In my end is my beginning

di shuste
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Moonlight ***
Capitolo 2: *** Snow ***
Capitolo 3: *** Just my imagination ***
Capitolo 4: *** Eternal sunshine ***
Capitolo 5: *** Only a prayer ***



Capitolo 1
*** Moonlight ***


Poi, come chi barcolli sotto

il peso delle sue stesse parole, stancamente

fece una pausa; e prima che riprendesse gridai:

“Fermo, chi sei?- “ Prima della tua memoria

conobbi la paura, l’amore, l’odio, il dolore, l’azione

e la morte. E se la scintilla con cui il Cielo accese

il mio spirito fosse stata alimentata con nutrimento

più puro, la corruzione non erediterebbe tanto

questa maschera occulterebbe

ciò che avrebbe dovuto rifiutarsi di portare.

P. B. Shelley, Il trionfo della vita

 

Fu in una notte di luna piena.

Ero appena tornata dalla caccia, seduta nella caverna dove avevo trovato rifugio.

Dopo qualche esitazione, al mio risveglio - quante settimane prima? - avevo capito che avrei solo potuto seguire l’istinto.

Così mi ero buttata nel fitto della foresta e avevo aggredito un cervo.

Sazia, avevo camminato fino a trovare un buco nella parete di roccia da cui non ero più uscita fino a quella sera.

Sentivo la sete ma non sembrava esserci spazio nella mia mente per pensare a nutrirmi.

Strane immagini vorticavano davanti ai miei occhi, flash cui non sapevo dare un preciso senso. Non capivo. Cosa vedevo? Cosa significavano tutti i volti sconosciuti che scorrevano dentro di me e che, ancor prima che potessi memorizzarli, sparivano?

Evanescenti come sogni. Ma sogni non erano. Non dormivo. Mai.

Forse stavo impazzendo.

Non ricordavo nulla, a parte il dolore accecante, a parte il fuoco.

Prima di tutto ciò, solo tenebre, eccezion fatta per il mio nome.

Alice.

Ricordavo una voce addolorata che ripeteva il mio nome mentre soffrivo. Poi più nulla, eccetto l’incendio che, dentro, mi aveva arsa per giorni.

 

Avevo percezione d’esser cambiata. La mia pelle sembrava roccia, ma aveva il colore del gesso. Mi sentivo forte, incredibilmente in forze. E poi quelle immagini, l’infinità di odori, colori, particolari che percepivo.

Non ricordavo nulla di prima ma sapevo che tutto questo era diverso.

Io ero diversa.

Non sapevo cosa fossi.

Provai a concentrarmi sulla mia mente.

Riuscii a separare dal caos alcuni volti troppo sfocati per sapere a chi appartenessero.

Erano persone che non mi dicevano nulla, non erano ricordi. Immagini che rivedevo da settimane.

Un uomo … forse come me, a giudicare dal colore della sua pelle … e una donna appena accanto … e dei capelli di … bronzo…

Era troppa la fatica. Rinunciai.

Appoggiai la schiena contro la roccia umida.

Era come se la mia mente fosse esausta ma il mio corpo si rifiutasse di esserlo. Posai la testa sulle ginocchia, rannicchiata.

Rimasi in quella posizione un’eternità, cercando di spegnere le visioni nel buio.

Cosa stava succedendo?

Ero frastornata ma non avevo paura. Era come se qualcosa di primordiale mi stesse guidando da quando avevo aperto gli occhi.

Qualcosa di totalmente irrazionale e folle, ma impossibile da eliminare. Dicono che la speranza è dura a morire. Io direi che fu la sola cosa che non seppi e non sarò mai in grado di uccidere.

Dentro di me qualcosa che si muoveva, strisciava, mi teneva lontano da una crisi di panico.

Sentivo che quello che vedevo DOVEVA avere un senso. Solo non lo intuivo.

 

Mi alzai in piedi e mi trascinai fuori. Vedevo una luce eccessiva per la notte, proveniente dall’apertura della caverna.

Quando uscii, compresi che era la luna.

Piena, in un cielo completamente sgombro da nuvole. Il suo chiarore illuminava ogni filo d’erba, ogni foglia, ogni minuscolo insetto. Li avrei visti comunque, ma quella luce li faceva brillare come fossero piccoli diamanti.

Fu un istante.

Un lampo di luce nella mia testa.

Come quel cielo la mia mente fu sgombra.

Si fece spazio improvvisamente nel caos un’immagine che divenne sempre più nitida tra le altre.

Un volto che mi era passato davanti più volte col passare dei giorni ma che non avevo saputo mettere a fuoco.

Un viso antico, d’altri tempi, incorniciato da una chioma bionda, corta, spettinata. I lineamenti duri, quasi contratti, color perla. Gli occhi cremisi, che avrei detto spaventosi se non avessi pensato che, in fondo ad essi, vi fosse qualcosa …

Era uno sguardo dolce … severo … sofferente …

Meraviglioso.

Ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo, quando cerco risposte, mi metto davanti alla luna.

In quelle notti tutto appare chiaro, persino i pensieri, le visioni più confuse ed oscure.

Trovo la risposta che altrimenti faticherei a rintracciare.

