Il mio arrivo

di Kurumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Haökase Kahatluvö ***
Capitolo 2: *** Lisekatashe ***



Capitolo 1
*** A Haökase Kahatluvö ***


Scusate per la formattazione del testo! Purtroppo non sono con il mio PC! La ricaricherò appena sarà possibile! Buona lettura e grazie!

[**] 

Tesla si sedette sul bordo del letto a osservare la zia che riordinava il corridoio. Era mattina preso e si era svegliata a causa del rumore dell’aspirapolvere.
«Juktaniuö[1].» Disse Ryka quando vide che la nipote si era svegliata.
Tesla viveva con la nonna e la zia nella città di Ethriel, un luogo costruito sotto l’albero Ivtavishe, l’albero della Vita. Il gigantesco tronco si ergeva al centro della città e dentro le sue spire c’erano le macerie di un’antica civiltà, luogo dove un tempo vivevano gli spiriti. Ai piedi del tronco c’erano i luoghi di preghiera, dove i popolani si recavano per dare forza agli Sheniuta chiedere le loro grazie.
Era grazie agli Sheniuta se la città era riparata dalle intemperie e dagli attacchi degli animali selvaggi.
I rami di Ivtavishe e le sue foglie coprivano le case dalle disgrazie del cielo, mentre le sue radici da quelle della terra.
Ethriel era una città mistica e pacifica, popolata da persone altrettanto stravaganti. Una delle famiglie più antiche del luogo erano gli Hangzavar, il nome di Tesla. Infatti, abitavano ad Ethriel da più di quindici generazioni e la loro famiglia era considerata la più sacra all’interno dei confini.
Ora, gli unici Hangzavar rimasti erano tre donne sole che vivevano lungo un ramo di Ivtavishe nella pace e nella tranquillità della loro solitudine.
Da lassù Tesla poteva udire i suoni che ravvivavano la città, dalle risate dei bambini ai gridi dei mercanti.
Quando era più piccola non le era permesso allontanarsi da casa, suo padre glielo impediva, ma ora che era più grande poteva recarsi alle radici, dove c’erano i suoi coetanei e una vita da vivere.
Mentre la zia completava le pulizie, Tesla si era preparata per uscire, indossando degli shorts e una canotta bianchi con un gilet nero.
Aveva promesso ad Arild e Sissel che si sarebbero allenati nell’arrampicata, e lei non poteva mancare.
Tesla aveva maturato poche passioni, una tra le quali l’amore per il movimento. Amava scalare qualsiasi cosa, contorcersi in acrobazie e più di tutti amava correre.
Fin da quando era bambina aveva anelato a diventare la persona più veloce del mondo intero, iniziando da Ethriel.
In città la donna che deteneva tale titolo era sua zia Ryka, che dieci anni orsono aveva battuto il suo predecessore.
Tesla voleva vincere sulla zia e ottenere il titolo di donna più veloce di Ethriel, però le ci voleva ancora dell’allenamento.
Ryka era un osso duro e lei non era ancora in grado di tenerle testa.
Così si allenava giorno dopo giorno, lasciando che la sua agilità prendesse il controllo del corpo e la conducesse oltre i limiti. Era anche grazie ad Umbra, la sua volpe a nove code, che si era potuta allenare adeguatamente.
Ryka non aveva tempo per lei, doveva occuparsi della casa e della nonna, quindi l’aver trovato Umbra era stata una manna dal cielo.
Umbra era una delle tante creature magiche che vivevano nel bosco di Ethriel e fin dal primo momento in cui i due si erano trovati avevano stretto un legame.
Uscita di casa lo vide sdraiato in un ventaglio di sole, a crogiolarsi a pancia all’aria.
«Umbra, miuwükata![2]» La volpe scattò sulle zampe e le corse incontro, leccandole la mano prima di mettersi a correre al suo fianco.
Erano anni che Tesla superava Umbra in velocità e quando lo batteva in una corsa si ricordava sempre che non doveva mollare.
I rami dell’albero erano tutti collegati ed alcuni in particolare erano congiunti alla città.
Tesla correva a est, verso quello più vicino dal quale poteva scendere. C’era una spessa corda con una cabina attaccata, per salire o scendere bastava entrarci e tirare una leva. Però lei sfruttava un altro metodo, un modo grazie al quale poteva allenarsi nell’equilibrio.
«Desthaöniuviö?[3]» Fletté le ginocchia e spiccò un balzo, atterrando sopra la corda, e iniziò a scendere tenendosi in equilibrio. Non era facile ma il suo corpo era talmente abituato che non sentiva la differenza tra il camminare sulla terra ferma e quello.
