After the Story Era

di threesmallcrows
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Original work: After the story era by threesmallcrows
Translation by shirangel
 
 
After the Story Era
 
«Quando hai dieci anni li chiamano amici immaginari. Roba da bambini.»
L’oscurità di Izaya è più profonda rispetto al banale velluto nero della notte, è un giro di valzer fatto di strati su strati di morbida pelle, su cui le luci drappeggiano i loro neon. Ormai Shizuo non è più tanto ingenuo da chiedergli se sta parlando alla città intera o solo con lui.
«Quando hai vent’anni invece dicono che sei pericoloso, che sei un folle, ti danno perfino del genio, e diventa tutto molto sexy e divertente.» 
Un passo, due passi. Cammina avanti e indietro come un gatto.
«Poi però compi trent’anni e – bam!» Izaya inclina la nuca, puntandosi l’indice sul mento come se fosse il grilletto di una pistola «Ti diagnosticano una malattia mentale e cominciano a imbottirti di pillole.»
Shizuo si appoggia alla porta vicino alla tromba delle scale e non sa nemmeno lui chi commisera di più. È stanco e vuole andare a casa. Oggi sono già successe tante, troppe cose.
«Qual è il punto?»
«Non lo so» il suo sorriso è affilato a trent’anni come lo era quando ne aveva venti, e come quando – Shizuo ne è sicuro – ne aveva dieci «Consideralo uno studio sui punti di vista.»
 
*
 
Shizuo ha compiuto trentadue anni il mese scorso e questo significa che ha trascorso più di metà della sua vita, salvo brevi pause, facendo sesso di vario genere con Izaya. Questa considerazione è così allarmante che la mattina del suo compleanno passa tre interi minuti a guardarsi stupidamente le mani, alla debole luce invernale che filtra dalla finestra della loro cucina.
In qualche modo sente che non sarebbe dovuto sopravvivere così a lungo. Almeno non senza qualche cicatrice in più.
Certo, succede ancora che torni a casa grondando sangue. Quei giorni Izaya si mette a ridere e non la smette più, si prende gioco di lui e lo spoglia al tempo stesso, mentre lo ricopre di insulti e di bende.
«Dieci anni fa avrei ultimato il lavoro con qualche coltellata. Shizu-chan mi sta trasformando in un buon samaritano» si lamenta, stuzzicando sapientemente il fianco di Shizuo.
«Io non c’entro niente.»
«Ne sei sicuro?» la lingua di Izaya fa capolino dall’angolo delle labbra, tanto è concentrato «Mi ci vedi a fare queste cose per qualcun altro?»
Shizuo pensa che, effettivamente, non ha tutti i torti.
Finisce per somigliare alla vittima di un bombardamento di carta igienica. Sospirando strattona l’orlo di una fasciatura che sta già cominciando a sfasciarsi.
«Posso chiamare Shinra e farmi medicare come si deve, adesso?»
Izaya si esibisce in una delle sue smorfie di disappunto e se ne va in cucina a tenere il muso. Shizuo decide di interpretarlo come l’implicito permesso di telefonare a Shinra.  
 
*
 
Una volta pensava che avere una relazione significasse parlare. Probabilmente la maggior parte delle coppie lo fa, ma Shizuo è giunto alla conclusione che lui e Izaya hanno veramente poco in comune. Non parlano dei loro sogni o della loro infanzia o di che tonalità dipingere le pareti del salotto. Izaya non gli chiede mai nulla del suo lavoro (probabilmente pensa di sapere già tutto, quel bastardo arrogante), e Shizuo se ne frega del lavoro di Izaya. I loro gusti in fatto di cibo, film o serie tv non potrebbero essere più diversi, non hanno gli stessi valori morali né condividono le stesse conoscenze. A detta di tutti, hanno personalità quasi diametralmente opposte.
Sotto molti punti di vista si comportano ancora come due scapoli che hanno casualmente affittato lo stesso appartamento ma non si sono accorti di non vivere da soli. Il lavandino della cucina è quasi sempre un disastro ed è già successo che Shizuo si svegliasse per il frastuono della porcellana infranta e il forte “oops!” di Izaya. La sfida a chi si arrende per primo e sbriga le faccende domestiche va sempre per le lunghe e per quanto è intensa ricorda a Shizuo una versione meno violenta delle guerre che si dichiaravano al liceo.  
«Shizuo.»
«Cazzo vuoi?» 
«Fanculo il tuo cazzo vuoi. La vasca da bagno è letteralmente invasa dagli scarafaggi. Penso stiano prendendo il the o qualcosa del genere. Sarebbe perfino affascinante, se non fossero così disgustosi.»
Shizuo alza le spalle. «E allora?»
«E allora?» gli fa eco Izaya.
«Dormo già con una pulce, no?» gli fa notare, e torna dritto a dormire.
Quando si sveglia mentre Izaya gli sta depositando uno scarafaggio sulla faccia (“guarda, adesso puoi dormire anche con loro!”) lo insegue per dieci minuti per tutto l’appartamento, prima di tirare fuori l’insetticida spray. Izaya gli sorride malevolo e se la svigna dalla porta principale.
Eppure in qualche modo si adattano l’uno all’altro, tutti i loro spigoli frastagliati si allineano con una precisione da togliere il fiato, come due tessere dello stesso puzzle. Non si tratta tanto dell’andare d’accordo, dato che Izaya litigherebbe con lui per i pretesti più insensati. È più una questione di capirsi a vicenda, forse. Un legame con un’altra persona che rifiuta di essere spazzato via da qualcosa così insignificante come il tumulto passeggero di infiniti diverbi, anche se quasi sempre finiscono entrambi per avere la bava alla bocca.
E il sesso, ovviamente, è qualcosa di stupefacente. Ogni volta il viso nei suoi sogni proibiti è quello di Izaya, ma in realtà è solo il corpo accanto al suo ad avere un po’ di calore.
Non ha la stoffa del conquistatore, eppure quei brevi momenti in cui Izaya decide che mostrarsi arrendevole non è troppo male accendono qualcosa dentro di lui. Gli piace coglierlo di sorpresa mentre dorme, o quando è stanco morto, o – molto, molto raramente – quando è ubriaco. Gli piacciono le riflessioni confuse e sconclusionate che elabora la mattina presto, durante le ore in cui Shizuo sa che è più vulnerabile, mentre vaga per la casa in preda ai brividi perché addosso ha solo una maglietta troppo larga, e pungola il tostapane con le sue dita piccole e impacciate finché alla fine (e non ci vuole molto, perché al lavoro Izaya ha la pazienza di  un generale, ma in privato quella di un lattante) sgattaiola a passo felpato nella loro camera da letto e scuote Shizuo per le spalle, imponendogli di alzarsi perché “quello stupido coso fa di nuovo le bizze” («Non hai attaccato la spina alla corrente, idiota» «Oh» «Gesù, sono le sei e un quarto» «Lo so, Shizu-chan, ce l’ho anch’io un orologio»).
Sorprendentemente Izaya è un imbranato, per certi versi. Certo, corre e combatte e scopa abbastanza bene, ma nonostante le apparenze non è un granché con il coltello, e la maggior parte delle volte se la cava sventolandolo in giro e sfoderando le sue espressioni minacciose. Una volta ha perfino detto a Shizuo che non riuscirebbe a centrare un bersaglio con la pistola nemmeno se ne andasse della sua stessa vita. Si veste senza badare alle condizioni atmosferiche, qualche volta sembra addirittura incapace di distinguere tra estate e inverno. Quando è alle prese con un incarico interessante spesso si scorda di mangiare, di lavarsi i denti, di dormire. Non realizza di dover prendere le medicine quando si ammala, e non capisce che si ammala perché non indossa vestiti abbastanza pesanti. Shizuo ha visto con i suoi stessi occhi quel manipolatore compulsivo sbattere il naso contro qualsiasi tipo di ostacolo, mentre messaggia freneticamente con il suo piccolo esercito di cellulari. Qualche volta pensa che Izaya veda il modo attraverso uno specchio immerso nell’oscurità, come un bambino che sbircia il riflesso proiettato dalle lenti della sua immaginazione. Non ha mai incontrato una creatura tanto radicata nella sua stessa mente, una persona i cui sogni a occhi aperti sembrano coincidere con la realtà solo per caso.
Purtroppo non è solo questo. C’è anche la paranoia – una consapevolezza fin troppo profonda di ogni metro quadrato che lo circonda. Plasma i suoi stessi mostri per quando non ce n’è nessuno in giro, tinge maldestramente il mondo di color arancione-pericolo.
«Saresti paranoico anche tu, se sapessi la metà delle cose che so io sulle persone» gli fa notare «È una qualità, non un difetto – sì, lo so che fa rima con insetto, ma niente battute scontate, per favore. Non mi disturbo neanche a rispondere a simili idiozie.»
«D’accordo… pulce
«Mi raccomando, Shizu-chan, non cambiare mai.»
Col senno di poi tutto questo non era altro che un segnale d’allarme.
 
