Blood Moon

di Lux in Tenebra
(/viewuser.php?uid=313670)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Far away. ***
Capitolo 2: *** 2. A long way to go ***



Capitolo 1
*** 1. Far away. ***


 



Blood Moon

 

 



1. Far away.

 


Ero disteso sul mio letto, perso completamente nei miei pensieri a fissare il soffitto, sperando con tutto me stesso che il sonno mi stringesse tra le sue braccia. Passare l'ennesima nottata insonne con gli occhi sbarrati ad osservare le crepe presenti nella mia camera non sarebbe stato l'ideale.

 

Tutto intorno c'era un silenzio glaciale, quasi come se ogni cosa avesse smesso di respirare per quei secondi.


Dalle mie labbra invisibili trapelò un sospiro carico di una cupa malinconia.


Non andrò da nessuna parte di questo passo...
 

Pensai, rigirandomi varie volte, per infine tornare alla posizione iniziale.
 

Come sospettavo... proprio da nessuna parte eh?
 

Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che avevo dormito bene, troppo tempo: era come se ci fosse un peso, di cui non riuscivo a comprenderne la natura, al centro del mio petto che non accennava a dissolversi, facendosi pericolosamente sempre più pesante ogni volta che un foglio del calendario veniva staccato dal muro.

 

Avevo provato tutti i tipi di infusi per calmare il mio intero essere, ma tutti i miei sforzi erano stati vani. Ottenni come unico risultato dei colpi di sonno improvvisi nel bel mezzo della giornata che mi facevano addormentare nei posti e nelle posizioni più strane, finché uno dei miei fratelli, resosi conto della situazione, non mi avesse svegliato.

Ero sconfortato da quella situazione che sul momento mi pareva inspiegabile.

 


"Sigh! Per quanto dovrò andare avanti così?" borbottai ad alta voce, sperando che il mio subconscio mi sentisse e si decidesse a smetterla di andare sotto e sopra con la velocità di un treno impazzito.


"Credo per un bel po' se non ti calmi" rispose una voce femminile proveniente dalle tenebre, la cui melodia mi parve assai familiare.

Sobbalzai sul posto e mi misi a sedere di scatto per verificare che non fosse stata solo la mia mente a giocarmi uno scherzo di pessimo gusto.

 

Quanto avevo sperato di risentire quel suono, sebbene non l'avessi mai ammesso a nessuno per paura di venire deriso.


Esaminando l'intera stanza con lo sguardo, notai subito la persona che aveva pronunciato quelle parole, illuminata per metà dalla luce della luna, e non resistetti all'impulso di parlare, mentre la mia bocca veniva mossa da una forza invisibile agli occhi:

 

"Che diavolo ci fai qui?!" esclamai sorpreso e allo stesso tempo confuso, mentre dentro di me i più vari sentimenti si mescolavano in una frenetica danza.


"Come che diavolo ci faccio qui? Ti ho detto che sarei tornata e ho mantenuto la mia promessa" rispose lei con semplicità, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, sedendosi poi ai piedi del letto, proprio di fronte a me. Sembrava quasi una visione.

 

La cosa che trovai strana, oltre alla sua improvvisa apparizione, era il fatto che fosse molto meno vestita del solito: non portava né la felpa, né la sua consueta maglia bianca, né i jeans.

 

Indossava invece un completino di pizzo rosso, uno di quelli che le donne utilizzavano per certe "occasioni speciali", come soleva sempre ripetermi un mio certo fratello minore con una passione fin troppo smodata per il gentil sesso.


Era tornata, lo aveva fatto per davvero! E io faticavo ancora a crederlo, squadrandola con lo stesso sguardo di un cucciolo che si era perso nel folto della foresta per non ritrovare più la strada di casa.


"Sembri molto confuso" constatò Aliaga, appoggiandosi sulle braccia e avvicinandosi lentamente a me con un portamento che definire inappropriato sarebbe stato poco. Non era decisamente da lei comportarsi a quel modo.


Sentii un fuoco divampare fino alle guance e, sfortunatamente, in punti in cui sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto.

Lei poggiò le mani sul mio ventre, rimanendo seduta sulle ginocchia e scrutandomi con uno sguardo che lasciava poco ad intendere.


