Gemelle di Sangue

di _Dafne Johnson_
(/viewuser.php?uid=831132)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Villa Lestrange ***
Capitolo 2: *** Andy ***
Capitolo 3: *** Villa Malfoy ***
Capitolo 4: *** La siepe ***
Capitolo 5: *** Piangere ***



Capitolo 1
*** Villa Lestrange ***


Quel giorno, come ogni mattina presto, la casa non dava ancora segni di vita. Se la si fosse osservata attentamente, tuttavia, si sarebbe potuto notare un debole bagliore proveniente da una finestrella sul lato della casa: la finestrella in questione faceva parte della tetra cucina semi interrata in cui nessun umano  aveva mai messo piede, che era  illuminata solamente da una debole lampada ad olio.
L’unico ad avervi accesso era una creatura piuttosto bizzarra: aveva grandi orecchi, simili ad ali di pipistrello, un’appendice nasale adunca di una grandezza notevole, non priva di bubboni. Gli occhietti, molto piccoli, erano di una forma particolare: quasi avesse sempre gli occhi ridotti a due fessure. La bocca era perennemente serrata, con le estremità rivolte verso il basso. La creatura era alta quanto un bambino di cinque anni, ma aveva i piedi grandi il doppio di quelli di un adulto. Le braccia molto sottili terminavano con mani callose, enormi e rattrappite. Infine, la pelle era d’un rosa pallido, con vene che ricordavano i rami d’un albero in inverno; inoltre era vestito con quello che sembrava un sacco, con quattro buchi agli angoli per le gambe e le braccia. Quella creatura rispondeva al nome di Skannor, l’elfo domestico.
In quella lontana mattina del 15 giugno si sentiva un solo rumore nella tetra cucina , come un borbottio: il tè stava bollendo. Skannor si affrettò a toglierlo dal fuoco : i padroni amavano il tè di quella esatta temperatura. Sì, padroni: essendo un elfo domestico, Skannor era costretto a soddisfare ogni capriccio della famiglia di maghi presso cui dava servizio, fino alla sua morte. Il che, secondo i proprietari, sarebbe accaduto in un tempo non remoto: l’elfo era vecchio e molte volte veniva accusato anche a furia di calci di non essere svelto nei suoi lavori. Dopo avere versato il liquido in un elegante teiera, prese una tazza, un cucchiaino e un piattino che, a differenza del pavimento della cucina, erano talmente lindi da potercisi specchiare. Aggiunse poi quattro biscotti e  appoggiò il tutto su un vassoio ; aprì lo sportello sotto il lavandino, dove normalmente ci sarebbero stati i tubi, sebbene al loro posto c’era uno stretto passaggio, una specie di cunicolo che Skannor sembrava conoscere bene. Il “tunnel” era stato costruito apposta per gli elfi domestici: queste strettoie consentivano loro di occorrere ovunque il loro aiuto fosse richiesto, senza gironzolare per l’elegante villa con uno straccio impolverato o una pila di piatti sporchi.  Skannor  vi ci si infilò dentro: era molto irregolare, come se qualcuno avesse scavato lì dentro con una piccola pala; non mancava di sporgenze che l’elfo era ben abile a scansare ed evitare.  A un certo punto, arrivò a un bivio: scelse senza esitazione il cunicolo di sinistra e continuò il suo percorso, successivamente vide un’apertura, con una piccola maniglia , aprì la porticina e si ritrovò sotto un tavolo :molte volte i cunicoli erano posti sotto i tavoli, dietro i divani e in posti che non si riuscivano a notare senza un’acuta osservazione. Chiuse la porticina e si avviò verso la porta della padroncina. Com’era di consueto, Skannor doveva svegliare la figlia dei padroni, Eleanore, mentre essi si sarebbero alzati all’ora che più loro garbava . Arrivato alla porta della stanza da letto della piccola, bussò tre volte e , senza attendere risposta, entrò.  
La camera di Eleanore era molto grande: sul lato sinistro , una grande porta finestra dava sul balcone, da dove si poteva ammirare il grandissimo giardino che circondava la villa. Al centro, invece, sopra un elegante tappeto, troneggiava un letto a baldacchino con tende di seta verde e copriletto del medesimo colore. Con fili d’argento erano stati ricamate stelle, gliene serpi e bizzarri ricami. La parte destra della stanza , presentava un grande armadio di mogano, su cui la bimba aveva appeso alcuni dei suoi  “capolavori artistici più riusciti”. A sinistra dell’armadio erano state fissate alcune mensole, color verde chiaro, dove una grande quantità di libri erano già presenti, senza che la piccola li avesse solo sfiorati. Ciò che invece usava di più era sicuramente la casa delle bambole: zia Narcissa aveva regalate tantissime. Le pareti erano di color verde scuro, a differenza del soffitto chiaro. La stanza , nel suo insieme , era abbastanza vuota, ma una volta cresciuta, la padroncina l’avrebbe sicuramente riempita di soprammobili e “altre cosette stupide che presto le interesseranno” , come l’elfo ripeteva sempre. 
Skannor scostò lentamente le tende della finestra, facendo entrare  un timido raggio di sole nella stanza. La bimba si mosse, e si voltò in modo da non avere la luce sugli occhi. In effetti, l’elfo la preferiva così: da sveglia era un tale terremoto… comunque, lui era solo un servo, e doveva fare il suo lavoro. Prese un campanellino dal comodino presente vicino al letto e iniziò a scuoterlo energicamente.
-Padroncina Eleanore…-pronunciò lui.
-Mmmh? Skannor, lasciami dormire!- disse la bimba, mantenendosi con gli occhi chiusi.
-Skannor non può, padroncina! Voi dovete prepararvi per il compleanno del vostro cuginetto, voi dovete!-insistette.
La bambina non aveva bisogno di altre motivazioni: aprì gli occhi di scatto e balzò in piedi sul letto.
-Hai ragione, hai ragione! Grazie per la colazione-esclamò piena di energia, trangugiando velocemente i biscotti e il tè.
L’elfo sospirò, abituato a quelle scene di energia esplosiva della padroncina. Le diede comunque una mano a vestirsi: le fece indossare un vestitino nero, con colletto alto e maniche corte leggermente a sbuffo. Eleanore congedò l’elfo e si mise a pettinare i capelli con forza: alcune volte, quando apriva gli occhi alla mattina, trovava i suoi morbidi boccoli tutti arruffati. Successivamente sentenziò che il colletto era troppo stretto, e il vestito troppo scuro: aveva da sempre preferito i colori sgargianti, ma presentiva che sua madre e suo padre non avrebbero mai approvato. Cercò così, con la sua magia elementare, di cambiare colore all’abitino: non era semplice, ma tentò di farlo divenire color verde lepricano, magari anche un poco più confortevole. Il risultato, facile a dirsi, fu penoso: era magia troppo avanzata per una bimba di 3 anni. Il vestito era ormai rovinato, con il colletto a cui mancava un bottone ,chiazze nere e verdi e strane sbavature blu. Eleanore ignorava la provenienze del blu, ma decise che il suo abbigliamento era bello così. Aggiunse un fiocco nero nei capelli, indossò un paio di scarpine e si avviò verso l’ingresso della casa.
Villa Lestrange vantava una variegata collezione di quadri con cornici dorate e un grande numero di tappeti importati dall’oriente di eccellente fattura . A detta della bimba, era una grande sfortuna: i tappeti le impedivano di scivolare sul parquet e di divertirsi come più preferiva; ovviamente escludendo  i vasi di porcellana, i quali troppe volte aveva rischiato di far andare in frantumi, guadagnandosi occhiate rassegnate da Skannor. Nell’ingresso, proprio vicino alla porta, era posto un grande vaso ancora intatto, con decorazioni d’argento: uno scudo con una grande “L” con due bacchette incrociate dietro, le quali sprigionavano scintille tutte attorno. Sotto, in una scritta tutta ghirigori e svolazzi, troneggiava il nome della famiglia, Lestrange. Tra i maghi non si esistevano titoli nobiliari , nonostante la madre e il padre di Eleanore, quando erano a contatto con altre persone di alte cariche ministeriali, ostentavano tutta la loro ricchezza e il loro sangue puro con modi sprezzanti e raffinati allo stesso tempo. Vicino alla porta , un’elegante console di mogano intarsiato appoggiava su un grande tappeto scuro, che contribuiva, anche grazie all’ illuminazione scarsa, a rendere la villa assai tetra e misteriosa.
Eleanore si sedette sgarbatamente a gambe larghe appoggiandosi alla porta, dove penetrava molta più luce grazie al vetro colorato di cui in parte essa era composta. Dopo una decina di minuti comparve suo padre, e subito si alzò in piedi e assunse una posa rigida, come si conveniva. Suo padre, Rodolphus Lestrange, era un uomo assai alto e dalle larghe spalle, aveva zigomi pronunciati e messi in risalto dall’ombra sotto di essi, che gli donava un cupo e misterioso fascino. Le labbra sottili, il naso diritto e occhi apprensivi di color nocciola, l’identico colore di quelli della figlia, completavano il tutto. I capelli, di color castano scuro, gli arrivavano poco sotto le spalle ed erano sempre tenuti in una classica coda bassa con il fiocco, che Eleanore considerava vagamente all’antica; portava anche un pizzetto attorno alla bocca, che si univa ai baffi , perfettamente in ordine. Rodolphus alzò un sopracciglio a causa  dell’abito della figlia, che venne ricambiato con un sorrisetto timido di scusa. Egli tirò fuori la bacchetta da una tasca anteriore della giacca e la agitò leggermente, mantenendo sempre lo sguardo fisso sulla figlia: il colletto ritornò alto e il vestito riprese il colore nero. Dopo parecchi istanti di silenzio imbarazzante, comparve anche sua madre, Bellatrix: a differenza del marito, le sue palpebre pesanti, sorriso sprezzante e bocca carnosa, messa ancora più in evidenza dal rossetto scuro, instillavano un senso di irrequietezza nella bimba, per cui raramente guardava sua madre negli occhi. Lei, d’altro canto, non serbò nemmeno uno sguardo per la figlia e precedette il marito fuori dalla porta d’ingresso, quando Eleanore la seguì con passo rigido e ben studiato, sul quale si esercitava fin dalla nascita, a sua memoria. Si fermò soltanto a osservare  il padre chiudere la porta suggellandola con veloci incantesimi, e riprese la sua camminata prima che egli si girasse. Era abituata a quel silenzio, soprattutto dopo che ne aveva combinata una delle sue… come dimenticare la rottura del vaso! Ovviamente l’avevano aggiustato subito, ma certe occhiate erano dure da dimenticare. Lei non amava particolarmente le faticose lezioni di camminata, dopotutto non erano più nel XIX° secolo! Ma come spiegarlo ai suoi genitori, o al terribile maestro di dizione? Forse quando sarebbe cresciuta le avrebbero permesso di smettere questi inutili corsi, e di lasciarla finalmente libera. Fino ad allora, si sarebbe solamente preoccupata di divertirsi in quei brevi momenti di svago, come il terzo compleanno del suo cuginetto, festeggiato quel pomeriggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Andy ***


