The Gift.

di _R5er
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO UNO. ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO DUE. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Sin da piccolo, le donne della famiglia ne avevano sempre parlato. Comunemente, lo avevano chiamato 'dono', perchè vedo-la-gente-morta suonava parecchio raccapricciante. Mia madre, zia, cugina e nonna ne erano dotate. Si, loro ce l'avevano.

La 'tradizione' del dono, se così può essere chiamata, era incentrata sull'essere in qualche modo, superiori. Sin dai tempi antichi, gli antenati della mia famiglia ne erano "vittime", e per questo portati ad essere capi o cose del genere di tribù e popoli. Il dono si rivelava solo nelle donne, per ogni nuova generazione. Il compito più arduo era il conviverci, non era molto simpatico sapere che non eri mai solo, che loro, i fantasmi delle persone decedute, fossero ovunque. Voleva dire che se facevi una doccia potevi non essere solo, se nel cuore della notte ti svegliavi, poteva prenderti un infarto vedendo che qualcuno ti fissava nel bel mezzo della tua camera.

Loro erano ovunque.

Sembravo sempre stare per i fatti miei, di non volerne sapere nulla, quando mia madre, mia zia, mia cugina e mia nonna ne parlavano. Invece ero curiosissimo, desideroso di sapere quanto più possibile. La maggior parte dei discorsi erano incentrati su quanti se n'erano visti nell'ultima settimana, o come si comportavano. Per la maggior parte, a detta loro, erano nostalgici della vita, ma ci fu un giorno, in cui la discussione prese una nuova piega.
Ero sempre li, a far finta di essere interessato ad un libro, ogni tanto giravo pagina per non destare sospetti, quando mia nonna disse qualcosa che catturò la mia attenzione tanto da ipnotizzarmi completamente.

«Loro sono ovunque, è vero, ma vi siete mai accorte del fatto che ne abbiamo a che fare tutti i giorni? Pensateci. Avete la spesa in mano, e state al telefono. Distrattamente vi cade la busta e tutto va a finire in terra. Ora, sappiamo che tre persone su quattro fingono di non aver visto, ma c'è sempre quello che, invece, corre da voi per aiutarvi. Il tempo di riprendere la busta, vi girate per ringraziare e quello è scomparso.»

Ero talmente preso dal discorso che scordai di girare pagina e fu in quel momento che nonna si voltò verso di me.

«Dovemmo mandarlo via?» sussurrò. Girai pagina. Quattro paia di occhi si soffermarono a scrutarmi a fondo.

«No mamma, Frank non ci presta la minima attenzione» disse mia madre.

Sta di fatto che quel discorso terminò. Non mi sarei mai aspettato di pensarci così a fondo, ne ero incuriosito veramente, avrei voluto possederlo anche io il dono. Sviluppai una mia teoria sul perchè solo le donne ne erano capaci; credevano in queste cose e soprattutto non avevano paura.

Ammetto che anche io ne ero un po' scettico finchè un giorno vidi mia madre parlare al vuoto. Discuteva qualcosa sull'andare via di casa. All'inizio credevo stesse preparando un discorso da fare a qualcuno, poi però la conversazione prese uno strano botta e risposta. Ero confusissimo. Mia madre si accorse di me e nascondendo l'evidente agitazione le chiesi di loro. Lei annuì e aggiunse che non c'era d'aver paura e che se ne stava andando. Sottolineò l'ultima parola guardando male il muro.

Da quel momento in poi ne fui sicuro. Ma tornando alla mia teoria, noi non vediamo queste cose perchè abbiamo paura. Per quanto lo desideriamo, inconsciamente, abbiamo paura. Avrei voluto discuterne con qualcuno, ma purtroppo dovevo tenermi tutto per me, se ne avessi parlato in giro mi avrebbero preso per folle, e comunque era un segreto di famiglia.

**
Angolino Autrice(?):
Heeeeey people.
Allora, comincio col dire che questa è la mia prima Frerard (non ci avevo mai pensato a scriverne una, che genio Sara.) e quindi se fa schifo non continuatela.
anyWAY, se vi piace lasciate una piccoliiissima recensione e.. buh, ci si vede al primo capitolo! 
bacii
 


tsubaki x

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Capitolo 2
*** CAPITOLO UNO. ***


Sorry, but I don't remember how to breathe.

