Frammenti di colpevolezza

di Lory221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'avvocato e l'indagato ***
Capitolo 3: *** La scena del crimine ***
Capitolo 4: *** Il difetto chimico della parte che vince ***
Capitolo 5: *** Respirare è noioso ***
Capitolo 6: *** Gioco di specchi ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento


Frammenti di colpevolezza

Prologo


Sherlock Holmes poteva essere considerato in tanti modi: un fratello sconsiderato, un sociopatico iperattivo, uno psicopatico, la regina del melodramma, ma chi lo conosceva davvero, sapeva perfettamente che non era solo questo, oltre quella scorza dura c’era molto di più.

Sherlock Holmes aveva un cuore. Non semplicemente l’organo cardiaco che pulsava nella sua cassa toracica, non la parte anatomica che ogni essere umano necessitava per vivere. No, Sherlock Holmes, la macchina, la mente, aveva dei sentimenti.

Li aveva nascosti, custoditi gelosamente per evitare di far sapere al Mondo che poteva essere ferito, perché una pallottola poteva fare dei danni, ma sarebbero stati sempre meno profondi di un cuore spezzato.

I sentimenti erano da sempre considerati pericolosi, dal consulente investigativo. Cosa c’era di piacevole nella mente offuscata dall’amore? La ragione doveva stare sopra ogni cosa.

Eppure, negli ultimi anni, questo suo assioma era stato messo a dura prova, ma il peggio doveva ancora arrivare.

Si trovava a Scotland Yard, fremente, continuava a picchiettare nervosamente sul bracciolo della scomoda sedia dell’ufficio di Lestrade.

Erano ormai tre ore che era fermo lì, la polizia aveva fatto irruzione a Baker Stret a mezzanotte per scortarlo dall’ispettore e ancora non era riuscito a vederlo.

Nessuno voleva dargli informazioni, anzi evitavano il suo sguardo, temendo che avrebbe dedotto tutto quello che era successo anche dalla semplice inclinazione delle labbra, mentre lo fissavano.

Aveva già capito da solo, buona parte di quello che era successo ed il resto lo aveva dedotto dai pezzi di conversazione che aveva sentito.

Quello che era capitato e quello che gli agenti sospettavano, non aveva alcun senso; continuava a ripensare all’evento come in un loop infinito, più tentava di concentrarsi, più sentiva che non riusciva a dirigere il pensiero verso qualcosa di senso compiuto.

John era innocente, ne era certo, non era possibile che avesse fatto quello che stavano dicendo tutti. Lestrade aveva subito fatto prelevare il detective, appena si era verificato l’arresto, onde evitare che si dirigesse sulla scena del crimine, rischiando di invalidare le prove, soprattutto quelle che avrebbero scagionato John. Avrebbe avuto il via libera per esaminare la scena, solo dopo che la scientifica avesse finito il proprio lavoro, non un secondo prima. Così, almeno, aveva rimarcato Donovan facendolo accomodare nell'ufficio di Lestrade.

Voleva disperatamente vedere il luogo del delitto, era sicuro che l’indizio chiave fosse lì, alla sua portata, ma che gli idioti di Scotland Yard non lo avrebbero visto, troppo occupati a collegare tutte le prove a John, senza ragionare su ogni possibile scenario.

Quando finalmente Lestrade ritornò nel suo ufficio, Sherlock gli ringhiò contro, senza dargli nemmeno il tempo di aprire bocca - Posso sapere dove diavolo è John e cosa è successo? - gridò, non capendo come Lestrade potesse avallare quella follia.

- Non è un mio caso, Sherlock. Ritengono che ci sarebbe un conflitto di interessi se indagassi. Non ti faranno avvicinare alla scena, te lo dico subito -

Sherlock strabuzzò gli occhi - Lestrade! -

- No, Sherlock - ribatté soltanto, apparentemente calmo, ma in realtà stremito dagli ultimi avvenimenti.

- Greg - riprovò, ed il tono si era fatto leggermente più supplichevole.

L’ispettore, a  malincuore, scosse la testa - Hanno finito di analizzare i vestiti di John e prendere campioni, adesso è nella sala interrogatori con l’avvocato d’ufficio. Mi dispiace Sherlock, ma per il momento non puoi vederlo, è la procedura -

Il detective sembrò adirato, John era accusato di un crimine che non aveva commesso e si trovava imbrigliato nella stupida burocrazia.

- La bambina? -

- E’ con i servizi sociali, adesso. Credo valuteranno se portarla dalla sorella di John .

Sherlock emise un suono simile ad una risata vuota, immaginando che non ci sarebbe stata persona peggiore per accudire la figlia di John - Puoi dire a John che gli troverò il migliore avvocato disponibile e che non dica niente finché non arriva? -

Lestrade fece cenno di sì con la testa - Sherlock, mi dispiace davvero -

- Non dire niente. Tutti voi, qui, sembrate averlo già condannato, cosa non mi stai dicendo? - ribatté, con il tono sempre più aggressivo. Non capiva come, dopo  tutto quello che lui e John avevano fatto per Londra, non ci fosse nessuno dalla parte del dottore.

- Domani sera ti porterò tutto quello che posso far uscire dalla centrale, in Baker Street, te lo prometto Sherlock, ma tu non devi fare stupidaggini -

Sherlock incassò in silenzio il non poter avere altri dati su cui lavorare e il non poter vedere John, ed uscì dall’ufficio di Lestrade, avendo cura di sbattere la porta più forte che poteva.

Nel tragitto verso l’uscita, fu seguito dagli sguardi straniti degli altri agenti e dal commento acido di Donovan, che non mancò di sottolineare come avesse sbagliato la sua previsione anni prima, alla fine era stato John ad uccidere qualcuno.

Il detective non si scomodò nemmeno a urlarle in faccia la sua incompetenza, ma uscì rapido, in cerca di risposte.

Sapeva che non poteva recarsi sulla scena del crimine e non aveva alcuna intenzione di violare quegli stupidi divieti, se quello equivaleva a incrementare i sospetti su John. Avrebbe chiamato un avvocato e con lui si sarebbe recato sulla scena, quale consulente della difesa. Avrebbe agito nella legalità finché la situazione glielo avrebbe consentito, John non era ancora spacciato.

Un trillo e capì subito che poteva essere solo suo fratello.

Immagino che stai cercando un avvocato
MH

Ne hai uno disponibile?
SH

Ho saputo che l’avvocato d’ufficio è il tuo vecchio amico dell’Università, Victor Trevor.  Ha una buona media di vittorie, avrai bisogno di qualcuno che sopporti le tue continue interferenze. L’ho già contattato e sta andando da John. Passerà da te, tra qualche ora.
MH

Perché tra qualche ora? D'accordo
SH

Ho fatto recapitare a casa tua tutto il dossier sull’omicidio. Immaginavo non riuscissi ad aspettare. 
MH

Nonostante tutti i propositi, tornando a Baker Street, non riuscì a tenersi lontano dal luogo del delitto. Sarebbe rimasto all’esterno, lontano dalla striscia di “vietato oltrepassare”, lontano dalle luci delle auto della polizia, lontano dalla folla che si era radunata sotto casa di John Watson. Tutti a ripetere quanto fosse orribile quello che era accaduto.

Era strano trovarsi lì, tante volte si era trovato a passeggiare vicino a quella casa, durante la notte, chiedendosi cosa facesse John. Probabilmente non voleva saperlo, non voleva che la sua testa immaginasse John e Mary assieme, mentre lui vagava da solo per Londra, alla ricerca di qualche criminale o di una dose.

Si accorse che stava leggermente tremando e si strinse nel cappotto, mentre l’umidità della notte riempiva l’aria.

Continuò ad osservare quella casa vuota, senza John, che avrebbe passato la notte in carcere, senza la piccola Sophie, nelle mani dei servizi sociali, senza Mary.

Ancora non gli sembrava possibile che qualcuno l’avesse uccisa. Non faceva che maledirsi per essere stato così impegnato con i casi, da non accorgersi che la famiglia Watson era in pericolo.

Tornò a casa quasi controvoglia, da una parte fremeva per vedere il fascicolo, ma al contempo non agognava vedere le foto del corpo morto di Mary. Accese la luce nel salotto e prese in mano il dossier che Mycroft aveva lasciato per lui, sulla poltrona di John. Proprio su quella poltrona, di tutti i posti dove poteva appoggiare quel maledetto fascicolo. Era la prima volta che un caso non era eccitante, ma dannatamente orribile.

Iniziò con il verbale degli agenti che per primi erano accorsi sulla scena a seguito di una segnalazione del vicino di casa. Avevano sentito delle urla e il rumore di spari proveniente dalla casa di John. Dal primo sparo, la neonata non aveva mai smesso di piangere.

Gli agenti avevano dovuto sfondare la porta d’ingresso per entrare. Lo spettacolo che si era presentato davanti sembrava inequivocabile, John in stato confusionale, accanto alla pistola che dal successivo esame balistico sarebbe risultata l’arma del delitto e il corpo di Mary Watson a terra, priva di vita.

Eseguito il test della paraffina, John era risultato positivo e sulla pistola c’erano esclusivamente le sue impronte. Era bastato avvicinarsi per sentire alito vinoso e vedere gli occhi lucidi, per cui lo stato confusionale era stato immediatamente ricondotto all’uso di alcool e al sospetto chock per aver ucciso la moglie. Di conseguenza, nessun test per droghe o narcotizzanti era ancora stato eseguito.

Sherlock imprecò sottovoce, era evidente che qualcuno lo aveva incastrato. Anche se tutte le prove portavano a John, non c’era un movente.

Telefonò immediatamente al fratello, sperando che avesse saputo qualcosa di più.

Mycroft aveva immaginato che prima o dopo il fratello gli avrebbe telefonato, per cui non si era nemmeno disturbato ad andare a dormire. Il telefono squillò e lui si preparò a quella conversazione.

- Sherlock, parliamoci chiaro. Se non fosse John ma qualcun altro, penseresti fosse innocente? - esordì, lasciando Sherlock stupito da un’affermazione del genere, quando a lui sembrava l’innocenza di John troppo evidente. Dove aveva sbagliato?

- È palese che lo hanno incastrato, quale sarebbe il movente, Mycroft? -

- E quale sarebbe il motivo per incastrarlo? Deduco che non hai letto il fascicolo fino in fondo, non stai facendo un buon servizio a John facendoti prendere dai sentimenti per lui, Sherlock - commentò, calmo, cercando di far ragionare il fratello, cosa che invece innervosì ulteriormente Sherlock.

- Sono lucido, a cosa ti riferisci? -

- John e Mary hanno avuto una discussione pubblica, con molti testimoni -

Sherlock si sentì schiaffeggiato, non ne sapeva niente - Cos’è successo? -

- Sembra che Mary abbia tradito John con un suo ex. Infatti, in questo momento, stanno facendo un test del dna alla figlia, non hanno idea da quanto tempo andasse avanti la storia -

- Non vuol dire niente - ribatté - E la pistola? Non era quella di John - insistette.

- Se ti dicessi che un testimone, uno che frequenta brutti giri, ha visto John girare per i covi dei tossici e gli ha chiesto, dove potesse comprare una pistola non registrata? -

- Non attendibile - rispose senza esitazione.

- E se ti dicessi che era un poliziotto sotto copertura? -

“Corrotto” pensò tra sé - John aveva una sua pistola, se avesse dovuto commettere un omicidio premeditato, cosa che si evincerebbe dal fatto che aveva comprato un'altra arma, non sarebbe rimasto in casa in stato di chock -

 - Secondo la teoria della polizia, voleva uccidere l’amante, ma poi ha litigato con Mary e le cose sono sfuggite di mano.

- Mycroft, non ha senso -

- Tutto combacia, invece. Un marito geloso bloccato con un lavoro noioso e ripetitivo, scopre che la moglie lo tradisce e forse l’amata figlia non è sua. Già frequenta un famoso detective tossico, il passo ad alcool e droga è breve. Torna a casa con la pistola appena comprata, nasce un alterco con la moglie, impazzisce e spara. Cosa non combacia? -

- Che John non è così - fece soltanto Sherlock.

- Lo so - rispose dopo una pausa, sospirando tra sé. - Ora non puoi fare altro. Vai a dormire, domani mattina ti vedrai con Trevor e potrai vedere tutte le prove -

Il detective chiuse il telefono con rabbia, incapace di pensare che davvero credessero che John potesse aver ucciso la moglie.

Sherlock non si dava pace, non poteva pensare a John chiuso in prigione, John che rischiava di essere trasferito in un carcere di massima sicurezza, John che non gli aveva ancora potuto raccontare cos'era successo.

