Occhi d'Argento

di RiyelaAlelita
(/viewuser.php?uid=941238)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima - Innocenza ***
Capitolo 2: *** Parte seconda - Spensieratezza ***
Capitolo 3: *** Parte terza - Risolutezza ***



Capitolo 1
*** Parte prima - Innocenza ***


In cielo la luna doveva essere ormai alta, ma la nebbia bassa e fitta ne lasciava arrivare a terra solo qualche raggio. L'aria autunnale era fredda e faceva accapponare la pelle delle gambe di Lilian, accovacciata ai piedi di un albero con la gonna raccolta in grembo. Dal punto in cui si trovava, non riusciva più a vedere le case del villaggio, solo le luci dei fuochi diffuse dalla nebbia, e il vociare allegro della festa giungeva ovattato.
Si rialzò sospirando, ben felice di avere di nuovo la gonna a ripararle le gambe dal freddo, e tornò di corsa al villaggio. Mentre si dirigeva verso la piazza centrale, cuore della festa, notò un uomo appoggiato al muro di una casa con il volto rosso, forse per la luce diffusa di un fuoco lì vicino, più probabilmente per l'alcol. Appena la vide, l'uomo si staccò dal muro, ma riuscì a muovere pochi passi barcollanti prima di cadere. Lilian corse ad aiutarlo a rimettersi in piedi, nonostante la puzza d'alcol che emanava da lui le desse fastidio.
-Grazie, piccola.- fece l'uomo -Certo che avete un liquore davvero buono in questo villaggio.-
-Venite dalla città?- domandò lei, accompagnandolo nuovamente verso il muro e aiutandolo a sedersi.
-Sì, e nelle taverne non servono niente del genere. Come ti chiami?- chiese dopo una breve pausa.
-Lilian.-
-Quanti anni hai?-
-Undici e qualche mese.- rispose ancora la ragazzina, chiedendosi però se non stesse dando troppa confidenza a quell'uomo.
Lui sembrò stupito: -Davvero? Ne dimostri di più.-
-Sì, ne ho pro...- non riuscì a terminare la frase che l'uomo la afferrò per un braccio e la tirò a sé. Si lasciò sfuggire un grido.
-Sta buona, piccola.-
-Lasciatemi!- urlò Lilian, tentando di divincolarsi; non riuscendoci, colpì l'uomo in faccia con un pugno. Fu più forte di quanto avesse pensato, perché lui urlò e le lasciò il braccio. Approfittando del momento, la ragazzina iniziò a correre, senza fare caso alla direzione, voleva solo allontanarsi da quell'uomo. Corse per molto tempo prima di rendersi conto di essere nel bosco, senza neanche sapere come fosse stato possibile arrivare fin lì senza accorgersene.
Prima di riuscire a fermarsi, inciampò in una radice e atterrò, faccia a terra, pericolosamente vicina a un albero. Quando la testa smise di girare, strisciò fino al tronco e, usandolo come sostegno, si mise seduta. Si guardò intorno confusa, senza riuscire a capire da che direzione fosse arrivata. La nebbia fitta avvolgeva i tronchi degli alberi in modo spettrale, e le sembrò di essere finita in una di quelle storie di fantasmi che ogni tanto aveva sentito raccontare al villaggio.
Provò a rialzarsi, ma la caviglia con cui era inciampata le diede una fitta inaspettata, e ricadde a terra. La paura la assalì e, prima di rendersene conto, stava piangendo a dirotto. Quando le sembrò di non avere più lacrime, si sdraiò su un fianco e tirò le ginocchia al petto, tremando per il freddo e la paura. Ad un tratto, un fruscio la riscosse. Si mise a sedere di scatto, con tutti i sensi all'erta per capire se c'era un qualche pericolo o se fosse stato solo il rumore del vento tra gli alberi. Le sembrò di vedere, davanti a sé, un'ombra che si avvicinava.
-C'è qualcuno?- chiese con voce tremante.
Dalla nebbia emerse un uomo abbastanza giovane, con i capelli corti e molto chiari, che la fissava dall'alto; indossava solo delle brache, senza maglia né scarpe, e il torso era sporco di sangue, così come la bocca. In mano teneva un pugnale, anch'esso insanguinato. C'era qualcosa di strano nel suo volto, qualcosa che lo rendeva diverso da tutti gli uomini che aveva sempre incontrato, ma non capiva cosa.
Lilian, alla vista del sangue, si ritrasse contro l'albero alle sue spalle, come per cercare di non farsi notare, pur sentendo chiaramente lo sguardo dell'uomo su di sé. Quest'ultimo la fisso brevemente con i suoi occhi chiari, poi si voltò, e la nebbia cominciò a inghiottirlo di nuovo mentre si allontanava.
-Aspetta!- lo chiamò lei, senza preoccuparsi di usare un tono più rispettoso verso un adulto.
Lui si fermò: -Che vuoi?- La sua voce era dura.
-Sai dov'è il villaggio?-
-Che villaggio?- domandò ancora lui, senza voltarsi.
-Tarquelei.-
L'uomo alzò un braccio, indicando un punto davanti a sé, leggermente a sinistra: -Dovrebbe essere di là.-
Lilian guardò in quella direzione, ma la nebbia era ugualmente fitta, non c'era niente che lasciasse intuire che quella fosse la direzione giusta.
-Mi ci accompagni?- fece lei, guardando la schiena dell'uomo ancora fermo lì.
-No.- fu la risposta secca.
-Perché?-
Lui si voltò: -Non conosco bene la zona intorno a quel villaggio, e con questa nebbia è difficile orientarsi anche nei luoghi familiari.- Le diede nuovamente la schiena e ricominciò ad allontanarsi.
-Ma io voglio tornare a casa!- esclamò Lilian.
-Dovevi pensarci prima di entrare nel bosco con questa nebbia.- Ormai l'uomo non si vedeva quasi più, inghiottito dal bianco.
La ragazza sentì che la rabbia dentro di sé aumentava, sovrastando la paura: quell'uomo aveva davvero intenzione di lasciarla lì da sola!
-Sei davvero cattivo, che lasci le persone da sole così! Le persone si dovrebbero aiutare!- urlò alla nebbia -Sei un mostro!-
Lilian non lo vide nemmeno tornare indietro, si accorse solo di essere sbattuta contro l'albero e, alzando lo sguardo, lo vide che la sovrastava: aveva gli occhi grigio chiaro così duri e freddi da sembrare ghiaccio, e digrignava i denti appuntiti. La paura prese di nuovo il sopravvento, e la ragazzina sentì nuove lacrime affiorarle dagli occhi.
L'uomo la fissò per un tempo che le parve infinito, poi allentò la presa su di lei. Fece una smorfia: -Ti vuoi mostrare coraggiosa, ma in fondo sei solo una cucciola spaventata. E ferita.-
“Ferita?” si chiese Lilian, prima di ricordarsi della caviglia: la paura le aveva fatto dimenticare il male. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, lui la sollevò da terra e se la caricò in spalla. Si incamminò nella nebbia.
-Mi porti al villaggio?- domandò lei, sperando avesse cambiato idea.
Lui sospirò: -No, mi perderei. Ti porto dove vivo io.-
Lilian girò la testa, non senza fatica, dato che la posizione in cui la teneva era piuttosto scomoda, per guardarlo in volto: era impassibile, non mostrava alcuno sforzo nel portarla, ma Lilian non riuscì a capire cosa lo rendesse così particolare. Notò, però, che aveva le orecchie leggermente a punta.
Il tragitto non fu molto lungo: si imbatterono presto in una collinetta con un'apertura alla base. La portò dentro, poi la lasciò cadere appena oltre l'entrata.
-Ahia!-
-Metti qualcosa di freddo sulla caviglia.- disse l'uomo, addentrandosi nella caverna.
