoto.
Dopo un po’ di minuti la pasta era già nei piatti e loro erano seduti l’uno di fronte all’altra nella penisola, Killian le porse il piatto mettendole un po’ di formaggio per renderla almeno più saporita, sapendo quanto lei lo adorasse e fece lo stesso con il suo piatto.
Il pranzo si svolse quasi completamente in silenzio per buona parte del tempo, poi la prima a spezzarlo fu Emma, fece un respiro profondo e prese coraggio: “Non l’avevo pensato così, tu avresti dovuto trovarmi sveglia ed io avrei dovuto dirti quanto ti amo e quanto sia sinceramente dispiaciuta per averti fatto star male. Quanto sono disposta ad aspettare per te, a rincorrerti, a dimostrarti tutto quello che posso perché lo so che se me ne darai l’occasione potrei renderti felice, Killian Jones.”
L’uomo quasi si strozzò con l’ultimo boccone, non si aspettava di sentire quelle parole in quel momento ma cosa aveva sempre pensato su Emma e le tempistiche?  Lei non sapeva proprio azzeccare l’attimo giusto e questo la rendeva buffa ed impacciata ma anche così tenera che lui aveva imparato ad amare anche questa caratteristica.
“Non so bene cosa dire” dichiarò spaesato, ricevere quella dichiarazione gli aveva riempito il cuore e lo aveva sconvolto contemporaneamente. Ed era completamente senza parole.
“Solo che mi darai tempo per dimostrartelo, dimmi che non sono così stupida da aver mandato all’aria tutto definitivamente” la sua testa si fece improvvisamente pesante incapace quasi di sostenere il peso delle parole che sarebbero arrivate di lì a poco, l’appoggiò piano sulla mano mentre continuava a fissarlo in apnea.
Ed il mondo sembrava completamente fermo ed i secondi sembravano aver smesso di scorrere.
“Sei stata incredibilmente stupida” asserì lui, alzando lentamente ed avviandosi verso di lei. Le girò le gambe e si mise in mezzo per averla più vicina, “così stupida da spezzarmi il cuore, volevo starti vicino, volevo te, ti ho sempre voluta e ti ho sempre amata. Invece mi hai lasciato fuori da tutto e non è una cosa che posso riuscire a superare facilmente, ma so che hai sofferto anche tu, so che probabilmente ed incoscientemente lo hai fatto per proteggermi. Certo che ti darò tempo, ci daremo tempo e procederemo con calma.” Appoggiò la fronte sulla sua e poi raccolse con le labbra una sua lacrima, Emma agognava il sapore delle sue labbra che non sentiva da troppo tempo, troppi giorni.
Le cercò con voracità e si congiunse a lui, stringendo le mani dietro al suo collo e baciandolo piano e profondamente, passò alla sua barbetta per giungere alla giugulare e sorrise contro quella per quanto pulsasse rapidamente.
Lui non l’allontanò, non ne aveva la forza e faceva quasi male quanto la volesse, l’avrebbe presa anche in quel momento contro quel ripiano rimuovendole i suoi boxer e quella maglia troppo lunga ma non poteva farlo. Aveva bisogno di tempo, di fare le cose con calma, di non perdersi subito ed incondizionatamente in lei.
“I tuoi vestiti dovrebbero essere asciutti” mugugnò, cercando la forza per staccarsi da lei. Lei annuì riportando le labbra sulle sue e stringendosi a lui ancora di più, “forse è meglio che li indossi perché non riuscirò a trattenermi per molto” un ringhiò basso e gutturale scaturì dal profondo della sua gola e la sua mano si posò a coppa sul sedere di lei.
“Si” ansimò lei, staccandosi solo per incontrare i suoi famelici occhi azzurri adesso resi più scuri dalla lussuria.
Killian lasciò cadere la mano e fece un passo indietro riprendendo a respirare lentamente per cercare di controllarsi, “con calma” l’ammonì nuovamente e lei abbassò gli occhi ma sorrise divertita. Sapeva che probabilmente le cose non si sarebbero risolte subito però era bello sapere che prima o poi con un po’ di pazienza e di tenacia sarebbe riuscita a rimetterle a posto. Adesso non poteva pretendere nulla da lui, doveva semplicemente assecondare la sua volontà e aspettare che fosse definitivamente pronto a ricostruire ciò che insieme erano sempre stati.
Emma raccolse i vestiti e corse in camera a cambiarsi mentre Killian si occupò di sparecchiare e mettere a posto la cucina, quando lei uscì lo trovò ancora a lavare i piatti.
“Tu lavi ed io asciugo” propose mettendosi al suo fianco e prendendo una pezza dal cassetto, qualche ora prima aveva scoperto dove si trovassero ed aveva scovato anche il posto in cui teneva le posate.
“Killian..” lo richiamò, questo era assorto nell’insaponare la padella incrostata di sugo bruciato “mhh” si fermò un attimo per guardarla. “Grazie.”
Finirono dopo qualche minuto, mettendo tutto completamente in ordine e pronti ad occuparsi del secondo problema all’ordine del giorno: trovare quella dannatissima valigia.
Killian afferrò il telefono per chiamare il lavoro e dire che non sarebbe andato quel pomeriggio, aveva fatto così tanti extra in quei giorni che avrebbe potuto permettersi un po’ di riposo, sarebbero riusciti a sopravvivere continuando le ricerche senza di lui, e poi aveva decisamente voglia di rimanere lì dov’era o andare alla ricerca della valigia perduta.
“Non vai a lavoro?”
“No, ho fatto tanti straordinari negli ultimi giorni, pensiamo a recuperare la tua valigia.” Il motivo di quegli straordinari era chiaro ad Emma dato che anche lei cercava di impiegare il più possibile il tempo quando non le andava di pensare.
“Posso cavarmela” disse convinta, mentre gli passava affianco per prendere il cellulare ed il portafogli stipati sul mobile, almeno quelli aveva avuto la fortuna di tenerli in tasca così che non andassero perduti.
“Lo so, ma voglio aiutare.” Le sorrise, rassicurante sul fatto che non fosse un peso per lui ma solo un piacere ed un dovere verso l’umanità evitare che girasse in giro nuda provocandogli scompensi.
Quel sorriso lo aveva visto talmente poche volte negli ultimi giorni che avrebbe dovuto faticare per riabituarsi così da non rischiare un attacco di cuore ogni volta.
“Andiamo” prese le chiavi dell’auto e le aprì la porta per lasciarla passare.
 