Deglutii, sentendo l'improvvisa necessità di farlo, mi si stava formando un groppo in gola, e la inquisii con un tono privo di ogni tipo di sicurezza:

 

"Potrei sapere cosa stai facendo? E perché sei vestita in quel modo?" mi ritrassi un po', resistendo all'inspiegabile urgenza di di rimanere lì dov'ero mentre il mio cuore, dopo mesi di torpore, riprese a gridare acutamente.


Lei, notando la mia agitazione, portò le mani morbide sul mio viso, circondandolo gentilmente con il calore della sua pelle. Era spaventoso come potesse farmi ancora quell'effetto nonostante tutto ciò che era successo.


"Sto cercando di porre rimedio a questo lungo anno di assenza, Slender... non vorrei fosse poi troppo tardi per tornare indietro" rispose con un tono di voce così basso da parere un sussurro, ma la sentii benissimo.


"Non credi di stare correndo un po' troppo? Per quanto mi riguarda, non sei benvenuta in questa casa!" esclamai con una punta d'astio, quella ferita ancora aperta dentro di me che pulsava dolorosamente.


Si bloccò e, tirando un sospiro molto lungo, mi rivolse un leggero sorriso smorzato:
"Non mentirmi, lo so che non mi odi fino a questo punto e mi dispiace, ma non avrei potuto fare altrimenti. A volte mi chiedo se mi avresti accettato a braccia aperte sapendo la verità, ma la risposta alla fine è sempre negativa" dichiarò mentre riprese a carezzarmi le guance con delicatezza e i suoi occhi furono attraversati da un sottile velo di tristezza.

"E per questo mi avresti raccontato e avresti continuato a raccontarmi frottole se non l'avessi mai scoperto?" chiesi indignato, cercando di mantenere un'apparenza calma, mentre dentro di me si stava scatenando una vera e propria tempesta.
Non me ne resi nemmeno conto, non feci in tempo a reagire a ciò che venne dopo, accadde tutto come un fulmine a ciel sereno.

 

Si avvicinò a me senza preavviso, facendo rincontrare le nostre labbra ancora una volta. Dopo che la natura era rinata con l'arrivo della primavera, giunta al suo massimo splendore con l'estate, avvizzita nuovamente con l'autunno e infine riaddormentata con l'inverno, avevo potuto risentire quelle intense sensazioni del nostro primo bacio, quasi come se la distanza non avesse cancellato niente e quella spaccatura tra di noi non fosse mai esistita.

 

Ero solo uno stolto che non riusciva a domare le sue stesse emozioni e, non rendendomene conto, mi abbandonai completamente al contatto tra le nostre labbra.

 

In quel preciso istante udii una nota lontana chiamarmi per nome, mentre piano piano il volto della donna che avevo davanti si appannava sempre di più, coperto da una nebbia che non riuscivo a dissolvere.

Mi sentii come se fossi stato aggrappato ad un filo sottile che era sul punto di rompersi, cercando con tutto me stesso di prolungare vanamente quegli attimi. Quello si spezzò, facendo diventare tutto nero e cancellando definitivamente quell'illusione.

Il delicato sogno si infranse, riportandomi al mondo reale.

 

Non ero in camera, mi ero semplicemente addormentato sulla mia poltrona preferita con il libro che stavo leggendo sulle gambe.

Portai la mano al viso, strofinandomelo per risvegliarmi dal torpore residuo di quei momenti così vividi da sembrare reali.

 

“Fratellone, è arrivata una lettera ed è dai nostri genitori!” esclamò una figura alta. I pallini multicolori del suo vestito mi confusero per qualche secondo.

Uno Splendor felicissimo mi stava di fronte, saltando sul posto ed esibendo un pezzo di carta rettangolare davanti al mio muso.

Aveva tutte le ragioni per essere felice, quelle lettere ci venivano mandate raramente per motivi di sicurezza e riceverne una voleva dire che o era successo qualcosa di stupendo o di terribilmente grave. Comunque la seconda era da escludere, dato che le ultime arrivavano solo a me, essendo io il maggiore e colui su cui ricadevano tutte le responsabilità.