-Cosa?-
-Le foglie fuori sono umide, dovrebbero andare bene.- e proseguì, senza più prestarle attenzione.
Lei sbuffò, però decise di seguire il suo consiglio. Uscì a gattoni dalla grotta, raccolse alcune foglie, umide e fredde per la pioggia, e le appoggiò sulla caviglia. Si sentì subito meglio, ma il sollievo durò poco, perché le foglie, a contatto con la pelle, si scaldarono in fretta, così continuò a cambiarle finché non si stancò. Tornò nella grotta, in cui l'uomo aveva acceso un fuoco e si era ripulito dal sangue, e solo allora Lilian si accorse che il suo petto era pieno di cicatrici rosse, una delle quali proprio all'altezza del cuore.
-Cos'hai fatto?- fece la ragazza, indicando quei segni scuri.
-Mi hanno ferito.- rispose lui seccamente, prima di lanciarle una coperta -Dormi. Domattina, se la nebbia si alza, ti riporto al tuo villaggio.-
A quell'annuncio, Lilian dimenticò tutte le domande che voleva ancora fargli. -Grazie!- esclamò, sentendosi così felice da pensare che non sarebbe più riuscita a smettere di sorridere. Si guardò intorno, per decidere dove coricarsi, e da un lato vide quello che sembrava un letto. Prima di riuscire anche solo ad avvicinarsi, però, un ringhiò la bloccò. Si guardò attorno, pensando fosse entrato un animale feroce, poi si accorse che proveniva dall'uomo che, appoggiato a braccia conserte alla parete della grotta, non aveva smesso un attimo di fissarla.
-Non lì.-
-Per...- “...ché no?” non riuscì a terminare la domanda, dopo aver visto i suoi occhi: duri, ancor più di prima, ghiaccio puro che le dava i brividi. Distolse lo sguardo e decise di stendersi vicino al fuoco, avvolgendosi nella coperta, senza più guardare l'uomo.
Nonostante la paura, si addormentò subito.


Al risveglio, il fuoco si era esaurito totalmente e dall'entrata arrivava pochissima luce, lasciando la grotta quasi completamente al buio. Lilian, dopo essere rimasta un po' di tempo stesa a occhi aperti a riordinare i ricordi di quella notte, si alzò in piedi, notando con piacere che il dolore alla caviglia era ormai passato. Uscì, e trovò l'uomo in piedi poco oltre l'ombra proiettata dalla collinetta; quella mattina aveva indossato una maglia, ma era ancora scalzo. Forse non aveva scarpe, si disse lei. Voleva dirgli qualcosa, soprattutto che aveva fame, ma il ricordo dello sguardo gelido della notte prima la frenò, quindi si guardò attorno: la nebbia che quella notte avvolgeva tutto era diventata una leggera foschia che diffondeva la luce del sole mattutino, lasciando senza parole Lilian, che ebbe l'impressione di trovarsi in un regno fatato, uno di quelli di cui narravano le leggende sulla Prima Epoca della Vita, in cui umani e altre creature vivevano insieme, creature ormai scomparse da tempo.
-Ti sei svegliata, finalmente.-
La ragazzina sobbalzò, non essendosi accorta che l'uomo si fosse avvicinato. Si voltò verso di lui, ma tenne lo sguardo basso: aveva paura di rivedere quegli occhi duri.
-Ti riporto al tuo villaggio, se sei ancora dell'idea di volerci tornare.-
Lilian sorrise, al colmo della gioia: certo che voleva tornare a casa!
-Grazie!- esclamò, alzando lo sguardo, e incontrò nuovamente i suoi occhi, che però quella mattina, forse per la luce diffusa, non sembravano ghiaccio, ma argento.
-Prima, però, mi devi promettere tre cose.- proseguì lui -Uno: non parlerai a nessuno di me. Due: non cercherai di tornare qui. Tre: se ci dovessimo rincontrare, non mi starai tra i piedi.- elencò, alzando un dito per ogni punto. Lilian annuì, dopo un attimo di esitazione, sebbene non capisse pienamente il significato di quelle promesse. Fu attratta, però, dalle sue unghie, scure e appuntite come artigli. L'uomo annuì a sua volta, quindi le disse di seguirlo e si incamminò.
Mentre Lilian zoppicava leggermente nel tenergli dietro, gli chiese il suo nome.
-Non ho un nome, e non ne voglio uno. Le persone che mi incontrano mi chiamano in tanti modi, anche se molti sembrano preferire “mostro”.- rispose senza voltarsi -Come te ieri sera.-
Lei abbassò lo sguardo: -Ieri sera mi hai fatto paura...- borbottò come giustificazione, poi ebbe un'idea -Ti potresti chiamare “Occhi d'Argento”.-
L'uomo la guardò senza dire nulla, stupito. -Ti ho detto che non voglio un nome, e poi questo è troppo lungo. Ma se ti piace, puoi usarlo.- commentò infine, tornando a guardare avanti.
Continuarono a camminare in silenzio ancora a lungo, finché tra gli alberi non echeggiò un grido: -Lilian!-
La ragazzina e Occhi d'Argento si arrestarono. -Mi stanno cercando!- esclamò contenta.
-Allora ti lascio qui, dovrebbero trovarti.-
-Perché? Non vuoi venire al villaggio?-
-Non mi piace stare tra la gente, preferisco rimanere nel bosco.-
Lilian cercò, invano, un motivo per trattenerlo, poi si rassegnò: -Allora ciao, Occhi d'Argento.-
-Ciao.- rispose quest'ultimo, quindi si allontanò di corsa.
Quando fu sparito dalla vista, Lilian iniziò a chiamare a gran voce: -Sono qui!-
In breve fu raggiunta da un uomo, quello che faceva il pane, seguito dal falegname e da Sirne, fratello maggiore della ragazza, che la abbracciò subito: -Finalmente ti abbiamo trovata! Avevamo paura che i lupi ti avessero mangiata!-
La riportarono al villaggio, dove raccontò il vero motivo della sua fuga (tutti giurarono di trovare l'uomo che aveva tentato di violarla) e di aver vagato per il bosco finché non aveva trovato una grotta, in cui aveva dormito, e quella mattina aveva camminato fino a che non aveva sentito il suo nome.
-Ora, finalmente, sei a casa!- i suoi genitori, entrambi in lacrime, la strinsero forte tra le braccia.
Festeggiarono tutti il suo ritorno, e lei fu attenta a non parlare con nessuno di Occhi d'Argento, chiedendosi se fosse uno spirito della foresta o una creatura delle antiche leggende.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte seconda - Spensieratezza ***


Erano passati quasi due anni da quella notte nel bosco, e Lilian aveva smesso di pensare a Occhi d'Argento, sapendo che sicuramente non si sarebbero più incontrati. Era cresciuta, e il suo corpo diventava sempre più quello di una donna, anche se dentro di sé sentiva di non essere maturata molto; i suoi genitori avevano già ricevuto richieste di matrimonio per lei, sebbene per la legge si sarebbe potuta sposare solo dopo aver avuto il suo primo ciclo.
L'estate era ormai entrata nel suo periodo più caldo, e lei stava spazzando mentre sua madre Masiel puliva i piatti del pranzo e suo padre e i suoi fratelli, Giarik di diciassette anni e Sirne di quasi venti, erano nella fucina dietro casa. Quando ebbe finito, si sistemò i capelli corvini, legati sulla nuca, e alzò lo sguardo verso la finestra, giusto in tempo per vedere Tonme affacciarsi e chiamarla: -Vieni! Ho trovato una cosa bellissima!-
Lilian non se lo fece ripetere due volte: lasciò la scopa appoggiata al muro e corse fuori, senza far caso alla madre che le chiedeva, gridando, dove stesse andando. Seguì Tonme, di due anni più piccolo di lei, fino a casa sua, dove trovarono Masiun ad attenderli, loro amico e coetaneo della ragazza.
