So Shut Your Eyes, Kiss Me Goodbye

di Stray_Ashes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Notte in Autunno Sapeva di Whiskey ***
Capitolo 2: *** Hold On To The Ones You Love ***
Capitolo 3: *** The Jerk and The Asshole ***



Capitolo 1
*** La Notte in Autunno Sapeva di Whiskey ***




Come detto nell'introduzione, questa sarà una raccolta di Oneshots, seguendo una Challange di 30 baci diversi. E' la prima volta che faccio una cosa del genere, in tutti sensi, quindi... spero comunque di fare un buon lavoro. Fatemi sapere con un commento, se potete.
Buona lettura!
 



So Shut your Eyes, Kiss Me
Goodbye
 
https://s31.postimg.org/i045e8dwb/So_Shut_Your_Eyes_Kiss_Me_Goodbye.jpg
 
  1. Un bacio al sapore di whiskey.

“La Notte in Autunno sapeva di Whiskey”
 


La notte, per le strade del Jersey in autunno, aveva tutto uno suo fascino.
 
Chiudete gli occhi, e pensatela come un acquarello dalle tonalità scure, piovose. Figuratevela come un capriccio del tempo, con i suoi marciapiedi bagnati dal cielo, e immaginatevi sull’acqua il riflesso dei colori e delle insegne dei negozi, tremolante e impreciso, come un dipinto fatto erroneamente per terra, della durata di qualche ora soltanto.
 
Ai lati della strada, il fumo delle sigarette volava nel cielo e si perdeva nel suo colore scuro, ingrigiendolo come per dispetto, e il rumore dei tacchi delle signore somigliava un po’ a quello della pioggia che era scesa soltanto qualche ora prima, quando ancora era sera, quando i ragazzi correvano sotto le giacche e verso i portici, per trovare riparo, quando anche i cani sentivano l’umidità nell’aria e tiravano i padroni pur di raggiungere un posto e non bagnarsi il pelo. Era autunno, ma era stato come uno di quei temporali estivi, improvvisi, freddi eppure caldi, che regalavano brividi strani a chi non si aspettava di essere bagnato.
 
La gente andava e veniva dai negozi, si teneva per mano, si parlava, si urlava, si salutava, si ignorava, si passava accanto, attraversava la strada, giudicava i colori delle cose, anche di notte. Persino la gente aveva il suo fascino corrotto.
 
E’ un peccato che un dipinto non possa comunicare anche gli odori dei suoi soggetti. Ci sono quadri di rose che son più belli delle rose stesse, più nobili come regali, eppure il loro colore ha un odore strano e chimico, ben lontano da quello selvatico, dolce eppur pungente delle rose.
 
Se il quadro che, chiudendo gli occhi, riuscite ad immaginare potesse comunicarvi un odore, sentireste quello forte della pioggia contro la pietra, del fumo, dell’autunno, delle altre stagioni che sono già passate, la puzza e il profumo di tutte le persone, il sapore neutro delle loro voci; sentireste l’odore della terra, l’odore di bruciato, e l’odore del alcool.
 
Stanotte, c’era odore di whiskey. Non tutte le volte il sapore dominante dell’alcool era la stesso. Tutto dipendeva da quale genere preferisse il tizio al bar con la più devastante tragedia della sera; lo vedevi dai suoi occhi e dal modo in cui beveva, qual’era questa persona.
 
Come per solidarietà, anche gli altri finivano, inconsciamente, col prendere lo stesso drink.
 
Beh, qualunque fosse la ragione, al proprietario del bar non importava.
 
E la sbornia, indipendentemente dal tipo di alcool, faceva sempre male uguale il giorno dopo.
 
Gerard Way aveva scelto il whiskey, senza sapere perché. Ma d’altronde c’erano ben poche cose che era sicuro di sapere, aveva ben poche certezze, lui,  e quindi perché sprecare tempo a chiedersi per quale motivo – quando il barman gli si era presentato dinanzi – aveva deciso di lasciar scivolare la parola “whiskey” dalla proprie labbra?
 
Non aveva importanza, l’odore nell’aria era forte e il tizio accanto a lui ordinò uguale.
 
Se sei stanco di vivere e di fare scelte, ordinare la stessa cosa della persona accanto a te è molto facile, molto comodo.
 
Gerard però aveva fatto da solo la sua scelta, anche se in realtà una scelta non era, era stato più che altro un istinto. Magari, era solo perché gli piaceva la parola whiskey. Whiskey. Era affascinante, e scritta era ancora più carina. Poteva sembrare il nome di un cane, o di un gatto, perché Gerard preferiva i gatti.
 
Anche in un bar, mano nella mano con la sua tragedia e un bicchiere di alcool, Gerard riusciva a pensare al gatto che non aveva. Era allergico. Era l’ennesimo suo piccolo fallimento.
 
Scosse la testa. Non aveva importanza.
 
Non aveva importanza: questo gli sussurrava il whiskey, lui e il suo nome carino. In modo confortante e confuso, gli diceva “non importa”.
 
Persino l’uomo accanto a lui, sembrava silenziosamente urlarlo. Urlava... lascia perdere. Lascia correre. Lascia cadere. Lascia vivere. Lascia morire.
 
Lasciati andare. La tua tragedia è la più bella della sera.
 
Se ti comporti bene, questi bicchieri di whiskey te li offre la casa.
 
Gerard Way stava imparando a non dar più peso a niente, ma in questo modo stava perdendo il valore delle cose, a partire dal valore della propria vita. Per quanti giorni sarebbe ancora durato? Se andava bene, poteva ancora contarli sulle dita di entrambe le mani, finché era al primo bicchiere e ancora riusciva a contare.
 
Però guarda, era bastato un momento di distrazione, e già era al terzo. E’ più facile e più difficile di quanto sembri morire così, in un bar, da solo. Non è tanto diverso dal vivere così, in un bar, da solo.
 
Cosa cambiava?
 
Ancora non aveva importanza.
 
Girò il polso in un movimento circolare, osservando il whiskey del suo terzo bicchiere accarezzare i bordi di vetro, minacciando di perdere una goccia, una piccola lacrima, che sarebbe scesa giù fino alle sue dita, fresca e promettente.
 
L’alcool era il migliore nel fare belle promesse da poter infrangere. Forse soltanto la vita stessa riusciva a batterlo.
 
Gerard Way avrebbe potuto morire una settimana prima, andarsene indisturbato, in modo silenzioso, un attimo e più nulla, niente più problemi, niente più drammi, niente più rancori, niente più pensieri... avrebbe persino detto addio all’arte che da sempre era stato il suo vero unico scopo, pur di morire adesso e subito, in quell’istante, insieme a tutti gli altri.
 
Aveva urlato, aveva detto che non voleva andare, aveva detto che non voleva stare con loro, e vedere altre persone in quella stupida vacanza. Gli avevano detto che si sarebbe pentito di non essere venuto.
 
E sì, quella era l’unica promessa che non era stata infranta. Se n’era pentito.
 
Perché non era andato? Perché non era stato lì presente quando quel fiore di fuoco si era mangiato ciò che aveva? Non lo sapeva, anche se all’inizio aveva pensato che fosse importante.
 
Ma non lo era più, aveva ragione il whiskey.
 
Ogni momento è buono per morire, con o senza fiori di fuoco, con o senza la mano di qualcuno. Perché non adesso? Gerard aveva perso il conto dei bicchieri, eppure non stava dimenticando, non si stava distraendo, si sentiva solo male. Ormai aveva anche perso l’abilità di ubriacarsi in modo decente.
 
Era da solo, non aveva più un lavoro, la sua famiglia la stava affogando adesso in un bicchiere di whiskey, e la persona che amava l’aveva lasciato indietro, perché lui era un tragico, immenso, bellissimo disastro, a cui non si poteva più dedicare tempo, e nemmeno Gerard aveva più tempo per sé stesso. Non poteva biasimare nessuno.
 
