I demoni sanno cos'è l'amore?

di DarkYuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arresti domiciliari ***
Capitolo 2: *** Occhi rossi nelle tenebre ***
Capitolo 3: *** Benvenuta all'inferno ***
Capitolo 4: *** Come un angelo custode... o forse no? ***
Capitolo 5: *** La ragazzina ed il maggiordomo ***
Capitolo 6: *** Le Rose di Luna ***
Capitolo 7: *** Un demone, che non sapeva cosa fosse l’amore, poteva essere geloso? ***
Capitolo 8: *** Condannata a morte ***
Capitolo 9: *** La verità è sempre la peggiore ***
Capitolo 10: *** L'eternità ***



Capitolo 1
*** Arresti domiciliari ***


*Arresti domiciliari* 
 









"L'amavo non per il modo in cui
ballava con i miei angeli
ma per il modo in cui
il suono del suo nome sapeva far
tacere i miei demoni."
-Christopher Poindexter
 
 
 
 
 
 
 
 

Il grande castello color bigio era circondato da fitta nebbia raccapricciante, come ogni edificio e strada di Blackrock.
Questa piccola cittadina si trovava a nord dell’Inghilterra, agglomerata ai piedi della collina.
Mi ero fermata in un bar per chiedere informazioni sulla via più semplice da percorrere per arrivare a destinazione e quasi avevo dovuto tirar fuori le indicazioni dalla bocca del ragazzo dietro al bancone. La sua occhiata terrorizzata non era passata inosservata alla mia minuziosa attenzione.
La gente mi aveva guardato male fin quando non ero risalita nella mia macchina e sparita dietro l’angolo. Giravano voci e non erano affatto semplici invenzioni per spaventare i bambini, ma vere e proprie storie di terrore, legati alla meta che mi apprestavo a raggiungere per la prima volta.
Avevo visto numerosi film che iniziavano in questo modo e di solito nessuno ne usciva vivo.
 
 
Qui ogni cosa era misteriosa ed oscura e mi dava i brividi. Il silenzio lugubre era fin troppo rumoroso nelle mie orecchie. L’atmosfera era degna di un cimitero e la brutta sensazione che si ampliava nel petto, era un cattivo presagio da tenere nascosto perfino a me stessa.
Avrei voluto tanto avere una seconda possibilità da poter scegliere, anziché dover venire qui a forza.
 
 
Mia nonna Lucy non mi era mai piaciuta e non mi sarebbe andata nemmeno a genio adesso che dovevo abitare con lei, obbligata. Era sempre stata gelida e il suo sguardo freddo da rapace mi metteva i brividi.
Non mi fidavo di lei.
Tutte le volte che avevo avuto a che fare con lei in passato, l’impressione che avesse qualcosa di terribile da nascondere mi raggelava l’anima.
 
 
Fissavo attenta la fortezza ed ogni cosa nei dintorni. Nebbia permettendo.
Il cielo era coperto da gonfi nuvoloni cinerei e senza un orologio non si poteva capire l’ora esatta. Poteva essere benissimo mattino presto o un tardo pomeriggio d’inverno.
Attorno a me c’erano dei centenari alberi spogli. I loro rami mi rammentavano delle vecchie mani ossute e protese minacciose come degli artigli affilati; e una distesa d’erba che finiva nel bosco a molti metri dall’abitazione.
 
 
La boscaglia era antica e mi faceva tremare dalla paura.
Sentivo che da un momento all’altro potesse balzarne fuori una creatura soprannaturale o qualcosa di peggio a sbranarmi.
Oltre me, non c’erano altre forme di vita nei paraggi.
Il verso profondo di qualche gufo o civetta mi ricordava che non  ero finita in un’altra dimensione sconosciuta.
 
 
Se avessi avuto bisogno di aiuto, nessuno sarebbe venuto in mio soccorso. L’ultima casa che avevo visto era a venti minuti di macchina, e a piedi ce ne sarebbe voluto, come minimo, il doppio.
Ebbi una lampante intuizione.
Rovistai nei jeans e recuperai il cellulare. Il display luminoso confermò il mio timore: non c’era campo per telefonare e di conseguenza chiedere aiuto.
Esclusa del tutto dal resto del mondo.
 
 
Strofinai le mani sulle braccia ricoperte dal tessuto impermeabile della giacca nera, come se fosse un gesto istintivo di protezione e alzai gli occhi sul castello in cui avrei dovuto passare chissà quanto tempo prima di poter trovare una sistemazione migliore di questa.
Il rumore del motore dell’automobile aveva richiamato l’attenzione di mia nonna Lucy. La vidi spostare annoiata la tenda di una finestra per costatare chi fosse giunto fino a lei in questo punto sperduto.
 
 
A vederla non si poteva dire che fosse una nonna.
Aveva un aspetto giovanile ed austero. Era alta, molto più di me, con un fisico asciutto e snello. I lineamenti erano ferrei, come se stesse contraendo la mascella con una forza tale da potersi rompere in qualsiasi momento.
Le iridi erano di un nero profondo ed infinito e tutte le volte che entravo in contatto con loro, avevo l’impressione che fosse in grado di leggere i miei pensieri più nascosti: una sensazione non proprio piacevole.
I lunghi e lisci capelli corvini le ricadevano come seta sulle spalle sottili e ossute.
Indossava una lunga tunica nera elegante che la fasciava in vita e la rendeva torreggiante. Probabilmente aveva una collezione non invidiabile di tuniche che seguivano quello stile da suora di clausura.
La vedevo bene a comandare un reggimento di soldati pronti per la guerra.
L’ultima volta che avevo avuto a che fare con lei, era stato all’incirca dieci anni prima, alla morte di mio padre Paul, a causa di un grave incidente stradale, da quel giorno era stata solo un nome e nulla di più.
 
 
Mi avvicinai a passo incerto verso il sovrastante cancello in ferro battuto che recintava tutta l’abitazione. Alzai una mano, in un timido ed impacciato saluto e per tutta risposta lasciò cadere la tenda stizzita, nemmeno avesse visto una persona spiacevole, che si era augurata di non incrociare mai più.
Lei stessa aveva richiesto il mio affido, con mio sommo disappunto, e non aveva avuto grossi intoppi, dato che era l’unico mio parente ancora in vita.
 
 
<< Certo nonna, anch’io sono felice di vederti. Come stai? Mi dispiace così tanto per la morte di tua madre… >>, mormorai indignata tra me e me, prevedendo una convivenza non molto allegra tra me e miss glacialità.
Erano passate solo due settimane dal brutale assassinio di mia madre Susanne.
Le avevo telefonato il giorno prima per avvertirla del mio arrivo.
C’era davvero una notevole differenza tra Los Angeles, la magnifica città in cui ero nata e cresciuta, e Blackrock.
Qui il sole pareva essere stato assorbito dalle nuvole.
Me ne sarei andata subito, era questo il pensiero che m’incoraggiava a sopportare quella donna. Avrei compiuto diciotto anni fra solo due mesi e speravo davvero di poter trovare in fretta di meglio, per darmela a gambe da questo luogo sperduto e isolato.
 
 
Il cancello si aprì automatico sotto le mie mani, informandomi che mia nonna si fosse adattata alla tecnologia di questo secolo. Aveva sempre odiato i cellulari, i computer e strumenti vari.
 
 
Parcheggiai la piccola Chevrolet Aveo blu -regalatami da mia madre il giorno dopo che avevo preso la patente- nel vasto giardino del castello e, mentre aprivo il bagagliaio per caricarmi le valigie, un movimento furtivo e silenzioso, catturò la mia attenzione di sottecchi e mi fece sobbalzare per lo spavento.
 
 
<< Oh mio Dio! >>, sbottai incontrollata, poggiando una mano sul cuore palpitante.
Gli lanciai un’occhiata sconcertata nel bellissimo viso pallido, dai tratti sottili, eleganti, che gli donavano un’aria sensuale, quanto letale. Gli occhi a mandorla erano abitati da iridi scarlatte, che osservavano inespressive la mia faccia allarmata. I capelli neri incorniciavano il volto etereo ed arrivavano lunghi fin sulla nuca.
Vestiva impeccabile la divisa corvina da maggiordomo, che rendeva la distinta figura ancor più raffinata, slanciata ed alta; mi sostava accanto in una postura signorile, dritta ed imperturbabile.
 
 
<< Non ancora. >>, mormorò divertito, con l’ombra di un sorriso diabolico che gli allungava un angolo della bocca morbida e severa. Poggiò una mano sul centro del petto ed inclinò la testa da un lato, in una cerimoniosa riverenza. << Domando scusa per averla spaventata, lady Selin. La prego di lasciarmi portare i bagagli nella sua stanza. >>.
 
 
Nessuno aveva mai usato l’appellativo aristocratico nei miei confronti, ero sempre stata per tutti Selin Lennox, una normale ragazza americana di diciassette anni.
 
 
“Ma i suoi occhi sono rossi?”.
 
 
Sbattei più volte le palpebre e furono numerosi i quesiti che mi balenarono nella mente, ma che non fui in grado di porre, a parte uno: il più sciocco.
<< E tu chi sei? >>.
 
 
Schiuse lento le labbra e si portò le mani, avvolte da guanti bianchi, dietro la schiena.
<< Sebastian Michaelis, a servizio come maggiordomo, da sua nonna la contessa Lucy Lennox >>.
 
 
Increspai la fronte, non sorpresa che mia nonna avesse un maggiordomo, più che altro ero sbalordita del fatto che avesse assunto un ragazzo così giovane ed affascinante.
<< Ah. >>, fu l’unica risposta decente che seppi dare. << Posso portarle da sola le mie cose, non ti preoccupare. >>.
 
 
<< Insisto, lady Selin. >>, riprovò imperturbabile. Abituato ai capricci di nonna Lucy, doveva sembrargli assurdamente anormale che una sua discendente preferisse non essere servita e riverita. Volli evitargli rimproveri inutili, così mi feci di lato e gli lasciai svolgere il suo lavoro da maggiordomo.
 
 
 
Sebastian prese il borsone ed il trolley, per poi farmi strada in silenzio attraverso il vialetto ghiaioso e lo seguii rassegnata, verso quella specie di prigione che mi avrebbe di certo mangiata viva.
 
 
Sulla superfice del portone marrone scuro alto quasi due metri e mezzo e largo due, c’erano raffigurati strani animali mitologici che non avevo mai visto in vita mia e in più riconobbi lupi mannari, delle donne dai lunghi capelli e uomini che si trasformavano in pipistrelli.
Era la prima volta che entravo in casa di mia nonna Lucy e restai stordita dalla visione d’insieme degli interni.
Controllai velocemente la valle gelida e poi il maggiordomo richiuse il portone dietro le mie spalle, serrandolo con il grande e arrugginito chiavistello.
 
 
“Ci mancano solo le manette e il mio arresto è completo!”.
 
 
Da dentro il castello era ancor più spettacolare ed etereo di ciò che avessi immaginato.
Sembrava di essere tornati improvvisamente nel 1800 e i miei indumenti moderni stonavano con così tanta raffinatezza e classicità.
Al centro dell’atrio si apriva una grande scalinata di marmo coperto da tappeto rosso, che portava ai piani superiori. Le luci che provenivano dai lampadari a forma di candelabro, erano suffuse e spettrali.
Ai lati della gradinata c’erano due aperture che portavano a parti differenti del castello.
Il soffitto era ornato da disegni di una remota battaglia notturna tra essere umani e mostri di ogni tipo che donavano all’ambiente una degna atmosfera raccapricciante ed ombrosa. Nell’aria c’era un vago odore di vernice fresca e un olezzo di rose bagnate.
E fortunatamente i riscaldamenti erano accessi e funzionanti. Avevo immaginato il contrario e non mi allettava l’idea di congelare a fine Ottobre.
 
 
<< Da questa parte. >>, disse Sebastian con un tono angelico.
 
 
Mi fece strada verso il corridoio ad est dell’entrata.
Ispezionavo con tensione ogni minimo particolare e la sensazione di attesa si fece più frenetica e spasmodica.
Sentivo che stava per accadere qualcosa di brutto e spaventoso. Il cuore batteva forte e la testa mi girava.
Attribuii quello stato d’animo alla stanchezza e allo stress da viaggio e cercai con tutte le mie forze di darmi una regolata. Una bella dormita mi avrebbe messa a nuovo, ne ero certa.
Svoltammo in un secondo e breve corridoio ed infine arrivammo in un salone molto accogliente.
Il pavimento era ricoperto di moquette rossa.
Il camino al centro della parete di nord era allegramente accesso e scoppiettante. Un divano era posto a qualche metro di distanza e due poltrone ai suoi lati formavano un mezzo cerchio. Un tavolino basso di vetro e legno lavorato era posto davanti al mobilio e oltre a questo, nella stanza vi erano solo qualche quadro ai quali non prestai molta attenzione e due finestre dalle tende bordeaux che lasciavano filtrare la luce smorta del cielo.
 
 
Nonna Lucy sostava accanto alla finestra, da cui mi aveva guardata poc’anzi e squadrò il mio abbigliamento con palese disgusto e naso arricciato.
<< Lasciaci Sebastian. >>, ordinò lei impassibile e il ragazzo si apprestò ad eseguire i comandi, allontanandosi con i miei bagagli. << Siediti. >>, disse a me, trattandomi alla stregua della servitù.
 
 
 
Si accomodò sulla poltrona ed io feci ugualmente, ma nel bel mezzo del divano comodo: il più lontano da lei.
La donna accavallò le gambe coperte dalla lunga tunica e mi fissò impassibile.
Probabilmente se in questo momento una mandria impazzita avesse fatto irruzione, lei non avrebbe piegato ciglio e se ne sarebbe stata lì ferma a fissarmi da chissà quale dimensione lontana anni luce da me.
Ero più che felice di non somigliarle.
Io avevo un mio carattere e una mia personalità.
 
 
<< E così tua madre è morta? >>, chiese a bruciapelo come se non le importasse veramente, puntellando il gomito sul bracciolo della poltrona e poggiando il mento sul dorso della mano. Non le era mai andata a genio mia madre e di conseguenza neanche io.
 
 
“Alla faccia del tatto!”, pensai, amaramente ironica. Se mi avesse pugnalata a morte, avrebbe fatto meno male.
 
 
<< Sì. >>, farfugliai angosciata.
Non mi sarei mai abituata a tutta quella sofferenza che dilaniava il mio cuore e mi faceva sentire vuota, come se avessero scavato via tutti gli organi, lasciando solo l’involucro: cioè me.
 
 
<< Assassinata. >>, continuò, come se non avessi mai aperto bocca. Pareva che ci godesse a sottolineare il modo in cui mia madre Susanne fosse morta.
 
 
La voce non arrivò alla mia gola e quindi mi limitai ad annuire, trattenendo le lacrime che pungevano i miei occhi.
 
 
<< Mi dispiace. >>, aggiunse. Si meritava un Oscar per la peggior interpretazione del rammarico. << Sarò la tua tutrice fino alla maggiore età, quindi esigo obbedienza da parte tua e la convivenza sarà pacifica, fino ad allora. >>, specificò dopo qualche attimo di silenzio snervante.
Non mi voleva: era lampante.
 
 
Mio padre l’aveva sempre descritta come una madre eccessivamente severa, votata all’ordine e alle regole, per nonna Lucy l’affetto materno era inesistente ed era per questo che mio padre, non appena aveva conosciuto mia madre, era scappato via con lei.
 
 
Mi limitai ad annuire, conscia che avevo appena sancito la mia condanna ad una detenzione eterna.
 
 
Continuò a scrutarmi come se la strana fossi io.
<< Sebastian! >>, chiamò a un certo punto.
 
 
All’inizio non vidi nessuno, ma poi dal corridoio dietro le mie spalle ne venne fuori il bellissimo ragazzo che era venuto ad accogliermi all’ingresso.
<< Mi avete chiamato, signora? >>, chiese con una voce aggraziata e un tono ossequioso. La sua gentilezza era spaventosa e glaciale, ma proprio per questo risultava di un’attrattiva deleteria.
 
 
<< Sì, Sebastian. Mostra a mia nipote Selin la sua stanza… >>, ordinò al maggiordomo per poi rivolgersi a me, << … ceniamo tutte le sere alle sette precise. Alle dieci ti voglio a letto. La mattina la sveglia è per tutti alle otto. Vai a scuola? >>.
 
 
Inarcai un sopracciglio, stupita che l’assistente sociale non le avesse detto nulla.
<< Sì… credevo di essere già iscritta. >>, rivelai stupita e l’ardire della frase non venne accolta da colei che era disabituata ad essere contraddetta.
 
 
Socchiuse gli occhi neri fino a due fessure oscure.
Non gradiva il mio comportamento e lo sguardo cinereo ne era una prova.
<< Se ne occuperà Sebastian. Verrai ammessa in una delle più prestigiose scuole di Blackrock, degne del tuo rango sociale. >>, rese noto e mi sentii sul punto di svenire. Avere a che fare con coetanee elitarie, superbe e stizzose, era l’ultimo dei miei piani.
Pareva che non apprezzasse che non fossi già plurilaureata e che non parlassi trenta lingue diverse… come lei.
 
 
<< Hai cenato? >>, interrogò, rivolgendomi per la prima volta una domanda che riguardasse la mia salute e non le mie vittorie o sconfitte.
 
 
Mi ero fermata in un fast-food durante il viaggio e mi ero rimpinzata di schifezze varie. Stetti bene attenta a non rivelargli questo piccolo particolare per non essere rimproverata sulle mie abitudini alimentari.
La lunga lista delle sue regole e pretese mi avevano spiazzato.
 
 
Annuii solamente.
 
 
<< Bene. Quindi buonanotte Selin. Ti pregherei di non andare in giro per il castello e detto ciò, ci vedremo domani mattina a colazione. >>.
Si alzò elegante dalla poltrona e a passo veloce di danza abbandonò la stanza.
 
 
“Buonanotte?!? Ma sono appena le nove e mezza di sera! Di questo passo morirò sul serio… per la noia.”.
 
    
Solo una volta che restai sola con il maggiordomo, respirai, accorgendomi di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
Ero consapevole che non sarebbe stato facile e non era per il fatto che sarei stata iscritta in una scuola prestigiosa, ma il fatto che avevo del tutto perso la mia libertà sotto la tutela di mia nonna Lucy. L’intimazione di non andare a spasso per il castello significava che me ne sarei dovuta restare segregata nella mia stanza per la maggior parte del giorno.
Sebastian mi scortò all’interno del castello e più volte mi persi ad osservare l’andatura dei suoi passi, la grazia del portamento signorile e la bellezza indiscussa del suo corpo longilineo.
 
 
Da sola, mi sarei potuta perdere in quell’abitazione così grande e piena di corridoi.
 
 
Sulle pareti vi erano degli eccentrici quadri raffiguranti scene raccapriccianti, come delle decapitazioni o torture atroci verso uomini dall’accentuata pallidità o animali somiglianti a lupi giganti. In altri vi erano demoni deformi che divoravano delle entità di luce evanescenti.
Solo ora ci facevo davvero caso.
La nonna aveva dei strani gusti orribili riguardanti l’arte.
 
 
<< Desidera una pietanza in particolare per la colazione di domani mattina, lady Selin? >>, interpellò, arrivati alla prossimità di un corridoio al secondo piano, con almeno undici grandi porte, divise in cinque per lato.
L’undicesima porta si trovava in fondo, come a capeggiare su tutte.
 
 
<< Mi va bene qualsiasi cosa. >>, accordai cordiale. Ero così a disagio sotto quei grandi occhi scarlatti che mi fissavano indifferenti.
 
 
Il giovane Sebastian e nonna Lucy andavano proprio d’amore e d’accordo poiché avevano la stessa espressione di chi stava affrontando una scocciatura da eliminare in fretta.
 
 
<< Se ha bisogno di me, le basterà suonare il campanello che ha accanto al suo letto. Io arriverò il prima possibile per esaudire le sue richieste. Spero che si troverà bene qui. Le chiedo di non fare molto rumore durante la notte, perché sua nonna… >>, indicò la porta in fondo. Quella che mi aveva colpita più di tutte. << …è solita avere il sonno leggero e se dorme male, si sveglierà di cattivo umore. La colazione sarà servita alle otto e mezzo. Verrò io stesso a prenderla. >>.
 
 
Sarebbe venuto lui stesso a prendermi? Ero agli arresti domiciliari o mi stavano tenendo d’occhio?
Di cosa avevano paura, che dopo mia madre avrebbero ucciso me?
Lo ringraziai, velando la mia espressione di disappunto.
 
 
Il ragazzo aspettò fino a quando non entrai nella mia stanza e poi se ne andò.
 
 
Ero proprio controllata a vista, allora?
Questa consapevolezza non mi piaceva per nulla.
 
 
Dapprima fui spaesata dalla grandezza del mio alloggio momentaneo. Era la stanza da letto più grande che avessi mai visto.
Le pareti erano ampie e alte, di color vinaccio scuro. Il mio letto a baldacchino era situato a ovest e, incredibilmente, era di tre piazze. Ci potevano dormire sei persone lì sopra.
Dei veli neri scendevano a coprire il letto e a celarlo da occhi indiscreti. Di fronte ad esso, una grande cassapanca in cui vi erano poggiati il borsone e la valigia.
 
 
Dalle due grandi finestre a nord potei vedere che aveva iniziato a piovere a dirotto e che la luce opaca aveva lasciato il posto alla notte più tetra e spettrale. Qui le tende erano nere.
Nella parete di destra c’era un’antica scrivania di legno scuro, con sopra un candeliere e lumi accesi. Dal tetto scendeva un lampadario a grappoli fatto di cristalli.
Subito dopo l’entrata c’era un caminetto in pietra già acceso e rendeva la camera molto più accogliente.
A pochi metri dal raffinato scrittoio c’era un’altra porta che conduceva nel mio bagno personale. Nella toilette ogni cosa era di colore nera, dalla parete alla vasca, perfino il parquet era corvino.
Incredibilmente quell’arredamento fuori dagli schemi mi piacque e tanto anche.
Avevo sempre avuto gusto per il macabro e quella camera era la prima cosa buona che mi capitava oggi.
 
 
Osservai il mio aspetto sbattuto nella specchiera dalla cornice dorata e lavorata.
La mia faccia era pallida, quasi livida e avevo delle appariscente occhiaie scure che m’invecchiavano di dieci anni.
I miei lineamenti erano sottili e delicati, molto femminili e gli occhi erano grandi e di colore del cielo ai primi bagliori del mattino.
I lunghi capelli cremisi erano legati in una bassa coda di cavallo, ed erano increspati e spelacchiati per via dell’umidità di Blackrock.
Non ero mai stata molto alta e il mio fisico era magro, ma non scheletrico: ogni cosa era al posto giusto senza eccessi o mancanze.
 
 
Recuperai dalla mia valigia l’occorrente per un bagno ristoratore. Riempii la vasca d’acqua calda e mi ci immersi completamente.
Il tepore ci mise un po’ prima di arrivare alle mie ossa per riscaldarle.
Non volevo pensare alla notte di due settimane fa, quando rientrai a casa da una festa di compleanno e ritrovai ciò che restava di mia madre Susanne.
I suoi arti, gli organi e il sangue erano stati sparsi ovunque nella sala da pranzo.
Quella stessa notte ero morta anche io con lei.
Sopravvivevo solo grazie alla forza e al pensiero che avrei trovato io stessa i suoi assassini.
La polizia non aveva fatto nessun passo avanti in quel campo e dopo l’autopsia se ne erano usciti con la cavolata che era stato un grosso animale a ridurla in quel modo.
Un’assurdità peggiore non avrebbero potuto trovarla!!!
Quale animale sarebbe riuscito ad entrare in casa mia senza lasciare alcun segno di effrazione e impronte sul terreno che circondava l’abitazione?
Nessuno: era ovvio.
La risposta era un’altra e standomene rilegata qui come una monaca di clausura, potevo far ben poco.
Io dovevo sapere.
 
 
Stetti a mollo per mezz’ora. Quando i polpastrelli si raggrinzirono, mi decisi di uscire e mi accoccolai nel morbido e accogliente accappatoio bianco.
Tornai nella stanza e uno sbadiglio di troppo mi fece capire che ormai mi tenevo in piedi per miracolo.
 
 
Rovistai velocemente nel mio borsone nero alla ricerca di un paio di pantaloncini morbidi e di una maglietta da indossare, poi tra le mie mani passò la foto incorniciata di mio padre, mia madre e me da bambina. Eravamo tutti sorridenti e felici e mi si strinse il cuore nel ricordo di quell’allegro giorno allo zoo.
Poggiai la foto sul comodino e mi infilai sotto le coperte fresche e profumate di bucato.
 
 
Piansi tutta la notte mentre guardavo quell’immagine e desiderai con tutta me stessa potermi svegliare l’indomani mattino con mia madre ancora viva e con mio padre di nuovo con me.
Con quel pensiero mi addormentai verso le prime luci dell’alba, scivolando in un leggero sonno stancante che mi risucchiò via le ultime energie, anziché ridarmele.
 









Note:
Salveeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee a tutti, eccomi approdata anche in questa sezione. 
Dato che sono moltoooooo lenta, ho scoperto il mondo di Black Butler da sole due settimane, facendo una scorpacciata di manga, anime e anche il drama. Cerco di recuperare il tempo perduto! 
Ovviamente mi sono totalmente innamorata del caro Sebastian, ma il Sebastian della mia ff è largamente ispirato ad Hiro Mizushima, l'attore che lo interpreta nel drama (me fissata fissata xD) per questo ho specificato la forma degli occhi a mandorla. 


Chiarisco alcuni punti all'interno della storia. Questa ff è stata riesumata da una vecchia ff che avevo scritto anni e anni fa su altre tematiche, pubblicata e poi cancellata, perché non mi soddisfava, poi l'ho trovata perfetta per creare questa.
Tranquilli che questa verrà pubblicata tutta fino all'ultimo e non cancellata.  


Stavolta ho preferito non creare una copertina, benché io sia una grande fan delle copertine nelle storie. 



So che avrei potuto fare di meglio, ma sono molto fuori fase ultimamente e quindi è uscita così questa ff. Chiedo venia!
Dico già da ora che non sarà lunghissima, che la trama è molto veloce e che tutto si svolgerà con una rapidità intensa. Spero solo che possa piacere a qualcuno. 


Non sono riuscita a leggere tutto il manga e a vedere l'intero anime, quindi è molto probabile che io abbia scritto delle informazioni discordanti su Sebastian e il suo mondo. Chiedo venia anche per questo! 



La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta. 


Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda.Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.


Aggiornerò lentamente, poiché, visto che sono pochi capitoli, preferisco non bruciarmeli tutti insieme. 


Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna.  
 

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Capitolo 2
*** Occhi rossi nelle tenebre ***


*Occhi rossi nelle tenebre* 







 
Occhi rossi nelle tenebre.
 
 
Un limbo che non aveva muri, uscite e tragitti. Un limbo da cui non sapevo andarmene e che non riuscivo a spiegarne il mio arrivo. Un limbo che mi inghiottiva, sopprimeva l’ossigeno nei polmoni e strangolava violento.
 
 
Occhi rossi nelle tenebre.
 
 
A terra, imminente ad una morte inesorabile, il mio aguzzino si approssimava, avvolto da un mantello corvino che celava le sue fattezze alla mia vista. Era lui che si stava prendendo la mia vita, però non era sua intenzione, non voleva: l’avevano costretto.
 
 
Occhi rossi nelle tenebre.
 