-Era ora che arrivaste!- li salutò, incrociando le braccia sul petto. Lilian rispose mostrandogli la lingua e lo superò, entrando nella bottega del falegname subito dopo Tonme.
-Benvenu...ah, siete voi, ragazzi.- fece la donna seduta ai piedi di un tavolo, interrompendo il lavoro di intaglio. Era Sina, madre di Tonme e moglie del falegname...per essere più corretti, vedova del falegname: suo marito era morto di malattia quell'inverno, e lei aveva scandalizzato l'intero villaggio, e non solo, prendendo il suo posto alla bottega. Da allora, però, quasi nessuno andava da lei, preferivano affrontare il viaggio che separava Tarquelei dalla città, e gli affari andavano male. “Una donna falegname? Dove andrà a finire il mondo, di questo passo?” si diceva in giro.
-Mamma, gliela faccio vedere.- annunciò il ragazzino e, senza nemmeno aspettare una risposta, andò nel retro bottega, uscendone poco dopo reggendo una spada. Lilian e Masiun sgranarono gli occhi, e quest'ultimo fece: -Ma è vera?-
-Sì- rispose Tonme con orgoglio -L'ho trovata stamattina nel sottotetto. Mamma dice che era del mio bisnonno.-
-No. Era del mio bisnonno, il nonno di tuo nonno.- lo corresse subito la donna, calcando la voce su quel “mio”.
-Ma perché aveva una spada?- domandò ancora Masiun, sempre più curioso.
-Era un cavaliere. Una volta rimase ferito gravemente a una gamba, e non poté più combattere. Venne a vivere qui, sposò una ragazza e divenne molto amico del falegname, tanto che, quando nacque suo figlio, lo mandò a bottega da lui, proprio qui. Quando il figlio di quel falegname morì senza eredi in un incidente, mio padre prese il suo posto. Mio marito ha imparato il mestiere da lui, prima che morisse con solo me come figlia.-
I tre ragazzi ascoltarono senza fiatare quella breve ma affascinante storia della famiglia di Sina, colpiti dal fatto che un suo parente fosse stato addirittura cavaliere, e Tonme guardava la spada con ancora più fierezza di prima, ora che ne conosceva la provenienza. Fu proprio lui a saltare in piedi, poco dopo, proponendo di andare nel bosco a provarla. Lilian e Masiun non se lo fecero ripetere due volte, ed erano già pronti a seguirlo, quando Sina li fermò, chiedendo loro di tenere d'occhio suo figlio. Dopo aver annuito, corsero fuori verso il ragazzino, che li aspettava già al limitare del bosco.
-Forza!- li incitò, eccitato, prima di precederli tra gli alberi.


-È stupenda!- ripeté per l'ennesima volta Tonme, tenendo ancora tra le mani la spada mentre tornavano al villaggio, ammirando il sole che si rifletteva sulla lama, nei punti dove il metallo non si era arrugginito.
-Però è molto pesante.- si lamentò Lilian, massaggiandosi le braccia indolenzite.
Masiun, che li precedeva portando il fodero, rise: -Hai solo bisogno di allenarti. Tuo padre è fabbro, potresti lavorare con lui, e diventeresti più muscolosa di un uomo.-
-Guarda che anche tu ti sei lamentato, prima.- ribatté la ragazza. Lui non rispose, ma disse a Tonme di rimettere la spada nel fodero, perché lui non aveva più voglia di tenerlo.
Continuarono a ridere per tutto il tragitto, finché non intravidero la bottega del falegname e sentirono Sina discutere con qualcuno, un uomo dalla voce nuova.
-Vi ho detto che non li ho!- stava dicendo quando i ragazzi la videro davanti alla porta della bottega; di fronte a lei, un soldato la guardava con sufficienza, tenendo le braccia incrociate sul petto.
-E poi mi state chiedendo molto più di quello che vi dovrei. Mio marito non pagava così tanto.- continuò la donna. L'uomo la afferrò per un braccio e la tiro a sé violentemente, dicendole qualcosa a voce troppo bassa perché Lilian potesse sentire. La scena, però, le ricordò di quell'uomo ubriaco, due anni prima. Intorno a loro, la gente faceva finta di niente, guardava da altre parti e cambiava strada.
-Lascia stare mia mamma!- Prima ancora che Lilian e Masiun se ne accorgessero, Tonme era corso verso la madre, stringendo ancora la spada al petto.
Sina aprì la bocca per dire qualcosa, ma il soldato fu più veloce: -E tu dove hai preso quella spada? L'hai rubata?- domandò, sebbene non avesse il tono di una domanda, continuando a trattenere la donna.
-No, era del nonno di mio nonno. Era un cavaliere.- rispose il piccolo, ma il soldato scoppiò a ridere.
-Un cavaliere? Non credo proprio. Io dico che l'hai rubata. E immagino tu sappia cosa succede ai ladri.-
-No!- gridò Sina, che cercava di liberarsi dalla stretta dell'uomo -Farò ciò che volete, ma lasciate stare mio figlio.-
L'uomo la guardò, poi fece un ghigno: -Oggi mi sento generoso, quindi, se mi consegnate quella spada, chiuderò un occhio sul furto e anche sulla tassa non pagata.- Lasciò libera la donna e strappò l'arma dalle braccia di Tonme prima di tornare al suo cavallo.
-No! Ridamela!- il ragazzino provò a corrergli dietro, ma la madre lo fermò, scuotendo la testa. Lilian e Masiun li avevano già raggiunti, e guardarono impotenti il soldato che si allontanava a cavallo.
-Lascia stare. È meglio così.- mormorò Sina col tono di chi sta cercando di trattenere il pianto.
-Ma non è giusto! Quella spada non è stata rubata!- Masiun era furente. Si voltò, tornando verso il bosco, seguito subito dalla ragazza e, poco dopo, da Tonme.
-Che vuoi fare?- domandò lei.
-Ci riprendiamo la spada. Se ci sbrighiamo, da qui lo raggiungiamo!- e iniziarono a correre nel bosco ormai familiare.
Presto raggiunsero la strada che collegava Tarquelei a una città più grande, a valle. Avvistarono il soldato poco dopo, che cavalcava tranquillamente. La spada di Tonme era legata alla parte posteriore della sella. Appena fu abbastanza vicino, i tre ragazzi uscirono dagli alberi e afferrarono l'arma, riuscendo a staccarla. L'uomo, però, si riebbe in fretta dalla sorpresa e, sceso da cavallo, afferrò Tonme per la maglia e lo sollevò. Lilian e Masiun corsero ad aiutare l'amico, che appena fu libero corse verso il villaggio, stringendo la spada. Il soldato tentò di afferrarlo di nuovo, ma gli altri due ragazzi riuscivano a impedirglielo ogni volta.
“Ce la facciamo!” pensò la ragazza, trattenendo l'uomo per un braccio. Fu allora che questi gridò qualcosa di inaspettato e altrettanto strano: -Lupo!-
“Lupo?” Lilian era confusa, non capiva il significato di quel grido, ma subito si sentì sollevare per il vestito e gettare a terra, lontana dal soldato. Si rialzò rapidamente, pronta a tutto, tranne che a quello: Occhi d'Argento era lì, davanti a lei, esattamente come lo ricordava, gli stessi capelli grigi e gli stessi occhi di ghiaccio, e sempre quel qualcosa, nel volto, che lo rendeva diverso, particolare. Sembrava un po' più basso, ma forse era perché lei era cresciuta parecchio nei due anni passati.
