L'oscurità nel mio cuore di La_Giullaressa (/viewuser.php?uid=949632)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
L'oscurità nel mio cuore cap1
(Lo
Studiolo, Firenze)
-
Quale crudeltà attira la sua attenzione, signor Dimmond?-
Will
si appiattisce contro il muro, trattenendo il fiato, il respiro che
gli brucia nella trachea.
Passo
dopo passo, con lo spirito di Abigail sulla spalla, ha seguito le
tracce di Hannibal fino a Firenze.
Vorrebbe
godersi lo splendore intramontabile della città, chiudere gli occhi
e sprofondare nel placido sciacquio dell'Arno. Vorrebbe poter obliare
il suo cuore martoriato dal dubbio e la consapevolezza del grave
ufficio che è chiamato ad assolvere. Vorrebbe sparire e portare il
suo odio – e il suo amore – per Hannibal nel vuoto assieme a sé,
fino ad eliminarne ogni brandello dalla faccia del pianeta. Il mondo
è già abbastanza contorto e crudele, anche senza quel sentimento a
gravarlo di un ulteriore fardello.
-
La sua… dottor Fell.-
Will
rilascia il fiato e si sporge oltre il bordo di legno della porta,
magistralmente intarsiata.
Hannibal
è lì, a pochi passi da lui, con addosso un impeccabile completo ed
un papillon che su chiunque altro sarebbe eccessivo, al limite del
ridicolo, ma che sulla sua gola riesce ostinatamente ad essere
perfetto,
l'inevitabile completamento del suo vestiario ricercato.
Sta
parlando con un uomo la cui vista, senza alcun motivo, fa correre un
brivido di gelida ostilità lungo la schiena di Will. Ha l'aria
boriosa,
quell'uomo, e ancora non sa di essere una misera bestiolina che si
sta infilando a testa alta fra le zanne della fiera. Will vorrebbe
provare compassione, per lui, ma la compassione è qualcosa che ha
perduto tanto tempo fa, e che non vorrebbe ritrovare.
-
Non m'illudo sulla moralità
– sta dicendo la bestiolina saccente – se
così fosse, sarei andato alla polizia.-
Will
deglutisce. Ha pensato quasi ininterrottamente a quell'incontro. A
cos'avrebbe detto ad Hannibal, a cosa sarebbe potuto succedere. Ha
previsto decine – forse centinaia
– di variabili, e finivano tutte, inesorabilmente, con la morte di
uno, dell'altro o di entrambi. Ma, dopotutto, la morte non è la fine
di tutto ciò che ha vita? La morte non deve correre, deve solo
attendere.
Eppure
ora, quando solo un passo lo separa da lui, improvvisamente Will ha
la gola secca, ha dimenticato l'articolata perifrasi che ha elaborato
nelle sue notti insonni, vegliato dagli occhi azzurri di Abigail.
Ma
deve agire – ora, prima che gliene manchi il coraggio -, così
oltrepassa la soglia, con un lieve colpo di tosse.
Hannibal
si volta e, per un attimo, Will legge una compiaciuta sorpresa, nei
suoi occhi.
Rimane
immobile.
L'altro
uomo gli rivolge un sorriso falso come Giuda, che maschera il
fastidio per quell'interruzione.
-
Oh – commenta, posandosi una mano sulla gola coperta da una sciarpa
– non pensavo aspettasse compagnia, dottor Fell.-
-
Effettivamente – concede Hannibal – è una visita che non speravo
di ricevere così presto.-
Will
annuisce, per un istante inghiottito dai suoi occhi, dove le ombre
per il tradimento passato si sposano con gli scorci dei diletti
futuri, in un matrimonio che è una lotta e che è, al contempo,
furiosa e piena di bellezza.
-
Trovo sempre un modo per fare visita ad un vecchio amico.- riesce ad
articolare, quando si sente addosso lo sguardo pedante e sospettoso
dello sconosciuto.
Hannibal
inclina la testa e sorride, allargando un braccio:- signor Dimmond,
sono lieto di presentarle Randall Tier. Randall, lui è Anthony
Dimmond. E' un incredibile piacere potervi introdurre uno all'altro
anche se sono convinto che, visto la storia che condividiamo, un
giorno vi sareste comunque incontrati.-
Will
cerca di mascherare l'irritazione – l'imbarazzo
– di essere stato presentato col nome della sua vittima, dell'uomo
che ha ucciso per assecondare i disegni contorti di Hannibal e,
nondimeno, la bestia di oscurità annidata nel proprio cuore. E' un
tentativo futile – mentire
al proprio psichiatra, un'idea destinata senza dubbio al trionfo!-, e
Hannibal se ne accorge, e un barlume di quell'insopportabile sorriso
è di sicuro generato dalla consapevolezza del suo disagio.
-
Signor Tier, che piacere.- si prostra Anthony Dimmond, tendendogli
una mano.
Will
la stringe, senza convinzione. Sente gli occhi di Hannibal divorare
ogni centimetro della sua pelle, studiare ogni minimo mutamento
occorso al suo viso, in quei mesi di distanza. Sente la sua
disapprovazione, per il velo di barba ispida che gli copre le guance,
per la giacca logora, per i capelli incolti, ma anche il suo
desiderio. Di contatto, di condivisione. Di vita e di morte, in un
connubio che solo Hannibal Lecter può concepire e di cui vorrebbe
delegare a Will l'ardita realizzazione.
-
Signor Dimmond – riprende Hannibal – vorrei intrattenermi ancora
con lei, ma Randall ha affrontato un lungo viaggio per farmi visita,
e sarebbe oltremodo maleducato non dedicargli la mia incondizionata
attenzione. Se permette, potremo riprendere la nostra conversazione
in un momento più appropriato.-
Dimmond
s'irrigidisce, contrariato, e sul suo viso da volpe si dipinge
un'espressione confusa. Will può quasi fisicamente percepire
il suo smarrimento.
-
Non… - esita un attimo, poi ritrova la propria sicumera – non
credo che la nostra chiacchierata possa essere interrotta proprio
adesso, dottor Fell. Sento che stavamo giungendo ad una…
rivelazione.-
In
altre circostanze, Hannibal potrebbe distruggerlo con una battuta di
congedo ed un'occhiata raggelante, ma ora ogni suo sguardo è per
Will. I suoi occhi sono quelli di un uomo che non ha mai visto nulla
di tanto bello nella sua intera esistenza e, per un attimo, Will si
sente travolgere da tanta ammirazione. Perde la presa sulla realtà,
su tutte le sue convinzioni ed i suoi dubbi, su tutte le crepe dei
suoi pensieri, le contraddizioni dei suoi desideri. Si lascia
cullare,
da quello sguardo, mentre la faina con la sciarpa pigola qualcosa che
potrebbe suonare come una protesta.
-
La prego, signor Dimmond.- riprende Hannibal, in un tono che sposa
perfettamente cortesia ed intransigenza – sono certo che avremo
presto un'occasione più propizia per analizzare la sua rivelazione.-
Will
socchiude gli occhi e, nel buio, la sua mente proietta immagini di
sangue e di poesia.
Dimmond
esita ancora per qualche secondo poi batte in ritirata, con la coda
fra le gambe, borbottando un saluto sbrigativo. I suoi passi
riecheggiano per le stanze vuote del palazzo fino a smorzarsi e
scomparire.
-
Spero di non aver interrotto nulla di importante –
Hannibal
inarca un sopracciglio:- spesso ho considerato questi mesi come
un'interminabile interruzione nel nostro rapporto. In questa
prospettiva, il tuo arrivo ha fatto ripartire l'orologio.-
Will
scuote la testa. Il suo sguardo si ferma sulla mascella di Hannibal,
prima di essere inesorabilmente attratto dai suoi occhi. Sono sempre
gli stessi, scuri ed indecifrabili, eppure da qualche parte,
nell'oscurità, Will riesce ad intravedere un'eco dell'ultima,
devastata espressione che gli ha rivolto, prima di lasciarlo a
sanguinare sul pavimento della cucina.
-
Sono felice che tu mi abbia trovato, Will. E, certo, non potevi
scegliere una cornice migliore.-
Un
sorriso involontario distende le labbra di Will, quando ribatte:- non
ho avuto molto tempo per dedicarmi al turismo.-
-
Peccato.- Hannibal muove un passo, verso una grande finestra, che si
affaccia sulla piazza – Firenze è, senza tema di smentite, uno dei
luoghi più eccezionali mai plasmati dall'ingegno umano. Altre città
sono state edificate con pietra e legno, ma la bellezza di Firenze
non le viene solo dall'architettura, ma dall'arte, dalla poesie,
dall'intelletto di chi ha calpestato le sue vie – un sospiro sembra
fuggire dalle sue labbra – avrei voluto mostrartene ogni angolo,
Will. A te e ad Abigail.-
-
Lo so – mormora Will, appoggiandosi al davanzale
-
Puoi perdonarmi, per averci tolto nostra figlia?-
Will
sente una stretta al cuore, mentre i ricordi lo trascinano indietro,
a quella notte, a tutto quel sangue, allo sguardo di paura e di
dolore negli occhi di Abigail. A quella stessa domanda, rimasta
sospesa nell'aria, densa di disperazione.
-
Non lo so – sussurra, quando sente la mano di Hannibal posarsi
sulla propria spalla – il rancore per la sua morte è l'unica cosa
che mi rimane di lei.-
Hannibal
annuisce, gravemente. Il suo respiro caldo sfiora la nuca di Will,
come una carezza.
-
Se ti chiedessi perché sei qui, potrei sperare in una risposta
sincera?-
Will
fa una smorfia, simile ad un amaro sorriso:- non sono bravo a
mentirti, dottor Lecter.-
-
Vuoi che non te lo chieda?-
-
Mi sentivo soffocare – risponde Will, ed è liberatorio poterlo
finalmente dire a qualcuno – non so se se per la nostalgia, o
perché ti sapevo libero di portare indisturbato la tua crudeltà in
un altro continente.-
-
E ora respiri? – gli chiede Hannibal, in un sussurro sul suo collo
Will
si volta, fronteggia i suoi occhi, le labbra dischiuse, il sorriso
che rivela un canino acuminato. La sua pelle, lo scorcio di gola
lasciato scoperto dal colletto della camicia.
-
Sì – ansima, appoggiando una mano sul suo fianco.
Lui
gli sfiora la guancia con le dita e, per un istante, Will si chiede
se sia una coincidenza o una profezia, che lo stia accarezzando come
nel loro lungo, sanguinoso addio.
-
Mio splendido Will.- pronuncia Hannibal, in un roco sussurro,
assaporando il suono del suo nome.
Will
chiude gli occhi, sopraffatto dalla devozione nella sua voce e dalla
consapevolezza che lui sa.