Ciao, uomo seduto al bancone affianco a me. Sono felice che stanotte il whiskey andasse a genio anche a te. Potrei quasi sentirmi meno solo.
 
«Gerard!»
 
Sinceramente? Gerard era stanco del suo nome. Era strano, vagamente straniero, scomodo, difficile da abbreviare in qualche modo, e solo due persone c’erano riuscite. Una, era morta. L’altra, l’aveva lasciato indietro.
 
«Gee! Per l’amor del cielo fermati!»
 
Gerard strinse gli occhi, perché era solo la sua immaginazione, e questo lo sapeva bene. Eppure si fermò, con il vetro gelido del bicchiere premuto contro le labbra, e nonostante ce le avesse appoggiate sopra ormai infinite volte, questo era ancora freddo. Per forza di cose, doveva significare qualcosa. E se già fosse morto?
 
Due braccia gli afferrarono le spalle, girandolo di scatto e strappandogli il bicchiere dalle mani, lasciandolo del tutto frastornato, con il respiro bloccato nel petto e una gran voglia di vomitare, di sputare fuori tutta l’anima.
 
Le due braccia lo scossero ancora, e Gerard tentò di mettere a fuoco, stringendo le labbra fino a sbiancarle.
 
«Gerard cosa stai facendo qui? Dovevi – potevi... chiamarmi. Io- ho avuto paura, e giro da ore, e nessuno sapeva – Cristo, Gee, mi dispiace, i- io....»
 
Gerard scosse piano la testa, perché davvero non capiva. Le mani che gli stringevano febbrilmente le spalle erano troppo reali, però, per essere un’allucinazione. E l’aveva detto, non era neppure più in grado di prendersi una sbronza degna del nome, e aveva paura degli aghi, quindi neanche le droghe potevano aiutarlo. Non capiva, non capiva davvero.
 
La voce, vagamente famigliare, continuò a balbettare cose, e ma non avrebbe avuto il tempo di capirle, neanche se avesse tentato. Si sentiva in una bolla.
 
Poi, piano piano cominciò a riconoscere i capelli scuri, i segni d’inchiostro sulle mani, e gli occhi nocciola, spalancati e iniettati di terrore, di stanchezza, di fretta, e un qualche genere di affetto. Adesso capiva, ma non voleva capire.
 
«Frank... basta. F-Frank – devi andare via... questo posto è pericoloso»
 
E allora Frank smise di parlare, restando a guardare l’uomo distrutto davanti a sé, e sentì gli occhi riempirsi di lacrime, perché era colpa sua. Era di nuovo colpa sua. Era sempre colpa sua.
 
Senza pensarci si gettò in avanti, e avvolse con le proprie braccia il corpo tremante e instabile di Gerard, premendosi il suo viso contro il petto, facendolo spostare dal suo sgabello perché il suo peso confortante gli restasse in grembo, e pianse con il cuore che batteva all’impazzata, e sapeva che Gerard quel battito riusciva a sentirlo. «Lo so, lo so che lo è... è per questo che andremo via insieme, e-e non ci torneremo mai più, non ci tornare...» mormorò, la voce spezzata da lievi singhiozzi tremolanti.
 
Gerard era rimasto immobile, inerme ed abbandonato nel suo abbraccio, come se già il suo corpo fosse morto, e sentiva dentro il bisogno di piangere, di gridare, di strozzarsi, ma non riusciva. Non riusciva a fare niente, se non fissare un punto imprecisato. E Frank parlava ancora.
 
«...ma andrà tutto bene. Appena ho sentito della tragedia, sono corso qui, lasciando tutto. Volevo già farlo, cazzo se volevo già tornare da te, ma avevo paura, e... e io, Gerard, io...»
 
«Io non voglio la tua compassione. E tu devi andare via» riuscì finalmente a dire Gerard, trovando quel briciolo di forza sufficiente ad allontanarsi dalla quella stretta insensata – insensata per lui.  
 
Senza battere ciglio osservò l’espressione visibilmente ferita del ragazzo, appena generata dalle sue parole, piene di nessuna emozione. Quell’espressione completava il quadro, incorniciata dalle lacrime di paura sul volto di Frank, e dalle ciocche nere attaccate dal sudore alla sua fronte. Ormai, aveva smesso di capire che cos’era importante.
 
«Cosa...? No! Non farmi questo... Io non – mi dispiace Gerard, sono stato un idiota, te lo ripeterò ogni giorno della nostra vita, se fosse necessario, ma ti giuro che non – »
 
Gerard scosse di nuovo la testa, più fermamente, sentendo comunque il whiskey schiacciargli il cervello in una morsa. «No... Frank, devi andare via. Vai via. Il tuo lavoro è importante...» Gerard per un attimo perse l’equilibrio, sentendo le gambe cedere; Frank, con lo sguardo pieno di apprensione, sollevò una mano per afferrarlo, ma Gerard lo fermò e si attaccò il bancone per tenersi saldo. «...e io devo essere lasciato indietro. L’avevi deciso tu. Ricordi? Vai via»
 
 
Frank si portò una mano alla bocca, singhiozzando ancora una volta. «E mai mi sono sbagliato tanto, e ogni fottuto giorno di questi sei fottutissimi mesi me lo sono chiesto. Non voglio più lasciarti indietro– »
 
«E invece sì. Invece sì, perché è giusto così, perché lo sai, perché lo so. E io sono una disastro»
 
E Frank, sentendo ogni parola sensata morirgli in gola, si prese un istante, e lo guardò.
 
Gerard era ubriaco, era instabile, puzzava di alcool, aveva i capelli vagamente unti, era confuso, era spezzato, era arreso, era solo.
 
Gerard era un tragico, immenso disastro.
 
Si prese un secondo istante, nel silenzio che c’era tra loro, e lo guardò.
 
Gerard tremava, ma i suoi occhi erano fermi, verdi, feriti, ma fieri, pieni di idee e di arte, il suo corpo era magro, ma elegante, le sue dita sottili e affascinanti, la sua forza, sotto tutta quella fragilità, il suo dolore, che anche sotterrato sotto all’alcool, era puro. Ancora lo vide, per qualche ragione, l’amore che Gerard provava per lui. E gli bastava.
 
Gerard era un tragico, immenso, bellissimo disastro.
 
E gli bastava.
 
Frank si rialzò, e nella frazione di un momento gli poggiò entrambe le mani sulle guance, sulle orecchie, intrecciando le dita tra le sue ciocche scure, e non avrebbe saputo dire quanto toccarlo gli era mancato, di quanto quel contatto fosse un respiro d’aria fresca dopo tanti giorni di apnea. Non avrebbe saputo dire.
 
Quell’abbraccio che arrivando gli aveva dato, era stato pieno di paura, di sollievo, precipitoso, ma adesso... Frank gli aveva preso il volto per sentirlo, perché aveva bisogno di sentirlo, voleva sapere che era lì, che era con lui.
 
Ed era ancora lì, Gerard, in bilico tra vivere e morire. Gerard, che come l’Universo era stato un’esplosione.
 
E solo sotto il suo tocco gentile, qualcosa in Gerard si ruppe, e il ragazzo cominciò a piangere le lacrime che prima pensava di non essere più in grado di versare. Forse per la prima volta in tutti quei giorni, qualcosa sembrò tornare ad essere importante.
 
«Lo so che sei un disastro, Gerard. Io ti amo, per questo. Pensa all’Universo, a tutti i suoi frammenti, a tutte le sue parti sparse, le sue nubi, le sue ombre e le sue luci. A tutte le sue stelle, che non ho mai avuto il coraggio di contare. Anche l’Universo è un immenso, bellissimo disastro.» mormorò Frank, sfregando i pollici contro le sue guance, per tergere le lacrime. «Ho sbagliato una volta, ho scambiato un aereo per una stella cometa, e so che ho frainteso quel che volevo, e che tu non dovresti nemmeno perdonarmi, perché è colpa mia, ma...»
 