Umbra la seguiva, imitandola, e insieme scesero fino a raggiungere la città. La corda terminava in una piazza più o meno al centro, dove c’erano un sacco di negozi e bancarelle. Tesla afferrò Umbra, che aveva saltato, prima che potesse arrivare in fondo, così da evitargli di picchiare il muso contro il cemento.
«Tesla! Reshe juk![4]» Si voltò e in mezzo alla gente intravide i ricci capelli di Sissel, accompagnata da Arild.
I due erano stati i suoi primi amici e ancora lo erano. Sapeva di poter contare su di loro dal momento che avevano mantenuto i suoi segreti.
«Hashejukshekeke, ket zovishevise?[5]» «Niut miusheluvse. Vi?[6]» Tesla accarezzò la testa di Umbra, che stava fremendo per muoversi.
«Viwüvi baseniuse![7]» Poi Arild s’intromise nella loro conversazione, seccato per la perdita di tempo.
«Ivömiuö sheniureshehase?[8]» Le due ragazze si scambiarono un’occhiata complice e acconsentirono. I tre iniziarono a correre, o meglio, Tesla e Umbra correvano mentre Sissel era saltata in sella a una tavola piatta e Arild pedalava su una bicicletta fatta di rami e vecchi ferri. Era talmente rumorosa che bastava fare silenzio per accorgersi se fosse in giro per le strade.
«Wüluvvitamiuö ket shehataivshe destshejuk reshe basehase![9]» A quelle parole Tesla prese sul serio quella corsa per arrivare a Haökase Kahatluvö e in pochi secondi aveva già superato Sissel.
Umbra riusciva a tenere il suo passo, standole alle calcagna, però Arild era avvantaggiato grazie al suo mezzo. Quella bicicletta gli permetteva di essere più veloce ma Tesla trovò subito il modo di superarlo.
Aveva detto che chi arrivava per ultimo avrebbe pagato da bere? Allora sarebbe stato lui.
«Sissel, kasehakashe zovishehamiuta retasevihaö![10]» La ragazza fece del suo meglio per spostare il proprio peso in avanti sulla tavola, mantenendo però l’equilibrio per non cadere. Era quasi allo stesso livello di Umbra, il quale lasciava che le sue nove code volteggiassero a ritmo con la sua corsa.
Tesla analizzò attentamente l’aria che le sferzava il viso, la velocità con la quale Arild avanzava e i momenti in cui rallentava di qualche secondo per pedalare. Era quello il momento migliore per superarlo con la sua mossa speciale.
Fletté i piedi a terra nel momento in cui Arild rallentava poi si diede una spinta tale da spiccare in aria fino a saltargli in spalla. Il ragazzo barcollò, rischiando di perdere la presa sulla bicicletta. In quel momento Umbra e Sissel li superarono senza mai fermarsi.
«Tesla, zoluvsesheluvse![11]» Lei gli saltò sulle spalle e poi tornò con i piedi per terra, riprendendo a correre e raggiungendo gli altri, superandoli poco prima dell’arrivo nella radura sotto Haökase Kahatluvö.
Avevano tutti il fiato corto.
«Niut ivsheluvse! Sheivsevi bashehasheviö.[12]» Tesla e Sissel scoppiarono a ridere, ricordandogli che era stato lui a cominciare.
Mentre i ragazzi erano impegnati a discutere su chi avesse davvero vinto la gara e su chi avesse infranto delle regole mai stabilite, qualcuno si era fermato ai piedi di Haökase Kahatluvö.
Era un uomo alto, vestito di bianco con la faccia coperta da una maschera di volpe con delle striature rosse e gialle.
Quando i ragazzi se ne accorsero era troppo tardi, lui aveva già fatto la sua mossa.
Era corso loro incontro munito di un’affilata spada d’argento e con essa puntò Umbra.
Successe tutto così in fretta.
L’adrenalina scoppiò nelle vene di Tesla, impedendole di muoversi. Il suo compagno era in pericolo e lei non trovava il coraggio di fare un solo passo per aiutarlo.
«Sei mio!» Gridò l’uomo poco prima di affondare la lama dall’alto verso la volpe. Umbra però scattò indietro, ringhiando e gonfiando le code come facevano i felini.
«UMBRA!» Gridarono in coro Arild e Sissel. L’uomo aveva fatto roteare in aria la spada, riprendendola al volo nella mano destra, ed era pronto ad attaccare di nuovo.
«Non mi sfuggirai, demonio.» Scattò in avanti, cercando di raggiungere Umbra ma questa volta Tesla trovò le forze per reagire.
