L'oscurità nel mio cuore

di La_Giullaressa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


L'oscurità nel mio cuore cap1

(Lo Studiolo, Firenze)



- Quale crudeltà attira la sua attenzione, signor Dimmond?-


Will si appiattisce contro il muro, trattenendo il fiato, il respiro che gli brucia nella trachea.

Passo dopo passo, con lo spirito di Abigail sulla spalla, ha seguito le tracce di Hannibal fino a Firenze.

Vorrebbe godersi lo splendore intramontabile della città, chiudere gli occhi e sprofondare nel placido sciacquio dell'Arno. Vorrebbe poter obliare il suo cuore martoriato dal dubbio e la consapevolezza del grave ufficio che è chiamato ad assolvere. Vorrebbe sparire e portare il suo odio – e il suo amore – per Hannibal nel vuoto assieme a sé, fino ad eliminarne ogni brandello dalla faccia del pianeta. Il mondo è già abbastanza contorto e crudele, anche senza quel sentimento a gravarlo di un ulteriore fardello.


- La sua… dottor Fell.-


Will rilascia il fiato e si sporge oltre il bordo di legno della porta, magistralmente intarsiata.

Hannibal è lì, a pochi passi da lui, con addosso un impeccabile completo ed un papillon che su chiunque altro sarebbe eccessivo, al limite del ridicolo, ma che sulla sua gola riesce ostinatamente ad essere perfetto, l'inevitabile completamento del suo vestiario ricercato.

Sta parlando con un uomo la cui vista, senza alcun motivo, fa correre un brivido di gelida ostilità lungo la schiena di Will. Ha l'aria boriosa, quell'uomo, e ancora non sa di essere una misera bestiolina che si sta infilando a testa alta fra le zanne della fiera. Will vorrebbe provare compassione, per lui, ma la compassione è qualcosa che ha perduto tanto tempo fa, e che non vorrebbe ritrovare.


- Non m'illudo sulla moralità – sta dicendo la bestiolina saccente – se così fosse, sarei andato alla polizia.-


Will deglutisce. Ha pensato quasi ininterrottamente a quell'incontro. A cos'avrebbe detto ad Hannibal, a cosa sarebbe potuto succedere. Ha previsto decine – forse centinaia – di variabili, e finivano tutte, inesorabilmente, con la morte di uno, dell'altro o di entrambi. Ma, dopotutto, la morte non è la fine di tutto ciò che ha vita? La morte non deve correre, deve solo attendere.

Eppure ora, quando solo un passo lo separa da lui, improvvisamente Will ha la gola secca, ha dimenticato l'articolata perifrasi che ha elaborato nelle sue notti insonni, vegliato dagli occhi azzurri di Abigail.

Ma deve agire – ora, prima che gliene manchi il coraggio -, così oltrepassa la soglia, con un lieve colpo di tosse.

Hannibal si volta e, per un attimo, Will legge una compiaciuta sorpresa, nei suoi occhi.

Rimane immobile.

L'altro uomo gli rivolge un sorriso falso come Giuda, che maschera il fastidio per quell'interruzione.

- Oh – commenta, posandosi una mano sulla gola coperta da una sciarpa – non pensavo aspettasse compagnia, dottor Fell.-

- Effettivamente – concede Hannibal – è una visita che non speravo di ricevere così presto.-

Will annuisce, per un istante inghiottito dai suoi occhi, dove le ombre per il tradimento passato si sposano con gli scorci dei diletti futuri, in un matrimonio che è una lotta e che è, al contempo, furiosa e piena di bellezza.

- Trovo sempre un modo per fare visita ad un vecchio amico.- riesce ad articolare, quando si sente addosso lo sguardo pedante e sospettoso dello sconosciuto.

Hannibal inclina la testa e sorride, allargando un braccio:- signor Dimmond, sono lieto di presentarle Randall Tier. Randall, lui è Anthony Dimmond. E' un incredibile piacere potervi introdurre uno all'altro anche se sono convinto che, visto la storia che condividiamo, un giorno vi sareste comunque incontrati.-

Will cerca di mascherare l'irritazione – l'imbarazzo – di essere stato presentato col nome della sua vittima, dell'uomo che ha ucciso per assecondare i disegni contorti di Hannibal e, nondimeno, la bestia di oscurità annidata nel proprio cuore. E' un tentativo futile – mentire al proprio psichiatra, un'idea destinata senza dubbio al trionfo!-, e Hannibal se ne accorge, e un barlume di quell'insopportabile sorriso è di sicuro generato dalla consapevolezza del suo disagio.

- Signor Tier, che piacere.- si prostra Anthony Dimmond, tendendogli una mano.

Will la stringe, senza convinzione. Sente gli occhi di Hannibal divorare ogni centimetro della sua pelle, studiare ogni minimo mutamento occorso al suo viso, in quei mesi di distanza. Sente la sua disapprovazione, per il velo di barba ispida che gli copre le guance, per la giacca logora, per i capelli incolti, ma anche il suo desiderio. Di contatto, di condivisione. Di vita e di morte, in un connubio che solo Hannibal Lecter può concepire e di cui vorrebbe delegare a Will l'ardita realizzazione.

- Signor Dimmond – riprende Hannibal – vorrei intrattenermi ancora con lei, ma Randall ha affrontato un lungo viaggio per farmi visita, e sarebbe oltremodo maleducato non dedicargli la mia incondizionata attenzione. Se permette, potremo riprendere la nostra conversazione in un momento più appropriato.-

Dimmond s'irrigidisce, contrariato, e sul suo viso da volpe si dipinge un'espressione confusa. Will può quasi fisicamente percepire il suo smarrimento.

- Non… - esita un attimo, poi ritrova la propria sicumera – non credo che la nostra chiacchierata possa essere interrotta proprio adesso, dottor Fell. Sento che stavamo giungendo ad una… rivelazione.-

In altre circostanze, Hannibal potrebbe distruggerlo con una battuta di congedo ed un'occhiata raggelante, ma ora ogni suo sguardo è per Will. I suoi occhi sono quelli di un uomo che non ha mai visto nulla di tanto bello nella sua intera esistenza e, per un attimo, Will si sente travolgere da tanta ammirazione. Perde la presa sulla realtà, su tutte le sue convinzioni ed i suoi dubbi, su tutte le crepe dei suoi pensieri, le contraddizioni dei suoi desideri. Si lascia cullare, da quello sguardo, mentre la faina con la sciarpa pigola qualcosa che potrebbe suonare come una protesta.

- La prego, signor Dimmond.- riprende Hannibal, in un tono che sposa perfettamente cortesia ed intransigenza – sono certo che avremo presto un'occasione più propizia per analizzare la sua rivelazione.-

Will socchiude gli occhi e, nel buio, la sua mente proietta immagini di sangue e di poesia.

Dimmond esita ancora per qualche secondo poi batte in ritirata, con la coda fra le gambe, borbottando un saluto sbrigativo. I suoi passi riecheggiano per le stanze vuote del palazzo fino a smorzarsi e scomparire.

- Spero di non aver interrotto nulla di importante –

Hannibal inarca un sopracciglio:- spesso ho considerato questi mesi come un'interminabile interruzione nel nostro rapporto. In questa prospettiva, il tuo arrivo ha fatto ripartire l'orologio.-

Will scuote la testa. Il suo sguardo si ferma sulla mascella di Hannibal, prima di essere inesorabilmente attratto dai suoi occhi. Sono sempre gli stessi, scuri ed indecifrabili, eppure da qualche parte, nell'oscurità, Will riesce ad intravedere un'eco dell'ultima, devastata espressione che gli ha rivolto, prima di lasciarlo a sanguinare sul pavimento della cucina.

- Sono felice che tu mi abbia trovato, Will. E, certo, non potevi scegliere una cornice migliore.-

Un sorriso involontario distende le labbra di Will, quando ribatte:- non ho avuto molto tempo per dedicarmi al turismo.-

- Peccato.- Hannibal muove un passo, verso una grande finestra, che si affaccia sulla piazza – Firenze è, senza tema di smentite, uno dei luoghi più eccezionali mai plasmati dall'ingegno umano. Altre città sono state edificate con pietra e legno, ma la bellezza di Firenze non le viene solo dall'architettura, ma dall'arte, dalla poesie, dall'intelletto di chi ha calpestato le sue vie – un sospiro sembra fuggire dalle sue labbra – avrei voluto mostrartene ogni angolo, Will. A te e ad Abigail.-

- Lo so – mormora Will, appoggiandosi al davanzale

- Puoi perdonarmi, per averci tolto nostra figlia?-

Will sente una stretta al cuore, mentre i ricordi lo trascinano indietro, a quella notte, a tutto quel sangue, allo sguardo di paura e di dolore negli occhi di Abigail. A quella stessa domanda, rimasta sospesa nell'aria, densa di disperazione.

- Non lo so – sussurra, quando sente la mano di Hannibal posarsi sulla propria spalla – il rancore per la sua morte è l'unica cosa che mi rimane di lei.-

Hannibal annuisce, gravemente. Il suo respiro caldo sfiora la nuca di Will, come una carezza.

- Se ti chiedessi perché sei qui, potrei sperare in una risposta sincera?-

Will fa una smorfia, simile ad un amaro sorriso:- non sono bravo a mentirti, dottor Lecter.-

- Vuoi che non te lo chieda?-

- Mi sentivo soffocare – risponde Will, ed è liberatorio poterlo finalmente dire a qualcuno – non so se se per la nostalgia, o perché ti sapevo libero di portare indisturbato la tua crudeltà in un altro continente.-

- E ora respiri? – gli chiede Hannibal, in un sussurro sul suo collo

Will si volta, fronteggia i suoi occhi, le labbra dischiuse, il sorriso che rivela un canino acuminato. La sua pelle, lo scorcio di gola lasciato scoperto dal colletto della camicia.

- Sì – ansima, appoggiando una mano sul suo fianco.

Lui gli sfiora la guancia con le dita e, per un istante, Will si chiede se sia una coincidenza o una profezia, che lo stia accarezzando come nel loro lungo, sanguinoso addio.

- Mio splendido Will.- pronuncia Hannibal, in un roco sussurro, assaporando il suono del suo nome.

Will chiude gli occhi, sopraffatto dalla devozione nella sua voce e dalla consapevolezza che lui sa. Che, come sempre, Hannibal ha superato il corso dei suoi pensieri, ha letto le sue intenzioni prima che lui le accettasse. Sente una seconda, più definitiva stretta al cuore quando realizza che lui sa e che glielo lascerà fare, gli permetterà di decidere il fato di entrambi (è inevitabile, a tal punto i loro destini sono intrecciati, in un nodo inestricabile. E sanguinano, ogni volta che tentano di scioglierlo.)

