Fortunato colui che riconosce la crepa che scalfisce la roccia

di Fly_ya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***





Arrivai a  Venezia con la mia nave. L'equipaggio era stremato ed affamato per i lunghissimi mesi passati in mare e gli ultimi giorni trascorsi senza provviste abbastanza. Attraccammo al porto, liddove sembrasse più tranquillo e l'equipaggio si dimenò sulla passerella pronti per una notte all'insegna di birra, vino, cibo e donne. Avevamo attraversato tutto il Mediterraneo nel giro di pochi giorni, e avevamo oltrepassato lo Stretto di Gibilterra avventurandoci per l'impervio Oceano Atlantico. Avevamo toccato territori che non avevamo mai esplorato prima d'ora, io come la mia ciurma: Canada, Stati Uniti, Brasile, Argentina e poi ancora per l'Oceano Pacifico, Giappone, Cina, Thailandia e India. 
In ognuno di questi luoghi c'eravamo fermati almeno un mese e nel periodo trascorso scoprimmo nuovi modi di vivere e di agire. In Canada arrivammo durante l'inverno: le temperature bassissime ghiacciarono i mari per un periodo di tempo durante cui fummo costretti ad aspettare ed aspettammo esattamente tre mesi, tre mesi in cui conoscemmo la gente e guadagnammo denaro sgozzando qualche gola o cacciando animali per ricavarne carne e pelli. 
Negli Stati Uniti, l'esperienza fu ben diversa: il paese era nel bel mezzo di una guerra contro il Messico, guerra che durò 2 anni e che finì con la cessione di una gran parte di territorio messicano agli americani: qui apprendemmo l'uso di una nuova arma, la rivoltella, ovvero una pistola a tamburo che non aveva più bisogno dell'acciarino per far fuoco. Anche negli Stati Uniti fummo assoldati per una gran quantità di denaro e combattemmo contro i messicani. 
Col denaro guadagnato dagli americani ripartimmo per l'America del Sud dove scoprimmo le bellezze dell' ex colonia portoghese ormai diventato l'impero brasiliano e in Argentina dove venimmo a conoscenza della presenza di un ingente miniera d'oro nella Cordigliera delle Ande a cavallo tra l'Argentina e il Cile. E chiaramente non potevamo farci sfuggire un'occasione del genere: ci recammo fino alle coste del Cile, attraccammo la nave al porto e con dei cavalli rubati al primo allevamento avvistato ci recammo verso la miniera. Con grazia e abilità rubammo una grandissima quantità d'oro tnato da poter finanziare le tasche di tutto l'equipaggio per vari anni.  In tal modo il nostro viaggio proseguì attraverso l'Oceano Pacifico - per mia opinione chiamato erroneamente in tal modo - dove infuriò la tempesta per la maggior parte del viaggio. 
Giungemmo in Giappone e poi in Cina, dove piccoli uomini dagli occhi tiratissimi, quasi a scomparsa sotto le sopracciglia nere, davano il benvenuto inclinando la testa in avanti e parlavano la lingua più difficile da me udita e mediamente imparata. 
In Thailandia, l'equipaggio si rilassò all'insegna di donne e diverimento e in India, territorio controllato ancora dagli inglesi, apprendemmo i meccanismi degli scambi commerciali. Ritornammo in patria solo 5 anni dopo attraverso il canale di Suez e le difficoltà che la mancanza di provviste aveva causato. Molti uomini si ammalarono, alcuni morirono. I morti furono commemorati secondo il rito pirata: legati alla poppa della nave e poi abbandonati alle onde fino agli abissi. Eravamo partiti in 30 e ritornavamo in 18. Dicono che i pirati sono crudeli, che non si curano di un "fratello" che muore. Ma l'equipaggio è una famiglia. O almeno il mio lo era, e lo è, e vi assicuro che quegli uomini rudi, che a detta dei più, non sono dotati di amore nè di bellezza nè di buone maniere, piansero ognuno dei componenti della famiglia che perì. 
Venezia in 5 anni non era cambiata molto. Acqua ovunque, guardie ovunque, topi fuggiti alle fogne ovunque. Ma nonostante l'odore penetrante e sgradevole, io potevo avvertire solo odore di casa. 

