Baldur's Gate: Battle and Peace - whitemushroom

di whitemushroom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kivan ***
Capitolo 2: *** Tamoko ***
Capitolo 3: *** Quayle ***
Capitolo 4: *** Anomen Delryn ***
Capitolo 5: *** Bodhi ***
Capitolo 6: *** Gorion ***
Capitolo 7: *** Imoen ***
Capitolo 8: *** Coran ***
Capitolo 9: *** Sarevok Anchev ***
Capitolo 10: *** Keldorn Firecam ***
Capitolo 11: *** Skie Silvershield ***
Capitolo 12: *** Branwen ***
Capitolo 13: *** Montaron ***
Capitolo 14: *** Eldoth Kron ***
Capitolo 15: *** Jon Irenicus ***
Capitolo 16: *** Faldorn ***
Capitolo 17: *** Ellesime ***
Capitolo 18: *** Ajantis Ilvarstarr ***
Capitolo 19: *** Nalia de'Arnise ***
Capitolo 20: *** Edwin Odesseiron ***
Capitolo 21: *** Haer'Dalis ***
Capitolo 22: *** Dynaheir ***
Capitolo 23: *** Hexxat ***
Capitolo 24: *** Tiax ***
Capitolo 25: *** Barristan Firehammer ***
Capitolo 26: *** Special: Wilson ***
Capitolo 27: *** Special: M'Khiin ***
Capitolo 28: *** Special: Corwin Schael ***



Capitolo 1
*** Kivan ***


Nata da una mattinata particolarmente movimentata tra me e Lisaralin discutendo sulla bellezza di questo grandioso videogioco di cui speriamo esca presto una sezione di EFP; abbiamo estratto a caso i nomi dei personaggi giocabili, e vi abbiamo aggiunto anche qualche personaggio non giocabile che però riteniamo fondamentale nella trama. Aggiornerò in maniera sporadica, seguendo l'ispirazione che con alcuni personaggi sembra latitare nella maniera più assoluta. In alcune flashfic potrebbe comparire il mio personaggio, il paladino / cavaliere legale buono Barristan, pronto a riportare il Bene nelle terre selvagge dell'Amn, dove i criceti sono guerrieri spaziali miniaturizzati, i vampiri sanno essere creature dolci e generose e la progenie mortale di Bhaal camminerà tra la gente. Buona lettura!!!

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Personaggio: Kivan
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: Verde andante sul giallo.
Avvertimenti: mieloso. Se siete diabetici girate a largo.


Pireflies

“Sai quante stelle ci sono in cielo?”
Deheriana mi guarda, sorpresa dalla mia domanda. “Non saprei … tu le hai mai contate?”
“Un paio di volte, sì. Ma dopo duecento inizio a perdere il conto”.
“Sei sempre il solito …”
Mi dà una spintarella, e io fingo di cadere a terra con un grido di dolore. Lei mi segue, e rotoliamo un po’ sull’erba finché non ci fermiamo a meno di un braccio dal fuoco; al riflesso della fiamma i suoi capelli chiari si tingono di un colore che nemmeno il più grande pittore di Suldanesselar saprebbe lontanamente imitare.
Ci sdraiamo uno accanto all’altra, la sua mano nella mia. “Facciamo una gara!” propone lei, avvicinandosi a me. “Chi conta più stelle ha vinto! E se vinco io mi devi promettere solennemente che questa primavera mi porterai a Baldur’s Gate!”
Ancora questa storia. Sa benissimo che non sopporto le grandi città.
“Non sono proprio riuscito a dissuaderti, eh? E va bene, ma se vinco io …” non riesco a terminare la frase. Le labbra di Deheriana sono sulle mie, delicate, piccole, fatte per baciare ed essere baciate. Mi riempie di sé e della sua fragranza simile al mirto, mi travolge con un’ondata rovente che non smette finché il mio cuore non si calma e batte all’unisono con il suo.
“Se vinci tu …” mormora lei, restituendomi il fiato “… quello consideralo un acconto. E adesso iniziamo, perché già mi sento in mano il biglietto della Casa delle Meraviglie! Una … due … tre …”
Mi perdo nel cielo stellato.
Il profumo del legno di pino che scoppietta nel fuoco mi riempie le narici. L’odore di Deheriana si mescola a quello dell’erba ancora bagnata per la pioggia di ieri, e poco lontano da noi i passi di una lepre si allontanano come per paura di disturbare la nostra gara. Il terreno mi porta un silenzio innaturale, come se tutti gli abitanti di questo bosco si fossero fermati per un solo istante; o forse sono soltanto io che non riesco a sentire altro che il mio cuore e la sua voce.
“Ottantasette … ottantotto …”
Resto immobile in questo istante, assaporando il lieve pizzicare della mia pelle nel vento fresco. Mi chiedo se anche lei stia sentendo la magia di questo posto. Non riesco proprio a capire come possa amare le grandi città degli uomini, cosa ci trovi di piacevole nel gettarsi in mezzo a quella massa di gente che urla, impreca tutto il santo giorno e odora di pesce e sudore.
Mi rendo conto di aver quasi chiuso gli occhi quando la sua voce mi richiama indietro “… e centodue! Avanti, ti sfido!”
“Temo che dovrai disfare i bagagli …” le sorrido, gustandomi la sua espressione inorridita. “Perché io ne ho contate centotre!
Lei aggrotta le sopracciglia e si siede di colpo. “Stai mentendo!”
“Assolutamente no” sussurro. “Evidentemente non ti sei accorta che ho preso una stella e me la sono messa in tasca!”
Mi guarda come se fossi impazzito, però mi limito a lanciarle un’occhiata di sfida. Corruga la fronte, poi inizia ad ispezionare il mio mantello. Le sue dita armeggiano con la stoffa lacera, e quando sentono qualcosa che non dovrebbe essere lì iniziano a danzare rapidamente sotto i miei occhi. Potrei vivere altri mille anni, ma il mio cuore non potrà mai battere come in questo momento.
“Kivan, tu …”
“Già, temo di aver perso la gara. Alla ventesima stella mi sono addormentato”.
Prendo l’anello e lo faccio lentamente scorrere lungo il suo anulare. La sottile fascia dorata si illumina per le fiamme e per il suo sorriso che fa di me l’elfo più felice del mondo. “Un mio amico, un chierico di Ilmater, mi ha promesso che riuscirà a liberare una sala solo per noi. Ci aspetta il giorno del solstizio d’estate al suo tempio …” mormoro, ma il tempo del mio cuore si è fermato “… a Baldur’s Gate”.
La sua risposta, il suo sorriso, la sua gioia si perdono nella luce.

Mi stringo nel mantello e trattengo il respiro. Rabbrividisco. Cerco di richiamare la figura di Deheriana, ma il fuoco del nostro accampamento improvvisato mi restituisce soltanto delle scintille e delle sottili strie luminose che giocano al ricordo dei suoi splendidi capelli. Accanto a me lo Zhentarim ed il suo amico halfling russano nella grossa, distruggendo la pace di questa notte.
Soltanto io non riesco a dormire.
Domani sarà il solstizio d’estate. Domani entrerò a Baldur’s Gate.
Senza di lei.

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Capitolo 2
*** Tamoko ***





Personaggio: Tamoko
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: verde
Avvertimenti: nessuno


Moonlight Densetsu

Manco il bersaglio. Scaglio una seconda freccia. Lo manco di nuovo.
So che lui sta per arrivare, lascio cadere l’arco e faccio per estrarre la spada, ma lui mi anticipa; al posto dell’elsa, le mie dita toccano il suo metallo. “Siamo distratti stasera?”
Sì. Molto.
Non ho tempo per le lezioni, non oggi. Lui resta immobile, la spada ancora affilata sotto la mia mano; si aspetta che io reagisca, e non lo faccio aspettare. Scarto di lato, allontanandomi dalla sua arma, poi scivolo verso di lui e mi abbasso evitando un suo fendente. Se riesco a raggiungere il pugnale che so che nasconde nello stivale destro ho vinto. L’appuntamento è tra meno di due ore.
Lui capisce le mie intenzioni, lo riconosco dallo scintillare dei suoi occhi, ma non si scosta; si mette in posizione di guardia, con la spada corta davanti a sé, ma posso evitarla. Mi ha insegnato lui come fare, dopotutto. Corro in avanti, lo costringo a difendersi, poi rotolo per terra.
Sguardo fisso sullo stivale.
Quando la lama si abbassa io sono già oltre la sua difesa, aggrappata alla gamba. Infilo le dita tra le stringhe alla ricerca del pugnale, ma non trovo altro che stralci di cuoio rovinato; nell’attimo che impiego a rendermi conto di essere stata beffata, la sua spada mi sfiora il collo. “Che ti prende, Tamoko? Quante volte ti ho detto di guardare prima di attaccare?”
“Tante, nii-san …” rispondo seccata. Stasera ho di meglio da fare che allenarmi in un sottoscala puzzolente.
“Perché ho come il sospetto che questo sia la causa della tua distrazione?”. Allunga la mano fino al mio petto, e solleva leggermente il pendente che ho tenuto nascosto sotto il vestito. Glielo lascio toccare, ovviamente. Un altro si sarebbe ritrovato con tre dita in meno.
Il ciondolo risplende anche alla luce delle tre candele fioche della stanza, stupendo come la mezzaluna che è stata delicatamente cesellata nell’argento; lui la osserva, la valuta, fa scorrere il polpastrello sulle pietruzze chiare che dovrebbero essere le nuvole. Non ho mai avuto un gioiello simile; non tutto mio, almeno. Ne ho sfilati un’infinità dal collo delle nobildonne che affollano passeggiate, e ho anche alleggerito qualche cortigiana dei ricchi doni dei loro amanti; me ne sono passati centinaia tra le dita, eppure non ne ho mai tenuto nemmeno uno per me. Ma questo è diverso. Questo è la mia luna, e solo pronunciare il nome della persona che me lo ha regalato mi fa scattare un sorriso. “Sarevok. Si chiama Sarevok ”.
Storce il naso a sentire un nome gaijin, e fa per protestare quando lo zittisco sollevando un dito. Devo correre a farmi una doccia, o Sarevok crederà davvero che tutte le ragazze di Kara-Tur puzzino come delle giumente. “Lui non è come gli altri, nii-san. È una persona per bene, ha studiato, è educato … e soprattutto è sincero!”
“Tamoko, tutti i maschi sono sinceri con una bella ragazza … prima di essere scivolati sotto la sua gonna. E non crederti che solo perché ti ha regalato un gioiello da qualche centinaio di monete d’oro che …”
Sono questi i momenti in cui vorrei essere figlia unica. “Nii-san, vorrei ricordarti che ho ventidue anni e posso benissimo mandare ai Nove qualsiasi malintenzionato. Sarevok è diverso dagli altri nobili, non è corrotto, non mi guarda dall’alto in basso, tiene sul serio alla nostra storia!” Protesto ed inizio a salire le scale, ma so che qualunque argomentazione non lo smuoverà. Non lo sopporto quando pensa di decidere per entrambi. Quando pensa che il nostro avvenire non potrà mai cambiare e che la nostra massima ambizione sia quella di vivere alla giornata, rubando ninnoli ai nobili, portando il loto nero di nascosto a Baldur’s Gate e sperando ogni minuto che gli occhi invisibili dei Ladri Tenebrosi non si posino su di noi. “Potremmo fare una vita diversa. Tutti e due. Potremmo pagare il debito di nostro padre e poi …”
“Lo frequenti per i suoi soldi?”
“No!” grido, e mi accorgo di avere le unghie piantate nel legno del corrimano. “Certo che no. Soltanto che … quando sono con lui … il mondo mi sembra migliore. È un uomo grandioso, tutto quello che lo circonda è … diverso. E grande. Non è una questione di ricchezze, ma quando mi sta vicino …”
Quando mi sta vicino è la mia luna. Il suo raggio trasforma in argento tutto ciò che l’oscurità nasconde. Vorrei dire, vorrei spiegare, vorrei cantare, ma non trovo nemmeno una parola per spiegare il batticuore che mi travolge quando mi sorride e mi stringe la mano. Sto per chiedergli se è mai stato innamorato davvero, ma sospira e scrolla le spalle. Abbassa gli occhi, ed entra in quel mondo di pensieri e ricordi dove nemmeno io sono sempre la benvenuta; quando ne emerge raccoglie l’arco, incocca una freccia e si prepara a riprendere l’allenamento. “Se ti rende così felice, fai pure. Ma ricorda una cosa, Tamoko …” dice, ed il primo dardo raggiunge il cuore del manichino con un suono secco “… il primo che ti fa soffrire si troverà una katana nella schiena. La mia, per essere precisi”.
E per stasera non posso chiedergli di più.
Scendo le scale, e senza pensare gli lascio un bacio sulla guancia. “Grazie, nii-san. Sei il fratello migliore del mondo”.
Poi corro. Rimane meno di un’ora.
Sono felice. Tanto felice.


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Il portait di Tamoko non fa parte del gioco, ma è opera di un fan

http://artastrophe.deviantart.com/art/Tamoko-366771786

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Capitolo 3
*** Quayle ***





Personaggio
: Quayle
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: Verde
Avvertimenti: nessuno


Beautiful people

Guardano, incuriositi. Sorridono. Ridono. Ed infine applaudono.
Uno scroscio senza fine, un piccolo terremoto che scuote questa tenda vecchia e malandata, proprio come me, uno straccio scolorito su cui si abbattono il sole a mezzogiorno, le piogge battenti e le risate del pubblico. Mi inchino, poi mi levo il cappello e mi esibisco nel mio numero preferito: una colomba si libera in volo e si dirige sopra il pubblico, diretta verso una donna dalla pelle scura e lo sguardo altero, l’unica che applaude pigramente sul sedile più alto e meno illuminato del tendone.
Sotto lo sguardo di tutti la colomba plana ed atterra proprio davanti a quella fanciulla. Pronuncio le parole magiche, schiocco le dita … ed il mio prezioso volatile si trasforma in una cascata di petali rossi.
Il pubblico è in visibilio. La fanciulla è sorpresa, ed anche a questa distanza posso vedere un sorriso curioso, misto a stupore, solcare il suo viso bruno che racconta di sogni, luoghi esotici ed una tristezza quasi senza tempo.
Lo spettacolo è terminato. Il pubblico esce.
Ormai li conosco. Sir Ronald, il nobile cavaliere del Cuore Radioso con Josseph e Nolo, i suoi figli gemelli. Lady Marisa, ogni volta con un accompagnatore diverso. Alea, un’adorabile elfa che ha deciso di abbandonare la guardia di Suldanesselar per diventare un bardo di successo, e trova il nostro spettacolo una fonte inestimabile d’ispirazione. Potrei parlare per ore di ciascuno di loro, soprattutto della tristezza che si portano nel cuore e che cercano di dimenticare sotto questo tendone, incantandosi davanti ai miei giochi di prestigio o alle movenze degli acrobati. Vengono per trovare un sorriso.
Questo Kalah non è mai riuscito a capirlo. Quelle risate lo irritavano, gli applausi gli sembravano niente più che uno scrosciare di mani privo di sensazioni: si era chiuso nel suo castello di illusioni private, unendosi a noi solo perché nessuno avrebbe mai accolto un umile gnomo illusionista se non un altro gnomo illusionista come me. Odiava quelle persone che lo osservavano dalle panche, gridava che erano tutti idioti rammolliti che ci osservavano dall’alto in basso e ridevano di lui.
Io non credo che sia così. Prima di fondare questo circo ho viaggiato a lungo, supponendo scioccamente che i miei anni di esperienza bastassero per farmi comprendere tutto il mondo, e che prima o poi avrei trovato qualche ricco umano o elfo bisognoso della mia saggezza. Solo dopo ho capito che non era il mondo ad aver bisogno di me, ma io di lui. Ho bisogno del sorriso di queste persone, ho bisogno delle loro storie.
Ho bisogno di vederli, di osservare gli abiti multicolori delle dame ed i capelli unti delle contadine, di assaporare l’odore di pesce di Lana ed il fumo che si appiccica sulla barba rossiccia di mastro Cromwell quando esce dalla fucina. Gente diversa, gente incredibili. Persone che ogni sera riempiono questa tenda e creano un caleidoscopio che riscalda il cuore, piccoli frammenti di un meraviglioso rompicapo che non avrei mai immaginato esistesse prima di creare questo tendone e riunire intorno a me persone di ogni razza ed abilità.
Sono felice che Aerie faccia parte di questo disegno. Mi domando dove sia adesso, a cosa stia pensando, se sia felice in mezzo a tutta questa gente. Io sono qui, in questa piccola arena, osservando e felice di osservare; ma lei è giovane, e quando quell’uomo armato di tutto punto che ci ha salvati le ha chiesto di unirsi ai suoi compagni non ho saputo resistere alla sua gioia. Deve imparare a vivere, a cancellare l’orrore delle sue ali perdute, a camminare, correre, ridere, danzare in mezzo al mondo. Ho sempre sognato vederla in mezzo a quella gente meravigliosa.
I miei spettacoli non saranno gli stessi senza di lei, ma finché avrò il sorriso della gente riuscirò a trascinare le mie vecchie ossa fino al giorno in cui Baravar non mi reclamerà.
La donna dalla pelle scura è l’ultima ad uscire. Si tira su il cappuccio, e mi fissa per un’ultima volta.
Porta la rosa davanti al naso, poi esce nel mondo pieno di colori.

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Capitolo 4
*** Anomen Delryn ***




Personaggio
: Anomen Delryn
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Songfic
Rating: Giallo virante sull'arancione
Avvertimenti: è una songfic ispirata da questa canzone. Mi è bastato cambiare una parola o due. Ah, ovviamente non sono riuscita a rispettare i canoni della flashfic, visto che questa storia sfora abbondantemente le mille parole.


Hellfire

My Great Lord Helm,
you know I am a righteous man,
of my virtue I am justly proud!
My Great Lord Helm,
you know I’m so much purer than
the common, vulgar, weak, licentious crowd!


Sono morbide. Perfette. Cerco di oppormi, vorrei fermarmi, trovare un appiglio. Ma non c’è nulla oltre quelle labbra che bruciano più del fuoco di un drago, ed è una fiamma che arde e si insinua ben oltre la mia bocca. La mia armatura mi separa dal suo corpo, alta come uno scudo; ma non riesce a fermare le sue dita, che sono sulla mia testa, sulle guance, nei capelli, dieci serpenti mortali. Faccio per allontanarla, ma invece di scagliarla lontano mi ritrovo a stringerla. O peggio, a desiderarla.

Then tell me, my Lord,
why I see her dancing there?
Why her smold’ring eyes still scorch my soul?


“Baci in maniera terribile, rivvil” mormora, staccandosi dal mio viso. Si passa la lingua sulle labbra. Potrebbe essere la regina di tutte le Succubi. “Dovresti fare molto, molto più esercizio!”
“Viconia, guarda che io ho già …”
“Baciato qualcuno? Qualche casta donzella dal bel vestito fatto delle pregiate sete di Kara-tur? Una di quelle principesse che donano un fazzoletto al prode paladino sul suo bianco destriero?” sorride, ma posso sentire il suo respiro sulla mia pelle. Scivola contro di me. Il suo sorriso malvagio mi scorre lungo la spina dorsale, ed arriva fin . “Forse non hai afferrato la differenza …”
Con entrambe le mani mi afferra la base del collo e mi costringe a guardarla, imprigionandomi nei suoi occhi così chiari contro la pelle dal colore della notte. Mi bacia di nuovo, con violenza, passione, stringe il mio labbro inferiore tra i denti e mi fa sfuggire un suono mai uscito prima dalla mia bocca.

I feel her, I see her,
the sun caught in her silver hair
is blazing in me out of all control!


È Helm che mi dà la forza. Rompo il suo assalto proprio quando i lombi divampano nelle fiamme dell’inferno, e nel farlo i suoi denti tracciano un rivolo di sangue. Il suo sapore dolce sembra risvegliarmi da un incubo. “Non osare tentarmi, drow! Riporta le tue malie lussuriose sotto terra insieme alla tua lurida specie!”
“Oh, il glorioso paladino fa la voce grossa! Deve forse compensare qualcosa che grosso non è?”

Like fire! Hellfire!
This fire in my skin
This burning … desire …
is turning me to sin!


È lì, davanti a me, immonda come tutta la sua specie. Pronta a trascinarmi all’inferno. La pelle mi brucia anche se madida di sudore; lei mi sta guardando e chiamando a sé, i suoi occhi rapaci volano su di me come una preda indifesa. “Allora, che sapore ha il peccato?”
Una risposta mi corre lungo la gola. Una risposta che ancora profuma delle sue labbra.
La ricaccio indietro, perché altrimenti sarei dannato per sempre.
“Orribile …” mormoro. Sussurro. Mento.

It’s not my fault! I’m not to blame!
It is the drow girl the witch who sent this flame!
It’s not my fault! If in Gods’ plan
They made the devil so much stronger than a man!


“È così orribile essere vivi?”
“Non si tratta di …”
“Potresti morire domani, rivvil. O dopodomani, non lo so! Il figlio di Bhaal è davvero risoluto a voler cacciare quel drago rosso dal suo nido, e non credo che la tua bella armatura luccicante possa proteggerti dal soffio di Colui che Danza nel Fuoco”. Ritrae lo sguardo, i suoi artigli azzurri, ma trattengo il respiro. Si siede su una roccia, mimetizzandosi nelle tenebre e con la luna stessa, e tutto il suo corpo è un meraviglioso arco che aspetta solo la mia freccia. “Potrebbe essere la tua ultima notte … io ti sto solo proponendo un modo proficuo per impegnarla”.
“Le tue parole cadono nel vuoto, drow. Ogni notte potrebbe essere l’ultima!”
Sorride, e il vento traditore mi porta tutto il suo profumo. “Allora festeggiamo ogni notte, rivvil! Accendiamo il nostro fuoco, e lasciamo che i respiri della notte giungano fino a Shar come inni alla sua grandezza!” Si passa una mano tra i capelli, quasi con noncuranza, ma le sue dita mi sembra che scorrano su tutto il mio corpo. “Servi pure Helm sotto quella fastidiosa luce del giorno. Ma la sera … gioisci con la Signora della Notte in attesa che il giorno venga di nuovo. Il piacere attraversa molte vie …”

Protect me, My Lord,
don’t let this woman cast her spell,
don’t let her fire sear my flesh and bone!
Destroy that drow, and let her taste the fire of Hell,
or else let her be mine and mine alone!


