Run, fast.

di Ega
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Dovevo correre, era questa l'unica cosa che mi permisi di pensare, dovevo essere più veloce di loro.
Se mi avessero preso, per me sarebbe stata la fine di ogni cosa; sentivo le foglie scricchiolare sotto i miei anfibi, in torno a me gli alberi tra i quali ero cresciuta.  Certo, ero parecchio agile ed avevo una buona resistenza, ma era ormai più di un'ora che mi inseguivano.
Ero perfettamente conscia di dove ero diretta, ci andavo spesso ed ero certa che nessuno sarebbe stato in grado di capire la mia posizione.

Continuai a correre per almeno un altro quarto d'ora, con i rami che mi frustavano le braccia e le gambe, i moscerini che puntualmente mi finivano sul viso e i capelli che erano colmi di foglie e ragnatele.
Stavo per collassare, quando in lontananza vidi la roccia segnata, arrancai con la milza che implorava pietà e i polmoni stremati, fino a quella spaccatura piccola, ma abbastanza grande da farmi entrare senza problemi.
Non appena fui dentro la mia minuscola grotta sorrisi e mi accasciai al suolo, era esattamente come la ricordavo: il terreno era roccia pura e fredda, in un angolo stavano le provviste: carne secca, scatolette di tonno e frutta secca. Mentre verso la zona più buia avevo ricoperto la terra con vari strati di muschio per isolare e ammortizzare, avevo lasciato due cambi e un sacco a pelo.

Dopo aver ripreso fiato, mi avventai sul mio giaciglio, sotto al quale si trovava una roccia mobile, che una volta rimossa mostrava il mio bottino. Dentro vi avevo nascosto due pugnali, una lanterna, delle batterie, del denaro e del cortisone. Non si sa mai.
Ero arrabbiata, ma veramente furiosa, nonostante fossi cresciuta in mezzo a quelle persone, i pregiudizi avevano prevalso e mi avevano dato immediatamente la caccia come si fa con la volpe che ti mangia le galline. Non avevano voluto nemmeno sentire la mia versione dei fatti, tanto erano superficiali, ignoranti e testardi.
Mi cambiai, indossando un paio di jeans stretti, una maglia azzurra ed una felpa blu scuro. Mi infilai nuovamente gli anfibi consumati, che arrivavano a metà polpaccio e in entrambi misi un pugnale. Presi parte del denaro e rimisi tutto dov'era.  Non sarei potuta rimanere a lungo, ero comunque troppo vicina al villaggio.
Non appena uscii dalla roccia, feci qualche passo con calma per abituarmi alla luce del sole, ma sentii una voce che mi chiamava:

"Ariel" non risposi, mi misi immediatamente a correre.
"Ariel, fermati." non l'ascoltai e proseguii senza fermarmi.
"Ariel, non puoi scappare in eterno. Non appartengo al tuo villaggio e voglio solo parlarti."
Mi immobilizzai. Non era del villaggio? Allora come faceva a sapere di me? Insomma abitavo a chilometri da un altro centro abitato, per una comunicazione sarebbero state necessarie almeno ventiquattrore. E poi la gente era spaventata ed arrabbiata con me, la persona che aveva parlato sembrava avere voce perfettamente calma. Mi girai, ma nessuno era nei paraggi.
 "Hai corso troppo velocemente, devi darmi il tempo di raggiungerti."
"Ma... come faccio a sentirti?"
"Ascolta bene, non con le orecchie, con la mente." ascoltai prima con le orecchie ma non sentii nulla, poi con la mente e mi parve di sentire un flusso di pensieri non miei. Era nella mia testa!

"Chi sei? E perché sei nella mia testa?"
"Ecco, ora puoi vedermi, sono qui. "mi girai di nuovo e vidi un uomo, sulla sessantina, con una lunga barba brizzolata, e gli occhi grigi. Il volto mostrava qualche ruga di espressione, ma il viso aveva un'aria bonaria. Indossava una strana casacca in lino e delle scarpe in pelle.. le mani ed il collo erano ricoperti da tatuaggi tribali. "mi chiamo Sulfus"
"Come facevi a parlarmi nella testa?"
"Il mio è un dono, proprio come il tuo."
"Ti sbagli, la mia è una maledizione."
"Non è così, voglio farti una proposta."
"Non accetterò mai una proposta da uno sconosciuto."
"Ora ti parlerò nella mente per dimostrarti che dico la verità: tu non hai più una casa, i tuoi zii ti hanno cacciata e di certo non puoi vivere dentro quella roccia in eterno. Hai solo 17 anni e non puoi fare granché. Non hai più amici e nessuno ti vuole stare vicino.
Il prossimo punto civilizzato è almeno a una giornata di cammino. Io ti faccio una proposta, c'è un luogo dove i ragazzi come te vivono insieme e ricevono un'educazione adeguata alle loro doti. Non ti verranno richiesti pagamenti di alcun genere se non la tua collaborazione ed il tuo impegno. Ci stai?"