Che, come sempre, Hannibal ha superato il corso dei suoi pensieri, ha
letto le sue intenzioni prima che lui le accettasse. Sente una
seconda, più definitiva stretta al cuore quando realizza che lui sa
e che glielo lascerà fare,
gli permetterà di decidere il fato di entrambi (è
inevitabile, a tal punto i loro destini sono intrecciati, in un nodo
inestricabile. E sanguinano, ogni volta che tentano di scioglierlo.)
-
Non so se posso vivere, senza di te.- sussurra, ormai sulle labbra di
Hannibal
Lui
annuisce:- ma hai decretato che è tempo di scoprirlo –
Lo
bacia nell'attimo esatto in cui Will estrae il coltello e glielo
conficca nello stomaco.
I
loro respiri s'intrecciano, mentre la lama affonda nella carne di
Hannibal ed un gemito di dolore rimane intrappolato fra le loro
labbra.
-
I Tre Campanelli della Giullaressa
Primo:
Dio, è passata una vita dall'ultima volta che ho condiviso qualcosa
su EFP! Mi sento vecchia ed arrugginita (e anche la mia conoscenza
dell'html zoppicava alquanto, ma, ehy, è come andare in bicicletta,
no?), ma soprattutto in colpa perché, con tre giorni per preparare
un esame, non riesco a pensare ad altro che ad Hannibal (e a Will.
Possibilmente uno sopra all'altro, che Dio li benedica).
Secondo:
nota tecnico-burocratica (non proprio, ma il termine "burocratico"
mi mette di buonumore): se riesco a seguire i miei programmi, la
storia avrà tre capitoli. Ma non garantisco, ho un pessimo rapporto
con l'autoregolamentazione. Ad ogni modo, la storia comincia durante
Antipasto
(Capitan Ovvio mode: on)
Terzo:
e… niente. Siate buoni. O cattivi. O come preferite (ma sempre
shippando Hannigram)
---
Grazie per essere giunti fin qui!
--
Baci!
-
Vostra,
Giullaressa
|
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Capitolo 2 *** 2. ***
L'oscurità nel mio cuore cap2
(...)
Hannibal
esala un lungo sospiro, e Will preme il corpo contro il suo, per
sostenerlo ed accompagnarlo dolcemente a terra, ai piedi di un antico
archivio di legno decorato.
Non è
la prima volta, che lo vede ferito. La sua umanità non è un
segreto, eppure per Will è tragico e inebriante, sentire il calore
del suo sangue che gli impregna la camicia. Potrebbe perdersi in quel
tepore, in quell'abbraccio mortale, nel modo in cui il respiro
spezzato di Hannibal gli ha accarezzato le labbra.
Potrebbe
perdersi nel modo in cui l'ha baciato.
-
Appropriato.- la voce roca di Hannibal lo riscuote dal torpore –
hai perfezionato il modo maldestro in cui io ho tentato di rescindere
il nostro legame. Sono curioso, Will, mi guarderai morire o te ne
andrai, voltandomi le spalle mentre mi dissanguo lentamente?-
Will
chiude gli occhi, tentando di arginare la tempesta che infuria nel
suo petto. Pensava di volerlo. Di volere la morte di Hannibal con la
rassegnata disperazione di chi è disposto a menomarsi, pur di avere
una chance di sopravvivenza. Sopravvivenza. Alla fine
tutto si riduce all'attaccamento alla vita, ad una respirazione
meccanica, ad un'esistenza priva di dilemmi. Desolatamente vuota.
Si
appoggia al mobile e, facendo scivolare la schiena sul legno
intarsiato, si siede accanto ad Hannibal.
- Non
potrei mai andarmene.- sussurra, voltandosi verso di lui.
Hannibal
stringe le labbra. Solleva una mano, viscida di sangue, e la posa
sulla gamba di Will.
-
L'hai fatto per te stesso, o per Abigail?- domanda, voltandosi per
guardarlo negli occhi.
- Per
entrambi.-
Lo
spettro di un sorriso distende le labbra di Hannibal:- per
aggrapparti ad un passato che non tornerà.- lo corregge, ma non c'è
biasimo, nella sua voce – accetto la vendetta, ma trovo
intollerabile l'idea che la mia morte ti trasformi di nuovo
nell'inerte burattino di Jack. Nella sua tazza di porcellana.-
- Non
succederà.-
Per
un attimo, Hannibal aumenta la stretta sulla coscia di Will, poi la
sua presa torna ad indebolirsi, le sue dita tremano:- quando la
crisalide è chiusa – fa una pausa, tirando faticosamente il fiato
– il bruco può diventare una farfalla o morire nel bozzolo. Non
può tornare bruco.-
Will
abbassa lo sguardo, combattendo contro il desiderio di prendere la
mano di Hannibal nella propria – lo so.- sussurra – perché non
hai cercato di difenderti?-
- Se
serve il mio sangue per completare la tua trasformazione, lo verso di
buon grado.- solleva la mano, fino a sfiorare la guancia di Will –
il tuo futuro giace ben al di là del mio controllo.-
- In
questo momento, anche il tuo.-
Hannibal
emette un gorgoglio, che suona come una risata:- mio crudele, confuso
ragazzo.- gli dice, dolcemente. Fa scivolare le dita sulla sua
guancia, lasciandogli una lunga traccia insanguinata – come ti sei
sentito, a restituirmi questa ferita?-
Will
abbassa lo sguardo e, prima che se ne accorga, la sua mano si muove,
per posarsi su quella di Hannibal, per protrarre quel contatto. Lo fa
impazzire l'idea di non sentire più il tocco fermo e delicato di
quelle dita.
- Era
la cosa giusta.- mormora, ma nell'istante in cui le sente, si rende
conto di quanto le sue parole suonino vuote, prive di significato –
il mondo merita che tu muoia, e che io soffochi nella mia crisalide.-
-
Rintanarsi dietro agli interessi del mondo è pura codardia, Will. Il
mondo è un'entità astratta, lontana, è la somma di miliardi di
esistenze. Il mondo è un mero concetto teorico. Non nasconderti,
Will. Non da me.-
Will
intreccia le dita a quelle di Hannibal e, con delicatezza, si porta
la mano dell'uomo alle labbra. La sua pelle sa di sangue, di metallo
e di sudore freddo. E, da qualche parte, dietro al pesante afrore
della morte, c'è una sorta di profumo, una sinfonia che Will non
riesce a riconoscere.
-
Uccidermi forse era la cosa giusta… – mormora Hannibal,
nascondendo a fatica un gemito di dolore.
Will
gli posa un bacio, sulle nocche, e completa:-… ma non mi ha fatto
sentire bene.-
-
Come ti ha fatto sentire?-
Will
preme la fronte sulla mano di Hannibal, serrando con forza le
palpebre:- suicida.- risponde, in un soffio – mi ha
fatto sentire di nuovo solo, sul fondo dell'abisso.-
Le
labbra esangui di Hannibal si incurvano di nuovo in quel pallido
riflesso d'un sorriso:- Esci dall'abisso, Will. Esci dall'abisso,
spezza la crisalide e ridurremo Troia in cenere.-
Will
scuote la testa:- sembri preoccuparti più per il mio futuro che per
la tua vita.-
- La
morte non mi spaventa. Mi angoscia la tua autodistruzione.-
Will
tace. Sembra che un secolo intero lo separi da quando è arrivato in
Europa, così carico di pensieri, di rimorsi, di prospettive. Da
quando ha vagliato tutte le ipotesi, da quando ha scritto la sentenza
e firmato il destino di entrambi. Il primo giorno a Firenze si è
seduto in un bar e, davanti ad un bicchiere di vino, ha deciso di
uccidere Hannibal (di dover uccidere Hannibal). Si è
rassegnato a lasciar andare la presa sulla realtà, una realtà
destinata a diventare muta e incolore. Ha deciso di seppellire il suo
amore e il suo odio, e poi trascinarsi stancamente per i rimanenti
giorni della sua vita. Attendendo di soffocare nella sua crisalide.
-
Will?- lo richiama Hannibal – a cosa stai pensando?-
Tanti
frammenti di passato si stanno infilando, come aghi, fra i pensieri
di Will, facendogli lacrimare gli occhi.
La
bellezza accecante di non essere solo, nella propria mente.
L'inebriante sensazione di essere una tessera smussata, ma di aver
comunque trovato il mosaico cui era destinata. Destino.
Anche nascondersi dietro al destino è codardia, è un futile
tentativo di mascherare i propri sentimenti.
- Ti
perdono.- dice, di scatto, balzando in piedi.
Si
sente addosso gli occhi di Hannibal, che brillano nella penombra come
schegge di diaspro rosso.
Si
sfila la giacca, con gesti nervosi, febbrili, poi gli s'inginocchia
al fianco e preme con forza la stoffa sulla sua ferita:- non morire.-
sussurra, a malapena consapevole delle parole che gli escono dalla
bocca.
Hannibal
annuisce. Sembra esausto eppure ancora perfettamente padrone della
situazione.
Per
un attimo Will si domanda se non abbia previsto quell'epilogo sin
dall'inizio, sin da quando ha deciso di rimanere solo, con lui, fra
le pareti di Palazzo Capponi. Se non abbia giocato con lui, la sua
stessa vita come posta.
E più
il tempo passa –mentre il piano di sicurezza di
Hannibal è sulla sua via per soccorrerli-, più Will se ne convince:
che sia stata la più crudele e la più spettacolare delle scommesse.
Eppure, non si sente manipolato, né oltraggiato. Sa che dovrebbe, ma
non ci riesce. Perché, gioco o non gioco, azzardo o dannata sicumera
o meno, Hannibal si è lasciato pugnalare. Ha messo la
propria vita nelle sue mani, senza alcuna garanzia, nonostante i
tumultuosi fiumi di sangue che li hanno separati. Nonostante l'ultima
volta che si sono incontrati, Will sia stato a tanto così dal
consegnarlo all'FBI.
"Io
ti perdono, Will": così ha detto, in quella notte crudele,
e, a quanto pare, era sincero. Era disposto a fidarsi di nuovo,
proprio lui, che non si è mai fidato di nessuno, che non appoggia la
sua maschera nemmeno quando dorme, o quando fa l'amore. Will
socchiude gli occhi e, di nuovo, il sapore di quell'unico, sanguinoso
bacio l'assale. Risente le labbra di Hannibal sulle proprie, il suo
respiro tiepido, lo sbuffo più intenso, quando l'ha accoltellato. Si
posa una mano sul petto, in un futile tentativo di calmare il suo
cuore. Cristo, galoppa. Galoppa come non ha alcun diritto di fare.
Si
appoggia indietro, a quel monumentale e assolutamente superfluo
archivio di quercia, ed un involontario sospiro gli forza le labbra,
fuoriuscendo in un sibilo.
