Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà
di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è
stata
scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento
Frammenti di colpevolezza
Prologo
Sherlock Holmes poteva essere considerato in tanti modi: un
fratello sconsiderato, un sociopatico iperattivo, uno psicopatico, la
regina del melodramma, ma chi lo conosceva davvero, sapeva
perfettamente che non era solo questo, oltre quella scorza dura
c’era molto di più.
Sherlock Holmes aveva un cuore. Non
semplicemente l’organo cardiaco che pulsava nella sua cassa
toracica, non la parte anatomica che ogni essere umano necessitava per
vivere. No, Sherlock Holmes, la macchina, la mente, aveva dei
sentimenti.
Li aveva nascosti, custoditi gelosamente per
evitare di far sapere al Mondo che poteva essere ferito,
perché una pallottola poteva fare dei danni, ma sarebbero
stati sempre meno profondi di un cuore spezzato.
I sentimenti erano da sempre considerati
pericolosi, dal consulente investigativo. Cosa c’era di
piacevole nella mente offuscata dall’amore? La ragione doveva
stare sopra ogni cosa.
Eppure, negli ultimi anni, questo suo assioma
era stato messo a dura prova, ma il peggio doveva ancora arrivare.
Si trovava a Scotland Yard, fremente, continuava
a picchiettare nervosamente sul bracciolo della scomoda sedia
dell’ufficio di Lestrade.
Erano ormai tre ore che era fermo lì,
la polizia aveva fatto irruzione a Baker Stret a mezzanotte per scortarlo
dall’ispettore e ancora non era riuscito a vederlo.
Nessuno voleva dargli informazioni, anzi
evitavano il suo sguardo, temendo che avrebbe dedotto tutto quello che
era successo anche dalla semplice inclinazione delle labbra, mentre lo
fissavano.
Aveva già capito da solo, buona parte
di quello che era successo ed il resto lo aveva dedotto dai pezzi di
conversazione che aveva sentito.
Quello che era capitato e quello che gli agenti
sospettavano, non aveva alcun senso; continuava a ripensare
all’evento come in un loop infinito, più tentava
di concentrarsi, più sentiva che non riusciva a dirigere il
pensiero verso qualcosa di senso compiuto.
John era innocente, ne era certo, non era
possibile che avesse fatto quello che stavano dicendo tutti. Lestrade
aveva subito fatto prelevare il detective, appena si era verificato
l’arresto, onde evitare che si dirigesse sulla scena del
crimine, rischiando di invalidare le prove, soprattutto quelle che
avrebbero scagionato John. Avrebbe avuto il via libera per esaminare la
scena, solo dopo che la scientifica avesse finito il proprio lavoro,
non un secondo prima. Così, almeno, aveva rimarcato Donovan
facendolo accomodare nell'ufficio di Lestrade.
Voleva disperatamente vedere il luogo del
delitto, era sicuro che l’indizio chiave fosse lì,
alla sua portata, ma che gli idioti di Scotland Yard non lo avrebbero
visto, troppo occupati a collegare tutte le prove a John, senza
ragionare su ogni possibile scenario.
Quando finalmente Lestrade ritornò
nel suo ufficio, Sherlock gli ringhiò contro, senza dargli
nemmeno il tempo di aprire bocca - Posso sapere dove diavolo
è John e cosa è successo? - gridò, non
capendo come Lestrade potesse avallare quella follia.
- Non è un mio caso, Sherlock.
Ritengono che ci sarebbe un conflitto di interessi se indagassi. Non ti
faranno avvicinare alla scena, te lo dico subito -
Sherlock strabuzzò gli occhi -
Lestrade! -
- No, Sherlock - ribatté soltanto,
apparentemente calmo, ma in realtà stremito dagli ultimi
avvenimenti.
- Greg - riprovò, ed il tono si era
fatto leggermente più supplichevole.
L’ispettore, a malincuore,
scosse la testa - Hanno finito di analizzare i vestiti di John e
prendere campioni, adesso è nella sala interrogatori con
l’avvocato d’ufficio. Mi dispiace Sherlock, ma per
il momento non puoi vederlo, è la procedura -
Il detective sembrò adirato, John era
accusato di un crimine che non aveva commesso e si trovava imbrigliato
nella stupida burocrazia.
- La bambina? -
- E’ con i servizi sociali, adesso.
Credo valuteranno se portarla dalla sorella di John .
Sherlock emise un suono simile ad una risata
vuota, immaginando che non ci sarebbe stata persona peggiore per
accudire la figlia di John - Puoi dire a John che gli
troverò il migliore avvocato disponibile e che non dica
niente finché non arriva? -
Lestrade fece cenno di sì con la
testa - Sherlock, mi dispiace davvero -
- Non dire niente. Tutti voi, qui, sembrate
averlo già condannato, cosa non mi stai dicendo? -
ribatté, con il tono sempre più aggressivo. Non
capiva come, dopo tutto quello che lui e John avevano fatto
per Londra, non ci fosse nessuno dalla parte del dottore.