Vidi che era sincero, non sapevo come mai ma ne ero completamente consapevole. Avrei dovuto accettare? Non ne ero certa ma in quel momento era tutto ciò che potevo permettermi.
Da bambina avevo fatto varie esperienze da scassinatrice, sarei potuta scappare al momento più opportuno. Ma anche se mi fossi fidata di lui cosa mia garantiva che tutte le altre persone sarebbero state apposto? No, avrei camminato per un giorno e mi sarei trovata qualcosa da fare in città.
"Non credo che la tua proposta mi possa interessare, ma grazie lo stesso." scosse la testa con l'aria sconsolata di uno che si aspettava una risposta del genere.
"Ariel, non avevo mai incontrato una ragazza con così tanta potenza e forza, addirittura senza addestramento. Saresti al sicuro con noi."
"Apprezzo la tua proposta, ma davvero sto bene così."
"D'accordo. Come vuoi tu, ma sappi che se mai vorrai contattarmi, ti basterà urlare con tutto il potere mentale che hai il mio nome. Vedrai che ti basterà."

Detto questo se ne andò, io rimasi lì imbambolata a fissarlo fino a quando non scomparve alla mia vista. Infine ripresi a camminare a passo svelto, dovevo arrivare in centro il prima possibile, non mangiai nulla perché preferivo tenere quelle poche scorte che avevo al rifugio, in caso di emergenza estrema; verso sera, stremata, arrivai in prossimità di un ruscello, dove mi lavai il possibile e mi dissetai, mi creai un giaciglio con foglie e muschio e mi addormentai. La giornata seguente sarebbe stata altrettanto faticosa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Venni svegliata dai primi raggi solari che mi colpivano il viso. Avevo decisamente dormito male, ma come biasimarmi?
Ero stata sdraiata a terra tutta notte.

Stiracchiandomi come un gatto, mi guardai intorno, riconoscendo il bosco a me familiare. Decisi di alzarmi: andai al ruscello, dove mi lavai e dissetai con l'acqua fresca.
Raccolsi delle bacche e feci quella che si può definire colazione.

Dopodiché mi avviai alla volta della città.
Non che potesse essere paragonata ad uno di quei grandi centri urbani spesso citati, in realtà si riduceva ad essere una cittadina di modeste dimensioni, molto estese per lo standard tipico della zona.
Camminai parecchio a lungo, ore sicuramente, senza rendermi conto della stanchezza, perché ero decisa ad arrivare entro sera .
Le mie gambe si muovevano ed i miei muscoli lavoravano, ma la mia testa era altrove, altamente scombussolata dagli avvenimenti del giorno prima.
Ero stata io. Era colpa mia se il vecchio Tom non c'era più.
Ero fuori di me, e avevo reagito in maniera istintiva. In quel momento mi promisi che mai più mi sarei lasciata andare. Mai più.

Come previsto, verso il tramonto, vidi in lontananza delle abitazioni.
Decisi di proseguire fino ad arrivare nel centro vero e proprio della città.
Lì, stremata, con un dollaro e cinquanta in un supermercato comprai, una barretta energetica e dell'acqua. Dovevo andare a risparmio prima di tutto.
Mi sedetti su di una panchina del piccolo parco accanto al municipio e rimasi ad osservare le persone passare, era un orario un po' insolito, nonostante ciò, passarono bambini, adulti e anziani. Tutti dall'aria indaffarata o di fretta. Nessuno sembrava semplicemente godersi la passeggiata.

Dopo aver mangiato il mio pasto frugale, mi decisi a chiedere alloggio a qualcuno.
Ovviamente nessun passante era disposto ad ospitarmi. E nemmeno ristoranti ed hotel, seppur in cambio di lavoro, furono più gentili.
Quindi, la mia unica possibilità di ridusse a passare la notte in stazione e sperare di avere maggior fortuna io giorno dopo.

