Wrong Choices

di channy_the_loner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bad Idea ***
Capitolo 2: *** Lost Notebook ***
Capitolo 3: *** Vampires ***
Capitolo 4: *** Condition ***
Capitolo 5: *** Choises ***
Capitolo 6: *** Good Approach? (1/2) ***
Capitolo 7: *** Good Approach? (2/2) ***
Capitolo 8: *** Thief ***
Capitolo 9: *** Unexpected Love ***
Capitolo 10: *** Chiasso ***
Capitolo 11: *** Great Him ***
Capitolo 12: *** Memories ***
Capitolo 13: *** Fear ***
Capitolo 14: *** Poison ***
Capitolo 15: *** Criminals and Cookies ***
Capitolo 16: *** Sweet Passion and Sour Agony ***
Capitolo 17: *** Anger and Attraction ***
Capitolo 18: *** Requests ***
Capitolo 19: *** Party and Blood ***
Capitolo 20: *** Death ***
Capitolo 21: *** Running and Autopsy ***
Capitolo 22: *** Planes, Relatives and That Name ***
Capitolo 23: *** Family Reunion and Monster ***
Capitolo 24: *** Spirits and Advice ***
Capitolo 25: *** Silence, Informations and Capital ***
Capitolo 26: *** Pain and Something Red ***
Capitolo 27: *** Crystall Ball, Free and Why Not ***
Capitolo 28: *** Away, Portrait and Three ***
Capitolo 29: *** Them, Soul and Teardrops ***



Capitolo 1
*** Bad Idea ***


-BAD IDEA.

 

 

«Perché devo farlo proprio io?»

«Perché tu sei il nostro asso nella manica, la nostra bocca della verità.» «Ma è pericoloso...»

«Tranquilla! Se sei in pericolo, premi questo pulsante, così i rinforzi arriveranno in un attimo.»

«Okay...»


Ma non era per niente okay. La verità era che lei non voleva farlo, non doveva farlo. Era stata costretta dai suoi colleghi, dai suoi coetanei, dal sicuro scoop che quella notizia avrebbe fatto: Villa abbandonata abitata da creature misteriose. Sì, il successo sarebbe stato assicurato!

Tuttavia, appena arrivò davanti a quella maestosa villa avvolta dal mistero, Yui cambiò idea; l'articolo per il giornale sarebbe potuto essere scritto da qualcun altro, dato che la propria incolumità era ben più importante. Aveva accettato di occuparsi di quel caso solo perché la sua curiosità – la sua dannata curiosità – ebbe la meglio sulla paura, altrimenti si sarebbe accontentata di scrivere l'articolo di giornale sul nuovo negozio di giocattoli aperto in periferia. Ma, ora che si trovava immobile davanti a quell'immensa villa, si rese conto che accettare non era stata per niente un'ottima idea.

Prima di entrare nel giardino della villa, guardò per l'ultima volta il piccolo telecomando che le avevano dato e che lei avrebbe dovuto usare in caso di pericolo; lo strinse al petto come a volersi fare forza e poi lo rimise nella tasca della sua giacca beige. Abbottonò meglio la camicia bianca e lisciò la gonna per coprire meglio le gambe, nonostante indossasse degli stivali che le arrivavano alle ginocchia. Poi scostò leggermente il cancello arrugginito d'ingresso, che si aprì con un cigolio acuto. Yui fece un grosso respiro, poi entrò nel giardino dell'imponente villa, tirò fuori dalla sua borsa a tracolla un libretto e una penna ed iniziò a descrivere tutto ciò che poteva osservare.

"Il giardino della villa abbandonata presenta un aspetto molto curato e preciso, dovuto alla probabile presenza di un giardiniere. Ci sono parecchi roseti, i quali sono prossimi alla fioritura. Anche i cespugli sono in perfetto stato."

Camminò per il vialetto di ghiaia e giunse ad una fontana che ritenne essere impressionante.

"L'esterno della Villa è arricchito da dettagli minuziosi e precisi - possibile citazione, la perfetta simmetria dei mattoncini che delimitano le aiuole. La presenza di una fontana raffigurante un diavolo alato piegato verso il basso fa pensare ad una probabile passione per l'arte da parte dei vecchi proprietari dell'Abitazione."

Venne il momento di entrare nella villa. Yui, titubante, salì i pochi gradini che portavano al portone principale e, deglutendo, provò ad aprire la porta; inaspettatamente, la trovò aperta, quindi le bastò spingere per entrare, nonostante una remota parte di se stessa sperava di trovarla chiusa per mettere, così, fine alle ricerche.

"L'interno dell'Abitazione sembra impeccabile nonostante sia il buio a padroneggiare i vari ambienti, rendendo molto limitate le capacità visive. Sembra che gli interruttori siano finti, dato che nessuna luce si accende. Tuttavia ci sono delle enormi vetrate e finestre varie, che sono completamente coperte da tende. I mobili appartengono sicuramente alle più pregiate lavorazioni, nonostante diano l'impressione di essere parecchio malandati."

Stava continuando a descrivere ciò che la circondava, quando sentì chiaramente un tonfo alle sue spalle. Si girò e, con terrore, si accorse che la porta si era chiusa; si avvicinò nuovamente all'uscio e, dopo vari tentativi, constatò sgomentata che avrebbe fatto meglio a trovare un'altra via d'uscita. Ma non fece in tempo a fare un passo, che sentì un fruscio alle sue spalle. Si voltò allarmata, e le parve di scorgere due piccoli occhi fissarla: un brivido le percorse la schiena non appena incrociò il suo sguardo con quello perso nel buio. Percepì altri passi, provenienti da direzioni diverse. Deglutì. «Chi c'è là?» azzardò titubante.

Udì chiaramente delle risatine, poi altri passi ancora.

«La domanda giusta sarebbe cosa ci fai tu qui?» le disse una voce maschile cupa e profonda.

La ragazza cominciò a tremare, rimanendo però ferma al suo posto. «Io sono un'impiegata del giornale della città e sono qui per scoprire il segreto di questa villa» disse, poi continuò. «Non ho cattive intenzioni, credimi.»

«Oh, quindi sei una paparazza?» disse un'altra voce, più allegra e scherzosa.

«Chi siete voi? E cosa sapete a proposito delle leggende che vengono raccontate ogni giorno a proposito di questo posto?» domandò Yui.

«Non sono affari che ti riguardano, piccola ficcanaso» disse una nuova voce proveniente da una scalinata imponente.

«Non essere così insensibile, Reiji. Daremo a questa ficcanaso tutte le risposte che cerca» disse la voce che aveva parlato all'inizio.

«Grazie!» esclamò Yui, visibilmente contenta.

«Subito dopo aver abusato di lei, ne oniisan?» chiese una nuova voce, una voce più inquietante.

Il sorriso di Yui morì. «Come?»

«Hai capito bene, Bitch-chan» e sibilò una voce nell'orecchio.

In un attimo, la ragazza si ritrovò sdraiata su un divanetto, il suo prezioso libretto a terra e dodici occhi fissi su di lei. Era impaurita e confusa, e non aveva il coraggio di muoversi. Riusciva solo a tenergli occhi spalancati e il respiro affannoso. Quelle sei figure si avvicinavano sempre di più, e Yui era inerme su quel divanetto di seta. D'un tratto la stanza s'illuminò come per magia e un fuoco scoppiettante prese vita nel camino dell'enorme salone, rendendo quei volti visibili: erano tutti ragazzi che sembravano avere la sua età, erano pallidi e i loro piccoli occhi lasciavano trasparire malvagità. Uno di loro, quello con i capelli rossi spettinati e occhi verdi come smeraldi, si sedette accanto a Yui e le sfiorò il petto con una mano, esordendo: «Certo che non ne hai proprio, di tette.» Ghignò malvagiamente.

La ragazza venne percossa da un brivido ed arrossì senza volerlo.

Poi si avvicinò un altro ragazzo: aveva capelli color lillà, occhi viola e un sorriso inquietante stampato sul volto, che teneva tra le braccia un orsetto di peluche. «Però sei davvero carina, sai?» le accarezzò una guancia, poi si rivolse al suo orsacchiotto. «Lo pensi anche tu, Teddy?»

«Lascia che ti dica una cosa» disse un ragazzo con capelli neri e occhiali eleganti poggiati sul ponte del naso. «Tu, da qui, non te ne andrai. Chiaro?» Le sfiorò i capelli.

Si fece avanti un altro ragazzo ancora, con capelli biondi e occhi azzurro cielo, con un MP3 attaccato al collo tramite un nastro, e le auricolari nelle orecchie. «Perché abbiamo intenzione di avere una lunga relazione con te» disse con voce suadente.

«Sei d'accordo, vero?» chiese un ragazzo con capelli bianchi e occhi scarlatti mentre le sfiorava una mano con le labbra.

«Bitch-chan?» concluse, alzando un lembo della gonna di Yui, un ragazzo dei capelli rossicci, occhi verde prato e un cappello nero ed elegante in testa.

La ragazza deglutì rumorosamente. Nei suoi occhi rosa era dipinta la paura. Mentre avevano, tutti insieme, iniziato a toccarla, Yui ebbe la forza di mettere una mano nella tasca della sua giacca ed estrarre lentamente il piccolo telecomando che le serviva per le emergenze. Purtroppo per lei, la tasca era troppa piccola e stretta per far entrare tutta la sua mano, nonostante la mano di Yui fosse molto piccola, perciò lei dovette per forza tirarlo fuori.

«Cosa cavolo stai facendo, Chichinashi?!» tuonò il ragazzo dai capelli rossi, quello che le stava solleticando il collo con il naso.

La ragazza andò nel panico, ma chiuse con forza e premette quel pulsante rosso; lo tenne premuto per qualche secondo, poi lo lasciò cadere a terra. Quel rumore secco di una scatoletta in pezzi attirò maggiormente l'attenzione degli altri ragazzi, che iniziarono ad imprecare. La ragazza, troppo stanca e debole, cominciò a chiudere lentamente gli occhi e, stremata e rassegnata al suo orribile destino, perse i sensi completamente, ma non prima di sentire dei canini affondare nel suo collo.

E, intanto, nell'aria si diffondeva il rumore di frenate di automobili, ambulanze in lontananza e persone che urlavano il nome di Yui.

 

 

 

 

Angoletto dell'Autrice!!

Ebbene sì, inizio l’ennesima fanfiction XD Vi piace? Io sono abbastanza soddisfatta ^^ Adoro Diabolik Lovers, quindi una vera e propria fanfic su di loro dovevo scriverla per forza! Quindi, ricapitolando: c’è Yui che arriva alla nostra bella villa allegra dove passeggiano unicorni e incontra i nostri bellissimi e dolciosi protagonisti per niente birbanti.

Kou: Stai dicendo una marea di sciocchezza, Neko-chan!