Afferrò un ramo secco, caduto da uno degli alberi che circondavano la radura, e lo lanciò contro l’aggressore. L’uomo venne colpito sulla coscia e fu talmente sollazzato da quel gesto che si fermò a fissarla.
«Ragazza, cosa speravi di fare?» Ridacchiò, mostrando una fila di denti bianchi, visibili grazie alla maschera che gli copriva la faccia fin sotto il naso. Il cuore le batteva forte nel petto e le fischiavano le orecchie.
«Ket zoseta?![13]» La spada scintillò nella luce del sole mattutino, colpita dai raggi che penetravano le folte foglie di Ivtavishe.
Ora stava puntando lei, camminando tra l’erba bagnata di rugiada e togliendosi i guanti, sfilandoseli dito per dito.
Era una tortura osservare mentre se li levava con un sorriso sornione.
«Non parlo l’Ethrie, la vostra lingua è per gente lozza… come voi.» Gettò i guanti a terra e fece scrocchiare le ossa delle dita, riprendendo poi la spada nella mano destra e stringendo forte intorno al manico.
«Non capite una sola parola di quello che dico, vero?» Osservando le loro facce sbigottite e confuse intuì che i tre ragazzi non avessero mai imparato la lingua comune.
«Uff, sarà una vera noia uccidervi senza poter sentire le vostre urla di pietà.» Si specchiò nella lama argentata e poi fece spallucce.
«Non importa. Mi accontenterò della vostra lingua barbara, maledetti Jelen!»
Fendette l’aria e Tesla gridò.
«Che cosa?!» La voce furibonda dell’aggressore rimbombò nella radura subito dopo l’urlo.
Umbra aveva fermato la lama grazie alle sue nove code, circondandola e trattenendola con le sue forze.
«Umbra, nö!» Gemette Tesla, che approfittò immediatamente per rimettersi in piedi e correre dal suo amico a quattro zampe.
Appena le fu vicino ritrasse le code, che si accorciarono fino a tornare alla loro lunghezza naturale.
«Umbra, ket fetsheta lisheviö?[14]» Osservò il suo bianco pelo macchiato del suo stesso sangue e trattenne le lacrime. Vederlo ferito feriva anche lei.
«Vi!» disse a denti stretti, puntando l’uomo in bianco «Destsheheta dest ket-ket fetsheta lisheviö![15]»
Lui gesticolò freneticamente, imprecando nella lingua comune, ma Tesla non capiva quello che diceva e se ne fregò del senso di pericolo che le attanagliava il cuore.
Doveva proteggere Umbra e i suoi amici, lei poteva farlo.
Fu come prendere fuoco, venne avvolta da una sensazione di completezza e di inferno al tempo stesso. I suoi occhi divennero neri come la pece e così anche quelli di Umbra.
Tesla riusciva a vedere con il suo sguardo e viceversa.
Poi sentì un prurito al fondo schiena e voltandosi vide apparire nove code color della brace calda, che volteggiavano nell’aria e bruciavano avvolte nelle fiamme.
Rimase a bocca aperta nel vedere quella scena, ma non aveva tempo da perdere.
Puntò l’aggressore, preparandosi a colpirlo con quegli strani poteri.
«Umbra, taniumiuse![16]» E senza farsi alcun gesto d’intendimento, scattarono in avanti. Le code di Tesla si allungarono grazie al suo pensiero, dove immaginò che si protendessero verso l’uomo e lo avvolgessero, bruciando i suoi abiti fino alle carni.
E così successe.
Le sue grida straziate fendettero l’aria e fecero fremere il cuore di Sassil, che si era accovacciata al fianco di Arild.
Umbra la imitò ma non rimase scottato dalle fiamme, fu come se queste fossero aria. Con una delle code fece per levare la maschera all’uomo ma non fece in tempo, perché i suoi compagni arrivarono a soccorrerlo.
Erano in due, dall’aspetto più giovane, altrettanto coperti e armati, ma meno minacciosi.
Lo era molto di più Tesla, avvolta da un alone di fuoco che si stava propagando su per la schiena, fino a toccarle i capelli e a farli diventare fiamme.
Era furiosa.
«Iv zoviha ket luvse iv tarese re kaövishe! Öjukö tamiuvise desthase hataviö![17]»
Al suono di quelle parole uno dei compagni dell’uomo avanzò verso di lei di qualche passo, mettendo in avanti il braccio come per calmarla.
Umbra ringhiò, parandosi fra loro.
Era strano riuscire a vedere contemporaneamente sia con gli occhi della volpe che con i suoi, eppure ci riusciva e non sapeva spiegarsi il perché.