 
L’ufficio oggetti smarriti era un piccola stanza grigia piena di oggetti tra i più disparati. Emma sperava di trovarla così da non doversi recare in aeroporto, il dubbio era se l’avesse mai ritrovata piuttosto.
C’era da sorprendersi di quanta gente smarrisse oggetti quotidianamente, molti di questi venivano portati lì e catalogati in un archivio ed altri invece probabilmente non avrebbero mai rivisto il loro legittimo proprietario.
Emma e Killian aspettarono che due ragazzi reclamassero ciò per cui si erano recati lì, mentre loro guardavano tutto con molta curiosità soffermandosi su oggetti dall’aria piuttosto strana per passare in rassegna quelli, invece, di uso comune.
Sembrava quasi il banco dei pegni o un negozio di antiquariato.
Non riuscivano a scorgere la valigia in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie ed Emma stava perdendo la speranza ancor prima di chiedere all’uomo che si trovava al bancone.
“La troveremo” tutto ciò che ottenne fu un’occhiata scettica da parte della bionda, “o ricompreremo tutti i vestiti” si affrettò ad aggiungere facendo spallucce.
“Divertente” bofonchiò l’altra, incrociando le braccia al petto ma segretamente grata.
“Come posso aiutarvi?” Si ridestò volgendo lo sguardo verso l’origine di quella domanda e si accorse che finalmente era arrivato il loro turno. L’ora della verità.
Si avvicinarono verso il bancone, un uomo sulla cinquantina li accolse con un sorriso inquietante. I lunghi capelli brizzolati ed il vestito fin troppo elegante per quel luogo lo resero piuttosto ambiguo però sembrava cordiale quindi magari era solo strambo ma bravo nel suo lavoro.
“Allora, mia cara, cosa ti porta in questo luogo?” Le sue mani si mossero in modo bizzarro ed il suo viso si fece un po’ inquietante. Emma lanciò uno sguardo torvo a Killian ma anche quello era stranito quanto lei.
“Ieri ho smarrito la mia valigia e, beh, speravo di trovarla qui.”
“Ieri, ieri, ieri” continuava a tamburellare il dito indice sul labbro per pensare prima di giungere ad una conclusione, “no, mi dispiace. Nessuna valigia.”
Mannaggia, Emma immaginava che non potesse essere così semplice ma un po’ ci aveva sperato.
“Su, cara, togli quell’espressione corrucciata dal tuo visino. Stavo scherzando, voi giovani di oggi non avete senso dell’umorismo.” Rise talmente forte da risuonare nella stanza mentre Killian mimava uno “sta fuori” con le labbra.
“Può darmela allora?” Cioè che aspettava, se la sua valigia era lì come diceva voleva riaverla indietro subito mentre l’uomo continuava a temporeggiare.
“Ogni cosa a suo tempo. Carta d’identità e compili questo modulo per dichiarare di essere passata a ritirarla.” Le porse un foglio ed una penna mentre digitava il numero della carta d’identità in un vecchio computer.
La ragazza compilò velocemente tutte le voci, mentre Killian vicino a lei la guardava in perfetto silenzio.
“Adesso, possiamo avere questa benedetta valigia?” Sbottò ad un certo punto, dopo che Emma ebbe consegnato il modulo.
“Certo, eccola qui.” La tirò fuori da sotto il bancone e la bionda sospirò di sollievo. Sembrava lei e sembrava integra. Killian la prese dal manico e la scese giù per permetterle di aprirla e di verificare che vi fosse tutto e fortunatamente sembrava così.
“Grazie, e buon lavoro.” Dichiararono entrambi, uscendo velocemente fuori da quel luogo.
 