-Andy, svegliati! Sono già tutti in piedi!-. Una bambina di appena tre anni si alzò dal letto. -Brutta vecchiaccia.- pensò lei. Perché dovevano svegliarla presto tutti i giorni? Non andava a scuola ed era pure estate! -Dai, che la colazione si raffredda.- concluse la donna di cinquant'anni che l'aveva svegliata. -Arrivo subitissimo Mrs. Parker!- trillò la bambina con una voce più mielosa di una meringa con la Nutella. La donna scese le scale. Dimostrava molto più dei suoi cinquant'anni: era bassa, minuta, con capelli biondo cenere e il volto solcato da rughe. Indossava un vestito a quadri che avrebbe potuto tranquillamente essere una tovaglia. Andy, appena Mrs. Parker se ne fu andata, si gettò di nuovo sul letto. Era un piccolo letto di legno chiaro con una trapunta di Doraemon e un cuscino azzurro. In quel momento la bambina indossava un pigiama grigio con un disegno di Winnie The Pooh vestito da Darth Vader. Se lo tolse e cominciò a vestirsi: scelse dei pantaloncini di jeans azzurro chiaro, una maglietta delle Tartarughe Ninja e un paio di scarpe da ginnastica blu. Non molto femminile per una bambina, ma a lei andava bene così. Era sempre stata un maschiaccio. Principesse? Puah. Fatine dei boschi? Bleah! Prendere il tè con le bambole? Ma manco morta!!! Così scese le scale e arrivò alla mensa dell'orfanotrofio.

Ci era nata in quel posto. Mrs. Parker le aveva raccontato che sua madre, Kathleen Collins, l'aveva abbandonata lì subito dopo il parto. Ma, prima di lasciarla per sempre, le aveva dato un nome del tutto insensato e fuori da ogni calendario: Andromeda. Andromeda? Andromeda... Andromeda! In qualunque modo lo dicevi era comunque un nome stupidissimo. Perciò lei fin da piccolissima si era fatta chiamare Andy. -Ehi Andy!!!- la salutò un bambino con i capelli castani e una maglietta arancione senza scritte né niente. -Ciao Drake!- lo salutò Andy sedendosi vicino a lui. Drake era il migliore amico di Andy da quando era arrivato lì, quando aveva due anni. I due avevano legato fin da subito. Passavano tutti i giorni a giocare a MarioKart e a Just Dance (in cui Drake era disastroso e Andy si divertiva a vederlo muoversi come una scimmia) e a scambiarsi le carte dei Pokemon. Le altre bambine passavano i giorni a giocare alle principesse fatate, una roba che ad Andy faceva venire il voltastomaco. Una volta una bambina, Kelly, l'aveva obbligata a giocare con le Barbie ma dopo un po' la bambina si era stufata e aveva incominciato a giocare all'incidente d'auto con la Cinquecento rosa di Barbie, facendo piangere a dirotto l'altra giocatrice. Mrs. Parker allora le aveva detto che aveva una “pessima influenza” sulle sue compagne, quindi Andy aveva ripreso a giocare con i bambini. -Allora? Oggi MarioKart con Jack e Christian?- chiese Drake ridacchiando. Jack e Christian erano altri treenni amici di Drake e Andy. -Certo!- rise Andy, sorridendo a trentadue denti. -Mi dispiace, Andy. È il tuo turno di pulire la cucina e riordinare il salone.- le disse Mrs. Parker pocciando un biscotto nel caffè mentre leggeva il giornale. -Di nuovo???- pensò la bambina. Sempre a lei toccavano i lavori più pesanti! Era come se in un certo senso Mrs. Parker ce l'avesse con lei. Ma perché?

