Sorry, but I don't remember how to breathe.
Can you tell it to me?
Mi svegliai molto presto quella mattina, l'orologio sul mio comodino segnava le 6:24. Provai a riaddormentarmi, mancava ancora un po' per prepararsi per la scuola, ma i rumori provenienti da fuori casa erano fottutamente fastidiosi. Infilai un paio di jeans ed una maglietta e scesi per fare colazione.
Non avendo così poi molta fame, decisi che una fetta di pane tostato sarebbe andata bene. A scuola non mi trattenevo mai il pomeriggio, di conseguenza non avrei mai mangiato gli orrori che cucinavano in mensa. Avrei mangiato a casa. Mi piaceva casa mia, mi piaceva essere un tipo abbastanza solitario, amavo la cucina di mia madre.
Io ero così.
Conosceva benissimo le mie tendenze puramente vegetariane e sotto questo aspetto era ancora più fantastica. Non mi criticava come facevano gli altri, non mi scocciava con le solite frasi che si dicono a chi non mangia carne, lei mi accettava e basta.
A distrarmi dai miei pensieri fu un tonfo seguito dal rumore di vetro che si frantumava. Senza pensarci, spinto unicamente dalla curiosità, uscii a vedere.
Di fronte alla casa affianco alla mia, un camion di traslochi stava scaricando della roba pesante. Con lo sguardo cercai la fonte del rumore di vetro rotto, quando notai una signora che se la prendeva con uno dei fattorini. Ai loro piedi, una scatola che indicava chiaramente 'fragile'.
Fu quando spostai gli occhi di nuovo verso il camion che lo vidi. Indossava la t-shirt di una delle mie rock band preferite, aveva i capelli lunghi fino alla spalla ed uno starsbucks in mano. Guardava la scena sogghignando, e la prima e unica cosa che pensai in quel momento fu 'è bellissimo'.
Aveva i lineamenti più dolci del mondo, quasi femminili, i capelli neri che gli ricadevano sulle spalle si sposavano perfettamente con la sua pelle bianca come il latte. Aveva gli occhi così innocenti e profondi che avrebbe potuto commettere il peggiore dei genocidi senza ricevere alcuna accusa.
Il ragazzo si girò verso di me, regalandomi un sorrisone che per poco non mi stese, alzò la mano per farmi un cenno. Stordito e sorpreso, ricambiai veloce.
«Vieni ad aiutarmi, c'è un sacco di roba da mettere a posto» gridò la stessa donna che prima era furiosa col fattorino.
Il ragazzo mi regalò un ultimo sorriso veloce e si avviò in casa seguito a ruota dal padre. Mi ci vollero cinque minuti buoni per riprendere il controllo muscolare da quello che era successo qualche secondo prima.
Dopo scuola, tornai immediatamente a casa. Da un lato ero estremamente affamato, dall'altra ero curioso, o meglio, ansioso, di rincontrare gli occhi del ragazzo di stamattina. Infatti, appena arrivato, non potei fare a meno di buttare l'occhio verso la casa. Tutto normale. Un po' ci rimasi, mi rassegnai e andai a mangiare.
Io ero così.
Nello stesso istante che la mia schiena affondò nel materasso del mio letto, capii che ero troppo agitato per riposarmi. Feci un po' il pari e il dispari, ma alla fine mi alzai e decisi di andare allo skate park abbandonato che io e Ray, il mio amico, avevamo scoperto un paio di mesi prima. C'eravamo stati un paio di volte, poi l'avevamo completamente dimenticato quindi mi sentii più rilassato del fatto che nessuno avrebbe potuto trovarmi li.
Trovai quelle travi a forma di tubo giganti, evidentemente scaricavano materiali di questo tipo qui, nelle quali ti potevi infilare senza problemi, non so come si chiamano. Chissà da quanto tempo erano qui perchè appena mi infilai in una di queste, l'interno era segnato da bombolette spray di ogni colore. C'era scritto di tutto, disegnato di tutto. Dal viso di una bella ragazza, rovinato da peni vicino e sopra la sua faccia, ad alcune date, nomi, e perfino numeri di telefono. Mi sedetti all'interno facendo aderire la mia schiena allo spazio concavo mentre snodavo i miei auricolari e sceglievo una canzone da ascoltare per potermi rilassare a pieno. O quantomeno farmi passare questa assurda ansia.
Mi venne un'idea* che forse poteva sembrare qualcosa di scontato, ma per me era la scoperta del secolo. Mi cacciai gli auricolai in tasca e premetti il tasto play.
Come immaginavo, la musica si amplificò rimbombando per tutto il tubo. Era forse anche meglio degli auricolari.
Amavo la musica. Ma non quell'amavo scontato, io mi ci immergevo proprio come se fossi al mare e facevo un tuffo che mi spediva nel punto più profondo dell'acqua. Ecco, era proprio così, io facevo un tuffo nella musica, ma non sarei mai annegato, la musica era il mio salvagente. Si poteva quasi dire che mi tenesse in vita, ecco. Io ero così.
Mi lasciai trasportare più del dovuto, e mi accorsi di cantare solo quando cominciai a picchiettare il fondo del tubo per prendere il tempo giusto. Stavo così bene. In questi momenti, avvertivo un senso di libertà smisurata, mi sarebbe piaciuto poter condividere questa cosa con la gente. Forse Ray avrebbe capito, a lui piaceva molto la musica, ma al mio livello? Mh, ero un po' dubbioso.
Poi smisi di cantare, mi bloccai, tutto si fermò. Il tempo smise di scorrere, la vita, la natura, l'aria, tutto. Anche la musica. Tutto. Era come se lui avesse premuto il tasto 'pausa' solo per me.