“Hey, Killian.” C’era qualcosa che voleva fare con lui dalla sera prima, ma non ne aveva avuto l’occasione a causa della sua prematura caduta tra le braccia di morfeo.
Le mani di lui si muovevano sicure, una sul volante e l’altra sul cambio.  Sembrava talmente assorto nella guida da non sentirla, poi si riscosse quando percepì le sue dita fredde sfiorarlo delicatamente.
“Si?” Il suo volto la squadrò in cerca della probabile domanda che gli aveva rivolto ma non riuscendo a capire rimase in attesa.
“Ti va di andare a mangiare i Brownies da Ella? Ieri volevo mangiare quel dolce con te ma per colpa mia non abbiamo potuto” si rabbuiò un attimo, la sua risposta sembrava all’apparenza così semplice. Era solo un dolce in una Bakery per tutti gli altri, perché mai quel pensiero avrebbe necessitato di ponderazione infondo o lo si voleva o meno. Per loro però quel luogo rappresentava tanti momenti, ed in cuor suo Emma sperava ardentemente che lui volesse viverne altri proprio lì.
“Hai bisogno di dolcezza, Swan?” Indagò con un sorriso sghembo, facendo vagare lo sguardo tra lei e la strada.
“O magari oggi preferisco il gusto forte e passionale del cioccolato fondente.” Era brava anche lei a giocare a quel gioco e lui lo sapeva bene.
“Cioccolato fondente sia” l’auto sfrecciò più veloce sulla strada, fino a quando non giunsero in prossimità della Bakery in cui Emma era già stata la sera precedente.
Quando entrarono Ella li accolse in modo davvero caloroso.
“Ecco la mia coppia preferita” allargò le braccia e sorrise calorosamente. “Fatemi indovinare ieri Cupcakes, quindi oggi Brownies?”
Anche quella era un’abitudine, dopo la prima grande abbuffata di dolci, avevano imparato a controllarsi e ad alternarli nel corso dei giorni. Quindi se oggi toccava ai Brownies, probabilmente la prossima cosa sarebbe stata la cheesecake, sicuramente Rocky Road.
“E’ spaventoso come ricordi bene i nostri gusti alimentari” Killian finse una faccia spaventata ed Emma rise sommessamente al suo fianco prima di avviarsi verso il loro solito tavolo.
Qualche minuto dopo stavano consumando il loro dolce in tutta tranquillità, “non voglio approfittare della tua ospitalità ancora quindi prenderò una stanza in qualche motel” asserì apparentemente tranquilla, portando alle labbra un altro prezzo di Brownies.
“E dopo?”
“Che vuoi dire?” Masticò e mandò giù, il rumore della porta li distrasse e per qualche attimo volsero lo sguardo verso la giovane coppia appena entrata. Erano solo le 16:00 del pomeriggio ma il locale cominciava ad affollarsi, era accogliente ed ottimo per parlare quindi non era proprio una sorpresa trovarlo così rigoglioso nonostante prima fosse più tranquillo.
“Voglio dire, dopo tornerai a Storybrooke?” Non lo aveva ancora chiesto fino a quel momento, però era un tarlo che l’aveva tormentato nel corso della giornata. Strano come le cose cambiassero in poche ore perché adesso che lei era lì non voleva che andasse nuovamente via, e mandare avanti un rapporto a distanza era faticoso quando le cose andavano già bene figurarsi quando bisognava ricostruirle.
“Vuoi che me ne vada?” La voce salì di un’ottava ed anche la sua postura divenne subito più tesa.
“No, certo che no.” Le accarezzò la mano, intrecciando le loro dita sopra il tavolo ed entrambi guardarono quel groviglio di mani.
“Ti ho già detto che voglio stare con te quindi no, non partirò.” Era difficile pronunciarlo ad alta voce per lei che non amava sciogliersi in sentimentalismi, ma come qualsiasi essere umano anche Killian aveva bisogno di aver conferma attraverso le parole di ciò che probabilmente già sapeva senza.
“E che progetti hai?” S’interessò lui, sinceramente curioso.
“Ehm, oltre a riprendermi ciò che è mio, dici? – L’imbarazzo di poco prima sostituito da tutta la grinta che dimostrava in quel momento, anche la sua stretta era più forte ed il verde dei suoi occhi più intenso – Beh, mi sono stati consigliati diversi corsi per entrare nelle forze dell’ordine quindi direi che troverò un lavoretto e riprenderò a studiare” concluse.
“Ah, quindi sono tuo?” Possibile che avesse sentito solo quella parte del discorso?
La malizia che si percepì nella sua voce non doveva essere frutto dell’immaginazione di Emma.
“Chi ti avrebbe consigliato questi corsi?” Ecco, domanda sbagliata.
“Mmh, Graham, lo sceriffo di Storybrooke.”
“Sceriffo, eh?”
“Si, un tipo brutto e grassoccio sulla quarantina.” Rise di cuore nel vedere la sua espressione sollevata.
“Davvero?” Sapeva quanto lo stesse prendendo in giro in quel momento, ma questo non gli impedì di rivolgerle comunque quella domanda.
“No, in realtà. Un bel tipo, slanciato e carino.”
La mascella di Killian si irrigidì, “ma io ho occhi solo per questo ragazzo carino di fronte a me” lo prese nuovamente in giro ma i suoi occhi rimasero seri mentre confessava quell’ulteriore, nonché chiara, verità.
“Solo carino?”
“Sexy.”
“Meglio” si dichiarò soddisfatto. Si alzò rapidamente e si avviò alla cassa per pagare, “mi dai due pezzi di Rocky Road da portar via?” Si rivolse gentilmente ad Ella e questa sorrise perché se lo aspettava, era consapevole che volesse la Cheesecake senza aver bisogno di chiedere se si riferisse a quella o al gelato.
“Rocky Road?” Domandò Emma, vedendo il pacchetto tra le sue mani e lui annuì.
Chiaro, no?
Salutarono allegramente Ella e poi si diressero verso la macchina.
“Non voglio che vai in uno squallido motel, so che andarci piano non contempla il vivere assieme ma puoi stare da me fino a quando non trovi una sistemazione.”
“Non voglio forzarti a fare cose che non vuoi o ad affrettare le cose” cercò di rassicurarlo mentre camminava al suo fianco nell’assolato pomeriggio tipico di Phoenix. Era bello poter camminare insieme nonostante non lo sfiorasse, lo avrebbe fatto lui quando avrebbe voluto condividere una passeggiata mano nella mano, dovette ammettere di essere stata più che fortunata ed al momento non poteva pretendere altro o chiedere di meglio.
“Rimani” si fermò di colpo voltandosi verso di lei, “rimani” ripeté più lentamente e con più consapevolezza.
“Tuttavia, meriti una punizione quindi dormirai sul divano” scoppiò a ridere della sua espressione sconvolta e riprese a camminare velocemente.
“Che cavaliere” gli urlò dietro mentre si affrettava a raggiungerlo.
“Hey, è un divano letto e starai comodissima. – Allargò le braccia ridendo come a voler mostrare l’evidenza, poi ritornò improvvisamente serio e tornò a fissarla con un’intensità bruciante. – Sono pur sempre un uomo, Emma. Un uomo che ti ama, quanto pensi potrò resistere avendoti accanto ogni notte?”
Lei sorrise genuinamente ma non disse nulla, la sua mente continuava a ripetere sei parole: sono un uomo che ti ama.
Non toccarono più l’argomento e poco dopo arrivarono al parcheggio dove stava la macchina. Salirono rapidamente, l’uomo mise a moto, “andiamo a casa” pronunciò ad alta voce volgendosi verso di lei.
Quelle parole suonavano così bene.

Note:
Ciao a tutti. :)
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia e che sia anche un po' più leggero rispetto ai precedenti dato che c'è stata già parecchia sofferenza. In realtà, sono così presa dall'angst che ci aspetta nella stagione che non mi sembrava il caso di raddoppiare il carico anche nella storia. Domani finalmente è Domenica così da poterci godere la 5x03 (che mi preoccupa parecchio), quindi ne approfitto per augurare a tutti buon fine settimana e buona puntata. 
Un abbraccio. :3
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Never Gonna Be Alone  
Capitolo 10