- Non so se posso vivere, senza di te.- sussurra, ormai sulle labbra di Hannibal

Lui annuisce:- ma hai decretato che è tempo di scoprirlo –

Lo bacia nell'attimo esatto in cui Will estrae il coltello e glielo conficca nello stomaco.

I loro respiri s'intrecciano, mentre la lama affonda nella carne di Hannibal ed un gemito di dolore rimane intrappolato fra le loro labbra.




- I Tre Campanelli della Giullaressa

Primo: Dio, è passata una vita dall'ultima volta che ho condiviso qualcosa su EFP! Mi sento vecchia ed arrugginita (e anche la mia conoscenza dell'html zoppicava alquanto, ma, ehy, è come andare in bicicletta, no?), ma soprattutto in colpa perché, con tre giorni per preparare un esame, non riesco a pensare ad altro che ad Hannibal (e a Will. Possibilmente uno sopra all'altro, che Dio li benedica).

Secondo: nota tecnico-burocratica (non proprio, ma il termine "burocratico" mi mette di buonumore): se riesco a seguire i miei programmi, la storia avrà tre capitoli. Ma non garantisco, ho un pessimo rapporto con l'autoregolamentazione. Ad ogni modo, la storia comincia durante Antipasto (Capitan Ovvio mode: on)

Terzo: e… niente. Siate buoni. O cattivi. O come preferite (ma sempre shippando Hannigram)


--- Grazie per essere giunti fin qui!

-- Baci!

- Vostra,

Giullaressa



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Capitolo 2
*** 2. ***


L'oscurità nel mio cuore cap2

(...)



Hannibal esala un lungo sospiro, e Will preme il corpo contro il suo, per sostenerlo ed accompagnarlo dolcemente a terra, ai piedi di un antico archivio di legno decorato.

Non è la prima volta, che lo vede ferito. La sua umanità non è un segreto, eppure per Will è tragico e inebriante, sentire il calore del suo sangue che gli impregna la camicia. Potrebbe perdersi in quel tepore, in quell'abbraccio mortale, nel modo in cui il respiro spezzato di Hannibal gli ha accarezzato le labbra.

Potrebbe perdersi nel modo in cui l'ha baciato.

- Appropriato.- la voce roca di Hannibal lo riscuote dal torpore – hai perfezionato il modo maldestro in cui io ho tentato di rescindere il nostro legame. Sono curioso, Will, mi guarderai morire o te ne andrai, voltandomi le spalle mentre mi dissanguo lentamente?-

Will chiude gli occhi, tentando di arginare la tempesta che infuria nel suo petto. Pensava di volerlo. Di volere la morte di Hannibal con la rassegnata disperazione di chi è disposto a menomarsi, pur di avere una chance di sopravvivenza. Sopravvivenza. Alla fine tutto si riduce all'attaccamento alla vita, ad una respirazione meccanica, ad un'esistenza priva di dilemmi. Desolatamente vuota.

Si appoggia al mobile e, facendo scivolare la schiena sul legno intarsiato, si siede accanto ad Hannibal.

- Non potrei mai andarmene.- sussurra, voltandosi verso di lui.

Hannibal stringe le labbra. Solleva una mano, viscida di sangue, e la posa sulla gamba di Will.

- L'hai fatto per te stesso, o per Abigail?- domanda, voltandosi per guardarlo negli occhi.

- Per entrambi.-

Lo spettro di un sorriso distende le labbra di Hannibal:- per aggrapparti ad un passato che non tornerà.- lo corregge, ma non c'è biasimo, nella sua voce – accetto la vendetta, ma trovo intollerabile l'idea che la mia morte ti trasformi di nuovo nell'inerte burattino di Jack. Nella sua tazza di porcellana.-

- Non succederà.-

Per un attimo, Hannibal aumenta la stretta sulla coscia di Will, poi la sua presa torna ad indebolirsi, le sue dita tremano:- quando la crisalide è chiusa – fa una pausa, tirando faticosamente il fiato – il bruco può diventare una farfalla o morire nel bozzolo. Non può tornare bruco.-

Will abbassa lo sguardo, combattendo contro il desiderio di prendere la mano di Hannibal nella propria – lo so.- sussurra – perché non hai cercato di difenderti?-

- Se serve il mio sangue per completare la tua trasformazione, lo verso di buon grado.- solleva la mano, fino a sfiorare la guancia di Will – il tuo futuro giace ben al di là del mio controllo.-

- In questo momento, anche il tuo.-

Hannibal emette un gorgoglio, che suona come una risata:- mio crudele, confuso ragazzo.- gli dice, dolcemente. Fa scivolare le dita sulla sua guancia, lasciandogli una lunga traccia insanguinata – come ti sei sentito, a restituirmi questa ferita?-

Will abbassa lo sguardo e, prima che se ne accorga, la sua mano si muove, per posarsi su quella di Hannibal, per protrarre quel contatto. Lo fa impazzire l'idea di non sentire più il tocco fermo e delicato di quelle dita.

- Era la cosa giusta.- mormora, ma nell'istante in cui le sente, si rende conto di quanto le sue parole suonino vuote, prive di significato – il mondo merita che tu muoia, e che io soffochi nella mia crisalide.-

- Rintanarsi dietro agli interessi del mondo è pura codardia, Will. Il mondo è un'entità astratta, lontana, è la somma di miliardi di esistenze. Il mondo è un mero concetto teorico. Non nasconderti, Will. Non da me.-

Will intreccia le dita a quelle di Hannibal e, con delicatezza, si porta la mano dell'uomo alle labbra. La sua pelle sa di sangue, di metallo e di sudore freddo. E, da qualche parte, dietro al pesante afrore della morte, c'è una sorta di profumo, una sinfonia che Will non riesce a riconoscere.

- Uccidermi forse era la cosa giusta… – mormora Hannibal, nascondendo a fatica un gemito di dolore.

Will gli posa un bacio, sulle nocche, e completa:-… ma non mi ha fatto sentire bene.-

- Come ti ha fatto sentire?-

Will preme la fronte sulla mano di Hannibal, serrando con forza le palpebre:- suicida.- risponde, in un soffio – mi ha fatto sentire di nuovo solo, sul fondo dell'abisso.-

Le labbra esangui di Hannibal si incurvano di nuovo in quel pallido riflesso d'un sorriso:- Esci dall'abisso, Will. Esci dall'abisso, spezza la crisalide e ridurremo Troia in cenere.-

Will scuote la testa:- sembri preoccuparti più per il mio futuro che per la tua vita.-

- La morte non mi spaventa. Mi angoscia la tua autodistruzione.-

Will tace. Sembra che un secolo intero lo separi da quando è arrivato in Europa, così carico di pensieri, di rimorsi, di prospettive. Da quando ha vagliato tutte le ipotesi, da quando ha scritto la sentenza e firmato il destino di entrambi. Il primo giorno a Firenze si è seduto in un bar e, davanti ad un bicchiere di vino, ha deciso di uccidere Hannibal (di dover uccidere Hannibal). Si è rassegnato a lasciar andare la presa sulla realtà, una realtà destinata a diventare muta e incolore. Ha deciso di seppellire il suo amore e il suo odio, e poi trascinarsi stancamente per i rimanenti giorni della sua vita. Attendendo di soffocare nella sua crisalide.

- Will?- lo richiama Hannibal – a cosa stai pensando?-

Tanti frammenti di passato si stanno infilando, come aghi, fra i pensieri di Will, facendogli lacrimare gli occhi.

La bellezza accecante di non essere solo, nella propria mente. L'inebriante sensazione di essere una tessera smussata, ma di aver comunque trovato il mosaico cui era destinata. Destino. Anche nascondersi dietro al destino è codardia, è un futile tentativo di mascherare i propri sentimenti.

- Ti perdono.- dice, di scatto, balzando in piedi.

Si sente addosso gli occhi di Hannibal, che brillano nella penombra come schegge di diaspro rosso.

Si sfila la giacca, con gesti nervosi, febbrili, poi gli s'inginocchia al fianco e preme con forza la stoffa sulla sua ferita:- non morire.- sussurra, a malapena consapevole delle parole che gli escono dalla bocca.

Hannibal annuisce. Sembra esausto eppure ancora perfettamente padrone della situazione.

Per un attimo Will si domanda se non abbia previsto quell'epilogo sin dall'inizio, sin da quando ha deciso di rimanere solo, con lui, fra le pareti di Palazzo Capponi. Se non abbia giocato con lui, la sua stessa vita come posta.





E più il tempo passa –mentre il piano di sicurezza di Hannibal è sulla sua via per soccorrerli-, più Will se ne convince: che sia stata la più crudele e la più spettacolare delle scommesse. Eppure, non si sente manipolato, né oltraggiato. Sa che dovrebbe, ma non ci riesce. Perché, gioco o non gioco, azzardo o dannata sicumera o meno, Hannibal si è lasciato pugnalare. Ha messo la propria vita nelle sue mani, senza alcuna garanzia, nonostante i tumultuosi fiumi di sangue che li hanno separati. Nonostante l'ultima volta che si sono incontrati, Will sia stato a tanto così dal consegnarlo all'FBI.

"Io ti perdono, Will": così ha detto, in quella notte crudele, e, a quanto pare, era sincero. Era disposto a fidarsi di nuovo, proprio lui, che non si è mai fidato di nessuno, che non appoggia la sua maschera nemmeno quando dorme, o quando fa l'amore. Will socchiude gli occhi e, di nuovo, il sapore di quell'unico, sanguinoso bacio l'assale. Risente le labbra di Hannibal sulle proprie, il suo respiro tiepido, lo sbuffo più intenso, quando l'ha accoltellato. Si posa una mano sul petto, in un futile tentativo di calmare il suo cuore. Cristo, galoppa. Galoppa come non ha alcun diritto di fare.

Si appoggia indietro, a quel monumentale e assolutamente superfluo archivio di quercia, ed un involontario sospiro gli forza le labbra, fuoriuscendo in un sibilo.