L’uomo si levò la maschera, mostrando il suo viso. Aveva la pelle abbronzata e gli occhi marroni come il cioccolato, capelli tagliati corti del medesimo colore.
La guardava docilmente.
«Niut desthavita. Niut zotashemiuö niusemiutakata.[18]»
Il ragazzo parlava l’Ethrie e questo riuscì a placare il suo animo, ma non abbastanza da farla fidare.
«Ket zotasevise?» «Miu ketshemiuö Reidan Fystein, ivseniushemiuö ba Idyan.[19]»
Umbra alzò le orecchie per ascoltare il discorso di Reidan Fystein e per Tesla fu come udire la voce del suo amico nella testa.
Stava pensando, stava cercando di capire se il giovane uomo stesse dicendo la verità o mentisse.
«Idyan…?» Ripeté lei e Reidan annuì. Percepì il cuore di Umbra che batteva sempre più piano, sentiva che si stava fidando.
Perché? Cosa glielo diceva?
«Luv!» disse puntando l’uomo che aveva ancora tra le spire delle sue code infernali «Fetshe shevishekasheviö miu ivöluvdestse. Destsehaket?[20]»
Reidan si voltò a guardare il ragazzo che era arrivato insieme a lui, quindi l’uomo intrappolato e sofferente.
«Adrien, a quanto pare Tiril ha attaccato il Contrasto di questa ragazza. È per questo che è così incazzata.»
Tesla tese le orecchie prestando attenzione ad ogni minima parola detta dagli individui nonostante non capisse nulla.
«Che facciamo?» «Non possiamo di certo spiegarle per quale motivo l’ha attaccata. Devo calmarla in qualche modo.»
Tornò a concentrarsi su Tesla e appoggiò la maschera a terra, alzando le mani in segno di resa.
«Miu sheivniuö. Niut vi lishehaö miusheluvse.[21]» Lei s’irrigidì ma sentiva Umbra tranquillo. Fu così che pochi istanti dopo i suoi occhi tornarono normali, le fiamme e le code svanirono e lei cadde a terra, priva di forze.
Reidan le corse incontro e Umbra, anche lui nuovamente normale, lo tenne d’occhio.
Fece per prenderla tra le braccia la ma sua pelle lo scottò, era come un braciere ardente.
«Reidan, che significa?» Chiese il compagno mentre andava a soccorrere Tiril, esanime al suolo.
«Questa ragazza…» le tolse i capelli dal viso per poterla guardare «io so chi è.» Guardò Umbra, che si era seduto alle sue spalle e lo fissava con lo sguardo ardente.
In qualche modo si fidava di lui, per qualche ragione quella volpe a nove code non lo riteneva una minaccia per lui o per il suo Contrasto.
«Aiutami a portarla alla sua dimora, Umbra, deve essere curata.»
Per qualche istante lui lo fissò, incerto sul da farsi, ma poi si mise in piedi e avvolse l’amica nelle sue code ancora sanguinanti, dopodiché fece strada. Reidan non rimase stupito del fatto che la volpe comprendesse anche la lingua comune.
«Reidan! Che facciamo di loro?» Indicò Arild e Sissel, poi anche Tiril.
Guardò i due ragazzi spaventati, ancora tremanti. Non poteva lasciarli lì, appena avrebbero trovato il coraggio sarebbero corsi in città a dare l’allarme.
Meno popolani sapevano della loro presenza meglio era.
«Ivseniutavise ket niu.[22]» Non vollero saperne di alzarsi, soprattutto per la troppa paura che avevano in circolo. Allora guardò Umbra che si era fermato al limitare della radura.
La volpe guaì, attirando l’attenzione dei due, e quando i loro sguardi s’incrociarono gli occhi dei ragazzi divennero completamente bianchi.
Si alzarono in piedi e raggiunsero il gruppo, silenziosi come fantasmi.
«Che diavolo…?» Sussurrò quello che stava trasportando Tiril, ma Reidan non aveva la risposta.
«Muoviamoci.»
Umbra correva, ma non troppo veloce, così da permettere agli altri di stargli appresso. Di tanto in tanto si fermava su un tronco caduto o in un ventaglio di luce, voltandosi per guardare a che punto stessero gli altri.
Reidan avanzava pensieroso verso casa Hangzavar.
 
 
 
 
 
[1] Giorno
[2] Umbra, muoviamoci
[3] Pronto?
[4] Tesla, da questa parte!
[5] Ragazzi, come state?
[6] Non c’è male. Te?
[7] Tutto bene!
[8] Vogliamo andare?
[9] L’ultimo che arriva paga da bere!