Poche ore dopo Andy si trovava nella cucina lercia dell'orfanotrofio ad eliminare delle deliziose (si fa per dire) macchie di muffa dai cassetti e a incerare il tavolo pensando a cosa avrebbe potuto fare appena finito di pulire. Probabilmente avrebbe giocato a Super Mario Bros con i suoi amici per tutto il giorno. Se Mrs. Parker le avesse dato il permesso. Cosa altamente improbabile. Così finì di pulire la cucina e si avviò verso il salone. Sembrava che fosse stato colpito da un tornado. -Probabilmente Judy e Carlos avranno giocato alla Battaglia dei Jedi- pensò Andy. Quando Judy e Carlos giocavano alla Battaglia dei Jedi facevano sempre un bordello assurdo. Judy faceva Luke Skywalker e Carlos faceva Darth Vader. Una volta anche Andy aveva provato a giocare con loro ma si era beccata due spadate in faccia. Detto questo si mise a riordinare. -Vuoi una mano?- chiese Drake, che era entrato nel salone proprio in quel momento. -Sì, grazie, Drake.- disse Andy. Così si misero a riordinare insieme. Mentre la bambina appoggiava le Barbie sulla mensola Drake le chiese, togliendo la polvere da un tavolino -Hai mai pensato che qualche membro della tua famiglia possa essere ancora vivo?-. A dire il vero Andy pensava spesso a questa cosa. Pensava sempre che ci fosse ancora qualche suo familiare vivo e quindi rispose, sicura -Sì. E quando uscirò da qui andrò a cercarli e li troverò!-. Drake la appoggiò -Brava! Io invece non so se ce la farò. Probabilmente resterò qui per sempre...- ma l'amica lo incoraggiò -No, non dirlo neanche! Tu non resterai qui, te ne andrai anche tu! Puoi venire con me se vuoi!-. Il bambino sorrise e rispose -Sarebbe stupendo! Però ora meglio se riordiniamo questo salone del piffero.-. -Sono d'accordo!- rispose Andy ridacchiando.

-No, no, rallenta! Attento alla banana!- gridò Jack. Troppo tardi. Christian era già andato a schiantarsi contro il muro. -Ma bravo!- lo prese in giro Andy, ridendo. -Non è così facile pilotare una moto con sopra Bowser!- si giustificò Christian arrabbiato. -Eh bravo furbo, allora perché l'hai scelto?- rise Drake. Stavano giocando a MarioKart da mezz'ora, divertendosi come matti. Andy aveva scelto Yoshi, Drake Mario, Jack Toad e Christian Bowser. -Oh, no! Il guscio blu, il guscio blu!- gridò Andy, poco prima di saltare in aria. -NOOOOOO, ero prima!- si lamentò, mentre Jack tagliava il traguardo e lei arrivava seconda. -HO VINTO! HO VINTO! Ma chi è un supergenio????- gridò lui, facendo una specie di danza della vittoria. Tutti si misero a ridere. Poi cominciarono a chiacchierare. -Voi cosa vorreste di strabello che c'è nei film?- chiese ad un certo punto Drake -Io le ragnatele di Spiderman!-. -Io invece vorrei una spada laser!- rispose Jack -Per combattere i cattivoni!-. -Io invece vorrei che esistessero le Tartarughe Ninja! Così potrei diventare il loro aiutante!- rispose Christian, sognando ad occhi aperti. -E tu, Andy?- chiese Jack alla bambina. -Già, tu cosa vuoi di bello?- gli fece eco Christian. Andy rifletté un po', poi rispose -Una bacchetta magica per cambiare con la magia tutte le cose che non mi piacciono!- e fece un megasorriso. Già. Una bacchetta magica.   