 


Il sole era tramontato da un pezzo. Io e l'equipaggio camminavamo per le strade della Serenissima alla ricerca di una locanda per rifucillarci. Ma come ho già detto, le guardie in questa città sono dapperttutto e non ci volle molto al piazzarsi in modo minaccioso dinanzi al primo dei miei uomini sulla strada. Notai all'istante, pur essendo dietro le file, che le guardie portavano il beauceant1 sulla cappa. 
Fermi. Chi siete? chiese il Templare incrociando la lancia con quella del collega per sbarrare la nostra strada. Sul suo viso c'era un sorrisino dipinto che mi faceva storcere non poco il naso. 
Siamo appena arrivati da un lungo viaggio in nave. Siamo in cerca di una locanda. rispose Harvey, che si trovava in prima fila, e aveva prontamente nascosto la pistola nel dietro dei calzoni dalla vita alta. 
Siete marinai? domandò il cavaliere cristiano avvicinandosi di più facendo leva sulla lancia come fosse un bastone. Inspirò rumorosamente. L'odore non vi tradisce. Chi è il vostro capitano? 
I corsari si scambiarono delle occhiate tra loro dopodichè sapendo esattamente dove mi trovavo, aprirono un corridoio disponendosi ai lati della mia figura. Iniziai ad avanzare. I tacchi degli stivali rimbombavano per le strade buie e silenzione della notte veneziana. Una delle guardie aveva stretto gli occhi per cercare di distinguere il mio profilo nel buio. Feci una decina di passi tenendo il tricorno basso sul viso e solo quando gli fui a pochi centimetri lo spostai dal viso. Nel suo sguardo lessi smarrimento e incredulità. 
Buonasera, signori! Problemi? esclamai con fare divertito e provocatorio. 
Una donna... una donna... le labbra dei due templari si mossero mormorando queste parole per un tempo fin troppo lungo per i miei gusti. Eravamo nel 1850 e loro si sconvolgevano ancora per una donna-capitano. Ridicolo. Si ridestarono solo dopo una scossa di capo. Sarebbe meglio fare una perquisizione. Partiamo da lei. disse al collega. Notai il sorrisino sulle labbra del primo e dopo anche su quelle del secondo. Inarcai le sopracciglia. Il templare mi afferrò per un braccio e mi premette con la faccia e le mani contro il muro. Iniziò quella che lui voleva far passare per perquisizione ma in realtà era solo il modo più scontato e viscido per toccare una donna. Iniziò poggiando le mani sulle spalle dopodichè scese sul torace per poi passare al seno che trinse come chi ha desiderio di fare l'amore. Aspettai. Aspettai che scendesse appena più sotto dei fianchi in modo che le mie braccia fossero fuori dalla sua visuale: estrassi due pistole dalla parte interna degli stivali e mi voltai con una velocità, che lui parve non comprendere, perchè cadde a terra, sotto la canna della mia rivoltella. Cosa c'è? Adesso non fai più lo stronzo? Sparai diritto in mezzo ai suoi occhi. Atterrò a terrà con gli occhi spalancati oltre i quali si poteva ancora leggere la paura. L'altro templare se l'era data a gambe levate. Probabilmente non sapeva che a me non sfugge nessuno: mirai da una distanza di circa trenta metri mentre il cavaliera ancora correva ogni tanto girandosi indietro. Sparai. Il templerare cadde a terra mentre l'equipaggio prendeva ad urlare, festeggiare e tessere le mie lodi. Sparai un altro colpo in aria. L'equipaggio si fermò. Prendete i corpi e gettateli in mare legandoli a un masso. ordinai con uno sguardo serio e la voce dura. E dopo divertitevi. affermai con un sorriso. Rimasi da sola in quella stradina. Rivolsi lo sguardo al di sopra della mia testa: sapevo bene cosa avevo visto, un'ombra alla quale avevo sparato contro. I miei compagni non si accorsero nemmeno di lei ma non ne feci loro una colpa. Ci sono cose che non si possono pretendere da uomini che scelgono di abbandonare la loro vita mediocre per intraprendere la pirateria e tentare la fortuna. Guardai al suolo, esattamente sotto la balconata cui avevo sparato. Sangue.
L'ombra adesso era ferita. 

