Le rivoluzioni

di Jareth01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Orazio ***
Capitolo 2: *** Risvegli ***
Capitolo 3: *** Entrate ***
Capitolo 4: *** Incontri ***
Capitolo 5: *** Allucinazione ***
Capitolo 6: *** Sconfitta ***
Capitolo 7: *** Potere ***



Capitolo 1
*** Orazio ***





CAP. 1
 

«pro quo bis patiar mori,
si parcent puero fata superstiti».
 
 
Il vento soffiava dolcemente, all’ora del tramonto, quel giorno di primavera: nascevano i primi narcisi e le prime viole, insieme a più tipi di margherite, nel parco ed ai lati delle strade che Sarah, quotidianamente, percorreva per arrivare a casa sua. Il profumo di quei fiori, l’aria mite e il lieve arancio, rosa e blu di cui si era tinto il cielo sembravano consolarla appena, dopo una giornata sfiancante passata al college, il litigio avuto in mattinata con la sua matrigna, le pagine arretrate che continuavano ad aumentare e le varie scadenze che aveva in agenda.
Aprì con uno scatto, esausta, la porta di casa, prese del cibo dalla dispensa e salì in camera: la interruppe Toby, salutandola e spegnendo lo stereo che era a tutto volume. «Sorellona! Sto andando a riempirmi di hamburger e a guardare l’ultimo film di Batman con il cugino Frank. Vuoi unirti? Mamma e papà sono fuori stasera». Il ragazzino era sempre un uragano di energia, smilzo e ribelle, con gli occhi azzurri ed un caotico casco di capelli biondi.
«Non è serata, divertiti e salutami Frank» rispose la sorella, aggiungendo: «non ti sembra il caso di cambiarti quella camicia a quadri? E’ da una settimana che te la vedo addosso! Per non parlare di quei pantaloni strappati…»
«Sei solo invidiosa perché sono un figo!» controbatté, incrociando le braccia e facendo una smorfia.
«Certo, come no, fai come vuoi…e dire che credevo preferissi le strisce» -  Sarah lo salutò con un cenno della mano, chiudendosi in camera.
Si buttò sul letto, sgranocchiando delle patatine e studiando letteratura latina per un paio d’ore, finché non perse ogni energia.
«Me torret face mutua Taurini Calais filius Ornyti, pro quo bis patiar mori, si parcent puero fata superstiti. Sono gli ultimi versi che traduco, poi basta» disse ad alta voce, portandosi le mani ai capelli. Ci pensò un attimo. Poteva cogliere l’occasione per chiamare un vecchio amico, lui parlava fluentemente il latino ed era sempre uno spasso averci a che fare.
«Sir Didymus?» esclamò davanti lo specchio. Ormai, per qualche motivo a lei poco chiaro, poteva invocare i suoi amici dell’underground senza particolari formule. A volte sembrava bastasse solo il pensiero: aveva l’impressione di avere, in qualche modo, più potere.
Il nobile yorkshire, però, non apparve: le luci, improvvisamente, cominciarono a funzionare ad intermittenza, spaventando la ragazza, fino a spegnersi del tutto. Nella totale oscurità, sentì un rumore come di tuono: Sarah cercava di capire cosa stesse succedendo, quando una voce cadenzata, lapidaria, risuonò nella stanza:
«Mi consuma, con fiamma reciproca, Calaide di Turi, figlio di Ornito: per lui consentirò di morire due volte, se il destino risparmierà il ragazzo lasciandolo sopravvivere!»
la finestra si spalancò, la camera fu invasa da una luce flebile: di fronte a lei, per la prima volta dopo numerosi anni, si trovava Jareth, lo sconfitto Re di Goblin.
«Cosa ci fai tu qui?» chiese minacciosamente Sarah, avvicinandosi senza paura.
«Suvvia, Sarah, è questo il modo di accogliere un ospite del mio calibro, oltre che una vecchia conoscenza?» rispose il re, noncurante, mostrando un ghigno di scherno. Spostò il lungo, brillante mantello nero per sedersi su una sedia lì vicino. Si mise a giocherellare con i guanti che gli fasciavano le mani: «Orazio, Carmina III, 9, versi celebri e immortali! Di una semplicità assoluta. Non riesco a credere che tu abbia avuto bisogno di scomodare i miei sudditi per un’inezia del genere».  
«Inezia o meno, nessuno ti ha invocato, non puoi apparire di punto in bianco nella mia casa e pretendere che ti accolga con una tazza di tè! Non dopo ciò che hai fatto nel labirinto!»
La fissò negli occhi. «Certo che posso. Sei tu ad invocare di continuo il mio regno. Sono anni che usi la mia magia per giocare con quegli stupidi servetti! Io posso fare ciò che voglio…»
«Non sono servi, sono amici! E non ho intenzione di ascoltare chi ha rapito mio fratello, facendomi affrontare pericoli mortali! Ora vai, perché non sei il benvenuto… o non esiterò a sconfiggerti di nuovo».
 Sarah parlava con durezza, le sembrava un modo per avere sotto controllo la situazione. Jareth, invece, aveva sempre considerato reazioni del genere come occasioni di sfida. Si alzò di scatto, visibilmente alterato.
«Sarah, osi forse sfidarmi ancora? Credevo che l’età ti avesse resa più saggia!» sogghignò. «Bada a te, io possiedo tutto ciò che tu hai rifiutato! Tutto Sarah, capisci? Tutto!»
La furia del re non si fece attendere. La stanza sembrò cambiare vorticosamente. Gli orologi giravano all’indietro, impazziti; orde di goblin apparvero da ogni angolo; le visioni più strane si materializzarono intorno ai due. In quelle visioni, Sarah rivide se stessa correre nel labirinto, perdersi nella foresta, scappare dai Fireys, cercare Jareth nel ballo allucinato, addentrarsi negli stretti vicoli della città di Goblin.
La ragazza, davanti a quello scenario sovrannaturale, si ammutolì, l’aria persa e devastata. Il re, ora alle sue spalle, le sussurrò: «Cosa succede, hai paura? Ripensamenti? Nostalgia?», appoggiandole una mano sulla spalla.
Furono quelle parole a provocare Sarah, che si svegliò dallo shock, reagendo con tutta l’ira che aveva in corpo: «maledetto Jareth, maledetto labirinto!» urlò. «Non avrete mai alcun potere su di me!» -  così dicendo, in quel caos magico, tirò il pesante libro di latino contro lo specchio, i cui pezzi si scagliarono dappertutto.
«Sono stufa dei tuoi giochi!» si voltò verso il re che, stranamente, la osservava pietrificato. «Se solo… li avessi io, i tuoi dannati poteri! Vorrei controllare il tempo, voglio mettere sottosopra il mondo intero! Così capir…» non fece in tempo a finire la frase, che la vista le si appannò; si sentì cadere, sprofondare sempre più in basso, finchè non perdette completamente i sensi.
 
Jareth, ad ogni parola pronunciata dalla ragazza, sentiva un fitto dolore, un interno lacerarsi del corpo: terrorizzato vedeva la sua magia affievolirsi, mentre lui diventava sempre più debole; vide Sarah scomparire mentre ormai, senza energia alcuna, si accasciava al pavimento, simile a un morto.

 


***
Ciao a tutti! Eccomi con questa nuova storia, stavolta una vera e propria fan fiction, sempre sull'amato Labyrinth. Mi sto divertendo molto a scriverla: spero, quindi, di avere dei riscontri positivi, così da postare il secondo capitolo al più presto! Grazie a chiunque leggerà e - soprattutto - recensirà!
Giusi