*
 
È strano, ma a Izaya piacciono le coccole. C’è il sesso, certo (a dir la verità Izaya ne è un tantino ossessionato) ma esita sempre un po’ quando si tratta di fare la prima mossa, quasi fosse un cane. A volte, quando se ne sta seduto al piccolo tavolo in cucina, Izaya arriva e piazza il suo culo ossuto sopra di lui, con tanta naturalezza che Shizuo si chiede se lo abbia scambiato per una sedia.
 Altre volte uno spigoloso peso morto si piazza dritto sul suo grembo. Izaya sogghigna leggendo qualche SMS e poi dice «Qualcosa sta brontolando, e non è il mio stomaco.»
«Fuori dalle palle.»
Izaya gli dà una pacca sulla coscia, un po’ troppo vicino all’inguine per non avere l’intento di provocarlo.
«Ma le tue cosce sono così comode…»
«Comode
«Ooops. Non dovrei dare della cicciona alla mia ragazza.»
Se non è questo, allora sono i suoi piedi freddi come il ghiaccio che gli calciano le caviglie sotto le lenzuola, o una mano che sguscia nella tasca della sua giacca, o l’abitudine davvero insensata di spiarlo mentre se ne sta appeso alla sua schiena come la peggior coperta del mondo – e anche quella più attorcigliata.
«Almeno prendi qualche chilo. I tuoi gomiti potrebbero uccidere qualcuno.»
«Mi piacciono i miei gomiti, grazie» lo rimbecca, piantandone uno nella spalla di Shizuo come se stesse cercando di aprirlo in due «E non voglio diventare grasso» sorride al suo fantasma riflesso nel vetro scuro dello sportello del microonde, pavoneggiandosi spudoratamente «Sto bene così.»
«Non importa a nessuno, Izaya.»
«Importa a me, ed è questo che conta. Non ingrassare, Shizu-chan.»
«Perché? Mi lasceresti?»
«Ti lascerò quando mi andrà di farlo.»
«Non hai risposto alla domanda.»
«Se Shizu-chan sopporta i miei gomiti, io sopporterò i suoi addominali d’acciaio.»
«Che cazzo significherebbe?»
«Dico sul serio, è come dormire con la testa appoggiata a un mucchio di sassi. Non mi meraviglia che la mattina abbia sempre il mal di testa.»
«Hai il mal di testa perché fai orari di merda.»
Il tocco leggerissimo delle sue labbra, curvate insolentemente attorno all’orecchio di Shizuo.
«E di chi credi che sia la colpa?»
 
*
Il fatto è che Izaya non sta propriamente bene.
Certo, parla sempre un sacco, è una fonte di rumore costante estremamente fastidiosa, ma la prima volta che Shizuo lo sorprende a parlare con qualcuno di invisibile (e che non è lo stesso Izaya) la paura è lì in agguato, come un pugno stretto attorno al suo cuore in tumulto.
«Vattene.»
Shizuo si guarda in giro.
Izaya è nell’altra stanza, da qualche parte fuori dalla sua visuale. Cinque minuti fa stava chiacchierando da solo mentre guardava i cartoni animati, e Shizuo stava come sempre cercando di ignorarlo, ma quella sola parola, tanto seria ed esasperata, si propaga nell’aria e lo cattura come fosse un amo da pesca, strappandolo a forza dal suo baricentro.  
Shizuo aggrotta le sopracciglia e si immobilizza.
Appena un secondo dopo: «No. Io…» una lunga pausa, così lunga che Shizuo quasi torna a scervellarsi sulla sua dichiarazione dei redditi. Però poi: «Perché dovrei? Lui non c’entra niente» altra pausa «Quello che dici non ha senso. Adesso vattene da qualche altra parte.»
Di nuovo silenzio. Lentamente, Shizuo si alza in piedi.
«Forse. Ma non sono affari tuoi.»
Scivola nell’altra stanza in punta di piedi. Izaya è seduto sul divano e gli dà la schiena. Sta fissando lo spazio vuoto alla sua destra. Gli sta rispondendo, come se ci fosse qualcuno. Shizuo ha già visto cose del genere nei film, ma trovarle nella vita reale fa gelare il sangue. Gli formicola il collo e tutto sembra squillare come tanti campanelli d’allarme.
«Izaya» comincia, prudente, senza la minima idea di cos’altro dire.
Izaya si volta verso di lui, ed è la sua espressione di totale stupore, anche se dura meno di un istante, a convincere Shizuo che questo non è uno dei suoi soliti giochetti.
Poi la confusione se ne va e gli mormora «Hm?» con fare del tutto innocente.
«Con chi stavi parlando?»
«Cosa?» sembra infastidito. Dopo un secondo, mentre Shizuo continua a fissarlo, dice: «Parlavo da solo. Non dirmi che non ti ci sei ancora abituato.»
«Sembrava che stessi parlando con qualcuno.»
«A meno che tu non stia suggerendo che c’è qualcuno nascosto sotto il divano, non vedo davvero come sia possibile.»
Shizuo lascia perdere, ma se ne accorge di come gli occhi di Izaya guizzino attorno a quel certo punto sopra il divano – come se stesse evitando lo sguardo di qualcuno.
 