Non chiuse occhio, controllando e ricontrollando le prove che Mycroft gli aveva fornito. Doveva esserci qualche elemento fuori posto, qualcosa che rendesse evidente la presenza di un altro uomo sulla scena del crimine.

Non c’era niente ed era estremamente frustrante, continuava ad alzare lo sguardo verso l’orologio, sperando che i minuti passassero più in fretta e fosse già ora di vedere Victor, ma l’orologio sembrava schernirlo ed andare anche più piano.

Attorno alle sei di mattina, finalmente, qualcuno suonò al campanello di Baker Street. Sherlock era certo si trattasse di Victor, non poteva essere nessun altro. Mise tutti i documenti nella cartellina di Mycroft e corse giù per le scale.

Quando aprì la porta, non diede nemmeno il tempo al vecchio compagno dell’Università di salutare. Aveva la faccia stanca di uno che aveva passato la notte ad assistere il proprio cliente durante un interrogatorio, ma a Sherlock non importava, Victor si sarebbe riposato in un altro momento, non lo avrebbe messo a suo agio con tè e biscotti, non quando aveva l’impellente bisogno di sapere, il prima possibile.

- Come sta John? Cosa ha detto? Si ricorda qualcosa? - chiese a raffica.

Victor fece una faccia triste, sospirò e disse soltanto - Sherlock, forse è meglio che tu ti sieda -

- Non voglio sedermi -

- Sherlock, ha confessato. John ha ammesso di aver ucciso sua moglie -

E in un secondo, il suo Mondo era precipitato.



****** ******


Angolo autrice
Ciao a tutti. Bello che mi ero appena ripromessa di prendermi una pausa e finire con calma l’altra storia che ho in piedi. Ma poi ti entrano tarli nella testa e devi scrivere.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, spero di avervi incuriosito un po’.
Alla prossima

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Capitolo 2
*** L'avvocato e l'indagato ***



L'avvocato e l'indagato


John Watson era un medico militare, era un uomo che non si accontentava di una vita ordinaria in periferia, era il fedele assistente del detective più famoso di Londra, ma in quel momento, era solo il marito indagato di un cruento omicidio.

Questo, almeno, era quello che titolavano i giornali freschi di stampa e quello che credeva la maggior parte delle persone. Ma non Sherlock Holmes, mai avrebbe potuto credere che il suo migliore amico, il suo John Watson, potesse aver ucciso la moglie Mary, in un impeto d’ira.

Lui e Victor non si erano scambiati alcun convenevole e il detective aveva subito fatto strada verso il suo appartamento, dove si aspettava di ricevere una risposta o una spiegazione plausibile sulla rivelazione di Victor, che John aveva confessato l’omicidio.

- Sta proteggendo qualcuno, mi sembra ovvio, perché dovrebbe farlo altrimenti? - fece Sherlock, passeggiando nervosamente avanti e indietro. Era stanco, era abbastanza evidente. Non dormiva da oltre trentasei ore, non mangiava dalla colazione del giorno prima e ogni fibra del suo essere, cercava delle risposte.

John non era soltanto il medico militare, fedele assistente e compagno di avventure. Per Sherlock, quello che alla maggior parte delle persone sembrava un essere ordinario, era la persona migliore e più saggia che avesse mai incontrato. Non si rendeva conto nemmeno lui di quanto profondamente fosse legato a John e non aveva mai voluto approfondire oltre, non da quando John aveva lasciato Baker Street per una vita più normale.

Victor si sedette sulla poltrona di John, non poteva sapere che quella poltrona era sacra da quando il dottore se ne era andato, che nemmeno Moriarty l’aveva violata e che ormai Sherlock preferiva tenerla per sé, piuttosto che lasciare che i clienti si sedessero li.

Victor Trevor era il classico bravo ragazzo. Nato in una famiglia benestante, aveva fatto di tutto per dimostrare che valeva molto di più del suo cognome. Il destino aveva fatto sì che nella sua vita universitaria incontrasse un genio pazzo come Sherlock Holmes.

Erano passati tanti anni dall’ultima volta che si erano visti e se Sherlock non fosse stato così sconvolto dagli ultimi eventi, si sarebbe soffermato di più a osservare quanto fosse cambiato il suo ex compagno di stanza, ma al contempo quanto fosse così simile al ragazzo che aveva conosciuto.

I capelli erano più lunghi e c’era qualche striatura bianca nella chioma, oltre ad essere comparsa qualche piccola e affascinante ruga attorno agli occhi, ma lo sguardo vivace e il sorriso sincero erano rimasti gli stessi di un tempo.

Victor Trevor era stata la prima persona a sopportare e cercare di capire Sherlock, prima di John, prima dei vari Lestrade e Molly, ed era stato il primo ad innamorarsi inutilmente di lui.

Poteva vantarsi, inoltre, di essere stato l’unico appuntamento galante del detective, così espressamente definito da entrambi, nonostante poi Sherlock lo avesse classificato come un esperimento inconcludente.

Quella prima ed unica serata, conclusa con un goffo bacio del giovane detective ed un ancora più goffo commento “ero stufo di aspettare che ti decidessi, e onestamente non so se mi piace questa cosa del baciare”, non si era più ripetuta, nonostante la tremenda cotta che Victor aveva per Sherlock e le speranze che riponeva in una relazione diversa dall’amicizia.

Ma queste non erano le idee di Sherlock, che era scappato a gambe levate dopo quell’incontro.

Aveva subito sentito la mancanza di ossigeno, della libertà di cui sarebbe stato privato da una relazione sentimentale. O almeno, così credeva lui, ma in realtà, nel profondo, era la paura di essere ferito che lo aveva frenato. Doveva sembrare strano alle le persone “normali”, che vivevano ogni emozione come parte naturale della vita, pensare che qualcuno, nella fattispecie Sherlock, per evitare di essere ferito, schivasse ogni possibilità di essere felice e amato.

Victor lo aveva capito, era molto più sveglio e maturo di quello che credeva Sherlock e non aveva insistito, perché aveva compreso di non essere così speciale da fargli superare ogni paura e vivere appieno le emozioni; così, alla fine, erano tornati amici, anche se era sempre rimasta una qualche complicità.

Complicità che sembrava sussistere ancora, data la naturalezza con cui Sherlock l’aveva trascinato nel salotto di Baker Street, senza usare alcun formalismo. Alla fine, anche il detective aveva ceduto alla stanchezza ed era sprofondato nella sua poltrona.

- Che cosa vuol dire, che ha confessato? - chiese furente, immaginando già, che avrebbe urlato a John quanto fosse idiota.

Victor assunse un’espressione seria - Non è valida la confessione, io non ero ancora arrivato e non ha firmato niente. Ma sembra abbastanza sicuro di essere stato lui -

- Sembra? - chiese Sherlock.

- Non ricorda bene, era piuttosto ubriaco, Sherlock - rispose Victor.

Il detective registrò anche questa informazione. John non ricordava, poteva essere successo di tutto, anche che degli sconosciuti fossero entrati in casa Watson, mentre lui stava smaltendo la sbornia in camera da letto. Il discorso dell’alcool turbava un po’ Sherlock; John non era tipo da vizi, né da presentarsi a casa ubriaco. Era vero che negli ultimi tempi non erano riusciti a vedersi molto, ma il detective non immaginava che la vita di John si fosse diretta verso un binario accidentato.

Credeva che John fosse felice nel suo ruolo di marito e padre, per questo non era stupito del fatto che si fossero sentiti sempre meno.

In ogni caso, John Watson non avrebbe mai commesso un omicidio.

E il tassista, Sherlock?” fece la sua parte razionale, naturalmente impersonata da Mycroft.

Quello era diverso, ero in pericolo

Sicuro che qualcuno non fosse in pericolo anche questa volta?

La sua mente lo lasciò con quel gigantesco punto di domanda, perché si accorse che Victor lo stava fissando, come in attesa di qualcosa, e Sherlock si rese conto che l'avvocato non era abituato ai momenti in cui si isolava nel suo Palazzo Mentale.

- Non è stato lui! - commentò soltanto Sherlock, appoggiandosi allo schienale della poltrona

Victor sorrise, capendo che Sherlock non era cambiato negli anni, era sempre sfrontato e sicuro di sé. O lo amavi o lo odiavi, non c’era via di mezzo. Era così indisponente, sfacciato e arrogante ma al contempo geniale e affascinante, che di certo non passava inosservato. Tutto dipendeva da quale parte di lui restasse più impressa; c’era chi non superava le prime battute sfrontate e preferiva tenersi lontano dall’uomo intuitivo e complicato e c’era chi ne restava talmente affascinato da sopportare ogni stranezza. Victor era uno di questi ultimi.

- Ci sono diverse prove - Iniziò l’avvocato, non per scoraggiare l’amico, ma per prepararlo al peggio.

- Lo stanno incastrando, mi sembra ovvio. Quando finalmente vedrò la scena del crimine dal vivo e potrò esaminare... - Voleva dire il corpo, ma ancora non riusciva a pensare di passare sotto la lente di ingrandimento, quello che una volta era il corpo di Mary. Non era un sentimentale, ma non era nemmeno un robot. Era Mary, la donna che John amava e aveva scelto, la madre della figlia di John, la ragazza sveglia, molto più sveglia della maggior parte delle persone che aveva incontrato. Non era un’estranea, non era soltanto la vittima, era Mary.

Nel fascicolo di Mycroft c’erano soltanto le foto di come era stata trovata perché non era ancora stata esaminata dal coroner; era caduta in avanti, per cui la visuale delle foto era di schiena, faccia a terra e un’enorme pozza di sangue a incorniciare la maglietta bianca e i pantaloni neri.

- Potrai vedere la scena. Ogni cosa a suo tempo, la scientifica deve prima finire di fare il suo lavoro - fece Victor, non riuscendo a trattenere uno sbadiglio stanco.

Sherlock si mise a picchiettare le dita sul bracciolo della poltrona. Non era pensabile che rimanesse li, senza fare niente, in attesa che qualche idiota contaminasse la scena.

Victor strizzò gli occhi più volte, cercando di rimanere sveglio e solo allora Sherlock capì che stava pretendendo troppo dal suo vecchio compagno di Università.

Fece per scusarsi, per non averlo accolto con quel minimo di cortesia che si richiederebbe nei confronti di un vecchio amico, ma Victor lo anticipò - Possiamo sempre sentire i vicini, vedere se ricaviamo qualcosa da loro -

Sherlock annuì, sicuramente avrebbe messo sotto torchio chiunque nel raggio di chilometri, ci doveva essere per forza qualcuno che avesse visto chi si era introdotto da John e perché. Quel pensiero lo fece sobbalzare, quanto era lento quando si trattava di qualcuno a cui teneva - La serratura non era forzata, è stato fatto entrare, probabilmente da Mary - esclamò, mettendosi in piedi e cercando nel fascicolo di Mycroft, qualche prova che potesse evidenziare la presenza di una persona conosciuta, sulla scena del crimine.

Victor avrebbe voluto ribattere che la maggior parte delle persone avrebbe detto che la serratura non era forzata, perché l’omicidio lo aveva commesso John e che per statistica, l’assassino va sempre cercato tra i parenti della vittima, ma Sherlock era troppo contento dell’ultima deduzione per smorzargli l’entusiasmo.

- Se Mary l’ha fatto entrare - continuò Sherlock - doveva essere qualcuno che conosceva. Cosa sappiamo del misterioso amante? -

- Credo sia un ex di Mary. John ha visto dei messaggi, ma non ha voluto parlarmene. Per il momento è ancora sotto shock -

- Voglio vedere John - affermò soltanto il detective, ne aveva più bisogno che mai.

- Certo, lo immaginavo. A tal proposito, c’è qualcosa che devo sapere? -

- Che intendi? - chiese il detective.

- Che girano delle voci su di voi, non vorrei dover affrontare questo problema in aula, sarebbe un ulteriore movente per l’omicidio. John che nasconde una relazione omosessuale alla moglie, lei che di ripiego si trova un amante e lui che per risolvere tutto… -

- Non arriveremo in aula, John sarà scagionato prima dell’inizio del processo, perché troverò il colpevole - rispose Sherlock, mettendo a tacere ogni possibile opposizione di Victor. Una volta il detective aveva chiesto al dottore, se fosse sicuro di conoscerlo al cento per cento. Ora era il suo turno di dimostrare che conosceva perfettamente John. - Comunque, non c’è niente da sapere - aggiunse, un po’ a malincuore, rimpiangendo tutte le volte che il dottore aveva scherzato sopra alla loro relazione:  “…mi hai tolto i vestiti in una piscina buia” … “adesso sì, che la gente parlerà” … “sono così che sono iniziate certe voci”.