Hannibal socchiude gli occhi, guardandolo da sotto le ciglia:- Will? A cosa stai pensando?-

Will si stringe nelle spalle:- non so nemmeno da dove iniziare a capire i miei pensieri.- sbuffa

Ma, soprattutto, non gli piace dove potrebbero condurlo. In cosa potrebbe trasformarsi, se ammettesse che ora, mentre le sue stesse mani lottano per salvare la vita di un serial killer, che ora si sente meglio di quanto si sia sentito negli ultimi mesi. Che quell'inopportuno batticuore è il dannato benvenuto, perché è la prima cosa veramente sincera dal dolore per la morte di Abigail, dal lutto per quello che avrebbe potuto esserci, e non ha mai avuto la possibilità di venire alla luce. Per lei e per lui. Per loro, per tutti e tre.

- La tua amica se la sta prendendo comoda.- commenta, nervosamente.

- Non preoccuparti, Will – di nuovo, l'ombra di un sorriso si adagia sulle labbra di Hannibal - tu fra tutti dovresti essere consapevole di quanto disperatamente il corpo umano sappia aggrapparsi alla vita.-

- Dov'era il tuo istinto di sopravvivenza, quando hai visto il coltello e, invece che lottare per la tua vita, hai deciso di baciarmi?-

- L'istinto di sopravvivenza è ciò che ha consentito ai nostri antenati di riprodursi e di evolversi. L'umanità si è fatta strada fino all'era moderna e si è meritata il diritto di prendere liberamente le proprie scelte.-

- Tutto molto razionale – geme Will, e si sorprende di quanto disperata suoni la sua voce – ma perché?-

Hannibal solleva le dita, per posarle delicatamente sulla guancia di Will, sulla scia ormai secca del suo stesso sangue:- perché te lo dovevo. – risponde, come se fosse di un'ovvietà disarmante – perché non può esserci perdono, senza equilibrio.-

Will stringe le labbra:- che senso ha ottenere il mio perdono, e morire nel tentativo?- sbotta e, quasi senza accorgersene, aumenta la pressione sulla medicazione improvvisata. Sotto il sangue, ha le dita bianche come cera: è un contrasto che lo disturba e, al contempo, lo ammalia. Non può credere di esserne l'artefice. Non può credere di essere arrivato a tanto e, soprattutto, non può credere di aver fatto così repentinamente marcia indietro (se riuscisse a mettere ordine fra i suoi pensieri, forse troverebbe persino il posto per una fitta d'imbarazzo, per la vergogna di non essere riuscito a portare a termine il suo sanguinario proposito).

Hannibal è rimasto in silenzio, e quell'ultima domanda ancora aleggia fra loro, in attesa.

- Ehy.- lo richiama Will – rimani con me. Parlami.-

Hannibal leva gli occhi al cielo, ma gli angoli della sua bocca sono ancora incurvati, in quel pallido, elegante sorriso:- per quanto toccante sia la tua preoccupazione, so gestire un'emorragia, Will. Inoltre, sei stato di mano mirabilmente leggera.-

Will fa una smorfia, ma non ribatte. "Di mano leggera". Suona come l'eufemismo del secolo. La verità è che la resa dei conti non è stata nemmeno lontanamente vicina a quella che si era figurato, nella sua mente, nell'insana e febbricitante veglia di quei mesi. Ha immaginato il definitivo scontro fra titani, la furia della tempesta chiusa in una stanza. Pensava di fronteggiare la bestia, in una lotta fatta di artigli, e fuoco, e rabbia ferina, e denti, ed arti lacerati e membra divelte e ossa spezzate. Si aspettava la guerra, e invece ha avuto un bacio.

- Perché mi hai baciato?- domanda, a malapena consapevole di aver abbassato il tono della voce.

Hannibal gli poggia le dita sotto il mento e, delicatamente, avvicina il suo viso al proprio.

- Ti ha turbato?- sussurra

E Will vorrebbe rispondere che sì, dannazione, ovvio che l'ha turbato. Vorrebbe dirgli tutto e il contrario di tutto, vorrebbe dirgli che lo odia e che lo ama, e che ha scoperto che no, non può vivere senza di lui, ma che questo non significa che vuole che vivano per sempre felici e contenti. Vorrebbe dirgli che si pente ogni giorno della prima volta che l'ha guardato negli occhi, e che, al contempo, quel ricordo l'ha mantenuto sano di mente in quei mesi di straziante separazione. Vorrebbe dirgli ogni cosa, e poi chiedergli cosa ne pensa, chiedergli di aiutarlo a mettere ordine in quella babele di pensieri e sentimenti, come solo lui può fare, ma proprio in quell'attimo una porta si apre, sbattendo, ed un nervoso ticchettio di tacchi riecheggia nei corridoi non più deserti di Palazzo Capponi.

- Sta arrivando la cavalleria.- intuisce Will. Solo uno sbuffo d'aria separa le sue labbra da quelle di Hannibal, e Will considera seriamente l'idea di colmare quel vuoto, e di sentirsi di nuovo travolgere da qualunque cosa provi per lui, ma poi l'abbandona – dimmi cosa devo fare.-

Hannibal non si volta, restio ad interrompere quel contatto:- non preoccuparti, Will – ripete, e ha uno strano tepore, nella voce – va bene così.-











- I Due Campanelli della Giullaressa



Primo: eh, non si può dire che i miei aggiornamenti non si prendano i loro tempi, eh? Ad ogni modo, questa seconda parte ha avuto una lunga gestazione (fra vacanze, cambi di idee – non solo Will cambia idea ad ogni spirar di vento-, imprecazioni in lingue morte e i miei dubbi atroci sulle risultanze di tutto ciò) ma alla fine ho rinunciato al mio complesso della riscrittura isterica e quindi eccoci qui. Spero vi piaccia :)

Secondo: spero che Will non sembri bipolare. Non completamente bipolare, almeno



---Grazie per essere giunti fin qui!

--Baci!

-Vostra,

Giullaressa


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Capitolo 3
*** 3. ***


l'oscurità nel mio cuore cap3

(...)




Il piano di sicurezza di Hannibal è una donna dai capelli neri, meticolosamente raccolti in una crocchia talmente stretta che deve causare un dolore fisico. Un volto dai lineamenti ordinari, senza macchie, cicatrici, dal trucco sobrio ma persistente, per smussare gli spigoli e smorzare il candore quasi innaturale della sua carnagione.

Will sbatte le palpebre, rapidamente, e si rende conto di starla analizzando con l'occhio del profiler.

Distoglie lo sguardo, imbarazzato, come se le avesse fatto un torto, come se fosse stato in qualche modo irriconoscente. Gli balena in mente il termine "maleducato", e un involontario sorriso gli tende le labbra.

La donna –ha un'età indefinibile e gli occhi azzurri e taglienti come vetro- si piega sulle ginocchia, accanto ad Hannibal, con un commento tanto rapido e in un italiano talmente stretto che Will non riesce a coglierne il significato. Ha imparato la lingua, a grandi linee, ma qualcosa nell'accento e nel tono di lei sembra invalidare ogni suo sforzo. Forse lo fa persino apposta, la stronza (e di nuovo, quella punta di senso di colpa).

- Corvina, sono lieto di presentarti Will Graham.- dice Hannibal, mentre la giovane si piega sulla sua ferita, controllando la sommaria medicazione con uno sbuffo intrappolato fra le labbra - Will, lei è Corvina Marchesi, una vecchia amica.-

- E io che credevo te lo fossi inventato.- ribatte lei, senza sollevare lo sguardo, in un inglese chiaro, nonostante il marcato accento

- Non essere maleducata, mia cara.-

- Sarei retorica se chiedessi dov'è l'aggressore?-

La mano di Hannibal scatta in avanti, le sue dita affondano nel collo della donna:- sì – risponde, in un basso ringhio, minaccioso senza ancora essere aggressivo – e ora, sii gentile.-

Corvina rimane in silenzio, finché le dita di Hannibal non mollano la presa sulla sua gola, poi solleva il capo e rivolge a Will uno sguardo conciliante (e probabilmente non molto sincero)

- Scusi, signor Graham.- dice, aprendo una borsa di cuoio nero, per estrarre delle garze sterili – è un piacere conoscerla, anche se in queste inusuali circostanze.-

Will annuisce: non si sforza nemmeno di trovare una risposta adeguata, le rivolge solo un distratto cenno del capo. Lei lo coglie, poi torna ad abbassarsi sul suo lavoro.

Ricomincia a parlare in quell'italiano affrettato, incomprensibile, in netto contrasto con la calma e la padronanza di sé che traspare dai suoi movimenti.

E Will si sorprende a porsi delle domande, su di lei. Si domanda se ci sia (o se ci sia stato) qualcosa, fra lei e Hannibal, se lui abbia giocato con lei, e quando, e fino a che punto si sia spinto, nel manipolarla. Che cosa, dei suoi gesti e delle sue abitudini, sia genuino e cosa le sia stato imposto (o donato?). Com'era Corvina Marchesi, prima che Hannibal entrasse nella sua vita? E perché – dannazione – perché Will sente di odiarla, per avergli permesso di entrare così a fondo nella sua vita?

- Signor Graham – lo richiama la voce nasale della donna – immagino che lei sappia guidare.-

Will tentenna, colto alla sprovvista dalla domanda:- sì.- risponde, confuso

- Bene – Corvina affonda una mano nella tasca dei pantaloni, estraendo una coppia di chiavi – l'auto è parcheggiata qua davanti. E' una vecchia ford fiesta, nera, senza uno specchietto.-

A quella precisazione, Hannibal emette uno sbuffo e, per la prima volta da quand'è arrivata, Corvina si scioglie in un sorriso, prima di riprendere:- ho impostato la destinazione sul navigatore. Rispetti i semafori ed i limiti di velocità e andrà tutto bene, si fidi.-

Will inclina il capo:- e lei?-

- Io vi raggiungerò dopo aver pulito questo macello.-



- Possiamo fidarci di lei?-

Hannibal si appoggia allo schienale del sedile, con uno sbuffo:- è una domanda infelice, Will.-

Will passa le mani sul volante, esitando ad infilare la chiave nell'accensione:- è un'abitudine – risponde, distrattamente, mordendosi il labbro. La sua vita è una sequela infinita di domande assurde e di risposte crudeli, una parata di spettri e allucinazioni, interrotta da brevi e incomprensibili momenti di pura felicità.

- Stai sorridendo.- rileva Hannibal, e Will si deve toccare l'angolo della bocca, per rendersene conto.

- Non è vero – nega, poi gira la chiave e l'auto si anima, con un basso rombo.

Hannibal si sporge in avanti, per recuperare una boccetta dal portaoggetti:- devo essermi sbagliato – commenta, e Will sente un altro sorriso pizzicargli le labbra.

