Aria

di killerqueen95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1^ giorno ***
Capitolo 2: *** 2^ giorno ***
Capitolo 3: *** 3^giorno ***



Capitolo 1
*** 1^ giorno ***


1^ giorno
-Siediti pure nel divano, Aria. –sorride la signora Sullivan.
Con aria poco convinta mi siedo nel divano di pelle nera che profuma di lavanda, mi fa venire mal di testa questo odore. Accavallo le gambe e incrocio le braccia al petto mentre faccio scorrere lo sguardo per tutta la stanza.
Le pareti sono rigorosamente bianche ricoperte da dei quadri rappresentanti paesaggi tranquilli e dall’aria sicura. I certificati di laurea e specializzazione sono in bella mostra sopra la testa della dottoressa, come a voler dire che lei è davvero qualificata, quasi un ostentazione sin troppo forzata.
La scrivania è colma di fascicoli con dell’etichette rosse e le scritte nere. Lei fruga in quella marea di fogli sino a trovare una cartella verde menta con il mio nome scritto a caratteri cubitali. Io odio il verde.
La dottoressa si siede nella poltrona davanti a me, apre il fascicolo che sembra parecchio grosso, mi sorride con fare rassicurante mentre toglie fuochi un agenda e una penna.
-Allora Aria, sai perché sei qui?- chiede lei sempre con quel sorrisino stampato in faccia.
-I miei credono che io sia una disadattata … credo. Oh no, aspetti, riformulo tutto. I miei credono che io sia una disadattata, ubriacona e drogata. Dunque si, credo di sapere perché mi trovo qui, anche se non ne vedo l’esatta  necessità. – sbotto io sorridendo esattamente come continua a fare lei.
-Beh, direi che questa è una descrizione un po’ troppo colorata per la tua situazione. Io direi che sei qui per avere qualcuno con cui parlare, o semplicemente per imparare a parlare con qualcuno di diverso da te.- ribatte lei con tono pacato e io ammutolisco.
Io non ho bisogno di parlare con nessuno, ho i miei amici con cui posso parlare di tutto senza nessun problema, ma non ho bisogno di nessun’altro.
-Vuoi iniziare a parlarmi un po’ di te?-
-Mi chiamo Aria ho 18 anni, vado a scuola, studio quando mi ricordo e sono felice.- lei non sembra soddisfatta della mia risposta, ma non lo da a vedere più di tanto.
Si riavvia alcuni ciuffi che iniziano a venir fuori dallo chignon severo e mi guarda con accondiscendenza. Scrive qualcosa nell’agenda dorata tempestata di brillantini che fanno scivolare la loro luce sul pavimento di marmo bianco, poi solleva di nuovo la testa verso di me e incolla i suoi occhi ai miei.
-Cosa ti piace fare Aria?- chiede lei sistemandosi più comodamente nella poltrona.
Dalla maniera in cui mi guarda, capisco che prima o poi crollerò con lei, che le racconterò tutto. Le parlerò della vera Aria e di tutti i problemi che si celano dietro ai miei sorrisi e al mio “sono felice”. Per ora stringo i denti sul mio labbro inferiore come a voler trattenere il più possibile tutte quelle parole non dette, tutte quelle grida che continuano a morirmi alla base della gola prima che possano arrivare alle labbra per essere sentite.
-Mi piace leggere, fare lunghe passeggiate, scrivere e stare alla piazza delle palme.- sussurro.
Lei prende appunti come una macchinetta facendo freccette in tutto il foglio e attaccando post-it in alcuni fogli del mio fascicolo.
-Ti dispiacerebbe descrivere questi tuoi hobby? Perché ti piace fare queste cose?-
Questa volta non solleva lo sguardo, lo tiene basso verso l’agenda e attende che io inizi a parlarle, lo fa per lasciarmi il mio spazio, credo.