Victor gli sorrise e non aggiunse altro, la strada era ancora ripida, prima di poter pensare di scagionare John. Ma aveva davanti Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo del Mondo. Si alzò dalla poltrona e si avvicinò piano al detective, che sembrava completamente distaccato dalla realtà, in quel momento  - Sherlock, se vuoi andiamo a parlare con Watson anche adesso, dubito stia dormendo -

Il detective fece un abbozzo di sorriso e si preparò ad uscire di nuovo - E’ comunque bello rivederti, Victor -  gli disse soltanto e Trevor si ritrovò a ridere della situazione - Anche per me -

***** *****

John sapeva che prima o dopo, Sherlock gli avrebbe fatto visita in cella e avrebbe dovuto guardarlo in faccia e ammettere che lo aveva deluso. Non riusciva a pensare lucidamente, ricordava i rumori e lui che guardava il corpo inerte di Mary, un attimo prima che la polizia facesse irruzione. In quel momento c’era solo lui in casa, lui e la piccola, nessun altro.

Non aveva ancora elaborato tutto quello che era successo, non riusciva a pensare coerentemente. Continuava a chiedersi cosa ne sarebbe stato della figlia e se poteva richiedere che fosse affidata a Sherlock. A tutti sarebbe sembrata un’idea folle, ma lui non riusciva a pensare a essere umano migliore, in quel momento.

Quando la poliziotta venne a prenderlo per scortarlo in una stanza privata, dono di Lestrade, John era sicuro che vi avrebbe trovato Sherlock.

La seguì a capo chino ed entrò nella stanza, arredata soltanto da un tavolino e due sedie. Una delle due, naturalmente, era occupata dal detective, che mantenne la necessaria compostezza, finché la porta non si chiuse e la poliziotta li lasciò soli.

Si alzò e si diresse verso John. Erano entrambi stravolti, come se un rullo fosse passato sopra ad ognuno di loro, più e più volte.

- John, stai bene? - fece il detective, trattenendosi dal toccarlo per esaminarlo meglio.

John fece un sorriso triste, chiuse gli occhi ed inspirò - Sherlock, sono sicuro di essere stato io -

- Smettila, perché dici così? - sbottò Sherlock, furente, allontanandosi da lui come a prendere le distanze da quelle parole così pesanti.

- Perché, come dici sempre tu, è quello che dimostrano le prove. Me le hanno sbattute davanti -

Sherlock cercò di calmarsi e si rimise a sedere, incoraggiando John a fare altrettanto - Spiegami, cos’è successo tra te e Mary, perché eri ubriaco? -

John si passò stancamente una mano sulla testa - Una serie di problemi - liquidò velocemente, come se non volesse parlarne.

- Dovrai essere più esplicito - rispose spazientito.

- Sherlock, smettila, sono stato io -

Il detective roteò gli occhi e scosse la testa.

- Ci ho pensato tante volte, Sherlock, come sarebbe stato tutto più semplice se Mary non ci fosse stata. Se fosse andata improvvisamente via e fossimo rimasti solo io e la bambina - disse serio, con una punta di vergogna.

- Pensarlo non significa mettere in atto un omicidio, John. Ma cosa è capitato tra voi? Mi sembrava tutto a posto l’ultima volta che vi ho visti -

- Intendi mesi fa, al battesimo?- fece John, con una leggera punta di risentimento, anche se non era chiaro se fosse indirizzata a Sherlock o a se stesso - Come fai a perdonare qualcuno che ti ha mentito dal primo giorno e ha finito anche per tradirti? -

- Non lo so, ma tu lo avevi fatto. Hai perdonato persino me - commentò Sherlock.

- E’ diverso, non ti ho sposato - cercò di scherzare John.

Sherlock si morse un labbro, ma cercò di continuare la conversazione, ritornando sui fatti e non sui sentimenti che ruotavano attorno alla vicenda - Parlami della pistola -

John abbassò lo sguardo - La mia vicina di casa era perseguitata dall’ex e aveva paura. Le volevo procurare una pistola e le vie legali erano troppo lunghe -

Sherlock si guardò attorno spazientito, sospirò e poi puntò su John, uno sguardo che racchiudeva biasimo e fastidio - John, ma perché non sei venuto da me, prima di metterti a girare per covi di tossici? -

- Perché posso arrangiarmi da solo, Sherlock - commentò il dottore duro, senza sapere perché se la stesse prendendo con il detective.

- Vedo, infatti sei in prigione senza alibi e con un movente -

- Non sono la tua damigella in pericolo ed è per questo che mi assumerò la responsabilità di quello che ho fatto - rispose piatto John, senza tradire alcuna emozione.

- Non sei stato tu, anche se credi che le prove portino a te. Non è possibile, John. Tu non sei un assassino a sangue freddo, un femminicida. Tu sei una persona buona, leale, sei un soldato, sei… - iniziò ad elencare, e il tono di voce si era fatto più concitato.

- Smettila, nessuno è così perfetto! - rispose John, con la voce leggermente incrinata.

- Tu sì - esclamò soltanto Sherlock, prendendogli le mani, in una risposta che ricordava terribilmente il dialogo di tanti anni prima, a parti inverse, sul tetto del Bart’s.

John sorrise, assaporando uno dei pochi momenti sentimentali dell’amico e per un attimo, rimasero in silenzio, a fissarsi, incontrando ognuno gli occhi profondi dell’altro.

- L’amante di Mary? - esalò soltanto Sherlock, togliendo le mani da quelle di John e interrompendo il contatto visivo.

- David, te lo ricordi? Era al mio matrimonio - rispose, ricomponendosi.

- Come dimenticarlo - commentò Sherlock con una alzata di sopracciglio - Altri problemi? Qualcuno che poteva avercela con te? -

Il dottore scosse la testa e Sherlock non riuscì a capire se era solo molto provato o se stesse nascondendo qualcosa.

- Il tuo avvocato è un mio vecchio amico, un compagno di Università - continuò il detective.

- Sì, mi ha detto di conoscerti -fece John, anche se non aveva capito si trattasse proprio di un amico, credeva che Sherlock non classificasse nessuno in quel modo, a parte lui.

- Presto verrà fissata la tua udienza per la cauzione - affermò Sherlock, cercando di dargli speranza, facendogli capire che presto sarebbe uscito di prigione, ma il dottore non lo stava ascoltando. Continuava a fissare le sue mani, dove prima erano strette quelle di Sherlock.

Al detective si strinse il cuore a vederlo così distrutto e senza alcuna voglia di riprendersi. Non riuscirono a dirsi altro, perché furono interrotti dal poliziotto di turno, il tempo della visita era già scaduto.

Sherlock si alzò dalla sedia, tenendo gli occhi fissi su John, con un mezzo sorriso - Questa non è la tua caduta John, ci sarò io a fermarla
-

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Angolo autrice:
Intanto grazie a tutti quelli che hanno letto, commentato e aggiunto in qualche lista questa storia.
Il titolo di questo capitolo fa un po' Grisham ;)
si rallenta un po' il ritmo, dopo un epilogo più che "agitato" :-P spero vi sia piaciuto.
Alla prossima

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Capitolo 3
*** La scena del crimine ***



La scena del crimine



Sherlock e Victor si erano diretti a casa Watson, subito dopo pranzo.

L’avvocato cominciava a ricusare le molte ore di lavoro; era riuscito a passare in ufficio qualche ora, giusto il tempo di buttarsi a dormire sul divano mentre Sherlock parlava con John.

Ma la pausa non era durata molto, il detective gli aveva telefonato per dargli appuntamento sulla scena del crimine, avvisandolo che la polizia li avrebbe aspettati, per cui si era alzato stancamente dal divano e si era preparato a ricominciare.

Arrivati sulla scena, Sherlock si era comportato in maniera piuttosto frenetica, più del solito; appena messo piede in casa di John, non si era fermato un attimo. Aveva scrupolosamente osservato ogni granello di polvere, ogni oggetto che potesse sembrare fuori posto, ma non c’era niente che lo illuminasse.

Gli mancava il suo conduttore di luce e Victor non era un valido sostituto. Ci metteva tutto l’impegno possibile, ma a Sherlock non sembrava abbastanza. Percorse avanti e indietro ogni camera, sotto gli sguardi perplessi dei poliziotti, annoiati, che continuavano a muoversi sul posto in attesa di poter nuovamente chiudere la casa e recintare la scena.

Il detective si soffermò su quella casa, quel posto che non aveva mai visitato. Non era mai entrato a casa di John da quando si era trasferito a vivere in periferia con Mary, l’aveva sempre vista da fuori e si era domandato tante volte come fosse fatta, come l’avessero arredata.

Si ritrovò stranito, era così diversa da Baker Street. Tutto era tremendamente asettico: i muri bianchi, l’arredamento moderno e anch’esso dai colori chiari, una sola carta da parati elegante, niente legno di noce, niente riviste buttate in giro. Si soffermò sulle foto nelle cornici, c’erano alcune del matrimonio, altre della piccola Sophie e nient’altro. Non che si aspettasse una sua foto, magari con il cappello, ma almeno una scattata durante le nozze.

- Cos’è quello sguardo? - chiese Victor, guardando gli occhi cristallini di Sherlock, intenti a elaborare il fatto che in quella casa non c’era niente che potesse, in qualche modo, ricordare a John la loro vita prima della caduta o almeno quella più recente.

Si strinse nel cappotto e abbassò il bavero - Niente, purtroppo non riesco a dedurre niente da questa scena - affermò, scacciando via gli ultimi pensieri.

- Simuliamo la tua teoria, che dici? - chiese Victor, cercando di incoraggiarlo - Io farò Mary e uno dei nostri baldi poliziotti farà il tipo che dici sia entrato, ok? John era in camera da letto, per cui per il momento non lo interpreterà nessuno - continuò.

Sherlock annuì e uno degli agenti acconsentì a quella ricostruzione, pur di andarsene presto da quella scena. Il poliziotto uscì, bussò alla porta, Victor/Mary andò ad aprire ed entrambi si voltarono a fissare il detective in attesa di istruzioni - Mi punta la pistola subito? - chiese l’avvocato.

- No, Mary lo avrebbe disarmato se fossero stati così vicini -

Victor lo guardò perplesso e Sherlock proseguì - Fidati di me quando dico che aveva le competenze per disarmarlo e poi è stata trovata nel soggiorno. Per cui, Mary lo invita ad entrare e arrivate in soggiorno. A questo punto lui estrae l’arma e spara -

- Ok, tre colpi e cado a terra - fece l’avvocato, mentre l’agente fingeva di sparare - E poi? I vicini sentono lo sparo e…-

- No, non quadra - intervenne Sherlock, riprendendo a passeggiare nervosamente - La pistola era stata acquistata da John, non poteva averla l’uomo -

- Magari quando è tornato a casa, l’ha appoggiata da qualche parte all’ingresso o sul tavolo, l’uomo l’ha presa entrando - ragionò Victor a voce alta.

- Mary non avrebbe lasciato armi in giro - commentò Sherlock, guardandosi attorno sconsolato.

Gli agenti si scambiarono uno sguardo complice, come a evidenziare che c’era una sola persona che poteva aver ucciso la povera donna.

- Era ubriaco - riprovò Victor - forse gli hanno rubato l’arma prima che arrivasse a casa, per incastrarlo, come dici tu, e poi l’uomo l’ha usata per uccidere Mary -

- Può essere - fece Sherlock, ma la teoria non lo convinceva, c’erano troppe cose che non quadravano.

- I vicini chiamano la polizia - continuò Victor - E l’uomo… -

- Esce dalla finestra per non farsi vedere dai vicini - intervenne uno dei due agenti, ormai parte di quel gioco - La finestra del bagno era aperta quando siamo arrivati - continuò.

- Voi siete gli agenti accorsi sulla scena? - chiese il detective, dando importanza a quei due uomini solo in quel momento. Quello che gli aveva appena risposto era alto, con l’accento irlandese e i capelli castani, l’altro più basso e più giovane, probabilmente appena uscito dall’accademia.

- No, siamo arrivati dopo, per delimitare l’area - rispose il poliziotto giovane, mentre l’altro sbuffava.

Victor si avvicinò al detective, che stava ancora fissando la stanza stranito - Altre ipotesi? -

Sherlock fissò Victor e poi sembrò avere un'illuminazione - Andiamo a parlare con la vicina, vittima di stalking! - affermò soltanto e uscì da quella casa, senza salutare gli agenti e senza aspettare che l’avvocato esprimesse una sua opinione.

Quando Victor uscì a sua volta dall’abitazione dei Watson, dopo aver ringraziato gli agenti, vide Sherlock che discuteva animatamente con una signora, probabilmente la vicina di casa per cui era stata comprata l’arma.

L’avvocato corse da Sherlock, prima di dover difendere anche lui per ingiurie o minacce e quando li raggiunse e sentì il dialogo dei due, capì perché Sherlock era tanto agitato.