Con la coda dell'occhio, vide il soldato correre nella stessa direzione in cui era scappato Tonme, ma quando Masiun provò a seguirli, Occhi d'Argento, o Lupo, come lo aveva chiamato il soldato, gli si parò davanti, bloccandogli la strada. Dopo vari tentativi, sempre con lo stesso risultato, il ragazzo raccolse un ramo da terra e gli si gettò contro brandendolo come una spada, ma l'altro estrasse un pugnale e parò ogni colpo. Lilian, intanto, guardava senza riuscire a fare nulla: ricordava bene che la notte in cui l'aveva aiutata impugnava lo stesso pugnale, solo sporco di sangue; aveva paura che potesse uccidere il suo amico, ma la terza promessa che gli aveva fatto le impediva di agire.
“Se ci dovessimo rincontrare, non mi starai tra i piedi.”
-Lilian! Va' da Tonme!- le gridava Masiun, ma lei restava lì, con lo sguardo fisso su Occhi d'Argento, senza fare niente. Non riusciva a fare niente.
Rimase ferma per quella che le parve un'eternità, poi si decise, e iniziò a correre nella stessa direzione di Tonme. Quando passò accanto a Lupo, però, si girò di scatto e lo spinse via, quindi afferrò il braccio di Masiun e se lo trascinò dietro. Non percorse molta strada: qualcosa la colpì alla schiena e lei cadde, lasciando andare il braccio dell'amico, poi fu sollevata e spinta con la schiena contro un albero. Alzò lo sguardo, e incontrò un'altra volta, dopo due anni, quegli occhi di ghiaccio.
-Lasciala stare!- gridò Masiun alla sua sinistra, ma fu spinto via bruscamente da Lupo. Lilian approfittò di quell'attimo di distrazione per cercare di allontanarsi, ma fu raggiunta dopo appena due passi, gettata a terra e girata con la faccia verso l'alto. Un pugnale si piantò a un soffio dal suo viso. Iniziò a tremare di paura, e le lacrime appannarono il volto di Occhi d'Argento che la sovrastava.
-Sei ancora la stessa cucciola spaventata dell'altra volta, nonostante tu provi a mostrarti coraggiosa.- La ragazza notò che il pugnale veniva sfilato dal terreno -Comunque, mi avevi promesso tre cose, e credo tu sappia che ne hai infranta una.- e sentì tre fitte al braccio sinistro, poco sotto la spalla.
-Lilian!- gridò nuovamente Masiun, e nuovamente fu respinto. Questa volta, Lilian non cercò nemmeno di scappare. Sentì che Occhi d'Argento le appoggiava una mano sulla guancia destra, e urlò con tutto il fiato che aveva quando le sue unghie le penetrarono la pelle e le graffiarono il viso.
-Per ricordarti che ti ho lasciata andare. La prossima volta potrei non essere così gentile.- e si alzò da lei.
Masiun le fu subito accanto: -Lilian! Che ti ha fatto?-
La ragazza non rispose, sentiva di non averne la forza. In quel momento, l'unica cosa che le occupava la mente era il dolore lancinante alla guancia e, soprattutto, al braccio.
-Tonme!- il ragazzo si allontanò, e Lilian immaginò avesse visto l'amico -Che ti è successo? Il tuo braccio...-
-Finalmente ti sei fermato!- a interromperlo fu il soldato, con la voce affannata.
-Fermo!- gridò Masiun, poi si sentì il suono di metallo che sbatteva su altro metallo, e la voce di Lupo: -Anche se lavoro per voi, non permetto che vengano uccisi dei bambini.-
-Che succede qui?- questa volta fu qualcuno del villaggio a parlare, sebbene Lilian non riuscisse a riconoscerlo dalla voce.
-Tonme!- questa era Sina.
-Lilian!- gridò suo padre, quasi nello stesso momento. Si sentì sollevare e vide su di sé il volto preoccupato del padre. Era molto sudato, doveva essere uscito di corsa dalla fucina.
-Come sta?- chiese ansiosa un'altra voce maschile, quella di Sirne.
-Perde sangue, ma non sembra troppo grave.- rispose il padre -Tonme?-
Cos'era successo a Tonme? Erano tutti così preoccupati per lui, perché?
-Ha bisogno subito di un medico, potrebbe non farcela...- la voce di Sirne era triste.
Lilian girò la testa per cercare l'amico, e lo vide tra le braccia della madre, con il braccio destro insanguinato... “No!” Il braccio non c'era più! Lilian iniziò a piangere senza potersi fermare, e il padre la strinse forte al petto prima di rimettersi in cammino.


Lilian si risvegliò nel suo letto. Non ricordava di essere arrivata a casa, e nemmeno di essersi addormentata, doveva essere successo mentre tornavano. Era tutto buio, e dagli spiragli delle imposte non proveniva nessuna luce, segno che doveva essere già notte. Si accorse che le ferite erano state medicate, ma i tagli sul braccio facevano ancora malissimo, più dei graffi sulla guancia. Non provò nemmeno ad alzarsi, si sentiva troppo debole. Chiuse gli occhi e ripensò a quanto successo quel pomeriggio, da loro tre che giocavano nel bosco con la spada a Tonme privo di sensi e senza un braccio stretto nell'abbraccio disperato di Sina. Si sentiva in colpa per quello che era successo, avrebbe dovuto seguire Tonme come le aveva detto Masiun; in fondo, Lupo non aveva intenzione di uccidere il ragazzo.
“...non permetto che vengano uccisi dei bambini.”
Aveva promesso a Sina di tenere d'occhio suo figlio, e non l'aveva fatto. Aveva promesso a Occhi d'Argento di non intralciarlo, e non aveva fatto nemmeno quello. Con la mano destra sfiorò la guancia, ora fasciata: quel marchio se lo sarebbe portato addosso tutta la vita.
Riaprì gli occhi per scoprire che la luce nella stanza era aumentata, e non perché il sole fosse sorto: sulla soglia vide sua madre, ancora vestita, con in mano una candela e la faccia preoccupata.
-Come ti senti?- le domandò, avvicinandosi lentamente.
La ragazza non rispose, non aveva voglia di parlare. Tornò a guardare il soffitto.
Masiel sospirò: -Masiun è molto preoccupato per te. Ha detto che l'uomo che ti ha fatto questo sembrava avercela in particolare con te.- c'era dell'odio nella sua voce -Ha parlato di una promessa.-
“Quindi ha sentito.”
La donna si sedette sul bordo del letto e le accarezzò i capelli, ma Lilian non ebbe nessuna reazione, continuò a fissare davanti a sé, senza in realtà vedere niente. Dopo vari tentativi di farla parlare, tutti senza successo, Masiel si rialzò con un sospiro e uscì dalla stanza dicendo: -So che è una situazione difficile per te, ma vedrai che presto passerà.-
La porta si richiuse alle sue spalle, e la ragazza si ripeté mentalmente le parole della madre.
“Non credo che sia così semplice.”


Il giorno dopo si alzò poco prima del pranzo, sebbene non si fosse più addormentata dopo la visita di sua madre. La sua famiglia e molti altri compaesani le fecero moltissime domande, anche se alla fine le chiedevano solo come stava e cos'era successo il giorno prima. Lei non aprì bocca, se non per chiedere come stava Tonme.
-Non si è ancora svegliato, è probabile che...beh, che non ce la faccia. Preghiamo la divina Tayn che lo aiuti.- Nonostante cercassero tutti di dirlo nel modo più indolore possibile, Lilian sapeva che era molto probabile, quasi certo, che il ragazzo morisse.
Quel giorno mangiò pochissimo, sia a pranzo che a cena, e andò a letto presto senza più aprire bocca.
Passarono tre giorni identici a quello, prima che Sirne le dicesse che Tonme si era svegliato e che sembrava essere in condizioni abbastanza buone. Lo andò a trovare insieme a Masiun, e lo videro pallido e smunto, ma sorridente.
-Lilian, cosa ti è successo?- esclamò appena la vide, guardandole il volto. Quella mattina si era tolta le fasciature alla guancia, e i graffi rossi erano fin troppo evidenti. I tagli sul braccio, invece, non sembravano guarire, soprattutto l'ultimo, che sanguinava spesso e le dava fitte molto dolorose.