-Leggere mi rilassa, mi proietta in un mondo che so essere solo mio. Mi strappa dal mondo reale e mi lancia nella storia, io stessa divento protagonista. Posso  provare le emozioni degli altri personaggi, posso aiutarli a risolvere i loro problemi. Leggere è l’unico modo per evadere dalla realtà, per vivere qualcosa di diverso dal normale.  Tutti credono di non poter tornare indietro nel tempo o andare nel futuro, nessuno crede davvero che maghi e demoni esistano; ma i libri rendono tutto questo reale. Fanno in modo di portarti indietro nel tempo, di farti arrivare nel futuro. Ti danno la possibilità di fare magie o di distruggere interi mondi e popolazioni. I libri mi hanno sempre fatta sentire speciale e potente, è una sensazione che nessun essere umano è ancora riuscito a darmi.- mi blocco per qualche istante per riprendere fiato e passarmi la lingua sulle labbra.
-Per quanto riguarda le lunghe passeggiate non c’è un motivo reale. Cammino quando ho qualcosa di importante a cui pensare, oppure quando devo decidere qualcosa di particolarmente importante per me. Mi piace assorbire tutti i rumori che sono attorno a me, lasciarmi cullare da essi. Se ho qualche problema mi aiuta a svuotare la mente e a riempirla di bei pensieri. Non so come spiegartelo, diciamo che cammino per purificare la mia anima.-
-Ti fa sentire sollevata?- mi chiede.
-Si, parecchio.-
Per qualche secondo entrambe stiamo in silenzio. Io mi fisso la punta delle scarpe e mi accorgo che c’è una macchiolina blu che stona con il tessuto bianco.
-Diciamo che la scrittura va associata un po’ alla lettura. Il motivo è molto semplice. Mi piace immergermi in qualsiasi mondo che non sia quello reale, mi piace vivere nuove avventure, ma delle volte mi piace immergermi nel mondo che voglio io. Così mi siedo nella stanza con il portatile sulle gambe e inizio a scrivere, a creare un mondo tutto mio, con le persone che voglio io. È un po’ come prendere una boccata d’aria in mezzo a tutto questo. È come se la mia mentre prendesse realmente vita e diventasse un momento popolato di persone che mi piacciono. Ecco perché mi piace tanto … -
Questa volta mi blocco perché stiamo per entrare nell’argomento che più le preme, il motivo per cui sono qui.  La piazza delle palme. Ci sono cresciuta, ci ho vissuto tutta la mia vita sino ad ora, mi sta rovinando.
O mi sto rovinando io?
Può una piazza circondata da palme verdi, rovinare una persona a tal punto da renderla irriconoscibile? Non ne sono così sicura, forse ho semplicemente deciso di rovinarmi, di trasformarmi  in ciò che sono ora.
-Perché ti sei fermata? Manca l’ultimo punto.- mi dice lei accarezzando i fogli che si tiene in grembo.
-Io non voglio parlare della piazza delle palme.- biascico allisciandomi i capelli con le dita e cercando di concentrare il mio sguardo su un punto indefinito nel muro.
Lei segue il mio sguardo nella speranza di vedere qualcosa che abbia catturato la mia attenzione, ma la triste verità è che io cerco solo di tenermi lontano da lei. Di fuggire da lei.
-Come hai conosciuto i tuoi amici? Quando il vostro gruppo si è formato? – non demorde proprio.
-Io avevo più o meno dodici anni, ero la più piccola tra tutti. Mi avevano adottata come se fossi una sorta di mascotte, io li avevo lasciati fare perché l’idea di stare con dei ragazzi più grandi mi piaceva parecchio. In quel periodo ero proprio l’unica ragazza, ma la cosa non turbava me e nemmeno loro. Mi sentivo protetta e in effetti è sempre stato così,  nessuno di loro avrebbe lasciato che mi venisse fatto del male. Tutti mi conoscevano bene già a quell’età.-
-Quando hai iniziato a bere a fumare?- mi chiede interrompendo il flusso di parole.
-A quattordici anni mi sono presa la prima sbronza. Mi ricordo quel sabato come se fosse successo qualche secondo fa. Come tutti i sabati, loro, avevano preso la vodka e altri alcolici e poi avevano fatto i loro intrugli magici. Io come tutte le volte ero rimasta ad osservare la preparazione, alla fine avevo sollevato la bottiglia e me l’ero portata alle labbra. Avevo lasciato che il liquido caldo mi scivolasse lungo la gola sino a scottarmi. Ricordo che tutti mi avevano con guardata con un’aria alquanto sconvolta. Dopo il primo sorso ne erano seguiti degli altri, sino a quando la testa non aveva iniziato a sembrarmi più leggera  e tutto quello che vedevo lo percepivo a rallentatore. Per me era sensazione del tutto nuova e strana, ma pur sempre qualcosa che mi piaceva. Da quel momento in poi non ho più lasciato la bottiglia. Ma non è allora che ho iniziato a distruggermi e stato qualche anno dopo.-
-a 14 anni hai iniziato a fumare?- mi chiede con insistenza.