 


NOTE
1
Croce rossa templare su uno sfondo metà bianco metà nero



 




Salve a tutti! Sono Flavya, ho 22 anni e sono una fan sfegatata di AC, motivo per il quale improvvisamente ho deciso di farne una Fan Fiction. Nonostante abbia amato - chi più e chi meno -  tutti i personaggi della serie, non mi sono sentita di scrivere qualcosa che variasse la loro vera storia -  a mio parere, sublime. Per questro motivo ho deciso di coinvolgere nella storia un personaggio femminile del tutto nuovo e un personaggio maschile che esiste nella serie, ma non vi svelerò chi è (anche se molto probabilmente non lo conoscete). Cercherò di pubblicare ogni 2 giorni un nuovo capitolo. Non ho intenzione di renderla molto prolissa per cui non vi aspettate nessuna Divina Commedia 2.0. Il rating per il momento è arancione, ma in base a delle modifiche che sto cercando di apportare potrebbe diventare rosso. Nel prossimo capitolo cercherò di pubblicare anche un disegno che ho fatto del personaggio femminile. Spero vivamente vi piaccia, lasciate un commento se vi và: io risponderò a tutti sicuramente! Buona lettura e a domani!
XOXO, Flavya

 

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


Nella locanda i miei uomini bevvero come se il domani non importasse. Quella notte importava solo di essere a casa, sulla terraferma, vivi e vegeti. Alcuni parlavano con le puttane della locanda, raccontando loro le storie d'oltreoceano. Altri si giocavano un po' della fortuna che era rimasta dai guadagni in Cile. Altri gareggiavano nel bere. Io mi godevo la scena. Vedere l'equipaggio felice ed appagato era una delle priorità di un capitano. Un brindisi al nostro bellissimo capitano, la donna che tutti vogliono ma che nessuno ha, libera da ogni catena, infallibile nella mira, amica fedele e leale e nemica crudele, prima nel suo nome ad essere un pirata. Salute al capitano Lena Jones! Alzai la brocca di ferro, che conteneva quella che, ormai, era la terza birra, al brindisi celebrativo appena fatto da Harvey. Tutti nella locanda seguirono il mio movimento e urlarono qualcosa che non riuscii a comprendere nell'accavallamento di voci. 
Decidemmo che quella sera avremmo dormito alla locanda: dopo tanti anni in mare, avevamo bisogno di un po' di comodità. La mia stanza era in cima alle scale: avevo espressamente chiesto che fosse separata da tutti gli altri e che vi fosse una vasca da bagno per togliere la salsedine degli ultimi mesi da ogni centimetro del mio corpo. Il tetto era mansardato e dal lato del letto, formato da un telaio di ferro arrugginito e da un materasso di crine con una coperta di lana, non potevo stare in piedi. Sulla parete frontale all'entrata si apriva il balconcino che quella notte dava su una splendida luna luminosa. La vasca, che era quasi al centro della stanza, si stava riempendo d'acqua alla quale avevo aggiunto alcuni oli profumati provenienti dall'India. Mi liberai delle armi e dei vestiti logori con un odore di salsedine alquanto penetrante, di cui mi resi conto solo allora, e li gettai in terra alla vasca dopodichè sciolsi la chioma dalle numerose trecce ferme sul capo. Entrai nella vasca e mi stesi con viso rivolto verso la finestra e mi rilassai poggiando le braccia sui bordi della vasca. Chiusi gli occhi e credo che per un secondo rischiai di addormentarmi. E forse lo feci. Sentii un rumore e mi ridestai senza aprire gli occhi. Allungai il braccio verso il coltello che era al di sopra dei vestiti a terra alla vasca e, non appena riuscii ad abbrancarlo, mi sentii afferrare il mento verso l'alto con violenza, cosa che mi portò a spalancare gli occhi, e puntare un coltello alla gola. Ricambiai il favore. Davanti a me rinvenni una figura incappucciata: il suo viso era totalmente nell'ombra, potevo solo scorgere le labbra inclinate in un ghigno stupefatto. La mano che mi teneva il mento era ampia e dimostrava la potenza dell'uomo. Ti hanno mai detto che non si spara al primo che capita? la sua voce era roca, quasi un sussurro e io capii che si trattava dell'uomo ombra cui poche ore prima avevo rivolto il mio saluto più invitante sparando un colpo nella sua direzione. Mi hanno sempre detto di salutare le persone, solo che io lo faccio in un modo differente. dissi a denti stretti dato che la mano dell'incappucciato mi impediva di muovere la mascella. Facciamo così posiamo le armi al mio tre. Uno, ...  