[10] Sissel, cerca di starmi dietro
[11] Tesla, è sleale!
[12] Non vale! Avete barato
[13] Chi sei?!
[14] Umbra, cosa hai fatto?
[15] Tu! Pagherai per ciò che hai fatto!
[16] Insieme!
[17] Voi stranieri con le vostre idee di conquista! Oggi imparerete a provare rispetto!
[18] Non preoccuparti. Non siamo nemici
[19] Chi siete? à Mi chiamo Reidan Fystein, veniamo da Idyan
[20] Lui ha attaccato la mia volpe. Perché?
[21] Mi avvicino. Non ti farò del male
[22] Venite con noi

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Capitolo 2
*** Lisekatashe ***


Tesla aprì lentamente gli occhi, girandosi sul lato sinistro per guardare fuori dalla finestra. Era mattina, riusciva a vedere gli scoiattoli che saltavano da una foglia all’altra su Ivtavishe.
Erano dei puntini neri e rossi che si muovevano su uno sfondo dorato mentre i primi schiamazzi si alzavano dalla città.
Si mise a sedere accusando un dolore alla schiena, ma poco dopo si abituò alla posizione.
Umbra era seduto in fondo al letto e la fissava con i suoi grandi e profondi occhi, aspettando che facesse qualcosa. Nel guardarlo, il ricordo del volere della volpe che le echeggiò in testa, così come il fuoco che le bruciava la pelle e il cervello senza che prendesse fuoco realmente.
Si massaggiò le tempie dopo una fitta alla testa e rivide l’immagine di quell’uomo vestito di bianco stritolato tra le spire delle sue code color della brace. La pelle che bruciava e le urla soffocate in gola rimbombavano ancora nelle sue orecchie.
Se le coprì con le mani in un vano tentativo di zittirle e queste si fecero più forti, tramutandosi in uno strillo scoppiettante.
Il rumore di pietre che rotolavano, le urla di una donna e il ruggito di un felino furono le ultime cose che udì prima di essere stritolata nell’abbraccio della zia.
La donna la cullava tra le sue braccia da un po’ e lei non se n’era accorta, avvolta da quelle immagini cruenti e dalle grida.
Ebbe un brivido lungo la schiena e finalmente riaprì gli occhi, accecandosi con la luce di un raggio che penetrava le foglie di Ivtavishe.
«Sssht, hasezovishe ket miu» «Keketa… miu fetö…» «Nö, luvtet, niut destsehani.»[1] Ryka si pentì amaramente di aver permesso a Reidan e i suoi due complici di restare, quella notte.
Tesla era una ragazza fragile o così almeno aveva sempre voluto credere. Quegli uomini erano nella loro casa, gli stessi uomini che avevano indotto in sua nipote Wüniuvishe e riducendola a quello stato.
Ryka schiuse le labbra per parlare ma l’arrivo di sua madre la interruppe. Nonna Hangzavar entrò energica nella stanza e andò a sedersi ai piedi del letto, scacciando Umbra con un gesto non curante della mano.
Sorrise alla nipotina, accarezzandole la caviglia nuda con le sue mani tremolanti.
Indossava un abito bianco ricamato di verde chiaro, con un girocollo di argento intrecciato con fili di erba cristallizzata, che nella loro lingua veniva chiamata Sehabajukaö. Secondo la cultura Ethrie, il Sehabajukaö portava fortuna a chi lo vestiva o forza di volontà se a indossarlo fosse stato un membro della famiglia Hangzavar.
La nonna metteva sempre un gioiello di Sehabajukaö, che fosse un bracciale, un anello o anche un orecchino.
Al quattordicesimo compleanno di Tesla le aveva regalato un elastico per i capelli fatto di rami di salice intrecciati e poi cristallizzati, augurandole una buona fortuna per il futuro.
«Ryka, dest niut kawühata?» La sua voce tremolava, roca come il gracchiare di un corvo e severa come quella di una qualsiasi madre.
«Nö, Miushe, zosheta dest!»[2] Liberò Tesla dal suo abbraccio e le diede un bacio sulla fronte, specchiandosi nei suoi grandi occhi verdi.
«Zoseta wüjukluvse vi Miushe.» Le infilò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio, accarezzando la pelle diafana leggermente arrossata.
«Keketa, ket miu zowüzoö?»[3] Prese il polso di Ryka, fermandolo, e la guardò seria negli occhi. Tesla non voleva pensare a sua madre, non voleva immaginare quanto i suoi lineamenti fossero simili alla donna che l’aveva cresciuta per cinque anni per poi morire disgraziatamente.