 
L’assassino si inginocchiò accanto a me e tra le mani un pugnale d’argento scintillò nell’oscurità. L’assassino era obbligato ad uccidermi. L’assassino toccò il mio viso, i capelli spettinati e poggiò le labbra gelide sulle mie, il cui calore stava scivolando via. L’assassino piangeva… lacrime di sangue.
Possedeva letali occhi rossi, che conoscevo più che bene, occhi in grado di scrutare l’anima e di sussurrargli parole nere. Occhi che mi erano rimasti impressi, occhi demoniaci che mi avevano sconvolta.
 
 
L’insistente bussare alla porta della stanza mi fece svegliare di soprassalto.
Balzai seduta e mi guardai attorno spaesata. Ci impiegai qualche secondo di troppo per ricordarmi dov’ero e perché.
La fronte era imperlata di sudore e il cuore martellava furioso. Ricordavo di aver fatto un brutto sogno, ma la trama era svanita dal mio cervello non appena ero tornata del tutto alla realtà, per poi essere riportata di forza a galla dalla persona che aveva bussato.   
 
 
<< Lady Selin… >>, chiamò la voce soave ed atona del maggiordomo, attraverso la porta.
 
 
Ora ricordavo: era lui nell’incubo.
Il sogno era stato così vivido che mi era rimasto spiacevolmente impresso a fuoco nella mente e sul corpo. Il sapore di quella bocca fredda come la morte, aleggiava ancora sulla lingua e non voleva saperne di lasciarmi in pace. Mi era parso così reale, che faticavo a scrollarmi di dosso la sensazione di turbamento e morte.
 
 
<< È sveglia? È la seconda volta che la vengo a chiamare. Sua nonna è già molto nervosa. La colazione è pronta da quasi mezz’ora e lei è in gran ritardo. Ha bisogno di aiuto, per caso? >>. Nella voce una nota di reale preoccupazione per la mia salute.
 
 
Stropicciai gli occhi per togliere via le tracce di sonno che appesantivano le palpebre stanche. Sognare Sebastian era stato sconvolgente ed impensabile, proprio perché era l’ultima persona a cui stessi pensando, ma a quanto pare era stato in grado di colpire il mio inconscio e di manifestarsi nel mondo onirico.
 
 
<< Sì, sono sveglia. Tra dieci minuti sarò pronta. >>, dichiarai, affrettandomi a scendere dal letto e cercando dei vestiti adatti per la giornata.
 
 
<< Passerò di nuovo tra breve per accompagnarla nella sala da pranzo, dove l’attende sua nonna. >>, annunciò e poi i suoi passi si allontanarono lentamente, come se volesse sentire cosa stessi facendo.
 
 
Sospirai rassegnata: facevo bene ad abituarmi ai loro continui controlli.
Mi chiedevo solamente il perché fossero così attenti ad ogni mio movimento. Non avevo ucciso nessuno e non ero nemmeno una persona pericolosa.
Qual era il vero motivo che li spingeva a comportarsi così verso di me?
Mille pensieri diversi si mescolarono nella mia mente, mentre infilavo una maglia nera di lana e dei jeans comodi su delle scarpe da ginnastica corvine. Legai i capelli in un’alta coda di cavallo e cercai di nascondere le grigie occhiaie che accentuavano l’aria da cadavere.
Avevo adottato un abbigliamento semplice e sportivo per far fronte alla colazione con nonna Lucy, una missione impossibile da sostenere con coraggio.
 
 
 
Iniziavo a temere per il futuro che mi attendeva. Probabilmente avrei avuto a che fare con donne snob dell’alta società che mi avrebbero comandata a bacchetta.
Inorridivo solo all’idea.
Sarei apparsa come la nipote viziata di una donna ricca e potente, che poteva fare qualsiasi cosa lei volesse.
Protestare non sarebbe servito a nulla ed io lo sapevo.
 
 
Quando Sebastian tornò a bussare gentile, mi trovò pronta e come aveva detto qualche minuto prima, mi scortò verso la sala da pranzo.
 
 
Il castello aveva dell’incredibile.
Nel suo passato doveva essere appartenuto a qualche nobile benestante e influente nel mondo dell’aristocrazia.
Fissavo a bocca aperta e naso all’insù le vetrate dipinte a mano che guarnivano i vari corridoi in cui stavo passando insieme al maggiordomo.
Vi erano statue e sculture di ogni forma e dimensioni, perfino un paio di armature ottocentesche su cavalli di latta e un’impressionante collezione di armi bianche appese alle pareti scure.
 
 
Non riuscivo a guardare Sebastian negli occhi rossi e il sogno fatto quella stessa notte, mi metteva a disagio.
<< È da molto che sei a servizio da mia nonna? >>. La domanda era aleggiata nella mente per qualche secondo e la bocca aveva scelto di tradirmi. Gli camminavo taciturna accanto.
 
 
Nell’istante in cui ebbi quelle iridi scarlatte puntate dritte nelle mie, un lungo brivido caldo scivolò giù per la schiena e il cuore intraprese un nuovo record di battiti.
Nonostante il silenzio dei nostri occhi che si erano incrociati, avrei potuto giurare di averli sentiti parlare quegli occhi rifulgenti, di avermi raccontato qualcosa che non sapevo… non ancora.
E sotto quello sguardo che toglieva il fiato, sentii la mia anima nuda, colma di dolori e segreti, esposta a lui e vulnerabile.
Quelle non erano iridi di sangue, niente affatto, quelle erano un mare in tempesta in una notte senza luna. Quei due rubini me le sentii scivolare addosso, circondare il cuore con un fuoco infernale, ed illuminare d’improvviso il mio spirito, accecandomi.
 
 
<< Esattamente sono due mesi. >>. Teneva le mani dietro la schiena, mantenendo il portamento regale. Non pareva per nulla un normale maggiordomo, l’avrei scambiato per un blasonato, se non fosse stato per la divisa. << Immagino che lei abbia altri interrogativi da pormi. >>.
 
 
Boccheggiai stupita, rivolgendogli tutte le attenzioni.
Riusciva a leggermi come un libro aperto, eppure era sempre stato difficile per chiunque capire cosa mi passasse per la testa.
<< Non mi piace fare domande. >>.
 
 
Sebastian sorrise edotto, come se fosse consapevole di cosa pensassi in realtà, ma che non rivelava per pura educazione.  
<< Io non gradisco rispondere ad esse, ma suppongo che per lei non deve essere semplice vivere con persone che le sono praticamente sconosciute. Mi conceda di renderle il soggiorno meno angustiante, lady Selin. Per iniziare mi sono permesso di cucinarle una torta con yogurt e carote. >>.
 
 
Bastò poco per farmi tornare il buon umore.
<< Ma è la mia preferita! Come facevi a saperlo? >>.
 
 
 
Lui scrollò le spalle sottili e mi guardò, però il verbo “guardare” non descriveva in maniera corretta quel che fece davvero. Sebastian mi divorò con gli occhi, gli stessi occhi del sogno, occhi intensi e crudeli… gli occhi di un assassino.
 
 
<< Sono un diavolo di maggiordomo. >>, disse e mi parve strano che si riferisse a se stesso in quel modo bislacco.
 
 
Deviammo un’ultima volta finendo dentro una smisurata sala da pranzo dalle mura color sabbia bagnata.
Un lampadario a grappoli illuminava di poco la stanza cupa.
Nel bel mezzo si stagliava un lungo tavolino coperto da una tovaglia bianca in pizzo.
 
 
Nonna Lucy sedeva in una postura rigida a capotavola e l’unico altro posto apparecchiato era quello alla sua destra.
La pettinatura era tale e quale a quella del giorno prima, solo il colore della tunica, verde scuro, cambiava.
Immaginavo che mi avrebbe rimproverata e quindi andai contro il mio destino a capo chino. Chissà quante volte si sarebbe ripetuta la scena pietosa, dove lei mi riprendeva per il ritardo.
 
 
<< Buongiorno. >>, mi salutò fredda lei. La voce era chiara e limpida e non nascondeva per nulla il disappunto verso di me.
 
 
<< Buongiorno. >>, farfugliai, accomodandomi sulla pesante sedia marrone lucido. Per nulla avvezza ai modi di fare, le regole e il farsi servire, non attesi che Sebastian mi spostasse la sedia e mi sedetti ignara che lui si stava rendendo utile. Alla fine, dopo il momento singolare dove ci guardammo un secondo di troppo, andò a posizionarsi in un angolo, a pochi metri da noi due, pronto ad adempiere a qualsiasi richiesta fatta da nonna Lucy.
Non passò molto prima che il suo terzo grado iniziasse.
 
 
<< Ieri sera mi sembrava di essere stata chiara. In questa casa ci si sveglia alle otto, alle otto e mezzo c’è la colazione e poi ci si occupa dei propri impegni quotidiani. Invece tu ti sei svegliata alle otto e mezzo e stai facendo colazione alle nove. >>, mi ammonì severamente, sorseggiando poi il tè da brava Inglese attaccata alle tradizioni.
 
 
<< Fortuna vuole che il tuo debutto in società non è ancora avvenuto e che il tuo imperdonabile comportamento può essere tamponato per quest’oggi. Domani esigerò che tu rispetti i miei ordini. E adesso mangia. Parleremo della tua istruzione. >>.
 
 
Non capivo di quali impegni ciarlasse e come avrei creato scompiglio, con il mio lieve ritardo.
Alzai gli occhi sul cibo, individuando la profumatissima torta che Sebastian aveva preparato per me e prima che potessi fare alcunché, il maggiordomo sbucò al mio fianco, per tagliarmi una fetta abbondante di dolce, poggiandola delicata nel piatto.
 
 
“Come diamine è possibile? Era dall’altra parte della stanza, fino ad un’istante fa e adesso è qui!”.  
      
 
<< Grazie. >>, farfugliai, per nulla avvezza ad essere servita.
Sebastian parve sorpreso della gratitudine manifestata verso di lui.
 
 
 
<< Non si ringrazia la servitù. >>, mi rimproverò lei, sorseggiando l’amara colazione. << A proposito di questo, dopo il pasto verrai presentata ad essa, perché trascorrerai molto del tuo tempo in questa casa. Ho deciso che sarà Sebastian stesso a provvedere alla tua istruzione, preferisco che tu sia sempre accompagnata dal personale qualificato, almeno finché l’assassino di tua madre non verrà arrestato dalle forze dell’ordine di Los Angeles. >>. Fu in quel momento che nonna Lucy scrutò di sfuggita Sebastian, con una complicità che non era emersa, almeno fino a quel momento. Avevano un segreto che li teneva uniti, un segreto terribile che non volevo sapere, un segreto che mi avrebbe travolta.
 
 
“Ma quindi sono davvero agli arresti domiciliari?”.
 
 
Assaggiai la torta, sbalordita che fosse in grado di cucinare, che sarebbe stato il mio insegnate, oltre ad essere un’impeccabile maggiordomo e chissà quanti pregi disponeva e che non conoscevo ancora.
Mangiai lentamente e provai ad adeguarmi ai ritmi eleganti e raffinati di mia nonna: l’unico modo per sopravvivere era imitarla e facevo bene a imparare sin da subito. Lo stomaco mi si era chiuso e non aveva una gran voglia di mangiare da quando era morta mia madre, però era difficile dire di “no”, alla buonissima torta fatta dal maggiordomo.
 
 
Lei si strofinò delicata le labbra con il tovagliolo di stoffa prima di parlare.
<< Ho degli impegni, ti pregherei di non uscire da sola e se proprio devi, Sebastian ti scorterà ovunque vorrai. >>.
 
 
“Più che un maggiordomo, è un tutto fare? Riesce a svolgere tutte le assurde richieste della psicopatica qui!”.
 
 
Schiarii la gola.
<< Va bene, grazie. >>, risposi semplicemente e lei fece finta di non sentirmi. Non era mai stata molto incline a queste gentilezze, nemmeno quando veniva a trovarci a Los Angeles.
Dopo la silenziosa e asfissiante colazione, nonna Lucy sparì nella sua stanza e Sebastian mi portò nelle cucine a conoscere gli altri domestici che lavoravano alle dipendenza di quella donna fredda e senza cuore.
 
 
<< Era davvero molto buona la torta. >>, mi complimentai con molto imbarazzo ed impaccio, ma solo perché lui era ancora uno sconosciuto, non perché fossi affetta dallo stesso morbo crudele e spietato di cui soffriva nonna Lucy.
 
 
<< Ha preferenze per il pranzo? Dopo che avrò accompagnato la padrona in paese, cucinerò con piacere qualcosa per lei. >>. Appariva meno freddo e distaccato, propenso ad essere leggermente più amichevole, ma senza oltrepassare i limiti dettati dai nostri ruoli. Quando aveva detto “con piacere”, sembrava sincero.
 
 
Sorrisi apertamente, non più ostacolata dal terribile incubo, in fondo era stato solo un sogno e la verità era ben diversa.
<< Fai tu Sebastian, mi fido di te. >>, dichiarai, conscia che fossi onesta. Stranamente non mi fidavo di lui solo per i pasti, ma vi era in lui un qualcosa di inspiegabile che mi faceva sentire al sicuro, protetta.
 
 
La stanza riservata alla cucina era grande quasi la mia camera da letto, pulita in maniera impeccabile, densa di deliziosi profumi che mi invogliavano a mangiare e al suo interno vi era un cuoco ed una cameriera, che restarono stupiti della mia presenza lì. Nonna Lucy non era una persona che si abbassava ad andare a trovare i domestici in un luogo poco conforme al suo rango sociale.
 
 
Charlotte era una giovane graziosa che lavorava alle sue dipendenza da qualche mese, capelli castani, lunghi e tenuti ordinati in uno chignon, occhi di un intenso azzurro e un sorriso perennemente presente sulla bocca a bocciolo di rosa. La divisa nera rendeva il suo aspetto grazioso ed ordinato. E non aveva occhi che per Sebastian, al contrario lui la trattava con impassibile professionalità.
 
 
Il cuoco si chiamava Tomas, un uomo sulla trentina, biondo, simpatico e con un sorriso continuo sulla bocca. Il fisico palestrato era contenuto a fatica nella tenuta bianca.
 
 
<< Lady Selin è venuta a fare la vostra conoscenza. >>, annunciò Sebastian. << Jared non è qui? >>.
 
 
<< Il giardiniere è sceso in paese a cercare dei fertilizzanti particolari per la serra. >>, spiegò Tomas, spegnendo i fornelli, per impedire al cibo di bruciarsi.
 
 
Se dovevo trascorrere molto tempo in casa, preferivo fare amicizia con i domestici, almeno non sarei stata obbligata a stare sola per la maggior parte del giorno.
 
 
<< So che siete abituati a portare gran rispetto a mia nonna, >>, iniziai a dire vaga, mettendo insieme un discorso decente per non apparire goffa e per esporre al meglio le intenzioni. <<… però io non sono come lei e prima di essere delle persone al suo servizio, siete degli esseri umani, come lei e come me. >>.
 
 
Charlotte e Tomas, come calamitati da una forza soprannaturale, guardarono cauti ed accorti all’unisono il maggiordomo, come a sfatare le mie innocenti parole.
Feci finta di non notare quel particolare e ponderata proseguii il discorso.
 
 
<< Quindi, quando mia nonna non c’è, possiamo avere dei rapporti più confidenziali e meno formali. >>.
 
 
<< Ne saremmo molto lieti, lady Selin. >>, s’intromise Sebastian rispettoso e fu come se non avessi aperto bocca, poiché nessuno dei presenti era intenzionato a dimostrarsi amichevole, solo deferenti del mio grado sociale. La presenza del maggiordomo incuteva timore e nessuno si sarebbe permesso di contraddirlo.
Aleggiava una tensione che non mi piacque neanche un po’, non volevo vivere costantemente con la paura di non dover fare o dire determinate cose, così come quelli che mi circondavano: era estenuante.
 
 
Morsi il labbro inferiore, testarda a voler distruggere il muro costruito da mia nonna e che mi separava da loro.
<< Tomas cosa preparerai di buono per pranzo? >>. Mi avvicinai curiosa alle pentole, per sbirciarne il contenuto.
 
 
Il biondo cuoco riprese a cucinare, incurante dell’occhiata glaciale da parte del maggiordomo.
<<  Mi appresto a cucinare l’antipasto: uova di storione, servite su blini, il tutto accompagnato da prezzemolo ed aneto. >>.
 
 
Deglutii più volte, battei le palpebre, capendo solo un quarto di ciò che aveva spiegato e prima che potessi chiedere ulteriori ragguagli, la voce calda e sensuale di Sebastian mi schiarii le idee. La sua bocca era così vicina, da poterne avvertire il respiro caldo abbattersi sulla pelle sensibile, riportandomi alla memoria l’infausto sogno.
 
 
<< Caviale servito su tartine provenienti dalla Russia. >>, sussurrò veloce e di sottecchi potei constatare quanto fosse vicino il viso mozzafiato. Il suo profumo era dolce, invitante e decisamente mirato per ammaliare un pubblico femminile. Con Charlotte non doveva faticare oltremodo. In me risvegliava bislacchi istinti, che non credevo di possedere.
 
 
“Dalla Russia? Si tratta bene la nonnina cara!”.
 
 
<< Vedo con piacere che è in buone mani. >>, poi si rivolse ai domestici, distaccandosi in fretta da me, << prendetevi cura di lady Selin. >>, si congedò e non appena si allontanò, l’atmosfera tesa si stemperò nell’arco di un istante.
 
 
Buffo l’ascendente che Sebastian aveva sulle persone attorno a sé, possedeva un potere che non comprendevo, ma che mi affascinava, come una falena accanto ad una fonte luminosa.
 
 
Il cuoco sbuffò e la cameriera si accasciò esausta sulla sedia della penisola. Avevo capito bene che era Sebastian a mantenere un decoro imposto nei domestici e adesso che non c’era, erano liberi di essere se stessi.
 
 
Sorrisi trionfante e presi posto accanto a Charlotte: mi sarei fatta degli amici.   
<< Hai intenzione di servire quella robaccia? >>, domandai schifata al cuoco, sforzandomi per non rimettere la colazione. Il sapore dolce della torta era una festa per le papille gustative e avrei volentieri mangiato qualche altra leccornia fatta dal maggiordomo.  
 
 
<< Sua nonna si è raccomandata. >>, chiarì Tomas, per nulla felice di sottostare a delle richieste tanto assurde.
 
 
Storsi la bocca insoddisfatta, puntellai il gomito sul tavolo ed affondai il mento nel palmo aperto.
<< Mia nonna ha dei gusti orrendi. >>, appurai infelice. Sarei stata costretta ad ingurgitare quell’intruglio verde poco invitante. << Forse salterò il pranzo ed anche la cena. Non conoscete un posto dove si mangiano cibi normali? >>.
 
 
<< Se lo desiderate, Tomas può prepararvi tutto ciò che chiedete, ed io posso servirvelo in camera. >>, consigliò Charlotte dolce, con un sorriso soave e morbido.
 
 
<< Pasta al pomodoro, con un bel pezzo di torta… quella che Sebastian ha portato in tavola per colazione. Ne è rimasta? >>.
 
 
Il cuoco sorrise apertamente, ed annuì. La luce smorta del giorno, filtrò dalla finestra per illuminargli i tratti nordici.
<< Consideratelo già fatto. >>. Mi schiacciò l’occhio con fare espansivo.
 
 
<< Grazie. >>, replicai gentile, cogliendo la palla al balzo. Avevo dei quesiti ben precisi da fare e, dato che mi sembrava inopportuno rivolgerli al diretto interessato, forse potevo sfruttare il cameratismo che si stava venendo a creare con i domestici.
Tamburellai nervosa le dita, rispondendo alle curiosità di Charlotte per quanto riguardava la mia vita a Los Angeles e dei progetti futuri e, in un momento di silenzio diedi voce al mio mal celato interesse.
 
 
<< Non trovate eccentrico che Sebastian abbia gli occhi rossi? >>, domandai a bruciapelo e nell’istante in cui lo feci, il cuoco e la cameriera sbiancarono, presi contro piede. << Credete siano lenti a contatto? Per come conosco mia nonna, non permetterebbe mai di usare simili stranezze in sua presenza. >>, ipotizzai genericamente, esaminando le loro reazioni. Si poteva capire molto dalle mimiche delle persone.  
Simulavano una normalità che non provavano e più cercavano di ingannarmi e più era palese che lo stesso segreto che condividevano mia nonna e il maggiordomo, era anche sotto la loro protezione.
 
 
La cameriera schiarì la gola, in palese impaccio.
<< Noi non parliamo mai di… ehm… Sebastian. >>. Teneva le palpebre basse, ma le alzò d’un tratto, come se si fosse aspettata di vedere l’argomento della conversazione, già nella stanza. Doveva essere sua abitudine apparire inatteso, come era accaduto durante la colazione.
 
 
“Qui c’è chiaramente qualcosa che non quadra.”.
 
 
<< Come mai? >>.
 
 
<< Non mi è mai piaciuto quel ragazzo, sin dal momento in cui ha messo piede in questa casa. >>, s’intromise Tomas, sbucciando delle mele. << La padrona era partita per un viaggio d’affari e al suo ritorno, Sebastian era con lei. >>.
 
 
<< La padrona con lui è diversa. >>, continuò Charlotte, mantenendo un’aria timorosa. Forse mi ero sbagliata, forse non era innamorata del maggiordomo, come mi era parso. La sua doveva essere solo una gran paura di sbagliare davanti a lui.
 
 
Socchiusi gli occhi, ed aggrottai la fronte.
<< Che vuoi dire? >>, la esortai dolcemente, sfiorandole di proposito la mano armoniosamente, adoperando un comportamento differente dal solito. Non mi ero mai spinta così tanto con persone che conoscevo appena, ma la curiosità mi trangugiava e il sogno avuto quella notte, mi spingeva a voler dissetare la sete di interesse.
 
 
<< Sono sempre insieme, gli permette di entrare nella sua stanza, l’accompagna nei suoi viaggi di lavoro. A noi non ha mai concesso tutto questo spazio nella sua privacy. Ci tratta male, mentre con Sebastian ha dei modi di fare tutt’altro che sgarbati. >>.
 
 
Tomas poggiò il coltello sul ripiano in marmo, affondando la forchetta in uno dei tre pentoloni.
<< Non vogliamo screditare lui o sua nonna, lady Selin. >>, giustificò prontamente, per paura che ci fossero delle conseguenze alle loro parole.
 
 
Sorrisi amabilmente, non avevo alcuna intenzione di fare la spia.
<< Potete stare tranquilli, non ho buon rapporto con mia nonna e mi importa poco di quel che dite di lei. >>, li rassicurai schietta. << Voi avete delle supposizioni a riguardo? >>.
 
 
Il cuoco scrollò le spalle e nei suoi occhi passò una luce che carpii.
<< Una supposizione vera e propria no, però c’è stato un cambiamento significativo nelle letture della padrona: Charlotte l’ha notato mentre spolverava la biblioteca. >>.
 
 
<< Ha iniziato ad interessarsi di argomenti soprannaturali, ha una vasta collezione di libri che trattano l’argomento. Prima dell’arrivo di Sebastian non li avevo mai visti e ne sono più che certa, perché mi occupo settimanalmente della biblioteca. >>, sostenne la cameriera.
 
 
Poggiai la fronte sul palmo della mano, totalmente confusa su quel che quei due stavano confessando. Erano solo dicerie dei domestici, certo, eppure qualcosa di vero doveva pur esserci. Come spiegare altrimenti gli occhi rossi di Sebastian? Era assodato che non fossero lenti a contatto, poiché mia nonna non tollerava analoghe eccentricità al suo cospetto e quindi dovevano essere il loro colore naturale. Non avevo mai sentito di persone con colori simili dell’iridi, a meno che…
 
 
<< Puoi accompagnarmi in biblioteca? >>, pregai Charlotte, sorpresa dall’imprevista sollecitudine.
 
 
Scosse la testa più volte.
<< Purtroppo non posso, lady Selin. La padrona porta con sé la chiave della biblioteca e di altre stanze, mi permette di entrare nella biblioteca solo la domenica mattina, tenendomi costantemente sott’occhio. >>.
 
 
“Tra tre giorni, dunque… devo inventare qualcosa per entrarci.”.
 
 
Non mi aspettavo di trovare grandi risposte, però avrei potuto prendere in “prestito” qualche libro e fare delle analisi, dato che ero sprovvista di normali motori di ricerca e il cellulare non collaborava.
 
 
<< A proposito, conoscete degli internet point nei dintorni? >>. Pareva strano fare simili richieste tecnologiche, in un maniero dove sembrava essere tornati nei secoli passati.
 
 
<< In paese ce n’è uno, non vi potete sbagliare è proprio accanto ad un negozio di animali. >>.
 
 
Se fossi uscita, avrei rischiato di essere colta sul fatto da mia nonna e non ero a conoscenza del tempo che avrebbe trascorso fuori casa: meglio non rischiare. Potevo recarmi in paese con il suo favore, ma dovevo assemblare un piano geniale per scrollarmi ogni sospetto di dosso.
 
 
<< Sarà meglio andarci un’altra volta. >>, convenni prudente.
Non vi era alcuna fretta, intanto potevo raccogliere informazioni per conto mio e poi esaminare nozioni più ampie all’internet point o nella libreria di nonna Lucy.
Per ora facevo meglio a limitare domande ed inutile interesse sospettoso, per non far allertare nessuno, specialmente Seb
astian stesso.









Note:
Eccomi qui con il secondo capitolo della ff, sono contenta che a qualcuno sia piaciuto il primo capitolo e che mi abbia commentata. 
Ringrazio anche chi ha letto solamente e chi ha messo nelle preferite la storia. 
Spero di non deludere le aspettative di nessuno e che presto mi darete altri pareri sui capitoli. 


La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna.  
 

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Capitolo 3
*** Benvenuta all'inferno ***


*Benvenuta all'inferno* 










I primi venti giorni a Blackrock trascorsero in un baleno.
Ambientarmi alla magione, con i suoi bizzarri residenti, alle regole ferree e ad un galateo impossibile da seguire, era alquanto duro e sfiancante. Mia nonna mi trattava con un distacco amaro, ammonendomi per ogni gesto sbagliato o parola fuori luogo, perfino se respiravo era un’azione di troppo e compiuta nella maniera errata. Riuscivo a scambiare parole in amicizia solo con Charlotte e Tomas, perfino Jared, il giardiniere, un uomo di mezz’età, era simpatico, saggio e raccontava storie affascinanti sui fiori.
 
 
Unicamente Sebastian restava un’incognita.
 
 
Poco avevo scoperto sul suo conto. I domestici non avevano saputo dirmi poi molto su di lui, da dove veniva, se aveva una famiglia, referenze di lavori precedenti e in che modo nonna Lucy lo aveva conosciuto. Poteva essere benissimo un serial killer, un ladro o chissà chi, ma non aveva mai mostrato atteggiamenti singolari, solo un’incredibile zelo nel suo lavoro, risultando impeccabile e sempre pronto ad adempiere ai suoi ordini.
 
 
Cercavo ancora di addentrarmi nella biblioteca.
Ci avevo riprovato lunedì, ma per mia somma sfortuna, la lezione privata con Sebastian aveva sventato ogni mio tentativo. Mi restava l’internet point, anche se difettavo di un piano soddisfacente da mettere in pratica.
Quindi per adesso mi godevo una tranquilla domenica pomeriggio, seduta nel retro del castello, su una coperta azzurra per ripararmi i vestiti dal prato fresco di rugiada.
Il giorno prima la pioggia aveva dato largo sfogo e adesso la nebbia si era alzata molto e rendeva impossibile la visuale.
Il cielo era perennemente coperto da violacei nuvoloni e in questa parte dell’anno, la fioca luce del giorno spariva attorno alle quattro del pomeriggio, lasciando posto al buio raccapricciante.
 