- Victor, puoi spiegare alla signora che deve dire la verità e non verrà perseguitata penalmente per aver voluto un’arma per proteggersi? - sbraitò il detective. Victor fece per confermare ma la vicina intervenne ancora più indispettita.

- Non ho un ex che mi perseguita e non ho mai chiesto aiuto ai Watson. Avrò visto il marito due volte! -

L’avvocato fece uno strano verso, tra lo stupito e l’amareggiato - Signora, ha visto qualcuno aggirarsi attorno alla loro casa negli ultimi giorni? -

- Non ero qui, ero da mia sorella a Glasgow, sono tornata oggi - rispose la donna.

Sherlock riprese a fissare un punto indeterminato davanti a lui e poi, senza dire una parola, si voltò e si diresse alla fermata più vicina della metropolitana.

Sentiva che non era lucido, come aveva osservato Mycroft durante la telefonata. Per forza non riusciva a pensare in maniera coerente, John era accusato, Mary era morta e non aveva un valido aiuto da nessuno, ma proprio perché era così coinvolto, doveva essere freddo e considerare ogni ipotesi, anche dolorosa.

La polizia aveva da subito sviluppato un’ipotesi, la colpevolezza di John, e aveva adattato ogni prova alla loro idea.

Lui aveva subito pensato ad un estraneo che aveva incastrato Watson e per questa ragione non aveva visto le incongruenze.

Perché lo avrebbero incastrato?” continuava a sentire nella sua testa la voce del fratello, che gli faceva notare che non c’erano indizi nemmeno in quel senso.

Magari qualcuno che voleva vendicarsi di me” pensò, cercando di far tacere Mycroft, inutilmente.

Certo, ruota tutto attorno a te”.

Mentre questo dialogo avveniva nella sua testa, capì che solo una persona poteva incastrare così bene John, metterlo ko il tempo sufficiente per rendere credibile la scena e lasciare che la indagini facessero il loro corso: Mary.

Nelle foto non si vedeva bene il viso, era con la faccia a terra e insanguinata. Lei era abbastanza intelligente da immaginare che Sherlock non avrebbe visto piacevolmente il corpo, si sarebbe fatto sviare dai sentimenti.

Poteva aver trovato qualcuno che le somigliasse, come aveva fatto lui stesso e Irene prima di lui, per fingere la morte. John era troppo stravolto per capire che non era lei, quando l’aveva trovata;  magari il riconoscimento certo non era stato possibile, le avevano sparato in faccia e Sherlock non aveva idea di quanto fosse stato deturpato il viso. Inoltre, così presi dalla loro teoria, gli agenti avevano dato per scontato che fosse Mary Watson, perché John non lo aveva mai negato ma anzi confermato.

Victor gli corse nuovamente dietro, sperando che il detective gli avrebbe spiegato dove stavano andando o cosa avesse capito, ma Sherlock si richiuse nel mutismo totale.

Quando finalmente raggiunsero la destinazione che il detective aveva in mente, l’avvocato non trattenne un verso stupito - L’obitorio? -

Il detective si girò di scatto e Victor si trovò ad indietreggiare, quasi finendo a sbattere contro il muro.

- Tutto è insensato - fece il detective in maniera febbrile - Adesso, addirittura, sembra che John si sia inventato anche il motivo per cui ha comprato una pistola non registrata. Lo ripeto, se voleva uccidere Mary, non si sarebbe ubriacato, no? Se fosse un genio criminale avrebbe agito lucidamente. Se invece fosse stato un raptus, beh non si sarebbe precedentemente procurato una pistola per un omicidio che non sapeva di voler commettere, capisci? -

- O si era procurato la pistola per ucciderla in un altro momento, ma l’alcool gli ha fatto fare una cazzata -

Sherlock lo fulminò con lo sguardo e l’avvocato vide per la prima volta quell’espressione che mai aveva sfoggiato negli anni dell’Università, un misto di rabbia, disperazione e paura.
- John è innocente, nessun dubbio a riguardo. E se non ci credi fino in fondo, sarò costretto a cambiare avvocato - affermò duramente.

- Devo pensare a tutte le eccezioni dell’accusa, Sherlock, perché è evidente che lo massacreranno in aula - ribatté Victor, facendosi serio - E ora spiegami perché siamo qui -

- Non ho ancora visto il corpo, Victor - fece soltanto, come se fosse ovvio. E improvvisamente non era più spaventato dal volerlo vedere, anzi stava quasi correndo per i corridoi, sapendo che Molly era già lì e lo stava aspettando, l’aveva avvisata con un SMS e nonostante non fosse lei la dottoressa assegnata all’autopsia, per Sherlock e John avrebbe violato il protocollo senza problemi.

Victor continuava a stargli dietro, temendo un altro buco nell’acqua, ma incrociò le dita.

Molly li accompagnò silenziosamente nella stanza, dove era conservato il corpo di Mary, con tutte le cartelle cliniche e le analisi effettuate.

- Tu l’hai vista? - chiese il detective.

Lei scosse il capo e sul volto di Sherlock apparve un sorrisetto strafottente, che parve rincuorare anche Molly.

La dottoressa sollevò timidamente il lenzuolo, senza dire niente, sperando che il genio si sarebbe subito messo all’opera e avrebbe trovato il tassello fuori posto che lo stava tormentando.

Sherlock trattenne il fiato, ma quando Molly sollevò completamente il lenzuolo, il battito e il respiro del detective aumentarono esponenzialmente e la dottoressa subito si offrì di trovargli una sedia, sembrava sul punto di svenire da un momento all’altro - Da quanto non mangi, Sherlock? - chiese preoccupata - E da quanto non dormi? -

- Non capisco - esalò soltanto.

- Cosa? -chiese Victor, mentre Molly si avvicinava al detective, per controllare che fosse in salute.

-Era l’unica possibilità, che quella non fosse Mary - affermò - Le foto erano di schiena, non si vedeva la faccia. Poteva aver finto, proprio come avevo fatto io, e John era in stato di shock, non poteva accorgersene. Gli agenti non la conoscevano bene -

- Sherlock - fece Molly, prendendogli una mano - Stai straparlando, quella è Mary, è sicuramente lei. Nelle cartelle risulta che hanno confrontato il sangue con quello della figlia. Inoltre, anche se deturpato, si vede che è il viso di Mary - Continuò tristemente - Credevi che lei avesse finto la propria morte per incastrare John? - chiese la dottoressa, perplessa da quell’idea.

Sherlock boccheggiò, impreparato a rispondere a come la sua mente avesse fatto quel salto, fino ad accusare Mary.

Andiamo, Sherlock. Smettila di dire che ti piace Mary. Anzi, dovrei dire, "ti piaceva"” commentò il Mycroft del suo palazzo mentale “Era la moglie di John, avresti fatto qualunque cosa per vederlo felice, anche farti andare bene Mary, perché temevi di non poter competere con lei, non sei riuscito a farla sparire come le varie Sarah, Janette…

- Zitto - urlò il detective, sotto gli sguardi perplessi e preoccupati di Molly e Victor, e poi cadde a terra svenuto, perché c’era un limite anche a quello che il corpo di Sherlock poteva sopportare.


***** ****


Si svegliò molte ore dopo, disteso nel suo letto. Sentiva la testa girare e gli sembrava che tutto l’appartamento stesse facendo altrettanto. Senza pensarci, si mise a gridare - John! - per poi ricordarsi che ormai erano anni che non viveva più a Baker Street.

Si alzò troppo velocemente e, complice la pressione bassa, si ritrovò seduto nuovamente sul letto. Dei passi lo raggiunsero e Victor aprì la porta della sua camera -Hey, tutto bene? Abbiamo dovuto portarti qui di peso -

Sherlock si massaggiò la testa, ricordando la sala autopsie e l’ennesima teoria sbagliata.

- Sherlock - riprovò Victor - Vuoi parlarne? -

- Di cosa, della mia improvvisa incapacità di risolvere i casi? -

- No, del fatto che sei innamorato di John Watson - affermò l’avvocato, sfoggiando un sorriso amichevole e sedendosi accanto a lui - Non negare, Sherlock, si vede -

Il detective boccheggiò per un attimo. Possibile che Victor, che non lo vedeva da anni e non lo aveva mai visto interagire con John, affermasse con tale sicurezza che lui provava simili sentimenti? Non aveva chiaro, cosa volesse dire essere innamorato di qualcuno, non gli era mai successo prima e non sapeva se tutto quello che provava per John fosse quello che il resto dell’umanità definiva amore.

- Da cosa si vedrebbe, scusa?  - chiese, sopraffatto dalla sicurezza con cui parlava Victor.

- Sai quando siamo usciti assieme, anni fa? Non avevi una luce speciale negli occhi, avevi solo razionalmente pensato che, dato che andavamo d’accordo, avremmo potuto frequentarci. Forse ti piacevo, ma avevi deciso che dovevamo uscire assieme perché sembrava una cosa logica, non perché sentivi qualche emozione ogni volta che ci vedevamo. Ma non eri abbastanza preso, non ero io quello che ti avrebbe fatto passare ogni paura. Onestamente speravo per te, che in vent’anni avresti trovato quel qualcuno e che ti avrebbe ricambiato -

Sherlock sembrò colpito. Ricordava perfettamente quell’unico appuntamento con Victor, quel tentativo di essere più simile agli altri suoi coetanei  che passavano le ore in mensa a raccontare incredibili esperienze sessuali.

- Non sai di cosa parli - gli rispose, scontroso.

- Smettila, non hai nessuno con cui confidarti. Se le cose, negli anni, non sono cambiate, immagino che non racconti i tuoi pensieri a tuo fratello. Mi sembra evidente che non puoi parlarne con John, per cui parlane almeno con me - incalzò.

- John non… - iniziò, per poi riformulare la frase - John è il mio migliore amico e la mia priorità è scagionarlo, in questo momento - rispose deciso, mettendo da parte ogni forma di sentimentalismo.

- Se non butti fuori la tua tempesta emotiva, non andrai da nessuna parte, Sherlock. Se vuoi, torniamo a parlare con lui e ti fai dire cosa nasconde, ma finché sei così scombussolato, non riuscirai a unire tutti i puntini - affermò, duro, per dargli una scossa - Fai come vuoi, comunque è passato un ispettore a lasciarti un’altra cartellina, mentre eri incosciente. E’ di là sul tavolo - concluse, alzandosi dal letto.

Sherlock abbassò il capo e iniziò a parlare, mentre Victor era ancora sulla porta - Quello che provo non ha rilevanza, Victor. Lo so che lui non prova quello che provo io, non ha importanza, io ci sarò sempre per lui, comunque vada, con chiunque vada a vivere, con chiunque si sposi -

- E ti basta? - chiese tristemente.

- Me lo faccio bastare -


**** ****
Angolo autrice
Niente John in questo capitolo, ma tornerà nel prossimo, non temete.
Un grazie enorme a tutti quelli che seguono e alle fantastiche recensioni.
Alla prossima

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Capitolo 4
*** Il difetto chimico della parte che vince ***



Il difetto chimico della parte che vince


Sherlock si sedette sul divano, con lo stomaco chiuso nonostante non mangiasse da due giorni e iniziò a sfogliare il fascicolo lasciato da Lestrade. C’era qualche foto in più rispetto a quello di Mycroft, soprattutto c’erano i sopralluoghi degli agenti, effettuati nel corso dei rilievi.

Continuava a riguardare le fotografie, cercando di concentrarsi. Gli sembrava che qualcosa fosse fuori posto ma non riusciva a capire esattamente cosa. Forse Victor aveva ragione, non avrebbe mai congiunto tutti i puntini se prima non avesse risolto i suoi sentimenti inespressi per John.

John, il suo conduttore di luce, chiuso in una cella perché lui non era capace di risolvere il caso. Solo a pensarci, gli si stringeva ulteriormente lo stomaco.

Trovò i verbali con le varie deposizioni dei testimoni, tra cui quelli che avevano assistito al litigio tra John e Mary, alla clinica.

John aveva urlato “perché non mi hai detto di lui, pensavi non lo scoprissi?” “non ti permetterò di rovinarmi di nuovo la vita” e “ormai credi ti perdoni qualunque cosa?”, prima che Mary lo spingesse nell’ambulatorio per continuare la discussione in privato.

A ben guardare, anche quelle frasi avevano qualcosa di strano.

Doveva parlare di nuovo con John, ora era più necessario che mai. Ma sarebbe stato in grado di parlargli? Di aprirsi? Di supplicargli di dire la verità?  Il fatto che gli avesse mentito lo destabilizzava. Perché gli aveva detto che la pistola l’aveva comprata per la vicina, quando non era vero?