La sua mano allentò la presa sulla mandibola. Due, ... il coltellò iniziò ad essere allontanato dalla mia trachea Tre. cercai di impiantargli il coltello nella carne viva ma non ci riuscii perchè lui intercettò il movimento del mio braccio alla perfezione, come se già sapesse che avrei provato ad ucciderlo. Mi strappò il coltello dalle mani e lo gettò in terra lasciandolo cadere dalle sue. Fece il giro intorno alla vasca fino a trovarsi faccia a faccia con me. Devo parlarti, ho un accordo da offrirti. proferì serio accovacciandosi sulle ginocchia e poggiandoci sopra i gomiti. Solitamente fai accordi con le persone mentre sono nella vasca da bagno? ribattei indispettita uscendo dalla vasca e coprendomi con un telo bianco. Notai che l'uomo voltò la faccia per non insistere con lo sguardo sulla mia nudità mentre l'espressione della sua bocca si trasmutò da seria a imbarazzata. Mi dispiace, ma io non faccio affari con gli assassini.affermai con fermezza e fredda come un iceberg, senza girarmi verso di lui. Feci per cercare qualcosa per temporeggiare dato che l'uomo non si degnava di dare risposta. Cosa sai degli Assassini? prese la parola tenendo i denti stretti così come i pugni. Il suo atteggiamento era cambiato: ora era sulla difensiva e iniziava a rendersi conto che ero tutto fuorchè un'amica. So molto più di quanto tu possa immaginare! risposi sprezzante voltandomi verso di lui e ritrovandomi ad un palmo dalla sua faccia. Credete di essere dalla parte degli innocenti, ma non è così. Il vostro credo non è altro che un'adunanza di folli che voglio prendere le redini del mondo credendo di fare sempre la cosa giusta. Ma dimmi assassino: quante madri, quanti padri, quanti figli hai ucciso senza pensare nemmeno per un secondo alla sofferenza che avresti potuto provocare? il mio sguardo era accigliato e sdegnoso. Di tutta risposta lui attivò la scocca nel suo vambrace al braccio sinistro e mi puntò la lama celata sotto il mento. Lo interruppi all'istante nel momento in cui vidi che voleva controbattere. Adesso mi dirai che gli assassini agiscono per la realizzazione di un disegno più grande, contro coloro che non permettono il libero arbitrio, contro gli oppressori. Ma quanti innocenti sono rimaste vittime dei vostri "disegni" delle vostre "azioni benefiche"? Regola numero uno: Trattenere la lama dalla carne degli innocenti. Infranta. Regola numero due: Nascondersi alla vista. Credete che con un cappuccio vi nascondete ma coprite solamente la faccia dell'ipocrisia. Regola numero tre: Non compromettere la confraternita. Ed è qui il bello. Si agisce solo per la confraternita, solo ed esclusivamente per essa. Anche voi siete privi del libero arbitrio e schiavi di un'istituzione che vi ha risucchiato l'anima. Spostai la lama  dal mento. Non sono in grado, ancora oggi, di descrivere la sua faccia in quel momento. Un misto di delusione, rabbia e sorpresa si alternavano nella sua espressione. Chi sei tu? Come fai a sapere le regole del credo? Sono un pirata e sono una donna. Posso ottenere tutto quello che voglio, con le buone e con le cattive. Scoppiai in una risata fragorosa mentre l'assassino usciva dalla balconata guardandosi indietro. Il suo sguardo voleva dire solo una cosa in quel momento: Non è finita qui.

