Do you know me in this Universe? ~ ❤

di Zomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1: A Dinner with Jeasouly, Freindship & Family ***
Capitolo 2: *** #2: A Tangerine soaked in Alcohol… you soaked in me ***
Capitolo 3: *** #3: A Green Tiger and a Orange Cat ***
Capitolo 4: *** #4: After 3 Days 2 Years you have a new Scar ***
Capitolo 5: *** #5: Map for a Road Trip ***



Capitolo 1
*** #1: A Dinner with Jeasouly, Freindship & Family ***


Do you know me in this Universe? ~ ❤
 
 




 

#1: A Dinner with Jeasouly, Freindship & Family

 
Sistemò l’orlo della gonna sopra il ginocchio, scalò la marcia fermandosi all’incrocio per poi ripartire e allungare la gonna sotto il ginocchio.
Sopra o sotto?
Cosa consigliava l'etichetta per certe occasioni? Andava bene sopra o sotto?
Infossò lo sguardo sul parabrezza ignorando le indicazioni del gps, accelerando in rotatoria e rubando un grugnito di disapprovazione a Zoro.
Andava bene quel vestito? Il bianco era indicato per l’occasione o era meglio il nero?
O il rosso?
-Oh fa pure: uccidici mentre andiamo a conoscere i miei!- sbottò facendo sbuffare Nami.
-Ho tutto sotto controllo- parlò tagliente, riportando la gonna sopra il ginocchio e sistemandosi una ciocca ramata dietro l’orecchio prima di gettare un’occhiata allo specchietto retrovisore per controllare il trucco.
Andava bene? Non era eccessivo?
E se lo era?
Prese la seconda a destra, guidata più dal suo senso dall’orientamento che dal navigatore, ormai sull’orlo di una crisi di inutilità vista la bravura della guidatrice, cercando di concentrarsi sul nome dei vari ristoranti che si affacciavano su Via Orientale, in cerca del rinomato Germe dove avrebbe cenato quella sera stessa con Zoro.
Lei, Zoro e i genitori del su detto Zoro.
Un attacco di panico l’assalì al pensiero e si ritrovò a tamburellare le dita sul volante davanti al parcheggio del più famoso ristorante cittadino.
Aveva voluto guidare lei per calmare i nervi e concentrarsi sul tragitto per arrivare al ristorante e distrarsi dalla sua ansia -e ovviamente per non perdersi dato l’orientamento da comodino del suo ragazzo- ma non aveva funzionato molto bene.
L’ansia si era gonfiata fino a diventare terrore, puro terrore di incontrare i genitori del suo amato Zoro e di fare, dire, dichiarare qualcosa che non le avrebbe fatto guadagnare l’approvazione dei possibili suoceri.
Frenò debolmente dinanzi al parcheggio del Germe.
Poteva sempre ingranare la retromarcia, imbavagliare Zoro e scappare dalla cena “Ti presento i miei” con la famiglia Mihawk-Hancock, no?
Insomma… che ci voleva a sedurre Zoro?
Se era riuscita a convincerlo ad accompagnarla ai saldi di fine stagione, che ci voleva a convincerlo a rimandare a data da destinarsi la cena con i suoi?
-Ti stai mordicchiando il labbro inferiore…- cantilenò Roronoa, attirando la sua attenzione e facendole ruotare gli occhi dal volante su di lui.
-Mm?- mugugnò la rossa, azzannandosi le labbra.
Zoro ghignò, sporgendosi verso di lei e aiutandola a parcheggiare e accarezzandole una guancia mentre ancora i suoi occhi di cioccolato si perdevano in chissà quale nefasta immagine del futuro.
-Zoro…- farfugliò Nami, allungando e ritraendo nuovamente la gonna sopra, sotto e ancora sopra il ginocchio.
-Nami…- le fece il verso, ridacchiando all’occhiataccia della sua ragazza, slacciandole la cintura di sicurezza e scendendo con lei dall’auto.
Il ragazzo era conscio dell’ansia che attanagliava la sua compagna, quel mordicchiarsi il labbro ne era la conferma, ma ormai era troppo tardi per annullare la cena, e a lui non resta altro che l’ingrato compito di calmarla e convincerla a seguirlo in quella serata.
 -… è solo una cena…- tentò di rassicurarla, pronto a portarla di peso all’interno del ristorante se avesse avuto un attacco isterico dei suoi.
-… una cena con i tuoi, al Germe!- quasi strillò stringendosi al braccio del verde, stropicciandogli la giacca che vestiva –Hai presente quanto costi anche solo entrare qui!?? Non ci sono mai stata, ma…-
-Tranquilla paga papà- si incamminarono alla lussuosissima entrata del ristorante mano nella mano, entrando nell’ampia entrance -E comunque non ti sembra famigliare come luogo?- sollevò un sopracciglio guardando l’interno del locale.
Gli occhi di Nami corsero tra i tavoli alla ricerca della famosa chioma corvina della signora Hancock, continuando a mordicchiarsi il labbro, ignorando i dubbi del compagno e tornando a tormentare la gonna e i suoi stessi nervi.
Sentì vagamente la richiesta del loro tavolo fatta da Zoro alla bionda Capo Sala, venendo trascinata con lieve forza dal verde mentre i suoi occhi girovagavano scaltri e attenti a ogni singolo particolare che li circondava.
Il ristorante era illuminato a giorno da ampi lampadari che scendevano a goccia dal soffitto che sembravano piegarsi in un profondo inchino sopra la sala gremita di tavoli, già occupati, dove una dolce musica classica armonizzava l’allegro e composto chiacchiericcio dei clienti del locale.
-Da questa parte, prego signor Roronoa…- li stava guidando la Capo Sala, oscillando il ciuffo biondo sull’occhio destro, ciuffo che aveva insospettito Nami ma non abbastanza da distogliere i suoi persistenti pensieri sulla cena che da lì a poco avrebbe avuto.
Zoro non parlava spesso dei suoi genitori, ma da quello che aveva capito erano alquanto bizzarri.
La madre, Boa Hancock, aveva imposto al marito, Drakul Mihawk apatico uomo d’affari che si esprimeva più a occhiate che a parole, che il loro unico figlio avesse in dote il cognome della nonna materna, Roronoa appunto, per far sì che la pro genesi della famiglia non andasse perduta.
Richiesta bizzarra, ma non unica a sentir Zoro che ogni tanto, quasi raramente e solamente dopo l’amplesso, borbottava aneddoti sulla sua famiglia su supplica della stessa Nami, costretta ad abbassarsi a certi mezzucci pur di informarsi della famiglia del suo ragazzo.
Ma vista la situazione in cui si era ritrovata, che altro poteva fare?
-… il vostro cameriere arriverà subito-
Tremò sul posto Nami a quelle parole, ridestandosi dai suoi nervosi pensieri e riconoscendo di sfuggita la Capo Sala allontanarsi dal tavolo dove già sedevano i genitori di Zoro.
Un nodo le si strinse in gola, bloccandole il respiro e strozzandola lentamente mentre tentava di sorridere ai due seri e imperturbabili individui che aveva dinanzi, intenti a squadrarla da capo a piedi con sguardo truce e indagatore.
Rapida, liberò il braccio di Zoro che aveva martoriato fino a quel momento, lisciandosi la gonna –il cui orlo ora era sopra il ginocchio- e sorridendo affabile in attesa di essere presentata dal suo ragazzo.
Cosa che non accadde.
Come se non fosse una cena importante ed i vitale importanza per la rossa, Zoro si era comodamente seduto dinanzi a suo padre, non accennando ad alcuna presentazione della formosa e ramata ragazza che l’accompagnava né a una qualsivoglia forma di saluto verso i suoi genitori, beccandosi un’occhiataccia assassina da Nami.
Non aveva voluto lui quella cena? E ora se ne lavava le mani in quel modo da buzzurro incrociato con i babbuini?
-Zoro!- sibilò un richiamo, al quale il verde rispose sollevando un sopracciglio e posando il mento sul palmo della mano.
-Cosa?- sbuffò.
Il nervosismo di Nami crebbe a dismisura, costringendola a farsi violenza pur di non uccidere il suo ragazzo davanti ai signori Mihawk.
Mihawk-Hancock.
O solo Hancock?
-Piacere di conoscervi- riprese controllo su di sé, schiarendosi la voce e porgendo una candida mano verso Drakul, il più vicino dei due coniugi –Sono Nami, la ragazza di Zoro-
Lo sguardo dorato di Drakul la studiò velocemente, non degnandola di risposta né interesse, mettendola in imbarazzo con il suo mutismo e non ricambiando la stretta di mano che Nami gli offriva.
Oh allora era da lui che Zoro aveva ereditato la parlantina sciolta e l’educazione: ora si capivano molte cose.
-Boa Hancock- ruppé il silenzio la madre del verde, afferrando con sicurezza la mano di Nami e stringendola in una morsa salda e minacciosa –Signroa Hancock per te-
Ottimo, buon inizio con la suocera, adorabile e cordiale a quanto vedeva.
Quasi quasi Nami rimpiangeva il silenzioso suocero: almeno lui non era velenoso come una biscia.
-Piacere signora Hancock- prese posto al tavolo Nami, calciando con un tacco uno stinco a Zoro in punizione della sua mancata cavalleria -È un piacere conoscerla finalmente-
Doveva fare bella figura, doveva assolutamente risultare la ragazza perfetta per Zoro.
Nami non era mai stata una donna che cercava l’approvazione altrui, anzi: faceva quello che voleva e se ne fregava del pensiero degli altri.
Ma nella sua attuale situazione, spinosa e non, non poteva permettersi di inimicarsi Boa.
Ne andava del suo futuro e del suo piccolo dolce problemino.
Assolutamente, Nami doveva fare bella figura…
-Vorrei poter dire altrettanto- soffiò altezzosa Hancock.
… o almeno evitare un omicidio.
Deglutì pesantemente, lisciandosi la gonna chiara e contando fino a dieci prima di parlare.
-I-io…-
-Quando Zoro mi ha chiamato per questa cena, avevo già ben altri programmi- parlò schietta e seria la corvina, ondeggiando la fluente chioma e fissando con le pupille zaffire la ramata –Ho dovuto scombinare i miei appuntamenti in agenda ed è stata una vera seccatura- lanciò un’occhiataccia a Nami, quasi fosse stata un’idea della rossa anziché del verde -E trovare un tavolo libero al Germe con così poco tempo di preavviso non è stato facile- mosse la testa, ondeggiando la chioma, gettando lievemente il capo all’indietro –Ma nessuno può negarmi nulla, perché…-
-Mamma, ti prego…-
-… sono bellissima!-
Zoro si passò pesantemente una mano sull’intero viso, mordendosi la lingua con violenza pur di non imprecare a voce alta. Dannazione, gli serviva serietà quella sera e non gli attacchi di egocentrismo narcisista di sua madre!
Ruotò le iride nere su suo padre, in cerca di un aiuto, ma lo trovò più interessato al menù che alla consorte in vena acida verso Nami e a suo figlio, che cercava con la sola forza dello sguardo di estorcergli un qualche aiuto in quella serata che già si annunciava disastrosa.
Quasi fosse stato punto da una zanzara, Mihawk sollevò gli occhi dall’elegante menù, incrociando per un breve attimo lo sguardo corvino di suo figlio.
-Ordiniamo- parlò asciutto quasi leggendo i pensieri di Zoro, lanciando una breve occhiata alla moglie che si aggiustò la scollatura dell’abito rosso che indossava, sbuffando.
Zoro annuì e infossò lo sguardo nel menù.
Doveva assolutamente andare tutto bene.
Non avrebbe avuto seconde opportunità. Era già strano che Nami avesse accettato di incontrare i suoi genitori senza sospettare nulla, e solamente l’entusiasmo che aveva esibito per quella cena gli aveva consentito di allentare lievemente i nervi per quanto aveva in mente, affidandosi ciecamente alla sua buona stella.
Doveva andare tutto bene.
Sua madre sembrava restia, ma suo padre, con il suo modo di fare taciturno e circospetto, aveva esibito un mezzo ghigno nel squadrare Nami da capo a piedi, facendogli ben sperare.
Ghignò anche lui, guardando di sfuggita il menù e accarezzando, soprapensiero e senza malizia, una coscia a Nami sotto la tovaglia, cercando di allentare i suoi e quelli della rossa nervi.
La mano della sua ragazza lo aveva appena sfiorato in una leggera carezza quando la voce del cameriere del loro tavolo si avvicinò, mandandogli in defibrillazione i battiti del cuore.
-Buonasera, sono Rufy e per questa sera sarò il vostro cameriere…-
Oh no, lui no.
Sollevando il capo lentamente, Zoro si ritrovò davanti agli occhi il suo miglior amico che si leggeva su una mano delle frasi fatte, sghignazzando e grattandosi la nuca mentre saltellava in un completo rigido e scuro da cameriere.
-Oh merda!- imprecò, attirando l’attenzione di Nami, che ridacchiò divertita.
Ecco, lo sapeva, la sua buona stella lo aveva gabbato in pieno.
Perché tra tutti i dispetti che ella poteva fargli, aveva scelto il più rumoroso e molesto: Rufy, il suo migliore amico, per cui sua madre sembrava avere una cotta adolescenziale astronomica che se non preoccupava il consorte Mihawk, imbarazzava il figlio Zoro.
Grugnì, sporgendosi verso il moro e strattonandolo per la camicia che sporgeva dal gilet che indossava –E tu che ci fai q…!-
-Oh Rufy caro!!!-
Non ebbe il tempo di terminare la frase o di fermare l’onda corvina che scivolò rapida sul tavolo, che sua madre aveva già abbracciato per le spalle Rufy, sommergendolo di uggiolii felici e vezzi imbarazzanti.
-Non sapevo lavorassi qui!- cinguettò falsa, ondeggiando la chioma e ammirando il moro nella divisa da lavoro.
-Oh si certo- sbottò Zoro –Casualmente organizzi la prima cena con la mia ragazza nel ristorante dove lavora Rufy e, sempre casualmente, lui è il nostro cameriere…-
-I casi della vita, Zoro!- rispose piccata Boa, tornando ad accarezzare la zazzera nera del cameriere –Oh ma non è bellissimo? Averlo come cameriere intendo, ovvio…-
Nami si portò alle labbra il bicchiere per nascondere un risolino ironico, seguita da uno sbuffo di Drakul, intento a nascondere nel sfogliare il menù un lieve fastidio che gli faceva indurire la mascella mentre Zoro cercava di allontanare sua madre da Rufy.
-Mamma, va a sederti: dobbiamo cenare!- ringhiò, distanziando i due e spingendo Boa alla sua sedia.