Mycroft avrebbe commentato che era sospetto, che era indice di colpevolezza e lo avrebbe creduto anche lui, se non fosse stato John. Il suo John.

- Sherlock! - gridò Victor dalla cucina - Ho preparato qualcosa da mangiare con gli avanzi di cibo trovati in frigorifero, devi mangiare qualcosa -

Il detective alzò la testa, si era completamente dimenticato della presenza dell’avvocato  - Sicuro fosse cibo e non pezzi di cadavere? - rispose, apparentemente serio ma con un leggero sorriso, ripensando a quanto sarebbe stato bello avere di nuovo un coinquilino. Ma non uno qualsiasi.

Sentì il rumore di qualcosa che veniva buttato nella pattumiera e Victor che telefonava al take-away.


***** ****


Qualche ora dopo, Sherlock era di nuovo alla centrale di Scotland yard e stava camminando lungo i corridoi delle celle dove venivano trattenuti gli arrestati, in attesa dell’udienza preliminare, per la cauzione o per il proscioglimento.


Senza proscioglimento e senza cauzione, John sarebbe stato trasferito nelle prigioni di stato, accanto ai delinquenti comuni. Era un soldato, sapeva sopravvivere, ma il detective non voleva nemmeno immaginare la possibilità che John si ritrovasse a sopravvivere in un carcere, per tutta la durata del processo, magari accanto ai delinquenti che avevano contributo ad arrestare.

Victor gli aveva comunicato che l’udienza per la cauzione o per dimostrare la non colpevolezza e ottenere il proscioglimento, era stata fissata per il giorno dopo.

Più si avvicinava alla cella di John, più sentiva che il tempo stava combattendo contro di loro. C’erano troppe prove a carico, nessun giudice lo avrebbe prosciolto prima del processo e non era così scontato che ottenesse la cauzione.

Finalmente arrivò alla cella dell’amico, piccola, buia e con un demotivato John disteso nel suo letto. Il dottore era talmente assorto che nemmeno aveva sentito i passi di Sherlock avvicinarsi.

Il detective si accostò alle sbarre e le strinse con forza - John - chiamò, in un misto di dolcezza e frustrazione.

Il dottore tremò leggermente, sentendo la voce di Sherlock, non del tutto sicuro di essere felice di vederlo. Si alzò dal letto e si avvicinò anche lui alle sbarre, prendendosi il suo tempo per osservare l’amico. Pallido, stravolto, non si era nemmeno rasato, lui che era sempre così perfetto. Quello che gli era successo stava facendo del male al detective e John non poteva sopportarlo - Dal tuo stato, direi che non stai dormendo né mangiando - commentò, in tono di rimprovero.

Sherlock esibì un’espressione furente, facendosi ancora più vicino alle sbarre - Basta, John, mi stai deliberatamente mentendo e non capisco perché - fece calmo, ma il suo sguardo era in tempesta.

- Non ti ho mentito, ti ho detto che sono stato io. Per favore, lascia che mi assuma le mie responsabilità - rispose serio, appoggiando a fronte sulle sbarre, inalando inconsapevolmente quell’odore di tabacco e Londra che emanava soltanto Sherlock.

- No, John. Mi hai detto che la pistola l’hai comprata per la tua vicina e non è vero - fece il detective, non distogliendo lo sguardo dal dottore.

John per un attimo sembrò come schiaffeggiato e Sherlock continuò - Mi hai detto una bugia, che pensavi non sarei andato a controllare, perché era verosimile e non c’era motivo per parlare con la vicina. Mi hai dato qualcosa che mi distraesse, voglio sapere perché! -

John lo guardò a lungo, cercando di imprimersi il suo volto bene in mente, perché gli sarebbe sicuramente mancato in prigione - Mi condanneranno, Sherlock. Non voglio che questo caso diventi la tua ossessione, vai avanti con la tua vita, dimenticati di me -

- Cosa stai dicendo, John? - rispose, tremando, non capendo perché si stesse esprimendo in quel modo. Come poteva pensare che si sarebbe dimenticato di lui? Non avrebbe mai potuto, anche nei due anni in giro per l’Europa, intendo a smantellare la rete di Moriarty, non aveva mai smesso di pensare a John.

- C’è Sophie, vorrei che ti occupassi tu di lei. Almeno un Watson sarà di nuovo a Baker Street - fece John, cercando di sorridere.

- Smettila, d’accordo? Non so perché tu sia convinto di aver ucciso Mary e non so perché tu mi stia mentendo, ma di certo non smetterò di indagare. Dimmi la verità, la affronteremo insieme - rispose, con una leggera punta di panico, facendosi più vicino alle sbarre, al punto che i loro visi potevano quasi toccarsi.

- Mi dichiarerò colpevole, domani, all’udienza preliminare - affermò semplicemente.

Sherlock sgranò gli occhi e fece un passo indietro - Non puoi farlo! Non pensi a Sophie? - gridò, cercando di farlo ragionare. Come pensava di poter abbandonare la figlia e lui, per un omicidio che non aveva nemmeno commesso - Dico sul serio, John. Sophie ha bisogno di suo padre e io ho bisogno del mio blogger - aggiunse, cercando di sembrare ironico quando, in realtà, era mortalmente serio - Non pensi a me? - aggiunse, palesando in sole quattro parole, anni e anni di sentimenti inespressi.

- Penso a entrambi, Sherlock. Per questo devo prendermi le mie responsabilità - rispose asettico, come qualcuno che ormai aveva preso una decisione e non intendeva in alcun modo tornare indietro.

- Continui a ripeterlo, ma non capisco cosa tu voglia dire -

John abbassò lo sguardo e Sherlock notò che era sul punto di scoppiare a piangere. Istintivamente il detective allungò le dita oltre le sbarre, per potergli toccare il viso e il dottore non mosse un solo muscolo.

- Vattene, per favore - esalò soltanto John.

Il detective ritrasse velocemente le dita e lo osservò a lungo. Il dottore sapeva che stava cercando di dedurlo in ogni dettaglio: dal perché stesse guardando a destra e non a sinistra o perché le sue mani avessero determinati calli. Quello che per il resto del mondo erano dettagli insignificanti, per Sherlock erano tutto e John non voleva capisse.

Sherlock sentì che qualcosa stonava, ma non disse niente, si girò, pronto per andarsene nuovamente ad investigare, quando le parole di John lo inchiodarono sul posto. Parole che il dottore credeva, potessero essere un valido movente o forse era soltanto qualcosa che sentiva da tempo di dover dire e non aveva mai avuto il coraggio.

- Non l’avevo davvero perdonata, Mary. Era la madre di mia figlia, avevo paura che scappasse con Sophie se l’avessi lasciata, ma non l’avevo perdonata per averti sparato. Non l’amavo più, l’ho capito solamente il giorno del Battesimo, durante la festa, nel caos, quando mi guardavo in giro smarrito chiedendomi dove fossi finito tu, mentre di dove fosse andata Mary non mi importava minimamente -

- Credevo non ti importasse dov’ero, volevo lasciare che la famiglia Watson si godesse il suo momento - mormorò Sherlock, voltandosi appena.

John gli sorrise, con gli occhi lucidi, ancora saldamente aggrappato alle sbarre.

E in quel momento Sherlock capì, come un’illuminazione improvvisa, come un film che scorreva improvvisamente davanti ai suoi occhi. Si rilassarono le spalle, assunse la sua espressione più intelligente e per poco non sorrise.

John notò il cambio repentino, quella faccia che di solito non sopportava perché voleva dire che il detective aveva capito tutto, quando lui era molto indietro.

- Sherlock? - fece, guardandolo con la faccia storta.

Il detective si avvicinò nuovamente, con un sorriso felice, talmente illuminante che cozzava con il suo aspetto dimesso  - Oh, John. Tu mi hai insegnato così tanto. Non è vero che i sentimenti sono il difetto chimico della parte che perde, ora l’ho capito, sono la forza che ti permette di andare avanti e in questo caso di risolvere il rebus -

John, scosse il capo, in un tentativo disperato - No, Sherlock -

- Mi hai mentito sulla pistola, mi hai mentito sul fatto che non ricordi niente, mi hai mentito sull’amante, non è David, l’hai buttato lì per depistarmi -

- No! - urlò John.

- Si, invece. Mi hai deliberatamente mentito, ogni parola che mi hai detto da quando ci siamo visti dopo il tuo arresto. Anch’io l’ho fatto una volta, su un tetto e c’era un’unica ragione. Se non vuoi dirmi che succede, troverò qualcuno che mi aiuterà a capirlo. Come hai detto tu una volta, risolvo i casi solo quando è importante. Domani c’è la tua udienza quindi adesso è più importante che mai. A tra poco John -

E corse via, con John aggrappato alle sbarre, che ancora gridava il suo nome.


****** *****


Sherlock corse da Lestrade, spalancò senza tante cerimonie la porta del suo ufficio, incurante del fatto che stesse lavorando, con Donovan che gli urlava che non poteva comportarsi così. Un solo sguardo per fulminarla e un solo gesto per sbatterle la porta in faccia, mentre Greg lo osservava con sguardo stranito.


Temeva che, prima o dopo, il detective avrebbe avuto un esaurimento nervoso, e cominciava a credere che quel momento fosse arrivato.

- Lestrade, sto per dire una cosa e tu non dovrai mai rinfacciarmela - affermò il detective, frenetico.

- Ok - rispose curioso e preoccupato al tempo stesso.

- Ho bisogno del tuo aiuto - fece serio, gli era costato molto ammetterlo, ma il suo orgoglio poteva essere messo da parte se c’era di mezzo John.

Greg sorrise e si alzò di scatto dalla scrivania - Certo, Sherlock. E credo potrebbe servirci anche la scientifica, tu che dici? -

Sherlock emise uno sbuffo, ma acconsentì alla partecipazione della "scientifica", nella fattispecie Anderson

Mezz’ora dopo, Sherlock, Greg e Phil si trovavano nuovamente a casa di John. Anderson era riuscito a procurarsi un manichino per verificare la traiettoria dei proiettili, in base all’esame effettuato dalla balistica.

Il manichino era al centro del soggiorno e Anderson stava infilando i puntatori laser laser, che avrebbero evidenziato con precisione, come si era verificata la sparatoria.

Quando tutto fu al suo posto, i tre osservarono i fori - Sembra che la sparatoria sia avvenuta in due tempi - affermò Phil.

- Già - fece Sherlock - Prima uno sparo di traverso e poi due colpi perpendicolari -

- Perché l’assassino dovrebbe aver cambiato posizione? - chiese Greg, mentre Sherlock danzava sulla scena, sempre più entusiasta - Pensi che John e il nostro sospetto abbiano lottato per la pistola e sia partito un colpo? -

- Precisamente - affermò Sherlock, contento che l’ispettore avesse fatto progressi nelle sue deduzioni.

- D’accordo, illuminaci - fece Lestrade, grattandosi il capo.

- Sono sempre partito dal punto sbagliato. John non è stato sottoposto ad alcun esame alcolemico, sembrava ubriaco e nessuno si è preoccupato di controllare quanto. Magari aveva bevuto solo un bicchiere e tutto il resto era dovuto allo shock - affermò, aggirandosi per la casa, entrando nel bagno per poi uscire con un sorriso compiaciuto.

- Ma John… - intervenne Anderson, per obbiettare che il dottore aveva detto che era ubriaco e non ricordava niente.

- John mente e poi arriveremo al perché. Comunque, altro fattore di errore, John non era già in casa. John è arrivato dopo, con la pistola appena acquistata, probabilmente era sul punto di commettere un omicidio, ma questo non lo diremo al Giudice. Non quello di Mary, quello dell’uomo che ha ucciso Mary - affermò Sherlock, congiungendo le mani sotto il mento.

- L’amante?  - chiese Greg.

Sherlock sbuffò e gli riservò una tipica espressione da “quanto siete idioti” - Non esiste l’amante, esiste qualcuno che li stava minacciando. John torna a casa, trova Mary che sta parlando con quest’uomo. Il nostro Watson estrae la pistola, ma l’uomo è furbo e veloce, segue una lotta per la pistola, parte un colpo e prende Mary sul fianco. Non letale, ma John si spaventa e molla la presa della pistola, così il nostro uomo si mette di fronte a Mary e la finisce -

Lestrade e Anderson rimasero a fissare il detective e poi il manichino, immaginando la scena appena descritta.

- E perché John non dovrebbe raccontare questa versione? - chiese Phil.

- Perché l’uomo l’ha minacciato, mi sembra evidente.  John è ingenuo, crede a tutto - continuò Sherlock, estraendo il cellulare e digitando un sms veloce per il fratello.

- D’accordo, ma tu hai capito chi è stato? - chiese Lestrade.