-No, è stato a 15 anni. – ribatto secca mentre i ricordi iniziano a scivolare lenti.
-Perché?- chiede lei.
Questa volta è una domanda realmente sincera, perché nemmeno lei riesce a darsi una risposta adeguata alla mia situazione.
-La domanda che mi sono sempre posta è stata: Perché non farlo? Insomma perché non avrei dovuto farlo? In fin dei conti era una cosa che tutti i miei amici facevano. Mi sembrava una cosa quasi naturale, ero l’unica a non aver ancora provato e mi andava di farlo. Così un altro sabato ho fatto il mio primo tiro di erba. Mi sono sballata per la prima volta, ho provato per la prima volta la sensazione di volare. Devo ammettere che, comunque, non mi ha mai entusiasmato più tanto; insomma è sempre stato un qualcosa che facevo tanto per e non perché mi piacesse sul serio. Qui si parla di una cosa completamente diversa dall’alcool.-
Detto questo ammutolisco e riprendo a fissare il muro bianco. Sento lo sguardo della dottoressa Sullivan su di me e questo mi innervosisce parecchio, tanto che inizio a torturarmi la manica del golfino viola che indosso. 
mi sfilo il cellulare dalla tasca e guardo l’orario. Le sei e mezza. La mia ora è finalmente scaduta. Lei sembra capirlo dalla mia espressione e chiude finalmente il mio fascicolo, si stringe nelle spalle e poi si alza e io a la imito.
-È stato un piacere Aria. – dice allungandomi la mano. –Ci vediamo domani al solito orario, ho in serbo per te una sorpresa.-
-Arrivederci. - dico con davvero scarso entusiasmo prima di chiudermi la porta alle spalle.

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Capitolo 2
*** 2^ giorno ***


2^ giorno
Puntuale come un orologio svizzero mi ritrovo dentro lo studio della dottoressa Sullivan. La osservo per qualche istante mentre lei è alla ricerca del mio fascicolo verde.
È davvero una bella donna. I capelli oggi le ricadono morbidi sulla schiena, sono leggermente ondulati da delle ondine color crema. Ha le labbra dipinte di rosso arancio che fanno risaltare gli occhi del colore del ghiaccio. Non saprei che età attribuirle, ma credo che non vada oltre i trentacinque anni, esagerando.
-Come ti senti oggi?- chiede lei sedendosi davanti a me.
-Bene … - non aggiungo altro lasciando la mia risposta sospesa per aria.
-C’è qualcosa di cui vuoi parlare in modo particolare?- 
Nell’esatto momento in cui mi pone la domanda io scuoto la testa, lei non si perde d’animo e mi porge tre lettere ben sigillate. Sopra ognuna di esse c’è un nome e io tremo nel leggerli.
Robert, Richard, Jenna
-Cosa sono queste?- chiedo con tono incrinato dall’ansia.
-Ho chiesto a loro di scrivere delle lettere in cui parlano di te. È molto importante sapere cosa i tuoi amici pensano di te, capire il modo in cui ti vedono può aiutarti a ritrovare te stessa.- lo dice come se fosse una cosa del tutto normale, non pensando al fatto che io sto per dare i numeri come una vera pazza.
-Lei ha contattato i miei amici?- ribatto io furiosa mentre sente le guance imporporarsi.
-Assolutamente no. Tua madre l’ha fatto, senza ovviamente rivelarli a cosa sarebbero servite. Puoi stare tranquilla e aprire la prima lettera. Dopo che l’avrai letto, a voce alta ovviamente, potremo commentarla assieme e tu potrai raccontarmi come hai conosciuto ognuno di loro.- sento che il suo tono non ammette repliche.