Can you tell it to me?

 

 

Mi svegliai molto presto quella mattina, l'orologio sul mio comodino segnava le 6:24. Provai a riaddormentarmi, mancava ancora un po' per prepararsi per la scuola, ma i rumori provenienti da fuori casa erano fottutamente fastidiosi. Infilai un paio di jeans ed una maglietta e scesi per fare colazione.

Non avendo così poi molta fame, decisi che una fetta di pane tostato sarebbe andata bene. A scuola non mi trattenevo mai il pomeriggio, di conseguenza non avrei mai mangiato gli orrori che cucinavano in mensa. Avrei mangiato a casa. Mi piaceva casa mia, mi piaceva essere un tipo abbastanza solitario, amavo la cucina di mia madre.

Io ero così.

Conosceva benissimo le mie tendenze puramente vegetariane e sotto questo aspetto era ancora più fantastica. Non mi criticava come facevano gli altri, non mi scocciava con le solite frasi che si dicono a chi non mangia carne, lei mi accettava e basta.

A distrarmi dai miei pensieri fu un tonfo seguito dal rumore di vetro che si frantumava. Senza pensarci, spinto unicamente dalla curiosità, uscii a vedere.

Di fronte alla casa affianco alla mia, un camion di traslochi stava scaricando della roba pesante. Con lo sguardo cercai la fonte del rumore di vetro rotto, quando notai una signora che se la prendeva con uno dei fattorini. Ai loro piedi, una scatola che indicava chiaramente 'fragile'.

Fu quando spostai gli occhi di nuovo verso il camion che lo vidi. Indossava la t-shirt di una delle mie rock band preferite, aveva i capelli lunghi fino alla spalla ed uno starsbucks in mano. Guardava la scena sogghignando, e la prima e unica cosa che pensai in quel momento fu 'è bellissimo'.

Aveva i lineamenti più dolci del mondo, quasi femminili, i capelli neri che gli ricadevano sulle spalle si sposavano perfettamente con la sua pelle bianca come il latte. Aveva gli occhi così innocenti e profondi che avrebbe potuto commettere il peggiore dei genocidi senza ricevere alcuna accusa.

Il ragazzo si girò verso di me, regalandomi un sorrisone che per poco non mi stese, alzò la mano per farmi un cenno. Stordito e sorpreso, ricambiai veloce.

«Vieni ad aiutarmi, c'è un sacco di roba da mettere a posto» gridò la stessa donna che prima era furiosa col fattorino.

Il ragazzo mi regalò un ultimo sorriso veloce e si avviò in casa seguito a ruota dal padre. Mi ci vollero cinque minuti buoni per riprendere il controllo muscolare da quello che era successo qualche secondo prima.

 

Dopo scuola, tornai immediatamente a casa. Da un lato ero estremamente affamato, dall'altra ero curioso, o meglio, ansioso, di rincontrare gli occhi del ragazzo di stamattina. Infatti, appena arrivato, non potei fare a meno di buttare l'occhio verso la casa. Tutto normale. Un po' ci rimasi, mi rassegnai e andai a mangiare.

Io ero così.

Nello stesso istante che la mia schiena affondò nel materasso del mio letto, capii che ero troppo agitato per riposarmi. Feci un po' il pari e il dispari, ma alla fine mi alzai e decisi di andare allo skate park abbandonato che io e Ray, il mio amico, avevamo scoperto un paio di mesi prima. C'eravamo stati un paio di volte, poi l'avevamo completamente dimenticato quindi mi sentii più rilassato del fatto che nessuno avrebbe potuto trovarmi li.

Trovai quelle travi a forma di tubo giganti, evidentemente scaricavano materiali di questo tipo qui, nelle quali ti potevi infilare senza problemi, non so come si chiamano. Chissà da quanto tempo erano qui perchè appena mi infilai in una di queste, l'interno era segnato da bombolette spray di ogni colore. C'era scritto di tutto, disegnato di tutto. Dal viso di una bella ragazza, rovinato da peni vicino e sopra la sua faccia, ad alcune date, nomi, e perfino numeri di telefono. Mi sedetti all'interno facendo aderire la mia schiena allo spazio concavo mentre snodavo i miei auricolari e sceglievo una canzone da ascoltare per potermi rilassare a pieno. O quantomeno farmi passare questa assurda ansia.