 

Stupido sogno…

 

Pensai con un moto di rabbia, cercando di riappropriarmi della mia compostezza, e mi alzai in piedi, poggiando il libro da parte e afferrando la lettera.

 

“Vediamo un po'...” dissi, cercando di tenere i miei sentimenti per me e concentrandomi su quel pezzo di carta. La fissai per qualche istante per poi aprirla con cautela, scoprendone il contenuto.

 

All'interno c'era un biglietto di colore rosso con delle scritte nere molto sottili ed eleganti, delle linee argentate incorniciavano il tutto. Ciò significava una cosa sola: guai e anche grossi all'orizzonte.

 

“Cos'è?” chiese Splendor, sbirciandone il contenuto da sopra la mia spalla con la sua solita curiosità infantile.

 

“E' un invito per la festa della Luna di Sangue e siamo stati tutti convocati per l'occasione...” feci una lunga pausa, lasciando ricadere il braccio con il foglietto ancora tra le dita e lasciandomi pervadere da un senso di sconforto “dobbiamo ritornare.”

 

Quello per me era decisamente il momento peggiore per fare rientro a casa.

 

 

 

 

L'autrice nell'angolo dice:

 

Buon giorno, buona sera e buonanotte a voi lettori :) (dipende da che ora state leggendo questo capitolo), finalmente mi sono decisa a continuare questo racconto dopo tanti ostacoli e difficoltà.

Se siete nuovi di questa serie (cosa che dubito, ma potrebbe pur sempre capitare), vi consiglio di leggere la prima parte (Deep Inside) sul mio profilo (oppure no u.u, ma probabilmente si capirà ben poco), ne vale la pena e si legge velocemente. Ho finito di scrivere a tarda notte, quindi spero di non aver tralasciato obbrobri ortografici nel testo.

Spero che vi piaccia e, se vi va, dei commenti fanno sempre piacere ad una scrittrice come me ^^.

Il terzo capitolo dell'altra mia storia è attualmente a buon punto, quindi spero di non metterci molto per finirlo.

 

P.S. Ieri notte ho sentito quel che è successo… credo che nessuna parola basterebbe mai per descrivere un tale scempio :( #PrayForParis

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. A long way to go ***




2. A long way to go
 



Il paesaggio scorreva veloce dalla finestra della carrozza, sfrecciando senza posa sulla superficie del vetro, disegnando immagini indistinte che riportavano alla mente confuse chiazze di colore su una tela dalle tinte smorte.
Al di fuori uno scenario desolato dai toni grigi con rade chiazze di un rosso accesso che balzavano all’occhio come delle luci improvvise.
Quella vista pareva il purgatorio, o almeno era ciò che mi balzava nel pensiero fissando la sezione di terra che avevo davanti agli occhi. Non che avessi l’assoluta certezza che un luogo simile potesse esistere, ma se si parlava di Inferno e Paradiso, erano un altro paio di maniche.
 
Perché sono qui? Non potevo restare a cas-
 
Il mio pensiero si bloccò, portandomi a realizzare che la mansione sulla terra non era la mia vera casa o, almeno, non doveva esserlo. Ma, in fondo, era passato tanto tempo, potevo permettermi una svista simile, era normale.
 
Appoggiai il viso conto la mano, emettendo un profondo e lungo respiro, cercando in qualche modo di scordare tutti i problemi che attanagliavano il mio cuore per qualche istante. Sarebbe stato troppo estenuante per me continuare a dondolarmi in quell’abisso di emozioni confuse.
Davanti a me sedevano due dei miei fratelli, tutti messi in ghingheri per rincontrare i nostri genitori dopo tanto tempo. Erano passati anni dall’ultima volta e, a differenza loro, io avevo già avuto una precedente occasione per rivedere i nostri parenti e l’incontro in se e per se non mi preoccupava, era tutto il resto a farlo e soprattutto l’occasione: avevo come una strana morsa alla bocca della gola, una sensazione poco piacevole, sinuosa come un serpente, che aveva invaso anche il mio petto. Qualcosa non andava.
 
