Beyond the quest

di Serpentina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** To Brooklyn and back again ***
Capitolo 2: *** I dolori della giovane Carr ***
Capitolo 3: *** Torna a casa, Jodie! ***
Capitolo 4: *** Qualcosa di nuovo sul fronte sentimentale ***



Capitolo 1
*** To Brooklyn and back again ***


Non volendo trascinare LQ per le lunghe, ma non volendo, allo stesso tempo, privarvi dell’occasione di sbirciare nelle vite dei personaggi, ho pensato di creare questa piccola raccolta di momenti passati, presenti e (forse) futuri, che spero vi aiuterà ad entrare nelle loro contorte testoline. Consiglio l’abbinamento musicale con We won't get fooled again. Pronti a fare un viaggio nel passato e presente di Philip?
 

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To Brooklyn and back again

Philip Gage, ebbro del senso (al limite del delirio) di onnipotenza che solo sfrecciare in autostrada donava, non concepiva chi, come sua madre, si sentiva a disagio al volante. Aveva ingranato la prima a dodici anni, per errore, e da allora non si era più fermato; guidare era per lui distensivo quanto una lezione di yoga. Adorava la sensazione del piede premuto sull’acceleratore, osservare il contatore di velocità schizzare verso destra, fin quasi al limite, stringere tra le mani il volante. Il traffico cittadino lo stressava, sì, ma prevaleva sempre la gioia di trovarsi sulla strada. In effetti, la sua vita, a causa del lavoro di suo padre, era stata un continuo andirivieni: nato a Charleston, South Carolina, dai due ai dieci anni aveva però vissuto a Jacksonville, Mississippi; tornato a Charleston, vi era rimasto, grazie alla generosità dei suoi zii, fino al diploma, raggiungendo poi i genitori a New York, dove si era fermato, fatta eccezione di un breve periodo di studio all’estero, fino al trasferimento definitivo a Boston per seguire il suo mentore. Non avrebbe sopportato di specializzarsi con qualcuno che non fosse lui: il dottor Berger univa a una solida preparazione una dote purtroppo rara tra i camici bianchi… l’umanità. Nella Grande Mela avrebbe imparato ugualmente a fare il medico, ma a Boston aveva imparato a prendersi cura dei pazienti, non c’era paragone.
Lesse l’indicazione per la I-278 W, uscita per Brooklyn/Queens, e sospirò di sollievo: mancava poco, ormai.
Più che dei grattacieli di Manhattan e della Statua della Libertà, sentiva la mancanza delle persone che aveva lasciato per inseguire i propri sogni; tuttavia, mai era stato tentato di tornare indietro: la tecnologia permetteva di mantenersi in contatto a distanze superiori di quella che separava Boston da New York, dove tornava almeno una volta al mese.
Parcheggiò nel garage del casermone che i suoi chiamavano casa, fulgido esempio di malriuscita coniugazione tra praticità e design (gli era sempre sembrato un grosso alveare), li salutò brevemente e si precipitò dagli amici, meglio noti come pazzi scatenati, ora felicemente ammogliati. Scacciò dalla mente con uno sbuffo e uno scatto della mano il pensiero che era rimasto l’unico non accoppiato. Immaginava già le battute e la fastidiosa punta d’invidia che avrebbe provato nel vederli scambiarsi discrete effusioni, innamorati e felici, invidia acuita dal fatto che, se le cose fossero andate diversamente, avrebbe potuto avere Sarah al suo fianco.
L’allegra confusione di saluti e pacche sulle spalle, sorrisi e domande di carattere generale lo travolse, impedendogli di pensare oltre a Sarah.
–Phil! Quanto tempo! È… non riesco a crederci, è dal matrimonio di Jared che non ci vediamo! Sai, giusto ieri ho stampato le foto migliori di me e Lexi - ce n’è una stupenda in cui ci baciamo e, sullo sfondo, ci sei tu che fissi il sedere di Nina, l’amica di Callie, quella rossa e, mi dispiace per te, sposatissima - e devo proprio dirtelo: le tue scarpe erano davvero ridicole! Le hai buttate?
–Dy, lo stai rintronando di chiacchiere! Fallo almeno sedere, prima!- intervenne Jared, attento come sempre a porre un freno all’iperattivo entusiasmo del socio.
–Non è vero!- si difese lui, rivolgendo all’amico uno sguardo da cucciolo coccoloso. –Vero che non è vero?
–Sai benissimo che è vero, ma ormai abbiamo gettato la spugna con te, sei irrefrenabile!- esclamò Ross, il più pacato e razionale del trio, e ingollò un sorso di birra per nascondere il sorriso che gli stava nascendo sulle labbra.
Philip si sedette e, seguendo il detto “via il dente, via il dolore”, pose la fatidica domanda –Vi siete già liberati delle vostre dolci metà? Le mie illusioni sulla felicità coniugale vanno a farsi friggere!
–Mettici impanatura doppia- sbuffò Jared, giocherellando con la fede. Philip avvertì in lui una strana tensione.
–So che sei riservato per natura, Jared, ma… per caso ci sono guai in paradiso?
–Se avessi saputo che Callie avrebbe trascorso la maggior parte della giornata in quella libreria, l’avrei demolita! Ci sono giorni in cui ci incontriamo direttamente a letto, prima di dormire. Non siamo nemmeno andati in viaggio di nozze!
–Ti consiglio l’Australia, è stupenda!- trillò Dylan. –Rivolgiti a un’agenzia di viaggi, però, perché per mete del genere bisogna essere super assicurati per ogni evenienza. Posso passarti la brochure, se vuoi. Se penso che Lexi era fissata col tour delle capitali europee… fortuna che l’ho spuntata: ci siamo talmente divertiti che le settimane da due sono diventate tre, non volevamo tornare!
L’abbronzatura e il sorriso a trentadue denti che sfoggiava ne erano prove tangibili di quanto fosse stato piacevole il soggiorno e di quanto fosse profondo, nonostante si conoscessero da poco, il sentimento che lo legava alla neo-moglie, Alexandra (“il mio angelo biondo”, come amava definirla). Philip si ritrovò a sorridere inconsciamente al ricordo di un Dylan semi-ubriaco che blaterava del suo sogno di incontrare una bella bionda e partire con lei per l’Australia.
Aveva incontrato l’attuale Mrs. Jared White direttamente il giorno delle nozze, scambiandola per una delle damigelle. Le gaffe erano il suo pane quotidiano: non avrebbe mai dimenticato l’infelice “vestita così sembri più giovane” rivolto alla sua prima ragazza… di sedici anni; la sua incapacità di far vibrare le corde giuste della vanità di una donna era il principale motivo del suo scarso successo con l’altro sesso. Per sua fortuna, Calliope era una donna fortemente autoironica e ci aveva riso su, invitandolo addirittura a ballare con lei durante il ricevimento. Tra una giravolta e un piede pestato avevano parlato, scoprendo una passione in comune: i libri. Le aveva promesso di recarsi nella sua libreria, Austen&Company, ma troppi impegni si erano frapposti tra lui e questo buon proposito. Si rimproverò mentalmente e giurò a se stesso di rimediare il prima possibile.
–Onestamente, Dy, dal poco che conosco Callie, non me la immagino a fare rafting nella barriera corallina- ridacchiò, lieto che la conversazione avesse preso la piega desiderata: tra rimembranze delle rispettive feste di nozze e lamentele sulle difficoltà della vita quotidiana, non era ancora arrivato il suo turno, e la speranza era che la rimpatriata si concludesse prima, molto prima. –Il viaggio di nozze era utile un tempo, Jared: gli sposi, nella migliore delle ipotesi, non si conoscevano, gli serviva una settimana da soli per entrare in intimità, ma ormai la maggioranza delle coppie fa di tutto e di più prima delle nozze, perciò puoi tranquillamente riservare l’opzione fuga romantica a quando ce ne sarà veramente bisogno. Potresti scegliere una meta che metta d’accordo entrambi: sai che non credo nell’attrazione tra completi opposti, se l’hai sposata significa che avete dei punti in comune. Mia modesta opinione, eh!
Un paio di magnetici occhi color caramello lo scrutarono guardinghi, dandogli la sensazione di venire passato ai raggi X, esattamente come al loro primo incontro.
“La biblioteca era diventata la sua seconda casa, per colpa di Anatomia… peccato avesse un orario di chiusura.
Tornato in camera sua, si era steso sul letto in compagnia di appunti e atlante Netter, con una confezione di patatine fritte come sostentamento, dato che, nella foga dello studio, aveva dimenticato di cenare.
Stava soccombendo all’incapacità di memorizzare i diciannove muscoli dell’avambraccio (si era già arreso all’impossibilità di impararli in ordine di profondità e divisi per logge la notte prima dell’esame), quando, alle 11 p.m. in punto, aveva udito una specie di tonfo, che si era ripetuto due, tre, venti volte, prima di cessare. Stranito, aveva scrollato le spalle e aveva ripreso il ripasso, ma era stato ben presto costretto ad interromperlo da grida e musica a tutto volume provenienti dal piano superiore.
Imbestialito, aveva gettato gli appunti per aria e si era diretto verso la fonte della caciara. La porta chiusa non lo aveva scoraggiato, anzi: si era messo a urlare e prenderla a pugni, le mani che gli prudevano dal desiderio di cambiare i connotati al coglione che aveva organizzato una mega festa in pieno periodo d’esame.
–Ehi! Aprite, cazzo, o la sfondo!
Vuoi perché aveva gridato letteralmente a squarciagola, vuoi per il mistico potere delle imprecazioni, un ragazzo aveva fatto capolino e gli aveva chiesto chi fosse.
–Sono quello che ti ridurrà a brandelli, se non abbassi subito questa cazzo di musica!
Lo sconosciuto - la cui gestualità accentuata, unita alla pelle pallida e sudata e una chioma bionda sparata in tutte le direzioni, dava l’impressione di un cocainomane che aveva infilato le dita in una presa di corrente - aveva vuotato la sua birra come niente fosse e gliel’aveva messa in mano, prima di ridacchiare –Fammi capire: dovrei scontentare venti persone, compreso me, per accontentare uno che mi minaccia? Va’ a farti una dormita, amico!
Vedersi sbattere la porta in faccia aveva acceso la miccia che di lì a poco lo avrebbe fatto esplodere: lungi dal seguire il consiglio di quel “biondo malefico”, aveva continuato a colpire il duro legno, sbraitando i peggiori insulti.
–Secondo la costituzione ho diritto a un’arma, e giuro di comprarla per scaricarla su di te, se non apri! Apri, fottuto bastardo!
Il biondo di prima, stavolta con un bicchiere pieno di quello che, a giudicare dall’odore, era rhum, era riapparso sulla soglia e aveva sospirato –Nervosetto, eh? Una dormita ti aiuterebbe, dico sul serio!
–No!- aveva latrato Philip, strattonandolo per il colletto della (secondo lui) ridicola camicia a quadri che indossava. –Tu non capisci! Io. Ho. Bisogno. Di. Studiare. In. Pace! Domani ho un esame, cazzo! Quindi abbassa questa musica di merda, o farò una strage che il massacro alla Columbine, in confronto, impallidirà!
–Esame domani, eh? Si vede! Hai una faccia che… mamma mia!- aveva replicato il biondo, tranquillo e sereno. –Senza offesa, eh!
–Figurati se avessi voluto offendermi!
–Sai cosa ti serve, adesso? Del sano, rilassante cazzeggio. Dai, entra! Bevi una birretta, socializzi, ti svaghi…
–Sei fuori di testa?- aveva barrito Philip, sconcertato. –Ho un esame tra otto ore, non posso…
–Andarci in queste condizioni? Naturalmente no! Chi si presenterebbe a un esame con l’aria da schizofrenico in piena crisi?- aveva finito al suo posto il biondo (apparentemente) folle. –Dammi retta: quello che potevi fare l’hai fatto. Il cervello è saturo. Sa-tu-ro. L’unica cosa che puoi fare è spassartela. Avanti, entra!
Senza aggiungere altro, lo aveva tirato dentro l’appartamento affollato, gli aveva servito una birra fredda ed era sparito, lasciandolo da solo in mezzo a perfetti estranei. Dopo un fallimentare tentativo di conversazione con un tipo dai lineamenti duri e una naturale propensione alla misantropia, si era diretto dal pesce fuor d’acqua della serata.
–Scusa se ti disturbo, ma devo assolutamente saperlo: come riesci a leggere con questo casino? Tra parentesi: ottima scelta: anche a me piace molto “Il giovane Holden”.
–Meditazione zen- era stata la risposta. –Se hai la fortuna/sfortuna di avere Dylan, quello che sembra essere reduce da una folgorazione- “Oddio! Il biondo squinternato!” –Per coinquilino e vuoi sopravvivere…
–È così al naturale?- aveva esalato uno sconvolto Philip. –Non gli si scaricano mai le pile?
–Finora no, ma non dispero- aveva ridacchiato il ragazzo dai penetranti occhi color caramello. Lo aveva osservato a lungo, soppesando se valesse o meno la pena di dargli confidenza. Alla fine aveva deciso di sì. –Dio, che scemo! Mi chiamo Jared.
–Philip. Sto nell’appartamento qui sotto, ero venuto a supplicarvi di abbassare il volume della musica perché ho un esame domani e volevo studiare…
–Hai un esame domani, anzi, oggi? Incredibile!
–Pure tu?
–Oh, sì- aveva mormorato l’altro. –Infatti, quando ho scoperto che Dy aveva organizzato una festa proprio stasera, ho dato in escandescenze e minacciato di cambiargli i connotati, se dovesse andare male. Visto che siamo sulla stessa barca… tu lo tieni fermo e io lo picchio?
–No!
–“No”, nel senso “niente botte”? Sei un pacifista?
–“No”, nel senso… “tu lo tieni fermo e io lo picchio”!
–Lo picchiamo a turno, e affare fatto?- aveva proposto alla fine Jared, tendendogli la mano.
–Affare fatto- aveva risposto lui.
Per fortuna di Dylan e del suo bel faccino, entrambi, l’indomani, avevano passato i rispettivi esami.”
Emesso un lungo sospiro, Jared rispose –Il giudizio di Salomone. Saresti un ottimo diplomatico. Sì, probabilmente hai ragione: è inutile sprecare una vacanza romantica soltanto per seguire le consuetudini. Andremo in viaggio di nozze quando non ne potremo più di questa città!
–Cioè mai- interloquì Ross, si alzò e disse –Chi vuole un altro giro? Ordina quello che preferisci, Phil, offro io!
–Che fine hanno fatto le tue capacità manageriali?- lo irrisero gli altri due. –Con tutte le bevute che gli hai offerto, avresti potuto comprarti una villa negli Hamptons!
Ross scoppiò nella sua tipica risata rauca, simile a un latrato, gettando la testa all’indietro, e replicò –Finisco di saldare il mio debito: è grazie a Phil se ho trovato l’anima gemella.
–Allora non dovresti pagargli da bere… dovresti chiedergli i danni!- ironizzò Jared per provocarlo: sapeva che, nonostante nell’ultimo periodo avessero un po’ di alti e bassi, Ross era innamorato pazzo di sua moglie.
“–Sono felice che tu abbia deciso di studiare di nuovo con me, Phil- aveva detto a un tratto Rachel, spalmata sul divano.
–Scusa se sono stato distante, ho avuto dei casini e non mi andava di avere gente intorno- aveva bofonchiato, nascondendosi dietro il tomo di fisiologia. All’inizio non aveva notato Rachel - sebbene la voluminosa chioma castana in “stile tata Francesca” fosse piuttosto appariscente - a causa della sua timidezza: a lezione parlava soltanto con una sua amica e non alzava mai la mano, limitandosi a scrivere convulsamente sul bloc notes. Durante la prova pratica di anatomia, però, si erano trovati in coppia, dando il via ad un fruttuoso sodalizio di studio, interrotto dalla sua codardia: aveva creduto a una voce di corridoio, secondo la quale Rachel aveva una colossale cotta per lui; non volendo alimentare le illusioni della ragazza, aveva a malincuore tagliato di netto i ponti con lei. Aveva riallacciato i rapporti nel momento esatto in cui aveva realizzato quanto fosse stato stupido.
–Tranquillo, è acqua passata- gli aveva assicurato, arricciando il naso all’insù mentre si concentrava su una delicata operazione: aggiustare la fascia che tratteneva la massa dei capelli. Philip l’aveva vista al naturale, dopo lo shampoo, ed era rimasto sconvolto: sembrava avesse in testa un barboncino di grossa taglia. –Allora, questo ciclo cardiaco?
Aveva appena aperto bocca per mostrare la sua vasta conoscenza in materia, quando un rumore ormai familiare lo aveva messo a tacere.
–Sono già le undici?
–Indovinato- aveva trillato Rachel. –Cos’hai, l’orologio biologico? E cos’era quel rumore?
–Lo scoprirai tra tre… due… uno…- l’intro di “We won’t get fooled again”, a volume talmente elevato da far tremare le pareti, echeggiò per l’edificio. –Credimi, a questo punto studiare diventa impossibile. Che ne diresti di unirci ai festaioli?
Dylan aveva esaminato Rachel da capo a piedi, prima di commentare –Adoro i tuoi capelli! Hai buon gusto, Phil, è molto carina la tua ragazza!
–Cosa? No, io… lei… noi…
–Noi studiamo e basta- aveva pigolato Rachel, rossa in volto.
–Scommetto che studiate anatomia, eh, ragazzacci? Ehi, sai che ho l’impressione di averti già vista da qualche parte?
–È la più patetica tecnica di abbordaggio mai sentita, Dy. Oltretutto non sta funzionando: l’hai terrorizzata, guarda!- aveva ringhiato una voce profonda e leggermente roca. Con enorme stupore di tutti, a parlare era stato Ross. Presentati se stesso e i suoi amici a una spaventata Rachel (la quale, a differenza di Philip, non era avvezza all’esuberanza di Dylan), le aveva offerto da bere.
–No, grazie. Io… sono astemia- aveva sussurrato flebilmente, aspettandosi di venire derisa, come facevano le sue coinquiline. Aveva sorriso radiosa quando Ross l’aveva informata che il frigo era fornito di bevande analcoliche e le aveva mostrato la cucina.
Pervaso da spirito pettegolo, il trio di spie si era appostato nella posizione ideale per ascoltarli senza essere visti.
–Non ci credo!- aveva bisbigliato Philip, strabuzzando gli occhi. –Ross parla!
–E tanto, anche!- aveva rincarato Jared, che lo conosceva da mesi, eppure si scambiavano poco più di “buongiorno” e “buonasera”.
–È un miracolo!- aveva chiocciato Dylan, per una volta senza parole.
–Lo asserisco con voi testimoni: se si sposano, Ross mi deve cento bevute!”
–E con questa siamo a cento. Dalla prossima volta niente più alcolici a sbafo. Ok, ora che abbiamo una birra ciascuno- esordì Ross, passandosi una mano sul viso. –Pagata da me, vi faccio notare… possiamo torchiare il qui presente dottor Philip Gage.
–Mozione approvata!- esclamò Jared.
–Guardate che faccia! Credeva di darcela a bere con la sua cortina di fumo. Ti conosciamo troppo bene: mandi avanti gli altri per evitare di esporti. Con noi non attacca. Qual è il problema? O meglio: chi è il problema?
–Niente! Nessuno! State montando castelli in aria!
–Nervosetto, eh? Segno che stiamo andando nella direzione giusta. Martelliamolo di domande finché non cede!
–No, vi prego!- implorò Philip, tappandosi le orecchie. –Quando Dy attacca a parlare a macchinetta è insopportabile! Lei si chiama Sarah ed è semplicemente stupenda, ma off limits.
–Amore deontologicamente scorretto? È una paziente?
–La figlia di una, ehm, ex paziente.
–Come mai ex?
–Perché è morta.
–Ora capisco: è fuori dalla tua portata perché hai accoppato sua madre!- ciarlò Dylan, inopportuno come pochi.
–Non ho accoppato nessuno! Sono state svolte delle indagini, il cui esito mi scagiona completamente!- sbraitò furibondo il medico. –Solo… lei non pare concordare; al funerale mi ha praticamente cacciato!
–E ti piace ancora? Nonostante tutto?- chiese Jared, parecchio sorpreso. –Dev’essere speciale!
–Uff! Ecco una sua foto, malfidati. Come potete vedere, è spettacolare.
Tre voci all’unisono scandirono la medesima frase: –È bionda.
–Beh, sì. Perché?
–Hai sempre detto che le bionde sono buone solamente orizzontali! Ricordo ancora certe battute, tipo quella sulla bionda che non riusciva a preparare un uovo sodo al fidanzato perché non trovava il ricettario, oppure quella sulla bionda morta annegata perché aveva visto uno specchio sul fondo della piscina…
–Il karma agisce attraverso vie misteriose- sospirò Philip, strappando di mano a Dylan il cellulare.
–E molto, molto bionde- scherzò Ross. –Sfottò a parte, qual è esattamente il problema? Ti ha accusato di aver ucciso sua madre? Di esser stato negligente? Cosa?
–Beh… in realtà no- ammise, cominciando a porsi il dubbio se non si fosse rovinato da solo con le sue paranoie. Forse esisteva ancora una tenue speranza. –Mi ha fulminato con lo sguardo e si è allontanata.
–Senza spiegazioni? Niente di niente?- intervenne Jared. –Allora non resta che un’opzione: estorcergliele. Vai da lei quando è più vulnerabile e obbligala alla sincerità.
–Sì! Sbattila contro il muro e chiedile se pensa che tu abbia spedito al camposanto sua madre!
–Piantala, Dylan! Phil non ha ammazzato nessuno!
–Mi avete convinto- asserì Philip, agitando i pugni. –Domattina…
–Domattina? Domattina? Chi dorme non piglia donne!- lo redarguì Jared. –Non si conquista la donna della propria vita standosene con le mani in mano ad aspettare che apra gli occhi su chi è il suo personale Mr. Darcy!
–Ma è esattamente quello che hai fatto con Callie, Jared!- osservò Ross.
–Beh, il suo caso è diverso- soffiò, seccato. –Andrai da lei stanotte: sarà troppo morta di sonno per resisterti!
–Stanotte? Sono più di quattro ore in auto! E ho, ehm, alzato il gomito.
–Quando mai ti ha fermato una quisquilia del genere? Quando volli fare una visita a sorpresa a Vera, quella della storia a distanza… quella che mi ha, ehm, tradito… guidasti da sbronzo fino al Missouri!- obiettò Dylan. –La prima volta che ti ho visto ti ho suggerito di fare una dormita; beh, stavolta ti suggerisco di darti una svegliata e tornare a Boston di corsa! Ai tuoi puoi rifilare la scusa del lavoro, funziona sempre.
–Siete seri?
–Mai stati più seri in vita nostra. Vai e colpisci!