Hannibal
socchiude gli occhi, guardandolo da sotto le ciglia:- Will? A cosa
stai pensando?-
Will
si stringe nelle spalle:- non so nemmeno da dove iniziare a
capire i miei pensieri.- sbuffa
Ma,
soprattutto, non gli piace dove potrebbero condurlo. In cosa potrebbe
trasformarsi, se ammettesse che ora, mentre le sue stesse mani
lottano per salvare la vita di un serial killer, che ora si sente
meglio di quanto si sia sentito negli ultimi mesi. Che
quell'inopportuno batticuore è il dannato benvenuto, perché è la
prima cosa veramente sincera dal dolore per la morte di Abigail, dal
lutto per quello che avrebbe potuto esserci, e non ha mai avuto la
possibilità di venire alla luce. Per lei e per lui. Per loro,
per tutti e tre.
- La
tua amica se la sta prendendo comoda.- commenta, nervosamente.
- Non
preoccuparti, Will – di nuovo, l'ombra di un sorriso si adagia
sulle labbra di Hannibal - tu fra tutti dovresti essere consapevole
di quanto disperatamente il corpo umano sappia aggrapparsi alla
vita.-
-
Dov'era il tuo istinto di sopravvivenza, quando hai visto il coltello
e, invece che lottare per la tua vita, hai deciso di baciarmi?-
-
L'istinto di sopravvivenza è ciò che ha consentito ai nostri
antenati di riprodursi e di evolversi. L'umanità si è fatta strada
fino all'era moderna e si è meritata il diritto di prendere
liberamente le proprie scelte.-
-
Tutto molto razionale – geme Will, e si sorprende di quanto
disperata suoni la sua voce – ma perché?-
Hannibal
solleva le dita, per posarle delicatamente sulla guancia di Will,
sulla scia ormai secca del suo stesso sangue:- perché te lo dovevo.
– risponde, come se fosse di un'ovvietà disarmante – perché non
può esserci perdono, senza equilibrio.-
Will
stringe le labbra:- che senso ha ottenere il mio perdono, e morire
nel tentativo?- sbotta e, quasi senza accorgersene, aumenta la
pressione sulla medicazione improvvisata. Sotto il sangue, ha le dita
bianche come cera: è un contrasto che lo disturba e, al contempo, lo
ammalia. Non può credere di esserne l'artefice. Non può credere di
essere arrivato a tanto e, soprattutto, non può credere di aver
fatto così repentinamente marcia indietro (se riuscisse a mettere
ordine fra i suoi pensieri, forse troverebbe persino il posto per una
fitta d'imbarazzo, per la vergogna di non essere riuscito a portare a
termine il suo sanguinario proposito).
Hannibal
è rimasto in silenzio, e quell'ultima domanda ancora aleggia fra
loro, in attesa.
-
Ehy.- lo richiama Will – rimani con me. Parlami.-
Hannibal
leva gli occhi al cielo, ma gli angoli della sua bocca sono ancora
incurvati, in quel pallido, elegante sorriso:- per quanto toccante
sia la tua preoccupazione, so gestire un'emorragia, Will. Inoltre,
sei stato di mano mirabilmente leggera.-
Will
fa una smorfia, ma non ribatte. "Di mano leggera".
Suona come l'eufemismo del secolo. La verità è che la resa dei
conti non è stata nemmeno lontanamente vicina a quella che si era
figurato, nella sua mente, nell'insana e febbricitante veglia di quei
mesi. Ha immaginato il definitivo scontro fra titani, la furia della
tempesta chiusa in una stanza. Pensava di fronteggiare la bestia, in
una lotta fatta di artigli, e fuoco, e rabbia ferina, e denti, ed
arti lacerati e membra divelte e ossa spezzate. Si aspettava la
guerra, e invece ha avuto un bacio.
-
Perché mi hai baciato?- domanda, a malapena consapevole di aver
abbassato il tono della voce.
Hannibal
gli poggia le dita sotto il mento e, delicatamente, avvicina il suo
viso al proprio.
- Ti
ha turbato?- sussurra
E
Will vorrebbe rispondere che sì, dannazione, ovvio che
l'ha turbato. Vorrebbe dirgli tutto e il contrario di tutto, vorrebbe
dirgli che lo odia e che lo ama, e che ha scoperto che no, non può
vivere senza di lui, ma che questo non significa che vuole che vivano
per sempre felici e contenti. Vorrebbe dirgli che si pente ogni
giorno della prima volta che l'ha guardato negli occhi, e che, al
contempo, quel ricordo l'ha mantenuto sano di mente in quei mesi di
straziante separazione. Vorrebbe dirgli ogni cosa, e poi chiedergli
cosa ne pensa, chiedergli di aiutarlo a mettere ordine in quella
babele di pensieri e sentimenti, come solo lui può fare, ma proprio
in quell'attimo una porta si apre, sbattendo, ed un nervoso
ticchettio di tacchi riecheggia nei corridoi non più deserti di
Palazzo Capponi.
- Sta
arrivando la cavalleria.- intuisce Will. Solo uno sbuffo d'aria
separa le sue labbra da quelle di Hannibal, e Will considera
seriamente l'idea di colmare quel vuoto, e di sentirsi di nuovo
travolgere da qualunque cosa provi per lui, ma poi l'abbandona –
dimmi cosa devo fare.-
Hannibal
non si volta, restio ad interrompere quel contatto:- non
preoccuparti, Will – ripete, e ha uno strano tepore, nella voce –
va bene così.-
-
I Due Campanelli della Giullaressa
Primo:
eh, non si può dire che i miei aggiornamenti non si prendano i loro
tempi, eh? Ad ogni modo, questa seconda parte ha avuto una lunga
gestazione (fra vacanze, cambi di idee – non solo Will cambia idea
ad ogni spirar di vento-, imprecazioni in lingue morte e i miei dubbi
atroci sulle risultanze di tutto ciò) ma alla fine ho rinunciato al
mio complesso della riscrittura isterica e quindi eccoci qui. Spero
vi piaccia :)
Secondo:
spero che Will non sembri bipolare. Non completamente bipolare,
almeno
---Grazie
per essere giunti fin qui!
--Baci!
-Vostra,
Giullaressa
|
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Capitolo 3 *** 3. ***
l'oscurità nel mio cuore cap3
(...)
Il
piano di sicurezza di Hannibal è una donna dai capelli neri,
meticolosamente raccolti in una crocchia talmente stretta che deve
causare un dolore fisico. Un volto dai lineamenti ordinari, senza
macchie, cicatrici, dal trucco sobrio ma persistente, per smussare
gli spigoli e smorzare il candore quasi innaturale della sua
carnagione.
Will
sbatte le palpebre, rapidamente, e si rende conto di starla
analizzando con l'occhio del profiler.
Distoglie
lo sguardo, imbarazzato, come se le avesse fatto un torto, come se
fosse stato in qualche modo irriconoscente. Gli balena in mente il
termine "maleducato",
e un involontario sorriso gli tende le labbra.
La
donna –ha un'età indefinibile e gli occhi azzurri e taglienti come
vetro- si piega sulle ginocchia, accanto ad Hannibal, con un commento
tanto rapido e in un italiano talmente stretto che Will non riesce a
coglierne il significato. Ha imparato la lingua, a grandi linee, ma
qualcosa nell'accento e nel tono di lei sembra invalidare ogni suo
sforzo. Forse lo fa persino apposta, la stronza (e di nuovo, quella
punta di senso di colpa).
-
Corvina, sono lieto di presentarti Will Graham.- dice Hannibal,
mentre la giovane si piega sulla sua ferita, controllando la sommaria
medicazione con uno sbuffo intrappolato fra le labbra - Will, lei è
Corvina Marchesi, una vecchia amica.-
-
E io che credevo te lo fossi inventato.- ribatte lei, senza sollevare
lo sguardo, in un inglese chiaro, nonostante il marcato accento
-
Non essere maleducata, mia cara.-
-
Sarei retorica se chiedessi dov'è l'aggressore?-
La
mano di Hannibal scatta in avanti, le sue dita affondano nel collo
della donna:- sì – risponde, in un basso ringhio, minaccioso senza
ancora essere aggressivo – e ora, sii gentile.-
Corvina
rimane in silenzio, finché le dita di Hannibal non mollano la presa
sulla sua gola, poi solleva il capo e rivolge a Will uno sguardo
conciliante (e probabilmente non molto sincero)
-
Scusi, signor Graham.- dice, aprendo una borsa di cuoio nero, per
estrarre delle garze sterili – è un piacere conoscerla, anche se
in queste inusuali circostanze.-
Will
annuisce: non si sforza nemmeno di trovare una risposta adeguata, le
rivolge solo un distratto cenno del capo. Lei lo coglie, poi torna ad
abbassarsi sul suo lavoro.
Ricomincia
a parlare in quell'italiano affrettato, incomprensibile, in netto
contrasto con la calma e la padronanza di sé che traspare dai suoi
movimenti.
E
Will si sorprende a porsi delle domande, su di lei. Si domanda se ci
sia (o se ci sia stato) qualcosa, fra lei e Hannibal, se lui abbia
giocato con lei, e quando, e fino a che punto si sia spinto, nel
manipolarla. Che cosa, dei suoi gesti e delle sue abitudini, sia
genuino e cosa le sia stato imposto (o donato?).
Com'era Corvina Marchesi, prima che Hannibal entrasse nella sua vita?
E perché – dannazione
– perché Will sente di odiarla, per avergli permesso di entrare
così a fondo nella sua vita?
-
Signor Graham – lo richiama la voce nasale della donna – immagino
che lei sappia guidare.-
Will
tentenna, colto alla sprovvista dalla domanda:- sì.- risponde,
confuso
-
Bene – Corvina affonda una mano nella tasca dei pantaloni,
estraendo una coppia di chiavi – l'auto è parcheggiata qua
davanti. E' una vecchia ford fiesta, nera, senza uno specchietto.-
A
quella precisazione, Hannibal emette uno sbuffo e, per la prima volta
da quand'è arrivata, Corvina si scioglie in un sorriso, prima di
riprendere:- ho impostato la destinazione sul navigatore. Rispetti i
semafori ed i limiti di velocità e andrà tutto bene, si fidi.-
Will
inclina il capo:- e lei?-
-
Io vi raggiungerò dopo aver pulito questo macello.-
-
Possiamo fidarci di lei?-
Hannibal
si appoggia allo schienale del sedile, con uno sbuffo:- è una
domanda infelice, Will.-
Will
passa le mani sul volante, esitando ad infilare la chiave
nell'accensione:- è un'abitudine – risponde, distrattamente,
mordendosi il labbro. La sua vita è una sequela infinita di domande
assurde e di risposte crudeli, una parata di spettri e allucinazioni,
interrotta da brevi e incomprensibili momenti di pura felicità.
-
Stai sorridendo.- rileva Hannibal, e Will si deve toccare l'angolo
della bocca, per rendersene conto.
-
Non è vero – nega, poi gira la chiave e l'auto si anima, con un
basso rombo.
Hannibal
si sporge in avanti, per recuperare una boccetta dal portaoggetti:-
devo essermi sbagliato – commenta, e Will sente un altro sorriso
pizzicargli le labbra.