Mi venne un'idea* che forse poteva sembrare qualcosa di scontato, ma per me era la scoperta del secolo. Mi cacciai gli auricolai in tasca e premetti il tasto play.

Come immaginavo, la musica si amplificò rimbombando per tutto il tubo. Era forse anche meglio degli auricolari.

Amavo la musica. Ma non quell'amavo scontato, io mi ci immergevo proprio come se fossi al mare e facevo un tuffo che mi spediva nel punto più profondo dell'acqua. Ecco, era proprio così, io facevo un tuffo nella musica, ma non sarei mai annegato, la musica era il mio salvagente. Si poteva quasi dire che mi tenesse in vita, ecco. Io ero così.

Mi lasciai trasportare più del dovuto, e mi accorsi di cantare solo quando cominciai a picchiettare il fondo del tubo per prendere il tempo giusto. Stavo così bene. In questi momenti, avvertivo un senso di libertà smisurata, mi sarebbe piaciuto poter condividere questa cosa con la gente. Forse Ray avrebbe capito, a lui piaceva molto la musica, ma al mio livello? Mh, ero un po' dubbioso.

Poi smisi di cantare, mi bloccai, tutto si fermò. Il tempo smise di scorrere, la vita, la natura, l'aria, tutto. Anche la musica. Tutto. Era come se lui avesse premuto il tasto 'pausa' solo per me. 

Lui, il ragazzo di stamattina, era . Non sapevo se fosse un allucinazione o meno.

Dov'era l'aria? Perchè non la sentivo più attraverso i miei polmoni? Mi sentivo di nuovo stordito.

Era affacciato al mio tubo a testa in giù, i capelli avrebbero quasi potuto toccare per terra e mi chiesi se non gli stesse andando il sangue alla testa. Ma lui era li, e sorrideva.

«Hey» disse semplicemente. Poi continuò «Allora eri tu che cantavi, hai una voce pazzesca.»

Dovevo avere la faccia da stupido, tipo bocca semi aperta e occhi a palla, perchè il ragazzo mi sventolò una mano davanti agli occhi.

«Ti ho spaventato? Scusa se è così» disse sorridendo di meno.

Negai con la testa e lui assunse un'aria pensierosa. Chissà che pensava, avrei dato qualunque cosa per saperlo. Poi, sparì. Sbattei le palpebre più volte e non c'era più. Un attimo dopo eccolo avanti a me, intento a sedersi nel tubo con me, nella mia stessa posizione ma dal lato opposto.

«Hey ma sai parlare?» chiese giocando con dei sassolini e guardandomi.

Cazzo, si che sapevo parlare! Ma non usciva alcun suono al momento. Okay, quindi il ragazzo di stamattina era qui di fronte a me. E quindi? Perchè ne facevo un affare di stato? Io ero così e dannazione, in questo momento non avrei voluto essere così.

«Forse ti ho disturbato.. in questo caso scusami, me ne vado.» Fece per andarsene, si alzò imbarazzato quasi, dandomi le spalle. Scossi la testa violentemente riprendendo finalmente la lucidità che avevo perso.

«No!» esclamai. Il ragazzo si voltò verso di me confuso, aveva i capelli che gli ricadevano sulla faccia. Okay, potevo sembrare benissimo un folle per come mi ero comportato, ma volevo rimediare. «Rimani pure» conclusi.

Con sguardo dubbioso, tornò a sedersi dov'era prima. «Allora parli» disse. Poi roteò gli occhi all'insù, e tornò a posare gli occhi su di me. Mi scatenò un brivido lungo la schiena. «Io sono Gerard.» sorrise. Era il sorriso più bello che avessi mai visto. Tipo quelli della pubblicità di dentifricio e neanche, perchè il suo li superava tutti.

«Frank.» risposi prendendo tutta l'aria che potevo. «Come conosci questo posto?» domandai provando a sorridere ed avere una conversazione decente.

«Non lo conosco, come hai visto stamattina mi sono appena trasferito. Semplicemente camminavo e ho sentito te.» disse.

Annuii. «Beh, allora ci vedremo anche a scuola no?» La scuola qui era l'unica in tutta la zona e qualsiasi ragazzo o ragazza era costretto a frequentarla, quindi più o meno si conoscevano tutti.