Con le dita ancora strette tra i capelli di Gerard, Frank si sporse lentamente in avanti, sentendo di nuovo le lacrime farsi strada fino alle sue ciglia.
 
«Voglio tornare a contare le tue stelle»
 
E Gerard piangeva ancora, silenziosamente, senza muoversi, senza emettere rumore, forse senza nemmeno respirare. Ma i suoi occhi lo guardavano senza vacillare, e a Frank bastò.
 
Chiuse tra loro quell’ultimo millimetro, e le loro labbra si incontrarono, soffici, in un movimento all’inizio morbido, appena accennato, insicuro, per poi andare intensificandosi, perché si erano mancati, e si baciarono con sempre più passione, premendo famelicamente l’uno contro l’altro, in una danza poco discreta in un bar di quella città piovosa, che non li guardava. Si cercavano come se non fosse mai successo niente, le mani di Gerard che lentamente lasciarono i propri fianchi, raggiungendo quelli del ragazzo che si stringeva a lui, e quelle di Frank, che si muovevano ritmicamente dai suoi capelli alla sua nuca, la sua schiena, per averlo più vicino, più vicino, mentre ogni tanto le loro bocche spezzavano il contatto, respirando l’una dentro l’altra, eppure odiando il bisogno umano dell’ossigeno, che non potevano scambiarsi.
 
Non tennero conto dei minuti che passarono, ma semplicemente assaporarono il momento, perché tutto ciò che c’era dopo faceva paura, una paura folle, perché salvarsi è complicato, mentre cadere lo è veramente troppo poco.
 
La notte e quel bacio sapevano di whiskey, e se chiudete gli occhi, respirando a fondo e immaginando il quadro, forse riuscireste a sentirlo, così carico delle sue promesse.






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Ed eccoci qui, con la prima one shot.
Il prossimo aggiornamento sarà...
 

2. Un bacio sussurrato.

 

Stay Tuned!
_StrayAshes

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Capitolo 2
*** Hold On To The Ones You Love ***


       

 

 

 

 

2. Un bacio sussurrato
 

"Hold On To The Ones You Love"


 

Gerard aprì gli occhi, tirandosi su di botto e reprimendo in gola l'urlo che sentiva risalirgli su dal petto. Infine ne uscì solo un gemito, e il ragazzo aspettò che i brividi del sogno abbandonassero il suo corpo e smettessero di fargli sudare la pelle, rendendogliela bollente e gelida.

Era stato solo un incubo, l'ennesimo, eppure, anche mentre i suoi occhi vagavano per la camera da letto, le immagini raccapriccianti a cui aveva assistito solo poco prima continuavano ad apparire – andare e venire, veloci come un flash, e portando sempre la stessa sensazione di ansia, di terrore, di perdita.

La strada bagnata, il cielo che piangeva, il metallo piegato, la benzina ed il fuoco che la consumava, la macchina che sbandava e la strada che ondeggiava, il rumore, il caos, l'istante di stallo, poi ancora fuoco, la paura negli occhi di un uomo che amavi, e tu non eri lì – tu che guardavi, eppur non eri lì....

Con la paura che ancora gli tirava la pelle e gli stringeva la gola, Gerard si voltò di lato, incurante del lenzuolo che gli si attorcigliò attorno alle gambe, e non appena i suoi occhi si posarono sulle figura immobile del suo ragazzo, si permise di lasciar andare un lungo, scosso respiro.

«Frank?» sussurrò, sentendo la propria voce vacillare nella calma della stanza.

Gli rispose solo il silenzio, all'inizio, e poi il corpo sonnacchioso dell'altro ragazzo si mosse lentamente tra le coperte, strinse gli occhi e poi tornò immobile. Gerard trattenne il respiro per un attimo e si concentrò su quello flebile ma regolare di Frank, e lasciò che il suono gli entrasse nel petto e gli scaldasse il cuore, cancellando gli ultimi residui della sua inquietudine.

In genere, un bacio o un abbraccio funzionavano molto meglio per tranquillizzarlo, come succedeva nelle volte in cui si svegliava urlando e Frank lo avvolgeva immediatamente tra le sue braccia, sussurrandogli nell'orecchio finché non tornavano a dormire insieme, Gerard nella speranza che il calore dell'abbraccio di Frank riuscisse ad allontanare sogni per il resto della notte.

Per quanto riguarda le volte in cui si svegliava con le labbra serrate, Gerard doveva accontentarsi del respiro dolce di Frank, anche perché in ogni caso, non sarebbe mai stato in grado di svegliare Frank, non quando dormiva... così. In quel modo speciale in cui dormiva Frank. O almeno, Gerard lo riteneva speciale.

Al contrario di lui, Frank dormiva tutta la notte, senza interruzione, senza una sola espressione di terrore a deturpare il suo volto dalla pelle chiara, perfetta, così innocente e persa nella morbidezza di un sonno tranquillo. Il che era strano, perché c'erano sere in cui Frank era tutto meno che innocente... eppure, nel giro di poche ore, dormiva con quell'espressione di pacifica contentezza, quasi angelica, e anche se il viso di Gerard era sempre contratto tra terrore e preoccupazione, pure dormendo, non poteva fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso ogni volta che i suoi occhi cadevano sulla figura silenziosa del suo ragazzo.

Si poteva dire che, in un certo senso, si equilibrassero.

Erano quattro mesi che Gerard faceva quel sogno, svegliandosi ogni santa volta nel cuore della notte, urlando o sudando o piangendo... in questo momento, invece, si accorse che la luce opaca del mattino filtrava attraverso le tende, illuminando la camera da letto con quel biancore primaverile che, anche dopo tutti quegli anni passati ad ammirarla, non si sarebbe mai stufato di trovare al suo risveglio.

Dopo aver vissuto l'adolescenza nel buio di un seminterrato, quello era uno dei 'buongiorno' migliori del mondo. Il primo, ovviamente, era il buongiorno di Frank, che fosse questo un sorriso sonnacchioso, un bacio stupendo nonostante l'alito del mattino, o del pigro, buon sesso avvolto da quell'aura di stordimento caratterizzante dei weekend.

Gerard sorrise al pensiero, e smise di fissare i giochi di luce sul soffitto per riportare di nuovo gli occhi su Frank, e come ogni volta, il suo cuore fece una capriola nel petto quando lo trovò ancora lì accanto a lui, a dormire, intoccato e in pace.

Il primo pensiero, fu che diavolo, a volte non riusciva a capacitarsi di essere arrivato a questo punto della sua vita, dopo tutto ciò che aveva passato. Stentava a credere che, nonostante le sue paure e i suoi fantasmi, era riuscito a trovare un'altra persona in grado di significare tutto. Prima di conoscere Frank, aveva deciso che non si sarebbe attaccato mai più così tanto a nessuna persona, perché se avesse perso anche essa, Gerard sapeva che avrebbe buttato la spugna una volta per tutte, e avrebbe rotto l'equilibrio che ancora lo teneva in vita. Non era mai stato bravo a gestire il dolore, e se non fosse stato per un paio di amici – e per Frank, alcuni mesi dopo – non sarebbe stato vivo adesso, nel letto con la persona che amava, in una casa che lo faceva sentire al sicuro.

Dopo aver avuto poco, e dopo aver perso anche quello, Gerard si era davvero stupito che la vita gli avesse concesso di tenere Frank... chissà, forse per farsi perdonare, dopo tutti gli insulti che Gerard le aveva lanciato – legittimamente – contro.

Nonostante la serietà dell'argomento, Gerard poté fare a meno di ridacchiare al pensiero.

E Frank lo era davvero, un dono. Era spuntato dal niente in un giorno di pioggia, come una margherita sul cemento di una strada, come il pezzo di cielo azzurro che si era aperto tra le nubi piovose che riempivano la mente di Gerard. Innamorarsi, poi, era stato abbastanza facile. E lo era stato anche cominciare a vivere insieme, proprio come adesso.