Guardo dentro di me e so, ad un tratto, cosa debba fare, cosa avrei dovuto fare e cosa invece sarebbe stato meglio evitare.

Nessuno può darmi soluzioni, solo in fondo alla mia anima – sempre che ne abbia una - ho imparato che posso trovare quello che cerco.

E in quella notte, come in tante altre che seguirono, cercai.

 

 

Ed era una notte di luna piena.

 

 

Cosa trovai?

Cosa scoprii sotto la mia pelle granitica, sotto i miei muscoli, sotto le mie ossa d’acciaio … Tra i miei organi congelati?

Spolpata di ogni parte di me, vivisezionata … come solo io avrei potuto fare … al centro di me, al nocciolo, cosa rimase?

 

Rimase una strada polverosa al tramonto, che presto, sentivo, avrei dovuto percorrere.

 

Rimase un bambino che mi indicava una locanda.

 

Rimase un sorriso sul volto dagli occhi meravigliosi che avevo appena visto.

 

Gli stessi occhi, stavolta d’ambra.

 

Un bacio tra due persone sconosciute.

 

Un sussurro accennato nel buio.

 

Una rosa all’alba, coperta di rugiada

 

La felicità di un istante che non era rubata.

 

Il destino in un abbraccio.

 

Una casa nei boschi, bianca.

 

Jasper.

 

Jasper Whitlock.

 

Il nome del ragazzo con cui mi ero appena vista fare l’amore.

 

Mi sentii scossa.

Era come se dentro di me ogni pezzo di un enorme puzzle avesse trovato posto.

Immobile, fissando la luna, ad un tratto sapevo.

Volevo sperare di sapere. Ancora la speranza.

Una parte di me si ribellò. Cosa potevo fare nelle mie condizioni, senza vestiti decenti, come una selvaggia? Dove sarei potuta andare? Dove mi sarei diretta, chi mai avrei trovato?

 

L’altra parte di me sapeva esattamente cosa fare. Gridava, esultante.

Dovevo trovare Jasper Whitlock.

Dovevo trovarlo.

Sapevo, di colpo, che era lui ciò che cercavo.

Forse perché il suo viso era la sola cosa che possedevo.

Quel viso che avrebbe potuto mandarmi in estasi, ogni istante di più, sempre più nitido nei suoi particolari … una cicatrice a forma di mezzaluna di fianco al mento … una sul collo …

 

E poi cos’avrei fatto? Se ciò che avevo appena visto fosse stata solo fantasia o una botta in testa che non ricordavo di aver preso … e anche se fosse stato vero, se fosse accaduto ciò che avevo visto, chi mi poteva assicurare che l’avrei trovato? Dove mi sarei diretta? Avrei girovagato senza meta per il mondo in attesa di trovarlo?

 

 

Ancora oggi mi fermo a pensare a quell’istante.

 

Sai cos’ho capito in tutte le notti che sono trascorse con te, Jasper?

 

Non avrei mai dovuto pormi il problema, nemmeno per un millesimo di secondo, di cosa avrei potuto essere per te.

Non avrei dovuto avere paura di cercarti per tutto l’universo.

Perché, nonostante i chilometri che ci separavano, nonostante tu non immaginassi nemmeno la mia esistenza, già eri l’uomo della mia vita.

E il resto non aveva importanza.

 

Di fronte a tutto questo non avrebbe dovuto averne.

 

Forse, in modo più confuso, pensai qualcosa di simile quando la parte speranzosa di me prevalse, all’alba.

E cominciai a correre.

Sempre maggior chiarezza in ciò che vedevo.

Philadelphia.

Questa era la mia meta.

 

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Capitolo 2
*** Snow ***


 

 

 

 

Rieccomi con un nuovo capitolo dalla parte di Jasper questa volta … commentate, commentate, commentate, non può che farmi piacere!

 

 

 

 

 

 

[…]

Così sperso tra i vimini e le stuoie

grondanti, giunco tu che le radici

con sé trascina, viscide, non mai

svelte, tremi di vita e ti protendi

a un vuoto risonante di lamenti

soffocati, la tesa ti ringhiotte

dell’onda antica che ti volge; e ancora

tutto che ti riprende, strada portico

mura specchi ti figge in una sola

ghiacciata moltitudine di morti,

e se un gesto ti sfiora, una parola

ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,

nell’ora che si scioglie, il cenno d’una

vita strozzata per te sorta,e il vento

la porta con la cenere degli astri.

 

Eugenio Montale, Arsenio

 

 

 

 

 

Erano ore che vagavo.

Perso.

Senza una meta.

Ricorderò per l’eternità quella tormenta di neve.

Ero giunto a Philadelphia dopo un lungo viaggio. Il conto dei giorni, o meglio delle notti, di cammino l’avevo del tutto perso. Avevo lasciato Peter e Charlotte da un paio di giorni.

Ero solo al mondo. E non avevo certo lo spirito del nomade.

La mia gola bruciava per la sete ma non potevo pensare di farlo ancora.

Sarebbe stato troppo.

La mia ultima vittima era stata una donna.