No.
“Se pensi che percorrerò la via del peccato, drow, ti sbagli di grosso!”
No.
Helm, no.
“C’è una sola via per te, strega. E porta ad una pira nel quartiere governativo di Athkatla!” Indietreggio di qualche passo, ed è come se la malia si sciogliesse. La vedo irrigidirsi, e lo scudo di Helm si frappone tra me e quel demone dalla pelle scura. Sento la Sua spada nelle mie parole. “Avvicinati di nuovo a me e ti legherò di persona a quel palo di legno! Te ed il tuo caro stregone rosso!”
Scivola dalla sua posizione. Nella lussuria del suo sguardo si è aggiunta la vampa dell’odio. “Come vuoi, Anomen! Ma se tra una guardia e l’altra hai di nuovo bisogno di me … sai dove trovarmi!”
“Scordatelo! E non osare mai più rivolgerti a me in modo così familiare!”
“Oh, scusami … Sir Anomen!”

Hellfire! Dark fire!
Now, drow, it’s your turn:
choose me or your pyre,
be mine or you will burn!


Il tiefling non la smette di cantare in quella sua strana lingua. Mi guardo intorno cercando un sasso da tirargli contro, ma i miei occhi rimangono fissi sulla figura demoniaca che scivola nelle ombre, lontana da me.

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Poteva essere scritta meglio, ma non posso farci molto. L'idea era venuta ed era meglio scriverla subito. All'inizio pensavo di usare come protagonista Ajantis, perché è un personaggio su cui non ho affatto idee e sembrava un buon modo per inserirlo in una storia, ma le prime righe della canzone sembrano proprio uscite dalla spocchia di Anomen, quindi ho optato per lui.

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Capitolo 5
*** Bodhi ***




Personaggio
: Bodhi
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna


... nothing like the sun

Chiudo gli occhi e la vedo. Chiudo gli occhi e sento la sua inconfondibile risata mescolata al cinguettio degli uccelli.
Le piace arrampicarsi. I suoi ricordi sono pieni di alberi dalle foglie gialle e rosse, di stalle, di mura piene di crepe su cui si diverte a salire sia di giorno che di notte, pensando solo a come apparirà in quel momento la cittadella di Candlekeep davanti ai suoi occhi. Le dicono di scendere, che finirà per cadere, ma lei non ascolta altro che la brezza leggera nei capelli rosa ed i battiti del suo cuore.
Mi siedo su una lapide, cercando di fare ordine in questi ricordi che non mi appartengono; non credevo che l’anima di quella figlia di Bhaal fosse così potente, che il suo pensiero potesse toccare il mio anche se quella ragazzina sta probabilmente marcendo a Spellhold.
Bruciano.
La testa mi fa male. Questo Valen non deve saperlo.
È notte, ma nel ricordo è pieno giorno. Corre nel pascolo fuori dalla cittadella, i suoi piedi scivolano sull’erba secca, ormai gialla; il sole le riscalda la pelle ed i piedi scalzi, e lei avanza tra i cespugli ed i rovi, supera un montone anziano e sfugge persino al cane pastore. Ride, ride senza fermarsi, e non si ferma nemmeno quando guarda indietro. Non è sola.
“Cosa c’è, muoviti!” grida, mostrando la lingua al ragazzo dagli occhi chiari che sbuffa per tenere il passo. Ha qualche anno più di lei ed i muscoli sono tesi sotto la pelle lucida per lo sforzo di riuscire a starle dietro. “Vedi cosa succede a passare le ore studiando con Gorion? Sei diventato un topo di biblioteca!”
“Possiamo … possiamo fare una pausa, Imoen?”
“Certo che no! Non sei tu quello che vuole diventare un cavaliere, sconfiggere mostri, salvare principesse e tutte quelle belle cose? Glielo dici tu al drago possiamo fare una pausa?” ride, mimando il tono spossato del ragazzo che considera come un fratello maggiore. “Muoviti, o non arriveremo nemmeno al tramonto!”
Torna indietro sui suoi passi e lo prende per mano. Riesco quasi a sentire quella pelle ruvida sotto le mie dita che ormai conoscono solo il gelo della morte ed il calore del sangue; se chiudo gli occhi posso essere io stessa quella ragazza a cui ho sottratto l’anima, posso sentire il respiro affannato del mio compagno proprio sul collo ed il sole d’estate che riscalda la mia pelle come un manto infuocato. Sotto di me non ci sono più le lapidi, ma un’erba secca che mi graffia i piedi. Inspiro lentamente, incuriosita da questo ricordo dei figli di Bhaal: forse è qui ciò che stavo cercando.
Il ragazzo sorride verso di me, e le labbra di Imoen gli rispondono a loro volta in un’espressione che l’altro deve trovare davvero divertente.
Sono io che non rido. Sono trascorsi anni dall’ultima volta che l’ho fatto. C’era il sole, di quello ne sono sicura.
C’erano anche due fratelli, due elfi che trascorrevano giornate intere appoggiati all’Albero della Vita per sentire il potere vibrare nella sua robusta corteccia e poi nei loro corpi immortali; lei parlava di tutti gli stupidi corteggiatori che venivano a chiederle la mano, lui mimava i vecchi saggi che gli dicevano di rallentare e frenare il suo incredibile e meraviglioso potenziale. Ricordo i loro visi chiari e luminosi, ma le parole scivolano via man mano che un velo di tenebra scende su quelle immagini mentre la luce volta loro le spalle. Tutto si fa freddo e cristallino, e per quanto io possa allungare la mano verso le figure congelate nella mia memoria mi accorgo che il mio cuore non batte, non vibra, non piange, non ride. Non grida nemmeno di riavere indietro ciò che gli è stato strappato.
Ma può andare avanti. Può andare avanti anche se la luce che lo accarezzava si è trasformata in una lama rovente, perché la notte ha tracciato per lui una nuova strada. Guardo un’ultima volta la figlia di Bhaal, baciata dal sole.
Jon è convinto che prima o poi uscirà da quella prigione e verrà da me per riavere indietro l’anima che le ho preso.
Per me non ci sono problemi.
Prenderò anche la sua vita, e mostrerò al sole un bel cadavere sorridente. Chissà se questo mi potrà ridare un po’ di gioia …

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Una calorosa stretta di mano a chi riconosce la citazione del titolo (e no, non vale cercare su Google). Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Gorion ***




Personaggio
: Gorion
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments.
Rating: Giallo
Avvertenze: contiene informazioni ricavate da ToB. Appena ho visto la scenetta in questione non ho saputo resistere di scrivere qualche cosa sull'argomento.


Melodies of life

“Alianna!”
Come siamo giunti a questo? Come ho lasciato che accadesse?
“Alianna, ti supplico, fermati!”
Mi guarda, meravigliosa mentre le fiamme divorano il tempio. I suoi occhi azzurri adesso riflettono il potere del fuoco, e quando una colonna crolla proprio alle sue spalle non accenna a muoversi, in piedi davanti all’altare su cui spicca il grande teschio d’oro. La ferita alla gamba inizia a pulsare. Fino a qualche attimo prima nelle mie orecchie c’era il fragore della battaglia, degli incantesimi lanciati contro le sacerdotesse nella speranza di fermare il loro piano, la voce di Dermin Courtierdale che sprona tutti a non arrendersi in nome dell’Equilibrio… ma adesso c’è soltanto silenzio. Ed il pianto di un neonato.
“Che sapore ha la verità, Gorion? Cosa credi di ottenere adesso da me?” sorride, mentre il crepitio delle fiamme diventa un odioso sottofondo alla sua voce. Vorrei cancellare quelle parole, vorrei che il tempo si fermasse. O anzi, che tornasse indietro, che la clessidra si voltasse per restituirmi tutti quei momenti felici che il sogghigno del teschio sembra rubare dal mio petto mentre una lama brilla tra le sue mani. “I tuoi amici che arpeggiano sono arrivati troppo tardi. Tu sei arrivato troppo tardi! Pensi davvero di fermarmi in quelle condizioni?”
La coscia mi brucia, ma so benissimo che non si sta riferendo a quella. Non ci separano che una manciata di passi, ma non riuscirei a colmare quella distanza nemmeno se le mie gambe fossero quelle di un gigante del fuoco. Un passo causerebbe la rovina di entrambi.
Il bambino piange, disteso sull’altare. Ed i granelli della clessidra continuano a scendere. “Alianna, quello che stai facendo è una follia! Non puoi farlo davvero, è tuo figlio!”
“Appunto”.
Non è lei.
Non può essere lei.
Non può appartenere a lei questa voce, la stessa che mi sussurrava …
“Nessun sacrificio sarà più grande. Il potere di Bhaal scorre nelle vene di questo bambino, e sarò io la prima ad offrirlo al nostro signore. Lui tornerà, unico e divino, e diventerò la sua prima sacerdotessa! Amelyssan scomparirà dai suoi favori una volta per tutte!”
“SMETTILA!” grido, e la cenere dell’aria mi graffia fin nella gola. “COME PUOI PARLARE IN QUESTO MODO? COME PUOI DISTRUGGERE LA VITA CHE TI E’ PIU CARA AL MONDO? RISPONDIMI, ALIANNA!”
“Questa è la via di Bhaal. La morte dell’amore”.
Forse l’amore è morto davvero.
Ma credevo potesse vivere in eterno. Credevo che potesse vivere in quel bambino meraviglioso, che ho aiutato personalmente a far uscire dal ventre della madre e che mi ha stretto il dito nella sua minuscola mano. Credevo che potesse vivere nel sorriso di quella strana sacerdotessa dai capelli biondi conosciuta per caso in una notte d’estate, quando le stelle sussurravano le melodie della vita. Credevo di poter creare qualcosa di unico per quell’amore, delle mura per crescerlo, dei libri per coltivarlo, avevo lasciato che la clessidra del mio cuore girasse in avanti, sempre in avanti.
Anche adesso gira in avanti. Le mie dita reagiscono prima ancora degli occhi. I Dardi Incantati lasciano la mano e saettano oltre lo spazio, oltre noi. Quattro la colpiscono al petto, cogliendola di sorpresa; uno raggiunge la mano che stava per piantare il coltello del corpo del bambino, e l’arma cade a terra con il suo clangore metallico. Il corpo di lei lo segue.
Salgo i gradini incurante del dolore. Vorrei voltarmi da un’altra parte, fingere che la clessidra non stia girando per me, ma i miei occhi si poggiano sul suo viso su cui è dipinta un’espressione di odio che nemmeno lo fiamme potranno più cancellare. È ancora bellissima.
E il bambino piange. Non smette.
Forse non smetterà mai.
Il suo corpo è circondato da un’elaborata serie di rune tracciate col sangue sull’altare, ma il rito non è stato completato ed il teschio d’oro è freddo, come se il suo sguardo ormai sia volto altrove. Dermin sostiene che i figli di Bhaal dovrebbero comunque essere sterminati tutti, perché sono una minaccia per l’Equilibrio; le profezie di Alaundo non hanno mai sbagliato.
Non ha tutti i torti, e lo so.
Ma la creatura stringe di nuovo la mano intorno al mio dito ed abbozza un sorriso con le sue minuscole labbra, ed in fondo … chissene importa dell’Equilibrio!

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Su Gorion avevo due fanfic in mente, entrambe comunque ambientate durante la distruzione del tempio delle sacerdotesse di Bhaal per mano degli Arpisti. Ho scelto questa perché è stata la prima a venirmi in mente e perché volevo parlare dei sentimenti di Gorion (che in ToB non vengono nominati, ma se ne accenna in BG 1 e volevo creare un ponte tra le due versioni), ma anche la seconda mi ha stuzzicata fino all'ultimo; forse quando avrò finito tutta la lista la scriverò, oppure cercherò di riciclarla per un altro personaggio.
Ovviamente anche questo titolo è una citazione. Un po' tirata per le orecchie, ma mi è sempre sembrato un titolo meraviglioso e da qualche parte volevo inserirlo; pensavo a qualche bardo, ma mi sembrava sprecato per Eldoth.
L'immagine del capitolo non è originale della serie ma è tratta da questa fanart, che attualmente è la mia preferita su Gorion.

Ah, prometto solennemente che la prossima storia sarà un po' più allegra, mi rendo conto di aver scritto solo mattonate!

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Capitolo 7
*** Imoen ***




Personaggio: Imoen
Genere: Comico, Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertenze: ambientato anni dopo la saga dei Bhaalspawn. Tutto origina da una lunga serie di dialoghi deliranti tra Neera e Imoen.


Pink and red

“Va bene, ripassiamo il piano …” sussurra Neera appoggiandosi allo stipite della porta.
“Ehm … ti ricordo che non abbiamo un piano …”
Un uomo esce dalla stanza accanto, totalmente nudo. Viene nella nostra direzione barcollando come se avesse ingerito tre pinte di birra –ma a giudicare dall’alito direi anche cinque o sei- ma prima che possa rivelare la nostra presenza lo silenzio con un incantesimo. La bocca gli si impasta e cade a terra, e dopo nemmeno un minuto una delle cortigiane del Diadema di Rame esce dalla stanza da letto e lo riaccompagna gentilmente dal luogo dove è venuto. Nel corridoio torna il silenzio.
La mia amica ha l’orecchio incollato alla porta e mi fa un cenno affermativo. Mi avvicino alla serratura e faccio per scassinarla, ma lei mi allontana. “C'è un solo modo per aprire una porta!"
Mi butto a terra appena la sua mano si illumina di rosso, sapendo che trovarsi vicino a Neera quando si immerge nella sua magia selvaggia non è la cosa più intelligente da fare. La palla di fuoco esplode contro la porta che si carbonizza all’istante in una nuvola di fumo nero e scintille; non faccio in tempo ad alzarmi in piedi che la mia amica è già entrata con un salto. “EDWIN ODESSEIRON, SEI IN ARRESTO!”
E fu così che svegliammo tutta la taverna …
Entro nella stanza cercando di respirare il meno possibile, e quando mi porto accanto alla mia compagna di avventure cerco di non ridere alla vista dello sguardo a metà tra lo sbigottito ed il furioso della nostra vittima che ci fissa dal letto mentre la sua compagna di lenzuola –una ragazza dalla lunga chioma nera- rotola per terra nascondendosi dietro una cassapanca. Neera punta il bastone nella sua direzione, e mi fa un colpo di tosse per ricordarmi che è il momento della mia battuta. “L’Ordine delle Bellissime e Potentissime Maghe dai Capelli Rosa è venuto fin qui per punirti dei tuoi crimini!”
“Ma guarda chi si rivede, la maghetta selvaggia e la figlia di Bhaal in persona (non si può più nemmeno andare in un bordello in santa pace al giorno d’oggi …)” borbotta portando le mani in alto. Il suo tono è sempre pungente nonostante gli anni, ma la sua voce trema un po’ per l’indecisione. O la sorpresa. Sono sette mesi che gli diamo la caccia. “Immagino siate qui per quella questione degli esperimenti sui maghi selvaggi. Beh, sappiate che non c’entro nulla con quella storia (o quasi, ma suppongo che spiegare a questi due babbuini la differenza tra suggerire un paio di test e eseguirli vada oltre i limiti della loro intelligenza …)”.
Tanto dicono tutti così. Tutti scaricano le responsabilità a qualcun altro, tutti rimandano alle autorità superiori, al grande enclave dei maghi rossi, a chiunque abbastanza potente da sfuggire alla nostra organizzazione. Negano, nascondono, tradiscono i loro compagni, più passa il tempo e più i maghi di Thay mi danno il voltastomaco con i loro modi viscidi ed il denaro che fanno scivolare tra le tasche di un consigliere e l’altro per coprire i loro sporchi esperimenti. Per questo io e Neera abbiamo deciso di cambiare le cose a modo nostro, senza coinvolgere mio fratello o gli altri nostri vecchi compagni di viaggio –certo, l’Ordine sarebbe molto più vasto se Neera non avesse deciso che tutti i membri debbano tingersi i capelli di rosa- in nome di qualcosa che è difficile spiegare se non vi si passa attraverso.
La notte, quando chiudo gli occhi, sento ancora gli incantesimi di Irenicus su di me, i suoi occhi, il modo in cui mi guardava quasi come fossi nulla più di una cavia mentre in sottofondo riecheggiavano altre urla senza corpo, le voci dei prigionieri di Spellhold a cui tutto veniva sottratto. In quel momento avrei dato l’anima perché qualcuno venisse a prendermi, fossero state anche due ragazze strampalate dai capelli rosa e nessun piano in mente.
Io sono stata fortunata.
“Inutile negare, Edwin!” tuona Neera, ed in quel momento il suo bastone si illumina di mille piccole sfere scintillanti. “Preparati ad un bel viaggetto di sola andata, Telana ha già preparato il comitato di ricevimento! Un bel processo è proprio quello che ci vuole per la tua faccia di bronzo!”
Il mago di Thay fa per sollevarsi dal letto e buttarsi a terra, ma l’attimo successivo tutta la stanza è illuminata da una luce chiara ed accecante, che non ha nulla a che vedere con i normali incantesimi di teletrasporto. Mi ritrovo con la faccia sul pavimento della stanza per la seconda volta negli ultimi cinque minuti e già sto per festeggiare con la mia compagna quando mi accorgo che la sua figura è sparita. Non un lembo di vestito, nemmeno un capello svolazzante o bruciacchiato. Al suo posto trovo soltanto una pianta non più alta del mio palmo.
Un cactus.
Rosa.
Con tanto di sottovaso.
“Ehm … Neera?”
Non riesco nemmeno ad avvicinarmi alla pianta che Edwin raggiunge la porta con solo un salto –come avrà fatto a rivestirsi in quei pochi secondi di tempo lo sa soltanto Elminster- ed imbocca l’uscita in uno svolazzare di tunica scarlatta. “Sempre sia ringraziata la magia selvaggia!” lo sento gridare, ma l’attimo successivo anche i suoi passi sulle scale di legno della locanda non sono diventati altro che lievi scricchiolii e nascondono qualsiasi altro brontolio. Prendo in mano quello che resta della mia compagna d’avventure e per tutto ringraziamento mi pungo anche un dito. “E come al solito toccherà a me spiegare tutto ad Adoy …”
Piccoli incidenti di tutti i giorni per l’Ordine delle Bellissime e Potentissime Maghe dai Capelli Rosa.


 

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Capitolo 8
*** Coran ***




Personaggio: Coran
Genere: Introspettivo, Comico, Missing Moments
Rating: giallo virante sull'arancione
Avvertenze: nessuna, a parte aver sforato qualsiasi limite di lunghezza-


Overwolf

Ascolto il suo respiro con attenzione, tuffandomi nel buio della stanza di questa squallida locanda di Waterdeep. Il suo corpo nudo è stretto al mio, nascosto sotto le lenzuola ruvide e ancora impregnate del nostro odore; mi muovo leggermente tra una piega e l’altra mentre il fiato di Lanfear è sempre più profondo e sta guidando la sua padrona verso sogni di miele, danze e piacere. E di me, chissà.
Scivolo giù dal letto e mi rivesto senza fare alcun rumore: alcuni pensano che sia soltanto la mia natura elfica a rendermi così silenzioso, ma evidentemente non sanno che nel tipo di vita che pratico io quello che conta di più è l’esperienza. Le donne hanno un odioso sesto senso quando si tratta di gente che si muove accanto al loro letto.
La nottata non è stata delle migliori, ma devo ammettere che da quando ho conosciuto lei tutte le altre donne sono troppo alte o troppo basse, troppo grasse o troppo piatte, ed i modi bruschi e l’alito impregnato di birra rendono Lanfear un’amante mediocre, una distrazione in cui immergersi solo perché ha qualcosa di molto, molto interessante e non è ciò che nasconde tra le gambe.
La sua sacca è lì, per terra, proprio accanto al corpo addormentato. Trattengo il fiato e mi accuccio sulle assi di legno, controllo una terza volta il suo respiro e poi la mia mano scivola nel contenitore di cuoio fino a sentire la rassicurante forma di un sacchetto pieno zeppo di monete d’oro avvolto con cura in un involucro di stracci per non far sfuggire nemmeno un tintinnio.
Un’idea degna di me, lo ammetto.
Quante ce ne saranno? Cento? Duecento? Sicuramente abbastanza per comprare quella bella collana d’oro che starebbe benissimo sul collo di …
“Chi è Safana, tesoro?”
Qualcosa mi stringe il polso, ed il sacco con il suo prezioso contenuto rotola a terra in barba alla segretezza. D’istinto estraggo il pugnale con la mano libera e affondo in avanti, ma un dolore mi sale lungo l’altro braccio e perdo la presa sull’arma rovinando a terra. Cerco di sollevarmi, ma come risultato vengo scaraventato a terra con l’orripilante certezza che ciò che sta stringendo il mio polso come una morsa è la mano di Lanfear. Un barbaro mezz’orco sarebbe più delicato. “Credevo fossi innamorato di me, Coran”.
“Ehm … come dire …” quello era il momento di una bella battuta. O di una qualche frase intelligente che mettesse in crisi la donna. O di una scusa plausibile. Ne aveva inventate più di quante sapesse contare, ma mai in situazioni così estreme come una stretta mortale e la sensazione che qualcosa stia andando per il verso storto. “Credo … che ci sia stato un malinteso, io …”
“Non te lo ripeterò un’altra volta. Chi è questa Safana? E cosa ci fai con le mani nei miei soldi?
Maledizione alla mia linguaccia. Aveva ragione quell’elfa Arpista quando mi disse che prima o poi mi avrebbe messo nei guai.
Ed ovviamente, proprio quando mi serve, la mia linguaccia a bella posta decide di appiccicarsi sul pavimento della bocca e far uscire dalle mie labbra solo qualche suono inarticolato, che ovviamente non basta per trattenere la sua furia. Per un attimo ho come l’impressione che le unghie della sua mano stiano diventando più lunghe e taglienti.
“Un vero peccato, amore mio. Se non posso averti tutto per me …”
L’impressione si trasforma in un’atroce certezza, perché l’attimo dopo le sue ginocchia si piegano e la schiena massiccia –ma come poteva pensare che facessi sul serio con un corpo sgraziato come quello?- si arcua. China il viso verso di me, e se prima di questa nottata aveva ancora qualche lineamento umano questo sparisce per trasformarsi in un muso allungato che mi fa rimpiangere l’alito pieno di birra di cui mi ero lamentato fino a qualche istante prima. Anche perché quella che spunta dal retro delle sue gambe è palesemente una coda. “… potrei comunque impiegarti come spuntino …”
Normalmente in queste situazioni mi chiedo per prima cosa quanto idromele io abbia ingerito ieri sera, ma per qualche strano motivo il dolore che adesso è salito fin sulla spalla mi suggerisce di non pensare a questi dettagli e di concentrarsi su cose più urgenti. Tipo portare tutti gli arti lontano da questa stanza nei prossimi trenta secondi. Continua a stringere, forse i suoi occhi gialli stanno pregustando come gustarsi il mio braccio una volta che l’avrà strappato dal resto del corpo; sono quasi a terra quando la mano libera incontra l’unica possibilità di salvezza.
“Mettiamola così, Lanfear …” mormoro, sapendo che non avrò una seconda possibilità. “Non sei esattamente il mio tipo!”
Le monete d’oro impattano proprio sul suo muso. Il licantropo manda un verso, impreparato alla mia reazione, e per sicurezza le scaglio di nuovo un altro po’ di quel ben di Helm proprio contro gli occhi. Ulula come se qualcuno le avesse pestato la coda, ed è il mio momento. La sua stretta si allenta il tempo necessario per scivolare da quella posizione, rialzarmi e gettarmi contro la finestra. “DETESTO LE DONNE PELOSE!”
Atterro nel fango del vicolo in un’esplosione di pezzi di vetro. Ho fatto bene a scegliere una stanza al primo piano.
Lanfear manda un verso così profondo che richiamerà tutte le guardie della città, e per il momento la cosa più importante è correre il più lontano possibile da quella pazza scatenata e cercare un modo per lasciare Waterdeep prima che riesca a mettersi sulle mie tracce. L’unica consolazione è che in tutta questa storia posso mettermi una mano in tasca e trovarla un po’ più piena di ieri mattina, perché non potevo mandare sprecato tutto quell’oro. Safana avrà la sua collana, ed io avrò … beh, avrò pur diritto alla mia ricompensa, no?