*
Shinra e Celty si sono sposati tre anni fa. Anche se a Shizuo di solito non piace impicciarsi negli affari altrui trova affascinante lo sviluppo della loro relazione, magari perché hanno tracciato una rotta totalmente diversa rispetto a quella in cui si trovano lui e Izaya. 
Il loro è un amore da “e vissero per sempre felici e contenti”, con tanto di goffi approcci alla vita domestica e tutto il resto; Celty ha il corpo di una Dullhan, ma il cuore di una donna, e Shinra è il suo personalissimo Romeo – anche se un po’ fuori di testa. Loro ci stanno provando sul serio, mentre il meglio che si può dire di lui e Izaya è che tirano avanti, ma sembrano due reclute allo sbaraglio in un campo minato: agitati, poi un po’ meno nervosi, con il battito cardiaco che decelera quando non si sente nessun’esplosione. 
Shinra e Celty sono gli unici rimasti a poter essere definiti “amici in comune” tra lui e Izaya, e come tali rappresentano il solo punto di vista esterno sulla loro relazione ad avere qualche rilevanza. Celty trova ancora strano che stiano insieme. A Shinra invece piace sostenere che lui l’aveva previsto fin dall’inizio, ma nessuno sa se dice sul serio.
Sabato pomeriggio Shizuo si trova nel loro appartamento. Ha diversi piani, è elegante e spazioso, e non potrebbe essere più lotano dalla sua piccola tana angusta. Il crescente tasso di criminalità, con cui tutti i conduttori televisivi continuano a banchettare, di certo non ha fatto male al portafogli di Shinra. Negli ultimi tempi il suo giro di affari si è ingrandito tanto che l’entrata sul vicolo si è trasformata in un ingresso secondario.  
«Almeno non devo più asportare fegati» ride, e Shizuo preferisce credere che stia scherzando.
Chiacchierano del più e del meno, ma non ci vuole molto prima che Celty gli sventoli il telefono sotto il naso. 
[Qualcosa ti preoccupa, non è così?]
Shizuo alza le spalle. «Izaya ha qualche rotella fuori posto?»
Shinra ride. «Mio caro, se non te ne eri ancora accorto…»
«Non parlo delle sue stranezze. Intendo… se è pazzo sul serio.»
«Shizuo-kun, Izaya è un sociopatico e un megalomane, soffre di paranoia e forse anche di disturbo borderline della personalità» Shinra li conta sulla punta delle dita come se stesse spuntando le diverse voci della lista della spesa «È pazzo sotto tutti i punti di vista.»
… beh, non che non lo sapesse.
«E va bene lasciarlo così?»
«Non ha mai chiesto di assumere farmaci, e di certo non spetta a me proporglielo. Perché, è successo qualcosa?»
«No» dice Shizuo «Stavo solo pensando.»
 
*
 
Dopo il primo incidente per un po’ non succede nulla di strano – beh, strano secondo gli standard di Izaya. Per quasi un mese Shizuo lo vede a malapena. La città è inquieta come se avesse disturbi di stomaco; al lavoro origlia pettegolezzi su una nuova e spietata organizzazione che si sta insediando nel quartiere come una nuvola in un giorno di sole. Sembrano esserci più incidenti stradali del solito e la TV non fa che parlare di estorsioni, rapimenti, persone che scompaiono nei vicoli per poi ricomparire dopo qualche settimana, sottoforma di arti assortiti impacchettati in una scatola con tanto di fiocco rosso. Izaya si fa vedere solo a tarda notte quando si prende il disturbo tornare a casa; si rifocilla di sesso e poi, come la nebbia sulla baia di Tokyo, sorge e tramonta prima che lo faccia il sole. Shizuo non ha dubbi che ci sia lui dietro tutto quel putiferio e se ne tiene bene alla larga: solo perché ci va a letto regolarmente non significa che vuole sapere qualcosa dei suoi loschi affari. In cambio la loro casa, come se fosse stata contrassegnata con sangue d’agnello, non rischia di essere coinvolta.
Le cose continuano così fino al giorno in cui si rifiuta di riconoscere la sua esistenza.
Shizuo dice basta quando Izaya si volta di scatto verso di lui come un serpente che attacca una preda (dopo averlo ignorato per tre fottutissime ore e mezzo) e sibila «Vattene. So che non sei reale».
 Serra una mano attorno al suo polso e lo trascina di peso a casa di Shinra. Stranamente, una volta che sono fuori dall’appartamento Izaya non oppone resistenza, e Shizuo non vuole saperne il motivo – magari perché Izaya, presupponendo che lui sia invisibile, vuole che gli altri lo vedano muoversi di sua spontanea volontà.
 Quando Shinra apre la porta e dice «Shizuo-kun, cos-» Izaya mostra un’espressione che scatena qualcosa di molto simile alla paura nel petto di Shizuo.
Seduto sul divano di Shinra, Izaya si sente nervoso e irritato, e questo si traduce nel suo ghigno da Stregatto assai poco cooperativo, con tanto di risate da maniaco e muraglie di filo spinato issate tutt’attorno all’orlo del precipizio. Alla fine Shinra butta fuori Shizuo e gli dice di tornare più tardi.
Più tardi” diventa “svariate ore”, in cui Shizuo deve aspettare nervosamente davanti a un’edicola sulla strada, con il tramonto che contro i suoi occhi sembra affilato come un rasoio, nonostante indossi gli occhiali da sole. Izaya esce solo quando sono emerse anche le ombre, e trenta minuti dopo sta danzando sul cornicione del tetto mentre riflette sui punti di vista.
Shizuo lo ascolta con un orecchio solo. Tutto ciò che riesce a sentire, una presa in giro dopo l’altra, è schizofrenico, schizofrenico, schizofrenico…
 
 
Citazione del giorno: «Se Shizu-chan sopporta i miei gomiti, io sopporterò i suoi addominali d’acciaio.»
Izaya, caro. Se a te fanno tanto schifo posso dormirci sopra io, eh. Mi sacrifico per la causa.