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Capitolo 2
*** Risvegli ***


Sarah, come da un sonno pesante, riprese lentamente coscienza, sentendo i sensi intorpiditi, ad uno ad uno, risvegliarsi: percepì l’inquietante silenzio che la circondava, toccò la morbida superficie su cui era sdraiata, e le sembrò un letto; infine si ricordò cosa era successo e, allarmata, spalancò gli occhi.
Un meraviglioso soffitto d’oro a cassettoni, simile a quelli delle basiliche italiane del suo libro di arte, si stagliava su di lei: si alzò, spaventata, per osservare l’enorme, sfarzosa stanza in cui si trovava, a lei completamente estranea; i mobili erano degni della reggia più lussuosa, le pareti erano coperte da delicati arabeschi, mentre il pavimento – mai vista una cosa del genere! Era completamente ricoperto da arazzi, raffiguranti creature mostruose e luoghi mai visti, incomprensibili storie di un mondo inumano, sconosciuto. Ad un angolo della sala, sulla destra, vide un enorme specchio da terra e, accanto a questo, un abito tanto maestoso quanto singolare: completamente nero, ma di un’insolita lucentezza, giocava a creare contrasti, balze e ruches con l’esuberante pelle e la delicata seta; il rigoglioso corpetto finiva su una lunga gonna a campana, svasata e a più strati: il più interno era di seta, mentre quelli più esterni di pizzo, con altri particolari in pelle. Il magnifico abito da gotica regina vittoriana era coperto da un lungo mantello, anch’esso di pelle, dal collo alto e rigido, impreziosito da strani simboli ricamati; il tutto, per finire, era accompagnato da lunghi guanti e stivali, neri come il resto, ed un medaglione dorato.
Dove si trovava? Quei particolari le suggerivano una scomoda realtà. Corse verso la finestra più vicina, in cerca di conferma: scostando le tende, vide un immenso cielo arancio, un tramonto troppo denso per somigliare a quello del giorno precedente, ed un’infinità di strade contorte ai piedi di esso.
«Esatto, quello è il Labirinto» disse una voce giovane, gentile, alle sue spalle - «e sarà il suo regno finché lo vorrà, maestà».
Sarah ebbe un sussulto. Si girò, trovandosi davanti un ragazzo che sembrava non dimostrare più di diciassette - diciotto anni, fisico snello, con dei penetranti occhi azzurri, degli sbarazzini capelli corti e neri ed un abbigliamento che, per essere nell’underground, rasentava l’essenzialità: giacca e pantaloni di stoffa nera, camicia bianca, fiocco alla lavallière, anfibi consumati.
«No, io non sono…ma cosa ci faccio qui? Chi sei?» accennò Sarah, confusa, con voce tremante. Il ragazzo fece un gran sorriso.
«Sei qui perché è ciò che hai desiderato, Sarah. Sei la nuova regina della Città di Goblin e del Labirinto. Il mio nome è Arthur e… beh, ho qualche potere in più di Jareth. Il mio compito è di assicurarmi che tutto vada secondo le regole, nei regni dell’Underground. Non hai nulla da temere: sono qui per aiutarti». La presenza del ragazzo era rassicurante, la sua voce cristallina: sembrava innocuo ed innocente, quasi angelico; Sarah non poteva fare a meno di fidarsi di lui.
«Non capisco, non ho mai chiesto di essere la regina di Goblin e non voglio diventarla… non che non apprezzi una carica del genere, ma vorrei tornare a casa, alla mia vita» spiegò docilmente.
«Sei la campionessa del Labirinto, sai già come funziona la magia: purtroppo ciò che è detto è detto –e  tu hai detto di voler avere i poteri di Jareth. Eccoti accontentata» ribattè Arthur.
«Ma non è giusto, ero arrabbiata e non sapevo cosa fare, Jareth…»
«Lo so cara, Jareth è una vipera e tu non volevi dire ciò che hai detto» rispose il ragazzo in tono indulgente. «Ma non disperare: sarai regina per tredici ore, come le regole del Labirinto impongono, durante le quali potrai sfidare Jareth, ora molto meno potente di te, a superare il tuo Labirinto per riavere il suo trono. Se, allo scoccare della tredicesima ora, sarà riuscito a superarlo, tornerà ad esserne il re; altrimenti, deciderai tu cosa fare. Potrai rimanere al comando del regno, potrai ridarlo comunque a Jareth e tornare a casa, potrai perfino uccidere quel barbagianni o trasformarlo in uno gnomo, se è questo che desideri».
Sarah, al pensiero, inorridì. «Non lo farei mai» rispose - «voglio dire, non se lo merita e vorrei fargliela pagare, ma gli ridarò il suo regno, non potrei mai fare una cosa del genere.»
«Come desideri» - Arthur sorrise e poi, con uno sguardo complice, aggiunse «divertiti, allora. Fagliela pagare. Ha rapito tuo fratello e cercato di ucciderti, quando eri solo una ragazzina! Non vorrai rendergli la vita facile» esclamò dolente «lui conosce il Labirinto come le sue tasche, lo risolverebbe in meno di un’ora - ma tu hai i poteri di una regina adesso, puoi cambiare quelle strade, puoi creare ciò che vuoi in un battito di ciglia: basterà soffermarti col pensiero sull’oggetto che desideri, come facevi quando invocavi i tuoi piccoli amici». Osservò Sarah con fare pacato, paterno. Non sembrava del tutto convinta. «Imparerai subito, vedrai, ti piacerà. Chissà, magari riuscirai a fargli imparare la lezione, ad insegnargli dei valori, a mettere un po’ di sale in zucca a quel Fae!» - scoppiarono entrambi a ridere.
«Quando si inizia?» chiese la ragazza, con un sorriso partecipe, prontamente ricambiato. «Anche subito, è ormai sera inoltrata, l’ora è giunta! Ti porterò da Jareth, così potrai lanciargli la sfida. Ma prima necessiti di vesti appropriate – in questo mondo, l’abito fa il monaco. Ti dispiace l’abbigliamento visto poc’anzi?» disse, indicandolo.
«No, affatto». Era quindi davvero il vestito della Regina di Goblin!
«Benissimo! Permettimi di evitarti la pena di indossarlo» - così dicendo, schioccò le dita: fu in quel momento che Sarah si ritrovò con l’abito addosso, l’aspetto di una Fae e i poteri di una Regina.
«Incantevole. Tra pochi secondi ti troverai faccia a faccia con lo sfidante. Ricorda, se avessi bisogno…conosci il mio nome». Arthur si mise sull’attenti, serio e composto, fissando il vuoto.
 «3…2…1…»
 
****
 
Jareth riprese lentamente coscienza, nonostante percepisse un’inaudita debolezza, il corpo pesante ed un fitto mal di testa. Sentiva dei fastidiosi rumori intorno a lui, ma non riusciva a comprenderne la provenienza e la distanza, aveva l’impressione di essere mezzo sordo; aprì gli occhi, trovandosi protagonista di un orribile incubo. Vide, sopra di lui, un soffitto coperto di vernice bianca, simile ad uno delle umili case dei folletti di Korang; era sdraiato su un minuscolo letto di una stanza simile a quelle usate dai giovani umani, ma i suoi occhi non riuscivano più a distinguere i particolari lontani; la luce che entrava dalla finestra, poi, incredibile! Era pallida, mattutina, ma non dava fastidio ai suoi occhi che, anzi, sembravano cercarla.
Il fae, che aveva già intuito in quale spiacevole situazione doveva trovarsi, cercò di trattenere il panico e l’ira, di non pensare al peggio, finché non vide la sua immagine riflessa in un piccolo specchio appeso al muro: rabbrividì. Aveva lo stesso corpo, forse un po’ più mingherlino, e lo stesso viso, ma le sue sopracciglia non erano più all’insù, indossava una dozzinale camicia azzurra, dei pantaloni neri ed i suoi capelli erano più corti, pettinati e… rossi. Nessuna traccia del medaglione reale.
Provò a creare una sfera di cristallo: le mani rimasero vuote. I presentimenti avuti, dunque, erano fondati: era diventato umano.
Dalla rabbia, ruppe lo specchio con un pugno e cominciò a dare calci a tutto ciò che trovava. «Asor igu edsi!» inveì, senza risposta alcuna. «Arthur», sussurrò, per poi ripeterlo, questa volta urlando. «Arthur!»
«Che piacere incontrarti nel sopramondo, Jareth! Molto graziosa, la tua cameretta. Come te la passi?» disse il ragazzo, sorridente e sornione, comparendo accanto alla finestra.
«Sono una catastrofe estetica, ho perso i miei poteri e mi ritrovo in un appartamento dell’aboveground, tu che dici?» rispose sarcastico. «Lei dove si trova?» aggiunse, minaccioso.
«Oh, non è colpa mia se da umano adori le tinte per capelli, mio caro Ziggy Stardust. E non eri un po’ deboluccio anche prima?»
«Non prendiamoci in giro, verme! Lei dov’è?»
Arthur, seccato, sospirò. «Al tuo castello, come potevi ben immaginare. Le sto parlando proprio in questo momento, una campionessa adorabile, non c’è che dire. Avrà le tredici ore da regina che ha desiderato, tu verrai sfidato per avere la tua chance di riacquistare il trono e ci divertiremo tutti un sacco» rispose, sbrigativo.
Dunque Arthur stava usando il potere dell’ubiquità, parlando con lui e con Sarah nello stesso momento. Jareth s’incupì ulteriormente. «Potrai prendere in giro lei, ma non me. Conosco le regole del mio labirinto. Nessun umano può attraversarlo, se non per salvare una persona che le sta a cuore. Niente troni, niente poteri, niente eccezioni. Chi c’è in palio?»
«Uhm, giusta osservazione! Vediamo un po’» rispose il ragazzo, facendo finta di tenere il conto con le dita. «Toby è al cinema, tu sei l’umano sfidato, nessuno ha chiesto di essere rapito dagli gnomi, io sono quello che ha utilizzato la magia per esaudire il desiderio e…ah, già, io non sono umano! Uhm, chi manca?»
«…Sarah! E’ lei che vuoi intrappolare per sempre nell’Underground, vero? Non hai il diritto di farlo, non ha mai desiderato questo!»
«Sei sprecato come re, dovresti intraprendere la carriera di investigatore!» rispose Arthur, sarcastico. «Non ti sei accorto di quanto sono cresciuti i poteri che le avevi dato, negli ultimi anni? Un’umana capace di invocare un essere dell’Underground col solo pensiero, è incredibile! Riesci ad immaginare cosa riuscirebbe a fare, se diventasse come noi? Con la sua magia potremmo far cadere la Loggia Reale in un giorno! Rivoluzioneremmo l’ordine dei mondi di sotto, di sopra e delle intervanescenze, creeremmo una nuova realtà! Ma, dimenticavo, il piccolo Jareth non insorgerebbe contro il marcio vecchiume!»
Jareth gli voltò le spalle. «Enfant prodige, non sono mai stato un santo e di sicuro, della mia piccola fiaba, sono il cattivo… ma non appoggerò mai i piani di un pazzo che vuole mettere le mani sui nostri mondi, non ti aiuterò ad ottenere un potere tale da distruggerci tutti al primo capriccio! Non conosci Sarah, lei non diventerà mai una tua pedina e, puoi giurarci, io non lo permetterò, finché sarò in vita!»
«Tipico dei barbagianni» Arthur alzò gli occhi al cielo. «Teatrali e melodrammatici! Ma è colpa tua, se adesso si trova nell’Underground, e lei lo sa. Com’è essere così affezionati alla propria nemica? è bello addormentarsi sapendo che lei ti odia?» incalzò.
«Lurida palla di pelo, ti butterò nella Gora con i miei stessi artigli, è una promessa!»
«Ora come ora» rispose indicandolo «non credo ti sia possibile. Sembra proprio che la tua unica chance sia sconfiggere Sarah, così da portarla sana e salva nella sua casetta umana… peccato che, potente com’è ora, sembra proprio non avere la minima  intenzione di lasciar superare il Labirinto a quel cattivone del re di Goblin!» accennò una risatina.
«Un dono come l’ubiquità non dovrebbe essere usato per uno scopo infimo come il tuo» rispose Jareth. «Allora, quando porterete questo umano al Labirinto? Non vedo l’ora di attraversarlo e di fartela pagare».
«Oh, la regina è pronta: è ormai mattino inoltrato. Che inizino i giochi! Tra tre secondi sarà da te» disse Arthur, scomparendo.
Jareth, immobile, fissò la finestra.
«3…2…1…»

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Capitolo 3
*** Entrate ***


CAP. 3
 

Fu proprio dalla finestra che apparve, in una nube di luce, la nuova regina della città di Goblin.
Jareth aveva immaginato più e più volte quella scena nelle lunghe notti in cui si abbandonava ai suoi pensieri, fantasie in cui lui era il vincitore e Sarah al suo fianco: ma ora che era davvero di fronte a lui, nella situazione opposta, non riusciva a provare rabbia o rimorsi alcuni, tanto gli mozzava il fiato la bellezza di quella fae.
Si sentì, come poche volte nella vita, stanco di tutti i libri, dei rapimenti, delle crudeltà e delle regole della magia, del suo ego da mantenere - di cui era pur consapevole - e della sfida che avrebbe dovuto, di lì a poco, sostenere: avrebbe voluto abbandonare tutto all’istante, smettere di essere il terrificante re di Goblin, se il costo era combattere una creatura del genere.
I suoi occhi, però, scesero presto a soffermarsi sui ricami del mantello, delicati ma inequivocabili: riconobbe velocemente i simboli che raffiguravano, riconducendoli senza difficoltà ai vari territori dell’Underground. Il medaglione che indossava, invece, rappresentava nientemeno che il Distretto delle Cinque Stelle: era molto diverso dal medaglione di Goblin, che avrebbe dovuto tenere al collo. A quanto pare Sarah, cosciente o meno, regnava non solo sul labirinto, ma su più di metà Underground: certamente Arthur, nell’esaudire il suo desiderio, aveva cercato di darle più potere possibile in attesa di sfruttarlo nella presa della Loggia Reale.
No, lui, seppur umano, era l’unico a poter stroncare questa storia sul nascere, non avrebbe mai potuto tirarsi indietro!
 