Masiun raccontò cos'era accaduto mentre l'amico non c'era, poi si rivolse a Lilian: -Tu lo conoscevi già, vero?-
Lei si voltò e fece per andarsene, ma il ragazzo la fermò, afferrandola per un braccio: -Devi dircelo!-
-No!- esclamò la ragazza, liberandosi dalla sua stretta e allontanandosi di corsa. Si fermò solo davanti alla porta di casa sua, riflettendo: prima o poi avrebbe dovuto dire cos'era successo due anni prima, specie dopo quanto accaduto in quei giorni. Prese un respiro profondo e varcò la soglia. Trovò tutta la sua famiglia in cucina.
-Papà, mamma. Ho una cosa da dirvi.-
La guardarono tutti stupiti, erano tre giorni che non apriva bocca, e sembrarono capire cosa volesse dire.
-È successo due anni fa, quella notte che mi sono persa nel bosco.- e raccontò di come lui l'avesse trovata, portata nella sua grotta e accompagnata verso il villaggio la mattina dopo.
Mentre parlava, sentì una fitta al primo taglio sul braccio, quello più in alto, ma non ebbe bisogno di quello per capire che aveva infranto un'altra promessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parte terza - Risolutezza ***


Trascorsero quattro anni da quei giorni, e a Tarquelei la vita riprese tranquilla. Tonme, sebbene avesse perso un braccio, era rimasto il solito ragazzino allegro, e aiutava come poteva sua madre in bottega. Anche Masiun aveva iniziato ad andare a lavorare da Sina (una volta aveva confessato a Lilian che si sentiva in colpa per ciò che era successo a Tonme, e voleva rimediare a qualunque costo), e ora per la donna gli affari andavano molto meglio. Il padre di Lilian aveva perso l'uso di una mano in un incidente, ma Sirne e Giarik, ormai entrambi sposati, lo avevano sostituito nella fucina.
Lilian era l'unica che non era riuscita a tornare quella di prima: i tagli sul braccio continuavano a farle male, e il primo e l'ultimo ogni tanto sanguinavano ancora; mangiava poco, e il suo corpo era diventato così magro che le si potevano vedere le ossa; aveva avuto il suo primo ciclo poco prima di compiere quattordici anni, poi di nuovo il mese dopo, poi non aveva più avuto niente; i suoi compaesani avevano iniziato a guardarla con sospetto, le dicevano dietro di tutto, anche di essere in combutta con una qualche creatura malvagia, e il suo isolarsi spesso non faceva altro che aumentare le malelingue. A volte si sedeva al limitare del bosco, rivolta nella direzione in cui sapeva essere la grotta di Occhi d'Argento, e immaginava di andare da lui per farsi dire un modo per curare quei tagli che non le davano tregua, ma nella realtà non lo faceva mai, volendo mantenere almeno una delle tre promesse. Ogni volta che si vedeva riflessa in una qualsiasi superficie e vedeva i graffi che le sfregiavano il volto non poteva fare a meno di sentirsi triste, ma anche arrabbiata, pensando a quanto avessero contribuito a emarginarla nel villaggio.
Arrivò così una notte di fine estate in cui, non riuscendo a prendere sonno, rifletteva che aveva compiuto diciassette anni pochi mesi prima, a inizio estate, ancora non era sposata e i tagli non le davano tregua. Fu in quel momento che si decise. Si alzò in silenzio e, preso dalla cucina un coltello della madre, uscì di casa e si incamminò nel bosco, con solo la luce della luna piena a illuminare il terreno. Non sapeva se la direzione era giusta, si affidava unicamente ai ricordi imprecisi di sei anni prima, mentre lui l'accompagnava indietro, ma ne ebbe la conferma quando il taglio di mezzo le diede una fitta più forte delle altre.
“E anche l'ultima è andata.”
Camminò per un tempo indefinito, finché un ringhio la fece sussultare. Si voltò di scatto, brandendo il coltello davanti a sé, e si trovò di fronte un lupo con i denti digrignati e gli occhi fissi su di lei. Lentamente, apparvero dagli alberi altri lupi, circondandola. Strinse forte la sua arma, sapendo che non sarebbe stata molto utile contro un branco di lupi. Deglutì, preparandosi a difendersi, quando un altro ringhio, diverso dal primo, attirò la sua attenzione e quella degli animali alle sue spalle. Lui era lì, esattamente come le era apparso dalla nebbia sei anni prima, con addosso solo le brache e sporco di sangue. I lupi si rivolsero tutti contro di lui, ma solo uno si fece avanti, scoprendo le zanne. Occhi d'Argento non indietreggiò, ma iniziò con lui un discorso fatto di ringhi e altri versi animali. Poco dopo, il branco si allontanò nella direzione da cui era venuto l'uomo, lasciandoli da soli.
“Mi ha salvata.” fu il suo primo pensiero, però, quando lo vide venirle incontro, fissandola con i suoi occhi gelidi, non ne fu più così certa, e tese il coltello davanti a se. Lui si fermò.
-Sono qui solo per sapere come curare i tagli che mi hai fatto sul braccio.- affermò Lilian, cercando di mostrarsi più calma e risoluta di quanto non fosse.
-Cosa ti fa pensare che possano guarire?- rispose Lupo, guardandola dritto negli occhi. Ormai erano alti uguali.
-Tutte le ferite guariscono, o almeno smettono di sanguinare. Queste no. Tu devi sapere come curarle.-
-Avresti dovuto semplicemente mantenere le promesse, ora non avresti nulla di cui preoccuparti.- abbassò lo sguardo sul braccio, dove la manica nascondeva la fasciatura -Invece due le hai rotte, anche se sono convinto che non ne hai mantenuta nessuna delle tre.- Si avvicinò ancora di qualche passo.
-Fermo!-
Lui si arrestò solo quando la punta del coltello gli toccò il petto. -A quanto pare non sei più la cucciola spaventata delle altre volte.- fece un sorriso sarcastico -Puoi abbassare quel coltello, non ti servirà contro di me.- lei non si mosse -Quei tagli non guariranno, se stai aspettando una risposta.-
Lilian, però, non abbassò neppure in quel momento l'arma. Non voleva che si avvicinasse ancora.
Occhi d'Argento sospirò, quindi fece un altro passo avanti e la lama affondò nella sua carne. La ragazza gemette e ritrasse la mano: non si aspettava una mossa del genere!
-Non posso morire, quindi puoi anche mettere via quel coltello.-
Le afferrò il braccio sinistro e strappò la manica del vestito e la fasciatura. -Già, non ne hai mantenuta nessuna.- Passò un dito sui tagli, e Lilian si trattenne a stento dall'urlare di dolore.
-Fa male, eh? Ti assicuro che non è niente.-
La ragazza guardò istintivamente la cicatrice che l'aveva attratta la prima volta, quella all'altezza del cuore, e un brivido le percorse la schiena, pensando di capire cosa intendesse.
-Ogni battito del cuore.- questa sua unica frase confermò i suoi sospetti: era stato davvero ferito al cuore con quello stesso pugnale. Non sapeva cosa dire. Se a lei sembrava di impazzire a ogni fitta, come poteva lui resistere in quella condizione?
Prima di potere anche solo aprir bocca, però una nuvola oscurò la luna, e lui annusò l'aria. -Presto pioverà.- e la sollevò con facilità da terra, caricandosela in spalla.
-Che fai?- domandò la ragazza, stupita.
-Hai altre cose da chiedermi, si vede dai tuoi occhi. Ti porto dove vivo io.-
“La stessa frase dell'altra volta!” ricordò, e pensò alle similitudini tra quei due incontri.