Scritto da cassieDragon2002

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Villa Malfoy ***


In una villa di certo paragonabile in bellezza e immensità al maniero dei Lestrange si stava tenendo una grande festa: l’elegante  ed enorme salone era stato decorato  con parecchi striscioni d’argento, palloncini che recitavano un grande ‘quattro’ erano legati agli angoli della stanza e varie cameriere e camerieri giravano con un vassoio in mano, contenente quattro o più bicchieri di un pregiato e frizzante vino bianco. Nonostante la sala fosse decorata per festeggiare il figlio dei Malfoy, moltissimi adulti ne prendevano parte e i loro discorsi si dissolvevano in un pacato e soffuso vociare. Un bambino imbronciato sedeva sulle ginocchia di sua madre e guardava annoiato in mezzo alla folla di persone alla ricerca di una in particolare, di tanto in tanto distogliendosi da questa occupazione per fissare negli occhi i tanti adulti amici dei suoi genitori che gli portavano un regalo. Era molto pallido, nonostante spesso le sue gote si tingessero di rosa donandogli una tenera avvenenza che, insieme ai suoi capelli quasi bianchi, agli occhi di ghiaccio e nonostante i suoi pochi anni d’età, suscitava parecchi mormorii tra le bambine sue coetanee. Aveva già accumulato un mucchio di regali: tre o quattro  delle migliori scope giocattolo in commercio, un mini-set di quidditch, il nuovissimo Kit dell’alchimista: le pozioni adesso le fai tu! , libri di fiabe con moltissimi illustrazioni (evitando accuratamente le obbrobriose favole che mettevano i babbani in buona luce) e una enorme quantità di caramelle e dolcini.
-Mamma, posso prendere le caramelle?-domandò il bambino con aria annoiata, tirando il colletto del vestito della madre per attirarne l’attenzione.
-No, Draco, non è ancora ora di merenda.- rispose Narcissa, tirandolo più a sé e facendogli assumere una posizione più diritta.
-Mi sto annoiando! Quando arriva Eleanore?
Dopo pochi minuti, la famiglia Lestrange arrivò nel salone in cui si stava svolgendo la festa; molti mangiamorte, al loro passaggio, si zittirono e chinarono leggermente il capo. Bellatrix, malevolmente compiaciuta di ciò, si diresse a testa alta verso la sorella Narcissa, mentre Rodolphus strinse la mano ad alcuni dei suoi amici.
-Ti trovo bene, Cissy.-disse Bellatrix, sedendosi vicino alla sorella.
-Grazie, anche se Draco è molto irrequieto in questo periodo, non sta mai fermo…
-Forse, se lo lasciassi scendere da lì …- rispose la mora, inarcando le sopracciglia. –In ogni caso, buon quarto compleanno, Draco.- detto ciò agitò la bacchetta in moti circolari, e si materializzò una scatola di carta argentata con un fiocco celeste. Il bimbo, assai interessato, la prese in mano e la agitò per  indovinarne il contenuto: si sentì un rumore sordo e il bambino, soddisfatto, si rivolse alla zia.
-E’ un boccino, vero?
-Lo vedrai.- gli rispose Bellatrix con aria misteriosa.
Eleanore si stava facendo strada tra dieci mila vesti scure, alla ricerca del suo cuginetto. Lo trovò in braccio a sua madre e si gettò subito a salutarli rischiando di far cadere sia la zia sia Draco, già di per sé in precario equilibrio; quando ricevette una sonora sberla sulla testa.
-Ahi!-protestò lei e voltandosi verso sua madre, sapendo già di chi era quella odiosa mania di punirla in quel modo.
-Che modi sono?- la minacciò lei puntandole la bacchetta a pochi centimetri dal viso: Eleanore ne guardò la punta che iniziava a illuminarsi timorosa, e non cambiò espressione fino a quando la bacchetta non fu al sicuro lontano dal suo visetto.
-Scusami. -esordì dopo un lungo sospirone. -la prossima volta farò più attenzione.
-Lo spero bene-ringhiò di rimando lei-ho parecchi incantesimi…interessanti da insegnarti quando sarai più grande, ma prima devi imparare almeno le buone maniere. Anche se un tale entusiasmo non mi dispiacerebbe da parte tua, se mai ti verrebbe chiesto di porre giustizia a una misera esistenza di traditori del loro sangue e babbani.- Bellatrix fissava intensamente la punta della bacchetta, ormai luminosa e incandescente per l’eccitazione, assaporando il ricordo di tutte le orrende imprese da essa compiute. Eleanore non comprese a pieno le parole della madre e fissò la zia con sguardo interrogativo, che le rispose con un sorrisetto complice. Ma perché mai gli adulti dovevano essere tanto complicati?
-Possiamo giocare, ora?-domandò la bimba alle due donne, che acconsentirono; prese il cuginetto per un braccio e lo trascinò fuori da quel vociare confuso di lunghe vesti nere e incuranti dei loro repentini spostamenti. Vennero raggiunti anche da alcuni amici di Draco , o meglio, da figli di amici di suo padre e una bambinetta che Eleanore non conosceva.
-Loro sono i miei amici. Gregory, Vincent, Blaise e Theodore, Theo. E tu…Pansy, giusto?.- Draco li presentò uno per uno: il primo era un bimbo dalla fronte spaziosa , piuttosto alto e dai capelli color topo che fece un cenno a Layla quando venne pronunciato il suo nome; l’altro bambino era abbastanza basso per la sua età e un poco grassoccio, e  quando le rivolse un sorriso ebete a Eleanore baluginò nella mente l’immagine di un piccolo gorilla ottuso, motivo per cui arretrò di un passo. Blaise era un bimbo di colore che sembrava abbastanza scocciato, forse perché aveva sempre le sopracciglia aggrottate o la bocca serrata in un broncio. L’ultimo maschietto era piuttosto carino, e con i capelli castano chiaro che gli ricadevano sul viso e il sorrisetto furbo aveva un aria da piccola peste: la salutò facendo un cenno con la mano, quasi fosse una vecchia amica con cui aveva diviso una recente marachella. Pansy era piuttosto bassina, portava un terribile caschetto di capelli castani e, nonostante avesse un naso abbastanza proporzionato e una bocca abbastanza sottile, gli occhi erano piuttosto piccoli e con gli angoli tendenti verso il basso da ricordare un carlino. Strana come associazione, visto che non appena si accorse che non era completamente circondata da maschietti la guardò con una gratitudine implorante, come sperasse di poter finalmente giocare alle bambole in pace e lontano dai maschi.
-Ciao a tutti, sono Eleanore, ma chiamatemi Layla.-rispose con un sorriso accattivante.
-Come, Layla?!? E questo da quando l’hai deciso?-chiese con un broncio Draco.