Ogni sua sensazione mi aveva pervaso completamente, dal fascino che avevo suscitato su di lei, all’inquietudine, al terrore, al dolore lancinante un attimo prima del suo ultimo respiro.

Avevo sentito l’inquietudine farsi strada in lei, strisciante come un serpente.

L’avevo sentita diventare anche mia.

 

Angoscia, disperazione, morte.

Questo portavo assieme a me, nel mio cammino, nella mia vita.

Questa la mia maledizione.

 

Cercai la zona più malfamata della città per non dare nell’occhio.

Quello solo poteva essere il mio posto, tra assassini, delinquenti e puttane. Un piccolo inferno terrestre.

Come se la mia vita già non lo fosse.

Come se questo, dopo tutte le battaglie, potesse spaventarmi.

Come se questo assomigliasse anche solo vagamente al mio inferno.

 

Perché non potevo dimenticare?

 

...

 

Non basta essere coraggiosi per apprendere l'arte dell'oblio.

Un simbolo, una rosa può ferirti. Un accordo di chitarra straziarti.

Nulla può farti dimenticare.

 

...

 

Non sarei mai stato felice.

 

I miei piedi segnarono un breve sentiero in mezzo alla neve e mi sedetti a terra.

Sentii i fiocchi contro il viso picchiettare come tanti piccoli aghi, facendomi socchiudere gli occhi.

 

I miei capelli erano grondanti e un rivolo d'acqua gelata mi scese da dietro un orecchio nel collo.

Gli occhi ormai chiusi.

In quel turbinio di vento e neve nemmeno le lacrime potevano rigarmi le guance. I miei occhi non potevano piangere.

 

Nemmeno un po’ di calore in quel ghiacciaio che mi sentivo dentro.

 

 

Vidi una piccola locanda. Un posto isolato e malfamato. Perfetto per non dare nell’occhio. Perfetto per aspettare la fine della tormenta.

Mi infilai dentro in fretta e mi diressi verso il punto più buio del locale.

Nessuno sembrava avermi notato. Mi sedetti ad un tavolo, lo sguardo basso, cercando di isolarmi da tutto il resto.

Ma, come sempre, era impossibile.

… rabbia … vendetta … ira … desiderio …

… rimpianto … paura …

… amore …

… amore? …

 

 

 

Alzai di scatto la testa in quella direzione.

Non avevo mai sentito quel sentimento. Nemmeno tra Peter e Charlotte, tanto legati tra loro.

Non era così … puro.

Incondizionato. Irrazionale.

 

I miei occhi incrociarono i suoi all’istante.

Oro liquido.

Non avevo mai provato nulla di così irresistibile in più di un secolo di vita.

Sorridendo mi venne incontro, tanto elegante che sembrava danzasse.

Si fermò a pochi centimetri da me e mi guardò fisso.

… Felicità? … Così si chiamava quello che sentivo nascere in lei?

 

Mi hai fatto aspettare, pensavo non saresti più arrivato” disse con sollievo.

... Aspettare? …

 

 

“ Mi dispiace molto signorina”

“ Non importa Maggiore Jasper Whitlock.” Sussurrò timida, con un sorriso, scandendo piano il mio nome.

Come lo conosceva?...

 

Ci siamo già incontrati per caso?” le chiesi confuso.

“ No. Ma io ho sempre saputo che saresti stato tu. So chi sei dalla notte dei tempi. Eri tu nel buio, sei tu nella luce.”

Dolce e rassicurante.

Ma rimasi di stucco a quest’informazione.

Dovevo aver a che fare con una vampira squilibrata. Sicuramente. Che creatura bizzarra.

Capelli corti, scuri. Minuta. Minuscola a dire il vero. Un viso da folletto.

 

 

“ Non mi chiedi nemmeno come mi chiamo? Dove sono finite le tue buone maniere da giovanotto del sud?” mi interruppe ridendo, maliziosa.

Una risata cristallina. Meravigliosa.

 

“ Perdonatemi signorina, qual è il vostro nome?”

“ Alice.” disse in un bisbiglio.

 

… Alice.

Musica. Questo fu per il mio cuore privo di vita.

Se solo avesse potuto, avrebbe ricominciato a battere.

Era felice. Era il primo essere felice dopo più di cent’anni di terrore, angoscia e rabbia cieca.

Chi era? Come poteva provare cose simili?

 

 

“ Sapevo che avresti reagito così ma non pensavo di poterti spaventare!” esclamò.

“ Perdonatemi signorina, sono solamente stanco. Volete sedervi qui con me?”

“ Sì grazie. Ah, so che tenterai di nascondere le tue cicatrici, non è necessario, non mi spaventi.

 

Come poteva aver notato la fitta trama di cicatrici di guerra sul mio corpo col mantello a coprirmi e quel buio? …

Come sapeva che il mio pensiero era di coprirle il più possibile?

Si sedette di fronte a me con un gesto aggraziato e fluido, in un attimo. I suoi occhi continuavano a guardarmi come se fossi stato un vecchio parente, ritornato dopo un lungo viaggio.

Come se sapesse tutto, pensai. E rabbrividii, cosa mi saltava in mente? non l’avevo mai vista prima.