-Ohi Zoro, ciao Nami- sghignazzò Rufy, ritrovandosi l’amico davanti al naso –Che bello vedervi!-
Il verde latrò secco, risedendosi e ignorando le proteste della madre.
-Prendi le ordinazioni e levati dai piedi- sbottò picchiando un gomito sul tavolo e affondando il volto nel palmo.
-Non essere sgarbato con Rufy- lo riprese Nami, più per pizzicarlo che per sgridarlo veramente, e Zoro ci avrebbe anche riso su visto che il suo “essere sgarbato” era niente in confronto ai pugni che il povero moro riceveva dalla rossa quando faceva qualche scemenza, ma non era davvero serata.
Oh no, non lo era davvero.
-Si Zoro, non essere maleducato con Rufy caro!- lo fulminò con occhi severi Hancock, incrociando le braccia sotto i seni –Lui è sempre così gentile con te, ed educato, e affabile e…-
-Vorrei cenare prima che mi salga la nausea, se possibile- proferì Drakul, lapidario e tagliente.
-Geloso caro?- lo rimbeccò Boa.
-Direi affamato piuttosto- chiuse il menù posandolo sul tavolo ben apparecchiato.
-Oh anch’io!- saltellò Rufy, innocentemente ignaro di essere il centro degli istinti omicidi degli uomini Mihawk della famiglia lì presente –Ma non posso mangiare, me l’hanno vietato!
-Oh povero cucciolo!- si portò le mani al cuore Boa –Ma è una crudeltà!-
-No, è per non mandare in fallimento il locale- sbottò Zoro, bevendo.
-Zitto tu! E dimmi, Rufy caro, se potessi cosa mangeresti ?-
-Oh bhè- si asciugò la bava alla bocca il moro –La grigliata stasera sembra così appetitosa, con le salse, e le verdure grigliate e…-
-E che grigliata sia!- bettè tra loro le mani Hancock –Cinque porzioni, e se poi volessi unirti a noi, io ne sarei così…-
-Ne basteranno quattro- ruppé in mille pezzi i sogni della consorte Drakul, spingendo i menù contro il petto di Rufy e intimandogli con lo sguardo di correre verso la cucina con le ordinazioni.
-Ok!- sghignazzò quello, facendo dietro front e marciando verso la cucina -Torno con le vostre ordinazioni in un lampo!-
-Aspetta Rufy!- tentò di richiamarlo Nami –Le verdure quali…- ma era ormai tardi, il moro si era dileguato di già tra i tavoli della sala, saltellando e ridacchiando quasi che il suo lavoro fosse anche divertente.
Brutta, brutta situazione per la rossa.
Deglutì, sperando ardentemente che non ci fossero quelle verdure nella grigliata, ma la preoccupazione per l’ordinazione svanì in fretta quando percepì su di sé lo sguardo divertito e provocatorio di Boa.
-Problemi con le verdure mia cara?- cinguettò velenosa.
-Assolutamente no- sorrise sforzandosi di sembrare naturale.
-Oh Nami cara, se sei a dieta puoi pure dirlo- si ammirò le unghie laccate di rosso, sfoggiando un sorriso tagliente –In fin dei conti si nota quanto tu ne abbia bisogno…-
-Come?!?- assottigliò omicida lo sguardo. Che stava insinuando?
Lei non era grassa, e nemmeno a dieta, lei era…
-Nami non è a dieta mamma- passò un braccio dietro la schiena della rossa Zoro, facendole tirare un sospiro di sollievo.
Almeno lui era dalla sua parte!
-Dovresti vedere come mangia ultimamente: potrebbe competere con Ru… ouch!.-
Il calcio sulla caviglia lo zittì, permettendo a Nami di salvarsi.
Altro che dalla sua parte, le era contro anche lui!
-Come dicevi tesoro?- cercò di incalzarlo Boa, curiosa più che mai ora della dieta della probabile nuora.
-Niente!- tagliò corto Nami –Zoro quando ha fame farnetica, e dice cavolate varie… a volte anche quando non è affamato!-
Mantenne fisso e fiero lo sguardo contro quello azzurro di Boa, ed era certa che stesse per porle una domanda tagliente, ma Drakul, sant’uomo, parlò prima che la mora potesse farlo.
-Zoro ci ha detto che lavori alla Jinbe’s Advertising- la guardò di striscio, con poco interesse, versandosi da bere.
-Si- tirò un sospiro di sollievo Nami, aggrappandosi a un argomento su cui era certa di non poter sbagliare –Lavoro nel reparto di design pubblicitario-
-Sembra…- sbadigliò Boa -… interessante-
-Lo è- sorrise la rossa, allungando una mano a intrecciarla con quella di Zoro ferma sul ginocchio di quest’ultimo –Anche perché mi ha permesso di incontrare Zoro-
Si scambiarono un’occhiata di intesa alla quale Nami non trattenne un sorriso, prima di raccontare a Boa come si erano conosciuti come le aveva appena chiesto.
-Ogni mattina sbagliava palazzo- ridacchiò, stringendo le dita a quelle del verde che sbuffò un mezzo sorriso –Invece di entrare nell’edificio che ospita la palestra per cui lavora, entrava nella Hall della Jinbe Adv e girovagava per gli uffici finché non capiva che si era perso-
-Cose che capitano…- borbottò Zoro, sentendosi tirato in causa.
-Non se la Jinbe Adv è composta da sole cinque stanze!- rise oscillando i boccoli ramati –Dovevo accompagnarlo ogni santa mattina fin davanti alla porta della palestra, accertandomi che non si perdesse come un bambino di cinque anni!-
Boa sorrise intenerita, accavallando le gambe.
-Mi ricorda qualcosa…- sospirò.
-Ha impiegato tre settimane per imparare a distinguere gli edifici, e altre due per chiedermi di uscire… stavo perdendo le speranze- strinse le dita del compagno, arrossendo lievemente al suo sorriso sghembo, mentre le accarezzava il dorso della mano con il pollice.
Ridacchiò ripensando a quei giorni in cui cautamente lei e Zoro iniziavano a conoscersi, apprezzarsi e sopportarti.
Un anno, era passato un anno ed erano ancora lì insieme, a cenare con i genitori di lui a continuare la loro relazione tra alti e bassi, tra litigate e baci, tra musi lunghi e risate.
-Volevo essere sicuro…- sogghignò Zoro, sollevandole la mano e baciandola, senza cavalleria ma come un semplice gesto di amore.
-Proprio come con Kuina!- esclamò con mani giunte al petto Boa, roteando gli occhi azzurri al soffitto decorato del locale prima di riposarli, con una strana scintilla nell’iride, su Nami.
-Kuina?- sollevò un sopracciglio di fatti la rossa mentre Zoro grugniva fulminando la madre.
-Oh cara!- si tappò la bocca con le dita Boa, fintamente dispiaciuta –Non dirmi che il nostro Zoro non ti ha raccontato nulla…-
-No- fece scivolare le dita dalla mano del verde –Il nostro Zoro non mi ha raccontato nulla su Kuina…-
Lo vide deglutire e intuì che era un argomento che doveva assolutamente approfondire.
-Oh ma Kuina è stato il grande amore di Zoro!- cinguettò Hancock, ignorando gli occhi dorati di Drakul fissi su di lei –La sua prima ragazza, la prima che ci ha presentato…- posò i gomiti sul tavolo, sistemando il mento sulle mani unite -… la ragazza con cui ha perso la verginità-
-Mamma!-
Che diamine aveva in mente sua madre? Voleva vederlo morto per mano di Nami per caso?!?
-Oh suvvia tesoro!- oscillò una mano in sua direzione la corvina –Io e tuo padre vi abbiamo sentito in quel caldo pomeriggio di maggio di tanti anni fa. Ci avevano detto che dovevano studiare storia in camera di Zoro…- rivolse un sorriso divertito a Nami, che ricambiò con uno altrettanto maligno.
-Che teneri…- accavallò le gambe, piegando il capo verso il suo ragazzo.
Un leggero pizzicore le infastidiva le mani, quasi che da sole volessero prendere a schiaffi Zoro.
Eppure era ben conscia che lei non fosse la sua prima ragazza, figuriamoci la prima con cui faceva l’amore! Ma sapere che non le aveva raccontato delle sue ex, di questa Kuina così importante per lui, la faceva innervosire, accentuando una leggera sensazione di… di… gelosia?
-… Kuina lo riaccompagnava sempre dopo la scuola, così che non si perdesse- stava raccontando Boa -Sai Zoro, ora che ci penso Kuina è tornata in città giusto giusto qualche giorno fa…- continuò, attirando l’attenzione del figlio -… non sarebbe meraviglioso organizzare una rimpatriata? Rivedervi, parlare dei bei vecchi tempi, ritrovare la vostra complicità…-
-… finire in ospedale con qualche osso rotto…- borbottò lieve Nami, fulminando il verde e pronta a soffocarlo con il tovagliolo se solo avesse provato ad accettare la pazzia che gli proponeva la madre.
Non che fosse gelosa, solo che Zoro era suo. Punto.
Percepì il sangue ribollirle nelle vene non appena Boa iniziò ad elencare le innumerevoli doti della fantomatica Kuina, dai suoi lisci e ordinati capelli neri.
-… non scomposti e tinti di rosso come i tuoi tesoro, che sono adorabili, davvero! Ma così dèmodè… oh! Non sei tinta? Davvero? Non l’avrei mia detto…-
Ai suoi occhioni scuri.
-… due pozzi di ametista! Così rari, così belli…-
Alla sua passione per la scherma che l’aveva portata a capo dell’azienda di famiglia nel campo della vendita specializzata nell’oggettistica di tale sport.
-… bilanci da capogiro! Altro che un semplice stipendio da impiegata in un ufficio qualsiasi…-
Alla sua eleganza, simpatia, sobrietà, stile nel vestire e bla bla bla.
La nausea aumentava, il nervosismo pure e anche la sensazione acida che saliva e scendeva dal capo fino ai piedi, facendola sorridere forzatamente nel dissimulare leggeri ringhi felini.
-… sarebbe così bello, rivedervi assieme, voi due, a casa nostra magari…-
-Non credo di avere tempo mamma- sbottò secco e duro Zoro, rimasto in silenzio durante tutto l’elogio della madre alla sua ex, fulminandola iracondo.
Lo faceva apposta, lo sapeva.
Lei sapeva benissimo il reale motive di quella cena, perché aveva insistito tanto per organizzarla.
Non solo per presentare Nami, ma anche per quell’altra cosa, di vitale importanza per il suo futuro con la rossa. Aveva accennato a Kuina apposta per punzecchiare Nami, per innervosirla e molto probabilmente costringerla a saltargli al collo e ucciderlo sul posto.
-Oh bhè…- sbuffò Boa, arrendendosi -… peccato- iniziò a giocherellare con una forchetta permettendo a Mihawk di aprire bocca.
-Quindi Nami la tua famiglia di cosa si occu…-
-E i tuoi ex cara Nami?-
Zoro quasi ruggì contro sua madre, incenerendola con lo sguardo.
-Nulla di che- si portò alle labbra il bicchiere d’acqua con tranquillità la rossa.
In fondo era vero, non aveva mai avuto delle relazioni serie come quella che aveva con Zoro.
Certo alcuni avevano conosciuto i suoi genitori ma nessuno aveva avuto l’approvazione di suo padre al contrario del verde.
Sempre che si potesse chiamare approvazione la minaccia di morte che Zoro aveva ricevuto da Genzo se avesse mai osato farla soffrire, avvenuta durante un pranzo natalizio e con suo padre che piangeva disperato mentre puntava l’arma d’ordinanza contro il giovane Roronoa.
-Nessun ragazzo speciale?- insistette Boa, imbronciandosi al segno di diniego della rossa –Nessun ex… particolare?-
-Particolare?- ridacchiò Nami –Bhè, forse…-
-Non sarà Rufy!!!- impiantò le unghie nella tovaglia Hancock, fulminandola con astio.
-Certo che no!- ridacchiò - Rufy ed io siamo amici dalla scuola materna. Abbiamo anche vissuto vicini alle elementari prima che si trasferisse in un altro quartiere, riuscendo a mantenere i contatti fino ad oggi- si portò una ciocca di capelli dietro un orecchio –Il ragazzo “particolare” a cui mi riferivo è…-
-NAMI SWAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAANNNN!!!-
Un brivido gelido le attraversò la schiena, scuotendola da capo a piedi e permettendole di dissolvere per un breve attimo la nebbia di tensione che le offuscava la mente, consentendole un breve cenno di lucidità che le fece finalmente collegare tutti i dettagli che aveva raccolto da quando aveva messo piede al Germe.
La Capo Sala bionda e con il ciuffo.
Lo stile rinomato.
Il nome del ristorante che non le era affatto nuovo.
La presenza di Rufy come cameriere, lavoro affidatogli più per amicizia che per competenze.
-Oh, ti prego no!- rabbrividì chiudendo per un secondo gli occhi prima di riaprirli e ritrovarsi dinanzi una rosa rossa e una scia di cuori ornata da una capigliatura bionda.
Perché il Germe era il ristornate della famiglia Vimsoke, perché lei conosceva un membro della famiglia Vimsmoke, perché lei era stata assieme per un breve periodo a quel componente della famiglia, perché quel suo ex “particolare” era…
-Sanji-
Il ringhiò di Zoro la fece sussultare, ridestandosi dalla bolla di incoscienza che l’aveva accerchiata mentre il biondo casanova, suo ex, l’inondava di epiteti e dolcezze diabetiche incorniciate da cuori e unicorni volanti.
-Appena Rufy mi ha detto che eri presente in sala, sono accorso al tuo tavolo anticipando quel pozzo senza fondo, fiondandomi ad allietare la tua serata prima di gustare le prelibatezze che io stesso ho preparato solo per te!- un breve attimo di respiro –OH NAMI SWAAAAN!!!-
-Provo a indovinare…- ridacchiò Boa, sporgendosi verso Drakul, improvvisamente divertito da ciò che vedeva -… dev’essere questo qui l’ex “particolare” di cui si parlava…-
Nami arrossì sulle gote, sfilando la mano dagli artigli in cui Sanji la stava stritolando e sbuffando in imbarazzo.
-Piantala idiota!- sbottò secca, provocando nel biondo cuoco un’epistassi di felicità.
-Sei così bella quando mi insulti!- balbettava, lanciando rose ovunque.
Rose che arrivarono anche contro Zoro, tremante di rabbia per l’intervento dell’ex di Nami.
Lo conosceva da tempo ormai, ed era a conoscenza della relazione che aveva avuto con la sua ragazza tempo addietro ma non gli era mai importato molto: Sanji gli stava antipatico nonostante ciò.
Con i suoi modi cavallereschi da finto Latin Lover, le rose che estraeva da chissà dove e quella sua dannata mania di fissare Nami e provandoci con lei ogni santa volta che la vedeva.
Dannazione, gli era davvero così difficile capire che lei ora era sua?