Le strade di Firenze sono abbastanza trafficate, nonostante l'ora tarda, ma il tragitto non è molto lungo e presto il navigatore annuncia che la loro destinazione è dietro l'angolo.

Mentre aspetta che un semaforo diventi verde, Will si volta verso Hannibal e non riesce a trattenersi dall'abbassare gli occhi sul suo addome, dove la ferita è stata medicata e coperta, ma sanguina ancora. E' appena un filo di sangue, che macchia lentamente le garze sterili.

- Almeno ha una laurea in medicina?- chiede, cercando di concentrarsi di nuovo sulla guida.

Hannibal inarca un sopracciglio:- Corvina?- domanda, genuinamente confuso – Sì, certo che ce l'ha.-

- E com'è che si è trovata sulla tua strada?-

Hannibal storce il naso e prende un lungo sorso dalla boccetta, prima di rispondere:- posso chiedere il motivo di questo improvviso interesse nei suoi confronti? E' solo una vecchia amica.-

Will s'irrigidisce:- stavo solo facendo conversazione.-

Con un tempismo perfetto, il semaforo diventa verde, e Will pigia l'acceleratore per percorrere l'ultimo tratto di strada che lo separa dalla sua meta. Hanno lasciato il centro di Firenze, ormai, e l'illuminazione si è ridotta, lasciando dilagare il denso buio della notte. La luna è alta, nel cielo, oltre al finestrino, ma è appena una sottile falce argentea, nell'immensità del cosmo, più simile ad una lama, che ad un astro. Le labbra di Will s'incurvano in una smorfia di amaro sarcasmo: Dio, se è calzante: sotto che altre stelle poteva compiersi il suo fato?

Con la coda dell'occhio, vede Hannibal posarsi una mano sulla ferita – tutto bene?- chiede, prima che l'imbarazzo riesca a fermarlo – come ti senti?-

- Meglio di quanto sarebbe legittimo aspettarsi.- ribatte lui, mentre il riflesso di un sorriso balugina nei suoi occhi, colorando un'espressione altrimenti imperscrutabile – e tu? Cosa provi?-

Will parcheggia l'auto, girando il volante con un po' troppa enfasi:- vorrei tanto saperlo.-

- La confusione è un buon punto di partenza, Will. Dimmi, cosa ti ha fatto cambiare idea?-

Will spegne il motore, poi crolla contro il sedile, gettando indietro la testa:- tu.- geme – l'odio accecante che ho provato per me stesso, quando ti ho accoltellato. E per te, quando non ti sei difeso.-

- Ti aspettavi una feroce resa dei conti?-

- Sì.- Will abbassa la testa, armeggiando con la cintura per non incontrare gli occhi di Hannibal. Ha già perso del tutto il controllo della sensazione e sa che, se lo guardasse, perderebbe definitivamente ogni chance di recuperarlo in futuro. Odia amare così tanto quegli occhi, il modo in cui sembrano scivolare sulla sua pelle, divorandone ogni centimetro. Il modo in cui vedono l'invisibile, il contrastato, l'ipotetico. Il Divenire.

- Mi dispiace aver disatteso le tue aspettative, Will. Ti assicuro che era l'ultimo dei miei desideri.-

- Per l'amor del cielo, smettila.-

Will esce dall'auto, affiancandosi all'altro sportello per aiutare Hannibal a scendere. Gli passa un braccio attorno ai fianchi, per sorreggerlo, e non gli sfugge il modo in cui stringe le labbra, combattendo contro il dolore. Stare in piedi dev'essere una fottuta agonia.

- Ce la fai?-

Hannibal annuisce, in silenzio, e si aggrappa alla sua spalla.

- Mi odi?- esala, dopo qualche passo, sollevando la testa finché le sue labbra quasi non sfiorano la guancia di Will

- Sarebbe tutto più facile, se potessi dare un nome a quello che provo per te.-

- L'umanità cercherà sempre di dare un nome all'innominabile. S'illude che un modo per chiamarlo lo renda più comprensibile. Controllabile.-

Will scuote la testa, con uno sbuffo:- pensi che sia ingenuo? Cercare di controllare quello che provo per te.- domanda, pentendosi quasi all'istante – quello che proviamo l'uno per l'altro.-

Hannibal gli stringe dolcemente la spalla:- penso sia estenuante. Per entrambi.-

Nonostante la morsa che gli serra la gola, Will non riesce a trattenere un risolino:- a dir poco.-

Sono arrivati al portone, ormai, e Will infila la seconda chiave nella serratura. La casa è un vecchio palazzo, con le finestre murate e le pareti ricoperte di edera selvatica e vecchi decori stinti. Un tempo doveva essere un edificio splendido, ma l'incuria e le intemperie hanno cancellato ogni traccia dei fasti passati. E' un rudere, il ricordo di un'altra epoca. E nonostante tutto ciò, Will si sente a casa, come se quel luogo in agonia fosse stato costruito con la stessa sostanza dei suoi incubi.

Una volta all'interno, la penombra lo inghiotte, cingendogli le spalle come una cappa tiepida.

L'atrio è un polveroso ammasso di mobilio ma nell'angolo svetta una porta di metallo argenteo, lucida come appena pulita. Qualcuno si è persino dato la pena di metterci uno zerbino davanti.

- Inqualificabile.- borbotta Hannibal.

Will leva gli occhi al cielo poi, con una leggera spinta, spalanca la porta di metallo.

Il cambio d'ambiente è inaspettato, lo coglie in contropiede. Oltre la soglia c'è una casa perfettamente ordinata, quasi asettica. Una fotocellula intercetta il movimento e quattro fiotti di luce sgorgano dal soffitto, rischiarando ogni anfratto. Le pareti sono di un tenue grigio perla, l'arredamento è essenziale, l'unica decorazione è una stampa della Primavera di Botticelli, che strappa un sorriso ad Hannibal.

Oltre quel secondo atrio si snoda un corridoio, con delle porte numerate.

- Cos'è questo posto?- domanda Will, abbassando la maniglia della prima

- E' un rifugio. Un luogo sicuro.- ribatte Hannibal, mentre entrano nella stanza. E' una camera da letto, spartana, in bianco e nero. La finestra è murata, ma le tende di seta grigia sembrano nascondere i mattoni.

- Pensavo che qui a Firenze ti sentissi al sicuro.-

Hannibal rilassa impercettibilmente le dita, sulla spalla di Will, finché la sua stretta non diventa una carezza:- se avessi portato qui te ed Abigail, avrei voluto essere sempre in grado di prendermi cura di voi. Avrei mancato orribilmente di lungimiranza, se non mi fossi preoccupato di un rifugio per le emergenze.-

Will sente una fitta al petto, e l'ombra di Abigail lo oltrepassa, per danzare sui muri perlacei. Cerca di vedersi al suo fianco, d'immaginare il tepore della sua mano nella propria, il peso leggero delle sue dita. Socchiude gli occhi, inseguendo l'illusione di quella vita che non conoscerà mai, della vita in cui ha seguito Hannibal la notte in cui ha servito l'agnello, in cui ha deciso di fuggire con lui in Europa. In cui, la mattina della partenza, Hannibal ha potuto mostrargli la sua sorpresa, e fargli riabbracciare Abigail. In cui la tazza è di nuovo miracolosamente intatta.



Corvina Marchesi rientra quasi mezz'ora dopo. Ha le maniche della camicia arrotolate sui gomiti ed una ciocca di capelli che le scivola fuori dalla crocchia, ma per il resto è impeccabile. Una statua di cera.

Entra nella stanza, controlla la ferita di Hannibal, poi annuisce e recupera la borsa di cuoio. Il tutto senza dire una parola. Will è a tanto così dal chiedere qualcosa (qualunque cosa), quando Hannibal rompe il silenzio.

- Mi hai mentito.-

Corvina leva gli occhi al cielo:- ho avuto da fare.-

- L'atrio è impresentabile. E' una vergogna che Will abbia dovuto vederlo in quello stato.-

Will si prende la testa fra le mani (perché, Dio, quella conversazione, quelle circostanze, l'intera giornata è sull'orlo del paradossale) e sbuffa. Di nuovo, quella punta di incomprensibile ostilità. Se si conoscesse meglio, forse avrebbe il coraggio di darle un nome, e la chiamerebbe gelosia. Ma questo lo getterebbe decisamente oltre l'orlo del baratro, quindi finge di non saperlo, serra più forte le braccia sul petto e prosegue, studiando il modo clinico in cui Corvina esamina la ferita di Hannibal, cercando con occhio attento ogni segno di ulteriori danni.

- Sei stato fortunato- sentenzia, alla fine

- La fortuna non c'entra – Hannibal si volta e ora Will non tenta nemmeno, di sottrarsi al suo sguardo – Will ha fatto attenzione. Voleva concedersi il lusso dell'esitazione, riservarsi tutto il tempo necessario a scegliere.-

Will sente il fiato bloccarsi nella propria gola:- a scegliere?- chiede, in un sibilo.

Corvina ribatte qualcosa, in quell'italiano stretto, dialettale, storcendo il naso aquilino, qualcosa che riesce a far balenare un lampo d'odio negli occhi di Hannibal. E anche se la donna ha letteralmente le dita nel suo stomaco, lui allunga una mano e gliela serra con violenza sul polso, torcendoglielo in una posizione innaturale.

- Come, prego?- domanda, gelido

- Ho detto – ripete lei, digrignando i denti per il dolore – che il tuo Will è un codardo.-

Will avanza di un passo. Vuole intervenire, ma non sa come. Cosa dovrebbe dire? Sì, è stato un codardo e sì, se fosse stato sicuro del suo disegno avrebbe colpito più a fondo e più volte, l'avrebbe lacerato fino al midollo. E poi c'è la parte di lui che non riesce a saziarsi di quella scena, che vuole ghermire ogni frammento del mostro che si nasconde dietro alla maschera di Hannibal, dietro il suo galateo ed il repertorio di battute scelte.

- Quanta superbia - sibila l'uomo, in quel momento, lasciando andare il polso di Corvina – T'illudi di comprendere qualcosa che ti è di gran lunga superiore. Un cieco che vuole venire a dissertare sui chiaroscuri della Cappella Sistina. I tuoi servigi, per quanto apprezzati, non sono più richiesti.-

Lentamente, Corvina termina il punto lasciato a metà, poi appoggia ago e filo su una piastra sterile.