Quella sera era particolarmente gelida, Emma si aggiustò il cappello di lana in modo che coprisse meglio le orecchie ed annodò la sciarpa. Le luci della città erano splendide, tutto si accendeva ad intermittenza conferendo un’atmosfera calda nonostante il freddo. La gente camminava animatamente per la strada, chiacchierando allegramente e trasportando decine di pacchetti di ogni forma e colore. Vicino al parco era stata allestita una piccola pista di ghiaccio, si potevano notare decine di bambini che giravano in tondo mentre i genitori li guardavano da lontano annuendo o applaudendo le mani in modo solenne con un sorriso fiero sulle labbra.
C’era una sorta di magia che solo il Natale sapeva donare ed un po’ di questo entrava anche in lei in quel periodo, nonostante in genere fosse piuttosto cinica.
I primi Natali della sua vita non li ricordava nemmeno, troppo piccola per comprendere ancora la gioia di quel periodo che a lei non era stata concessa. Quelli successivi furono freddi e tristi però nel profondo del suo cuore c’era sempre qualcosa che le faceva amare ed odiare quel periodo. La solitudine venne sostituita con il calore di due braccia non ancora di uomo che erano subentrate poco dopo, e le feste erano diventate più colorate così come il suo mondo. L’azzurro vivido aveva sostituito il grigio, il calore aveva riscaldato il gelo e l’amore, che non credeva possibile ricevere, aveva sostituito la rabbia dovuta al pensiero di non esserne degna.
Si era lasciata amare lentamente e profondamente insieme. Prima ringhiava come un cucciolo arrabbiato e pronto a mordere, poi con il tempo aveva lasciato che qualcuno entrasse finalmente in lei e curasse le sue ferite ed i suoi occhi erano diventati luminosi.
Aveva tanti bei ricordi legati al Natale che avevano sostituito quelli brutti, c’erano state mani intrecciate, baci sotto al vischio e candele accese fino al mattino. Regali impacchettati male ma con amore e lucine attaccate con lo scotch al vetro di una finestra. C’era stata la neve ad imbiancare i tetti e le strade ed il rosso ad accendere il cuore.
Sorrise leggermente vedendo tutte quelle famiglie, non era più malinconica adesso che anche lei sentiva di avere la sua, un posto nel mondo fatto su misura per lei.
E se è vero che a Natale si vuole stare con chi si ama, lei voleva correre a casa per trovarlo lì ad accoglierla.
Si affrettò a scivolare via velocemente tra le persone che le passavano accanto, tornò a stringersi nelle spalle per scaldarsi e si rilassò notando la porta del loro appartamento ed una finestra illuminata tenuemente.
Aprì la borsa, maledicendosi per tutte le cose che ci stavano dentro che non le permettevano di trovare le chiavi. Alzò un ginocchio cercando di mantenere l’equilibrio e vi appoggiò la borsa per spulciare meglio, sorrise quando beccò il piccolo portachiavi a forma di cigno ed infilò la chiave nella toppa per aprire.
“Bentornata” la voce calda dell’uomo l’accolse e due braccia l’avvolsero per scaldarla.
“Ciao” mormorò lei, spazzolando il suo naso contro la guancia calda dell’uomo che rabbrividì sia per il contatto che per il freddo.
“Vieni a scaldarti” l’aiutò a togliere il cappotto frigido e le fece strada verso il salotto. Un albero ancora spoglio faceva capolino occupandone una buona parte, uno scatolone con diverse decorazioni stava proprio al centro della sala mentre sui vetri e sulle finestre c’erano attaccate tante piccoline lucine.
“Voglio prepararti una cosa” asserì allegra, aprì nuovamente la borsa ed estrasse una busta pesante che adagiò sul mobile della penisola mentre frugando tra gli scaffali trovò un boccale di terracotta e altre cosette che l’avrebbero aiutata nella preparazione.
Killian prese un plaid dall’armadio e si sedette ad aspettarla sul divano cercando di essere paziente, i suoi occhi si illuminarono e si fecero contemporaneamente interrogativi quando la vide arrivare.
“Rum caldo del bucaniere” gli sorrise porgendogli una tazza che l’uomo afferrò prontamente.
“E’ Natalizio.”
“Si, beh è quasi Natale. Il nostro primo Natale in questa casa.”
La bevanda le invase la bocca con il suo gusto forte ed il caldo la fece tremare prima di darle sollievo e riscaldarle lo stomaco.
Killian rise della sua buffa espressione e poi la strinse trascinandola con sé sotto la coperta ed appoggiando la bocca sulla sua tempia in un bacio dolce ed innocente.
“Vuoi fare l’albero con me?” Le sussurrò all’orecchio, provocandole ulteriori brividi e non più di freddo. La ragazza annuì solamente, poi si alzò e lo trascinò al centro della stanza.
L’albero venne ben presto riempito di lucine, seguite da palle rosse e dorate. Si divertirono molto nel farlo, sorrisero svariate volte, ci furono momenti di tenerezza e battute buffe.
“Adesso manca solo questo per essere un vero albero di Natale” Emma sollevò il puntale, osservando bene la stella ricoperta di brillantini che aveva davanti.
“Sali sulle mie spalle” la invitò Killian, abbassandosi un po’ per permetterle di salire. Non avevano ancora una scala quindi quello era l’unico modo possibile per arrivare così in alto.
“Non farmi cadere” gli intimò ridendo.
“Mai” rispose lui in modo solenne, molto più serio rispetto all’ilarità del momento.
La prese sulle spalle e si avvicinò per permetterle di agganciare il puntale.
“Perfetto” batté le mani quando ebbe trovato la posizione più consona e dritta, “adesso puoi farmi scendere, Killian.”
“Come desideri, mia signora.” Un colpo di spalle e ruotandola la fece arrivare direttamente tra le sue braccia forti sempre pronte a tenerla stretta.
Lei ebbe un tuffo al cuore prima di ritrovarsi salda su di lui, le sue labbra irruenti e passionali sulle sue che si fecero dolci subito dopo perdendo la precedente urgenza. La sollevò piano permettendole di riacquistare l’equilibrio e poi la stordì di nuovo con un altro bacio.
No, quel ragazzo non era leale. Stordirla in quel modo solo con un bacio, come se fosse il primo poi. Le faceva sempre lo stesso effetto, una sorta di riemergere fuori dall’acqua dopo aver trattenuto il respiro per lungo tempo.
Le sue labbra scesero lasciandole una scia umida sul collo per scostare poi la stoffa della maglia e spostarsi sulla spalla. La mordicchiò piano facendola gemere incapace di trattenersi.
Le mani frenetiche della ragazza si insinuarono sotto la maglia spessa, l’esplorazione di quel petto sodo era sempre estremamente piacevole. Lui la fece indietreggiare per raggiungere il divano, si adagiarono piano mentre lei faceva volare via la sua maglia per permettersi di guardarlo meglio.
Lui aprì gli occhi di scatto, inchiodandola con uno sguardo famelico prima di far scivolare via anche la sua maglia e tirar giù le spalline del reggiseno con la bocca.
Si aiutò con le mani, scostandole dai suoi fili d’oro solo per rimuovere il resto degli indumenti mentre la sua bocca si spostava ovunque in modo impaziente.
Consumarono ancora una volta il loro amore, ma poi perché si diceva così? Quando Emma non sentiva nulla consumarsi, bensì rinvigorirsi e diventare sempre più forte. Avevano alimentato il loro amore.
Sorrise contro il suo petto caldo, i peli le solleticarono il viso prima che si muovesse verso l’alto per lasciargli un ultimo bacio sul collo.
Si lasciò cadere su di lui, stanca ed appagata.
Ed il calore, che le riempiva il petto ogni volta che stava insieme a lui, divampò così tanto che sentì quasi di bruciare. Era bello sentire caldo nonostante il freddo.
Si accoccolò vicino al suo petto.
Killian continuava a sussurrarle parole all’orecchio ed a strofinare il naso sui suoi capelli per inspirare il suo odore che sapeva tanto di casa.
I suoi occhi verdi lo inchiodarono poco dopo con una domanda.
“Cosa vorresti per Natale?” Cosa poteva volere di più? Quando lei continuava ad accarezzarlo così, lasciando disegni immaginari sul suo petto e baciando ogni centimetro che riusciva a raggiungere. Era perfetto, avrebbe voluto rimanere in un letto o su un divano con lei per tutto il giorno. Fare l’amore, guardarla semplicemente e respirarne l’essenza, poco importava se lei gli stava vicino.
“Tutto ciò che voglio per Natale sei tu.” Ed il cuore di lei perse nuovamente un battito.
“Sono già tua.”