Ma se doveva ammetterlo, Zoro in fondo in fondo, ma parecchio in fondo, considerava Sanji un buon amico –quando non ci provava con la sua ragazza- e si fidava di lu.
Certo, ritrovarselo tra i piedi proprio quella sera era un’aggiunta alla sfortuna che coronava la serata, rendendo insopportabile la presenza di quel biondo casanova da quattro soldi.
Si sporse verso Nami, intenta ad insultare il biondo minacciandolo di morte se non la piantava di lanciare cuori e nomignoli in ogni dove in suo onore, afferrando il biondo per la casacca bianca che solitamente usava in cucina e scuotendolo.
-Torcigliolo!- latrò –Togliti dai piedi!-
-Marimo!- ringhiò di rimando il biondo –Che diamine ci fai qui?-
-Annaffio le piante!- roteò gli occhi al cielo –Secondo te?- allargò il braccio libero ad indicare i suoi genitori, sperando che il biondo capisse l’importanza di quella cena e si levasse di torno.
Speranza vana, dato che il biondo magnetizzò la sua attenzione su un unico dettaglio della tavolata anziché sul quadro completo.
-Scusate- si raddrizzò con la schiena, sistemandosi la divisa da cuoco –Sono un completo maleducato-
Percorse appena due passi lungo il tavolo, avvicinandosi alla sedia posta dinanzi a quella di Nami, inginocchiandosi a terra e infilando una mano nel grembiule, da cui estrasse una rosa rossa che porse all’interessata e divertita consorte Mihawk.
-Come ho potuto ignorare una bellezza come la tua, mia adorata! Qual è il tuo nome?!? No! Non me lo dire, solo le stelle possono conoscere il leggiadro, sublime, estasiante suono della tua voce, oh mia regina di… ouch!-
-Mi spiace correggerti mia cara Nami …- pressò con maggior forza il tacco contro il volto di Sanji Boa, imprimendo ancor più rudezza al calcio con cui lo aveva zittito -… questo ragazzo più che particolare è fastidioso! Altro che l’adorabile e simpatico…-
-Ecco la pappa!-
-… Rufy caro!!!! –
Nami si schiaffeggiò il viso.
Bene, perfetto! Poteva andare peggio?
Mancava qualcun altro a quella rimpatriata di amici scemi della loro compagnia?
Non sapeva, magari da lì a poco sarebbe spuntato anche Usopp da una pianta ornativa con qualche sua stupida buffonata, o Franky, in lacrime per quanto fosse “Suuuper” quella rimpatriata mal assortita al Germe.
-Ecco la grigliata!-
-Oh Rufy caro, siediti e mangia con noi!-
-No mamma! È una cena seria, io devo… MA TE NE VUOI ANDARE CUOCO DA STRAPAZZO!-
-ZITTO MARIMO! Oh dea celeste parla ancora: la tua voce è musica!-
-Davvero posso signora Hancock? Sanji ha detto che se assaggio qualcosa mi licenzia…-
-Oh ma chiamami pure Boa, Rufy caro, e non ti preoccupare ti assumerò come mio aiutante personale!-
-Dannato Torcigliolo! Stai facendo la corte a mia madre: MIA. MADRE!-
-Cuciti la bocca alga di mare! Non credo a una sola parola! Una principessa come questa non può essere tua madre! Tua sorella al massimo!-
-Dananzione! Papà di qualcosa! Anzi no: passami il tuo coltello che faccio una strage!-
-Allora mi servo: pancia mia fatti capanna!-
-Oh che gioia vederti affamato Rufy caro!-
-Vattene in cucina, cenerentola col pizzetto!-
-Vattene tu, indegna verza!-
-Ti affetto!-
-Ti uso come tartare per il piatto del giorno di domani!-
-Ti amo grigliata! Sei così buona!-
-Rufy attento, così soffochi… ti aiuto! Fai Aaaaaaa…-
Un disastro.
Quella cena era un disastro.
Nami era allibita da ciò che la circondava, non sapeva se meravigliarsi di più per il litigio tra Zoro e Sanji, per le avance della signora Hancock a Rufy o per l’impassibilità con cui cenava, almeno lui, Mihawk.
Com’era successo che il primo incontro con la famiglia Mihawk-Hancock-Roronoa fosse diventato un caos tale?
Si tamponò la fronte, percependo una vena pulsare pericolosamente.
Ben presto avrebbe preso a pugni i suoi amici e il suo ragazzo, magari lanciato qualche schiaffo pure a Boa e rovinandosi così la reputazione con i suoceri, ma in fondo era meglio avere i nervi salvi e sfogare la sua ira che assistere un secondo di più a quel disastro di cena!
Stava per aprir bocca e urlare, aggiudicandosi l’esilio a vita dal Germe, quando notò una verdura schizzare dal piatto di Rufy fino al suo, centrandolo in pieno.
E non una verdura in particolare, oh no, ma quella, quella dannatissima verdura che da nove settimane la stava facendo impazzire solamente apparendo di sfuggita in una pubblicità alla Tv o preannunciando la sua presenza con il suo acquoso profumo.
Una zucchina.
Lì, sul suo piatto, davanti a lei, in mezzo a Zoro e Sanji che urlavano e si strattonavano per la camicia, mentre il biondo lanciava cuori e fiori a una Boa del tutto rapida da un Rufy immerso nella sala barbecue fino ai gomiti, gomiti ben impiantati nello spazio vitale di Drakul.
Sentì chiaramente la nausea prendere corpo nel suo ventre, salire a rotta di collo l’esofago e spuntare maligna alla bocca dello stomaco, riversandosi con le prime gocce acide nel suo palato.
Non ce la fece, non ce la fece proprio, e prima di dare di stomaco nel bel mezzo della tavola, si alzò di scatto dalla sedia facendola fischiare contro le mattonelle, sbattendo le mani sulla tavola imbandita.
-Vado in bagno a rifarmi il trucco!- annunciò rapida, scappando ticchettante sui tacchi verso la toilette, scomparendo in un turbinio di riccioli rossi e di pieghe di gonna bianca.
Zoro si zittì, le mani ancora alzate a storcere il bel visino di Sanji e la bocca mezza aperta in un’imprecazione. Fissò Nami scomparire nella sala gremita di persone e capì che era il momento giusto.
-Rufy!- chiamò il compare, costringendolo a sollevare il capo dal piatto vuoto che stava leccando con l’intera faccia.
-Se ti porti Sanji lontano da qui, puoi mangiare tutti e quattro i piatti di grigliata!- ghignò fissando l’amico illuminarsi a festa per la proposta.
Non rispose nemmeno il moro: afferrò piatti e cuoco e scappare verso le cucine, sghignazzando divertito e felice.
-Noooo!!!- si disperò Boa, sbracciandosi verso il moro –Rufy caro!-
Ringhiando si voltò verso il figlio, fulminandolo e sibilando rabbiosa.
-Perché l’hai mandato via!!?- strillò –Era così bello cenare con lui!-
-Mamma ti prego, so che Rufy ti è simpatico ma è una cosa seria- sbuffò stanco di quelle moine, rivolgendosi poi al padre –L’hai portato?-
Mihawk si pulì  attentamente la bocca dai resti della sua cena e, con disinvoltura, estrasse dalla tasca dei pantaloni un piccolo cofanetto di velluto che prose al figlio, trepidante.
Gli occhi di Boa sgranarono alla vista del cofanetto riconoscendolo all’istante.
-Non vorrai…- esalò.
-Si- afferrò con mano salda il piccolo contenitore il verde, accarezzandolo con le dita.
-Ma è l’anello di tua nonna Mihawk!- sbottò incredula –Quello che tuo padre diede a me per chiedermi in moglie! Tu non…-
-Te l’ho detto- la zittì serio e deciso, guardandola negli occhi con un misto di amore di figlio e di amante  –Amo Nami e voglio passare con lei il resto dei miei giorni-
-Ma siete ancora giovani!- protestò la corvina –Perché tanta fretta? Magari lei nemmeno vuole…-
-Spero di no!- sbottò duro –Anche se ho qualche dubbio visto il tuo atteggiamento nei suoi confronti questa sera…-
-Il mio atteggiamento?!?- s’indignò, inasprendo lo sguardo –Ti consiglio di moderare i termini signorino! Ti assicuro che stasera ho limitato la mia indole materna al massimo!-
-Tua madre ha ragione Zoro: con Kuina ha fatto di pegg…-
-Stanne fuori tu, Drakul!- lo zittì aspra.
-Già Kuina!- pestò i pugni sul tavolo Zoro, prendendo la palla al balzo –Dovevi proprio nominarla vero?-
-Mi stai forse incolpando di qualcosa?- sbatté le ciglia –Se tu non parli delle tue ex alla donna che vuoi sposare, qualcuno dovrà pur farlo!-
-Si, ma magari non la sera in cui ti presento la su detta donna!-
-Parli della ex o della futura moglie?-
-Mamma!-
-Zoro!-
Mihawk si era alzato da un pezzo quando madre e figlio iniziarono a farsi il verso, dirigendosi alla zona bar del tutto deciso a brindare al matrimonio del suo rampollo. A lui Nami stava simpatica: ribatteva alla moglie con altrettanta ironia e acidità, era di bell’aspetto, presumeva con una buona dose di pazienza e violenza ma anche con un gran cuore da come aveva raccontato del suo incontro con Zoro.
Si, Drakul era ben felice dell’imminente entrata in famiglia di Nami, e lo fu ancor di più quando, di ritorno dalla zona bar dopo un bel Flùte di champagne, origliò un breve ma interessante scambio di battute tra una cameriera e una giovane donna ramata.
-… ma è certa di sentirsi bene? Sa, nelle sue condizioni dovrebbe stare a riposo-
-Si non si preoccupi, è stato solo un lieve malessere dovuto alle nausee-
-La capisco: anch’io quando ero incinta della mia piccola Chimney non riuscivo a sopportare le carote. Appena le vedevo mi veniva da vomitare!-
Si lasciò alle spalle una lieve risata divertita, e tornò al tavolo, dove sembrava che sua moglie e Zoro stessero ancora discutendo.
-… almeno lascia che le disegni io l’abito da sposa! Sono una stilista affermata, non una sarta da quattro soldi!-
-Mamma non posso decidere io: né parlerai a Nami quando sarà il momento-
-Ma hai chiesto il permesso di suo padre? Non faceva il poliziotto? E se ti spara perché non è d’accordo?-
-È appunto un poliziotto non un serila killer…-
-Magari ha cambiato lavoro! Che ne sai?!!? Oh e comunque avresti dovuto avvertirmi che era davvero così seria la vostra storia!- iniziò a rovistare nella borsa in cerca del cellulare.
-Come se non l’avessi fatto!- sbuffò, lanciando un’occhiata alla sala, dove vide Nami tornare dal bagno.
-Si si certo!- minimizzò le sue parole agitandogli contro una mano, interessata ora più al suo smartphone che al figlio -E ora come faccio…-
Nami riprese posto alla tavola, fissando Hancock mordicchiarsi il labbro inferiore e macinare ditate su ditate sul suo cellulare.
-Qualcosa non va?- chiese a Zoro, notandolo lievemente ombroso.
Che era successo nei brevi minuti in cui si era assentata al bagno? Dov’erano Rufy e Sanji?
Li avevano uccisi e nascosto i cadaveri sotto alla tavola?
-Mamma potresti spegnere quell’affare?- borbottò Zoro, guardando di sfuggita Nami scrutare sotto la tovaglia in cerca di chissà che. Le prese una mano e l’accarezzò, ricevendo in cambio un dolce sorriso.
Ecco, se la serata finiva con la sua Nami che sorrideva allora poteva anche ritenersi fortunato e poteva tirare un sospiro di sollievo: era finita.
O almeno lo sperava.
-No, non posso!- sibilò in riposta a Zoro Boa -È di vitale importanza! Devo assolutamente fermar…-
-Buonasera ignora Hancock, scusi il ritardo-
Fu la volta di Zoro di sentirsi raggelare il sangue nelle vene nel sentire quella voce.
Girò lentamente il capo verso la fonte da cui era provenuta, strozzandosi con la saliva nel riconoscere Kuina in piedi di fianco al loro tavolo.
Oh merda.
Oh merda!
-Oh Kuina cara- si schiarì la voce Boa, incrociando le dita delle mani –Stavo giusto cercando di chiamarti…-
-Mi spiace ma ho il cellulare scarico- sorrise la mora, avvicinandosi a Boa e scrutando i volti che occupavano la tavolata, fermandosi per un breve istante su quella della giovane donna ramata e su quello del suo caro amico d’infanzia.
-Ciao Zoro!- esplose un sorriso radioso, salutando il verde e raggiungendolo ad abbracciarlo nel suo tubino.
Succinto e nero, poté constatare Nami ringhiando tra i denti.
Non era bastata l’acidità di Boa, l’attacco di gelosia verso una ex di Zoro, la presenza di due tra i più imbecilli dei suoi amici e le zucchine kamikaze a rovinare la serata. Oh no!
La ex doveva pure apparire e, ci avrebbe scommesso tutto il suo piccolo gruzzolo dormiente in banca,che  c’era lo zampino serpeggiante di Boa dietro a quel fatale incontro.
-Quanto tua madre mi ha invitata per questa piccola rimpatriata né sono stata felicissima- rideva con il suo Zoro, accarezzandogli la zazzera, le spalle, ridacchiando per le poche parole che quel demente riusciva a spicciare, troppo intento a fissarle le tette per concepire frasi più argute del solito.
E forse questi ultimi pensieri erano un po’ annacquati dal amaro sidro della gelosia, o dai rimasugli della nausea post zucchine, fatto sta che Nami davvero non ce la faceva più.
-… lavori ancora in palestra? Davvero?-
-Scusami- cercò di attirare la sua attenzione con gentilezza –Non ci siamo presentate io sono…-
-Questa avresti potuto risparmiartela!-
I tre giovani si zittirono al tono aspro e tagliente di Drakul, rivolto per di più alla moglie.
-Non era mia intenzione creare tutto questo. Volevo solo assicurarmi dei fatti con alcuni piccoli accertamenti!- rispose altezzosa e sicura di sé la donna.
In fondo aveva agito da madre premurosa e protettiva: non poteva di certo lasciare il suo cucciolo Zoro alla prima rossa che passava!
-Boa, so che hai agito per il suo bene ma… stanno per sposarsi!- sbottò.
-Papà!-
Dannazione, per una volta che poteva stare zitto!
-… e lei è incinta!-
Il silenzio piombò lapidare sulla tavola, rotto solamente da una Kuina alquanto imbarazzata.
-Ho come il sospetto- ridacchiò sedendosi accanto a Drakul –Di essere stata usata come terzo incomodo apposta… vero Boa?-
-È stato a fin di bene cara!- le accarezzò una mano la corvina –So perfettamente che tu e Yosaku siete felicemente sposati da anni… forse questo dettaglio non l’ho mai rilevato a Zoro però-
Già Zoro.
Zoro e Nami, che erano ancora ammutoliti da ciò che avevano sentito, e che riuscirono solo a incrociare gli sguardi e ad esalare, a una sola voce, un unico grido.
-TU COSA?!?!-
 