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Capitolo 9
*** Sarevok Anchev ***





Personaggio: Sarevok Anchev
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon.
Rating: giallo
Avvertenze: il nome della madre adottiva di Sarevok è di mia fantasia.


Son

Un colpo. Un secondo colpo, poi un grido ed infine un ultimo colpo. Dovrei andarmene di qui, se Rieltar sapesse che sono entrato di nascosto nella sua ala privata della villa … ma le mie gambe sono come inchiodate, bloccate dalle grida disumane che sento oltre la massiccia porta di quercia che mi separa dal mostro.
Poi la porta si apre, e per quanto sappia benissimo chi è la figura che ne sta uscendo mi accosto contro una parete, tuffandomi nelle ombre. Ma non posso ingannare Edya troppo a lungo.
“Sarevok, che stai facendo qui? Non dovresti essere a letto?”
Cerca di nascondere il pianto nella sua voce. Lo fa sempre quando si trova in mia presenza. Ma anche nella debole penombra del corridoio riesco a vedere la sua mano scivolare sul viso, quasi a coprire i segni che quel bastardo le lascia addosso. Ma io li vedo. Le sue esili spalle si stringono, perché sa che la sto guardando e questo non avrebbe mai voluto che accadesse; viene verso di me, e le nostre mani si trovano.

“Perché non te ne vai via di qui?”
Alla domanda Edya fa un sorriso triste e china la testa. I suoi capelli color rame sono bellissimi, e quando accende la candela accanto al mio letto risplendono di una luce meravigliosa che fa sparire anche quella che nasce dalla sua collana d’oro. Il suo viso scintilla per l’unguento che il chierico le ha portato, ma non riesce a celare i due lividi viola che sono sbocciati sotto il suo occhio destro e che lei prova nervosamente a nascondere passandoci davanti ora l’una, ora l’altra mano. Cerco di guardare altrove, so che le faccio del male, ma non ci riesco come vorrei. "È … complicato. Quando sarai più grande lo capirai, tesoro mio”.
“Ma io sono già grande! Ho undici anni, ed il maestro Winski ha detto che non ha mai visto nessuno usare la spada bene come me! E continuo a non capire perché non te ne vai, Rieltar …”
“Non Rieltar”. Mi corregge, e prova a sorridere mentre i suoi occhi piangono. “Padre”.
No.
Quello lì non è mio padre.
Gli piace farsi chiamare così, questo lo so, gli piace sentire il suono di quella parola da me e contemplare il mio sguardo adorante mentre mi mostra le ricchezze della “nostra” famiglia e gli uomini che si uccidono semplicemente per un suo ordine o per raccogliere al volo le briciole che cadono dalla tavola del signore del Trono di Ferro. Gli piace ricordarmi su che gradino ha messo me, il piccolo orfano dalla forza straordinaria che senza di lui non sarebbe nulla, e quello adora ricordarmelo più di ogni altra cosa quando lo accompagno in carrozza per le strade di Baldur’s Gate e mi indica i bambini che chiedono l’elemosina. Una volta ha dato ordine di calpestarne uno sotto gli zoccoli del cavallo. Mi ha sorriso per tutto il pomeriggio.
Edya mi rimbocca le coperte e fa scivolare una mano tra i miei capelli. Anche lei non è la mia vera madre. Ma la sua voce è così bella e le sue mani così gentili che ogni tanto me ne dimentico, soprattutto quando facciamo delle battute sulla barba del maestro Winski e su tutti quegli ambasciatori grassi e viscidi che visitano questa villa praticamente ogni giorno. Viene sempre a vedere i miei allenamenti, e dice che un giorno sarò il suo cavaliere, il più potente di tutti, più forte di qualsiasi paladino dell’Ordine del Cuore Radioso. Non ho mai capito perché abbia sposato Rieltar.
“C’è una cosa che devi capire, Sarevok. Una cosa che anche i grandi sapienti spesso non riescono a cogliere” mormora, quasi in risposta ai miei pensieri. “Le donne fanno cose molto stupide quando sono innamorate” .
Si solleva dal letto, e si accomoda le pieghe del vestito prima di chinarsi su di me. Le ho già detto una volta che ormai sono grande per queste cose, ma stasera il suo bacio sulla guancia mi fa stranamente piacere, anche se è umido delle sue lacrime. “… e poi se me ne andassi sarei costretta a lasciare qui la cosa più bella che gli dèi mi abbiano lasciato”.
Ci sono tante cose che adesso vorrei dirle.
“Non diventare come lui, Sarevok. Non diventarlo mai”.

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Capitolo 10
*** Keldorn Firecam ***





Personaggio: Keldorn Firecam
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon.
Rating: Giallo
Avvertenze: ambientato anni dopo Throne of Bhaal.


Winds of Winter

La luce scintilla lungo il costone di ghiaccio, un fascio abbagliante degno della grandezza di Torm. Gli ultimi raggi del giorno dipingono nella neve delle figure rosa che danzano nel vento gelido, si riflettono sulle nostre armature e volano fino alle vette più alte dei Picchi del Sogno. Tra poco calerà la notte, ed il freddo che già scivola sulle nostre schiene diventerà un gelo implacabile che si farà beffe delle pellicce di lupo o di orso ed entrerà nelle nostre bocche fino a giungere al cuore. I guanti di Lord Ryan non sono bastati a proteggere le mani consumate dagli anni, e adesso due dita sono sepolte chissà dove nella neve. Oltre il vento e il ghiaccio non c’è altro che un bianco senza fine, ma non posso farmi illusioni.
I giganti stanno aspettando, e sanno.
Sanno che siamo pochi. Non abbastanza per resistere alla loro furia.
Le mie dita cercano Carsomyr, e la gemma rossa incastonata manda un calore piacevole attraverso tutta l’elsa. Ma forse è soltanto un’illusione. Ne studio la forma, sento le decorazioni leggere sotto il mio palmo, cerco il potere dei draghi di cui tanto i bardi hanno cantato, anche se mi risponde soltanto il freddo che mi stringe polmoni e dilania quelli dei miei compagni.
Questa spada è nelle mani sbagliate. Quello tra le mie mani è un misero tepore davanti alla luce che sprigionava quando il figlio di Bhaal la impugnava contro lich, draghi e Occhi Tiranni, un bagliore che al mio sguardo era il segno della differenza tra gli dèi e gli uomini.
È stato lui a portarmela nemmeno due mesi fa, alla vigilia della mia partenza. Gli anni iniziano a toccare anche il suo viso, eppure non sono nulla rispetto alle rughe intorno ai miei occhi. Avrei voluto chiedergli di venire con noi in ricordo dei vecchi tempi e nel nome del Cuore Radioso, ma non ne ho avuto il coraggio: la sua maga selvaggia è sparita per l’ennesima volta, e leggevo il suo nervosismo mentre riempivamo di buon idromele i nostri boccali.
Non abbiamo rievocato i tempi andati, né i combattimenti schiena contro schiena davanti a torme di orchi o le fiamme dei draghi mentre cercavano di prendere le nostre vite col fuoco e con le zanne.
Abbiamo parlato dei nostri errori. E di Ajantis.
Nella vallata i giganti si preparano. Le loro voci scuotono le vette, un grido di battaglia fa scivolare una lastra di ghiaccio poco lontano dal nostro accampamento, ed una cascata di schegge sale davanti ai nostri occhi mentre riempie il passo innevato che ci separa dagli invasori. Sappiamo tutti e sei che i rinforzi dell’Ordine non arriveranno prima di tre giorni.
“Lord Keldorn …” mormora il chierico Vemen, forse l’unica persona più anziana di me. “Ha preso in considerazione l’idea della ritirata? Lathander insegna che c’è onore anche per chi indietreggia, e voi non lo fareste certo per mancanza di coraggio”.
“Qui non si parla di coraggio. Si parla di fare il proprio dovere fino alla fine. Se i giganti dovessero raggiungere i villaggi oltre le montagne non potrei mai perdonarmelo. Ho commesso abbastanza errori nella mia vita, Vemen” mormoro accarezzando l’elsa dorata “… non credo che sarei in grado di sopportarne altri”.
Era mia la spada che trafisse il petto di Ajantis. Ed erano mie le mani che la estrassero in preda al panico quando i lineamenti dell’orco che avevo abbattuto in nome di Torm si trasformarono in quelli del mio apprendista sfigurati dalla smorfia di dolore proprio mentre l’incantesimo delle colline di Windspear portava via da me il suo ultimo sguardo. Potrei combattere i giganti per tutta la vita, ma le loro spade non cozzeranno mai con la stessa forza di quel giorno che ancora adesso mi sembra di sentir rimbombare nel fondo della mia mente quando la terra annuncia l’avvicinarsi dei nostri nemici.
Nessuno di noi abbandonerà questo passo. Forse perché tutti abbiamo qualcosa di amaro nel profondo del cuore, qualche fantasma che ci insegue quando chiudiamo gli occhi o lanciamo occhiate di sfuggita a questa landa desolata. Nessuno chiede, perché in fondo tutti sappiamo.
I giganti iniziano a suonare i loro corni.
“Alla battaglia! Senza rimpianti!”

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Capitolo 11
*** Skie Silvershield ***




Personaggio: Skie Silvershield
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Canon.
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna

Heavy Rain

“Che c’è, la piccola principessa vuole tornare a casa?”
Sì. Voglio tornare a casa. Le parole di quell’uomo continuano a rimbombarmi nella testa, cariche di tutto lo scherno che il suo sorriso può caricare; dopo aver scagliato a terra la sua arpa sono uscita fuori, quasi senza respiro.
Piove.
A quest’ora Walla avrà già dato disposizioni alle cameriere per la colazione di domani, e mamma sarà a letto chiedendosi quanto ancora dovrà aspettare il ritorno di papà. Forse stasera hanno mangiato il coniglio, quello che Rick cucina così bene, e magari l’odore sarà arrivato fino alla mia stanza vuota.
L’unico odore di questa piccola città –Beregost, credo si chiami Beregost ma ormai non sono sicura nemmeno di quello- è il tanfo che esce dal bordo della strada, dove l’acqua che scende senza sosta si mescola al letame delle vacche e crea dei rivoli marroni che serpeggiano proprio nell’angolo che ho scelto per ripararmi, l’unico con un semplice residuo di tettoia in fango che riesca a reggere la furia dell’acquazzone. Ho freddo. Il mantello è bagnato fino all’ultima fibra, e più che un conforto sembra una mano fredda che mi si stringe intorno al corpo.
“Sono una stupida. Una vera stupida” mormoro tra le labbra, quasi a cercare conforto nel sentire la mia stessa voce sopra la pioggia battente. Solo una stupida avrebbe abbandonato di nascosto la villa dei propri zii, rubando un cavallo dalle stalle per partire in cerca di avventure. Ma nemmeno la più stupida delle stupide sarebbe partita con solo una manciata di monete d’argento nel vestito, convinta di poter vivere di piccoli furtarelli e di un po’ d’ingegno.
Un gatto mi passa vicino, anche lui alla ricerca di un riparo. Sembra il mio piccolo Miele, ma è molto più magro ed ha il passo veloce. Provo ad acchiapparlo, a stringerlo a me per trovare almeno un po’ di calore in quella forma pelosa, ma per tutta risposta quello soffia, mi graffia e salta giù dalle mie braccia tuffandosi in un vicolo.
Papà dice sempre che un Silvershield non piange in alcun caso, men che mai davanti a qualcun altro; ma non c’è nessuna figura intorno a me, nessuno che possa distinguere le mie lacrime dalle gocce di pioggia. E allora piango, piango perché ho fame e perché sono la più stupida ragazza di tutta Faerûn. Un rombo di tuono sovrasta l’istante successivo. Copre ogni cosa, anche i passi che vengono nella mia direzione, e quando mi accorgo che qualcuno è entrato nel mio spazio vitale mi ritrovo con il polso intrappolato in una mano che non lascia vie di fuga. “Adesso bellezza tiri fuori duecento monete d’oro e mi ricompri l’arpa, altrimenti …”
Provo a liberarmi, ma scivolo nel fango e mi ritrovo per terra, la mano sinistra ancora prigioniera della sua. Il suo alito puzza di birra ed idromele, e gli occhi sono lucidi, coperti da una sottile patina rossastra. È ubriaco. Non ho idea di come le parole riescano ad uscire ancora dalla mia bocca senza trasformarsi in un unico suono inarticolato, forse la paura di quello che potrebbe farmi …
“Io … adesso non le ho, davvero, io …” il suo sguardo è così orribile che me lo sento nello stomaco. “… te ne darò il doppio, promesso! A-anzi, il triplo! Devo solo tornare a casa e …”
“Tsk, lo dicevo io che eri una piccola principessa fuori dal suo bel castello. Che c’è, volevi provare l’ebbrezza della vita di noi poveracci?”
Sì, sono solo una piccola principessa così stupida dal rimanere in silenzio davanti alla sua accusa. Vorrei dirgli cosa vuol dire rimanere confinata nella stessa casa per giorni, uscire solo con una coppia di guardie, sapere che i propri genitori hanno una lista di nomi dei migliori nobili della città con cui programmare il mio matrimonio, il non poter mai saltare su un cavallo e galoppare, galoppare lontano con il vento nei capelli. Potrei gridare, ma continuo a piangere. Questo non gli impedisce di abbandonare la presa. “Ammesso che sia vero quello che dici … che ricompensa mi aspetterebbe se ti riportassi a casa? Non hai la faccia di quella che …”
Non termina la frase; deve aver letto la luce nei miei occhi, il mio cuore che ricomincia a battere. “Tutto quello che vuoi! Mille, duemila monete d’oro –dico, quasi come se un raggio di luce avesse appena riscaldato la giornata- ma ti prego, puoi riportarmi a casa?”
“Veramente avevo in mente un’altra ricompensa …”
È un attimo. Mi strattona per il polso con una forza incredibile per un uomo della sua stazza, e le mie labbra rimangono intrappolate tra le sue non appena cerco di rimettermi in piedi e trovare l’equilibrio. Vorrei che fosse un caso, ma la sua mano mi guida la testa ancora in avanti ed il bacio si approfondisce in una maniera … strana … Posso sentire l’odore di birra fin nei polmoni. Una parte di me, le mie spalle cercano di opporsi a quell’invasione, ma le gambe rimangono immobili piantate nel fango. “Sfortunato chi ti si sposa, principessa!” sogghigna mentre riprende fiato. “Baci in maniera terribile! Da dove vieni?”
“Da Baldur’s Gate …”
Il cuore inizia a battere senza sosta, come se tutti i tamburi dei nani stiano suonando contro il mio petto. Se papà sapesse anche solo lontanamente che …
“Baldur’s Gate? Eccellente! Abbiamo tre giorni per fare pratica!” mi libera il polso, e per un istante il volto sembra meno minaccioso. Ma forse è soltanto colpa della pioggia. “Allora, quando partiamo, sua altezza?”

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Capitolo 12
*** Branwen ***




Personaggio: Branwen
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Canon.
Rating: verde
Avvertenze: non credo che questa storia riuscirà a comunicare qualcosa agli altri. L'ho scritta soprattutto per me, immaginando cosa sarebbe sucesso al mio party di BG 1 una volta terminate le avventure del videogioco. Era qualcosa che ho sempre voluto raccontare, cercando di dare una forma a dei personaggi che non ne hanno avuta. Siete liberi di dire che questa storia non è un gran che. Ah, ovviamente anche il titolo è una citazione.

Precious Time, Glory Days

“Mia signora, siamo pronti a salpare”.
Mi mancava il mare. Sotto i miei piedi il familiare rollio mi trascina leggermente in alto e in basso, come l’abbraccio di una madre.
Il cielo è sereno, ma il viaggio fino alle isole Norheim è lungo e l’inverno sta arrivando. I gabbiani sono già migrati a sud, lontani dalla stretta gelida che ci attende al ritorno a casa, quella morsa che imprigiona le navi in una morsa di ghiaccio che sottomette persino il mare. La pelliccia mi attende sotto coperta, ma per il momento preferisco sollevare le braccia e lasciare che la tunica si impregni dell’odore del porto di Baldur’s Gate, della sua gente e del grog che un marinaio della Lanterna Rossa sta bevendo chiaramente lontano dagli occhi del suo capitano.
In fondo è questo l’odore dei sogni.
Sogni che si sono infranti all’Isola dei Ghiacci, dove sono stata costretta a fermare Andris e Beyn con queste mani. Il gelo di quel posto aveva fiaccato persino persone valorose come loro, guerrieri che avevano conosciuto i miei stessi scogli ed avevano visto lo stesso mare crescere con la luna e velarsi di gelo durante l’inverno. Nell’isola dei cristalli Tempus è stato chiaro, e devo tornare a casa.
L’equipaggio mi osserva, i loro occhi un misto tra paura e reverenza. Nessuna donna di Norheim ha mai evocato il fulmine di Tempus. Ma del resto nessun sacerdote del mio villaggio ha mai visto uomini combattere contro demoni e dèi, né hanno mai ascoltato le grida di un dopplegänger che si finge un bambino straziato per attirare le sue vittime in una trappola senza ritorno. Tempus mi ha offerto la gloria in ogni istante e la sua forza è entrata nelle braccia dei miei compagni: è grazie a lui che sono diventata qualcun altro, una donna diversa da quella che ha lasciato le isole per cercare la fede e la gloria. Quella donna ha trovato ciò che cercava, e adesso i gabbiani salutano il suo riflesso invece di posarsi sulle forme pietrificate in cui è rimasta prigioniera per mesi.
So cosa ho rischiato.
“Qualcuno sta andando via senza salutare?”
Mi volto.
Non avrei mai creduto di sentire ancora quei passi. Due stivali forti che calpestano la passerella con tutta l’intenzione di fare più rumore possibile, ed il sottile scivolare di piedi che saltano sul sartiame ed atterrano proprio al mio fianco.
Yeslick ha la sua immancabile pipa, forse l’unica cosa di lui che non mi è mancata. “Fammi indovinare, hai deciso di rinchiuderti su quei quattro scogli del nord e non scrivere nemmeno una letterina ai tuoi amici?”
“I miei giorni di gloria sono finiti” dico, osservando Kivan che abbassa il cappuccio e mi guarda al di sopra dei suoi tatuaggi azzurri. Non ha mai sorriso dal giorno in cui ci siamo incontrati, e non credo che inizierà a farlo adesso. “Sono una vera sacerdotessa di Tempus, adesso. Il mio posto è casa”.
“Per il martello di Moradin, questa sì che è una vera sciocchezza. Come se Tempus gliene importasse qualcosa di sentire le tue preghiere in un tempio solitario o in un bel campo di battaglia!” grida facendo voltare tutto l’equipaggio. L’alito ha lo stesso sapore di birra dell’ultima volta che ci siamo lasciati. Si pianta a gambe larghe sul ponte ed incrocia le braccia. “E poi sono convinto che Tempus non ti farebbe mai tornare a casa quando ci sono degli amici in pericolo!”
“Cosa …?”
Kivan mi si avvicina. “Abbiamo ricevuto una lettera da una nostra vecchia conoscenza col brutto vizio di arpeggiare. Non chiedermi come ci siano riusciti, ma Imoen è stata portata a Spellhold dagli Stregoni Incappucciati e il nostro comune amico è partito lancia in resta con Neera cercando di salvarla, e da quel che sembra hanno già messo sottosopra mezzo Amn senza nemmeno invitarci a far baldoria”.
L’Amn.
A migliaia di leghe da qui.
“E dunque io e orecchie-a-punta ci stavamo chiedendo se ci avresti potuto dare un passaggio fino a Brynnlaw e dare a quei due testoni il comitato di benvenuto! Per poi magari raddrizzare qualche torto qui e lì …” dice, e so benissimo qual è l’espressione che adesso si sta riflettendo nei suoi occhi scuri. “Pare che anche lì abbiano i loro problemi, pirateria, prostituzione, insomma hanno proprio bisogno che qualcuno li prenda a calci nel sedere e insegni loro la forza di Tempus!”
Ho sempre adorato il riflesso della luce del sole sulla sua barba rossiccia; è una luce calda, vera, che riesce a portare il tepore del fuoco anche nel cuore di una tempesta. Il vento soffia, gonfia le nostre vesti e porta un odore diverso, privo del freddo invernale. Il profumo del legno di casa si trasforma in un’aria carica di sale che mi scende fin nella gola e fa scivolare una piccola lacrima dai miei occhi.
Cerco il consiglio di Tempus, ma non devo guardare oltre. Devo sentire.
E credere.
C’è una luce meravigliosa, ed il vento soffia verso sud.