Concentrai l’attenzione sui miei compagni di viaggio, potendo scrutare nei loro movimenti un certo nervosismo, più che logico a mio parere.
Trender era il più bravo a nasconderlo, ma vivendo con lui ventiquattro ore su ventiquattro avevo imparato velocemente a leggere i suoi movimenti.
Splendor era più semplice, come un libro aperto che attendeva di venir letto, non c’era nemmeno bisogno di prestare chissà che attenzione per notare che si sentiva decisamente a disagio nelle sue condizioni. Pareva quasi volesse saltar fuori da quei vestiti così estranei per lui e fuggire via, buttandosi a tuffo dal finestrino della carrozza.
Sorrisi mentalmente a causa della mia fervida immaginazione che aveva creato quella scena, trovandola alquanto infantile da parte mia e rivolgendo così lo sguardo alla sua gamba destra che aveva iniziato a fare cavalluccio senza controllo, sbattendo il tallone contro il pavimento di legno scuro senza requie.
 
Tock, tock, tock.
 
Mi apprestai a fermarlo, tenerlo per troppo da solo con i suoi pensieri non era un bene. Succedevano cose strane quando ciò accadeva, molto strane, e poco gestibili.
 
“Splendor, che abbiamo detto riguardo ai tick delle gambe?” mi drizzai sulla schiena, poggiando le mani sulle ginocchia con fare austero, lasciandole comunque in uno stato rilassato. Alzai lo sguardo al suo viso mentre parlavo, fissandolo con serietà negli abissi che aveva al posto degli occhi.
Lui si bloccò d’improvviso, come fosse stato riportato alla realtà dalle mie parole, incrociando il mio sguardo invisibile con il suo da cucciolo spaesato.
Poggiò la mano sulla gamba destra per bloccarla, iniziando poi a massaggiarla per rilassare il muscolo indurito. Congiunse successivamente le mani, scuotendo piano la testa per riprendersi del tutto dal suo stato confusionario.
“Di non sbattere impulsivamente il piede contro il pavimento” rispose a bassa voce, rivolgendo lo sguardo verso terra, decisamente in imbarazzo per ciò che aveva appena fatto. Si vergognava, si vergognava di se stesso perché a differenza nostra non riusciva a controllarsi.
“Bene” conclusi senza sentire la necessità di aggiungere altro, malgrado una parte di me fosse in pena per lui, appoggiandomi contro il morbido schienale.
Ci furono attimi di profondo silenzio, attimi che io apprezzai infinitamente.
 
Silenzio, mio vecchio amico, ci rincontriamo di nuovo.
 
Sarebbe stato tutto perfetto se Trender non avesse deciso di intromettersi dal nulla nel discorso:
“Oh, avanti Slender, non essere così rigido nei suoi confronti. E’ normale che sia agitato, lui ha passato molto meno tempo di noi con i nostri genitori. Ora che Offender non c’è, puoi pure smetterla di fare il capo di tutta la baracca” dichiarò, incrociando le braccia ed accavallando la gamba, prendendo a fissarmi con uno sguardo che mostrava aperta disapprovazione.
Sbuffai, seccato, irrigidendo le spalle.
“Io non faccio il capo di tutta la baracca, né pretendo di esserlo, fratellino. Sono semplicemente il fratello maggiore e, come tale, l’etichetta mi impone di comportarmi in un certo modo” conclusi, ancor più scocciato di prima, incrociando anche io i miei lunghi arti.
Trender si riaggiustò gli occhiali con l’indice, scrutandomi questa volta con uno dei suoi sguardi più difficili da interpretare. Dopo un’attenta osservazione, capii che aveva qualcosa che gli bruciava dentro, ma invece di parlarne, come era suo solito fare, si limitò a scrollare le spalle, soffocando qualsiasi cosa volesse dirmi e rivolgendo lo sguardo fuori dal finestrino. Imitai i suoi gesti, ignorando il pungente istinto che mi diceva di indagare sulla faccenda e seminare in quel modo zizzania tra di noi. Una scaramuccia in quel momento sarebbe stata la peggiore delle cose.
 
Non voglio finire per litigare con lui ora, ci mancherebbe solo questo.
 
La mia situazione attuale poteva essere descritta con una sola parola: nera.
Non potevo permettermi di intaccare il nostro legame fraterno in quei momenti, sapevo che se l’avessi fatto sarebbe stato tutto perso.
 