Lui, il ragazzo di stamattina, era lì. Non sapevo se fosse un allucinazione o meno.
Dov'era l'aria? Perchè non la sentivo più attraverso i miei polmoni? Mi sentivo di nuovo stordito.
Era affacciato al mio tubo a testa in giù, i capelli avrebbero quasi potuto toccare per terra e mi chiesi se non gli stesse andando il sangue alla testa. Ma lui era li, e sorrideva.
«Hey» disse semplicemente. Poi continuò «Allora eri tu che cantavi, hai una voce pazzesca.»
Dovevo avere la faccia da stupido, tipo bocca semi aperta e occhi a palla, perchè il ragazzo mi sventolò una mano davanti agli occhi.
«Ti ho spaventato? Scusa se è così» disse sorridendo di meno.
Negai con la testa e lui assunse un'aria pensierosa. Chissà che pensava, avrei dato qualunque cosa per saperlo. Poi, sparì. Sbattei le palpebre più volte e non c'era più. Un attimo dopo eccolo avanti a me, intento a sedersi nel tubo con me, nella mia stessa posizione ma dal lato opposto.
«Hey ma sai parlare?» chiese giocando con dei sassolini e guardandomi.
Cazzo, si che sapevo parlare! Ma non usciva alcun suono al momento. Okay, quindi il ragazzo di stamattina era qui di fronte a me. E quindi? Perchè ne facevo un affare di stato? Io ero così e dannazione, in questo momento non avrei voluto essere così.
«Forse ti ho disturbato.. in questo caso scusami, me ne vado.» Fece per andarsene, si alzò imbarazzato quasi, dandomi le spalle. Scossi la testa violentemente riprendendo finalmente la lucidità che avevo perso.
«No!» esclamai. Il ragazzo si voltò verso di me confuso, aveva i capelli che gli ricadevano sulla faccia. Okay, potevo sembrare benissimo un folle per come mi ero comportato, ma volevo rimediare. «Rimani pure» conclusi.
Con sguardo dubbioso, tornò a sedersi dov'era prima. «Allora parli» disse. Poi roteò gli occhi all'insù, e tornò a posare gli occhi su di me. Mi scatenò un brivido lungo la schiena. «Io sono Gerard.» sorrise. Era il sorriso più bello che avessi mai visto. Tipo quelli della pubblicità di dentifricio e neanche, perchè il suo li superava tutti.
«Frank.» risposi prendendo tutta l'aria che potevo. «Come conosci questo posto?» domandai provando a sorridere ed avere una conversazione decente.
«Non lo conosco, come hai visto stamattina mi sono appena trasferito. Semplicemente camminavo e ho sentito te.» disse.
Annuii. «Beh, allora ci vedremo anche a scuola no?» La scuola qui era l'unica in tutta la zona e qualsiasi ragazzo o ragazza era costretto a frequentarla, quindi più o meno si conoscevano tutti.
«Non frequento la scuola» rispose abbassando molto la voce e distogliendo lo sguardo. Capii che di qualsiasi cosa si trattasse, non voleva parlarne. Rispettiamo le scelte degli altri, Frank.
«Tranquillo» risposi rassicurandolo, e Gerard mi regalò un sorriso di ringraziamento.
Non mi accorsi neanche dell'ora di cena, quindi fui costretto a correre e Gerard pure poichè non ricordava la strada. Avevamo passato l'intero pomeriggio a chiacchierare di band, cibi, e molto altro. C'erano state delle cose alle quali aveva evitato di rispondere, ma lo capii. Magari troppo personali. Cioè, avrei dato il mondo per sapere tutto, ma mi misi nei suoi panni e mi sentii parecchio a disagio. Salutai Gerard con un cenno della mano mentre mi avviavo verso la porta di casa mia e lui ricambiò amichevolmente.
Aprii la porta della cucina trovandomi nonna seduta al tavolo con mamma.
«Mi dispiace, ho fatto tardi. Hey streghe» dissi affettuosamente «ancora a parlare delle solite cose?» dissi mentre mi andavo a prendere una mela. Non che avessi così fame, sarebbe stata la mia cena.
Non appena mi voltai, nonna, la quale prima rideva alla mia battutina, perse tutto il sorriso e mi scrutò bene in volto.
«Frank.. cos'è questa cosa che sento su di te? E' una sensazione.. strana. E come se.. non so, hai qualcosa addosso.» provò a spiegare mia nonna. Mia mamma si aggregò e mi trovai due paia di occhi che quasi mi consumavano. Era fottutamente fastidioso.
«Non so neanche di cosa stai parlando nonna, magari sono morto e non riesci ad accorgertene» usai tutto il sarcasmo possibile, ma lei non si mosse.
Ne avevo abbastanza per oggi, ero stanco, quindi andai a letto presto. Forse il giorno dopo avrei rivisto Gerard. Tranne per il fatto che era bello da farmi mancare l'aria ogni volta che lo guardavo. Tipo quelle persone che prima o poi si incontrano per forza nella vita.
Ad ogni modo, e senza volerlo, tornai alle parole di mia nonna. Perchè aveva detto una cosa del genere? Eppure io mi sentivo normalissimo.
Frank.. cos'è questa cosa che sento su di te? E' una sensazione.. strana. E come se.. non so, hai qualcosa addosso.
Dovevo avere paura?
*la parola proibita, piango.
Spazio Autrice:
Heeey people. Primo capitolo. Come vi sembra? So che può essere noioso, ma è necessario per la storia. Vi piacerà ne sono sicura.
Ringrazio quei tesori che leggono la fanfiction.
tsubaki. x
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