Gerard lasciò scorrere lo sguardo sulle lenzuola, bianche e sottili, che si appoggiavano con grazia sul piccolo corpo del suo ragazzo, lasciandolo scoperto sotto la spalla e creando un gioco di 'vedo-non-vedo' sui suoi tatuaggi; la sua mano – abbandonata appena sotto il cuscino – aveva spiegazzato la coperta durante la notte, lasciandole formare una serie di onde eleganti che si allargavano fino in fondo al letto, sfiorando le ginocchia di Gerard.

Il viso di Frank era rilassato come al solito, con le sopracciglia perfette e leggermente sollevate, la bocca piccola a forma di rosa, le labbra rosee e quasi femminili, in netto contrasto con la linea decisa della mascella – decisamente maschile; e poi le ombre delle ciglia proiettate sulle sua guance lisce e morbide, che Gerard amava baciare.

Gerard ormai conosceva ogni espressione che il viso di Frank era in grado di creare, e conservava la cosa come un abilità molto preziosa, unica. Gerard amava l'espressione pacifica e quasi infantile che Frank aveva mentre dormiva, amava quella piena di lussuria ed estasi che vedeva quasi ogni notte sotto di sé, e poi quella di gioia, che aveva la grazia di vedere tutti i giorni, e poi l'espressione da cucciolo che aveva quando era triste. L'espressione arrabbiata l'aveva vista poche volte, ma era sicuro di amare anche quella.

Dio, se non era un dono quello....

Incapace di trattenersi ancora a lungo, Gerard si sporse in avanti e scostò le ciocche di capelli neri dal volto di Frank, poggiando le labbra sulle pelle liscia della sua fronte. Nonostante il suo tocco fosse stato gentile e i suoi movimenti silenziosi, Frank strizzò gli occhi e aggrottò la fronte, prendendo a stiracchiarsi.

Dopo un breve gemito, rilassò i muscoli e sbadigliò, e poi i suoi occhi si aprirono per accogliendo l'immagine famigliare di Gerard, il suo viso vicino, il suo sorriso e il suo respiro sulla pelle. Le dita di Gerard si mossero ancora sui suoi capelli, e Frank socchiuse brevemente gli occhi alla sensazione.

«Ehy» sussurrò, esibendo un sorriso assonnato che Gerard si affrettò a catturare con un bacio, breve ma infinitamente dolce.

«Ehy a te» rispose Gerard, tirandosi indietro di pochi centimetri.

«Non pensavo che l'avrei mai detto, ma c'è qualcosa di eccitante nell'idea di svegliarsi sotto gli occhi di una persona che ti fiss– oh mio Dio» cominciò Frank, ma si bloccò e sbarrò gli occhi quando lo stordimento del sonno lo abbandonò, e gli permise di vedere bene Gerard in viso, e soprattutto di notare le occhiaie marcate, le righe ancora umide che le lacrime avevano lasciato. 

Il viso di Frank si contorse in una smorfia preoccupata, e il ragazzo allungò con cautela una mano, passando il pollice sulla pelle della guancia del suo amante, nella speranza di asciugarla. «Amore, che cosa– »

Gerard aggrottò le sopracciglia e si portò una mano al viso, sorprendendosi quando lo trovò in effetti bagnato. «Oh,». Oh. Non si era accorto di aver pianto.

Frank strinse le labbra e deglutii, limitandosi a studiare l'espressione di Gerard per ancora qualche minuto, prima di spingersi in avanti e coinvolgere Gerard in un bacio bisognoso, pieno di apprensione, che curò e spezzò il cuore a Gerard.

Sapeva che i suoi incubi, e le pene che essi portavano, creavano dolore a Frank, e vedere il suo ragazzo provare dolore per lui, aumentava il suo ancora di più, in una specie di infinito circolo vizioso.

Frank era una delle poche persone che sapevano da cima a fondo che cosa Gerard, nella sua vita, aveva passato, a partire dalle piccole cose, quelle belle, quelle brutte. Sapeva della condizione instabile in cui era vissuta la sua famiglia, sapeva della sua adolescenza disastrata, degli abusi che gli erano stati fatti e degli insulti. Sapeva della pistola che gli avevano puntato in fronte, e della tragedia a cui aveva assistito quella volta, tanti anni fa. E poi, sapeva dell'incidente d'auto che aveva coinvolto la sua famiglia... sua madre... suo padre... suo fratello Mikey... sé stesso. E tra tutte quelle persone che nella sua vita avevano significato ogni cosa, era sopravvissuto solo lui. A quale scopo, poi? Perché potesse soffrire di più, annegare tra odio, rimpianto e commiserazione? Perché potesse portarsi fino al limite con le proprie mani?

Frank l'aveva visto nei suoi momenti peggiori. L'aveva sentito urlare, l'aveva visto scappare, nascondersi, odiare, odiarsi. L'aveva visto in una pozza di sangue, vomito, lacrime. L'aveva visto in un letto d'ospedale.

Eppure, lo amava come nient'altro. Lo amava in ogni caso.

E poi, Frank l'aveva visto ritornare a sorridere, ridere, l'aveva visto pulito, nuovo, giovane. Incurante delle pietre taglienti e della terra dura, Frank aveva infilato una mano nella tomba che Gerard aveva cominciato a scavarsi, e con decisione gli aveva chiuso le dita attorno al polso, aperto gli occhi e tirato fuori.

E adesso che Gerard era tornato ad essere una persona felice, lo amava ancora tanto quanto l'aveva amato la prima volta che l'aveva visto – ubriaco, sull'orlo di un precipizio.

Se Gerard considerava Frank un dono, Frank considerava Gerard un'opera d'arte.

Forse Frank l'aveva aiutato a mettersi in piedi, ma era stato Gerard che alla fine l'aveva preso in braccio e aveva cominciato a correre, perché potesse portarlo con sé in cima alla collina, perché potessero scoprire insieme nuovi orizzonti... e adesso vivevano insieme, e si sorridevano negli occhi tutte le mattine.

Persino adesso, con i fantasmi delle lacrime sul viso, Gerard si permise di sorridere a Frank, quando ruppero il bacio.

«Di nuovo il sogno...?» volle sapere Frank, sguardo perso oltre le spalle di Gerard mentre le sue dita continuavano a sfiorare la sua pelle.

Gerard annuì lentamente, e gli occhi del suo ragazzo tornarono su di lui. «Sì, ma va tutto bene, adesso» mormorò, e sorrise ancora, nella speranza che Frank cedesse a tornasse il solito, solare sé stesso. Gerard odiava che quell'aspetto sparisse per colpa sua, anche solo per pochi minuti.

Frank annuì a sua volta e abbassò nuovamente lo sguardo. «Vorrei poter fare qualcosa...»

Gerard sogghignò, deciso ad alleggerire l'aria pesante che si era creata. «Oh, ci sono decisamente molte cose che puoi fare...»

Finalmente, Frank si aprì in un sorriso consapevole, e inarcò un sopracciglio. «Ah sì? Tipo?»

Gerard si avvicinò ancora di più al suo ragazzo, stringendolo a sé. «Tipo restare a letto con me fino a domani mattina»

Frank emise un sospiro contento contro la pelle del collo di Gerard, sfregando il naso sotto il suo orecchio e sorridendo alle ciocche di capelli neri che gli fecero il solletico. Fece scorrere le mani sul fianco nudo di Gerard e le lasciò sulla linea delle sue scapole, stringendosi ancora un po' di più contro il suo calore. Non importava da quanti anni stessero insieme, Gerard non era mai vicino abbastanza; ci si sarebbe fuso insieme costantemente, se solo avesse potuto.