Ascoltai più a fondo. Davvero non c’era paura in lei.

 

 

“ Una signorina come voi, sola, non dovrebbe frequentare posti come questo, soprattutto durante la notte.”

“ Saresti arrivato, lo sapevo.” rispose sibillina.

“ Saperlo?”

“ Sì, l’ho visto. Era così nella mia testa…

… Ecco, una vampira spostata con le visioni!

 

“ … poi mi avresti guardata con un’espressione confusa e mi avresti chiesto cos’ altro avessi visto. Sbaglio?” continuò imperterrita.

“ … no, non vi sbagliate …”

“ Tanto vale parlarne subito di modo da toglierci il pensiero: ho fatto chilometri per arrivare fin qui questa notte ed incontrarti. So tutto di te. So che non ucciderai più e mi seguirai. So che ci sarai. So quello che stai cercando.  Quello che potrai diventare. Quello che sarai per me.”

Ma io non so di cosa…

“ Non interrompermi Jasper. Sei la sola cosa che possiedo. Non ti lascerò scappare. Sei la mia vita, lo sarai. Fidati di me.”

 

Come potevo non darle ascolto? …

Mettere a tacere la speranza che proveniva da lei e poco a poco mi pervadeva completamente?…

Il senso di fiducia da cui mi lasciavo inconsapevolmente invadere.

 

Bellissima. Ecco cos’era questa creatura.

Alice.

 

 

“ Seguimi, voglio farti vedere una cosa.” mi interruppe di nuovo, prendendomi per mano senza preavviso.

Sobbalzai a quel contatto. Non ero abituato a tanta vicinanza con quelli della mia specie, a tanta delicatezza.

Calore. La sua mano morbida a stringere la mia.

Mi condusse verso la porta della locanda, superando vari avventori del locale.

Aprì la porta.

 

Fu come un flash.

 

Conservavo pochi ricordi della mia vita umana a parte la notte in cui Maria mi aveva trasformato.

 

Una mattina, quando ancora ero bambino, mi ero svegliato e il solito paesaggio che vedevo sempre dalla finestra era diventato simile, in una sola notte, a quei biglietti natalizi che si spediscono per le feste.

Non avevo mai visto la neve, non era usuale dalle mie parti.

Ero corso giù per le scale di casa e avevo spalancato la porta.

Estasiato nel vedere il giardino coperto da una coltre di neve immacolata, mi ero bloccato.

 

In quel momento non ero riuscito a muovere un solo passo e a profanare il miracolo, rovinare una cosa tanto bella.

 

Ora, un’altra volta, non era possibile vedere nulla che non fosse interamente coperto dalla neve.

La tempesta si era placata, finalmente.

 

Il solo rumore che si poteva percepire, a volte, era un leggero fruscio e subito dopo un lieve tonfo per quella che, in eccesso, cadeva dalle grondaie, dai cornicioni, dai davanzali delle finestre delle case.

Per il resto regnava il silenzio.

Il silenzio che solo la neve crea, innaturale e unico, che avvolge tutto.

Il silenzio che toglie la parola.

Che ferma le chiacchiere e le sciocchezze di tutti i giorni.

Che isola.

Fa tacere ma dice tutto.

 

 

Di fronte a quello spettacolo dovetti star zitto o avrei sentito la mia voce far eco dentro di me.

Avrei udito, pensai, un'eco nel vuoto.

Mi sentivo vuoto, completamente vuoto.

 

Poi fu un attimo. Quel vuoto fu riempito dal suo amore.

Mi voltai verso di lei che, tenendomi la mano, mi guardava.

Occhi negli occhi.

 

Immensamente Alice.

 

“ Siete l’essere più meraviglioso che abbia mai incontrato nel mio cammino” sussurrai ormai stregato.

Lei si fece più vicina con un passo.

 

Guardai in fondo a quell’oro.

Non sapevo nulla di lei. Né chi fosse né da dove venisse.

Mi fissò, trapassandomi l’anima, sempre che ne avessi una.

Ma il suo sguardo mi disse che sì, ce l’avevo ancora da qualche parte. Sentivo affiorare sentimenti mai provati.

 

“ Sapevo che ti avrei trovato … Jasper … avrei atteso secoli di silenzio per una tua parola .. avrei riconosciuto il tuo volto tra altri mille …” disse a pochi centimetri dal mio viso.

 

 

Si alzò sulle punte dei piedi per arrivare alla mia altezza, mi abbracciò in modo leggero e posò le sue labbra sulle mie.

Un soffio.

 Il tempo di un battito d’ali.

La sua bocca calda come la vita, gli occhi diamanti del mattino.

Ammaliato. Affascinato.

Suo.

Ad un tratto suo. Speranza. L’ombra di un sogno che non osavo immaginare ormai più.

 

 

“ Andiamo, avremo tempo per parlare, camminiamo un po’ …” mormorò sulle mie labbra.

 

Amore.

 

Dentro di me ogni cosa prese posto e riemersi da quel limbo dorato.

Dopo un secolo, pensavo che gli abiti che indossavo fossero ormai sudici di guerra. Che non avrei mai più potuto lavare la mia anima. Che fosse troppo tardi.