Le
strade di Firenze sono abbastanza trafficate, nonostante l'ora tarda,
ma il tragitto non è molto lungo e presto il navigatore annuncia che
la loro destinazione è dietro l'angolo.
Mentre
aspetta che un semaforo diventi verde, Will si volta verso Hannibal e
non riesce a trattenersi dall'abbassare gli occhi sul suo addome,
dove la ferita è stata medicata e coperta, ma sanguina ancora. E'
appena un filo di sangue, che macchia lentamente le garze sterili.
-
Almeno ha una laurea in medicina?- chiede, cercando di concentrarsi
di nuovo sulla guida.
Hannibal
inarca un sopracciglio:- Corvina?- domanda, genuinamente confuso –
Sì, certo che ce l'ha.-
-
E com'è che si è trovata sulla tua strada?-
Hannibal
storce il naso e prende un lungo sorso dalla boccetta, prima di
rispondere:- posso chiedere il motivo di questo improvviso interesse
nei suoi confronti? E' solo una vecchia amica.-
Will
s'irrigidisce:- stavo solo facendo conversazione.-
Con
un tempismo perfetto, il semaforo diventa verde, e Will pigia
l'acceleratore per percorrere l'ultimo tratto di strada che lo separa
dalla sua meta. Hanno lasciato il centro di Firenze, ormai, e
l'illuminazione si è ridotta, lasciando dilagare il denso buio della
notte. La luna è alta, nel cielo, oltre al finestrino, ma è appena
una sottile falce argentea, nell'immensità del cosmo, più simile ad
una lama, che ad un astro. Le labbra di Will s'incurvano in una
smorfia di amaro sarcasmo: Dio, se è calzante:
sotto che altre stelle poteva compiersi il suo fato?
Con
la coda dell'occhio, vede Hannibal posarsi una mano sulla ferita –
tutto bene?- chiede, prima che l'imbarazzo riesca a fermarlo – come
ti senti?-
-
Meglio di quanto sarebbe legittimo aspettarsi.- ribatte lui, mentre
il riflesso di un sorriso balugina nei suoi occhi, colorando
un'espressione altrimenti imperscrutabile – e tu? Cosa provi?-
Will
parcheggia l'auto, girando il volante con un po' troppa enfasi:-
vorrei tanto saperlo.-
-
La confusione è un buon punto di partenza, Will. Dimmi, cosa ti ha
fatto cambiare idea?-
Will
spegne il motore, poi crolla contro il sedile, gettando indietro la
testa:- tu.-
geme – l'odio accecante che ho provato per me stesso, quando ti ho
accoltellato. E per te, quando non ti sei difeso.-
-
Ti aspettavi una feroce resa dei conti?-
-
Sì.- Will abbassa la testa, armeggiando con la cintura per non
incontrare gli occhi di Hannibal. Ha già perso del tutto il
controllo della sensazione e sa che, se lo guardasse, perderebbe
definitivamente ogni chance di recuperarlo in futuro. Odia amare così
tanto quegli occhi, il modo in cui sembrano scivolare sulla sua
pelle, divorandone ogni centimetro. Il modo in cui vedono
l'invisibile, il contrastato, l'ipotetico. Il Divenire.
-
Mi dispiace aver disatteso le tue aspettative, Will. Ti assicuro che
era l'ultimo dei miei desideri.-
-
Per l'amor del cielo, smettila.-
Will
esce dall'auto, affiancandosi all'altro sportello per aiutare
Hannibal a scendere. Gli passa un braccio attorno ai fianchi, per
sorreggerlo, e non gli sfugge il modo in cui stringe le labbra,
combattendo contro il dolore. Stare in piedi dev'essere una fottuta
agonia.
-
Ce la fai?-
Hannibal
annuisce, in silenzio, e si aggrappa alla sua spalla.
-
Mi odi?- esala, dopo qualche passo, sollevando la testa finché le
sue labbra quasi non sfiorano la guancia di Will
-
Sarebbe tutto più facile, se potessi dare un nome a quello che provo
per te.-
-
L'umanità cercherà sempre di dare un nome all'innominabile.
S'illude che un modo per chiamarlo lo renda più comprensibile.
Controllabile.-
Will
scuote la testa, con uno sbuffo:- pensi che sia ingenuo? Cercare di
controllare quello che provo per te.- domanda, pentendosi quasi
all'istante – quello che proviamo l'uno per l'altro.-
Hannibal
gli stringe dolcemente la spalla:- penso sia estenuante. Per
entrambi.-
Nonostante
la morsa che gli serra la gola, Will non riesce a trattenere un
risolino:- a dir poco.-
Sono
arrivati al portone, ormai, e Will infila la seconda chiave nella
serratura. La casa è un vecchio palazzo, con le finestre murate e le
pareti ricoperte di edera selvatica e vecchi decori stinti. Un tempo
doveva essere un edificio splendido, ma l'incuria e le intemperie
hanno cancellato ogni traccia dei fasti passati. E' un rudere, il
ricordo di un'altra epoca. E nonostante tutto ciò, Will si sente a
casa, come se quel luogo in
agonia fosse stato costruito con la stessa sostanza dei suoi incubi.
Una
volta all'interno, la penombra lo inghiotte, cingendogli le spalle
come una cappa tiepida.
L'atrio
è un polveroso ammasso di mobilio ma nell'angolo svetta una porta di
metallo argenteo, lucida come appena pulita. Qualcuno si è persino
dato la pena di metterci uno zerbino davanti.
-
Inqualificabile.- borbotta Hannibal.
Will
leva gli occhi al cielo poi, con una leggera spinta, spalanca la
porta di metallo.
Il
cambio d'ambiente è inaspettato, lo coglie in contropiede. Oltre la
soglia c'è una casa perfettamente ordinata, quasi asettica. Una
fotocellula intercetta il movimento e quattro fiotti di luce sgorgano
dal soffitto, rischiarando ogni anfratto. Le pareti sono di un tenue
grigio perla, l'arredamento è essenziale, l'unica decorazione è una
stampa della Primavera
di Botticelli, che strappa un sorriso ad Hannibal.
Oltre
quel secondo atrio si snoda un corridoio, con delle porte numerate.
-
Cos'è questo posto?- domanda Will, abbassando la maniglia della
prima
-
E' un rifugio. Un luogo sicuro.- ribatte Hannibal, mentre entrano
nella stanza. E' una camera da letto, spartana, in bianco e nero. La
finestra è murata, ma le tende di seta grigia sembrano nascondere i
mattoni.
-
Pensavo che qui a Firenze ti sentissi al sicuro.-
Hannibal
rilassa impercettibilmente le dita, sulla spalla di Will, finché la
sua stretta non diventa una carezza:- se avessi portato qui te ed
Abigail, avrei voluto essere sempre in grado di prendermi cura di
voi. Avrei mancato orribilmente di lungimiranza, se non mi fossi
preoccupato di un rifugio per le emergenze.-
Will
sente una fitta al petto, e l'ombra di Abigail lo oltrepassa, per
danzare sui muri perlacei. Cerca di vedersi al suo fianco,
d'immaginare il tepore della sua mano nella propria, il peso leggero
delle sue dita. Socchiude gli occhi, inseguendo l'illusione di quella
vita che non conoscerà mai, della vita in cui ha seguito Hannibal la
notte in cui ha servito l'agnello, in cui ha deciso di fuggire con
lui in Europa. In cui, la mattina della partenza, Hannibal ha potuto
mostrargli la sua sorpresa, e fargli riabbracciare Abigail. In cui la
tazza è di nuovo miracolosamente intatta.
Corvina
Marchesi rientra quasi mezz'ora dopo. Ha le maniche della camicia
arrotolate sui gomiti ed una ciocca di capelli che le scivola fuori
dalla crocchia, ma per il resto è impeccabile. Una statua di cera.
Entra
nella stanza, controlla la ferita di Hannibal, poi annuisce e
recupera la borsa di cuoio. Il tutto senza dire una parola. Will è a
tanto così dal chiedere qualcosa (qualunque cosa), quando Hannibal
rompe il silenzio.
-
Mi hai mentito.-
Corvina
leva gli occhi al cielo:- ho avuto da fare.-
-
L'atrio è impresentabile. E' una vergogna che Will abbia dovuto
vederlo in quello stato.-
Will
si prende la testa fra le mani (perché, Dio,
quella conversazione, quelle circostanze, l'intera giornata è
sull'orlo del paradossale) e sbuffa. Di nuovo, quella punta di
incomprensibile ostilità. Se si conoscesse meglio, forse avrebbe il
coraggio di darle un nome, e la chiamerebbe gelosia.
Ma questo lo getterebbe decisamente oltre l'orlo del baratro, quindi
finge di non saperlo, serra più forte le braccia sul petto e
prosegue, studiando il modo clinico in cui Corvina esamina la ferita
di Hannibal, cercando con occhio attento ogni segno di ulteriori
danni.
-
Sei stato fortunato- sentenzia, alla fine
-
La fortuna non c'entra – Hannibal si volta e ora Will non tenta
nemmeno, di sottrarsi al suo sguardo – Will ha fatto attenzione.
Voleva concedersi il lusso dell'esitazione, riservarsi tutto il tempo
necessario a scegliere.-
Will
sente il fiato bloccarsi nella propria gola:- a scegliere?-
chiede, in un sibilo.
Corvina
ribatte qualcosa, in quell'italiano stretto, dialettale, storcendo il
naso aquilino, qualcosa che riesce a far balenare un lampo d'odio
negli occhi di Hannibal. E anche se la donna ha letteralmente le dita
nel suo stomaco, lui allunga una mano e gliela serra con violenza sul
polso, torcendoglielo in una posizione innaturale.
-
Come, prego?- domanda, gelido
-
Ho detto – ripete lei, digrignando i denti per il dolore – che il
tuo Will è un codardo.-
Will
avanza di un passo. Vuole intervenire, ma non sa come.
Cosa dovrebbe dire? Sì, è stato un codardo e sì, se fosse stato
sicuro del suo disegno avrebbe colpito più a fondo e più volte,
l'avrebbe lacerato fino al midollo. E poi c'è la parte di lui che
non riesce a saziarsi di quella scena, che vuole ghermire ogni
frammento del mostro che si nasconde dietro alla maschera di
Hannibal, dietro il suo galateo ed il repertorio di battute scelte.
-
Quanta superbia - sibila l'uomo, in quel momento, lasciando andare il
polso di Corvina – T'illudi di comprendere qualcosa che ti è di
gran lunga superiore. Un cieco che vuole venire a dissertare sui
chiaroscuri della Cappella Sistina. I tuoi servigi, per quanto
apprezzati, non sono più richiesti.-
Lentamente,
Corvina termina il punto lasciato a metà, poi appoggia ago e filo su
una piastra sterile.