«Non frequento la scuola» rispose abbassando molto la voce e distogliendo lo sguardo. Capii che di qualsiasi cosa si trattasse, non voleva parlarne. Rispettiamo le scelte degli altri, Frank.

«Tranquillo» risposi rassicurandolo, e Gerard mi regalò un sorriso di ringraziamento.

Non mi accorsi neanche dell'ora di cena, quindi fui costretto a correre e Gerard pure poichè non ricordava la strada. Avevamo passato l'intero pomeriggio a chiacchierare di band, cibi, e molto altro. C'erano state delle cose alle quali aveva evitato di rispondere, ma lo capii. Magari troppo personali. Cioè, avrei dato il mondo per sapere tutto, ma mi misi nei suoi panni e mi sentii parecchio a disagio. Salutai Gerard con un cenno della mano mentre mi avviavo verso la porta di casa mia e lui ricambiò amichevolmente.

Aprii la porta della cucina trovandomi nonna seduta al tavolo con mamma.

«Mi dispiace, ho fatto tardi. Hey streghe» dissi affettuosamente «ancora a parlare delle solite cose?» dissi mentre mi andavo a prendere una mela. Non che avessi così fame, sarebbe stata la mia cena.

Non appena mi voltai, nonna, la quale prima rideva alla mia battutina, perse tutto il sorriso e mi scrutò bene in volto.

«Frank.. cos'è questa cosa che sento su di te? E' una sensazione.. strana. E come se.. non so, hai qualcosa addosso.» provò a spiegare mia nonna. Mia mamma si aggregò e mi trovai due paia di occhi che quasi mi consumavano. Era fottutamente fastidioso.

«Non so neanche di cosa stai parlando nonna, magari sono morto e non riesci ad accorgertene» usai tutto il sarcasmo possibile, ma lei non si mosse.

Ne avevo abbastanza per oggi, ero stanco, quindi andai a letto presto. Forse il giorno dopo avrei rivisto Gerard. Tranne per il fatto che era bello da farmi mancare l'aria ogni volta che lo guardavo. Tipo quelle persone che prima o poi si incontrano per forza nella vita.

Ad ogni modo, e senza volerlo, tornai alle parole di mia nonna. Perchè aveva detto una cosa del genere? Eppure io mi sentivo normalissimo.

Frank.. cos'è questa cosa che sento su di te? E' una sensazione.. strana. E come se.. non so, hai qualcosa addosso.

Dovevo avere paura?

 

 

*la parola proibita, piango.

 

Spazio Autrice:

Heeey people. Primo capitolo. Come vi sembra? So che può essere noioso, ma è necessario per la storia. Vi piacerà ne sono sicura.

Ringrazio quei tesori che leggono la fanfiction.
 

tsubaki. x

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Capitolo 3
*** CAPITOLO DUE. ***


Trust me.

 

I'll protect you.

 

 

 

 

Mia nonna era strana. Ma strana veramente. Continuava a ripetermi di non sentire più nessuna "traccia", così l'aveva chiamata quella sensazione strana su di me, ma non perdeva occasione per scrutarmi quasi a prosciugarmi, convinta che io non la notassi.

Avevo ben altro per la testa, Gerard.

Non l'avevo visto per i due giorni seguenti, e quel terzo giorno mi affacciai verso casa sua, pensando di voler andare a chiamarlo. Ma questo pensiero mi sembrò subito sbagliatissimo. Primo, non ero così in confidenza da andare a casa sua a proporgli non so neanche io che cosa, poi la sua casa non quadrava. Aveva un'aria così cupa, tranne per un paio di finestre aperte.

Era così frustrante essere soli, non avere quasi nessuno con cui uscire. Avere quasi una specie di "fobia" nel conoscere persone nuove. Io ero così, ma lo stesso non valeva con Gerard.

Chiamai Ray, tanto per fare qualcosa, ma la sua scarsissima dedizione allo studio lo aveva chiuso in casa per non rischiare di perdere l'anno scolastico. Fantasico, ora si che ero completamente solo. Ma non volevo comunque perdermi una bella giornata, quindi uscii di casa lo stesso.

La temperatura era gradevole, pensai che se fosse stata una giornata di pioggia l'avrei trascorsa in casa, in pigiama, con cibo e serie tv. Era il mio modo preferito di passare il tempo, ma approfittavo sempre delle belle giornate per prendere un libro e sedermi all'ombra di un albero. Ma stavolta non lo feci, non portai il libro, volevo camminare.