*****
 
Si risvegliò sul divano tutto indolenzito. Il sole era sorto da un po’ ma tutto era ancora piuttosto grigio, si stiracchiò leggermente facendo attenzione a non rotolare giù.
Nonostante avesse detto ad Emma che il divano sarebbe toccato a lei, non si era sentito di riservarle ogni notte quel trattamento ed allora avevano concordato di fare a giorni alterni. Strano per due persone che prima approfittavano di ogni momento per dormire abbracciati.
Si alzò lentamente, facendo attenzione a non far troppo rumore e si avviò verso il bagno per darsi una svegliata.
L’acqua fredda che si buttò sulla faccia servì a scuoterlo abbastanza. Si fece una doccia veloce e si recò in stanza per prendere i suoi vestiti. Si fermò un attimo ad osservare Emma dormire beatamente, l’ombra di un sorriso sul suo volto stanco lo portò ad avvicinarsi.
Si abbassò piano su di lei e le diede ciò che di giorno non trovava il coraggio di darle.
Le sue labbra si poggiarono leggere su quelle dischiuse della ragazza che sorrise inconsciamente ancora di più.
“Killian” mormorò, lui si preoccupò di essere stato avventato e di averla svegliata ma quella sembrava ancora completamente addormentata e felice.
Forse stava solo sognando.
Prese i vestiti e si cambiò, preparò il caffè lasciandolo pronto anche per quando si sarebbe svegliata lei ed uscì per andare a lavoro.
Un piccolo velo di neve sembrava cadere lentamente ma non era ancora abbastanza da imbiancare tutto. Mancava qualche giorno a Natale e a lui toccava fare gli straordinari per cercare di portare a termine tutte le analisi che stavano svolgendo. Strano quanto tempo ci volesse per analizzare delle semplici rocce.
Il fatto di essere state sott’acqua per tutto quel tempo le rendeva fragili e malleabili dato che non erano le tipiche pietre che si trovano sui fondali marini.
Condurre quelle indagini era stato più difficile del previsto, però era stato anche interessante collaborare con diversi geologi per analizzare meglio la situazione ed il risultato era sorprendente.
Ad una profondità straordinaria si ergeva davvero ancora qualcosa e loro avrebbero scoperto tutto, quella sarebbe stata una grande scoperta che avrebbe portato benessere e soddisfazione. Dopo anni di lavoro, lui era vicino a scoprire tutto questo.
Il suo umore migliorò nonostante il grigiore mattutino ed il freddo. Prima di uscire di casa, avrebbe voluto solamente mettersi a letto con lei e gustarsi quel dolce tepore.
Qualche volta non aveva resistito all’impulso di andarla a trovare nel letto a notte fonda, quando lei era rigorosamente addormentata. Ed allora rimaneva lì, semplicemente a fissarla per un po’ oppure si stendeva vicino a lei solo per condividere ancora qualcosa che era stato solo loro da sempre.
Poi sgattaiolava via prima del l’alba, quasi come un ladro nella sua stessa casa.
Lei si stava dimostrando paziente nonostante più volte si fossero quasi lasciati andare ad uno dei loro momenti, o quasi sul punto di affrontare la situazione. Era inevitabile che si attraessero, si avvicinavano quasi senza rendersene conto.
Lui si spostava e lei si spostava.
Lei si spostava e lui si spostava.
Nemmeno lo vedevano fino a quando non si ritrovavano inevitabilmente vicini.
 
“Killian, sto parlando con te” una mano si mosse davanti al suo viso, aveva perso la percezione del tempo dato che si trovava già al lavoro ed a quanto pare ignorava anche le parole del suo collega.
“Scusa, Robin. Dimmi.” Chiese cercando di mostrarsi realmente interessato.
“Questa settimana torna la mia fidanzata dopo essere stata via quasi due mesi per lavoro. Mi faresti il favore di coprire il mio turno giovedì così che possa farle una sorpresa in aeroporto? Giuro che ricambierò quando vorrai.” Promise solenne con una mano sul cuore.
Killian rise di gusto vedendolo in quel modo, lo rassicurò dicendogli che lo avrebbe fatto senza alcun problema.
“Grazie tante, davvero. Allora come vanno le cose con la tua ragazza?” Ahi, tasto dolente.
“E’ una situazione complicata” tagliò corto, il suo sguardo azzurrino leggermente accigliato e la mano già pronta in mezzo al suo ciuffo per tirarlo indietro.
“Se volessi parlarne, magari di fronte ad una birra.”
“Ti ringrazio, magari una di queste sere ci facciamo una birra ma non ti assicuro nulla sulla chiacchierata” cercò di sorridere, dandogli una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
 
Il resto della giornata trascorse tranquillamente, Killian si fermò a pranzare al lavoro per finire alcune ricerche ed indaffarato com’era non si rese nemmeno conto che era quasi giunta l’ora di tornare a casa.
Prese il grande giubbotto che aveva portato per ripararsi dal freddo e si avviò verso l’auto.
Il suo posto di lavoro distava circa una ventina di minuti da casa, ma aveva sempre trovato piacevole guidare.
Ed in quel periodo era ancora più bello, tutte le luci della città erano accese conferendo un’atmosfera accogliente ed era possibile vedere bambini giocare fuori con i genitori cosa che raramente accadeva il resto dell’anno.
Il Natale precedente era stato decisamente uno di quelli che avrebbe voluto dimenticare, si era sentito solo, sconsolato e quasi l’ombra di se stesso. Non decisamente l’uomo che era stato e che voleva essere.
Invece in quella giornata sentiva che le cose stessero riprendendo la piega che non avrebbero mai dovuto lasciare, troppo spaventato per ammetterlo e troppo egoista per rinunciarvi ancora. Si accontentava di averla lì, una presenza tangibile e costante nella sua vita.
Ricordò la conversazione che avevano avuto qualche sera prima.

 
Ho bisogno che tu mi dica qualcosa. Ti ho detto che avrei rispettato le tue decisioni, ma Killian, noi non siamo semplici coinquilini. Semplicemente due persone che dividono una casa, non è questo che siamo, non è questo che voglio.” Era sorpreso da questo suo cambiamento, fino a quel momento era stata accondiscendente con lui invece adesso aveva finalmente acquistato il coraggio per dirgli cosa pensava.
“Non so cosa dire, mi dispiace.” E non era da lui, stare in silenzio ed andarsene. E faceva male quanto la sua memoria potesse essere forte per ricordare quelle stesse parole pronunciate in altre circostanze.
Lo aveva fatto però, si era chiuso la porta alle spalle ed aveva lasciato la casa solo per farvi ritorno molte ore dopo con più sonno e meno lucidità.