-
L'amore e la morte dovrebbero stare ben separati – sussurra, ancora
china su Hannibal, con una nota nella voce che fa accapponare la
pelle di Will – tu più degli altri dovresti saperlo.-
Hannibal
scuote la testa – dopo tutti questi anni…-
Corvina
lo interrompe con un'ultima frase incomprensibile, poi si rialza e, a
passo svelto, raggiunge la soglia della porta. Prima di uscire tende
a Will un biglietto da visita, con un numero scribacchiato sul retro.
-
E' stato un piacere conoscerla, signor Graham.- si congeda. Will
annuisce, cedendole il passo. Ascolta il ticchettio dei suoi tacchi
allontanarsi lungo il corridoio poi prende un lungo respiro e cerca
di schiarirsi le idee, di combattere contro la nebbia che dilaga fra
i suoi pensieri.
-
Perdona questo sventurato intermezzo, Will.- sospira Hannibal.
Raccoglie ago e filo poi, quasi con disinteresse, riprende il lavoro
da dove Corvina si è interrotta. Will rimane incantato, a guardarlo
riunire i lembi di pelle, l'ago che danza, compare e scompare nella
sua carne, per riemergere coperto da una lucente patina di sangue
scarlatto.
E'
seduto con Abigail, sul davanzale di una finestra. La città sembra
lontanissima, sotto di loro, un formicaio di attività, luci, suoni e
odori, un miliardo di vite in fermento, prese dal caos quotidiano
delle loro esistenze.
-
Lo ami, vero?- domanda Abigail, facendo dondolare la gamba nel vuoto
Will
esala un lungo sospiro, posando le mano su quella di lei:-sto ancora
cercando ci capirlo.-
Abigail
reclina la testa, un sorriso che le danza sull'angolo della bocca -Se
la risposta ti spaventa è perché ce l'hai, non perché la stai
cercando.-
-
E se anche fosse?-
-
Cosa?-
-
Se anche lo amassi, a che varrebbe? Ho cercato di ucciderlo. Lui
ha cercato di uccidermi. Ci siamo pugnalati alle spalle talmente
tante volte da perdere il conto. Non so nemmeno se abbiamo più la
forza, per sanguinare ancora. Per vivere, o respirare. Per perdonarci
a vicenda. Il nostro amore ti ha distrutta, Abigail.-
Abigail
getta indietro la testa, i capelli che scintillano alla luce della
luna:- l'amore e la morte dovrebbero stare ben separati –
cantilena, mentre una risata le gonfia il petto.
-
Non farlo – la blocca Will, distogliendo lo sguardo – non citare
quella donna.-
-
Non essere geloso – Abigail gli prende una mano, intreccia
dolcemente le dita alle sue – Hannibal non ha mai amato nessuno
come ama te, né mai lo farà. Siete uno il destino dell'altro.-
-
Nel bene e nel male.- commenta Will, con un sorriso amaro
-
Nel bene o
nel male.- lo corregge Abigail – sta a te scegliere.-
In
un guizzo, si sporge in avanti e gli preme un bacio sulla guancia.
Poi
salta nel vuoto.
Will
si sveglia di soprassalto, con un dolore atroce al collo. Si è
addormentato sulla sedia accanto al letto di Hannibal, la testa
abbandonata indietro, il collo piegato in un angolo assurdo. Eppure,
non se ne pente. Lo tranquillizza l'idea di poter allungare una mano
e toccare quella di lui. Poterla stringere fino a trovare il battito
del suo cuore, il pulsare ritmico del sangue che corre nelle sue
vene.
Hannibal
sta riposando. Si è rifatto la medicazione, poi gli ha chiesto di
andare nell'altra stanza, a recuperare una sacca di sangue e
l'occorrente per una trasfusione. Will sospira, massaggiandosi le
tempie. E' grato per quei minuti di pace, di totale vuoto. Se
socchiude gli occhi, riesce finalmente a sentire
i propri pensieri.
"Se
la risposta ti spaventa è perché ce l'hai, non perché la stai
ancora cercando", così
ha detto Abigail, nel suo sogno.
Ma
Abigail è morta, è stata soffocata dal suo egoismo e dal dolore di
Hannibal. Perché Hannibal non poteva ucciderlo, per il suo
tradimento, nemmeno nella più cupa delle ore è stato in grado di
rescindere per sempre il loro legame. Will abbassa lo sguardo, si
osserva i palmi delle mani. Dove ha affondato il coltello, la base
della lama gli ha lasciato un taglio piccolo, ma netto. Forse è
quella,
l'essenza del loro rapporto. Uno non può ferire l'altro, senza
sanguinare a sua volta. Ogni colpo che si infliggono a vicenda è
vibrato con un'arma a doppio taglio e, ogni volta, il loro sangue si
mescola, le loro ferite combaciano, e l'unico sollievo è l'amara
consapevolezza che entrambi sopravvivranno, per menomarsi ancora.
-
Will – la voce roca di Hannibal è un gradito appiglio, per
sottrarsi a quella tempesta di pensieri.
Will
si passa una mano fra i capelli, cercando di spingerli indietro, di
darsi una parvenza di normalità:- ehy.-
Rimane
in silenzio. Sente lo sguardo di Hannibal correre lungo la sua pelle,
scivolare sul suo corpo come una carezza, e vorrebbe poter
intrappolare quello sguardo e portarlo con sé per i restanti giorni
della sua vita. Com'è possibile che qualcuno con l'ego di Hannibal,
con le incomprensibili distorsioni della sua psiche, qualcuno con la
sua storia e la sua mente, possa avere uno sguardo così intenso, di
pura adorazione? Com'è possibile che il mostro che si annida nelle
tenebre possa mostrare un sentimento così pericolosamente vicino
all'amore?
O forse è questo, il segreto. Forse la verità è che Hannibal non
può più comprendere l'amore, perché l'ha trasceso. Perché, per
lui, prova qualcosa che è diverso e, al contempo, semplicemente più
grande.
-
Will?-
-
Non solo non so da dove iniziare a capire i miei pensieri – sbuffa
Will, piegandosi in avanti, prendendosi il viso fra le mani – ma ci
sto annegando dentro.-
Hannibal
si alza faticosamente a sedere sul letto:- come dopo un naufragio,
devi aggrapparti al primo oggetto solido che ti si presenta. Riesci
ad afferrare qualcosa, Will? Un pensiero, un ricordo, una preghiera?-
Will
affonda di più, nella confortante penombra delle sue mani:- ho visto
Abigail.- mormora, il sogno che ancora aleggia attorno a lui
Hannibal
annuisce, in silenzio. Non c'è bisogno di parlare, perché Will
sappia che Abigail vive in un'ala del suo palazzo della memoria,
un'ala che per il momento è stata sigillata, sprangata per mantenere
a bada la bestia di dolore partorita da quella tragica notte.
-
Non puoi serenamente accettare che qualunque sia il nostro legame,
l'abbia distrutta.-
Will
soffoca un singhiozzo nella coppa delle mani:- uno di noi sarebbe
dovuto morire quella notte, Hannibal.- dice e, Cristo, il suo nome è
come miele sulla lingua – avresti dovuto distruggere me, non lei.-
-
E come avrei potuto?-
Will
solleva di scatto gli occhi, quando sente il tremito nella voce di
Hannibal
-
Ci sei andato parecchio vicino.-
-
Non più di quanto tu abbia fatto oggi.-
Will
dischiude le labbra, per replicare, e invece ne scivola fuori una
risata:- touché.-
-
Dobbiamo accettare l'inevitabile, Will. Sopravvivremo insieme o ci
distruggeremo a vicenda, ma sempre con una perfetta reciprocità. Non
è possibile districare i nostri destini più di quanto fosse
possibile sciogliere il nodo di Gordio.-
Quando
si alza dalla sedia, Will si domanda se le gambe riusciranno a
reggerlo, se il suo corpo accetterà di prestarsi a quell'ennesima,
assoluta follia o se invece quel famoso istinto di sopravvivenza
deciderà di animarsi all'improvviso, di strapparlo dalle fauci del
leone.
Perché
è vero,
ogni frammento del suo essere lo sa. E' vero che la sua storia è
diventata quella di Hannibal, e viceversa, perché nessuno dei due
sarebbe ciò che è, senza l'altro. E' vero che possono accettarsi o
uccidersi, ma sempre insieme.
Che uno non può vivere né morire, senza l'altro.
-
Non hai risposto alla mia domanda.- riesce a pronunciare, con un filo
di voce
Hannibal
scuote la testa, un sorriso appena posato sulle labbra:- ti ho
baciato perché, visto quello che stava accadendo, era il modo più
rapido ed efficace per offrirti la mia devozione.-
Will
si siede sul bordo del letto e Hannibal esita un attimo, come
attendendo il permesso, prima di accarezzargli il viso, lasciando
riposare le dita sulla sua guancia.
-
E se non volessi… non potessi
accettare la tua devozione?-
-
Se così fosse, non mi avresti inseguito fin qui.- abbassa la voce,
mentre i suoi polpastrelli scivolano indietro, fino a ghermire i
capelli di Will – non mi avresti mai trovato.-
E
Will lo bacia. Il suo corpo trema, incapace di sopportare ancora la
tensione. L'aspettativa, il rimorso, la paura, il lutto, tutto
scompare, mentre Hannibal dischiude leggermente le labbra, per
accogliere il suo bacio. E' così che si sarebbero sentiti Achille e
Patroclo, se tutti gli achei fossero morti? Si sarebbero erti sulle
macerie di Troia, uno fra le braccia dell'altro, soli in mondo
neonato, appena sorto dalle ceneri?
-
Sono felice che tu mi abbia trovato.- mormora Hannibal, sulle labbra
di Will.
Will
tira un sospiro, reprimendo un brivido di piacere quando respira la
sua stessa aria.
La
tempesta dei suoi pensieri si è placata, lasciando solo fitti banchi
di nebbia, pesanti coltri che nascondono tutto il resto. Esistono
solo loro, in quel momento, solo quella stanza, il resto è fumo.
-
Ti troverò sempre.-
-
I Tre Campanelli della Giullaressa
Primo:
è la fine? Non è la fine? Sì che mi ero detta di fare tre
capitoli, però boh, questi due non hanno fatto altro che parlare (e
lamentarsi. Will). Un giorno prenderò una decisione e ne
verrete messi a parte :P
Secondo:
ho un rapporto infelice con i personaggi originali, ma Corvina è con
me dai miei primi scarabocchi a tema Hannigram, quindi non potevo
tagliarla fuori in modo tanto infame.
Terzo:
viva l'ammmmmore!
---Grazie
per essere giunti fin qui!
--Baci!
-Vostra,
Giullaressa
|
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Capitolo 4 *** 4. ***
h
(...)
Quando
il fumo si dirada, Will non ha né la forza né la chiarezza per
interrogarsi sulle conseguenze. Su cosa gli succederà, ora che la
sua ricerca di vendetta l'ha gettato dall'altra parte, dritto fra le
braccia del suo carnefice (ma
poi, chi è il carnefice di chi? Uno, fra loro, può onestamente
definirsi la vittima?)