Sarah, alla vista del ragazzo, ebbe un attimo di sbandamento: era davvero Jareth? I capelli rossi, i vestiti…non avrebbe mai immaginato di vederlo in quel modo, ma il viso, con quegli occhi e quegli zigomi, non lasciava adito ai dubbi. Era evidentemente diventato umano, ma perché assumere quel particolare aspetto anziché un altro? Si rese conto di conoscere poco di lui. A parte ciò che aveva imparato durante la sua precedente avventura – di cui molte cose rimanevano, per lei, ancora un mistero – e qualche divertente aneddoto raccontatole da Gogol, non aveva altri indizi sulla sua identità. Certo, trattandosi di una creatura dell’Underground, ne sapeva pur sempre più di molti altri.
Si accorse, infine, dell’imbarazzante somiglianza col cantante preferito di Toby e non potè fare a meno di scoppiare a ridere, interrompendo il silenzio creatosi.
«Ziggy Stardust, sei tu?» 
Ma insomma, rispettate la dignità di un re decaduto! «Regina di Goblin, è qui per ridere del mio aspetto o ha bisogno di ripetizioni di latino?» rispose, seccato.
«Se solo ti vedesse Toby….» ti chiederebbe un autografo, ridacchiò tra sé e sé. «Ma non sono qui per questo. Scommetto che ti manca il Labirinto» fece, ironica.
«Sarah, ascoltami, non sei la regina del Labirinto, è…»
Lo interruppe. Non avrebbe ascoltato le sue fandonie un’altra volta. «Invece sì, come vedi, e potrò esserlo per sempre. Ma sono generosa… e voglio offrirti un’occasione per riavere il tuo regno» aggiunse, sorridente. Com’era bello trovarsi finalmente dall’altra parte!
«Ferma Sarah, Arthur è un bugiardo! Ti sta ingannando, non è …»
Jareth vide davanti a sé l’Underground.
«Hai tredici ore per superare il labirinto ed arrivare al Castello oltre la città di Goblin,  prima che il tuo regno diventi mio, per sempre. Sarebbe un tale peccato…»
«Rimarrai intrappolata qui, non tornerai mai a casa! Lasciami spiegare…»
Era ormai troppo tardi: Sarah sparì, lasciandolo solo.
Non aveva voluto ascoltarlo nemmeno per un momento, era sempre così testarda! Ed ora, all’improvviso, sembrava piacerle l’idea di diventare regina. Inaudito. Quello sbruffone di Arthur era forse riuscito a farle il lavaggio del cervello?
No, Sarah non avrebbe mai accettato di restare nell’Underground, lui lo sapeva. Nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. Le aveva senz’ altro promesso che sarebbe tornata nel sopramondo quanto prima. Doveva sicuramente credere che tutto questo si trattasse solo di un gioco, di una vendetta nei suoi confronti, non c’era altra spiegazione.  
Beh, il labirinto è una mia creatura, hanno perso dal principio –pensò Jareth, mentre scendeva la collinetta desolata e sabbiosa. Arrivò alla cinta muraria, che lui stesso aveva ornato di obelischi e rose rampicanti. Si diresse verso la grande porta di pietra ma, con sua immensa sorpresa, era sparita: al suo posto, solo mattoni ricoperti di foglie e brulicanti di fastidiosissime fate.
Così Sarah sta cambiando il mio labirinto. La cosa lo turbava: si sentiva come un bambino a cui avessero tolto la propria stanza, con dentro tutti i suoi giochi preferiti, per farne chissà cosa. Inoltre era ben cosciente del fatto che la difficoltà nell’attraversarlo sarebbe esponenzialmente aumentata, ma cercava di ricacciare quest’ultimo pensiero, facendo difficoltà ad accettarlo.
Cominciò a cercare a tastoni un’entrata nascosta, che doveva pur essere da qualche parte. Infastidito dalle piccole fate, ne colpì un paio con la mano, senza pensarci più di tanto. Non fu una mossa saggia: si avventarono tutte su di lui per morderlo, come un vespaio impazzito. Quant’era difficile, senza poteri…
«Maledizione! Stupido Trogolo, dove sei quando servi?» urlò, su tutte le furie.
Gli si presentò, accanto, un rugoso nano che spruzzò uno strano liquido sulle creature, facendole cadere al suolo.
« Oplà! novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette! Che caccia fruttuosa!» esclamò, entusiasta. Jareth fu ben felice di aver trovato il suo suddito preferito.
«Gondolo! Finalmente sei qui! Devi indicarmi la porta del labirinto, subito!»
«Sono Gogol!» rispose il nano, spazientito. «E che modi sono questi? Non mi sembra proprio di conoscerti, signorino!»
«Gogolo, razza di idiota, sono Jareth, il tuo sovrano!» disse, chinandosi per essere alla sua altezza. «Fai ciò che ti ho detto, se non vuoi essere immerso nella Gora!»
«Oh, Jareth, sei davvero tu?» Gogol, sorpreso, divenne serio. «Comunque sia, non ho intenzione di aiutarti! Senza te in questo posto si sta meglio, altrochè, e preferisco di gran lunga Sarah come regina» aggiungendo, con una nota d’orgoglio «lei è mia amica e non mi manderebbe mai in quel fetore!»
Jareth s’illuminò. Sapeva come convincere il nano. «Povero Gogol, devi tenere tanto alla tua amica» disse in tono carezzevole «peccato che sia in grave pericolo… ops, non avrei dovuto rivelarti questo funesto segreto!» aggiunse, sottovoce.
Gogol, preoccupato, si avvicinò. «Un… segreto? La regina Sarah è in pericolo? Devo saperlo!»
«Ebbene, caro Trondol, se Sarah non mi riconsegnerà il trono entro tredici ore cadrà nelle grinfie di un essere infido, tanto malvagio quanto potente – e noi non potremo fare nulla per salvarla! Sarà la fine per lei e per il labirinto!»
Il nano si portò una mano davanti la bocca, terrorizzato. «Ma è terribile! Come possiamo evitarlo?»
«Dovrò arrivare al Castello prima che faccia giorno» fece serio. «Tu, invece, avvertirai Sarah del pericolo. Ma non dirle che te l’ho detto io, o non ti crederà».
Gogol era confuso, ma non dubitava delle parole del suo re. Lo conosceva da molto tempo e non sopportava una quantità di cose del suo modo di fare; tuttavia, sapeva bene che Jareth non era mai stato un bugiardo.
«Come hai detto che si chiama quell’essere? Ed è mai possibile che sia più potente di te?»
Jareth sospirò. «E’ mille volte più potente di me. Non posso, però, pronunciare il suo nome. Ora indicami la porta e corri da lei!»
Gogol fece cenno di seguirlo: percorsero molti metri, prima di arrivare ad un angolo ombroso, delimitato da alberi spogli ed enormi massi. Qui il nano alzò da terra, nascosta dalla sabbia, una piccola porta logora che appoggiò al muro, così da aprire un varco per entrare nel labirinto.
«Ma certo, ha usato lo stesso meccanismo delle segrete» Jareth non potè non sorridere. «Complimenti Sarah, molto originale» urlò, come se potesse sentirlo- «non credevo che le mie segrete ti fossero piaciute tanto da addirittura copiarle!»
 «Jareth, dovresti conoscere la strada» sospirò Gogol, inquieto. «Ma non prendere nulla sottogamba, il labirinto sta cambiando!»
«Google, credi forse che abbia bisogno dei tuoi consigli?» lo fulminò con lo sguardo. «Cosa fai ancora qui? Se dovesse succedere qualcosa alla ragazza a causa del tuo gingillarti non la passerai liscia!»
«E’ Gogol!» sbraitò per l’ennesima volta il nano, correndo via. «Corri da Sarah, avverti Sarah, Sarah di qua, Sarah di là… certo che non smette un attimo di pensarla, quel bellimbusto! No no, non me la racconta giusta!» borbottò, tra sé e sé.
Il da poco umano Jareth cominciò a incamminarsi per le vie del labirinto: un vento impetuoso gli scompigliava i capelli e, nonostante i sentieri noti, decise di procedere cautamente, non più sicuro che la strada a monte fosse ancora la strada che è a valle.
 