Dalla sua espressione capisco che non posso permettermi di fare scenate con lei, ma devo stringere i denti e comportarmi come una persona normale e fare la brava rispondendo ai suoi ordini.
Prendo la prima lettera che porta il nome di Robert, sollevo la linguetta della carta e la apro togliendo fuori un foglio di carta bianca e dalla’aspetto ben curato. Riconosco la grafia lineare del mio amico e le piccole sbavature dovute al suo essere mancino.
Scrivere una lettera del genere mi sembra molto strano, ma mi è stato chiesto dunque lo farò.
Di Aria si possono pensare tante cose, ma la verità è che niente potrà mai avvicinarsi alla verità, perché lei è troppo complessa e particolare per poter essere descritta.
In realtà posso dire che è una brava ragazza, molto particolare, forse anche un po’ strana e lunatica. In ogni caso le voglio bene.
La lettera si interrompeva così, brusca, sbrigativa.
Giro il foglio nella speranza di vedere qualche altra riga, ma la triste verità è che non c’è più nulla da leggere. Cerco di mascherare la mia delusione stampandomi un sorriso tirato.
-Credo non ci sia molto da commentare.- dico secca prima che lei possa aprire bocca.
-Lo so … come hai conosciuto Robert?-
-È stato uno dei primi con cui ho fatto amicizia. La prima volta che sono andata nella piazza delle palme, ero con il mio, diciamo, “ragazzo”. Sa la prima cotta da dodicenne. Robert aveva salutato subito il mio ragazzo e poi si era presentato porgendomi la mano per poi tenerla e portarmi nel cerchio con gli altri.- non aggiungo altro.
A differenza sua io ho speso sin troppe parole sul suo conto, mentre lui nemmeno mezza pagina.
La dottoressa mi indica la seconda busta. Porta il nome di Richard. Tiro la linguetta e tolgo fuori un foglio spiegazzato e macchiato di caffè.
Chiedo scusa per il foglio macchiato di caffè, ma mio fratello ha rovesciato la sua tazzina.
Vediamo, cosa so e cosa penso di Aria?
Beh Aria è una ragazza sempre allegra, molto lunatica e strana. So che è molto sensibile, ma allo stesso tempo lapidaria.
E poi io e lei andiamo tanto d’accordo perché le piace devastarsi, insieme facciamo tante pozioni magiche con gli alcolici, nessuno beve più di lei tra le ragazze. Io l’adoro proprio per questo.
Ci si può fare tanti bei discorsi interessanti.
Sorrido perché questa è una tipica lettera di Richard. Così distratto e pratico.
Sollevo lo sguardo per cercare quello della dottoressa, ma lei non sembra divertita come me, anzi ha un espressione abbastanza preoccupata e turbata.
-Come hai conosciuto Richard?-
-L’ho conosciuto due anni fa. È venuto la prima volta alla piazza delle palme da solo, disse che voleva farsi dei nuovi amici perché i suoi non gli piaceva più. Disse che aveva bisogno di qualcuno di più forte, ovviamente intendeva a livello di divertimento.- dico il tutto sorridendo perché porto un ottimo ricordo del primo incontro con lui.
Apro l’ultima lettera che è quella di Jenna, la mia migliore amica. L’unica che non viene con me alla piazza delle palme. Odia quel posto con tutte le sue forze.
Aria è la persona più importante della mia vita.
Ci conosciamo da sempre e non ho mai smesso di volerle bene.
È una delle persone più testarde e irascibili che io conosca, deve sempre trovare il modo per fare ciò che vuole a modo suo e alla fine non ci riesce, tiene il muso per giorni interi.
È tanto particolare, ma di una particolarità che va capita proprio a fondo. Quel tipo di particolarità che finisce nella stranezza, io amo la sua stranezza e l’ho capita a fondo.
Ha un vero e proprio gusto per il macabro che con il tempo ha contagiato anche a me.
Si potrebbe dire che è una persona dolcissima, ma allo stesso tempo è una strega a tutti gli effetti. È un po’ come lo zucchero e il veleno mischiati assieme. Ti incanta con la sua dolcezza e poi ti uccide con il suo veleno.