Si
sente esausto, come al termine di una corsa infinita, che gli ha
squarciato i polmoni.
Hannibal
probabilmente può leggerglielo negli occhi. Solleva la mano, per
accarezzargli dolcemente i capelli:- sembri stanco.- rileva, in un
sussurro – dovresti dormire.-
Will
solleva lo sguardo, e non sa se ribattere (anche se la cosa
suonerebbe un po' come la protesta di un bambino) o piegarsi, e
annuire. Eppure vuole continuare a parlare, si aggrappa
disperatamente alla speranza che Hannibal abbia una sentenza, una
metafora, uno dei suoi astrusi giri di parole, qualcosa in grado di
rendere tutto chiaro. Qualcosa che possa dargli pace.
-
Non credo di poter dormire, a questo punto.- confessa, alla fine.
Hannibal
gli posa i polpastrelli sulla fronte, per massaggiargli le tempie:-
vuoi dirmi perché?-
-
Vuoi chiedermelo?-
-
Non voglio chiedere niente che tu non sia pronto ad offrirmi.-
Will
socchiude gli occhi, sforzandosi di regolarizzare il respiro. Non sa
cosa può offrire. Non è solo una questione di potere, di volere, di
limiti, di etica. Il passato, gli omicidi, l'encefalite, Abigail,
Beverly… sono tutti rumori in sottofondo, scarabocchi a margine.
Will deve capire sé stesso,
accettare l'uomo in cui Hannibal l'ha trasformato. Mettersi al
centro, comprendere la propria
mente, invece che calarsi in quella degli altri.
Nell'attimo
in cui decide di volere del tempo, per riuscire ad analizzare i
propri pensieri in solitudine, il suo inconscio decide l'esatto
opposto, e dalle sue labbra scivola la frase:- posso dormire qui?-
Hannibal
sorride:- ne sarei davvero felice.-
Si
sposta, per fare posto a Will, e poi gli cinge le spalle con un
braccio, guidando la sua testa fino al proprio petto. Riprende ad
accarezzargli i capelli, le dita che massaggiano delicatamente la sua
nuca.
Will
si abbandona a quel contatto, lasciandosi cullare dal ritmico pulsare
del cuore di Hannibal. A sentirlo così, sembra un cuore
perfettamente normale. Forse più forte, più vigoroso della media,
ma umano.
Non sembra esserci neanche un frammento di oscurità, in quel placido
battito. Il buio dovrebbe essere assordante, un suono stridente,
stonato, come di vetri rotti, ma Will non ne sente nemmeno un'eco. Il
cuore di Hannibal suona come una poesia.
-
A cosa stai pensando?-
Will
preme il viso contro il petto di Hannibal, quasi volesse immergersi
in quel suono:- te lo dirò quando sarò ragionevolmente sicuro che
il tuo ego non possa esplodermi in faccia. Quindi, beh, mai.-
Hannibal
si piega in avanti, stringendo le labbra per combattere una fitta, e
gli posa un bacio sulla tempia: - Mai
è un tempo davvero lungo.-
Will
respira una boccata del suo profumo e non risponde. Perché, che sia
giusto o meno, per la prima volta il futuro non lo spaventa.
-
Alleluia.-
Abigail
è seduta sulla riva del fiume, i piedi scalzi immersi fino alla
caviglia nell'acqua tersa.
Will
abbassa la canna da pesca, attraversa i flutti in quattro lunghe
falcate, per raggiungerla.
-
A quanto pare non analizzerò mai i miei pensieri in completa
solitudine – commenta, sarcastico, sedendosi accanto a lei
Abigail
arriccia il naso:- come se ti dispiacesse. Alla lunga, stare da soli
diventa un fardello, un'abitudine che non si riesce a cancellare,
finché la solitudine non porta più chiarezza, ma solo incubi.-
Will
prende un respiro profondo, mentre Abigail lo abbraccia, premendo la
testa contro il suo petto.
-
Cos'ho fatto, Abigail?- le chiede, in un sussurro, anche se ha paura
della risposta.
Lei
scuote la testa, sbuffando aria calda contro il suo torace:- hai
ceduto.- replica – come si cede alla marea o alla forza di gravità.
Hai smesso di provare vergogna, per aver trovato il tuo posto, per
esserti incastrato alla perfezione dove non credevi di poter
sopravvivere.-
Will
chiude gli occhi e cinge con un braccio le spalle della ragazza.
-
In cosa mi trasformerò?-
Abigail
solleva la testa, per guardarlo con quegli occhi limpidi, che hanno
finalmente smesso di mentire, di piangere, di incupirsi:- un giorno
capirai di avere la forza per controllare il tuo Divenire, per
plasmarlo secondo la tua volontà.-
-
Non è una risposta.-
Abihail
si alza sulle punte degli stivali, per poggiargli un bacio sulla
tempia:- in Will Graham – sussurra, dolcemente – ti trasformerai
in Will Graham.-
La
notte è passata e, con la notte, sono passati i sogni e l'euforia,
ma Will si sente ancora stordito, ubriaco.
Eppure,
ha dormito. Per la prima volta da mesi ha goduto d'un sonno
ristoratore. Anche se solo per poche ore, nessun mostro è sorto da
un lago di tenebra, nessuna pallida fanciulla l'ha osservato,
stringendosi la gola per arginare una pioggia di sangue. Per la prima
volta, Abigail non è morta di nuovo, al termine del suo sogno. Per
la prima volta da che ha memoria, si è svegliato pigramente,
sollevando le palpebre un po' alla volta, beandosi del tepore rimasto
intrappolato fra le lenzuola.
-
Buongiorno, Will.- lo saluta Hannibal - mi auguro tu abbia goduto di
un buon riposo.-
Will
si stiracchia. Non vuole affannarsi a definire cosa sia cambiato, fra
loro, quale patto si sia consolidato, quali spettri siano stati
ricacciati nel baratro e a quali sia stato permesso di rimanere.
Vuole comprenderlo, brandello dopo brandello, e vuole farlo assieme
ad Hannibal. Vuole capire la
domanda, prima di consumarsi,
cercando la risposta.
-
Buongiorno.- ribatte, soffocando uno sbadiglio. I suoi occhi corrono
alle finestre ma, dietro alle tende, trovano solo il prevedibile muro
di mattoni – è tardi – sentenzia, dopo un rapido sguardo
all'orologio – non si staranno chiedendo che fine hai fatto?-
-
Confido che ormai Bedelia abbia imparato a non porsi domande sulle
mie assenze.-
Will
inarca un sopracciglio:- vivi con Bedelia?- chiede, un po' più
incredulo di quanto ritenesse possibile.
Solo
allora, in un battito di ciglia, si ricorda dell'anello d'oro
all'anulare di Hannibal. Abbassa lo sguardo sulla sua mano ed osserva
la fede come se la vedesse per la prima volta.
-
Oh –
-
Will?-
-
No, niente.-
Si
alza in piedi, per raggiungere l'armadio addossato al muro e cercare
dei vestiti puliti. Di nuovo, sente in bocca il sapore acido di
quell'ostilità immotivata, cui si rifiuta di dare un nome. Per un
attimo, sente di odiare Bedelia Du Maurier più di qualunque altro
essere sulla faccia del pianeta. Per essere esattamente quello che è
lui, per essersi resa conto di provare un sentimento sbagliato per
l'uomo sbagliato. Per essersi arresa prima di lui.
Di
nuovo, Hannibal sembra leggere fra i suoi pensieri:- la cura per i
dettagli è ciò che rende stabile una copertura. Soprattutto quand'è
a tempo indeterminato.- gli spiega, nel tono pacato dell'insegnate
che si rivolge al suo studente – I confini delle mie due vite,
quella reale e la rappresentazione gentilmente offerta al pubblico,
non si sono mai confusi.-
-
Ma sì, certo.- borbotta Will, senza distogliere lo sguardo dalla sua
ricerca – e, anche se fosse…- la frase si perde in un mormorio
incomprensibile. Come spesso gli accade, Will non sa come
completarla. Non può ancora accettare quella parte di sé che
vorrebbe essere stato al posto di Bedelia (che sente che avrebbe
dovuto
essere al posto di Bedelia), così riprende a scavare fra i vestiti,
sentendosi un perfetto idiota.
Hannibal
gli concede qualche minuto (che Will sfrutta per rimuginare senza
approdare a nemmeno mezza conclusione, a parte che vorrebbe
strangolare Bedelia e poi sé stesso), prima di pronunciare il suo
nome, con una dolcezza di cui Will non lo riteneva capace.
-
Will. Vuoi dirmi cosa ti turba?-
-
Niente.-
replica Will, risoluto – solo, davvero, qualcuno si chiederà che
fine hai fatto. Non hai un capo, dei colleghi, qualcosa del genere?-
Hannibal
inclina la testa:- sì – annuisce – Corvina li informerà della
mia improvvisa indisposizione. Se conosco il professor Soliato, ne
sarà tutt'altro che addolorato.-
Qualcosa,
nel suo tono, tocca le corde più nascoste di Will, e gli strappa un
sorriso:- incredibile, esiste qualcuno che non nutre per te la
massima ammirazione. A questo punto, devo incontrarlo.-
Hannibal
risponde al sorriso, ma è appena un'increspatura sulle sue labbra:-
la cosa può essere facilmente arrangiata, se lo desideri. E' sempre
piacevole avere un così stimato collega, per cena.-
Will
leva gli occhi al cielo:- eh, credo proprio che passerò.-
Perché,
sul serio, dal tentato omicidio all'apprezzare le battute sul
cannibalismo il passo è decisamente più lungo di quanto Hannibal
possa immaginare.
-
E il tipo di ieri?- Cristo,
"ieri" sembra appartenere ad un'altra era
– quello con la sciarpa?-
-
Ah, il signor Dimmond – Hannibal scuote la testa, sollevando una
mano come per placare le ansie di Will – un fastidioso incomodo,
nulla di più, incapace di causare danni sulla lunga distanza. Ad
ogni modo vedrò di occuparmi anche di lui, prima di lasciare
Firenze.-
Will
inarca un sopracciglio, sorpreso:- vuoi lasciare Firenze?-
Hannibal
annuisce, mentre i suoi occhi sembrano inseguire un pensiero ribelle,
un ricordo lontano:- ho scelto Firenze per lenire il dolore della
nostra separazione, per curare le mie ferite, mentre attendevo di
comprendere se fossi riuscito ad escluderti dai miei pensieri. E se
tu fossi riuscito ad escludere me. Stanotte, tutto è cambiato. Siamo
arrivati alla fine di un percorso, abbiamo scoperto cosa si cela alla
fine della strada che abbiamo iniziato quando la tazza è andata di
nuovo in frantumi.-
-
Pensavo che fosse quella, la fine della strada.-
-
Un'esistenza umana è un continuo susseguirsi di strade. E mentre una
finiva nel sangue, un'altra vi nasceva.-
Will
scuote la testa poi, senza pensarci, sfiora la cicatrice che gli
solca l'addome:- tutte le strade che percorriamo insieme sono
destinate a finire nel sangue?- dice, ma la sua frase suona come una
domanda.