 
 
 
La brezza della sera soffiava leggera fuori sulla veranda del Germe.
Nami si strinse nelle spalle lievemente infreddolita, sfregando la pelle nuda delle braccia con le mani.
Stava per rientrare nel locale a scaldarsi, quando la giacca nera di Zoro le finì sopra il viso.
Sbuffando per la galanteria, la fece scivolare sulle sue stesse spalle, piegando lo sguardo verso il suo ragazzo che le si fece vicino.
-Grazie- soffiò scaldandosi.
-Quando me lo avresti detto?-
Diretto, come sempre.
Ma lo amava anche per quello.
-Tu quando me lo avresti detto?- rimbeccò con una linguaccia.
-Non appena avresti conosciuto i miei- spiegò logico Zoro, allungando un braccio a circondarle la vita.
-Giovedì- sorrise Nami, posando il capo sulla sua spalla.
-Giovedì? Perché?-
-Perchè ho un ecografia-
Risposta logica come la precedente, che fece sghignazzare Roronoa.
-Quindi giovedì avrei saputo di essere diventato padre- le accarezzò il ventre ancora piatto –E magari venerdì tu avresti avuto già la prima prova del vestito?-
-Corri troppo Roronoa!- lo pizzicò su un fianco, afferrandogli poi i baveri della camicia e facendoselo vicino.
-Io non vedo ancora alcun anello al mio dito- soffiò seducente, agitando la mano sinistra ancora nuda sotto il suo sguardo.
-A quello si può rimediare…- le accarezzò una guancia.
-Ah!- lo fermò - Prima devi chiedere a papà!-
-Già fatto…- sbuffò al ricordo.
-E com’è che sei ancora vivo? Papà non ti ha minacciato con la glok?-
-No, quella era tua madre: lui cercava la nove millimetri ma con tutte le lacrime che versava non c’è riuscito…-
Nami rise, scuotendo il capo e crogiolandosi del dolce calore del suo Zoro.
Era stata una cena… devastante!
Sia per i suoi nervi che per tutto il resto dell’universo di cui faceva parte.
Eppure, erano ancor lì, assieme, come quando erano partiti da casa sua, mano nella mano.
-Ce la faremo?- chiese lieve, cercando di ignorare gli urli di disperazione di Boa nel vedersi già come nonna, mentre strattonava Rufy all’interno del Germe, in preda a una crisi isterica a metà tra la felicità per il matrimonio e la disperazione per il nuovo appellativo che avrebbe guadagnano da lì a nove mesi.
-Sarà una passeggiata- la baciò Zoro –Se siamo sopravvissuti stasera, il resto della vita sarà una sciocchezza-
-… una schiocchezza…- soffiò piano Nami, lasciandosi cullare -… lo scopriremo presto-

 










ANGOLO DELL'AUTORE:
... che pubblica a mezzanotte e quarantacinque, ma fingiamo sia ancora luendì!
Poche parole solo per dire:
1-Adoro Boa, davvero l'adoro! Ma mi serviva il suo lato peggiore. Scusate se l'ho maltrattata.
2-Scusa Piper, non c'è l'ho fatta.
3-Nessun Mihawk è stato maltrattato durante la stesura.
4-Non c'è stata rilettura.
5-Vi lascio il link della pagina Tumblr dell'evento ---> http://zonamievents.tumblr.com/

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Capitolo 2
*** #2: A Tangerine soaked in Alcohol… you soaked in me ***