 
Sfogliavo con calma le pagine ruvide del libro che mi ero portata da Los Angeles, annusando l’odore meraviglioso di carta stampata e di pioggia che condensava l’aria.
Leggevo pigra le poesie raccolte ne “I fiori del male” di Charles Baudelaire, uno dei miei scrittori preferiti e godevo dell’assoluto silenzio attorno a me.
 
 
O tu, che come un coltello sei penetrata nel mio cuore gemente:
o tu, che come un branco di demoni,
venisti, folle e ornatissima, a fare del mio spirito umiliato il tuo letto e il tuo regno -
infame cui sono legato come il forzato alla catena,
come il giocatore testardo al gioco, come
l'ubriaco alla bottiglia, come i vermi alla carogna
- maledetta, sii tu maledetta!
Ho chiesto alla veloce lama di farmi riconquistare la libertà, ho detto al perfido veleno di venire in
soccorso della mia vigliaccheria.
Ahimè, che il veleno e la lama m'hanno disdegnato, e m'hanno detto: «Tu non sei degno di venir
sottratto alla tua maledetta schiavitù, imbecille! Se i nostri sforzi ti liberassero, i tuoi baci
risusciterebbero il cadavere del tuo vampiro.»
 
 
 
 
Sospirai stanca e poggia il libro sul petto, scrutando la volta celeste che si spegneva e si adombrava.
Ripensai a mia madre e a quanto mi mancasse.
Alla sua morte.
La notte in cui la ritrovai e le mie urla che ancora rintonavano nella mia testa.
La polizia… tutte quelle domande… le mie lacrime… il comportamento pesante di nonna Lucy, i dubbi dei domestici che mi avevano turbata ed infine Sebastian, con quei suoi occhi scarlatti che mi fissavano nelle tenebre del mio sogno. Mi ero ritrovata spesso a ripensarci.
Li avevo ben impressi nel tessuto cerebrale e più li rievocavo con l’immaginazione e più mi sentivo bene: erano il mio piccolo pezzo di paradiso, a cui potevo attingere per stare un po’ meglio. Strano come la mia mente lo usasse per aiutarmi a risollevarmi il morale.
 
 
Tra tutti, era la persona con cui avevo conversato di meno, tuttavia era l’unico che, silenziosamente, aveva palesato più considerazioni nei miei confronti, in piccoli gesti che non potevo obliare. Inizialmente con la torta, poi occupandosi di me, senza mai essere invadente, aiutandomi negli studi, facilitandomi la permanenza nel castello, preoccupandosi se non partecipavo a quelle disgustose cene a base di caviale ed escargot. Non era stato insolito che avesse lasciato un vassoio colmo di leccornie varie, bussare e sparire nei corridoi dell’abitazione.
In seguito avevo chiesto se fosse stato Tomas o Charlotte ad essere così gentili, ma loro non ne sapevano nulla. Era arrivato perfino a leggere per me, una sera, insonne a causa dello scrosciate e rumoroso temporale. La sua voce era un velluto nero che mi avvolgeva, riscaldava e teneva al sicuro da ogni turbamento intimo che mi affliggeva.
 
 
Sbuffai annoiata e rotolai a pancia in giù, fissando un punto ben preciso della foresta al di là della sovrastante recinsione in ferro battuto nero.
La nebbia fitta mulinava sull’erba verde e di primo impatto non notai quei due piccoli puntini luminosi vermigli in lontananza, accanto alla quercia millenaria, nascosta da due alberi altrettanto antichi.
Credetti fossero lucciole, ma erano più grandi di esse e non avevo mai visto delle lucciole con questo freddo pungente.
Balzai in piedi, aggrappandomi al ferro bagnato e li studiai accuratamente.
I due puntini si spostarono prima a destra e poi a sinistra. Mantennero la stessa distanza nel muoversi e infine presero ad avvicinarsi verso di me.
 
 
“Occhi rossi nelle tenebre.”.
 
 
Spalancai le palpebre ed ebbi un’intuizione: quelli non erano dei semplici puntini luminosi, ma due occhi grandi che mi scrutavano nella foschia… occhi che conoscevo molto bene.
Un brivido di paura mi scivolò giù per la schiena.
La curiosità era enorme e altrettanta era l’angoscia. Una parte di me mi urlava di scappare al riparo in fretta, l’altra parte mi forzava a restare dov’ero per soddisfare la mia sete di interesse.
Quaranta metri mi separavano dalla soluzione e qualsiasi cosa  fosse quella creatura stava guadagnando velocemente campo.
 
 
<< Selin! >>, mi chiamò d’improvviso mia nonna, terrorizzandomi a morte.
 
 
Mi svegliai di soprassalto, il libro cadde aperto sull’erba fresca di rugiada e mi destai avvolta amabilmente in un plaid bianco, che non avevo prima di scivolare ignara in un dormiveglia confuso.
 
“Sebastian.”, pensai, accarezzando il tessuto lanoso della coperta. “L’ho perfino sognato… di nuovo!”.
 
 
Poggiai una mano sul cuore pulsante e balzai in piedi immantinente.
Era questo il modo di svegliare le persone? Stava per venirmi un infarto!
 
 
“Razza di vecchia malefica e acida!!!”.
 
 
<< Cosa stai facendo da sola a quest’ora, qui fuori? >>, domandò rigida, osservando ogni singolo centimetro del mio viso e poi attorno a sé, come se stesse fiutando il territorio nemico. Non era in pena per me, cercava solo un pretesto per sgridarmi.  
 
 
<< Stavo leggendo. >>, chiarii scocciata dalla sua intromissione, recuperando il libro riverso sul prato bagnato e glielo mostrai.
 
 
La nonna procedé inflessibile verso di me e prese il volume tra le sue mani ossute e curate; le unghie rosso sangue.
<< Non sei troppo giovane per questo genere di letture? >>.
 
 
Anche se avessi letto un vocabolario o la guida turistica del luogo -sempre se ne esisteva una-, lei avrebbe trovato di certo un difetto in quello che stavo facendo. Solo perché ero io.
Che mi odiasse non era un mistero per nessuno, tantomeno che per me.
La domanda era: perché voler essere la mia tutrice, se non mi sopportava?
 
 
<< Le ho studiate anche a scuola questo tipo di letture. Sono abbastanza grande e non mi impressiono facilmente. >>, affermai e il tono uscì petulante e aggressivo.
 
 
“Ecco ora mi rimprovera.”, immaginai e invece si chiuse in un silenzio demoralizzante.
 
 
Una strana espressione le traghettò la faccia contratta.
Quei piccoli laghi di melma mi ispezionavano adirati.
Cercavano una falla o una bugia, qualsiasi cosa per potermi redarguire.
Alla fine mi restituì il libro.
 
 
<< Abbiamo ospiti. >>, annunciò secca. << Sebastian ti ha portato un vestito adatto alla cena. Sforzati di comportarti come una ragazza educata del tuo rango, stai per fare il tuo primo debutto in società. E non usare più un tono simile con me! Fai in fretta: stiamo per metterci a tavola. >>.
 
 
Il desiderio irrefrenabile di ricoprirla di insulti era forte, ma purtroppo, per adesso, dovevo ingoiare il rospo amaro e fare quel che pretendeva.
Nel recuperare la coperta, adocchiai la radura al di fuori del cancello, angosciata dal secondo incubo in cui il maggiordomo ne faceva da protagonista. Non l’avevo mai visto in volto, era vero, però avrei giurato che fosse lui, ed era come se il suo vero aspetto fosse sempre celato, prima dall’oscurità, poi dalla nebbia.
Avvertivo un senso di pericolo e al contempo mi diedi della stupida per essere così sconvolta da stupidi sogni insignificanti.
Lo strusciarsi di un corpo estraneo, morbido e caldo sulle mie caviglie, mi distolse dalle lugubri riflessioni ed un bellissimo gatto bianco, da azzurri e grandi occhi astuti, era in cerca di coccole che non esitai a donargli.
 
 
<< E tu chi sei, eh? >>, domandai zuccherosa con una voce in falsetto, accarezzandogli la testa. Lui parve ben felice di lasciarsi vezzeggiare e come ringraziamento leccò le mie dita. Era un randagio in cerca di affetto, proprio come la sottoscritta e mi sentii affine con l’animale, che poteva capire il mio stato d’animo.   
 
 
<< Non ha nome. >>, disse Sebastian, sbucando al mio fianco e causandomi un secondo infarto.
 
 
“Ma volete farmi tutti morire?”.
 
 
Presi il gatto tra le braccia e lo coprii nel plaid, in cui ero stata fasciata io poc’anzi. Lui si abbarbicò ben felice di quei riguardi e miagolò un paio di volte.
Strano che, sebbene conoscessi a memoria i tratti del viso sottile del maggiordomo, perfetto e spigoloso, ogni volta che lo ammiravo, nuovi particolari, come la forma eccellente della bocca sigillata, il taglio particolare degli occhi a mandorla, il naso piccolo e proporzionato, riuscivano a stregarmi. Aveva riuniti in sé caratteristiche che, se fossero stati frazionati in altre persone, li avrei trovati detestabili, ma in lui, tutti insieme, lo rendevano una creatura magnifica, che non passava di certo inosservata.
 
 
Le lezioni private erano delle ore che affrontavo con gioia, ansia e scompiglio.
Gioia, poiché era un pozzo di scienza, conosceva date, avvenimenti storici e peculiarità che nessun docente insegnava mai, nemmeno li avesse vissuti sulla sua pelle.
L’ansia era dovuta dal mio relazionarmi con lui. A volte faceva domande che, sebbene conoscessi perfettamente la risposta, non riuscivo a dargli, passando per la stupida di turno.
E lo scompiglio era colpa di entrambe, forse più che mia che sua. Si era sempre comportato con rispetto, mai oltrepassato i limiti, eppure la mia mente si appigliava a qualsiasi cosa, pur di essere accontentata nelle sue stupide supposizioni da adolescente fantasticante. Faticavo a seguire le lezioni, ammaliata dal suono delicato della voce, le iridi scarlatte inspiegabili, il corpo flessuoso, elegante ed asciutto. Quella maledetta divisa gli donava da morire!     
 
 
<< È tuo? >>.
 
 
Il maggiordomo alzò il mento, pareva estasiato dal gatto, ciò nonostante prestava ascolto e non si scomponeva.
<< No. >>, negò conciso, come se non fosse affatto contento che il felino avesse prediletto me a lui.
 
 
Sorrisi appena e sotto il suo sguardo vigile e attento, sussurrai al gatto parole amorevoli, mostrando a Sebastian un lato di me, che non aveva avuto modo di scorgere.
<< Allora ti chiamerò Gabriel, piccola palla di pelo. >>.
Per tutta risposta l’animale fece le fusa, ripristinando l’indole tetra: avevo qualcuno a cui badare.
 
 
<< Ottima scelta. >>, valutò Sebastian. << Però è femmina. >>.
 
 
Sentirmi sciocca in sua presenza, stava diventando una fastidiosa abitudine.
<< Ah, beh. >>. Storsi la bocca all’ingiù. << Che ne pensi di Lilith? >>. Non seppi il perché scelsi proprio quel nome, spinta da una misteriosa imposizione che, tra le infinite alternative, mi aveva fermata sul nome di un famoso demone.
 
 
Sebastian non parve turbato, il problema era solo mio.
<< Particolare, ma adatto ad un gatto. >>.  Si avvicinò sinuoso a me per prenderlo dalle mie braccia. << Vuole che lo porti in camera sua? >>. La gentilezza era dettata dal pretesto di voler avere il gatto per sé, giusto pochi minuti, prima di condurlo nella mia stanza.
 
 
Mentre afferrava il gatto, quello gli soffiò contro, divenendo aggressivo senza alcun motivo apparente. Tirò fuori le zampette dal plaid ed infilzò le unghia affilate sui miei polsi, lacerando la pelle pallida e procurando ferite sanguinose. Non voleva essere toccato dal maggiordomo.  
Lilith balzò languida ed aggraziata sull’erba umida, mantenendo un atteggiamento scontroso, aggressivo e violento contro un Sebastian stupito da ciò. Non gli era mai accaduto da avere un simile riscontro da felino? I gatti non erano rinomati per avere una docile personalità.
I graffi bruciavano insopportabilmente e il liquido cremisi rese lo spettacolo peggiore di quel che fosse in realtà. Speravo solo che il felino non avesse malattie infettive: odiavo gli ospedali.
 
 
<< Credo che tu non gli sia molto simpatico. >>, assodai irritata, cercando dei fazzoletti in tasca per tamponare le lacerazioni. Nonna Lucy si sarebbe imbestialita, ne ero consapevole. Portare degli animali in casa, non si accordava all’etichetta di bon ton e bla bla bla.   
 
 
Lui prese i miei polsi, cogliendomi allo sprovvista e di forza li accostò alla bocca. Avvenne con una tale velocità, che ne fui disorientata e non seppi oppormi.
E mentre dischiudeva le labbra ceree, sotto il mio sguardo stregato, bloccata in un corpo che insorgeva anomalo al frangente intimo, Lilith gli si lanciò sulle caviglie, sibilando furiosa. Sembrava impazzita, come se non volesse che il maggiordomo mi sfiorasse.  
Mi diede il tempo necessario per risvegliarmi dall’oscuro incantesimo e tirare via i polsi, impedendogli di fare qualsiasi cosa gli guizzasse nel cervello.
 
 
“Che diavolo volevi fare?”.
 
 
<< Volevo constatare quanto gravi fossero le sue ferite, Lady Selin. >>, si discolpò, come se si stesse scusando per aver osato tanto. Prese un fazzoletto di tessuto dalla tasca interna della giacca e me lo porse. << Mi duole averla infastidita, non accadrà mai più. >>.  
 
 
<< S-sto bene. >>, assicurai ingarbugliata. Tamponai i graffi e dopo aver asciugato il sangue, restarono dei solchi profondi che difficilmente avrei potuto nascondere.
 
 
Prese l’antico orologio d’argento dal taschino.
<< Sarà meglio che inizi a prepararsi: la cena è imminente. >>. Fece una mezza giravolta su se stesso, attese che recuperassi la gatta e poi mi scortò muto fin alla mia camera.
Aprii la porta, lasciando che la gatta potesse entrare nella mia stanza, così nonna Lucy non l’avrebbe vista. Avvertivo gli occhi indagatori del maggiordomo, perforarmi il corpo.
 
 
<< Ha bisogno di aiuto per vestirsi? >>, domandò serio, senza ombra di secondi fini o malizia, e fui l’unica a provare imbarazzo. Nonna Lucy si lasciava vestire o spogliare da lui?
 
 
Scossi la testa, divenendo rossa in viso e faticando a ricambiare lo sguardo fisso su di me.
 
 
Sorrideva sibillino, più che cosciente dell’effetto che aveva sulla sottoscritta.
<< Tornerò a prenderla tra poco. >>, assicurò, dacché il mio orientamento faceva acqua da tutte le parti e ancora non riuscivo a spostarmi da sola nei numerosi corridoi del castello. Fece per andarsene e fu in quel momento che un piano ingegnoso prese forma nel cervello.  
 
 
<< Sebastian. >>, lo chiamai, fissando un punto dritto davanti a me, senza vederlo realmente.
 
 
<< Sì, lady Selin? >>, rispose servile, pronunciando il mio nome come se fosse un peccato inespresso che gli sfiorava la lingua, desiderando di gustarlo appieno.
Lilith vigilava prudente la vicenda, pronta ad agire se il maggiordomo si fosse arrischiato di avvicinarsi.  
 
 
<< Ti dispiacerebbe accompagnarmi in paese domani? Mia nonna si lamenta per il mio abbigliamento poco consono e vorrei comprare qualcosa di nuovo. >>, dissi fredda, per celare a quei rubini attenti che mi osservavano le effettive finalità.
 
 
Poggiò una mano sul cuore, ed inclinò la testa da un lato.
<< Ne sarei onorato. >>, confermò deferente, per poi lasciarmi da sola.
 
 
Lo scrutai affinché non sparì dietro l’angolo e scioccamente bramai che si voltasse a ricambiare l’occhiata trasognante, poiché questo sarebbe stato a significare che non gli ero indifferente. Ad un certo punto rallentò l’andatura fluida e fui sul punto di farmi esplodere il cuore nel petto, ma lui svoltò e se ne andò, comportandosi come se non esistessi.
 
 
“Non fare la stupida, Selin. Sei solo una ragazzina e nulla di più. Sei troppo ingenua per permetterti di inseguire simili utopie!”.
 
 
Il vestito che aveva preparato Sebastian era adagiato sull’immenso letto morbido dalle lenzuola nuove e pulite.
L’abito raffinato era a bretelle di chiffon nero, con delle rose in rilievo sul bordo della scollatura e arrivava fin sulle caviglie. Accanto ad esso vi erano deposti un paio di tacchi lucidi dello stesso colore.
Mi preparai in fretta per non essere ripresa per l’ennesima volta, ero stufa di passare per la persona più imperfetta di questo mondo. Legai i capelli in un’impeccabile chignon e mi protesi verso la gatta, per avere un rapporto decente, prima di indossare una maschera che mi sarebbe calzata stretta.
 
 
<< Benvenuta all’inferno, Lilith. >>, sospirai afflitta, mentre lei giocherellava con le mie dita, per nulla intenzionata a farmi di nuovo del male. Era un’animale docile ed affettuoso, allora perché reagiva aggressivamente alla presenza del maggiordomo? << Ti prometto che ti porterò qualcosa da mangiare dal banchetto con Satana. >>, le assicurai, impreparata ad affrontare l’alta aristocrazia di Blackrock. 









Note: 
Eccomi qui con il terzo capitolo. Sto aggiornando relativamente spesso rispetto ai miei standard lenti, spero che siate contenti. 

Dato che Sebastian ama i gatti e i gatti amano lui, ho voluto metterci un gatto che invece lo odia, giusto per mettere un particolare originale. Si sa che i gatti hanno connotazioni magiche e quindi la piccola Lilith sa della natura del demone e non le va per nulla a genio. 

Ringrazio le persone che hanno commentato e che hanno letto solamente. Spero di sapere presto cosa pensate di questo capitolo e della storia in generale. 


La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna.  
 

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Capitolo 4
*** Come un angelo custode... o forse no? ***


*Come un angelo custode... o forse no?*










 
A Los Angeles non mi ero mai dovuta conciare in tal modo ridicolo e non mi riconoscevo in questo vestito costoso, proveniente da chissà quali mani esperte di qualche stilista famoso, amico di mia nonna.
Preferivo di gran lunga una tuta extralarge nella quale avvolgermi e sentirmi calda e protetta. Mi sentivo un clown, con questo vestiario sfarzoso e pruriginoso.
 
 
Le voci degli ospiti di mia nonna rimbombavano in ogni angolo del castello e speravo sinceramente che la serata passasse in fretta per potermi rifugiare tra le quattro mura sicure della mia stanza, in cui tornavo a essere me stessa e non dovevo stare continuamente con la schiena dritta e composta, o attenta a non oltraggiare il bon ton con la mia condotta grossolana.
In preda ad una crisi di panico in piena regola, afferrai il braccio del maggiordomo, arrestando il suo passo.
 
 
<< Non ce la faccio. >>, confessai, mostrandomi più vulnerabile che mai. << Io… non posso, davvero! >>. La voce raggiunse dei picchi altissimi e le gambe tremavano visibilmente.
 
 
Apparve sorpreso e sbalordito dal mio confidargli quella debolezza evidente, come se fosse l’ultima persona al mondo e la più sbagliata a cui potessi dirlo.
<< Abbiamo studiato le regole delle buone maniere, lady Selin, che lei ha appreso meravigliosamente. Non abbia timore. Affronti la paura! A lei appartengono odio e tristezza, trasformi questi sentimenti in forza in modo da poter seguire il suo cammino >>.
 
 
Scossi la testa, indipendentemente dal mio volere. Non accertavo i miei gesti e le frasi sconclusionate, così afferrai le sue mani stritolandole tra le mie e dalla forza che impiegai avrei dovuto fargli male, ma lui non batté ciglio.   
 
 
Fu sul punto di dire qualcosa, poi batté le palpebre e riprese il controllo di se stesso. Non si scomponeva, proprio come nonna Lucy e mi riscoprii odiare questa caratteristica in loro due.
<< Io e Charlotte saremo presenti per l’intera durata della cena, se questo può tranquillizzarla, lady Selin. Prenda il tutto al pari di una fiaba, una recita se preferisce, dove lei interpreterà un personaggio per qualche ora, poi tornerà ad essere la ragazza di sempre. Non durerà in eterno, glielo prometto. >>, disse soave, impiegando la voce come un calmante naturale che funzionò. Sembrò che ci fosse un significato celato tra le parole rilassanti, ma l’agitazione non mi permetteva di fare la Sherlock Holmes al femminile.  
 
 
Adottai una tecnica di respirazione, che parve acquietare i miei nervi all’istante.
<< Grazie. >>, sbiasciai, accorgendomi di come tenevo strette le sue mani e la confidenza che si stabiliva frequentemente tra di noi.
 
 
Lui sorrise, nessuna ombra di cattiveria o malignità stavolta, solo sincerità nei tratti affilati ed orientali. Le iridi rubino erano gentili, abbandonate dall’imperturbabilità costante e le scrutai rapita, solo in un secondo momento presi coscienza che vi fosse un particolare più eccentrico del colore stesso. Delle fiamme in movimento animavano gli occhi misteriosi ed oscuri.
 
 
“Ma tu cosa sei?”.
 
 
E lui capì.
Capì assolutamente che avevo scorto la diversità, l’inferno che abitava  il suo interno, l’umanità fasulla che era una vana copertura, che, benché non avessi le idee chiare, presto o tardi sarei giunta alla verità.
Non si curò di smentire l’ovvietà, anzi, contava che io lo smascherassi.  
 
 
Si fece da parte, per interrompere qualsiasi interrogativo che volevo porgli ed andare incontro ai miei doveri.  
 
 
Fare domande era controproducente e non volevo mostrare eccessivo coinvolgimento, per investigare indisturbata in seguito. Non sarebbe stato semplice se, il soggetto delle mie ricerche, si fosse accorto che avevo dei seri dubbi su di lui, volti ad essere identificati. Avrebbe impedito ogni passo in avanti che potevo compiere.     
 
 
Entrai timida nel salone, preceduta da Sebastian.
Oltre mia nonna Lucy e me, vi erano altri sei uomini e due donne.
Tra di loro notai un giovane ragazzo biondo, quasi mio coetaneo, abbigliato da pinguino come tutti, dal fisico longilineo e nerboruto. La giacca chic conteneva a malapena la massa sproporzionata di muscoli che componevano il suo corpo.
Questo non era per nulla il mio posto e mi sentii all'istante come un pesce fuor d’acqua.
Io e l’alta società eravamo come l’acqua e l’olio: non si mescolavano mai… nemmeno per sbaglio.
 
 
“Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi.”, risuonò la frase nella mia testa, mentre sistemavo le pieghe dell’abito.
 
 
La mia presenza balzò subito all’occhio e mi irrigidii ad essere messa in primo piano.
Charlotte se ne stava accanto alla porta che dava alla cucina, nella collocazione predisposta ai domestici, in una posa stancante ed inflessibile. Mi dedicò un dolce sorriso di incitamento e nulla di più, repressa nella sua mansione da cameriera.
Cercai sostegno in Sebastian e perfino lui non poté fare di più che bisbigliare un incoraggiante: << Sarò qui. >>. Poi andò ad affiancare Charlotte.
 
 
<< Ecco mia nipote. >>, esordì nonna Lucy, con un sorriso smagliante che non le avevo mai visto rivolgermi, con il preciso scopo di farmi debuttare in società: quella era gente di un certo calibro. 
Ero sbalordita dal suo completo cambiamento di personalità. Nessuno avrebbe creduto che lei in realtà non sopportava la mia presenza e mi odiava perfino.
Dovevo ricredermi: Lucy era un’attrice superba, con i fiocchi ed io la detestavo.
Appariva come una donna affettuosa e dolce, l’esatto opposto di quel che era quando nessuno presenziava.
 
 
Mi venne vicino e mi passò un braccio dietro la schiena per trascinarmi verso quelle persone che non conoscevo.
<< Selin, vorrei presentarti questi miei cari amici. >>, continuò lei, intanto che la studiavo sconcertata ed esterrefatta, con un sopracciglio alzato.
 
 
Uno dopo l’altro i suoi ospiti si presentarono a me.
I nomi scivolarono via dalla mia mente un secondo dopo che mi erano stati detti.
Comportarmi da snob non faceva per me e alla fine mi limitai a stare in silenzio ad ascoltare i loro dialoghi noiosi, soffocando gli sbadigli rumorosi.
Quando ci accomodammo al lungo tavolo imbandito per la cena, ringraziai la mia buona stella per avermi permesso di non stare ancora in piedi su quelle maledette scarpe alte e scomode.
Forse, in fin dei conti, l’agitazione spasmodica che avevo manifestato, era stata alquanto inutile dato che nessuno pareva fare davvero caso a me, parlavano tra di loro e dopo un primo impatto, passavo beatamente inosservata. Giocherellavo assente con una rosa del vestito, stretta nelle spalle e con una postura incurvata, trascurando gli insegnamenti di Sebastian.
 
 
Alzai gli occhi su di lui e ritrovai le iridi rosse, dritte nelle mie di ghiaccio, come se volesse dirmi qualcosa di importante.  
Diede una rapida perlustrazione sui commensali, ed una volta appurato che fossero impegnati a ciarlare, distese lesto due volte le labbra, per suggerirmi che dovevo sorridere e togliere il broncio da funerale.
 
 
Sogghignai silenziosa, per il tenero consiglio che aveva dato per il mio bene. Coprii la bocca, per non essere scoperta. Non volevo che, a causa della mia stupidità, lui fosse ammonito.
Stupidamente fantasticai che rompesse gli indugi, si scrollasse di dosso quell’aria ingessata, aggirasse il tavolo per giungere a me, stringere la mia mano e portarmi via, lasciando quegli stupidi manichini rigidi con la bocca spalancata… magari prendermi tra le braccia, saltare giù dal castello e condurmi in un posto segreto solo con lui.
Mi andava bene anche che mi rapisse… tutto… a patto che non fossi più indotta a interpretare il personaggio di banale ragazza puerile attaccata al lato materiale della vita.
 
 
<< E lei di cosa si occupa? >>, mi chiese d’improvviso il ragazzo biondo.
Per buona parte della serata aveva lanciato occhiatine languide che avevo ignorato di proposito. Aveva constatato il modo in cui osservavo Sebastian e non digeriva il fatto che potesse interessarmi un maggiordomo e non lui.
 
 
“Ma perché non ti fai gli affaracci tuoi?”, ringhiai tra me e me. Facevo concorrenza al caratteraccio della mia gatta.
 
 
Se credeva di essere simpatico e di compiacermi, impicciandosi della mia vita privata, si sbagliava di grosso.
Sorrisi smagliante e tenni per me il “cortese” gesto che volevo rivolgergli con il dito medio. Perfino il maggiordomo ne era infastidito.
 