-E’ da secoli che lo ripeto.- sentenziò lei guardandosi le unghie con sprezzante noncuranza. Non sapeva nemmeno il perché di quel gesto, ma quando mamma lo faceva, tutti la guardavano con più attenzione.- se dopo quindici volte non l’hai ancora imparato, non è colpa mia.- e concluse la frase alzando le sopracciglia e guardandolo divertita mentre lui  le rivolgeva una bruttissima occhiata, seguita dagli sghignazzi dei quattro bambini e la risatina di Pansy. In effetti, a casa non aveva molta considerazione, e diventare la leader di un gruppetto simile le faceva molto piacere. Era forse in uno di quei giorni che scoprì, nonostante la giovane età, l’importanza della scelta delle parole giuste e degli atteggiamenti, per avere il controllo della situazione.  Inutile dire che da lì a poco tutti, persino Blaise l’Imbronciato (l’aveva periodicamente rinominato così), pendevano dalle sue labbra aspettando un’altra delle sue battutine.
-Eleanoreeee, a cosa giochiamo?
-Oh, ma proprio non ci arrivi?- alzò gli occhi al cielo in una finta e profonda esasperazione- Sono Layla! L-a-y-l-a!
-E’ uguale, dai! Giochiamo a nascondino!-Draco era veramente arrabbiato adesso: non gli capitava molto spesso di giocare con i suoi coetanei, poiché era assai raro che gli amici di suo padre portassero i propri figli a Villa Malfoy o che andasse con la sua famiglia a casa di uno di questi, se ancora sua cugina gli faceva fare la figura dello stupido...! Spesso e anche volentieri si trovava a giocare con sua cugina nel grande salone di Villa Malfoy, sotto la sorveglianza di Dobby l’elfo domestico. Fortuna fosse che sua cugina non gli chiedesse di giocare troppo alle bambole, anche se alcune volte gli era capitato di fare il bambolotto,  cosa di cui si vergognava profondamente. Nonostante  queste…piccole interpretazioni imbarazzanti, solitamente si divertiva con lei e spesso sperava che i suoi genitori, specialmente suo padre, rimanessero fuori casa ancora per un po’ per giocare e divertirsi. Non sapeva dove andassero quando li vedeva sparire per qualche ora e poco gli importava, ma sovente gli capitava di sentire alcuni dei loro discorsi di cui ricordava solo alcune parole, come “marchio nero”, “scomparsa”, “fedeltà” e “sangue”.
-Ma io sono più grande! Devi fare quello che voglio io!- questo era ciò che gli capitava sempre sentire da Eleanore –o anzi, Layla- quando protestava. In effetti era vero, sua cugina aveva un anno in più di lui, e ogni tanto abusava di questa fortuna, anche se la maggior parte delle volte giocavano a nascondino o a rincorrersi.
Quel giorno decisero di andare in giardino, siccome faceva un gran caldo. Draco aveva una zona del giardino solo per lui, con altalene, scivoli e un piccolo campo da quidditch: era molto verosimigliante  a uno effettivo a parte per i sei anelli alti solamente tre metri; ma siccome non aveva ancora scope giocattolo per tutti –che tra l’altro volavano veramente basso, persino le mini-Nimbus non superavano il metro e mezzo-  decisero di giocare a nascondino.
-Facciamo che contano due? Altrimenti ci sono troppe persone da cercare!-propose Theodore. La proposta fu approvata e vennero sorteggiati i primi due che avrebbero contato: Gregory e Pansy.
-Ma io non voglio contaree!-frignò la bambina-Non volevo nemmeno giocarci a questo stupido gioco!
-Beh, la sorte ha deciso.- disse Draco con freddezza: stava imparando qualcosa dall’atteggiamento della cugina.- Se non ti va puoi tornartene a frignare tra le gonne della mammina.- alle sue parole, Pansy mugugnò qualcosa e si girò brontolando verso l’albero su cui avrebbe fatto la conta. Non ci furono altri problemi, e i due “malcapitati” cominciarono a contare.
-Vale tutta la villa, d’accordo?-disse correndo via Draco. Detto ciò, andò insieme a Layla, cercando un posto dove nascondersi: sua cugina propose le segrete del maniero, e lui accettò: per prima cosa, perché gli era proibito andarci ed era curiosissimo di scoprire cosa c’era dentro, per seconda cosa, invece, perché c’era una porta che dalle segrete portava di nuovo in giardino, da cui era molto facile giungere di nuovo all’albero. Scesero senza esitazione verso la porta che conduceva dentro, scoprendo poi che era incredibilmente aperta  a differenza di tutte le altre volte in cui Draco aveva provato ad aprirla, anche sgraffignando la bacchetta di uno dei due genitori.
Man mano che ci si addentravano, però, il coraggio e la spavalderia venivano meno, a causa in parte della scarsa illuminazione ma soprattuttoi rumori inquietanti che vi risuonavano. L’oscurità s’infittiva sempre più, e i due bambini si tenevano per mano per farsi coraggio a vicenda, mentre Layla sfiorava con una mano la dura parete di pietra, trovando un poco di conforto nei brevi tratti illuminati da una torcia. Era lei che aveva proprosto quel nascondiglio, ma non poteva immaginare di certo una cosa del genere… a un certo punto, sentirono due voci maschili provenire da una cella isolata, al centro delle segrete: malgrado la paura, si acquattarono vicino alle sbarre e stettero a sentire. Una voce molto dura e profonda, dal tono metà tra il divertito e il furente, stava minacciando un altro uomo molto basso, forse perché era disteso per terra.
-Vuoi fare la fine di tuo fratello, Prewett? Ho tutto il tempo e i mezzi per persuaderti a dirmi quello che sai. Parla!
-Non ti dirò niente…non saprai…niente da me…-la voce di quest’ultimo, rotta per lo sforzo, persisteva ancora, facendo arrabbiare l’uomo dalla voce profonda. Layla si sporse un poco di più per vedere la scena, tenendo Draco nascosto dietro di sé: noto che l’uomo in piedi portava uno spesso cappuccio nero e non se ne intravedeva il volto, mentre quello per terra tremava anche solo per lo sforzo di reggersi con il braccio. A quel punto, l’uomo incappucciato gli puntò la bacchetta addosso e chiuse gli occhi, e gli riaprì quasi subito.
-Occlumanzia, eh? Crucio!- l’uomo emise gemiti di dolore fino a quando il mangiamorte non interruppe il contatto. Andarono avanti per una buona mezz’ora, e ogni volta che l’uomo incappucciato diceva quella parola, Crucio, l’altro iniziava a provare dolore. Layla era stupita e spaventata, credeva che la magia servisse solo a fare del bene o magie spettacolari, però se quell’uomo veniva punito di sicuro aveva fatto qualcosa di sbagliato e se lo meritava. E il senso di potenza che emanava l’uomo incappucciato, dopo il primo spavento, ora l’attirava… avere una bacchetta e fare magie, punire chi aveva sbagliato… non era di per sé una sensazione meravigliosa?  Sarebbe stata secoli a guardarlo… evidentemente l’uomo da punire non la pensava allo stesso. Aveva iniziato a singhiozzare, fino a quando pronunciò le fatidiche parole.
-Basta! Parlerò. Si dice che voi-sapete-chi si nasconda… in…Albania- e finì la frase singhiozzando. Il mangiamorte rise.
-Non hai mai avuto il coraggio di tua cognata e tuo fratello, Gideon e Fabian, vero? Nel caso, meglio per me. Addio, Prewett. Avada Kedavra!- l’uomo morì ancora prima di cadere sul pavimento, accompagnato da una luce verde che  illuminò il volto compiaciuto del mangiamorte e il visino spaventato di Layla, avente il cuore che batteva fortissimo per lo spavento.
 