La regina di Goblin, ora nella sala del trono, sembrava già essersi abituata, con sua grande sorpresa, a quell’ambiente: era cullata dall’impressione di essere a casa, di appartenere a quei luoghi.
 I goblin la temevano: infatti, vedendola entrare, una parte di essi era scappata via mentre l’altra si era ammutolita, mostrandole segni di riverenza. Solo qualcuno, evidentemente più coraggioso, era riuscito ad aprir bocca, riconoscendola: «Lady Sarah!» e ancora, tra loro: «è lei, la campionessa!» facendo “oh” in coro, stupiti.  Ricordava che, al primo incontro con quelle creature, fu trattata in modo completamente diverso: erano pestiferi, dispettosi, incontrollabili; ora, invece, sembravano essere terrorizzati dalla sua presenza.
Si sedette sul largo trono di Jareth, immaginandolo al suo posto, bello e tenebroso, ad impartire ordini ai sudditi. Una volta, pensò, anche Toby doveva esser stato in quella stanza, col re e quei piccoli mostriciattoli e, anche se non ricordava nulla, aveva sicuramente vissuto un’avventura fantastica. Ma dopo un po’, guardando i piccoli goblin ai suoi piedi, inorridì, lasciando fuggire quelle fantasticherie dalla mente: forse qualcuno di loro, una volta, era stato un bambino di chissà quale famiglia del sopramondo, scomparso per sempre da casa.
Complimenti Sarah, molto originale! sentì queste parole risuonare dentro la testa: si guardò intorno, ma nessuno le aveva pronunciate; eppure le era sembrato che Jareth… che fosse magia?
Non credevo che le mie segrete ti fossero piaciute tanto da addirittura copiarle! Di nuovo la sua voce. Provò il desiderio di sapere dove si trovasse il suo sfidante e, all’improvviso, una sfera di cristallo le si materializzò nelle mani. Dentro vide Jareth che attraversava la piccola porta del labirinto. «Così non apprezzi le cose già viste, rapitore di bambini? Bene, sarai accontentato! Dopo questa cosa ti passerà la voglia di entrare in camera mia…» Sarah, sorridendo, chiuse gli occhi, concentrandosi: basterà soffermarti col pensiero sull’oggetto che desideri, aveva detto Arthur, e lei era piena d’immaginazione…
 
Il vento, tra le mura del Labirinto, aumentava sempre di più: un fenomeno insolito per quel posto, che presagiva un’enorme quantità d’energia magica nei dintorni. Qualsiasi cosa stesse combinando Sarah non poteva che farla allontanare, senza saperlo, sempre più dalla sua vita nell’Aboveground.  Le correnti d’aria divennero insostenibili, costringendo Jareth a fermarsi, sedendosi per terra e appoggiando la schiena ad un muro.
«Allô!»
«Monsieur le ver de terre!» esclamò sopreso. «Può gentilmente indicarmi la strada per il Castello?»
«En personne!» Il piccolo verme blu era felice di parlare col viandante. «Mais non le conviene andare lì, in questo momento! Entri piuttosto, le offro una tazza di tè!»
«Perché non conviene?» chiese, preoccupato. Il vento cessò, improvvisamente, di soffiare. Al suo posto comparve un’invadente, silenziosa nebbia bianca.
«E’ da un po’ che io e la mia signora sentiamo brutti rumori provenire da quella via! Entri su, gliela faccio conoscere» continuò il verme.
«Brutti rumori, ha detto?»
«Oui oui, scuotono le fondamenta della nostra casetta» replicò angosciato, mentre la nebbia rendeva sempre meno visibile il labirinto. «Quanto zucchero vuole nel tè?»
«La ringrazio, signor verme, ma devo andare» fece Jareth, «ed è meglio se lei rincasi subito».
Sentì anche lui degli agghiaccianti versi provenire da nord, la stessa da cui, in precedenza, soffiava il vento. Se lì si trovava l’origine del rumore, era di certo la strada giusta da prendere. Continuò il suo incedere veloce, senza indugio, attraverso la nebbia.
 
 
Nda: ciao amanti del labirinto! Spero che questo capitolo non vi lasci insoddisfatti! Vorrei ringraziare chi ha lasciato una recensione, chi segue e chi sta leggendo questa storia, indipendentemente dal numero è sempre una soddisfazione :) Non esitate a darmi altri pareri, sono sempre ben accetti! Alla prossima (sperando che Jareth non finisca nei guai…)
 
Giusi

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Capitolo 4
*** Incontri ***


CAP. 4
 
Incontri
 
 
 
How does it feel
to treat me like you do?
I thought I was mistaken
I thought I heard your words
Tell me how do I feel
Tell me now how do I feel?
 (New Order - “ Blue Monday”)
 
 
La fitta nebbia, silenziosa, unica compagna dello sfidante, cominciava a diradarsi, pur non cessando di offuscare il cammino. Jareth non doveva essere –a suo avviso –lontano dai giardini del labirinto, quando i rumori e i versi uditi in precedenza divennero più intensi, distinguibili: la cosa doveva trovarsi in prossimità di quei muri, ora più che mai vicina a lui. Si fermò a guardarsi intorno. Per un momento, il silenzio: forse avrebbe potuto proseguire senza problemi. Ma, subito dopo, un rumore sordo, accompagnato da un sibilo, lo fece sussultare.
Dalla parete destra si erse la testa di un enorme mostro, alto almeno il doppio del fae, che lo scrutava con occhi incandescenti. Jareth cercò subito di nascondersi dietro una parete. Il mostro, buttata giù una colonna, era ora sulla sua stessa strada, rivelandosi nella sua interezza: aveva l’aspetto di un gigantesco serpente alato, di colore verdastro, ricoperto di squame e piume; sulla testa triangolare, simile a quella di una vipera, spuntavano pennacchi dorati, mentre le possenti ali sfoggiavano un piumaggio variopinto, dove spiccavano il blu e il rosso.
Da dove diavolo spuntava una creatura del genere? Protetto dal muro Jareth, non potendo far altro per capire la natura della bestia, gli lanciò addosso una pietra raccolta lì vicino: il mostro, infastidito, indietreggiò di un passo per poi sputare una lunga fiammata verso il luogo di provenienza dell’oggetto.
Riparatosi appena dal pericolo grazie al tramezzo del suo nascondiglio, dovette decidere sul da farsi. Ebbene, si trovava di fronte a un drago, un essere mai apparso nel regno dei piccoli goblin, troppo pericoloso per l’incolumità dell’intero labirinto. A quanto pare, notò con rammarico, aveva sottovalutato Sarah, evidentemente capace di gettarlo nelle fauci di quel mostro senza nemmeno la cortesia di un’arma per difendersi; eppure doveva trovare il modo per, quantomeno, oltrepassare l’ostacolo senza rimetterci le penne. Le tue aspettative nei miei confronti non sono affatto diminuite, sussurrò.
Avrebbe forse dovuto sentirsi perso, ma l’adrenalina prese, fortunatamente, il sopravvento, donandogli una grande lucidità mentale: doveva trovare qualcosa per affrontarlo o una strada diversa da prendere senza essere visto. Tra le macerie della colonna demolita vide fuoriuscire un pezzo di metallo: lo estrasse con forza, ritrovandosi tra le mani una vecchia lancia abbandonata da un goblin. Beh, credo di non poter pretendere di meglio, pensò, fiondandosi contro il drago. Lo attaccò ad un fianco, incastrando la lancia nelle carni del mostro; evitando i colpi d’ala ed usando l’arma come punto d’appoggio per il proprio corpo, nonostante il continuo dimenarsi della bestia, riuscì a salirgli in groppa; da lì cercò di continuare a trafiggerlo, mentre l’altro cercava disperatamente di farlo cadere. Jareth era intenzionato a colpire al collo o alla testa per rendere l’attacco fatale ma, tentando l’impresa, sfortunatamente perse l’equilibrio, cadendo a causa dei continui scossoni subiti; si ritrovò a terra con la lancia spezzata in due e pochi secondi di vita prima di essere abbrustolito.
Fulminea, un’idea gli attraversò la mente: per avere una speranza di salvarsi, doveva portare il drago fino alla foresta lì vicino. Lanciò ciò che era rimasto dell’arma in uno degli occhi della bestia, trafiggendolo: mentre questo urlava dal dolore, lui velocemente si alzò, correndo in direzione della foresta e cercando di acquistare, in quei secondi di vantaggio, più metri di scarto possibile. Non passò molto tempo prima che il drago, ferito e mezzo cieco, iniziasse a inseguirlo, più furioso che mai: lui, però, era già arrivato alla foresta, sì, la foresta! E non aveva intenzione di fermarsi proprio ora.
Inoltrandosi rapidamente tra gli alberi, urlò con tutto il fiato che aveva in gola: «Clash! Charlie! John-Ju! Bodkin!» più volte; dovevano arrivare, sarebbero sicuramente arrivati presto!
Ecco, infatti, un disordinato sghignazzare risuonare nella foresta: erano loro, la folle compagnia del fuoco.
«Ci hai chiamati? Vuoi unirti a noi? Ti divertirai! Ha,ha,ha!» fece uno di loro.
«C’è un giocatore» rispose Jareth, indicando alle sue spalle, «c’è un nuovo tipo che vuole giocare con voi».
I fireys osservarono la creatura. «Ohhh, sarà un magnifico portiere!» «Lo voglio nella mia squadra!» «Stacchiamogli la testa!» decretò il capo.
Jareth si nascose dietro ad un vecchio tronco caduto, non smettendo di fissare la compagnia nemmeno per un momento, finché non fu sicuro di averli visti staccare la testa al drago e portarsela via come se fosse un pallone da calcio. Rimasto solo, con la camicia a brandelli e qualche taglio sul corpo, si sdraiò sull’erba fresca, sfinito, sospirando profondamente.
 
 
Non tornerai mai a casa. Queste parole, dapprima ignorate, con il passare del tempo riuscirono ad invadere la mente di Sarah, opprimendola, simili alla goccia che riesce a scavare la pietra. Se Jareth non avesse mentito? La sola, minima possibilità che fosse vero la mandava nel panico: bramava la sua vita nel sopramondo molto più della vendetta, se questo era il termine giusto per definire la situazione in cui si trovava. Non riusciva a credere, però, che Arthur potesse averla ingannata: era l’unico essere dalle sembianze umane che le era parso gentile e affabile, in quell’assurdo labirinto. Il suo viso angelico, la risata e le parole limpide e cristalline, unite a quel guizzo negli occhi… era lui a controllare che tutto andasse secondo le regole in quel mondo –così le aveva detto. Forse era una specie di “poliziotto” dell’Underground. Nonostante ciò, aveva un aspetto talmente giovane e innocente da cozzare con i discorsi affrontati e la magia da lui usata – che fosse un portavoce, un inviato di chissà quale vecchio saggio?
Dall’altra parte, invece, c’era il comportamento di Jareth, sempre misterioso e prepotente: come faceva a sapere di Arthur? E perché, anche semplicemente nominandolo, sembrava odiarlo –invece di volgere tale risentimento verso lei, che era la persona che aveva usurpato il suo trono?
La ragazza diventava sempre più confusa a riguardo e le due figure cambiavano velocemente nella sua testa: Arthur diventava un terribile manipolatore, Jareth un fae pronto a salvarla, per poi invertirsi i ruoli, continuando incessantemente quell’orribile, oscillante danza tra opposti, bianco e nero, amore e odio, bene e male.
A momenti pensava al mostro mandato nel labirinto, vergognandosene: che fosse troppo anche per Jareth? Quando un goblin, come un bambino, scosse un lembo della gonna a mo’ di campana per avvisarla che il drago era stato ucciso tirò, senza volerlo, un profondo sospiro di sollievo.
Non passò molto tempo, che un altro goblin si presentò al cospetto della regina: «signora, c’è un nano alla porta, le vuole parlare!» -che fosse Gogol? Sarah diede l’ordine di farlo entrare.
Era proprio lui, il suo amico! Che bello vedere una faccia nota in quel posto! Gli corse incontro, abbracciandolo forte.
«Hey, hey, niente smancerie!» esclamò il nano, pur contento di vederla. «Sarah» disse poi, scuotendole le spalle, «sei in pericolo!»
«Co…cosa? Io in pericolo?»
«Se non riconsegnerai al più presto il trono a Jareth sarai vittima di un potentissimo mago! Sarà la tua e la nostra rovina!»
Sarah si accigliò. «Chi è questo mago?» Tutto ciò che aveva pensato era forse vero?
«Io… non conosco il nome, ma so che è mille volte più potente di Jareth».
«Jareth non ha alcun potere, ora» fece seria. «Un momento, tu come fai a saperlo? Te l’ha detto lui, non è vero?»
Gogol andò in preda al panico. «…No, tsk! Ma che dici? Certo che no!»
Sarah, vedendolo in difficoltà, fece un sorrisetto: «sì, è così!» e, per farlo confessare, gli rubò i gioielli che aveva legato alla cintura, facendoli ciondolare davanti i suoi occhi.
Il nano andò su tutte le furie: «i miei gioielli! Ridammeli subito! Fermati! Oh, Jareth non sarà felic…ops» si portò una mano davanti alla bocca.
«Ecco, lo sapevo!» esclamò soddisfatta. Gogol, invece, brontolava. «Sgrunt!»
Restituiti i gioielli, s’intristì, diventando più confusa che mai. Si era fidata di Arthur, ma voleva anche fidarsi del suo amico nano, che in questi anni l’aveva sempre aiutata. E Jareth? Che pensare di lui? Identificare il suo ruolo diventava sempre più difficile.
«E ora? A chi dovrei credere, Gogol?» sospirò.
«Beh Sarah, come successe la prima volta, si dà il caso che tu debba scegliere…»
 