 


Venezia era diventata più caotica di come la ricordassi. I mercati erano ampi e ferventi, la moneta aveva acquisito valore e non era rara la presenza di mercanti stranieri provenienti soprattutto dall'Est e dall'Africa Settentrionale. L'accavallamento di varie lingue avrebbe confuso chiunque su che città fosse quella. 
L'equipaggio era stato congedato fino a data da destinarsi: ne sarebbe passato di tempo prima di ripartire. I corsari avrebbero dovuto finire tutto l'oro che era entrato nelle loro tasche, prima di ritenere necessario un nuovo viaggio senza meta. Qualcuno ogni tanto si presentava alla nave per aiutarmi a darle una mano di spazzolone. La nave aveva ormai una cinquantina d'anni: mi era stata donata da mio padre che era stato anni prima un capitano di ventura, o almeno così mi era sempre stato raccontato. 
Me ne stavo seduta al sole sul bompresso osservando le persone che passeggiavano a gruppi. Ogni tanto rivolgevo loro un saluto alzando di poco il capello a tricorno dalla testa e loro di risposta inchinavano il capo per poi avvicinarsi tra loro e bisbigliare qualcosa coprendosi la bocca. La cosa mi divertiva alquanto. Nonostante lo sviluppo regnasse padrone nella città lagunare le menti del persone risultavano ancora tarate e non preddisposte ai cambiamenti. 
Harvey comparve alle mie spalle. Capitano, volevo chiederle il permesso di organizzare una festa qui sulla nave e invitare alcune persone. La richiesta mi parve alquanto strana, lo ammetto, ma acconsentii; come ho già detto il mio equipaggio era la mia famiglia. 
La ciurma si presentò ai miei occhi al rintocco della terzultima ora del giorno. Erano passati dieci giorni dal nostro arrivo a Venezia e tutti si era dati una bella rastrellata: Le barbe non era più così lunghe e crespe come il giorno dell'arrivo. I capelli perfettamente rasati a due dita dal cuoio capelluto per la maggior parte di loro; altri invece li avevano tenuti più lunghi sulle spalle conoscendo evidentemente il fascino dell'uomo coi capelli lunghi. La pelle dei pirati era quasi confondibile con quella di uno straniero proveniente dal sud del mondo: colore del caffè, cosa che indicava perfettamente la loro posizione nella scala gerarchica economica. Il colorito abbronzato però faceva risaltare moltissimo i loro occhi profondi e luminosi, che avevano vissuto avventure ed esperienze inimmaginabili. Molti di loro avevano comperato dei nuovi abiti: sfoggiavano giacche e pantaloni di taffetas, broccato o addirittura damascato. Quasi mi commossi per il loro bell'aspetto. Avevano invitato delle donne e dei musicisti, comprato vino e cibo in abbondanza. La serata si svolse a suon di danze e canti, e qualcuno ebbe un intrattenimento più passionale. Harvey venne al mio fianco porgendomi un calice ampio di vino rosso. La ringrazio Capitano Jones.Alzò il calice dopo che ebbi preso il mio con la mano sinistra e ricambiai il gesto sorridendo, inarcando leggermente la bocca. Bevvi quel vino rivolgendo lo sguardo al mare aperto, quando ritrovai davanti ai miei occhi, con mia grande sorpresa, la figura incappucciata dell'assassino che mi guardava in piedi dal bompresso come se aspettasse qualcosa che prima o poi sarebbe arrivato. Rigirai il calice di vino, ormai vuoto, tra le mani quando capii. L'assassino aveva sicuramente messo qualcosa nella mia coppa e non ci volle molto perchè i sintomi si facessero sentire: il bicchiere mi cadde dalle mani e rimbalzò sordamente sulle assi della nave, il fracasso diu musica e boccali che urtavano tra loro per berindare e delle risate divenne ad un tratto tacito. Caddi in ginocchio poggiando le mani sul legno ruvido: non riuscivo ad avvertire più il tatto. Abbassai la testa in preda allo sconforto e al terrore, vidi l'assassino avvicinarsi a me lentamente, come se avesse avuto tutto sotto controllo, e mi prese tra le braccia. Subito dopo: blackout.
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Ero in una stanza buia, legata ad una sedia con un nastro che mi tappava la bocca. Non riuscivo a vedere niente intorno a me: oltre al buio avevo la sensazione di avere la vista appannata, motivo per cui sbattei le palpebre più e più volte sperando che il campo visivo tornasse ad essere vivido. Improvvisamente  una luce accecante illuminò la stanza costringendomi a chiudere gli occhi per l'abbaglio. Cercai di abituarmi alla luce tenendo dapprima gli occhi stretti ma tutto quello che riuscii a vedere fu l'assassino che incombeva su di me insieme ad altri suoi confratelli. Vedevo le loro lame celate scoccate davanti alla mia faccia. Dalla mia gola non veniva fuori alcun suono. Cosa diavolo stava succedendo? 