 
Scritto da Dafne Johnson
Angolo dell’autrice:
Ciao! Userò questo piccolo spazio per comunicarvi le mie e nostre news riguardanti la storia. Come avrete capito, io e Cassie Dragon scriviamo un capitolo a testa, per cui io i dispari e lei i pari. Se cambieremo ritmo vi informeremo quanto prima. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se più lungo del solito, e vi invito a lasciare una recensione per sapere cosa ne pensate J Un'altra  notizia è che probabilmente saremo assenti fino ad agosto, per impegni vari. Nel frattempo, cercheremo di essere più puntuali possibili e di continuare a scrivere!
A presto,
Dafne!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La siepe ***


Andy, Jack, Christian e Drake stavano giocando fuori in giardino nella vaschetta della sabbia. Il gioco era lo stesso che facevano da settimane: il metal detector. Andy scavava e nascondeva le cose e Christian, Drake e Jack dovevano trovarle.
-Non trovo più la paletta! Chris, cerca meglio a destra!- disse la bambina un tantino preoccupata.
 Chris urlò -Metal detector in azione!!- e scavò come un deficiente fino a trovarla. Alla fine dell'esibizione aveva la maglietta di Spiderman e i jeans scuri coperti di sabbia.
-Non male!- commentò Jack.
 -Ci ho messo poco, visto? E in quanto tempo riesci a trovare il rastrello, Andy?- chiese il bambino, in tono di sfida.
-Ti faccio vedere!!!- rispose Andy, e scavò come un cane in calore finché non tirò fuori un piccolo rastrello di plastica rossa.
-E la batte!!!!!!- gridò Drake con la voce di un telecronista in una partita di basket. Tutti risero.
-Battuto da una femmina, battuto da una femmina!!!!- cantilenavano Jack, Drake e Andy.
 -Ma uffaaaa!- si lamentò Christian. Odiava perdere, soprattutto se a batterlo era una femmina. Poi si misero a giocare a costruire un forte militare, e Andy stava scavando il fossato quando qualcuno le strappò il rastrello di mano. Kelly.
-EHI! Ce l'avevo io!!!!!!- si lamentò Andy.
-Ma ora ce l'ho io!- rispose Kelly, tirando fuori la lingua e facendo una pernacchia.
-Ora faremo il castello delle fate! Non quella brutta cosa che state facendo voi!- trillò una sua amica, facendo spostare gli altri e mettendosi a costruire in quel punto lì, sopra le macerie del forte. Andy cercò di spingerle via, ma non si muovevano. Così tirò un calcio alle fondamenta del castello che crollò miseramente.
-EHI!- gridò Kelly, prendendo una manciata di sabbia e buttandola negli occhi all'altra bambina. Questa si fermò un attimo a togliersi la sabbia dagli occhi, poi prese il rastrello e lo lanciò in testa a Kelly. Dopo un po' di rissa Kelly e le sue amiche decisero di lasciarli perdere, forse perché erano sufficientemente sporche, e andarono a rifugiarsi dietro una siepe.
Andy si alzò, guardò intensamente la siepe e pensò -Quanto vorrei che quella siepe prendesse fuoco!!!!- e assunse un'espressione di puro odio. Incredibilmente, davanti ai suoi occhi, la siepe cominciò a fumare e successivamente si incendiò, riducendo l’ arbusto malcapitato in un piccolo ammasso grigiastro che in confronto i dissennatori erano  modelle di Armani. Kelly e le altre bambine scapparono via terrorizzate, e una Mrs. Parker su tutte le furie uscì in fretta nel piccolo cortile, fissò atterrita la siepe e puntò Andy
 -TU!!!! TU!!!!!!!!!!!-. La bambina guardò la donna terrorizzata, poi quando questa la prese per un braccio cominciò a gridare -MA NON SONO STATA IO!!!! Non è colpa mia!!!!! Ha preso così, da sola! Come per magia!!!!!!- ma inutilmente. La donna l'aveva già portata dentro. -Ti rendi conto di quello che hai fatto????? Potevi ucciderle!!!!!- sibilò Mrs. Parker alla bambina, che si lamentò -Mi sta ascoltando????? Le ho detto che io non ho fatto niente!!!!!!!!! Ha preso fuoco da sola!!! Sembrava una magia!!!!- ma la donna allora le gridò in faccia, con l’aria di sputare -Ed è quello che è stato, tu, stupida streghetta da quattro soldi!!!!!!!-. Andy era esterrefatta. Guardò Mrs. Parker disperata, poi corse su in camera sbattendo la porta. -Andromeda! ANDROMEDA!!!!!!!- gridò la donna, infuriata -TORNA SUBITO QUI!!!!!!!!-.
Dopo diverso tempo Andy finì di piangere e così Mrs. Parker ne approfittò per entrare nella sua stanza.
-Andromeda, voglio solo che tu ti renda conto della situazione, le hai quasi uccise!
-Tanto lei non mi ascolta mai!!! Ha sempre ragione lei e io dico sempre bugie, non è così?
 
Stranamente, rispetto a ciò che si aspettava la bambina, Mrs. Parker fece un respiro profondo e si sedette con calma sul letto vuoto vicino al suo.
-Forse è il caso che ti spieghi alcune cosette. -disse con voce tremendamente acida- intanto… ti dico che credo che non tu l’abbia fatto apposta, però…
Andy era esterrefatta: ma era sicura che la donna che aveva davanti era la solita vecchia babbiona che le dava sempre la colpa per tutto?
-…Però sono sicura che sia stata tu.- Ah, ecco la solita mrs. Parker! Ad Andy era sembrato troppo strano per durare.
-Ma perché????Ha preso fuoco da sola, glielo giuro!
-Le siepi non prendono fuoco da sole, Andromeda.-  la guardava con tanta freddezza da far invidia a un polaretto.- cos’hai pensato prima che si incendiasse? Eri arrabbiata con le altre bambine, vero?
-Io… sì! Come ha fatto a indovinare?
-E’ un classico, Andromeda… ascoltami bene, ora.  Tu riesci a fare cose del genere perché sei diversa dagli altri. Tu hai…- sembrava che mrs. Parker stesse ingoiando un grosso rospo. Alla fine, fece un sospiro e guardò la bambina dritta negli occhi- Tu sei una maga… puoi fare magie.
-COSA?!? Sta scherzando, vero?- Andy non poteva credere alle sue orecchie. Lei una maga? Ma se i suoi unici poteri erano una spiccata abilità a Just Dance  e fare il metal detector!
-Non sto scherzando, Andromeda! Hai dei poteri magici e devi stare attenta a quello che fai, se vuoi evitare catastrofi come quella di oggi! Inoltre non devi far sapere a nessuno che puoi fare magie, nessuno dei tuoi amichetti.
-Ma…perché?
-Perché non credi che tutti vorrebbero fare magie, se lo venissero a sapere?
-E lei, visto che lo sa, non desidera fare magie?- La domanda di Andy era pura curiosità, ma un Thug Life ci starebbe stato a meraviglia. Evidentemente Mrs. Parker lo percepì come tale, e lo sguardo che rivolse alla bambina fu uno dei peggiori che Andy avesse mai ricevuto.
-Tutto ciò non ti riguarda minimamente. Per ora tutto ciò che devi fare è stare attenta a quello che fai. Ah, e sei in punizione per aver quasi ucciso le altre bambine- detto questo, uscì dalla stanza.
Andy restò per parecchio tempo a fissare la serratura, che sentì scattare poco tempo dopo. Non era giusto!
Ora doveva rimanere chiusa in camera, mentre i suoi amici potevano giocare fuori. E oltretutto si era presa la colpa di una cosa che non sapeva nemmeno come fosse possibile che fosse successa. E poi perché Kelly e le sue amiche erano sempre le sue favorite, mentre Mrs. Parker ce l’aveva sempre con lei? Non faceva pulire la cucina o il salone agli altri se non erano almeno in cinque, cavolo! Era stufa che la trattassero tutti male!
E poi lei era diversa… lei poteva fare magie, gli altri bambini no. Si trovava bene con Drake, Jack e Chris, erano i suoi migliori amici del resto… ma la maggior parte dei bimbi dell’ orfanatrofio erano insopportabili!
Si stese sul letto con un broncio lungo fino a domani e iniziò a fissare la finestra . Quanto avrebbe voluto uscire di lì! Ma…aspetta… ma poteva! Del resto Mrs. Parker non la sopportava, no? E ALLORA CIAO! Andy aveva deciso di scappare. Non sapeva dove e per quanto, ma voleva assolutamente passare un po’ di tempo lontano da quel posto. Prese una maglia e basta, scavalcò la finestra che per sua fortuna era al primo piano, e si ritrovò nelle aiuole. Aspettò fino a che il furgoncino che portava il cibo arrivasse e venisse aperto il cancello, e sgattaiolò fuori dall’orfanatrofio. ERA FINALMENTE LIBERA! Non sapeva dove andare, così camminò un po’ a zonzo nel paese in attesa che arrivasse l’autobus. Non aveva soldi, così approfittò di quando il conducente aprì la porta posteriore per far scendere gli altri passeggeri per sgattaiolare dentro. Man mano che si allontanava dal centro, vedeva le colline, le case solitarie e le coltivazioni che diventavano sempre più frequenti. A un certo punto l’autobus si fermò, così Andy scese. Erano in piena campagna e non scorgeva nemmeno più  il paese. Vicino  a lei c’era un piccolo boschetto, e dall’altra parte un parco giochi  con qualche albero  che aveva l’aria di scottare al sole. L’unica costruzione che sembrava distinguersi  dalla campagna senza un’ anima era un’enorme villa, di quelle per i ricconi snob. Era veramente immensa, senza contare il rigoglioso giardino che la contornava tutta intorno… Andy voleva vedere chi ci viveva, anche se era strano, nessuno in paese aveva mai parlato di quella grande villa o di chi ci abitasse dentro. Così iniziò a camminare svelta verso di essa, e in una buona mezz’ora la raggiunse. Non sapeva ancora leggere, ma si soffermò a guardare il nome della villa sulla targhetta argentata vicino al cancello, prima ancora di accorgersi che era aperto: Villa Malfoy. Senza esitazione, Andy entrò.
 