 
Jareth, ripreso il cammino, ebbe la forza di procedere a grandi passi, incontrando varie creature del reame: Ceppo di Legno, il burbero albero parlante, Dhaelkìn, la piccola e dolce marmotta blu alata scappata dal regno degli elfi, il goblin falegname ed un coprisaggio (accuratamente evitato –non sopportava quegli esseri sibillini!), tutto questo dopo aver attraversato la foresta, i giardini del labirinto ed essere arrivato alla radura oltre la Gora dell’Eterno Fetore. A quel punto doveva, se non ci fossero stati altri cambiamenti o complicazioni, aver fatto più di metà strada, trovandosi in discreto orario sulla tabella di marcia: aveva passato nel labirinto poco più di sette ore.
Proseguendo lungo la radura, la sua attenzione fu catturata dal rumore del cadere di un oggetto. Osservando meglio vide al suolo, tra la terra e le sterpaglie, il medaglione reale, sporco e abbandonato. Un gesto del genere rappresentava alto oltraggio alla corona: senza parole, corse a raccoglierlo, quando fu preceduto da un’altra creatura: Bubo, il bestione amico di Sarah! Questo prese il medaglione e cominciò a giocherellarci con le zampe, per poi metterselo al collo con atteggiamento fiero.
Jareth, alla vista di tale comportamento, andò su tutte le furie: «brutto gorilla, ridamm…» -voleva cantargliene quattro, ma si interruppe. Non era una buona idea trattarlo in quel modo, finchè era in possesso del suo medaglione; inoltre era “amico” della ragazza –pensarlo lo infastidì– e non voleva farsi odiare più di quanto non lo fosse già: perciò decise di tentare un approccio diverso, cercando di ottenere con le buone ciò che gli apparteneva.
«Ehm… ciao cucciolone, come ti chiami?» se lo avessero sentito i suoi goblin!
Bubo, confuso, lo squadrò dalla testa ai piedi, rispondendo dopo un po’: « io… Bubo…tu?»
«Jareth», fece sorridente.
Il bestione s’immobilizzò. Jareth… dove aveva già sentito quel nome? Suonava familiare, ed ebbe l’impressione che si trattasse di un nome importante: avrebbe sicuramente dovuto ricordarsi qualcosa a riguardo, ma non gli veniva in mente proprio nulla. Pazienza, pensò, non importava.
«Io… re Bubo!» esclamò felice, guardando il medaglione appena trovato.  
«No Bubo, quello l’ho perso io…» rispose il fae, assumendo un’aria triste e tendendo la mano verso di lui.
«Oh…tuo?» fece Bubo, con una tenera espressione sorpresa e dispiaciuta; si tolse il medaglione e lo diede subito a Jareth.
«Grazie Bubo!» il medaglione non gli avrebbe ridato i suoi poteri, per ora, ma averlo con sé lo faceva sentire meglio. Si chiedeva chi l’avesse lasciato lì, in balia del caso: trovò una sola risposta: Arthur. I nervi gli salirono a fior di pelle.
«Jareth… amico?»
«Ehm, sì, certo, ma ora devo andare...»
«Bubo va con amico!» rispose, illuminandosi di gioia. Jareth, poco entusiasta della decisione, cercò in tutti i modi di liberarsene in modo delicato: non ci riuscì, rassegnandosi ad avere un nuovo compagno di viaggio. Insieme camminarono a lungo, fino ad arrivare alla fine della radura: da lì, il Castello poteva essere ammirato in tutta la sua magnificenza. Jareth, alla vista dell’edificio, tirò un sospiro di sollievo, Bubo, invece, cominciò a lamentarsi per i piedi doloranti, andando a riposarsi all’ombra di un albero. Anche il fae fece una sosta, sedendosi vicino al bestione e osservando il suo riflesso in una pozza d’acqua.
Fu in quel momento che arrivarono, dal castello, due delicate, esili bolle di sapone in direzione di Jareth: Sarah? Un’allucinazione… per lui? Era una mossa che non si sarebbe mai aspettato: non essendo drogato da nessun frutto o sotterfugio magico, avrebbe benissimo potuto non entrare in quelle bolle, ma l’idea non lo sfiorò neanche: nonostante l’esperienza passata col drago, non temeva questa nuova prova, ed aveva l’impressione che quelle bolle non fossero arrivate fin lì per nuocergli; anche se fosse, ne sarebbe valsa la pena: nelle allucinazioni si può parlare senza essere sentiti, agire senza esser visti, vivere senza esistere…
 
 
NdA: eccoci di nuovo qui! Spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolo. Sono curiosa di sapere se apprezzerete la scena del drago, che credo sia un po’ atipica rispetto al resto, ma è ciò che mi ha dettato l’ispirazione! Ho continuato, inoltre, con la scelta di usare, quando possibile, la versione italiana dei nomi dei personaggi: dopo Gogol, ecco Bubo – dopotutto, anche il titolo della fanfiction è italiano…  I nomi dei fireys, invece, li ho ottenuti giocando con i nomi dei loro doppiatori originali; Dhaelkìn è una veloce descrizione di una delle creature disegnate dal nostro Brian Froud ( http://data.whicdn.com/images/131447620/large.jpg)! Infine, prima di lasciarvi, voglio anticiparvi che dal prossimo capitolo il racconto cambierà un po’ di cose: entrerà in gioco tutta quella parte “sentimentale” che fin’ora, per motivi di trama, non si è vista, per la felicità di chi aspetta dei momenti più romantici o sofferti – o entrambi! Grazie a chi leggera e (si spera sempre) recensirà!
Giusi

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Capitolo 5
*** Allucinazione ***


CAP. 5
 

Allucinazione


 
 
“One day I will find the right words, and they will be simple.”
Jack Kerouac 


 
 