Sempre straniero, mai innocente. A vivere una continua violenza. Terribile, perché silenziosa e fredda.

E’ inutile provare a spiegare la crudeltà.

Si finisce per ignorare i propri compagni, uniti nello stesso destino ma tenuti lontani perché, in ogni caso saremmo destinati a perderli.

Morti per espiare colpe che non erano loro. Per ideali inesistenti. Per gli interessi di pochi sui molti.

Morti ovunque, per un fazzoletto di terra che non sarebbe nemmeno bastato a seppellire tutti quei corpi.

 

Dopo un secolo, desideravo solo che fosse la morte a baciarmi, a condurmi lontano.

Senza memoria, senza peccato. Cieco. Forse finalmente felice.

Ma la morte ignora giustizia e non mi avrebbe preso con sé. Nemmeno lei, credevo, potesse desiderarmi.

 

Ma questa creatura …

 

Strinsi il suo esile corpo in un abbraccio, posando le mie mani sui suoi morbidi fianchi.

Nascosi il viso nel suo collo, chinandomi verso di lei, annegando nel suo dolce profumo.

Baciai il suo collo di porcellana, inspirando profondamente.

Mi allontanai un poco, dopo un attimo che era durato un’eternità.

Mi sorrise, felice, e con la punta dell’indice tracciò sulla mia pelle la rete dei miei segni di guerra, guardandoli come se fossero la cosa più bella del mondo. Una scia di fuoco.

Accarezzò la mia guancia e scese con la mano sul collo, fino ai bottoni del mio mantello.

Delicata.  

E semplicemente la seguii. La sua mano nella mia.

Piccola viandante sconosciuta, chi potevi essere se non la donna della mia vita?

 

 

 

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Capitolo 3
*** Just my imagination ***


Eccomi tornata con un nuovo capitolo di My end is my beginning! Finalmente gli eventi mi sono stati favorevoli…

Ringrazio tanto coloro che mi hanno inserita con questa storia tra i preferiti e coloro che mi hanno recensita (troppo gentili!!!!)… continuate a farmi sapere cosa ne pensate, sarà più facile proseguire con le vostre critiche!

Vi lascio ad Alice, un abbraccio a tutti… Stella J

 

 

Just my imagination

 

Cominciava ad essere buio e la luce che filtrava dalle tende era ormai solo quella dei lampioni per strada.

 

Mi alzai, andai in bagno e aprii il rubinetto della vasca.

Lasciai che l'acqua scorresse, mentre mi guardavo allo specchio.

Vidi degli occhi stanchi e un viso che tanti definivano bello. Io non l’avrei mai ritenuto davvero tale.

Mi sfilai la maglia, i pantaloni che indossavo e li lasciai cadere a terra.

Osservai la persona nello specchio di fronte a me. Mi osservai per la prima volta, come se non mi fossi mai vista prima. E davvero non lo avevo mai fatto.

La pelle lattea. I seni quasi inesistenti. I fianchi ossuti. Quasi un corpo di bambina. Esile e forte allo stesso tempo.

 

L'acqua calda al primo impatto mi fece salire un brivido dai piedi fin su per la schiena.

 

Lui mi aspettava di là, nella stanza che avevamo preso in una locanda, paziente. Avevamo l’eternità di fronte.

Quel ragazzo spaventato. Bello e terribile come un dio.

 

Tutti quei giorni di ricerche.

Avevo imparato ad incontrarlo nei sogni che non potevo fare la notte e, durante il giorno, a cercarlo. Come un pellegrino.

L'avevo cercato con lo sguardo, tra la gente.

 

Alcune volte mi era addirittura sembrato di distinguere il suo profumo.

Lo avevo inseguito, alla disperata ricerca di chi già sapevo che non avrebbe potuto essere.

Altre invece avevo premuto il naso contro i miei palmi, contro la mia pelle. L’avevo sentito talmente forte da credere di aver sempre vissuto con lui.

Era rimasto nelle mie mani. Nel mio respiro. Senza che io mai gli fossi stata ancora accanto.

Dolce poesia di ciò che avrei trovato.

...

Mi lasciai scivolare fino a che la testa non si bagnò, lasciando emergere solo il viso.

L'acqua penetrò calda nelle orecchie, gorgogliando. Attutì tutti i rumori che provenivano dall'esterno.

 

...

...

 

Era strano.

Non avrei mai pensato all'inizio di arrivare a sentirmi in questo modo.

...

 

 

Poche ore prima mi aveva dato il bacio più puro che avessi mai immaginato.

C'era in quel gesto un pudore che mi era sconosciuto e che mi affascinava più di quella sensualità che già sentivo nascere.

 

Le sue labbra mi avevano sfiorata, seguendo alla perfezione i miei intenti.

Leggere come ali.

 

Era il bacio che un bimbo avrebbe dato alla sua mamma o al suo papà, ingenuo ed ebbro d'amore al punto da risultare commovente nella sua purezza.

Forse quello era il vero amore.

 

In quell'istante, mentre il pianto mi si era bloccato in gola per la tenerezza che lui mi aveva fatto, quando avevo riaperto gli occhi e mi ero ritrovata nel fondo dei suoi cremisi, avevo capito che da quel luogo non sarei più uscita.