Proditrix1 inveì uno di loro contro di me affondando la lama nel mio costato.
Prostituta affermò un'altro conficcandomi la lama nella clavicola.
Vendita2 sentenziò colui che mi aveva rapita, piantandomi la lama esattamente nel cuore.
Aprii gli occhi gridando in preda al panico. Mi agitai violentemente ma le mani legate mi impedivano ogni tipo di movimento. L'assassino era lì e si avvicinò a me cercando di zittirmi e calmarmi. Tranquilla era un sogno. Tranquilla. Il mio respiro affannato non cessava. L'assassino si sporse verso di me, ma io cercai di scacciarlo dimenandomi senza sosta. Calmati, diavolo. disse in un urlo strozzato, fermandomi poggiando il peso del suo corpo sul mio. Il cappuccio gli cadde dal capo e scoprì il suo volto, zittendomi definitivamente. I suoi tratti somatici erano sicuramente un miscuglio di razze: la mascella era bel delineata e la barba fina e curatissima ne sottolineava ancor di più l'arco, le labbra erano carnose ma della giusta misura, gli zigomi alti e pallidi gli facevano apparire gli occhi più stretti di quello che erano, e i capelli risplendevano di un nero lucente e terminavano in morbidi ricci. Quando rilassò l'espressione del viso, potei piantare i miei occhi nei suoi verdi oliva circondati da una quantità sorprendente di ciglia nere che rendevano lo guardo pietrificante. Mi ricordò qualcuno che non fui in grado di identificare nella mia memoria. Donne... commentò rigirandosi e adagiando il cappuccio sul capo con un movimento lento e delicato. Dove sono? Che diavolo mi hai fatto bere? dissi lanciandoci un calcio col tacco dello stivale. Spazientito, si tuffò su di me e mi puntò la lama alla gola. Deglutii. Smettila. La mia pazienza ha un limite. sputò minaccioso e in un secondo tempo si alzò. Sei nel mio rifugio. Quello che ti ho dato da bere era solo una droga soporifera mischiata col vino. Hai dormito per 12 ore. Sarai pure donna, sarai pure un pirata, ma non sei riuscita a liberarti di me. disse sorridendo e mostrando i denti per farsi beffa di me. Se fai la brava ti slego. Si avvicinò silenziosamente e con la lama di un coltello tranciò le corde. 
Non avrei fatto l'errore di aggredirlo. Avevo già notato che le mie armi non erano più con me quindi le mie possibilità di vittoria contro di lui erano realmente basse. Dove sono le mie armi? dissi massaggiandomi i polsi e stiracchiandomi il collo e le spalle doloranti. L'assassino si voltò verso di me e mi invitò al tavolo per cibarmi. 
Solo adesso davo un'occhiata alla stanza in cui ero. Le pareti erano spoglie: non c'era un quadro, nè nient'altro. Il letto, che aveva la struttura di legno e il materasso sarà stato di lana a giudicare dalla morbidezza, giaceva in un angolo della stanza sovrastato da una piccola finestra. Ai piedi del letto c'era la porta, la quale sicuramente era bloccata dall'esterno o con qualche marchingegno, e, a giudicare dalle voci, dava su un'altra stanza molto affollata in quel momento. Il tavolo di legno minimalista, con giusto due sedie, accoglieva un pasto proteico alquanto ricco. L'assassino non mi staccava gli occhi di dosso nemmeno per un secondo: studiò insieme a me ogni angolo della sua dimora facendomi sentire fortemente a disagio. 
Mi accomodai sulla sedia tenendo le mani alla base del collo a confine con le spalle. Un piccolo lamento mi scappò dalle labbra. L'uomo venne al mio fianco. Ti fa male? chiese con una nota di dispiacere nel tono. Se non mi avessi drogata, e poi legata per più di 12 ore, non mi farebbe alcun male. risposi aggressiva. Lui serrò le labbra e iniziò a massaggiarmi il collo con le mani. Mi dispiace, non l'avrei fatto se ti fossi mostrata più... disponibile. Godendomi il massaggio senza discussioni, esasperata domandai: Cosa diavolo vuoi da me? Si accovacciò sul mio orecchio sinistro e sussurrò. Te. Incarcai il sopracciglio di pronta risposta e lui smise il massaggio sul mio collo. Il capo della Confraternita cui appartengo mi ha chiesto di trovarti. Non conosco i suoi scopi ma mi ha assicurato che non ti verrà fatto alcun male. Quindi devo portarti a Masyaf affinchè tu possa parlare con lui.Mi alzai e mi voltai per guardarlo in faccia. Il mio corpo era preda di un tremore. "Sei un folle se credi che io venga a Masyaf con te. Lui non si scompose. Se non lo farai di tua spontanea volontà, dovrò farlo con la forza. Un ghigno si dipinse sulle sue labbra. Non ebbi il tempo di rispondere che mi diede un colpo sulla nuca e caddi in terra priva di sensi. 