 
 
 
Scritto da cassieDragon2002 e finito da Dafne Johnson
Ciao a tutti caciotti (frase copiata da SurrealPower ma amen XD spero vi piacciano i Mates) e benvenuti in questo nuovo capitolo, che purtroppo non sono riuscita a finire per un motivo davvero importante: parto per l'Inghilterra. Non per trasferirmi eh! Ci sto due settimane in vacanza e poi torno a casa. Ma nel frattempo non potrò scrivere più di tanto dati i numerosi impegni e in più ad agosto avrò il campo scout quindi ho l'estate occupata in pratica :-(. Comunque ho chiesto a Dafne di finirlo e lei ha accettato, spero che sia venuto bene (guarderò tutto quello che scrivi da Broadstairs muahuahuahua!). Detto questo chiudo. Ciaoooooooooooooooooooo!
 
P.s: (da Dafne)
Mi scuso per il lungo periodo di attesa e per il fatto che il capitolo l’ho postato oggi, che non è un lunedì. Che dire, spero sia venuto bene! Spero non si noti troppo il mio stile u.u ho cercato di essere più “CassieDragon” possibile. Lasciate una recensioncina!
Dafne Johnson

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Piangere ***


-E’ arrivata?- Narcissa Malfoy guardava con ansia il marito, comodamente seduto su un divano di velluto di Villa Malfoy.- Non sopporto questa calma atroce.
-Non si può di certo parlare di calma, con quei due che schiamazzano di sopra.-Lucius si riferiva a sua nipote e suo figlio che giocavano rumorosamente nella camera di quest’ultimo.
-Sono bambini, Lucius… la lettera, piuttosto, non doveva arrivare adesso?
-Un po’ di pazienza, donna! Arriverà sicuramente fra poco.- le rispose un poco scocciato il marito. Dopo pochi minuti, infatti, un gufo bruno picchiettò alla finestra portando una lettera legata alla zampa: Lucius l’aprì per far entrare l’animale e una folata di vento gelido penetrò dalla finestra, facendo rabbrividire Narcissa.
-Un gufo bruno-mormorò lui alzando le sopracciglia- non deve disporre di enormi quantità di denaro per servirsi di un animale del genere.- Seguirono alcuni minuti di silenzio nel quale si poté udire solamente il dolce scoppiettare del camino e i sospiri impazienti di Narcissa che vagava con lo sguardo dallo scalone che conduceva al piano superiore al marito, aspettando una sua risposta.
-E…ebbene?-chiese rompendo il silenzio.
-Ebbene, temo che non ce la faranno.- a quella risposta, Narcissa  si abbandondò sconsolata sul divano.
-Perché salti a una così affrettata sentenza? Cosa è successo di preciso?
-Ho cercato di portare… più gente del consiglio dalla nostra parte, ma senza risultato. Lo sai bene anche tu, ora che l’Oscuro Signore è scomparso, di certo non conveniva torturare quegli Auror in quel modo. Contando anche che non posso convincere più membri possibili così apertamente.
-Oh, Dio! Perciò non c’è proprio più speranza?-chiese più angosciata che mai, portandosi le mani alla bocca e iniziando, a tremare.
-E non è tutto –rispose lui riguardando la lettera- Ci sono altri pezzi grossi che influenzeranno molto la valutazione finale, come quel babbanofilo di Albus Silente e l’Auror Moody.
-No…Bella…- sentenziò la moglie tra i singhiozzi- e adesso… adesso… chi si prenderà cura di Eleanore?
-Quello è un altro problema. Tu cosa ne vuoi fare?
-Non possiamo lasciarla in un orfanatrofio con quei bambini babbani! Sarebbe…crudele… e in qualsiasi caso oltraggioso per la bambina…
-Ovviamente sì- rispose Lucius alzando gli occhi- cosa proponi, allora?
 -Potremmo prendercene cura noi, così lei e Draco crescerebbero insieme.- azzardò lei, smettendo di piangere.
-Narcissa. –disse lui avvicinandosi a sua moglie- devo ricordarti la posizione instabile in cui si trovano i suoi genitori? Ora che saranno probabilmente sbattuti ad Azkaban…suvvia, non fare quella faccia, sai che accadrà! Dicevo, in un clima così bollente per la cattura di una grande mangiamorte, ti sembra saggio…per noi... addossarsi la loro figlia?
-Ma Bellatrix è mia sorella …e tua cognata! Ed Eleanore è nostra nipote, non puoi lasciarla così… a marcire in un buco di schifosi babbani!
-Devo ricordarti in che posizione ci metterebbe quella bambina?!?
Era raro che Lucius e Narcissa alzassero la voce in quel modo, motivo  per cui i bambini, dalla camera di Draco, si insospettirono.
-Ma… non avevo mai sentito gli zii litigare. Vado a vedere!-Layla posò a terra la provetta che aveva in mano e si precipitò verso la porta.
-Ehi! Voglio vedere anch’iooo!- si lamentò Draco. Layla ci pensò su un attimo e rispose con aria furbetta.
-Beh, sì, ma ti ricordi l’ultima volta in cui mi hai seguito, al tuo compleanno? Ti eri spaventato a morte! E poi, se i tuoi genitori ti vedono, di sicuro ti mettono in castigo! Stai qui! - detto questo, scese piano piano le scale e lasciò nella sua camera un imbronciatissimo Draco.
-Quello che intendevo dire era semplicemente che ora che Rodolphus e Bellatrix faranno la fine che faranno ad Azkaban, non pensi che sia il caso di allontanarsi da questa faccenda per un po’, quantomeno?- le disse in un tono più pacato.-Non so che fare di quella bambina, sinceramente.
-Lucius, suvvia, è troppo piccola per avere a che fare con il Signore Oscuro, e del resto siamo i parenti più prossimi, chiunque darebbe per scontato che alloggiasse da noi !
Il marito sembrava quasi cedere  non avendo tenuto in conto le parole della moglie, tuttavia si arrampicò su un ultimo tentativo di affibbiare quella piccola peste della nipote altrove. -Non è detto… i tuoi genitori, Cygnus e Druella…
-Oh, ma Lucius…hanno un’età troppo avanzata per occuparsi di qualsiasi bambino, senza contare che Eleanore è già vivace di suo…inoltre li conosco, affiderebbero la bambina ai domestici e non se ne occuperebbero per niente! Vuoi che tua nipote cresca così isolata dal resto dei suoi coetanei?