I giorni della luna di sangue erano vicini, terribilmente vicini. Mancava meno di mezzo mese all’inizio di quella festa, meno di mezzo mese per trovare una scusa per non andarci ed evitare così di essere costretto a trovarmi qualcuno per forza.
Il mio sospetto principale era che fosse proprio ciò che tutti desideravano da me: volevano che mi sposassi e mettessi su famiglia.
Dopotutto era logico che auspicassero una tale cosa, in fondo ero uno slender maturo, l’età era quella giusta, come da tradizione, e la mia famiglia era piuttosto in alto nella scala sociale.
Un matrimonio combinato sarebbe stato l’ideale per tutti e, dato che era un’usanza profondamente radicata nella mia specie e comunemente accettata dalla nostra cultura, uscirmene con discorsi come “voglio sposare qualcuno che amo” non sarebbe servito a nulla, se non a beccarmi qualche risatina di scherno da parte della famiglia e un profondo sguardo carico di delusione da parte di mio padre.
In un certo senso, avevo già preso in considerazione che tale evenienza potesse accadere, ma avevo sperato di riuscire a trovare un modo per evitare la cosa o, in casi particolari, accettarla di buon grado.
Ma ora, ora non potevo semplicemente sposare la prima slender che mi avessero propinato con le solite scuse. Non volevo e non avevo il desiderio di farlo, non dopo tutto quello che era successo.
Riaprire il mio cuore per ora era impensabile, mi aveva fatto troppo male la prima volta e, sebbene si fosse raffreddata, la ferita dava ancora fastidio. Sposare una slender che non conoscevo affatto era come buttarsi a capofitto nell’ignoto e costringermi ad innamorarmi di lei era fuori questione. Inoltre un matrimonio vuoto era a dir poco fuori dalle mie prospettive attuali di vita futura.
E così, mi ritrovai bloccato in un limbo mentale di pensieri negativi che guidavano il mio flusso di coscienza sempre più giù, nel profondo.
La fiamma della ribellione si accese, mentre quello strano sentimento spiacevole aumentava d’intensità, non permettendomi più di ignorarlo. Ringhiai tra i denti senza rendermene conto, attirando l'attenzione dei miei compagni di viaggio.
 
Calmati Slender, non sei in trappola! Non ancora!
 
Cercai di dire a me stesso per calmarmi, sperando che quei due non avessero notato il mio improvviso cambio di umore. Purtroppo le mie speranze erano vane, dato che l’avevano notato eccome.
Splendor parve turbato dalla cosa. I suoi occhi si fecero grandi e rotondi e la sua bocca si rimpicciolì fino a formare un piccolo buco nero sul suo volto.
 Trender, alquanto accigliato, mantenendo la massima calma, prese la rivista satinata che aveva accanto a lui, la arrotolò su se stessa con la mano sinistra e la portò in posizione di difesa personale, tenendola alzata vicino al suo volto.
"Slender, hai la rabbia?" chiese lui, raggiungendo i suoi picchi massimi di onestà bruta, dando al momento attimi che denotavano un deciso malinteso, pronto a sfoderare la sua nuova arma contro di me.
 
Davvero Trender? Vuoi usare uno stupido giornale contro di me? Al massimo mi ci taglio con la carta!
 