Jareth entrò nella magnifica sala da ballo, candida e scintillante, gremita di ospiti in maschera dai vestiti pomposi. Era molto simile all’allucinazione che, una volta, fu lui a creare per Sarah, dove tutto era composto da sogni –il fantastico nell’irreale, una sorta di matrioska agli occhi di qualsiasi essere dell’Aboveground-  e dove non avrebbe esitato a farla rimanere per sempre, al suo fianco, ignara di tutte le sofferenze e le preoccupazioni del mondo esterno.
Notò, con immenso piacere, di aver ripreso il suo aspetto da fae: i biondi capelli lunghi e scompigliati incorniciavano di nuovo il suo viso e l’abbigliamento era consono all’occasione: aveva addosso un completo da cerimonia bianco, che di certo gli rendeva giustizia, senza farsi mancare gli adorati colletti, pantaloni attillati, guanti e stivali. Ringraziò mentalmente Sarah per la cortesia. Ora era il momento di cercarla, di sapere perché si trovava lì. Percorse la sala, notandone i particolari elegantemente sfarzosi e facendosi largo tra gli ospiti, che anche questa volta indossavano maschere da goblin e si divertivano di cuore; ma lei dov’era? Il suo respiro, nell’attesa, divenne nervoso e irregolare.
Eccola, finalmente - un fremito improvviso - apparire improvvisamente in mezzo alla folla: lui cercò di raggiungerla, ma la perse di vista più volte, vedendola riapparire ogni volta in un angolo diverso della stanza. Giocava letteralmente a nascondino tra la folla e la cosa non potè che far sorridere il re.
Si fece vedere, infine, in cima alla lunga scalinata, ancora una volta in tutta la sua regale bellezza: lungo abito nero, fiori rosa tra i capelli ed una maschera bianca a coprirle il volto, che lentamente spostò, lasciando spazio ai brillanti occhi verdi e alla curva di un dolce sorriso. Il fae, rallegrato, lentamente la raggiunse e, senza dire una parola, gentilmente le porse una mano: Sarah, dopo un attimo di esitazione, docilmente accettò. Iniziarono le danze. Ora i corpi dei due erano vicini come non lo furono da anni; entrambi non riuscirono a nascondere una certa emozione al contatto, una sensazione di elettricità mista ad imbarazzo, che si manifestava con sorrisi forse fuori luogo, per due avversari che si trovano a faccia a faccia.
«Sei bellissima, Sarah» sussurrò Jareth, rompendo per primo il silenzio tra i due.
Lei avvampò, prendendo fiato. Un inizio che non si aspettava. «…Grazie. Questo ballo sta succedendo perché ho delle domande da farti» disse, in apprensione.
Jareth, sorridendo, la strinse a sé: «fai pure» rispose, sussurrandole all’orecchio. Sarah tremò leggermente sentendo il suo fiato sulla pelle. «Ma, questa volta, fai attenzione a cosa chiedi» continuò.
Ci furono dei momenti di silenzio, misurati dal puntuale cadenzare del ballo.
«Tornerò mai a casa?»
Jareth, improvvisamente serio, sospirò. «…Non lo so».
Sarah non riuscì a mantenere l’aria sorniona e leggermente maliziosa che aveva avuto all’inizio: il suo viso divenne triste, ferita dalla verità che quelle parole, dette così di getto e in tono rassegnato, rivelavano. Il suo sguardo era ormai lontano e perso nel vuoto. Jareth non rimase indifferente alla sua reazione, facile da cogliere per lui, che aveva sempre avuto a che fare con i desideri. Soffriva nel vederla desiderare così tanto il suo ritorno, perché significava non solo non averla più accanto, ma anche non essere nelle cose che aveva a cuore. E, nonostante tutto, la stava aiutando ad andare via, semplicemente perché era ciò che voleva. Sarah, in preda ad uno straziante sconforto, affilato come denti di vampiro, poggiò delicatamente il viso al petto del fae, d’istinto, per cercare una qualche consolazione. Lui, con altrettanta delicatezza, le accarezzò i capelli, quasi di riflesso, continuando lentamente quella strana, dolce, pericolosa danza allucinata e fuori dal mondo.
«Chi è l’essere che…? E’ Ar…?» fece la ragazza, ricomponendosi.
«Sì, è lui» rispose sbrigativo.
«Perché dovrebbe farlo?»
«E’ la rivoluzione. Vuole stravolgere un mondo sotterraneo, il nostro, rimasto sempre uguale per migliaia di anni, con istituzioni che voi definireste “medioevali” – ma che sono le uniche a poter funzionare per la maggior parte del Piccolo Popolo».
Sarah era confusa. «E’ la tua guerra, quindi. Qual è il problema nell’avere qualche re in meno?» rispose con una punta di amarezza.
Jareth scrollò la testa, mantenendo un atteggiamento imperscrutabile.
«Sarah» ribattè calmo, fissandola. «Credi davvero che senza il mio intervento i goblin ti avrebbero dato anche solo una chance di riavere Toby?» fece, accennando il classico sorrisetto di chi la sa lunga.
Sarah ammutolì. Effettivamente aveva ragione. E dire che nei suoi libri aveva sempre tifato per i rivoltosi… ma la confusione non cessò. «Se pur tutto ciò fosse vero» continuò, poco convinta «cosa c’entrerei io in questa storia?»
Che Sarah cominciasse ad ascoltarlo sul serio? Il re cercò di chiarirle le idee, mentre continuavano a ballare. «Sei un’umana iniziata alla magia, giovane per giunta, e con una vittoria su un certo re alle spalle –il che ti rende molto potente, qui nell’Underground. Se stessi dalla sua parte –o se almeno rimanessi nella tua posizione, a ricoprire le tue attuali cariche al posto degli Aes Sidhe, lui riuscirebbe a mettere in seria difficoltà la Loggia Reale. Cosa che potrebbe facilmente costringerti a fare, essendo colui che ha esaudito il tuo desiderio. E’ un tuo simile, sai –fu un umano, una volta, e nacque da famiglia umana. Uno di quei pochi della tua specie capaci di affrontare enormi imprese, sofferenze e quant’altro per arrivare a ciò che anelava di più: la conoscenza dell’ignoto, la scoperta del completamente sconosciuto. Un intento nobile, finché non l’ha portato ad unirsi a noi. E’ l’unico umano che sia mai riuscito a scoprire il nostro regno da solo – e per questo ha un enorme potere. La magia, delle volte, decide di appiccicartisi addosso…»
Sarah era rapita dal racconto del re, tanto da sentire un forte senso di estraniazione. Perché avrebbe dovuto mentire? Sembrava non ricordare più perché si era ostinata tanto ad essere contro di lui, quando ormai non c’era più nessuno da salvare – se non se stessa. In  quel momento non vedeva che la sala girare, girare senza mai fermarsi così come quel pazzo mondo, e non trovava appiglio se non negli occhi del fae, che non riusciva a fissare per più di qualche istante; ma quel viso era l’unica certezza, l’unica cosa che le sembrasse davvero viva in mezzo a tutte quelle maschere. Nostalgia fu la parola che le affiorò in mente, quella nostalgia che lui stesso aveva nominato – e nostalgia era la parola che fece riemergere il ricordo delle visioni che Jareth le aveva mostrato quando entrò in camera sua. Ma cos’era che le faceva provare nostalgia? – fu in quel momento che Sarah ebbe paura, non riconoscendosi in pensieri che affioravano da abissi lontani, oscuri, e che aveva sempre cacciato con forza dalla mente. Si rifiutò di riconoscere quel groviglio di sensazioni che le laceravano lo stomaco, non volle dar loro la dignità di associarle a dei nomi noti, ignorandole completamente. Decise, senza logica alcuna, di non potersele permettere, nonostante rimanessero sempre lì, pesanti tentazioni impossibili da cancellare. Se nell’Underground i regnanti cercavano di evitare cambiamenti drastici, Sarah cercava di sedare le rivoluzioni della sua anima.
«Perché dovrei crederti, Jareth?» disse, in tono accusatorio.
Il re abbandonò il suo fare spavaldo. Perché i fae non mentono sarebbe stata una risposta logica. Perché non sono cattivo come credi sarebbe stata una risposta altrettanto valida, anche se difficile da supportare. Perché sto attraversando questo labirinto solo per salvarti, dato che per te sarei disposto a morire – e l’ho già fatto una volta sarebbe stata la vera risposta. Ma non riuscì a dire nulla di tutto questo.
«Puoi non credermi Sarah, puoi continuare a non farlo, ma è la verità».
Si tolse il medaglione dal collo, posandolo su quello della ragazza. «Questo dovrebbe essere indossato da te, finché il mio destino non sarà deciso. So che sarà in buone mani». Lei rimase senza parole, quasi come se fosse pietrificata, mentre lo vide abbandonarla in mezzo alla sala da ballo e, voltandole le spalle, andare via.
«Jareth, aspetta!» urlò poi, d’istinto. Il fae si girò verso di lei, in silenzio, aspettando. Lei abbassò lo sguardo, in colpa. Poi, in tono sommesso, continuò: «alla tredicesima ora sarai al mio castello, e mi affronterai. Non… non troverai altri ostacoli». Detto ciò, fece apparire l’Orologio delle Tredici Ore, facendo scorrere le lancette tre ore in avanti. Jareth la guardò, sorpreso, con espressione interrogatoria. Cosa diamine stava facendo?
La bolla si ruppe, risucchiando tutti gli ospiti, i mobili, i tendaggi; Jareth cominciò a cadere nel vuoto, circondato da milioni di innocue schegge di vetro. Presto si sarebbe trovato di nuovo sulla terraferma, in chissà quale parte del labirinto. Quello che il fae non sapeva, però, era che la ragazza aveva deciso di lasciarsi sconfiggere, facendolo precipitare alle porte della città di Goblin, poco distante dal Castello. Non aveva nemmeno più ripreso quel bizzarro aspetto da umano: era semplicemente Jareth, il re decaduto, che si addentrava in una cittadina all’apparenza deserta e priva di protezione alcuna.
 
***
 
«Ascoltate me!» urlò uno di loro. «Dobbiamo andare ad avvertirlo!»
I goblin, come usavano fare, si erano riuniti, chiassosi e scalmanati come loro solito.
«Ma non possiamo salire! Nessuno ci ha chiamati!» osservò un secondo.
«Oh, ma per favore» rispose un altro, tirandogli un ceffone. «In migliaia di anni abbiamo sempre fatto a modo nostro!»
Molti furono d’accordo. «Non siamo mica famosi per nulla, eh!»
«Non so, non è corretto» rispose il secondo. «Non sono affari nostri!»
«Oh, stai zitto!» fecero in coro. «La situazione è alquanto strana, sento puzza di bruciato! Dobbiamo intervenire!» continuò il primo. «Abbiamo forse bisogno che arrivi qualche elfo a decidere per noi?»
«Dite che ci aiuterà?»
«Certo, lui è sempre stato dei nostri!» esclamò quello, deciso. «Sì, è un tipo giusto!» aggiunse, con tanto di pollicione all’insù, un goblin che fin’ora era rimasto in disparte. «Oh, ti prego, smettila!» fece un suo compare.
«Quindi che si fa? Saliamo?»
«Saliamo e troviamolo!»

 
***
 
NdA: bentornati, visitatori del Sopramondo! Ecco, finalmente, pronto anche questo capitolo (la cui nascita è stata un po’ sofferta – ma cerco di continuare con determinazione)!Che dite, Sarah sta cambiando idea sul re di Goblin? La situazione si sta risolvendo o ingarbugliando? Cosa tramano i goblin?
Grazie infinite, come sempre, a chi presta attenzione a questa storia e a chi continua a tenerla d’occhio.
A presto!
Giusi 

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Capitolo 6
*** Sconfitta ***


CAP. 6
 
 
 
L’orologio scoccò la sua undicesima ora: undici dannate ore dall’inizio di quella storia intrapresa per sbaglio. Sette ore passate ad affrontare le insidie del labirinto, un’ora in compagnia di una regina che non riusciva ad odiarlo, né tantomeno trovava il coraggio di amarlo; tre ore rubate al tempo, insensatamente, non per metterlo in difficoltà ma forse per aiutarlo – o, semplicemente, portarlo più velocemente alla sfida finale. Un atto di fiducia reciproca: io ti porto alla città di Goblin, tu mi porti a casa. Un patto sottinteso per non lasciare al labirinto un’altra preda, e per levare alla magia un altro carnefice.
L’aria era pesante e immobile lì, tra i vicoli di quell’agglomerato di minuscole case che Jareth stava attraversando: il silenzio irreale lo rendeva incredulo, facendogli riconoscere a stento la cittadina dove abitava il suo popolo. Dove erano finiti tutti i goblin che di solito riempivano quelle strade polverose?
Sembrava esser diventato un regno dominato da spettri, spettri che assumevano la forma delle storte e fragili costruzioni in pietra e legno, delle buffe e grigie fontane o degli orologi malfatti onnipresenti sulle colonne degli edifici. Lui, spettro tra gli spettri, continuava a camminare, sopraffatto dalla magia del luogo che, per la prima volta, vedeva con occhi umani. Lo sovrastava il cielo dell’Underground, sempre intenso e tenebroso, ricco di nubi che viravano dal blu all’arancio: un cielo che, nel sopramondo, sarebbe potuto essere ammirato solo in un dipinto di William Turner.
Proseguendo, si accorse che, in effetti, non era completamente solo: dei rumori sordi e cupi, più di una volta, avevano accompagnato i suoi passi. Erano rumori di porte che si chiudevano: evidentemente, dei goblin erano nascosti nelle proprie case, spaventati. Per lui? Non era logico. Ma allora per cosa? In ogni caso, non era un buon segno.
Un gatto nero, accovacciato sul comignolo di una casa, lo osservava, nobile e silenzioso.  Jareth non si accorse della sua presenza.
 