- L'amore e la morte dovrebbero stare ben separati – sussurra, ancora china su Hannibal, con una nota nella voce che fa accapponare la pelle di Will – tu più degli altri dovresti saperlo.-

Hannibal scuote la testa – dopo tutti questi anni…-

Corvina lo interrompe con un'ultima frase incomprensibile, poi si rialza e, a passo svelto, raggiunge la soglia della porta. Prima di uscire tende a Will un biglietto da visita, con un numero scribacchiato sul retro.

- E' stato un piacere conoscerla, signor Graham.- si congeda. Will annuisce, cedendole il passo. Ascolta il ticchettio dei suoi tacchi allontanarsi lungo il corridoio poi prende un lungo respiro e cerca di schiarirsi le idee, di combattere contro la nebbia che dilaga fra i suoi pensieri.

- Perdona questo sventurato intermezzo, Will.- sospira Hannibal. Raccoglie ago e filo poi, quasi con disinteresse, riprende il lavoro da dove Corvina si è interrotta. Will rimane incantato, a guardarlo riunire i lembi di pelle, l'ago che danza, compare e scompare nella sua carne, per riemergere coperto da una lucente patina di sangue scarlatto.



E' seduto con Abigail, sul davanzale di una finestra. La città sembra lontanissima, sotto di loro, un formicaio di attività, luci, suoni e odori, un miliardo di vite in fermento, prese dal caos quotidiano delle loro esistenze.

- Lo ami, vero?- domanda Abigail, facendo dondolare la gamba nel vuoto

Will esala un lungo sospiro, posando le mano su quella di lei:-sto ancora cercando ci capirlo.-

Abigail reclina la testa, un sorriso che le danza sull'angolo della bocca -Se la risposta ti spaventa è perché ce l'hai, non perché la stai cercando.-

- E se anche fosse?-

- Cosa?-

- Se anche lo amassi, a che varrebbe? Ho cercato di ucciderlo. Lui ha cercato di uccidermi. Ci siamo pugnalati alle spalle talmente tante volte da perdere il conto. Non so nemmeno se abbiamo più la forza, per sanguinare ancora. Per vivere, o respirare. Per perdonarci a vicenda. Il nostro amore ti ha distrutta, Abigail.-

Abigail getta indietro la testa, i capelli che scintillano alla luce della luna:- l'amore e la morte dovrebbero stare ben separati – cantilena, mentre una risata le gonfia il petto.

- Non farlo – la blocca Will, distogliendo lo sguardo – non citare quella donna.-

- Non essere geloso – Abigail gli prende una mano, intreccia dolcemente le dita alle sue – Hannibal non ha mai amato nessuno come ama te, né mai lo farà. Siete uno il destino dell'altro.-

- Nel bene e nel male.- commenta Will, con un sorriso amaro

- Nel bene o nel male.- lo corregge Abigail – sta a te scegliere.-

In un guizzo, si sporge in avanti e gli preme un bacio sulla guancia.

Poi salta nel vuoto.

Will si sveglia di soprassalto, con un dolore atroce al collo. Si è addormentato sulla sedia accanto al letto di Hannibal, la testa abbandonata indietro, il collo piegato in un angolo assurdo. Eppure, non se ne pente. Lo tranquillizza l'idea di poter allungare una mano e toccare quella di lui. Poterla stringere fino a trovare il battito del suo cuore, il pulsare ritmico del sangue che corre nelle sue vene.

Hannibal sta riposando. Si è rifatto la medicazione, poi gli ha chiesto di andare nell'altra stanza, a recuperare una sacca di sangue e l'occorrente per una trasfusione. Will sospira, massaggiandosi le tempie. E' grato per quei minuti di pace, di totale vuoto. Se socchiude gli occhi, riesce finalmente a sentire i propri pensieri.

"Se la risposta ti spaventa è perché ce l'hai, non perché la stai ancora cercando", così ha detto Abigail, nel suo sogno.

Ma Abigail è morta, è stata soffocata dal suo egoismo e dal dolore di Hannibal. Perché Hannibal non poteva ucciderlo, per il suo tradimento, nemmeno nella più cupa delle ore è stato in grado di rescindere per sempre il loro legame. Will abbassa lo sguardo, si osserva i palmi delle mani. Dove ha affondato il coltello, la base della lama gli ha lasciato un taglio piccolo, ma netto. Forse è quella, l'essenza del loro rapporto. Uno non può ferire l'altro, senza sanguinare a sua volta. Ogni colpo che si infliggono a vicenda è vibrato con un'arma a doppio taglio e, ogni volta, il loro sangue si mescola, le loro ferite combaciano, e l'unico sollievo è l'amara consapevolezza che entrambi sopravvivranno, per menomarsi ancora.

- Will – la voce roca di Hannibal è un gradito appiglio, per sottrarsi a quella tempesta di pensieri.

Will si passa una mano fra i capelli, cercando di spingerli indietro, di darsi una parvenza di normalità:- ehy.-

Rimane in silenzio. Sente lo sguardo di Hannibal correre lungo la sua pelle, scivolare sul suo corpo come una carezza, e vorrebbe poter intrappolare quello sguardo e portarlo con sé per i restanti giorni della sua vita. Com'è possibile che qualcuno con l'ego di Hannibal, con le incomprensibili distorsioni della sua psiche, qualcuno con la sua storia e la sua mente, possa avere uno sguardo così intenso, di pura adorazione? Com'è possibile che il mostro che si annida nelle tenebre possa mostrare un sentimento così pericolosamente vicino all'amore? O forse è questo, il segreto. Forse la verità è che Hannibal non può più comprendere l'amore, perché l'ha trasceso. Perché, per lui, prova qualcosa che è diverso e, al contempo, semplicemente più grande.

- Will?-

- Non solo non so da dove iniziare a capire i miei pensieri – sbuffa Will, piegandosi in avanti, prendendosi il viso fra le mani – ma ci sto annegando dentro.-

Hannibal si alza faticosamente a sedere sul letto:- come dopo un naufragio, devi aggrapparti al primo oggetto solido che ti si presenta. Riesci ad afferrare qualcosa, Will? Un pensiero, un ricordo, una preghiera?-

Will affonda di più, nella confortante penombra delle sue mani:- ho visto Abigail.- mormora, il sogno che ancora aleggia attorno a lui

Hannibal annuisce, in silenzio. Non c'è bisogno di parlare, perché Will sappia che Abigail vive in un'ala del suo palazzo della memoria, un'ala che per il momento è stata sigillata, sprangata per mantenere a bada la bestia di dolore partorita da quella tragica notte.

- Non puoi serenamente accettare che qualunque sia il nostro legame, l'abbia distrutta.-

Will soffoca un singhiozzo nella coppa delle mani:- uno di noi sarebbe dovuto morire quella notte, Hannibal.- dice e, Cristo, il suo nome è come miele sulla lingua – avresti dovuto distruggere me, non lei.-

- E come avrei potuto?-

Will solleva di scatto gli occhi, quando sente il tremito nella voce di Hannibal

- Ci sei andato parecchio vicino.-

- Non più di quanto tu abbia fatto oggi.-

Will dischiude le labbra, per replicare, e invece ne scivola fuori una risata:- touché.-

- Dobbiamo accettare l'inevitabile, Will. Sopravvivremo insieme o ci distruggeremo a vicenda, ma sempre con una perfetta reciprocità. Non è possibile districare i nostri destini più di quanto fosse possibile sciogliere il nodo di Gordio.-

Quando si alza dalla sedia, Will si domanda se le gambe riusciranno a reggerlo, se il suo corpo accetterà di prestarsi a quell'ennesima, assoluta follia o se invece quel famoso istinto di sopravvivenza deciderà di animarsi all'improvviso, di strapparlo dalle fauci del leone.

Perché è vero, ogni frammento del suo essere lo sa. E' vero che la sua storia è diventata quella di Hannibal, e viceversa, perché nessuno dei due sarebbe ciò che è, senza l'altro. E' vero che possono accettarsi o uccidersi, ma sempre insieme. Che uno non può vivere né morire, senza l'altro.

- Non hai risposto alla mia domanda.- riesce a pronunciare, con un filo di voce

Hannibal scuote la testa, un sorriso appena posato sulle labbra:- ti ho baciato perché, visto quello che stava accadendo, era il modo più rapido ed efficace per offrirti la mia devozione.-

Will si siede sul bordo del letto e Hannibal esita un attimo, come attendendo il permesso, prima di accarezzargli il viso, lasciando riposare le dita sulla sua guancia.

- E se non volessi… non potessi accettare la tua devozione?-

- Se così fosse, non mi avresti inseguito fin qui.- abbassa la voce, mentre i suoi polpastrelli scivolano indietro, fino a ghermire i capelli di Will – non mi avresti mai trovato.-

E Will lo bacia. Il suo corpo trema, incapace di sopportare ancora la tensione. L'aspettativa, il rimorso, la paura, il lutto, tutto scompare, mentre Hannibal dischiude leggermente le labbra, per accogliere il suo bacio. E' così che si sarebbero sentiti Achille e Patroclo, se tutti gli achei fossero morti? Si sarebbero erti sulle macerie di Troia, uno fra le braccia dell'altro, soli in mondo neonato, appena sorto dalle ceneri?

- Sono felice che tu mi abbia trovato.- mormora Hannibal, sulle labbra di Will.

Will tira un sospiro, reprimendo un brivido di piacere quando respira la sua stessa aria.

La tempesta dei suoi pensieri si è placata, lasciando solo fitti banchi di nebbia, pesanti coltri che nascondono tutto il resto. Esistono solo loro, in quel momento, solo quella stanza, il resto è fumo.

- Ti troverò sempre.-






- I Tre Campanelli della Giullaressa

Primo: è la fine? Non è la fine? Sì che mi ero detta di fare tre capitoli, però boh, questi due non hanno fatto altro che parlare (e lamentarsi. Will). Un giorno prenderò una decisione e ne verrete messi a parte :P

Secondo: ho un rapporto infelice con i personaggi originali, ma Corvina è con me dai miei primi scarabocchi a tema Hannigram, quindi non potevo tagliarla fuori in modo tanto infame.

Terzo: viva l'ammmmmore!



---Grazie per essere giunti fin qui!

--Baci!

-Vostra,

Giullaressa

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Capitolo 4
*** 4. ***


h

(...)


Quando il fumo si dirada, Will non ha né la forza né la chiarezza per interrogarsi sulle conseguenze. Su cosa gli succederà, ora che la sua ricerca di vendetta l'ha gettato dall'altra parte, dritto fra le braccia del suo carnefice (ma poi, chi è il carnefice di chi? Uno, fra loro, può onestamente definirsi la vittima?)