Non avevo potuto vedere nelle mie visioni che una minima parte di quello che realmente avrei provato.

Avevo giurato a me stessa che mai avrei permesso che lui se ne andasse, che sarebbe stato mio per sempre.

Avevo promesso a quel che di creato c'era che non l'avrei mai lasciato.

Sì, anche se fossimo entrati nel buio così. Avevo quegli occhi addosso, quella mano che mi stringeva.

Cosa importava del mondo, della vita che avremmo fatto? Cosa importava se fosse successa qualunque cosa?

Jasper ora era con me. Potevo percepirlo sul letto, seduto, oltre la porta chiusa del bagno.

 

 

Cercai di non barare con me stessa e chiusi la mente, per quanto possibile, alle visioni di ciò che sarebbe accaduto tra noi da lì a poco.

 

Avrei voluto che tutto fosse una sorpresa, come accadeva tra tutte le coppie normali dell’universo.

Ma come potevo …

 

Trois allumettes, une à une allumées dans la nuit

 

… sentii nella mia testa il rumore del mio asciugamano che cadeva a terra …

 

 

La première pour voir ton visage tout entier

 

… le sue mani sui miei fianchi …



La seconde pour voir tes yeux

 

… un bacio sullo sterno …

 

 

La dernière pour voir ta bouche

 

… le sue labbra sulle cosce …

 

… STOP.

 

 

 

 

et l'obscurité toute entière pour me rappeler tout cela
en te serrant dans mes bras.

 

 

Controllando ogni singolo muscolo del mio corpo, uscii dall’acqua, avvolsi il mio corpo in un asciugamano.

Sorrisi verso la donna sconosciuta, cui non ero abituata, che mi fissava allo specchio, rendendomi il sorriso.

 

Finalmente aprii la porta e lentamente mi diressi verso di lui che già si era voltato, ansioso, verso di me.

 

 

 

 

 

 

N.B. La poesia citata è di Jacques Prévert, “Paris at night”, qui tradotta:

Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia.

 

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Capitolo 4
*** Eternal sunshine ***


 

 

 

 

… allora, ecco i risultati della mia insonnia. Grazie alle persone fantastiche che mi recensiscono e ogni volta mi commuovono … davvero. E’ molto gratificante leggere le cose che scrivete e spero continuiate a farlo… I preferiti pure stanno crescendo… SIETE FANTASTICI!!!! Vi lascio a Jasper… ps. La prossima volta Alice … resistete e non abbandonatemi, posterò presto!! Un abbraccio a tutti! Stella

 

 

 

 

 

 

 

 

Mare dentro,

mare dentro,

senza peso nel fondo

 dove si avvera il sogno.

Due volontà fanno avere un desiderio nell’incontro

 il tuo sguardo, il mio sguardo

 come un’eco che ripete senza parole

più dentro, più dentro, fino al di la del tutto,

attraverso il sangue e il midollo …

Però sempre mi sveglio e sempre voglio essere morto

 per restare con la mia bocca sempre preso

nella rete dei tuoi capelli.

 

Tratta dal film Mare Dentro.

 

 

Sobbalzai impercettibilmente quando sentii la maniglia della porta abbassarsi cigolando.

Più tardi avrei associato quel rumore a musica.

 

Poche ore prima ci eravamo incontrati e ora condividevamo per la prima volta una stanza.

Avevamo camminato nella neve, come due persone che si conoscevano da sempre.

Come due amanti ritrovati, per mano, dopo tanto tempo.

Io sentivo le sue emozioni e continuavo a stupirmi, continuavo a non credere fosse possibile che una cosa del genere capitasse a me.

Lei guardava il mondo a testa alta, con la grazia di un adulto e lo stupore di un bimbo.

 

Sono passati tanti anni Alice da quel giorno.

 

Tante notti.

 

Talmente tante da perdersi nel costante fluire del tempo, talmente tante da farmi temere, a volte, di aver scordato qualcosa.

 

Piccolissimo particolare, se ti ho perduto è stato senza cattiveria.

 

 

Alle volte mi fermo, quando sono solo, in silenzio.

Smetto persino di respirare.

E mi sembra di percepire il battito immaginario di un cuore che tu hai saputo restituirmi.

Quel cuore che non batte da più di un secolo.

Quel cuore che hai riempito con tutto l’amore.

Tu, splendida e cangiante.

Chiara e pura come l’acqua.

Cristallina.

Troppo bella, troppo determinata e dolce, troppo entusiasta, troppo.

Semplicemente troppo per me.

Se mi chiedessero cos’è per me l’amore, risponderei che è il cigolio di una porta che si apre.

Il cigolio di quella porta che apristi quella notte.

 

Eri tu, coperta solamente da un asciugamano.

Le spalle, le braccia, le tue gambe brillavano colpite dalla luce della luna che penetrava dalle finestre.

Un miliardo di minuscoli diamanti.

Allungai la mano verso di lei, ferma sulla soglia della stanza, porgendogliela.

Con un sorriso la strinse nella sua, calda e liscia.