*fa finta di piangere*

Kou: Ma sei adorabile lo stesso!!

*ghigna malvagiamente* Sei troppo credulone, Kou-kun U.U

Ditemi cosa pensate della storia con una recensione, okay? Anche le negative sono ben accette, ovviamente! Detto questo, mi dileguo insieme al mio assistente.

Kou: Smettila di chiamarmi assistente, Neko-chan.

Mai, assistente.

-Channy

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Capitolo 2
*** Lost Notebook ***


-LOST NOTEBOOK.

 

 

«Yui-chan? Sei sveglia? Dai, apri gli occhi...» disse una voce femminile.

Yui, come le era stato detto, lentamente, aprì gli occhi; si trovava su un letto molto soffice e comodo, con le lenzuola morbide che odoravano di lavanda e la luce del sole al tramonto che filtrava attraverso la finestra di quella camera che affacciava sulle montagne. «Dove sono? Non ricordo nulla...» disse con voce bassa e la bocca impastata, mentre si portava una mano alla fronte.

La ragazza che le stava accanto, seduta su una sedia accostata a quel letto, si inginocchiò a terra e si sporse verso Yui, ed iniziò ad accarezzarle i capelli. Quella ragazza aveva la pelle rosea, lunghi capelli mossi verde selva con una simpatica frangia, occhi color nocciola e il suo volto era cosparso di lentiggini; i vestiti comodi le ricadevano alla perfezione sul suo corpo snello e tonico. Le raccontò tutto ciò che era successo: dopo che Yui ebbe perso i sensi, le forze dell'ordine fecero irruzione nella villa e la trovarono su un divanetto di seta rosso; i medici la visitarono e decisero di mandarla a casa per farla riposare. «Tuo padre sarà qui a breve, tranquilla» concluse con un sorriso rassicurante ed energico allo stesso tempo.

«Grazie Harumi-san» rispose Yui flebilmente e, nello stesso momento in cui si mise a sedere, nella stanza irruppe un uomo di mezza età, robusto e vestito da prete.

«Yui, cara, come stai?!» esclamò l'uomo facendo per abbracciarla mentre Harumi si faceva da parte.

Yui sentì gli occhi pizzicarle mentre abbracciava l'uomo. «Papà...» sussurrò con le lacrime agli occhi.

Restarono abbracciati per qualche minuto, poi il padre della ragazza si scostò e si accorse che sua figlia aveva qualcosa di strano, qualcosa che non aveva mai avuto fino ad allora. «Cosa sono questi, tesoro?» chiese il parroco indicando il collo della ragazza. In quel punto indicato c'erano due piccoli puntini, simili a taglietti, arrossati; si trovavano sulla parte posteriore del collo, vicino alla nuca.

«Non me lo ricordo» mormorò Yui tristemente sfiorandoli. «Ma non mi fanno male.» Mentì spudoratamente: le facevano male, e molto, ma disse il falso perché non aveva intenzione di far preoccupare ancora di più il padre, che aveva altre faccende di cui occuparsi. I debiti, per esempio.

«Allora Kami-sama ha ascoltato le mie preghiere» disse il parroco sollevato. «Grazie anche a te, Harumi, per essere stata con Yui in mia assenza.»

«È stato un piacere, signor-» Si bloccò per un attimo. «Don Komori» disse sorridendo. «Ora devo andare a casa, se permettete.» Poi si rivolse a Yui: «Ciao, Yui-chan!», e uscì.

«Ciao, Harumi-san» salutò Yui, ma la verde era già fuori dalla camera.

«Ti porto un tè? O preferisci una camomilla?» chiese l'uomo accarezzando una spalla della figlia.

«Una camomilla, grazie» rispose lei. «Favorisce il risposo, e domani devo tornare a lavoro.»

«Così presto? Non vuoi restare un po' di tempo in più qui, a casa?»

Yui scosse la testa in segno di negazione. «Sarei soltanto un peso qui, e poi in ufficio potrei scrivere meglio l'articolo.»

Si guardarono per qualche secondo, poi Don Komori sospirò. «Come preferisci, cara.»

 

 

***

 

 

Entrò in redazione e un'ondata di aria condizionata le schiaffeggiò il viso. Mentre alcuni suoi colleghi la salutavano con sorrisi dolci e comprensivi, Yui si avviò alla sua scrivania e appoggiò la sua borsa di fianco al monitor del vecchio PC. Aveva abbastanza informazioni per scrivere un articolo di giornale su quella villa inquietante, perciò sorrise sicura di sé e mise una mano nella borsa per prendere il suo taccuino. Ma poi il suo sorriso si spense.

Non c'era.

Il suo taccuino non era nella sua borsa. Era sicura di aver preso tutti i suoi attrezzi, ed infatti era così. Il taccuino non l'aveva perso, e non lo aveva neanche dimenticato a casa sua. Il suo block-notes era rimasto nella villa misteriosa, ne era certa. E lei doveva riprenderselo.

«Qualcosa non va, Eve?» le chiese un ragazzo poco più alto di lei, con la pelle pallida, occhi di un colore tra il violetto e il verde, capelli neri e con un basco rosso in testa.

«Sto bene, Azusa-kun, grazie» rispose lei con un sorriso tirato. «E, per favore, non chiamarmi con quel soprannome.» Eve, infatti, era il soprannome che gli impiegati del giornale davano a Yui in quanto, come impiegata più giovane, era sempre al centro delle attenzioni del capo redattore, che la trattava sempre come la donna più importante della casa editrice, prima donna: Eve, appunto.

«È impossibile non chiamarti Eve, Eve» le disse di rimando il ragazzo mentre accennava ad una risata lieve.

Lei sbuffò e decise di non dargli retta.

 

 

***



«Eccomi di nuovo qui» disse Yui ad alta voce, mentre era ancora incredula per aver avuto quell'idea per niente costruttiva.

La scelta migliore sarebbe stata quella di lasciar perdere tutto e scrivere solo ciò che ricordava di aver scritto; tuttavia, su quel taccuino c'erano scritte informazioni riguardanti anche altri articoli e, alcuni di esse, avevano richiesto tempi di ricerche lunghissimi.

Entrò di nuovo in quel giardino, percorse di nuovo quel vialetto di ghiaia, entrò di nuovo in quell'edificio. «Permesso?» disse ad alta voce.

Sentì dei passi e poi rivide uno di quei volti che aveva scorto la sera prima. «Piccola ficcanaso, sei tornata per concludere il lavoretto di ieri sera?» disse il ragazzo con gli occhiali e la voce seria.

«Ecco... Voi avete il mio...»

«Bitch-chan, ti mancavano le mie carezze?» miagolò il ragazzo dalla voce allegra.

Arrossì. «Non--»

Stava per continuare a parlare, quando venne interrotta di nuovo. «Oi, Chichinashi! Cercavi questo?» disse il ragazzo dagli occhi color smeraldo mentre sventolava in aria un piccolo quaderno.

«Allora lo hai preso tu!» esclamò Yui, anche se non era molto sorpresa. Anzi, se lo sarebbe aspettato che l'avesse preso proprio lui, il suo taccuino. «Potrei riaverlo?» chiese avvicinandosi lentamente.

«Diciamo che lo riavrai soltanto quando ti sarai sottoposta al grande Ore-sama!» rispose lui alzando il braccio in aria, in modo che Yui non riuscisse a prenderlo, data la sua bassa statura.

«In che senso sottoposta?» chiese mentre tentava, inutilmente, di raggiungere, saltellando, il libretto che il ragazzo sventolava in aria sopra la propria testa.

«Non l'hai ancora capito? Certo che sei proprio stupida» disse il ragazzo dai capelli bianchi e gli occhi rossi.

«Di cosa state parlando?» Yui era parecchio confusa: insomma, che razza di persone erano?

«Se non te ne fossi accorta, noi siamo vampiri» disse il ragazzo con i capelli neri mentre si sistemava meglio gli occhiali sul ponte del naso.

La ragazza sgranò gli occhi. Tutto si fece più chiaro: i loro spostamenti, le loro frasi, quello che le avevano fatto la sera precedente, le leggende metropolitane e... Quello. «Allora...» Si toccò il collo nello stesso punto dove si trovavano quei due taglietti. «Siete stati voi» disse con voce flebile.

«In realtà sono stato io a fartelo» le disse il ragazzo dai capelli rossi che teneva in mano il suo piccolo quaderno.

Yui si sentì morire: era stata morsa da un vampiro, ma solo da un vampiro? «Quanti altri morsi ho?» chiese mentre le si inumidivano gli occhi.

«Nessun altro» le rispose il ragazzo dai capelli biondi, quello che stava ascoltando la musica anche la sera prima.

«Volevo morderti anche io, ma Ayato me l'ha impedito» disse l'unico ragazzo che mancava all'appello, quello che parlava con l'orsetto di peluche. Infatti si rivolse proprio a lui: «La volevi mordere anche tu, ne Teddy?»

«Quindi quello che si racconta in giro a proposito di questo posto è vero» sussurrò Yui asciugandosi una lacrima fugace.

Fece per correre via - al diavolo il taccuino -, ma il ragazzo dai capelli bianchi glielo impedì. «Tu non te ne andrai più da qui» le disse in un orecchio mentre le stringeva con violenza i fianchi.

«Lasciami!» urlò lei dimenandosi, ma fu tutto inutile.

«Oh, no, non ti lasceremo, Bitch-chan» disse il ragazzo con il cappello.

Tutti i sei la circondarono di nuovo, pronti a tornare all'attacco ma, questa volta, l'attacco finale, quello che le avrebbe tolto la vita. Yui lo sapeva, era convinta che fosse davvero finita. Sentì le gambe farsi pesanti, le palpebre abbassarsi e le forze abbandonarla. L'oscurità stava per dominare la sua anima da brava ragazza. Sarebbe durato tutto pochi minuti, poi avrebbe finalmente trovato la pace in un altro mondo, in un mondo migliore.

«Che diavolo sta succedendo qui?!»

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Eccomi col secondo capitolo ^^ Ho deciso di lasciare la suspance, siete contenti? *persone a caso urlano NO, BAKA*

Kou: In effetti diventi più cattiva ogni giorno che passa.

Sì, è il mio mestiere U.U Passando al capitolo: sì, Yui è tonta anche nella mia storia, oltre che nell’anime. Anzi, più che lei sono tonta io, dato che mi serviva un motivo per farla tornare in quel bel posto soleggiato.

Kou: Perché c’è Azusa ad un certo punto?

Perché sì. Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, e ribadisco: anche le neutre e le critiche sono ben accette e noi ci vediamo al prossimo capitolo! Saluta, biondino.