 
C’erano stati dei momenti di leggerezza dopo quel giorno, Emma aveva accantonato la discussione per paura di vederlo scappare di nuovo e comprendendo di dover essere più cauta. Lui l’aveva compreso a sua volta e non aveva tirato fuori l’argomento, accantonandolo in una parte lontana della sua mente.
Tutti quei pensieri su cui si rifiutava di soffermarsi tornavano a tormentarlo in quel momento di quiete, chiedendo prepotentemente di uscire e di essere riesaminati una volta per tutte.
 
Mesi prima, 10 minuti prima del matrimonio.
 
Emma aveva da poco fatto il suo ingresso nella stanzetta adiacente alla chiesa dove si sarebbe svolta la cerimonia, non era nervosa, sentiva quasi di muoversi come un automa senza aver reale consapevolezza di ciò che stesse facendo. Si mise davanti allo specchio giusto per sistemarsi i capelli, poi inclinò la testa per rimettere i guanti che aveva tolto per avere sensibilità alle mani. Quando i suoi occhi tornarono allo specchio, ve ne erano altri due, fermi, attenti, la scrutavano piano.
“Sei bellissima.”
“Grazie, grazie per essere venuto.” Si scambiarono quelle parole così, attraverso uno specchio senza il coraggio di voltarsi per guardarlo negli occhi. Quelli sarebbero stati un problema per il suo autocontrollo già precario.
“Non ti sposare” la pregò così dolorosamente di non rinunciare a loro, quelle parole si diffusero nell’aria in modo rapido e le arrivarono dentro scavando un solco così profondo da non permetterle nemmeno di respirare.
“Ti prego, Emma. Dimmi qualcosa.”
“Non so cosa dire, mi dispiace.”
Lo aveva lasciato lì.

Tears stream down your face,
When you lose something you cannot replace.
 
Si voltò verso il posto in cui fino a poco prima stava seduto Killian e lo ritrovò completamente vuoto. Lo cercò rapidamente tra la folla e lo vide proprio lì vicino alla porta, le mani nelle tasche dei pantaloni e gli occhi alti verso di lei. Poteva vedere l’azzurro luccicare anche a quella distanza.
 
 
Voleva davvero rovinare tutto per orgoglio, per dolore, nonostante l’amasse?
L’amava ancora più di quanto fosse possibile immaginare, più di quanto fosse normale amare qualcuno. L’amava così dolorosamente tanto da star male fisicamente senza di lei, quasi come una dipendenza, non era sano amare così e gli faceva male.
Non era normale che fosse veleno ed antidoto contemporaneamente. Gli aveva procurato dolore, lo avevano fatto a vicenda e poi si erano curati allo stesso modo, leccandosi le ferite ed andando avanti.
Troppo ferito per stare con lei, ma non immaginava di stare senza, di farne a meno.
Era ancora la sua luce, illuminava ancora la sua vita esattamente come tutte quelle piccole luci facevano con la strada nel periodo di Natale. Rendevano tutto magico e lei riempiva di magia lui.
La differenza stava nel fatto che tutte le lucine sarebbero state tolte dopo quel periodo e tutto sarebbe tornato ad essere come sempre: ordinario.
Invece lui non poteva e non voleva che questo succedesse alla sua vita. Quando stava con lei non c’era nulla di ordinario, o meglio, l’ordinario era estremamente straordinario e magico. Sempre.
Doveva farlo davvero però, doveva perdonarla e smettere di rivangare il passato perché solo così potevano andare avanti e costruire un futuro insieme.
E non c’era occasione migliore. Era quasi Natale.
A Natale si vuole stare vicino a chi si ama.
Era tutto quello a cui riusciva a pensare mentre schiacciava l’acceleratore per raggiungere la casa più velocemente, sembravano passate ore ed invece aveva pensato a tutto quello solo in pochi minuti.
Trovò la pace nella consapevolezza che tutto avrebbe preso nuovamente una direzione, quella giusta. Giusta per lui, per lei e per la loro famiglia. Quello che erano sempre stati.
 
 
Lights will guide you home,
And ignite your bones,
And I will try to fix you.
 
 
Corse per le scale e le chiavi gli caddero sul pavimento mentre cercava di aprire in tutta fretta, le raccolse e cercò di calmarsi un attimo prima di sopraffarla con il suo ritrovato entusiasmo.
Un respiro profondo ed aprì.
Lei era lì e fissava un enorme albero di Natale ancora privo di decorazioni.
Fu colta di sorpresa e quando si voltò non riuscì a nascondere le lacrime che le rigavano gli occhi, probabilmente frutto dei ricordi passati.
Le asciugò velocemente con una mano ed accennò un piccolo sorriso mentre si avvicinava a lui lentamente.
Gli porse la mano e rimase immobile fissando la sua, sperando che accettasse quell’invito silenzioso che non azzardava a pronunciare. Killian si ritrovò spaesato dal tumulto di emozioni che provò in quell’istante.
Poi lei prese coraggio e sospirando piano sussurrò:
“Vuoi fare l’albero con me?”
 
Note: 

Ciao a tutti! :) 
Scusate per l'enorme ritardo con cui pubblico questo aggiornamento ma non ho avuto un attimo di tregua in questo periodo. Non ho intenzione di abbandonare la storia però tra tirocinio, università ed esami, ho molto meno tempo per scrivere quindi purtroppo rallenterò la pubblicazione dei capitoli. 
Chi ha visto la puntata? Se volete farmi sapere cosa ne pensate riguardo la storia, la puntata o qualsiasi altra cosa sarò qui a leggere le vostre opinioni. 
Un abbraccio. <3 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Never Gonna Be Alone

Epilogo
 
“C’era una volta” la copertina era rilegata elegantemente e le parole erano incise con una scrittura elegante, il dorato spiccava sul marrone della pelle. Le pagine erano chiare, non bianche, un po’ ingiallite dal tempo ma curate.
Emanava un odore profondo, non particolarmente dolce ma non spiacevole. Sapeva di vissuto.
Entrava luce dalla grande porta-finestra, rischiarava la piccola stanza e le riscaldava la pelle mentre seduta su una vecchia sedia si accingeva a sfogliare quel grosso volume rettangolare. Non era una fiaba, non c’erano principi e principesse, non c’erano animali parlanti e non c’era magia. Beh, non la solita almeno.
Benché la formula iniziale fosse quella riservata alle fiabe, quella storia non aveva nulla di attinente a quella tipologia narrativa. Raccontava la vita, la sua vita, la loro.
Non una vita semplice, non un’infanzia felice e nemmeno scelte facili. Tutto era frastagliato, a tratti doloroso, molto doloroso. In bella grafia, le parole scorrevano piano e sembravano belle, pure quelle che avevano fatto male. Sembravano aver senso, in quel momento!
Tutto aveva portato a quelle altre parole, quelle giuste, belle e piene d’amore. Quelle che rappresentavano il loro percorso, la loro crescita ed il loro grande affetto. Il sostegno reciproco, il farsi male pur di farsi bene, l’asciugarsi le lacrime, il farsi compagnia, il non lasciar perdere, la lotta pur di riuscire, pur di tornare, per restare.
Scorrevano via come un fiume in piena, straripando di tanto in tanto ma seguendo il suo corso con passione e con fiducia.
 