Si fece più vicina. Sempre più vicina. Sempre più forte il suo profumo. Sempre più intensa la sua felicità. Il suo leggero imbarazzo. La sua eccitazione.

Seduto sul letto, aprii leggermente le gambe e lei, in piedi, si fermò lì.

Lì dove ho capito di amarla, una rivelazione semplice come respirare.

Si chinò leggermente verso di me.

Un bacio sui miei occhi. Uno sulla fronte.

E poi fu un attimo. Lei, immensamente Alice.

Il fruscio dell’asciugamano che scivolava sul suo corpo. La sensualità di quel rumore.

… il suo viso da angelo … il suo nasino un po’ all’insù … le sue gambe …

… un ventre nudo … i suoi seni chiari …

… il suo corpo nudo davanti a me. Bellissimo, semplicemente.

Si sedette sulle mie gambe e, bottone dopo bottone, con lentezza, slacciò la mia camicia, baciando ogni centimetro del mio corpo che a poco a poco liberava.

Lei nuda e io ancora vestito. Lei sorridente e maliziosa. Io completamente stregato.

Mi alzai prendendola tra le braccia e posandola sul letto, sdraiata.

Davanti a lei, perso nei suoi occhi di topazio, sparsi il resto dei miei abiti sul pavimento. Brandelli di un imbarazzo che ci stavamo lasciando alle spalle.

Mi allungai su di lei, verso quel profilo illuminato nella penombra, un viso sottile e diafano.

Noi dentro una stanza e tutto il mondo fuori. Non c’era nulla da dire. Nulla da spiegare.

Le mie labbra si posarono sul suo collo, salirono sull’orecchio, sulla tempia. Scesero sulla guancia, fino all’angolo della bocca. Passai la mia lingua sulle sue labbra morbide, invitanti ma ancora chiuse, spingendo piano per assaggiare la sua.

La mia mano si posò su un suo seno, coprendolo e accarezzandolo.

Sentivo il suo corpo fremere, quasi tremare al mio tocco.

Mi scostai un attimo, guardando quella meraviglia.

… tenerezza … un sentimento di eccitazione irresistibile che si mescolava al mio e lo moltiplicava …

 

Posai le mie mani sui suoi fianchi, scesi sulla pancia e poi sulle gambe, fermandomi dietro alle ginocchia.

Con una carezza salii lungo le sue cosce.

Lei era lì. Calda, invitante.

Immobile e fiduciosa. Gli occhi chiusi.

Mia.

Per la prima volta in vita mia possedevo qualcosa.

 

“Jasper …”sussurrò.

“…”

 

 “… dov’eri finito per tutto questo tempo?”

“Sono sempre stato qui … è il solo posto in cui desidero stare …” dissi confuso.

“ Non andartene. Baciami. Amami. Adesso.”

 

I tuoi occhi guardarono la mia anima. E mi fecero sentire migliore.

Un bacio. Il fioco chiarore di una camera. Il grande specchio.

Il desiderio che vi nacque. Il mio corpo schiacciato leggermente contro il tuo, senza veli, senza vergogna, desiderosi di incatenarsi. Il tuo respiro dolce sulla mia bocca.

 

E io che ti amo, per quell’istante, brillante, vero come la luce del sole.

 

 

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Capitolo 5
*** Only a prayer ***


Attenzione, capitolo un po’ più esplicito … logico che una, se la notte non dorme e non combina nulla, da qualche parte dovrà pur buttarle le idee malate che si affacciano al suo cervello … eh eh!!

… ma, lasciando perdere particolari recenti piuttosto deprimenti della mia vita sentimentale, sono stata brava (concedetemelo), ho postato presto e sono qui per voi con Alice … leggete e spero non mi uccidiate per la fine del capitolo … promesso, vi aggiornerò presto!!

Come sempre grazie ai preferiti in continua crescita e alle recensioni fantastiche (inutile ripetere che accetto anche critiche costruttive e che le persone che mi scrivono sono semplicemente troppo!!!!! … pensavo di esser demolita e invece siete tutti tanto carini e mi sapete dare fiducia): prima o poi riuscirò a rispondere in modo ordinato a tutti, per ora perdonatemi e, mi raccomando, scrivetemi!! Un bacio gente e buonanotte … Stella

 

 

 

[…]

e il momento che confuta i proverbi, questo,

sibila un mondo nuovo, tra due fianchi

il movimento pieno, trovare

questo incredibile pieno,

e l’attore e l’atto e chi lo riceve

saranno sotto gli occhi: gioca

sogna con tutto il corpo

ora stai cominciando, e non ci sono più notizie,

non c’è memoria, ora spingi, lo sento,

ora premi, ora tu premi, ora

tu stai

venendo.

 

Milo De Angelis, Manovre per l’attimo

 

 

 

 

 

Sentii le sue mani salire lungo l’interno delle mie cosce.

Leggere.

Una carezza dolce e languida.

Le mie dita si allungarono verso il suo collo, intrecciandosi nei suoi capelli.

Le sue mi sfiorarono l’inguine.

Un brivido lungo la schiena, su fino alla nuca.

Il primo brivido di piacere della mia vita.