- Ovviamente, il problema sarà dimostrarlo -


***** *****

Angolo autrice:

Eccoci qui, con una parte del rebus... cosa ne pensate?

Per quanto riguarda la scansione processuale, non conosco benissimo il sistema inglese di Common law; sono sicura che c'è un'udienza per la cauzione e che viene fissata il primo giorno utile, non ho idea se possa essere così rapida e mi sono permessa di chiamarla udienza preliminare, un po' come nel nostro sistema l'udienza davanti al GUP.

Spero continui a piacervi, un mega grazie a tutti quelli che stanno leggendo e grazie ancora per le bellissime recensioni, siete fantastici!!!
Alla prossima

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Capitolo 5
*** Respirare è noioso ***



Respirare è noioso


Da quando Sherlock lo aveva lasciato nella sua prigione, John aveva nervosamente passeggiato avanti e indietro nella cella, chiamato la guardia più volte, per poi cambiare idea e non aprire bocca e alla fine era crollato seduto a terra.

Si chiese se Sherlock avesse davvero capito tutto e come poteva fermarlo prima che si facesse ammazzare.

Se avesse avvertito qualcuno, avrebbe dovuto per forza raccontare tutto, rischiando di mettere in pericolo Sherlock e Sophie, ma se fosse stato zitto e il detective avesse individuato il colpevole, avrebbe servito il suo migliore amico su un piatto d’argento all'uomo che lo aveva incastrato.

In entrambi i casi, il detective rischiava la vita, perché non aveva smesso di indagare come sperava John. Avrebbe dovuto dire qualcosa per ferirlo, farlo arrabbiare, qualcosa per tenerlo lontano, ma sapeva che qualunque cosa avesse fatto, il detective non avrebbe mai mollato la presa, sapeva che non era fatto così.

Fece un profondo respiro e optò per l’unica soluzione ragionevole, sperando di non doversene mai pentire. Richiamò nuovamente la guardia, che questa volta se la prese abbondantemente comoda, immaginando che sarebbe stata un’altra passeggiata a vuoto.

L’uomo arrivò davanti la cella, con tutta la calma e lo fissò, in attesa di venire congedato.

« Voglio parlare con il mio avvocato, è urgente 
» fece John, stupendo la guardia.

« Il suo avvocato? 
»

« Sì, Victor Trevor. Ho delle cose da dire »


***** *****


Sherlock lasciò Lestrade e Anderson, abbandonando casa Watson con gli occhi pieni di speranza.

Avevano un piano, o almeno una parvenza di piano. Mycroft stava cercando di scoprire tutto il possibile sull’uomo che Sherlock gli aveva indicato via messaggio.

Inutile far scattare la trappola senza avere la certezza di chi avessero davanti; inoltre, c’era un punto su cui alla fine, aveva concordato anche il detective: con John di mezzo non era lucido, mentre il fratello avrebbe mantenuto la freddezza necessaria per incastrare l’uomo.

Per sicurezza, aveva subito fatto mandare una scorta di senza tetto a casa di Harriet, in modo che facessero la guardia alla piccola Sophie. Non aveva idea se l’uomo agiva da solo o se era aiutato da qualcuno, che avrebbe potuto fare del male alla figlia di John.

L’ispettore ritornò alla centrale, in attesa di istruzioni da parte di Mycroft, mentre Sherlock ritorno in Baker Street, in modo da farsi trovare pronto per quando il piano del fratello sarebbe scattato.

Mentre saliva le scale con nuovo vigore, grazie alla prospettiva di catturare un assassino e liberare John, il suo cellulare vibrò all’arrivo di foto e dati, relativi all’uomo del mistero. Mycroft era stato veloce.

Scopri così, che l’uomo aveva avuto un’altra identità per un lungo periodo. Un periodo in cui la sua vita si era intrecciata per sempre  con Mary Morstan  e con Jim Moriarty.

Sherlock lesse tutto, rendendosi conto che troppe cose gli erano sfuggite, che due anni lontano per stanare la rete di Moriarty erano stati inutili, se non era riuscito ad individuare il suo braccio destro,  così vicino a lui.

Imprecò sotto voce, il suo passo si era fatto deciso, avrebbe finalmente regolato i conti con quello che rimaneva del seguito di Moriarty, una volta per tutte.

Se non fosse stato così sicuro di sé, forse si sarebbe accorto che non era solo in casa.

Quando Sherlock appese il cappotto all’appendiabiti e si diresse in cucina, solo allora sentì un leggero scricchiolio nella penombra. Si voltò e vide che l’uomo che aveva ucciso Mary e aveva lasciato che John se ne assumesse la colpa, era nascosto nel suo salotto, con la pistola in mano.

Castano, alto, tipicamente irlandese, ma questo lo aveva notato già sulla scena del crimine, quando i due agenti lo avevano accompagnato assieme a Victor e uno dei due aveva detto la classica frase di troppo, che lo aveva tradito.

« Agente McBender
» affermò Sherlock.
 
« Preferirei mi chiamassi colonnello Moran
» rispose l’uomo, con un sorriso arrogante e la pistola in pugno.

Era stato lento, troppo lento. Troppe cose erano fuori posto in quel caso, perchè non era stato un delinquente comune a commetterlo, era stato il sicario di Moriarty, Sebastian Moran. Quello era il nome che tante volte era spuntato nelle sue indagini, mentre era occupato a stanare tutta la rete del suo nemico.

Il sicario che mai aveva trovato, ora era lì, nel suo soggiorno.

A Sherlock montò dentro una rabbia furiosa, ma all’apparenza sembrava calmo e concentrato.  Doveva rimanerlo, per compensare lo svantaggio di essere disarmato davanti ad un cecchino esperto.

« E dire che Jim ti riteneva così intelligente. Come mai non hai pensato a un poliziotto? Era così che Jim era sempre avanti su tutti. Chi credevi fosse il cecchino che teneva d’occhio Lestrade, quello che lo avrebbe ucciso se tu non ti fossi buttato dal tetto? 
» chiese, beffardo.

Sherlock si morse un labbro, odiando tutto se stesso per non averlo capito prima « Ma ti sei tradito quando mi hai detto che la finestra era rimasta aperta a casa di John 
» rispose Sherlock, cercando di prendere tempo e trovare un modo per uscire vivo da quella situazione.  « Quando i primi agenti sono arrivati sul posto hanno scattato delle foto e poi sigillato gli ambienti per evitare contaminazioni, chiudendo la finestra. In base ai verbali, tu sei arrivato dopo, quando ormai la finestra era stata chiusa »

Moran non sembrava per niente colpito, ma anzi continuava a sorridere « Volevo che lo capissi, Holmes. Volevo che capissi che ero stato io! Voglio vederti morire con la certezza di non poter aiutare John, voglio vedere i tuoi occhi spegnersi, come è successo a Jim 
» quasi urlò, con una inconfondibile disperazione negli occhi. Il fedele braccio destro di Moriarty, forse, non era solo un galoppino, era qualcosa di più « Era così ossessionato da te, da non accorgersi di quanto si stesse spingendo oltre » continuò Moran. Nonostante l’evidente emozione, le sue mani erano immobili, non tremava nemmeno leggermente.

Il detective sollevò un sopracciglio, provocatorio, perché far saltare i nervi al suo rivale, poteva essere l’unica soluzione per salvarlo da quella situazione senza via d’uscita « Evidentemente, Jim, mi trovava più interessante di te 
»

Moran strinse più forte la presa sulla pistola, al punto che le nocche divennero bianche. Aveva capito il gioco di Sherlock, ma lui era troppo esperto per farsi fregare, era il detective che doveva soffrire, doveva sapere com’era stato facile incastrare Watson.

«Tanta fatica e tante sofferenza, Holmes e alla fine morirai senza aiutare il tuo John, che marcirà in prigione. Si divertiranno con lui, in carcere, è così carino 
»

Il respiro di Sherlock accelerò leggermente, ma mantenne la calma, era la sua unica salvezza.

Moran continuò a parlare, cercando di fargli più male possibile. « Che idiota, il tuo amichetto, è rimasto a fissare il cadavere della moglie mentre io sono andato nel bagno. Sono uscito da lì, senza farmi vedere dai vicini, per fortuna la finestra era sul retro. Qualche ora dopo sono stato chiamato per trattenere i curiosi. E’ stato divertente, nessuno sapeva che ero io l’assassino 
»

Il detective fissò lo sguardo spiritato dell’uomo, lo odiava, come aveva odiato Magnussen, come aveva odiato ogni persona che aveva osato minacciare John.

Aveva ragione Moriarty, era dalla parte degli angeli ma non era uno di loro, era pronto a fare qualunque cosa, lo aveva già dimostrato più e più volte.

Forse sarebbe arrivato qualcuno a salvarlo o forse avrebbe dovuto arrangiarsi da solo, l’unica soluzione al momento era continuare a far parlare Moran. Aveva notato che il cecchino, pur restando freddo e impassibile, tendeva a spostarsi nella stanza, mentre raccontava il suo brillante piano, soprattutto ogni volta che veniva nominato Moriarty.

Sherlock voleva che si avvicinasse, giusto quanto bastava per tentare di disarmarlo, per cui riprese la conversazione «Cosa c’entri con Mary? 
» chiese asciutto.

Moran rise ancora « Oh, voglio togliermi questa soddisfazione. Vedere la tua faccia stupida sarà un’altra vittoria. Mary e io abbiamo lavorato insieme, un’unica volta. Puntavamo i nostri fucili con mirino laser in una piscina, ti ricorda qualcosa? 
» chiese beffardo.

Sherlock chiuse gli occhi ed emise uno sbuffo di fastidio, sentendosi ancora più stupido 
« Anche lei ha lavorato per Moriarty? »

« Per un periodo. Teneva d’occhio John, ma ha finito per innamorarsene, la sciocca. Quando tu sei sparito, ha deciso di farsi avanti con lui. Io l’ho trovato perfetto,  al tuo ritorno, avresti trovato John impegnato con lei e il tuo cuore si sarebbe spezzato, proprio come voleva Jim. Io non avevo creduto alla tua morte nemmeno per un secondo, sapevo che dovevo solo aspettare. Quando sei riapparso, Mary era davvero stupita di rivederti vivo. L’ho lasciata in pace, finché le cose non sono cambiate 
»

« Cosa è cambiato? 
» chiese il detective.

« Osservavo i coniugi Watson e mi sembrava imminente la loro rottura. Il tuo cucciolo sarebbe tornato da te, non potevo permetterlo. Non dopo che Jim è morto, non sarebbe stato giusto 
» affermò furente, facendo qualche passo verso il detective. Sherlock cercò di non pensare a quanto era stato vicino ad avere di nuovo John con lui e ora c’erano così poche possibilità di restare vivo.

« Ho contattato Mary, le ho detto di prepararsi, che vi avremmo fatto soffrire. Ma Mary era contraria, ha fatto finta di stare al gioco ma meditava di eliminarmi. Poi John l’ha scoperto e anche lui voleva eliminarmi, così ho capito che potevo trarre vantaggio da questa situazione. Sono andato a casa dei Watson e il resto lo sai già, immagino. Il dottore ha estratto una pistola e io ho reagito. In questo modo prendevo due piccioni con una fava, lui in carcere e tu disperato
»

Sherlock lo guardò disgustato « Hai minacciato di uccidergli la figlia? Cosa gli hai detto da spaventarlo tanto?
»

Moran rise ancora « Cosa pensi di fare Sherlock? Incastrarmi? Ora il tuo bravo fratellino avrà scavato e avrà trovato qualcosa del mio passato. Ma davvero mi porterete in Tribunale per scagionare John? Racconterai che ero un cecchino e del passato di Mary? John te lo perdonerà quando su tutti i giornali apparirà chi era Mary e cosa ha fatto? 
»

« Nessuno lo sa, l’unico che lo sapeva ha una pallottola nel cranio » affermò il detective, freddo, come a sottolineare che quella pallottola l’aveva sparato lui e che non si sarebbe fatto problemi a commettere un altro omicidio per proteggere John, ma il colonnello non gli diede la soddisfazione di sembrare colpito.

« Per raccontare come mai ho avvicinato Mary, salterà fuori che lavorava per Moriarty. Tanti la identificheranno e John e la sua cara bambina subiranno le ritorsioni per quello che Mary ha fatto. Sei più lento di quello che pensavo, Sherlock -

«Tu sei lento, pensi di essere l’unico a disporre di fucili con puntatore laser? » affermò il detective, facendo un cenno con il mento, che lo invitasse ad abbassare lo sguardo e guardare il petto.