Ma nonostante la sua marea di pregi ha un difetto. È portata per l’autodistruzione è questa è una cosa che mi spaventa da morire perché non so come aiutarla. Vorrei poterla portare via da quella piazza, da quegli amici così sbagliati che continuano a trascinarla verso un fondo da cui non potrà più risalire.
Vorrei che tornasse esattamente tutto come era prima.
Vorrei che Aria tornasse Aria.
Perché  la Aria che vedo ora, non è nemmeno l’ombra di quella vera.
Ripiego il foglio che profuma di rose appena sbocciate e reprimo le lacrime che iniziano a pungermi gli angoli degli occhi.
Sollevo lo sguardo e vedo che la dottoressa mi porge una scatolina azzurra da cui spuntano fuori alcuni fazzoletti che profumano di buono. Ne prendo uno e mi asciugo una lacrima solitaria che mi starà facendo sicuramente colare il mascara.
-Ti voglio fare solo una domanda, Aria, poi sarai libera di andare via.- mi dice lei ammorbidendo il tono della sua voce. –Chi sono i tuoi veri amici? Quelli della piazza delle palme? Quelli che sono riusciti a scrivere si o no due righe su di te, o Jenna? La tua migliore amica che hai praticamente abbandonato negli ultimi tempi. Lei è riuscita a descriverti, tu per lei sei trasparente, sarebbe riuscita a descriverti anche meglio se ne avesse avuto il tempo. Non voglio una risposta, ma voglio che tu rifletta su quello che hai capito oggi. Domani parleremo di questa tua autodistruzione.-
-Buona serata dottoressa Sullivan.- dico con la voce priva di ogni tipo di emozione.

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Capitolo 3
*** 3^giorno ***


3^ giorno
Non so bene come sia arrivata qui. So solo che stavo camminando e poi mi sono ritrovata davanti allo studio della dottoressa Sullivan. La pioggia mi ha completamente infradiciata rendendo pesanti i miei vestiti, le scarpe da ginnastica scricchiolano sullo zerbino marroncino mentre allungo il dito e suono il campanello.
-Chi è?- sento dire dalla dottoressa attraverso il citofono.
-Sono Aria.-
Il portoncino rosso scatta e io entro spingendolo con forza, osservo per un secondo la tromba delle scale e poi inizio a percorrerla correndo a grandi falcate. Più volte rischio di rompermi l’osso del collo scivolando sul marmo liso.
 Quando arrivo alla porta della dottoressa la vedo nella soglia che mi aspetta, ha l’aria alquanto sorpresa. Non indossa uno dei suoi vestiti eleganti, ma ha tutta l’aria di una ragazza assolutamente normale. Porta un paio di jeans aderenti grigi, un dolcevita nero con alcuni brillantini argentati. Non porta i tacchi, ma comode scarpe da ginnastica della collezione scorsa. I capelli le scendono lungo tutta la schiena, hanno un’aria morbida e curata, una cosa che non tutti si possono permettere.
-Aria, oggi è il mio giorno libero … lo sapevi?- mi chiede con fare titubante.
Annuisco silenziosa mentre sento i suoi occhi vagare su di me. So benissimo cosa sta vedendo; una ragazzina esile come un uccellino completamente fradicia, devo avere anche uno sguardo spiritato accentuato dal mascara che continua a colarmi in tutto il viso facendomi assomigliare ad una sorta di cucciolo di panda. Tremo per il freddo mentre lei si sposta dalla porta facendomi segno di entrare.
La porta si chiude silenziosamente e io vado verso lo studio della Sullivan lasciando dietro di me una striscia di acqua. Non oso sedermi nel divano di pelle, così rimango in piedi al centro della stanza con aria smarrita.
-Siediti pure, il divano si asciugherà, non preoccuparti. Vuoi una tazza di cioccolata per riscaldarti?-
-No … sto bene così. Voglio raccontarle tutto, sono pronta a parlarle seriamente di me … voglio liberarmi da questa spirale in cui mi sono infilata- lo dico con foga alzando la voce.
Lei si alza immediatamente per andare verso la scrivania dove prende il suo magico taccuino con la penna e poi torna a sedersi nella poltrona davanti a me.