-D’accordo, allora!- ne seguì qualche attimo di silenzio- può stare qui. Voglio però che trovi tu le parole adatte per spiegarle la faccenda, intesi?
-Certo.- sorrise- possiamo dirle che deve trasferirsi per un po’ qui da noi. Quando sarà in grado di comprendere, saprà tutto.
Layla non credeva alle sue orecchie: mamma e papà in prigione? Ad Azkaban, per giunta! Era sicura non potessero mai fare niente che non avesse una buona motivazione! Magari come quell’uomo, quel Prewett, che era stato ucciso perché aveva fatto il cattivo… ma se i suoi genitori avevano solo punito chi se lo meritava, perché mai ora erano costretti ad andare ad Azkaban? Magari aveva capito male, sì, doveva essere per forza così. E se quelli che li volevano mandarli in prigione avessero sbagliato persone? Quanto sperava ci fosse un malinteso dietro…
Purtroppo nei giorni seguenti le fu confermato ciò che aveva sentito: gli zii la presero in disparte e dissero ciò che si aspettava, ovvero che i suoi genitori sarebbero partiti presto e avrebbe vissuto con loro. Tentò di chiedere il perché di un così lungo viaggio, ma le venne risposto dalla zia, molto dolcemente, che avevano tante faccende da sbrigare, faccende che lei non poteva ancora capire perché era solo una bambina di cinque anni. Ovviamente non poteva più contestare a quella risposta, così stette al loro gioco; nonostante fosse assai difficile non guardare mamma e papà senza un’incredibile malinconia, sapendo che sarebbero presto andati in un luogo di cui lei, per sua fortuna , sapeva ancora poco.
Era gennaio e faceva molto freddo, quando  gli zii accompagnarono Layla in un posto che aveva visto pochissime volte e che sempre la stupiva per la sua grandezza: il Ministero della Magia. Nonostante volesse rimanere ad ammirare molte cose, come l’enorme fontana dorata all’ingresso, seguì il passo svelto degli zii  e cercò di atteggiarsi come le avevano insegnato. Scesero ai piani inferiori  attraverso un ascensore con griglie dorate che a Layla ricordavano un po’ una prigione, cosa che le mise ancora di più tristezza pensando alla sorte dei genitori, e strinse di più la mano della zia. Era strano, di disse, c’erano un mucchio di persone vestite di nero ai piani inferiori, e parecchi giornalisti e fotografi invadenti che mormoravano qualcosa riguardo a un processo, con un tono che tradiva la loro eccitazione: però, appena vedevano i Malfoy e la piccola Layla, si zittivano subito e si impegnavano in qualche saluto e persino degli inchini impacciati, che zio Lucius ignorava apertamente.  Dopo aver superato quel lungo corridoio, venne aperta una porta che conduceva a una stanza, priva di mobili e col soffitto piuttosto alto. I suoi genitori erano in compagnia di suo zio Rabastan, e un ragazzo dai capelli color paglia seduto nell’angolo che singhiozzava, con la testa china e i gomiti appoggiati sulle  ginocchia: continuava a ripetere e mormorare qualcosa come “Era mio padre…mio padre…”
-Eleanore.- sua madre la chiamava a sé,  allargando le braccia ma mantenendo freddo lo sguardo. La bambina sapeva che avrebbe dovuto mantenere una certa formalità, ma non riuscì ad evitare a correrle incontro, pur sapendo che sarebbe andata incontro a un bel ceffone, che con sua grande sorpresa non le arrivò: stupida da ciò, non fece nemmeno caso a suo padre che appoggiava la mano sulla sua spalla. Fu un abbraccio rigido che durò pochi secondi, poiché Bellatrix la scostò quasi subito.
-Dunque… comportati bene d’ora in poi.  Dai ascolto agli zii.
-Sì, mamma. -rispose Layla iniziando a piagnucolare. La donna si chinò verso di lei, così che Eleanore  ebbe modo di notare uno sguardo che non le aveva mai  rivolto prima: era carico di complicità e comprensione, quasi come bambine che avessero appena combinato una marachella.
- Ritorneremo. Alla prima occasione, ritorneremo. –lo sguardo di Bellatrix tradiva l’eccitazione e la sicurezza che in quel momento sembravano così inappropriate e prive di senso alla figlia. Dovevano andare in prigione, di certo non potevano scegliere loro quando uscirne. Forse tutti gli amici dei suoi genitori avrebbero pensato a qualcosa… avrebbero convinto tutti che erano innocenti e non meritavano di stare ad Azkaban. Si limitò ad annuire poco convinta alla madre, mentre il padre si chinò verso di lei per rivolgere un ultimo saluto: non accennò niente riguardo al ritorno,  ma si limitò a un semplice e formale “arrivederci” e a un abbraccio rigido.
                Dopo poco tempo, alcuni uomini al servizio del ministero li raggiunsero e li condussero via: Layla osservò le figure dei genitori allontanarsi lungo il corridoio, prima che la porta venisse chiusa; senza sapere che avrebbe passato i successivi anni senza avere loro notizie, a crescere esattamente come loro avrebbero voluto, secondo le regole della famiglia Malfoy che ben si confacevano a quelle a cui era abituata; senza la possibilità di avere spiegazioni dai diretti interessati, non appena avrebbe scoperto la follia che si nascondeva dietro alla falsità di una ricchezza ed eleganza così ostentate. Fu così che Layla vide per l’ultima volta i suoi genitori e, nonostante fosse stata educata a non far trasparire emozione alcuna dal suo volto, non riuscì ad evitare di scoppiare in un pianto silenzioso, strizzando gli occhi e mordendosi la lingua per evitare ciò che a un bambino della sua età sarebbe venuto normale: piangere. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3478059