I miei pensieri erano piuttosto cupi, e passare il tempo da solo non aiutava di certo. Mi ero sempre sentito quello escluso, quello di troppo, quello che gli amici chiamavano solo quando non avevano altre possibilità. Eppure, non riuscivo a dialogare normalmente con nessuno, uscivano sempre suoni sconnessi, o non mi interessava minimamente la conversazione. Mi succedeva con tutti, tranne che con Gerard.

Ormai era diventato un chiodo fisso, Gerard, la normalità che avevo con lui mi spiazzava, perchè con lui sapevo comportarmi normalmente e con gli altri no?

Avevo la testa travolta dai pensieri, quando inciampai nelle radici di un albero del parco. Caddi con tutto il peso su un braccio e sentii un dolore allucinante, credetti di essermelo rotto. Andai a sedermi alla prima panchina che trovai, il mio umore si fece pessimo, e sperai vivamente di non incontrare nessuno per non comportarmi di merda.

Ovviamente, si sa che il destino è cattivo solo con me, perchè quando mi alzai per andarmene, ad alcuni metri di distanza vicino al laghetto, c'era Gerard accovacciato che giocava con le anatre. Non avevo mai visto una qualcosa di tanto dolce fino a quel momento. Lui non mi vide, ed io ne approfittai per andare via il prima possibile senza essere notato.

Avanti la porta di casa, bussai insistentemente ma solo dopo dieci minuti buoni capii che non c'era nessuno. I miei dovevano asolutamente mettere una chiave nascosta fuori casa, poichè io ora ero chiuso fuori.

Mi accovacciai sul gradino accanto lo stipite della porta portandomi il braccio al petto. Si, faceva un male cane, avevo veramente l'impressione di essermelo rotto, chiusi gli occhi e li riaprii di scatto quando una figura mi si piazzò davanti sporgendosi verso di me. Non mento quando dico che mi spaventai per poi provare a capire chi fosse, sperando fosse mia madre con le chiavi. Il braccio faceva ancora male.

Quando mi ero addormentato?

«Gerard, cazzo.» buttai fuori tutta l'aria che avevo trattenuto in quel momento.

«Ti ho spaventato?» chiese, mentre era palese che tratteneva le risate.

«Che ci fai qui?» stesi le gambe per poi alzarmi e stringermi il braccio al petto.

«Tornavo a casa e ti ho visto, cioè, in realtà speravo davvero di vederti..» io arrossì di colpo, immaginandomi chissà cosa volesse dire. Magari voleva uscire con me, magari voleva chiedermi qualcosa che.. «..perchè al parco mi hai ignorato? Cioè ti avevo visto e quando ti sei fermato a guardarmi me ne sono accorto, ma hai fatto finta di nulla. Mi eviti? Non siamo amici noi?» Rimasi di stucco. Mi sentii improvvisamente sudato e quasi a disagio. Evitare? Amici? Che stava succedendo? Perchè non capivo un cavolo in quel momento?

«Che hai fatto al braccio?» mi portò via dal momentanio blackout della mia testa.

«..E'-è per questo motivo che sono andato via, sono caduto e fa male.» risposi recuperando aria.

«Povero cucciolo» il mio cuore si fermò per un momento. «andiamo a sederci da qualche parte»

Finimmo allo skate park abbandonato dove ci eravamo conosciuti. Feci un po' di fatica ad entrare nel tubo, e come l'ultima volta Gerard giocava con i sassolini.

«Come mai oggi eri al parco?» Mi chiese d'un tratto.

«E' difficile da spiegare..» alzai gli occhi, e mi incatenai al suo sguardo che era in cerca di una risposta più dettagliata. «..la mia testa è un cumulo di negatività, di solito passo il tempo con un amico, ma aveva da fare con la scuola e quindi per non deprimermi sono uscito.» mi sentivo molto elettrizzato a parlare di me a Gerard. Lui abbassò lo sguardo e guardò verso tutto quel posto abbandonato.

«Ti capisco.. ah, mi manca la scuola.» nella sua voce c'era della nostalgia molto forte.

«Come mai non ci vai più?» Sapevo di aver premuto un tasto sbagliato, ma un amico può fare certe domande, no? Si prese un bel po' di tempo per rispondere.