Note della traduttrice: Questa è la traduzione della prima di tre parti di "After the Story Era". Secondo me questa fanfiction è un capolavoro e spero che la mia traduzione riesca a renderle giustizia e possiate anche voi apprezzare questa meraviglia di storia. Una volta finita la pubblicazione tradurrò i commenti per l'autrice, quindi vi invito a lasciare due parole per dire cosa ne pensate <3
PS: Ho la mega paranoia che non si capisca che la prima e l'ultima parte sono collegate. In inglese si capisce, ma il collegamento non è immediato, e temo che nella traduzione il senso si sia perso (?). Comunque sia, l'inizio in cui Izaya sproloquia di amici immaginari e pasticche, si svolge dopo che sono andati da Shinra, mentre si diverte a ballare il walzer sui tetti.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Original work: After the story era by threesmallcrows
Translation by shirangel
 
 
After the Story Era
 
Il mattino seguente porta con sé uno di quei rari giorni in cui i loro orari casualmente coincidono. Izaya entra in bagno a passo di valzer, spinge Shizuo contro il lavabo con un colpo di bacino ed estrae due enormi pillole arancioni da un blister.
«Dio» si lamenta, mentre tossisce e beve un sorso d’acqua dalla tazza di Shizuo «Perché diavolo devono farle tanto grandi? Non ce la faccio a ingoiare qualcosa di così grosso.»
Shizuo alza un sopracciglio e Izaya gli lancia un’occhiataccia.
«Non guardarmi così. Quello è un’eccezione. È tutta forza di volontà» lancia la confezione dentro l’armadietto, sbattendo lo sportello un po’ troppo forte mentre lo chiude «Fai la doccia con me?»
«Devo essere al lavoro entro mezz’ora.»
«Come se il tuo lavoro contasse qualcosa.»
«Di sicuro più del tuo culo ossuto.»
«Di sicuro» sbuffa Izaya, scivolando fuori dai pantaloncini da ginnastica e dalla vecchia maglietta che ha sgraffignato a Shizuo – quel maledetto non indossa mai i suoi fottuti pigiami. Si schiaffeggia il sedere con la mano esile e lo avverte: «Se sprechi l’occasione di farti un giro su questa bellezza anche una sola volta, lo rimpiangerai per tutta la vita.»
«Se vuoi parlare di cose che rimpiangerò per tutta la vita possiamo parlare di te.»
«Carissimo Shizu-chan, non so proprio come riesco a sopportare i tuoi pessimi modi di prima mattina. Oh, aspetta. Non li sopporto» chiude la porta della doccia con un calcio e comincia a miagolare una canzone pop a tutto volume, come se stesse cercando di sovrastare lo scroscio dell’acqua con la sua voce.
Col senno di poi, la facilità con cui Shizuo si lascia raggirare è fottutamente imbarazzante. Ormai dovrebbe aver imparato a gestire queste cose, convivendo con una vipera del genere; in fondo, è sempre il solito trucchetto.
Ma Izaya è dannatamente bravo a recitare.
Shizuo riporta a casa un po’ di sushi otoro per cena.
«Tieni.»
«Mh, no.»
Shizuo solleva subito lo sguardo dal suo piatto.
«Tu vai pazzo per la ventresca di tonno» osserva.
«Shizu-chan mi fa sembrare un ingordo» sospira Izaya «Sono le…» fa un gesto vago con la mano.
«Medicine?»
«Uno spiacevole effetto collaterale» Izaya torna alle sue scartoffie, spingendosi gli occhiali sul naso come il fottuto nerd che è «Beh, come direbbe il nostro strampalato dottore, per la scienza questo e altro
Se c’è qualcosa di scientificamente provato è che Izaya con gli occhiali è davvero arrapante. Quando Shizuo si alza per portare fuori la spazzatura la mano gli scivola attorno alla curva dei suoi fianchi.
«E di questo che mi dici?» chiede a bassa voce.
Izaya si mette a fare le fusa.
«Nessun effetto collaterale» sorride, alzando lo sguardo su Shizuo.
È fottutamente oltraggioso. Come se bastassero un paio di sorrisi lascivi e qualche nottata insieme per farlo contento e tenerlo all’oscuro di tutto, neanche fosse un toro da allevamento in calore.  
Eppure quel presentimento sbuca fuori dal nulla solo il settimo giorno. Mentre Izaya non c’è Shizuo prende il blister dall’armadietto e ne estrae una pillola. È… beh, se ne sta li e gli sembra innocua, grossa e arancione com’è. Non ha idea se sia qualcosa di diverso da quello che dovrebbe essere.
Quella notte la porta da Shinra. Il dottore apre la porta, dà un’occhiata a quello che ha in mano e trattiene un sospiro.
«Mi sorprende che tu non sia venuto prima.» 
 Dopo trenta minuti in laboratorio gli comunica il verdetto: pillola placebo. Togliendosi i guanti di plastica Shinra lo rimprovera come un insegnante deluso.
«Pensavi davvero che sarebbe stato così semplice?» 
Ed è questo il punto, vero? Con Izaya non può mai essere semplice.
Perché ovviamente non torna a casa quella notte e nemmeno quella successiva, e a quel punto Shizuo capisce che lui sa, e che si sta nascondendo in quella topaia del suo ufficio a Shinjuku o in qualche hotel nel vasto mare di luci che è Tokyo. Qualsiasi cosa per evitarlo, qualsiasi cosa per sfuggirgli.
Purtroppo per lui gli va male, perché Shizuo ha il naso di un cane, l’intuito di un lupo e la fredda concentrazione di un missile. Gli ci vuole un giorno intero per rintracciare l’odore del corpo che era solito curvarsi tanto dolcemente sotto il suo, ispezionando le strade una per una come faceva sempre ai tempi della Raira.
Izaya è nel bel mezzo di un incontro quando Shizuo lo raggiunge, e ormai la puzza di guai in fermentazione ha appestato l’intero vicolo. Quando Shizuo calcia la porta fuori dai cardini le altre persone schizzano in piedi dallo spavento, ma Izaya si limita ad appoggiarsi allo schienale della sedia, pizzicandosi la radice del naso.
«Shizu-chan, ti ho già detto di non interrompermi mentre lav-» 
 Lo scontro successivo sembra uscire dritto dritto dai loro vent’anni. Izaya a un certo punto tira fuori il coltello e Shizuo ringhia: «È stato uno di loro a chiederti di farlo?» 
A quanto pare è la cosa peggiore che potesse dire. Izaya balza verso di lui e gli colpisce di striscio il braccio, generando un esile arco scarlatto.
«Sono io a odiarti» sibila, e la sua voce è come acido «Quando ti guardo lo faccio con i miei occhi. Quando ti scopo è una mia scelta. E il giorno che ti ucciderò non dire che è stato qualcun altro: sono io. Sono sempre io.»
«Come fai a esserne tanto sicuro?»   
Izaya scoppia a ridere e conficca uno dei suoi coltelli nella malta indebolita dagli anni, tanto in profondità che la lama affonda tra i mattoni per almeno cinque centimetri.
«Shizu-chan pensa di conoscermi bene.»
«Non ti lascerò scappare.»   
Un attimo di esitazione. Grazie al lungo allenamento Shizuo legge le intenzioni di Izaya dalla curva delle sue gambe e scatta in avanti, però anche così riesce a malapena ad agguantarlo per la manica.
Izaya cerca di scivolare fuori dal cappotto come un serpente che fa la muta, ma prima che ci riesca Shizuo ha già afferrato il suo polso. Izaya sposta i suoi occhi castano scuro su di lui ed è come ricevere un colpo d’arma da fuoco.
«Lasciami.»   
 Un secondo dopo un coltello sta sfrecciando verso il suo stomaco. Shizuo afferra il pugno di Izaya e lo torce facilmente; adesso che è riuscito a prenderlo l’esito della battaglia è già deciso. Izaya riesce a resistere solo un paio di secondi prima di lasciare la presa sul coltello.
A quel punto si mette in mezzo un povero, incauto poliziotto, senza dubbio convocato dalla folla di passanti spaventati raggruppata a distanza di sicurezza.
 «Ehi, cosa sta succedendo qu-»
«Fuori dalle palle» ringhia Shizuo, nello stesso momento in cui Izaya miagola «Mi aiuti», con una vocetta implorante così ipocrita da fargli venire da vomitare.   
Venti secondi dopo Shizuo è schiacciato a terra con un’arma puntata alla tempia. Da laggiù Izaya gli appare come un’ombra altissima, ma dopo quella visione un paio di vecchie scarpe si abbattono pesantemente sul suo zigomo.
«Ehi» sente dire al poliziotto «Basta così. Si allontani da lui, signore.»   
Izaya obbedisce – dopo un’ultima, vendicativa spinta del piede.
«Stammi lontano e saremo entrambi più felici» dice, prima di sparire dal campo visivo di Shizuo.
 