 
<< Prendo lezioni privati da Sebastian. >>, dissi con noncuranza, infilzando un bocconcino di carne con la forchetta.
La quiete inaspettata mi indusse a innalzare gli occhi sui commensali e fui sommersa da otto paia di occhi sgranati sulla sottoscritta.
Sembrava avessi fatto una gaffe imperdonabile, nemmeno avessi detto che gli asini volavano e i pesci parlavano.
 
 
<< Il domestico… si occupa della tua istruzione? >>, >>, domandò schifata la donna di fronte a me.
Quella con i capelli d’oro e il viso talmente rifatto da assomigliare a una barbie di plastica. Il tipo che non si sarebbe mai sporcata le unghie con nulla, se non con lo smalto rosa.
Le labbra a canotto mi impressionarono e mi nausearono. Come faceva a mangiare con quei palloni al posto della bocca?
Calcò la parola “domestico”, mirato ad offenderlo.
Serrai la mascella furiosa, invece Sebastian non parve fare molto caso all’aperto insulto, abituato ad essere ingiuriato spesso. Ma se lui era avvezzo a simili affronti, io no!
 
 
Nonna Lucy mangiava impassibile alla mia sinistra: dovevo sbrigarmela da sola.
 
 
Speravo tanto che un fulmine la prendesse proprio sul cranio e la lasciasse stecchita sulla sedia. Sarei stata di sicuro l’unica che sarebbe scoppiata a ridere nello sconcerto generale.
 
 
Mi strinsi nelle spalle e proseguii facendo finta di nulla.
<< Non ci vedo nulla di male. Sebastian è un ottimo insegnante, molto più bravo e preparato di molti altri insegnanti con cui ho avuto a che fare, ed è in grado di darmi un’eccellente educazione. >>. Non riuscii a nascondere il tono infervorato. << E poi non si giudicano le persone solo dal grado sociale che ricoprono. Lui vale molto più di quel che reputate, quindi non capisco il succo di questa inutile conversazione. >>.
 
 
“Vale più di tutti voi messi insieme, stupida marmaglia!”
 
 
Evitai di guardare Sebastian, ma ero certa che mi stesse fissando allibito, almeno Charlotte lo era. Nessuno prendeva le parte dei domestici… nessuno, certo… a parte me.
Qualcuno degli ospiti storse il naso.
 
 
<< Non dovresti permetterle di mischiarsi con la servitù, vuoi far crescere tua nipote come una selvaggia? >>, perseverò sdegnata la barbie di plastica, rivolgendosi a mia nonna. << Magari hai la sfortuna di incappare nella disgrazia che è accaduta alla famiglia McAlley. >>.
 
 
Smisi di muovermi e di respirare per non perdermi nessuna parola della pettegola. Ero pronta a dar battaglia, non soltanto per l’infatuazione verso il maggiordomo, ma perché era inconcepibile che, nel ventunesimo secolo, esistessero ancora le differenze gerarchiche.
 
 
Mia nonna si tamponò delicatamente le labbra con il tovagliolo candido… il viso era il ritratto della calma serafica. 
<< Ne riparleremo più tardi, Blanca. Adesso godiamoci questo meraviglioso banchetto cucinato da Tomas. >>, tagliò corto, riprendendo a mangiare.
 
 
Dopo lo scontro agitato, alzai le palpebre timorosamente e l’espressione di Sebastian non era esattamente come me l’aspettavo. La mascella era contratta, le iridi ardenti, le ossa del viso potevano scorgersi sotto la pelle di porcellana e mi scrutava con uno sguardo indecifrabile, nemmeno mi odiasse e volesse uccidermi.
Non capivo la reazione, dato che avevo preso le sue difese.
Perfino Charlotte ne era stupefatta.
 
 
Lì, in mezzo a quegli sconosciuti… in mezzo ad un mondo che non mi apparteneva, sognavo di gridare a squarciagola e correre fuori nella radura per liberarmi da quelle catene immaginare che mi erano state messe non appena ero giunta a Blackrock.
In ognuno degli invitati trovai un particolare che non mi piaceva e in seguito appurai che nel complesso erano macchiati della stessa assurda caratteristica: non c’era vita in loro.
La luce delle candele si rifletteva nei loro occhi vitrei e vuoti. Erano dei robot umani, privi di sentimenti e di buone intenzioni.
La mancanza di mia madre era più vivida che mai adesso, tra coloro che erano alieni per me.
 
 
La fine di quello strazio assurdo arrivò vicino la mezzanotte.
Nessuno aveva più osato ripescare l’argomento che tanto aveva scandalizzato i presenti e dovetti sorbirmi discorsi effimeri e inutili sulla società moderna in degrado, sul debito pubblico che li infastidiva e le ultime uscite tecnologiche di cui ovviamente erano già in possesso.
La scusa che il giorno dopo dovevo alzarmi presto, servì a farmi accordare il permesso di mia nonna per abbandonare la tavola e i suoi tediosi ospiti.
Seguivo il maggiordomo mortificata, testa china ed andatura strisciante.
 
 
Lui non parlava, non mi guardava e si comportava come se non esistessi, limitandosi a camminarmi davanti, per accompagnarmi alla mia camera da letto. Fu come se fossi stata io, con la pretesa di difenderlo, ad averlo offeso in qualche modo.
Quando ormai ero fuori dalla portata degli invitati e ripresi finalmente a respirare come si deve, il biondo seccatore mi raggiunse nel corridoio e si appaiò a me. Era più alto di quel che mi sembrava e il suo corpo muscoloso mi sovrastava, come quello di un giocatore di football professionista. 
Lui non era da meno: nei suoi occhi c’era il vuoto assoluto.
 
 
<< Se cerchi il bagno, devi salire al piano di sopra… terzo corridoio andando a destra… seconda porta a sinistra. >>, farfugliai di getto, dandogli indicazioni a casaccio e aumentando il passo per scrollarmelo di torno. Non m’importava di seminare lui ed il maggiordomo o di perdermi, bastava che mi lasciassero in pace.  
Ridacchiò divertito e per un momento scambiai la sua risata per il grugnito di un suino.
 
 
<< Veramente volevo accompagnarti nella tua stanza. Non sapevo che Lucy avesse una nipote così splendida. Io sono Joseph. >>. Allungò la mano verso di me e la strinsi di rimando, senza fermarmi di camminare.
Non avevo voglia di perdere il mio tempo con una persona del genere e mi auguravo che la smettesse rapidamente di farmi la corte: mi disgustava solo l’idea di sentirmelo vicino.
 
 
<< Selin, piacere di conoscerti. >>, dissi in tutta fretta, salendo i gradini.  
 
 
<< Basta Sebastian per accompagnarmi: è il suo compito. >>, dichiarai cattiva, accertandomi che mi sentisse. Usai quella crudeltà come risposta muta al comportamento freddo di quest’ultimo.
Lui pareva sordo, cieco e muto, capeggiava lo strambo trio, adempiendo al suo dovere.
 
 
<< Lo sai che dire “piacere di conoscerti” è maleducazione? Come fai a sapere che sarà un piacere conoscermi, se ancora non mi conosci? Anche se di solito le ragazze sono molto felici di conoscermi. >>. Di nuovo quel grugnito fastidioso.  
 
 
“Fatico a crederci.”.
 
 
Gli lanciai un’occhiataccia incredula e bramai che inciampasse sul tappeto rosso delle scale e cadesse di faccia. Quello sciocco mi aveva dato della maleducata! Anzi, forse meritava una sorte peggiore.
 
 
<< Era un modo di dire. >>, reiterai indispettita.
 
 
Joseph non parve accorgersi della mia poca voglia di socializzare con lui.
<< Hai da fare domani? Magari usciamo e ti porto a vedere le terre di mio padre. >>.
 
 
Per una frazione di secondo voltai il viso dalla parte opposta e spalancai le palpebre, sconvolta.
Faceva sul serio? Davvero voleva mostrarmi le ricchezze di famiglie per comprarmi e conquistarmi? Ero a dir poco nauseata!
<< Ho da fare. >>, lo liquidai, forzandomi di sorridergli. In fondo era la verità. Dovevo andare in paese all’internet point a fare ricerche sul conto di Sebastian e capire se era possibile per un essere umano avere gli occhi rossi.  
 
 
<< E il giorno dopo? >>, riprovò tenace. Era un osso duro.
 
 
<< Anche… e pure questo fine settimana. >>, lo anticipai.
 
 
<< Cosa devi fare? >>, chiese, come se io glielo dovessi rivelare di diritto.
 
 
“Bungee jumping dalla Torre Eiffel, ma tu non sei invitato, preferisco suicidarmi da sola!”.     
                 
 
<< La signorina Selin ha intenzione di tornare a Los Angeles per sbrigare alcune faccende rimaste insolute. >>, mentii Sebastian, al posto mio. Ora ero davvero confusa: era arrabbiato con me sì o no? Mi ero pentita di ciò che avevo detto e desiderai sparire dalla faccia delle terra.
 
 
Il biondo pareva disturbato dall’intromissione del maggiordomo e lo studiò con ribrezzo.
<< Non ho chiesto a te. >>, sbottò scortese e maleducato. Avrebbe voluto toglierlo di mezzo per avere campo libero con la sottoscritta, ma era lui il terzo incomodo e non se ne rendeva conto.
 
 
<< Vogliate perdonare la mia insolenza. >>, si scusò Sebastian, per nulla disturbato. Ma se lui non era infastidito, io ero furiosa. Come faceva a restare così impassibile, dinanzi a simili ingiustizie?
Imboccammo il corridoio che portava alla mia camera, qualche metro e sarei stata salva.
 
 
<< Potremmo fare un pomeriggio quando sei libera, che ne dici? >>.
 
 
“Ma arrenditi e basta!”, gridai dentro di me, raggiungendo la porta della mia liberazione.
 
 
<< Vedremo Joseph… vedremo. Adesso vado a dormire, perché domani ho delle lezioni. >>.
 
 
Si voltò verso il maggiordomo, infastidito dalla sua presenza.
Sebastian aspettava ordini da parte mia.
<< Puoi lasciarci! >>, impose insolente, come se fosse colpa sua, la mia tenace resistenza.  
 
 
Non volevo restare da sola con quell’energumeno, tantomeno da sola ad un passo dal mio letto. Si prendeva libertà che non gradivo.  
<< In realtà deve aiutarmi a cambiarmi, quindi non può. Sebastian, per favore. >>. Spalancai l’uscio, trascinando quasi il maggiordomo nella camera da letto. << Buonanotte Joseph. >>. Gli sbattei letteralmente la porta in faccia, prima che potesse dire “ma”.
 
 
“Perché tutti a me gli idioti?”.
 
 
<< Oh. Mio. Dio! >>, esclamai esasperata, gonfiando paradossalmente le vocali e scalciando via le scarpe alla rinfusa. Non ero abituata a simili calzature, ed avevo i piedi dolenti. Il maggiordomo se ne stava dritto dinanzi a me, in attesa. << Quale caspita è il problema della gente che abita qui? >>.
 
 
<< Non capisco cosa vogliate dire. >>. Si piegò elegantemente a recuperare le decolté, riponendole accurate nella scarpiera.
 
 
Lo superai per andarmi a sedere sul letto. Lilith balzò agile accanto a me, gravando il corpicino sul grembo, alla ricerca di coccole che non riuscivo a dargli, troppa era la collera.   
<< Non capisci? >>, rifeci sbalordita. << Sei serio? >>.
 
 
Non rispose, immobile ed imperturbabile nella posa rigida.
<< Volete che vi aiuti a cambiarvi? >>.
In fondo era la palese balla che avevo rifilato a quell’idiota. Però non ero stata così brava a mentire da abbindolare anche lui, quindi si dilettava a schernire la sottoscritta!
 
 
<< Mi prendi in giro? >>. Era assolutamente fuori questione che le sue mani perfette mi sfiorassero, anche solo per sbaglio e non perché provassi antipatia anche verso di lui, ma perché, all’opposto, ne ero così affascinata da non sentirmi a mio agio. 
 
 
<< Non potrei mai. >>, garantì riflessivo e leale, non vi erano ombre di scherno.
 
 
<< Perché ti fai trattare così, eh? Perché lavori per quella sadica di mia nonna? Che c’è che non va in te, spiegamelo? Potresti trovare un miliardo di lavori diversi, dove ti rispetterebbero e ti apprezzerebbero, invece ti fai trattare da schifo e per cosa? >>.
 
 
<< Perché vi sta a cuore la maniera in cui vengo trattato? >>.
 
 
Sbarrai gli occhi, traumatizzata di aver udito una simile domanda.
<< Perché non è giusto, perché sei un essere umano con una dignità e nessuno ha il diritto di comportarsi come se fossi un essere inferiore! >>.
 
 
Sollevò il mento, dischiuse le labbra e una luce diversa attraversò le iridi scarlatte. Un qualcosa sul mio viso, lo aveva colpito.
<< Non angustiatevi troppo per me, sono solo un mero maggiordomo, lady Selin. >>, convenne infine, lasciandomi a bocca aperta.
 
 
<< Ma hai sentito ciò che ho detto? >>.
 
 
<< Ho sentito benissimo e vi pregherei di non prendere più le mie parti, né in pubblico, né in privato. >>.
 
 
<< Perché? >>, scoppiai scompaginata ed offesa.
 
 
<< Avete un nome da difendere, appartenete ad un elevato rango sociale e la vostra persona va’ preservata da inutili chiacchiere. Non potete permettervi di mostrare simili bontà, prendendo le mie parti. >>. Si portò le mani dietro la schiena, fedele al suo ruolo.
 
 
Spostai la gatta, saltai giù dal letto e gli andai sotto il naso, pungolandolo sul petto snello. Lilith si drizzò sulle zampe, pronta a scagliarsi contro di lui, se si fosse comportato male secondo il suo giudizio.  
<< Te lo scordi! Al diavolo chi sono e il mio rango sociale! Prima di tutto viene il cuore e poi tutto il resto. Non sopporto simili denigrazioni e non le tollererò mai in mia presenza! Se devo continuare a vedere una persona trattata così, preferisco andarmene. >>. Ero seria e determinata, non mentivo quando dicevo che preferivo andarmene che assistere a quello scempio.
 
 
Sebastian sorrise affabile, abituato ai capricci di nonna Lucy, poteva benissimo trattare con me e spuntarla. Pochi centimetri ci separavano e i nostri corpo nemmeno si sfioravano, eppure avvertii un’elevata elettricità ad alta tensione compensare il divario tra di noi ed attrarmi imperiosa, come fossero braccia vigorose che mi cingevano.
La tremenda infatuazione non aiutava la razionalità ad esporre un argomento del genere, così preferii dargli le spalle e spezzare il contatto irreale.
 
 
“Magari hai la sfortuna di incappare nella disgrazia che è accaduta alla famiglia McAlley.”, risuonarono le parole acide della donna smorfiosa che l’aveva offeso. La barbie di plastica. 
 
 
<< Cosa è capitato alla famiglia McAlley? >>. In un certo senso conoscevo già la risposta, però avevo bisogno di una conferma e la pretendevo da lui.
 
 
<< La giovane Catherine McAlley si è invaghita del maggiordomo ed è fuggita con lui. >>, rese noto asciutto, senza mostrare nessun entusiasmo o critica. Non capivo il suo punto di vista nella faccenda e non mi dava modo di interpretare i pensieri nascosti.
 
 
“Un cliché abbastanza ovvio.”.
 
 
Se era un maggiordomo come Sebastian, non faticavo a comprendere la scelta di Catherine McAlley, anche se non la conoscevo. Non seppi dire se avrei avuto lo stesso coraggio, se lui avesse iniziato a manifestare alcuni atteggiamenti equivoci che avrebbero alimentato la mia cotta. Lui era sempre così rigido nei miei confronti e, se compieva un gesto riguardevole, veniva smentito poi con una condotta irreprensibile, come se non fosse umano, ma solo un robot a cui dare ordini.
 
 
<< Siete turbata? >>, chiese, la voce martellò nelle orecchie, più vicina di quanto mi aspettassi. Era la seconda volta che si approssimava in maniera provocante e il suo respiro fresco batteva sulla pelle serica del collo, facendomi rabbrividire. Non mi toccò mai, eppure fu come se fosse stato in grado di giungere fino alla mia anima e sfiorarla, vezzeggiandola come fossi un gatto.
Voltai solo la testa, ritrovandomi più vicina di quel che ponderassi alla bocca appetibile e gli occhi di tenebra mi riservavano uno sguardo che non gli avevo visto prima, privo di rispettoso dovere, distacco ed imperturbabilità. Adesso era caloroso, profondo, intenso e lontano da essere solo un maggiordomo.
 
 
“A che gioco stai giocando?”.
 
 
<< Non dalla storia. >>, rotolò fuori dalla bocca, totalmente attratta dalle labbra esangui che si trovavano sull’identica traiettoria delle mie. Numerose volte gli avevo mostrato delle debolezze, su cui avrebbe potuto colpirmi, eppure non l’aveva fatto mai.
Deglutii più volte, incapace di muovere un solo muscolo, solo il cuore picchiava imperterrito, battendo ad una velocità tale da spaccarmi le ossa. Sudavo freddo e brividi torridi si inseguivano sulla schiena. 
 
 
“Sono turbata da te.”.
 
 
Le iridi rosse annegarono nelle mie, sviscerando, inseguendo una risposta, nuotando nel mare di dolore che mi portavo dietro e quando credetti che stesse per baciarmi, Lilith sibilò tediata e costrinse Sebastian a declassare al suo seccante incarico, di nuovo la maschera di gelido controllo che mi tagliava fuori.
 
 
<< Buonanotte lady Selin. >>, disse alla fine, come se non si rendesse conto di aver scatenato una bufera di fuoco dentro di me. << Volete che vi legga qualcosa, per aiutarvi ad addormentarvi? >>.
 
 
Boccheggiai scompaginata, imbrogliata dal repentino mutamento del suo umore e dalle azioni mendaci.
<< No. >>, sbiascicai e faticai a discernere la voce vacillante, che echeggiò lontana ed irriconoscibile.
 
 
Si avviò alla porta e la socchiuse appena.
<< Se posso permettermi di darvi un consiglio. >>.
 
 
Ruotai di poco la testa, preferii non imbattermi con i suoi occhi che erano riusciti a farmi più male di quel che potessi credere. Illudersi era come una secchiata di acqua gelida in pieno inverno.
<< Sì? >>, lo esortai atona. Speravo che se ne andasse al più presto, poiché, tra tutti, era la persona che più mi accendeva delle reazioni irragionevoli, che andavano da un eccesso all’altro.
 
 
<< Accettate la corte del giovane Joseph Finnick, potrebbe essere una piacevole compagnia. >>, incoraggiò, come se si divertisse ad ammaliare, illudere ed ingannare, per poi confutare i comportamenti ambigui e fuorvianti con frasi criptiche, mandandomi maggiormente nel pallone.
 
 
Divenni rigida, arrabbiata per il modo in cui si prendeva apertamente burla di me e reagii come non avrei fatto mai.
 
 
“Preferirei farmi sparare in faccia, invece di accettare la corte di quel pallone gonfiato!”.
 
 
<< Non accetto consigli da un maggiordomo! >>, strepitai spietata, dura e feroce, assomigliando a nonna Lucy. << So io quello che devo o non devo fare, non è tuo compito. Stai al tuo posto! >>.
 
 
<< Come ordinate. >>, disse prontamente e tranquillo, come se attendesse una replica così selvaggia e solo dopo che parlò, mi accorsi che era proprio questo a cui aveva mirato, presumibilmente per scoraggiare ogni forma di innamoramento nei suoi confronti. 
 
 
Lo aveva fatto per me, perché non voleva che avessi l’identica sorte della giovane Catherine McAlley e forse non mi vedeva sotto la stessa luce, quindi era preferibile farsi odiare, che farsi amare.
Mi sentii uno vero schifo, ma quando mi voltai per scusarmi, lui non era più lì e la porta chiusa fu come un muro insormontabile che non avrei potuto abbattere.
 
 
Lilith miagolò, adesso più tranquilla, abbarbicata comoda sul letto a tre piazze, si leccava il pelo e si passava la zampa sul muso. Mi parve stesse ridacchiando per come si era conclusa la vicenda quella sera e per la distanza etica che si era spalancata tra me e Sebastian.
Un divario che avevo messo ben in chiaro, comportandomi esattamente come avevano fatto gli ospiti di nonna Lucy e denigrandolo per la sua posizione sociale. Un divario che non si sarebbe mai richiuso, un divario che avevo intenzione di colmare in qualsiasi maniera.









Note:
Salveeeeeeeeeee gente, scusate il mio essere sparita dalla circolazione, ma ero impegnata in un mio grande progetto. 
Sono lieta di annunciare che il mio ebook "Inferno & Luce" è stato finalmente pubblicato e lo trovate in vendita qui:
 
Inferno & Luce correte a dare un'occhiata e non ve ne pentirete. 

Dopo ciò, volevo ringraziare le nuove recensitrici, i lettori fantasmini e chi ha aggiunto la storia tra le preferite. 
Vi ringrazio di cuore! 


La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna.  

 

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Capitolo 5
*** La ragazzina ed il maggiordomo ***


*La ragazzina ed il maggiordomo*







 


Sospirai per l’ennesima volta e il fiato caldo si condensò sul vetro della macchina, innervosita dai molteplici dialoghi assemblati durante la notte insonne per chiedere scusa a Sebastian e neppure uno era uscito dalla mia bocca. Riscoprirmi così orgogliosa era spiazzante e spiacevole. La colpevole ero io, eppure non riuscivo a non avere un moto di animosità verso di lui, avrebbe potuto semplicemente mettere in chiaro la questione, senza usare una tale bassezza.
 
 
Successiva all’introversa ed asfissiante colazione con nonna Lucy, il maggiordomo mi accompagnò in paese con un’appariscente Rolls Royce nera tirata a lucido, che era custodita nel garage dietro casa con altre due macchine di marca straniera che non riconobbi.
Avrei preferito di sicuro andare in paese con la mia Chevrolet per non destare sguardi curiosi e farmi passare per l’ennesima riccona viziata in giro con una macchina di lusso, ma ero sotto arresti domiciliari e quindi dovevo stare zitta e fare ciò che mi imponevano.
 
 
Durante il tragitto costatai che, la foresta che costeggiava il castello, si stagliava per molti chilometri fino ai piedi della collina desolata e circondava una buona porzione di Blackrock.
Nascosi il viso il più possibile mentre la macchina lussuosa passava tra le vie tranquille del luogo e gli occhi curiosi degli abitanti scrutavano per capire chi fossi: mia nonna non veniva molte volte in paese o forse usava una macchina diversa.
 
 
Il cielo era ancora rivestito da cupi nuvoloni che suggerivano l’arrivo di un brutto temporale prima della fine della giornata. E del sole qui non vi era nemmeno l’ombra.
L’atmosfera in generale tendeva a toni bui e tenebrosi.
La buona notizia era che, arrivati nel centro del paese, la nebbia si diradava e dava più possibilità di vedere a dieci centimetri dal naso.
 
 
La quiete assillante mi agitava in maggior misura.
C’eravamo scambiati poche parole, che potevano essere catalogate in “Buongiorno”, “sì” e “no”. Il discorso più lungo le conteneva tutte e pronunciate prevalentemente da lui, mentre io mi ero limitata a mugugnare come un animale.
 
 
Sbuffai scocciata e decisi di passare al contrattacco.
Mi aggrappai ai sedili e, intanto che Sebastian guidava ignaro, mi protesi in avanti ed accessi di getto la radio a tutto volume, la musica tuonò all’interno dell’abitacolo, spezzando l’assurdo silenzio.
 
 
I feel so untouched
And I want you so much
That I just can't resist you
It's not enough to say that I miss you
I feel so untouched right now
Need you so much somehow
I can't forget you
Been going crazy from the moment I met you
 
 
 
Scavalcai goffa i sedili, prendendo posto accanto al guidatore, testarda a riparare all’errore commesso la sera precedente. Volevo dimostrargli che non pensavo sul serio ciò che gli avevo rinfacciato, che per me non esistevano diversità sociali, ricchezze o altro che avrebbero giustificato la condotta sbagliata e le parole crudeli che gli avevo vomitato addosso per ripicca.
 
 
Lanciò un’occhiata sorpresa, mantenendo il controllo dell’abitacolo. La luce smorta del mattino, rendeva i suoi tratti più marcati, rischiarando la pelle perfetta, ed accentuando la bellezza oscura. Il nero dei capelli si sposava perfettamente con la divisa di eguale colore, rendendolo una creatura eterea e diversa da tutte le altre.  
Avrei mentito se avessi negato a me stessa che non ne fossi irrimediabilmente invaghita.
 
 
See you, breathe you, I want to be you
Alalalala alalalala
You can take take take take take time time
To live live the way you gotta gotta live your life
Give me give me give me all of you you
Don't be scared
I'll see you through the loneliness of one more more more
Don't even think about what's right or wrong, wrong or right
'Cause in the end it's only you and me and no one else is gonna be around
To answer all the questions left behind
And you and I are meant to be so even if the world falls down today
You've still got me to hold you up up
And I will never let you down
 
 
<< Cerchiamo di porre rimedio al casino che ho fatto. >>, iniziai a dire imbarazzata, torturando le mani, raddrizzando le spalle sotto il carico dei miei errori e pronta a fare ammenda.
 
 
Inarcò un sopracciglio, tuttavia non sembrava affatto impressionato dai miei modi poco raffinati e regali. Doveva essere abituato ad avere a che fare con i tutti i tipi di persone e ormai non lo stupiva più niente, coglierlo impreparato era impossibile.
 
 
<< Volevo scusarmi per ieri sera. >>, riuscii a dichiarare alla fine. Non era stato poi così difficile e mi sentii subito meglio.
 
 
<< Non capisco. >>, rivelò spento, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
Voleva rendermi le cose faticose e il ghigno maligno che gli ampliava la bocca, era una prova palese delle sue intenzioni. Doveva essere affetto da una morbosa forma di sadismo, per questo andava così d’accordo con nonna Lucy.
 
 
Bagnai le labbra, consapevole che si stesse divertendo in misura notevole a mettermi in difficoltà. Non volevo umiliarmi e al contempo lasciargli campo libero, significava donargli il controllo della situazione e farmi portare al punto in cui desiderava lui, come era già accaduto.
 
 
<< Le cose che ti ho detto… non le pensavo davvero. Non era mia intenzione maltrattarti, perché tu sei sempre stato buono con me. >>.
 
 
La testa guizzò verso di me, ora stupito.
<< Buono? >>, fece eco, come se non fosse abituato ad essere tratteggiato con quell’aggettivo.
 
 
Annuii energicamente.
<< Beh sì. E non è stato giusto essere stata così cattiva, non sei solo un maggiordomo. >>.
 
 
<< Sono una persona. >>, anticipò, dato che mi ero sgolata molto nel rimarcare il concetto, ormai aveva capito cosa volessi dirgli. Però non credeva sul serio al modo in cui lo vedessi, non perché stessi mentendo, ma perché non si reputava una persona. Non doveva aver avuto un passato facile.
 
 
<< Esattamente. >>, confermai risoluta, perdendomi nel mio stesso encomio. << Mi sono comportata molto male ed è per questo che ti chiedo nuovamente scusa. >>.
 
 
Nessuna emozione traspariva dal volto immutabile. 
<< Non dovete assolutamente scusarvi, lady Selin. >>, disse, dopo un paio di secondi di snervante silenzio, dove solo la musica si udiva.
Il profilo eccezionale era meno inflessibile, più morbido adesso e il sorriso diabolico aveva lasciato il posto ad uno indulgente. Gli occhi brillavano di una fiamma inesauribile, forgiate dal fuoco di mille battaglie.
 