Branwen, Yeslick e Kivan raggiunsero Brynnlaw quando ormai era troppo tardi. Il figlio di Bhaal aveva già salvato Imoen dalla prigione di Spellhold, e quando i tre misero piede sull’isola la sua nave era già sprofondata nei fondali dell’oceano ed il suo gruppo si stava districando la le lotte intestine dei nobili Sahagin. Ma non si persero d’animo e decisero lo stesso di fare la loro parte, e poi ancora, ed ancora, ed ancora lontano da lì. La leggenda del figlio di Bhaal riempie le arpe di tutti i bardi, ma non sono pochi quelli che raccontano di un’umana, un elfo e un nano che viaggiarono insieme per rendere la Costa della Spada un luogo migliore.

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Capitolo 13
*** Montaron ***


 




Personaggio: Montaron
Genere: Introspettivo, Fantasy, Missing Moments. Canon.
Rating: arancione
Avvertenze: questa fanfic è caratterizzata da più turpiloquio del previsto per dare meglio il punto di vista del personaggio. Purtroppo Montaron non è famoso per essere un esponente dell'Accademia della Crusca.

 

“And death will come on wings of song,
a song of long and winding guile,
and in the end your end I wend,
and in the end a harp will smile!"


Bloody Harp

Cip cip cip.
Cip cip cip.
Cip cip cip
un CAZZO!
La finestra è aperta, e non mi stanno guardando. Becco la mano della donna che mi sta riempiendo la vaschetta di mangime e attraverso la stanza con tutta la velocità che possono darmi queste fottutissime ali; cerco l’aria, muovo l’aria, respiro l’aria perché la via di fuga è ad un tiro di sasso da me e posso uscire, DEVO uscire e giuro che quando riavrò due gambe e due braccia diventerò davvero la morte distruttrice di …
Il dolore è fortissimo. Mi attraversa tutto, dalla punta delle ali alla coda. Invece di gridare dalla mia bocca esce solo un pigolio e precipito sul pavimento mentre la magia è ancora all’opera. Fa male, cazzo, fa male ma penso che potrei sopportare ancora un po’ di questa scarica elettrica pur di non vedere la faccia gigantesca e sorridente di Galvarey torreggiare su di me. Vorrei riavere delle gambe solo per dargli un calcio dove se lo ricorderà per le prossime cinque generazioni, a lui e a quella bastarda della sua amica Lucette.
Riesce a tenermi in una mano, provo a beccarlo e vorrei prendergli le ossa, ma il massimo che riesco a fare è provocargli un po’ di solletico. “Il nostro amico non ha ancora capito la sua posizione, suppongo …”
“Poco collaborativo con due gambe, poco collaborativo con due ali” risponde lei. Odio il suo sorriso. “Ma credo che questo sia l’unico modo per far capire a quello Zhentarim che ficcare il naso dei nostri affari è un’idea pessima idea”.
Puah, come se questo potesse far desistere Xzar! È stata sua quella fottutissima idea di farmi infiltrare nella roccaforte di questi dannati Arpisti, e se lo conosco bene –e lo conosco- adesso starà da qualche parte rosicchiandosi le unghie immaginando qualche strampalato piano per avere lo stesso le informazioni che ha bisogno. Un piano che ovviamente fallirà, visto che non lo metterò in pratica io!
E di certo il grandissimo figlio di puttana non si preoccuperà di venirmi a riprendere.
Ma non posso rimproverarglielo. Se gli Arpisti avessero catturato lui … col cazzo che avrei rischiato la pelle!
La finestra si richiude per un soffio di vento.
Galvarey si avvicina alla voliera –ed ho la ferma impressione che anche quei due merli ed il cardellino che si agitano tra i rami in origine non avessero un becco e le penne- e fa per chiuderla alle mie spalle quando l’altra lo ferma e mi afferra prima che io riesca a sgranchirmi di nuovo le ali. Mi tiene in mano e fa scivolare le dita all’altezza del petto e poi del collo, e per quanto cerco di farle capire con una beccata che desidero vederla agonizzare nel suo sangue il becco incontra un guanto resistentissimo, forse imbottito di metallo. Lei mi guarda e ride di nuovo.
“Siamo a corto di becchime, Galvarey. Lo Zhentarim ha già fatto la sua mossa”.
“Cosa dice Rylock?”
“Pare che il necromante abbia chiesto aiuto a qualcuno che conosciamo fin troppo bene. Qualcuno che porta il marchio di Bhaal nel petto” mormora. Il suo tono di voce si riduce ad un sibilo. “Lo ammetto, non avevo previsto che avrebbe cercato di recuperare il suo minuscolo amico. Credevo che si sarebbe accontentato del nostro avvertimento. Ma si è esposto, e questo rende il nostro piano ancora più facile”.
Che cosa????
XZAR E’ PIU IMBECILLE DI QUANTO PENSASSI!!! L’HO SEMPRE DETTO CHE SENZA DI ME NON SAREBBE IN GRADO DI PULIRSI GLI STIVALI DA SOLO!!!!
E poi … sta davvero cercando di tirarmi fuori di qui?
Questo …
Galvarey sospira. “Immagino che tu abbia un piano, Lucette”.
“Assolutamente. Per il momento uno scontro frontale con il figlio di Bhaal sarebbe fuori discussione, quindi la cosa migliore è fargli trovare quello che vuole. O quello che pensa di volere. L’importante è che alla fine tutto torni a vantaggio dell’Arpa. Pensa alla faccia dello Zhentarim quando scoprirà che il passerotto che gli arriverà dalle mani del suo campione nasconderà una … come dire … sorpresina …”
Puttana. Riprendo a beccare, ancora più forte, a costo di fracassarmi il becco. E se sotto la pelle del guanto c’è del metallo giuro che lo fracasso, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia! Se non mi stringesse le ali sarei davvero tentato di scoprire come fa un bulbo oculare quando una zampetta con gli artigli ci plana dentro e lo spappola. Non le faccio nulla ma non importa, NON IMPORTA, e la cosa più odiosa di questa situazione è che mi sto persino preoccupando per quel CRETINO SUCCHIA-UOVA!!!!
“E di questo ladruncolo impiccione che ne facciamo?”
“Te l’ho detto, Galvarey …” Puttana. Puttana. Puttana. “… siamo a corto di becchime”.

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Capitolo 14
*** Eldoth Kron ***


 



Personaggio: Eldoth Kron
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon.
Rating: verde
Avvertenze: contiene informazioni su alcuni avvenimenti tratti dalla trama di BG 2 EE. Se non volete spoiler questa storia non fa per voi.


Silence

Ah, finalmente un po’ di silenzio!
La taverna di Trademeet è piena di gente come al solito, c’è persino un bardo da quattro soldi che strimpella qualcosa su un liuto, un paio di avventori stanno già alzando il tono della voce … ma in fondo c’è silenzio. Qualunque cosa può essere chiamata “silenzio” davanti ai piagnucolii di Skie.
Erano diversi anni che non venivo in questa città; adesso le cameriere non si siedono più sulle gambe degli avventurieri per arrotondare la paga, e quella a cui rivolgo un sorriso va a nascondersi nelle cucine. Gli avventori non parlano più di carestie e fame, ma un paio di ciccioni alla mia destra non fa altro che dissertare sulla capacità d’acquisto delle monete d’oro e la qualità di non so quale strana spezia proveniente da Calishman.
Skie lo troverebbe persino interessante.
Stupida oca.
La birra nera, grazie al cielo quella non è cambiata! Già al terzo sorso la sua voce lamentosa sembra un ricordo sbiadito; e per quanto non mi sembra di vedere cameriere interessanti non credo che nella città del commercio avrò difficoltà a trovare un po’ di compagnia per stasera. Cielo, andrebbe bene persino quella grassona sdentata vicino all’uscita, purché stia zitta.
“Per un boccale di birra potrei essere io la tua compagnia, amico!”
Mi volto di scatto, come se qualcosa avesse pizzicato il cervello. L’uomo che mi si siede accanto non è esattamente il tipo di compagnia che avevo in mente: due occhi grandi, velati rosso, mi osservano al di sopra di un viso emaciato con una barba scomposta che non vede una lama da almeno quindici giorni. Puzza di idromele. E di magia.
Una delle combinazioni peggiori che io conosca.
“Chi ti dice che io stia cercando qualcuno?”
La sua voce è impastata, simile ad una carta continuamente stropicciata. “Perché … l’ho visto!”.
“E dove, sentiamo …”
“Come se potessi spiegare la magia selvaggia. La magia selvaggia non si spiega, non si studia, la si accetta per quello che è”. Il tanfo viene anche dal suo abito, una tunica viola stropicciata in più punti. Un tempo sarebbe stata una veste piuttosto costosa, ma ormai non è altro che un cumulo di stracci. “Oggi puoi essere un uccello, domani il più potente dei Deva. E la settimana dopo guardi sul fondo di un boccale di birra e vedi cose che avvengono in un altro continente. O vedi cose che si svolgono accanto a te che le tue orecchie non hanno voglia di ascoltare ed i tuoi occhi di vedere”.
“Uff, credo sia impossibile non sentire Skie …” mormoro. Guardo dall’altra parte, cercando di far capire a questo tizio che la sua conversazione mi ha stancato. Magia selvaggia … puah, tutti i maghi sono dei selvaggi. Ho passato troppi mesi con uno Zhentarim pazzo ed uno stregone drow intraducibile. Tutta gente senza un briciolo di senso pratico.
Infatti a Skie stavano simpatici.
Skie …
Al diavolo, sto pensando ancora a quell’idiota viziata! Lei e la sua stupida fissazione di volere una casa, una famiglia e tutte quelle patetiche stronzate! Se dipendesse dal suo cervello di gallina tutti i soldi che ho accumulato in una vita finirebbero in quattro mattoni in questa noiosissima città, in una patetica bottega e in un marmocchio urlante. Mi ha rotto le scatole per fuggire dal suo palazzo per poi impuntarsi a vivere in un posto fisso, prendere la mia libertà e strangolarla con una catena; credevo amasse il vento tra i capelli ed un cavallo rubato sotto le gambe, ma sembra che non sia riuscita ad annegare il suo comportamento da principessina insopportabile.
Vorrà dire che mi godrò in un altro modo il mio denaro e …
“Non lo fare!” grida la spugna al mio fianco. Il suo tono di voce è alto, e qualche avventore alza persino la testa. “Non per denaro. Non lo fare”.
“Senti, vuoi piantarla di …”
“No. Sei tu che devi piantarla. Piantarla di credere che la ricchezza sia la cosa più importante nella vita. Piantarla di credere che l’amore sia soltanto un passatempo di cui disfartene alla prima occasione. Io l’ho fatto, sai? Ho barattato la donna migliore del mondo per una montagna di monete d’oro, un bel negozio ed una vita come la volevo io. E sai una cosa? …” sussurra, ed il rosso nei suoi occhi sembra quasi sparire.
Fa freddo. All’improvviso.
“… adesso sono uno degli uomini più ricchi di tutta Trademeet. Ricco abbastanza da comprarmi tutta la birra di questa dannata città. Anche tutte le puttane da qui ad Athkatla” mormora, poi si alza e tira un respiro profondo. Guarda il boccale vuoto e per un istante lo sguardo si addolcisce e perde tutto il rossore. “Ma nemmeno tutte le ricchezze di Waukeen possono cancellare gli occhi di Telana che mi fissano quando chiudo le palpebre. A quanto pare nessuna pozione può farmi dimenticare …”
Chissà se è vero. Il pianto di Skie si riaffaccia, più pungente di prima. Non c’è più quel bellissimo silenzio.
Adesso mi sembra anche meno bello. Dannazione.
Vorrei tirare il mio boccale vuoto all’uomo che mi ha guastato la serata, ma del mago improvvisamente non c’è più traccia.

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Capitolo 15
*** Jon Irenicus ***


 




Personaggio: Jon Irenicus
Genere:: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon
Rating:: giallo
Avvertimenti:: non sono troppo soddisfatta di come è scritta. Un'altra stretta di mano virtuale a chi indovina il titolo.


Stop the clocks

Non è un mattino come tanti. Non lo è mai quando sono con lei.
Respiriamo insieme, aspettando che i nostri sospiri siano uno l’eco dell’altro, come due danzatori che provano e riprovano i loro movimenti senza mai fermarsi, il suo braccio steso sul mio petto mentre tutto il corpo giace premuto contro il mio torace.
Ieri notte è stata bellissima. Migliore di tutte le altre. Non come la nostra prima volta, quello no, ma di sicuro ci siamo andati davvero vicini, nei suoi capelli c’era tutto il profumo di Suldanesselar ed è stato mio, soltanto mio. Per un attimo le foglie degli alberi fuori dalla nostra stanza sono state più potenti di quelle dell’Albero della Vita e adesso il mondo è perfetto, mi volto e davanti a me c’è il suo meraviglioso sorriso. Nessuno ci interrompe, nessun cortigiano viene a reclamare le attenzioni della regina, i suoi occhi non vagano sul soffitto pensando alle centinaia di impegni della giornata dove certamente io non sarò contemplato: sono solo per me, e quando ci stringiamo le sue labbra mi cercano fino ad unirci di nuovo in un piccolo mondo di carezze, respiri rapidi e centinaia di baci che non smettono di approfondirsi.
“Ti amo, Joneleth” sussurra quando per un istante le nostre labbra si separano per riprendere fiato. “Ti amerò per sempre”.
“Per sempre …?”
“Ma certo. Per tutta la vita”.
Per tutta la vita è un termine piuttosto impegnativo. Sotto le dita la sua pelle bianca è più liscia di quella di una driade; conosco ogni palmo di quel corpo, l’ho esplorato in questo letto e nei miei sogni, come se tutta la perfezione di Faerûn fosse racchiusa nel mio palmo. Per tutta la vita vuol dire che questa pelle diventerà fango e foglie appassite che cadranno anche al mio respiro, una distesa grigia priva di forme; vuol dire che questi capelli non giocheranno più con la luce del sole, ma racconteranno solo di un tempo lunghissimo ed inesorabile che nemmeno la lunghissima vita degli elfi può ingannare.
Non riesco ad immaginarla così. Ci ho provato migliaia di volte, ma nella mia mente lei è sempre perfetta, luminosa, la sua bellezza rimane inalterata come se il tempo si fosse dimenticato di lei o si fosse fermato apposta per non guastarla. “Bugiarda”.
Le sue ossa sono incredibilmente fragili; la mia magia la scaglia contro la parete ed una scia di sangue corre contro il muro mentre il bellissimo corpo si accartoccia senza nemmeno un rumore. Ulene, Elyme e Cania entrano nella stanza in un battito di ciglia e la portano via prima ancora che possa rivolgere loro la parola; sanno bene che non devono sostare in questa stanza più del necessario, soprattutto quando la loro magia ha fallito per l’ennesima volta.
Non provo nulla.
Assolutamente nulla.
“Allora è vero che giochi ancora con le bambole!”
Detesto quando questa stanza viene violata, specie quando il suo profumo viene superato dall’odore di morte che manda quel corpo in decadimento. Non faccio esplodere Bodhi con una palla di fuoco perché è l’unico vero alleato che ho … e forse perché non è soltanto lei a portare la morte nella carne e nel sangue, qui dentro. “Prima o poi ci riuscirò. Non posso certo pensare che escano perfette repliche al primo tentativo. Tutto tornerà come un tempo, te lo garantisco”.
“Tempo?” sibila lei. Sta per sputare sul tappeto, ma quando mi porto ad un passo dal suo viso bluastro riprende fiato e mi osserva con quel suo sorriso che mi dà solo il voltastomaco. “Noi non abbiamo più tempo, Jon. Ed è stata proprio la tua amata regina a portarcelo via, se non te lo sei dimenticato …”
No, certo che no. So benissimo da dove viene il freddo che mi stringe lo ossa come una morsa, lo stesso che imprigiona i battiti del mio cuore al giorno in cui lei ci ha maledetti e mi ha privato dell’anima. Vorrei odiarla, entrare nel laboratorio, far esplodere tutte le capsule e non lasciare nulla di quegli incantevoli corpi, lasciare che tutta la mia magia bruci all’inferno il suo viso stampato nelle repliche, ma …
“Ho fatto portare il figlio di Bhaal nelle segrete. Spero che tu inizi a lavorarci al più presto” sogghigna Bodhi, e con un unico salto si porta fuori dalla stanza causando un urlo tra le driadi. “Non troverai in queste bambole ciò che hai perduto, Jon”.
Questo lo dici tu. Lo dici tu che non hai mai sentito la sua luce, respirato la sua aria, ascoltato la sua voce mentre alza canti a Silvanus il giorno del solstizio d’estate. Lo dici perché non hai mai bevuto la vita dalle sue labbra o l’eternità dai suoi occhi. Queste repliche non hanno che una manciata della sua luce, ma preferisco questo minuscolo spiraglio al mondo di sangue e morte di cui ti circondi, un universo freddo che offre una vita eterna solo a chi non ha nulla da cui tornare. Io invece ce l’ho. Mi basta poco, molto poco e finalmente riavrò tutto ciò che mi è stato portato via.
Tutto.

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Capitolo 16
*** Faldorn ***


 



Personaggio: Faldorn
Genere: Demenziale, pseudo introspettivo. Canon
Rating: verde
Avvertenze: ma secondo voi come si fa a scrivere una fanfiction su Faldorn? E' ammesso il lancio di pomodori all'autrice.

Let my show begin

Bene. Ora o mai più.
Lo so che ti stai chiedendo “Cosa si può scrivere su Faldorn?”
Bene, caro il mio … come dite dalle vostre parti …? … nerd di Baldur’s Gate, tu che passi le tue ore creando i personaggi più assurdi, cercando delle statistiche inesistenti o semplicemente vantandoti di aver finito tutto il gioco solo con il tuo stupido personaggio … beh, sappi che anche l’autrice che doveva occuparsi della mia storia si è posta la stessa domanda. Mi ha fissata con il suo solito sguardo da ebete e con i suoi occhiali che non pulisce da settimane, ha incrociato le braccia davanti alla tastiera e ha detto: “Faldorn, dammi un appiglio per scrivere qualcosa su di te, o qui la pagina resterà bianca a vita”.
Ho provato a rispondere a quella scansafatiche che se era riuscita a scrivere qualcosa su Eldoth (su Eldoth, capite, mica su Edwin!) poteva anche buttare giù due righe su di me. Ma niente, nulla, il cervello di quella lì si è spento e mi ha lasciata da sola a raccontare qualcosa di cui nemmeno io ho idea.
Guardate che lo so che non sono il personaggio preferito di nessuno. Non avrò 18 in intelligenza, ma non ci vuole Edwin per girare in queste vostre malsane comunità collegate a questi ancor più malsani computer per scoprire che nessuno mi ha mai scelta come personaggio preferito. Ovunque campeggia un impietoso 0%, che ogni tanto fa compagnia a quello di Quayle e Tiax. Ma vedete, in fondo tutti vogliono bene a Tiax. Chi di voi non se n’è mai uscito con un “One day, Tiax will point and click?”
Avanti, coraggio, ammettetelo!
E Quayle. Lui si che mi fa rodere il fegato. Non fa niente per tutto Baldur’s Gate 1, lo si incontra quasi per errore davanti alle porte della città, e poi … in Baldur’s Gate 2 torna tutto sorridente nel suo circo, ha persino una bella nipotina e soprattutto rimane in vita. E io, invece? Compaio come boss, il protagonista nemmeno si ricorda di me e mi fa attaccare da Jaheira o da Cernd e muoio senza nemmeno una battuta, e nessuno si preoccupa di sapere come mai ho ceduto al male, alla vendetta, etc etc …
Vogliamo discutere l’utilità della mia classe? In una squadra due guerrieri sono d’obbligo. E anche due maghi. Al limite anche due chierici. Ma due druidi … Solo un cretino metterebbe in squadra due druidi! (e tra questi c’è la mi autrice, che nella sua primissima partita era arrivata con due druidi davanti ad Irenicus e si chiedeva come mai non riuscisse a vincere). Purtroppo per me c’è quell’arrivista di Jaheira. Che non solo ha anche delle doti da guerriera che la rendono anche appetibile, ma si porta persino dietro un buon guerriero che vanifica qualunque mia utilità in una squadra. Aggiungiamoci che il suo portrait è molto più carino del mio … e il danno è fatto.
Se dite che la mia caratterizzazione fa schifo, perché non guardate quella di Kagain? Ma no, lui ha delle belle statistiche, perché non scrivete un’ode in rima alternata sulla grandezza del suo 20 in costituzione e ve la mettete dove dico io? Ed il primo che osa dire che Safana è un gran bel personaggio voglio chiedergli dove ha gli occhi … o forse una vaga idea ce l’avrei …
A completare il disastro arrivano quei tre dell’Enanced Edition, la maga demente, l’orco bisex ed il monaco appiccicoso, che ovviamente fanno un figurone perché sono arrivati venti anni dopo e sfido io che abbiano una caratterizzazione migliore della povera Faldorn! Tutti li esaltano, ma non sono altro personaggi moddati che hanno avuto la fortuna di diventare ufficiali e anzi, ho visto personaggi moddati anche migliori di loro … tanto non esistono delle mod che potenzino me.

Autrice: “Ehm, Faldorn … hai finito? Mi è venuta un’idea su Ellesime e mi servirebbe Word per …”

Ecco, siamo alle solite, una volta che ho un po’ di spazio per me arriva l’ennesimo personaggio amato dai fan che ….

Autrice: “Faldorn, hai sforato le cinquecento parole da un pezzo. Piantala di blaterare e torna a mugugnare incantesimi da qualche altra parte!”

Oh, ma una bella Piaga degli Insetti stanotte non gliela leva nessuno a questa megera …

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Capitolo 17
*** Ellesime ***





Personaggio: Ellesime
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments.
Rating: verde
Avvertenze: citazioni da tutti i pori da uno dei pochi videogiochi che amo più di Baldur's Gate. Prova a indovinare di quale gioco si tratta!