- Domani sera ti porterò tutto quello che posso
far uscire dalla centrale, in Baker Street, te lo prometto Sherlock, ma
tu non devi fare stupidaggini -
Sherlock incassò in silenzio il non
poter avere altri dati su cui lavorare e il non poter vedere John, ed
uscì dall’ufficio di Lestrade, avendo cura di
sbattere la porta più forte che poteva.
Nel tragitto verso l’uscita, fu
seguito dagli sguardi straniti degli altri agenti e dal commento acido
di Donovan, che non mancò di sottolineare come avesse
sbagliato la sua previsione anni prima, alla fine era stato John ad
uccidere qualcuno.
Il detective non si scomodò nemmeno a
urlarle in faccia la sua incompetenza, ma uscì rapido, in
cerca di risposte.
Sapeva che non poteva recarsi sulla scena del
crimine e non aveva alcuna intenzione di violare quegli stupidi
divieti, se quello equivaleva a incrementare i sospetti su John.
Avrebbe chiamato un avvocato e con lui si sarebbe recato sulla scena,
quale consulente della difesa. Avrebbe agito nella legalità
finché la situazione glielo avrebbe consentito, John non era
ancora spacciato.
Un trillo e capì subito che poteva
essere solo suo fratello.
Immagino che
stai cercando un avvocato
MH
Ne hai uno
disponibile?
SH
Ho saputo che
l’avvocato d’ufficio è il tuo vecchio
amico dell’Università, Victor Trevor. Ha
una buona media di vittorie, avrai bisogno di qualcuno che sopporti le
tue continue interferenze. L’ho già contattato e
sta andando da John. Passerà da te, tra qualche ora.
MH
Perché
tra qualche ora? D'accordo
SH
Ho fatto
recapitare a casa tua tutto il dossier sull’omicidio.
Immaginavo non riuscissi ad aspettare.
MH
Nonostante tutti i propositi, tornando a Baker
Street, non riuscì a tenersi lontano dal luogo del delitto.
Sarebbe rimasto all’esterno, lontano dalla striscia di
“vietato oltrepassare”, lontano dalle luci delle
auto della polizia, lontano dalla folla che si era radunata sotto casa
di John Watson. Tutti a ripetere quanto fosse orribile quello che era
accaduto.
Era strano trovarsi lì, tante volte
si era trovato a passeggiare vicino a quella casa, durante la notte,
chiedendosi cosa facesse John. Probabilmente non voleva saperlo, non
voleva che la sua testa immaginasse John e Mary assieme, mentre lui
vagava da solo per Londra, alla ricerca di qualche criminale o di una
dose.
Si accorse che stava leggermente tremando e si
strinse nel cappotto, mentre l’umidità della notte
riempiva l’aria.
Continuò ad osservare quella casa
vuota, senza John, che avrebbe passato la notte in carcere, senza la
piccola Sophie, nelle mani dei servizi sociali, senza Mary.
Ancora non gli sembrava possibile che qualcuno
l’avesse uccisa. Non faceva che maledirsi per essere stato
così impegnato con i casi, da non accorgersi che la famiglia
Watson era in pericolo.
Tornò a casa quasi controvoglia, da
una parte fremeva per vedere il fascicolo, ma al contempo non agognava
vedere le foto del corpo morto di Mary. Accese la luce nel salotto e
prese in mano il dossier che Mycroft aveva lasciato per lui, sulla
poltrona di John. Proprio su quella poltrona, di tutti i posti dove
poteva appoggiare quel maledetto fascicolo. Era la prima volta che un
caso non era eccitante, ma dannatamente orribile.
Iniziò con il verbale degli agenti
che per primi erano accorsi sulla scena a seguito di una segnalazione
del vicino di casa. Avevano sentito delle urla e il rumore di spari
proveniente dalla casa di John. Dal primo sparo, la neonata non aveva
mai smesso di piangere.
Gli agenti avevano dovuto sfondare la porta
d’ingresso per entrare. Lo spettacolo che si era presentato
davanti sembrava inequivocabile, John in stato confusionale, accanto
alla pistola che dal successivo esame balistico sarebbe risultata
l’arma del delitto e il corpo di Mary Watson a terra, priva
di vita.
Eseguito il test della paraffina, John era
risultato positivo e sulla pistola c’erano esclusivamente le
sue impronte. Era bastato avvicinarsi per sentire alito vinoso e vedere
gli occhi lucidi, per cui lo stato confusionale era stato
immediatamente ricondotto all’uso di alcool e al sospetto
chock per aver ucciso la moglie. Di conseguenza, nessun test per droghe
o narcotizzanti era ancora stato eseguito.
Sherlock imprecò sottovoce, era
evidente che qualcuno lo aveva incastrato. Anche se tutte le prove
portavano a John, non c’era un movente.
Telefonò immediatamente al fratello,
sperando che avesse saputo qualcosa di più.