Hannibal
gli tende una mano e Will l'accetta, esitante, allargando le dita sul
palmo di lui. Ha le mani tiepide, i muscoli che guizzano sotto la
pelle, sotto la trama iridescente delle vene.
-
Questa non è finita solo
nel sangue.- mormora, posando un bacio sul piccolo taglio, lasciato
dal coltello sulla mano di Will. Will socchiude gli occhi. Sotto le
sue palpebre, il cervo nero lo sta guardando, ma per una volta i suoi
occhi hanno un'espressione mansueta, che potrebbe quasi sembrare
dolce.
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Capitolo 5 *** 5. ***
L'oscurità nel mio cuore cap5
(...)
La
mattina seguente, un suadente profumo di caffé s'infila nella camera
di Will.
Lui
si agita, fra le lenzuola, mentre la coscienza bussa alle porte della
sua mente.
Ci
mette qualche minuto per ricomporsi – per ricordare dove si trovi,
perché e, soprattutto, con
chi – e quando alla fine ce
la fa viene colpito da un altro pensiero. Chi
diavolo sta preparando il caffé?,
si domanda, sentendo un filo di panico stringersi ai suoi polmoni.
Balza
in piedi ed esce dalla stanza. Ora al profumo si è unita una leggera
musica, fischiata fra le labbra da qualcuno che evidentemente non si
dà pena di nascondere la propria presenza.
Una
volta arrivato alla cucina, Will si appiattisce contro il muro, in
ascolto. Sventuratamente, oltre alla distratta melodia, non c'è un
granché da origliare. Dopo il fischio della caffettiera c'è il
lieve crepitare del fuoco, sotto la padella, e, oltre il rumore
dell'acqua che bolle.
Will
prende un respiro profondo e si sporge, per sbirciare oltre la porta.
I suoi occhi incrociano una sagoma snella, dritta come un fuso, nera
come un presentimento.
Oh.
-Giusto
in tempo, signor Graham.- Corvina Marchesi nemmeno alza lo sguardo
dalle tazze, dove sta versando il caffé, scuro e fumante – vuole
del latte o lo preferisce nero?-
-
Nero… grazie.-
Will
sbatte le palpebre, confuso da quello che sta vedendo. Per un attimo,
si domanda se l'encefalite non sia tornata, se non abbia perso di
nuovo la cognizione del tempo e, con essa, anche qualche passaggio
fondamentale. Eppure accetta la tazza fumante che Corvina gli mette
fra le mani e beve un sorso di caffé.
Non
si dicono altro e, dopo qualche minuto, Will accetta di analizzarla.
Decide
di assecondare il desiderio di sondarla, di frugare fra i suoi
pensieri, di cogliere le sfumature nascoste di quella donna che ieri
aveva tanta fretta di giudicarlo. Della donna che ha condiviso con
Hannibal qualcosa che lui non sa, qualcosa di contorto e morboso ma
qualcosa
nondimeno.
Socchiude
appena gli occhi, mentre Corvina riempie d'acqua il bollitore e si
sceglie una tazza dalla credenza.
Lentamente,
la scompone in frammenti, in schegge. La riduce alla somma delle sue
parti, permettendo ai suoi pensieri di riecheggiare nella propria
scatola cranica.
Bambina
taciturna ma non malinconica, introversa ma non solitaria. Cresciuta
da un uomo che non è suo padre ma che ha comunque tentato di
trasmetterle amore. Amore in una forma fredda, scostante, piena di
tagli, di spigoli nascosti.
La
guarda prendere una bustina di the ed immergerla nell'acqua bollente.
Poi,
studentessa modello. Drasticamente pragmatica, asettica. Una giovane
che non cerca amici, ma che accetta di buon grado di dover dividere
la sua vita con altri esseri umani. L'uomo è scomparso dalla sua
vita, ma le ha lasciato qualcosa. Un'idea distorta di cosa voglia
dire amare ed essere amati.
E'
con la scuola di medicina, che cambia tutto, che quel qualcosa viene
alla luce. Troppa libertà, troppe potenzialità, troppa fatica a
conciliare i fastidi e le restrizioni del passato con l'assenza di
limiti del presente. L'ebbrezza di tenere un cuore umano fra le dita.
La ricerca di un luogo quieto, dove nascondersi a sé stessa, dove
poter ritrovare la lucidità per pensare.
Ed
è nell'obitorio dell'ospedale che, inaspettatamente, come una
folgore dal cielo, gli insegnamenti dell'uomo che non è suo padre
acquisiscono improvvisamente senso.
L'amore
e la morte dovrebbero stare ben separati.
-
Sembra assorto, signor Graham. Qualcosa la turba?-
Corvina
sorseggia lentamente il the; volute di fumo candido offuscano il suo
sguardo.
-
Non pensavo di rivederla così presto.- ammette Will, e non è una
menzogna
-
Il dottor Lecter tende a perdonare le mie intemperanze.- prende un
altro sorso – e, ad ogni modo, ho un compito da portare a termine.
Scomparire nel nulla non è facile come sembra. E noi non… non ci
aspettavamo di riceverla così presto, signor Graham.-
-
Però vi aspettavate che arrivassi?-
Corvina
si stringe nelle spalle:- non è mio compito fare previsioni.- dice,
picchettando con le dita sulla porcellana candida della tazza – né
trinciare giudizi su cose che, evidentemente, sono più grandi di
me.-
-
Una discepola modello.- commenta Will, senza riuscire a trattenersi –
quanti anni aveva, quando vi siete conosciuti?-
-
Potrei darle una cifra, ma la verità è che mi sembra di conoscerlo
da tutta la vita.-
-
E tutto questo tempo non le ha lasciato nessuna cicatrice?-
Corvina
inclina la testa, riflettendo. Will le fissa lo zigomo, restio a
spingersi oltre, a guardarla in quegli occhi di vetro. Vetro che
acceca alcuni e che è perfettamente trasparente per altri.
-
Erano cicatrici leggere – intuisce, mentre lei ancora tace – si
sono riassorbite in fretta. L'unica veramente profonda è stata la
prima, ma, come dice lei, è passato troppo tempo perché sia ancora
visibile.-
Corvina
beve l'ultimo sorso di the, poi lascia la tazza nell'acquaio e si
appoggia al bancone: -Come mai tanto interesse, signor Graham?-
-
La conoscenza ci mantiene vivi.- risponde Will. E che sia dannato se
c'è anche un'infinitesimale parte di lui che crede alla spudorata
menzogna che è appena uscita dalle sue labbra.
Corvina
sorride:- beva il suo caffé, signor Graham.-
I
giorni successivi scorrono rapidi e monotoni.
Corvina
appare e scompare, assorta e affaccendata. Fa la spesa, porta notizie
del mondo, limita i commenti allo stretto necessario, e lo fa con una
naturalezza che stupisce Will. E' il cane da salotto che un giorno ha
morso il figlio del padrone. E Will sa
che dovrebbe sentirsi offeso da quel paragone, però non riesce a
trattenere uno strano sollievo, a pensare che Hannibal ha tirato un
calcio al suo animale prediletto, per insegnarle a non mostrare i
denti.
Non
succede altro, fra loro. Will si sente bloccato in un equilibrio
cristallizzato e precario. Non sa come procedere, se vuole che
qualcosa cambi, e cosa, e in
cosa. Non sa cosa vuole, quindi non fa niente, per mutare lo status
quo, e aspetta che la realtà reclami il suo tributo e lo faccia al
suo posto. E' saggezza o codardia? Prudenza o un'elaborata forma di
fuga? Forse la risposta non ha poi così importanza.
A
parte la prima notte, Will ha sempre dormito nella propria stanza, e
ha finto.
Ha
finto tante cose. Ha finto di ignorare la terza porta, in fondo al
corridoio, la porta di una camera destinata a rimanere vuota. Ha
finto di non sentire la mancanza del corpo di Hannibal contro il
proprio, del suo tepore, del suo respiro. Ha finto di non saper
interpretare il fatto che non ha mai dormito un sonno più profondo,
quasi sereno.
Ad
un tratto, il suo cellulare si mette a vibrare.
Will
sta combattendo contro un'improbabile caffettiera ed esita un attimo,
prima di riconoscere il suono.
Poi
rimane fermo, le mani posate sul bancone, ed abbassa lo sguardo sullo
schermo. Lo sa prima di leggere il numero. Sa che la realtà ha
ritirato la sua tregua.
Il
nome "Jack"
pulsa sullo schermo.
Will
lo osserva. Si aggrappa al bordo del mobile, per restare ancorato
alla realtà mentre il flusso dei ricordi lo trascina indietro, alla
sua stanza d'ospedale, a Jack che lo fissava dalla poltrona di
plastica, con le mani raccolte in grembo e gli occhi vuoti, pieni di
rabbia e di confusione.
"Gli
hai promesso una resa dei conti"
ha sussurrato, quando ancora Will era troppo debole per rispondergli
"tu aiutami a trovarlo,
ed io ti aiuterò ad abbatterlo"
Si
lava la faccia, beve per placare l'improvviso fuoco che gli arde
nella gola.
Il
cellulare continua a vibrare e Will si sente soffocare. Per un attimo
è di nuovo davanti alla grande scelta. Se chiude gli occhi si trova
davanti a Jack. Jack pallido ma determinato, che lo studia, cercando
cenni di cedimento. Jack che vuole accertarsi che lui sappia da che
parte schierarsi. Jack che…
-
Will? Qualcosa non va?-
Will
trasale, si volta di scatto verso la soglia della porta e, d'istinto,
nasconde il cellulare sotto la mano.
Hannibal
lo fissa, la testa leggermente inclinata, lo sguardo di chi sa, ma
chiederà lo stesso, per educazione. Per tentare di mettere a suo
agio qualcuno che a suo agio non è mai stato.
Will
prende seriamente in considerazione l'idea di mentirgli. O di sviare
il discorso. Di lasciare Jack fuori dalla loro inattesa vacanza,
fuori dallo strano equilibrio della loro riconciliazione.
Ma
a che varrebbe? Non è che Hannibal non sappia, che Jack non
abbandonerà mai la sua caccia.
-
Jack mi ha chiamato.- risponde, sollevando il cellulare – non ho
risposto.-
-
Sarebbe stata una conversazione oltremodo interessante.-
Will
incrocia le braccia sul petto, si appoggia al mobile per mascherare
la tensione nei suoi muscoli:- pensi che ti consegnerei?-
-
Penso che l'ultima volta che hai preferito l'FBI a me, hai finito per
rimpiangere la tua scelta.-
Will
deglutisce, si volta, ricomincia ad armeggiare con la macchinetta del
caffé, per non incrociare lo sguardo di Hannibal. Odia che lui abbia
ragione, che sappia con che terribile rimorso abbia dovuto
combattere, mentre il suo corpo guariva, e la sua mente già
inseguiva le sue tracce, smaniosa di raggiungerlo.