 
Piegai la bocca, mordicchiando le labbra e fui stupidamente recidiva, nel perseverare con la mia stupida sbandata. Sarebbe finita male, molto male. La ragazzina, ed il maggiordomo… non suonava bene e non c’era un futuro roseo per lo sciocco delirio venefico.
 
 
<< Tu non ce l’hai un giorno libero? >>, chiesi audace e temeraria, facendo a pezzi il tessuto del cappotto. << Non so, non esci mai da solo? Non te la togli mai quell’aria ingessata da pinguino imbalsamato o fai il maggiordomo ventiquattro ore su ventiquattro? Insomma non ce l’hai una vita tua, dove servire mia nonna non fa parte della tua routine? >>.
 
 
<< Cosa state cercando di dirmi? >>.
La canzone alla radio cambiò e le parole fluirono dall’altoparlante, rimanendo inascoltate, almeno fino a quando una strofa balzò alla mia attenzione.
 
 
You don't believe what all the signs say
I don't believe in judgment day
But you won't be leaving here unharmed
 
 
 
Potevo sentirmi più a disagio di così? Provare a chiedere di uscire ad un uomo, era più difficile che porgergli le proprie scuse.
<< Cerco di dire che… beh, non c’è un luogo dove potremmo andare… insieme… dove tu non sia costretto a darmi del “lei”? >>.
 
 
La Rolls Royce parcheggiò a pochi metri dall’internet point e solo in un secondo momento notai la sfilza di negozi di lusso, in cui, molto probabilmente, nonna Lucy si serviva. Speravo di non dover acquistare le sue invidiabili tuniche preistoriche.
Fu alquanto strano che si fosse fermato proprio lì, benché la strada era colma di negozi d’abbigliamento e poteva posteggiare anche altrove.
 
 
<< Hai intenzione di rispondermi, oppure…? >>.
 
 
<< Credevo che non le piacessero le domande? >>.
 
 
<< Ho scoperto che mi piacciono le risposte, però. >>, ribattei prontamente.
 
 
<< Sono al servizio di sua nonna più di quanto crede, lady Selin. >>, disse garbato, attento a non urtare i miei sentimenti.
 
 
“Che significa questo? Intrattieni una relazione con la psicopatica?”.
 
 
<< È un no? >>, ritentai tenace. Non potevo essermi sbagliata, anche lui era attratto da me, tuttavia l’etichetta gli imponeva di non sconfinare il suo ruolo.
 
 
<< No. >>, asserì secco, per poi aggiungere. << Non è un no. Ne riparleremo alla fine delle sue spese, lady Selin. >>.
 
 
Sbiancai di colpo, certa che non avrebbe mai ricambiato le mie attenzioni, invece si era arreso senza combattere, benché la maschera gelida perdurasse sul volto. Temevo che fosse uno dei suoi perversi giochetti, per giungere un obbiettivo che non mi era chiaro.
 
 
Fece per scendere, ma lo bloccai per un polso.
<< Puoi restare qui, Sebastian. Non ci metterò molto. >>. Simulai un sorriso sincero. Non potevo permettergli di venire con me, altrimenti si sarebbe accorto di quale erano i miei reali scopi.
Ero brava a mentire, ma gli occhi indagatori erano un intoppo difficile da superare, ed ebbi l’impressione che fosse più che al corrente di cosa fossi venuta a fare veramente in paese.
 
 
“Devo mantenere il viso rilassato.”, mi imposi risoluta, altrimenti avrebbe trovato una falla per intuire la verità. 
 
 
<< Cerchi di non cacciarsi nei guai. >>, pregò austero.
 
 
<< Fidati di me. >>.
Scesi dalla lussuosa macchina, sostando dinanzi ad una vetrina.
 
 
“Sherlock Holmes in azione!”.
 
 
Finsi di analizzare estasiata i vestiti costosi esposti, temendo che non si sarebbe distratto mai per darmi il tempo materiale di infilarmi nell’internet point. Dovetti attendere un tempo interminabile e in mio vantaggio arrivò il fracasso roboante di un clacson, che servì a deconcentrarlo, così sgattaiolai furtiva nella mia meta finale e diedi il via alla mia ricerca.
 
 
Utilizzai una postazione che mi permetteva di tenere d’occhio la strada, se in tutti i casi l’avessi visto passare per venirmi a cercare o se fosse entrato nella rivendita. Avevo i minuti contati e dovevo reperire il maggior numero di informazioni possibili, per giungere ad una conclusione sensata.
Aprii la schermata principale di Google e digitai la prima cosa che mi passasse per la testa.
 
 
Uomini con gli occhi rossi.
 
 
I siti si succedevano, uno sotto l’altro, in una sequenza ordinata e catalogata di link diversi, che riportavano notizie differenti, alcune utili ed interessanti, altre no.  
Wikipedia raccontava della leggenda dell’uomo falena, così imboccai quella strada, sperando che fosse quella giusta.
 
 
Uomo falena è il nome con cui viene chiamata una misteriosa creatura, secondo una leggenda metropolitana sviluppatasi negli Stati Uniti. Negli anni sessanta sarebbe stata ripetutamente avvistata nelle cittadine di Charleston e Point Pleasant e nella Virginia Occidentale e nell'Ohio fra il novembre 1966 e il dicembre 1967. I presunti testimoni avrebbero descritto l'entità come un essere delle dimensioni di un uomo con le ali e grandi occhi rossi rifrangenti o luminosi, e dotato inoltre di una velocità innaturale.
 
 
Sebastian non aveva ali e non avrebbe potuto nasconderle sotto la divisa da maggiordomo. Bocciai il percorso ben avviato e proseguii spasmodica nella ricerca, gettando occhiate ad intermittenza all’entrata dell’internet point.
Svariati siti concordavano l’appartenenza ad una razza non umana, per “uomini” dagli occhi cremisi.  
Maledii la connessione internet troppo lenta.
L’indice scivolò agile sullo scroll, famelica di scorgere un appiglio tra la pioggia di parole, fino a quando giunsi ad uno sbocco inatteso. La pagina si presentava scritta con vocaboli rossi su uno sfondo nero e trattava di formazioni di demoni che abitavano il pianeta terra e il sottosuolo.
Lessi lesta, arrivando in fretta al punto che mi aveva colpita.
 
 
 
Un Demone può venire a patti con gli esseri umani, in cambio della loro anima. Vengono segnati con il sigillo del loro contratto, solitamente è un marchio che contraddistingue la natura del Demone stesso, per questo viene nascosto da entrambe i contraenti.
Il contratto faustiano lega inscindibilmente il Demone al suo padrone, che adempierà a tutti gli ordini, fino all’estinguersi delle clausole, solo allora l’anima dell’essere umano potrà essere divorata dal demone. Non vi è possibilità di redenzione, una volta firmato con il sangue tale accordo.
Il Demone può presentarsi sotto svariate forme, sia animale, che umana o qualsiasi altra forma gli viene richiesta. Molti di noi hanno incontrato inconsapevolmente i Demoni ed hanno anche interagito con loro.
Essi possono nascondere la loro natura demoniaca, però tutti i Demoni sono accumunati da una peculiarità che non possono occultare: gli occhi.
Rossi, scintillanti, stupendi per qualsiasi mortale, come se fossero dei rubini splendenti, profondi e ricchi di sfumature. Se scrutati attentamente, le fiamme dell’inferno ardono in essi.
 
 
 
Portai sconvolta una mano sulla bocca, per impedire all’orrore di venirne fuori e fui costretta a smettere di leggere, non appena un’ombra insolita oscurò la visuale dell’entrata e mi obbligò a distogliere lo sguardo dallo schermo del computer. Ebbi un tuffo al cuore, scolorendo dal terrore e sentendomi sul punto di svenire. La terra tremò sotto i piedi e, se avessi potuto, sarei fuggita più veloce che potessi.
 
 
Sebastian era lì davanti a me e non l’avevo visto entrare o avvicinarsi o fare alcun movimento sospetto che potesse catturare la mia vigile attenzione.
<< È stata un’interessante lettura? >>.
 
 
Ne era a conoscenza.
Lo era sempre stato.
Del mio piano, delle bugie che avevo inventato, del diversivo avvenuto grazie al suono del clacson: voleva che io sapessi. Aveva rimandato la conversazione a tempi in cui sarei stata consapevole di chi fosse in realtà e poi avrebbe giudicato se fossi pronta per le conseguenze che poteva portare un rapporto promiscuo con un essere non di questo mondo.
 
 
“Un demone! Lui è un demone!”, rintronò sulle pareti del cranio, rischiando di trafiggere il cervello e di uccidermi sul colpo.
 
 
Attorno a me altre persone erano sedute alle loro postazione, navigando ignare su internet, all’oscuro che un demone fosse lì in mezzo a loro.
 
 
Balzai in piedi e con un autocontrollo che non sapevo di possedere, aggirai Sebastian per uscire in fretta da quel luogo. Se dovevo morire, non volevo mettere in pericolo la vita di nessun altro.
 
 
<< Immagino che non voglia più uscire con me, giusto? >>, canzonò, venendomi con calma dietro. Non si scomponeva neppure dinanzi a ciò che avevo appena scoperto.
 
 
Mantenevo un’andatura veloce, nondimeno lui riusciva a stare al mio passo senza alcuno sforzo.
 
 
<< Dove state andando? >>, interrogò annoiato. Si aspettava una reazione del genere e non si sarebbe agitato nel vedermi urlare, piangere o scappare. Avrebbe preferito che mi comportassi diversamente.  
 
 
<< Non lo so! >>, strepitai a grandi falcate sul marciapiede. Schivavo a stenti i passanti, su cui andavo a sbattere e che lui riusciva ad evitare fluidamente. << Da qualche parte dove non ci sei tu che fai domande idiote! >>.
 
 
<< Io sono ovunque, posso trovarla in ogni luogo, anche in capo al mondo. >>. Dietro l’intimidazione vi era celato un significato che non mi era chiaro, come non mi era chiaro niente in quell’essere, a parte che fosse una creatura soprannaturale a servizio di mia nonna. 
 
 
Inarcai le sopracciglia e scoppiai in un’amara risata.
<< È una minaccia? >>.
 
 
<< No. >>.
 
 
Mi bloccai sul posto, voltandomi per affrontarlo.
<< Allora cosa accadrà adesso, eh? Ora che so chi sei, cosa accadrà? Mi ucciderai? >>.
 
 
Socchiuse gli occhi in due piccole fessure, per poi spalancarle al limite del possibile.
<< No. >>. Ma era lampante che stava mentendo… mi avrebbe tolto la vita, solo che la mia esecuzione era rimandata a tempi migliori.
 
 
<< Mia nonna sa chi sei, immagino? >>.
 
 
<< Sì. >>.
 
 
<< È con lei che hai fatto il patto? >>.
 
 
<< Sì. >>.
 
 
<< Cosa ti ha chiesto in cambio della sua anima? >>.
 
 
Restò impassibile, fermo come una statua di marmo a fissarmi come se fossi un noioso film serale e non rispose: non era tenuto a dirmelo.
 
 
Lasciai che i miei piedi prendessero la strada che volevano, andava bene rifugiarmi anche in una stalla, purché restassi per conto mio per qualche ora e commisi un errore imperdonabile che mai avevo fatto prima di allora, tale era la confusione tra i miei pensieri e lo sconcerto per ciò che avevo svelato: attraversai la strada senza notare se vi erano delle macchine che sopraggiungevano in quel momento.
Non ci feci subito caso, ma quando udii il clacson suonare all’impazzata e vidi il furgoncino verde che provava a frenare, venirmi addosso, restai completamente immobilizzata nel bel mezzo della carreggiata, inchiodata dalla paura.
Il tempo di pensare non c’era ed ogni movimento avvenne con una tale velocità che mi tolse il fiato.
Un attimo prima fissavo il conducente che mi squadrava sgomento di rimando e poco dopo mi ritrovai dall’altra parte del marciapiede, sana e salva tra le braccia rassicuranti di qualcuno che mi teneva stretta per i fianchi.
 
 
Inizialmente la cosa che mi colpii fu il gradevole profumo familiare e tranquillizzante che proveniva dagli indumenti freschi di bucato del mio salvatore.
Il cuore palpitava frenetico come un tamburo e la paura mi stava facendo sudare freddo. Il respiro usciva convulso dalla mia bocca, come se i polmoni non fossero più in grado di contenere l’ossigeno. Ero stata vicina a essere investita da quella vettura e me l’ero cavata per un pelo.
 
 
<< State bene? >>, domandò la languida e rilassante voce di Sebastian che mi teneva premuta sul suo corpo, lontana da ogni pericolo.
Le sue mani caddero via dalla mia vita ed alzai il viso tremante, incontrando i bottoni argentei della divisa corvina, il colletto bianco, il mento, le labbra tranquille e le iridi scintillanti di un rosso vivo, come se fossero accese dall’adrenalina.
Un demone che, forse, voleva uccidermi, mi aveva appena salvato la vita, e l’incongruenza mi spinse sull’orlo della pazzia.
 
 
<< Io… credo di sì. >>, balbettai scombussolata, con le gambe tremanti.
Riuscivo solo a considerare quegli occhi amaranto, resi più chiari dalla luce pallida del giorno inesistente: il resto non esisteva più. << C-come hai fatto? >>.
 
 
<< Se come servitore della famiglia Lennox non riuscissi a fare una cosa simile, allora che accadrebbe? >>, si giustificò compiaciuto. Gli piaceva vantarsi delle sue doti incredibili.  
 
 
L’autista del furgoncino parcheggiò il suo mezzo a qualche metro di distanza e in compagnia di altre persone preoccupate mi raggiunsero per chiedermi se mi fossi fatta qualcosa.
Fui anche rimproverata per il mio modo sconsiderato di attraversare la strada e in pochi secondi il mio nome e quello di mia nonna si sparsero sulle bocche della gente.
Ora tutti sapevano che la nipote di Lucy Lennox era un’idiota, con tendenze suicide.
 
 
Tra la folla che mi accerchiava e mi toccava, per costatare che avessi tutti gli arti al loro posto, il mio sguardo restò ben fisso sull’essere soprannaturale che mi aveva impedito di essere travolta da quel furgoncino… si era allontanato piano dalla confusione e se ne stava in disparte… un piccolo sorriso satirico che gli sfiorava la bocca morbida, le mani dietro la schiena ed un legame visivo arcano che mi teneva avvinta.
Appena l’esagerato caos passò e restai sola, mi avvicinai timidamente a colui cui dovevo la mia vita.
 
 
Torturai le dita, nervosa per il salvataggio e il discorso spinoso che stavamo trattando poc’anzi. Quando mi azzardai a guardare quegli occhi cremisi, mi persi in loro.
Avrei voluto dire tante cose, molte domande, dubbi atroci, rabbia repressa, però restai senza parole davanti alla glaciale bellezza che mi abbacinava e mi irretiva come una calamita a cui non potevo sfuggire. Preda di un desiderio violento e brutale, mi spinsi in avanti e, come se non potessi farne a meno, lo abbracciai, affondando il viso sul petto ossuto ed ospitale.
 
 
Dapprima rimase statico nella postura austera, poi le mani fasciate dai guanti bianchi, si strinsero attorno a me, ricambiando il gesto affettuoso.
 
 
<< Va bene. >>, mormorai, più calma, riacquistando la lucidità mentale.
 
 
<< Cosa, lady Selin? >>.
 
 
<< Qualsiasi cosa tu sia. Va bene. >>.
 
 
<< Non le importa che sono un demone? >>.
 
 
Mi scostai appena, per smarrirmi nel suo sguardo penetrante e tenebroso.
<< Non è la natura di un uomo che fa l’uomo ciò che è. >>.
 
 
Sorrise armoniosamente ed accarezzò i miei capelli rossi, prendendo l’iniziativa per la prima volta.  
<< Io non sono un uomo. >>.
 
 
Battei le palpebre, consapevole che avevo appena aperto la porta che mi avrebbe condotta dritta all’inferno, con un biglietto di sola andata.
<< Allora non è la natura di un demone che fa il demone ciò che è. >>, reinterpretai la frase, alleggerendo i toni.
 
 
<< Confido che teniate per voi, ciò che avete scoperto quest’oggi. >>.
 
 
<< Non l’avrei detto a nessuno a prescindere, Sebastian. >>.
 
 
Prese l’orologio argenteo da taschino, completamente estraniato dall’epoca corrente, ed usando mezzi fuori moda per calcolare il tempo.
<< Sarà meglio rientrare, lady Selin. Abbiamo trascorso troppe ore fuori dal castello e la sua istruzione ha bisogno di essere corroborata. >>. Si tirò da un lato, indicandomi la macchina con un gesto plateale del braccio.
 
 
<< È il tuo modo originale per farmi capire che ti importa di me? >>. Mi avviai verso la Rolls Royce, alcuna ombra rabbuiava il mio futuro, inspiegabilmente mi sentivo al sicuro a fianco di un demone, qualsiasi fossero le sue intenzioni e il motivo segreto che stava alla base del patto con nonna Lucy. 
 
 
<< Sì. >>, disse solamente.
 
 
<< Sai dare solo risposte monosillabiche? >>, lo punzecchiai divertita.
 
 
<< No. >>, affermò, scatenando la mia ilarità.
 
 
Aprì lo sportello, ed attese che mi accomodassi nei sedili retrostanti rivestiti in pelle.
 
 
Scossi la testa, spalancai l’anta anteriore e mi sedetti accanto a lui, dando inizio ad una consuetudine che si sarebbe protratta a lungo, ed eliminando il divario che c’era tra di noi. 









Note:
Mamma mia come passa il tempo! Ho aggiornato un oceano di tempo fa, ma la vita purtroppo mi sta impegnando davvero molto, ho un trasferimento di casa in atto e non ho più tempo per nulla, ma la storia verrà portata a termine fino alla fine, non non vi lascerò in sospeso. Promesso.  

La prima canzone che Selin e Sebastian ascoltano nella macchina è "Untouched" delle "The Veronicas" e la seconda canzone trasmessa è "Murder" dei "Within Temptation". 

Spero che la storia vi stia piacendo, anche se aggiorno con una velocità di una lumaca in coma. 


Ringrazio le nuove recensitrici 
CaterinaChat e Omnesoptimiinsanisunt. E Naturalmente ringrazio reaperangels che commenta ogni capitolo (risponderò alle vostre recensioni molto presto, promesso). Ringrazio anche i fantasmini, che sono davvero molti.

La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna.   



 

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Capitolo 6
*** Le Rose di Luna ***


*Le Rose di Luna*









L’amore.
Negli anni, il mio pane quotidiano.
Lo sognavo, immaginavo, leggevo sui libri, speravo, aspettavo, mi chiedevo quando sarebbe giunto il tanto agognato turno, in cui anche io sarei stata la protagonista indiscussa di una storia d’amore, che riempiva il cuore di felicità e svuotava il cervello dalle tristezze.
Mi domandava come sarebbe stato.
Biondo? Moro? Capelli lunghi, a spazzola? Occhi azzurri, smeraldo, color della notte più scura?
 
 
Era un pensiero ricorrente, che mi portava via la maggior parte delle ore, che di solito impiegavo a studiare. E più attendevo trepidante e più non accadeva nulla… niente che si potesse avvicinare a tutte quelle magnifiche fantasie, che accompagnavano le giornate vuote e tetre.
Da bambina, ero convinta che, da qualche parte nel mondo, un’anima affine alla mia esisteva, che ben presto mi avrebbe trovata nel caos della realtà e amata più della sua stessa vita.
Perché quelle come me, quando amano, lo fanno in maniera eccessiva e forte e quindi speravo di essere ripagata con la stessa moneta.
Bugie, illusioni e fallimenti.
 
 
Con il trascorrere degli anni, le belle speranze, avevano lasciato il posto alle amare verità e i dolori della vita, erano riusciti a distogliermi da quegli assurdi sogni di felicità inesistente e avevo smesso di cercare una persona che dividesse con me le gioie e i dolori.
I problemi da risolvere, i soldi che non bastavano mai, la prematura scomparsa di mio padre, l’assassinio di mia madre, erano divenuti la mia concretezza quotidiana e mi ero segregata in una consuetudine che aveva ucciso la dolce ed ingenua ragazza che ero.
Ero uno scrigno di sogni infranti.
 
 
Sebastian se ne stava accanto alla finestra, con un libro tra le mani ed un paio di occhialetti rettangolari, mentre leggeva i passi della lezione quotidiana e ne spiegava i punti che erano difficili per la comprensione.
Avrei potuto ascoltarlo parlare per ore dei più disparati argomenti, solo per perdermi nel suono caldo ed eccitante della sua voce. Esercitava su di me un intenso richiamo a cui non potevo e non volevo sottrarmi. Avvertivo un istinto primordiale che mi legava a lui… una forza che non controllavo e che mi obbligava a volerlo ancora più vicino per sentirmi meglio.
 
 
Qualsiasi cosa mi attirasse in quel modo a lui, rendeva insopportabile il pensiero di non poter esternare i miei sentimenti. Era quasi una violenza fisica adesso e graffiava forte l’angolo più nascosto della mia anima.
Perché faceva così male?
Strano come l’amore che mi ero immaginata da fanciulla, non avesse per nulla le fattezze stupende ed inebrianti di un demone dell’inferno.
Ma cos’era l’amore?
Se avessi cercato la definizione obiettiva, priva di passioni ed oggettiva, su qualsiasi dizionario, avrei letto la seguente spiegazione:
 
 
L’amore è un sentimento intenso e profondo di affetto, simpatia ed adesione, rivolto verso una persona, un animale, un oggetto o verso un concetto, un ideale.
 
 
Una frase così impersonale, che provava a spiegare un sentimento ardente, complesso e sconvolgente, con parole equanimi, non poteva illustrare le gioie e le sofferenze che portava l’amore. Una definizione raziocinante non rendeva giustizia del modo di vivere l’amore e dei bisogni intimi che erano sottesi a quell’emozione. 
 
 
L’amore era illogico, oscuro, infinito, lancinante, doloroso, passionale. L’amore era gentile con i cuori, ma poteva trafiggerli in ogni istante, spezzarli a metà, renderli polvere tra le dita.
L’amore poteva portarti in paradiso o scaraventarti all’inferno…
 
 
Scarabocchiavo distratta sul foglio di quaderno, mentre il maggiordomo interpretava la lettura.
 
 
Motivi per amare Sebastian Michaelis:
-Ha un grande cuore.
- Intelligente.
- Ha una voce di velluto.
-Occhi che incantano.
-È bellissimo.
-L’unico che si preoccupa per me.
-Mi protegge
-Non permetterà mai che mi capiti qualcosa di brutto
 
 
 
Motivi per non amare Sebastian Michaelis:
-Nessuno.
 
 
Non mi accorsi il momento preciso in cui una calma allarmante avvolse la biblioteca ed un guanto bianco si palesò sotto il mio naso, per sfilare via il foglio su cui pasticciavo giustificazioni e cuoricini, degni di una diciassettenne.
 
 
“Merda!”.
 
 
Lesse una sola volta, molto stuzzicato dal mio passatempo, che mi impediva di ascoltare la lezione. Dopodiché richiuse il foglio e lo conservò in una tasca interna della divisa nera, tornò alla lavagna e riprese il libro.
<< Ho una motivazione per cui la signorina non dovrebbe amarmi. >>, dissi ad un certo punto, però non era arrabbiato come avevo creduto.
 
 
<< Quale? >>.
 
 
<< Sono un demone, lady Selin: non è una motivazione più che sufficiente questa? >>.
 
 
Scrollai le spalle, oramai abituata alla freddezza dei gesti e delle parole. Era fatto così e mi piaceva anche per ciò.
<< No, non credo, Sebastian. Cercavo motivazioni che avessero a che fare con il tuo carattere, più che chi sei… intendo difetti. >>.
 
 
Schiarì la voce, tranquillo nel conversare con un essere umano della sua natura soprannaturale.
<< Divorare anime ed uccidere, è un difetto? >>, interrogò retorico e insensibile, tenendo gli occhi fissi sul volume scolastico. Una tranquillità che metteva i brividi.  
La domanda mi spiazzò e ne restai sconcertata, rimanendo muta, mentre provavo ad interpretare in maniera differente la confessione. Non vi erano altri modi, lui era un assassino… un assassino con gli occhi rossi, come nel mio sogno.
 
 
<< I demoni sanno cos’è l’amore? >>.
 
 
Richiuse di scatto il libro, lo ripose con cura sullo scaffale da cui lo aveva prelevato e mi fissò cupo. La lezione era finita.
<< L’amore giace nel cuore, ed io ne sono sprovvisto. >>, sussurrò agrodolce, ed un’antica mestizia gli svigorì i lineamenti spigolosi.
 
 
<< Che vuoi dire? >>.
 
 
Si sfilò adagio, con una grazia irrefutabile, i guanti bianchi e fu allora che vidi le unghie smaltate di nero e un marchio viola che occupava il dorso della mano destra. Una stella a cinque punte racchiusa in due cerchi: la prova del patto con nonna Lucy. Non ero ancora riuscita a scoprire cosa avesse chiesto lei, in cambio della sua anima.
Le dita agili slacciarono i primi cinque bottoni argentei dell’uniforme e la cicatrice verticale sul petto nudo, fu più impressionante di tutte le cose viste e sentite fino ad oggi. La luce opaca del pomeriggio, la rendeva più raccapricciante di quanto fosse in realtà.
 
 
Le gambe tremarono, non garantivano un buon equilibrio, le obbligai a sopportare il peso e le costrinsi a portarmi fin davanti al mio insegnante. I polpastrelli sfiorarono lo sfregio e lui socchiuse le palpebre, come se gli stessi procurando dolore.
<< Ti fa male? >>. Feci per togliere la mano, ma lui la bloccò, costringendomi a tenerla sul torace esangue. Il contatto intimo della mia pelle sulla sua, fu come una scarica elettrica che esplodeva proprio lì, dove ci toccavamo e rischiava di farmi liquefare ai suoi piedi.
Chissà quante altre donne erano state al mio posto e spregiudicate avevano colto la palla al balzo, facendo ciò che io rimuginavo, ma che non osavo compiere.
 
 
<< Io non posso darle ciò di cui lei ha bisogno, lady Selin. Non conosco l’amore romantico che intende lei, conosco la passione, il sesso, il peccato, l’odio e il dolore… è per questo che le ho consigliato di accettare la corte del giovane Joseph Finnick. Da me avrebbe solo sofferenze e ne godrei: è nella mia natura. >>, mise in chiaro sincero e apprezzai la franchezza, voleva significare che gli importava dei miei sentimenti, ma non gradii il seguito. << Si dimenticherà in fretta di me… voi umani avete una mente elastica e che riesce a riprendersi, dopo grandi traumi. >>.
 
 
Ebbi una curiosa reazione, fu come se mi avesse strappato il cuore dal petto, proprio come avevano fatto a lui in passato. I miei occhi si inumidirono di lacrime bollenti, non seppi spiegarmi perché mi sentissi così sola d’improvviso, respinta da Sebastian, non amata da mia nonna, orfana e gli unici amici erano i domestici, ma si comportavano con un certo criterio poiché ero la nipote della padrona di casa.  
 
 
Continuava a tenere la mia mano premuta sulla cicatrice.
 
 
<< Lasciami andare. >>, implorai flebile, poiché, se dovevo frignare, volevo che non mi vedesse nessuno, tantomeno lui. Gli avevo concesso già troppo vantaggi su di me, mostrando debolezze con cui, adesso, mi trafiggeva fiero.
 