Si sente esausto, come al termine di una corsa infinita, che gli ha squarciato i polmoni.

Hannibal probabilmente può leggerglielo negli occhi. Solleva la mano, per accarezzargli dolcemente i capelli:- sembri stanco.- rileva, in un sussurro – dovresti dormire.-

Will solleva lo sguardo, e non sa se ribattere (anche se la cosa suonerebbe un po' come la protesta di un bambino) o piegarsi, e annuire. Eppure vuole continuare a parlare, si aggrappa disperatamente alla speranza che Hannibal abbia una sentenza, una metafora, uno dei suoi astrusi giri di parole, qualcosa in grado di rendere tutto chiaro. Qualcosa che possa dargli pace.

- Non credo di poter dormire, a questo punto.- confessa, alla fine.

Hannibal gli posa i polpastrelli sulla fronte, per massaggiargli le tempie:- vuoi dirmi perché?-

- Vuoi chiedermelo?-

- Non voglio chiedere niente che tu non sia pronto ad offrirmi.-

Will socchiude gli occhi, sforzandosi di regolarizzare il respiro. Non sa cosa può offrire. Non è solo una questione di potere, di volere, di limiti, di etica. Il passato, gli omicidi, l'encefalite, Abigail, Beverly… sono tutti rumori in sottofondo, scarabocchi a margine. Will deve capire sé stesso, accettare l'uomo in cui Hannibal l'ha trasformato. Mettersi al centro, comprendere la propria mente, invece che calarsi in quella degli altri.

Nell'attimo in cui decide di volere del tempo, per riuscire ad analizzare i propri pensieri in solitudine, il suo inconscio decide l'esatto opposto, e dalle sue labbra scivola la frase:- posso dormire qui?-

Hannibal sorride:- ne sarei davvero felice.-

Si sposta, per fare posto a Will, e poi gli cinge le spalle con un braccio, guidando la sua testa fino al proprio petto. Riprende ad accarezzargli i capelli, le dita che massaggiano delicatamente la sua nuca.

Will si abbandona a quel contatto, lasciandosi cullare dal ritmico pulsare del cuore di Hannibal. A sentirlo così, sembra un cuore perfettamente normale. Forse più forte, più vigoroso della media, ma umano. Non sembra esserci neanche un frammento di oscurità, in quel placido battito. Il buio dovrebbe essere assordante, un suono stridente, stonato, come di vetri rotti, ma Will non ne sente nemmeno un'eco. Il cuore di Hannibal suona come una poesia.

- A cosa stai pensando?-

Will preme il viso contro il petto di Hannibal, quasi volesse immergersi in quel suono:- te lo dirò quando sarò ragionevolmente sicuro che il tuo ego non possa esplodermi in faccia. Quindi, beh, mai.-

Hannibal si piega in avanti, stringendo le labbra per combattere una fitta, e gli posa un bacio sulla tempia: - Mai è un tempo davvero lungo.-

Will respira una boccata del suo profumo e non risponde. Perché, che sia giusto o meno, per la prima volta il futuro non lo spaventa.


- Alleluia.-

Abigail è seduta sulla riva del fiume, i piedi scalzi immersi fino alla caviglia nell'acqua tersa.

Will abbassa la canna da pesca, attraversa i flutti in quattro lunghe falcate, per raggiungerla.

- A quanto pare non analizzerò mai i miei pensieri in completa solitudine – commenta, sarcastico, sedendosi accanto a lei

Abigail arriccia il naso:- come se ti dispiacesse. Alla lunga, stare da soli diventa un fardello, un'abitudine che non si riesce a cancellare, finché la solitudine non porta più chiarezza, ma solo incubi.-

Will prende un respiro profondo, mentre Abigail lo abbraccia, premendo la testa contro il suo petto.

- Cos'ho fatto, Abigail?- le chiede, in un sussurro, anche se ha paura della risposta.

Lei scuote la testa, sbuffando aria calda contro il suo torace:- hai ceduto.- replica – come si cede alla marea o alla forza di gravità. Hai smesso di provare vergogna, per aver trovato il tuo posto, per esserti incastrato alla perfezione dove non credevi di poter sopravvivere.-

Will chiude gli occhi e cinge con un braccio le spalle della ragazza.

- In cosa mi trasformerò?-

Abigail solleva la testa, per guardarlo con quegli occhi limpidi, che hanno finalmente smesso di mentire, di piangere, di incupirsi:- un giorno capirai di avere la forza per controllare il tuo Divenire, per plasmarlo secondo la tua volontà.-

- Non è una risposta.-

Abihail si alza sulle punte degli stivali, per poggiargli un bacio sulla tempia:- in Will Graham – sussurra, dolcemente – ti trasformerai in Will Graham.-


La notte è passata e, con la notte, sono passati i sogni e l'euforia, ma Will si sente ancora stordito, ubriaco.

Eppure, ha dormito. Per la prima volta da mesi ha goduto d'un sonno ristoratore. Anche se solo per poche ore, nessun mostro è sorto da un lago di tenebra, nessuna pallida fanciulla l'ha osservato, stringendosi la gola per arginare una pioggia di sangue. Per la prima volta, Abigail non è morta di nuovo, al termine del suo sogno. Per la prima volta da che ha memoria, si è svegliato pigramente, sollevando le palpebre un po' alla volta, beandosi del tepore rimasto intrappolato fra le lenzuola.

- Buongiorno, Will.- lo saluta Hannibal - mi auguro tu abbia goduto di un buon riposo.-

Will si stiracchia. Non vuole affannarsi a definire cosa sia cambiato, fra loro, quale patto si sia consolidato, quali spettri siano stati ricacciati nel baratro e a quali sia stato permesso di rimanere. Vuole comprenderlo, brandello dopo brandello, e vuole farlo assieme ad Hannibal. Vuole capire la domanda, prima di consumarsi, cercando la risposta.

- Buongiorno.- ribatte, soffocando uno sbadiglio. I suoi occhi corrono alle finestre ma, dietro alle tende, trovano solo il prevedibile muro di mattoni – è tardi – sentenzia, dopo un rapido sguardo all'orologio – non si staranno chiedendo che fine hai fatto?-

- Confido che ormai Bedelia abbia imparato a non porsi domande sulle mie assenze.-

Will inarca un sopracciglio:- vivi con Bedelia?- chiede, un po' più incredulo di quanto ritenesse possibile.

Solo allora, in un battito di ciglia, si ricorda dell'anello d'oro all'anulare di Hannibal. Abbassa lo sguardo sulla sua mano ed osserva la fede come se la vedesse per la prima volta.

- Oh –

- Will?-

- No, niente.-

Si alza in piedi, per raggiungere l'armadio addossato al muro e cercare dei vestiti puliti. Di nuovo, sente in bocca il sapore acido di quell'ostilità immotivata, cui si rifiuta di dare un nome. Per un attimo, sente di odiare Bedelia Du Maurier più di qualunque altro essere sulla faccia del pianeta. Per essere esattamente quello che è lui, per essersi resa conto di provare un sentimento sbagliato per l'uomo sbagliato. Per essersi arresa prima di lui.

Di nuovo, Hannibal sembra leggere fra i suoi pensieri:- la cura per i dettagli è ciò che rende stabile una copertura. Soprattutto quand'è a tempo indeterminato.- gli spiega, nel tono pacato dell'insegnate che si rivolge al suo studente – I confini delle mie due vite, quella reale e la rappresentazione gentilmente offerta al pubblico, non si sono mai confusi.-

- Ma sì, certo.- borbotta Will, senza distogliere lo sguardo dalla sua ricerca – e, anche se fosse…- la frase si perde in un mormorio incomprensibile. Come spesso gli accade, Will non sa come completarla. Non può ancora accettare quella parte di sé che vorrebbe essere stato al posto di Bedelia (che sente che avrebbe dovuto essere al posto di Bedelia), così riprende a scavare fra i vestiti, sentendosi un perfetto idiota.

Hannibal gli concede qualche minuto (che Will sfrutta per rimuginare senza approdare a nemmeno mezza conclusione, a parte che vorrebbe strangolare Bedelia e poi sé stesso), prima di pronunciare il suo nome, con una dolcezza di cui Will non lo riteneva capace.

- Will. Vuoi dirmi cosa ti turba?-

- Niente.- replica Will, risoluto – solo, davvero, qualcuno si chiederà che fine hai fatto. Non hai un capo, dei colleghi, qualcosa del genere?-

Hannibal inclina la testa:- sì – annuisce – Corvina li informerà della mia improvvisa indisposizione. Se conosco il professor Soliato, ne sarà tutt'altro che addolorato.-

Qualcosa, nel suo tono, tocca le corde più nascoste di Will, e gli strappa un sorriso:- incredibile, esiste qualcuno che non nutre per te la massima ammirazione. A questo punto, devo incontrarlo.-

Hannibal risponde al sorriso, ma è appena un'increspatura sulle sue labbra:- la cosa può essere facilmente arrangiata, se lo desideri. E' sempre piacevole avere un così stimato collega, per cena.-

Will leva gli occhi al cielo:- eh, credo proprio che passerò.-

Perché, sul serio, dal tentato omicidio all'apprezzare le battute sul cannibalismo il passo è decisamente più lungo di quanto Hannibal possa immaginare.

- E il tipo di ieri?- Cristo, "ieri" sembra appartenere ad un'altra era – quello con la sciarpa?-

- Ah, il signor Dimmond – Hannibal scuote la testa, sollevando una mano come per placare le ansie di Will – un fastidioso incomodo, nulla di più, incapace di causare danni sulla lunga distanza. Ad ogni modo vedrò di occuparmi anche di lui, prima di lasciare Firenze.-

Will inarca un sopracciglio, sorpreso:- vuoi lasciare Firenze?-

Hannibal annuisce, mentre i suoi occhi sembrano inseguire un pensiero ribelle, un ricordo lontano:- ho scelto Firenze per lenire il dolore della nostra separazione, per curare le mie ferite, mentre attendevo di comprendere se fossi riuscito ad escluderti dai miei pensieri. E se tu fossi riuscito ad escludere me. Stanotte, tutto è cambiato. Siamo arrivati alla fine di un percorso, abbiamo scoperto cosa si cela alla fine della strada che abbiamo iniziato quando la tazza è andata di nuovo in frantumi.-

- Pensavo che fosse quella, la fine della strada.-

- Un'esistenza umana è un continuo susseguirsi di strade. E mentre una finiva nel sangue, un'altra vi nasceva.-

Will scuote la testa poi, senza pensarci, sfiora la cicatrice che gli solca l'addome:- tutte le strade che percorriamo insieme sono destinate a finire nel sangue?- dice, ma la sua frase suona come una domanda.