«Fino a quando non ci siamo trasferiti qui, io la frequentavo. Dovrei essere al quinto anno.»

Lo guardai sperando in qualche spiegazione in più, e come se avessi parlato lui continuò.

«Preparati a sentire la vita di un ragazzo senza speranza» Rise, ma io annuii serio, si vedeva palesemente dagli occhi che non era una cosa semplice o bella per lui, e mi dispiaceva veramente dal profondo. Come se mi avessero colpito il braccio in quel momento.

«Mia madre non mi considera. Ovvero, qualche volta mi guarda, mi fissa, ma senza dire una parola. Lei prende dei medicinali particolari, che secondo me la rovinano di più. Una volta provai a nasconderglieli, dissi mamma, butto tutte le tue pillole, lei credeva stessi scherzando, immagino, perchè quando andò per cercarli io li avevo scaricati nel cesso già da un po'. Tutto è cominciato una sera, quando presi l'auto per andare a farmi un giro dato che ero arrabbiato proprio con i miei, quando tornai a casa, Mikey mio fratello, mi aprì la porta e mia mamma mi puntò lo sguardo addosso. Piangeva, e fu l'unica volta che mi rivolse un'emozione. Da quel momento in poi, sono sempre stato d'intralcio per lei. Mi evita, finge di non vedermi, e quando prepara da mangiare mi serve sempre il minimo indispensabile. Quando ci siamo trasferiti qui, le ho chiesto di iscrivermi a scuola, lei (probabilmente aveva preso le pillole) mi rise in faccia dicendo "ma certo che nooo Gerard, no, no, no.". Mio padre guarda mia madre come faccio io, con tristezza, e certe volte quando i nostri sguardi si incontrano, sono così chiari da rispecchiare i nostri pensieri. Ogni volta che rivolgo la parola a mia mamma, lei mi guarda e ride, come se non volesse sentirmi.»

Ero scioccato. Veramente era questa la vita di Gerard? Non la immaginavo, non potevo crederci, il solo pensiero di tutto questo causava dolore anche a me. Questo piccolo angelo venuto dal mio paradiso privato non poteva soffrire così tanto. Mi sentii così in dovere di fare qualcosa, qualunque cosa. Decisi istantaneamente che avrei fatto per Gerard qualunque cosa, sarei sempre rimasto al suo fianco. Non era molto per il momento, ma la tristezza che trasmetteva era troppa. Mi venne istintivo abbracciarlo, stringerlo, ma non lo feci. Volevo tanto abbracciarlo.

Il trillo del mio telefono fece sobbalzare entrambi, e quando dovetti tornare a casa, il dolore al braccio non sembrava neanche così forte. Forse, abbattuto dal dispiacere che provavo per Gerard.

Nessuno disse una parola fino a fuori le nostre case, la differenza era palese anche tra queste ultime; casa mia illuminata, con cespugli e la porta verniciata rigorosamente di rosso, casa di Gerard era buia, solo una luce proveniente da quella che sembrava la cucina.

Sorrisi a Gerard, che ricambiò, e mi avviai verso casa. Stavo per aprire la porta quando..

«Frank!» Mi voltai di scatto verso Gerard. «Puoi promettermi essermi accanto sempre? Non voglio più essere solo. Sei l'unica persona su cui, da oggi, conto davvero

Tornai indietro avviandomi verso di lui e lo abbracciai. Lo strinsi come avevo voluto fare, non mi importava del dolore al braccio, lui ricambiava l'abbraccio e allora tutto il mondo poteva farsi fottere, poichè la sua pelle fredda era il posto più accogliente del mondo. Odorava di dolce, tipo zucchero filato o marshmallow, sigaretta e caffè. Era il profumo più buono del mondo.

«Fidati di me.» gli sussurrai.


**


Angolino per me(?);
Ma quanto fa caldo? QUANTO. 
Mi dispiace non aver aggiornato prima, but il caldo mi prosciuga tutte e energie.
anyWAY, il capitolo non mi piace molto a dire il vero, l'ho scritto un po' troppo velocemente, non saprei.. Però se vi piace (spero di si aww) me la lasciate una piccola PICCOLISSIMA recensione qui sotto? 'accie aw.
Vaado a guardare Sherlock yup, al prossimo capitolo byee. 


xtsubaki

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