Reverse Rebirth

La luce compare da uno spiraglio. Un soffio di vento gentile penetra da quella fessura, flebile ma quanto basta per darmi forza; anche la magia è stanca, ma risponde lo stesso al mio comando e lentamente la terra si sgretola e trasforma quello spiraglio in una vera uscita.
Il sole mi abbraccia.
Ci sono stati momenti in cui ho creduto di rimanere per sempre sottoterra, di non poter fuggire e respirare quest’aria meravigliosa; momenti in cui la stessa magia di Mystra sembrava voltarmi le spalle, in cui ho dovuto scavare con le mani questo passaggio ignorando il dolore delle rocce sotto le unghie e la paura di un buio che sembra inghiottire qualunque cosa. Ho scavato pensando a lui, soltanto a lui. Se adesso sono qui, lo devo ai suoi occhi.
Gli incantesimi permeano l’aria delle colline di Windspear. Non è la magia pura di Suldanesselar e del suo Albero della Vita, ma è un richiamo più cupo ed antico che non posso fingere di ignorare, la terra stessa mi ha parlato del drago rosso che dorme nelle rovine; la assaporo, lasciandomi cullare. L’abbraccio del sole si trasforma in una gentile carezza, e lentamente muovo i primi passi in avanti senza voltarmi verso il cunicolo che è stato allo stesso tempo la mia prigione e la mia unica via di fuga.
Qualcuno mi sta aspettando.
Il ricordo della mia città mi stringe il cuore. La terra vibra sotto i piedi, ma gli ankheg avvertono la mia presenza e si allontanano mentre uno scoiattolo si affaccia all’ombra di un cespuglio quasi a ringraziarmi di avergli evitato di diventare il loro pasto. Vorrei accarezzarlo e sentire il suo flusso vitale, ma quello scompare tuffandosi nel sottobosco. A Suldanesselar questo non sarebbe successo.
A Suldanesselar sarebbe saltato sulla mia spalla e mi avrebbe raccontato della sua famiglia tra una battuta e l’altra sul comportamento dei tarli; si sarebbe profuso in mille inchini e tutti gli abitanti della foresta mi avrebbero fatto ala, proprio come nel giorno in cui Joneleth mi dichiarò il suo amore.
Ma Suldanesselar è lontana. Anche Joneleth.
Probabilmente non li vedrò mai più. Resteranno dei ricordi, delle immagini che col tempo sbiadiranno e voleranno via insieme al vento dell’Est; il suo viso scomparirà, si confonderà, ed anche quando non riuscirò a capire se sia un bene o un male rimarrà sempre in quell’angolo della mente dove sono nascosti i sogni. Lo cercherò in quel punto dove sono già sfioriti i volti di Denim, Elhan, e di tanti altri elfi che ormai affiorano davanti ai miei occhi come stelle cadenti in una notte scura.
Questo è il destino dei ciò che è passato, ma non voglio perdere tutto. Sono stati questi ricordi a portarmi fuori da quella prigione ed a spingermi sempre avanti, Joneleth, Suldanesselar, Joneleth e ancora Joneleth.
Questi ricordi sono tutto ciò che ho.
È un vero peccato che non siano miei.
“Bene arrivata!”. L’acqua del lago si increspa fino a gettare uno spruzzo lungo la mia veste; il riflesso degli alberi si assottiglia, e quando sollevo la testa trovo tre paia di occhi chiari carichi di un sorriso che ho visto solo una volta nella vita. “Credevamo che non ce l’avessi fatta …le altre …”
Non ci sono più altre.
Soltanto io. E non sarei qui se quel guerriero con il criceto sulla spalla non avesse urtato inavvertitamente la mia capsula, liberandomi da quell’incubo in cui ero stata costretta a tornare perché “incompleta”.
Il tocco di Elyme, Cania e Ulene è magia pura ed il mio corpo la riconosce mentre le ferite lentamente rimarginano ed i piedi ritrovano il vigore. Il loro profumo è quello della primavera.
“La regina ha detto che è possibile, i tuoi poteri sono così legati all’Albero della Vita che la trasformazione potrebbe avere effetto, ma …” la voce di Ulene è delicata, ma una sottile incrinatura scivola su quel meraviglioso cristallo. “Sei sicura di questa scelta? Non si può tornare indietro”.
“Indietro ... dove?”
Joneleth …
“Non c’è niente dietro di me”.
Lei non l’avrebbe fatto. Lei sarebbe tornata indietro, sarebbe corsa a cercare l’uomo che amava, lei avrebbe dato la vita per la sua nazione, per gli elfi e gli umani. Non sarebbe rimasta in un angolo sperduto del mondo, non avrebbe mai scambiato la sua pelle candida per una corteccia, delle fronde, dei frutti e le voci argentine delle uniche persone che avrebbe mai potuto chiamare “amiche”. Avrebbe accantonato un’esistenza serena per combattere a fianco del suo popolo, tenendo allo stesso tempo nel petto un amore immortale.
Ma io non sono lei.
Sono soltanto una replica, per esattezza la numero quarantaquattro. E questa decisione spetta solo a me.
Quella della regina Ellesime è un’altra storia, e quindi la si dovrà raccontare un’altra volta.

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Capitolo 18
*** Ajantis Ilvarstarr ***




Personaggio: Ajantis Ilvarstarr
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon
Rating: verde
Avvertenze: stranamente nessuna


Delusory Knight

Da quanto tempo è lì dentro?
L’ombra della grande statua di Helm si allunga, segno che è passata più di un’ora da quando lei è entrata. Anche gli altri iniziano a mostrare segni di nervosismo, Korder si è alzato mugugnando tra sé mentre Loya tamburella le unghie sullo scudo con un ritmo serrato che non mi piace.
Cosa diavolo stai combinando, Mazzy?
Le quattro persone prima di lei hanno impiegato al massimo mezz’ora, e tutti non hanno fatto altro che complimentarsi tra loro per il paladino che presto sarà il loro mentore; la prova è un combattimento contro dei manichini, nulla che lei o io non possiamo superare. Ci siamo allenati talmente tante volte che sono quasi dispiaciuto all’idea di non potermi confrontare con degli altri candidati, magari anche con delle armi di legno o delle semplici cotte di cuoio. Quel ragazzetto sbarbato che è appena entrato al servito di sir Reirrac e lo sta gridando ai quattro venti impugna il giavellotto come una zappa e lo scudo come un battipanni … Per un attimo mi immagino che i maestri esaminatori la stiano trattenendo per ammirare la sua bravura con l’arco, o la velocità con cui può disarmare una guardia, ma quando le porte dell’edificio si aprono capisco che non è andata come pensavo.
Nemmeno a questa distanza riesce a nascondere le venature rosse che giacciono nei suoi occhi.
Uno degli aspiranti prova idiotamente a chiederle come è andata, ed in un attimo si ritrova a faccia in giù per le scale, con un bel livido sullo stinco. E ne avrebbe anche un paio sulla faccia se non mi intromettessi. Bloccare Mazzy alle spalle non è un’idea geniale, ma la conosco troppo bene e quando sta per fracassarmi una caviglia mi scanso al momento giusto ed il suo piede trova soltanto l’aria. “Mazzy, adesso calmati!”
“Non una parola, Ajantis. Ne ho sentite anche troppe oggi”.
Alcuni soldati del Cuore Radioso guardano nella nostra direzione; è chiaro che la piccola zuffa non è passata inosservata, e so che trattenere la mia amica è l’unico modo sicuro per evitare che venga accompagnata fuori di qui con una balestra puntata alle spalle o su un carro diretto alle prigioni. Fissa le guardie con un’occhiata di sfida, e allento la presa solo quando i suoi muscoli si rilassano e l’attenzione degli altri aspiranti paladini si concentra sul ragazzo che è appena entrato tra mille auguri di incoraggiamento.
“Oh, lui sicuramente riuscirà a superare la prova. Dopotutto è un ricco, nobile, importante umano”.
E non mi sfugge il veleno con cui pronuncia l’ultima parola.
“Mazzy, in caso te ne fossi dimenticata anche io sono un ricco e nobile umano, ma questo non …”
“Sì che c’entra qualcosa. C’entra tutto, in realtà”.
È strano vederla piangere. Non ha mai pianto, nemmeno quando è caduta nel burrone vicino al capanno dei Corthala e vi è rimasta due giorni con entrambe le gambe rotte; è sempre stata lei a prendere le decisioni, a trascinarmi la notte nella foresta per andare a caccia di lupi o a balzare nel covo dei ladri che stavano derubando il villaggio nelle colline Umar. Tutte le estati che trascorrevo con la mia famiglia sulle colline si trasformavano in epiche battaglie solo grazie alla testardaggine di quella piccola halfling che non ne voleva sapere di lavorare in taverna o fungere da dama di compagnia per le nobildonne in vacanza. E non riesco a credere che lo sguardo furioso che mi sta rivolgendo sia lo stesso che sognava di combattere contro legioni di giganti, spade alla mano sotto il vessillo del Cuore Radioso.
“Tu diventerai un paladino, Ajantis. Lo hai scritto nel sangue e nel tuo cognome. Nessuna porta ti si chiuderà davanti”.
“Ma cosa è successo? Non riesco a credere che il tuo stile di combattimento non …”
Lei sputa per terra, la tristezza stavolta trasformata in una maschera di rabbia. “Cosa è successo? È successo che gli esaminatori … aspetta, come hanno detto … non dubitiamo del tuo cuore, piccola halfling, ma della portata del tuo braccio … e mi hanno persino chiesto se volevo una fetta di torta per consolazione. Un vecchio signore ha provato a spezzare una lancia in mio favore, ma tutti hanno riso di me”.
“Io non ho mai riso di te, Mazzy. E non lo farò mai”. Perché non ci trovo nulla da ridere nel nostro sogno. Non c’è nulla da ridere nel sognare di battersi spalla a spalla come compagni d’armi e come amici, soli davanti ad orchi, licantropi e giganti per difendere il nostro paese. Ho sempre creduto di essere un debole, se fosse dipeso dal giudizio del mio maestro d’armi avrei riposto la spada e mi sarei dedicato alla gestione degli affari di famiglia a Waterdeep; e se adesso sento di poter affrontare anche un drago a mani nude è perché ho trovato qualcuno che mi ha spinto a credere in qualcosa di diverso, a coltivare un sogno che altrimenti sarebbe rimasto chiuso in qualche buio angolo della mia mente. E fa un certo effetto sapere che non potremo continuare insieme. Ancora di più quando realizzo che tra i due non sono certo io quello più adatto ad andare avanti. Posso ancora …
“Non ci pensare nemmeno” risponde lei. Si asciuga gli occhi col dorso della mano e cerca di assumere di nuovo l’espressione autoritaria che conosco. Anche se non le riesce molto bene. “Tu adesso vai ed insegui il tuo sogno. Ti auguro solo di trovare un maestro migliore di quei quattro idioti lì dentro. E se ogni tanto avessi voglia di raccontarmi qualcuna delle tue epiche imprese … sai dove trovarmi”.
Prima ancora che io possa aggiungere altro mi dà le spalle, e con il suo lieve passo impercettibile è già arrivata alla porta del tempio. La sala dietro di me si apre, ed il ragazzo esce portato in trionfo da tutti gli altri compagni. Uno degli esaminatori esce, con una pergamena in mano.
“Ajantis Ilvarstarr”.

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Capitolo 19
*** Nalia de'Arnise ***


 



Personaggio: Nalia de'Arnise
Genere: Introspettivo, Missing Moments.
Rating: verde
Avvertenze: collegamento ad una storia scritta da Lisaralin di questa serie. Ah, non mi piace molto come ho scritto, ma proprio meglio non voleva venire.


Escape

Sto volando.
Il balcone si allontana a una velocità impressionante, il vento batte nelle orecchie più forte di qualsiasi tamburo mentre nel buio si staglia soltanto lo stralcio di un lenzuolo bianco che ghigna verso di me, non più annodato. Grido, grido ancora più forte, e l’unico pensiero è che per quanto io possa urlare non sboccerà mai nessun paio d’ali che mi possa far tornare indietro.
Perdonami, Clara.

Tutto avevo progettato, tranne un’invasione di parenti distanti chissà quante miglia sull’albero genealogico. Hendron si era offerto di coprire il turno di guardia delle nove e trenta per aprirmi il portone con il fare della sera, ma la clessidra aveva da poco indicato le undici quando la seconda portata di carne era sfilata sotto il mio naso.
Zia Delcia è stata ancora più insopportabile del solito. “Tua cugina di qua, tua cugina di là” … se la sposasse, mia cugina! Lei ed il suo accento da principessina di città con un vestitino che sarà costato quanto la casa della povera Clara … senza contare i suoi interessantissimi discorsi su un unguento speciale proveniente nientedimeno che da Calishman per curare le unghie spezzate. Ovviamente durante la ventesima portata zia Delcia si è lanciata in un’orazione sullo stato pietoso delle mie unghie, e quando ho cercato di cambiare discorso fingendomi interessata ad un’eventuale matrimonio della mia adorabile parente la situazione mi è sfuggita di mano. O meglio, è sfuggita dalla bocca di papà quando ha nominato il rampollo dei Roenall. E lì si è scatenato il temporale che ha imperversato fino al secondo giro di dolci finché mia cugina ha annunciato di essere stanca e si è ritirata nelle sue stanze.
A quest’ora Clara avrà finito di cenare e si starà domandando che fine io abbia fatto. Purtroppo il turno di Hendron è terminato da poco, dunque l’unica soluzione è quella di improvvisare; le lezioni sui nodi di Hurgan e delle vecchie lenzuola affiorano in un angolo della mente al momento opportuno.
Il regalo per il compleanno della mia migliore amica mi preme contro il corsetto, ma se la zietta si accorgesse che ho accidentalmente trafugato una delle sue mille spille non riuscirei a mettere il naso fuori dalle mie stanze per i prossimi quindici anni.
La fune improvvisata regge. Assicuro i lenzuoli al baldacchino del mio letto con altri tre nodi e la getto dalla finestra; dopo pochi istanti la corda attraversa il buio ed arriva fino a terra. Perfetto. Pazienta ancora qualche minuto, Clara.
Una volta superato il balcone c’è solo il vuoto. I piedi trovano il muro prima ancora che le mani abbandonino la balaustra. La mano destra si stacca e afferra la stoffa, ed in un istante il vento mi ricorda che sono a dieci metri da terra. Le dita tremano. Non devo guardare.
Quando la mano sinistra cerca la fune scopro di essere leggera. Come una nuvola. Grido come non ho mai fatto in vita mia, la gola brucia ma all’improvviso qualcosa mi afferra il polso e vi affonda delle unghie che pongono fine al mio urlo ed al volo senza ritorno. Due braccia esili entrano nel mio campo visivo, ed una serie di imprecazioni lanciate da una voce elegante e soave come un Deva accompagnano la mia risalita.
“Ho sempre pensato che fossi una perfetta idiota …” mormora la mia salvatrice, fissandomi con un’espressione che manderebbe in sollucchero zia Delcia. “Ma scappare in un modo così stupido … fattelo dire, cuginetta, ne hai di cose da imparare!”
“Skie, ti prego, non …”
“Dirlo a tua zia? Ci mancherebbe altro! Altrimenti si chiederebbe come mai mi trovavo nella tua stanza invece che nella mia! E spiegarle che il tuo balcone è quello più vicino a terra di tutta la vostra decrepita fortezza non credo che le andrebbe a genio!” sorride con la sua espressione perfettina che riempie di agre un ipocrita sorrisetto complice. Il suo sguardo disgustato va da me alle lenzuola annodate, poi solleva la gonna ed una fune scivola dalle balze del vestito legandosi al letto con un nodo così rapido che a malapena riesco a seguire il movimento di quelle mani perfettamente curate. La lancia oltre il balcone e la tira con tutte le forze per un paio di volte, saggiandone la resistenza finché non appoggia le mani ai fianchi in modo soddisfatto. “Non vorrai rovinare l’appuntamento con il tuo principe azzurro fracassandoti al suolo, no?”
“Non c’è nessun principe azzurro, Skie” rispondo, osservandola mentre inizia lei stessa una paurosa discesa nel vuoto, la stessa principessa che meno di un’ora fa parlava di vestiti, unghie e matrimoni con la stessa eleganza con cui adesso scivola contro il muro, appoggia i piedi e lentamente scompare. Potrei giurare che in basso c’è un uomo a cavallo ad attenderla, ed un oggetto dorato risplende per un istante alle luci della fortezza prima di scomparire sotto un mantello. “Solo un’amica che ha bisogno di me …”
Suppongo che alla mia lontana cugina il discorso non importi più. Forse non lo ha nemmeno sentito. La tensione della corda diminuisce di colpo ed in un battito di ciglia scompare, impeccabile come sempre e con la scia di profumo che ancora impregna la fune, unico segno del suo passaggio. Sicuramente domani mattina sarà nel suo letto perfettamente riposata, e nel suo abito non compariranno le pieghe che invece faranno capolino sul mio; ma la corda è ancora qui, salda contro ogni logica, perfetta davanti alle mie semplici lenzuola. Una lezione interessante, ma nulla potrà superare lo sguardo di Clara quando scoprirà che la sua amica non ha scambiato una serata in sua compagnia per una riunione di stupidi e pomposi nobili. Respiro di nuovo ed inizio a scendere.

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Capitolo 20
*** Edwin Odesseiron ***





Personaggio: Edwin Odesseiron
Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: arancione
Avvertenze: chiedetele ad Edwin


Shade Impulse

Maledizione!
Niente, assolutamente niente. Ma ci deve, ci DEVE essere qualcosa!
La punta del bastone genera una luce troppo fioca, ma se evocassi una vera palla di fuoco (non come gli incantesimi di quella avariel da circo) finirei per distruggere quel poco che rimane in questa cripta. Dai vasi canopi esce solo cenere annerita dal tempo, tutto ciò che rimane di quel bastardo di Nevaziah e dei suoi apprendisti; nulla, quello che sembra un antico grimorio mi si sgretola tra le dita appena ne giro la copertina mentre anche l’aria nei miei stessi polmoni si fa putrescente. Vorrei ignorare il sorriso sarcastico di Haer’Dalis e le battute di quella stupida ranger formato tascabile, ma le loro voci rimbombano insieme all’ennesimo vaso di coccio che va in frantumi senza rivelare il segreto che quel dannatissimo lich si è portato in chissà quale angolo dell’Abisso.
“Deve pur essere da qualche parte!” mormoro per scacciare il silenzio che lentamente si fa strada nella cripta. Ma la voce che riempie la stanza non è la mia. Appartiene a una donna, una bellissima donna dal vestito rosso che sta disperatamente cercando in questa tomba qualcosa per scacciare la disgraziata maledizione di cui è rimasta vittima. La stessa che da dieci giorni mi guarda dall’altra parte dello specchio e che adesso mi lancia uno sguardo furente dalla superficie metallica di un vecchio scudo di bronzo illuminato dal mio bastone.
“Edwin, dietro di te!”
Un ghoul esala l’ultimo fiato della sua non-vita proprio davanti al mio visto mentre cade a terra, il cranio colpito da una freccia; un secondo allunga la sua mano scheletrica nella mia direzione (come DIAVOLO ho fatto a non accorgermi di loro), ma un’ombra scivola nella sua direzione, nera e veloce come un vero impulso di tenebra. Un pugnale riflette la poca luce della cripta trapassando il ghoul alle costole, mentre una coppia di canini affonda nel collo della bestia agonizzante tingendo le pareti di icore giallastro. Il primo non-morto cerca ancora di alzarsi, ma stavolta sono abbastanza pronto e la vampa infuocata che mi nasce dalle dita è sufficiente a garantirgli un lungo, eterno riposo. La mia salvatrice sorride soddisfatta, scivolandomi al fianco come la regina delle ombre. “Hai del coraggio a scendere qui sotto …”
“Più che coraggio direi … una necessità impellente” le rispondo cercando di ignorare il profumo che emana il suo corpo decaduto. Hexxat racconta di sogni e magia al lume di candele orientali al sapore di mirto e datteri, Hexxat che rifiuta una notte di passione col più grande stregone di Thay mostrando i denti e ride delle lusinghe dei bardi con il suo passo felpato. “Cosa ci stai facendo qui? Non hai seguito scodinzolando il tuo adorato figlio di Bhaal a salvare dei poveri mocciosi indifesi che pare siano molto, molto più importanti della dignità dell’unico mago decente del gruppo? (bambini schiavi? Puah, una palla di fuoco ben assestata e li libererei in un attimo dalle loro sofferenze!)”
“C’erano delle cose che dovevo assolutamente fare, delle domande a cui trovare delle risposte. E non posso caricare il mio fardello sulle spalle degli altri” sorride avvicinandosi ancora di più. Le sue dita d’ebano sfiorano i resti della tomba di Nevaziah, disegnando un delicato arabesco sul letto di polvere mentre armeggiano sulla sommità del sarcofago su cui io ho già lavorato a lungo. “Non sei l’unico che vuole liberarsi da una maledizione”.
“Oh, davvero? (da quando in qua essere belle, immortali, potenti, indistruttibili, veloci e con un corpo sodissimo è una maledizione? Ma quel maledetto lich poteva darmi una pergamena maledetta del vampirismo invece di questo corpo?) Perché penso proprio che …” e il mio respiro si ferma. Quello che scivola sulla mia pelle è il suo dito, ma sembra leggero come un pennello imbevuto di tempera; rabbrividisco a quel tocco caldo e freddo allo stesso tempo, la spina dorsale attraversata da un piacevole tremito che questo corpo di donna non dovrebbe provare. Il suo fiato sul mio collo è umido, il pensiero dei pericolosi canini bianchi immediatamente trasformato in una scarica di piacere quando appoggia le labbra brune contro la mia spalla. “… che potremmo cercare le nostre risposte insieme” mormora lei ed unisce le nostre dita in una delicata spirale che ci avviluppa e ci trascina contro la lapide della tomba.
Se solo avessi il MIO corpo sono certo che la situazione sarebbe molto, molto più …
Un meraviglioso brivido corre dalle labbra fino alla punta dei piedi quando la regina della tenebre scioglie i fermagli del mantello rivelando il suo corpo perfetto all’ultima luce del bastone, che ne delinea per un istante le forme esotiche prima di far scivolare di nuovo la cripta nella notte più totale.
“Mi auguro che tu non abbia paura del buio …”

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Capitolo 21
*** Haer'Dalis ***





Personaggio: Haer'Dalis
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon.
Rating: giallo.
Avvertenze: non ho trovato la traduzione completa di tutte le carte del Mazzo delle Meraviglie. Su alcune di esse ho improvvisato, spero perdonerete questa mia svista. Forse Haer'Dalis mi è venuto meno fatalista del normale, ma più di così non riusciva ad uscire.