 
***

Si sforzò di mantenere la calma, umettandosi le labbra a intervalli regolari sia perché aveva la bocca secca, sia per non concentrarsi sulla tachicardia o la tachipnea. E lui con Sarah doveva soltanto parlare! I suoi amici, allora, quando avevano fatto la proposta per antonomasia alle loro mogli, dovevano essere stati sull’orlo dello svenimento!
La porta si aprì e rimase a bocca aperta: l’amore doveva avergli tolto qualche diottria, o alterato la corteccia visiva, perché non era possibile essere così inesorabilmente attratti da una donna infagottata in un pigiamone di pile, con un nido in testa e un filo di saliva seccata lungo la guancia; indipendentemente dalla sua avvenenza, non era certo un bello spettacolo. Notò che strizzava spesso gli occhi, come se faticasse a metterlo a fuoco, e intuì che, perlomeno quando usciva, usava lenti a contatto.
–Ciao, bionda.
Fu tutto ciò che riuscì a dirle (e al diavolo il bel discorso che aveva preparato in macchina).

Note dell’autrice:
Innanzitutto squillino le trombe e suonino i tamburi: tutti i grazie del mondo a Calliope S, che ha acconsentito a prestarmi di nuovo i suoi personaggi (leggete Quando meno te l'aspetti per saperne di più su Jared, Dylan e Ross) e ha creato il favoloso banner che potete ammirare all’inizio del capitolo. Sono drogata delle sue storie e aver potuto far incontrare le nostre “creature” mi onora immensamente! :-*
Ora che avete conosciuto meglio il fulvo dottorino e i retroscena della visita notturna a Sarah, avete cambiato idea su di lui, oppure no? Let me know!
Anticipazioni: il prossimo extra sarà dedicato a una delle sorelle Carr. Quale, lo lascio alla vostra immaginazione, altrimenti non ci sarebbe gusto! ;-)
Alla prossima!
Serpentina
Ps: il massacro alla Columbine è un evento realmente accaduto, purtroppo. Due studenti si introdussero armati nell'edificio scolastico e aprirono il fuoco su compagni e insegnanti.

 
 

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Capitolo 2
*** I dolori della giovane Carr ***


Dopo un tuffo nella vita di Phil, si torna sul trampolino: stavolta tocca a una delle sorelle Carr. Quale, lo potete capire dal primo rigo. Enjoy!
 

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I dolori della giovane Carr

A prima vista, Marion incarnava lo stereotipo della ragazza americana: sana, snella, bella da togliere il fiato, ma non troppo appariscente, sorridente e affabile. Albert non si era affatto sorpreso di scoprire che, dalle medie al liceo, era stata una cheerleader, addirittura capitano della squadra per tre anni consecutivi, nonché reginetta del ballo scolastico e della parata del 4 luglio: era in linea con il personaggio. Se fosse stata solamente questo, però, l’avrebbe degnata di due occhiate e le avrebbe regalato qualche orgasmo, per poi scaricarla senza rimpianti; ma Marion - lo sospettava dal loro primo incontro - nascondeva un mondo dietro quegli ammalianti occhi di giada, e non vedeva l’ora di esplorarlo, anche se significava trattenere la voglia di baciarla e farla sua sui sedili posteriori della Mustang, e per questo finire con lo sfogare i “bassi istinti” nel chiuso della sua stanza (divenendo bersaglio della lingua biforcuta di Carrie).
Ancora si domandava cosa avesse visto in lui Jodie per ritenerlo all’altezza di sua sorella.
“–Dai balliamo!- aveva esclamato Jodie, e, sebbene un po’ riluttante, aveva accettato l’invito, seguendola sulla pista affollata del Lizard Lounge. Era convinto che il suo scopo fosse esclusivamente ingelosire Ewan, nella speranza che gli cadesse il prosciutto da sopra gli occhi e capisse di non aver bisogno di continuare la sua assurda ricerca della donna perfetta (a giudicare dall’espressione livida del botanico, aveva avuto un certo successo); invece lo aveva preso per mano e aveva danzato, scatenata e felice.
Siccome lealtà era il suo secondo nome, e onestà il terzo, quando la procace amica di Ewan gli aveva gettato le braccia al collo, l’aveva allontanata imbarazzato.
–Senti, sei molto carina e pure simpatica, ma un po’… ecco… fuori misura per me. Non che discrimini le donne grasse… e non che tu sia grassa… però non sei neanche magra, e io sono abituato alle ultra-gnocche… oddio, gnocchetta lo sei, però…
Si aspettava una replica al vetriolo, un ceffone o peggio; ricevette in cambio una sonora risata, seguita dall’ilare –Il mio istinto ha fatto di nuovo centro! Sei perfetto per lei!
–Lei?
–Mia sorella- aveva spiegato Jodie, mentre ondeggiava sul posto. –È straordinaria, ma, come la maggior parte delle donne, spesso se ne dimentica. Ha avuto qualche problemino con gli uomini, ed… ecco… vorrei che mi aiutassi ad aiutarla a ritrovare l’autostima perduta. È un tipo piuttosto chiuso - non fraintendermi, è solare e spigliata, ma, sai, le delusioni ti segnano, e ti portano a rintanarti dentro una corazza - e credo che una persona estroversa come te possa darle lo scossone che le serve.
–Ho due domande- aveva risposto Albert, perplesso. –Come? E perché?
–A cosa mi servi e per quale ragione dovresti farlo, intendi?- aveva ribattuto prontamente. –Stessa risposta per entrambe le domande: ti sto offrendo un appuntamento con una donna meravigliosa. Non ti pare una ricompensa sufficiente?
–Forse- aveva replicato. –Il fatto è che ho conosciuto una persona, e, anche se l’ho incrociata due volte soltanto, sento che potrebbe essere quella giusta per, ecco… mettermi il cappio al collo. Impegnarmi.
Jodie aveva sciolto la presa e lo aveva osservato lungamente, le sopracciglia sollevate quasi al punto di confondersi con l’attaccatura dei capelli, infine aveva ridacchiato –Chi l’avrebbe mai detto? L’amico dongiovanni di Ewan è un romanticone!
–Chi mi considera un bastardo che gioca con i sentimenti degli altri non mi conosce- aveva asserito Albert, serio come poche volte in vita sua. –Sono sempre stato corretto; se qualcuna ha voluto illudersi, problema suo. Smetterò di fuggire dalle relazioni serie quando troverò la persona capace di non farmi pensare a cosa sto rinunciando, a quante altre potrei avere. Fino a quel momento…
–Non mi perdonerei mai se intralciassi la tua ricerca del vero amore- aveva cinguettato amabilmente Jodie, sfarfallando le ciglia. –Infatti i miei desideri si limitano a ficcare in quella zucca di marmo che non può ridursi all’ombra di se stessa per un misero uomo, che è attraente e merita di rifarsi una vita. Non ti sto suggerendo di portartela a letto, vorrei solamente che tu la…
–Facessi sentire importante?- aveva concluso Albert, improvvisamente allettato dal compito; soccorrere una donzella depressa forse avrebbe ripulito (almeno in parte) il suo karma. –Le ricordassi che è una regina e come tale merita di essere trattata?
–Esatto. Credi di poterlo fare?
–Sì.”
Quando aveva realizzato che la sorella di Jodie e la probabile donna dei suoi sogni erano la stessa persona, aveva faticato a credere di poter essere tanto fortunato: il caso, il destino, o chi per esso, gli aveva concesso un’occasione che non avrebbe sprecato.
L’incontro (sarebbe più corretto dire “lo scontro”) con l’ex marito di lei aveva sortito l’effetto opposto al previsto, accendendo il suo spirito combattivo: si era mescolato agli studenti, poi, al termine della lezione, l’aveva avvicinato, rivolgendogli velate minacce di lesioni personali se non avesse lasciato perdere la sua ex moglie; la sua risposta, dopo aver racimolato la calma necessaria a non pestarlo a sangue, era stata un glaciale “Se fossi intelligente non staresti qui a minacciarmi, penseresti a come diventare un uomo che possa meritarla. Sparisci, o ti riduco alle dimensioni di un neutrino”. Non aveva detto niente al riguardo, fingendo fosse stata Jodie a rivelargli l’esistenza di un ex marito e, forse perché non le aveva fatto pressioni, forse perché aveva bisogno di sfogarsi, Marion aveva iniziato ad abbattere i suoi muri di difesa, definitivamente crollati durante il loro ultimo appuntamento.
“–Correggimi se sbaglio: hai ventinove anni.
–Non ti hanno insegnato che non si chiede l’età a una signora?
–Non hai spento abbastanza candeline da poterti offendere, spiacente. Ripeto: hai ventinove anni.
–Te l’ha detto Jo?
–Lo prenderò per un sì. Quindi hai ventinove anni e il tuo ex marito ti ha piantata per una più giovane.
–Sì.
–Ah-ah. E questa nuova fidanzata dove l’ha pescata, all’asilo? E’ un pedofilo?”
Contro ogni pronostico, aveva fatto appena in tempo a finire la frase prima che le labbra di Marion si posassero sulle sue. Incredulo, aveva aperto gli occhi per assicurarsi di non stare sognando. Quel bacio lo aveva sorpreso sia perché non previsto, sia perché diverso da come lo aveva immaginato: era convinto che Marion fosse una pantera travestita da gattina, che lo avrebbe lasciato letteralmente senza fiato, invece era stata delicata, quasi metodica; gli era sembrato che avesse paura di sbagliare, come se si fosse trattato del primo bacio, ma aveva scacciato quel pensiero: le donne come lei non si limitano a un uomo soltanto. Scacciò anche quel pensiero: la gelosia era una sensazione nuova per lui, ma non per questo non sapeva riconoscerla; figurarsi nella mente i vari Mr. X che avevano avuto, prima di lui, il privilegio di ammirarla, assaporarla, toccarla gli dava la nausea, ma, allo stesso tempo, alimentava ulteriormente la sua determinazione: non gli importava se Marion era stata con uno, dieci o cento uomini… l’importante era che l’ultimo fosse lui.