*
 
[Cosa farai?]
Dopo il rilascio su cauzione sono andati nell’appartamento di Shinra. Shizuo stuzzica nervosamente il braccialetto elettronico sulla sua caviglia. Probabilmente riuscirebbe a strapparselo di dosso, ma Shinra lo avverte: «Non farlo in casa mia. L’ultima cosa che mi serve è che la polizia insegua anche me» così lascia perdere – per il bene di Celty, principalmente.
«Non lo so. Non posso lasciare le cose come stanno.»
«Non vedo cosa tu possa fare» dice Shinra dalla cucina «Izaya-kun potrebbe essere ovunque, ormai.»
Shizuo ringhia e strappa una larga striscia di pelle dal divano. Shinra emette un flebile sospiro di dolore.
«Perché cazzo deve sempre scappare?»
«Non lo sai? Sempre per il solito motivo.»
 
*
 
Di qualsiasi motivo si tratti, da quel giorno Shizuo non rivede Izaya per due mesi. Questa volta si è nascosto meglio, più in profondità, come un ratto rintanato nel suo nido. Secondo Shinra ha già lasciato il Giappone. Per quanto ne sa Shizuo, potrebbe essere a Osaka o sulla fottuta luna.
Sa che sta ancora tenendo d’occhio Ikebukuro, dato che le accuse a suo carico e le richieste di comparizione in tribunale in qualche modo spariscono poco dopo essere state emesse. Il braccialetto elettronico gli viene rimosso in un tramestio di confusione burocratica, ma Shizuo non è così ingenuo da pensare che si tratti di una coincidenza. In quella parte della città le coincidenze hanno sempre portato il nome di Izaya Orihara.
È frustrante da morire, eppure tutto ciò che Shizuo può fare è andare avanti. Arranca attraverso l’estate, forse fumando un po’ più del solito, ma almeno la casa è tranquilla – anche se ora tutto quel silenzio gli sembra solo inquietante.
Quando Izaya ritorna lo fa senza avvertimenti di alcun genere. Semplicemente un venerdì sera, dopo un paio di drink con gli amici, Shizuo apre la porta dell’appartamento e lo trova seduto al tavolo della cucina, più serio di quanto lo abbia visto da molto tempo.
Sta giocando con una bottiglietta rigirandosela ancora e ancora e ancora tra le mani, mentre le pillole che contiene sbatacchiano ritmicamente, quasi a ricordargli di cosa hanno parlato l’ultima volta che si sono visti.
Ovviamente non offre nessuna spiegazione sul perché sia tornato – come sempre è impossibile capire quello che gli passa per la testa. Ma Shizuo si accorge che quei due mesi sono stati inclementi con lui; la sua magrezza si è acuita fino a snudare le ossa sotto la pelle, le sue occhiaie sono più profonde e l’ombra morente di un livido gli tinge lo zigomo.
«Ci ho pensato. Sarebbe più divertente se lo facessimo in due.»
Shizuo getta lo sguardo sulle pillole. «Se credi che prenderò-»
«Umh, vediamo. Dunque, io…» si sfiora il labbro inferiore «Io ne prendo una al giorno e tu smetti di fumare. Che ne dici?»
Non è quello che Shizuo si aspettava. Quando non risponde Izaya si alza e gli infila una mano nella tasca della giacca, prende il pacchetto di sigarette e lo sbatte con forza sul tavolo.
Guardando la confezione Shizuo chiede: «Qualcosa ti ha fatto cambiare idea?»
Izaya fa una smorfia. «Non esattamente. Mi annoiavo e basta.»
Probabilmente è l’unica spiegazione che otterrà mai. In tutta onestà avere a che fare con Izaya è come viziare il lattante più pericoloso del mondo.
«Ci sto» dice.
«Bene.»
«Adesso.»
«Cosa?»
Shizuo indica le pillole. «Cominciamo, no? Prendi la prima.»
Izaya lo guarda con un’espressione a metà tra il sospetto e l’evidente impulso di picchiarlo. Tira fuori la lingua, ci posa una pasticca e l’inghiotte senza fare una piega.
«Cominciamo» dice.
 