#2: A Tangerine soaked in Alcohol… you soaked in me

 
Zoro non possedeva molti vizzi.
Cercava di non eccedere in alcuna debolezza in particolare, seguiva le nozioni del Bushido e si atteneva alle regole di vita che aveva appreso al Dojo del suo maestro.
Il tutto associato alla sua sana e decorosa vita da pirata.
Ma nonostante si sforzasse di rimanere la persona equilibrata e sana di mente che era prima di incontrare Rufy, sapeva con certezza che l’unico vizio che gli apparteneva – quell’amore dissoluto e infrenabile per l’alcol- stava drasticamente peggiorando.
E non poteva incolpare il cuocastro, con quei suoi dannati cocktail prima di cena o alla fine.
Non poteva incolpare la tensione delle mille avventure che affrontava con i suoi Nakama, e non poteva incolpare la sempre miglior qualità dei Sakè che incontrava di isola in isola.
No, poteva incolpare solo se stesso.
E Nami.
Oh si, quella mocciosa centrava sempre, sempre di più.
Perché era colpa sua, solo colpa sua e della sua maniacale indole dispettosa se il suo desiderio per l’alcol era aumentato.
E non solo per l’alcol in particolare.
Perchè ogni qual volta che il Torcigliolo portava in tavola un vassoio con nove bicchieri colmi di liquori, Nami si accendeva e canalizzava la sua attenzione provocatoria verso di lui.
Non importava se fosse sakè, vodka, tequila o del frizzante spumante, Zoro sapeva perfettamente che Sanji avrebbe ornato i bicchieri con un piccolo spicchio di mandarino –pagato a peso d’oro visto che erano di quelli della cartografa- che man a mano che veniva immerso nel liquore acquistava gusto e una sempre maggior colorazione scura e invitante.
E Zoro sapeva, oh eccome se lo sapeva, che lui non sarebbe mai riuscito ad assaggiare quel dannatissimo spicchio di mandarino, perché ogni santa sera quella dannata ladra sgusciava al suo fianco rubando dal suo bicchiere la piccola fetta di frutto e mordendola con agile strafottenza, esibendo un sorrisino soddisfatto nel derubarlo di quel raggio di sole dal suo bicchiere.
-Mocciosa- sbuffò ripensando a come anche quella sera Nami lo avesse rapinato del suo spicchio di mandarino imbevuto nell’alcol, mentre entrava di soppiatto nella cucina nel bel mezzo della notte.
Gli sembrava impossibile.
Lui, ex cacciatore di taglie, che si faceva beffare da una ex (non era certo di quanto) ladra.
Ogni sera, ogni striscia di agrume addolcito dal liquore gli veniva rubata da lei, in modi diversi ma sempre efficaci.
Una mano che scivolava lenta tra lui e il bicchiere e che afferrava rapida il mandarino, un tocco improvviso sulla spalla che gli faceva voltare lo sguardo il tempo necessario per essere derubato,  una folata di vento che lo distraeva e lo gabbava…
Era un dispetto ripetitivo, che poteva sembrare noioso magari, ma che invece di far innervosire il giovane spadaccino, accendeva in lui il desiderio di poter assaggiare quel dannatissimo mandarino addolcito dall’alcol che ogni sera gli veniva negato.
Così lo spettacolino si ripeteva: lui prendeva il suo bicchiere ornato di quella macchia arancione, beveva il primo sorso come segno di sfida verso la cartografa, invitandola a provarci ancora una volta a farlo fesso, per poi… venir imbrogliato per l’ennesima volta, ritrovandosi senza spicchio e con la infantile e cristallina risata di Nami nelle orecchie, felice di averlo raggirato di nuovo.
I suoi Nakama allora ridacchiavano, chi divertito per la quotidiana scena, chi invece per quel qualcosa in più che si riusciva a intravedere nel furto serale e che era ben diverso da un scherzo infanitle, mordicchiando il loro spicchio e aumentando l’acquolina in bocca allo spadaccino.
Che sapore poteva avere?
Era dolce? Amaro?
Un gusto nuovo?
Un misto tra l’agrodolce naturale del frutto e il pungente sapore dell’alcol?
Se solo avesse potuto assaggiarlo, solo per una sera, lo avrebbe saputo, ma Nami perseverava con la sua tortura e la voglia aumentava, il desiderio per quel mandarino alcolico gli rendeva arsa la gola dalla sete, e la smania di assaggiarlo trovava pace solo quando sentiva la rossa ridere di lui.
Così, senza un perché preciso.
Forse per quello, forse perché la voglia era troppa ormai e le risate non bastavano più, forse era semplicemente la sua natura alcolica a spingerlo a tanto, ma quella notte Zoro si era avventurato nel regno del cuoco, deciso a volersi versare un buon bicchiere di sakè con una scorza di mandarino.
Si, avrebbe assaggiato finalmente quel dannato frutto.
Doveva, doveva assolutamente assaggiarlo o ci avrebbe perso la testa.
Aveva già riempito il bicchiere di sakè e posto, come un mezzo sole tagliato a metà, lo spicchio di mandarino sul bordo del bicchiere che ora fissava con un sorriso appena accennato.
Quel bicchiere colmo di alcol con quello spicchio, gli ricordava un po’ il suo rapporto con la capricciosa navigatrice di bordo.
Sembravano andare d’accordo, come appunto l’alcol e il mandarino che condividevano lo stesso bicchiere, ma appena si sfioravano accadeva qualcosa, un caos ordinato non ben definito, che scombinava i loro universi e i rispettivi sapori.
Scosse il capo, ridendo dei suoi stessi pensieri, e afferrato il bicchiere se lo portò alle labbra bevendone il contenuto tutto in un sorso.
Aspro, duro, secco e liscio, l’alcol gli bruciò il palato e la gola discendendola, ricordandogli la letalità dei suoi colpi di katana o dei suoi sguardi.
Posò il bicchiere sul tavolo a cui si era accomodato, prendendo con due dita lo spicchio di mandarino, ammirandolo per un breve attimo.
Era rosso, come i capelli di Nami, e sprizzava gioia senza bisogno di labbra per sorridere o occhi grandi e illuminati.
Labbra carnose come quelle della mocciosa, e occhi grandi come il cielo, un cielo di caffè che spesso vedeva ribollire di rabbia nello sguardo di Nami.
Quel mandarino assomigliava perdutamente alla donna che lo aveva coltivato, troppo forse.
Muto e serio, Zoro avvicinò lo spicchio alle labbra, concentrandosi per poter assaporare meglio il suo sapore imbevuto nell’alcol non appena lo avesse avuto in bocca.
Dischiuse la bocca, pronto a riceverlo, quando un lieve movimento alle sue spalle lo fermò.
-Che stai facendo buzzurro?-
Parole soffiate al suo orecchio sinistro, un gesto rapido graziato dal suo occhio cieco e tra le sue dita non vi era più il frutto che tanto aveva bramato.
Beffato!
Di nuovo… o quasi?
Perché Nami non ebbe il tempo di ridacchiare e mordere il mandarino come ormai faceva da svariate sere.
La mano forte e decisa di Zoro le bloccò il polso, imprigionando la mano che reggeva il piccolo frutto conteso, fermandola a pochi passi da lui.
-Non questa sera mocciosa…- sussurrò ghignando.
La rossa lo fissò seria in volto, sorridendo malandrina e alzando la mano opposta libera, ignorando la sicurezza del compagno.
-Ah- le schiaffeggiò la mano senza ferirla Zoro, sghignazzando divertito.
No, quella sera non le avrebbe concesso il lusso di essere dispettosa.
-Quello spicchio è mio- l’ammonì, stringendo la presa sul suo polso e avvicinandosela.
-Veramente è mio, dato che proviene da un mio mandarino- lo corresse, non opponendosi alla sua presa.
-Addebitamelo al conto- sollevò la mano libera, sfilando dalle chiare dita di cartografa il piccolo pezzetto di frutta alcolico.
-Oh lo farò!- rise Nami, avvicinandosi e arrivando a soffiare le sue parole a pochi millimetri dal volto dello spadaccino –Ma tu comunque non assaggerai quello spicchio-
-E perché no? Me lo impedirai tu?- si rigirò tra le dita il suo piccolo tesoro rosso.
-Per principio i buzzurri cattivi non meritano i mandarini- storse le labbra –Ma anche se ti concedessi la grazia di assaggiarlo…- portò la mano libera dalla presa ancora persistente del verde sul suo polso, ad accarezzare la mano che reggeva il mandarino -… sei sicuro di ciò che fai?-
Zoro la fissò con attenzione.
-Che vuoi dire?- si lasciò accarezzare, guardando come il viso della sua compagna fosse divenuto più serio e meno divertito dalla situazione.
La vide abbassare gli occhi, rialzarli per posare lo sguardo sullo spicchio che gocciolava del liquore in cui era stato imbevuto, per poi sorridere mesta.
-Alcol e mandarino- sussurrò piano, con un fil di voce –Ci assomigliano no?-
Si, Zoro lo sapeva bene, ma non lo disse. Rimase zitto a studiarla.
-Indietro non si torna- continuò Nami –E se non ti piacesse?-
-E se mi piacesse?- la rimbeccò.
-E se ti piacesse troppo?-
Era un discorso senza senso.
Cosa c’era di male se Zoro avesse apprezzato o meno quel dannatissimo spicchio di mandarino imbevuto nell’alcol?
Sembrava quasi che Nami fosse preoccupata che dall’assaggio dipendesse anche altro, un qualcos’altro che legava lei e lo spadaccino.
Ma era solo un mandarino, un mandarino con un po’ d’alcol: che male poteva esserci?
Lei ne assaporava due a sera, il suo e quello di Zoro, negando il medesimo piacere al verde, eppure era ancora viva e dispettosa come sempre, e il rapporto che li legava era sempre lo stesso.
Vero?
Lei non lo guardava in modo diverso?
Non sembrava voler assaggiargli la pelle con mille baci e carezze?
Non sembrava che quel piccolo aperitivo fosse la sua unica occasione di assaporare l’incontro fisico dei rispettivi sapori uniti?
Non era cambiato nulla nel modo in cui la cartografa lo guardava, nel modo in cui gli parlava, sfiorava e desiderava?
Assaggiare un mandarino imbevuto nell’alcol, non le aveva fatto capire quando desiderasse anche lei potersi unire a Zoro in un nuovo sapore, in un nuovo rapporto?
Vero?
-Se non lo provo non lo saprò mai- allentò la presa sul polso di Nami Zoro, non lasciandolo libero però mentre si portava alle labbra lo spicchio, assaggiandolo finalmente.
Dolce o amaro?
Un gusto nuovo?
Un misto tra l’agrodolce naturale del frutto e il pungente sapore dell’alcol?
Di cosa sapeva quel mandarino alcolico?
Se qualcuno lo avesse chiesto a Zoro il giorno dopo, lui non avrebbe saputo rispondere in un modo chiaro.
Avrebbe risposto che sapeva dello stesso sapore di una vita vissuta a metà.
Aveva lo stesso gusto di un bacio non contraccambiato, di una carezza data di fretta, di un abbraccio non ricambiato.
Sapeva di se stesso ma senza la presenza di Nami.
E forse fu questo, forse fu la voglia di nuovi mandarini imbevuto nell’alcol, forse fu il desiderio che non si era assopito dopo il primo assaggio ma, anzi, si era triplicato a dismisura, che poche sere dopo Zoro si ritrovò di nuovo in cucina a versare nuovi bicchieri colmi di alcol e tagliare nuovi spicchi di mandarino.
Forse fu per questo che poche sere dopo, due bicchieri di alcol e mandarini furono versati ma non svuotati.
Forse fu per questo che Zoro baciò per la prima volta Nami.
Forse fu grazie a questo che Zoro capì che un mandarino imbevuto nell’alcol ha il medesimo gusto di un bacio, una carezza, un abbraccio, una vita con Nami.
Forse fu grazie al’assaggio di un piccolo spicchio di mandarino imbevuto nell’alcol, che entrambi capirono di amarsi.
Forse.
O quasi certamente.