Mycroft aveva immaginato che prima o dopo il
fratello gli avrebbe telefonato, per cui non si era nemmeno disturbato
ad andare a dormire. Il telefono squillò e lui si
preparò a quella conversazione.
- Sherlock, parliamoci chiaro. Se non fosse John
ma qualcun altro, penseresti fosse innocente? - esordì,
lasciando Sherlock stupito da un’affermazione del genere,
quando a lui sembrava l’innocenza di John troppo evidente.
Dove aveva sbagliato?
- È palese che lo hanno incastrato,
quale sarebbe il movente, Mycroft? -
- E quale sarebbe il motivo per incastrarlo?
Deduco che non hai letto il fascicolo fino in fondo, non stai facendo
un buon servizio a John facendoti prendere dai sentimenti per lui,
Sherlock - commentò, calmo, cercando di far ragionare il
fratello, cosa che invece innervosì ulteriormente Sherlock.
- Sono lucido, a cosa ti riferisci? -
- John e Mary hanno avuto una discussione
pubblica, con molti testimoni -
Sherlock si sentì schiaffeggiato, non
ne sapeva niente - Cos’è successo? -
- Sembra che Mary abbia tradito John con un suo
ex. Infatti, in questo momento, stanno facendo un test del dna alla
figlia, non hanno idea da quanto tempo andasse avanti la storia -
- Non vuol dire niente - ribatté - E
la pistola? Non era quella di John - insistette.
- Se ti dicessi che un testimone, uno che
frequenta brutti giri, ha visto John girare per i covi dei tossici e
gli ha chiesto, dove potesse comprare una pistola non registrata? -
- Non attendibile - rispose senza esitazione.
- E se ti dicessi che era un poliziotto sotto
copertura? -
“Corrotto” pensò
tra sé - John aveva una sua pistola, se avesse dovuto
commettere un omicidio premeditato, cosa che si evincerebbe dal fatto
che aveva comprato un'altra arma, non sarebbe rimasto in casa in
stato di chock -
- Secondo la teoria della polizia,
voleva uccidere l’amante, ma poi ha litigato con Mary e le
cose sono sfuggite di mano.
- Mycroft, non ha senso -
- Tutto combacia, invece. Un marito geloso
bloccato con un lavoro noioso e ripetitivo, scopre che la moglie lo
tradisce e forse l’amata figlia non è sua.
Già frequenta un famoso detective tossico, il passo ad
alcool e droga è breve. Torna a casa con la pistola appena
comprata, nasce un alterco con la moglie, impazzisce e spara. Cosa non
combacia? -
- Che John non è così -
fece soltanto Sherlock.
- Lo so - rispose dopo una pausa, sospirando tra
sé. - Ora non puoi fare altro. Vai a dormire, domani mattina
ti vedrai con Trevor e potrai vedere tutte le prove -
Il detective chiuse il telefono con rabbia,
incapace di pensare che davvero credessero che John potesse aver ucciso
la moglie.
Sherlock non si dava pace, non poteva pensare a
John chiuso in prigione, John che rischiava di essere trasferito in un
carcere di massima sicurezza, John che non gli aveva ancora potuto
raccontare cos'era successo.
Non chiuse occhio, controllando e ricontrollando
le prove che Mycroft gli aveva fornito. Doveva esserci qualche elemento
fuori posto, qualcosa che rendesse evidente la presenza di un altro
uomo sulla scena del crimine.
Non c’era niente ed era estremamente
frustrante, continuava ad alzare lo sguardo verso l’orologio,
sperando che i minuti passassero più in fretta e fosse
già ora di vedere Victor, ma l’orologio sembrava
schernirlo ed andare anche più piano.
Attorno alle sei di mattina, finalmente,
qualcuno suonò al campanello di Baker Street. Sherlock era
certo si trattasse di Victor, non poteva essere nessun altro. Mise
tutti i documenti nella cartellina di Mycroft e corse giù
per le scale.
Quando aprì la porta, non diede
nemmeno il tempo al vecchio compagno
dell’Università di salutare. Aveva la faccia
stanca di uno che aveva passato la notte ad assistere il proprio
cliente durante un interrogatorio, ma a Sherlock non importava, Victor
si sarebbe riposato in un altro momento, non lo avrebbe messo a suo
agio con tè e biscotti, non quando aveva
l’impellente bisogno di sapere, il prima possibile.
- Come sta John? Cosa ha detto? Si ricorda
qualcosa? - chiese a raffica.
Victor fece una faccia triste,
sospirò e disse soltanto - Sherlock, forse è
meglio che tu ti sieda -
- Non voglio sedermi -
- Sherlock, ha confessato. John ha ammesso di
aver ucciso sua moglie -
E in un secondo, il suo Mondo era precipitato.
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Angolo autrice
Ciao a tutti.
Bello che mi ero appena ripromessa di prendermi una pausa e finire con
calma l’altra storia che ho in piedi. Ma poi ti entrano tarli
nella testa e devi scrivere.
Mi piacerebbe
sapere cosa ne pensate, spero di avervi incuriosito un po’.
Alla prossima
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