*
 
Non fumare lo sta uccidendo. Più di una volta Shizuo è tentato di barare. Izaya giura che sarà in grado di scoprire dall’odore se lo fa, ma andiamo, sarebbe davvero possibile? Eppure si ritrova ad arrendersi all’infantile modo di pensare di Izaya – non può barare, sono le regole. Quindi non lo fa, e la scatola di pasticche continua a svuotarsi giorno dopo giorno.
Giorno dopo giorno…
Il problema, quando vivi con qualcuno come Izaya, è che finisci per assomigliare ai vicini di casa del bambino che gridava al lupo. Izaya anche nei giorni buoni è un vortice di verità difficilmente credibili, elaborate fantasie e bugie sparate a raffica. A volte è serio mentre lo prende in giro, a volte lo prende in giro mentre è serio.
Perciò, quando due settimane dopo l’accordo Izaya passa una giornata disteso nel buio, fissando il muro della loro camera da letto, è molto difficile capire se sta solo esagerando o se sta cercando di punire Shizuo o se non se la sente di muoversi e basta, oppure se sia davvero – davvero – colpa delle medicine.
Shizuo esita sulla porta, se ne va, torna, se ne va, prepara rumorosamente da mangiare in cucina, troppo per una persona sola. Esita.
«Vattene, Shizu-chan» la voce di Izaya è spenta e piatta, uno specchio rivolto a una stanza vuota «Sto cercando di dormire e tu fai troppo rumore.»
Fa un passo indietro.
«Vuoi qualcosa da mangiare?»
Non risponde.
Shizuo se ne va.
Quando torna, un quarto d’ora dopo, Izaya è ancora completamente sveglio.
 
*
 
«Izaya. Ehi.»
Irrompe nella stanza tenendo il cellulare tra pollice e indice come se fosse un asciugamano sporco. Tra la temperatura irragionevolmente alta, il chiasso dei telefoni di Izaya e la patina sudata che sembra ricoprire l’intero mondo, è sul punto di fare a pezzi la prossima persona che gli capiterà sotto tiro.
«È da tipo un’ora che il tuo telefono continua a squillare.»
Nessuna reazione.
«Avanti, stronzetto, lo so che non stai dormendo.»
«Sono telefonate di lavoro. Non voglio rispondere.»
«Puoi piangerti addosso quanto vuoi, ma nessuno resterà ad aspettare i tuoi comodi.»
«Bene» dice, con tono neutrale «Lasciami indietro e vai pure avanti.»
«… non intendevo questo.»
«Non ti stavo mica accusando» lo rimbecca.
«Credo che sia davvero importante. Ti ha chiamato almeno venti volte lo stesso tizio.»
«Non guardare nel mio telefono.»
«E allora rispondi, cazzo, almeno smetterà di squillare.»
«Buttali lì dentro e basta, se ti danno tanto fastidio» tossicchia «E portami un po’ d’acqua.»
Sentendosi vagamente arrabbiato, Shizuo raduna tutti i telefoni e li deposita in una scatola color confetto sulla scrivania di Izaya.
«Lo sai, ti sentiresti meglio se uscissi un po’, invece di startene lì sdraiato tutto il giorno come una fottuta ameba.»
«In realtà» dice, asciutto «Sono abbastanza sicuro che non servirebbe a nulla. I miei telefoni, grazie. Poi sarebbe davvero carino da parte tua se smettessi di parlare per, vediamo, almeno qualche giorno.»
«Li ho già messi lì.»
«Ho visto.»
No che non ha visto, invece. I suoi occhi sono ancora chiusi.
 
*
 
Il mese dopo, quando arriva il momento di pagare l’affitto, Shizuo come al solito consegna la sua parte a Izaya e smette di pensarci. Sette giorni dopo la padrona di casa gli telefona e lo informa che l’affitto non è stato saldato.
«Ehi. Ti sei scordato di pagare l’affitto?»
«Oh» sospira Izaya. È seduto tutto curvo sulla scrivania e il suo sguardo è puntato da qualche parte verso il computer. Infagottato in almeno tre maglioni sembra perfino più magro di prima, ma Shizuo non sa che farci, dato che Izaya continua a sostenere che il cibo gli fa venire la nausea «Devo essermi scordato di dirtelo. Questo mese dovrai pagare un po’ di più.»
«Perché?»
«Beh, perché io non ho abbastanza soldi.»
Shizuo lo osserva. Non ha mai saputo quanto guadagna Izaya, ma sospetta che non si tratti di spiccioli.
«Quanto devo anticiparti?»
«Facciamo che lo paghi tutto tu, parleremo del rimborso un’altra volta.»
«… col cazzo, non posso pagarlo tutto io.» Il loro schifoso appartamento può anche essere piccolo e vecchio, ma l’affitto costa ugualmente un mucchio di soldi – ecco cosa succede a vivere a Tokyo.
«Vorresti dirmi che il tuo ridicolo lavoro non basta nemmeno a saldare l’affitto?»
Veramente basta, ma per un pelo. Il fatto è che Izaya si è sempre occupato dei conti e della spesa e di quasi tutto il resto. Shizuo guadagna abbastanza da coprire le spese per una persona, e una soltanto. 
«Che succede, la yakuza si è stancata di guardare la tua brutta faccia tutto il giorno?» 
«Non posso lavorare se non riesco a pensare, Shizu-chan» dice Izaya, molto lentamente, come se stesse parlando a un bambino «A differenza del tuo lavoro, il mio richiede un certo apporto di ragionamenti sensati. E immagino che a questo punto non sia una sorpresa che non riesca davvero a pensare. Quindi fai il bravo e paga tu. O preferisci interrompere il nostro piccolo gioco?» 
Non riesco a pensare. Va davvero tanto male? Di certo Shizuo non lo ha mai visto così a pezzi. Sembra sempre apatico e in procinto di scucirsi, come un peluche strattonato troppe volte da mani troppo esigenti.
«È per il tuo bene» dice.
«Se lo dici tu»borbotta Izaya di rimando.
Uno dei suoi cellulari inizia a strillare come un bambino arrabbiato. Izaya sussulta, lo preleva dal tavolo e poi lo lancia contro il muro.
«E un’altra cosa – mi fai il favore di gettarli nella spazzatura?»
«Vuoi che li butti via?»
«Sì, voglio che li butti via. Sono felice che riusciamo a comunicare così bene. Mi stressano e basta. E lo stress non mi fa bene, giusto?»
 Shizuo raccoglie i cellulari, bambini orfani di madre che lampeggiano sconsolati verso di lui, con le loro dozzine di chiamate perse e messaggi non letti. Ovviamente non ha intenzione di buttarli – probabilmente là dentro ci sono segreti di stato o robaccia simile. Alla fine li scarica in un cassetto della cucina, dentro a una padella arrugginita che non usano mai. Gli schermi ancora ronzano e vibrano e suonano disperatamente, cercando la sua attenzione, e quando li rinchiude nel cassetto sembrano quasi le vittime di un crudele tradimento.
Per la prima volta dopo molto tempo un silenzio tombale cala sulla loro casa come un sudario.
 