 
Arthur riprese la sua forma umana, osservando da lassù la città di Goblin ancora per un momento, prima di ritornare, con uno schiocco di dita, alla sua dimora.
Era una villa dall’aria antica - e di sicuro lo era più di quanto si potesse immaginare - ai margini di uno dei regni più misteriosi dell’Underground, che per ora non occorre rivelare. La struttura era evidentemente stata abbandonata da secoli ma, nonostante ciò, resisteva piuttosto bene alla corrosione del tempo, aiutata dal clima pressoché privo di intemperie del sottomondo. Somigliava molto ad un’antica domus romana: era sorretta da numerose colonne, aveva un piccolo giardino interno e le pareti, non prive di arcate cieche, erano adornate da numerosi affreschi dai colori caldi e a sfondo rosso, con scene raffiguranti segreti e ancestrali riti misterici.
Arthur, scoperta quella villa durante uno dei suoi primissimi viaggi nell’Underground, aveva deciso di occuparla, facendone il suo rifugio: si sentiva a suo agio tra quelle misteriose mura, e ne aveva aumentato il fascino raccogliendo lì gli oggetti ed i manufatti più strani e caratteristici che avesse mai visto nei mondi a lui conosciuti. Tra le altre cose, non mancavano statue e stele risalenti ai tempi dei faraoni e raffiguranti la dea gatto Bastet: un particolare modo di celebrare un culto di se stesso e della magia, che gli aveva donato proprio quella forma.
Stanco, si sedette su un mobile che somigliava ad un divano, mormorando tra sé e sé: «Illuso, illuso e patetico». Si sciolse il fiocco nero che aveva al collo, per poi mettersi una mano tra i capelli. «Per non parlare della ragazza: le do tutto il potere del mondo e lei per cosa lo usa? Per aiutare quel fae a tornare al suo posto?» sospirò.
«Gli umani mi deludono sempre di più: fanno di tutto perché non cambi mai nulla». Era davvero innervosito: non riusciva a capire le scelte di Sarah. «Ma quei due si sbagliano, se credono che collaborare li aiuterà. Si sbagliano di grosso». Prese un grappolo d’uva da una coppa di frutta e si alzò: con calma, andò ad osservare il giardino della villa, appoggiando la schiena ad una colonna.
«Il re si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri… una bella storia» meditò. Poi scrollò la testa, con un sorrisetto nervoso.
«Povero Jareth. Sarà proprio la ragazza a rovinarlo».
Detto questo, strinse forte i pugni, strizzando contro il palmo gli acini d’uva che aveva in mano. Il succo rosso, simile a sangue, schizzò copiosamente sui vecchi scarponi e macchiò la sua mano, riempiendola di mille, minuscole vene di liquido rosso.
 
 
Il fae arrivò alle porte del castello oltre la città di Goblin: imponente, tetro e sinistro, era l’unico posto che sentiva di poter chiamare “casa”; ad accompagnarlo, un senso di apparente calma, come a volte si può provare prima di un’importante prova. Fece un gran respiro, per poi aprire la porta, priva di guardie, ed attraversare il lungo e buio corridoio che l’avrebbe portato dritto alla sala del trono.
Entrato nella sala, la trovò completamente vuota, come si aspettava. Dopotutto, Sarah sembrava apprezzare le tradizioni. Come per le vie della città, anche da quelle mura emergeva un grande senso di desolazione, misto ad una leggera malinconia e ad un sentimento di appartenenza nel ritornare a vedere il suo vecchio trono. Soffermandocisi, delicatamente lo accarezzò: chissà come se l’era cavata la ragazza, seduta al suo posto. Uscì di lì, proseguendo in quella parte del castello che, sapeva, sarebbe sboccata sulle scale di Escher.
Eccole: una vista che diede quasi le vertigini ai suoi nuovi occhi umani. In piena penombra, enormi e assolutamente prive di orientamento e di vie d’uscita visibili: una delle parti più meravigliose del suo labirinto. Il timore che incutevano,che finalmente poteva provare sulla propria pelle, diede un certo senso di soddisfazione al suo lato più oscuro e tenebroso. Lo distolse dai suoi pensieri il tintinnio di un cristallo: vide una sfera scagliarsi sulle scale, rimbalzando più volte sui gradini. Alzò quindi gli occhi, trovando Sarah.
«Ti aspettavo», disse la ragazza: fu solo un attimo, poi cominciò a scendere quel groviglio di scalini, a grandi passi; il fae, cercando di starle dietro, la seguì, velocizzando la sua andatura.
Era piuttosto complicato attraversare quelle scale anche quando, come nel suo caso, ne si conoscevano i segreti: si aveva sempre la tentazione di entrare nei numerosi portali che, però, avrebbero riportato lo sventurato all’inizio della sala.
Sarah, arrivata in una parte centrale della folle costruzione, si voltò, vedendo che Jareth l’aveva quasi raggiunta. Accennò un sorriso, poi saltò nel vuoto.
E’ il momento, pensò il fae. Si buttò anche lui, da un’altezza che sembrava infinita.
 
 
L’accelerazione di gravità diminuiva man mano che  il fae si trovava più vicino alla piattaforma di arenaria; le scale, ridotte in pezzi, fluttuavano nel vuoto. Lì, in quel luogo che sembrava esser riuscito a scappare dalle leggi dello spazio-tempo, doveva svolgersi la battaglia finale.
Sarah non si fece attendere: apparve da dietro un portale, con incedere minaccioso ed uno sguardo davvero poco amichevole. Una regina del labirinto perfetta. Fece un debole cenno d’assenso con la testa, come per dire al suo avversario: “inizia pure”. Jareth cominciava a prenderci gusto. Beffardamente, rispose alla provocazione:
«Ridammi il mio trono».
«Sconfiggimi» rispose Sarah, più decisa che mai, senza smettere di fissarlo negli occhi. Sconfiggimi sul serio, fallo – sembravano dire, e anche presto. Era uno di quegli sguardi che non lasciava adito ad alternative e, benché avrebbe potuto pressoché terrorizzare molti, nascondevano anche un’implicita richiesta d’aiuto. Non potendo più sostenerli, Jareth distolse lo sguardo.
«Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin. La mia volontà è forte come la tua, e il mio regno altrettanto grande…» si interruppe.
Tu non hai alcun potere su di me! Coraggio, dillo! Che aspetti? Sarah era terrorizzata.
Il fae le rivolse un grande, malizioso sorriso. Il suo viso era al massimo dell’ilarità.
«E se non volessi sconfiggerti?» fece, gironzolandole intorno. «Dopotutto, anch’io ti tratterrei con piacere da queste parti» continuò, mordendosi un labbro.
«C-come osi… non vorrai…» Sarah tremava: non avrebbe dovuto fidarsi di lui. Perché l’aveva fatto? Che stupida che era stata!
«Suvvia Sarah, non avrai davvero creduto che volessi riportarti a casa» alzò un sopracciglio. «Non hai nessuna offerta per me?» continuò, sempre più malizioso.
Sarah era ormai furiosa. «Attento Jareth, bada a ciò che fai! So essere crudele anch’io, molto più di te, se voglio. E non esiterò ad esserlo!» urlò, stringendo i pugni. A questo punto, però, vide il volto del fae quasi non riuscire più a trattenere le risate e rivolgerle una buffa smorfia di scherno.
…Stava scherzando. Proprio in quel momento, in mezzo al nulla, nel pieno di una formula… aveva deciso di prenderla in giro. Idiota. La ragazza tirò un lungo sospiro, calmandosi. Lui mostrò i suoi denti brillanti in un ultimo sorriso. Poi tornò serio, anche troppo serio, e Sarah continuò ad aspettare le parole che le avrebbero fatto abbandonare il labirinto, per sempre. Era il momento.
«Tu non hai nessun potere su di me.»
I due erano rigidi e immobili, aspettando che tutto, da un momento all’altro, scomparisse. Ma non succedeva nulla. Sarah era – a dir poco – allarmata, Jareth rimase pietrificato, in lieve stato di shock. Ripetè la formula.
«Tu non hai nessun potere su di me».
Nulla, non succedeva nulla. «Tu non hai alcun potere su di me… tu non hai alcun potere su di me!»
Avrebbe potuto continuare a ripeterla un’infinità di volte, ma non sarebbe successo nulla. Capì che Arthur, da abile giocatore, era riuscito con poche mosse a tender loro scacco matto, poiché la magia non si può ingannare, e la formula non sarebbe mai diventata vera: Sarah aveva sempre avuto fin troppo potere su di lui.