Camminò finché non arrivarono in vista della collinetta, illuminata a tratti dalla luna sempre più spesso nascosta dalle nubi. Occhi d'Argento entrò nella grotta e la lasciò cadere a terra, poco oltre l'ingresso. Esattamente come sei anni prima. Lui accese il fuoco, poi intinse uno straccio in un bacile di pietra pieno d'acqua e si ripulì dal sangue.
-Perché mi hai portato qui?-
-Hai altre domande da farmi, qui puoi chiedere tranquillamente. Per ora non ho intenzione di ucciderti, quindi puoi rilassarti.-
Ucciderla? E perché?
-Per il momento non devi avere paura, non ti farò niente.- disse ancora lui, ma quelle parole non la rassicurarono affatto. Fece comunque un respiro profondo, cercando di calmarsi il più possibile, e chiese la cosa che, in quel momento, la incuriosiva di più: -Chi sei, che ti fai obbedire dai lupi?-
La reazione di Occhi d'Argento la lasciò basita: rise. Non lo aveva visto fare un sorriso sincero nemmeno al loro primo incontro, il più pacifico dei tre, e ora rideva, mettendo in mostra i denti aguzzi.
Quando si fu calmato, rispose: -I lupi non mi obbediscono, mi ucciderebbero volentieri, se potessero. Prima gli ho semplicemente offerto la mia preda in cambio di te, uno scambio vantaggioso per loro, visto che la carne che hai sulle ossa non sfamerebbe neanche un cucciolo.-
Il tono con cui lo disse la colpì, così come il modo in cui sembrava conoscere perfettamente i lupi.
-Chi sei?- chiese ancora Lilian.
Lupo sospirò, probabilmente perché aveva capito che non poteva evitare quella domanda. -Sono nato lupo.- esordì –Abbandonai presto la mia famiglia, in cerca di una compagna, ma rimasi ferito in una trappola umana. Però, una bambina umana, che per qualche motivo era nel bosco, mi trovò. All'inizio era spaventata, ma quando vide che stavo per morire decise di curarmi. Mi portava anche quel che poteva da mangiare, è grazie a lei se sono sopravvissuto. Quando riuscii a camminare di nuovo, mi portò al suo villaggio: voleva tenermi con sé, e anch'io volevo restare con lei, ma gli adulti avevano paura di me, e mi cacciarono. Rimasi, comunque, poco lontano dalle ultime case, e lei veniva ogni giorno da me, spesso portando degli altri bambini, suoi amici, gli unici che non si spaventavano. Anche quando fui in grado di cacciare da solo tornavo lì. Lei mi chiamò Teisen, che significa “argento” nella lingua degli dei, perché diceva che il mio pelo sembrava argento.
-Passò qualche anno, e credo che mi innamorai di lei: volevo starle sempre vicino, volevo diventare un umano per starle accanto. E accadde. Una mattina, quando mi svegliai, il mio corpo era cambiato, era quasi umano, anche se non completamente. Appena lei mi vide si spaventò, ma mi riconobbe subito, ed era molto felice. Mi insegnò a camminare sulle gambe e anche qualche parola, poi mi presentò ancora una volta al suo villaggio. Quella volta, però, non mi permisero nemmeno di restare lì vicino, e dovetti scappare. Lei mi seguì. Vagammo nel bosco per alcuni giorni, finché non trovammo questa grotta. Abbiamo vissuto qui per alcuni anni, non so quanti, ma furono i più felici della mia vita.
-Un giorno, però, venne un uomo, con l'intenzione di ucciderci, disse che eravamo creature maligne, figli oscuri di Tayn che non dovrebbero esistere. Io lo uccisi; fu facile, dentro ero rimasto un lupo, ma quell'uomo aveva ferito gravemente Gilliana.-
Lilian sussultò nel sentire il nome di quella ragazza misteriosa, e si rese conto che lui non l'aveva ancora nominata. Era il suo stesso nome, il suo nella lingua degli dei, quello dell'altra ragazza nella lingua degli uomini, ma derivavano dalla stessa parola: “giglio”.
Occhi d'Argento, anzi, Teisen, sembrò non accorgersi della sua reazione, e proseguì: -La portai al suo villaggio perché qualcuno la curasse, ma mi cacciarono, e lo stesso in tutti gli altri villaggi in cui cercai un medico. Mi chiamavano tutti “mostro”. La riportai qui, e poco dopo morì. La seppellii, come fanno gli umani, poi cercai qualcuno che mi accogliesse, ma né lupi né umani mi accettavano, né mi accettano tutt'ora. Sono un essere che non dovrebbe esistere, non più lupo e non totalmente umano.- I suoi occhi si fecero tristi -Provai ad uccidermi con il pugnale che aveva ferito Gilliana, ma non morii, anzi, fece solo più male.- indicò la ferita al cuore -Non so quanto tempo sia passato da allora, ma le cose non sono cambiate, nessuno mi accetta e io non posso morire. Solo i bambini sembrano non avere paura di me.- la guardò negli occhi, e Lilian ricordò quando, quattro anni prima, aveva impedito che quel soldato uccidesse Tonme.
-Perché lavori per i soldati?- chiese ancora, ripensando a quell'evento.
-Li aiuto quando me lo chiedono, e in cambio il re mi lascia stare qui senza che nessuno mi disturbi.-
La ragazza guardò il suo volto serio, e capì cosa c'era in esso di così particolare, che l'aveva colpita la prima volta: i suoi lineamenti erano diversi, più animali che quelli di tutti gli altri uomini. Quando notò che anche lui la stava osservando, abbassò lo sguardo, e le venne in mente un'altra domanda da fargli.
-Com'era lei?-
L'espressione di Teisen si fece sorpresa e, soprattutto, turbata. -Cosa?- la sua voce era quasi un ringhio.
Lilian deglutì: -Volevo sapere com'era Gilliana, visto che sei diventato uomo per lei. E poi abbiamo lo stesso nome...- quest'ultima parte la disse a bassa voce, ma era certa che lui avesse sentito lo stesso.
-Non come te.- rispose questo, con una smorfia -Era forte, e decisa. Sapeva cos'era giusto fare. Sorrideva sempre, e anche quando stava morendo non...-
-Eccoti qua!- quell'esclamazione attirò l'attenzione di entrambi verso l'entrata della grotta, e la luce del fuoco illuminò il volto di Giarik, che lanciava occhiate d'odio verso Teisen.
-Giarik...- iniziò a dire la ragazza.
-Tranquilla, Lilian, ti riportiamo a casa.- la interruppe il fratello, entrando seguito da altri uomini. Afferrarono Teisen, che non oppose resistenza, e lo trascinarono via. Lui la guardò, e lei, sebbene non fosse mai stata brava a capire i pensieri delle persone, lesse nei suoi occhi di ghiaccio una chiara accusa.
-Aspettate!- esclamò Lilian, alzandosi di scatto, ma non riuscì a muovere più di un paio di passi che le orecchie iniziarono a fischiarle sempre più forte e la vista si riempì sempre più di punti luminosi, simili a stelle; poi svenne.


Dopo lo svenimento, Lilian ricordava di essere portata in braccio da qualcuno, poi si ritrovò nel suo letto. Non si era accorta di essere stata portata in casa. Le imposte della finestra erano chiuse, ma poteva capire che stava piovendo dal rumore che proveniva dal tetto.
La porta della stanza si aprì lentamente, e la luce di una candela rischiarò la camera.
-Lilian...- era sua madre.
La ragazza girò la testa, e la vide ferma sulla soglia con un'espressione preoccupata sul volto, illuminata tetramente dalla fiammella. Provò a sollevarsi, appoggiandosi sul braccio sinistro, ma ricadde quando i tagli le lanciarono delle fitte.
-Come stai? Ti ha fatto qualcosa di male?- domandò la donna, avvicinandosi allarmata.
-Sto bene.- mormorò Lilian, e si mise seduta facendo attenzione a ogni singolo gesto.