Kou: Alla prossima ;D

-Channy


Post Scriptum: Nella parte dove c'è Azusa (che chiama Yui "Eve") ho spiegato il motivo per cui la chiama in quel modo, tuttavia non sono convinta di aver reso l'idea, perciò ve lo spiegherò qui. Secondo la nostra religione la prima donna creata da Dio è Eva (Eve), perciò Yui, essendo l'impiegata del giornale più giovane, è come se fosse la "preferita" dei superiori, che la trattano come la donna più importante, "la prima donna in assoluto" (appunto, Eve).

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Capitolo 3
*** Vampires ***


-VAMPIRES.

 

 

«Che diavolo sta succedendo qui?!»

Yui spalancò gli occhi. A parare era stata una ragazza, ne era certa. Per un attimo, le prese ferree di quei sei vampiri si fecero più deboli, anche se di davvero poco, ma la sua mente venne comunque invasa dalla luce della speranza lei vide. Ma poi svanì, perché riconobbe la voce che aveva sentito. "Oh, Kami-sama, ti prego, fa' che non sia lei!", pensò Yui guardando nella direzione della persona che aveva parlato.

«Togliete immediatamente quelle sudice mani da lei!»

«Perché sei qui» sussurrò Yui appena fu scaraventata a terra, «Selena?»

«Ti ho vista venire qui e mi sono insospettita. E, inoltre, ho saputo quello che è successo ieri» rispose la ragazza.

Selena era un'amica di Yui, forse quella più protettiva verso i suoi confronti: aveva lunghi capelli del colore della notte che portava legati in uno chignon, aveva occhi viola scuro e delle lunghe ciglia decorate di mascara blu.

«Scusate se interrompo la vostra piacevole chiacchierata» iniziò il ragazzo dai capelli rossi con tono ironico, «ma Ore-sama vorrebbe sapere cosa sta succedendo.»

«Te lo dico io cosa sta succedendo, stronzo» rispose Selena avvicinandosi. «Succede che stavate tentando di molestare la mia amica!»

Yui spalancò gli occhi: Selena stava tentando di suicidarsi?

«Mi ha chiamato stronzo!» si lamentò il ragazzo rivolgendosi agli altri.

Quello con l'orsacchiotto in braccio si mise a ridere buttando la testa all'indietro e, nelle risa, trascinò anche il ragazzo con il cappello – che, però, rise sottovoce, come a fare una risatina maliziosa –, mentre gli altri tre si limitarono a ghignare.

«Mi scusi, non volevo offenderla, signorino col cappio al collo» disse Selena alludendo alla cravatta del ragazzo messa a mo' di corda.

«Ma cos'è, sei cieca?! Non vedi che è una cravatta?!» urlò il rosso.

Mentre i due continuavano ad urlare, Yui riuscì a riprendersi dalla tentata molestia. Quei sei vampiri l'avevano terrorizzata a morte, ed ora che c'era Selena stavano facendo i clown da circo; era davvero incredibile quel repentino cambiamento d'umore. Quasi sorrise nel vedere la sua amica litigare con quel perfetto sconosciuto solo per proteggerla. Ma successivamente un pensiero le balenò in mente come un fulmine a ciel sereno: Selena non sapeva che quei ragazzi erano vampiri, pertanto la ragazza dai capelli blu era in serio pericolo. Doveva fare qualcosa, doveva impedire all'amica di farli arrabbiare sul serio. «Selly, basta, per favore» disse con il tono di voce autoritario e, allo stesso tempo, intimidita.

Selena smise di urlare contro il ragazzo dai capelli rossi e rivolse a Yui tutta la sua attenzione; l'aiutò ad alzarsi dal pavimento e a spolverare velocemente i vestiti, poi fece per trascinarla via.

«Dove state cercando di andare?» domandò il ragazzo con l'orsetto di peluche in braccio mentre giocherellava con una bretella dei suoi pantaloni.

«Andiamo via da questo posto alquanto malsano» rispose Selena continuando a trascinare l'amica verso l'uscita.

«Per favore, rimanete ancora un po'» disse il ragazzo con il cappello piazzandosi davanti alla porta d'entrata in modo da impedire l'uscita alle due ragazze. «Non sappiamo neanche i vostri nomi.»

«Prego?!» esclamò Selena con la bocca spalancata.

«Siete piombate in casa nostra e non vi siete neanche presentate» disse il ragazzo biondo mentre se ne stava comodamente sdraiato su un divano ad occhi chiusi.

«Quindi, gentilmente, diteci il vostro nome e cognome» aggiunse il ragazzo con gli occhiali.

«Sì, così potete venirci a trovare a casa» disse ironicamente la ragazza dai capelli blu.

«Non lo faremmo mai» rispose lo stesso. «Siamo dei gentiluomini.»

Selena indicò con l'indice il ragazzo dai capelli rossi e la cravatta a mo' di cappio. «Quello lo chiami gentiluomo?»

Il ragazzo in questione urlò: «Stai esagerando, Testa Blu!»

Testa Blu stava per contrattaccare, ma Yui si spostò di qualche passo in modo da fronteggiare tutti i ragazzi; fece un respiro profondo seguito da un breve inchino, poi sorrise. «Mi chiamo Komori Yui, ho vent’anni e lavoro per il giornale della città.»

Selena rimase con un'espressione incredula in viso, ma fu questione di attimi prima che s'inchinasse anche lei. «Mi chiamo Wada Selena, ho ventidue anni e sono prossima alla laurea in medicina.»

Ci fu un po' di silenzio, poi il ragazzo dai capelli color miele schiuse gli occhi e iniziò a parlare. «Noi siamo i fratelli Sakamaki. Io sono il maggiore. Mi chiamo Shuu» disse con voce priva di emozioni.

Prese parola il ragazzo con gli occhiali. «Io sono il secondogenito, Reiji.»

«Mi chiamo Ayato e sono il terzo» disse il ragazzo dai capelli rossi.

Successivamente parlò quello con i capelli lillà. «Io sono il quarto. Mi chiamo Kanato» poi mostrò il suo orsacchiotto. «Lui è Teddy.»

In seguito parlò il ragazzo con il cappello. «Io mi chiamo Laito. È un piacere conoscervi, belle fanciulle!»

Infine prese parola il giovane con i capelli bianchi. «Io sono Subaru» e sbuffò.

«Shuu, Reiji, Ayato, Kanato, Laito e Subaru, giusto? >> disse Yui indicandoli a turno.

Reiji annuì. «Vedo che capisci velocemente, Komori.»

«Bene» l'interruppe Selena «Ora che ci conosciamo, io e la mia amica toglieremmo il disturbo.»

«Fermati, Testa Blu!» esclamò Ayato. «Abbiamo fatto le presentazioni per un motivo preciso.»

«E cioè?» chiese lei mentre Yui abbassava la testa.

«Da adesso in poi, voi due vivrete qui» esordì Subaru indurendo lo sguardo.

Selena emise un urlo di disapprovazione, mentre l'espressione di Yui s'incupì ancora di più.

«Sai, dolcezza, noi esseri superiori non rinunciamo ad una preda solo perché essa si oppone al volere del proprio padrone» disse Laito circondando le spalle di Selena con un braccio.

«Cosa intendi?» chiese la ragazza dai capelli blu con voce tremante.

«Intende che ti sei messa contro i vampiri sbagliati, Testa Blu.»

Selena sgranò gli occhi e la bocca dallo sgomento; non riusciva a credere che non se ne fosse accorta. Lei, una ragazza-genio, non aveva scoperto la verità in precedenza. Si vergognava da morire.

«Se non ci credi, chiedilo a Yui-san» aggiunse Kanato giocando con una gamba di Teddy.

Selena si girò di scatto. «Tu lo sapevi?!» urlò.

«Sì» disse Yui a bassa voce.

«E allora perché diavolo sei qui?!» continuò ad urlare la ragazza, ma l'amica non le rispose. I Sakamaki erano convinti che Selena avrebbe continuato ad urlare per un bel po' di tempo, ma si sbagliavano; la blu, infatti, fece un respiro profondo per poi esordire: «Non potete.»

«Eh?!» esclamò Ayato con un'espressione contrariata.

«Non potete trattenerci qui, e il motivo è semplice» continuò la ragazza-genio. «Se non faremo ritorno alle nostre rispettive case, i nostri familiari denunceranno il fatto in questione alla polizia, e vi assicuro che gli agenti non impiegherebbero molto a mettere in sequestro questa bella villa.»

I fratelli si ammutolirono: Wada aveva ragione riguardo al sequestro di persona. Ma, allora, cosa avrebbero potuto fare?

«Non abbiamo molta scelta» mugugnò Shuu per poi sbadigliare.

Selena incrociò le braccia. «Allora? Vi decidete?»

Yui, intanto, era sempre più nervosa: certo, la sua amica era un'ottima stratega, ma aveva comunque paura delle conseguenze. Chi avrebbe badato a suo padre? Chi avrebbe fatto le faccende domestiche? Chi avrebbe scritto gli articoli di giornale?

«Va bene» disse ad un certo punto Reiji. «Vi lasceremo fare ritorno alle vostre abitazioni.» Le due ragazze sorrisero radiosamente, pronte a correre via da quel posto orribile. «Ma ad una condizione.»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Eccomi con il terzo capitolo! Vi piace? Lo so, le descrizioni fanno un po’ pena, ma questo capitoletto l’ho scritto mentre ero in treno, quindi mettetevi nei miei panni T-T

Kou: Già è tanto che non hai vomitato, guarda.

Esatto T-T

*una figura emerge dall’ombra in stile Pokémon*

Kanato: MI HAI CHIAMATO “QUELLO” PER DUE VOLTE!!!

Che ci fai tu qui?!

Kanato: *faccina maliziosa* Vorresti farmi credere che non sei contenta di vedermi?

Certo che sono contenta di vederti *^*

Kou: Perché con me non ti comporti come fai con Kanato-kun?

Non piangere, Kou-kun! *da un abbraccio coccoloso a Kou*

Kou: *ghigna* Neko-chaaan, ti ho fregata!

*prende il centrotavola in porcellana della nonna e glielo spacca in testa*

Nonna di Channy: Cos’era quel rumore? E dov’è il mio centrotavola?

Ehm… Nonna ho fame! *la nonna di Channy corre in cucina e si dimentica del centrotavola* Comunqueeee credo che la situazione sia più tragica qui, altro che vampiri! O_O Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, e noi ci vediamo al quarto capitolo!

-Channy

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Capitolo 4
*** Condition ***


-CONDITION.

 

 

«Ma ad una condizione.»

Le due ragazze si bloccarono, voltando lentamente la testa e incrociando i loro sguardi con quello misterioso e penetrante di Reiji. Yui sapeva che quei sei mostri avrebbero preteso qualcosa in cambio. Ma cosa avrebbero voluto? Soldi? Gioielli? No. Ai vampiri non servivano le ricchezze; loro, sin dai tempi del Medioevo, avevano sempre preferito il sangue.

«Quale?» chiese timidamente Yui, anche se non desiderava veramente una risposta.