Gambler of Fate

“Niente male, tiefling”
Il volto del cambion è nascosto dietro il pesante elmo nero, ma so che sta ridendo. “Davvero niente male. Ed ora è il mio turno”
Il mondo inizia a vorticare. Se non avessi alleggerito Nalia del suo anello di protezione dal fuoco adesso non sarei troppo diverso dai teschi anneriti dal tempo che cospargono il pavimento di questa stanza. Devo rimanere lucido. Devo uscire di qui. Minsc mi ha visto sgattaiolare nel tunnel, e per quanto credesse fermamente che io dovessi cercare una latrina, a quest’ora persino lui avrà capito che i miei bisogni stanno durando più del normale.
Il cambion Aesgareth mescola il Mazzo delle Meraviglie. Lentamente. Le carte antiche come il mondo frusciano in quel movimento, nel silenzio generale sembrano quasi parlare, cantare, chiedono che qualcuno canti la loro stupenda meraviglia di morte; un tesoro mille volte più prezioso di Carsomyr il Santo Vendicatore. Il demone mi fa cenno di tagliare il mazzo, e io obbedisco. Poi estrae una carta. “Oh, la Luna … la fortuna è dalla mia parte stasera …”
Bastardo.
Un pulviscolo argentato nasce dalla carta e lo avvolge, liberando un incantesimo di guarigione. Non si può barare con il Mazzo delle Meraviglie, ma non posso negare che oggi Tymora abbia eletto Aesgareth come suo unico, focoso amante. Eppure sono sempre stato piuttosto orgoglioso delle mie notti di passione con la dea, tra birra, carte e bellissime donne che sorridono a me, a lei e poi di nuovo a me, la Signora del Fato ed il suo cantore. Forse ho fatto troppo affidamento su di lei, e ho dimenticato una cosa importante. Tymora non dorme troppo a lungo con lo stesso uomo.
“Coraggio, tiefling” sussurra il cambion. Si muove come un animale intorno alla preda intrappolata, so che sta annusando la mia paura e questo lo riempie di un piacere primordiale. Sa già che la vittoria è sua. Posso salvarmi in questo turno, forse per i prossimi due, ma non posso andare avanti ancora per molto, la ferita della Lama Fantasma che ho evocato tre turni fa continua a perdere sangue ed eccita il corpo millenario nascosto sotto la corazza. I suoi servitori si avvicinano, gustandosi tutta la scena, avvoltoi in attesa che il predatore si serva per primo per poi giocare con i suoi scarti; forse stanno scommettendo quanto tempo mi resterà da vivere. “Fai la tua mossa”.
La vita è un pugno di cenere al vento.
Vorrei … vorrei avere il coraggio di ripeterlo. Vorrei dirlo serenamente, come ieri l’ho spiegato al figlio di Bhaal. Ma adesso … è diverso. Tutto diverso. Incredibilmente diverso.
E sbagliato.
Non voglio morire in un piano remoto della Fortezza dell’Osservatore. Neanche se questo è il mio destino, nemmeno se fosse l’univa via verso l’Oblio. Qualunque cosa. Davvero qualunque cosa per non girare quella …
“Mi piaci, ibrido”. Aesgareth ride con la sua voce gutturale, e per un attimo ritrae il mazzo di carte, allontanandolo dalla mia mano proprio quando i polpastrelli ne stanno per sfiorare la superficie; il corpo del demone emana del gelo di un antichissimo passato, anche quando intorno a noi ci sono soltanto zampilli di lava. “Hai coraggio, una qualità rara in voi sangue misto. E, visto che mi sento incredibilmente generoso, voglio farti un’offerta …”
Tymora, allora …
“Avrei proprio bisogno di un servitore come te, uno che non abbia paura di fronteggiare il destino, la morte o una partita al Mazzo delle Meraviglie. Puoi sottometterti a me, e nessun planare ha mai detto che agli schiavi di Aesgareth manchino potere, femmine e sangue. China il ginocchio, pronuncia le parole che sai e dimenticherò che questo gioco sia mai iniziato”.
Ci può essere qualunque cosa dietro quella carta. Le Erinni, o forse il Vuoto. O il Ladro, e a quel punto qualunque pensiero razionale volerebbe via dal corpo; potrei pescare l’Artiglio ed accettare che le tenebre si posino per sempre sui miei occhi. Oppure la Morte, il cui dito calerebbe su di me senza alcuna pietà. Il destino è cinico, ma ci sono cose che nemmeno lui può fare. Non se io non voglio. Il copione è ancora bianco. “Ti piace il mio coraggio, Aesgareth?”
Non ho alcuna intenzione di perdere le mie ali. Mekrath ha provato ha tagliarmele una volta, e non permetterò ad un cambion di sbranare l’unica cosa davanti alla quale anche la vita perde qualunque significato. Ho portato il collare una volta. E ho imparato la lezione. Se devo volare verso la morte, lo farò da solo, come un vero attore. “Lo sai cosa si dice a Sigil? Chi non brucia le proprie ali al sole non ha alcun diritto di volare in cielo”. Qualunque cosa accada.
L’immagine sulla carta sbiadisce alla mia vista, illuminandosi e trasformando il mondo in una potente folata di vento che alza in aria tutte le carte in un turbine che sfugge alla presa del demone; l’urlo del cambion attraversa lo spazio veloce come una frusta e l’incantesimo arcano che lancia al mio inseguimento mi lambisce le gambe prima di essere spazzato via dal potere divino del Mazzo delle Meraviglie. Il marmo nero è l'ultima cosa che vedo nel vortice finché non impatto contro la sua superficie, lo stomaco al posto del cervello e la sensazione di poter rimettere tutta la birra delle ultime tre settimane.
“Ehi, ma che ti è successo? Boo temeva che fossi stato colpito dalla stessa dissenteria che ha colpito la nonna di Jan ed i suoi tredici pronipoti. Boo lo dice sempre che una dieta a base di semi di girasole e lattuga è la migliore per un guerriero; e adesso che sei uscito posso finalmente …”
“Minsc, la latrina decisamente NON è da quella parte!” mormoro, osservando il corridoio che porta all’inferno. L’altro mi guarda, ma non è il momento delle spiegazioni.
Io e Tymora abbiamo una lunga chiacchierata da fare, e non sarò avido di preliminari.
La figura della Torre smette di risplendere, anche se quando ripongo la carta sotto i vestiti emana ancora un certo tepore.

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Capitolo 22
*** Dynaheir ***




Personaggio: Dynaheir
Genere: Introspettivo, Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: probabilmente la peggiore tra quelle che ho scritto. L'avevo iniziata, poi ho avuto idee per un'altra storia e questa ho deciso di concluderla perché proprio non riuscivo a darle forma, sorry.


Dejemma

Forse dovrei seguire l’esempio di Minsc. Ma non ci riesco. Chiudere gli occhi e lasciare nel sonno l’attesa di domani …
Sono in tanti a pensarla come me. La famiglia di gnomi che è giunta in ritardo alla presentazione è ancora sveglia, il fuoco del loro campo che sembra una luce fioca davanti ai loro incantesimi. Illusioni, nulla di più, ma quelle piccole creature sono tenaci quanto sbadate, e a giudicare dalla vampa di fiamme emanata dal palmo del vecchio capofamiglia dalla barba bianca non posso considerarli fuori dalla competizione. Ma l’Anello della Stregoneria sarà mio.
Posso farcela, devo farcela.
Trentasette maghi, un solo vincitore. E non sarà quell’elfa impettita che si dà arie da grande maga solo per le sue orecchie a punta. E nemmeno quel bel thayano dalla barba impeccabile, né l’elfo tutto blu con il suo caratterino irritante. Il mio dejemma non mi ha condotta in questo accampamento lontano da casa per essere la numero due.
Le mura di cinta che circondano questa locanda costruita nel bel mezzo del nulla sono l’ideale per un ultimo allenamento: l’evocazione non è ancora il mio punto forte. Cerco le parole esatte, muovendomi tra le centinaia di incantesimi che potrei utilizzare per la gara, ed una coppia di ettercap produce il loro tipico verso gorgogliante quando appaiono davanti a me, scrutandosi intorno come se già aspettassero un nemico. Sono esseri disgustosi, su questo quell’idiota Minsc non ha tutti i torti, ma … hanno la loro utilità.
È difficile farsi obbedire, il contatto mentale con le creature attraversa la spina dorsale come la mano di un gigante, ma proprio per questo devo farcela.
Andate.
Provano ad aggrapparsi alle crepe nelle mura, poi a muoversi sull’edera; li faccio salire e scendere, correre e saltare, e quando lancio loro un ramoscello si avventano con le loro esili braccia distruggendolo in colate di bava acida ed icore fingendo che sia una vera preda. Domani basterà scatenarli sugli gnomi per scaraventarli del caos e superare il turno … con un po’ di fortuna potrebbero anche rovinare il vestitino dell’elfetta e distrarla il tempo sufficiente di cancellare il suo nasino all’insù con un paio di Dardi Incantati. Sì, può andare.
Gli ettercap si liberano dal controllo. Il pensiero della gara mi ha distratta, e come una falce cala sul sottile filo che lega le creature evocate a me; sento il contatto dissiparsi nel buio ed il cuore mi risale in gola, ma stranamente non si rivolgono contro di me. Scendono dal muro di cinta con una velocità innaturale per le loro corte zampe, diretti contro qualcosa in un punto dove gli alberi diventano più fitti. Uno di loro manda un sibilo che sveglierebbe tutta la Locanda del Braccio Amico e si avventa sulla preda, ma un raggio di fuoco illumina la notte scagliando i resti carbonizzati della bestia a pochi passi da me. Il secondo ettercap indietreggia, ma i suoi occhi verdi sono puntati sulla figura che emerge dagli alberi, la mano destra ancora avvolta nelle fiamme.
“Sembra che qualcun altro qui dentro soffra d’insonnia! (possibile che mai, MAI una volta tutto fili liscio?)”
Riconosco subito la figura, anche quando la fiamma tra le sue dita si abbassa: il mantello scarlatto del thayano sarebbe visibile anche nella più fonda delle notti di Rashemen, così come il suo cipiglio. Uno dei più abili maghi tra noi, e sicuramente il più misterioso; uno di quelli che mi auguro non incontrare mai dall’altra parte della mia strada. “Sei idiota o cosa, stupida scimmia? Ancora mi chiedo perché certi incantatori da circo non capiscano che l’evocazione è la regina di tutti i rami della magia ed è alla portata solo dei migliori!” borbotta, lanciando un’occhiata prima a me e poi all’ettercap. La creatura percepisce l’ostilità e manda un gridolino d’attacco, ma questo non intimorisce affatto il nuovo arrivato. “Adesso, con permesso …”
Dovrei scusarmi, ma una piccola luce attrae la mia attenzione.
Lo scintillio al dito dell’uomo raccoglie per un istante la luce delle stelle. E non occorre un incantesimo di identificazione per capire che l’anello incastonato di pietre rosse non è finito in quella mano per puro caso. Il thayano si deve essere accorto del mio sguardo perché immediatamente la mano sinistra scompare sulla tunica, ma se pensa di ingannarmi in questo modo … “L’Anello della Stregoneria …”
Le scintille nella sua mano ricompaiono immediatamente. Quanto detesto avere sempre ragione. “Lo hai rubato! Come hai fatto a …?”
“Puah, direi che hai visto abbastanza! (come se avessi tempo da perdere in una gara contro dei dilettanti)”
Il mio riflesso di tanti giorni trascorsi nella foresta mi salva la vita. La sua Vampa di Agannazar saetta come la zampa di una bestia verso di me, e solo dopo aver fatto un passo indietro vedo l’albero che si trovava alle mie spalle completamente in fiamme. L’ettercap si lancia sull’avversario e si avventa contro il braccio, ma un’esplosione di acido ne fa schizzare gli organi in tutte le direzioni. E poi tocca a me. “Schiva questi, thayano!”
La luce dei Dardi Incantati vola nella sua direzione, e prima che possa evitarli ne ho pronti altri tre, giusto nel punto dove pensa di potersi dare alla fuga; schizzano contro il mantello rosso, ma invece di bucherellargli a dovere la tunica esplodono in mille piccoli fuochi d’artificio intorno alla sua figura. Una sottile barriera azzurra riveste tutto il suo corpo, e mentre l’incantesimo Scudo è ancora alzato l’aria si raffredda. “Prevedibile, terribilmente prevedibile”.
Il potere dell’Anello è attivo, poi la sera si trasforma in un riflesso di cristalli di ghiaccio. Cadono dal cielo come grandine, devo saltare, devo correre o finirò come il corpo straziato del mostro evocato, che adesso giace trafitto da un blocco gelido. La punta di un cristallo mira al mio petto, la schivo di nuovo ma quando provo a creare anche la più piccola barriera divento un bersaglio troppo semplice. Lui evoca di nuovo, lo Scudo ancora alzato tenuto il piedi dall’artefatto che ha sottratto, e la potenza dei tre incantesimi uniti basta da sola a farmi mancare il fiato, spingendo un brivido doloroso lungo tutta la colonna vertebrale e poi su, di nuovo nella gola. L’ultimo Dardo Incantato mi scivola dalle mani e dalla mente come una colomba.
“Tsk, che perdita di tempo! (Ho fatto proprio bene a …)”
Il suo mugugnare si trasforma prima in un urlo, poi in una serie di improperi. “Mettimi giù! Ho detto METTIMI GIU!”
“Che dici, Boo? Devo levargli quell’anello? Provvedo subito!”
“Mollami, stupido gorilla. MOLLAMI SUBITO!”
La prima immagine di quando apro gli occhi è lo stregone rosso che scalcia come un forsennato sulle spalle di Minsc, che lo trasporta come se fosse il sacco delle provviste. Il vecchio, sudato, ostinato, ottuso Minsc: non sono mai stata così felice di trovarmelo al fianco. Persino lo squittio del suo stupido roditore mi fa battere il cuore. “Dove arriva Minsc, il male si ritira. E tu preparati a ricevere il trattamento speciale dei miei stivali! Nessuno può fare del male alla nostra Strega!”
Prima che possa dirgli qualcosa o chiedergli di prenderlo prigioniero, Minsc solleva lo stregone urlante con una mano, e persino da questa distanza, nel buio della sera, riesco a vedere l’impronta di fango, sterco e lividi che campeggia sul borioso didietro del mio avversario mentre viene costretto ad allontanarsi. Solo quando l’ultimo “UN GIORNO ….!” sparisce oltre le mura della locanda il mio cuore riprende a battere normalmente.
“Immagino che in quanto a magia io abbia ancora molto da imparare” mormoro, ma evidentemente non così a bassa voce come penso. Minsc mi viene vicino, sgrullandosi soddisfatto la polvere ed il fango dalle mani; poi la sua pacca cala sulla mia spalla, e domani ci sarà più di un livido in quel punto. “Certo che bisogna imparare! Lo dice sempre anche Boo, non dobbiamo mai fermarci e cercare sempre di migliorare!”
Poi fa qualcosa di strano. Almeno per lui.
La sua enorme mano callosa si apre verso di me come a invitarmi a prenderla. “Ma ricorda, hai sempre il supercervello di Boo dalla tua parte! Ed anche gli stivali di Minsc! Quindi non ti abbattere, perché di certo un giorno sarai la numero uno!”
E prima che io possa accettare è lui ad afferrarmi il polso. “Perché questo è il nostro dejemma”.

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Capitolo 23
*** Hexxat ***




Personaggio: Hexxat
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Drammatico. Canon.
Rating: giallo
Avvertimenti: piovono spoiler sul finale di Hexxat. Se non volete saperne nulla vi consiglio di girare al largo!



Somewhere I belong
 

I want to heal, I want to feel,
what I thought was never real.
I want to let go of the pain I felt so long (Erase all the pain 'til it's gone)
I want to heal,I want to feel,
like I'm close to something real.
I want to find something I've wanted all along,
somewhere I belong.


(“Somewhere I belong”, Linkin Park)




Non respirano più.
L’ultima crolla ai miei piedi e rimane sulle scale, facendo calare di nuovo il silenzio nel tempio; persino gli uccelli della giungla tacciono, aspettando l’alba. Il sangue delle sacerdotesse è amaro come il loro cuore. Potrei nutrirmene, ma non ho fame: preferisco osservarlo mentre scivola lentamente nelle crepe del pavimento fino a disegnare una forma strana, forse una corona rossa sul marmo candido ai piedi dell’altare. Non c’è traccia dell’eccitazione del passato, soltanto un brivido freddo che non scompare nemmeno accanto al braciere colmo di incenso; stasera la fame di Ubtao sarà placata dal sangue delle sue stesse adoratrici.
Sono morte. E le ho uccise io. Tutti i loro incantesimi, tutti i loro paletti di frassino non sono serviti a nulla. Lo sguardo bianco della Prima Viaggiatrice adesso mi fissa dal pavimento, e la luce della vita che si è spenta non cancella l’odio, il disprezzo ed il disgusto per il mio volto che vi si riflette appena. O forse si tratta di paura. Paura per quello che sono.
Paura per quello che una di loro è potuta diventare.
Al piano inferiore una porta si apre, lasciando il passo a degli stivali che non vogliono nascondere a nessuno la loro presenza. Sapevo che saresti arrivato …
Immagino che dovrei essere pronta, ma “pronta” è una parola che ha assunto talmente tante sfaccettature in questi ultimi decenni che lascia sciogliere ogni pensiero nella sottile nube di incenso. Un soffio di vento muove la fiamma, e per un istante il monile che adorna il collo di una delle sacerdotesse risplende di arancione e oro, chiamandomi come il più luminoso dei tesori della tana di un drago. Il labirinto inciso sul metallo non è stato toccato dal sangue, e per un istante lo vedo al collo di un’altra donna, una bellissima donna dai lunghi capelli neri ed il sorriso come uno stormo di colombe. Una donna che ho tanto sognato nel corso di questi lunghissimi anni.
La superficie del pendente riflette il mio viso, così simile al suo ma imbrattato dal sangue e dalla polvere, antico come soltanto l’espressione vuota di un essere immortale. Vuoto come quella di L.
“Speravo non si trattasse di te, Hexxat”
È comparso dell’argento nei suoi capelli biondi, e la barba è molto più folta di allora. Ma non è cambiato nulla nella sua postura eretta, nell’armatura splendente o nella maestosità dell’enorme spada ingioiellata che gli risplende da oltre la linea delle spalle. “Immagino mi stessi aspettando …”
“E sai anche perché, Figlio di Bhaal”.
“Era necessario giungere a questo? Sarebbe bastato …”
“Ma tu non saresti venuto. Non negarlo”.
Osserva i corpi distesi a terra, uno per uno. Lo sguardo scivola sul disegno di sangue, poi su di me, carico di tutti quei pensieri che lo hanno sempre reso così diverso, così distante da tutti coloro che ho conosciuto. Mi fissa come il giorno che ci siamo incontrati, quando tra noi due vi era soltanto la figura esangue di Clara. Come se il tempo non fosse mai esistito. Non odio, non paura. Nulla delle migliaia di sguardi che io abbia mai ricevuto, ma con riflesso che non mi è dato di comprendere, la stessa luce semidivina che mi ha trascinata davanti alla battaglia per il Trono di Bhaal. “No, non lo nego. Ma speravo che fossi cambiata, Hexxat. Che non avessi bisogno di simili stragi per condurmi a te”.
“Sei troppo abituato ad essere il fulcro intorno a cui gira il mondo, Figlio di Bhaal. Queste donne meritavano la morte, e risparmiami tutte le prediche al riguardo. Non mi chiamo Anomen”.
Sapevo che sarebbe successo. Sapevo che avrei ottenuto il suo biasimo, la sua tristezza. Ma lui non può capire, né lo potrà mai fare. A Candlekeep nessuno ha mai arretrato il passo alla sua presenza, gridandogli di essere un mostro; il mondo lo ha accolto insieme alla donna che ama, aprendogli tutte le porte. Sono certa che quella biblioteca di cui parlava spesso si è spalancata per rendergli omaggio, magari illuminando i corridoi polverosi che erano rimasti chiusi in attesa del suo viso, delle sue risate gentili. La sua luce non può capire il gelo, il nero nel cuore di queste donne.
La sua luce ha un posto dove tornare.
“Mi hai fatto una promessa, Figlio di Bhaal. Una promessa su Carsomyr, il Santo Vendicatore. E ti chiedo di mantenerla, perché sai cosa succederà se mi lascerai uscire da questa stanza. Queste donne non sono le prime, ma non saranno nemmeno le ultime”.
Li ho visti, e lui lo sa. Non è venuto in questa penisola sperduta impreparato, nel fondo del suo cuore sapeva. I paletti di legno sono lì, incisi nelle rune sacre dell’Ordine, stretti alla sua cintura in attesa di porre fine alla vita di un immortale. Non riesco a provare paura. O odio. Soltanto la stanchezza della polvere millenaria e l’ultimo incontro con il corpo decaduto di L.
Quel giorno scelsi di vivere, di inseguire un sogno insieme a quest’uomo ed ai nostri compagni, alla ricerca di un mondo migliore dove tutti potessimo vivere insieme a coloro che amiamo.
Oggi …
Estrae i paletti, guardandoli con tristezza. “Non sei il tipo che lascia molta scelta agli altri …”
Quel mondo non esiste.
O forse non è mai esistito.
O è esistito nelle speranze di Clara e nella tenacia di Phreya e adesso è sepolto in una tomba senza nome.
L’incenso non riesce a coprire il suo profumo. I muscoli del suo collo ampio fremono davanti a me mentre regolano il respiro, si fanno forza senza ritrarsi davanti al predatore che potrebbe saltare in qualsiasi momento e trasformare questo istante in un nuovo affresco di morte. La punta dei suoi strumenti è affilata, le rune vive. Il giorno tarda a venire. Si alza di nuovo la brezza che annuncia il mattino, carica del profumo dei grandi fiori bianchi che mia madre usava per creare candele. E chiudo gli occhi, respirando quegli odori del passato. “Il tempo è finito”.
Poi il mondo diventa caldo, un caldo vivo. Una fiamma forte, intensa come quella della vita mi attraversa le spalle, proprio dove le sue mani premono con forza, stringendomi senza fornire alcuna spiegazione. Nelle dita non c’è nulla, e per un attimo il fuoco del braciere guizza in alto, come se nuova legna lo stesse alimentando; poi cade, rovina a terra, e c’è solo una nube di scintille intorno a lui, tra me e la vita, tra lui e la morte. Mi stringe a sé come un’amante, abbracciandomi senza lasciare che nemmeno uno spiraglio d’aria passi tra il mio corpo ed il suo. “Non ancora, Hexxat. Non ancora”.
Ogni mio tentativo di muovermi svanisce nelle sue braccia, lasciandomi sola con il suo cuore e la consapevolezza che è il primo essere umano ad essere così vicino, così unito a me che non sia una preda. “Avevi giurato su …”
“Su un pezzo di metallo. Su nulla che possa mai valere quanto la vita di un’amica” sorride. E per un istante, un solo istante, il mio cuore riprende a battere seguendo il suo. “Sono certo che troverai un posto in cui tornare. E se quel posto ancora non esiste lo costruiremo insieme, come abbiamo sempre fatto”.
Ignorando quello che gli altri pensano di noi. Ignorando i loro sguardi. Ignorando le nostre paure.
Non sono certa di potervi credere, ma questo cuore che batte è mio, e batte, batte.
Batte anche quando veniamo avvolti dalla primissima luce dell’alba.