Il cecchino lo fece, alla ricerca del laser, ma non c’era nessun puntino rosso sul torace. Il tempo di rialzare lo sguardo e il detective lo colpì con forza, facendogli cadere la pistola. Moran reagì, colpendolo a sua volta e cercando di recuperare l’arma. Sherlock riuscì a farlo inciampare e gli si avventò sopra, con lo scopo di tramortirlo ma il colonnello approfittò della posizione e della propria stazza, più muscolosa di quella del detective, per ribaltare le posizioni e trattenerlo a terra.

Lo bloccò al pavimento, spostando le mani alla bianca gola di Sherlock, il quale cercava di bloccarlo con le braccia, spingendo con tutte le forze che aveva, contro le spalle del colonnello, provando ad allontanarlo da lui, ma invano. Cercò con la mano destra qualcosa con cui tramortire Moran, ma erano in mezzo al soggiorno, lontano da ogni oggetto contundente.

Sentiva che la fine era arrivata: quelli che erano secondi, sembravano minuti senza aria. Avrebbe perso i sensi e poi avrebbe smesso di respirare per sempre: niente più casi, niente più Londra, ma soprattutto niente più John.

Avrebbe dato qualunque cosa per rivederlo, anche solo per un secondo, risentire la sua voce, quella dolce di quando si complimentava per la sua intelligenza e quella dura di quando lo rimproverava per aver lasciato il latte fuori dal frigorifero. Non si aspettava, però, che la sua mente lo avrebbe portato al grido disperato di quando si stava lanciando dal tetto del bart’s.

L’urlo “Sherlock” continuava a rimbombargli nella testa mentre perdeva i sensi, finché non sentì che la presa sul suo collo svaniva piano mentre il corpo di Moran gli rovinava addosso, finché qualcuno non lo spostò, rotolandolo via dal detective.

Mani gentili iniziarono a toccargli il viso, per farlo rinvenire. Sherlock aveva ancora la vista annebbiata, ma anche in quella circostanza riusciva a distinguere gli inconfondibili contorni della figura di John, china al suo fianco. Dietro di lui c’erano altre due figure, quasi sicuramente Lestrade e Victor.

Sherlock cercò di tossire, rotolandosi su un fianco per riprendere regolarmente la respirazione. Percepì altri rumori, qualcuno che correva nel soggiorno, probabilmente altri agenti.
Sentì Lestrade, gridare « John Watson non è evaso, l’ho fatto uscire io per stanare il vero colpevole 
»

Il detective, a terra, rise, immaginando l’improbabile trio di amici che scappava dal carcere, per salvarlo.

John gli appoggiò una mano sul fianco «Stai ridendo o soffocando? 
»

« Entrambi » rispose a fatica. Con la coda dell’occhio vide Moran che veniva portato via, da quelli che sembravano essere agenti dell’MI6 e non della polizia. Probabilmente, anche Mycroft si era attivato e ora il colonnello avrebbe avuto quello che si meritava.

« Respirare non è poi tanto noioso, vero Sherlock? 
» affermò Watson, continuando a passare una mano sul fianco dell'amico, per calmarne i conati.

L’ispettore si avvicinò ad entrambi, aiutando Sherlock a mettersi seduto « John devi tornare con me, dovremo raccontare tutto e firmare qualche carta, ma per il resto, direi che sei libero 
»

Sherlock e il dottore si scambiarono un muto sorriso, l’incubo era finito.


****** *****
Angolo autrice
Grazie come sempre a chi sta leggendo e commentando.
Ho deciso di fare la pausa del capitolo qui, riservando tutta la parte johnlock al prossimo… cosa ne pensate? Avete fatto tante ipotesi e sono davvero preoccupata che questa soluzione non vi soddisfi. Spero di sì. Quello che manca, lo spiegherà John nel prossimo.
Alla prossima, sperando di trovarvi ancora tutti qui ;)

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Capitolo 6
*** Gioco di specchi ***



Gioco di specchi


John rispose ad innumerevoli domande, firmò tutte le carte che gli erano state messe davanti e ore dopo, finalmente, poté lasciare Scotland Yard.

Victor, che era andato con lui, in qualità di avvocato, lo accompagnò fino alla porta e gli rivolse un ultimo sorriso prima di salutarlo « Prenditi cura di Sherlock, ne ha bisogno »

John sorrise a sua volta e ringraziò quell’uomo che lo aveva aiutato, e gli aveva fatto scoprire che c’era stato un tempo in cui, anche Sherlock Holmes, aveva avuto delle relazioni sociali.

Una volta in strada, cercò l’inconfondibile cappotto di Sherlock, ma non c’era da nessuna parte. Non era venuto a prenderlo. A volte gli risultava incomprensibile come ragionasse il detective.

Si avviò alla ricerca di un taxi, quando una figura in cappotto scuro lo prese per un braccio. John si girò, aspettandosi di vedere gli occhi cristallino di Sherlock, invece si trovò davanti un’altra persona e dalla delusione passò allo sconcerto.

« Mary? »

« Dovevo salutarti, prima di sparire »


***** *****

Due mesi prima

Mary aveva appena vestito la piccola, con mani tremanti. Avrebbe dovuto essere un giorno felice, di festa. Stavano per battezzare la figlia, assieme a tutti gli amici. Ma il suo passato era tornato per tormentarla, nelle vesti di Sebastian Moran.

La piccola Sophie le sorrideva dalla culla e la donna non poté non tremare. Sperava che tutto il male che aveva fatto in passato, fosse ormai alle sue spalle.

John le passò accanto, indifferente alla sua presenza.  Da tempo il marito era freddo e scostante e Mary aveva capito che ormai il loro matrimonio era naufragato. Se John aveva già avuto difficoltà a perdonarla, ancora più difficile era stato prendere atto che aveva quasi perso Sherlock, di nuovo, per colpa dei suoi segreti.

Lei  aveva capito che tra loro era finita, sulla pista dell'aeroporto che stava portando via Sherlock. Quando aveva visto lo sguardo distrutto del marito che fissava l’aereo di Sherlock che se ne andava, cambiare repentinamente all’atterraggio dello stesso aereo, aveva avuto la conferma di quello che John provava per il detective.

Era la persona più felice del mondo e la sua mano, che lei aveva stretto mentre l’aereo partiva, lui l’aveva prontamente lasciata per raggiungere l’amico. 


***** *****

Un mese prima

John entrò come una furia nella clinica e Mary capì subito che John sapeva. Aveva notato che negli ultimi giorni era stato molto più attento, forse le aveva anche controllato il cellulare.

« Perché non mi hai detto di lui, pensavi non lo scoprissi? » le urlò contro.

« John, non qui » sussurrò lei.

« Non ti permetterò di rovinarmi di nuovo la vita »

La donna fece un sorriso triste « Non è mai stata mia intenzione »

John fece uno sbuffo infastidito « Ormai credi ti perdoni qualunque cosa? »

Mary scosse la testa, lo prese per un braccio e lo trascinò in un luogo più appartato.

« John, ti fidi di me? »

« No, Mary. Mi dispiace, non più »

« Dovrai fidarti, John. Non vedo altre soluzioni. So come eliminare Moran e tutta la sua rete, ma sarà complicato. Dovremo fingere la mia morte »

« Cosa? » chiese incredulo, il dottore.


***** *****

Due giorni prima a casa Watson

Moran era appena uscito dalla casa, dopo la litigata con John e quello che doveva sembrare l’omicidio di Mary. John aveva caricato la pistola a salve e inaspettatamente, si era rivelato un attore credibile.

« Ok, adesso? » chiese John, frenetico, rivolgendosi a Mary.

« Dobbiamo muoverci, i vicini avranno sentito gli spari » rispose, rimettendosi in piedi e correndo a prendere il corpo che aveva saccheggiato da un obitorio, di un piccolo paesino fuori Londra.

« Non funzionerà » esalò John, guardando il cadavere, molto somigliante a Mary.

« Sì, invece » ribatté la moglie.

« Se Moran andasse a vedere il tuo corpo in obitorio, si accorgerebbe che c’è qualcosa che non quadra, non ti ha sparato in faccia »

« Non lo farà e poi non vedi in che condizioni è? Non capisco come a Scotland Yard non si siano accorti che ormai è un tossico senza speranza. La morte di Moriarty lo ha devastato. Scambierò il test del DNA. Nessuno potrà capire che non sono io, la faccia è deturpata ed è davvero somigliante a me. Tu basterai, come riconoscimento ufficiale »

« E Sherlock? Lui si accorgerà che non sei tu » fece John, pensando che non era stata una buona idea nascondere il piano al detective. Avrebbe voluto coinvolgerlo, ma non lo trovava giusto, non dopo che Mary gli aveva sparato e lui aveva ucciso Magnussen, solo per metterli in salvo.

« Sherlock non è così attento, quando si tratta di me. Non mi conosce così bene come crede, non mi ha mai osservata a lungo. Ha scelto di non vedere, John. E confido che anche tu, ormai, sappia il perché » fece Mary, con una leggera punta di malinconia. Aveva capito da tempo i sentimenti del detective per John; quello che non le era mai stato chiaro era se il marito lo ricambiava o meno.

 
« Siamo stati bravi a trovare un cadavere che avesse le ferite che facevano al caso nostro, è andata proprio come mi aspettavo. Se Sherlock controllasse la scena del crimine, capirebbe che tu non c'entri. Lo darà per scontato e per un po' lo terrà occupato, il tempo che io mi occupi della rete di Moran »

John sospirò, gli dispiaceva mentire a Sherlock, ma era per il suo bene. Per una volta voleva essere lui a mettersi in gioco per proteggerlo.

« Ora viene il difficile
» Continuò Mary « Dovrai recitare bene, John. Quando avrò stanato tutti gli uomini di Moran, allora ricomparirò sana e salva e tu sarai libero. Dobbiamo far credere a Moran che il suo folle piano, di far soffrire Sherlock, sia riuscito; si rilasserà ed io avrò il tempo di uccidere gli uomini che lavorano per lui, altrimenti non saremo mai al sicuro »


****** *****


Due giorni prima, nella cella di John

John si aspettava una visita da parte dell’agente Moran, era scontato che sarebbe venuto a gongolare. L'uomo arrivò con il passo trionfale di uno che aveva vinto una guerra, non una semplice battaglia « Watson, dietro le sbarre. Non potrei essere più felice »

John non disse niente, temeva che potesse farsi scoprire, che avrebbe detto la parola di troppo che avrebbe fatto saltare il piano.

Moran si aspettava quella reazione, per cui sorrise e continuò « Per la cronaca, Mary era d’accordo con me. Lo so che è viva e che ha finto la sua morte. Credi davvero che non riconoscerei degli spari a salve? » sussurrò malevolo.

Il battito di John accelerò, non poteva essere vero, non poteva essersi fatto incastrare in maniera tanto stupida. Sollevò lo sguardo verso Moran, che sorrideva spiritato.

« Presto qualcuno ti accompagnerà dal tuo amichetto, vuole parlarti ovviamente. Non una parola, Watson. Se racconti tutto, Sophie morirà, tua sorella morirà ma per primo ucciderò Sherlock. Sarà una morte lenta e dolorosa, voglio che assapori ogni secondo, pensando che sarebbe stato meglio morire gettandosi da un tetto »

Sebastian Moran lasciò la cella, ridendo, mentre John sentiva che tutto il suo mondo era crollato definitivamente e non c’era più speranza di rimetterlo insieme. A breve avrebbe dovuto vedere Sherlock e mentirgli, confonderlo, non poteva metterlo in pericolo, né lui né la figlia. Magari sarebbe riuscito a convincerlo, John sapeva che Sherlock non avrebbe creduto alla sua colpevolezza, non facilmente, ma alla fine avrebbe dovuto farsene una ragione. Era l'unico modo per tenerlo al sicuro.


***** *****

Oggi


« Mary? Come, cosa? » fece John, tremando. La moglie era davanti a lui, non era scappata all'estero, non aveva rapito la figlia. Era lì e gli sorrideva dolcemente.

« Tranquillo John, davvero hai pensato che fossi d’accordo con Sebastian? » fece lei, avvicinando una mano alla guancia del marito.

« Hai fatto il triplo gioco? In effetti, non so perché mi stupisco » rispose, scuotendo il capo.

« Scusa, John, ma tu non sei un bravo attore e Sebastian non era così facile da ingannare. Solo avendo la sua fiducia potevo arrivare ai suoi uomini. Quando l’ha capito, era troppo tardi. Mi spiace di non aver fatto in tempo a fermarlo, prima che andasse da Sherlock, ma per fortuna sei arrivato tu »

John la guardò sorpreso e si rese conto di non averla mai capita davvero, di aver sposato una perfetta sconosciuta « Stavi andando a salvarlo? »

« Quando ho capito che Moran aveva intuito il mio bluff, sapevo che sarebbe impazzito » rispose lei.