 
Riaprì gli occhi, abbagliandomi con il rosso liquido dei suoi rubini.
<< No. >>, negò crudele, ed ecco che la natura demoniaca fuoriusciva per straziarmi l’anima. Non vi era bisogno di un patto, dato che era già di sua proprietà, la squarciava e ricuciva a suo piacimento. << Sono troppo egoista per privarmi dei lei, per privarmi di qualcosa che voglio. >>.
 
 
<< È solo questo che vedi in me? Un oggetto da possedere? >>, strepitai incredula e i lucciconi debordarono, per bruciarmi le gote arrossate.
Non gli importava niente di ferirmi e me ne resi conto solo adesso, ero solo una delle tante umane che lo allettavano e nulla di più.
Serviva a poco aggiungere parole inutili: le azioni avevano sentenziato la verità.
 
 
Strattonai via la mano, logorata da come il destino continuasse a burlarsi di me, dandomi false speranze che non facevano altro che uccidermi giorno per giorno. Ero così stanca di tutto, della vita, della morte, delle persone, dei demoni, di me stessa.
<< Io volevo… solo, un po’ d’amore. >>. I singhiozzi mi riempirono la bocca e fecero uscire le parole sussultanti ed indecifrabili.
 
 
“Sei una stupida piagnona!”.
 
 
Gli voltai le spalle ed uscii di corsa dalla biblioteca, travolgendo Charlotte che spingeva il carrellino per la merenda pomeridiana, colmo di leccornie golose.
<< Signorina Selin! >>, strepitò confusa lei, per il modo in cui correvo per i corridoi del castello.
 
 
Imboccai sconvolta le scale che davano al portone, ed uscii in giardino, priva di una meta precisa, certa solo che non volessi vedere o parlare con nessuno, ma solo piangere fino a prosciugarmi del tutto. Potevo fuggire quanto volessi, ciò nonostante, non si poteva fuggire da se stessi e dal proprio dolore. L’avevo imparato a mie spese alla morte di mio padre e poi a quella di mia madre… il mondo si rivelava un luogo fin troppo piccolo, se volevi nasconderti dai propri demoni.
Rallentai il passo, asciugai irosa gli occhi e il rumore di forbice che potavano, mi distrassero momentaneamente dal cataclisma interiore.
 
 
Jared, il giardiniere, stava sfoltendo una siepe, spuntando delle erbacce incolte, cresciute leste a causa del tempo umido. I capelli brizzolati sfumavano quasi sul bianco e parve più vecchio di quanto non fosse in realtà.
Indossava grossi stivali di gomma, guanti di identico materiale e un grembiule verde.
<< Signorina Selin! >>, chiamò a mo’ di saluto. << Cosa vi è accaduto, perché piangete? >>. Smise di occuparsi delle piante, per dedicarsi alla sottoscritta.
 
 
Tirai su con il naso più volte.
<< Niente Jared, non preoccuparti… mi sento un po’ sola. >>. Era una mezza verità, anche se scompaginata, dovevo mantenere il segreto e poi sarei stata presa per una pazza. Chi poteva credere che il bellissimo ed efficiente maggiordomo di una rinomata casata, fosse un demone?
 
 
<< Oh signorina, se lo desiderate potete restare qui con me, vi farò io compagnia. >>. Sorrise bonario e affettuoso, come il tenero nonno che non avevo mai conosciuto, morto prima che venissi al mondo. Al contrario di nonna Lucy, suo marito era stato un brav’uomo.
 
 
<< Mi racconti una delle tue storie sui fiori? >>. Ne avevo assurdamente bisogno, poiché il silenzio era un suono acuto a cui non volevo sottostare.
 
 
Jared annuì, smise di tagliare la siepe e mi fece cenno di seguirlo sul retro del castello, lì dove delle rose che non avevo mai visto, crescevano bellissime e rigogliose, di un blu elettrico cosparse da puntini bianchi.
Le guardai estasiata, accarezzandone i petali delicati.
 
 
<< Sono bellissime. >>, frusciai appena, con la testa piena di ovatta. Il freddo di fine novembre iniziò a farsi sentire e, mentre intirizzivo, i fiori parevano rinforzati dal freddo pungente.
 
 
<< Sono le Rose di Luna. >>, affermò il giardiniere, portandosi le mani in vita.
 
 
<< Non le avevo mai sentite nominare. >>.
 
 
<< Sono un particolare tipo di rose che crescono solo in questa parte del paese e fioriscono prevalentemente la notte a fine autunno, inizio inverno. Vuole che le racconti la loro storia? >>, chiese bonario, mostrando un’infinita pazienza che gli invidiavo.
 
 
Annuii più volte, l’umore era migliorato leggermente.
 
 
<< Si narra che, Selene, la bionda e splendida dea della luna, fosse scesa sulla terra, alla ricerca di fiori che potessero addobbare la sua nivea dimora. Mentre passeggiava nel bosco, tra fiori di ogni tipo, intravide un giovane ragazzo dai corvini capelli e gli occhi color del cielo, che faceva il bagno in uno limpido stagno. Il ragazzo, di nome Endimione, era un pastore affascinante, colto e dal cuore puro… non ci volle poi molto a far innamorare la dea. Fu una storia d’amore profonda ed intensa, destinata a durare per sempre, ma… si sa, che nulla dura per sempre e, benché il giovane pastore invecchiava, la dea rimaneva ancorata alla sua giovinezza. Purtroppo le creature che appartengono a due specie diverse, non sono destinate ad essere felici. >>, disse saggio, all’oscuro di quel che stessi vivendo e l’amara verità fu una stilettata in pieno petto. Un dolore acuto che non potevo sopportare e non volevo accettare. << Il giorno in cui Endimione morì di vecchiaia, sulla terra dove era stato sepolto, nacquero delle splendide rose bianche, su cui la dea riverso tutto il suo dispiacere per quell’amore che la morte gli aveva portato via, donandogli il caratteristico colore blu e le sue lacrime di luce, gli diedero questo magnifico aspetto. >>. Protese le mani nel roseto, ne tagliò una e me la offrì.
 
 
<< Che storia triste. >>. Accettai il cortese dono. << Grazie. >>. Annusai il profumo selvaggio del fiore e nelle trame, riconobbi l’odore di Sebastian, legato a dei ricordi lontani nel tempo. Riusciva ad essere presente, anche quando non c’era fisicamente.   
 
 
<< Avete quasi lo stesso nome della dea della luna e state piangendo… per amore. >>.
 
 
Sobbalzai appena dallo stupore.
<< Come fai a saperlo? >>. Rigirai la rosa tra le mani, attenta a non pungermi con le spine. Era così lampante?
 
 
La bocca si distese e gli occhi di un caldo marrone, furono un porto sicuro.
<< Ho molti anni di esperienza, signorina Selin e voi siete giovane, bella ed intelligente proprio come Sebastian… credo fosse certo che alla fine accadesse: era inevitabile. >>.
 
 
Inspirai brusca, voltando il viso in lontananza, dove un paio di gatti randagi si stavano radunando contenti. Il maggiordomo portò loro un piattino pieno di pesce e ne approfittò per accarezzarli.
Tutti i felini lo adoravano, a parte Lilith. Un vero e proprio mistero.
Vederlo essere così affettuoso con gli animali, sorridente, senza l’aria austera che lo caratterizzava, mi faceva bramare di essere al posto di quei gatti.
 
 
<< Tu credi? Vorrei esserne così sicura, come lo sei tu, Jared. >>.
 
 
Il giardiniere seguì il mio sguardo rapito.
<< Dietro quella maschera composta, c’è un grande cuore. >>, convenne lui. << Porta sempre da mangiare a quei gatti e passa molto tempo con loro. Solo chi ama gli animali in quel modo, può avere un grande cuore. Lei non trova, signorina Selin? >>.
 
 
“Lui non ha un cuore.”.
 
 
<< Già. >>, farfugliai poco convinta.
 
 
<< È il ceto sociale che vi separa? >>, suppose innocente.
 
 
“Fosse solo quello…”.
 
 
<< Per me non è un problema, mentre per lui sì. Ho sentito parlare di Catherine McAlley poche settimane fa e credo di capire cosa l’ha spinta a fuggire con l’uomo che ama. >>. Usai quel pretesto per allontanare il giardiniere dalla funesta verità.
 
 
<< Signorina Selin, posso darle una mia sincera opinione? >>.
 
 
Staccai a malincuore gli occhi da Sebastian, indaffarato con i randagi per accorgersi della mia esistenza.
<< Certo, Jared. >>.  
 
 
<< L’amore è amore, il resto sono frottole. Se sentite di provare un sentimento puro e sincero, che viene ricambiato, allora la soluzione la troverete da sola. >>.
 
 
Un piccolo sorriso di ringraziamento prese il posto del perenne broncio e quando mi girai, Sebastian non era più lì e ne fui atterrita.
E fu allora che una familiare melodia si incastrò tra i rumori della natura, il rumore dei tuoni lontani ed i miagolii felici dei gatti, scivolando piano dentro di me, lì, dove non batteva luce e il dolore era così radicato, da creare ulteriore angoscia, nella cognizione di essermi aggrappata ad esso, per non vivere.
Era un semplice suono intenso, profondo, straziante e affine a me, di un violino, proveniente dall’interno del castello. Scorsi il maggiordomo dietro le tende bianche che svolazzavano attorno a lui.
 
 
La musica usciva dalla finestra aperta della biblioteca, danzava nella brezza frizzante del mattino, ma nessuno la udiva, tranne la sottoscritta e fu come se fossi la sola in grado di percepirla.
Avvertivo le note acute e malinconiche, lambirmi la pelle pallida, giocare sulle labbra morbide, rotolare gentili sul corpo e penetrarmi dolcemente, cercando il nucleo pulsante del cuore e alimentando il fuoco prigioniero dell’anima. Un balsamo per le ferite aperte ed una carezza gentile sulle cicatrici nascoste, come se, fosse più che a conoscenza di me, di cosa provassi, dei sentimenti contrastanti, le lacrime versate, la disperazione saggiata e le avesse trasformate in una mesta nenia.
 
 
Sebastian teneva tra le braccia un violino e le movenze erano aggraziate, leggere e fluide, e sembrava stesse facendo l’amore con quello strumento musicale, anziché suonarlo semplicemente. Le mani tenevano l’archetto sapientemente e mi innamorai seduta stante di come riuscisse a nutrire la famelica angoscia, che risiedeva nell’anima.
Un inconsueto calore avviluppava l’inverno perpetuo, germogliato attorno al cuore e che aveva creato una dimora di ghiaccio, eppure fu come il sole avesse preso a brillare rovente proprio in quel punto dimenticato e che stesse sovvertendo in fretta i poli magnetici personali. Una forza inspiegabile mi attraeva imperiosa e non riuscii a capire se fosse la sua musica a creare quel legame incomprensibile o lui stesso ad esercitare un simile potere.
 
 
D’improvviso si voltò sulla mia insistenza giovanile e mi sentii frantumarmi in mille pezzi e trasformarmi in un’impetuosa cascata, un incendio indomabile, una tromba d’aria, un terremoto… un miscuglio violento, che mi fece tremare da capo a piede. Avevo lo stomaco in subbuglio e non era di certo colpa della colazione, dove i dolci cucinati da Tomas abbondavano.
Impossibile fu per me, trattenere dei pensieri dai contenuti troppo coloriti, alimentati da quel corpo eccitante che nutriva le mie fantasie spinte.
 
 
I suoi occhi.
Dio, quegli occhi erano in grado di ucciderti, leggerti dentro, squartarti e adorarti e mi ritrovai a fare l’amore in silenzio con quegli occhi grandi, profondi, intensi, crudeli, inflessibili, che mai avrei potuto dimenticarli e mai avrei voluto farlo. Vi era l’inferno nelle iridi scarlatte.
 
 
Fece un leggero inchino gentile con il capo, sorrise, splendendo più del sole stesso ed ebbi l’assoluta certezza, come quella di essere davvero viva e non solo nelle basilari funzioni vitali, di aver assistito ad una scena simile più di una volta. Non l’avevo mai visto sorridere così.
Unì l’indice e il medio, in un chiaro gesto sensuale di raggiungerlo.
L’orgoglio, assieme alla stima di me stessa e il bisogno di proteggermi, andarono a farsi benedire, così feci l’unica cosa che mi restasse da fare: addentrarmi nel tunnel degli orrori.
 
 
“Purtroppo le creature che appartengono a due specie diverse, non sono destinate ad essere felici.”.









Note:
Con un ritardo incredibile ho finalmente aggiornato, così da lasciarvi questo capitoletto come regalo di Natale. 
Spero proprio che vi sia piaciuto e che la trama in generale vi piaccia. 

Le Rose di Luna, non esistono, mentre la leggenda legata ad esse è la leggenda della Dea Selene e di Endimione, un po' rivisitata per adattarsi alla trama. 


La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 

Buon Natale a tutti!



Un abbraccio.
DarkYuna.   

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Capitolo 7
*** Un demone, che non sapeva cosa fosse l’amore, poteva essere geloso? ***


7.
*Un demone, che non sapeva cosa fosse l’amore, poteva essere geloso?*









La mano tremò chiusa a pugno, poco convinta di voler sapere cosa volesse Sebastian. Ero ancora ferita e confusa, prima mi respingeva, poi mi cercava e ripeteva la consuetudine a suo piacere, in un crudele gioco al tira e molla, inducendomi all’afflizione.
Definirlo un sadico era un sottile eufemismo.
 
 
Bussai sulla porta in legno lucido e levigato, abbassai la maniglia ed entrai nella biblioteca. Nonna Lucy mi lasciava studiare lì, sotto la supervisione del maggiordomo, per poi chiudere a chiave la stanza ed impedire a chiunque di entrarvi. Ancora non avevo avuto modo di ficcanasare, ma presto o tardi sarei riuscita a trovare una falla per fare altre ricerche, stavolta sul patto che legava il demone a lei.
 
 
<< Avanti. >>, disse, ma non era la voce che mi ero aspettata di sentire.
 
 
Nonna Lucy era seduta composta allo scrittoio, che, durante le lezioni private, veniva occupato dal maggiordomo. Teneva i capelli legati in una buffa acconciatura vaporosa raccolta dietro la nuca, che sottolineava il viso magro ed ossuto, pareva fosse pronta per un avvenimento importante. Indossava un vestito bordeaux, piena di fronzoli, pizzi e merletti, abbandonando momentaneamente le sue invidiabili tuniche da suora di clausura.
Stava sfogliando annoiata il libro che aveva usato il mio bizzarro insegnante
 
 
Di Sebastian non c’era ombra.
 
 
“Mi ha fregata di nuovo.”.
 
 
<< Nonna… >>. Ero sorpresa di vederla lì, abbigliata in quel modo elegante e raffinato. La smorfia contrariata, non presagiva niente di buono.
Adesso me ne stavo rigida come un tronco, davanti alla scrivania di noce, intagliata ai lati e lavorata a mano. L’odore di cera calda aleggiava tra le pareti antiche e decorate con quadri terrificanti, raffiguranti le ormai conosciute decapitazioni e battaglie perse nel tempo passato.
 
 
Smise di leggere il grande tomo nero che aveva tra le mani scheletriche. Gli occhietti attenti scorgevano l’espressione frustrata sul mio viso, ancora segnato dalle lacrime.
<< Selin… buon pomeriggio. >>, mi salutò in tono cordiale ed educato, aumentando l’ansia.
 
 
<< Buon pomeriggio, nonna. >>, replicai, simulando calma. << Volevi vedermi per caso? >>. Cercai in fretta un pretesto per andarmene, nella mente vuota non vi era traccia di una scusa plausibile che potesse togliermi dagli impacci.
 
 
Un piccolo sorriso spietato le fece capolinea sulle labbra sottili e dure, poggiò il libro sulla scrivania ed unì le mani sotto il suo mento.
Il nero dei suoi occhi mi inglobò e nascosi le mie mani dietro la schiena: tremavano.
 
 
“Lei sa… sa che io conosco la vera natura di Sebastian.”, gridò la voce nella testa allarmata. “Sa… tutto! Mantieni la calma e distendi il viso: andrà tutto bene.”. 
 
 
Mia nonna era il male e glielo si poteva vedere in quelle iridi scure e crudeli.
 
 
 
<< Devi dirmi qualcosa, Selin? >>, calcò il mio nome con rabbia velata e durezza gelida.
 
 
“Sebastian gli aveva confessato tutto?”.
 
 
Poi ebbi un’idea geniale.
<< Sì, nonna. >>, confermai e il suo volto venne attraversato da una luce sinistra che metteva i brividi.
 
 
<< E allora coraggio Selin. >>. Già pregustava il sapore della mia ammissione. Le conseguenze per essermi innamorata di un demone, potevano essere molteplici, ma non sapevo che tipo di punizione aveva in serbo per me… e per lui.
 
 
<< Sabato ho intenzione di tornare a Los Angeles per poter andare a prendere le ultime cose che ho lasciato a casa di un’amica. Dormirò lì ovviamente. E tornerò domenica sera. Ho pensato che fosse giusto che lo sapessi, nonna. >>. Mentii solo in parte: a Los Angeles non avevo nessuna amica. Avevo bisogno di tornare nella mia terra natia, andare a trovare i miei genitori al cimitero, stare per conto mio, schiarire le idee.
 
 
Durante il mio discorso, la faccia di nonna Lucy cambiò lentamente espressione, passando dalla gloria sfolgorante alla furia cieca per aver fatto un buco nell’acqua.
Se si aspettava una piena confessione, avrebbe dovuto passare sul mio cadavere prima.
Serrò forte la mascella e credetti che fosse sul punto di picchiarmi brutalmente. Ne sarebbe stata capace?
Mi rendevo conto che non sapevo nulla di lei e di come fosse veramente.
 
 
<< Temo di doverti dare una delusione, mia cara Selin. >>, disse con la voce più falsa che avessi mai sentito e la mimica sadica sostituì quella precedente. << Sei sotto la mia responsabilità e fino a quando non sarai maggiorenne, non andrai da nessuna parte, quindi non partirai per Los Angeles, questo fine settimana. >>, dispose perentoria, sarebbe stato del tutto inutile controbattere e litigare, non avrei raggiunto alcuno accordo. Era il suo hobby preferito dare ordini a chiunque la circondasse, come se fossero tutti al suo servizio.
 
 
Abbassai la testa sconfitta, fissando il portapenne vuoto sulla scrivania.
<< Va bene, nonna. >>, borbottai servile.
 
 
<< Stasera ci sarà il tuo debutto in società. >>, informò e l’annuncio disorientante, mi colse impreparata. Non ero pronta per un evento di tale portata e non avevo la più pallida idea di come dovessi comportarmi in un debutto in società. << Solitamente il debutto si tiene al diciottesimo anno di età, però preferisco anticiparlo. >>.
Trovai singolare la sua decisione, non aggiunsi altro, ero nauseata da queste banalità. Se avessi assentito ad ogni sua scelta, la convivenza sarebbe filata liscia.
Credevo che il mio debutto in società fosse avvenuto alla cena di poche settimane fa, invece sarei stata nuovamente costretta ad indossare una maschera, fingere di essere un’altra persona, laurearmi in sorrisi fasulli e costringermi a socializzare.
 
 
<< Va bene, nonna. >>.
 
 
<< Il ballo si terrà fra due ore. >>, rese noto e il suo sguardo mi passò attraverso, per situarsi su un punto ben preciso alle mie spalle. << Fa’ che sia presentabile, Sebastian. >>.
 
 
Mi volsi sorpresa. Da quanto tempo era lì?
 
 
Si portò una mano sul torace, ed inclinò la testa da un lato, umile.
<< Come desiderate, mia padrona. >>.
Disprezzavo la maniera devota con cui trattava nonna Lucy, come se soddisfarla fosse la cosa più importante della sua vita, mentre io venivo stimata alla stregua di un insetto.
 
 
<< Puoi andare Selin. >>, accomiatò lei fredda, con un gesto della mano, come se stesse cacciando una mosca.
 
 
Ruotai su me stessa ed uscii in fretta dalla biblioteca.
 
 
D’improvviso fu come se riuscissi a respirare meglio e poco dopo il peso di tutto quello che stavo sopportando, rischiò di trascinarmi sotto terra. Procedevo a grandi falcate e non mi angustiai ad attendere il maggiordomo: preferivo perdermi.   
Lui marciava taciturno al mio fianco, mani dietro la schiena, spalle dritte e un portamento inappuntabile.
Mille parole urlate, rimasero mute tra di noi… era come amare un fantoccio inanimato, senz’anima, poiché lui divorava quelle degli altri.
 
 
<< Le ho portato l’abito per il ballo, è nella sua stanza. Chiamerò Charlotte per aiutarla a prepararsi, lady Selin. Posso fare altro per lei? >>.
Giungemmo nei pressi della mia camera da letto, spalancai la porta e una volta che fui al sicuro dentro di essa, gettai un’occhiata in cagnesco al maggiordomo.
 
 
<< Sì, c’è qualcosa che puoi fare: sparisci dalla mia vista! >>. Sbattei la porta così forte, che i vetri della finestra tremarono. Fu una misera rivalsa, la collera era annidata nel petto, come un vulcano pronto ad eruttare dopo anni ed anni di inattività.
 
 
 
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Charlotte strinse brusca i lacci di seta del corpetto, l’aria uscì lamentosa dalla bocca, svuotando i polmoni e lasciandomi compressa dentro il maledetto vestito che mi stava facendo penare.
Il riflesso nello specchio grande, dalla cornice dorata, mostrava una giovane ragazza incantevole, snella e slanciata, con in dosso un abito di alta sartoria, cucito da mani esperte. Composto da un bustino senza spalline, da cui scendeva morbida una lunga gonna a balze e veli che arrivava fin sulle caviglie. La stoffa bianca era disegnata da ghirigori raffinati neri, gotici, dagli intrecci complicati, che cadevano a grappoli divisi sul resto dell’indumento.
I capelli erano stati appuntati in una sofisticata pettinatura, da cui ricadevano boccoli soffici sulle spalle nude. La parure di diamanti, dava un tocco di luce al make-up scuro e all’espressione corrucciata.
 
 
<< Abbiamo quasi finito, signorina. >>, annunciò la cameriera, in difficoltà a causa del corsetto dispettoso.
 
 
Trattenni il respiro nuovamente, per renderle più facile il compito.
<< Se svengo, ti prego, trascinami via dalla festa. >>, supplicai a fatica.
 
 
Sogghignò complice, instaurando un cameratismo che agognavo.  
<< Siete bellissima, signorina Selin. Lascerete tutti senza fiato. >>, si complimentò sincera, gettando occhiate al di sopra della mia spalla, per esaminare la mia immagine.
 
 
<< Io già lo sono. >>, scherzai, sorpresa che fossi ancora capace di farlo. Un mese in questo posto e mi ero ridotta in uno stato depressivo mai saggiato in precedenza. Il mio compleanno era ancora lontano, ma dovevo resistere fino a quel giorno e poi me ne sarei andata, non mi importava nemmeno di Sebastian, dato che per lui non ero niente di più che un giocattolo da prendere e gettare a suo piacimento.
 
 
Lilith accovacciata sul divano, accanto al caminetto acceso, esaminava fiera il risultato di quel travestimento scomodo, compiaciuta ed orgogliosa. Si era già abituata a Charlotte e le aveva permesso di farsi coccolare.    
 
 
Bagnai le labbra e il sapore dolce del rossetto rosso invase il palato.
<< Charlotte, tu ce l’hai un giorno libero? >>.
 
 
Accigliò la fronte alta, coperta dalla frangetta.
<< Certo signorina, come mai questa domanda? >>.
 
 
<< Ti andrebbe di uscire con me, nel tuo giorno libero? Come amiche intendo, magari mi mostri meglio Blackrock e la smetti di darmi del “lei”. Prendilo come favore personale. >>.
 
 
In un primo momento balbettò vocaboli incomprensibili, alla fine si inchinò due volte, acconsentendo.
<< Ne sarei felice, signorina. Se le va bene, venerdì è il mio giorno libero e potremmo uscire. >>, incespicò impacciata. Finalmente aveva allacciato il corpetto malefico e si mosse da un lato.
 
 
<< Ad una condizione. >>, dissi, sorridendole grata per essere stata tra le poche persone che mostrava un po’ di dolcezza. << Che smetterai di chiamarmi “signorina” o di mostrare tutto questo rispetto. Sarò solo Selin, okay? >>.
 
 
Le guance divennero rosse e gli occhi le brillarono: doveva sentirsi parecchio sola anche lei.
<< Come desiderata, signorina. >>.
 
 
Drizzai le spalle, aggiustai le pieghe del vestito, arresa alla sorte beffarda che mi attendeva stasera e fu Charlotte, stavolta, a scortarmi fino all’ingresso del castello, dove i numerosi invitati venivano accolti da un’impeccabile maggiordomo. Persone dell’alta società agghindati con abiti raffinati e costosi, gioielli di tutti i tipi, venuti qui per vedere la nipote di Lucy Lennox debuttare in società, mentre io avrei preferito farmi sbranare da un leone.
La musica rendeva l’atmosfera cupa ed austera del castello, più accogliente e briosa.
 
 
Nonna Lucy mi attendeva alla base delle scale, occupata a conversare amabilmente con un ragazzo biondo, dalla corporatura vigorosa e vestito in gessato bianco, che conoscevo più che bene. Joseph Finnick teneva tra le mani un mazzo di rose rosse e temevo che fossero proprio per la sottoscritta.
 
 
Ero sbalordita da come fosse stato adornata l’abitazione e poi in così poco tempo, da non accorgermene neanche. Nel pomeriggio era tutto normale, mentre adesso faticavo a riconoscere lo stesso castello lugubre, che mi aveva accolto poche settimane fa.  
 
 
Fui tentata di togliermi le vertiginose scarpe alte e fuggire via e, mentre ero impegnata a montare un disegno di fuga, gli occhi fulgidi di Sebastian incontrarono i miei distratti, obbligandomi a far passare ogni progetto in secondo piano, per constatare quanto perfetto fosse in frac nero. Sarebbe stato bellissimo anche con un sacco di iuta… o nudo.  
Impulsi diversi mi legavano a lui, di una veemenza devastante che mi lasciavano senza respiro, più dello spiacevole vestito che portavo. Da una parte lo odiavo, si divertiva ad illudermi con gesti riguardevoli, per poi spezzarmi il cuore con l’indifferenza impassibile. Quel subdolo gioco mortale, non faceva altro che accrescere esponenzialmente i miei sentimenti malsani.
 
 
<< Cara Selin! >>, esclamò nonna Lucy, recitando una parte che le riusciva bene, abituata ad una vita dove fingere era l’ingrediente principale. << Sei incantevole. >>.
 
 
Scesi gli ultimi gradini, come se fossi una condannata a morte, che percorreva la traversata prima della fine.
 
 
“Dio, se ci sei, fulminami adesso!”.
 
 
Joseph Finnick annuì e pareva un baccalà, con quei capelli fissati da abbondante gel e l’abbronzatura aranciata, molto marcata, che gli dava un’aria malaticcia ed unta. Porse affabile le rose, che a malincuore dovetti accettare.
<< Sei bellissima, Selin. >>, confermò. Gli mancava la bava alla bocca e poi era una scena grottesca in tutto e per tutto.
 
 
Violentai la bocca nella replica mal riuscita di un sorriso.
<< Hai bisogno di un cavaliere. >>, avvisò nonna Lucy, dando una leggera pacca al biondo. << E questo baldo giovanotto, si è offerto di accompagnarti nel tuo debutto. >>.
 