*
 
Lui e Celty si incontrano all’incrocio e arrancano attraverso il freddo implacabile come due soldati che si avvicinano al fronte.
Lei glielo chiede subito: [Come sta Izaya?]
Shizuo fa spallucce. Non vuole dirlo ad alta voce, come se evitare le etichette – calmo, fermo, malato – rendesse tutto meno vero.
Si guarda le mani. Potrebbero lanciare in aria un distributore automatico, ma non sono in grado di scalare anche uno solo dei muri che fanno la guardia alla mente di Izaya. E allora a che servono?
«Dovrei fare qualcosa.»
[Puoi sempre chiedere aiuto a Shinra, lo sai.]
«Ma il problema è proprio quella robaccia che gli fa prendere.»
Si è informato in rete a riguardo – i pensieri confusi, rallentati, la mente annebbiata e la vista appannata. È quello che succede quando usi dei prodotti chimici per spegnere alcune parti del tuo cervello.
[Con loro ci parla ancora?]
«Non parla affatto.»
Lei gli sfiora il braccio in una carezza gentile.
[Resisti. So che è difficile.]
«Lo farò. Devo solo… tenere duro.»
[A volte non si può fare altro.]
«Dannazione. È una situazione fottutamente seccante.»
[Pensi di lasciarlo?]
Il suo tono è abbastanza neutro, però a Celty non è mai piaciuto Izaya – a dirla tutta, non piace quasi a nessuno.
È solo quando sono a mezzo isolato di distanza che risponde: «No. Non siamo ancora arrivati a quel punto.»
 
*
 
Però ci sono ancora alti e bassi. La settimana successiva Izaya esce finalmente di casa. La notte dopo mangia come si deve per la prima volta da Dio sa quanto. Si appollaia sul grembo di Shizuo e gli ruba i noodles dal piatto e si lamenta dei suoi pessimi gusti in fatto di cibo da asporto.
 Shizuo pensa di non essersi mai sentito tanto sollevato in vita sua. Gli lascia sgraffignare tutto il cibo che vuole. 
Dorme ancora molto più del normale, ma comunque il suo “normale” non era mai abbastanza. Shizuo può cominciare a credere che questa sia la sua forma migliore – un po’ più silenziosa e assonnata e letargica, forse, ma sono tornate le parole, i sorrisetti di sfida e i passi di danza. E se qualche notte sembra turbato, con le spalle tutte curve, o se si ritira alla sua scrivania per disegnare dozzine di spirali attorcigliate come gli anelli di un verme nel fango, o se si morde le labbra così forte da farle sanguinare, allora Shizuo lo lascia in pace e basta, o gli porge un fazzoletto per asciugarsi la bocca, o gli offre le sue mani per dargli qualcosa di caldo attorno cui acciambellarsi.
Shizuo continua a interrogarsi ancora e ancora sulla sua dannata sensazione di sollievo, se sia per il bene di Izaya o per il suo. Si tortura a forza di ipotesi; se Izaya rimanesse depresso per sempre, lui ce la farebbe a restargli accanto? Se sì, perché? Per qualche stupido senso di responsabilità di cui Izaya potrebbe tranquillamente fare a meno? O per amore?
Lo è davvero? È davvero innamorato di Izaya? La vantaggiosa convivenza e il sesso e i litigi e le cene a base di take away, e adesso il modo in cui Shizuo paga silenziosamente l’affitto, guardando le cifre del suo conto in banca diminuire come  il timer di una bomba, oppure il modo in cui si presenta a casa di Shinra per ritirare le medicine – le conta aiutandosi con le dita, irrequieto, con gli occhi serrati di un bambino che prova fare a mente un calcolo troppo difficile. Tutto questo è amore o è solo qualcosa che gli somiglia? Non è certo un romanticone, eppure sembra ancora come… come un pessimo affare, una fregatura affibbiatagli dal negozio di elettronica all’angolo, un ombrello da cinquecento yen che cade a pezzi alla prima pioggia. Allo stesso tempo, però, non riesce a immaginarsi un’alternativa. Se lui è il tipo di persona che preferisce un economico piatto di manzo a una squisita zuppa di pesce palla, questo spiega qualcosa sul suo conto o su quello del manzo?
Sogghignando stancamente chiede a Celty: «Chi cazzo mi ha permesso di arrivare a trentadue anni senza sapere nulla di tutta questa merda?» si passa le dita tra i capelli come se stesse cercando di strapparsi i pensieri dalla testa «’Fanculo. Ci dovrebbe essere un esame o roba del genere.»
[Sono così vecchia che ho perso il conto di quanti anni ho, eppure ancora non capisco quale sia il punto del vostro “amore”] si appoggia alla ringhiera, guardando in basso verso il molo ingrigito dal nevischio [A volte penso che gli umani l’abbiano inventato solo per avere qualcosa su cui scervellarsi] si piega verso di lui, e Shizuo sa che avesse uno viso starebbe arricciando il naso [Dieci anni fa era tutto molto più semplice, quando eravamo tutti così stupidi… adesso perfino Shinra comincia ad avere qualche ruga tra le sopracciglia. Non è un buon segno se anche tu cominci a crollare.]
Lui alza le spalle. «Penso ancora che non abbia senso preoccuparsi per queste cose. Eppure, in qualche modo… non lo so. Non riesco più a ignorarle.»
[Voi umani mi fate sentire vecchia] sorride del suo speciale sorriso da Dullahan [Stiamo crescendo tutti.]
 