Prima di parlare, il vampiro con gli occhiali diede vita ad un orribile sorriso sadico, così malvagio che alle due ragazze venne la pelle d'oca. «È molto semplice» disse lui. «Dovrete tornare qui tutte le notti. Ma non da sole.»

 

 

***

 

 

Selena e Yui sospirarono tristemente: quella proposta non era per niente conveniente, ma erano state costrette ad accettare.

«E ora?» chiese Yui, ma solo per porre fine al pesante silenzio che era calato tra le due amiche.

«Non lo so» rispose la ragazza dai capelli blu mentre sorseggiava la sua limonata.

L'altra, invece, continuava a mescolare con la cannuccia il suo succo d'arancia rossa. Si erano rifugiate in quel bar vicino la piazza della cittadina, e si erano sedute al loro tavolino preferito, quello in fondo alla sala e vicino al quadro raffigurante la zona del paese prima di venire edificata.

«Dopo questa mattina passata in mezzo a sei vampiri,» sussurrò Selena «tu ordini un succo che sembra del sangue?»

«Scusa, Selly» mormorò l'altra «Sai, è la mia bevanda preferita, e qui la fanno benissimo...»

La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Non devi scusarti sempre, Fiorellino.»

«Scusa...» cominciò Yui, ma poi si mise a ridere insieme all'amica. «Comunque non chiamarmi Fiorellino, sai che non mi piace» disse la ragazza arrossendo appena.

«E tu, allora, non mettere più quelle» rispose Selena indicando i tre spadini rosa a forma di fiore che Yui aveva tra i capelli biondi.

Risero ancora un po', ma dopo qualche minuto tornarono serie.

«Selly, io non voglio trascinare nessuno in questa faccenda» disse la bionda guardando la sua amica negli occhi.

«Neanche io, ma lo hai sentito anche tu quella sottospecie di maggiordomo» rispose Selena incrociando le braccia e riportando la mente a qualche ora prima.

 

«...Ma non da sole.»

«Cosa intendi dire? Sii più chiaro.»

«Due misere donne come voi non bastano ad intrattenerci. Ne vogliamo una a testa.»

«Io e Teddy, però, ce la divideremo, la donnetta che ci spetterà.»

«E dove le troviamo altre quattro donnette?»

«Questo è un problema tuo, Testa Blu. Tuo e di Chichinashi.»

«Ora sparite!»

 

«E se non tornassimo più?» propose Yui con la cannuccia in bocca.

«Sarebbe da vigliacche» rispose Selena sospirando. «E poi devi recuperare l'agenda che Cappio al Collo ti ha rubato.»

 

«Ora posso riavere la mia agenda, per favore?»

«Soltanto quando tornerai da me, Chichinashi!»

 

«Ah, già...» borbottò Yui aggrottando le sopracciglia.

Stettero qualche minuto in silenzio per riflettere; si trovavano in una situazione tragica e, allo stesso tempo, bizzarra, dato che avrebbero dovuto cercare delle vittime da sacrificare a dei vampiri. Ma non era l'unico problema, dato che non sapevano chi scegliere, per non contare del fatto che, loro due, non se la sentivano di mettere in una situazione orribile, a prescindere dal fatto che fossero due brave ragazze. Ma, proprio mentre stavano riflettendo, un'idea venne in mente ad entrambe le ragazze, un'idea folle che si rivelò essere l'unica soluzione.

«Devo fare delle telefonate!» esclamarono in coro.

 

 

***

 

 

Yui e Selena si erano accomodate su una panchina, sotto ad un salice piangente, nel parco del paese: la ragazza dai capelli blu continuava a mordicchiarsi le unghie laccate di smalto rosa, mentre l'altra si torturava una ciocca di capelli continuando a fare treccine. Erano nervose anche perché, se la loro idea fosse fallita o, comunque, si fosse rivelata vana, avrebbero rischiato di rovinare una lunga amicizia e di rimanere incastrate in un mare di guai.

«Hey, ragazze» esclamò una ragazza mentre camminava a passo spedito verso le due amiche. Quella giovane era alta e snella, aveva dei lunghi capelli rosa legati in una treccia e dei profondi occhi color pece, mentre le labbra carnose erano ricoperte di lucidalabbra rosso; portava degli orecchini pendenti a forma di rombo e colorati d'azzurro, facendoli sembrare quasi dei frammenti di diamante pendenti da una catenina.

«Hey, Tara» dissero le due ragazze alzandosi per abbracciare la nuova arrivata. Le tre si salutarono calorosamente, poi si accomodarono nuovamente sulla panchina.

Dopo un po' arrivarono Harumi, che salutava sorridendo con una mano, e un'altra ragazza: era poco più bassa della verde, aveva capelli lunghi fino al fondoschiena rossi scuri, quasi castani, e occhi azzurri. Anche quella ragazza stava sorridendo e salutando, poi si fiondò ad abbracciare Selena mentre Harumi la imitò con Yui. Subito dopo aver salutato anche Tara, le due si accomodarono sulla panchina, facendo segno alla bionda e alla blu di iniziare a parlare.

 

 

***

 

 

«Cosa?!» chiese Tara facendo scomparire del tutto il sorriso solare che, normalmente, padroneggiava il suo viso.

La ragazza dai capelli rossi scuri impallidì ma non parlò, mentre Harumi continuava a battere le palpebre e tentava di dire qualcosa, con evidenti scarsi risultati.

«Allora?» azzardò a chiedere Yui massaggiandosi il collo.

«Ecco cos'erano q-quei due puntini» balbettò Harumi indicando il punto sul collo che la bionda si stava accarezzando.

«Già» si limitò a rispondere Yui abbassando lo sguardo.

«Ma perché proprio noi?» domandò la ragazza dai capelli rosa tenendosi la testa tra le mani.

«Ragazze, siete le persone più altruiste che conosciamo. Non sapevamo a chi chiedere oltre a voi» rispose Selena sospirando.

La ragazza dai capelli rossi scuri si appoggiò allo schienale della panchina, buttò all'indietro la testa e sbuffò mettendosi un braccio sugli occhi. Stettero qualche minuto in silenzio, interrotto solo dalle urla dei bambini che giocavano a rincorrersi o dalle chiacchiere degli anziani seduti all'ombra con i giornali in mano.

«Noi siamo amiche, e le amiche si aiutano tra di loro» commentò Harumi spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Perciò io sono disposta ad andare in quella villa» concluse sorridendo beffarda.

Yui e Selena sorrisero in maniera sincera alla ragazza dai capelli verdi, mentre la ragazza che non aveva mai parlato si rimise seduta compostamente.

«Tu sei d'accordo con me, Kin?» chiese Harumi accarezzandole una spalla.

Kin annuì sorridendo e, d'impulso, abbracciò Yui, che le era seduta di fianco, venendo ricambiata all'istante.

«Se è così» iniziò Tara chiudendo gli occhi «sono disposta a farlo anch'io.» E fece l'occhiolino.

«Grazie» esclamarono in coro Yui e Selena, mentre abbracciavano ancora le loro tre amiche.

«Comunque sia» iniziò Tara ritornando ad avere uno sguardo triste «se loro ne sono in sei, ci serve un'altra ragazza.»

«Hai ragione» disse Yui portandosi il pollice e l'indice al mento, come ad assumere una posa pensierosa.

«Potremmo chiedere a--»

«No, Harumi-san. Sai benissimo che lei è sempre stata terrorizzata dai vampiri» disse Selena senza darle il tempo di concludere la frase.

«Allora--»

«Harumi-san, non provare a mettere in ballo mia sorella» rispose fermamente Selena lanciandole una stilettata.

«Che ne dici di--»

«Ricordi, Harumi-san? In questo momento è a Toronto» disse ancora una volta Selena incrociando le braccia.

«Mi arrendo!» esclamò la ragazza dai capelli verdi alzando gli occhi al cielo.

Stettero ancora una volta in silenzio a pensare ad una possibile ragazza da ingaggiare ma, purtroppo, non conoscevano nessuno in grado di assumersi una responsabilità di quel calibro.

«Ragazze, dobbiamo per forza chiedere a lei» disse Tara interrompendo il silenzio.

Kin approvò in silenzio, mentre Harumi si limitò ad annuire insieme a Selena, entrambe con occhi spenti.

«Ma lei è terrorizzata a causa delle voci di strada» disse Yui abbassando la testa, come se si sentisse colpevole di qualcosa. Forse si era pentita di essere tornata in quella villa, quella mattina presto.

«Lo sappiamo, ma Fumie è a Toronto e non voglio coinvolgere mia sorella» rispose la ragazza dai capelli blu.

Yui sussurrò un d'accordo e poi si alzò in piedi per incamminarsi verso la casa della sua migliore amica, seguita, poi, dalle altre quattro ragazze.

 

 

***

 

 

«Allora? Di cosa volevate parlarmi?» chiese una giovane sedendosi sulla sedia girevole accosta alla scrivania di camera sua. Quella ragazza era alta quanto Yui, aveva capelli castani lisci mediamente lunghi legati in due codini e la frangia, occhi blu come l'oceano e un paio di occhiali da vista spessi e quadrati neri appoggiati sul ponte del naso.

«Be', ecco...» iniziò Yui, ma fu Selena a raccontare tutta la storia alla ragazza.

La mora, ascoltando quelle parole, rabbrividì: le sue amiche le stavano proponendo di accompagnarle in una villa sperduta nelle campagne abitata da sei vampiri e di farsi succhiare il sangue da uno di quegli esseri viscidi. Lei era letteralmente terrorizzata da quegli esseri mitologici, sin da bambina: infatti, ricordava benissimo i lontani tempi della sua infanzia, quando passava notti intere sveglia a causa di quei racconti spaventosi che le raccontava suo fratello prima di andare a dormire; se riusciva ad addormentarsi, le capitava quasi sempre di sognare di avere un incontro ravvicinato con quei mostri.

«Sappiamo che per te è difficile, Miki, ma non sapevamo a chi altri rivolgerci» disse Tara con la testa bassa.

Miki rimase in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto e senza alcuna espressione facciale. «Se non riusciste a trovare nessun altro, cosa accadrebbe?» chiese la mora dopo un minuto di riflessione.

«Non lo sappiamo, ma credo che sarebbe brutto» rispose la ragazza dai capelli blu guardando a terra.

Ci fu altro silenzio, ma poi Miki mostrò un sorriso forzato e chiuse gli occhi. «Allora credo che accetterò. Dopotutto, se rifiutassi accadrebbe qualcosa di terribile, e non mi va che soffriate a causa mia» disse continuando a sorridere.

Kin e Yui, commosse, corsero ad abbracciarla, mentre Selena tirò un sospiro di sollievo e Harumi si mise a ridere per scacciare tutta quella tensione che si era creata.

 

 

***

 

 

«E così, è questa la famosa villa» commentò Tara ammirando lo splendore della costruzione gotica alla luce del tramonto.