“Prometto di svegliarti sempre con un cupcake la Domenica mattina e di mangiare tutto quello che cucinerai, per quanto fantasioso possa essere. – Lei rise di cuore, pensando all’ultimo pasto che gli aveva propinato dopo l’iniziale resistenza di lui. Inutile dire che avevano finito per ordinare una pizza. – Prometto di fare l’albero con te ad ogni Natale e di non farti più dormire sul divano, o non dormirci io, anche quando litighiamo. Prometto di prestare sempre attenzione alle tue parole e di ritrovarti sempre. Io ti amo, Emma Swan. Ti ho amato dal primo momento, ho amato la bambina con le treccine, il tuo essere scontrosa, il tuo respingermi, il tuo aprirti piano, il tuo amarmi. Ho amato ed amo tutto di te, questo sarà per sempre.”
 
Si passò il dorso della mano sugli occhi, cercando di non sporcarsi col trucco. Lo guardò e voleva baciarlo subito, piangere contro la sua spalla per le cose perfette che aveva detto e per come lo era stato sempre con lei. Era il suo momento,
però, e per quanto non riuscisse a parlare, doveva fargli le sue promesse.
 
“Prometto di cucinare cose meno fantasiose – riprese le sue parole e lo vide sorridere, questo le diede il coraggio necessario per continuare. – Prometto di non allontanarti mai e di non costruire barriere tra di noi. Prometto di considerarti sempre casa mia e di vivere nel calore del tuo amore, di essere più affettuosa e meno scontrosa. Prometto di non scappare mai più, prometto di fare tutto il possibile affinché tu non abbia bisogno di ritrovarmi, perché non ho mai voluto perderti e non lo vorrò mai. Ho iniziato a vivere davvero quando ti ho conosciuto, tu mi hai fatto capire che non ero sola, e mi hai fatto e continui a farmi sentire amata ogni giorno. Ti amo tanto, sei l’amore della mia vita, il compagno della mia anima, il mio migliore amico. Questo non potrà cambiare mai.”
 
Un’altra pagina, un altro momento..
 
“Non posso farlo.”
“Tu puoi fare qualsiasi cosa” la rassicurò prendendole la mano e stringendola tra le sue. Le chiuse la zip della muta e le passò una maschera.
Aveva voluto seguirlo quella volta, un nuovo viaggio di lavoro, un mese di ricerche in mare e lei aveva accolto la notizia con molta agitazione. L’ultima volta che era partito, il loro mondo era crollato, dopotutto. Ed anche se adesso erano più forti, più maturi e consapevoli, la paura era insidiosa e riemergeva cercando di inghiottirla.
Si era presentata così, di colpo, poco prima che la nave salpasse.
Una valigia nella mano sinistra. Killian guidava la missione, ed Emma avrebbe potuto aiutare, magari in cucina, quando non inventava nuove immangiabili ricette.
Aveva fatto bene anche a lui vederla lì, gli era tornato il sorriso.
“Capitano, posso salire a bordo?” Gli aveva detto, divertita ma timorosa.
“Non sono io il capitano, purtroppo, ti toccherà chiedere a lui.” L’aveva ammonita prima di tenderle la mano per aiutarla.
“Tu puoi sempre intercedere per me.” Labbro all’ingiù, l’espressione da cucciolo che le riusciva meglio. Suo marito alzò un sopracciglio, interrogandola silenziosamente sul compenso che ne avrebbe tratto.
Lei si avvicinò ulteriormente, facendo scorrere le dita sul suo petto, aggirando i bottoni della camicia di lino.
“Okay” deglutì, “sarò convincente.”
 
L’immersione era stata fantastica, aveva avuto paura ma era stata elettrizzante e l’aveva fatta sentire viva.
Rientrarono nella loro cabina subito dopo, Killian tolse la muta e piccole goccioline attraversarono il suo corpo e bagnarono le assi di legno ed Emma non nascose la malizia nel suo sguardo mentre si beava della visione del corpo nudo di suo marito.
“Ti piace quello che vedi?” La stuzzicò lui.
“Molto.”
 
Chiuse il libro e lo ripose sulla mensola, ormai dovevano mancare circa una manciata di ore e lei non voleva farsi trovare così. Voleva accoglierlo con un bel dolce o magari preparare una cenetta romantica dato che erano passati due lunghissimi mesi dall’ultima volta che si erano visti. Non era stato facile, quel libro le aveva tenuto compagnia.
 