 
***

Aveva perso il conto degli appuntamenti con Albert, ormai erano diventati una costante, nella sua vita; l’aveva perfino baciato! Non avrebbe dovuto sentirsi nervosa, invece tremava, e non per il freddo.
Il problema era nato proprio da quel bacio: nulla più di un atto impulsivo, però temeva che potesse farsi strane idee e considerarlo un trampolino di lancio per “quello”, qualcosa che non era ancora sicura di volergli concedere.
Negare di essere attratta da lui sarebbe stato ipocrita, ma non avrebbe mai fatto sesso con qualcuno soltanto perché dotato di un involucro gradevole. Validissima ragione, peccato che Albert l’avesse smentita: lo aveva etichettato come “dongiovanni dei poveri, figo quanto tronfio” (un po’ tronfio lo era), certa di non trovare niente oltre un corpo da copertina; invece, con suo enorme stupore, scartato (in senso figurato) il gradevole involucro aveva trovato una piacevole sorpresa: un uomo affascinante, spiritoso, interessante. Come resistere?
Se al suo posto ci fosse stata Jodie, molto probabilmente non si sarebbe posta il problema e ci avrebbe provato subito con lui. In effetti, si era chiesta cosa in lei potesse attrarre un uomo come Albert, che reputava più affine a sua sorella: entrambi erano fascinosi, estroversi, sicuri di sé… “fisici”.
Certo, a differenza di Jodie, lei non aveva sofferto per le prese in giro e il bullismo, né si era dovuta confrontare con un riflesso esteticamente deludente, né si era mai sentita suggerire di ricorrere alla chirurgia estetica, però, paradossalmente, tra le due era quella che si era goduta meno la vita. I loro genitori erano sempre stati convinti che fosse lei - la bellissima reginetta del liceo, capitano delle cheerleader - la figlia da tenere d’occhio affinché non cadesse in tentazione e si lasciasse travolgere dal vizio, sotto forma di consumo illegale di alcolici e rapporti sessuali pre-matrimoniali con qualche jock con più ormoni che neuroni. Jodie, la nerd bruttina e apparentemente insignificante, era rimasta nell’ombra, finendo sotto i riflettori soltanto quando vinceva il primo premio alla fiera delle scienze. Niente di più sbagliato: approfittando del ruolo di primogenita negletta, la cosiddetta nerd insignificante si era data alla pazza gioia, o meglio, a tutta la popolazione maschile della Sandpoint High School, forte del fatto che non sarebbe mai trapelato. Quale teenager sano di mente, con un minimo di reputazione da proteggere, avrebbe confessato di essere andato con la paria sociale della scuola?
Al contrario, la cheerleader figa e popolare, il sogno di ogni ragazzo del liceo, aveva attraversato indenne gli anni dell’adolescenza e aveva perso la verginità a ventidue anni; un’esperienza disastrosa, tanto da indurla a “chiudere bottega” fino all’incontro con Jorge, che le aveva fatto scoprire i piaceri della carne e la veridicità del detto “una volta basta e avanza”: nove mesi dopo aveva dato alla luce Manuel.
Avvertiva, sempre più prepotente, la pulsione di saltare addosso ad Albert e realizzare il suo sogno erotico di fare sesso in una Mustang, però la pressoché nulla esperienza la frenava: un playboy come lui si sarebbe accorto immediatamente che era inesperta e imbranata; che figura avrebbe fatto? Già lo immaginava a sparlare di lei con i suoi amici. “Una verginella avrebbe saputo fare di meglio”, “Mi aspettavo di scopare con una viva, ma quella non muoveva un muscolo! Ho dovuto fare tutto io!” e simili discorsi “da bar”.
–Ehi, stai bene?
–I-Io… s-sì. Tranquillo.
–Sicura? Sei pallida, stai tremando- esalò lui, scrutandola preoccupato. –Aspetta, alzo il riscaldamento dell’auto.
–Non è necessario- pigolò lei, stringendosi nel cappotto. –L’abitacolo è caldo, sono io che non sto bene. Riportami a casa e basta.
–Un vero peccato- rispose il fisico con un ghignetto compiaciuto –Ho prenotato un tavolo al Top of the Hub.
–Al Top of the Hub?- esclamò Marion, improvvisamente di nuovo allegra. –Davvero?
Adorava lo strepitoso locale in cima al più alto grattacielo di Boylston Street, dal quale si poteva godere di un’incomparabile vista panoramica sulla città (che da sola valeva il costo dell’ingresso e il fastidio dei controlli all’entrata). Naturalmente non l’avrebbe rivelato neanche sotto tortura, ma aveva ricevuto lì la proposta da Jorge e, sebbene il loro matrimonio fosse andato a rotoli, conservava comunque quel ricordo tra i più belli: il tavolino rotondo nell’angolo, l’illuminazione soffusa dei piccoli lampadari bianchi a barchetta, la veduta della città, ammantata dalla mescolanza di tenebre e luci artificiali… un’atmosfera veramente romantica (“Da carie ai denti”, era stato il commento acido di Jodie).
–Solo il meglio per te. Ma se non ti senti bene…- sussurrò Albert, prima di baciarle una mano. –Sei stupenda quando arrossisci. Al giorno d’oggi è merce rarissima; un vero peccato… la sensualità innocente trasmessa da due guance rosse è molto eccitante.
Marion divenne ancor più rossa e boccheggiò: si sentiva ridicola a provare certe sensazioni, ma la presenza di Albert le toglieva l’aria. Dopo una breve riflessione, decise di tenergli compagnia a cena, però fu tesa all’inverosimile per l’intera durata del pasto, ricambiando le sue occhiate perplesse con altre di scuse. Le dispiaceva rovinargli la serata, ma aveva avvertito una certa tensione, in macchina, quando lo aveva salutato con un bacio e ogniqualvolta si erano sfiorati, e il monito dell’amata quanto odiata sorella (“Dagliela. Che ti frega di cosa penserà di te? Non sei innamorata di lui, è un semplice specchietto per quell’allocco del tuo EX marito. Giusto? Un mezzo per sbattergli in faccia che uomini ben più giovani e sexy di lui raccoglierebbero volentieri quello che ha gettato via. Lasciati andare, per una volta!”), non aiutava.
“Calma, Marion, respira. Non vorrai diventare cianotica davanti a lui! Ti prenderebbe per pazza! Cosa che con ogni probabilità sei, ma evitiamo di fugare il dubbio, eh? Ti stai fasciando la testa senza nemmeno essere caduta! Respira e goditi la serata. Che poi, anche se volesse portarmi a letto, non ci sarebbe niente di male. Anzi, dovrei essere lusingata che lui voglia me, dovrei… seguire il consiglio di Jo? Santo cielo, sulla soglia dei trenta sono ancora dipendente da mia sorella! Ma le uniche volte in cui ho fatto di testa mia, senza darle retta, ho sbagliato! Perché Jo deve avere sempre ragione? Dio, quanto la odio! Le voglio bene, ma la odio, perché, anche se la favorita da madre natura sono io, è lei quella coraggiosa, carismatica, che se la cava in ogni occasione e non ha paura di buttarsi nell’ignoto. Se fosse al mio posto, gli avrebbe quasi certamente proposto di saltare direttamente al dessert, magari a casa sua. Perché non riesco ad emularla almeno in questo?”
–Andiamo?
Riportata alla realtà dalla domanda, abbassò lo sguardo sul tavolo. Cena terminata? E pagata? Non rammentava di aver consumato del cibo. Annuì, dandosi della stupida.
–Grazie per la cena. Era ottima.
–Come può esserti piaciuta, se l’hai soltanto ingerita? Eri talmente persa nei tuoi pensieri da non prestare attenzione a nulla che ti circondasse. Mi ha sorpreso che sia riuscita a mangiare tre portate senza sbrodolarti, sembravi essere su un altro pianeta!
Il suo tono non trasmetteva rabbia, bensì una freddezza che la ferì.
–Scusami, ero sovrappensiero.
–Sovrappensiero- ripeté lui, serrando la presa sul volante. –Carino da parte tua pensare al tuo ex marito mentre sei con me.
–Non dire stronzate- sbuffò Marion.
–E tu riconoscimi un minimo di intelligenza!- sbraitò il fisico. –Non sopporto di  essere trattato da bel faccino!
–È bello pure il resto, cre…
–Silenzio!- ruggì. –Mi credi tanto stupido? Credi che non abbia capito che esci con me per ingelosire il tuo ex?
Una coltellata avrebbe fatto meno male. Tenne lo sguardo fisso sulla borsetta ed esalò –È così importante?
–Secondo te?- rispose Albert. –Una possibilità. Una. Non chiedevo altro. Volevo provarti che posso essere migliore di come appaio, ma se sei ancora innamorata di lui non c’è partita. Possiamo calare il sipario su questa farsa- accostò e spense il motore. –Scendi.