«Già» rispose Selena facendo per aprire il cancello d'ingresso.

«Ragazze... Non so voi, ma ho l'adrenalina a mille!» esclamò Harumi appena mise piede nel cortile.

«Abbassa la cresta» sussurrò Kin per poi tossire.

«Io sono ancora in tempo per tornarmene a casa?» chiese Miki mentre si nascondeva dietro Selena.

«Assolutamente no» esclamarono Harumi e Tara sorridendo a trentadue denti.

«Mi fa piacere che la stiate prendendo con molta allegria» commentò Yui con un sorriso timido. «Riuscite a scacciare la paura.»

«Eh, modestamente» rispose Harumi facendo muovere i capelli con uno scatto veloce della testa.

«Sì, però, voi due, vedete di non abbattervi subito, okay?» disse Selena dando un piccolo pugno a Tara.

Toccò a Yui aprire la porta d'ingresso che, come da copione, si aprì con un leggero scricchiolio che fece zittire tutte le ragazze. Le stanze erano parzialmente in penombra, a causa del tramonto, e tutto ciò rendeva gli ambienti ancora più tetri.

«Ehm, fratelli Sakamaki? Siamo tornate...»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Ecco a voi il quarto capitolo appena sfornato! Sì, oltre a Yui, Harumi e Selena, ci sono altre tre ragazze! Ma credo che si fosse capito sin dall’inizio, ne?

Kou: *faccina maliziosa* Wow, sembrano tutte molto carine, da come le hai descritte…

Sì, ma non montarti la testa, assistente -.-‘

Kou: Una per me non c’è? ToT

Nope *ghigna malvagiamente*

Ayato: Ma quella Harumi non chiude mai quella boccaccia?!

*Channy salta addosso ad Ayato* AYATO-KUUUUUNN--

Ayato: *cade a terra con l’autrice* Mi fa piacere avere un sacco di fans che venderebbero un loro parente solo per potermi abbracciare, MA DIAMINE, VACCI PIANO!

Scusami, Ayato-kun *occhi a forma di cuore*

Laito: Come sei fortunato, Ayato-kun!

Tranquillo, Laito-kun, ce n’è anche per te *^* *Channy abbraccia Laito e lui ghigna*

Laito: Senti, Channy, ti andrebbe di fare una passeggiata con me?

No, questo no *Laito cade in depressione*

Reiji: Comunque hai esagerato, come tuo solito. Io non sono così benevolo.

Stai zitto, Reiji-san.

Reiji: Ma Selena mi ha chiamato “sottospecie di maggiordomo”!

Selena ha ragione, quindi taci e bevi il tè u.u *Reiji va via con la coda tra le gambe e parte la risata malata di Kanato*

Kanato: Io non ho la risata malata.

*Channy suda freddo* Ehm, Kanato-kun, lo sai che sei troppo kawaii? *Kanato arrossisce e inizia a borbottare con Teddy* Bene, ragazzi, direi che posso concludere qui! Quindi fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo con una recensione piccina picciò! Io, intanto, cercherò di sopravvivere in mezzo a questi vampirucci…

Kou & Ayato: Ma se hai detto che ci adori?!

Zitti.

-Channy

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Capitolo 5
*** Choises ***


-CHOICES.

 

 

Dei passi felpati riecheggiarono nella sala e, dalla penombra, le ragazze intravidero la figura di un ragazzo con un cappello elegante in testa andare verso di loro. «Che bella notizia!» disse accarezzandosi il copricapo lentamente.

«Sì, proprio bella...» commentò Harumi a bassa voce.

«Pensavo non sareste tornate mai più» disse Shuu sdraiandosi sul divanetto dove era stata aggredita Yui.

«Noi siamo persone sincere e manteniamo le promesse!» rispose Selena incrociando le braccia al petto.

«E questo vi fa onore, Testa Blu.»

Le quattro nuove arrivate sussultarono di paura, Yui si limitò a coprirsi gli occhi con le mani mentre Selena si stava per scagliare contro il vampiro dai capelli rossi, ma fu bloccata in tempo da Subaru, apparso alle sue spalle. «Attenta alle mosse che fai» l'ammonì con sguardo freddo.

Arrivò anche il secondogenito. «Perdonatemi per il ritardo, sono mortificato» disse guardando le ragazze con occhi seri.

«Sento odore di...» iniziò Kanato mentre camminava lentamente verso le vittime.

«Di?»

«Di cioccolato» concluse il lilla annusando le ragazze.

Le annusò intensamente, una ad una, mentre sui volti delle fanciulle si dipingeva la paura e il disgusto. Kanato avrebbe continuato ad annusarle per tutta la notte, chiedendo anche il parere di Teddy ma, Reiji lo interruppe, invitandolo a sedersi sul divano e a lasciare libere le loro ospiti. «Alle nuove arrivate» si rivolse poi il giovane con gli occhiali «Vi do il benvenuto nella nostra residenza. Sapete già cosa ci fate qui, o sbaglio?»

«Lo sappiamo benissimo» borbottò Tara, storcendo il naso. Evitò di aggiungere un purtroppo, mordendosi la lingua.

«Perfetto» annuì Reiji.

Il ragazzo stava per continuare con le spiegazioni dettagliate, ma venne interrotto da una di loro: aveva l'espressione arrabbiata, forse sarebbe dovuta risultare minacciosa. «Ascoltami bene» disse Harumi facendo qualche passo avanti. «Non ci interessa il tuo infinito monologo, quindi taci e, voi altri, abbiate la decenza di presentarvi» concluse volgendo lo sguardo verso un Ayato seduto in maniera scomposta su una poltrona, Kanato rannicchiato in un angolo di un divano con il suo orsacchiotto in braccio, con vicino Laito, quasi sdraiato, Subaru seduto sulle scale che portavano al soppalco e Shuu, mezzo addormentato in fondo alla sala.

«Ohi, Testa Verde, porta rispetto ad Ore-sama!» esclamò Ayato guardandola male.

«Come mi hai chiamata?!» urlò Harumi agitandosi sul posto.

«Calmati, Harumi-san» disse Yui prendendola per le spalle.

Harumi borbottò qualcosa di incomprensibile e, nello stesso momento in cui sbuffò distogliendo lo sguardo dai Sakamaki, Shuu rise lievemente, per poi smettere dopo pochi attimi. Selena presentò i fratelli uno ad uno alle ragazze, poi invitò le sue amiche a fare lo stesso e loro, con poca convinzione, decisero di mettere da parte la paura per mostrarsi com'erano per davvero.

«Io mi chiamo Yamada Harumi e ho ventitre anni» disse la ragazza dai capelli verdi, continuando a tenere la posa offesa.

«Io sono Shimizu Tara. Ho diciotto anni» continuò la rosa facendo un breve inchino.

«Mi chiamo Asano Miki e ho diciotto anni» disse la ragazza con gli occhiali nascosta dietro Selena con voce bassa.

«Maeda Kin, diciannove anni» concluse la ragazza dai capelli rossicci con voce impercettibile, per poi fare un leggero gargarismo.

Ci furono dei secondi silenziosi, interrotti solo dal ticchettio dell'orologio a pendolo della sala: erano solo le 21:37. La tensione era alta e nessuno riusciva a spezzarla: forse, nessuno voleva dire qualcosa di sbagliato o inopportuno, oppure tutti volevano solamente godersi il silenzio che, probabilmente, non sarebbe più tornato in quella villa enorme e buia.

Ad un certo punto, dopo minuti che erano parsi anni, Kanato si ridestò da quello che era sembrato uno stato di trance: mise la schiena dritta e guardò, con i suoi occhi resi grandi dalle palpebre spalancate, una ragazza in particolare, per poi indicarla con il suo dito indice. «Reiji-san, ho deciso» disse con voce ferma. «Io e Teddy vogliamo lei.» Le ragazze e Reiji seguirono la traiettoria del dito del ragazzo dai capelli violetti: stava indicando...

«Me?» chiese titubante Miki portandosi un indice al petto, auto-indicandosi.

«Sì» rispose Kanato alzandosi da divano e andando verso di lei. «Tu odori di cioccolato. Io adoro il cioccolato.» Il vampiro con Teddy tra le braccia si avvicinò velocemente a lei e le prese un polso, trascinandola contro di sé; poi si voltò in direzione dei suoi fratelli, guardandoli con un'espressione indecifrabile. «Ora lei è mia» annunciò, per poi piegare le labbra in un ghigno. «Toccatela e vi fracasso i canini.»

Miki arrossì e, abbassando la testa, chiuse gli occhi con forza, tentando di restare impassibile, in qualche modo. Ma non ci riusciva, dato che il ragazzo-vampiro la stava trascinando lungo un corridoio buio.

«Che bambino viziato» commentò Reiji incrociando elegantemente le braccia. «Non ha neanche annunciato il suo congedo.»

Successivamente, con un balzo veloce, Ayato si alzò dalla poltrona e, con un sorriso sghembo si avvicinò a Yui. «Ovviamente, Chichinashi sarà di Ore-sama. Perciò non vi azzardate a toccarla senza il mio permesso» avvertì il rosso, per poi scomparire insieme alla bionda, che lo guardava con il labbro inferiore tremante.

«Io vorrei la fanciulla con i capelli rosa» esclamò Laito apparendo alle spalle di Tara, che lanciò un urletto di sorpresa mista alla paura. «Mi piaci proprio, tesoro!» cinguettò lui con le goti leggermente arrossate e un sorrisetto malizioso in viso. La ragazza rispose allo sguardo con una smorfia disgustata.

«Auguri» sussurrò Selena, accennando un sorriso divertito mentre Tara, che si stava allontanando con il vampiro col cappello, le lanciava una stilettata.

Poi fu il turno di Shuu che, lentamente e sbadigliando, si alzò dal divanetto. «Quella con i capelli verdi» disse piano e volgendo i suoi occhi color cielo ad Harumi, che sussultò leggermente.

«Okay, Mister Allegria!» esclamò lei per scacciare la tensione. La ragazza si avvicinò al vampiro dai capelli color miele e fu lei a trascinarlo via lamentandosi, però, del suo peso e ricordandogli il proprio nome.

«Tu quale vuoi?» chiese Reiji a Subaru che, intanto, si era alzato dagli scalini e aveva raggiunto il fratello maggiore.

«Ma che ne so, sono uguali!» disse il ragazzo dai capelli bianchi.

«Allora, se permetti, scelgo io» propose Reiji.

Selena si accostò a Kin per sussurrarle un: «Mi sento un oggetto al mercatino dell'usato.»

Reiji, avendola sentita, la fissò negli occhi, accennando un ghigno. «Mi avvalgo del diritto di scegliere te, a questo punto, dato che sembri quella con più materia grigia. Sarà dilettevole dialogare con te» disse il vampiro con gli occhiali portandosi le dita al mento. «E poi, bisogna tenere in considerazione che hai l'aroma di vaniglia... Direi che è ottima nel tè.»