Mi incamminai mollemente alla volta della stazione, ormai con il cielo scuro.

Era bella di notte la città. C'era pericolo ma pure libertà. Ci giravano  quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stavano aperte le osterie, le friggitorie, i caffè.
Ci si salutava, ci si conosceva, tra quelli che campavano di notte. Le persone perdonavano i vizi. La luce del giorno accusava, lo scuro della notte dava l'assoluzione.
Uscivano i trasformati, uomini vestiti da donna, perché così gli diceva la natura e nessuno li scocciava.
Nessuno chiedeva di conto di notte. Uscivano  gli storpi, i ciechi, gli zoppi, che di giorno venivano respinti.
Era una tasca rivoltata, la notte nella città.
Uscivano  pure i cani, quelli senza casa. Aspettavano la notte per cercare gli avanzi, quanti cani riuscivano  a campare senza nessuno.
La cosa mi rese subito più triste.

Arrivata a destinazione, mi sedetti su una sedia lercia e mi lasciai andare per qualche ora di riposo.
Mi svegliai durante la notte, per colpa di non so quale rumore, cercai di prender nuovamente sonno, ma la cosa risultava impossibile.

Guardandomi intorno, mi resi conto di essere sola, nella minuscola stanza, abitata da me, il distributore automatico di biglietti ed una decina di deprimenti sedie grigio topo, poggiate su delle piastrelle in finto marmo, palesemente stampato e sporco.

Ormai dopo la seconda notte di sonno all'aperto, la schiena iniziava a dolere, necessitavo assolutamente di una sgranchita di gambe.
Non fidandomi, ovviamente, portai con me anche lo zaino, estrassi il mio pacchetto di sigarette e cercai di godermi la situazione.
Quella che stavo fumando era una sigaretta triste e priva di significato.
Una tra tante nel mezzo del pacchetto.
Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand'è l'ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso.
L'ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute.
La cosa che non avevo mai capito è come mai, il fumo non avesse mai infierito sulla mia salute: conoscevo dei ragazzi fumatori, ed ognuno di questi aveva i suoi problemi, chi asma, chi tosse, chi affaticamento... Io invece, che fumavo da tre anni, mai avvertito cambiamenti. Sempre avuto un organismo forte e resistente.

Mentre facevo questi ragionamenti filosofici, con il fumo che mi attraversava il corpo e l'anima, sporcandomela più di quanto già non fosse, sentii delle voci in lontananza farsi sempre più vicine.
Un gruppo di ragazzi si stava avvicinando.
Quattro giovani di circa vent'anni, nessuno di loro era di cattivo aspetto, quello che pareva essere il capo era moro con gli occhi castani ed indossava dei semplici jeans ed una felpa.
-Hey rossa, ce l'hai una sigaretta? - chiese con sguardo beffardo di chi sapeva di piacere.
Io però non mi lasciavo abbindolare facilmente, alzando gli occhi al cielo né estrassi una dalla tasca e in silenzio gliela passai, sperando che poi si sarebbe allontanato.
Che poi, io non ero rossa, ero ramata.
Ovviamente non fui fortunata.
- cosa fa una ragazza così carina, sola, nel pieno della notte in questo postaccio? -
- si fa i cazzi suoi- risposi acida, volevo solo stare sola e in pace.
- ahi, graffia la gattina. - e continuando a guardarmi, si portò di fronte a me, facendomi poggiare la schiena al muro.
- sai, mi piacciono le ragazze di bell'aspetto e obbedienti.- disse fissandomi - il tuo corpo coincide esattamente con i miei ideali, ma sarà il caso che tu venga addomesticata.- detto questo mi baciò violentemente. Schifata dal suo comportamento, mi dimenai, ma la sua massa muscolare non mi permetteva granché.
Gli morsi quindi il labbro, facendogli fuoriuscire del sangue.
Fu allora che vidi la furia nei suoi occhi. Mi strinse entrambi i polsi, provocandomi parecchio dolore.
- oh tesoro, questo non avresti dovuto farlo.- era incazzato.
Sentii la paura montare, erano quattro contro una. Non avevo possibilità.
Sentii uno schiaffo colpirmi violentemente il viso, uno dopo ed uno dopo ancora.
Stavo per perdere conoscenza, quando diedi importanza al l'unico pensiero sensato in quel momento:
- Sulfus-.

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