Stava per rispondere che , sarebbe rimasto a letto con lui per tutte quante le mattine a venire, quando si ricordò della conferenza a cui era tenuto a partecipare di quella mattina, prima di mezzogiorno.

«Ma è sabato!» protestò Gerard, staccandosi brutalmente dall'abbraccio e lasciando un'atroce sensazione di vuoto in Frank.

«Lo so, ma lo sai che sono degli stronzi. E in ogni caso, sono solo poche ore, tornerò in tempo per pranzo»

Gerard deglutì e fece per acconsentire, quando un brivido gelido gli attraversò tutto il corpo, e immagini simili a quelle dei suoi incubi comparvero nella sua mente, veloci e dolorose come erano ogni notte, e fu immediatamente assalito dalla nausea. Non era mai successo prima, non di giorno. «F-Frank... non puoi non andare?»

Frank sospirò, cominciando ad alzarsi. «Mi dispiace, amore»

Ovviamente, Gerard non si arrese subito. Nel tempo in cui Frank tornò dal bagno e si vestì, Gerard gli richiese di non andare quattro volte, mettendo su scuse un po' povere, per la grande confusione di Frank... perché Gerard non aveva mai fatto così, e nemmeno la sua espressione angosciata e tormentata era molto normale.

L'unica cosa che avrebbe voluto fare, era svestirsi e tornare a letto con Gerard, per assicurarsi che restasse calmo, ma provò a convincersi che Gerard era ancora sotto lo stordimento del sogno, che non era niente... saltare la conferenza avrebbe potuto costargli un aumento, d'altronde.

Fu quando Frank aprì la porta e Gerard si accorse che fuori pioveva, che la diga dentro di Gerard si spezzò, e il ragazzo scoppiò a piangere. Gerard non piangeva più come un bambino, ma come un adulto: senza un rumore, senza dare nell'occhio, senza volerlo, ma Frank se ne accorse. Se ne accorgeva sempre.

Ancora sull'uscio, pomello della porta in mano, Frank si voltò e lì in mezzo al salotto, ancora a torso nudo, Gerard piangeva e tremava. Erano ormai anni che non lo vedeva così debole, perché Gerard non era debole, ma quell'immagine riportò all'improvviso ricordi, ricordi dell'uomo che amava a un passo dalla morte. E fece male, fece male davvero.

Nonostante le lacrime e i brividi, Gerard fissò Frank negli occhi senza vacillare, quando disse,

«Non andare».

Frank guardò Gerard, guardò la borsa che teneva in mano, guardò la pioggia che inondava il loro portico, la macchina, la strada.

«Se mi ami, non andare».

Frank pensò al lavoro, ai soldi che servivano a entrambi, all'umidità della pioggia, al rumore delle auto, all'amore che provava per Gerard.

«Ah, fanculo» mormorò, e lanciò la borsa da qualche parte nella stanza, si liberò della giacca e si fiondò contro di Gerard, che quando si ritrovò il suo corpo fra le braccia lo strinse con forza, forse fin troppa, nella paura che potesse svanire. «Non so perché sei così testardo, ma mi fido di te più di qualunque altra cosa»

«Grazie,» sussurrò Gerard sulle labbra di Frank, sfiorandole appena con la delicatezza di una piuma.

Prima che potesse rendersene conto, o capire perché, gli occhi di Frank si erano inondanti di lacrime, ma almeno Gerard aveva smesso di tremare. «Ti amo»

«Ti amo»

Gerard baciò di nuovo Frank, mettendo nel bacio la gentilezza e l'affetto dei loro sussurri, l'intensità e il significato delle loro parole.

* * *

Quello stesso giorno, sulla strada principale che portava in città, un camion sbandò a causa della pioggia, e coinvolse nell'incidente alcune macchine e altri civili.

Morirono nove persone. E nessuno seppe che avrebbero dovuto essere dieci, né che Frank e Gerard rimasero davvero sul letto fino al giorno dopo, a mangiare pancakes e fare l'amore, scambiandosi sussurri e baci.

Dopo quella mattina, gli incubi di Gerard sparirono, così come erano venuti. Gerard non seppe mai perché gli ebbe in primo luogo, ma decise di non pensarci troppo a lungo... ciò nonostante, gli piacque pensare che qualcuno, da qualche parte, avesse fatto in modo che non perdesse anche l'ultima persona che gli era rimasta da amare.

Una settimana dopo, Gerard chiese a Frank di sposarlo.

Frank disse sì.

 

_______________________________________

Ok, questa è la coSA PIU' FLUFF E CLICHE' che io abbia mai scritto nella mia VITA, e dico sul serio. Quindi, non so bene che ne sia venuto fuori, perché io di romanticismo non ci capisco un pesce, ma ehy, in un modo o nell'altro dovrò imparare a scrivere anche questo.

Il titolo l'ho rubato da una frase di Brother dei Falling in Reverse, una delle poche canzoni che ultimamente è stata in grado di far scendere una lacrima, dopo Desert Song e Shuttered.

In ogni caso, spero che vi sia piaciuta.

Next,

 2. Un bacio pieno di odio.

See ya, babes.

_Ashes 

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Capitolo 3
*** The Jerk and The Asshole ***


 
 

 
3. Un bacio pieno di odio

"The Jerk and The Asshole"


 

Io odiavo Gerard Way.

E non lo dico tanto per dire. Lo odiavo per davvero.

Avete presente quel tipo di odio, quello puro e irreversibile, che ti si annida da qualche parte nel petto e te lo fa marcire? Ecco. Se l'odio fosse un organo, il mio assomiglierebbe a uno di quei polmoni incartapecoriti e consumati dal fumo... forse solo un po' più brutto.

E se non avessi diciotto anni di ricordi su cui basarmi, non sarei nemmeno stato tanto sicuro sul perché lo odiassi così tanto... e nessun altro al di fuori di me avrebbe potuto capirlo. Non c'erano molte persone in grado di odiare Gerard Way, dopotutto, e se succedeva, allora era perché non lo conoscevano di persona, e si basavano solo su pregiudizi. Anche se aveva un torto, le persone facevano fatica a provare rancore nei suoi confronti, per qualche inspiegabile ragione.

E poi c'ero io. L'eccezione – poco eccezionale. Quello diverso – come al solito. Perché io Gerard lo conoscevo di persona, eppure lo odiavo lo stesso. Lo conoscevo da diciotto anni, e lo odiavo lo stesso. Avrei dovuto essere classificato come specie protetta... o come specie da eliminare, dipende dai punti di vista.

E adesso, abbandonato come uno straccio usato sopra al mio letto disfatto, fissavo truce il soffitto e stringevo le labbra, cercando di riesumare le ragioni per cui odiavo Gerard Way, e se ve lo state chiedendo, – avevo di meglio da fare, ma la mia mente era fatta così. Tanto, da un momento all'altro avrei ripreso ad arrabbiarmi con me stesso, avrei tirato giù tutti i santi dal cielo sperando che mi cadessero in testa, mi sarei alzato, suonato la chitarra fino a consumarmi le dita pur di far andare la frustrazione, e poi sarei di nuovo collassato su questo medesimo letto fino a che mort– sonno non sopraggiunga. Era sempre così che finivano le conversazioni con la mia testa. La cosa più bella era che dovevo condividere con me stesso tutta quanta la vita. Strepitoso.

Perché odiavo Gerard? Perché mi stavo facendo questa domanda? Per la seconda questione, ho una risposta.

Erano già passate un paio di ore da quando mia madre mi aveva chiamato in cucina, eppure mi stavo ancora arrovellando sulla catastrofe che quella conversazione aveva portato...

«Tesoro? Puoi scendere un secondo giù in cucina?» queste erano state le parole testuali di mia madre. Davvero, penso che le madri abbiano un codice di frasi fatte, parole studiate da bande di intellettuali e secchioni, stillate e montate insieme con il solo scopo di abbindolare e fregarti, lanciandoti in faccia secchiate di diplomatica cortesia. Ciò nonostante, scesi giù in cucina perché evidentemente i suddetti intellettuali e secchioni sapevano fare il loro lavoro.