«Hai intenzione di sciogliermi in una teiera?» chiese sarcasticamente Selena.

Sul viso di Reiji comparve un sorriso sadico dannatamente inquietante. «Idea brillante, Milady.»

La ragazza dai capelli blu deglutì rumorosamente; perché non teneva mai chiusa la bocca?

«Ora, per cortesia, sii educata e seguimi» concluse Reiji incamminandosi verso un'altra stanza. Il ticchettio leggero dei tacchi di Selena gli fece intuire che la ragazza lo stava seguendo, o meglio, lo stava inseguendo, dato che la camminata del vampiro era molto veloce per un comune umano, perciò Selly gli stava letteralmente correndo dietro.

Nel salone rimasero solamente Subaru e Kin: il primo aveva gli occhi furiosi mentre, quelli dell'altra, erano timidi e impauriti. Il vampiro dalla chioma bianca non sapeva che fare; se quella era la sua vittima ufficiale, non avrebbe potuto ucciderla o, almeno, non subito. Doveva trovare il modo di sfruttare la sua utilità al migliore dei modi, ma come?

«Taci e seguimi.»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Ah, che bello aver finito di scrivere il quinto capitolo! Mi sento come se mi fossi appena…

Kou: Messa nei guai?

No. Dicevo che mi sento come…

Ayato: Un takoyaki?

Certo che no! I—

Kanato: Hai voglia di un dolcetto, Teddy?

Perché oggi mi interrompono tutti?! Comunqueee… Quei sei vampiretti da quattro sold— *Subaru le punta contro il pugnale* … Quei sei vampiretti SICURAMENTE NON da quattro soldi *Subaru molla il pugnale* hanno scelto le loro prede… E siamo a conoscenza di due “sapori”, gentaglia! Se non avete capito quali sapori e chi li ha, assistente, ci pensi tu?

Kou: Certamente, Neko-chan! Allora, in pratica--

Reiji: Wada Selena ha il sapore e l’odore di vaniglia, mentre Asano Miki di cioccolato.

*Channy prende il mattarello* Reiji-san, ascoltami… *arriva un ospite inatteso*

Light_Girl: *prende la padella* Reiji, vuoi sapere quanto fa male questa padella?

Reiji: Non mi fai paura, umana. Io sono un vampiro di tutto rispetto e—

Light_Girl: *lo colpisce in testa* Ti ho fatto male, Reiji?

*Reiji annuisce* *Kanato ride* Ragazzi… Come posso dirlo senza offendere nessuno… Uhm… *riflessione time* FUORI DAL MIO ANGOLETTO. *tutti vanno in Indonesia (?)* Oh, bene … Un po’ di tranquillità ^^ Se questo chappy vi è piaciuto o meno fatemelo sapere con una recensione, e noi ci vediamo prestissimissimo!

-Channy

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Capitolo 6
*** Good Approach? (1/2) ***


-GOOD APPROACH (1/2).

 

 

«E questa, Milady, è la mia stanza. Ti sarei grato se non ci entrassi senza il mio permesso» disse Reiji mostrandole una porta enorme laccata di nero, di legno pregiato e decorato da motivi dal tratto semplice incastrati tra loro, donando l’aspetto di un uscio regale.

Selena si fermò ad ammirare quella porta e, attratta da quella meraviglia, alzò una mano per sfiorare il solco si una figura indefinita, un misto tra un pentagono e una macchia informe e indelebile. Sotto i suoi polpastrelli, il legno era ruvido, nonostante sembrasse liscio all’apparenza. «Certo che non vi fate mancare proprio niente» commentò la ragazza guardando le rifiniture in oro sullo stipite della porta.

«Certamente» rispose lui scostandole la mano che stava esaminando l’uscio. «Il nostro cognome non ti ricorda nulla?»

Selena si bloccò sul posto e il suo sguardo si perse nel vuoto, come se stesse riflettendo. Sì, il cognome di Reiji le ricordava qualcosa, qualcosa di importante, ma cosa esattamente? Forse Sakamaki era stato un conquistatore di epoche lontane, o forse un regista di film dell’orrore che navigava nell’oro. Poteva anche essere un criminale ricercato in tutto il mondo, chissà.

«Non ci arrivi proprio?» le chiese Reiji roteando gli occhi. «Allora prima mi ero sbagliato riguardo il tuo livello d’intelligenza.»

Selly alzò la testa di scatto, puntò i suoi occhi viola in quelli scarlatti del vampiro e aggrottò le sopracciglia. «Non ti sei sbagliato affatto, invece. So benissimo chi è vostro padre» affermò lei incrociando le braccia.

«Allora prego, esponi la tua teoria» disse il vampiro mostrandole un ghigno, come per sfidarla.

«Vostro padre si chiama Tougo Sakamaki ed è un influente politico giapponese che, attualmente, risiede a Tokyo» spiegò la ragazza alzando un sopracciglio. «È davvero ricco e famoso, dato che appare in quasi tutti i programmi televisivi politici. Senza contare gli articoli di giornale.»

«Brillante spiegazione» commentò Reiji estraendo un piccolo panno nero dalla tasca interna della sua giacca elegante e iniziando a pulire le lenti dei suoi occhiali argentati.

«Grazie» rispose Selena sorridendo, soddisfatta.

Lui continuò a pulire i suoi occhiali per un minuto circa, un minuto in cui regnò il mutismo.

«Li stai consumando» disse la ragazza dai capelli blu indicando le lenti del vampiro.

«Silenzio» ordinò lui fulminandola con lo sguardo.

Selena si ammutolì e puntò gli occhi a terra, iniziando ad esaminare il pregiato tappeto rosso che ricopriva tutti i corridoi del secondo piano. Se in un primo momento era felice perché non l’avevano scelta né quel maleducato di Cappio al Collo né il pervertito con il cappello, in quegli attimi realizzò che anche il maggiordomo le avrebbe reso quell’esperienza ancora più difficile.

 

 

***

 

 

“Ma quanto ancora dobbiamo camminare?!”, pensò Kin con rabbia. Ormai stava seguendo quel vampiro dai capelli bianchi da più di un quarto d’ora e stava iniziando a stufarsi. Quella villa era enorme e buia e, come se non bastasse, il suo padrone non le stava neanche facendo da guida, no; se ne stava zitto, camminandole davanti e le mani ben salde in un pugno e le braccia rigide che oscillavano impercettibilmente ad ogni suo passo. Kin voleva chiedergli dove la stava portando, ma non poteva; le sue corde vocali facevano molti capricci quel giorno. Si era sforzata troppo a parlare?

La ragazza si sfiorò la gola con una mano, come a volerne accarezzare l’interno. Cambiò improvvisamente umore: da furiosa divenne nostalgica. Ricordò i bei vecchi tempi, quando poteva parlare per ore ed ore senza doversi preoccupare di nulla, quando poteva cantare con la sua voce da usignolo davanti ai ragazzi carini della sua vecchia scuola. Era felice a quei tempi. Poi, nel giro di poche ore, la sua vita cambiò radicalmente: quelli che amavano parlare con lei si allontanarono man mano e il ragazzo che tanto le piaceva non si fece più vedere e lei tornò ad essere sola. Scosse velocemente la testa per rimuovere quei brutti pensieri e il vampiro se ne accorse.

«Vedi di star calma. Ci siamo quasi» la ammonì Subaru voltandosi appena per riuscire a guardarla con la coda dell’occhio.

Kin, non potendo dire d’accordo o un okay, si limitò ad annuire impercettibilmente. Camminarono in silenzio per qualche altro minuto e, ad un certo punto, Subaru si fermò di colpo davanti ad una porta; a causa di quell’azione repentina e impercettibile, la ragazza rischiò di urtarlo, o meglio, cadere rovinosamente addosso a lui e creare una situazione imbarazzante e fraintendibile quanto pericolosa, ma riuscì a fermarsi in tempo e a tirare un respiro di sollievo. Subaru, guardandola male per qualche secondo, aprì la porta ed entrò. O meglio, uscì. Infatti, subito dopo aver varcato quella soglia, Kin spalancò gli occhi per la meraviglia che si distendeva per metri e metri davanti a sé. Fiori di tutti i tipi e di tutti i colori ricoprivano quel giardino così immenso e un’enorme quantità di piante, dalle più comuni a quelle esotiche, faceva da recinto per quel retro della villa.

«Questo è il mio giardino» disse Subaru osservando, soddisfatto, l’espressione incantata della ragazza.

«Wow» riuscì a mormorare la rossa con la bocca leggermente aperta.

 

 

***

 

 

Era completamente inutile dire che si trovava a disagio con quegli occhi verdi puntati addosso, che osservavano ogni suo minimo movimento; si sentiva molestata mentalmente.

«Cos’hai, tesoro?» le domandò lui parandosi davanti alla ragazza.

«Potresti non chiamarmi tesoro?» chiese tentando di restare calma.

«Caramellina?»

«No.»

«Dai, è un bel soprannome!» esclamò Laito sorridendo maliziosamente.

«Non vedo perché dovresti assegnarmi per forza un soprannome» disse Tara. «Chiamami per nome, come fanno tutti.»

Laito si sedette sul suo letto con un balzo senza toglierle gli occhi di dosso. «Ma è proprio per questo che devo darti un soprannome! Ti chiamano tutti allo stesso nome, ma io sono speciale, quindi--»

«Fermo un attimo» lo bloccò la ragazza scuotendo velocemente le mani davanti al viso. «Tu saresti speciale

Il vampiro emise un risolino chiudendo per un attimo gli occhi. «Sì. Sono il tuo partner o sbaglio?» chiese senza togliersi quell’espressione maliziosa dal viso.

Tara arrossì visibilmente nell’udire quelle parole. Insomma, era strano sentirsele dire in maniera così dannatamente naturale, specialmente per lei che, quando si parlava di amore, andava in tilt: era un argomento molto delicato, l’amore, fragile ma con una potenza spettacolare. La ragazza dai capelli rosa abbassò la testa e iniziò a dondolarsi sui talloni, riflettendo su cosa sarebbe stato opportuno dire a quel vampiro che se ne stava seduto sul suo comodo materasso ad aspettare una sua risposta. «Non esattamente» farfugliò.

«Io credo che sia esatto, invece» rispose lui senza esitare neanche un attimo. Poi cambiò argomento, sdraiandosi sul suo imponente letto. «Che ne dici di raggiungermi?» propose con un ghigno perverso in viso mentre si metteva su un fianco e appoggiando la testa sul palmo della mano.

«Neanche per sogno!» esclamò la ragazza arrossendo ancora ma, questa volta, più intensamente.

«E cosa facciamo, allora?» chiese Laito ritornando seduto.