-Ero venuta a dirti che il pranzo è pronto.- disse Masiel, e la ragazza annuì, mettendosi in piedi lentamente, e la seguì in cucina. Suo padre non c'era.
-Dove sono?- chiese alla madre, intuendo che la risposta non le sarebbe piaciuta.
-Tuo padre torna più tardi, è con Sirne e Giarik a fare domande a quel mostro.- la donna confermò i suoi timori -Non la passerà liscia, dopo ciò che ti ha fatto.-
-Lui non è un mostro!- esclamò la figlia, e provò a raccontarle ciò che le aveva detto Teisen, ma Masiel la interruppe: -Non ti fidare di ciò che ti ha detto, è un figlio oscuro di Tayn, è nato per ingannare.-
Lilian abbassò lo sguardo sul piatto, capendo che non sarebbe mai riuscita a convincerla. Finì il pasto in silenzio, quindi tornò nella sua stanza. Una volta dentro, indossò un mantello col cappuccio e uscì dalla finestra, facendo meno rumore possibile. Pioveva molto forte, e per strada non c'era nessuno, così riuscì ad uscire dal villaggio non vista. Raggiunse subito la sua meta, il tempietto dedicato ai tre dei. Aveva fretta, ma non riuscì a trattenere la sorpresa, una volta entrata: sugli altari torreggiavano tre statue di legno a grandezza quasi naturale, illuminate dalle torce ai quattro angoli della stanza.
Sulla destra, Virval, dio del cielo, era rappresentato come un giovane a torso nudo, con due ali piumate sulla schiena, che sembrava in procinto di spiccare il volo; sulle mani sollevate teneva la luna e il sole.
Sull'altare opposto, suo gemello Nokkol, dio della terra, anche lui a torso nudo, aveva orecchie simili a quelle di un gatto e una coda da lupo ed era inginocchiato ai piedi di un albero, su cui posava una mano, mentre con l'altra accarezzava un cerbiatto; su una spalla era posato un uccellino.
Di fronte all'entrata, invece, si trovava la statua di Tayn, dea della vita e della morte e divinità più temuta; ella era una giovane donna con i capelli lunghi e un vestito che lasciava scoperte le braccia, aperte ai lati del corpo; dalla sua mano destra nasceva un piccolo germoglio, mentre sulla sinistra teneva un teschio. Lilian sapeva che queste statue erano opera del padre di Tonme, terminate da Sina dopo la sua morte, ma erano anni che non entrava nel tempio, e non le aveva mai viste.
La ragazza si riscosse dalla meraviglia e si ricordò del motivo per cui si era recata lì. Si inginocchiò ai piedi dell'altare centrale, vi appoggiò sopra le mani aperte, abbassò la testa e, chiudendo gli occhi, si sforzò di tradurre la sua richiesta nella lingua degli dei: -Tayn kerèl, jedele Teisen ne re...relaitevi!- (Divina Tayn, permetti a Teisen di morire!) -...Ocrien.- (Per favore)
-E perché dovrei farlo?- domandò una voce femminile nella lingua degli uomini, proprio sopra di lei. Lilian alzò la testa, e si trovò faccia a faccia con una giovane donna dai capelli neri che le ricadevano sul volto, coprendone la metà sinistra. La ragazza emise un grido di sorpresa e ricadde indietro, seduta. Chi era quella? Che fosse proprio la dea? Indossava un vestito rosso senza maniche, e un mantello più scuro copriva la metà sinistra del suo corpo. Sedeva sopra l'altare a gambe incrociare, come se fosse la cosa più normale del mondo.
-Allora?- chiese ancora la donna, cominciando a spazientirsi.
-Ehm...- per quanto si sforzasse, non riusciva più a mettere insieme due parole nella lingua divina.
La donna sbuffò, alzando al cielo gli occhi scuri: -Parla nella tua lingua, ti capisco benissimo.-
Lilian annuì, sollevata: -Anche se ha fatto qualcosa di male, ha già sofferto abbastanza!-
-Si è innamorato di un'umana e ha voluto essere trasformato; io l'ho solo punito per questo, nessuno può morire in una forma diversa da quella in cui è nato. Sarebbe morto da tempo, se qualcuno non lo avesse accontentato.- la dea calcò la voce su quel “qualcuno”, e guardò qualcosa alle spalle di Lilian. Questa girò la testa, per trovare, davanti all'altare di Nokkol, un giovane dalla pelle abbronzata e i capelli castani lunghi fino alle spalle. Quando si voltò, la ragazza poté vedere che aveva gli occhi verde intenso.
“Nokkol?!”
-Sei tu che sei troppo crudele nel distribuire punizioni.- ribatté il dio, ma Lilian era già stata colpita da un'idea, e aveva girato la testa dall'altra parte del tempio, verso l'ultimo altare, per controllare.
“Non ci credo!”
Un ragazzo dalla pelle bianca, con capelli corti tra il biondo e l'argento e occhi azzurri chiarissimi, era in piedi sull'altare, e osservava con grande interesse la statua, in particolare le ali. Lilian sentì la testa girarle: i tre dei erano lì con lei, a discutere come potrebbero fare gli umani.
-Non fargli caso- disse Tayn, richiamando la sua attenzione -è sempre troppo preso dai suoi pensieri per parlare.-
-Non cambiare discorso, ora!- Nokkol si avvicinò alla dea -Quel lupo ha già pagato abbastanza, potresti anche permettergli di morire!-
-Sei sempre stato troppo tenero, non capisci che non si possono trasformare così gli esseri viventi, altrimenti sarebbe il caos!-
-Sei tu che sei troppo rigida! Dovresti pensare un po' di più alla loro felicità!-
Lilian non sapeva più cosa dire: era un evento più unico che raro incontrare gli dei di persona, ma vederli litigare così...se lo aspettava ancora meno.
-Tranquilla, lo fanno fin troppo spesso. È per questo che sono sempre con loro.- una voce calma alla sua destra attirò la sua attenzione, e, voltandosi, vide Virval sopra di lei che, con un'espressione gentile in viso, le porgeva una mano per aiutarla ad alzarsi.
-Grazie.- si sentiva in imbarazzo a prendere la mano di un dio, e anche di non essersi accorta di essere ancora seduta a terra. Rialzandosi, notò due ali bianche, con riflessi argentati, sulla sua schiena. C'erano anche prima? Non se lo ricordava.
-Adesso smettetela, voi due. Che immagine volete che abbia questa ragazza di noi, dopo questa scena?-
Gli altri due dei, che sembravano pronti a passare alle mani, lo guardarono prima irritati, poi perplessi.
-Che significano quelle ali?- domandò Tayn.
Il dio del cielo sollevò le spalle: -Mi piacevano su quella statua, e volevo provare. Erano un'idea interessante.-
Nel tempio si sentì solo il bruciare delle torce, e Lilian trattenne a stento una risata nel vedere la faccia che fecero gli altri due dei.
-In ogni modo- riprese Virval -io ritengo che dovresti ascoltare la richiesta di questa giovane, Tayn.-
-Ti ci metti anche tu, ora?!- la dea sbuffò -E lei cosa può darmi, in cambio?-
Stavolta, la ragazza capì che si stava rivolgendo proprio a lei. -Qualunque cosa, se può aiutarlo!- esclamò convinta.
Tayn sembrò riflettere, poi disse: -Sei disposta a vivere da sola, lontano dalla tua famiglia e dai tuoi amici?-
-Sì!- ne era sicura: se quello era il prezzo da pagare per aiutare qualcuno che non era più lupo né completamente uomo, avrebbe accettato.
La dea sorrise, quindi sollevò la mano sinistra, fino a quel momento nascosta dal mantello, in cui teneva il pugnale di Teisen. Lilian ebbe un brivido nel vedere quel braccio, scheletrico e con la pelle grigia e tesa sulle ossa, mentre il destro aveva una carnagione viva. “La vita e la morte.” capì, e non osò immaginare l'aspetto dell'altra metà del volto, sotto i capelli.