Hannibal gli tende una mano e Will l'accetta, esitante, allargando le dita sul palmo di lui. Ha le mani tiepide, i muscoli che guizzano sotto la pelle, sotto la trama iridescente delle vene.

- Questa non è finita solo nel sangue.- mormora, posando un bacio sul piccolo taglio, lasciato dal coltello sulla mano di Will. Will socchiude gli occhi. Sotto le sue palpebre, il cervo nero lo sta guardando, ma per una volta i suoi occhi hanno un'espressione mansueta, che potrebbe quasi sembrare dolce.

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Capitolo 5
*** 5. ***


L'oscurità nel mio cuore cap5

(...)


La mattina seguente, un suadente profumo di caffé s'infila nella camera di Will.

Lui si agita, fra le lenzuola, mentre la coscienza bussa alle porte della sua mente.

Ci mette qualche minuto per ricomporsi – per ricordare dove si trovi, perché e, soprattutto, con chi – e quando alla fine ce la fa viene colpito da un altro pensiero. Chi diavolo sta preparando il caffé?, si domanda, sentendo un filo di panico stringersi ai suoi polmoni.

Balza in piedi ed esce dalla stanza. Ora al profumo si è unita una leggera musica, fischiata fra le labbra da qualcuno che evidentemente non si dà pena di nascondere la propria presenza.

Una volta arrivato alla cucina, Will si appiattisce contro il muro, in ascolto. Sventuratamente, oltre alla distratta melodia, non c'è un granché da origliare. Dopo il fischio della caffettiera c'è il lieve crepitare del fuoco, sotto la padella, e, oltre il rumore dell'acqua che bolle.

Will prende un respiro profondo e si sporge, per sbirciare oltre la porta. I suoi occhi incrociano una sagoma snella, dritta come un fuso, nera come un presentimento.

Oh.

-Giusto in tempo, signor Graham.- Corvina Marchesi nemmeno alza lo sguardo dalle tazze, dove sta versando il caffé, scuro e fumante – vuole del latte o lo preferisce nero?-

- Nero… grazie.-

Will sbatte le palpebre, confuso da quello che sta vedendo. Per un attimo, si domanda se l'encefalite non sia tornata, se non abbia perso di nuovo la cognizione del tempo e, con essa, anche qualche passaggio fondamentale. Eppure accetta la tazza fumante che Corvina gli mette fra le mani e beve un sorso di caffé.

Non si dicono altro e, dopo qualche minuto, Will accetta di analizzarla.

Decide di assecondare il desiderio di sondarla, di frugare fra i suoi pensieri, di cogliere le sfumature nascoste di quella donna che ieri aveva tanta fretta di giudicarlo. Della donna che ha condiviso con Hannibal qualcosa che lui non sa, qualcosa di contorto e morboso ma qualcosa nondimeno.

Socchiude appena gli occhi, mentre Corvina riempie d'acqua il bollitore e si sceglie una tazza dalla credenza.

Lentamente, la scompone in frammenti, in schegge. La riduce alla somma delle sue parti, permettendo ai suoi pensieri di riecheggiare nella propria scatola cranica.

Bambina taciturna ma non malinconica, introversa ma non solitaria. Cresciuta da un uomo che non è suo padre ma che ha comunque tentato di trasmetterle amore. Amore in una forma fredda, scostante, piena di tagli, di spigoli nascosti.

La guarda prendere una bustina di the ed immergerla nell'acqua bollente.

Poi, studentessa modello. Drasticamente pragmatica, asettica. Una giovane che non cerca amici, ma che accetta di buon grado di dover dividere la sua vita con altri esseri umani. L'uomo è scomparso dalla sua vita, ma le ha lasciato qualcosa. Un'idea distorta di cosa voglia dire amare ed essere amati.

E' con la scuola di medicina, che cambia tutto, che quel qualcosa viene alla luce. Troppa libertà, troppe potenzialità, troppa fatica a conciliare i fastidi e le restrizioni del passato con l'assenza di limiti del presente. L'ebbrezza di tenere un cuore umano fra le dita. La ricerca di un luogo quieto, dove nascondersi a sé stessa, dove poter ritrovare la lucidità per pensare.

Ed è nell'obitorio dell'ospedale che, inaspettatamente, come una folgore dal cielo, gli insegnamenti dell'uomo che non è suo padre acquisiscono improvvisamente senso.

L'amore e la morte dovrebbero stare ben separati.

- Sembra assorto, signor Graham. Qualcosa la turba?-

Corvina sorseggia lentamente il the; volute di fumo candido offuscano il suo sguardo.

- Non pensavo di rivederla così presto.- ammette Will, e non è una menzogna

- Il dottor Lecter tende a perdonare le mie intemperanze.- prende un altro sorso – e, ad ogni modo, ho un compito da portare a termine. Scomparire nel nulla non è facile come sembra. E noi non… non ci aspettavamo di riceverla così presto, signor Graham.-

- Però vi aspettavate che arrivassi?-

Corvina si stringe nelle spalle:- non è mio compito fare previsioni.- dice, picchettando con le dita sulla porcellana candida della tazza – né trinciare giudizi su cose che, evidentemente, sono più grandi di me.-

- Una discepola modello.- commenta Will, senza riuscire a trattenersi – quanti anni aveva, quando vi siete conosciuti?-

- Potrei darle una cifra, ma la verità è che mi sembra di conoscerlo da tutta la vita.-

- E tutto questo tempo non le ha lasciato nessuna cicatrice?-

Corvina inclina la testa, riflettendo. Will le fissa lo zigomo, restio a spingersi oltre, a guardarla in quegli occhi di vetro. Vetro che acceca alcuni e che è perfettamente trasparente per altri.

- Erano cicatrici leggere – intuisce, mentre lei ancora tace – si sono riassorbite in fretta. L'unica veramente profonda è stata la prima, ma, come dice lei, è passato troppo tempo perché sia ancora visibile.-

Corvina beve l'ultimo sorso di the, poi lascia la tazza nell'acquaio e si appoggia al bancone: -Come mai tanto interesse, signor Graham?-

- La conoscenza ci mantiene vivi.- risponde Will. E che sia dannato se c'è anche un'infinitesimale parte di lui che crede alla spudorata menzogna che è appena uscita dalle sue labbra.

Corvina sorride:- beva il suo caffé, signor Graham.-



I giorni successivi scorrono rapidi e monotoni.

Corvina appare e scompare, assorta e affaccendata. Fa la spesa, porta notizie del mondo, limita i commenti allo stretto necessario, e lo fa con una naturalezza che stupisce Will. E' il cane da salotto che un giorno ha morso il figlio del padrone. E Will sa che dovrebbe sentirsi offeso da quel paragone, però non riesce a trattenere uno strano sollievo, a pensare che Hannibal ha tirato un calcio al suo animale prediletto, per insegnarle a non mostrare i denti.

Non succede altro, fra loro. Will si sente bloccato in un equilibrio cristallizzato e precario. Non sa come procedere, se vuole che qualcosa cambi, e cosa, e in cosa. Non sa cosa vuole, quindi non fa niente, per mutare lo status quo, e aspetta che la realtà reclami il suo tributo e lo faccia al suo posto. E' saggezza o codardia? Prudenza o un'elaborata forma di fuga? Forse la risposta non ha poi così importanza.

A parte la prima notte, Will ha sempre dormito nella propria stanza, e ha finto.

Ha finto tante cose. Ha finto di ignorare la terza porta, in fondo al corridoio, la porta di una camera destinata a rimanere vuota. Ha finto di non sentire la mancanza del corpo di Hannibal contro il proprio, del suo tepore, del suo respiro. Ha finto di non saper interpretare il fatto che non ha mai dormito un sonno più profondo, quasi sereno.

Ad un tratto, il suo cellulare si mette a vibrare.

Will sta combattendo contro un'improbabile caffettiera ed esita un attimo, prima di riconoscere il suono.

Poi rimane fermo, le mani posate sul bancone, ed abbassa lo sguardo sullo schermo. Lo sa prima di leggere il numero. Sa che la realtà ha ritirato la sua tregua.

Il nome "Jack" pulsa sullo schermo.

Will lo osserva. Si aggrappa al bordo del mobile, per restare ancorato alla realtà mentre il flusso dei ricordi lo trascina indietro, alla sua stanza d'ospedale, a Jack che lo fissava dalla poltrona di plastica, con le mani raccolte in grembo e gli occhi vuoti, pieni di rabbia e di confusione.

"Gli hai promesso una resa dei conti" ha sussurrato, quando ancora Will era troppo debole per rispondergli "tu aiutami a trovarlo, ed io ti aiuterò ad abbatterlo"

Si lava la faccia, beve per placare l'improvviso fuoco che gli arde nella gola.

Il cellulare continua a vibrare e Will si sente soffocare. Per un attimo è di nuovo davanti alla grande scelta. Se chiude gli occhi si trova davanti a Jack. Jack pallido ma determinato, che lo studia, cercando cenni di cedimento. Jack che vuole accertarsi che lui sappia da che parte schierarsi. Jack che…

- Will? Qualcosa non va?-

Will trasale, si volta di scatto verso la soglia della porta e, d'istinto, nasconde il cellulare sotto la mano.

Hannibal lo fissa, la testa leggermente inclinata, lo sguardo di chi sa, ma chiederà lo stesso, per educazione. Per tentare di mettere a suo agio qualcuno che a suo agio non è mai stato.

Will prende seriamente in considerazione l'idea di mentirgli. O di sviare il discorso. Di lasciare Jack fuori dalla loro inattesa vacanza, fuori dallo strano equilibrio della loro riconciliazione.

Ma a che varrebbe? Non è che Hannibal non sappia, che Jack non abbandonerà mai la sua caccia.

- Jack mi ha chiamato.- risponde, sollevando il cellulare – non ho risposto.-

- Sarebbe stata una conversazione oltremodo interessante.-

Will incrocia le braccia sul petto, si appoggia al mobile per mascherare la tensione nei suoi muscoli:- pensi che ti consegnerei?-

- Penso che l'ultima volta che hai preferito l'FBI a me, hai finito per rimpiangere la tua scelta.-

Will deglutisce, si volta, ricomincia ad armeggiare con la macchinetta del caffé, per non incrociare lo sguardo di Hannibal. Odia che lui abbia ragione, che sappia con che terribile rimorso abbia dovuto combattere, mentre il suo corpo guariva, e la sua mente già inseguiva le sue tracce, smaniosa di raggiungerlo.