“Bella domanda”, si disse mentalmente la rosa, iniziando a riflettere sui possibili passatempi da fare con il vampiro senza il fine di farsi succhiare il sangue o fare cose sconce. Poi s’illuminò, perché le era venuta in mente un’idea banale ma che, probabilmente, le avrebbe risparmiato un morso almeno per quella volta. «Che ne dici di chiacchierare un po’?» propose con un sorriso.

Il vampiro, di tutta risposta, rimase di stucco: lui si aspettava proposte allettanti come “fare un pisolino insieme” ma, dopotutto, che male c’era nello scambiare qualche parola? Non poteva parlare con qualcuno da anni, quindi sorrise di rimando. «Come vuoi tu, Princess-chan

E, a sentire quel soprannome, stranamente, Tara sorrise.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Mi stupisco di essere riuscita a scrivere questo capitolo in un giorno con la musica a tutto volume O.O

Ayato: Effettivamente, come cavolo hai fatto?!

Ti sto dicendo che non lo so! Cooomunque il capitolo, in principio, doveva racchiudere i mini-moments di tutte e sei le coppiette, ma poi mi sono resa conto che sarebbe venuto troppo lungo, quindi sì, ho diviso ^^

Laito: Mi spieghi come ha fatto Princess-chan a resistere al mio infinito fascino da latin lover?

Subito, Laito-kun: forse non te l’ha ancora detto nessuno ma, quello che tu credi sia fare il latin lover, in realtà è fare il pervertito.

Laito: EH?! Ma quando mai…

Ayato: *fa pat-pat sulla spalla di Laito* Ha ragione lo stecchino occhialuto, fratello.

Esatt— Come mi hai chiamata?! Okay, lasciamo perdere… Siete incorreggibili! *parte la sigla de “Gli Incorreggibili”* UFFA! Va be’, se il chappy vi è piaciuto o meno fatemelo sapere con una recensione, anche piccola! E, già che ci sono, ringrazio Giuly e la Ragazza Luce per aver recensito fino ad ora e chi ha messo questa long tra le seguite ^^

-Channy

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Capitolo 7
*** Good Approach? (2/2) ***


-GOOD APPROACH (2/2).

 

 

Harumi non sapeva se approfittare della situazione per scappare o per cercare qualcosa di pesante da dare in testa a quel vampiro per destarlo dal mondo dei sogni. Shuu le aveva detto di portarlo – o meglio, trascinarlo - nella stanza dove si trovava il tavolo da biliardo e il bersaglio per le freccette e lei aveva ubbidito senza protestare, cosa abbastanza rara per una ragazza dal carattere come il suo. E lui, cosa aveva fatto? Si era sdraiato sul divanetto della sala e, in un minuto circa, si era addormentato profondamente.

“Credevo che i vampiri dormissero di giorno, invece…”

«Hey, ma vuoi svegliarti?!» disse la ragazza con un nervo che le pulsava in fronte.

Il vampiro sbadigliò e si mise su un fianco, facendole intendere che non aveva alcuna intenzione di metter fine al suo ronfare. La verde sospirò, esasperata, e si mise a sedere a terra, di fianco al divanetto; avrebbe dovuto starsene ferma e buona per tutto il tempo e sentire russare il biondo che le stava di fianco? Harumi semplicemente odiava starsene ferma senza far niente. Aveva passato l’infanzia ad essere servita e riverita, cosa che le aveva fatto molto piacere all’epoca; da brava figlia minore veniva viziata in ogni modo dai genitori e dal fratellone, al quale era molto affezionata. Le piaceva vederlo giocare a calcio con i suoi amici, le piaceva quando faceva il tifo per lui con i pon-pon, le piaceva quando, a fine partita, correva verso di lei e la prendeva in braccio come un trofeo, facendola volare e ridere. Se solo fosse stata brava nell’atletica, forse sarebbe riuscita ad evitare quello

Si passò una mano sugli occhi per rimuovere quelle brutte immagini dalla mente, poi si appoggiò al sofà, le braccia incrociate a sorreggere la testa, scivolando lentamente nel mondo dei sogni.

Shuu, essendo stato sempre sveglio e non sentendo più rumori sospetti, si alzò lentamente col busto e aprì gli occhi per controllare cosa stesse combinando quella con i capelli verdi – non aveva compreso bene il nome della ragazza dato che, quando si era presentata, era mezzo addormentato. Era rimasto con le labbra schiuse per lo stupore nel trovarla a dormire beatamente poco distante da lui. Tornò a sdraiarsi nuovamente, giungendo alla conclusione che, almeno per quella notte, non l’avrebbe morsa.

 

 

***

 

 

“È decisamente inquietante…” pensò Miki, travolta dalla pelle d’oca.

Kanato – era così che si chiamava? – stava camminando lentamente nel corridoio illuminato da qualche abat-jour ignorandola completamente; piuttosto che rompere il ghiaccio con lei, quel vampiro dalle profonde occhiaie viola aveva preferito - e stava preferendo - dialogare con quell’enorme pupazzo che aveva tra le braccia. Di tanto in tanto, si girava per sbirciare il viso della giovane, ma si voltava subito di scatto ridacchiando e borbottando qualcosa di incomprensibile al suo adorato Teddy. L’ansia della ragazza cresceva di passo in passo; quel tipo sembrava simpatico, amichevole e carino, ma Miki non si fidava per niente.

«Ne, Kanato-san» iniziò, titubante. «Dove mi stai portando?»

Lui smise di parlottare col suo amico di peluche, ma continuò a camminare adagio. «Stiamo andando in camera mia. Mia e di Teddy» precisò rivolgendo uno sguardo amorevole al compagno di stoffa. «Ah. Con me usa il kun» continuò dopo un momento di silenzio.

Lei disse un okay, poi si ammutolì ancora. Persa nei suoi pensieri, stava continuando a camminare nel corridoio nonostante il vampiro non fosse più davanti a lei; infatti, Kanato si era fermato tre metri più indietro, di fronte ad una porta color quercia. Miki si affrettò ad avvicinarsi a lui che, intanto, aveva aperto la porta e fatto il suo ingresso nella camera.

La fanciulla aveva semplicemente spalancato gli occhi e sfilato gli occhiali, dandogli una spolverata veloce e inforcandoli nuovamente, per controllare se ci vedesse bene; i tre quarti della camera del vampiro erano ricoperti di peluche, bambole di porcellana e pupazzi di semplice pezza. Erano tutti così macabri, con quegli occhi di vetro persi nel vuoto e i loro sorrisi distorti. Le ritornò in mente quella bambola che tanto aveva adorato, quando era piccola: era poco più alta di un foglio di carta bianca – uno di quelli che formavano mucchi enormi sulla vecchia scrivania di suo padre, pieni di timbri e scritte “da grandi” -, con la pelle rosa pallido, lunghi boccoli biondi, occhi color petrolio e labbra color pesca. Miki adorava stare in compagnia della sua amica più confidente dell’epoca: ricordava ancora i vestitini a quadri color pastello e le piccole giacche in merletto che le cuciva appositamente la nonna con tanta pazienza. Tuttavia, la sua cara Vixyl era andata perduta per sempre. Miki ricordava solo di essere andata al parco con la sua bambola ed essersi seduta su una panchina, per poi correre verso un uccellino ferito ad un’ala, che era caduto dal ramo di un albero vicino; quando fece ritorno alla panchina con il piccolo volatile tra le manine, la bambola dai lunghi boccoli color grano era sparita nel nulla.

La voce di Kanato la riportò alla realtà; dopo essersi guardata attorno, si accorse di essere seduta sul letto del vampiro che, a sua volta, era seduto di fianco a lei, sulla morbida coperta di velluto viola. «Loro sono tutti i miei amici» disse lui guardandoli uno ad uno, come a voler controllare se ci fossero tutti. «Non sono carini?»

«Sì, davvero carini» si ritrovò a rispondere lei automaticamente. E, mentre il vampiro ripeteva a memoria i nomi di ogni singolo peluche, la ragazza si ritrovò a pensare che Kanato non le avrebbe riservato nulla di buono.

 

 

***

 

 

«Ancora non capisco» disse Yui inclinando la testa di lato.

Ayato sospirò passandosi una mano tra i capelli, segno che si stava innervosendo. L’aveva portata in cucina e l’aveva spinta davanti al piano di lavoro – grande quasi quanto una cucina normale – e le aveva imposto di cucinargli qualcosa. «Ti avviso che se non sarai in grado di soddisfare le richieste di Ore-sama sarai sostituita all’istante» disse il vampiro incrociando le braccia al petto. «E non ti ridarò mai più il tuo adorato libricino!» aggiunse, sventolandole l’oggetto tanto desiderato davanti al viso.

La ragazza non provò nemmeno a muovere velocemente il braccio per afferrare la sua agenda, sapendo che sarebbe stato inutile e avrebbe rischiato di far arrabbiare seriamente il suo presunto padrone.

«Sai cucinare, sì o no?» le chiese per un’ultima volta.

«Sì, abbastanza» rispose la bionda spostandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.

«Allora cucinami i takoyaki» ordinò lui sedendosi a tavola.

La ragazza osservò per bene la cucina: era enorme. L’immenso bancone da lavoro era in marmo bianco che creava un perfetto contrasto con i fornelli, la colonna forno, il frigo e la dispensa neri lucidi. Con movimenti timidi e impacciati, Yui recuperò tutti gli ingredienti e, dopo aver legato i morbidi capelli biondi in una fresca cosa di cavallo, iniziò a tagliare l’erba cipollina e a preparare l’impasto. Di tanto in tanto, la giovane si voltava in direzione del vampiro, chiedendosi cose stesse facendo e, ad ogni occhiata, la risposta era sempre la stessa; Ayato era seduto al solito posto, giocherellando con il taccuino della ragazza e continuando a chiederle se avesse finito.

Al nono Hai finito, Chichinashi?!, Yui poté risponde con un assenso accompagnato da un piccolo sorriso. Davanti al vampiro fu posato un vassoio pieno di polpettine fumanti e dall’aspetto invitante, sul quale Ayato si catapultò, affamato ed entusiasta. Prese una polpettina con uno stuzzicadenti e, dopo aver soffiato un po’, la assaggiò, masticando lentamente e ingoiando il boccone ad occhi chiusi. Restò in silenzio e immobile per circa un minuto, durante il quale la ragazza si torturò l’unghia del pollice, visibilmente ansiosa. Poi, il vampiro dai capelli rossi riaprì gli occhi e ghignò, guardando la bionda negli occhi. «Ti sei meritata un complimento, Chichinashi» esordì, mettendo in bocca un nuovo takoyaki. «Sii onorata di essere la mia ragazza.»