N.d.W. questa storia l'ho scritta quasi di getto dopo essermi spoilerata il finale di Hexxat in ToB, finale che mi ha lasciata un tantino perplessa. Innanzitutto Hexxat tiene così tanto a tornale mortale che è disposta persino a morire (a morire, non scherziamo!) pur di diventare umana e morire come tale, si spinge nelle tombe più nascoste solo per questo e poi ... due parole con il protagonista e c'è la possibilità di convincerla a rimanere vampira e continuare, come se questa sua volontà di tornare umana si abbattesse al primo mutamento. E poi il finale non della romance che ho trovato un tantino a pera ... ma perché va ad uccidere le sacerdotesse di Ubtao? Oltre al fatto che la madre fosse una di loro, ma non c'era motivo per cui lei diventasse così sanguinaria, né vendette, né nulla ... da qui il tentativo di aggiustare questi buchi, anche se non credo di esserci riuscita.

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Capitolo 24
*** Tiax ***


 




Personaggio: Tiax
Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: giallo
Avvertimenti: li sentite i gatti che si arrampicano sugli specchi? Ecco, questo è più o meno il suono che sentirete leggendo questa fanfic, perché inventare qualcosa sul nostro gnomo di fiducia supera qualsiasi livello di sfida. Qualcuno per caso riconosce la citazione del titolo? E ricordate sempre che "The day will come when TIAX will point and click!"


Dancing Mad

29 Tarsakh 1369, ore 14

Il prigioniero numero 5 non si è dimostrato docile come la numero 4. Ho dovuto richiedere l’aiuto dei miei apprendisti e di Lonk per addormentarlo e chiuderlo in una cella; è maledettamente resistente per la sua taglia. Quando lo hanno mandato quaggiù credevo si trattasse dell’ennesimo gnomo illusionista da gettare agli Umber Hulk dei livelli inferiori, ma questo soggetto mi interessa. Tra i suoi deliri di dominare il mondo e ridurci a meri scendiletto ballerini per Cyric ha detto qualcosa di molto interessante: ha visto un figlio di Bhaal a Baldur’s Gate. Ho scritto a Tolgerias, ma quel maledetto raccomandato mi ha risposto che solo un folle darebbe ascolto alle fandonie di uno gnomo chiaramente squilibrato. Chissà, forse sto impazzendo. Non sarei il primo qui dentro.
Mi chiedo quando finirà questo incarico.

1 Mirtul 1369, ore 2

Maledetto chierico! Non era nella sua cella!
Quando avrò tempo darò una lezione con i fiocchi a quella mocciosa cambiafaccia che si è sostituita a lui, ma adesso dobbiamo recuperare numero 5 ed alla svelta! Se ai piani alti sapessero che mi sono fatto scappare un comunissimo gnomo mi spedirebbero a pulire le latrine dell’Ordine con la lingua!

1 Mirtul 1369, ore 15

Ci mancava soltanto un tentativo di rivolta in nome di Cyric. Quando numero 2 ha gridato che tra le spire dei mondi aveva visto un futuro in cui Cyric era grande e Tiax il suo profeta ho sentito il bisogno impellente di affondare quest’isola. Bisogno che è aumentato vertiginosamente quando numero 1 ha guidato la sua armata di licantropi immaginari contro le nostre forze. Il suo Grido della Banshee non era però così tanto immaginario …

2 Mirtul 1369, ore 19

Sempre sia lodato il nostro compianto ingegnere. Numero 5 si è messo in trappola da solo nella stanza degli indovinelli, ed anche quando lo abbiamo portato via con la forza ha continuato a gridare che nessuno poteva sfidare il grande Tiax in una gara di indovinelli e pretendere di aver ragione contro il suo intelletto divino. Da qualche parte Cyric deve comunque star ascoltando le sue blaterazioni, perché al terzo incantesimo di Sonno continua a tuonare nella cella e se continua così dovranno ricoverare me.
Lonk sostiene che dovremmo semplicemente sbarazzarcene, che abbiamo abbastanza prigionieri per i nostri esperimenti e che possiamo fare a meno di un individuo tanto instabile da gettare per un giorno la reputazione degli Stregoni Incappucciati nel fango. Ma per fortuna non è lui a dare gli ordini qui dentro. Numero 5 si è dimostrato il soggetto che più di tutti è riuscito a sorprendermi ed a sorprenderci, superando qualsiasi etichetta e sigillo sulle documentazioni che lo riguardano; non so quanto ne sia stato consapevole –molto poco, da quello che sono riuscito a vedere- ma le sue parole hanno aperto una breccia che avrebbe potuto causare la rovina di questa fortezza. Siamo pochi, troppo pochi. E questo la sede centrale non riesce a capirlo.
Meno di quella marmaglia di detenuti, che per quanto parlino da soli, viaggino dei mondi dentro una cella e cerchino delle gemme immaginarie hanno ancora una loro volontà. Flebile, senza dubbio, ma sono bastate poche parole per svegliarla; la speranza in Cyric, una terra promessa, un universo di luce, qualunque cosa abbia raccontato loro quello stupido gnomo ha dato vita ad una reazione che siamo riusciti a sventare solo per fortuna. Nei registri ufficiali parlerò dell’efficienza del nostro ordine, ma non sempre la realtà si trova lì dentro. Per questo ho bisogno di studiare ancora il numero 5. Devo conoscere oggi ciò che potrei essere costretto a distruggere domani. Cosa può trasformare una stupida scintilla in un incendio.
E devo chiedere più uomini. Stasera riceveremo delle visite, un uomo ed una donna che da quello che mi è stato raccontato hanno causato più di un problema alla Passeggiata di Waukeen, giù ad Athkatla. Parlerò con chiunque li accompagni e cercherò di spiegare il problema. Basterebbe un’altra persona come numero 5 e questo posto potrebbe trasformarsi nella nostra tomba.

 

Wanev, centoquattresimo supervisore del penitenziario di Spellhold

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Capitolo 25
*** Barristan Firehammer ***


 




Personaggio: Barristan Firehammer. Paladino umano maschio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: Barristan non fa parte del gioco, ma è il personaggio che ho creato per questa fantastica avventura. Non è stato di certo il primo, ma è l'unico con cui ho portato avanti entrambi i giochi con le relative espansioni, quindi penso che abbia un posto di riguardo nel mio cuore. L'ultima frase di questa fanfiction è una citazione, perché soltanto con questa mi sentivo di chiudere in bellezza questa meravigliosa serie. Ah, ho sforato i limiti, ma questa era l'ultima storia e volevo esagerare.


Singer of the End

“Scegli”.
Ho commesso tante scelte nella mia vita. Di molte me ne sono pentito. Di altre no.
Ho deciso di ascoltare le parole di Gorion e dargli le spalle, di correre senza sosta tra gli alberi mentre i suoi ultimi incantesimi illuminavano la notte; quella volta scelsi di fuggire come un vigliacco e di nascondermi oltre la collina, lasciando che l’unica persona che potessi mai chiamare “padre” offrisse la sua vita per la mia. E anche guardando tutte le imprese che ho compiuto, con la consapevolezza che le mie azioni hanno portato speranza in tanta gente … quella notte sbagliai. Forse sarei morto, forse no. Forse alcune delle persone che adesso mi guardano non sarebbero qui. Ma di certo non proverei quella stretta al cuore ogni volta che anche solo il ricordo del sul viso mi sfiora la mente.
Per questo adesso non posso commettere errori.
La luce del Trono di Bhaal illumina di verde ogni cosa. Il buio di questo luogo senza confini, immerso nello spazio concesso solo agli dèi, perde qualsiasi forma quando la colonna di luce lo trafigge e riflette le fiamme di Solaris, questo essere misterioso che rimarrà un enigma forse per sempre. “Scegli, progenie di Bhaal. Il potere che ti è stato conferito distruggerà per sempre lo spirito corrotto di Amelyssan e potrai diventare un uomo mortale. I fili che gli dèi hanno avvolto intorno al tuo corpo verranno sciolti, e la tua anima sarà libera di seguire il proprio destino. Oppure …”
Le sue labbra si muovono appena, e la sua voce rimbomba in questo spazio vuoto come se non nascesse da quel corpo incantato. “… oppure fai tuo il potere che ti spetta per nascita, Figlio di Bhaal. Accogli in te l’essenza di tuo padre e domina il Trono. Potrai diventare inviso a divinità malvagie come Cyric, ma il potere immortale che ribolle nel tuo sangue potrà dar vita a miracoli mai visti. Ed io sarò al tuo fianco, mio signore”.
Il Trono di Bhaal.
Sarevok grida qualcosa, ma …
Il Trono di Bhaal. La colonna di luce verde batte come un cuore impazzito, lo noto soltanto adesso. Forse è il mio cuore che batte e tutto intorno scivola e lo segue, ma questo posto è vivo. Sembra un golem alla ricerca disperata di un nucleo, un nucleo che Amelyssan aveva provato a riempire dei suoi incantesimi; ed ha fallito, perché il Trono è un trono, ed ha bisogno soltanto del sangue del suo re. Non è un’energia malvagia, questo lo so. Lo sento. È una forza simile alla più potente delle spade, alla lucente Carsomyr: si misura solo dalla mano che lo impugna, o almeno così direbbe Gorion. Non è mai stato usato per il bene degli esseri umani, ma questo non vieta … non vieta che potrebbe farlo. Oltre questo splendore Imoen sorride, poi china il capo. La mia preziosa sorellina sa meglio di chiunque altro cosa voglia dire dominare un enorme potere e camminare su quella sottile linea che separa il possederlo dall’esserne posseduti, tagliente come la lama di una spada che tenta di ferirci ogni volta che la nostra volontà vacilla e perde l’equilibrio. Lei mi chiede solo di non cadere. Di non ridurmi come Amelyssan o Irenicus.
E questo lo posso fare. Sono anni che convivo con questo spettro oscuro, con il sangue del mio vero padre che ribolle nella battaglia e si infiamma nella morte e che solo grazie alla bontà di Gorion sono riuscito a trattenere; posso tentare, se non altro. Con il Trono potrei finalmente impedire la minaccia del Sottosuolo, o ricacciare i vampiri e gli Illithid. Porre fine alla guerra tra elfi e drow, rallentare la minaccia dei giganti che anche adesso marciano compatti verso l’Amn. Forse anche far girare indietro la clessidra del tempo, restituire Khalid alla dolce Jaheira, o Dynaheir a Minsc che ancora la piange senza farsi vedere da Boo. Ricreare il mondo da zero.
Un lieve calore si muove dentro di me; lentamente, come il passo di un elfo sulla sabbia, scivola lungo il mio corpo ed arriva al cuore. Un tepore che parte dalle dita della mia mano destra, che quando abbasso gli occhi trovo racchiusa in quella sinistra di Neera. I suoi capelli adesso hanno una tinta indefinibile, caldi e gelidi allo stesso tempo. “Fai la tua scelta”, mormora. È la prima volta che la vedo così seria. “Qualunque strada percorrerai, io sarò felice se lo sarai anche tu”.
Neera …
Forse è quello che stanno dicendo tutti, che forse Jaheira mi sta martellando già da diversi minuti, ma è la sua voce, solo la sua voce a richiamarmi in quel luogo ricordandomi che non ho ancora pronunciato una sillaba da quando Solaris ha imposto il suo verdetto. È viva e forte come sempre, è la voce che ho imparato ad amare, ad ascoltare nelle sere di sconforto e nelle notti di gioia, ad obbedire nei momenti più impensati, a temere quando la presa dell’oscurità si fa più forte. Mi piace pensare a lei come la persona a cui offrire questo potere, a cui chiedere per prima come posso scacciare il suo dolore. Potrei distruggere i Maghi Rossi di Thay se solo questo bastasse per vederla sorridere. E questo Solaris lo ha capito. Mi volto di nuovo verso i suoi occhi fiammeggianti.
“NON E’ VERO!”
La presa di Neera stavolta è diversa, mi tira per il braccio fino a costringermi a guardarla di nuovo. E non c’è nulla dello sguardo dolce e sognante di qualche istante prima. “NON E’ VERO! NO, NON E’ VERO, NON SARO’ AFFATTO FELICE!”
“Neera, ma cosa …?”
“Io non voglio che tu te ne vada! Non voglio che tu diventi un chissà quale dio potente, immortale e bla bla bla e DEFINITIVAMENTE non mi importa nulla di come userai quella forza. Io … io voglio che tu rimanga con ME!” grida, poi incrocia le braccia con quella sua espressione corrucciata che nel migliore dei casi preavvisa un’ondata di magia selvaggia. “Voglio divertirmi, voglio passare delle fantastiche serate a ubriacarmi in taverna, voglio far esplodere i Thayani e far passare loro la fantasia di prendersela con noi maghi selvaggi … ma lo voglio fare con te! Senza di te, Barristan … tutto questo non avrebbe senso … non ho alcuna intenzione di essere piantata in asso per il Bene del Mondo. Vedi …”
Il suo tono si abbassa, fino a ridursi ad un sussurro. Imoen, Jaheira, Viconia, perfino Sarevok per un istante tacciono. “… io ti amo per il mortale che sei. Non per il dio che sei nato per essere”.
Il dio che sono nato per essere. Ho sempre pensato che si sia trattato di uno sbaglio, di un errore da parte dello stesso Bhaal quando scelse mia madre per portare avanti la sua progenie: non ho mai ascoltato la sua voce, nemmeno quando la forza dell’Uccisore si è manifestata nella mia carne. Ho sempre disdegnato tutto ciò che il Signore dell’Omicidio mi ha messo davanti, ed ho retratto la mano quando Sarevok ed altri hanno fatto di tutto per guadagnare le briciole di questo potere che dà diritto a salire al Trono. E se l’ho fatto è stato grazie a lei. Grazie alla piccola mezz’elfa che guarda prima me e poi Solaris come se gli ingranaggi mossi dagli dèi non siano altro che ruote arrugginite, la stessa ragazza che mi ha stretto tra le braccia quando l’Uccisore ha manifestato la sua violenza. Lei che non è arretrata di un passo quando ha visto il mio vero volto.
Per un istante il Trono mi sembra meno potente.
“E smettila di rimuginarci su! Non serve un dio per cambiare il mondo! Ti devo davvero fare la lista di quello che siamo riusciti a fare in poco tempo? Baldur’s Gate, Trademeet, Umar, Windspear, Suldanesselar, Athkatla … abbiamo una vita intera per riuscirci! Io e te!”
“Ehi, non escludetemi dal gruppo!” protesta Imoen. “Anche io voglio fare la mia parte!”
“E io vi seguirò. Ci vuole qualcuno che metta un po’ di giudizio in questo gruppo” dice Jaheira.
Viconia alza gli occhi al cielo senza dire nulla, ma prima che la sua disapprovazione per tutta questa storia si trasformi in una predica sul mio comportamento illogico una mano potente mi preme contro la spalla, incurante dell’armatura. “Ascolta la tua mezz’elfa, fratellino. Non sarebbe la prima volta che sputi nel piatto di nostro padre, no?”
L’espressione di Sarevok è ferma. Non lo sguardo inespressivo di quando abbatte i nemici o quando ascolta le liti senza fine di Jaheira e Neera. Credevo di aver portato a galla il suo vero Io in questo viaggio, ma solo adesso, solo davanti a questa luce, il suo sguardo è quello di un uomo che non ho mai conosciuto. “Non commettere il mio errore. Nessun potere è abbastanza grande da asciugare le lacrime che verserai quando lei non ci sarà più”.
Quando lei non ci sarà più.
Quando il mondo sarà diventato secco, perché non ci sarà il suo sorriso ad alimentarlo. Quando l’aria sarà gelida ed irrespirabile perché il suo fuoco si sarà dissolto in un manto di scintille.
Quando sembrerà avvolto dalle tenebre, proprio come la notte in cui Gorion è andato incontro ad un destino che avrei potuto cambiare se non fossi stato così debole. E sono i suoi occhi gli unici che vedo in questa selva di visi, quasi come se fosse ancora accanto a me, sommerso dai libri.
Lasciarsi alle spalle i propri sogni è un atto di coraggio molto più grande che affrontare un drago. Perché in quel caso la morte arriva con un soffio di fuoco, e non come piccole schegge di dolore in uno specchio che costantemente ti costringe a guardare ciò a cui hai rinunciato. Non si chiude la propria vita con un grido di battaglia, ma con un lento canto che accompagnerà ogni nostro sogno fino all’ultimo giorno.
Neera mi stringe la mano di nuovo.
Solaris mi osserva, ma non attende la mia risposta. Dietro quegli enormi occhi c’è un mistero che non potrò mai svelare, ma forse è proprio questo il bello di lei. Solaris sa, e d’improvviso tutto sembra più leggero.
Non riesco a voltarmi che il Trono svanisce, avvolto in un’esplosione di fiamme. Nel mio petto c’è qualcosa che si muove, vola, corre, salta e poi esce simile ad un falco in attesa di tornare al nido; oltre questo frammento d’universo rimane soltanto il grido di Amelyssan che squarcia l’anima e poi tace, stavolta per sempre. Neera si aggrappa al mio braccio e guarda oltre cercando i nostri compagni: oltre noi due adesso c’è solo lo splendore degli dèi che si trasforma in un ruggito che ci spinge e ci trascina lontano, costringendoci a chiudere gli occhi e sperare che gli altri stiano bene. Ma in fondo so che ci rivedremo presto, forse già al nostro ritorno.
Perché stiamo tornando nel nostro mondo, di questo ne sono certo. Stiamo tornando nel nostro mondo pieno di pirati e di schiavisti, di sacrifici umani e di guerre. Stiamo tornando nel nostro mondo dove pochi uomini usano il loro potere per giocare con le vite altrui, dove basta un po’ di magia per trasformare uomini e dèi e dove la morte scivola in torri secolari gridando una vendetta senza tempo. Stiamo tornando nel mondo dei draghi e dei vampiri, dei drow e degli Occhi Tiranni. Stiamo tornando nel mondo che ha bisogno di noi.
Stiamo tornando nel nostro mondo pieno di luce.



N.d.W: e finalmente sono arrivata alla fine! Caspita, non pensavo sarebbe stato così emozionante cliccare sull'opzione "conclusa" di efp e contemplare il lavoro tutto per intero. Giunta alla fine non posso far altro che ringraziare Lisaralin per tutto questo ed altro ancora. Senza di lei questo progetto non sarebbe mai venuto alla luce, perché per quanto l'idea mi piacesse e mi ronzasse nella test da ere geologiche non avevo mentalmente la fermezza e la forza d'animo di arrivare fino alla fine, e senza Lis non penso che fisicamente questa serie di storie sarebbe mai andata oltre le mie fantasie mentali. Perché fidatevi, è veramente impossibile scrivere qualcosa di lungo senza qualcuno che ti affianchi e ti sostenga, che condivida i tuoi sogni e li trasformi in realtà facendoli propri. Se ho finito questa serie è stato solo grazie a lei e vi invito a leggere tutte le sue storie che troverete (sempre che ci sia qualche altro essere vivente che legga questa storia, s'intende).
Al nostro prossimo progetto comune, socia! Come se non ne avessimo già due in corso ...
Ah, e se vi sono piaciute queste storie andate all'account Registe, dove ha vita il nostro vero e fantastico progetto comune ...

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Capitolo 26
*** Special: Wilson ***





Personaggio: Wilson
Genere: Introspettivo, Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: Il Barristan che viene citato nella storia è il mio Bhaalspawn.