 


Quando mi risvegliai ero a bordo della mia nave, legata all'interno della stiva. Dai movimenti della nave potevo capire che eravamo in mare aperto. Dall'oblò potei notare che il sole stava tramontando facendo assumere al cielo tonalità che andavano dal blu al giallo, per dire addio in bellezza all'ultimo giorno di settembre. Potevo udire provenire dall'esterno le voci dei marinai. D'istinto chiamai Harvey, che non rispose alla mia chiamata e pensai che l'assassino probabilmente aveva ordinato e minacciato i miei uomini di non entrare nella stiva. Lui stava goverando la mia nave. La mia. In un solo colpo mi sentii umiliata e distrutta. Tra qualche ora avrei dovuto far fronte all'incredibile montagna di problemi in cui l'Assassino mi aveva trascinata. Non ci potevo credere. Rimasi in silenzio per molto tempo a rimuginare su tutto quello che era successo e sui possibili motivi che avevano spinto il Vecchio della Montagna3 a farmi rapire da un suo secondino per poter parlare con me. Il vero problema è che i motivi li avevo trovati. 
Dopo qualche ora sentii dei passi sulla scaletta che conduceva alla cambusa. Ad ogni suo passo, seppur leggero e silenzioso, i gradini cigolavano. Voltai il viso dalla parte opposta: non volevo guardarlo, per me era ormai un usurpatore. Si avvicino con qualcosa tra le mani, un vassoio con del cibo e dell'acqua. Tieni, mangia. Hai bisogno di nutrirti. Abbiamo ancora tutta la notte da passare in mare. Ringraziando il cielo, Poseidone benedice il nostro viaggio. Arriveremo al porto di Tartus nel pomeriggio. Lì ci saranno dei cavalli pronti ad aspettarci. Poggiò il vassoio in terra ai miei piedi e fece per avvicinarsi. Mi scostai di quanto potevo e lui ritrasse la mano. Sospirò. Non è mia intenzione farti del male. Cerca di collaborare. Si fece coraggio e allungò la mano verso il  mio volto e lo volse nella sua direzione. 
Piangevo. Mi sentivo vittima di una violenza indescrivibile. Avrei dovuto fare i conti col passato che avevo chiuso dentro di me molto tempo prima, avrei continuato a subire violenze e probabilmente sarei morta. Avrei osservato il mare, ammirato il cielo scuro illuminato dalle stelle, inspirato l'odore della salsedine e avvertito il vento insinuarsi in ogli mio capello per l'ultima volta. Avevo perso la mia libertà e quindi la mia vita. Tenni gli occhi bassi mentre le lacrime mi solcavano il viso ininterrottamente in un pianto silenzioso. Guardami. ordinò l'assassino. I miei occhi incolore nei suoi tremavano e chiedevano pietà. Non permetterò che ti facciano del male. La sua mano dal mento si posò calda su tutta la guancia: potei avvertire la solennità delle sue parole in quel contatto. Ma non potevo fidarmi. Mi lasciò un bacio delicato sulla fronte e contemporaneamente sciolse la stretta delle corde che mi tenevano imprigionata. Non sapevo di quale delle due azioni dover essere più sorpresa. Non sei mia prigioniera. si giustificò all'istante. Intorno ai polsi le bruciature erano diventate profonde e doloranti. Fammi dare un'occhiata. Disinfettò e fasciò le mie ferite con la delicatezza e l'arte di un medico sotto il mio sguardo interrogativo. Quando te la senti, sali su. aggiunse con voce incerta e tirando giù il cappuccio. Percorse la scaletta voltandosi ad ogni paio di scalini. Ero esterrefatta. A che gioco stava giocando? Iniziai a ipotizzare mille teorie ma nessuna mi portava ad una risposta plausibile. 
Ripensai alla sua mano sul mio viso e al bacio leggero lasciatomi sulla fronte: avevo percepito il suo respiro leggero e inspirato il suo profumo di menta. Lasciai che i pensieri mi pervadessero la mente per qualche minuto nel frattempo che davo pace ai brontolii del mio stomaco. 
Con titubanza salii le scale e mi recai sul ponte della nave, portando con me una coperta: era al timone e teneva una pipetta stretta fra le labbra lateralmente. Harvey si immobilizzò davanti a me con uno sguardo sconfitto al che gli posai una mano sulla spalla. Tranquillo. Va tutto bene. Vai a riposare. Lui annuì senza dire una parola e scese nella stiva seguito da altri. 