 
 
 
***
Nda: visitatori del Sopramondo, siete ancora qui? Beh, allora grazie per aver letto! Tutte le recensioni e/o interazioni varie sono graditissime. Spero davvero che la storia vi stia piacendo.
Alla prossima!
Giusi

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Capitolo 7
*** Potere ***


CAP. 7
 
 
«Desidero… comando ed ordino… che i goblin mi portino a casa all’istante
Sarah, non riuscendo a darsi per vinta, continuava a formulare desideri del genere: in qualche modo, s’illudeva, sarebbe tornata a casa.
Jareth, seduto su un gradino delle scale di Escher, ora ricomposte, la osservava, scuotendo la testa.
«E’ sempre divertente osservare reali illusi di poter avere potere su tutto».
Sarah incrociò le braccia. «Oh, senti chi parla! Il re che urlava di poter mettere sottosopra il mondo intero! E che ora, invece… ci ha messi in questo bel guaio».
«Sarah, le tue parole sono offensive» rispose lui, guardando altrove. «Non è affatto colpa mia se ignori sia il latino che le formule magiche».
«Cosa? Sarebbe colpa mia, quindi?» la ragazza, innervosita, sgranò gli occhi. «Cosa hai da dire sulle tue incursioni nella mia camera, invece?» puntualizzò.
Jareth sospirò. «Mia preziosa, litigare non riporterà le cose al proprio posto».
Sarah cercò di ignorare il modo in cui l’aveva chiamata, nonostante ne rimase sorpresa. «Hai ragione», sussurrò. Poi tornò a cercare la formula giusta per uscire dal labirinto.
«Desidero annullare il mio precedente desiderio, all’istante!»
Il fae si passò una mano tra i capelli.
«Illusa. Non ho nemmeno mai sentito il verbo “annullare” in una formula magica».
Allora perché non mi aiuti, invece di stare lì a fare il saputello? pensò lei. «Ci sono!» fissò i suoi ipnotici occhi. «Desidero che tu sia il re di Goblin!»
Jareth rise, alzando un sopracciglio. «E’ forse una proposta, mia cara?» le fece, con tanto di occhiolino. Lei, arrossendo, lo fulminò con un’occhiata.
Lui allora, abbandonando il suo fare strafottente, si alzò e le andò incontro. «Mi dispiace Sarah, ho le mie colpe in ciò che è accaduto. Una su tutte quella di averti esposto troppo alla magia, senza pensare ai rischi. Ne sono ben cosciente. Ma il tuo ritorno nell’Underground, sappilo, era pressoché inevitabile: stavi accumulando troppo… potere per rimanere nel tuo mondo come semplice umana».
Davvero? Il re di Goblin si stava scusando con lei? Avere a che fare con lui la sorprendeva sempre di più. 
«…Apprezzo le tue scuse, Jareth. Ma questo vuol dire che stavo diventando anch’io una… maga? E’ per questo che riuscivo ad evocare le creature del labirinto sempre più facilmente?»
«Sì, in parole povere è così. Credo che l’essere riuscita a sconfiggermi, l’evocare molte volte Tralalà e compagnia e la vicinanza col tuo fratellino rapito abbia, come dire… alimentato quei poteri che ti diedi molti anni fa».
Sarah si sentì in imbarazzo: le riaffiorò in mente la storia di quei poteri e del libro rosso che aveva letto così spesso, ritrovandosene la protagonista. E, soprattutto, si rese conto che il suo vecchio nemico aveva ragione, l’aveva sempre avuta: aveva lottato contro chi aveva cercato di salvarla e, cosa ancora più difficile da accettare, ciò significava che lui, in qualche modo, teneva a lei. Avvampò al pensiero, cercando di non farsi notare: stava cominciando a dare, finalmente, una diversa interpretazione ai misteriosi comportamenti del fae.
«E’ incredibile, non pensavo che la magia potesse essere così… delicata, ecco. Eppure avrei dovuto impararlo dal mio primo viaggio. Ora, però, dobbiamo trovare una soluzione. Qualcosa dovrà pur esserci! Mi avevi accennato di una Loggia Reale… cos’è? Non potrebbe aiutarci?»
Jareth ci pensò su. Sarah cominciava a sapere davvero troppo, per essere una semplice viaggiatrice. Svelare tutto ad un’umana avrebbe probabilmente portato delle ripercussioni su di lui, ma era pur vero che la ragazza c’era ormai dentro fino al collo, e che era, suo malgrado, la regina del labirinto – e già questo non faceva per nulla onore alla posizione del mago. «Sarà meglio spiegarti tutto, per bene questa volta, prima che questa calma nell’Underground cessi. Vieni con me», le disse, invitandola a seguirlo. Si interruppe poi un attimo, voltandosi. «Certo, mia regina, se lo desideri, qualcosa che potresti fare c’è: ridarmi i miei poteri».
Sarah lo guardò, perplessa. Avrebbe voluto farlo, ma come? Lui, cogliendo al volo i pensieri che la sua espressione celava, spiegandole l’esortò: «provaci. Non è diverso da far apparire un drago, e questo sai farlo. Soffermati sul tuo flusso magico, proiettandolo verso di me».
Non doveva essere molto difficile. Sarah, concentrandosi, chiuse gli occhi e gli prese le mani.
 
***
Aboveground
 
«Frank, diamine, quanto ci hai messo per prendere due popcorn? La proiezione inizia a momenti!»
Toby stava trascorrendo una divertente serata con suo cugino: erano usciti da un’oretta, avevano preso un panino al volo ed ora avrebbero visto un film che aspettava da tempo. Frank, però, tornò alla sua poltrona bianco in volto, quasi come un fantasma.
«Toby» sussurrò. «Toby, ho visto un folletto».
Il ragazzino lo squadrò, contrariato, facendo una smorfia: «Diamine cugino, ma dico, sei impazzito? L’hamburger ti ha fatto molto male». Rise.
Il ragazzo, shockato, si portò le mani alla testa, come se volesse tenerla ferma. «No» fece serio, tutto d’un fiato: «l’ho visto davvero, era vero, credimi. Era… un piccolo mostriciattolo tozzo, dalla pelle tra il rosso e il grigio… io non so…era un folletto. Ma non di quelli che si vedono  nei film con Babbo Natale, era minaccioso, cattivo, con tanto di elmetto e vestiti sudici!»
Il ragazzo tremava. Toby scoppiò a ridere. «E dimmi invece, i funghetti allucinogeni li davano insieme alle salse? Dai, non crederai che abbocchi a queste cavolate, i folletti non esistono».
«Un goblin, ecco cos’era!»  il volto del cugino si illuminò. «Ho visto un goblin Toby, te lo giuro, devi credermi».
Frank cadde in preda alla disperazione. Che fosse diventato pazzo? Stava forse delirando in preda a delle allucinazioni? Era cosciente di star dicendo delle assurdità probabilmente paragonabili alle visioni che si avevano sotto LSD, ma era sicuro di aver avuto davanti agli occhi quella creatura, al pari della folla all’entrata del cinema o del mobilio all’interno della sala.
Toby decise di tagliare il discorso, non abbandonando il suo atteggiamento incredulo ed impertinente: «hai ragione tu Frank, da queste parti bazzica sicuramente un goblin appassionato di cinema» rispose sarcastico. «Ora possiamo vedere il film in pace?»
Frank ci pensò un attimo, decidendo che ignorare ciò che aveva visto sarebbe stata la scelta migliore. Forse avrebbe dovuto dormire di più la scorsa notte, forse era solo uno strano gioco di ombre, o forse un bambino o un cane visto di sfuggita… non importava: i due si abbandonarono allo schermo. Toby però, pensieroso, non riuscì a concentrarsi sulle scene che scorrevano velocemente davanti ai suoi occhi.
All’improvviso qualcosa, da sotto il sedile, gli tirò i jeans. Toby si girò di scatto. Qüiver, un piccolo goblin provvisto di elmo a punta con tanto di paraorecchie, armatura e cotta in pelle di animale, stava per aprire bocca e parlargli, ma lui, fulminandolo con gli occhi, gli fece segno di rimanere in silenzio.
«Vado un attimo in bagno, Frank».
Toby si alzò dalla poltrona e si diresse velocemente fuori dalla sala, cercando di coprire l’intruso. Una volta fuori, assicuratisi di non essere visti da nessuno, si chiusero in uno sgabuzzino delle scope, dove li raggiunsero altri tre goblin.
«Cosa ci fate qui? Qüiver, puoi spiegarmi? Qualcuno di voi è stato visto. Creerete dei gran casini se non ve ne andate subito!»
«Toby, è un’emergenza!»
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. «Che cosa può essere successo di tanto grave da venire fin qua? Fødder è rimasto di nuovo incastrato?»
Böegiböe, agitando il suo bastone, prese la parola: «peggio! La… vincitrice… è tornata nell’Underground».
«Cosa? Sarah nell’Underground?» Toby sgranò gli occhi. Per quanto ne sapesse, lei non era più tornata nel labirinto dal giorno del suo rapimento, e non sembrava ne avesse mai avuto la minima intenzione. «Perché mai dovrebbe essere lì?» Certo, Jareth avrebbe potuto riportarcela se ne avesse espresso il desiderio, ma, in quel caso, ne sarebbe stato al corrente…
«Non lo sappiamo. Lady Sarah…» «Oh, parlo io!» lo interruppe Qüiver, dandogli una gomitata. «Chiaramente, il re è andato nell’Underground al posto del furetto, ma dopo un po’ la signorina è apparsa nel nostro castello e…ed era davvero spaventosa» aggiunse, convinto dell’inoppugnabile logica del suo racconto. Toby, intanto, cercava di prestare loro la massima attenzione, benché seguisse con non poca fatica il filo della conversazione.
«E…? Che cosa è successo?»
«Sarah è diventata regina e Jareth ha perso i poteri!»
«E c’è stata una sfida, ma le tredici ore sono passate e il Re è stato sconfitto per la seconda volta».
Sarah regina del labirinto e Jareth sconfitto? Toby non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Tutto questo non ha senso», sussurrò.
A quel punto intervenne Dogsthörpe, goblin fomoso per le sue abilità da detective: «Ve lo dico io cosa non ha senso! Il gattaccio nero che ci spiava!» - urlò, completando la frase con rantolii sinistri.
«Un gatto nero?» chiese Toby, sospettoso.
«Il gatto nero che ha portato Sarah al castello!» confermò Qüiver.
Un gatto nero. Non che fosse l’unica cosa che non andasse in quel racconto – e nemmeno la più preoccupante da sentire ma, secondo quello che gli aveva insegnato Jareth durante i suoi viaggi, tutto ciò che non fosse un barbagianni o un gufo, o che non facesse parte della fauna tipica del mondo dei goblin, all’interno del labirinto era da considerarsi estraneo e pericoloso, trattandosi, nel migliore dei casi, di una fata riuscita ad oltrepassare le mura. Non aveva dubbi: doveva intervenire. Capire cosa stesse succedendo e aiutare Sarah, Jareth e i goblin. Era pronto ad affrontare una situazione simile? Non lo sapeva. Ma chi, se non lui? E quando, se non in quell’occasione?
«Non dite altro, ragazzi.  Portatemi nell’Underground all’istante!»
 

 
NdA: è passato un po’ di tempo questa volta (sigh, scusate!), ma la fanfiction continua! Sarò breve: grazie a chi legge, grazie ad Alessandro (che non bazzica su efp ma che legge questa storia) per avermi regalato “The goblins of Labyrinth” (i goblin presenti, nomi etc., sono quindi proprietà di Froud e Jones) e, per favore, datemi un parere sulla storia e/o sul capitolo :3 prometto un dolcetto a chi lo farà. Gusto a scelta!
Giusi

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