 
***

Marion lo aveva preso alla sprovvista, negandogli il tempo di reazione: solo quando avvertì forte il suo profumo e il suo sapore in  bocca si accorse che era ancora lì, e gli stava dimostrando con i fatti ciò che non riusciva ad esprimere a parole.
Si fecero strada, incollati per le labbra, nel trilocale che divideva con Carrie, inciampando un paio di volte nei mobili. Divertiti, più che contrariati, da quei ridicoli incidenti, raggiunsero tra le risate il letto. Il resto si può facilmente immaginare.
Quello che non potevano immaginare, era che una telefonata improvvisa avrebbe turbato il loro tubare.
–Lascialo squillare- mormorò lei; già che, per citare Jodie, si era lasciata andare, voleva spassarsela alla grande.
Sebbene i baci e le carezze di Marion rendessero fortissima la tentazione di escludersi dal mondo per una notte e fare l’amore ancora, e ancora, e ancora, quel po’ di lucidità rimastagli vinse.
–Chi romperebbe le scatole a quest’ora senza un buon motivo?- estrasse dalla giacca il cellulare e sospirò –Pronto? Sì, sono io. Mitzi? Oh. Ok. Arrivo subito.
Si rivestì in fretta e furia, ignorando Marion, la cui irritazione cresceva di secondo in secondo, fino a raggiungere il punto di rottura.
–Vai, vai! Corri dalla tua Mitzi!
–Cos… sei gelosa?
–Chi, io? Assolutamente no!- ringhiò lei, incurante che, gesticolando, aveva lasciato cadere il lenzuolo, restando completamente nuda fino alla vita. –Sono incazzata nera! Con te, lurido scopatore seriale- Albert trattenne a stento un risolino: era stato definito in molti modi, la maggior parte dei quali offensivi, ma “scopatore seriale” era una novità –E con me, che sono caduta nella tua rete!
Col sorriso che gli si allargava sul volto contro la sua volontà, allacciò le scarpe, ma l’iroso –Mitzi. Che nome da puttana! Spero gli svuoti il portafoglio!- sibilato a denti stretti cambiò radicalmente il suo umore; strinse le labbra fino a farle sbiancare e lanciò a Marion i suoi abiti.
–Ehi! Sei impazzito?
–Vestiti alla svelta. Verrai con me.
Dopo una folla corsa si ritrovarono al capezzale di Mitzi, vivace e sorridente nonostante le sue condizioni.
–Ora che sei qui, e mi hanno fatto l’epidurale, mi sento molto meglio. Mi dispiace condannarti a una notte insonne, ma Ivan, Addie e Carrie hanno il telefono staccato.
–Ci sono io con te, tranquilla. Marion, ti presento Mitzi… mia sorella. Mitzi, Marion.
Quella Marion?- trillò la donna, prima di sussultare per il dolore dell’ennesima contrazione. –Carrie mi ha detto tutto di te… tutto quello che è riuscita ad origliare. Naturalmente, non ho creduto a una parola: mia sorella è una terribile malalingua! E’ un vero piacere conoscerti. Avrei preferito avvenisse in circostanze migliori, ma presumo che il super macho abbia bisogno del tuo supporto morale. Ooh, chiudi la bocca, Al, non sei un merluzzo!
–Non sembri una partoriente, Mitzi- commentò Albert. –Piuttosto, la conduttrice di un talk show.
–È la tua idea di complimento?- chiesero in coro le altre due.
–In teoria, sì. Uff! Ho bisogno di solidarietà maschile: dov’è il mio cognato inetto?
–Oliver non è inetto!- latrò Mitzi. –È… sensibile. Ho tentato di dissuaderlo dall’assistere al parto, ma non ha voluto saperne!
–D’accordo: dov’è il mio sensibile cognato?
–È svenuto, picchiando la testa contro lo spigolo del comodino. L’hanno portato via per medicarlo, perdeva sangue!
Marion camuffò da colpo di tosse la risatina sfuggita al suo controllo, dopodiché si prodigò ad alleviare le sofferenze di Mitzi, ripensando alla nascita dei suoi figli: la prima volta erano stati al suo fianco sua madre, Jorge e Jodie, i quali si erano beccati finché non era scoppiata a piangere, implorandoli di smettere; la seconda, invece, c’era soltanto sua sorella accanto a lei. Suo marito era irreperibile. Si era chiesta spesso dove si fosse cacciato, ma preferiva non saperlo.
–Se non avete intenzione di rendervi utili, uscite. Altrimenti indossate camice e guanti e seguitemi- intervenne l’ostetrica, indicando la porta.
Anche se Albert non avesse tradito il nervosismo attraverso il pallore cutaneo e l’ossessivo grattarsi il dorso delle mani, Marion avrebbe riconosciuto comunque il terrore nei suoi occhi. Gli si avvicinò e asserì, nel tono professionale che di norma riservava ai parenti dei suoi piccoli pazienti – In sala parto non c’è spazio per i pesi morti, perciò fatti un esame di coscienza: se pensi di non farcela, dillo, andrò io- “Ho partorito due volte, l’esperienza non mi manca” –Sono un’infermiera, non mi spavento per qualche imprecazione e un po’ di sangue.
La muta supplica di Mitzi convinse definitivamente Albert.
–Posso farcela- rispose, stringendole la mano. Grosso errore: per poco non gli fratturò il metacarpo!

 
***

L’attesa fu estenuante, e, senza rendersene conto, Marion scivolò lentamente tra le braccia di Morfeo. Stava ronfando beata, quando dei leggeri colpetti al braccio la destarono dal sonno. Seccata, stropicciò le palpebre, si stiracchiò e sbadigliò, avvampando appena si accorse che dietro Albert c’era uno sconosciuto. Notò una benda sulla tempia sinistra e dedusse che si trattava del sensibile marito di Mitzi.
–Il mio adorato cognato si è ripreso in tempo per vedere suo figlio lavato e profumato insieme alla mamma- sghignazzò il fisico, dandogli uno scappellotto. –Come va la testa, Ollie?
–Meglio. L’emozione gioca brutti scherzi. Mi ero ripromesso di resistere, invece sono crollato a terra come una pera cotta! Fa niente: è il primo, mi rifarò la prossima volta.
–Mia sorella ha minacciato di evirarti e maledetto ripetutamente il tuo pene. Dubito ci sarà una prossima volta- ridacchiò Albert.
–Devo congratularmi per un maschietto o una femminuccia?- si intromise Marion, per salvare dall’imbarazzo il povero Oliver.
–Non vi muovete- ordinò il neo-papà, di ritorno dopo alcuni minuti con un fagottino azzurro. –Appena nato ed è già il cocco di mamma. Mitzi non voleva separarsene, ma le ho ricordato che il cordone ombelicale ormai è stato tagliato. Vuoi tenerlo?
Albert scosse il capo: non ci sapeva fare coi poppanti, aveva troppa paura di farli cadere, o piangere, o di sporcarsi con qualche improvviso rilascio di liquidi biologici. Marion alzò gli occhi al cielo, prese il neonato e lo sistemò tra le sue braccia.
–È normale che sia così tranquillo?
–A patto che respiri e si muova ogni tanto- rispose, carezzando con l’indice una guancia paffuta e vellutata del piccolo. –È bellissimo.
–Tutti i bambini appena nati sono belli! Poi crescono e si guastano!- sbottò Albert.
Oliver sbuffò una risatina e replicò –Allora dobbiamo sperare che abbia preso qualcosa da te… oltre al nome.
Esterrefatto, Albert spostò lo sguardo dal cognato al nipotino, infine trillò, pavoneggiandosi –Lo avete chiamato come me? Albert… junior? Ottima scelta! In effetti, scorgo una certa somiglianza. Hai la figaggine nel sangue, nipote! Ti insegnerò a farne buon uso quando sarai grande.
–Dio ce ne scampi!- esclamò Oliver. –Ehm, c-cioè, v-voglio dire… grandioso! È magnifico vedervi già così uniti- si riappropriò del bimbo e chiocciò, cullandolo teneramente –Ora di tornare dalla mamma, Al!
Dopo aver recuperato il tempo perduto pomiciando come adolescenti, e dopo aver rifiutato l’invito a fermarsi da lui per la notte (quel poco che ne restava), Marion rimbeccò Albert.
–Non atteggiarti a galletto: hai preso in giro quel poverino, quando sei stato lì lì per fare la stessa fine! Non negare, ti ho visto.
–Ammetto che è stata un’esperienza traumatica, che spero di non ripetere, ma non sarei svenuto: Mitzi aveva bisogno di me, non potevo abbandonarla.
Marion lo baciò sulla guancia e pigolò –Sei un bravo fratello… e scommetto che saresti un bravo papà.
–Nemmeno per sogno! Anzi, neanche nei miei peggiori incubi!- sputò, schifato. –Per carità! È stato emozionante tenere in braccio Junior, però… no. Non ardo d’istinto paterno come quel pappamolla di Ollie. Al suo posto, sarei scappato a gambe levate, altro che pensare già al secondo! Consiglia a Jodie di fare una ricerca al riguardo, perché metterei la mano sul fuoco che qualcosa nel testosterone rende noi maschi allergici alle responsabilità. C’è chi lo maschera meglio, chi peggio, ma è la realtà. Solo a nominarle viene l’orticaria, guarda!
–Non essere sciocco!- lo redarguì Marion. –La pelle si è arrossata perché ti sei grattato. Smettila, o ti procurerai danni seri: le lesioni da grattamento si infettano molto facilmente.
–Agli ordini, infermiera! Posso confessarti una cosa?
–Non siamo in chiesa e io non sono un prete- soffiò, gelida, cominciando a temere dove li avrebbe portati quel discorso.
–Oh, no! Adesso ho in testa l’immagine di un prete a letto con me, col tuo intimo addosso! Che schifo!
–Hai un’immaginazione disgustosamente fervida, Albert.
–Spero che non mi giudicherai male: ho il difetto di essere sincero, anche quando non è opportuno. Di solito più tengo a qualcuno, più sono franco, ma… sono stato ipocrita con te, Marion: ho deriso il tuo ex marito, quando sono come lui. Solo ragazze giovani, per me. Maggiorenni, certo, però… sei la prima over venticinque con cui esco da dieci anni a questa parte.
–Oh. Ok. Dovrei, uhm, sentirmi onorata per averti convertito dall’asilo all’ospizio?
–Un po’ sì- scherzò lui. –Se rinuncio senza rimpianti alle matricole con gli ormoni a palla, significa che sei speciale.
–Ti avverto: stai cadendo dalla padella nella brace.
–Oh, andiamo, non vorrai bruciarmi sul rogo!- si difese il fisico, ignaro, così facendo, di stare firmando la sua condanna. –La verità è che ho sempre evitato come la peste di impegnarmi… fino ad ora. Le le donne della tua, ehm, nostra età o pianificano il futuro di entrambi e ti puntano la pistola alla tempia per procreare, oppure hanno già figliato e cercano un aiuto per tirare su i marmocchi. Eppure, stranamente, con te non ho paura. Sento che non avrò di questi problemi.
–No, non ne avrai.

 
***

–Sono andata a letto con Albert.
–Cosa?- Jodie per poco non si sporcò di latte, rovesciando la tazza.
–Adesso lo sai. Non parliamone più- celiò sua sorella. –Se mi vuoi bene, non pronunciare il suo nome in mia presenza.
–Cosa è successo?- le chiese Jodie, perplessa: era sicura al mille per cento della buona riuscita del piano; cos’era andato storto?
–Stava diventando appiccicoso e gli ho dato il benservito- rispose Marion, evitando accuratamente di incrociare gli occhi di Jodie. –È sufficiente come spiegazione?
–No!
–Peccato, perché non ne avrai altre. Buona giornata!

Note dell’autrice:
Come sempre, grazie a chi di voi ha letto questo extra e il precedente, a Calliope S,  creatrice del bellissimo banner, che ha recensito, e a sunburn1985, che segue questa piccola raccolta.
Il capitolo è venuto più lungo di quanto pensassi, ma non sono riuscita ad accorciarlo: ogni virgola mi sembrava fondamentale. Spero che la lettura non sia risultata pesante a causa della lunghezza, mi dispiacerebbe tantissimo.
Si inizia a scoprire qualcosa sul passato di Marion e Jo. A proposito di Marion: poverina, è rimasta fregata ancora una volta. Stava iniziando a fidarsi di Albert, ma gli eventi l’hanno convinta a  fare marcia indietro. Chissà se lui saprà e/o vorrà riconquistarla….
Lo scoprirete solo leggendo LQ! ;-)
Bacioni!
Serpentina
ps: il Top of the Hub è un vero locale di Boston (se mai vi capitasse di andarci, fateci un salto) e il metacarpo è un gruppo di ossa lunghe delle mani che collega il carpo (la parte che si articola con l'avambraccio) alle falangi. Il corrispettivo nel piede è il metatarso. 

 
 

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Capitolo 3
*** Torna a casa, Jodie! ***


Manca un mese esatto alla mia festa preferita (dopo il mio compleanno, ovviamente), quindi posto il mio extra natalizio. Se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, ne sarò felicissima. Non mordo, tranquilli! ;-)
Intanto, grazie a Calliope S, che non manca mai di sostenermi! :-*

 

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Torna a casa, Jodie!

La sorprese trovare Marion a letto, rannicchiata, illuminata dalla luce bluastra del laptop: era convinta di sentirla o vederla rientrare all’alba, con i vestiti malmessi e l’aria colpevole.
–Avevi ragione tu- piagnucolò. –Come al solito. Diceva di aver compreso il suo errore, di essere pentito… che aveva lasciato Sasha… stronzate! Voleva ripetere il copione a ruoli invertiti! Appena l’ho capito, ho perso il controllo: non sono la puttana di nessuno. Contenta?
–Mi ritieni capace di godere della tua sofferenza?- chiocciò Jodie, si sedette sul bordo del suo letto e le baciò la tempia finché non si fu calmata, come quando erano piccole. –Però sono contenta che finalmente abbia capito che razza di stronzo avevi sposato. E tu che non volevi nemmeno divorziare!
–Vero. Se non mi avessi convinta tu, avrei finito col riprenderlo in casa. Meno male che ho una sorella giudiziosa! Peccato ti sia sbagliata proprio su Albert. Mi stavo innamorando di lui, e credo ricambiasse. Come risarcimento, pretendo che passi le feste in famiglia!
Jodie sbiancò e, tale il terrore, scivolò giù dal letto. Riemersa, aiutandosi con le coperte, esclamò –Tornare a Sandpoint? Non se ne parla! Non posso lasciare sola Sarah proprio quest’an…
Il rumore dello schiaffo che seguì risuonò per la stanza, amplificato dallo sgomento di entrambe. Marion pigolò delle scuse, ma Jodie la invitò a tacere e sospirò –L’ho meritato. È stato meschino da parte mia usare il lutto di una mia amica come pretesto per rimanere a Boston.
–Torna a casa, Jo. Faresti la gioia di mamma e papà- gnaulò Marion, giocando un asso nella manica che reputava di sicuro successo. –Tutte le sante volte che vado a trovarli mi chiedono di te, e quando dico che stai lavorando, o te la spassi in giro per il mondo, sospirano tristi “Che vuoi farci? Ormai ha spiccato il volo, è troppo importante per questo posto sperduto”.
–I sentimentalismi non attaccano, con me. Prova con qualcosa di meglio.
Marion abbassò lo sguardo sulle lenzuola e i suoi occhi si riempirono di lacrime; pigolò –È anche a causa mia se hai deciso di non rimettere più piede a Sandpoint. Mi sento in colpa.
–Non ti credo- ringhiò glaciale Jodie, i lineamenti distorti da una cieca rabbia montante. –Se ti fosse importato, avresti telefonato, mandato una mail, un messaggio… invece niente. Per quattordici Ringraziamenti, Natali e Pasque hai finto di non avere una sorella; come mai adesso, tutto a un tratto, te ne ricordi?
–Dovevo maturare, smetterla di accusare te e capire che a sbagliare ero stata io.
–Non ti credo- ripeté la maggiore, e Marion, deglutì sonoramente, timorosa che potesse sputare fuoco. –Non posso. Io sento, so perché mi vuoi al tuo fianco: hai bisogno di un capro espiatorio, un sacrificio da immolare ai pettegoli del paese per non essere tu nel centro del mirino! Perché in Idaho non si divorzia, specie a Sandpoint.
–Ho divorziato due anni fa, genio! E non sono l’unica: Jim Foster è stato lasciato dalla moglie.
–Infatti vive con la seconda a Portland e non osa mostrare in paese il suo brutto muso. Non prendermi in giro, sorellina: non hai il fegato di sopportare le occhiate di biasimo e compassione di quella manica di malevoli! Beh, benvenuta nel mio mondo, Miss “Reginetta Vita Perfetta”!
–Mi odi così tanto?- gnaulò costernata Marion, faticando a contenere con la manica del pigiama il fiume di lacrime.
–Adesso no- rispose con noncuranza la sorella. –Ma ti ho odiata più di quanto tu possa lontanamente immaginare.
–Anch’io, e me ne pento. In tutti questi anni non hai mai avuto nostalgia di casa?
“–Lasciatemi andare!- aveva urlato una corpulenta bambina di nove anni, dimenandosi invano: i quattro che la tenevano ferma per le gambe e le braccia erano più grandi e robusti di lei.
–Accidenti, quanto pesa!- aveva sbottato uno di essi, strizzandole un fianco paffuto. –Mettiti a dieta, balena!
–Lasciatemi andare!- gridò la bambina con tutto il fiato che aveva in gola. –Cosa volete da me? Soldi? Ho cinque dollari in tasca. Volete la mia bici? Prendetela! Qualunque cosa, basta che mi lasciate tornare a casa!
–Oh, ci tornerai- ridacchiò il più grande tra i bulli, guarda caso il figlio dei vicini di casa della bambina. –Ma prima… ti insegneremo a mangiare sano. Vero ragazzi?
Le loro risate perfide spaventarono la novenne, che cominciò a piangere: aveva realizzato di non avere speranze, e forse non esiste sensazione peggiore; quando anche “l’ultima dea” ti abbandona, cosa resta?
–Perché?- esalò, mugolando di dolore quando la liberarono, lasciandola cadere di schiena sulle rive fangose del lago Pend Oreille. –Perché ce l’avete con me?
–Perché ci fai schifo, balena! Sempre con la testa in qualche libro… cosa ci trovi di tanto interessante, poi! Sono pezzi di carta!
–Solo per chi non sa leggere, stupidi scimmioni!- sputò la piccola, in un ultimo sprazzo di coraggio.
Gli “scimmioni” la immobilizzarono nuovamente, dopodiché il capobanda, furioso, esclamò –Meriti una lezione!
–Lasciamola agli orsi- propose uno degli aguzzini. –In questa zona abbondano.
–Buona idea! Con tutto quel grasso avranno da sfamarsi per un anno intero!
–Non abbiamo certezza che gli orsi se la papperanno. No, seguiremo il piano originale. Allegra, balenottera, ti stiamo per mettere a dieta!
I minuti successivi parvero dilatarsi, così come la sua disperazione: mentre le ficcavano a forza in bocca la melma in cui era distesa, credette di morire, forse addirittura lo sperò. Tossì, sputò, e soltanto quando si girò su un fianco per vomitare i bulli decisero di abbandonarla al suo destino, tanto più che stava facendo buio.
–Salutaci i grizzly! E i lupi!- dissero mentre si dileguavano, lasciandola sola, inerme, infreddolita e in lacrime.
Fortunatamente, a trovarla fu un ranger.
–Ti vieto di frignare- sbottò sua madre non appena la vide. –Qualunque cosa sia successa, la colpa è in parte tua: chi non reagisce ne paga le conseguenze.”
–Maria Antonietta rimpiange Parigi, secondo te?- asserì Jodie, prima di infilarsi sotto le coperte.
–Cosa diavolo significa?- sbottò sua sorella.
–Che domani avremo brioches a colazione, Marion. Buonanotte.