-Parla pure … inizia da dove più preferisci-
-Non ho iniziato a distruggermi a 12 anni e nemmeno a 15, il vero problema è iniziato verso i 16 e 17. Si, diciamo pure che verso i 17 la cosa mi è sfuggita di mano. Ho iniziato ad essere infelice a non avere più quella grande voglia di impegnarmi nelle cose della vita, ho iniziato ad essere insoddisfatta di me stessa e a credere di non poter combinare nulla di positivo. Così ho iniziato con l’autolesionismo. Era bello vedere il sangue colare, mi sentivo come se la tristezza scivolasse via da me e andasse lontano. Il dolore pungente delle ferite mi faceva dimenticare il dolore che provavo nell’anima. Mi sentivo sollevata e più leggera, ma se all’inizio questo benessere durava giorni, con l’andare del tempo durava ore … secondi. Al giorno riuscivo anche a farmi più di dieci tagli, in diverse zone del corpo. L’autolesionismo è come una droga, una volta che inizi non riesci a smettere così facilmente, rimani assuefatta dalla sua potenza e incantata dal sangue che sgorga fuori dalle ferite.-
-Così ho iniziato ad autodistruggemi. E i motivi erano appunto diversi. A scuola non stavo bene, io ero sempre fuori dal coro, non mi piacevano gli altri e non amavo mischiarmi con loro … forse è anche per questo che ho cambiato così tante volte scuola. Ben presto mi sono resa conto, io stessa, di non piacere a loro, esattamente come loro non piacevano a me, li unici che mi apprezzavano erano loro .. i miei amici che così tanto vengono disprezzati. Forse un po’ perché sono strani anche loro, o forse perché da qualche hanno erano gli unici che si erano presi la briga di guardarmi anche solo un minimo dentro.-
-A casa le cose non erano di certo meglio. I continui paragoni tra me e mia sorella stavano iniziando a scocciarmi e a farmi calare l’autostima. Così ho iniziato ad ignorare i miei, hanno perso la metà dell’importanza che gli davo prima.-
-Ma in realtà questo è solo una sorta di prologo, cioè questo è solo stato l’inizio di tutto. Il male più grande è iniziato nel momento in cui ho conosciuto lui, il serpente velenoso e incantatore che mi ha trascinata all’inferno con lui. Il suo è stato puro egoismo. L’inferno gli piaceva, ma si sentiva solo e ha deciso di portare me con lui. Se mi chiedessero di descrivere il diavolo, credo che prenderei lui come chiaro esempio.-
-È entrato nella mia vita creando grandissimo scompiglio. È scivolato lentamente senza che me ne accorgessi e nel giro di pochissimo mi aveva già incantata e avvolta tra le sue spire.-
-Lui era un grandissimo bevitore e io ho iniziato a seguirlo. Ogni giorno mi sbronzavo, ogni giorno bevevo qualcosa di nuovo con lui e la mia testa alternava ore in cui era leggera come un palloncino, ad altri in mi sembrava di aver dentro un macigno. Non mangiavo più, ma bevevo e basta e mi piaceva perché ero con lui … ma poi l’intero sogno è finito.-
-Perché nonostante io fossi piena di problemi, lui ne aveva molto di più. Il suo più grande problema era il non saper amare. Lui sapeva solo distruggere ciò che avrebbe voluto amare. E così è stato-
-Dopo questo non starò qui a spiegare i miei sentimenti di profonda delusione, ma ti posso dire che ho iniziato a distruggermi. L’alcool non è più stato mio amico, ma il mio peggior nemico. Passavo i sabati ridotta ad uno straccio, buttata sui gradini di qualche scala o su qualche panchina. Continuavo a bere e a bere … sino a sentirmi l’anima sporca e continuavo a tagliarmi e tagliarmi sino a ridurre la mia anima a brandelli …-
-La prego- sussurro tirandomi su una manica e mostrandole i tagli e le cicatrici rosse – lei mi deve aiutare.-
 
 
 
Okaaaayyyy, siamo arrivati alla fine. Mi scuso se qualcuno dovesse rimanere deluso, ma non ho mai avuto l’intenzione di scrivere una storia lunga, volevo solo descrivere le fasi di un percorso ed è quello che ho fatto.
Fatemi sapere cosa ne pensate!!!
_cherryred_

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