 
Camuffare il senso di repulsione per la decisione presa, senza che fossi interpellata per dare il mio parere, fu la cosa più difficile che avessi dovuto fare.
Lui mi porse il braccio e non potei fermarmi nello scrutare affranta Sebastian, fermo immobile accanto all’ingresso spalancato, ci fissava con gli occhi sbarrati all’inverosimile, come se fosse sul punto di uccidere il mio accompagnatore.
 
 
Un demone, che non sapeva cosa fosse l’amore, poteva essere geloso?
 
 
Respirai aspra due volte, affidai i fiori a Charlotte, accettando a denti stretti la cortesia di Joseph e quando gli sfilammo accanto, la mia mano sfiorò per sbaglio quella avvolta dal guanto bianco del maggiordomo ed un brivido incandescente mi arse viva, in quella che fu la mia pira.
L’indifferenza e il distacco mi uccideva nel profondo, era come se fossi legata a lui e al contempo, la condizione sociale, la natura demoniaca e il patto con mia nonna, ci separassero. Non ero in grado di sopportare l’apatia con cui gli ero passata accanto, fingendo che nulla fosse accaduto tra di noi.   
Deglutii rumorosamente, tenni la testa bassa, cancellando il bisogno spasmodico di voltarmi, correre da Sebastian ed abbracciarlo. Era un desiderio stupido, poiché lui mi avrebbe fermata, attento a non intaccare il mio nome con un simile comportamento sconveniente.
Il debutto in società doveva essere un rito importante, per questo avrei voluto che ci fosse lui al mio fianco e non il disgustoso essere che mi aveva appioppato mia nonna.
Ero agitata, non per la festa in mio onore, ma per il rapporto teso con lui. Non me ne fregava niente del contesto prestigioso, le persone attorno a me, nonna Lucy e quel pallone gonfiato che mi sbavava addosso… a me interessava solo di Sebastian.   
 
 
L’orchestra era collocata sotto la grande balconata a nord dell’ampia sala da ballo, ornata a festa per l’occasione rilevante. Non appena io e Joseph facemmo il nostro ingresso, la musica cambiò, come per sottolineare il momento topico. Gli invitati scoppiarono in una cascata di applausi scroscianti e sotto le note allegre, il biondo mi prese villano in vita ed iniziò a ballare. Quel suo pretendere di avere l’esclusiva sul mio corpo, mi mandava in bestia.
Manteneva una vicinanza eccessiva, ridendo sguaiato e premendosi eccessivamente sul mio corpo, in un contatto fisico poco casto, che non gradii affatto.
 
 
“Se non ti allontani di almeno diecimila chilometri, ti arriva un calcio lì dove non batte il sole!”.
 
 
Più lo respingevo e più sembrava incoraggiato ad andare oltre e davanti gli occhi dei presenti, si spinse in avanti e cercò di baciarmi. Evitai di schiaffeggiarlo per non attirare altri sguardi indesiderati.
 
 
<< Vado a prenderti da bere, tesoro? >>, chiese Joseph, come se non si rendesse conto dell’insofferenza che provavo nei suoi confronti. Era una buona occasione per scrollarmelo di dosso e rifugiarmi in un punto sicuro… tra tutta quella gente, la confusione, le chiacchiere, il buffet e la musica, nessuno si sarebbe veramente reso conto della mia assenza, neppure mia nonna, fin troppo impegnata a mantenere alto il nome della famiglia.
 
 
Scivolai accorta fuori dallo stanzone confusionario, felice che potessi defilarmi dall’inferno e, intanto che transitavo presso il grande portone aperto, la sfavillante luna piena era alta nel cielo cupo, privo di nuvole e stelle, come a voler sottolineare lo splendore indiscusso del satellite niveo e pallido.
Attratta dallo scenario fatato, degno di una fiaba, uscii fuori dal castello, allontanandomi da pensieri, inquietudini e falsità. Il tempo era migliorato, non pioveva più da qualche giorno, in cambio un gelo invernale si faceva largo aggressivo e mi congelò nell’arco di pochi istanti. Strofinai la pelle nuda per intiepidirla, ma non ottenni l’effetto sperato.
Scrutavo ammaliata la volta celeste, tenendo le braccia conserte, così da non disperdere il calore del corpo e il miagolare ripetuto di un gatto, richiamò il mio sguardo. Un micio nero se ne stava rannicchiato a pochi metri da me, si leccava languido il pelo corto e mi fissava con un discernimento negli occhi gialli, che mi stupì.
Le iridi feline parevano volermi dire qualcosa, che non avrebbe potuto rivelarmi a voce. Si alzò agile sulle e zampe e scodinzolando, mi condusse sul retro del castello, dove quel pomeriggio, Jared mi aveva mostrato le Rose di Luna e raccontato la leggenda legata ed esse.
 
 
Sebastian era fermo accanto al roseto in piena fioritura, teneva un altro gatto tra le braccia ed osservava il cielo. Innaturalmente immobile, sarebbe potuto essere benissimo scambiato per una statua dalla bellezza straordinaria e stupefacente, rischiarato dalla luce bianca della luna, adesso era impossibile non vedere la natura demoniaca, era così lampante, che solo un cieco poteva non rendersene conto.
Nel buio della notte cupa, i capelli corvini e l’abbigliamento scuro, facevano spiccare il viso cereo e sottile, le iridi erano di un rosso scarlatto. Si chinò aggraziato e il felino balzò giù dalle braccia, sgattaiolando via.
 
 
<< Lady Selin, fa molto freddo qui fuori, potrebbe ammalarsi. >>, disse neutro e solo dopo aver terminato l’ammonimento, mi guardò. Non gli premeva davvero, si atteneva solo all’etichetta che lo obbligava a preoccuparsi per me: la nipote della sua padrona. << Siete bellissima. >>.
Tra tutti, il suo complimento, fu quello che gradii di più.  
 
 
Sorrisi crucciata e camminai qualche altro passo, stando attenta a non capitombolare a causa di quei tacchi alti.
<< Puoi anche smettere di fingere... qui fuori non ti vede nessuno e di certo non devi impressionarmi. >>.
 
 
Le labbra sottili si distesero di un ghigno avverso e perfido.
<< Come desiderate. >>.
 
 
<< Io non desidero niente. >>, mentii aspra.
 
 
“Desidero te.”.
 
 
<< Tutti gli esseri umani desiderano qualcosa. >>, attestò giudizioso e finalmente mi considerò. << Non sanno resistere alle tentazioni... quando capiscono di trovarsi ad un passo dalla profondità dell'Inferno si aggrappano a qualsiasi cosa li possa aiutare. Poco importa che umani siano. >>.
 
 
Morsi il labbro inferiore, ingerendo il sapore fruttato del rossetto rosso, progredii un'altra volta, stregata da lui, dal suo corpo, dal profumo e da ogni cosa gli appartenesse.
<< Cosa stai cercando di dirmi? >>.
 
 
Piegò innaturalmente la testa da un lato, fin quasi sulla spalla e gli occhi mi squadrarono dalla testa ai piedi.
<< Lasciate che sia io a spingervi verso l'inferno. >>. Da cortese gentiluomo, si esibì in un elegante riverenza, offrendomi la mano, in una delicata richiesta di ballare, con la radura deserta, la luna piena e il senso di proibito a fare da scenografia. Dietro la frase sibillina, vi era un contenuto segreto che mi spaventò.
Stava ricominciando a giocare con il mio cuore.
 
 
<< Sono già all’inferno. >>, dichiarai asciutta, non muovendo un solo muscolo. << La tua presenza ne è una prova evidente, no? >>.  
 
 
<< Anche i demoni hanno desideri, che talvolta solo un essere umano può avverare. >>, sussurrò piano, rivelando parte dei pensieri celati. Abbassò la mano, sconfitto dal mio rifiuto.  
 
 
Una leggera folata di vento lambì i boccoli sul collo e tremai per la temperatura rigida.
<< Cosa può desiderare un demone, che non possa procurarsi da solo? >>, dissi, usando la stessa tecnica di indifferenza, che a lui usciva benissimo, a me costituiva un certo sforzo.
 
 
Con una lussuria disarmante, prese a sfilarsi i guanti bianchi e li ripose all’interno del frac.
<< Avete ragione. Potrei procurarmi da solo ciò che voglio, come ho sempre fatto e come farò adesso. >>, dichiarò minaccioso e i miei occhi faticarono a mettere a fuoco lo scatto veloce del maggiordomo, che con un’andatura fluida e rapida mi fu davanti e mi abbrancò di peso per i fianchi, tenendomi avvinta a sé.
 
 
<< È così che le piace, lady Selin? Gesti rudi e passionali, che non le ho concesso e che ha cercato nel giovane Joseph Finnick? >>. Riusciva ad essere ossequioso, eccitante e letale anche in questo frangente, dove si stava prendendo con la forza quel che gli avrei donato in qualsiasi caso. Sotto la maschera controllata, si celava una gelosia che stava salendo nuovamente a galla, come era accaduto quando Joseph mi aveva offerto il suo braccio, per farmi da cavaliere.
 
 
Mi ripetei l’identica domanda: un demone, che non sapeva cosa fosse l’amore, poteva essere geloso?
 
 
<< Io non ho cercato niente! Lasciami! >>, gli ordinai, battendo allarmata i pugni sul suo torace, che non parvero neanche scalfirlo. L’adrenalina scorreva liquida dentro le vene, dandomi una chiarezza terrificante degli eventi, avevo chiesto ad un demone di essere se stesso, dopo avergli esplicitamente fatto capire che fossi innamorata di lui: mi ero condannata a morte certa.
 
 
<< Me lo ha detto lei di smettere di fingere, ed è ciò che mi sto apprestando a fare. >>. Mi addossò sul muro umido della magione, schiacciandomi con un peso che non gli tributavo. << Cogliere la sua purezza è un richiamo irresistibile… >>. Le dita seguivano licenziose il profilo della mandibola, picchiettando sulle labbra dischiuse. Avvertivo l’erezione prominente spingere tra le mie gambe oscenamente aperte a forza, impaziente e smaniosa di essere liberata ed appagata.
 
 
L’impressione che ci fosse un “ma”, che tenne taciuto in un segreto inespresso per via del patto, mi portò a riflette e il velo dell’incoscienza si squarciò, permettendomi di vedere finalmente.
Ed ebbi la tremenda certezza, come quella che sarei morta per mano dell’assassino dagli occhi rossi, che l’accordo tra Sebastian e nonna Lucy, vedeva me come merce di scambio e le tessere del puzzle iniziarono ad intersecarsi tra di loro. Questo spiegava molte cose.
La paura scivolò via e fissai temeraria le iridi di colui che mi avrebbe uccisa.
 
 
<< Sono io… >>, sussurrai, sconvolta nell’essermi innamorata del mio aguzzino, che neppure la Sindrome di Stoccolma poteva prevedere: non includeva un demone nella sua catalogazione. << Non è vero? >>.
 
 
Il maggiordomo intuì in un lampo cosa gli stessi chiedendo e il buonsenso sgorgò sul viso avvenente, sciogliendo la presa e lasciandomi andare.
 
 
“Chi tace, acconsente.”.
 
 
Abbassò le palpebre colpevole e una ciocca di capelli neri si mosse nel pallore della faccia, colta da un’antica mestizia. Non parlò, non ce ne era bisogno.
 
 
<< Fallo ora! Non ho paura di morire. >>. Alzai il mento, esaminando la morte in elegante abito da sera, che assumeva le fattezze di un uomo straordinario e pericoloso. Si era preso il mio cuore e che si sarebbe preso anche la mia vita. Non ero spaventata.
 
 
Mi analizzò di sbieco e non fece altri movimenti.
<< Non ora. >>, rispose calmo, confermando la mia tremenda teoria.
Gli dispiaceva? Ne dubitavo.      
 
 
<< Se non ora, allora quando? >>, vociai, imminente ad una crisi nevrotica.
 
 
Le labbra si carezzarono tra di loro, ma non ne venne fuori alcun suono.
 
 
<< Quando? >>, urlai, iniziando a piangere convulsamente. << Quando? Quando? >>. Scattai verso di lui e lo schiaffeggia, per poi spintonarlo sul petto magro, in un cocktail di emozioni violente, aggressive e brutali, che mi fecero perdere totalmente il controllo.
 
 
Sebastian afferrò i miei polsi, per fermare il crollo di nervi, ed impedirmi di continuare. Mi accasciai tra le braccia, in un bisogno estremo di affetto, che cercai nel mio carneficine e fu, mentre singhiozzavo convulsamente, che lui bloccò il mio mento tra il pollice e l’indice, indusse ad alzare il volto e poggiò le labbra pallide sulle mie umide ed impreparate.  
Il bacio fu dolce, delicato, sofferto, cedevole, totalitario, per nulla come l’avevo fantasticato, sentivo il suo sapore mischiarsi con il mio e fu come volare in alto, fin dove l’ossigeno veniva a mancare, per poi essere scaraventa con violenza nelle fiamme dell’inferno, dove ero destinata a bruciare per l’eternità. Non respiravo, vivevo, morivo, cessavo di esistere, ero tutto ed ero niente, una bambolina di cera che veniva plasmata e rotta a metà, per puro capriccio.
 
 
<< Faccia un patto con me. >>, bisbigliò prostrato sulla bocca gonfia di baci, in un’inconsueta preghiera, come se volesse porre rimedio a quel che aveva giurato a mia nonna, trovando una scappatoia.
 
 
Scossi caparbia la testa.
<< Non ho intenzione di tenerti legato a me in quel modo. >>.
 
 
<< È per la sua anima? >>.
 
 
<< La mia anima è già tua, come il mio cuore e il mio corpo. >>.
 
 
<< Lei non sa cosa mi sta promettendo, lady Selin. >>. L’oscurità vellutata della sua voce era una nenia cantilenata nella notte.
 
 
<< E tu? >>, rifeci ostinata. << Tu che non sai cosa sia l’amore, sai cosa ti sto promettendo? >>.
 
 
<< La sua vita. >>, rispose cupo e comprese che, avevo accettato il mio destino e che, se dovevo morire, avrei preferito che fosse una persona che amavo ad uccidermi… i suoi occhi erano l’ultimo istante di esistenza che volevo assaporare prima dell’oblio.









Note: 
Dai su stavolta non ci ho impiegato molto per aggiornare, giusto un mesetto *scansa le scarpe volanti* 

Insommaaaaaaa, dopo tanto tribolare, finalmente c'è stato un bacino piccino piccino tra Seb e Selin, so che qualcuno lo stava desiderando e mi puntava con le spade nella schiena, quindi eccovi accontentati. Finalmente inizia a districarsi la matassa e si è capito che la cara, dolce e simpaticissima nonnina Lucy ha barattato la sua anima in cambio della nipote, ma il motivo deve essere ancora svelato. 
Chi lo sa quanto potrà essere infida quella donna??? 


La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio le anime pie che seguono, commentano con passione (mi date la spinta per scrivere), che hanno aggiunto la storia tra le preferite e seguite, anche i fantasmini che leggono solamente. Grazie di cuore a tutti voi. 

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e che mi lascerete un vostro pensiero. 

Un abbraccio.

DarkYuna.

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Capitolo 8
*** Condannata a morte ***


8.
*Condannata a morte*









 
 
Come viveva una condannata a morte?
Male?
Forse…
Disperata?
Può darsi.
 
 
Ora capivo il perché agli essere umani non era dato conoscere la data della propria morte, per non vivere freneticamente avviliti fino a quel giorno… non sapevo di preciso quando la mia vita si sarebbe spenta, eppure immaginavo che l’epilogo non fosse lontano, ma non avevo paura, non piangevo, anzi, ero quasi contenta: avrei riabbracciato i miei genitori.
Un conto era essere “consapevoli” di morire, un altro era venire informati del “quando” e da “chi” sarebbe stato il responsabile della propria fine.
 
 
Charlotte poggiò le due Coca-Cola sul tavolino del pub, goffa nelle movenze, stramba nei vestiti normali, così abituata a vederla in divisa da cameriera, ora sembrava un pesce fuor d’acqua, in un contesto più ordinario e meno ottocentesco.
<< Spero che le vada bene, signorina. >>. Si accomodò al posto di fronte al mio, contenta di aver fatto il suo dovere.
 
 
Storsi la bocca, decidendo di avere un temperamento meno funereo, almeno per questa sera. Avevo avuto alcune ore di libertà vigilata, dagli arresti domiciliari, quindi mi sarei goduta l’uscita con lei.
<< Ti ho chiesto già tre volte di non chiamarmi signorina e di usare una forma meno ufficiosa. >>, la ripresi bonariamente. << Sarò solo Selin e basta… da domani puoi chiamarmi come preferisci. Non farmi sentire così vecchia! >>.
 
 
Le ci volle molto per abituarsi… ma alla fine non ci riuscì.
<< Non riesco, signorina. >>, si stremò oltremisura, abituata a darmi del “lei” e a portare rispetto.
 
 
Sorrisi arrendevole, presi la bottiglietta di vetro e ne sorseggiai il contenuto freddo, che arrivò dritto in gola e mi gelò lo stomaco. Tornare alle vecchie abitudini, era come prendere una boccata d’aria pura, dopo aver trattenuto il respiro tanto a lungo.
<< È un bel posto qui. >>, giudicai, scrutando il locale carino, familiare e caloroso, pieno di persone di ogni tipo ed età, ragazzi, bambini e famiglie, che si godevano una serata diversa e frizzante. Lontana da nonna Lucy, Sebastian, il patto e le sconvolgenti verità, mi sentivo nuovamente una diciassettenne qualunque in compagnia di una buona amica.
L’odore di cibo si mescolava nell’atmosfera intima, assieme a profumi diversi, voci e risate, che migliorarono notevolmente il mio umore e dissiparono il pensiero fisso sulla mia morte.
 
 
 
<< Ci venivo spesso con i miei genitori da piccola. >>, disse lei, seguendo il mio sguardo sereno. << Poi hanno divorziato ed abbiamo smesso di riunirci qui, come una vera famiglia. >>, raccontò e la tristezza svigorì la dolcezza nei tratti armoniosi e delicati. Aveva sciolto i lunghi capelli castani, che le ricadevano a sbuffo sulle spalle sottili.
 
 
Gravai una mano sulla sua, condividendo il suo ricordo triste.
<< Fa male, lo so. >>.
 
 
<< Non dovrei essere così stupida in sua presenza, signorina, le chiedo umilmente perdono. >>, si scusò sincera, abbassando la testa mortificata.
 
 
<< Non devi chiedermi nulla, Charlotte. Ognuno di noi ha un dolore diverso, che ci ha segnate nel profondo e ti ringrazio di aver diviso il tuo con me: è importante. >>.
 
 
I suoi occhi si intravidero da sotto la frangetta.
<< Non le ho mai chiesto se avesse bisogno di esternare il suo di dolore. Deve essere stato difficile ritrovarsi sballottati come un pacco postale dall’altra parte del mondo, senza conoscere nessuno e dover ricominciare daccapo dopo una simile tragedia. >>.
 
 
Inspirai profondamente ed espirare fu una missione impossibile, poiché si era avvicinata ad un argomento che non avevo mai trattato con nessuno e mi era difficile dare voce alla sofferenza radicata nell’anima. Mi ero così concentrata nel non provare niente, che alla fine c’ero riuscita, ed ammette che non stavo affatto bene, mi innervosii.
<< È stato… difficile. Sì, difficile è la parola giusta. E mi sono sentita sola, molto sola, è per questo che ho cercato di instaurare un rapporto di amicizia con te, Tomas e Jared, gli unici con cui potessi parlare. Mia nonna non è rinomata per essere affettuosa e Sebastian… beh, hai visto tu stessa com’è Sebastian. >>.
 
 
Incurvò la bocca all’ingiù.
<< Sebastian fa soffrire le persone. Ha fatto soffrire anche lei. >>, disse, sicura delle sue convinzioni, sbalordendomi: era così evidente che mi avesse fatto del male, che me ne faceva tutt’ora e che me ne avrebbe fatto in futuro, fino a portarmi alla morte? << Sono profondamente mortificata per questo, signorina. Sembra che le persone che la circondano, la fanno inevitabilmente soffrire. >>.
 
 
<< Già. >>, mormorai, più a me stessa che a lei. Provare dolore era una concezione abitudinaria della mia vita e avrei venduto davvero la mia anima al demonio, per un’ora, una solamente, in compagnia dei miei genitori, per abbracciarli e dirgli quanto bene gli volessi. << Dov’è la tua famiglia, adesso? >>.
 
 
<< Abitano nel nord dell’Irlanda, in un piccolo paesello di provincia. Non li vado a trovare da parecchio tempo e mi piacerebbe andarci. >>, confidò malinconica, giocherellando con il tappo della bottiglietta e i ricordi che le scorrevano sul volto giovane. << Sono venuta da sola qui a Blackrock, in cerca di un lavoro ed essere un po’ indipendente. Sogno di crearmi una famiglia ed una casa con… >>. Si fermò prima di rivelare troppo, imbarazzata che stesse dando voce alle sue speranze.
 
 
Inarcai le sopracciglia e mi lasciai andare ad un sorriso impiccione.
<< Con? >>, la esortai a rivelare.
 
 
Charlotte divenne rossiccia come un pomodoro e balbettò.
<< Tomas. >>.
 
 
<< Tomas?! >>, feci eco sorpresa. Non mi ero per nulla accorta che ci fosse del tenero tra di loro e che lei ne fosse innamorata. << Da quanto tempo state insieme? >>.
 
 
Scrollò le spalle, abbattuta.
<< Noi… noi non stiamo insieme, in realtà. La padrona non vuole che ci siano storie tra i domestici, però non posso negare che ci sia del tenero, solo che Tomas preferisce mettere dei soldi da parte prima. Se venissimo scoperti, verremmo licenziati in tronco, io sarei costretta a tornare al mio paese e lui a Londra e verremmo divisi per sempre. >>.
 
 
La storia era così scriteriata ed inconcepibile, che faticai a crederci, però era tipico di mia nonna obbligare la gente a scegliere vie difficili, per compiacerla.
<< È orribile! >>, sbottai perplessa, odiando ferocemente quella donna che condivideva il mio stesso sangue, ma che con me aveva ben poco da spartire. << E… e come fate? Cioè, non ti capita mai di desiderare di abbracciarlo o voler stare da sola con lui? >>.
 
 
<< Sì, però passiamo molto tempo insieme, e non ci pesa molto fare finta di nulla: in fondo è per il nostro futuro. E voi signorina? >>.
 
 
Accavallai le gambe ed incrociai le braccia sul tavolo, per avvicinarmi a Charlotte ed impedire ad orecchie indiscrete di ascoltare il nostro discorso.
<< Io cosa? >>. Sorridevo amabilmente, sapevo dove stesse vertendo la conversazione. 
 
 
Farfugliò impacciata, impaurita di essersi spinta oltre il consentito.
<< Sarà meglio che mi faccia gli affari miei. >>, convenne insicura.
 
 
<< Vuoi sapere tra me e Sebastian? >>. Parlare di lui era l’ultima cosa che volessi, però fui remissiva e divulgai lo stretto indispensabile. << Credo che sia così fedele al suo ruolo e a servire mia nonna, che mi vede solo come fumo negli occhi… >>. Il bacio dolce e passionale che mi aveva dato al ballo per il mio debutto in società, smentiva totalmente la mia convinzione.
 
 
<< È sempre stato una persona singolare, non voglio sparlare di lui, però tutti noi lo troviamo strano. >>.
 
 
“Ci credo… è un demone!”.
 
 
<< Il suo modo di fare, trae in inganno. >>. Oltre alla sua estrema freddezza, la bellezza fatale e il non possedere un cuore. Un essere umano non era come lui, assolutamente! Ed io mi ero innamorata proprio di un demone.
 
 
<< Mi chiedo cosa ci trovate in lui? >>.
 
 
“Me lo chiedo anche io.”.  
 
      
<< Non lo so… è difficile da spiegare a parole cosa ci attrae verso un’altra persona. >>. Pensai a Sebastian e mi parve quasi di vederlo, entrare nel pub, camminando languido, gli occhi rossi che mi cercavano tra la folla e il sorriso perfido, compiaciuto di aver stanato la sua preda. La bellezza soprannaturale sarebbe spiccata su chiunque altro. << Forse la voce di velluto o gli occhi intensi, le mani affusolate, la bocca morbida, l’intelligenza… quel modo in cui mi guarda, come riesce a farmi sentire. C’è qualcosa in lui, è come se soffrisse, forse è questo che mi attrae. È come se fosse un’anima affine, come se sapesse cosa provo. >>, raccontai trasognante, fissando un punto impreciso nel vuoto, senza vederlo realmente.
 
 
Quando guardai Charlotte, lei era boccheggiante e disorientata, per ciò che avevo rivelato.
<< Non immaginavo che ne foste così innamorata. >>.
 
 
“Più di quanto credi, mia cara amica.”.
 
 
<< Sono una brava attrice, devo esserlo. Mia nonna sospetta qualcosa, ma non voglio che mi scopra, temo cosa possa arrivare a fare. E comunque è una storia senza futuro, tra quasi un mese compirò diciotto anni e me andrò da qui, la mia vita è a Los Angeles, i miei genitori sono sepolti lì, ed è lì che tornerò. Non sto affatto bene qui, non mi piace e non mi sento a mio agio. Questi modi arcaici di fare, come se fossimo nell’ottocento, non sono abituata. >>.
 
 
Charlotte bevve qualche sorso della sua ordinazione, in evidente preoccupazione per i miei piani.
<< Cosa farà una volta tornata a Los Angeles? >>.
 
 
“Sempre se non morirò prima.”.
 
 
Scrollai le spalle. Non mi ero posta tale problema, così abbagliata dall’idea luminosa di voler fuggire al più presto, per salvarmi la vita.
Da una parte non mi importava di morire, era l’unico modo per ricongiungermi ai miei genitori, dall’altra le briciole di un istinto di sopravvivenza, si dibatteva per prevalere.
<< Non lo so, forse cercherò un lavoro, forse proverò a ricominciare, a gettarmi alle spalle tutte le brutte cose, Blackrock, mia nonna e… >>.
 
 
<< Sebastian. >>, concluse Charlotte, perspicace. << È sicura che riuscirà a dimenticarlo? Ne è così presa. >>.
 
 
<< Devo farlo, non ho altra scelta. >>. Non mi ponevo neppure il dilemma, ero così sicura che mi avrebbe ucciso prima che io prenotassi il volo per Los Angeles, che non progettavo alcun futuro o azioni. Magari avrei dovuto scrivere un testamento, almeno una lettera a Sebastian, dove lasciavo che fosse il mio cuore a parlargli, visto che a voce era difficile confessargli i sentimenti.
Lo perdonavo, poiché non era sua volontà prendersi la mia vita, ma era un ordine di nonna Lucy, lui provava dei sentimenti, non amore, ma delle emozioni che gli si avvicinavano. Almeno prima di morire, volevo capire il perché di questo mio sacrificio, per questo dovevo entrare da sola nella maledetta libreria che veniva chiusa a chiave alla fine di ogni lezione privata.
 
 
Charlotte adocchiò l’orario al cellulare e sbuffò contrariata.
<< La serata è volata, Sebastian sta’ venendo a prenderci. >>.
 
 
Curvai le spalle all’ingiù, depressa di dover tornare a forza al castello e ai miei arresti domiciliari, in attesa… attesa della mia fine.
<< Potremmo uscire di nuovo venerdì prossimo, che ne dici? Sempre se non hai altri impegni. >>.
 