 
***

Gli spiacevoli ricordi faticosamente rimossi, anche grazie alla lontananza, riaffiorarono durante la notte, frammentando il sonno di Jodie. Si recò al lavoro stanca e deconcentrata, sperando in un festino clandestino tra colleghi per rimettersi in sesto: niente giova allo spirito come una bevanda calda e gingerbreads fatti in casa.
Appena ebbe sistemato il laboratorio, raggiunse le amiche per un caffè e quattro chiacchiere pre-festive. Espose il problema, evitando accuratamente di incrociare i loro sguardi, infine esalò –Non so che fare, ragazze. Consigli?
–A saperlo avrei rifiutato l’invito di Phil. Almeno avresti avuto una buona scusa da rifilare ai tuoi!- uggiolò Sarah, sinceramente dispiaciuta.
–Sei la persona più altruista che conosca: rinunciare a una settimana insieme al tuo dottorino per me! Non mi perdonerei mai se vi intralciassi: potrebbe essere la volta buona che scopri se madre natura è stata generosa con lui!
–Coi suoi parenti in giro? Ne dubito!- ridacchiò Sarah. –Ad ogni buon conto, ho messo in valigia un paio di completini striminziti. Vedremo se avrò l’occasione di indossarli…
Jane attese che il coro di fischi, ovazioni e battutine si placasse, prima di intervenire nella conversazione.
–Sarebbe una tragedia tornare in Idaho, Jo? Ricordo i tuoi genitori alla tua laurea, non mi erano sembrati terribili!
–Non sono loro il problema- rispose lei. –Sono io. L’ultima volta che sono andata, sono volate parole grosse. In quel momento le pensavo tutte, alcune tuttora, e… mi vergogno. Non mi sono perdonata e non ho perdonato loro. Aggiungici la carovana di orrendi ricordi che ho di quel posto e capirai perché non ho intenzione di assecondare la follia di Marion.
–Non hai nessun ricordo felice di Sandpoint? Nemmeno uno?
“–La posta!- tuonò con la sua bassa voce gutturale Wes Carr, richiamando moglie e figlie in salotto, dove, da consuetudine, si sedevano a leggere la corrispondenza.
–Posta!- trillò Mrs. Carr, eccitata: viveva per le lettere (beh, per quelle e per i pettegolezzi, che scambiava alacremente con le altre signore dal parrucchiere), aprirle la faceva sentire una Indiana Jones in gonnella mentre violava un’antica tomba e ne scopriva i segreti.
–Vediamo un po’ cosa c’è qui- mormorò Wes. –Bolletta… altra bolletta… pubblicità… la tua rivista di lavoro a maglia, Colleen… toh, una lettera per Jo!
–La nostra Jo? Chi mai le scriverebbe?- esclamò esterrefatta Mrs. Carr, voltandosi verso la figlia maggiore, seduta in un angolino a leggere, fissa in un mutismo e immobilità inquietanti. –Hai forse aderito a uno di quei programmi “invia una lettera a un galeotto”? Dimmi di no, ti prego, vorrei continuare a dormire sonni tranquilli!
–Non dormi mai sonni tranquilli, cara. Io lo so bene!- scherzò Wes, quindi, superando le braccia della consorte, curiosa e invadente, porse la busta a Jodie, che la aprì con frenesia, rischiando di strapparla. La scorse frettolosamente e, dopo anni, si aprì spontaneamente in un sorriso.
–Ce l’ho fatta!- ululò, agitando in aria il foglio. –Ho il biglietto per andarmene da qui!
–Ah, ho capito!- ridacchiò sua madre, sollevata. –È la lettera del college. Datti una calmata, tesoro: Boise è a poche ore di macchina, tornerai i finesettimana e sarà come se non te ne fossi mai andata!
–Sei in errore, mia cara- la corresse Mr. Carr, dopo aver esaminato la busta. –Il mittente non è la Boise University… è la Boston University!
–Boston? Boston? Sei impazzita?- latrò Mrs. Carr, strattonando Jodie per un braccio. –È dall’altra parte del Paese! E la gente lì è così… diversa! No. Mia figlia non finirà in mezzo agli yankee.
–Allora niente college- cinguettò la figlia, fingendosi afflitta. –Quella è l’unica domanda che ho presentato.
–Beh, se ti sposassi, come Rosie Jessup e Katie Warren…
–Neanche per sogno! Sarebbe la sua rovina!
–Quindi per te il matrimonio è una rovina?
–Se non si è pronti, sì! Jodie impazzirebbe accanto a un uomo indegno di lei! Andrà a Boston, fine della discussione.
–Non puoi dargliela vinta, Wes! Se va sulla costa est, non la vedremo più!
–Sciocchezze!- sbuffò Mr. Carr, prese le mani di Jodie tra le sue e disse –Se mettere seimila chilometri tra te e questo posto ti rende felice, allora vai.
La risatina di Marion attirò l’attenzione dei suoi genitori; Mrs. Carr, osservato il suo sorrisetto, sibilò –Tu lo sapevi! Lo sapevi, e l’hai incoraggiata!
Jodie, da brava sorella maggiore, accorse in aiuto di Marion, che, al contrario di lei, non aveva la risposta pronta e provava una soggezione pari all’affetto nei confronti della loro madre.
–Diciamo che non mi ha scoraggiata. E di questo le sarò eternamente grata.”
–Uno, forse. Ma non è abbastanza.
–Fattelo bastare: tua sorella ci ha appena inviato un sms, avvisandoci di non invitarti a trascorrere le feste con noi perché ha già acquistato il biglietto aereo e quello della corriera- soffiò Ingrid. –Per usare un francesismo: sei fottuta, baby!

 
***

–Noto con piacere che l’hai presa bene- sospirò sollevata Marion, assorta nell’ennesimo controllo del bagaglio dei suoi figli.
–Veramente, l’ho presa malissimo- replicò velenosa Jodie. –Sorrido pensando ai modi violenti in cui potrei vendicarmi. Al rientro, naturalmente: mamma avrebbe un infarto se le sporcassi di sangue il tappeto del salotto!
–Non è così frivola. O, almeno, non lo è sempre stata- ribatté Marion mentre ripiegava una maglia. –Si è semplicemente adattata... cosa che tu non hai voluto fare. Hai preferito affogare!
–Ho preferito nuotare il più lontano possibile da quel paese dimenticato dagli dei di tutte le religioni. Se avessi passato quel che ho passato io, altro che Boston… in Nuova Zelanda saresti fuggita!
–Perché nuova? Dov’è la vecchia?- chiese Mariposa, protendendo verso la zia il cappottino, in una tacita richiesta di aiutarla ad indossarlo.
–È andata perduta, cucciola.
–Da grande la ritrovo!- asserì con la solenne convinzione tipica dei bambini.
Nelle ore successive, Jodie imparò a proprie spese il vero significato della parola “panico”: nel taxi venne assalita da un’angoscia degna del suo racconto del terrore preferito (‘Il cuore rivelatore’), al check-in tentò con ogni mezzo di non partire (finendo col pagare cinquanta dollari di multa per il peso in eccesso del bagaglio), ma fu soltanto in fila al gate che avvertì il fiato diventare corto, i battiti accelerare e la vista annebbiarsi.
“Lato positivo: se muoio, Marion dovrà lasciarmi a terra”, pensò, “Lato negativo: non si muore per un attacco di panico, mia sorella lo sa.”
Infatti, Marion sbuffò, trascinandola quasi di peso lungo il corridoio che conduceva all’aereo –Piantala con questa sceneggiata. Sei un’adulta, e come tale ti comporterai.
Parzialmente ammansita, Jodie recuperò la calma necessaria ad allacciare le cinture sul volo diretto a Boise, e, grazie al calmante che Marion le somministrò a sua insaputa (mai lasciare incustodite le bevande, se si ha una sorella infermiera), dormì per l’intera durata del viaggio.
Sei estenuanti ore dopo, atterrarono in Idaho. Sebbene lievemente intontita dal calmante, Jodie si diresse a passo di carica verso le postazioni di ritiro bagagli, seguita da nipoti entusiasti e sorella sull’orlo di una crisi di nervi (neppure Wonder Woman riuscirebbe a badare a due bambini con le braccia cariche di borse).
–Almeno i bagagli a mano potresti scomodarti a portarli, principessina!
–Spiacente, ex-reginetta, ho fatto la manicure ieri.
Un moto di rabbia si impadronì di Marion: fregandosene di trovarsi in un luogo pubblico, in presenza di bambini, arpionò la sorella maggiore per il raffinato cappotto rosso e sibilò –È questo il tuo piano? Fare la stronza? Renderti insopportabile, così potrai andartene, come l’altra volta? Col cazzo che te lo permetterò! Ora, se potessi cortesemente sopprimere la Jodie stronza…
–Solo con chi se lo merita- replicò l’altra freddamente, aggiustandosi la pesante sciarpa di lana verde.

 
***

Nomen omen. In questa locuzione latina si può riassumere Sandpoint: la sabbia è il derivato dello sgretolamento di grossi massi, un materiale inerte,  immutabile; così la cittadina (la quale, con i suoi quasi settemila abitanti, era la più popolosa delle contee di Bonner e Boundary): inerte, immutabile. I pochi cambiamenti che avevano luogo erano di minima entità: matrimoni, nascite, morti e poco altro. Perfino i negozi tenevano da decenni lo stesso nome e la stessa gestione, tramandata di padre in figlio senza che nessuno si scomponesse. Gente tranquilla abitava a Sandpoint, gente che si faceva poche domande e, come i granelli di sabbia sulla battigia, accettava senza batter ciglio l’eterno andirivieni delle onde. La quiete dell’apatica comunità venne in attrito con un elemento di disturbo: dalla corriera, infatti, era scesa la donna più vistosa che si fosse vista da parecchio tempo. Tutto, di lei, gridava “forestiera”. Si guardò intorno con aria annoiata e si incamminò lungo la strada, sorda alle imprecazioni della compagna di viaggio come ai commenti a mezza voce dei passanti (“Santo cielo, ma dove pensa di essere, a San Francisco? Rossetto rosso di giorno!”, “Chi è? Ha un che di familiare…”, “Quella che la segue con le valigie è la figlia dei Carr, la seconda. Ricordi quando sfilava come reginetta del 4 luglio? Non sembra invecchiata di un giorno!”, “Ma dov’è suo marito?”, “I bambini sono un amore!”, “Se quella è Marion… che la più grassa sia sua sorella? La ricordavo diversa”, “È lei, hai ragione! Immaginala con i capelli scombinati e senza trucco… è Jodie!”).
–Chi non muore si rivede. Jodie Carr, sei davvero tu?
Non era rimasta vittima di un massacro ordito dai suoi ex colleghi, durante il quale il suo ex amante le aveva sparato alla testa, nonostante le suppliche di risparmiarla perché incinta di sua figlia, ma comunque, in quel preciso istante, Jodie sentì rimbombarle nelle orecchie l’allarme rosso e vide rosso: gli innumerevoli atti di bullismo subiti negli anni le passarono davanti agli occhi, in particolare le molte ore trascorse al chiuso di armadietti o ripostigli, nei quali era stata rinchiusa dal ragazzo, ormai uomo, carico all’inverosimile di pacchi, che la stava salutando cordialmente.
“–Mi sono rivolta a te perché mi sembri abbastanza matto da non giudicarmi.
–Devo ringraziarti, oppure offendermi?
Una Jodie matricola del college scoppiò a ridere ed esclamò –Sei uno spasso, Ewan Ellis! Adesso ascoltami: voglio che tu mi chiuda a chiave in quello sgabuzzino… per tutta la notte!
–Tu sei pazza! O drogata!- ululò il biondo, passandosi le dita tra i ricci. –La logica non mi suggerisce altre spiegazioni.
–La tua logica ha mancato la spiegazione più ovvia: so quel che faccio- ribatté lei, ravvivandosi la chioma. –I miei adorabili compagni della Sandpoint High School avevano l’abitudine di rinchiudere la nerd più nerd dello Stato in spazi angusti, bui e maleodoranti. Non sopporto la compassione, perciò levati dalla faccia quell’espressione da cagnolino bastonato, altrimenti ti gonfio.
–M-Mi c-cosa?
–Ti gonfio. Di botte. Scusa, ogni tanto la parlata dell’Idaho riemerge. Torniamo al problema principale: sono claustrofobica e le menate dell’analista finora non hanno portato risultati, escluso l’alleggerimento del mio portafoglio, ergo… mi curerò da sola. Terapia d’urto! Avanti, su, chiudi la dannata serratura!
Ewan, nonostante la perplessità, obbedì, ma non si stupì quando, il mattino seguente, Jodie gli saltò al collo, piagnucolando dei terribili incubi che avevano infestato il suo sonno. Mosso a compassione (non lo avrebbe mai confessato, naturalmente: conoscendola, rischiava le palle!), la presentò al suo compagno di stanza, studente di psicologia; era convinto che, non avendo interessi economici, si sarebbe impegnato al massimo per aiutarla, e così fu.”
–Sai che quasi non ti riconoscevo? Ma guardati: look molto “costa est”! Cappottino, pantalone elegante, tacchi… occhio a non scivolare sul ghiaccio! Che fine hanno fatto le felpone con cappuccio e i pantaloni della tuta? Per non parlare dell’apparecchio!- per nulla intimidito dal suo silenzio, né dall’occhiataccia che ricevette, proseguì col monologo –Allora, come va la vita? So che hai girato il mondo e adesso giochi al piccolo chimico a Boston!- si avvicinò a Marion e, dopo i convenevoli, le chiese, in un sussurro –Ehm.. tua sorella… ha qualche malattia, per caso?
–No! Perché?
–Non parla!- esclamò, alzando di svariati decibel il tono della voce, e rimase di sasso quando lesse quanto digitato da Jodie sullo schermo del suo cellulare: “Sono in sciopero del silenzio. Dato che rispondere è cortesia: le felpe le uso per le rapine in banca, l’apparecchio ai denti non ce l’ho da dieci anni, ho girato il mondo e LAVORO al MIT di Boston. Ah, e grazie per avermi insegnato a mangiare sano, ventiquattro anni fa!”
–Jo!- la rimproverò Marion, all’oscuro di quell’episodio. –Cosa ti ho pregato di fare?
La replica fu secca e, di nuovo, scritta.
“I miracoli ancora non mi riescono, sorellina.”