 

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Capitolo 3
*** #3: A Green Tiger and a Orange Cat ***


#3: A Green Tiger and a Orange Cat

 
Lo fissò curiosa, agitando la coda fulva con ritmo cadenziate vicino al profilo del ramo su cui sedeva.
Piegò il capo incuriosita, non staccando gli occhi di dosso da quel buffo felino verde che girava e rigirava sotto i suoi occhi, sbuffando e grattandosi la testa verdastra in mezzo a due vispe orecchie zigzagate di strane strisce nere.
“Una tigre” pensò tra sé e sé Nami, agitando le sue orecchiette da gatta e non smettendo di dondolarsi sulla fronda su cui era raggomitolata, lasciando che la brezza le scompigliasse i ricci ramati e le rinfrescasse la schiena semi nuda e al vento nella sua posizione supina.
Come visione, era abituata a vedere suoi simili gironzolare nelle città o lungo i sentieri del bosco, ma non ne aveva mai visti di così coraggiosi da inoltrarsi nella fitta boscaglia dove lei solitamente dimorava.
Le leggende che parlavano di quelle lande, non erano molto lusinghiere, e quasi nessuna fiaba che riguardava quel bosco finiva con un bel lieto fine.
Eppure quella tigre verde era lì, e incuriosiva la gatta con il suo continuo sbuffare e ringhiare mentre circumnavigava il Baobab su cui Nami ridacchiava studiandolo.
Lo vide fermarsi proprio sotto il suo ramo, e curiosa si sporse a squadrarlo dall’alto, guardandolo con attenzione mentre incrociava le braccia al petto nudo e ruotava lo sguardo attorno a sé in cerca di chissà che cosa.
Con i suoi occhioni di caramello vispi e sagaci, Nami riusciva a distinguere perfettamente le orecchie verdi a strisce nere della tigre spuntare dalla sua zazzera, arruffata e spettinata attorno al volto bronzeo contratto in una smorfia scontrosa.
Forse era scocciato perché continuava da ore a girare a vuoto attorno all’albero, eppure il sentiero non distava poi molto da lì e sarebbe stato facile raggiungerlo e tornare alle vie più popolate della zona.
Lo vide grattarsi la nuca e tender ei muscoli delle braccia, e no riuscì a celare un sorriso di apprezzamento nel vederlo così tonico e aitante.
Davvero una bella tigre, lo doveva ammettere.
Stirando la schiena, Nami mosse i muscoli indolenziti dalla posizione scomoda sul ramo, ruotando gli occhi e notando come l’atletica schiena nuda della tigre fosse segnata, sulla pelle quasi d’oro, da innumerevoli cicatrici chiare, alcune delle quali si vedevano a metà dato che erano coperte dai bermuda scuri che indossava, e da cui fuoriusciva una zigzagante coda verde con striature nere, che sferzava l’aria con forza, rendendo evidente la rabbia del visone.
La gatta ridacchiò divertita.
Era strano studiare un visone come lei, un felino, e notare come, anche se appartenevano a razze di animali differenti, le caratteristiche che li accumunavano fossero si poche ma molto evidenti.
Entrambi avevano una lunga coda colorata e sempre in movimento e due morbide e sensibili orecchie che spuntavano capricciose tra la capigliatura, impossibile da governare.
Per il resto, erano simili a tutti gli altri visoni dell’isola: simili agli umani che popolavano le terre più a nord in tutto e per tutto, se non per le caratteristiche da fiere che li distinguevano, e che prendevano il sopravento nelle notti di luna piena, in cui ogni visone tornava alla sua forma animale originale, ampliando e aggiungendo le peculiarità dell’animale che li distingueva.
Artigliando la corteccia e stiracchiandosi nuovamente, arcuando la colonna vertebrale da felina qual era, Nami sorrise e guizzò l’aria con la coda, prima di ridacchiare nel vedere la tigre verde ringhiare per essersi persa.
Si, ormai le era chiaro che quella belva non sapeva affatto dove si trovasse.
Come se non fosse stata a decine di metri da terra, la gatta scarlatta saltò giù dal baobab, atterrando con un morbido saltello a pochi metri dalla tigre, molleggiando sui piedi e ridacchiando per attirare la sua attenzione.
-Ti sei perso?- chiese ironica, fronteggiando gli occhi neri e perlacei della belva, che si era voltata di scatto verso di lei nel percepire il suo spostamento d’aria.
-Affatto- latrò il ragazzo, indurendo la coda che smise di fendere l’aria.
-A me sembra che tu ti sia perso…- lo canzonò, posando una mano a un fianco, sopra la cintura dei pantaloncini che indossava –Potrei accompagnarti io, dovunque tu stia andando…- assottigliò lo sguardo, ruotando una mano e sorridendo felina -… in cambio di un’equa ricompensa, ovvio-
-E io dovrei fidarmi di una gattina come te, che gironzola nella foresta più malfamata di tutte e che se ne sta appollaiata sui rami di un baobab a spiarmi?- ghignò la tigre, facendo tintinnare alcuni pensagli che gli ornavano un orecchio a strisce –Anche no!-
Nami soffiò acutamente, drizzando il pelo arancione della sua coda e delle orecchie.
Come l’aveva chiamata?
Passi che sapesse della sua presenza, ma come aveva osato chiamarla?
-Gattina?- sibilò –Chi ti credi di essere tu, che ti perdi a pochi metri dal sentiero e vaghi per ore sui tuoi stessi passi?!?-
Chi si credeva di essere quel bell’imbusto verde?
Gattina? Lei?
Ma aveva la più pallida idea di dove si trovasse?
Se lei aveva il coraggio di stare proprio , poteva star sicuro che non era affatto una gattina!
-Non mi sono perso- ribatté infastidito dall’accusa, storcendo le labbra –E per tua informazione…- ghignò strafottente -… sono colui che sconfiggerà la banda degli uomini pesce! Ma dubito che una gattina come te conosca certi ceffi-
Le iridi di Nami si annebbiarono un momento, stringendosi e dilatandosi rapidamente per la rabbia.
Che ne sapeva lei degli uomini pesce?
Oh nulla, assolutamente nulla!
Figuriamoci!
Sapeva solo che quello era il loro territorio, che chi vi entrava non ne usciva vivo e che lei era costretta a lavorare per quei loschi ceffi per poter salvare il suo villaggio, unico segno rimasto in vita di civilizzazione in quella foresta da quando quei visoni violenti e assassini ne avevano preso il comando.
-Idiota- soffiò scontrosa, avvicinandosi di qualche falcata e guardando dritta in faccia quella tigre boriosa e priva di cervello.
-Vattene da qui finché sei in tempo!- l’avvertì in un sussurro –Non è luogo per eroi, figuriamoci per tigri con scarso senso dell’orientamento e una superbia fuori dal comune…-
Lo superò astiosa e vogliosa solo di allontanarsi il più presto da lì.
Stupida tigre!
Che ne sapeva lui di ciò che lei e la sua gente dovevano sopportare a causa degli uomini pesce?
Non era un gioco, non era una fiaba in cui l’eroe arriva e salva le poveri genti: era la vita, e nella vita non vi erano eroi.
Soffiò rabbiosa, attraversando rapida la piccola radura che occupava il baobab.
Avrebbe trovato un altro albero su sui stendersi ad aspettare l’allocco perfetto da raggirare per derubarlo e portare il suo guadagno giornaliero ad Aarlong, il capo di quella banda di assassini che spadroneggiava la sua terra.
Stava per inoltrarsi nella foresta, quando lo sentì parlare, secco e duro, costringendola a voltarsi verso di lui.
-Sarò anche una tigre con uno scarso senso dell’orientamento e una superbia fuori dal comune- sbottò –Ma non lascio le gattine in pericolo…-
Nami lo fissò per un lungo istante.
Sembrava rapita dallo sguardo nero e imperturbabile, privo di paura, di quel visone.
Il suo tono di voce, la sua spavalderia, quel suo modo di rassicurarla non accennando però a un minimo di gentilezza.
Sembrava… sembrava l’eroe di una fiaba.
Rise tra sé per quel suo schiocco pensiero, e scosse la testa allontanandolo.
-Come hai detto che ti chiami?- rise, rivolgendosi alla tigre.
-Zoro- ghignò.
-Bhè Zoro, credo tu abbia sbagliato gattina- piegò il capo, lasciando che la sua chioma rossa ondulasse a ritmo con la sua coda felina –Io non sono in pericolo: io sono il pericolo…-
-Oh certo!- rise sguaiatamente –Una gatta: accidenti che paura…-
-Se non ci credi seguimi- l’invitò con un cenno della mano –Ti porterò da chi cerchi… e magari riuscirai anche nel tuo intento- sospirò sottovoce, speranzosa.
Zoro annuì e, infossate le mani nelle tasche dei bermuda, le andò dietro inoltrandosi nella foresta e ghignando all’idea che da lì a poco avrebbe affrontato il nemico che cercava.
Ma, ciò che ora lo spingeva ad affrontare quel visone di cui aveva sentito parlare nei villaggi vicini, e per la cui sconfitta si prometteva una lauta ricompensa, non era più la gloria e la ricchezza ma bensì qualcosa di un po’ più effimero…
Come il sorriso di quella gatta dal pelo arancione che gli faceva strada, e che sembrava nascondere molte più informazioni sugli uomini pesce di quanto non volesse dar a vedere.
Si leccò il profilo delle labbra Zoro, pregustando di già il momento in cui avrebbe rivisto le dolci labbra della rossa incurvarsi nuovamente all’insù per lui.
Ma ne sarebbe valsa la pena?
Affrontare un nemico con una temibile fama, solo per il sorriso di una gattina?
-Come hai detto che ti chiami?- chiese, avanzando dietro di lei.
Nami si voltò a guardarlo, sorridendo sornione.
-Oh, ma io non l’ho detto…- gli tirò una linguaccia per poi ridere con una risata cristallina e armoniosa
Zoro ghignò, inclinando il capo a fissarla.
Oh si, ne sarebbe valso la pena.
 







 





ANGOLO DELL’AUTORE:
Reboot della saga degli Uomini Pesce in versione AU!Visoni… più o meno.
In questa mia personale visione, i visoni non sono totalmente animali, ma sono umani con poche e ben distinte caratteristiche animali (le code o le orecchie come con Nami e Zoro) che riacquistano la totalità bestiale dell’animale che li contraddistingue solo con la luna piena… alla mannara way!
Spero che la Week fin qui vi sia piaciuta, e che questo nuovo capitolo –quello che mi convince meno fin ora- vi abbia almeno fatto sorridere. Aspetto le vostre impressioni!

Ciao e Buona Week ❤

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Capitolo 4
*** #4: After 3 Days 2 Years you have a new Scar ***