Controllai che fossero spiegate le vele giuste e ammainate nel modo più consono e feci qualche modifica affinchè la nave procedesse nel modo più veloce possibile. Questo viaggio doveva finire presto. Mi recai a poppa, dove era posta la barra del timone e mi appoggiai con un fianco al bordo della nave. Il vento era a nostro favore e gonfiava le vele rendendole piene. L'incappucciato non proferì parola e non mi rivolse il suo sguardo, forse per imbarazzo: sapeva di aver compromesso la sua posizione ma quel comportamento mi permise di vederlo più vicino ad un umano che ad un assassino. 
Passata qualche ora, presi due boccali di birra dal fondo della stiva e poi ne porsi uno all'uomo che lo accettò di buon grado pur sempre in silenzio. Urtai il suo boccale col mio come in un brindisi. Alla tua. feci un sorriso che poteva somigliare più ad un ghigno. Tenendo gli occhi puntati verso il cielo iniziai a parlare. Fortunato colui che riconosce la crepa che scalfisce la roccia4. Me lo diceva sempre mio padre a sottolineare che ogni uomo, pur quanto invincibile possa sembrare, ha sempre un punto debole. Basta solo riconoscerlo.   Uomo saggiocommentò l'assassino. Peccato che l'abbia vissuto troppo poco: fu ammazzato insieme a mia madre sotto i miei stessi occhi, quando avevo solo 12 anni deglutii per trattenere le lacrime.  Questa nave era l'unica fortuna che possedeva e da allora è diventata la mia casa.  L'assassino si avvicinò. Continuerà ad esserlo.  Ora, quella stessa mano, che predecentemente si era posata sulla mia guancia, si inerpicava nei miei capelli al vento. Ci guardammo negli occhi insistentemente senza pronunziar parola: avevamo entrambi intrapreso una via che ci portava a superare le barriere che ci eravamo posti originariamente e a infrangerci sulle rocce come le onde durante la tempesta. Non sapevo con esattezza i pensieri che gli passarono nella mente in quel momento ma l'espressione del viso sembrava combattuta e le azioni frenate e controllate. Un'onda alta improvvisa fece sobbalzare la nave trasversalmente ed entrambi perdemmo l'equilibrio rovinando a terra. Non appena toccai terra con la schiena e lui sopra di me, scoppiai in una risata fragorosa. Lui si ritrasse, tenendo il braccio teso sull'asse del pavimento e rimase a fissarmi immobile mentre ridevo, quando poi, sentendo la presenza insistente degli occhi di lui su di me, ricambiai lo sguardo. Fu un attimo: il suo braccio non variò la posizione ma la testa si sporse verso di me fino a sfiorarmi le labbra in un contatto finissimo per qualche secondo. Sentii il viso andarmi a fuoco e il cervello non rispondere più alla coscienza che mi gridava di allontanarlo: la mia mano si insinuò all'altezza del collo di lui, le mie dita gli accarezzarono la barba morbida e ricambiai il bacio, che pensai fosse stato uno dei migliori della mia vita. Chiusi gli occhi per soffermarmi sugli altri sensi: le sue labbra erano calde e corpose e ricordavano il sapore delle pesche, le nostre lingue si intrecciarono subito dopo, per danzare in un valzer infinito, ma che in realtà sarebbe durato poco più di tre minuti. Riaprii gli occhi e restammo a fissarci fin quando le voci sgraziate dei pirati che lavoravano di turno sul ponte ci fecero tornare alla realtà. Ci staccammo con velocità e una punta di imbarazzo si impadronì di noi. Non avrei saputo dire cosa stesse succedendo ma soprattutto non riuscivo a distinguere se  ciò fosse un bene o un male. 

NOTE__________________________________________________________________________________
1 Traditrice (dalla lingua latina).
2 Venduta (dalla lingua latina).
3 E' così che anticamente veniva chiamato il capo della setta degli Assassini.
4 In realtà questo è proprio un detto pirata: nel momento in cui veniva seppellito un tesoro veniva incisa una Z sulla roccia che ne indicava la posizione ma veniva incisa anche su tutte le rocce vicine, indi per cui, il pirata, per trovarlo, avrebbe dovuto riconoscere quale fosse la vera.









Come vi avevo detto il nuovo capitolo e il disegno! Spero vi piaccia! Buona lettura <3

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