Tesla voleva capire perché avesse preso fuoco senza bruciarsi, perché avesse udito i  pensieri di Umbra.
Perché non fosse morta. Le persone morivano quando venivano possedute dagli animali, o così le era sempre stato insegnato.
«Tesla, niut zoshemiuö zodesthani ket zotashe zowükasezoö. Tamiuvise ket vi zotashe ivtaivshe.»[4] Rispose la nonna, stringendo la presa intorno alla sua caviglia in segno di avvertimento.
Non voleva che facesse altre domande, la storia doveva concludersi lì.
Constatò che era meglio lasciar perdere, se c’era di mezzo la nonna sicuramente non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.
Ci avrebbe riprovato più tardi con la zia, rischiando di finire nei guai.
«Taö fetö lishemiuse» «Oh! Misheket! Fetö desthaviö kaöniuse.»[5] Corse alla porta, girandosi solo per sorridere alla nipote e incitarla a scendere in cucina, che avrebbe messo in tavola la colazione.
«Niuöshe, ivtaseniuta?» «Nö, fetö sheluvvihaö lishehase» «Ket ivwüöta.»[6] Si alzò dal letto, osservandosi le gambe e le braccia nude alla ricerca di lividi o scottature.
Nulla, solo pelle bianca e liscia.
Indossò una lunga gonna nera con gli orli colorati come l’arcobaleno e una maglietta verde scuro che si allacciava dietro il collo, quindi si legò i capelli in uno chignon sopra la nuca e scese in cucina.
Ryka stava apparecchiando la tavola quando dalla porta che dava sul giardino entrarono tre uomini in bianco.
Il cuore le mancò un colpo, facendola traballare. Vide il viso di Reidan Fystein accompagnato da due uomini mascherati.
Maschere di volpe.
«Dest?! Dest yr zoöniuö taniu kazoshe miu?!»[7] Ryka mosse alcuni passi nella sua direzione ma lei la fermò con un gesto della mano.
Reidan appoggiò le mani sullo schienale di una delle sedie infilate sotto al tavolo di legno, gli occhi marroni socchiusi e le labbra schiuse.
Aveva la pelle abbronzata, come chi sta perennemente al sole, una caratteristica che differenziava il popolo Ethrie da quello Idya, al quale egli apparteneva.
Si grattò i capelli facendo una smorfia, poi tornò a concentrarsi su di lei, cercando di incuterle sicurezza.
«Vi Keketa ni fetshe özovita dest niuövise. Öhashe ket zovitashemiuö sheniureö.»[8] Ryka allora scattò, arrivando quasi a raggiungere Reidan e toccarlo.
Persino Tesla rimase sbigottita da quella sua reazione. La donna aveva i capelli sciolti, lunghi fili bruni che discendevano lungo la sua pallida schiena avvolta in un leggero abito color crema.
Era bella come la luna, con occhi piccoli di colore verde e ciglia folte e lunghe.
«Nö! Hasezovishevise, iv desthasejukö» Reidan guardò la donna con occhi sgranati e sospettosi, come chi analizza un bugiardo.
Tesla strinse i pugni lungo i fianchi, nascondendo il suo disappunto. La reazione della zia alle parole del giovane uomo era stata molto eccessiva e fresca, quindi degna di approfondimento.
Umbra era da poco entrato in cucina quando avvolse una delle sue morbide code intorno alla caviglia di Reidan, anche lui d’accordo sul fatto che restasse.
«Zotasevise liöhazose taniu kaövishe ketvihaö miu?» [9] Ryka scosse il capo, dicendole che era meglio per tutti se non si fossero mostrati in città.
Le loro maschere avrebbero fatto scaturire dei sospetti nei cittadini, creando un putiferio.
Si scusò con gli intrusi, che lei chiamò Özodesttavita ossia “ospiti”, e si scusò per il cambio di programma, che fin dall’inizio avrebbe dovuto constatare che farli viaggiare di giorno era pericoloso.
«Niut fetö desttawü lishemiuse.» Con quelle parole Tesla proseguì e uscì, seguita immediatamente da Umbra.
Ryka non cercò di fermarla, era alleggerita dal fatto che sua nipote uscisse, così da poter agire indisturbata.
Umbra saltò sulla lunga corda che portava in città e così anche lei, voltandosi a guardare verso casa sua.
Reidan era ancora di fronte alla porta spalancata, la schiena curva sulla sedia e i suoi compagni ai lati.
«Lisekatashe.»[10] Disse con disprezzo. Cominciò a scendere, stando ben in equilibrio. Arrivato alla fine, Umbra saltò e con l’ausilio delle code rallentò la caduta sul pavimento di terra e sassi che era la strada.