 
Si alzò dal tavolo, afferrò il cappotto e lo infilò.
<< Ne sarei davvero lieta, signorina. È bello trascorrere del tempo in sua compagnia. >>. Fece per prendere anche il mio di cappotto, per aiutarmi ad indossarlo, ma l’anticipai, per impedirle di comportarsi come se fosse al mio servizio. Almeno qui, volevo che mi trattasse come suo pari. Potevo passare sopra alla sua difficoltà a darmi del “tu”, ma per il resto me la cavavo benissimo da sola.
 
 
Uscimmo fuori dal pub, parlando dello strano tipo in fila alla cassa, vestito di nero, che non faceva altro che lanciarci occhiate bizzarre, come se intendesse attaccare bottone. Ci giocavamo il posto da protagonista su chi fosse davvero l’oggetto delle attenzione del giovane uomo.
 
 
<< Oh signorina, lei si sottovaluta secondo me. Lei è davvero una bellissima ragazza e non solo nel suo aspetto fisico, lei ha anche un gran cuore. >>, disse sincera Charlotte, sostandomi accanto e strofinandosi le mani infreddolite.
 
 
Il gelo pungente di inizio dicembre non era la miglior compagnia, nell’attendere che il maggiordomo arrivasse.
Grattai impacciata il collo, imbarazzata dal complimento e che non condividevo. Non ero poi questo granché ed anche io avevo tanti difetti e un caratteraccio brutto.
 
 
<< Oh andiamo, Charl… >>, e quando mi voltai, vidi con orrore la pistola puntata alla tempia della cameriera e alla base del braccio, vi era il tizio insolito che ci aveva tenuto d’occhio dentro il pub.
 
 
<< Non una mossa o la tua amica fa una brutta fine. >>, minacciò l’uomo, che non aveva l’aria di scherzare.
 
 
Sbarrai le palpebre, perle di sudore freddo mi imbandirono la fronte e mi parve la triste replica del passato, la notte che avevo ritrovato il cadavere smembrato di mia madre. Non volevo vedere un’altra persona morire.
Lei era così spaventata, che non si muoveva più e mi fissava tremante.
 
 
<< Chi sei? >>, vociai rude, riconoscendo nella mia voce la crudeltà di nonna Lucy. Ostentai una sicurezza che non avevo, per prendere tempo, nella speranza che Sebastian arrivasse.
Dall’incrocio in cui doveva giungere la Rolls Royce, non vi era traccia di macchine o fari che potessero presagire il suo arrivo e farmi sospirare di sollievo. 
Le strade erano deserte e, nonostante tutto, nessuno si sarebbe arrischiato ad aiutare due ragazze, minacciate da un malvivente armato.
 
 
<< Solo un mandante che non ha nome, ciò che importa è che il mio padrone sia felice e la persona che può far felice il mio padrone, sei proprio tu, Selin Lennox. >>.
 
 
Caricò il colpo in canna, pronto a fare fuoco senza pietà e se non cercavo un diversivo in fretta, Charlotte sarebbe morta ed io chissà che fine facevo. In fin dei conti, il mio futuro era davvero un’incognita e perfino il domani era un traguardo lontano e irraggiungibile.
 
 
<< Chi è il tuo padrone? >>.
 
 
Gli occhi di ghiaccio incontrarono le mie, che dovevano celare lo sgomento e che mostravano freddezza e insensibilità. Un ghigno malefico lo rendeva più minaccioso e pericoloso.
<< Non importa. >>.
 
 
<< E cosa vuole? >>. Il cuore batteva lenti tonfi nel petto, fischiando nelle orecchie e procurandomi un mal di pancia atroce.  
 
 
<< Te. >>.
 
 
Delle luci nella notte catturarono i miei occhi atterriti e la macchina lussuosa che tanto agognavo svoltò l’angolo, certa che fossi al sicuro, dovevo creare un diversivo per togliere Charlotte dagli impacci e farmi soccorrere dal maggiordomo.
D’istinto caricai la gamba all’indietro per tirare un calcio dritto e potente all’inguine del criminale, mantenendo il totale controllo della situazione e delle mie emozioni. Non potevo permettermi di crollare o avere crisi di nervi proprio adesso.
 
 
<< Sebastian! >>, gridai disperata, strattonando Charlotte verso di me, per iniziare a correre dalla parte opposta. Mi girai frenetica, ed avvertii la mano che teneva stretta quella della cameriera, venire tirata con ferocia e lei che cadeva sul marciapiede.
Davanti a me, vi era un secondo uomo dal viso coperto da un passamontagna nero, che mi scagliò un pugno brutale ed inaspettato in pieno viso, talmente facinoroso e rabbioso che il contraccolpo mi fece stramazzare sulla carreggiata e picchiare la testa sull’asfalto sdrucciolevole.
 
 
L’ultima cosa che udii furono i freni di una macchina che stridettero sulla strada e poi il buio mi inglobò nel limbo del mio inconscio. 











Note:
Questa volta sono riuscita ad aggiornare un po' prima, almeno non ho lasciato trascorrere un secolo o due xD 
Dopo tanto struggimento, finalmente un colpo di scena, che ci voleva proprio a mio parere. Credo proprio che al prossimo capitolo volerà una testa, esattamente la mia, ma spero che sarà di gradimento anche quello. 

Come sempre ringrazio chi commenta (appena mi libero dagli impegni, risponderò con piacere) chi legge e chi ha aggiunto la mia storia tra le preferite e le seguite. Grazie anche ai fantasmini che leggono solamente. 


La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.

DarkYuna.
 
 

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Capitolo 9
*** La verità è sempre la peggiore ***


 9.
*La verità è sempre la peggiore*










Il cranio pulsava atroce, originando un’emicrania senza precedenti e una confusione che non permetteva di razionalizzare gli eventi, mulinava nel cervello disordinato. La bocca secca era pervasa da un saporaccio amaro ed avvertivo un dolore diffuso in tutto il corpo, come se fossi stata brutalmente picchiata a sangue.
 
 
Un olezzo opprimente di sangue e benzina, incendiava l’ossigeno nei polmoni e mi riportarono alla memoria cosa mi era accaduto prima di perdere conoscenza, a causa del micidiale pugno in faccia.
Le palpebre faticarono a riaprirsi, pesanti e peste non ne volevano sapere di collaborare con i miei ordini. Mossi le mani, ma due ceppi gelidi e metallici mi tenevano fermi i polsi e quando riprovai a riprendere il controllo degli arti, un rumore strisciante di catena, mi bloccò dal fare ulteriori gesti.
 
 
Rotolai su un fianco e una fitta insopportabile alla schiena mi inchiodò sul posto, obbligandomi a stare ferma, per non provare dolore. Mugugnai dei suoni indefiniti, senza riuscire ad articolare una frase di senso compiuto. Ero adagiata al suolo polveroso, gli indumenti erano umidi e una pozza d’acqua mi bagnava la pelle intirizzita.
Riprovai ad aprire gli occhi e dopo quattro tentativi ci riuscii.
 
 
 
Sopra di me vi era un soffitto costruito in lamiera, come quelli che si potevano trovare in vecchie fabbriche abbandonate. Stropicciai le palpebre pesanti ed un liquido appiccicoso e vischioso mi imbrattò le mani e il viso.
Una volta messo a fuoco il liquido, appurai che non era acqua come avevo stupidamente creduto. Il rosso di cui era composto mi fece arrivare il cuore in gola: era sangue.
Il mio sangue.
Ero riversata su una pozza di sangue, che imbrattava la parte inferiore del mio corpo privo di indumenti e che si era seccato tra le mie gambe.
 
 
Le dita tastarono la fonte da cui tutto quel sangue era sgorgato e la consapevolezza di essere stata stuprata mi gettò nella devastazione completa, i lucciconi bollenti presero campo sul volto tumefatto e tremai convulsa per il terrore incontrollato che mi colpì ferocemente. Andai sotto shock.
 
 
La vecchia fabbrica, che era il mio carcere, si trovava in un luogo abbandonato, poiché dall’immensa entrata principale si poteva vedere una grande distesa di terra e il cielo puntellato di stelle fare capolinea.
Provai ad alzarmi, ma le gambe non reggevano il peso e caddi sul fondoschiena, saggiando così tanto spasimo, da non riuscire neppure a respirare. Strattonai le catene che mi tenevano prigioniera, ma erano ancorate ad una colonna portante e il lucchetto non si sarebbe mai aperto grazie alle mie deboli forze.
Avevo freddo, perdevo sangue come un rubinetto aperto ed ero sul punto di svenire nuovamente. Provai a farmi forza, perché, se fosse accaduto, non mi sarei svegliata mai più.
 
 
<< Avevi proprio ragione Lucy, era vergine. >>, annunciò con scherno, una voce maschile nauseante di cui conoscevo il proprietario.
Joseph Finnick, nonna Lucy e Sebastian entrarono nello stabilimento.
Il primo era sporco del mio sangue, prevalentemente sui jeans sbottonati e teneva tra le mani un passamontagna, lei aveva il solito sguardo annoiato e fiero che le affilava i lineamenti spigolosi del viso, il maggiordomo teneva le braccia abbandonate sui fianchi e negli occhi amaranto l’inferno si scatenava con una violenza inaudita.
 
 
<< Mi dispiace tanto, nipote cara. >>, disse in falsetto lei, squadrandomi con disgusto. << Avevo fatto dei progetti su di te, ma tu hai rovinato tutto, facendo innamorare un demone… è stato piacevole guardare Sebastian, mentre Joseph ti stuprava. Senza i miei ordini, lui non può fare niente. >>.
Il maggiordomo restava immobile, la rabbia cieca gli distorceva le sembianze umane e credetti che la pelle della faccia gli si sarebbe sciolta, per far fuoriuscire la sua vera natura.
 
 
<< Una piccola rivincita per aver preferito lui a me. >>. Il biondo scoppiò in una sguaiata risata gutturale, ed ebbi un’insana voglia di sputargli in faccia e ucciderlo nella maniera più dolorosa possibile. << È stato davvero eccitante lasciarlo assistere. >>.
 
 
“Sei un maledetto figlio di puttana!”.
 
 
<< Sai che è stato proprio il tuo adorato Sebastian ad uccidere tua madre? Gli ho detto anche come doveva fare. >>, annunciò nonna Lucy, divertita dall’intera situazione. Era la prima volta che la vedevo ridere di gusto. << Non di sua volontà, ovviamente. È solo soggetto ai miei ordini, questo ubbidiente demone >>. Gli accarezzò il viso e lui si scostò furente, fissandola in cagnesco: aveva scatenato l’ira di un essere soprannaturale.
 
 
Portai una mano davanti alla bocca, non in grado di parlare e perfino le lacrime cessarono di scivolare dagli occhi. La mente si rifiutava di accettare quella malsana verità e di conseguenza impazziva, se ci provavo.  
Qualcosa dentro di me si era appena spezzata per sempre, il mio cuore si colorò di nero e l’anima venne macchiata da una sete di vendetta che non avrei mai placato. Si poteva diventare un demone, pur restando umana?  
Non ero più la stessa Selin di prima e non lo sarei stata mai più.
 
 
<< Sarebbe filato tutto liscio, sai? Ma poi tu hai iniziato a mostrare interesse per Sebastian e lui per te, mettendo a rischio il mio patto con lui. Per ben due volte ha cercato di fare un patto con te. Quando quello stupido gatto ti ha graffiata e lui ha provato a bere il tuo sangue e la seconda volta, durante il ballo del tuo debutto, a quel punto ho capito che costituivi un pericolo troppo grande per me. >>.
 
 
Inalai una profonda boccata d’aria che fluì nei polmoni come aghi avvelenati.
<< C-cosa? >>, rotolò a fatica fuori dalla mia bocca. << In cosa consisteva il patto? >>.
 
 
Nonna Lucy scoppiò in una risata argentina, sembrando più lei un demone sputato dall’inferno, che Sebastian stesso.
<< Serviva l’anima di una vergine. Il giorno dei tuoi diciotto anni, io avrei divorato il tuo cuore per diventare immortale… poco male, ci sono milioni di altre minorenni vergini, che possono prendere il tuo posto e darmi ciò che voglio. Intanto ti ho venduta a Joseph, che è più che contento di aver speso i suoi soldi, per te. >>.
 
 
“Ecco perché aveva anticipato la festa del debutto in società…”.
 
 
Il biondo tirò fuori un pugnale dai jeans imbrattati di rosso e si avvicinò con fare minaccioso.
<< Ho avuto ciò che volevo da questa puttanella, quindi ora non mi serve più. Sarà divertente vedere quanto ci metterà a morire, mentre espianto i suoi organi. >>.
Accadde con una tale velocità, da non darmi tempo di elaborare l’avvenimento e di avere sul serio paura. L’istinto di sopravvivenza pompava adrenalina nelle vene, così da farmi tornare vigile e reattiva. Se dovevo perire, avrei combattuto fino allo stremo delle mie forze.   
 
 
Sebastian si schiarì la voce e, con una fluidità elegante che mi lasciò attonita, prese un coltello dall’interno della divisa nera. Apparteneva ad un servizio di posate che avevo visto al castello e la lama scintillò alla luce arancione della fabbrica.
<< Vogliate scusarmi l’ardire. >>. Impugnò il coltello, sotto lo sguardo sbalordito di Lucy e quello seccato di Joseph. << Ma credo che il nostro patto non sia più valido. >>.
 
 
Lei parve sconcertata da ciò che aveva appena udito.  
<< Di cosa diavolo stai parlando? >>.
 
 
Lo sguardo di Sebastian si acuminò, assomigliando ad un deleterio rapace che scorgeva la sua preda, tranquillo che l’avrebbe divorata. Le iridi si spostarono piano su di lei e la bocca si arcuò in un sorriso malignamente oscuro.
<< Il patto richiedeva espressamente l’anima che lei ha offerto: l’anima di Selin. Ora che lei ha perduto la sua purezza, il patto è automaticamente rotto. E questo significa solo una cosa. >>. La voce del maggiordomo si trasformò adagio, dall’essere devoto come sempre a divenire una fredda minaccia mortale. Aveva avuto bisogno che nonna Lucy stessa dicesse che la mia anima non era più utilizzabile per i suoi sporchi fini, per poter agire a suo piacimento.
Le parole lo avevano imbrigliato e le parole l’avevano liberato.
 
 
Joseph gli si scagliò addosso come una furia, brandendo incapace il pugnale.
 
 
Tre cose avvennero rapidamente, talmente raccapriccianti da non essere assorbite dal cervello.
Uno strappo ripugnante, come di carne che si lacerava, echeggiò nello stabilimento sudicio e poco illuminato. Uno fiotto di liquido cremisi mi schizzò addosso e, nel rialzare il volto dolorante, una mano non umana, dalle lunghe unghie affilate nere avevano trapassato il torace di Joseph da davanti a dietro, e ghermiva il suo cuore pulsante.
I guanti bianchi da maggiordomo erano stati gettati a terra con una sveltezza invisibile e il coltello che aveva preso per uccidere, era inspiegabilmente sporco di sangue.
Tirò fuori la mano dal busto di quel sacco di merda, con ancora in possesso il suo cuore. Le unghie nere si erano ridimensionate e sul palmo non aveva più il sigillo viola del patto. Il corpo senza vita stramazzò al suolo, in una pozza di sangue che dilagava spedita e una forma malsana di godimento si irradiò sfociando in una risata sinistra.
Sussurrò parole incomprensibili al cuore, le dita affusolate affondarono in esso e quello divenne polvere nera tra le dita.
 
 
Ma quando fu la volta di nonna Lucy, qualcosa andò storto, poiché lei puntò una pistola dritto verso la mia testa.
 
 
<< Sebastian! >>, feci in tempo ad urlare, in una preghiera di aiuto e di protezione.
 
 
<< Tu porterai per sempre via qualcosa a me stanotte, ed io porterò per sempre via qualcosa a te. >>. Non si perse in chiacchiere di circostanza, inutili convenevoli o intimazioni a lasciarla vivere: sapeva che sarebbe morta.
Per questo sparò ancor prima che potessi avere il tempo di scansarmi e mi centrò in pieno torace, il colpo mi fece sbalzare forte il busto all’indietro e mi ritrovai accasciata al suolo, morente.
 
 
Premetti una mano sul petto dove la stoffa bianca della camicetta strappata era sdrucita e sulle dita il rosso vivo imbrattò i polpastrelli. Il ronzio nelle orecchie aumentò di volume e mi venne voglia di rigettare la cena di quella sera che avevo ingurgitato di fretta.
Mi ritrovai a chiedermi se Charlotte stesse bene e dov’era adesso.
Il camerone prese a vorticare impetuosamente ed iniziai ad avvertire un gelo che mi nasceva da dentro e si diffondeva lesto sulla pelle.
Il freddo del pavimento in cemento si scontrò con la pelle calda e la ferita pulsava così energicamente che mi parve di aver ricevuto altri colpi di pistola.
 
 
Non riuscivo a sentire più nulla, ma pochi istanti dopo, nonna Lucy era distesa sul pavimento, con lo sguardo vitreo e senza vita. La testa lontana un paio di metri dal resto del corpo smembrato in così tante piccole parti, da essere irriconoscibili nell’anatomia umana.
Come era accaduto per mia madre: era stata vendicata.  
 
 
E mentre lottavo contro il buio spaventoso che mi inghiottiva millimetro dopo millimetro, il viso bellissimo di Sebastian comparve nel campo visivo. Lambì delicato il mio volto, mi prese leggero per le spalle e mi adagiò tra le braccia ossute, un caldo riparo in cui morire.
Il desiderio si era avverato, ed avrei visto lui prima dell’inevitabile fine, che si avvicinava spietata.
Tossii ed espettorai sangue mischiato a saliva, poi provai ad aprire gli occhi, ma non ne ebbi la forza. Le fitte erano vivide e mi sentivo sul punto di svenire di nuovo.
 
 
<< Sei libero. >>, riuscii a dire, lieta che nessuno potesse più tenerlo soggiogato. Avrei voluto accarezzarlo, ma le catene attorno ai polsi, rendevano i movimenti pesanti e stancanti.
L’oblio mi stava man mano trascinando alla deriva e avvertii mille mani fantasma aggrapparsi al mio corpo per portarmi via. Immaginai di lottare per liberarmi da quelle prese ferree, ma più combattevo e più venivo inghiottita dal nulla. Il corpo rimaneva fermo: la battaglia avveniva nella testa.
 
 
<< No, non lo sono, Selin. >>, affermò concentrato, usando un calore nel comportarsi con me, che avevo anelato sin dal momento che avevo visto i suoi meravigliosi occhi rossi nel parcheggio del castello. Gravò delicato una mano sul mio volto e la testa ricadde pesante all’indietro sul suo torace, ormai non avevo alcun controllo del corpo.
 
 
<< Non bere il mio sangue… non voglio fare patti con te. >>.
Buffo come, in un contesto simile, dove ero stata brutalmente violentata, avevo scoperto chi aveva ucciso mia madre e perché, e mia nonna mi aveva sparato un colpo di pistola, pensassi di non aver avuto il tempo di scrivere la lettera a Sebastian, con i miei sentimenti per lui.
Non c’era più tempo adesso.
 
 
Scivolai rapida in direzione dell’oscurità sconosciuta e avvertii una forte pressione sui polmoni, che tagliò l’ossigeno per un tempo che mi parve l’eternità e prima che fosse troppo tardi, percepii un rumore lontano, come di una voce vellutata che parlava e mi obbligava a fermare la folle corsa verso la morte per ascoltare cosa avesse da dirmi.
Era una voce maschile e stava parlando con un tono suadente nelle orecchie. Non potei fare a meno di ascoltare.
Spalancai gli occhi nelle tenebre, in un luogo familiare che non aveva odori, porte, strade e luci: ero già stata qui.
 
 
Iridi scarlatte nell’oscurità mi fissavano intensamente, trasmettendo tutto il loro affetto… un affetto a lungo negato, ma che adesso mi investiva e mi teneva in vita.
Sebastian era accanto a me ed impediva alla morte di traghettarmi nell’oltretomba, combattendo all’estremo con una presenza che non potevo vedere.
<< Non ci sarà alcun patto. >>, disse pacato, certo delle sue intenzioni.
 
 
Si protese sul mio volto gonfio e la bocca tiepida incontrò la mia contusa, in un bacio che non ebbe niente di amorevole e dolce e che, al contrario, fu spiacevole, doloroso e mi spinse irrimediabilmente nel nulla.










Note:
Dopooooooooooooooo una vita, finalmente ho aggiornato di nuovo, il trasloco è finito ed eccovi qui il capitoletto, molto cruento, qualcuno avrà detto anche "oh no, ma quanto è sadica questa?!?", ma si sa che la vita è una gran schifezza e mi piace mantenere un filone di realità in tutto ciò che scrivo, anche se c'è un demone di mezzo. 


Abbiamo scoperto quanto è (o era) infida la nonnina cara, quanto schifo facesse Joseph Finnick. Di cosa trattasse il patto e chi avesse ucciso la madre di Selin. Alla fine Sebastian è stato solo uno strumento di morte. 

Ora non so se nel mondo del Maggiordomo Nero era possibile una risoluzione simile del patto, diciamo che ho messo qualcosa di mio e spero che possa piacere la piega che ho dato alla storia. 

Adesso bando alle ciance, ringrazio i commenti, chi ha aggiunto la storia nei preferiti e i fantasmini. 


La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.

DarkYuna.

 
 
 

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Capitolo 10
*** L'eternità ***


10.
L’eternità
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le onde fredde si infrangevano sugli scogli alla riva, la spuma strisciava sulla rena umida a pochi centimetri dai piedi nudi e il suono dolce del mare era come una nenia che lambiva un’anima in tumulto. Il confine tra cielo e terra, in quella fredda mattinata invernale, si confondeva e il limite netto si mescolava all’orizzonte.
Lilith, la tenera gatta bianca, miagolava e faceva le fusa tra le mie braccia e necessitava di attenzioni, che ero troppo stanca per concedergli. Accarezzai il soffice pelo bianco, triste nell’addio che stavo dando muta alla mia umanità. Non ne avrei sentito la mancanza e la mia nuova condizione aveva molti più vantaggi, che svantaggi.
 
 
Passi silenziosi dietro di me, spezzarono i suoni della natura e scoppiarono il lugubre palloncino delle meditazioni interiori.
<< È tutto pronto, Selin. Gli invitati attendono solo te. >>, disse Sebastian, dolcemente, accarezzando con l’indice la testa di Lilith, ora più accondiscendente verso di lui.
 
 
Gli lanciai un’occhiata di sfuggita, nel bellissimo viso pallido, dai tratti sottili, eleganti, che gli donavano un’aria sensuale, quanto letale. Gli occhi a mandorla erano abitati da iridi scarlatte -eco delle mie-, che osservavano intense la mia faccia stanca. I capelli neri, incorniciavano il volto etereo ed arrivavano lunghi fin sulla nuca.
Vestiva impeccabile l’elegante abito da cerimonia, mi sostava accanto in una postura distinta, dritta ed imperturbabile.
 
 
<< Sebastian. >>, lo chiamai, fissando un punto dritto davanti a me, senza vederlo realmente. Avrei sentito la mancanza di soffermarmi alla finestra per ore ad esaminare il mare, in tutta la sua magnificenza. La mia anima era come quelle onde, oscura, calamitante, ma pericolosa e nei suoi abissi vi si nascondevano segreti inenarrabili.
 
 
<< Sì? >>, rispose ossequioso, mantenendo l’attenzione su di me, conscia che avrebbe preferito badare più alla gatta che alla sottoscritta. In questo non sarebbe cambiato mai.
 
 
Cullai Lilith, che pareva addormentata tra le mie braccia.
<< Com’è l’inferno? >>. Era la nostra destinazione, poiché i demoni camminavano sulla terra solo per compiacere i mortali, altrimenti dovevano sostare all’inferno. Ci eravamo fermati anche troppo.   
 
 
Schiuse lento le labbra e si portò le mani, non più avvolte da guanti bianchi, dietro la schiena. Nessun patto lo teneva legato a qualche umano: era libero.
<< L’inferno è qui sopra, amore mio. Noi andremo nel nostro pezzo di paradiso personale… non temere Selin, più nulla potrà farti del male o separarci. >>, affermò armonioso, usando un tono vellutato e tenero, a cui avevo fatto ben presto l’abitudine.
 
 
Giocherellai distratta con la coda del felino, per poi affidarlo alle sue cure, smanioso di coccolarla ed averla tutta per sé.
Battei le palpebre, incrociai le braccia e godetti ancora per qualche secondo della mia permanenza sulla terra.
<< Tomas è agitato? >>.
<< Come tutti gli umani, quando devono compiere un passo importante come il matrimonio. >>.
 
 
<< E Charlotte? >>.
<< In ritardo, come tutte le spose prima delle nozze. >>.
 
 
Ridacchiai divertita, avvezza al suo alto grado di conoscenza che possedeva dei mortali.
 
 
<< I demoni sanno cos’è l’amore? >>, domandò ad un certo punto lui, riportando a galla una conversazione avuta un anno prima, quando lui era il mio insegnante, un maggiordomo, un demone… ed io una sua alunna e un’umana insignificante.
Gli avevo creduto come una stupida, nella risposta desolante che mi aveva rifilato quel giorno, invece dovevo ricredermi, poiché, anche se non possedevo più un cuore, nessuno meglio di un demone sapeva cosa fosse l’amore.
E il mio amore per Sebastian splendeva più del sole stesso.
Era stato costretto dal patto con nonna Lucy a dover mentire, trattarmi freddamente e tenermi ad una certa distanza, che poi non era riuscito più a mantenere.
 
 
Il sorriso fu la risposta ovvia al suo interrogativo.  
 
 
Lilith sgattaiolò sulla rena umida, disprezzando in pieno le sue attenzioni, ancora restia a concedergli totalmente il privilegio di coccolarla. Lo guardò con una superiorità che mi faceva ridere ogni volta. Era una storia ben nota e vecchia quanto l’universo: più si rifuggiva da qualcuno e più quel qualcuno ti veniva dietro, come se da ciò ne dipendesse la propria vita. Proprio come era capitato a me, con lui.
 
 
<< Andiamo gattofilo, dobbiamo presenziare ad un matrimonio. >>, dissi divertita, ruotando su me stessa, avviandomi verso la dimora che era stata la mia casa negli ultimi mesi. Del castello di Blackrock era rimasta solo la cenere, come del corpo della sua padrona e del suo giovane amico biondo.  
 
 
Sebastian mi venne dietro, passò un braccio dietro la mia schiena, pronto a seguirmi ovunque e a camminare insieme per quella che sarebbe stata l’eternità, ed anche oltre.
 
 
 
 

 
 
 
 
 
Fine








 
Note: 
Dopo un'eternità ecco finalmente l'ultimo capitolo. 
So che in molti si aspettavano un finale diverso, una trama diversa, qualche capitolo in più e che Lilith avesse un riscontro magico in tutta questa magia. 

Però, più o meno, era l'idea che mi ero fatta fin dall'inizio, purtroppo ho scritto pochi capitoli e non mi sono dilungata come è mio solito. Però chi lo sa, magari in futuro giungerà una seconda parte, giusto per sapere come proseguirà la vita da demone di Selin assieme al suo Sebastian. 

Voglio ringraziare tutte le anime pie che hanno commentato i capitoli, chi ha aggiunto la storia nelle seguite e nelle preferite. Vi ringrazio di cuore tutte quante. 

Alla prossima storia. 

Un abbraccio. 
DarkYuna. 

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