- Non lo farò.- dice, di scatto. Tanto vale giocare a carte scoperte.

Trasale, quando le mani di Hannibal si posano sui suoi fianchi.

- Preferisci che non lo faccia?- gli chiede lui, la sua voce bassa e roca che scivola come una carezza sulla sua pelle – che non ti tocchi?-

Will esita, poi si appoggia indietro, contro il petto di Hannibal.

- Non ti consegnerei mai all'FBI.- ripete. Non sa perché senta il bisogno di ribadire il concetto, di proseguire quella conversazione da cui, se l'esperienza insegna, non può venire nulla di buono.

Hannibal sposta le mani, fino ad incrociarle sullo stomaco di Will, stringendolo delicatamente a sé.

- Perché?- domanda, in un sussurro contro il suo collo.

- L'FBI non…- Will chiude gli occhi, sentendosi sommerso da alterne ondate di calore e di vergogna -… non ti merita. Se tutto questo terminerà, spetterà a me scrivere la parola fine.-

- Perché?-

- Perché mi appartieni. Perché apparteniamo uno all'altro e nessuno, nemmeno Jack, ha il diritto di mettersi in mezzo.-

Will s'irrigidisce. Dio, suona romantico. Suona romantico anche se è esattamente l'opposto, anche se è una promessa di mutua distruzione, una promessa d'inferno per quando la loro delicata alleanza avrà bruscamente termine. Perché Will sa, sa che non può durare.

- Se finirà, non finirà con l'FBI.- ripete, spingendo via quei pensieri invadenti.

- Mi sembra legittimo.- sussurra Hannibal, e poi gli posa le labbra sul collo e rimane fermo, in attesa.

- Sì.- mormora Will. Non è solo un cenno d'assenso, è un esplicito permesso. E' la risposta alla domanda sottointesa, è un altro muro che viene abbattuto.

Sente le labbra di Hannibal rilassarsi in un sorriso. Le sente sulla propria pelle e sente la lieve pressione dei suoi denti sul collo, quando Hannibal lo bacia. E' un bacio leggero – qualcuno direbbe insicuro -, un bacio che vuole offrirgli il tempo di riflettere e la possibilità di ritirarsi.

Will chiude gli occhi e Hannibal lo bacia di nuovo. Gli sfiora con le labbra le vertebre cervicali, una dopo l'altra, dalla schiena all'attaccatura dei capelli e, ad ogni tocco, Will si sente un po' più lontano dal mondo, un po' più accaldato ed intontito. Un po' meno colpevole del piacere che prova.

- Dillo di nuovo.- mormora Hannibal, parlando direttamente sulla sua pelle – per favore.-

Will non ha bisogno di chiedere cosa. Lascia cadere indietro la testa, offrendo ad Hannibal la gola. Lui gli posa un bacio sulla giugulare, socchiudendo gli occhi mentre assapora la sua carne, il ritmo del suo cuore.

- Tu mi appartieni. Noi ci apparteniamo.- ripete Will e uno sbuffo d'aria forza le labbra di Hannibal, e suona quasi come un gemito.



Prima di arrendersi, Jack tenta una seconda chiamata.

Will gl'invia un messaggio: "calma piatta e batteria scarica", poi spegne il cellulare.

Non può essere un agente dell'FBI, ora. Non sa se vorrà mai esserlo di nuovo.

Quando riesce a mettere a tacere i suoi pensieri, si rende conto di voler rimanere in quel limbo per sempre. Svegliarsi e preparare la colazione, passare la giornata lontano dal mondo reale – lontano da cadaveri, turbe psichiche, menzogne, deliri e carne in putrefazione – e poi…

- Mi aiuteresti a preparare il pranzo?-

Will alza di scatto lo sguardo: Hannibal è di fronte alla credenza, con in mano un tagliere di legno ed un lungo coltello e le maniche della camicia arrotolate fino al gomito.

- Sì.- risponde Will, prima di pensarci. Prima che il raziocinio possa rovinare tutto.

L'ultima volta che ha cucinato con Hannibal, si stava preparando a consegnarlo all'FBI. L'ultima volta che ha tagliato le verdure, l'ha fatto col cuore gonfio di qualcosa a cui non sapeva dare un nome.

Si lava le mani, fuggendo dai propri ricordi.

- Corvina dice che mi stavi aspettando.- dice, per rompere il silenzio.

Hannibal inclina la testa, posa le carote sul tagliere e tende il coltello a Will:- se puoi crederci, c'era una scommessa in ballo.-

Will trattiene una lieve risata:- suona così infantile.-

- Un modo come un altro per ingannare l'attesa.- Hannibal inarca un sopracciglio – più sottili, le carote.-

- Non sono in grado, di tagliarle più sottili di così.- protesta Will, mentre quella risata traditrice ancora gli rimbalza nella gola.

- Non sottovalutare le tue capacità.-

Will storce la bocca:- e tu non sopravvalutare le mie diottrie.- replica, e, in quell'attimo, la risata gli forza le labbra. Riecheggia per un attimo nel piccolo cucinino, e Hannibal socchiude gli occhi, come per imprimersi quel suono nella memoria.

- Se puoi crederci…- sussurra, posandogli una mano in mezzo alla schiena -… ho sentito la tua mancanza. Ogni giorno.-

Will molla il coltello e si volta. Hannibal si appoggia al mobile, le braccia che sfiorano i fianchi di Will.

- Non so se la nostalgia esiste, nel tuo mondo. Non so se ha lo stesso significato che ha nel mio. Non…- abbassa lo sguardo, irrigidendosi quando sente il respiro di Hannibal infrangersi contro la propria guancia -… per quanto mi sforzi, io non riesco a leggerti. Riesco a capirti come assassino, ma non come persona.-

Hannibal solleva una mano, per sfiorargli le labbra:- stai mentendo per omissione?- chiede, dolcemente.

Will annuisce.

La verità è che ha paura che non ci sia una persona, oltre l'assassino. Che non riesca a capirlo perché non c'è niente da capire, perché esiste solo lo Squartatore di Cheesapeak ed Hannibal non è altro che una menzogna. L'ombra di qualcuno che è esistito e che, a un certo punto della strada, è scomparso.

Hannibal allarga le dita sulla sua guancia, attirandolo delicatamente verso di sé:- imparerai.- promette

- E se… se non ci fosse nient'altro da imparare?-

Un'ombra fugace oscura i lineamenti di Hannibal:- quando verrà il momento, giudicherai.- sussurra, e Will lo bacia.

Prima che il suo cervello possa registrarlo, le sue labbra sono su quelle di lui, le sue dita s'infilano fra i suoi capelli. Respirano la stessa aria, i loro cuori battono allo stesso ritmo.

Will chiude gli occhi, prima di piegarsi in avanti, per pretendere un altro bacio.

Nel bene o nel male, così ha detto Abigail, sta a te la scelta.

Hannibal gli succhia dolcemente il labbra inferiore, per poi infliggergli un leggero morso. Will ingoia un gemito, mentre il senso d'appartenenza lo sommerge.

Gli torna alla mente la loro ultima cena. La notte in cui Hannibal ha servito l'agnello. Il modo in cui lo guardava, gli parlava, la reverenza con cui aveva sfiorato la sua mano. L'invisibile sorriso quando descriveva il loro futuro. Achille e Patroclo, dopo la morte di tutti gli Achei.

- Avrei voluto fuggire con te.- confessa.

Hannibal lo bacia con più forza e, per un attimo, Will pensa che non aggiungerà altro, che non commenterà, che la sua unica risposta sarà quel bacio, che brucia come fuoco.

Poi Hannibal appoggia la testa sulla sua spalla, respirando contro la sua pelle:- l'avrei voluto anch'io.- ansima

Will gli accarezza la schiena:- stavolta lo farò- sussurra – stavolta fuggirò assieme a te.-

Hannibal preme la fronte contro la sua scapola e rimane in silenzio.


Will sta lavando i piatti, quando Corvina gira le chiavi nella toppa ed entra.

La donna si ferma sulla soglia della cucina, poi appoggia sul tavolo una busta di carta.

- Hannibal sta riposando.- la informa Will, anche se non ha voglia di fare conversazione. Ha tante cose a cui pensare, tanti sentimenti da metabolizzare, considerazioni da ponderare, conclusioni da trarre. Un sapore sulle labbra che non vuole andare via.

- Meno male.- commenta Corvina, ed estrae dalla busta un involucro di plastica.

Per un attimo, la sorpresa scaccia ogni altra sensazione dalla mente di Will:- mangi da McDonald?- chiede, incredulo.

Corvina inarca un sopracciglio:- quando la situazione lo richiede.- risponde, senza rispondere.

Will ride, poi apre il frigorifero:- una birra?- chiede

Corvina si accomoda su una sedia dallo schienale alto:- a tutto c'è un limite, signor Graham.- declina, prima di pescare dal sacchetto un grosso bicchiere di carta

- Coca-cola batte birra artigianale?- scherza Will

Corvina lascia andare uno sbuffo, attraverso il naso leggermente aquilino:- è the.- replica

- Ok – si corregge lui, prendendo un apribottiglie dal cassetto – the industriale iperzuccherato batte birra artigianale?-

Corvina gli tende il sacchetto delle patatine fritte:- che rimanga fra noi.-

Mangia in silenzio, leccandosi le dita quando ha finito e Will l'osserva, e gli viene da ridere.






- I Quattro Campanelli della Giullaressa


Primo: con la dovuta calma, questa storia prosegue! Contro tutte le mie brave scalette, ho deciso di trasformarla in una long (e tanti cari saluti ai tre capitoli autoconclusivi), spero che la transizione non sarà troppo traumatica o, al contrario, troppo lunga e noiosa. Farò del mio meglio :P

Secondo: mi sono appena accorta che i campanelli dello scorso capitolo si sono persi nella mia maldestra formattazione, quindi, ops, scusatemi! In mia difesa, a parte una montagna di ringraziamenti a tutti coloro che sono giunti fin qui, non c'era nulla di davvero rilevante!

Terzo: buon compleanno a Mads Mikkelsen!

Quarto: oh caspita, sono in ritardo catastrofico, non arriverò mai a lezione in tempo!!


- - Baci!

- Vostra,

Giullaressa

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