«Sai che giorno è domani, vero?»

Avevo sbattuto le palpebre un paio di volte. Mia madre aveva sbuffato. «E' il 4 luglio, Frank» Questa volta avevo sbattuto le palpebre una volta soltanto, prima di annuire con sospetto.

Dimenticandosi velocemente della mia mancanza di presenza mentale e di attenzione nei confronti del calendario (e che cazzo, era estate), mia madre aveva esibito un gran sorriso (dovevano avere anche un codice di sorrisi da usare nelle occasioni giuste, lo sapevo) ed aveva preso a riordinare il bancone già ordinato della cucina, tutta contenta per chissà quale motivo – ora sapevo quale motivo, mio malgrado.

«Beh, i vicini hanno deciso di invitarci per un barbecue! Non è stupendo, Frank?»

No. No non lo era.

Avevo deglutito, entrando sulla difensiva. «Vicini di destra o di sinistra?»

Questa volta era stata mia madre a sbattere le palpebre un paio di volte. «Sinistra»

E il mondo mi era caduto addosso.

Sì, sono un melodrammatico, ma questa era una cosa terribile. Una catastrofe. Ogni santissimo 4 luglio ero stato felicemente rinchiuso nella mia camera o in uno dei parchi da solo con Mama, ed ero sempre stato apposto così, grazie tante.

«Cristo! E perché non quelli di destra

«Perché quelli di destra hanno 70 anni per gamba, Frank» aveva risposto con cautela mia madre. Era brava a riconoscere le mie crisi, ed era anche brava a non farci niente al riguardo. Anzi. Non fraintendetemi, mi amava come ogni madre dovrebbe, ma il mio cinismo dovevo pur averlo preso da qualcuno, no? «E comunque, dov'è il problema? Ti farà bene un po' di compagnia, e anche a me, probabilmente. I vicini di sinistra sono molto simpatici, e anche piuttosto ricchi. E non ti ricordi del loro figlio?»

«No»

«È tornato dal college da poco,» era andata avanti, mani sui fianchi, ignorandomi deliberatamente. «L'ho visto l'altro giorno ed è diventato proprio un gran bel ragazzo, Frank. Secondo me ti piacerebbe. Com'è che si chiamava – Jared?»

«Gerard»

«E allora vedi che te lo ricordi!»

Sull'orlo di una crisi di nervi, mi ero gettato le mani fra i capelli, stringendo i denti. «Ma è un barbecue! Io sono vegetariano, mamma. Che cazzo ci vado a fare a un barbecue?!»

«Oh andiamo. Ci saranno sicuramente quelle orribili verdure grigliate, ci sono sempre» mi aveva spento, completamente incurante del mio linguaggio – e di questo le ero grato. Mia madre era segretamente un po' punk nel cuore. Alla fine, avevamo un bel rapporto, io e lei. «Allora. Tu e Gerard eravate amici? Mi son presa la libertà di dire a sua madre che volevi fargli qualche domanda riguardo il college»

Scherzavo. Non avevamo più un bel rapporto io e lei.

Lanciando le braccia per aria, me n'ero andato su dalle scale e mi ero chiuso in camera, dove tuttora mi trovavo, intento – come già detto – a fare una sintesi delle inflessibili ragioni per cui odiavo Gerard Way. E non c'era chance al mondo in cui avrei fatto qualunque tipo di domanda a quel ragazzo, tanto meno sul college; era stato via tutto l'anno e non essere stato costretto a vederlo quelle poche volte che uscivo con Mama, era stato proprio bello, onestamente. Ti accorgevi subito di come il vicinato fosse più luminoso. O almeno, questo nella mia opinione. Nell'opinione degli altri, si sarebbe meritato una festa per il suo breve ritorno, e non l'incendio che avrei voluto progettare io.

Gerard Way, d'altronde, aveva i biscotti e la grazia degli anziani, la stima e l'approvazione degli adulti, l'appoggio dei coetanei, le strisce di bava delle ragazze. Ew...

Una festa in suo onore doveva davvero essere la cosa più stomachevole a cui avrei mai potuto assistere, e non lo dicevo solo perché io di feste non ne vedevo neanche per il mio compleanno. Era una mia decisione. Odiavo le feste, come ogni punk che si rispetti.

Nel cuore, Gerard era sempre stato un cinico stronzo, specie con me; presuntuoso, sadico, irraggiungibile, riservato, imperfettamente perfetto. Poi, agli occhi degli altri era diventato più un uomo che un ragazzo, aveva inseguito il suo sogno, era diventato un artista con talento, sapeva cantare, scrivere, gestire la sua vita. Erano anche riusciti tutti a chiudere un occhio sul suo periodo di dipendenza dall'alcool. Era andato al college, era tornato col sorriso, una macchia di pittura sulla mano, e selvaggi capelli neri.

Ma io lo odiavo ancora. Perché mi guardava ancora nello stesso modo, perché era ancora stronzo, e perché non l'avrei perdonato facilmente. Non avrei dimenticato i castelli di fango che facevo da bambino – quelli che mi distruggeva ogni volta, non avrei dimenticato i piccoli insulti, le risate, gli inganni. Una volta, mi aveva messo in imbarazzo davanti alla ragazza che mi piaceva, proprio lì sul portico di casa mia. Un'altra volta, mi aveva reso lo zimbello di mezzo paese con qualche menzogna improvvisata.

Poi, a volte improvvisamente mi cercava, mi raccontava le sue aspirazioni, i suoi sogni, le sue storie, e il giorno dopo spariva, o si prendeva di nuovo gioco di me, perché questo ero soltanto, per lui: un gioco. E per quanto il piccolo me di quei tempi avesse provato, Gerard non mi avrebbe mai permesso di essere suo amico. Quello che però non fece, fu negarmi di essere suo nemico, e quindi fu abbastanza facile diventarlo.

Agli occhi degli altri poteva essere cambiato, ma non lo era.

E non lo odiavo perché ne ero geloso. Assolutamente no. Non se ne parla. No.

Ero felice nel mio piccolo mondo di fallimenti.

E questa, era la sintesi dei motivi per cui detestavo Gerard, e guarda caso, ero arrabbiato con me stesso proprio come avevo predetto.

Non so perché la mia mente avesse voluto concentrarsi su questo, ma di certo non aiutava la mia situazione, perché il mio rancore si era aggravato, e che io lo volessi o meno, mia madre mi avrebbe trascinato fino a quel barbecue, con uno dei guinzagli di Mama, se necessario.

Beh, non ero costretto a rivolgergli la parola, o a guardarlo negli occhi, o a stargli più vicino di un paio di metri, provai a dirmi per rassicurarmi, ma sapevo benissimo che avrei fallito, e che mia madre mi avrebbe imbarazzato senza alcuna pietà. Da un lato ero molto felice di non essere fidanzato, sapevo che quella donna sarebbe riuscita a tirare fuori uno di quegli orribili album di foto tipici dei film.

Prima di addormentarmi, tuttavia, la mia mente restò qualche secondo sul fatto che più volte mi ero chiesto per quali ragioni odiassi Gerard Way, ma mai avevo provato a chiedermi perché non avrei dovuto. Subito dopo, prima che potessi ribellarmi, la mia mente si spense.

* * * *

Il portico di casa Way era come il nostro, ma con più fiori. Rispetto a mia madre, che era da sola a gestirci, Donna Way aveva anche del tempo per del giardinaggio, e leggevo facilmente la lieve invidia negli occhi verdastri di mia mamma. Entrambi avevamo qualcosa da invidiare alla famiglia Way... ma più probabilmente, qualcosa ce l'aveva tutto il vicinato.