La mia mente pensò in automatico, facendomi accigliare alla sola idea di venir picchiato con un insulso pezzo di cellulosa da sole trenta pagine.
"Sei serio Trender?" domandai alzando il sopracciglio trasparente, costretto ad interrompere il mio ringhio incontrollato da negazione estrema al possibile connubio futuro.
"Serio come la moda" dichiarò lui, spostando un po' più in alto il giornale come prova delle sue intenzioni, pronto a colpire.
"La moda non è-“ feci una lunga pausa “... senti, lasciamo perdere" conclusi il mio discorso, coprendo il viso con la mano destra, in un facepalm da maestro. Certo che mio fratello è proprio fissato con sta cosa della "moda", mi sarebbe stato di gran lunga più simpatico se avesse preferito l'equitazione ai vestiti con i brillantini.
“La moda è un fatto serio, ma cosa ne puoi capire tu? Rozzo fratello maggiore ringhiante senza alcun gusto nel vestire!” esclamò con la chiara intenzione di provocare.
Ecco che, in momenti come questi, il mio cervello s’annacquava e la mia parte maliziosa usciva fuori a fare un saluto:
“Oh, ma almeno io non passo otto ore a scegliere i vestiti da portare, ti ricordo che è colpa tua se siamo in ritardo, signor la moda è tutta la mia vita!” ribattei, rimanendo piuttosto calmo nonostante il mio tono di voce leggermente infiammato.
Una venuzza emerse dalla sua fronte.
“Non siamo in ritardo, siamo perfettamente in orario per prendere il thè! E’ da maleducati arrivare sempre prima del thè, nessun gentiluomo lo farebbe mai” dichiarò, sicurissimo delle sue idee bislacche.
“S-scusate…” disse piano piano Splendor, la sua vocina che emergeva flebile dall’angolino sinistro della vettura.
Ci girammo a guardarlo, la rivalità fraterna che ancora bruciava nei nostri occhi inesistenti, mentre delle aure nere avvolgevano i nostri corpi.
“S-siamo quasi arrivati” sussurrò, facendosi piccolo piccolo per i nostri sguardi poco felici.
 
Schreeek!!
 
La carrozza si bloccò di botto, frenando bruscamente per l’impatto con il suolo, facendoci finire gli uni contro gli altri, confondendo gambe, braccia e viticci tra di loro come nemmeno quello stupido gioco umano con i pallini colorati aveva mai fatto.
Un piede di qualcuno mi finì in faccia, vendetta scesa dal cielo contro di me chissà per quale misterioso motivo.
 
Tund!
 
“Of!” pronunciò la mia bocca mentre il mio viso veniva compresso dalla suola.
Sentii altri suoni di protesta provenire da due punti separati della vettura:
Una valigetta appoggiata sopra i sedili era finita proprio sulla testa di Trender, facendogli sbucare un bel bernoccolo rotondo delle dimensioni di un mandarino. Splendor invece era stato parzialmente sepolto dai cuscinetti dei sedili e stava cercando di liberare le sue gambe dai nostri corpi che ci erano finiti sopra.
Lo sportellino si aprì improvvisamente, facendo entrare una luce accecante all’interno della cabina buia.
“Siamo arrivati miei onorevoli signori!” disse con un grosso sorrisone il nostro cocchiere, Ostender, una mia vecchia conoscenza, sorriso che si smorzò non appena vide che casino infernale si era formato in quello spazio ristretto.
“MMMMH!” mi apprestai a gridare, non riuscendo però a formulare una sentenza coerente che non fosse un rantolare sinceramente irritato, agitando il mio corpo per liberarmi da quella gabbia slenderiana.
“Per la dea! Fermi miei ser, ora vi aiuto” esclamò, apprestandosi ad entrare nella carrozza, cercando di sforzarsi per trovare un modo per sbrogliarci e non farci chiedere il rimborso del viaggio per quell’incidente di percorso.
 
Il cielo serale del mio mondo brillava con riflessi rubini, illuminando quella che di lì a poco sarebbe diventata la mia prigione, solo ne ero ancora ignaro.
 

°°°°
 

Sezione info e roba:
E il capitolo è finito! Sia lodato il cielo! Ci ho messo quasi un anno xD.
Ammetto che è stata più dura del solito e credo sia perché è da tanto che non scrivo un pezzo “seriamente”. Ultimamente ho scritto sì, ma erano role per la maggior parte o riassunti e tesine per gli esami. Diciamo che il mio stile è un po’ cambiato senza che lo volessi ed è diventato terribilmente sintetico. Ho fatto fatica ad aggiungere le descrizioni, ma sto cercando di riprendere la mia vena descrittiva che, anche se so che può non piacere, a me piace tanto. Non voglio scrivere qualcosa che non mi piace, quindi è principalmente per questo che credo che ci metterò più di prima a scrivere, ho perso l’allenamento.
E tutto questo periodo è stato dedicato anche al disegno, sono ritornata su Deviantart e ho progetti in corso anche lì, quindi sono piena anche se sono in vacanza lol!
Sperando di riuscire a fare tutto, ti è piaciuto questo capitolo? :D
Ci rivedremo al prossimo e questa volta risponderò subito alle recensioni, promesso.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3312253