In città si erano già svegliati in molti, le luci che fluttuavano in cielo si erano spente, le finestre spalancate e il mercato e i negozi avevano aperto. Si sistemò la gonna e s’incamminò verso casa di Sissel, curiosa di vedere l’amica dopo le vicende appena trascorse.
Per merito della fitta vegetazione che si era creata intorno alla città, sotto l’albero Ivtavishe, il clima era umido e fresco, non si erano mai superati i venti gradi.
Infatti, nessun Ethrie sopportava temperature scottanti, e s’intendono quelle superiori i vent’un gradi. La loro pelle era molto delicata e pallida abituati com’erano al fresco e alla mancanza della costante luce solare.
Erano pochi i raggi che penetravano il tetto di foglie che copriva tutta la zona ed essi venivano sfruttati per creare energia solare per accendere le luci durante le ore buie.
Oltretutto, c’era un periodo caratterizzato dalla completa mancanza di luce solare per tre settimane.
Circa tre mesi prima i cittadini cominciavano a raccogliere più luce possibile per evitare di restare al buio durante quel periodo, altrimenti la città cadeva nell’oscurità e gli Sheniuta portavano disgrazie a Ethriel.
Sua nonna aveva vissuto quella situazione e le aveva promesso che un giorno glielo avrebbe narrato, ma non era ancora arrivato il tempo.
Camminando tra le stradine e passando per dei vicoli, raggiunse casa di Sissel. Era una piccola dimora, caratterizzata dal suo color avorio, attaccata a quella di Arild, di un grigio vissuto.
Sissel era seduta nel piccolo giardino che aveva sulla terrazza e canticchiava curando i fiori.
«Sissel!» La chiamò agitando la mano in segno di saluto. Umbra volteggiò le nove code. La ragazza si sporse oltre la barricata e le fece un amaro sorriso.
Era stranamente sconvolta nonostante apparisse tranquilla.
«Oi, Tes! Zosheluvta!» Salì i tre gradini di pietra posti prima della porta ed entrò.
La casa era poco arredata ma tempestata di fiori di ogni tipo. Gialli, rossi, verdi e persino blu.
Accarezzò una rosa verde pisello e salì al primo piano, entrando nella prima porta a sinistra, che era la stanza dell’amica.
La vetrata che dava sulla terrazza era spalancata e Sissel la esortò ad uscire.
«Ket zovisheta?» Chiese mentre prendeva posto accanto a lei. «Niut miu luvsheviö. Vi?»
«Taö… taö zoviö baseniuse. Siss, ket zowükasezoö tasehata?»[11] La ragazza corrugò la fronte come chi resta confuso da una domanda.
Sembrava non comprendere, ma poi sorrise e fece spallucce.
«Fetsheta retalisezoö miu se Arild. Niut sheluvvihaö» «Taö niut zoö ket zotashe zowükasezoö… niut hatakaöhareö miuöluvviö.»[12]
Sissel accarezzò il bocciolo di una rosa e fece un versetto indecifrabile.
«Niut desthavita, viwüviö litaniutaviö.»[13] Sbuffò e accantonò il discorso. Nessuno voleva rivangare l’accaduto del giorno precedente e non riusciva a capacitarsene.
Dopotutto era stata posseduta da Umbra e era stata a un soffio dall’uccidere un uomo.
«Siss, Tes?» Le ragazze si sporsero in avanti, entrambe strappate dai loro pensieri, e tra le sbarre della barricata intravidero Madas. Indossava una tunica nera con delle scarpe abbinate, i capelli biondi e lunghi fino alle spalle legati in un codino alto.
I suoi occhi azzurri catturarono l’attenzione delle ragazze.
Madas era il figlio di uno dei più ricchi uomini d’affari della città, la sua famiglia viveva su una delle colline alla periferia nord, vicino a dove iniziavano gli ultimi chilometri prima dell’arrivo ai confini dei rami di Ivtavishe.
Tesla ricordava che suo padre vantava spesso di essersi recato oltre le foglie della vita, raggiugendo la città vicina: Idyan.
Lei non aveva mai visto oltre Ethriel, non sapeva come fosse il mondo fuori da lì e la cosa la incuriosiva molto.
Avrebbe voluto correre e liberarsi dall’abbraccio soffocante della sua città e raggiungere nuovi luoghi e conoscere persone di culture differenti.
Persone come Reidan?
Un groppo le si formò in gola, accompagnato da un forte bruciore allo stomaco e Umbra si agitò, percependo la cosa.