 
***

Dai Carr non si respirava spirito natalizio: appese le calze al camino e decorato l’albero senza canti e sorrisi, Wes e Colleen avevano apparecchiato per cinque, evitando accuratamente di posare lo sguardo sul posto vuoto.
Il suono del campanello li rallegrò; trillarono all’unisono –Eccoli!- e corsero alla porta. Nessuna parola può descrivere il loro sbalordimento nel trovarsi davanti la figlia maggiore, che non vedevano da più di dieci anni.
–Ciao ma’. Ciao pa’. Buona Vigilia.
Colleen, sicura si trattasse di un’allucinazione, allungò una mano a sfiorarle il viso, dopodiché, incapace di trattenere la commozione, la abbracciò in lacrime.
Jodie, seccata, sbottò –Ti vieto di frignare, mamma. La colpa è in parte tua.
Sconvolta, la donna si staccò da lei e piagnucolò –Non sei riuscita a perdonarmi?
–La mia strada verso la divinità è ancora lunga- sospirò, entrò in casa e sparì a disfare le valigie senza proferire parola. Una volta tornata di sotto, venne placcata da suo padre.
–Sei qui, è già un passo avanti- asserì Mr. Carr, prima di abbracciarla a sua volta, e, stavolta, Jodie ricambiò, curvando le labbra in un placido sorriso.
–Lui sì e io no?- sbraitò, oltraggiata, Mrs. Carr, faticando a mantenere il volume della voce sufficientemente basso da non farsi udire da Marion e i bambini, in cucina.
–Mio padre non mi considera spazzatura solo perché la mia vita ideale non comprende necessariamente un marito e dei figli!
–Sei ingiusta.
–Sono realista- sibilò Jodie. –Non mi hai mai capita. Non mi hai mai apprezzata. È Marion la figlia perfetta, quella che tutti ti invidiano, io sono il modello difettoso, una delusione. Me lo dicesti in faccia.
–Ero arrabbiata, volevo che tu e Marion smetteste di litigare…
–Proprio perché eri incazzata so che non mentivi. Chi se ne frega se ho scoperto il polimorfismo genico alla base delle diverse velocità di eliminazione del 5-FU e le proprietà ansiogene della β-cabergolina? Ai tuoi occhi sono una povera zitella trentatreenne che non ti renderà mai nonna!
–È un crimine sperare che la propria figlia non invecchi sola? La beta-cosa non ti scalderà il letto, non ti terrà la mano nei momenti difficili e non piangerà al tuo funerale!
–Vorrei essere nata uomo- sputò Jodie mentre indossava il cappotto. –Anzi, vorrei non essere nata affatto.
Mrs. Carr chiuse gli occhi, infastidita dal fragore della porta sbattuta, poi mormorò –Dove ho sbagliato?

 
***

“–Dove ho sbagliato con te?- ruggì Colleen Carr, scuotendo la sua primogenita al termine di una violenta lite tra lei e la sorella, lite che aveva rovinato il pranzo di natale. –Com’è possibile che Marion sia un angelo e tu… una tale delusione?
Aveva sognato a lungo il suo ritorno trionfale, immaginandosi ad esibire orgogliosamente la figlia che studiava alla BU e aveva trovato un fidanzato raffinato e discretamente ricco, invece eccola lì, senza uno straccio di fidanzato e nemmeno i pantaloni (nessuno l’avrebbe mai persuasa a considerare i leggins un capo d’abbigliamento degno di una ragazza perbene).
–L’aria di Boston ti fa bene: quel gancio era fenomenale!- esclamò ironicamente Wes, ricevendo un’occhiataccia di disapprovazione dalla moglie, che lo sgridò mentre recuperava del ghiaccio da mettere sui punti in cui i fenomenali pugni di Jodie avevano colpito Marion.
–Grazie della premura, mamma: scalda il cuore sapere che ricordi di avere due figlie- sputò rancorosa, per poi dirigere le proprie attenzioni sulla sorella, che si stava leccando il labbro sanguinante. –Non sei più così carina adesso, eh, reginetta?
–Perlomeno io ho la coda di spasimanti senza doverla dare in giro come se non fosse mia!
–Maledetta! Ti sistemo io!
–Basta!- tuonò Mr. Carr, piazzandosi tra le due litiganti per impedire che potessero nuovamente venire alle mani. E dire che stava andando tutto così bene: Jodie era tornata, finalmente serena, poi una battuta infelice di Marion sul suo peso aveva scatenato l’inferno. Sua moglie, che mancava di saggezza, aveva gettato benzina sul fuoco schierandosi dalla parte della secondogenita, come al solito. –È Natale, per l’amor del cielo! Dovrebbe essere un giorno di armonia familiare, non un incontro di wrestling casalingo! Fate pace, su.
–Dovrei chiederle scusa? Neanche per sogno!- sbottò Marion a braccia conserte. –Non è colpa mia se sono popolare, e lei una nerd sfigata! Esistono gli specchi, lo sapevi?
–Dovrei chiedere scusa a questa capra viziata? Al solo pensiero i miei neuroni minacciano di fare harakiri!
–La senti? Senti come parla? Non è più una di noi!
–Se fossi meno ignorante sapresti cos’è l’harakiri e cosa sono i neuroni, cara la mia caricatura di una cheerleader!
–Smettetela! Che lo vogliate o no siete sorelle, dovete sforzarvi di…
Colleen interruppe il marito, segnando la fine della discussione… e del Natale.
–Marion si sarà espressa male, ma ha detto la verità: non potrai mai eguagliare la sua bellezza, Jo, però, se solo ti sforzassi, potresti essere carina. Basterebbe perdere qualche chilo, passare meno tempo sui libri…
La ragazza non rispose, abbassò lo sguardo e corse al piano di sopra. Nessuno comprese le sue intenzioni finché non la videro arrancare per le scale con la valigia.
–Cosa credi di fare?
–Fai due più due, mamma, almeno questo dovrebbe riuscirti!
–Non osare mancare di rispetto a tua madre!- la rimproverò Wes, per la prima volta seriamente arrabbiato con la figlia.
–Perché no? Lei non ne ha per me! E lo stesso Marion! Dato che non la gradite, vi libero dalla mia ingombrante - in tutti i sensi - presenza. Scordatevi che esisto!- sibilò Jodie, soddisfatta per averli zittiti. I volti attoniti dei suoi familiari furono l’ultima cosa che vide, prima di uscire e salire sul taxi, diretta alla stazione degli autobus. Trascorse la notte in aeroporto e prese il primo volo disponibile per  Boston. Fu il suo peggior Natale.”
–Ehi, Jo.
–Lasciami in pace, pa’.
Mr. Carr disobbedì: le si avvicinò, le tolse di mano il telefono e interruppe la chiamata alla società di trasporto taxi.
–Scusa- esalò, sfregando le mani intirizzite. –È questo che volevi sentire?
–Non da te.
–Se vuoi sentirlo da tua madre, devi rientrare in casa. E se ricevere le tanto agognate scuse non è un motivo sufficiente, pensa alle prelibatezze che ti aspettano a tavola!
–È un ricatto?
–No. Primo: sarebbe immorale. Secondo: ti reputo troppo intelligente per cedere a un volgare ricatto. La mia è una proposta: regalaci e regalati una seconda occasione… se te la senti. Io rientro: sto morendo di freddo e ho una fame da lupo!

 
***

–Jodie!- gridò Colleen, lasciò cadere le posate da dolce e si precipitò a stritolare la figlia. –È un miracolo!
–Ringrazia papà- rispose lei. –Mi ha convinta lui. In fondo, ti devo delle scuse: sei mia madre e non ti ho sempre mostrato il giusto rispetto.
–Non riesco a dimostrartelo tanto quanto vorrei, non so mai come prenderti per il verso giusto… ma ti voglio bene, bambina mia. Tanto.
–Anche io mamma, e ti adorerò se non mi chiamerai mai più “bambina”!
–Per me resterai sempre piccola, anche a cinquant’anni!- chiocciò Mrs. Carr. –Vieni a scaldarti, sei ghiacciata! Un bicchierino ti tirerà su!
Per aggiungere altra gioia a quella che già provava, a mezzanotte Jodie ricevette una telefonata.
–Ciao. Volevo scusarmi per essere sparito in questi giorni e, beh, per la sfuriata al Franklin’s. Io… non so cosa mi sia preso, forse mi sembra strano che… cioè… Al non ha mai avuto amiche femmine, perciò… ecco… mi aspetto che ci provi con te da un momento all’altro, anche se è assurdo, perché una parte di me sa che siete soltanto amici, però…
–Bastava “Buon Natale”, Ewan.
–Oh! Eh, già. Buon Natale, Jodie.
–Anche a te. Riattacca, dai, stai spendendo un sacco di soldi! A presto- pigolò, tastandosi le guance: erano calde, e sospettava non c’entrasse solamente l’alcol. Sorrise e tornò in salotto.
Fu uno tra i migliori natali della sua vita.

Note dell’autrice:
Capitolo decisamente poco “da me”, vero? La dolcezza impera!
Jodie è emersa in tutte le sue umane contraddizioni. Vi è piaciuta? Oppure speravate in un personaggio più positivo? In fondo lo è: la Jodie adulta è una donna solare, piena di vita, e forse sarebbe diversa, se non avesse passato quello che ha passato. Stessa cosa dicasi per Marion: ha ampiamente pagato i suoi errori con una serie di delusioni che l’hanno portata, in due anni, a maturare più che in tutti i precedenti!
“Odi et amo” le riassume alla perfezione. Si volevano bene anche in passato, a volte si sono supportate a vicenda (vedi l'appoggio di Marion alla decisione della sorella di emigrare dall'altra parte degli USA), però l’affetto veniva oscurato da altri sentimenti meno edificanti: invidie, rivalità…
Un prossimo extra mostrerà meglio le dinamiche del loro complesso rapporto.
Non ho mancato di inserire Ewan, sia perché non credo di dedicargli un extra, però mi dispiaceva escluderlo del tutto, sia per rendere più chiaro il suo legame con Jo.
Le informazioni su Sandpoint sono tutte vere ( se mai doveste capitare da quelle parti occhio a grizzly e lupi!), la battuta di Jo a sua madre si riferisce al detto “errare è umano, perseverare è diabolico, perdonare è divino”, mentre la sua reazione all’incontro con un vecchio nemico è un omaggio al capolavoro di Tarantino ‘Kill Bill’. Il racconto ‘Il cuore rivelatore’ è nato dalla penna di Edgar Allan Poe e si può considerare uno dei primi thriller. *_*
Alla prossima!
Serpentina

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Capitolo 4
*** Qualcosa di nuovo sul fronte sentimentale ***


Ho pensato di dedicare un extra alla new entry dell’epilogo di LQ: Paris, detta Perry, la cugina di Ewan. Enjoy!
 