Il richiamo della città

L’altro è forte.
Wilson gli si pianta davanti nel bel mezzo del sentiero; l’altro orso lo fissa, poi si guarda intorno e lo fissa di nuovo quando capisce che non vi sono altre vie di fuga e lui non lo lascerà passare oltre. È scontro.
L’avversario si alza su due zampe e ruggisce per spaventarlo, ma su Wilson certe dimostrazioni di forza non funzionano ed è lui il primo a colpirlo con una zampata al ventre. Quello non perde l’equilibrio e con tutto il suo peso –il nemico è più anziano di lui, ma non gli manca la forza- gli viene incontro: affonda le zanne in avanti ma esse serrano solo l’aria quando Wilson si sposta e sfugge alla sua presa.
L’altro è forte, ma non ragiona più ed i suoi occhi sono rossi.
L’altro è forte, ma Wilson lo è di più.
Solleva le zampe e le punta sulle spalle del nemico; ruggisce per convincerlo a fermarsi e lo spinge contro una quercia portandosi via parte del lungo pelo grigio. La sua mole sembra cedere per un istante, poi quello risponde con gli artigli caricandolo a piena forza, una potenza guidata soltanto dall’istinto battagliero. Wilson ne può vedere lo sguardo perso, lo scarso controllo e per lui è facile liberarsi dalla sua presa ed atterrarlo spingendo il proprio peso contro il suo fianco. L’avversario cade nel sottobosco e lui vi si avvicina per immobilizzarlo e farlo ragionare, ma quello per tutta risposta scatta in avanti con la testa e lo morde al collo, serrandogli i denti nel pelo senza alcuna intenzione di lasciare la presa.
Il dolore lo attraversa, ma le fruste degli umani fanno molto più male. Wilson capisce che l’altro non si fermerà spontaneamente quindi stringe di nuovo gli artigli intorno alla testa dell’avversario ancora stretta alla sua. Le zanne nemiche provano ad affondare più in profondità ma falliscono e l’orso grigio cade a terra, ancora battagliero ma con le zanne ed il peso di Wilson ben piantati tra collo e spalle. Ringhia, si divincola con tutta la forza che possiede e continua finché la furia che gli iniettava gli occhi di rosso non lascia il posto ad un abbandono che non appartiene alla famiglia degli orsi.
La pelliccia grigia striata di bianco si ritira e si fa sempre più corta mentre nei punti dove i suoi artigli ne hanno lacerato la pelle il sangue smette di correre e si fa pesto, l’odore pesante svanisce dalle narici di Wilson; lentamente rilascia la presa tenendo solo poco premute le zampe sulla creatura che sta mutando per evitare che possa attaccarlo di nuovo. Ma ciò non avviene e le iridi intrise di sangue riprendono il solito colore chiaro e le zampe si allungano, si distendono, si muovono fino a trasformare i pericolosi artigli in dita sottili e nodose, inoffensive finché non deciderà di abbandonare del tutto la presa su di lui.
A Wilson piace l’uomo dei boschi. Non lo ignora come fa il giovane cavaliere della città, né lo apostrofa con strane parole come fa l’elfa tutta nera. Il vecchio umano parla alla foresta ed agli animali con grande rispetto e Wilson lo ha ascoltato in silenzio quando l’altro gli ha narrato del suo dolore sopito le notti in cui cambiava pelle e correva sotto la luna.
“Hai ragione, amico mio” mormora l’uomo dei boschi. Osserva in modo mesto le proprie gambe senza peli e le proprie braccia, poi si passa un palmo contro la guancia quasi incredulo per ciò che è accaduto. “Mi dispiace non aver ascoltato i tuoi consigli. Ashdale è tutto per me”.
Molti umani pensano che lui sia solo un orso e dunque certe cose non le possa capire: ma la verità è che lui è un orso e dunque certe cose le sa fin troppo bene. Conosce le gabbie e l’odore dei propri bisogni incrostato al pelo, i carri tutti rotti che saltano sulle strade abbandonate, le pantere che si distruggono le zanne per aprire le sbarre e riprendersi i cuccioli che sono stati sottratti loro con la forza. Ricorda la carne verde e piena di vermi e sa che tutti quelli con due zampe chiudono a chiave quelli con quattro perché li divertono, li incuriosiscono o semplicemente li conoscono troppo bene e se ne credono padroni.
L’uomo che cambia il pelo pensa al suo cucciolo tutti i giorni ma parla troppo poco con gli altri uomini. Lui può diventare un lupo feroce ed uccidere in una notte decine di orchi, ma non ha la forza di convincere il resto del gruppo a distogliere la mente dai tesori nascosti sotto le colline di Windspear e tornare nella grande città per rivedere il suo piccolo. L’uomo dei boschi parla solo con Wilson, e questo non va bene.
“Io … devo tornare da lui. Non posso più ignorarlo”.
Per tutta risposta Wilson si pianta di nuovo al centro del sentiero, quel piccolo sottobosco di sassi e spinte che condurrà il vecchio umano, là dove la grande città di Athkatla cattura i maghi selvaggi, taglia le ali agli elfi e tiene il cucciolo chiamato Ashdale lontano da suo padre. E Wilson sa che l’altro non deve andarvi da solo, perché in quei posti la gente mette gli orsi nelle gabbie, li fanno ballare con la frusta e faranno tante cose brutte ad un uomo che può trasformarsi in un orso o in un lupo quando diventa davvero furioso. Wilson conosce pochi umani come quello che gli sta davanti, ma sa che quando i loro cuccioli sono in pericolo smettono di essere calmi e cadono nelle trappole della gente malvagia.
E questo l’uomo che cambia il pelo lo sa. Si guarda i piedi per cercare delle parole con cui scusarsi, ma a Wilson non occorrono parole. Le può lasciare a quelli con due gambe, quelli che le usano anche per fare tanto male, più che con i bastoni: lui preferisce un paio di mani che lo grattano dietro le orecchie o che fanno sparire il dolore delle ferite con la loro strana magia. “Seguirò il tuo consiglio. Parlerò con Barristan e gli chiederò di tornare ad Athkatla, ma se non dovesse accettare …”
Wilson gli viene accanto, scendendo per la via del ritorno. Il suo muso non è come quello degli uomini e quindi non sa ridere, ma serra i denti come fanno loro e lo sospinge verso il loro accampamento improvvisato dove senza dubbio qualcuno si sarà già accorso della loro scomparsa. Sa pochissimo di gente speciale come Barristan, ma non lascerebbe mai da solo un amico nel momento del bisogno.

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Capitolo 27
*** Special: M'Khiin ***





Personaggio: M'Khiin
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertenze: goblin non bravi a scrivere. Loro non fatti per raccontare, loro combattere.


La natura delle cose

Spiriti non parlano più a Ca’uxi. Lui punta il bastone e picchia forte la terra, ma la terra non si deve picchiare mai perché è molto più grande e più forte di goblin: Ca’uxi è stato malvagio ed ha fatto brutte cose, quindi la terra è furiosa e spiriti vanno via da lui.
Spiriti parlano con M’Khiin perché M’Khiin è brava goblin. Lei non colpisce i suoi compagni col bastone solo perché lei è sciamana e può picchiare altri goblin.
Tutto il clan Grubdoubler ride di Ca’uxi e gli tira le pietre perché lui credersi sciamano più grande di M’Khiin e lui invece solo grande perché è maschio e grida, ma spiriti sanno che vero grande non grida mai. Lei dice al clan di smetterla perché Ca’uxi ha perso, ma i guerrieri ridono di nuovo e prendono braccia di Ca’uxi così lui non può scappare . M’Khiin manda lupo nero ad allontanarli perché loro hanno molta paura di spiriti anche se guerrieri, però quando lupo appare la testa di Ca’uxi è già tutta rotta ed il cervello è per terra.
Questo a M’Khiin non piace.
Questo a M’Khiin non piace perché goblin, se vogliono, sono meglio di così. Ma non vogliono mai perché questa è la loro natura, e ciò la fa infuriare.
“Brava M’Khiin. Grande M’Khiin”. Hobgoblin Bhurgm si alza in piedi e tutti adesso stanno zitti, perché Bhurgm è il capo di clan Grubdoubler e la sua mazza nera manda fulmini come quelle dei famosi maghi delle città – M’Khiin sa che capo l’ha rubata a giovane cavaliere del nord: hobgoblin non ottiene nulla senza uccidere, rubare o entrambe le cose insieme, ma Bhurgm è troppo stupido per uccidere. Lui schiaccia solo teste di goblin e la sua faccia è felice quando guarda corpo di Ca’uxi. “M’Khiin è forte. Ma M’Khiin può essere ancora più forte. M’Khiin può diventare grande sciamana che renderà indistruttibile clan Grubdoubler”.
Lei non ha bisogno che Bhurgm le dica cosa può essere perché si sa che hobgoblin sanno poco delle cose, ma degli spiriti non sanno assolutamente nulla.
“Io trovato modo per renderti grande grande, così grande da far scappare anche giganti con due teste, sì. Io scoperto come dare a M’Khiin forza di potente spirito di drago”.
“Ne dubito” risponde lei, ma non molto ad alta voce. Lei è sciamana e può comandare ad altri goblin, ma quando il capo clan parla deve stare in silenzio anche se è uno stupido hobgoblin come Bhurgm. Perché questa è la natura delle cose.
“Terra dà spiriti a M’Khiin. Terra dà magia a M’Khiin. Quindi se M’Khiin dà qualcosa a terra, terra darà a lei spirito più forte che possiede”.
Vorrebbe rispondergli che spiriti non funzionano come lui dice e che hobgoblin non sanno nulla, ma adesso tutti guardano capo clan e credono che la sua grandiosa idea li renderà invincibili. Lui parla adesso a tutti altri goblin con mazza magica in mano e piccoli fulmini escono dal manico come se lui fosse un vero guerriero. “Io catturato elfo. Elfi hanno sempre tanta magia. M’Khiin adesso prende cuore di elfo e lo offre alla terra, così potrà avere grande spirito di drago e dare fuoco a tutti i nemici di clan Grubdoubler”.
Altri goblin portano elfo dai capelli chiari legato a worg. Lui dice di liberarlo ed ha paura, ma tutti altri ridono e gli danno colpi. Solo perché elfo è legato, però. Loro mai colpire elfo libero per paura della sua magia, e questo a M’Khiin non piace: lei ha imparato a parlare agli spiriti con uomini della foresta che si trasformano in orsi, e sa che ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno. Goblin tante volte fanno cose che non si fanno, ma non la ascoltano mai anche se lei è sciamana, e questo le fa molto male. Vecchi uomini dei boschi dicono che questa è la natura delle cose, ma goblin non sono cose e lei vorrebbe cambiare tutti quelli come lei. “Uccidere questo elfo è sbagliato, Bhurgm. Suo cuore non sveglierà nessun drago. Lascialo andare”.
“Io dico di sì. Io sentito di grandi maghi uccidere nemici per avere potere e chiamare grandi demoni”.
“Maghi non sono sciamani. Demoni non sono spiriti”.
L’elfo annuisce ed è d’accordo con lei, ma Bhurgm gli dà calcio e guarda M’Khiin con tanta rabbia. Lui è hobgoblin più grande e più forte con mazza che libera fulmini, ma lei non ha paura di un capo che non è davvero un capo. Lei è sciamana. “M’Khiin fa ciò che io dico. Io capo Grubdoubler, M’Khiin goblin. E goblin fa quello che dico io o sua testa esplodere come quella di Ca’uxi”.
“Natura di goblin è quella di obbedire a capo …”
Adesso M’Khiin è stanca di tante sciocchezze. Spirito di lupo bianco arriva sempre per primo quando lei è furiosa, e quando fa vedere le zanne tutti sono spaventati. Il grande serpente appare sotto gli stivali di hobgoblin e gli si avvolge intorno alle gambe: sibila e fa vedere i denti, e quando Bhurgm alza la mazza colpisce solo l’aria perché spiriti non hanno ossa da rompere o cervelli da scappare e quando loro sono offesi nessuno può scappare. Anche vecchio orso grigio risponde alla sua chiamata, si alza su due zampe e prende arma che spara fulmini nella sua bocca. Tira e hobgoblin urla come cucciolo di goblin pauroso, dà un calcio all’orso ma il grande serpente gli stringe la gamba e lui inciampa. Altri goblin vorrebbero ridere, però tutti scappano perché lupo li fissa con occhi rossi. Loro vanno via perché loro forti solo a catturare povero elfo che dorme, non a combattere i veri spiriti della foresta. M’Khiin è stanca di loro.
Lei va da hobgoblin che piange e gli fa vedere il suo bastone da sciamana. “Natura di goblin è quella di obbedire a capo. Allora io non più goblin. Io non voglio ordini da te” dice. Altri fanno voce grossa, ma non M’Khiin. “Tu ora va via”.
Bhurgm ancora spaventato. Prova a risponderle che lui è ancora capo, ma grande e vecchio orso grigio rompe la sua mazza e hobgoblin scappa via come se avesse davvero visto un drago rosso che sputa fuoco.
Altro goblin adesso sarebbe felice perché mostrato più forte di capo Grubdoubler, ma M’Khiin non è altro goblin. M’Khiin è M’Khiin, e adesso M’Khiin è sciamana senza clan. Forse meglio, forse peggio. Lei è solo una goblin e certe cose la piccola gente non le sa. Lei va dall’elfo e gli libera i polsi. “Meglio che tu scappa. Prossima volta non farti catturare, capelli d’argento”.
“Un saggio suggerimento che seguirò senza dubbio, mia sublimemente sciocca e silenziosa sciamana” risponde lui mentre si sistema i vestiti scuri. È un mago, questo M’Khiin lo vede subito, ma M’Khiin non capisce perché mago elfo sia stato catturato da uno stupido come Bhurgm. Forse elfo un po’ ingenuo, qualche volta la gente alta lo è perché ha gli occhi troppo in su e non vede la terra su cui cammina. “Ma cosa osservano i miei occhi operosi? Una goffa quanto gentile goblin che rinnega la sua negletta natura per salvare nientemeno che un nobile elfo della notte? Un simile salvataggio significa che il sottoscritto debba sdebitarsi”.
M’Khiin dimentica che gente alta parla troppo per lingua goblin.
“Ascolta, piccolo porcospino, il sottoscritto ha un’incredibile, ingegnosa, inimmaginabile, inaudita, imbattibile, insuperabile idea! Cosa ne pensi di una conveniente (per me) collaborazione?”
Lei ormai è tranquilla. Spiriti sempre irrequieti quando ci sono dei maghi, ma lei li chiama indietro. Non ha motivo di attaccare l’elfo rumoroso. “Con i tuoi particolari poteri potremmo performare qualcosa di puramente portentoso!”
Non è che M’Khiin abbia molte scelte. Adesso lei non ha più clan, e forse l’elfo tutto nero può fare qualcosa per lei: non sembra molto intelligente, ma gli elfi scuri sono grandi maghi e forse non è cattiva idea rimanere con lui per un po’. In due è più facile trovare cibo caldo e un fuoco, e questo tutti i goblin lo sanno molto bene. È la loro natura.
“E va bene, capelli d’argento. Ma solo per un poco”.

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Capitolo 28
*** Special: Corwin Schael ***





Personaggio: Corwin Schael
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: Verde
Avvertenze: questa storia si ambienta in un ipotetico futuro successivo a Siege of Dragonspear. Sono convinta che nel prossimo gioco la Beamdog deciderà di mandare la mia fanfic a monte, ma fino a quel momento ... enjoy!


Qualunque cosa accada

Corwin respira a fondo. Non si tratta di nervosismo, bensì di una qualche forma di emozione.
I suoi occhi si posano su ogni dettaglio della stanza ben ammobiliata: sulla scrivania nessun foglio è fuori posto, nessun angolo arricciato, le pergamene sono arrotolate ed impilate senza che una sopravanzi l’altra o che i sigilli in ceralacca si incollino tra loro per il lieve calore emanato dalle ultime braci del camino. Si controlla i piedi una seconda volta, assicurandosi che siano perfettamente allineati.
L’uomo davanti a lei sembra l’incarnazione dei rigore. I suoi movimenti sono lenti e regolari anche quando soppesa la pergamena che lei gli ha appena consegnato, una figura ben lontana dai luogotenenti del Pugno Fiammante e dal puzzo di birra e urina che risale dalle prigioni della fortezza fino alle stanze dei principali ufficiali. La cotta del comandante dai capelli bianchi è cosparsa di segni ed ammaccature, ma narra di gloria ed avventure passate molto più delle lucenti armature che i capitani di Baldur’s Gate indossano durante le parate. “Il suo stato di servizio è a dir poco ineccepibile, capitano Corwin Schael”.
La figura anziana solleva lo sguardo dai fogli; la sua voce è dura, ma giusta. Corwin si accorge di avere la bocca secca. “Gli encomi che ha ricevuto per la questione di Dragonspear basterebbero a far impallidire la metà dei miei uomini, capitano. Sono quantomeno meravigliato nel vedere i miei colleghi di Baldur’s Gate inviare una donna come voi qui nel sud, specie considerando le tensioni tra i Granduchi e il Consiglio dei Cinque”.
“Non sono stati i miei superiori a mandarmi qui, signore”.
Corwin risponde piano, scandendo ogni singola parola. Non è certo una bambina intimorita, ma l’uomo anziano che la fissa dal suo scranno è una leggenda vivente e adesso esige una risposta da lei e soltanto da lei. “Sono stata io a chiedere il trasferimento”.
Non era stato nemmeno troppo complesso: gli alti ufficiali del Pugno Fiammante non erano stati poi così addolorati nel consentire all’inflessibile, intransigente e ficcanaso capitano Schael di levarsi dai piedi. Specie il luogotenente Grovel, il cui ufficio contava senza dubbio più prostitute che incartamenti. O l’ufficiale Minerock, più che sollevato all’idea di firmare il visto di partenza per il Sacro Ordine del Cuore Radioso alla donna che lo aveva citato nei propri rapporti per connivenza con le operazioni illecite del Trono di Ferro. I paladini servono tutti una causa comune, dunque nessuno ha avuto realmente da ridire quando si è lasciata alle spalle il puzzo di Baldur’s Gate. E tutti i ricordi collegati a quella città.
“Sarei invero curioso di conoscerne le motivazioni”.
“Le motivazioni sono innumerevoli, comandante Firecam …”
Rohma è stata la prima, ovviamente. Vederla giocare serena tra i sicuri giardini del quartiere governativo di Athkatla le ha rasserenato il cuore sin dal primo giorno, quando un giovane e distinto cavaliere nella villa adiacente alla loro ha regalato alla bambina tutte le bambole appartenute a sua sorella, una giovane donna venuta a mancare da poco. Le strade della Città della Moneta la aiutano a dimenticare la polvere, i ratti, gli uomini e le donne sfollati nei vicoli di Baldur’s Gate che nemmeno la sconfitta di Caelar Argent è riuscita a risolvere; l’odore delle latrine a cielo aperto non la investe più quando cammina. Non è così ingenua da credere che Athkatla sia una città perfetta –una rapida sosta al Diadema di Rame glielo ha confermato- ma senza dubbio è un luogo più che accettabile per far crescere Rohma.
E poi la questione di Barristan.
Corwin scuote la testa al ricordo del gentile Figlio di Bhaal, e solo dopo si accorge che le iridi severe del nobile Keldorn Firecam stanno aspettando la fine della sua risposta “…ad essere sincera non saprei nemmeno da quale iniziare”.
“Eccellente. Mi risparmierà di ascoltarla”.
C’è una lama dietro quelle parole. Corwin sobbalza quando la mano solcata da cicatrici le restituisce la lettera di presentazione insieme alle pergamene nemmeno aperte; cerca una spiegazione, ma le sopracciglia grigie screziate di bianco non danno alcun cenno di distendersi. “Non ho bisogno di gente come lei”.
Prova a lanciare un’occhiata speranzosa ai documenti non ancora letti eppure, per tutta risposta, il vecchio paladino glieli stringe nella mano con maggior veemenza. “Se pensa che una manciata di encomi possa farmi cambiare idea si sbaglia di grosso, capitano” risponde. “La sua fama la precede e, mi creda, non solo per la sua abilità con l’arco. Una persona che dubita della parola dei suoi compagni non possiede i requisiti adatti a servire l’Ordine. Come potrei affidarle la vita dei miei uomini sapendo che potrebbe negare loro il suo appoggio?”
“Non farei mai una cosa simile. Chiunque le abbia raccontato una cosa simile si stava sicuramente divertendo ad infangare il mio onore con simili calunnie!”
“Strano. Io credo invece che sia una persona che sicuramente lei ha abbandonato nel momento del bisogno. Più precisamente nelle celle del Pugno Fiammante. Ultima cella a destra, ala nord, se non vada errato. Credo ci sia ancora un cuore in frantumi in mezzo a tutto quel letame”.
Gli occhi chiari di Barristan le si piantano innanzi, carichi di delusione come nello stesso istante in cui si era imposta di dimenticarli; non come gli occhi di Sarevok, l’altro Figlio di Bhaal che si diceva fosse in grado di fissarti con iridi ardenti come braci venate di luce scarlatta. No, gli occhi di quell’uomo sono grigi nel suo ultimo ricordo, quasi spenti nella penombra delle sbarre, così lontani dall’azzurro cavalleresco che li tingeva quando le chiedeva di parlargli di Rohma o di come si fosse procurata la cicatrice al volto. Ha votato gli ultimi mesi a soffocare quello sguardo con tutti gli impegni che fosse stata in grado di caricare sulle proprie spalle, eppure basta solo il pensiero di quell’uomo, del suo dolore, per soffiare via l’intricato castello di carte che ha eretto per impedire ai propri sentimenti di superare gli argini, il fossato che ormai credeva invalicabile finché le parole del vecchio paladino non lo hanno oltrepassato. Perché non c’è nulla di più doloroso della verità che emerge dopo tanto tempo di prigione tra le bugie.
La verità è che ha avuto paura di credere in lui.
Dargli le spalle allora le è sembrato più semplice, senza dubbio meno doloroso dell’issarsi tra lui e le menzogne e fargli da scudo. Era stato più facile ascoltare mille voci che non una, una voce resa ancora più flebile dalle prove dell’omicidio della giovane Silvershield costruite intorno a lui. Ed in quel momento tutte le accuse sembrano prendere vita negli occhi dell’anziano comandante. “Comprendo”.
“No, ragazza, tu non comprendi affatto. È questo il tuo problema” dice. Molte storie di suo padre Corwin aveva sentito sull’inflessibilità ed il rigore del nobile Keldorn Firecam, ma in nessuna di quelle si narrava di come il veterano della guerra contro i giganti fosse in grado di trasformare un decorato ufficiale della milizia in un lombrico. “Se vuole dimostrarsi degna del Cuore Radioso prenda quelle lettere di presentazione, le lanci nel camino e faccia qualcosa di più utile che starsene nel mio ufficio a rubarmi tempo. L’Ordine ha mandato uno dei suoi migliori membri nelle rovine di Windspear a recuperare la più grande reliquia mai appartenuta ad un servitore della Legge … gelosamente custodita da un drago rosso, purtroppo”.
La sua espressione si fa pensosa. “Ammetto che le sue possibilità di successo sono scarse. Solo un folle si spingerebbe nella tana di una bestia sputafuoco con … vediamo … una ladruncola evasa da Spellhold, un ranger per cui gli Stregoni Incappucciati offrono una taglia in grado di acquistare mezza Waterdeep, una druida ancora più inflessibile del sottoscritto, una maghetta selvaggia dai capelli indescrivibili e … persino della disgustosa feccia nera del Sottosuolo”.
Certo, solo un folle lo farebbe, ma Corwin ne ha in mente solo uno. Perché conosce solo una persona in grado di rischiare la vita insieme a gente simile. E la parte della maghetta selvaggia dai capelli indescrivibili le leva di colpo qualsiasi dubbio. Prova a chiedere spiegazioni al nobile in armatura, ma quello le ha stretto di nuovo le lettere nel palmo e adesso le dà le spalle, segno che la loro conversazione è terminata. “Windspear è a soli tre giorni da cavallo da qui. Non crede anche lei che contro un drago molto spesso una freccia ben incoccata possa fare la differenza, capitano?”
Ma Corwin ormai non lo ascolta più. È già alla rampa delle scale, il cuore in gola.
Qualunque cosa accada lei sa che i prossimi tre giorni saranno i più lunghi della sua vita.
Qualunque cosa accada ha troppo poco tempo per pensare a cosa dirgli, quando parlargli, dove trovare il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi.
Qualunque cosa accada ha solo tre notti per ricordare come si pronuncia davvero quel “Ti amo” che allora non ha saputo lasciare le sue labbra.


E anche questa breve edizione dedicata a Siege of Dragonspear è terminata. Auguro a tutti un buon proseguimento e ringrazio tutti coloro che hanno letto queste vicende e mi hanno supportata nel lavoro!

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