“Mamma, sei in soffitta?”
“Si, Henry. Arrivo subito.” Anche lui le aveva tenuto compagnia, la sua mente era occupata grazie alla presenza del suo bambino. Ormai, era un ragazzino. Alto, per la sua età, e furbo.
Anche la gravidanza non era stato un periodo facile, aveva paura, paura di muoversi, di respirare, di fare qualsiasi cosa. Non voleva perderlo, non voleva perdere il loro bambino nuovamente. Killian era stato paziente, l’aveva rassicurata in ogni modo, non aveva fatto nessuna spedizione ed anche ora si limitava parecchio rispetto a quelle che il suo lavoro richiedeva.
Quest’ultima spedizione era stata necessaria, ma due mesi senza vedere sua moglie e sue figlio pesavano tanto anche a lui, come un macigno sul cuore ed Emma lo sapeva.
Lo accolse con un sorriso sulle labbra, un vestito rosso e sexy, ed una bottiglia di vino bianco fresco al punto giusto.
Lui si tuffò tra le braccia della moglie e la sollevò di poco facendola volteggiare in aria. Si guardò intorno, aspettandosi un bimbetto di 10 anni a scorrazzare per casa ma c’era molto silenzio e tutto sembrava in ordine.
“Voleva aspettarti ma è crollato un’oretta fa.” In effetti era tardi, la nave aveva avuto dei problemi nel rientro ma fortunatamente tutto si era risolto alla fine. Killian andò a vedere suo figlio dormire, gli accarezzò piano la testa e depositò sul comodino una piccola moneta argentata. L’aveva ritrovata in mare e l’aveva conservata per lui dato che il suo piccolo aveva ereditato la passione per gli oggetti ed amava collezionare monete. Erano andati insieme anche a qualche fiera numismatica.
“Dorme beato” sorrise alla moglie che lo aspettava seduta a tavola.
“Hai fame?”
“Uhm, sono affamato” il suo sopracciglio si sollevò mentre si avvicinava a passo spedito. Le afferrò la mano e se la tirò addosso. I loro corpi aderirono subito, le tirò giù la spallina e baciò avidamente il suo collo.
“Intendevo di cibo” sorrise lei.
“Ho avuto cibo in questi due mesi, non ho avuto te perciò direi che prevale un altro tipo di fame.” Il vestito scivolò via e lei rimase nuda sotto le sue mani.
L’accarezzò piano, si prese il suo tempo per ammirarla, per guardare tutto ciò che gli era mancato in quei giorni. Lei era di nuovo lì, poteva finalmente baciare la sua pelle e respirarne il profumo floreale, passare la mano tra quei fili dorati e prendere il suo corpo che era così perfetto per lui.
“Ti sono mancato?” Un bacio rapido sulle labbra, un altro sul collo, uno più su dietro l’orecchio. Giusto in quel punto.
“Ogni giorno” cercò di non far riaffiorare la disperazione che si celava dietro quelle due parole, ma lui la vide comunque, come sempre, vedeva tutto di lei.
Le aveva fatto fare quel libro di proposito, lo avevano scritto insieme e c’erano ancora pagine bianche da scrivere. Sapeva che agli occhi degli altri poteva sembrare stupido, magari esagerato ma non gli importava. Lui sapeva che lei ne aveva bisogno, che le avrebbe tenuto compagnia e che l’avrebbe sentito vicino nei momenti di sconforto.
“Non andrò più via per così tanto. Te lo giuro. Non posso stare tanto tempo senza di voi.” Le sorrise mentre le accarezzava la schiena, la strinse forte per cancellare via ogni traccia di sconforto. Lui era lì.
La sollevò e la portò nella loro stanza.
“Non posso stare senza toccarti” passò una mano sul suo fianco, “o senza baciarti.” Le sfiorò le labbra con delicatezza, prima di prenderle dolcemente il viso con le mani ed approfondire il bacio. Lei rispose simultaneamente, il fuoco aveva cominciato e divampare e lui si manteneva ancora troppo vestito mentre lei era già nuda.
Le sue piccole mani corsero veloci alla camicia e tirarono con forza, facendo rotolare via qualche bottone. Killian si staccò, guardò in basso e rise del suo impeto.
“Non potrò più metterla.”
“Ricucirò i bottoni” promise lei, mentre le sue mani si spostarono sui jeans.
“Allora non la rimetterò mai più davvero” la stuzzicò, conquistandosi un pugno sulla spalla.
“Sta zitto e togliti i pantaloni.”
“Come la signora comanda” fece un piccolo inchino in segno di riverenza, prima di togliere e scalciare via quei jeans diventati di troppo.
Lei lo buttò sul letto e salì a cavalcioni su di lui.
“Siamo impazienti vedo” sorrise mostrando tutti i denti bianchi e poi le afferrò le cosce.
Ribaltò la posizione e la mise sotto di sé puntellandosi con i gomiti per non gravarle addosso. Si avvicinò nuovamente alle sue labbra e ricominciarono a baciarsi, lei allargò le gambe per permettergli di posizionarsi meglio e così la fece sua nuovamente. Voleva godersi quel momento, voleva godersi tutto di quel ricongiungimento. Sentirla gemere piano e chiamare il suo nome così dolcemente, imprimere il suo volto estasiato nella sua mente. Muoversi insieme completamente in sincrono per poi sentirsi appagati e nuovamente felici.
Le loro mani si stringevano, i loro petti si sfioravano e le loro bocche non smettevano di baciarsi.
Si addormentarono finalmente insieme, ed il senso di vuoto, che avevano provato tutte le notti che avevano preceduto quel momento, era finalmente svanito.
 
Quando Emma si risvegliò il sole era alto nel cielo ed illuminava completamente la stanza, si buttò un cuscino in faccia per coprirsi da tutta quella luce. Si sentiva piacevolmente indolenzita, sensazione che non provava da un po’ di tempo ed il letto sembrava più caldo. Stese una mano per toccare il corpo dell’uomo accanto a lei ma lui non c’era. Si mise di colpo a sedere, preoccupata di avere solo immaginato il suo ritorno, ma le immagini della sera prima presero a vorticarle rapidamente in testa. Il suo stomaco brontolò pesantemente e ricordò che non avevano neppure cenato prima, dopo l’impegno che ci aveva messo nello sperimentare una nuova ricetta. Le venne il dubbio che forse lui l’avesse distratta proprio per evitare questo suo esperimento, non che fosse dispiaciuta di ciò.
Sorrise ed infilò un paio di pantaloncini ed una canotta.
Trovò i suoi uomini in cucina, erano intenti a prepararle la colazione. La tavola era apparecchiata di tutto punto. Spremuta, cornetti caldi, uova e pancetta.
“Buongiorno” li sorprese a parlare di una certa moneta, si sarebbe fatta spiegare più avanti e magari l’avrebbero pure trascinata in qualche fiera.
“Ciao splendore” suo marito le passò una tazza ed un bacio leggero.
“I miei cuochi mi hanno preparato la colazione a quanto vedo” sorrise soddisfatta mentre si sedeva pronta per mangiare, cominciò ad ingurgitare cibo.
“Qualcuno ha fame.”
“Qualcuno mi ha fatto saltare la cena.”
“Quel qualcuno ha salvato la vita di entrambi.”
Emma, indignata, afferrò una pezza e gliela lanciò in pieno volto. Killian rimase a bocca aperta, “questo non dovevi farlo, signorina.” La minacciò divertito mentre si alzava lentamente dalla sedia dandole il tempo di fare altrettanto. Si lanciò all’inseguimento facendola finire dritta sul divano ed intrappolandola con il suo corpo.
“Siete peggio di due bambini.” Sentirono la voce di Henry ammonirli e scoppiarono a ridere.
Erano una famiglia. La famiglia che da sempre erano destinati ad essere e l’unica di cui avessero bisogno.
 

Spazio d'autrice: 
Non aggiorno questa storia da circa un secolo quindi immagino che ormai l'abbiate dimenticata ed avete ragione. Sono meno presente qui (quasi assente, in realtà), sia con le recensioni che con le storie, mi dispiace ma è stato un periodo caotico, denso di eventi che non mi hanno permesso e dato la concentrazione necessaria per scrivere. Questo capitolo nemmeno esisteva fino ad oggi, avevo solo bisogno di dare una fine a questa storia perché ci tengo e mi dispiaceva lasciarla incompleta. E nulla, sono semplicemente contenta di aver dato a questi due il lieto fine che meritavano. 

 
 
 

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