Avevo paura ma sapevo che tutto sarebbe stato perfetto, che Jasper era perfetto.

Avevo paura della prima volta che avrei fatto l’amore.

Scacciai la paura nei meandri più nascosti della mia coscienza, o Jasper avrebbe creduto che fosse stata causata da lui.

 

 

Osservai il suo corpo muscoloso, la fitta trama di ferite, mute testimoni del suo passato.

Un passato lontano da me, che nemmeno avevo una storia alle spalle.

Non avevo nulla.

Solo lui.

Avevo pregato silenziosa, nelle notti passate in viaggio, divinità misteriose cui nemmeno avrei saputo dare un nome.

Avevo pregato per me, perché lui potesse essere vero.

Avevo pregato che la speranza non mi abbandonasse.

Che fossi in grado di trovarlo.

Non credevo in nulla, eppure avevo pregato, fedele, ogni notte. Ad ogni passo del mio pellegrinaggio.

Non credevo in un dio. Non riuscivo nemmeno a credere in modo convinto in me stessa.

Ma qualcuno mi aveva ascoltata.

Aveva esaudito i miei desideri.

I sogni miei, le mie uniche volontà.

 

 

 

Mi aprì leggermente le gambe, ancora un poco e si infilò in mezzo.

Mi ritrovai schiacciata contro il materasso, col suo peso addosso.

La sua pelle bollente contro la mia.

Il suo sesso turgido premere su di me per entrare.

 

… immagini fugaci, intense, sfrecciavano nella mia testa …

 

Le sue labbra morbide e calde sui miei seni.

Di nuovo le labbra di Jasper, tormentate, appassionate, modellarsi alle mie.

… continuando a premere contro di me …

 

Si allontanò da me, fissandomi negli occhi.

Mi afferrò sotto le ginocchia, facendomi alzare un poco le gambe.

Mi guardò come la cosa più meravigliosa dell’universo, mentre mi sentivo solo la cosa più confusa.

Eccitato.

Incredulo.

Indeciso.

 

“… non avere paura, Alice …” mormorò.

Mi sciolsi, come neve al sole.

Perfetto, ecco cos’era.

 

 

“… così va meglio …” continuò, sentendo le mie emozioni.

 

 

Scivolò dentro di me lentamente, talmente tanto da farmi impazzire.

Potevo sentire ogni millimetro di lui entrare in me, sfregarmi contro.

Una spinta un po’ più profonda.

I suoi occhi infiammati.

Finalmente dentro di me del tutto.

Niente più a separarci. I nostri corpi l’uno contro l’altro.

… affannati, allacciati, innamorati …

… tutto così veloce, caldo, intenso, fugace, forte, appagante, sensuale …

 

… uniti in quel movimento ancestrale

 

… tenerezza, amore, i suoi baci …

 

… intrecciati sul letto …

 

… la volontà di soddisfare il desiderio …

… il desiderio ad un tratto che quella soddisfazione non arrivasse mai …

 

 

“… ti aspetto, Alice … ti aspetto …” dicevi tu con voce roca, rotta.

… un ritmo sempre più veloce …

 

 

… più veloce …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E poi un attimo.

Il tempo di un respiro.

 

La mia schiena inarcata.

I tuoi gemiti.

 

Il piacere dei sensi, di tutti i sensi, oltre la pelle, oltre l’anima, oltre le ossa, oltre ogni cosa.

 

Calore.

In ogni mia cellula.

 

Dentro di me.

 

 

 

 

Ripenso a quei gesti, a quell’istante.

Se mi concentro riesco a sentire ancora il tuo respiro tranquillo, la consistenza della tua pelle, il tuo odore buono.

Il sole che spingeva contro le persiane.

Il rumore del tuo riso quando ti risposi che fare l’amore con te era stato … bello e umido.

Ricordo le voci dei bambini, la vita per strada risvegliarsi piano piano, in quel giorno che per noi proseguì la notte.

Ricordo la polvere volteggiare leggera e impalpabile nell’aria.

Tutto.

Ricordo tutto.

 

 

 

Credo che non poter dormire e sognare sia la condanna più grande per noi.

Una volta non la pensavo così. Vegliare era un modo per avere più tempo, per non perderne.

 

Nella mia eterna insonnia ho attraversato le stanze della mia casa vuota, per la prima volta osservando ogni dettaglio, ogni millimetro.

Ho notato particolari mai considerati.

Oggetti che un tempo mi erano piaciuti, di colpo mi apparivano brutti, squallidi.

 

 

Al termine del mio vagare, poche erano le cose che per me ancora valevano.

Talismani di una felicità avuta o a cui sarei potuta giungere, forse, un domani.

Ma tra loro mancava il più importante.

Il solo che avrei voluto possedere, per donargli felicità e non per riceverne.

...

...

...

 

Ho atteso a lungo.

Mi hai presa per mano. Mi hai colmata di piacere.

Mi hai resa ciò che sono e ti ho donato il mio cuore in cambio.

 

Apro gli occhi e allora, come le altre notti, sogno di te.

 

Nel buio delle mie stanze, questa notte, mancavi tu.

 

 

… Jasper …

… perché te ne sei andato? …

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