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Qualcosa di nuovo sul fronte sentimentale
 
La famiglia Mason aveva riposto in entrambi i figli, Connor e Paris, grandi aspettative, riversatesi tutte sulla minore dopo che il primogenito aveva deragliato dai binari. Paris si era impegnata profusamente per non deludere quei genitori che vedevano nei suoi successi il riscatto dall’errore di Connor, ed era riuscita nell’impresa: un curriculum scolastico impeccabile, ma senza rinunciare a un minimo di vita sociale, laurea in Legge alla Cornell University e un master a Princeton, una finora brillante carriera nel foro che le era valsa il soprannome “Perry”. La bionda superdonna, tuttavia, era alquanto carente sul fronte sentimentale: nonostante i corteggiatori non fossero mai mancati, sembrava che nessuno riuscisse a catturare il suo interesse abbastanza a lungo. Inizialmente si era giustificata dichiarando che la ricerca di “quello giusto” era rimandata a quando avesse avuto una certa stabilità, ma, ormai divenuta la più giovane socia di un importante studio legale, aveva dovuto arrendersi all’evidenza: lei un fidanzato non lo voleva. Neanche una fidanzata. I suoi desideri erano ben altri.
–Un mondo senza fumo e Miss America, un corpo da modella, alzarmi a mezzogiorno la domenica, cantare e ballare nuda per casa con le finestre aperte, restare a crogiolarmi nella vasca idromassaggio finché non mi si raggrinziscono le falangi, godermi il pasticcio di carne di Moriarty’s senza pensare alle calorie, uccidere William Rice, rendere mia nipote meno simile a me… devo continuare?
–Per carità, basta così!- ridacchiò, lievemente esasperato Keiron Black, l’uomo che occupava l’altra metà del letto. Nessuno dei due aveva voglia di vestirsi, per cui erano rimasti nudi sotto le coperte, a chiacchierare. Carezzò la pelle vellutata di Paris, che rispose con un breve mugolio di piacere e un sorriso di placida soddisfazione. –Ti sento parlare abbastanza in tribunale!
–Avverto una nota acida nella tua voce. Rosichi perché ogni volta ti faccio il culo, eh, caro il mio vice-procuratore?- gli rammentò impietosamente l’avvocatessa, mostrandogli la lingua, prima di fare ammenda per la battuta impertinente con un bacio passionale. In realtà non le piaceva granché baciare Keiron - non per una sua mancanza di abilità, né tantomeno per scrupoli morali - le dava fastidio il retrogusto di rimpianto che quei baci le lasciavano in bocca. Lo stimava sia professionalmente che umanamente: aveva i suoi difetti, come tutti, però era il primo a riderci su, qualità che apprezzava. Inoltre, ciliegina sulla torta, sebbene non si potesse definire bello in senso classico, era charmante e un discreto spettacolo per gli occhi. Avrebbe potuto tranquillamente innamorarsi di lui, e questo la spaventava. In circostanze diverse, forse avrebbe trasformato la relazione clandestina in un rapporto serio, alla luce del sole, ma il conflitto di interessi li aveva obbligati alla segretezza: non avevano intenzione di fare un passo indietro, né di pestarsi l’un l’altro i piedi; erano consapevoli che ufficializzare la loro storia ne avrebbe decretato la fine: chiunque dei due avesse voltato le spalle al lavoro se ne sarebbe pentito, accusando l’altro di averlo condannato all’infelicità. “In amore l’altruismo non paga”, era il suo motto. “Soltanto se sei felice puoi rendere felice il partner”.
–Adoro la tua presunzione, Perry.
–Hai dimostrato ampiamente stanotte quanto mi adori- miagolò Paris, stiracchiandosi. –Ti terrei qui alla mia mercé tutto il giorno, tesoro, ma sta per abbattersi su questa casa l’uragano Marnie, volontaria per accompagnarmi a scegliere il vestito. Se potessi cortesemente levare le tende…
–Ah, già. Il matrimonio- sbadigliò Keiron, passandosi una mano sugli occhi. –Mi meraviglio che tuo cugino non ti abbia inserita tra le damigelle, visto quanto siete legati!
–Meno male, guarda!- sbottò la bionda, abbandonò a sua volta il letto e preparò la vasca da bagno. Al diavolo l’ambiente, niente e nessuno l’avrebbe privata della sua schiumosa e profumata coccola quotidiana! –Quello della damigella è un ruolo ingrato: devono indossare abiti nella migliore delle ipotesi ridicoli, nella peggiore orrendi, sottostare alla tirannia di dittatrici isteriche, organizzare e sopportare il noioso e/o volgare e/o patetico addio al nubilato e sfilare impettite come soldatini e sorridenti come reginette di bellezza. Un vero incubo! Beate mia cognata e mia nipote, che hanno inventato una bugia plausibile per sottrarsi a questa tortura!
Keiron finì di allacciarsi le scarpe, curvò le labbra in una smorfia divertita e soffiò, prima di andarsene –Chi è la rosicona, adesso?

 
***

Non lo avrebbe mai ammesso, ma si sentiva al settimo cielo, forse addirittura all’ottavo; non gioiva della scalogna di Ingrid - che si era rotta la caviglia - però non poteva fare a meno di esultare: Jodie le aveva chiesto di sostituirla come damigella! Pazienza se aveva già speso una bella cifra e avrebbe dovuto sborsare altri dollari per le modifiche al nuovo vestito, era ufficialmente damigella! Di riserva, ma pur sempre damigella. Ciliegina sulla torta: la sposa aveva buon gusto. Niente obbrobri in colori vomitevoli, niente cafonaggini; un sobrio abito verde smeraldo che avrebbe potuto tranquillamente riciclare in futuro. Urrà per Jodie!
–Pronta per la passerella, capo?- la punzecchiò Marnie, segretaria e assistente di ricerca (in un prossimo futuro tirocinante).
–Quando la smetterai di chiamarmi capo?- esalò Paris, incrociando le dita sotto il mento.
–Quando smetterà di irritarti, cioè mai- rispose la ragazza. –Mi raccomando l’intimo: sotto è importante quanto sopra; sai cosa si dice delle damigelle, no?
–Stavolta la sposa può stare tranquilla: sono contraria all’incesto.
–Ok, lo sposo è fuori uso, ma tra gli invitati ci sarà qualcuno “fattibile” e disponibile!- rincarò Marnie senza darsi per vinta. Detestava Keiron e sperava incessantemente che Paris lo mandasse al diavolo. –La damigella-tipo non abbandona il ricevimento senza aver scopato almeno una volta, ricordalo!
–E tu ricordami perché ti ho assunta- replicò l’altra, celando la bonarietà dietro una finta occhiataccia.
–Perché altrimenti mio padre ti avrebbe dato il tormento- asserì Marnie, solare quanto il tubino giallo dava a intendere. –Oh, e anche perché sono dannatamente brava nel mio lavoro.
–Brava, sì… nello spingermi tra le braccia di sconosciuti!
–Il tuo amico di letto approfitta del fatto che non siete una coppia vera e propria, perché tu no?- si morse la lingua, maledicendo l’impossibilità di usare, nella vita reale, il “rewind”; cos’avrebbe dato, pur di rimangiarsi quella frase sconsiderata! Ma ormai la frittata era fatta, non restava che cuocerla. –Sì, insomma… sono l’assistente di ricerca, no? E lui non mi è mai piaciuto, così ho fatto delle ricerche e, beh… quello che ho scoperto non ti piacerà.
Paris non ebbe la faccia tosta di rimproverarla: nei suoi panni, avrebbe agito alla stessa maniera. Afferrò i fogli e li scorse da cima a fondo con frenesia, l’incredulità iniziale sostituita dalla rabbia rigo dopo rigo. Alla fine, chiuse gli occhi per una manciata di secondi e sospirò –Me l’aspettavo. E sai una cosa? Fa meno male di quanto immaginassi. Anzi, è quasi liberatorio!

 
***
Nonostante i buoni propositi, non ebbe il coraggio di affrontarlo a viso aperto per diversi giorni, precisamente fino al giorno delle nozze (di Ewan). Fortunatamente la coppia aveva scelto una cerimonia serale, altrimenti sarebbe stato difficile presenziare: era stata fissata un’udienza quella stessa mattina.
Quando, come di consueto, ricevette il biglietto che indicava la stanza vuota dove si sarebbero incontrati per i preliminari (letteralmente) prima dell’ingresso in aula, a stento resistette alla tentazione di stracciarlo, ma si fece forza e, scambiato uno sguardo d’intesa con Marnie, si diresse verso l’ala più remota degli archivi. Il progetto di recitare la parte della finta tonta fino al momento opportuno svanì quando Keiron la afferrò per la vita e si mise a baciarla ovunque. Una molla scattò dentro di lei; lo scostò con veemenza e sibilò –Non toccarmi. Mai più!
–Si può sapere che ti prende? Sei ancora incazzata per il patteggiamento di Gilbert? Sarebbe stato un suicidio arrivare al processo! Pensala in questi termini: è stata una vittoria per tutti. Ti rifarai oggi: truccare il lupo cattivo da agnellino è la tua specialità!
–Anche la tua- soffiò lei, impedendo un altro tentativo di sfiorarla. –E io stavo per fare la fine di Cappuccetto Rosso!
–Non capisco di cosa parli, Perry.
–Getta la maschera, Keiron: so di Sabrina.
La sua replica la sconvolse persino più della triste verità in forma cartacea che le aveva consegnato Marnie.
–Tanto rumore per nulla, se mi concedi la citazione. È vero, esco con una donna, ma è un germe appena innaffiato, non so se germoglierà. Nel frattempo, possiamo continuare le nostre “attività”.
“Le lesioni personali sono reato. Le lesioni personali sono reato.”
–Come seleziona gli studenti Harvard, tirando a sorte? Non credo sia necessario un gran cervello per capire che non puoi venire a letto con me se esci con un’altra!
–Perché no?- le chiese, esibendo un’espressione innocente da Oscar. –Sai perfettamente che dall’innegabile alchimia che c’è tra noi non potrà nascere niente, mentre lei è un’incognita. Sono ancora… in fase di studio, per così dire, quindi perché non divertirci in attesa dei risultati?
–Ringrazia che non vada da questa Sabrina a spifferarle tutto. Oh, riprenditi, Keiron, sai benissimo che non mi abbasserei mai a tanto! Davvero ti illudevi di tenerlo nascosto a me? Io ho occhi e orecchie ovunque, anche per questo sono la migliore- sputò Paris con acrimonia. Il rancore sarà pure disdicevole, ma le ricordava la propria umanità: aveva il diritto di sentirsi ingannata, di soffrire… di fargliela pagare, a tempo debito. –Basta discutere, è ora di entrare in aula. Se ci riesci, perdi la causa entro mezzogiorno: ho un matrimonio a cui presenziare!

 
***
Un poema non sarebbe bastato a contenere tutte le invettive di Paris contro Jonathan Carmassi, l’amico dongiovanni da strapazzo di Ewan, ma era stata costretta a limitarsi a quattro messaggi: aveva terminato il credito. Dandosi della stupida nel constatare che Marnie le aveva lasciato un promemoria al riguardo, la ringraziò mentalmente: soltanto grazie al suo prezioso aiuto non moriva di fame o leggeva a lume di candela perché aveva dimenticato di pagare la bolletta.
Senza l’evasione offerta dalla messaggistica, tornò ad annoiarsi; la visita all’ala del museo chiusa al pubblico si era rivelata superiore alle aspettative (guastata solo dalle allusioni di Jonathan su un possibile uso alternativo di quei luoghi appartati), la musica e il cibo non le dispiacevano e l’atmosfera era festosa al punto giusto, però… non riusciva a reprimere la negatività. Le attenzioni di un uomo decisamente figo e famoso (lo aveva appurato dalle richieste di autografi che quasi gli avevano guastato la cena) non bastavano a frenare i tipici pensieri femminili su “l’altra”: come si erano incontrati? Cosa vedeva in lei? Cos’aveva di meglio da offrire?
Quando Jonathan si presentò come il principe azzurro, venuto a salvarla da noia certa, accettò volentieri quel salvagente di momentanea distrazione. Ammise (a malincuore, poiché odiava essere nel torto) di averlo mal giudicato, e stava riflettendo se seguire o meno il consiglio di Marnie e spassarsela, quando esplose una bomba più devastante dell’atomica.
–Adesso che ti conosco, ho un motivo in più per visitare la città dell’amore fraterno. Mia sorella subirà uno shock: in quattro anni non sono mai andato a trovarla!
–Oh, certo! La fantomatica sorella che, guarda caso, vive nella mia stessa città!
–È vero! Chiedi a chi vuoi! Si è trasferita quattro anni fa e gestisce MixArt, la…
–Galleria dei Noble, su Chestnut Street- esalò lei, impallidendo di colpo. –Se si chiama Sabrina, allora la conosco.
–Dove vi siete incontrate?- domandò Jonathan, sinceramente curioso. –Senza offesa, dubito frequentiate gli stessi ambienti.
–Abbiamo un amico in comune- rispose Paris in tono grondante sarcasmo. Non desiderava che di teletrasportarsi a casa, oppure all’Hard Rock Cafè per fare bisboccia insieme a Marnie e ai suoi amici. –Mi sono stufata di ballare, voglio sedermi e bere qualcosa.
–Oh. Ok. Siediti pure, prendo io da bere.
–Allora non hai capito: voglio stare lontano da te!- sbraitò, per poi girare sui tacchi e rifugiarsi nella solitudine del padiglione geologico. Sbollita la rabbia, venne corrosa dal rimorso: Jonathan non aveva colpe, esattamente come sua sorella, che quasi sicuramente non era a conoscenza degli intrallazzi segreti dell’apparentemente idilliaco Keiron. Meritava delle scuse.
Lo trovò intento a fumare, la schiena poggiata contro la porta dell’uscita di sicurezza sul retro.
–Sto cercando di starti alla larga, per favore facilitami il compito!
Non si aspettava il tappeto rosso, ma neppure una tale freddezza.
–Ti devo le mie scuse. Mi sono comportata da stronza. A mia difesa posso dire solo che sto passando un periodaccio, e…
Jonathan scrollò le spalle, aspirò l’ennesima boccata di rinfrescante piacere cancerogeno e rispose –Tranquilla, non me la sono presa. Secondo mia sorella è salutare che venga rifiutato, ridimensiona il mio abnorme ego- fraintendendo la ragione dell’improvviso irrigidirsi della bionda, corrugò la fronte e aggiunse –Comunque, se permetti un parere non richiesto, è lui a perderci.
Paris impallidì di colpo e per poco il cuore non schizzò fuori dalla gabbia toracica, tanto forte stava battendo.
–L-Lui?
–Il tizio che ti ha scaricata. Ho, ahimè, una certa esperienza in merito, fiuto subito un cuore infranto.
–Stavolta il tuo fiuto si è ingannato. Credevo fosse il cuore a piangere, poi ho capito che è l’orgoglio: non è mai piacevole essere mollati, specialmente all’improvviso, senza apparente motivo.
–Sei fortunata. Io ho scoperto che la donna che amo se ne frega altamente di me. Mi ha riso in faccia! Posso assicurarti che è tremendo. Mi sono sentito morire. Non deriderò mai più i personaggi dei drammi strappalacrime, mai più! Eppure sapevo a cosa andavo incontro, la conoscevo da anni… ma nulla può contro il masochismo da crocerossina! Il peggio è che, nonostante quello che sto passando, se tornasse da me la perdonerei.
Mentre tossicchiava la nuvola di fumo che le aveva soffiato dritta sul viso, Paris lo studiò di nascosto: per essere un superficiale (come credeva fosse chi lavorava nel mondo dello spettacolo) che ci provava praticamente con chiunque, aveva delle sfaccettature interessanti.
–Mi dispiace- mormorò. –Per questo e per… beh… prima.
–Posso sempre farti pagare pegno- ribatté Jonathan con un sorrisetto assai poco raccomandabile. –Un bacio? Mi sembra ragionevole.
–Te lo scordi! Non abbiamo dodici ann…
Non riuscì né a finire la frase, né ad irritarsi, era troppo occupata ad esaudire la preghiera di Marnie. Se in vita sua era mai stata baciata con maggior dolcezza o ardore, il ricordo non le era rimasto impresso nella mente. Interruppe a malincuore quel gradevole contatto, ma avevano entrambi bisogno di respirare.
–A dodici anni non mi sarei mai sognato di proporti di continuare in una delle sale vuote di sopra.
–A dodici anni non mi sarei mai sognata di accettare.