*
 
La mattina di Natale Izaya trotterella in cucina alle due del fottuto pomeriggio, sbadiglia e spinge un piccolo pacchetto tra le mani di Shizuo.
La carta regalo è sparsa a brandelli su tutta la tavola. Shizuo sospira a voce alta.
«Vaffanculo.»
Un pacchetto di Marlboro. Non è nemmeno lontanamente sorpreso.
«Oh, andiamo» Izaya sbatte un enorme tazza di caffè sul tavolo. Sembra che il lavoro arretrato accumulato durante la sua piccola pausa cominci a dargli sui nervi: oscilla, regolare come un orologio, tra picchi maniacali di energia e  momenti di sonnolenza in cui sviene ogni cinque minuti. Shizuo deve buttare nella spazzatura due confezioni di Red Bull vuote alla settimana «Come se non avessi barato.»
«Veramente non l’ho fatto.»
«Lo so che tieni ancora un pacchetto in tasca» lo accusa Izaya.
Shizuo lo tira fuori e lo sbatte sul tavolo. Izaya sfiora con le dita la plastica protettiva, spiegazzata ma intatta.
«Vaffanculo» ripete Shizuo «Solo perché tu hai barato…» 
Per un istante un’espressione indecifrabile si fa strada come un’ombra sul viso di Izaya.
Poi appoggia il caffè, prende la giacca dallo schienale della sedia e scompare dalla porta senza un’altra parola.

*
 
Shizuo nuota nella consapevolezza. Si scava un percorso attraverso la luce accecante. C’è un odore denso e nauseante nella sua bocca – no, è un bavaglio. L’oscurità lo chiama e squilla in lontananza. Ha le labbra secche. Gli viene da vomitare. La paura gli occlude le arterie come un pasto troppo pesante, è un pitone che striscia lentamente attorno a lui.
Un’ombra calda e pesante è seduta su di lui; poi si sposta e gli getta affettuosamente le braccia al collo.
«Ehi, Shizu-chan.»
«Izhhh…dnnt…»
 Un filo di saliva gli cola dalla bocca, ma non sa da che parte inclinare la testa per impedirlo. Izaya – perché quello è Izaya, ne è sicuro, anche se riesce a vederne solo alcuni brandelli, luminosi come fotografie sovraesposte – gli strofina le guance con un pollice liscio come velluto.
«Ehi» canticchia «Va tutto bene. Non preoccuparti.»
Di che cazzo stai parlando, brutto idiota?
«Iheh... tto…»
«È solo un po’ di sedativo. Abbastanza da tenerti fermo qui per un po’» mormora, in tono tanto tenero e cospiratorio da fargli venire i brividi. Riesce a sentire troppo bene come tremano le dita di Izaya, come i fili ingarbugliati di un nodo mal riuscito «Stanno accadendo cose pericolose, lì fuori. Diciamo che… c’è qualche tipo fastidioso che deve essere messo a tacere. Quindi per adesso ti nasconderò qui, dove sarai al sicuro. Stai qui e basta. Mi occuperò di tutto io. Tu stai qui. Sarò di ritorno in un minuto.»
Prima che Shizuo riesca a trovare il modo di protestare, Izaya se n’è già andato.
Aspetta, indifeso. Comincia a capire come si sentano le persone normali. La droga soffoca la sua forza, la rinchiude in una scatola che le sue dita impacciate non riescono ad aprire, ma il suo cuore è ancora forte, e anche il suo sangue, e dopo un po’ sente dissolversi le sostanze chimiche. Aspetta, stringendo i denti. Le luci e le ombre del mondo cominciano a ritrovare l’equilibrio.
Quando riesce finalmente a mettersi in piedi spezza senza troppi sforzi i legacci che gli stringono polsi, fianchi e caviglie e apre la massiccia porta d’acciaio con una spinta. Appena fuori, rimasugli dell’alba e aria salmastra gli arrivano dritti in faccia. Gabbiani sorpresi stridono e volano in cerchio sopra di lui, curiosi.
Gli ci vuole un’ora per scappare da quel magazzino labirintico, un cubo di metallo arrugginito dopo l’altro, giganti che emergono dalla nebbia mattutina come mammut fossilizzati. I vestiti gli si appiccicano addosso per il sudore e una sete terribile gli arde la gola come un fuoco. È più che incazzato, mentre le ginocchia gli tremano come un martello pneumatico sul treno che lo riporta verso casa. Un rapimento, davvero? Sono tornati ai tempi della Raira? Se Izaya avesse combinato un casino e sbagliato a calcolare i dosaggi, sarebbe potuto morire di sete.
Quel fottuto bastardo. Bene; possono fare a modo suo, se è quello che vuole. Shizuo lo troverà e lo inchioderà al muro e pesterà a sangue quel patetico impasticcato fuori di testa.
 «Shi-zu-o!»
Sussulta e quasi scivola sulla piazza ricoperta di ghiaccio.
«Buon anno nuovo! È tempo che non ci vediamo. Tu bene, sì?»
Simon non è cambiato neanche un po’. La stessa faccia larga, forse appena un po’ più segnata, come legno che invecchia. Gli stessi volantini dai colori di pessimo gusto e l’inchiostro scadente.
Prende in considerazione l’idea di spiegargli che il suo nuovo anno lo ha iniziato chiuso a chiave in un magazzino abbandonato, alla mercé del suo cosiddetto amante, ma non gli va di perdere tempo facendosi trattare come un bambino – Simon è sempre stato bravo in questo.
«Non ho tempo di parlare.»
«Davvero? Ma è tanto, tanto tempo» lo rimprovera Simon, esibendosi in un cipiglio esagerato.
«Sto cercando…»
«Izaya?» sorride Simon «Dicono che mondo cambia troppo velocemente, ma certe cose non cambiano mai.»
«Sicuro…»
Annuisce saggiamente, fiero di sé. «Lui venuto qui prima.»
«… mi prendi per il culo.»
Simon non si prende nemmeno la briga di rispondere – come a dire che Shizuo dovrebbe aver imparato la lezione, ormai.
«Da che parte è andato?»
«Ikebukuro. Sembrava…»
Shizuo aspetta, ma Simon non sembra trovare le parole adatte. Invece alza le spalle, le sue enormi spalle che ondeggiano su e giù come iceberg ricoperti di fuliggine che galleggiano in mare.
«Sbrigati, Shi-zu-o» lo avvisa.
Shizuo si sbriga. C’è una probabilità di circa il cinque per cento che Izaya sia veramente tornato al loro appartamento, ma comunque è il primo posto che controlla.
Appena arriva apre la porta, e subito lo raggiunge un odore metallico che sovrasta perfino tutto quel rosso.
 

Note della traduttrice: Ed eccoci con la seconda parte. Come dire, cominciano i guai (Shizu-chan Y.Y)
Spargiamo amore su Celty che è la best friend in the world, e anche su Simon, povero, sempre bistrattato.
A presto con la terza (e ultima) parte!
 
 

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