Ci aprì la porta un ragazzo ossuto ed alto, con una faccia da poker e capelli biondicci, che riconobbi come il fratello minore di Gerard, Mikey. Non ero mai stato ben sicuro di cosa pensare di lui, e probabilmente non avrei preso una decisione nemmeno oggi. Al momento, la mia testa era concentrata sui concetti di "entra da questa porta, sopravvivi, esci da questa porta".

Donna Way era alta come Linda Iero, ma coi capelli biondi anziché scuri, e lo stesso sorriso furbo e materno. Per quanto riguarda Donald Way, non avevo paragoni da fare, perché non avevo un padre. Pazienza.

«Gerard! Scendi, sono arrivati i nostri ospiti» chiamò Donna in direzione delle scale, subito dopo averci fatto accomodare momentaneamente sul loro divano scuro. Deglutii, e quando sentii rumore di stivali trotterellare giù dagli scalini di marmo, mi si gelò il sangue nelle vene e mi voltai con estrema lentezza.

E lì, mi ricordai del perché non provavo mai troppo a restare sulle ragioni per non odiare Gerard Way, considerando che c'era una ragione soltanto in grado di vincerne molte altre.

Gerard era mozzafiato, più di quanto mi ricordavo che fosse.

Figlio di puttana.

Da quando era tornato dal college, l'avevo visto solo di sfuggita, da lontano, ma adesso era lì, braccia incrociate sul petto, peso appoggiato alla ringhiera delle scale, con i suoi indomabili capelli scuri, gli zigomi alti ed affilati, gli occhi verdi ed eleganti, e quello stramaledetto sorriso furbo, che lì per lì mi sembrò brillare con onestà. Sembrava quasi felice davvero.

Ma io no lo ero. Io mi sentivo incastrato in un limbo, circondato da spine.

Gerard sorrise ancora con i suoi denti piccoli, e poi si fece avanti con sicurezza, stringendo la mano a mia madre. «Buongiorno signora Iero». Era così cordiale da far schifo. Ma aveva il suo fascino.

Mia madre, infatti, si illuminò. «Oh Gerard, come ti trovo bene. Sei proprio diventato un gran bel ragazzo... Mi ricordo come fosse ieri di quando eri soltanto un bambino» disse, ricambiando il sorriso enorme di Donna.

Mi accigliai internamente, perché quella stessa donna fino al giorno prima non ricordava come si chiamasse il "gran bel ragazzo che ricordava come se fosse ieri". Mentre pensavo alle piccole grandi falsità di casa Iero, all'improvvisò mi ritrovai Gerard davanti agli occhi, e quasi mi strozzai con la saliva.

«Ciao Frank»

Woah, si ricordava come mi chiamassi. Da qualche parte avevo letto che i bambini dopo un po' tendevano a dimenticarsi il nome dei loro giocattoli. Scossi brevemente la testa e osservai il suo viso pulito, e quel suo stramaledetto tipico accenno di sogghigno, tutto storto da una parte. «Ciao, Gerard»

E dalla piccole luce nei suoi occhi, capii che anche lui ricordava tutto.

* * * *

Alla fine, mia madre aveva ragione. Le "orribili verdure grigliate" c'erano davvero, e non erano così orribili come sosteneva lei, ma avevo smesso di litigare su questo argomento.

Durante il pranzo così spudoratamente americano, ebbi la gioia di vedere una famiglia mangiare insieme attorno ad un tavolo bianco, nel giardino dietro casa. Donna e mia madre parlavano animatamente di chissà cosa, Donald fissava i disegni della tovaglia con rinomato interesse, e io osservavo Gerard allontanare l'acqua di qualche centimetro ogni volta che Mikey tentava di raggiungerla, completamente incurante dei "Dammela, coglione!" del fratellino. Bastava questa ridicola scena a confermare la mia tesi che no, Gerard non era cambiato. Era ancora lo stesso stronzo.

Eppure, quello sul volto di Mikey non era... odio. Affatto. Era nervosismo, certo, ma quando salì praticamente in braccio al fratello per prendersi la benedetta acqua, ridevano entrambi come pazzi, e quando Gerard arruffò i capelli a Mikey, l'altro si limitò a fargli la linguaccia, prima di sorridere.

Pensieroso, aggrottai le sopracciglia. Non avevo un fratello, non sapevo cosa significasse... beh, tutto questo. La mia famiglia era disfatta, abbandonata a sé stessa; io e mia madre ci bastavamo, o almeno, facevamo finta che fosse così. Ma Mikey e Gerard, nonostante tutto, giocavano, si perdonavano, si davano fastidio, e si volevano... bene. E io non lo capivo.

Se Gerard, o chiunque, avesse provato ad allontanarmi l'acqua a quel modo, l'avrei coperto di insulti, colpito nelle costole e buttato giù dalla sedia, sempre che avessi abbastanza forza per farlo. Di sicuro, non avrei riso come rideva Mikey, che non avevo mai neanche visto ridere in tutti questi anni, se devo essere onesto.

Distrattamente, mi chiesi che cosa esattamente mi stessi perdendo del mondo.

E per la prima volta nella mia vita, mi arresi al fatto che ero geloso di qualcosa, di qualcuno. Volevo anch'io quella spensieratezza, quel perdono. Ma sapevo che non l'avrei avuto mai.

Fu la voce di Donna a strapparmi dai miei pensieri, permettendomi di notare che tutti avevano già finito di mangiare, mentre uno dei miei peperoni giaceva ancora intoccato nel piatto.

«Gerard, perché non mostri quella tua collezione di fumetti a Frank?»

Mia madre annuì con convinzione. «A Frank piacciono molto i fumetti». Diedi mentalmente uno schiaffo a me stesso, poi uno a lei.

«Così potete anche discutere del college con più tranquillità»

Maledette cospiratrici.

Gerard sollevò un sopracciglio con sorprendente lentezza, e scetticismo. «Stai scherzando? Non lascio toccare quella collezione nemmeno a Mikey, Donna.»

Mi faceva strano sentire un figlio chiamare per nome la propria madre...

«Oh andiamo, non fare il bambino possessivo, Gerard. Pensavo che il college ti avesse cambiato almeno un po'»

Gerard sputò fuori una risata asciutta. «Mamma, il college ha cambiato solo il peso del tuo portafoglio, appesantendo quello del tizio che vende tele e pittura in un angolo di New York»

Dopo questo, la conversazione divenne un battibecco di cui persi capo e coda, e quindi nemmeno realizzai come Donna Way avesse convinto suo figlio ad alzarsi in piedi. In ogni caso, Gerard mi lanciò un'occhiata imperativa, prima di uscire dal giardino a grandi passi, lasciandosi alle spalle una risatina di Mikey e un me piuttosto confuso. Pensai di ribellarmi, perché non avevo avuto nemmeno una parola in tutto questo, poi decisi che ne avevo avuto abbastanza del chiacchiericcio delle due comar– madri, e seguì mestamente Gerard all'interno della casa.

Il ragazzo mi lanciò un'occhiata soltanto, inespressiva, prima di salire lungo le scale, verso la sua camera. Immaginai che spettacolo dovessero essere da fuori le nostre facce imbronciate... probabilmente in qualche film sarebbe sembrata la scena subito prima di un omicidio.

Dovevo ammetterlo, però, la collezione di Gerard era davvero notevole, e tenuta anche con estrema cura e dedizione: riposta su diversi scaffali, si mangiava buona parte del muro, accanto a poster di band, altri libri, ninnoli. Non ero mai stato in questa stanza, ovviamente. Rimasi a bocca aperta in ammirazione per alcuni istanti, poi mi obbligai a ricostruire il muro che proteggeva le mie emozioni, e la richiusi.