#4: After 3 Days 2 Years you have a new Scar

 
Respirò profondamente, cercando di calmare i battiti del cuore dopo l’amplesso.
Puntò distrattamente lo sguardo sull’oblò della sua stanza, dove la profondità dei mari sottostanti all’arcipelago di Sabaudy scorrevano attorno alla bolla saponata che abbracciava la Sunny.
Migliaia di pesci e colori si alternavano tra le acque, venendo illuminati dai raggi deboli della luna che riuscivano ad immergersi fino a quella profondità, spezzando ogni tanto l’oscurità degli abissi.
Nami sospirò lentamente, sfregando il capo sul pettorale di Zoro, la cui mano scivolò dal suo seno candido e nudo alla sua schiena, incespicando su qualche riccio rosso scomposto della cartografa.
Era strano.
Non fare l’amore con Zoro, no quello non lo era affatto.
Ritrovarsi con lui, tra le coperte sgualcite, ancora ansanti, con la pelle imperlata di sudore dopo la loro unione e con le mani per una volta sicure di dove posarsi dopo due anni di separazione.
Ecco, quello era strano.
Ritrovare la strada dei loro corpi dopo così tanto tempo che non si incrociavano.
Nami si chiese se le emozioni avessero una loro memoria e un loro senso dell’orientamento, che usavano per ritrovare quei piccoli passi che messi assieme tratteggiavano i movimenti, i respiri, i baci necessari per riunire il suo corpo a quello dello spadaccino, senza che vi fossero sbavature o inciampi dopo ben due anni in cui quelle strade non erano state battute da tocchi e carezze.
Chiuse e riaprì gli occhi con lentezza, sentendo Morfeo chiamarla dolce e tentatore, ma resistette aggrappandosi alla mano del verde che le accarezzava la schiena.
Scendeva a tratti, ripercorrendo la pelle più volte e risalendola fin sulla nuca, dove giocherellava con i ricci più fini.
Due anni.
Erano passati due anni dall’ultima volta che lui le aveva regalato certe carezze così amorevoli e delicate.
Era bello –e strano- risentire scivolare su tutta la colonna vertebrale le dita callose e dure dello spadaccino, che sembravano così morbide e meno assassine su di lei.
Chissà cosa avevano fatto quelle dita in quei due anni di separazione.
Avevano imparato nuovi affondi e attacchi mortali?
Avevano sollevato pesi indicibili per aumentare la loro forza?
Avevano stretto katane e spade fino a sanguinare, pur di raggiungere quella promessa che tanto stava a cuore a Zoro?
Avevano toccato altre donne in quel modo delicato e segreto?
Non voleva saperlo Nami, preferiva essere avida e pensare che quelle carezze fossero solo per lei.
Sfregò il capo sul petto di Zoro, emettendo una lieve fusa e facendolo ghignare, spostando una mano a posarsi sulla cicatrice che gli segnava totalmente lo sterno.
Era sbiadita col tempo, come tutte le cose, ma Nami era certa che facesse ancora male al giovane guerriero più di tutte le altre cicatrici che lo segnavano.
O forse no?
Ruotò lo sguardo, studiando la nuova cicatrice che segnava il volto di Roronoa, accecandogli l’occhio sinistro.
Aveva detto che era successo durante un allenamento con Mihawk, suo maestro d’occasione, ma a Nami non era bastata come spiegazione. Avrebbe voluto chiedergli come, quando, dove, perché, se faceva ancora male e chi lo aveva curato da una ferita così grave, ma sapeva che il buzzurro le avrebbe spiegato tutto quando sarebbe venuto il tempo.
Al momento, quindi, alla navigatrice non rimaneva che aspettare in attesa del racconto di quella nuova cicatrice, sperando di poterla ascoltare presto e che non avrebbe picchiato troppo rudemente il povero cranio verde del compagno non appena fosse venuta a conoscenza delle sue bravate da scavezzacollo masochista.
Di certo, senza di lei a frenarlo e a farlo ragionare a suon di pugni, di scelte azzardate ne aveva prese tante, ma saperlo di nuovo lì con lei la rassicurava.
In fin di conti, lui aveva la sua cara Buona Stella a proteggerlo, e Nami si sentiva in debito verso di lei per tutte quelle volte che glielo aveva riportato indietro sano e salvo dai suoi mille scontri.
Chiuse gli occhi, respirando lentamente tanto quanto la mano del verde che le solcava la schiena, scorrendo  tra le scapole e giù per la spina dorsale, risalendola e discendendola ancora, arrivando sui reni e disegnandoli con la punta delle dita dura e rotta da alcuni solchi.
Desiderava veramente essere l’unica donna proprietaria di quei tocchi.
Si strinse la fianco del verde, premendo i seni sul suo costato e aggrappandosi con le mani alla sua vita, permettendogli di arrivare a sfiorarla anche sulla coscia, pizzicandola dispettoso e facendola sbuffare.
Il solito buzzurro!
Infossò il viso sul suo collo taurino in segno di protesta, mordicchiandolo e permettendogli di premere il mento tra i suoi capelli, mentre avanzava con la mano sul suo corpo in cerca di nuove cicatrici, assaporando le carezze che lui le concedeva.
Nami conosceva tutte le cicatrici del corpo di Zoro.
Era il suo modo di amarlo sottovoce, senza che nessuno, neppure il diretto interessato, lo sapesse, accertandosi di come stesse fisicamente, curandolo quando ne aveva bisogno, ma senza mai frenarlo nel suo cammino, permettendogli di farsi male, anche troppo a volte, pur di raggiungere il suo sogno.
Lo amava, un amore a senso unico che era sopravvissuto a due anni di astinenza e silenzio, e che avrebbe continuato il suo digiuno a lungo, fino a chissà quando.
Perché per lei quei tocchi erano amore, amore puro, e non delle carezze dovute dopo il sesso come lo erano per lui.
Delicata, risalì con le mani da ladra il costato, fermandosi sul braccio steso sul materasso del samurai e disegnandone i contorni prima di sfiorare la mano libera dal toccarla, giocherellandone con le dita.
Percepì sulla pelle cotta dal sole della mano nuove piccole crepe, piccole ferite non ancora del tutto rimarginate o che mai lo avrebbero fatto.
Segnavano nuove tappe del suo cammino da guerriero, e alcune le conosceva già da tempo Nami, ma altre erano…
-È nuova-
Sollevò il capo dal suo petto, fissandolo stranita.
Zoro di solito non parlava mai dopo il sesso: l’accarezzava piano, allungando il piacere in lei ma senza darle mai conferma che quei tocchi fosse solo per lei, per poi andarsene dal suo letto senza tanti rimorsi.
-Di che parli?- sgambettò tra le lenzuola, sentendo le dita del verde correre sempre sulla medesima porzione di pelle della sua vita.
Precisamente sul suo fianco destro.
-Questa cicatrice- piegò il capo rivolgendole il suo occhio buono Zoro, disegnandole sul fianco una piccola ferita –Fa male?-
La rossa sorrise mesta, negando con un cenno.
-Sono ben altre le cicatrici che fanno male- sospirò, sollevando appena il capo a posargli un bacio sull’occhio cieco prima di sdraiarsi sul materasso a pancia in giù.
Che male poteva fare la carne quando si lacerava?
Poco, tanto, troppo. Ma passava.
Il dolore fisico era nullo se comparato al male che lei provava quando andavano a letto insieme e, poco prima dell’orgasmo, si ricordava che era solo sesso per lui.
Nulla di più.
Oh, si, quello era dolore, quello faceva male davvero.
Era il medesimo dolore che le aveva strappato il cuore quando aveva visto Kuma avvicinarsi a Zoro e, con un semplice tocco di mano, farlo scomparire davanti ai suoi occhi.
Lo stesso dolore straziante che l’aveva trafitta nel dover obbedire all’ordine del suo capitano, accettando l’idea di dover rimanere separata dai suoi Nakama, da lui, per ben due anni.
Quello era dolore, quello faceva male.
L’insignificante graffietto che le segnava il fianco era niente in confronto, un taglietto procuratosi nel giocare tra i fulmini e nel crescere, affinché il dolore provato nel perderlo non si ripetesse.
Poteva sopportare mille cicatrici, ma non una nuova separazione.
Abbracciò il suo cuscino, ascoltando le lenzuola stirarsi per i movimenti di Zoro, alzatosi forse per andarsene dalla cabina come era solito fare da tempo.
Chiuse gli occhi, respirando piano e allontanando il rumore delle molle del letto cigolare per il peso che veniva a mancare mentre le coperte scivolavano via dal suo corpo ancora nudo, di certo scivolando a terra per i movimenti da elefante del verde.
Chiuse gli occhi, prepara dosi a lasciarlo andare come faceva due anni prima ogni volta che condividevano dei brevi attimi di una notte, ma li riaprì di scatto quando sentì le labbra di Zoro schioccare sul suo fianco, baciandole la piccola cicatrice che lo segnava.
-Non accadrà più- le baciò ancora il fianco, iniziando a risalirlo con le labbra.
-Nessuna nuova cicatrice, né sulla pelle…- la sormontò con il corpo, immergendo una mano sotto al cuscino in cerca di una delle sue -… né da nessun’altra parte-
Le afferrò con forza una mano e la strinse nella sua, arrivando a baciarla sulle labbra e premendola sotto di sé, in un caldo abbraccio composto da tutto il suo corpo.
-Nessuno ti porterà più via da me- affermò sicuro, baciandola e ridisegnando con la lingua il bel sorriso che le illuminava il volto.
-Mai più- le strinse con forza la mano sotto al cuscino.
-Mai più- lo baciò con tutta la forza che possedeva, allacciando tra loro le dita e desiderando che quella notte non si spegnesse mai nell’alba.
 
 
Zoro aveva acquisito nuove cicatrici in quei due anni di separazione, e Nami le conosceva tutte ormai, come lui conosceva a mena dito quelle che segnavano lei, sia nel corpo che nello spirito.
Ma non esisteva cicatrice che un bacio d’amore non sapesse curare, ed entrambi sapevano come, dove, quando e solo a chi donare quei baci.

 

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Capitolo 5
*** #5: Map for a Road Trip ***


Storia partecipante alla Chocolate Box - non sai mai quello che ti capita, indetto dal Fairy Piece Forum con la citazione:
#6-"Insegui ciò che ami e finirai per amare ciò che trovi." [Carlo Collodi]