-
Non lo farò.- dice, di scatto. Tanto vale giocare a carte scoperte.
Trasale,
quando le mani di Hannibal si posano sui suoi fianchi.
-
Preferisci che non lo faccia?- gli chiede lui, la sua voce bassa e
roca che scivola come una carezza sulla sua pelle – che non ti
tocchi?-
Will
esita, poi si appoggia indietro, contro il petto di Hannibal.
-
Non ti consegnerei mai all'FBI.- ripete. Non sa perché senta il
bisogno di ribadire il concetto, di proseguire quella conversazione
da cui, se l'esperienza insegna, non può venire nulla di buono.
Hannibal
sposta le mani, fino ad incrociarle sullo stomaco di Will,
stringendolo delicatamente a sé.
-
Perché?- domanda, in un sussurro contro il suo collo.
-
L'FBI non…- Will chiude gli occhi, sentendosi sommerso da alterne
ondate di calore e di vergogna -… non ti merita. Se tutto questo
terminerà, spetterà a me scrivere la parola fine.-
-
Perché?-
-
Perché mi appartieni. Perché apparteniamo uno all'altro e nessuno,
nemmeno Jack, ha il diritto di mettersi in mezzo.-
Will
s'irrigidisce. Dio, suona romantico.
Suona romantico anche se è esattamente l'opposto, anche se è una
promessa di mutua distruzione, una promessa d'inferno per quando la
loro delicata alleanza avrà bruscamente termine. Perché Will sa, sa
che non può durare.
-
Se finirà, non finirà con l'FBI.- ripete, spingendo via quei
pensieri invadenti.
-
Mi sembra legittimo.- sussurra Hannibal, e poi gli posa le labbra sul
collo e rimane fermo, in attesa.
-
Sì.- mormora Will. Non è solo un cenno d'assenso, è un esplicito
permesso.
E' la risposta alla domanda sottointesa, è un altro muro che viene
abbattuto.
Sente
le labbra di Hannibal rilassarsi in un sorriso. Le sente sulla
propria pelle e sente la lieve pressione dei suoi denti sul collo,
quando Hannibal lo bacia. E' un bacio leggero – qualcuno direbbe
insicuro
-, un bacio che vuole offrirgli il tempo di riflettere e la
possibilità di ritirarsi.
Will
chiude gli occhi e Hannibal lo bacia di nuovo. Gli sfiora con le
labbra le vertebre cervicali, una dopo l'altra, dalla schiena
all'attaccatura dei capelli e, ad ogni tocco, Will si sente un po'
più lontano dal mondo, un po' più accaldato ed intontito. Un po'
meno colpevole del piacere che prova.
-
Dillo di nuovo.- mormora Hannibal, parlando direttamente sulla sua
pelle – per favore.-
Will
non ha bisogno di chiedere cosa. Lascia cadere indietro la testa,
offrendo ad Hannibal la gola. Lui gli posa un bacio sulla giugulare,
socchiudendo gli occhi mentre assapora la sua carne, il ritmo del suo
cuore.
-
Tu mi appartieni. Noi
ci apparteniamo.- ripete Will e uno sbuffo d'aria forza le labbra di
Hannibal, e suona quasi come un gemito.
Prima
di arrendersi, Jack tenta una seconda chiamata.
Will
gl'invia un messaggio: "calma
piatta e batteria scarica",
poi spegne il cellulare.
Non
può essere un agente dell'FBI, ora. Non sa se vorrà mai esserlo di
nuovo.
Quando
riesce a mettere a tacere i suoi pensieri, si rende conto di voler
rimanere in quel limbo per sempre. Svegliarsi e preparare la
colazione, passare la giornata lontano dal mondo reale – lontano da
cadaveri, turbe psichiche, menzogne, deliri e carne in putrefazione –
e poi…
-
Mi aiuteresti a preparare il pranzo?-
Will
alza di scatto lo sguardo: Hannibal è di fronte alla credenza, con
in mano un tagliere di legno ed un lungo coltello e le maniche della
camicia arrotolate fino al gomito.
-
Sì.- risponde Will, prima di pensarci. Prima che il raziocinio possa
rovinare tutto.
L'ultima
volta che ha cucinato con Hannibal, si stava preparando a consegnarlo
all'FBI. L'ultima volta che ha tagliato le verdure, l'ha fatto col
cuore gonfio di qualcosa a cui non sapeva dare un nome.
Si
lava le mani, fuggendo dai propri ricordi.
-
Corvina dice che mi stavi aspettando.- dice, per rompere il silenzio.
Hannibal
inclina la testa, posa le carote sul tagliere e tende il coltello a
Will:- se puoi crederci, c'era una scommessa in ballo.-
Will
trattiene una lieve risata:- suona così infantile.-
-
Un modo come un altro per ingannare l'attesa.- Hannibal inarca un
sopracciglio – più sottili, le carote.-
-
Non sono in grado, di tagliarle più sottili di così.- protesta
Will, mentre quella risata traditrice ancora gli rimbalza nella gola.
-
Non sottovalutare le tue capacità.-
Will
storce la bocca:- e tu non sopravvalutare le mie diottrie.- replica,
e, in quell'attimo, la risata gli forza le labbra. Riecheggia per un
attimo nel piccolo cucinino, e Hannibal socchiude gli occhi, come per
imprimersi quel suono nella memoria.
-
Se puoi crederci…- sussurra, posandogli una mano in mezzo alla
schiena -… ho sentito la tua mancanza. Ogni giorno.-
Will
molla il coltello e si volta. Hannibal si appoggia al mobile, le
braccia che sfiorano i fianchi di Will.
-
Non so se la nostalgia esiste, nel tuo mondo. Non so se ha lo stesso
significato che ha nel mio. Non…- abbassa lo sguardo, irrigidendosi
quando sente il respiro di Hannibal infrangersi contro la propria
guancia -… per quanto mi sforzi, io non riesco a leggerti. Riesco a
capirti come assassino, ma non come persona.-
Hannibal
solleva una mano, per sfiorargli le labbra:- stai mentendo per
omissione?- chiede, dolcemente.
Will
annuisce.
La
verità è che ha paura che non ci sia una persona, oltre
l'assassino. Che non riesca a capirlo perché non c'è niente da
capire, perché esiste solo lo Squartatore di Cheesapeak ed Hannibal
non è altro che una menzogna. L'ombra di qualcuno che è esistito e
che, a un certo punto della strada, è scomparso.
Hannibal
allarga le dita sulla sua guancia, attirandolo delicatamente verso di
sé:- imparerai.- promette
-
E se… se non ci fosse nient'altro da imparare?-
Un'ombra
fugace oscura i lineamenti di Hannibal:- quando verrà il momento,
giudicherai.- sussurra, e Will lo bacia.
Prima
che il suo cervello possa registrarlo, le sue labbra sono su quelle
di lui, le sue dita s'infilano fra i suoi capelli. Respirano la
stessa aria, i loro cuori battono allo stesso ritmo.
Will
chiude gli occhi, prima di piegarsi in avanti, per pretendere un
altro bacio.
Nel
bene o nel male, così ha
detto Abigail, sta a te la
scelta.
Hannibal
gli succhia dolcemente il labbra inferiore, per poi infliggergli un
leggero morso. Will ingoia un gemito, mentre il senso d'appartenenza
lo sommerge.
Gli
torna alla mente la loro ultima cena. La notte in cui Hannibal ha
servito l'agnello. Il modo in cui lo guardava, gli parlava, la
reverenza con cui aveva sfiorato la sua mano. L'invisibile sorriso
quando descriveva il loro futuro. Achille e Patroclo, dopo la morte
di tutti gli Achei.
-
Avrei voluto fuggire con te.- confessa.
Hannibal
lo bacia con più forza e, per un attimo, Will pensa che non
aggiungerà altro, che non commenterà, che la sua unica risposta
sarà quel bacio, che brucia come fuoco.
Poi
Hannibal appoggia la testa sulla sua spalla, respirando contro la sua
pelle:- l'avrei voluto anch'io.- ansima
Will
gli accarezza la schiena:- stavolta lo farò- sussurra – stavolta
fuggirò assieme a te.-
Hannibal
preme la fronte contro la sua scapola e rimane in silenzio.
Will
sta lavando i piatti, quando Corvina gira le chiavi nella toppa ed
entra.
La
donna si ferma sulla soglia della cucina, poi appoggia sul tavolo una
busta di carta.
-
Hannibal sta riposando.- la informa Will, anche se non ha voglia di
fare conversazione. Ha tante cose a cui pensare, tanti sentimenti da
metabolizzare, considerazioni da ponderare, conclusioni da trarre. Un
sapore sulle labbra che non vuole andare via.
-
Meno male.- commenta Corvina, ed estrae dalla busta un involucro di
plastica.
Per
un attimo, la sorpresa scaccia ogni altra sensazione dalla mente di
Will:- mangi da McDonald?- chiede, incredulo.
Corvina
inarca un sopracciglio:- quando la situazione lo richiede.- risponde,
senza rispondere.
Will
ride, poi apre il frigorifero:- una birra?- chiede
Corvina
si accomoda su una sedia dallo schienale alto:- a tutto c'è un
limite, signor Graham.- declina, prima di pescare dal sacchetto un
grosso bicchiere di carta
-
Coca-cola batte birra artigianale?- scherza Will
Corvina
lascia andare uno sbuffo, attraverso il naso leggermente aquilino:- è
the.-
replica
-
Ok – si corregge lui, prendendo un apribottiglie dal cassetto –
the industriale iperzuccherato batte birra artigianale?-
Corvina
gli tende il sacchetto delle patatine fritte:- che rimanga fra noi.-
Mangia
in silenzio, leccandosi le dita quando ha finito e Will l'osserva, e
gli viene da ridere.
-
I Quattro Campanelli della Giullaressa
Primo:
con la dovuta calma, questa storia prosegue! Contro tutte le mie
brave scalette, ho deciso di trasformarla in una long (e tanti cari
saluti ai tre capitoli autoconclusivi), spero che la transizione non
sarà troppo traumatica o, al contrario, troppo lunga e noiosa. Farò
del mio meglio :P
Secondo:
mi sono appena accorta che i campanelli dello scorso capitolo si sono
persi nella mia maldestra formattazione, quindi, ops, scusatemi! In
mia difesa, a parte una montagna di ringraziamenti a tutti coloro che
sono giunti fin qui, non c'era nulla di davvero rilevante!
Terzo:
buon compleanno a Mads Mikkelsen!
Quarto:
oh caspita, sono in ritardo catastrofico, non arriverò mai a lezione
in tempo!!
-
- Baci!
-
Vostra,
Giullaressa
|
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