-I tuoi compaesani, in questo momento, vogliono bruciarlo, convinti che in questo modo morirà. Ovviamente non è così.- Tayn le porse il pugnale -Tu, e solo tu, dovrai trafiggerlo al cuore con questo prima che venga anche solo sfiorato dal fuoco, altrimenti non morirà. Tra poco smetterà di piovere, e allora accenderanno la legna. Devi fare in fretta, se vuoi aiutarlo.-
-Grazie!- Lilian sorrise, grata che l'avessero ascoltata, e tornò di corsa al villaggio stringendo in mano l'arma.
Mentre si dirigeva verso la piazza centrale, dove era sicura che avrebbero tentato di ucciderlo, vide Masiun e Tonme, che le corsero incontro con la faccia preoccupata.
-Dov'eri?- domandò il più piccolo, ma l'altro ragazzo disse contemporaneamente: -Vogliono bruciare vivo quell'uomo!-
-Lo so.- fece lei, e proseguì verso la piazza. I due la seguirono.
-Non vogliamo che lo uccidano!- continuò Masiun -Quattro anni fa ha salvato Tonme da quel soldato, ma nessuno ci ascolta!-
-Lui vuole morire, ma non può, neanche se lo bruciano.- replicò Lilian -Devo farlo io.- aggiunse sottovoce, guardando il pugnale, e sentì il cuore farsi pesante all'idea di uccidere qualcuno, anche se lui voleva morire. Capì che anche quello faceva parte del pagamento alla dea. La pioggia, intanto, cadeva sempre più piano.
-Che vuoi dire?- i suoi amici iniziarono a tempestarla di domande, ma lei corse avanti, fino ad arrivare alla piazza. Vide subito la pira, non molto alta, su cui era legato Teisen, immobile; tutt'intorno si ammassavano gli abitanti di Tarquelei, e suo padre e i suoi fratelli che reggevano delle torce.
-Fermi!- Lilian si fece largo tra la folla e si arrampicò sull'ammasso di legna, raggiungendo l'uomo-lupo, che la guardava con i suoi occhi freddi.
-Lilian! Che fai?- gridò suo padre, ma lei lo ignorò.
-Che vuoi?- le chiese Teisen. Aveva nuove ferite sul corpo, e un segno rosso intorno al collo, da cui Lilian dedusse che avessero provato a decapitarlo.
La ragazza fece un respiro profondo: -Posso ucciderti.- gli mostrò il pugnale -La divina Tayn ha accettato di farti morire.-
Lui la guardò stupito, probabilmente non le credeva, ma poi sorrise. Era un sorriso sincero, pieno di gioia, che in qualche modo riuscì a contagiare anche lei. Appoggiò la punta del pugnale esattamente sulla vecchia ferita al cuore, ma esitò.
-Che aspetti?- fece lui, tornando a guardarla negli occhi -È difficile?- Aveva usato un tono comprensivo, non la stava schernendo come quella notte.
-Non volevo che ti catturassero.- sussurrò lei, e Teisen annuì.
Lilian deglutì, concentrandosi sulla mano che stringeva l'arma, ma non riusciva a trovare la forza di spingere la lama più a fondo.
-Vai.- quella volta, lui le parlò con un tono caldo, umano e dolce, quello con cui di sicuro parlava alla donna che aveva amato. Probabilmente fu quello che le permise di farlo, l'idea che lei lo stesse ancora aspettando, da qualche parte. Chiuse gli occhi e affondò la lama nel suo cuore, trattenendo le lacrime. Il corpo di Teisen ebbe un fremito, poi le forze lo abbandonarono, e si accasciò addosso a lei. Nella piazza sottostante regnava il silenzio. Lilian avrebbe voluto piangere, ma aveva ancora qualcosa da fare. Tagliò le corde ormai inutili che tenevano Teisen, scese dalla pira e, portandolo in spalla, con molta fatica e grandi dolori ai tagli sul braccio, si diresse verso il bosco. In molti la chiamarono, ma lei, ancora una volta, ignorò tutti, finché suo padre le si parò davanti.
-Dove pensi di andare?-
-A mantenere almeno una promessa.-
La ragazza aggirò suo padre, che la afferrò e le disse: -Tu non ci torni, in quel bosco.-
-Devo, lo vuole la divina Tayn.- la sua risposta lo lasciò abbastanza spiazzato da permetterle di allontanarsi, ma solo di pochi passi: inciampò, e fu prontamente sostenuta da due braccia robuste.
-Masiun.-
-Dove lo vuoi portare?- le chiese l'amico, aiutandola a portare il corpo di Teisen. Poco dietro di lui, veniva Tonme con una pala. Quei due avevano già capito tutto.
-Dove ha sempre vissuto, e dove si trova la ragazza che ama.- Mentre si inoltravano tra gli alberi, raccontò loro tutta la storia del lupo diventato uomo.
Arrivarono alla grotta senza dire più niente, ognuno immerso nei propri pensieri, e Lilian si avvicinò subito alla collinetta, cercando qualcosa che intuiva essere lì.
-Eccolo.- disse poco dopo: nella roccia, ormai quasi illeggibile, si poteva ancora vedere inciso il nome “Gilliana”, indicando il luogo in cui era sepolta. Prese la pala dalle mani di Tonme e iniziò a scavare lì accanto. Quando ritenne di aver fatto una buca abbastanza grande, chiese a Masiun di aiutarla a mettere il corpo di Teisen lì dentro, con gambe e braccia raccolte al petto, la posizione della nascita e della morte. Appoggiò accanto a lui anche il suo pugnale, prima di ricoprirlo. Infine, prese dalla grotta il coltello che era rimasto lì da quella notte e incise nella roccia il nome “Teisen”, seguito, poco sotto, da “Lupo” e, da ultimo, “Occhi d'Argento”; riscrisse anche il nome della ragazza, in modo che potesse durare ancora molti anni.
-Ecco fatto. Ora sono di nuovo insieme.- sussurrò, allontanandosi.
Quando tornò a guardare le due tombe, vide chiaramente sopra di esse due figure evanescenti: una era Teisen, sorridente, che teneva la mano a una ragazza dai capelli rossi e ricci, gli occhi azzurri e il naso coperto di lentiggini. Dopo un attimo di sbalordimento, Lilian sorrise a sua volta e li saluto, e questi svanirono nell'aria. Si accorse solo in quel momento che qualcuno li aveva seguiti, perché si alzarono varie esclamazioni di sorpresa. La ragazza non vi fece caso, e tornò nella grotta, ora casa sua.
-Non torni indietro?- le domandò Tonme, restando sull'entrata.
-No. Ho fatto una promessa agli dei, devo mantenere almeno questa. Da oggi vivrò qui.- Lilian sorrise, e il ragazzo la imitò: -Erano quattro anni che non sorridevi. Vuol dire che sei felice così.-
La ragazza gli andò incontro e lo abbracciò, poi lui si allontanò. In seguito, molti cercarono di farle cambiare idea, ma lei aveva deciso: avrebbe vissuto lì finché Tayn avesse voluto.
Ebbene sì, è finita. Questo è un breve racconto che ho scritto qualche mese fa, ispirato da un sogno fatto circa due anni fa. In realtà, era più un incubo, e ne ho ripreso quasi fedelmente solo una parte: quella dei tagli.
Bene, lascio a voi la libertà di immaginare cosa succederà a Lilian, da sola nel bosco. E se vi aspettavate una storia d'amore, mi spiace avervi deluso, ma non sono un'amante di quel genere ^-^
Detto questo, ci si sente nelle vostre eventuali recensioni, sia che vi sia piaciuto che no.
Allora, ci si sente alla prossima storia ;)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3481025