I due si fissarono, senza sapere cosa dire. A John passarono davanti agli occhi, gli ultimi due anni: i primi appuntamenti, il primo bacio, la prima volta che era rimasto a dormire da lei, la proposta di matrimonio interrotta da Sherlock, le nozze e Sophie. Sembrava un'altra vita, che stava per essere archiviata.

« E adesso? » fece lui, titubante.

« Adesso non c’è più nessuno della rete di Moriarty. Mary Morstan è morta e io devo ricominciare una nuova vita. L’MI6 mi ha offerto un lavoro interessante e l’ho accettato » rispose, cercando di mantenere una certa compostezza, nonostante le si spezzasse il cuore ad abbandonare John.

« Ma Sophie? »

« Starà meglio con te. So che volevi lasciarmi, John, ma eri dispiaciuto per nostra figlia. Non voglio che lei diventi la zavorra che ti tiene ancorato a me e ti dirò la verità, questi due giorni mi sono sentita viva come non lo ero da tempo. Mi è mancato il mio lavoro da spia »

John si guardò le scarpe, non sapeva esattamente cosa doveva dire. Da un lato, negli ultimi tempi, non aveva pensato ad altro che lasciare Mary, ma dall’altro lato, si sentiva egoista a non preoccuparsi, prima di tutto, a quale era la cosa migliore per la figlia.

« Basta sentirti in colpa, John! » fece lei, con piglio autoritario « Mi spiace solo essermi messa in mezzo tra te e Sherlock, ma ti ho amato davvero »

La donna si avvicinò e posò un casto bacio sulle labbra, per l’ultima volta « Addio John Watson, cerca di essere felice »


***** *****


Sherlock era in piedi, vicino alla finestra. Il fedele violino appoggiato sulla spalla e gli occhi chiusi. La sua Baker Street silenziosa, poco trafficata, giusto il rumore della pioggia che batteva leggermente sui vetri.

Una sensazione di calma apparente, dopo essere quasi morto, per l’ennesima volta ed essere stato salvato da John, ancora una volta.

Watson era andato in centrale con Lestrade e da allora non lo aveva più visto né sentito. Firmate tutte le carte sarebbe andato da Harriet a prendere la piccola Sophie, e poi chissà, Sherlock non osava sperare di riaverlo con lui, non voleva cullarsi in un’idea che rischiava di rimanere soltanto un’illusione.

Fletté l’archetto in aria, pronto a suonare, ma l’improvviso aprirsi della porta, seguito dall’ancor più improvviso sbattere della porta stessa, lo colse alla sprovvista. Doveva essere davvero perso nei suoi pensieri, per non accorgersi che John era arrivato In Baker Street.

« John?» fece Sherlock, dubbioso. Credeva che il dottore sarebbe andato dalla sorella a prendere la figlia, invece era da solo, ancora vestito con gli abiti che aveva quando era stato arrestato.

Lo sguardo furente non lasciava dubbi, era arrabbiato. Ma perché?

« Credevo saresti venuto alla centrale a prendermi, credevo ti importasse! » sbottò John, coprendo velocemente la distanza che li separava, lasciando il detective più sbigottito che mai.

« Perché stai urlando? » chiese, appoggiando il violino e preparandosi alla sfuriata.

« Perché sono stufo di doverti sempre decifrare, senza capirti » affermò mesto John, credendo che ormai fosse evidente il punto in cui erano arrivati.

« Tu? Hai coraggio di dire questo, dopo che mi hai negato le informazioni per il caso? Se avessi parlato subito, saresti stato fuori in un’ora! » ribatté Sherlock, senza capire davvero  cosa intendesse il dottore.

John scosse la testa, lanciando gli occhi al cielo  « Se avessi parlato subito, Moran avrebbe ucciso Sophie, Harriet e te » rispose, calcando “te”, come se stessero di nuovo facendo il discorso sul testimone di nozze, quando il detective lo fissava senza capire.

Si sentiva esposto. John che rischiava tutto per lui, John che era accorso in suo aiuto, le loro mani strette nella prigione. Sbatté più volte le palpebre, cercando di tornare a quella che doveva essere la realtà.

« Ci saremmo attivati, John. Ti avremmo aiutato »

« È un poliziotto, Sherlock. Come potevo essere sicuro che non ci fossero altri complici nella polizia? Aveva altri uomini che lavoravano per lui » rispose paziente, attendendo che il detective elaborasse la situazione.

« Sei un idiota, dovevi venire da me, appena hai scoperto dell’esistenza di Moran »

Il dottore fece una risata, poco convinta « Ero sul punto di lasciare Mary, non riuscivo più a fingere che tutto andasse bene. Poi ho scoperto che stava architettando qualcosa. Temevo volesse andare via con Sophie, invece era peggio. Era rispuntato questo vecchio “collega” dal passato. Credevo che eliminato Magnussen, l’incubo sarebbe finito. Lei voleva uccidere Moran e io ero preoccupato di cosa potesse accadere. Abbiamo elaborato il piano insieme, Sherlock. Mary ed io »

Sherlock strabuzzò gli occhi, come se fosse stato schiaffeggiato ripetutamente in faccia.

« Mary mi ha raccontato tutto, della piscina, del fatto che lavorava per Moriarty, di come si fosse innamorata di me dopo avermi tenuto d’occhio per due anni. Non hai idea di come mi sono sentito. Abbiamo messo in atto il piano, ma non sapevo che Mary ne stava portando avanti uno da sola. Ha fatto finta di essere d’accordo con Moran ed io ho creduto davvero di aver perso tutto. Ora siamo salvi, Mary si è occupata di tutti gli uomini e…. » fece una pausa, carica di dispiacere per tutto quello che era accaduto  « … e se ne è andata. Immagino che Moran non ti abbia raccontato che Mary era viva, non avrà voluto darti alcuna speranza che le cose potessero risolversi. Voleva distruggerti ed essere certo che non avessi la forza di reagire »

Sherlock sembrava sotto shock « Avresti comunque dovuto lasciare che me ne occupassi io, tu hai troppo da perdere » sbraitò, irragionevole, non capendo come John avesse potuto tenerlo all’oscuro, senza rendersi conto che era quello che lui faceva sistematicamente nei confronti del dottore e per lo stesso motivo: tenerlo al sicuro.

« Certo, così avresti rischiato tu, la vita. Avresti risolto i problemi di Mary, di nuovo, ed io ? » rispose John, alzando il tono di voce.

« Tu cosa? I problemi di Mary coinvolgono te, è ovvio che l’avrei fatto per te. Farei qualunque cosa per... »

Ma John lo interruppe, prima che potesse dire “te” « Non sta volta, non te lo avrei lasciato fare, di nuovo »

Seguì un silenzio irreale, interrotto solo dal rumore della pioggia che batteva sui vetri, sempre più forte.

Sherlock abbassò lo sguardo per un attimo, per poi guardare di nuovo i profondi occhi blu del dottore, che tanta sicurezza gli avevano sempre dato « Tu sei importante, John. Io sono soltanto un sociopatico che risolve casi per non annoiarmi »

« Stai dicendo che la tua vita non conta? Come puoi anche solo pensarlo? Tu, sei molto di più! » affermò, con la voce leggermente incrinata.

Sherlock cercò di ricacciare indietro una lacrima, che stava cercando, con forza, di uscire dal suo occhio destro.

Ancora un passo e John aveva annullato ogni distanza tra loro, sia fisica che mentale « Non sono niente senza di te, Sherlock »

Il detective si ritrovò paralizzato, sotto il peso di quella confessione, non capendo quale fosse la cosa da giusta fare. Era lì, con John, che stava dicendo quello che aveva sempre voluto sentirsi dire.

John sorrise e allungò la mano, per recuperare quella lacrima che stava rigando il viso di Sherlock « Sta tremando, signor Holmes » scherzò, per strappargli un sorriso, lasciando la mano appoggiata sul suo volto.

« Non so cosa devo fare » rispose sincero.

John sorrise  « Solo fidarti »

Entrambe le mani di John, si spostarono sui fianchi di Sherlock, non staccando gli occhi da lui, agitato ed emozionato, mentre l’abbraccio si faceva più stretto e la respirazione  più rumorosa, finché John non poté più trattenersi e si buttò sulle labbra del detective.

Cerò di essere dolce, ma lo aveva desiderato per troppo tempo, per riuscire a controllarsi. Il bacio divenne sempre più profondo, man mano che Sherlock si rilassava tra le sue braccia. Entrambi iniziarono ad accarezzare i capelli dell’altro: John aveva sempre voluto passare una mano in mezzo ai suoi riccioli e Sherlock trovava adorabile, al tatto, la consistenza morbida dei capelli brizzolati del dottore.

Volevano questo, da sempre, ed ora finalmente ne avevano preso coscienza. Era sufficiente per un nuovo inizio, avevano tutto quello che avevano sempre desiderato e mai osato ammettere di volere.

John gli sorrise, controllando che il detective stesse bene, non era sicuro di come Sherlock avrebbe reagito a quel tipo d approccio. Dopo uno scambio curioso di sguardi, scoppiarono a ridere.

« E’ stato piacevole  » esordì il detective, con un braccio ancora stretto a John, come se non volesse più lasciarlo andare.

« Perché tanto stupore. Credevi baciassi male? » fece John, già immaginando che la reazione Sherlock non sarebbe stata normale. E lo adorava per questo.

« Certo che no, altrimenti non si sarebbero spiegate tante ragazze » lo schernì il detective.

« Quindi? »

« La prima volta, con Victor, non mi era piaciuto » affermò semplicemente, ricordando il primo ed unico bacio che avesse ma dato.

John rimase a bocca aperta « Aspetta, Victor il mio avvocato?  Hai baciato il mio avvocato? »

« Era ancora studente, fa differenza? » rispose sarcastico.

« Beh, cavolo, credevo di essere il primo » fece John, fintamente oltraggiato. Ma Sherlock lo prese sul serio, temendo di aver rovinato il momento « È stata una cosa patetica e comunque è più importante essere l’ultimo bacio di qualcuno »

Il dottore sorrise, arricciando le labbra « A parte baciarvi... »

« Nient'altro » gli confermò il detective, prima che la fantasia di John galoppasse, immaginando momenti tra Sherlock e Victor.

« Bene » esalò soltanto, in risposta.

Non sapeva perché gli desse fastidio che il detective avesse un passato, anche lui lo aveva e piuttosto ingombrante. Un passato, che poteva essere definito tale da nemmeno due giorni. Eppure, nonostante tutto, era come se lo avesse già lasciato alle sue spalle, perché aveva maturato da tempo l’idea di tornare a Baker Street.


Il dottore sorrise leggermente, ancora leggermente tremante e confuso dal bacio che si erano appena scambiati «
 Posso chiederti una cosa? Almeno per un attimo, hai dubitato della mia innocenza? »

Sherlock lo guardò stupito, come poteva crederlo? « Mai, John. Nemmeno per un secondo. Non potrei mai dubitare di te, sei la mia parte migliore »

« Molte volte sono stato sul punto di dirti tutto. Speravo capissi, ma al contempo temevo per la tua incolumità. Non sapevo cosa fare e mi sentivo tanto stupido. Temevo di averti deluso, in maniera definitiva »

« Non potresti mai deludermi, John. Non tu » rispose Sherlock, nuovamente commosso.

« Vieni con me a prendere Sophie? E’ ora che facciate conoscenza » fece soltanto John, con gli occhi lucidi, allungando una mano, in attesa che Sherlock la prendesse.

Il detective sorrise, immaginando una vita che non sapeva nemmeno di volere, fatta sì di casi e avventure, ma anche di uscite romantiche, di carezze, di Sophie che lo aiutava negli esperimenti di nascosto da John, di recite scolastiche, di un mondo di cose nuove da imparare ed esperienze da fare. In un attimo si immaginò loro due, con i capelli bianchi, che battibeccavano come sempre, anche da anziani, finiti ad abitare lontano dalla città, in un cottage nel Sussex e i figli di Sophie che correvano per la casa chiamandolo nonno.

« Ti amo » sussurrò soltanto Sherlock, con tutto il coraggio che poteva avere. Trattenne il fiato, in attesa di una qualche risposta da parte di John.

« Ti amo anch’io »

Il dottore gli prese la mano e lo trascinò fuori dall’appartamento, per iniziare un nuovo capitolo delle avventure di Sherlock Holmes e John Watson.

T H E  E N D

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Angolo autrice:
Ciao a tutti, eccoci qui, al gran finale.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto e chi ha  inserito la storia in una delle categorie.
Un grazie particolare e tanto amore per Evola_Love_Beatles, CreepyDoll, Emerenziano, Gely_9_5, Blablia87, Mikimac, origami, sabdoesntcare, SpankHello per aver recensito.
Un abbraccio e alla prossima!


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