Sissel si alzò in piedi con uno scatto delle gambe, lisciandosi il vestito color cachi lungo fino alle ginocchia e sistemandosi i capelli corvini legati in una treccia laterale.
Era davvero una giovane e bella donna, con gli occhi color del mare e il sorriso bianco latte.
Tesla però non aveva nulla da invidiarle, lei era una Hangzavar.
Imitò il suo gesto di alzarsi per poi appoggiare i gomiti sulla barricata e guardare Madas.
Il ragazzo aveva una borsa a tracolla di una stoffa forestiera, eppure la sfoggiava come se fosse argento.
«Niut zoshedestseivö ni liözose sheniukafetse Tesla» «Nö, ivseniuwüvishe zoöluvö dest wü shevitamiuö. Öhashe zose ivshe!»[14] Si scaldò un pochino nel dirlo, come se desse per scontato che la sua amica non potesse stare insieme a lei e a Madas insieme.
La guardò storto e fece spallucce.
«Zota, miu ivshereö. Zowü, Umbra!»[15] La volpe si alzò sulle quattro zampe, smettendo di giocare con la terra, e seguì la padrona fin fuori la casa. Madas le sorrise, chinando leggermente il capo in segno di saluto.
«Tesla, niut ivwüöta lisevita dest tamiuhase luvtaniujukwüshe kaömiuse» «Nö, niut zoöniuö taniuvishe.»[16]
Madas amava, proprio come il padre, vantarsi delle sue conoscenze, una tra le quali la capacità di parlare la lingua comune. L’aveva imparata da bambino, all’età di cinque anni suo padre l’aveva portato con sé a Idyan, dove erano rimasti per un anno. Era tornato abbronzato e con una nuova parlata.
Si allenava con sua sorella per non dimenticare la lingua e da quando Sissel aveva trovato il coraggio di chiederglielo, lo insegnava anche a lei.
Tesla però non aveva alcun interesse a farsi insegnare la lingua comune da lui. Avrebbe dovuto sorbirsi auto elogi e rimproveri dalla persona che più odiava sulla faccia della terra, quindi evitava.
«Sheluvöhashe she desthasezoviö!» Le sorrise amabilmente ma lei lo ignorò e corse giù per la strada, svoltando l’angolo e svanendo insieme a Umbra.
Se Sissel apprezzava passare il suo tempo con quell’individuo erano affari suoi, lei non aveva alcun interessa per Madas e la sua lingua comune.
Però la sua testa aveva altro di cui preoccuparsi.
Se nessuno voleva darle informazioni riguardo al giorno precedente, allora le avrebbe cercate da sola. Fu così che si ritrovò nella biblioteca centrale, circondata da scaffali di libri e pergamene.
Umbra era accoccolato sotto il tavolo in mogano e sonnecchiava mentre Tesla girovagava alla ricerca del libro che le occorreva.
Ne trovò più di uno: libri sulle magie degli esseri selvaggi, libri sulla biologia degli animali e altri ancora. Però lei non era interessata a quel genere di cose.
E poi finalmente scovò quello che stava affannosamente cercando.
Sfilò il libro e accarezzò la copertina, ammagliata dal colore verde scuro della copertina.
Si chiamava Wüniuvishe, e cioè “unità”. Sotto erano disegnati degli animali con più code, tra cui una volpe.
Corse a sedersi, spalancando il libro e iniziando a leggere avidamente ciò che nascondeva.
 
[1] Resta con me - Zia, io ho… - No, piccola, non pensarci
[2] Ryka, perché non la curi? - No, mamma, lo sai perché!
[3] Sei uguale a tua madre - Zia, cosa mi è successo?
[4] Tesla, non sappiamo spiegarci cosa sia successo. L’importante è che tu sia viva
[5] Io ho fame - Ma certo! Ho preparato la colazione
[6] Nonna, vieni? - No, ho altro da fare à Come vuoi
[7] Perché?! Perché questi sono in casa mia?!
[8] Tua zia ci ha ospitati per la notte. Ora ce ne stiamo andando.
[9] No, restate, vi prego - Siete forse in combutta contro di me?
[10] Feccia
[11] Come stai? - Non mi lamento. Tu? - Io… io sto bene. Siss, cosa è successo ieri?
[12] Hai solo difeso me e Arild. Nient’altro - Io non so cosa sia successo… non ricordo molto.
[13] Non preoccuparti, è tutto finito.
[14] Non sapevo ci fosse anche Tesla - No, è venuta solo per un attimo. Ora se ne va
[15] Si, me ne vado. Su, Umbra!
[16] Tesla, non vuoi fermarti per imparare la lingua comune? - No, non sono interessata.

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