Gerard incrociò le braccia sul petto, guardò la sua collezione, e poi guardò me, con un'espressione strana, che non capii affondo. «Bene. Adesso che puoi capire che significa avere una passione ed inseguirla in capo al mondo, sappi che non ti è concesso sfiorarla o respirarci sopra. La lontananza ideale è di 50 centimetri almeno. Le regole di Mikey valgono anche per i non-fratelli»

Sentii un violento moto di stizza, e prima che potessi controllarmi, la mia bocca si aprì con uno scatto. «Come se davvero mi interessassero i tuoi fottuti fumetti»

Pr un breve istante, sul viso di Gerard vidi... confusione? Offesa? Delusione? Dopo, divenne solo rabbia, e poi ogni emozione si spense, tutto nella frazione di un momento. Il suo volto, adesso, sembrava quasi arreso, seccato. Sospirò pesantemente e mi guardò con stanchezza: «Okay. Okay. Abbiamo capito che tu non vuoi essere qui. Molto bene, nemmeno io ti voglio qui. Quindi, che cosa ci stai a fare? Potevi restartene giù, o a casa tua»

Sbattei le palpebre un paio di volte, cercando di riconoscere almeno una delle emozioni che mi stavano impazzendo nella mente e nello stomaco, e ne riconobbi molte simili a quelle che il suo volto aveva espresso solo poco prima. Digrignai i denti, osservandolo a occhi ristretti. «Che cosa ti aspettavi che ti dicessi? "Oh Gerard che meraviglia qual è il tuo supereroe preferito"? Non siamo bambini. Quei tempi sono finiti, Gerard» sibilai, e poi ingoiai il groppo amaro che sentivo in gola. «Anzi, tra di noi non ci sono mai stati»

«No. Ma mi aspettavo che portassi comunque un vago rispetto, siccome sei in casa mia»

Strabuzzai gli occhi, inciampando nelle mie stesse parole. «Io – tu... Rispetto?! Tu mi parli di rispetto? La persona che nella mia vita è stata più irrispettosa nei miei confronti, chiede adesso del fottuto rispetto?»

«Esatto! Anche perché forse abbiamo passato l'infanzia in case vicine, Frank, ma tu non sai proprio niente di me!»

«E' ovvio che non so niente di te!» strillai. «Perché tu non me lo hai mai permesso!!»

Gerard aprì la bocca, come sul punto di urlare qualcosa a sua volta, ma non uscì un suono. Quando notai che respirava pesantemente e che i suoi occhi era strabuzzati e grandi, le pupille dilatate e una gocciolina di sudore sulla fronte, mi resi anche conto che nella nostra sfuriata ci eravamo avvicinati l'uno all'altro, gridandoci letteralmente in faccia.

Messo ancora più a disagio dal suo silenzio, decisi che avevo ancora voglio di gridare, e allora lo feci, spingendogli un dito contro il petto. «E vuoi sapere perché? Perché sei un grandissimo stronzo Gerard Way, ecco perché!»

Il mio tocco sembrò tirarlo fuori dallo stato di stallo in cui era rimasto incastrato. «Io sono uno– » ripeté con incredulità. «Se io sono uno stronzo, allora tu sei un gran coglione! E non venire ad accusarmi adesso per qualche stupidata che ho fatto da ragazzino!»

«Tu non hai idea delle cose che mi hai fatto passare!»

«E in ogni caso non mi è mai sembrato che ti interessasse conoscermi!» mi strepitò in faccia Gerard, a pochi centimetri.

«E allora oltre che stronzo sei pure cieco!»

«Tu sbavavi dietro a quella cretina di Jamia, il tuo unico interesse per me era sputtanarmi!»

«Perché tu sputtanavi me! Portavo sempre Jamia davanti al porticato per farti vedere che qualcuno era in grado di amarmi, siccome né tu né mio padre ce l'avete mai fatta!»

«Beh era un'idea di merda!»

«Lo so!!»

«E allora sei un coglione

«E tu sei uno stronzo

Un attimo prima boccheggiavamo alla ricerca di aria, sudati... e un attimo dopo, le nostre labbra erano le une sulle altre. Con foga, forza, bisogno, rabbia.

Non so perché, non so come, non so nemmeno quando. Non so nemmeno di chi fosse stata l'idea, probabilmente di entrambi, o di nessuno, perché era stato più un impulso che un'idea o qualunque altra cosa, un bisogno segreto e completamente folle, perché non c'era cosa più folle che avessi mai fatto nella mia vita.

Però diavolo, Gerard sapeva baciare bene.

E questo non era nemmeno stato uno di quei primi baci casti, di prova – oh, no... fu un bacio quasi passionale, quasi violento, tra labbra, lingua, denti, mani. Perché era un bacio di frustrazione, collera, forse persino vendetta. Era un bacio pieno di odio, e lo dicono tutti quanto l'odio sia simile all'amore.

Eppure, restava il bacio migliore che avessi mai dato e ricevuto, perché il sapore di Gerard era – sorprendentemente – dolce, ma anche tagliente, selvatico, travolgente, come la sua personalità stessa. E la pressione che la sua bocca esercitava sulla mia era in grado di annullare qualunque pensiero, al di fuori di "Oh mio dio, oh mio dio, è Gerard, il ragazzo che ammiravo, il ragazzo che odio. E Dio, per favore, più vicino".

Come falene, le mie dita si spostarono sui suoi capelli, arricciandosi tra le ciocche e spingendolo verso di me, un po' più in basso, proprio mentre sentivo le sue mani artigliarmi la schiena, lì tra le scapole, lanciando ulteriori brividi in tutto il mio corpo, come se il movimento delle sue labbra e la sua lingua non fossero abbastanza per mandarmi completamente in tilt il cervello. Se c'era una parte di me che da qualche parte stava gridando in orrore, al momento doveva essere stata soppressa con eccessiva violenza, considerando che non volevo rompere questo contatto mai più, per quanto questo possa suonare sciocco e insensato, considerando che avevo odiato questo ragazzo per anni. Forse la cosa affascinante, era proprio questa.

Credo che tu possa odiare e sentirti punk per tutto il tempo che vorrai, ma quando ti ritrovi Gerard Way a pochi centimetri dalla faccia, c'è davvero poco che tu possa fare.

Quando ci dividemmo, fu per mancanza d'aria. Per alcuni lunghi istanti – le mie mani ancora sulla sua testa e le sue sulla mia schiena – ci fissammo con occhi sbarrati, confusi, eccitati... eppure, né in me né in lui trovai tracce di rimorso, e anche questo mi risultò parecchio strano.

«Io ti odio» constatò Gerard con un sussurro. Il suo respiro caldo mi accarezzò la guancia, e io socchiusi gli occhi.

«E io ti odio di più»

Gerard annuì piano, «Non abbiamo parlato di college».

Scossi la testa e io mi presi un altro breve, bizzarro istante a respirare il suo odore, prima di liberare le dita dai suoi capelli e abbandonare le braccia lungo i miei fianchi. Mi passai velocemente la lingua sulle labbra, prima di sentire un improvviso senso di colpa. «Comunque... mi piace molto la tua collezione»

Subito, Gerard inarcò un sopracciglio in modo beffardo, poi invece sorrise genuinamente, in modo forse un po' triste. «E a me piacevano molto i tuoi castelli di fango»

Ieri, forse, sarei scoppiato a piangere, o urlare, e l'avrei preso a calci fino a farlo sanguinare come uno scolapasta.

Ma oggi, invece, risi.







 

_____________________________

Sono stranamente soddisfatta di come sia venuta questa... cosetta. No lo so, è stata più scorrevole da scrivere rispetto al solito, e spero anche sia più scorrevole da leggere.

Ed è anche stranamente divertente far insultare questi due a vicenda, soprattutto quando hai il potere di chiudere le cose così. Il che, mi è quasi dispiaciuto, avrei voluto andare avanti con altre cavolate in questo piccolo vicinato immaginario. Oh beh.

Stavo anche pensando di mettermi e auto-tradurmela in inglese. Mh.

Next,
 

4. Un bacio al cinema

 

Vi abbraccerei per un commento ed un parere... so, see ya

_Ashes

 

 

 

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