#5: Map for a  Road Trip


-... sarò in città tra uno o due giorni- prende un respiro dell’aria fredda che vive la notte del deserto.
Lo sguardo per un attimo si perde alla sbiadita pubblicità del cartellone sotto cui sosta.
Si vede il nome a metà di una bibita e un sorriso, di chissà quale modella perduta nella calura quotidiana e il gelo notturno.
Ci starebbe bene un ululato lontano di qualche coyote selvatico, o un soffio glaciale di vento, ma l’unico suono che si sente è il ticchettare nervoso del cofano della cadillac eldorado che si intiepidisce, e Zoro che vi ci siede in attesa, il telefono premuto contro l’orecchio.
Quello sano e privo di tre piercing.
Nuovi.
Mai avuti.
-Se vuoi posso parlare io con Cobra e-
-Non serve-
La voce di Bibi è melodiosa e cristallina: non c’è singhiozzo trattenuto nè rabbia.
Solo sollievo.
Sollievo e una pace che Zoro non crede di averle mai sentito cantare prima.
-Ho già spiegato tutto e… insomma non sarebbe stato carino lasciare a te le spiegazioni sul perché questa mattina mio padre mi abbia trovato a letto con il testimone del mio futuro marito… ex… non marito… ok, la situazione è quanto più priva di un termine adatto-
Zoro ride e guarda il cartellone pubblicitario, annuendo.
Se gli avessero chiesto una settimana prima, quali erano i suoi programmi nel prossimo futuro, avrebbe risposto con una stoicità degna del suo carattere: sposare Bibi, come da programma prefissato da mesi, nello stato di nascita della ragazza, dopo un breve viaggio in aereo di sole otto ore.
Questo avrebbe risposto.
Ma ancora non sapeva che il prossimo futuro gradisce cambiare, e gli aveva regalato l’annullamento del suo volo, a una settimana dalle nozze, l’impossibilità di uno nuovo disponibile, incapacità di trovare un treno o qualsivoglia mezzo di locomozione diretto ad Alubarna in tempi brevi e Nami.
In fine Nami.
E con lei un viaggio, un vero inseguimento di una data troppo vicina, durato una settimana per i cinque stati che lo dividevano dalla sua fidanzata (in ordine sparso grazie all’orientamento insano del futuro non marito: Orange, Shirop, Cocoyashi, Drum e Little Garden con passaggio nelle città capoluoghi di Rouge Town e Whiskey Peak), con risse nei bar, una cadillac decappottabile, con le portiere saldate, la radio rotta, i sedili bianchi e la carrozzeria rosso sfavillante, le ceneri di una madre morta senza avvisare da disseminare nel canyon di Reverse Montain, gatti da accarezzare, la sua valigia con tutto -tutto!- il suo contenuto perduta lungo una strada dissestata e piena di sobbalzi, lacrime, litigi, risse con Nami, il furto di un giubbotto di pelle, tre piercing all’orecchio, una fuga rocambolesca da una partita di poker vinta barando, e la cui vincita han comunque dovuto sperperare in benzina per la carretta rossa fiammante, un tatuaggio che aveva visto sporco di sole e vento e mandarini, tanti mandarini.
Una risata gli sfuggì nella notte, e Bibi nè fu contagiata.
-Non ridere! Sei sparito per una settimana e ti ho tradito col tuo testimone di nozze!-
-Rufy ti è sempre piaciuto- la rincuona, non l’accusa.
-Si ma tu sei comunque scomparso!- ride e la sente leggera come mai con lui è stata -Sei scomparso e riappari ora, con un numero usa e getta attivo solo dodici ore dall’acquisto-
-Ho perso il cellulare, e sai che non me ne intendo di queste cose- grugnisce e si solleva il bavero del giubbotto in pelle rubato che lo difende dal freddo notturno.
-Raccontandomi questa storia pazzesca e.. e felice- continua imperterrita Bibi, non sentendo le sue scuse.
Zoro sorride nella notte, guarda il cartellone pubblicitario e si scalda contro la cadillac.
-È bello sentirti felice- sussurra Bibi contro la cornetta che ora li riunisce -E sono felice che tu abbia perso quel volo-
Zoro non risponde ma lei sa, ad Alubarna, ancora lontana da lui ma mai così vicina.
-Credo che ci servisse questo viaggio- e Zoro annuisce, le da ragione. Sa che ha ragione.
Gli serviva vedere, assaporare, guidare una cadillac sgangherata e appariscente per capire che no, lui voleva bene a Bibi, ma non avrebbe mai potuto sposarla.
Doveva inseguire ciò che credeva di amare, trovando tutt’altro.
Decisamente tutt’altro, e che mai avrebbe creduto di voler così vicino.
Serviva un viaggio, senza mappa ma con una destinazione, per capire.
Che lui non voleva entrare nella società di famiglia ma dedicarsi a tempo pieno nell’allenamento a giovani atleti di quella disciplina che gli aveva dato tanto, anche un infortunio compromettente, ma anche tanta gioia.
Gli serviva sentire la risata di Nami per capire che non aveva mai assaggiato un vero sorriso, vedere l’alba mischiare i suoi colori con quelli della cadillac e dei capelli sciolti al vento della sua compagna di viaggio, per sapere che sfumatura aveva il mondo.
A Zoro serviva inseguirsi dentro si sè, per cinque stati, per capire dove voleva andare.
Amando cosa ha trovato e non cosa credeva di inseguire.
-Ci vediamo ad Alubarna- parla roco, le gambe puntate contro la sabbia del deserto a lato di una strada dritta senza curve, senza auto, senza direzione.
-Ci vediamo ad Alubarna- ripete Bibi ma non riattacca, conosce Zoro e sa cosa non ha chiesto per puro orgoglio.
-Sono felice- assicura -Sono felice anch’io. Ho pianto per il tuo ritardo, e maledetto il tuo nome, ma ora so che non era per l’attesa: era per il tuo arrivo. Se tu fossi arrivato in tempo avrei dovuto sposarti- sorride, Zoro sente che sta sorridendo contro la cornetta -Sono felice con Rufy-
La chiamata finisce.
Senza accuse, senza pianti, senza dispiaceri.
Avrebbe dovuto saperlo fin dall’inizio che Bibi non è una donna che si fa piegare dal destino e i suoi eventi: li cavalca e guida, imponendo loro il suo volere e non il contrario.
Lui invece al destino non crede, ma alla buona stella si, e se qualcuno gli sussurrasse che in fondo, seppur con nomi diversi, sono la stessa cosa, lui alzerebbe le spalle.
Si fa guidare dalla buona sorte, ma non dal destino.
A meno che il destino non abbia lunghi capelli rossi, occhi di terra bruciata, fianchi scoscesi come le colline della valle sabbiosa e un sorriso dolce e velenoso assieme.
Ma Zoro sa che quello non è destino, quella è solamente Nami.
-Ehi!-
Nami che torna, con una tanica di benzina per rifocillare la carcassa su cui viaggiano, e la cena.
Zoro sa anche che il serbatoio non era vuoto, che le auto non si fermano causalmente sotto un cartellone pubblicitario sbiadito dal tempo e che Nami gli ha regalato ore di calma per riflettere e chiamare Bibi.
Zoro lo sa, ma non ringrazierà per questo.
-Fatto?- domanda la rossa, short inguinali e scarponcini contro la sabbia che farina ovunque attorno a loro.
Lo vede annuire e sorride più leggera anche lei: è sereno e non si è mosso dall’auto come gli ha ordinato, in più non vede segni di rabbia sul suo volto e forse la tanto famosa Bibi ha capito.
-La cena- mostra un sacchetto di carta gonfio anziché chiedere dettagli.
In una settimana ha capito che a Zoro non si deve chiedere nulla: parlerà lui, o agirà lui.
-Non credevo avessi abbastanza soldi anche per la cena- la studia pronto ad aggiornare l’elenco di infrazioni commesse negli ultimi sette giorni.
-Infatti- salta nella cadillac dalla portiere saldate, estraendo un bicchierone di bevanda iper zuccherina che fa oscillare tra le mani, afferrando un mandarino dal cesto ormai vuoto dal sedile posteriore.
-Non avrai rubato… di nuovo- la fissa ancora sul cofano e Nami quasi si offende.
-Assolutamente no!- sfarfalla nella notte con gli occhioni da cerbiatta. O da serpente.
-E come hai pagato quindi?-ha imparato a fare domande Zoro.
Perchè Nami non parla se non le si porgono domande, se non le si chiede di aprirsi.
-Con la carta di credito- alza le spalle ovvia lei e gli porge un hamburger che Zoro sogna da giorni.
-Quale carta?- già si pente di averlo chiesto, mentre salta sul sedile del passeggero e addenta il suo sogno culinario.
-La carta di credito del simpaticone che mi ha sculacciato il sedere quando ho pagato la benzina-
Zoro la guarda, le mascelle si fermano dal masticare, e il suo sguardo si fa scuro.
-Tranquillo- succhia la bibita e inclina il sedile del guidatore -Ho lasciato la carta per terra… dopo aver sperperato tutto il credito residuo che aveva: ops!-
La mascella dello sposino, come adora tormentarlo, riprende a masticare con calma, non aggiungendo nulla, permettendo anche a Nami di mangiare, di assaporare l’aria fredda del deserto di notte, dello sfrigolio della polvere che si accumula e si smarrisce nella vastità del nulla.
Non passerà alcun auto sulla lingua di asfalto al cui fianco cenano.
Nessun faro a illuminarli, nessun rumore di civiltà.
Qualche grillo canta, contro il succhiare secco della rossa dal suo bicchierone, e qualche piccola salamandra o topolino, sgattaiola qua e là tra i sassi in cerca di riparo.
Nami non chiederà di essere messa al corrente dei fatti tra Zoro e Bibi.
Zoro non chiederà come si sente dopo aver sparso le ceneri della madre nel canyon visitato nel pomeriggio.
Sanno, lo sentono ed è tutto quello che serve.
Il giorno dopo dovranno dividersi, Zoro prenderà un bus per Alubarna alla prossima stazione per sistemare ciò che è già sistemato, e Nami proseguirà fino a Water Seven, per ricominciare quello che ha interrotto alla notizia della madre.
È l’ultima notte e non vogliono parlare.
Vogliono ascoltare.
Ciò che resta del loro viaggio, delle ore macinate su gomma contro asfalto, con il sole a scottare pelle e pensieri, il vento a sollevare le emozioni, le note di canzoni dimenticate canticchiate da Nami, lanciati in un inseguimento che concluso non è, ma che ha già il sapore di meta.
Il deserto tace e li lascia parlare senza parole, mentre il buio si addensa sempre più e mischia l’orizzonte, unendo cielo e terra, due specchi che si riflettono, dove solo in uno dimorano le stelle ma nessuna luna.
-Forse dovrei portarti io ad Alubarna- scherza Nami, i sedili ribaltati, gli occhi al cielo e la mano di Zoro vicino alla sua.
Le pelli si sfiorano, ma non si toccano.
-E se sbagli bus e finisci… al non-matrimonio sbagliato?-
-Hai così poca fiducia in me?-
-No- ride -La fiducia è tanta… è l'orientamento che è poco!-
Zoro ride roco, una risata che Nami raccoglie a fior di dita in ogni sua nota per non dimenticarla.
Come farà a guidare la cadillac ora senza di lui?
Senza il suo silenzio e il suo respiro caldo?
Come sarà svegliarsi senza il giubbotto in pelle a coprirla, immergendola nel suo profumo?
Come sarà litigare, parlare, ridere con qualcuno che non è Zoro?
-Potresti darmi qualche trucco per non perdermi: una scorciatoia, un percorso veloce e senza bivi…-
-Le cose facili non fanno per te- poggia il capo contro la sua spalla, ricevendo in cambio il peso del volto di Zoro sul suo -Ma posso insegnarti a leggere le stelle: sono state le prime mappe del mondo, sai?-
Allunga il braccio a indicare quei puntini lontani ma così vicini, pronti ad essere afferrati a manciate, ma a scomparire se si apre la mano.
-La stella polare, l’orsa maggiore e minore, Orione e Boote… e poi ci siamo tu ed io-
-Dove?-
-Lassù- indica un grappolo di stelle che Zoro non saprà mai leggere -Vedi? Non abbiamo un posto fisso dove brillare e ci affanniamo a trovarlo, inseguendo il nostro unico amore: brillare- abbassa la voce e lo sguardo a quelle mani che non vogliono stringersi -Cerchiamo una rotta, una mappa a tutti i costi… e non ci accorgiamo che brilliamo lo stesso, senza costellazione, senza mappa, senza strada, ma durante il viaggio-
Zoro respira lento nella notte fredda del deserto.
In una cadillac decappottabile, con le portiere saldate, la radio rotta, i sedili bianchi e la carrozzeria rossa come le tempeste all’alba.
Respira piano, come Nami, con le mani intrecciate e i volti vicini.
-A volte non serve una mappa- sussurra -A volte serve solo il viaggio, un inseguimento di qualcosa che amiamo, per capire che lo abbiamo già-
Il vecchio cartellone pubblicitario sbiadisce anche in questa notte.
Perde colore e significato, ma non smette di accogliere e inseguire ogni passante che guida sulla strada che costeggia e accarezza.
Alcuni si fermano, altri passano e vanno oltre.
Altri ancora lo usano come scusa e frenano bruscamente, con un cadillac eldorado con dischi finiti ma che brillano contro il rosso della carrozzeria, sotto di esso.
Alcuni si fermano, guardano le stelle, cercano una mappa su cui segnare l’inseguimento di una vita, trovano e amano però poi altro.
E lo baciano.
Sotto un cielo di stelle, che brillano, e senza luna.
Senza mappa.
Senza strada.
Senza inseguimento.



































 
Alcuni cieli di stelle, mappe, strade e inseguimenti dopo...



Si ferma sul marciapiede con violenza.
Non può essere.
No, non può… eppure eccola lì.
Sembra lei.
Una cadillac eldorado decappottabile, con le portiere saldate, la radio rotta, i sedili bianchi e la carrozzeria rossa come le tempeste all’alba.
È lei.
O potrebbe essere lei.
Ma dubita seriamente che:
  1. La cadillac possa essere sopravvissuta così a lungo alla guida omicida di Nami
  2. La cadillac possa essere sopravvissuta alle sue condizioni estreme e suicide
  3. La cadillac possa essere in possesso di una Nami che si trova a Raftel
Ma il rosso brillante e ammaliante dell’auto lo ha richiamato con un fischio lusinghiero e a cui non può fingersi sordo.
Quella è la cadillac.
Non può esserne più certo.
E per togliere ogni dubbio, allunga il braccio verso la vettura, ignorando i passanti e il peso del borsone da palestra che pende dalla sua spalla, e strattona con forza la portiera.
Portiera che non dovrebbe aprirsi.
Portiera che non si apre infatti.
Ma che lo pizzica sul dorso della mano ancora stretta alla maniglia.
Ah, no, non è la portiera, è Nami.
-Cerchi di scassinarmi l’auto?- domanda civettuola e sorridente, strusciandosi sulla carrozzeria rossa come i suoi crini.
-Cerchi di prendermi di sorpresa?- le prende la mano che l’ha appena pizzicato.
È davvero lei.
Ed è lì.
Come la cadillac.
-Perchè mai?- ride e stringe la mano di Zoro con entrambe le sue, scivolando con le dita ad intrecciarsi con quelle del ragazzo, mentre con la mano gemella sale il braccio, inseguendo il pulsare delle vene -ma il battito incalzante è di lei-  e arriva a nascondersi nell’incavo del gomito.
È lui, e non si chiede perchè è a Raftel.
Ha imparato a non chiedere mai con Zoro.
-Sono qui per il nuovo studio di architettura- risponde invece Nami alla domanda muta che Zoro le fa con lo sguardo -Sono arrivata da pochi giorni e… non sapevo che fossi in città-
In realtà non sa dove sia stato dopo averlo lasciato alla stazione degli autobus, meta Alubarna.
Non ha saputo più nulla.
Ne lui di lei.
-Il mio team di allenamento ha sede qui- spiega asciutto -Io abito qui-
-Bugiardo- ride -È impossibile che ci ritroviamo a vivere nella stessa città… sotto lo stesso cielo!-
Impossibile, ma non così tanto.
Nami vuole crederci, ma ha anche un pò paura di farlo.
-Mi hai inseguita!- lo accusa infine, speranzosa.
Zoro la guarda, in quegli occhi chiusi a mezzaluna che ridono.
Accarezza la mano che si stringe, segue e trova il suo battito.
-No- si accosta e poggia le labbra su quelle di Nami -Non ti ho seguita, ti ho trovato-
E Nami sa che è vero, mentre bacia Zoro, addossata a una cadillac eldorado decappottabile, con le portiere saldate, la radio rotta, i sedili bianchi e la carrozzeria rossa sfavillante.
Perché anche Nami ha inseguito ciò che amava e ha trovato lui.
E il sentimento non è cambiato.












NdA:
La trama era stata ideata per essere una long? Si.
Vedrete mai questa long? Ahahahahah... no, davvero raga, la vedrete mai? Ma che ne so io?
Credevate davvero che avrei concluso la storia con i due che si baciano nel nulla, senza dare un seguito seppur scadente e scontato? Dai lo sapete che sono una romanticona amante del sangue e delle torture.
Sono soddisfatta del risultato finale? No e anzi, la citazione che da il natale al capitolo forse nemmeno è stata usata correttamente.
Ma così va, e forse non mi spiace la piega che ha preso la trama e la narrazione. Si perchè l'ha presa lei, non l'ho condotta io: così va con le ff. Comandano loro.
E così le lascio andare.
Ringrazio chi è giunto fin qui, a leggere e spiare questa coppia che mai riuscirò ad abbandonare, e spero nemmeno voi.
A presto, spero, in una nuova storia o nei commenti.

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