 
***
–Allora?
–Scimmietta curiosa! Non sai che una gentildonna gode e tace?
Marnie, fiondatasi in ufficio quella mattina al solo scopo di ottenere succosi pettegolezzi, sbuffò –Non tu! Tu devi cantare! Sono affamata di dettagli sconci!
–Niente sconcezze, è stato un gran bel matrimonio- la deluse Paris, quindi salutò con la mano il socio William Rice III, nipote di uno dei fondatori dello studio. –L’unico momento imbarazzante è stato quando un amico di Ewan - il dottore, quello rosso… com’è che si chiama? - è svenuto alla notizia che avrà un bambino. Fortunatamente la sorella di Jodie è infermiera e l’ha rianimato.
–Chi se ne frega! Mi importa di te! Hai scopato o no?
Impossibile mentire di fronte al cipiglio di Marnie, che sembrava una gorgone per via della folta chioma bionda che le mulinava indisciplinata intorno al viso.
–Sì. Anticipo le risposte alle domande che sicuramente mi rivolgerai: sì, mi è piaciuto, e no, non lo rivedrò!
L’assistente di ricerca rimase spiazzata, in religioso silenzio per alcuni secondi, poi lanciò un’offensiva di assurdità a raffica.
–Perché? È sposato? Fidanzato? Ragazzo padre? Segretamente gay? Membro di una setta? Affetto da una malattia incurabile?
–Mi ha chiamata col nome della sua ex!- sbraitò l’avvocato Mason. –Ho già abbastanza problemi senza accollarmi la riabilitazione amorosa di Jonathan Carmassi!
Da sconcertata, l’espressione di Marnie mutò in estatica: abbracciò di slancio la sua datrice di lavoro e trillò –Hai fatto sesso con Jonathan Carmassi! Sono strafiera di te! È un figo da paura! Se non fosse troppo vecchio ci farei un pensierino: scommetto che è un toro scatenato!
–Vecchio? Ha l’età di Ewan, ovvero due anni più di me. Devo dedurre che mi consideri una vecchietta?- sbottò Paris, prima di registrare un’ informazione. –Aspetta un attimo… tu lo conosci?
–Ogni amante del buon cibo conosce - e idolatra - Jonathan Carmassi!- spiegò la ragazza. Scacciò con un plateale movimento della mano l’obiezione dell’altra, che aveva stretto tra le dita il risultato dell’amore per le leccornie e precisò –Tutti tranne te. Questo cambia le cose: devi assolutamente chiamarlo!
–Mi ha. Chiamata. Col nome. Della sua. Ex!- ripeté Paris, battendo i pugni sulla scrivania. –Chiusa la questione!
Per qualcuno, però, la questione non era chiusa, e questo qualcuno entrò nell’ufficio senza bussare, si sedette senza invito e sibilò in tono canzonatorio –E così ti sei data da fare al matrimonio di tuo cugino. Brava!
–Non è affar tuo, Billy- rispose Paris senza degnarsi di staccare gli occhi dalle carte che stava esaminando.
–Non è affar mio?- ruggì l’uomo, in preda alla rabbia, scaraventando sul pavimento tutti gli oggetti presenti sulla scrivania. –Non è affar mio che la dai a chiunque, tranne me?
Paris levò lo sguardo al soffitto, esasperata: quella scena si ripeteva, col medesimo copione, con cadenza almeno quotidiana. Possibile che quella zucca di marmo non accettasse un “no”? Philly era piena di donne, sia libere che a pagamento, perché non la lasciava in pace?
–Siamo soci, Billy, lavoriamo insieme. Ti ritengo una bella persona, ma non mi va di mischiare lavoro e piacere. Ho un’etica professionale poco elastica, spiacente. Se hai appoggiato la mia nomina a socia nella speranza che ricambiassi il favore in natura, tanto vale mi licenzi!
Quel giorno il copione subì una brusca variazione: Rice passò dalle parole ai fatti; artigliò Paris con violenza e la sbatté contro il mobile dove teneva i documenti più importanti. Il suo tocco la disgustava al punto che, non riuscendo a liberarsi con calci e morsi, ripensò al suo ultimo caso, la difesa di Debbie Pearson, assolta per legittima difesa dall’omicidio del patrigno violento. Assodato che a volte la violenza è l’unico rimedio alla violenza, avrebbe potuto anche lei farla franca, se avesse colpito quel viscido col pesante soprammobile che pareva non desiderare altro che diventare arma impropria?
La faccenda si risolse senza violenza: la salvezza giunse sotto forma di  nientepopodimeno che da Parker Dyson Jr., figlio del  socio più anziano.
–Levale le mani di dosso, Will, sei la vergogna della categoria!- ringhiò, rivolgendo un’occhiata ammonitrice a Paris. –Purtroppo è nel comune interesse evitare lo scandalo, ma giuro che se osi riprovarci mio padre verrà a saperlo. Stai bene, Perry?
–Ho evitato l’omicidio, non mi posso lamentare. Grazie- rispose lei, serbando nel segreto del proprio cervello la certezza che quel bastardo ci avrebbe riprovato e la conseguente intenzione di tutelarsi comprando una pistola o un taser.
A volte la violenza è l’unico rimedio.
 
***
 
I momenti di tranquillità erano rari, nello studio Dyson, Rice&Mason. Marnie ne stava approfittando per raccontare della crociera ai Caraibi in compagnia di Paris, “disperatamente bisognosa di staccare la spina” ad un rapito Parker. Sorrise, compiaciuta: amava essere protagonista, vedere le persone pendere dalle sue labbra; il fatto che la persona in questione fosse Parker, poi, era un bonus non indifferente. Tuttavia, la sua attenzione venne presto catalizzata da una terza presenza nella stanza, una presenza del tutto inattesa. Esterrefatta, si tappò la bocca con le mani, dopodiché, recuperata la calma, tirò fuori da un cassetto carta e penna.
–Buongiorno! Sono Marnie, segretaria e assistente di ricerca. Come posso aiutarti?
–Genitori fanatici di Hitchcock, eh?
–Puoi dirlo forte!- esclamò la ragazza, balzando in piedi per stringergli la mano. –Inutile che ti presenti, so chi sei… e bramo un autografo!- non appena lo ebbe ottenuto e riposto in borsa, celiò –Di norma Perry riceve su appuntamento, ma per te farà un’eccezione- bussò alla porta chiusa e, quando Paris fece capolino, la trascinò nell’ingresso.
In mancanza di idee migliori, Jonathan esordì esclamando –Sorpresa!
–Ti rifai vivo dopo sei mesi di latitanza totale e questo è il tuo meglio? “Sorpresa”?
–Dai, Perry, apprezza lo sforzo!- tentò di intercedere Marnie.
–Tu stanne fuori, o ti tappo la bocca col nastro adesivo!
–Santo cielo, sembrate sorelle!- osservò Jonathan, rimirando due rose della stessa varietà, una in boccio e un bocciolo e una nel pieno della fioritura.
 –Succede, se hai la fortuna di avere una zia giovane e figa!
–Mio fratello Connor l’ha avuta a sedici anni- spiegò  Paris, che teneva un braccio sulle spalle della peperina. –Io ne avevo undici. Prima che lo domandi: Marnie ha saltato il matrimonio dandosi malata, ecco perché non l’hai notata. Non te l’ho ancora perdonato, nipote, sappilo!
–Oh, piantala! Se fossi venuta con te mi saresti stata appiccicata tutto il giorno, invece di divertirti. Piuttosto, ringraziami in ginocchio per aver attirato qui questo baldo vecchietto!
–Vecchio a chi? Porta rispetto, ragazzina!
–La ragazzina ha l’età legale per bere alcolici, nonno!
–Hai perso il ciuccio? Ti aiuto a cercarlo!
–Non prima di aver trovato il tuo bastone!
–Silenzio!- barrì Paris, ponendo fine alla guerra verbale. –Mi fate venire l’emicrania. Qualcuno potrebbe spiegarmi cosa ci fa lui qui?
–Non è ovvio? Vuol… mpf- si intromise Marnie, prontamente zittita da Parker, che la allontanò di peso con un secco –Andiamo a prendere un caffè, Perry. Volete qualcosa?
La sua risposta mentre veniva trascinata via (“–E che cacchio! Volevo godermi lo spettacolo!”) fece ridere nervosamente gli altri due. Dopo un breve silenzio, Jonathan si decise ad aprir bocca.
–Qualcosa mi dice che eri così, alla sua età.
–Persino peggio!- ridacchiò Paris. –Solo, non avevo la sua libertà: i miei mi stavano col fiato sul collo per evitare che combinassi qualche guaio. Dopo che Connor ha messo incinta la sua ragazza a sedici anni un po’ era comprensibile, però mi sarebbe piaciuto darmi alla pazza gioia. Tento di recuperare il tempo perduto adesso: a parte Ewan e i colleghi, frequento solamente giovani, ehm, ragazzini. I giovani siamo noi!
–Giusto!- annuì, grattandosi la nuca per alleviare la tensione. –Sai, mi ha fatto piacere avere tue notizie, anche se tramite tua nipote; ha scritto che morivi dalla voglia di vedermi.
–In vita mia non sono mai morta dalla voglia!- latrò Paris, infervorandosi: Marnie aveva oltrepassato il limite! –Però ti ho pensato tanto, questo sì.
–Anch’io, un evento piuttosto raro. Non il pensare in sé, naturalmente - ho un cervello e lo uso, piuttosto spesso e piuttosto bene, direi - solo… non mi capitava da parecchio di avere pensieri monotematici. Quello che sto cercando di dire, tra mille giri di parole, è che anch'io ti ho pensata, ecco. Volevo telefonarti, o mandarti una mail, ma sul più bello mi è sempre mancato il coraggio.
–Idem.
–In questi sei mesi sono successe tante cose. Potremmo imitare i giovincelli e aggiornarci davanti a un caffè. Mi piace la tua compagnia, e poi credo sia il minimo, dopo…
–Che ho fatto sesso con te dentro la ricostruzione di una piramide Maya durante un ricevimento di nozze? Piacere mio! Anche. E tranquillo: non me la sono presa perché hai sbagliato nome. Non troppo, almeno.
Sebbene fosse un adulto, Jonathan avvampò e dovette schiarirsi la voce, prima di replicare –Bene, mi fa… piacere? Comunque c’è dell’altro: Carrie è tornata strisciando, implorando perdono.
–Capisco- esalò Paris, maledicendo ancora una volta la venuzza romantica che le aveva fatto sperare in un finale diverso, meno prevedibile, meno banale… il suo lieto fine. –Vuoi il mio silenzio, o direttamente la mia eliminazione fisica? Per comprare il primo un caffè è sufficiente, per la seconda, invece… dovrai passare sul mio cadavere! Letteralmente.
–L’ho mandata al diavolo.
Pur conscia del rischio che, in quanto asmatica, correva iperventilando, Paris non riusciva a regolarizzare il respiro: cuore e polmoni avevano eluso il controllo cerebrale, assumendo un ritmo tutto loro.
–Non siete tornati insieme? Sei qui per me? Oddio! Oddio! Oddio!
Interrompere la litania fu difficile: l’incessante susseguirsi di “Oddio!” aveva un che di ipnotico. Ma ci riuscì.
–Non sei contenta? Credevo lo desiderassi quanto me!
Ripresasi dallo shock, la Mason, facendosi aria con le mani, esalò –Desidero tante cose, Jonathan Carmassi.
–Per esempio?
–Un mondo senza fumo e Miss America, un corpo da modella, alzarmi a mezzogiorno la domenica, cantare e ballare nuda per casa con le finestre aperte, restare a crogiolarmi nella vasca idromassaggio finché non mi si raggrinziscono le falangi, godermi il pasticcio di carne di Moriarty’s senza pensare alle calorie, uccidere William Rice, rendere mia nipote meno simile a me… cenare da Rouge con te, stasera, e svegliarmi accanto a te domattina.
–Soltanto domattina?
–Vacci piano, seduttore!- lo redarguì dolcemente. –Un passo alla volta.
I piccioncini, presi dal loro tubare, non si erano accorti del ritorno di uragano Marnie e la sua paziente balia Parker, ritemprati dalla pausa (o forse dalla caffeina). Con grande sforzo quest’ultimo riuscì ad impedirle di rovinare l’idillio, trattenendola nell’atrio.
–Ma uffa!- sbottò lei. –Vanno da Rouge! ROUGE! Il locale più chic di Philly! Sogno di andarci da quando ero un’adolescente brufolosa! Sì, avevo i brufoli. Perché, tu no?- Parker si morse la lingua per non ridere e negò con la testa. –Buon per te. Ridi e ti faccio diventare una voce bianca! Ora vado da loro e li supplico di portarmi!
–Ti abbasseresti a fare da terzo incomodo?
–Qualunque cosa, pur di entrare da Rouge!
Parker Dyson avrebbe preferito giocarsi quella carta in un’altra occasione, ma a mali estremi, estremi rimedi: sospirò, rassegnato –Se ti ci porto io, prometti di tacere?
Incredula di cotanta fortuna, Marnie non esitò a cogliere la palla al balzo. Mesi di duro lavoro e tattiche manipolatorie da far impallidire un agente dell’FBI erano serviti allo scopo! Per salvare le apparenze, esibì una studiata indifferenza.
–Ok. Però andiamo stasera, devo spiar… ehm, vegliare su Perry!
 
Nota dell’autrice:
Chi si era chiesto cosa è accaduto dopo il matrimonio avrà apprezzato questo extra. Spero sia piaciuto anche a chi considerava la storia conclusa con “The end”.
Paris e il suo Johnny hanno avanti a loro spalancata una porta di felicità… sempre che Marnie non si intrometta! Vi sono venuti gli occhi a cuoricino? Ditemi di sì, dai! Fatemi felice!
Credo che sfornerò un altro paio di extra, anche se non a breve: luglio è alle porte, tocca studiare sul serio! *paura*
Un bacione e buona estate a tutti!
Serpentina
Ps: i cittadini di Philadelphia chiamano informalmente la città Philly, ed è vero che iperventilare (respiri brevi e frequenti) può scatenare un attacco asmatico.
 
 
 

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