Yui arrossì e balbettò: «La tua ragazza

A quel punto, arrossì anche Ayato, anche se più lievemente. «Baka! Mica in quel senso… Nel senso di preda, ovviamente» disse fieramente, anche per auto-convincersi della veridicità di quanto detto. “Anche se…”

Yui decise di mettere da parte quel discorso – possibilmente a cinque metri sottoterra – prendendo il tanto ambito taccuino e mettendolo nella sua borsetta a tracolla e ringraziando il vampiro per il complimento riguardante i suoi ottimi takoyaki. Fece per mangiarne uno anche lei, ma Ayato li aveva già ingurgitati tutti senza che lei se ne accorgesse. La fanciulla fece per protestare, ma fu interrotta dal suono dell’enorme orologio a pendolo dell’entrata che rintoccò la mezzanotte, diffondendo un rumore profondo e ritmato per tutta la magione.

Yui si guardò intorno, leggermente disorientata; neanche il tempo di chiedere ad Ayato – che, intanto, si era messo a dondolare sulla sedia – il perché di tutto quel rumore per segnalare la mezzanotte, che Selena, seguita da una Tara che continuava a tirare sospiri di sollievo, irruppe nella sala, spalancando la porta con un gesto repentino.

«Fiorellino, possiamo andarcene» esclamò Selena guardando Yui togliersi il grembiule che aveva indossato prima di cucinare.

«Reiji-san… Ha detto che a mezzanotte possiamo levare le tende…» disse la rosa piegata sulle ginocchia, intenta a riprendere fiato.

«Okay» disse Yui avvicinandoci alle due amiche.

La ragazza dai capelli blu la prese per un polso per trascinarla mentre Tara si lamentava, dicendo che era stanca di correre dappertutto. Per trovare la bionda, infatti, le due avevano fatto una corsa veloce per tutta la villa, dato che era troppo grande per trovare qualcuno in poco tempo.

Il vampiro, smettendo di dondolarsi, fece per protestare ma gli fu impossibile, dato che le tre erano già corse chissà dove; dopotutto, quella villa era enorme anche per Sommo Lui! Giurò di aver sentito un Buonanotte, Ayato-kun detto da una voce timida e dolce allo stesso tempo. Ayato sbuffò sonoramente, rendendosi conto che quella sciocca umana stava avendo un po' troppa influenza su di lui, con la sua troppa gentilezza. Si disse che avrebbe dovuto ricordarsi di fare una chiacchierata con il fratello maggiore: insomma, lui era il Grande Ayato, doveva essere lui a decidere quando lasciar andare Yui!

“No, no! Cibo, non Yui!”

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Ci ho messo un secolo e tre ottavi (?) per scrivere questo capitolo, però ci sono.

Kou: Ne, Neko-chan, su col morale!

Zitto, che non sai cosa significa essere un fanwriter!

Kou: Non fare la melodrammatica, ora -.-‘

Okay -.-‘ Alluuura, in questo chappy si scopre che le ragazze sono imparentate con Cenerentola, che Kanato non deve assolutamente andare in un asilo, che Ayato ha preso il posto di Carlo Cracco e (cosa seria, attenzione) Harumi nasconde qualcosa… Che sarà mai? *stacchetto drammatico* Non fucilatemi per aver fatto un moment di Shuu così corto ma, andiamo, cosa avrei dovuto scrivere? Shuu (alias Armadio) non fa NULLA. Per non parlare del nome della bambola di Miki, “Vixyl”. Dato che la sottoscritta (n.d. Ayato: NON IMITARE IL MIO MODO DI PARLARE!) è troppo pigra per inventarsi un nome decente, ha scritto tutto l’alfabeto su un foglio di carta, ha chiuso gli occhi e ha cerchiato lettere a caso. Ecco come è nata Vixyl. *applausi* Poi, cosa abbiamo? … ASSISTENTE, COSA ABBIAMO SUL COPIONE?!

Kou: Ehm… La chiusura dell’Angoletto?

Ah, giusto ^^ Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo con una recensione, tutte ben accette. Io chiudo bottega, e noi ci aggiorniamo prossimamente!

-Channy

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Capitolo 8
*** Thief ***


-THIEF.

 

 

Si passò le dita sul setto nasale, soffermandosi in particolare sul ponte del naso, massaggiandolo lentamente. Sin da quando erano piccoli, era toccato a lui assumersi ogni responsabilità dei suoi inutili fratelli, nonostante non fosse il maggiore: certamente, perché il maggiore deve essere viziato, mentre il lavoro e le fatiche toccano all’indesiderato secondogenito. Il suo profondo odio per Shuu era maturato giorno dopo giorno, fino alla svolta. In quel momento, però, non doveva assolutamente perdersi nei ricordi. Si sistemò meglio nella sua comoda poltrona grigia e accavallò le gambe, volgendo al fratello minore uno sguardo duro e rimproveratorio. «Ayato. Smettila di agitarti e comportati civilmente, per cortesia.»

Il minore grugnì incrociando le braccia e smise di camminare avanti e indietro per lo spazioso salone. «Sono arrabbiato per colpa tua, quindi non dirmi cosa devo fare!» urlò il rosso battendo un piede a terra.

«Ayato, calmati» ripeté Reiji, iniziando ad innervosirsi a sua volta.

«No!» urlò ancora l’altro «Avresti dovuto chiedere il mio parere! Lo sai benissimo che sono il prossimo grande Capo dei Vampiri, quindi ho tutto il diritto di--»

«Per ora sei un gran niente, quindi fammi il favore di calmarti» lo interruppe il vampiro occhialuto con tono di voce inflessibile.

Ayato, incredibilmente, si zittì, ma la sua rabbia non si placò né attenuò; il vampiro dalla cravatta annodata male si limitò a bloccarsi sul posto e a fissare negli occhi il fratellastro.

«Se dovessero rimanere qui fino a tarda notte, durerebbero ben poco a causa della loro natura debole» disse Reiji picchiettando le dita su un bracciolo della poltrona.

Ayato roteò gli occhi smeraldini e sbuffò: gli umani e suo fratello erano così noiosi…

«Piuttosto» continuò il vampiro con gli occhiali «Vorrei dare un’occhiata all’agenda di Komori.»

«Gliel’ho restituita.»

«È stata una brillante idea quella di rubar-, come hai detto?»

«Ho ridato a Chichinashi la sua stupidissima agenda.»

Era sull’orlo di una crisi di nervi. Il secondogenito Sakamaki tentò di restare calmo con tutte le sue forze; fece dei respiri profondi, si massaggiò le tempie, serrò gli occhi e contò nella sua testa, ma non funzionò nulla di ciò. Batté con forza una mano sul tavolino elegante di fianco alla poltrona, ma il mobile non si ruppe né diede segni di cedimento, dimostrando l’incredibile abilità del vampiro – aveva dosato bene la forza, battendo un pugno abbastanza forte da provocare un rumore sordo ma da non far rompere il piccolo mobile. «Ayato. Non hai pensato che sarebbe stato un buon oggetto di ricatto?!» tuonò Reiji mentre un nervo iniziava a pulsare velocemente sulla sua fronte.

«Ricatto?!» rispose il rosso «Ma se tu hai detto--»

«Ayato ha restituito l’agenda a Komori?» chiese retoricamente Shuu, apparso sul solito divanetto nella solita posizione. «Che deficiente.»

«Deficiente a chi, Armadio?!» urlò Ayato prendendo il primogenito per il colletto della camicia.

«Tieni giù le mani» ordinò il biondo mostrando i suoi occhi color cielo.

Il rosso tentennò, ma decise di non fare storie, lasciando andare il fratello maggiore. Tuttavia, fece per continuare la sua predica ai danni di Reiji. Ayato non riusciva a fare a meno di litigare con i suoi fratelli, giornalmente; lo faceva stare bene, farlo sfogare con qualcuno, farlo liberare di quel peso che si portava sulla coscienza da anni. Dopotutto, quella donna, era pur sempre sua madre…

Laito ridacchiò avvicinandosi a Reiji. «Ayato-kun ne ha fatta un’altra delle sue?»

«Laito, non è il momento» disse Reiji espirando rumorosamente.

«Che fratello cretino» esordì Subaru a denti stretti.

«Taci!» esclamò Ayato fulminando l’albino con lo sguardo.

«Non dirmi quello che devo fare!» grugnì il minore battendo un pugno al muro, dove si formarono alcune crepe.

«Se rompi un’altra parete, pagherai i danni di tasca tua» esordì il vampiro con gli occhiali volgendo lo sguardo verso Subaru, che si scostò velocemente, dirigendosi verso le scale.

«Comunque» iniziò Ayato, «non capisco. Ho ridato il libretto a Chichinashi. E quindi?»

«Quindi» sospirò Reiji, «ora non hanno motivo per tornare qui.»

Il vampiro dai capelli rossi spettinati spalancò le sue iridi smeraldine e schiuse leggermente le labbra; non ci aveva pensato. Era concentrato sul collo della sua preda, si era soffermato ad osservare quel morsetto che le aveva dato qualche giorno prima, desideroso di affondare di nuovo i sui affilati canini nella carne così morbida di quella ragazza. No, non era andata proprio in quel modo. La verità era che era rimasto sorpreso dal sapore di quei takoyaki: erano morbidi, cotti al punto giusto, speziati alla perfezione. Non ne aveva mai mangiati di così buoni; neanche quelli di Reiji avevano quel gusto speciale. Era rimasto piacevolmente stordito. E poi quel sorriso. Oh, quel sorriso

Smise di sognare ad occhi aperti solo quando si accorse che gli occhi dei suoi fratelli – anche quelli di Shuu, stranamente non mezzo addormentato – erano puntati su di lui. «Che problema c’è? Se non dovessero tornare le andremo a prendere» disse, risoluto.

Reiji fece per ribattere, ma fu fermato da un risolino. «Io credo che torneranno, invece» disse Kanato, per poi continuare a ridacchiare, inarcando in avanti la schiena e stringendo Teddy al petto con più forza.

«Ne, Kanato-kun» disse Laito piegando la testa di lato e avvicinandosi al fratello di qualche passo, «che intendi dire?»

Il vampiro dai capelli lilla smise lentamente di ridere, per poi mettere una mano nella tasca della sua giacca e frugare un po’ all’interno; dopo un paio di secondi mostrò ai suoi fratelli un bracciale fatto di perline rosa e bianche alternate, con un piccolo pendente a forma di muffin color porpora. Nonostante la sua semplicità, sembrava avere del valore monetario. «L’ho rubato a Miki-chan mentre era distratta» spiegò brevemente rigirando il braccialetto tra le mani. «Era così carino che non ho resistito.»

«Bravo, Kanato» disse il primogenito per poi chiudere gli occhi e abbandonarsi alla musica.

Subaru grugnì, appoggiandosi al passamano delle scale. «Vedi, Ayato? Persino Kanato ci arriva.»

«COSA VORRESTI DIRE?!» urlò una voce isterica, seguita dal tonfo di un calcio, delle risatine, ronfate, lamenti e sospiri esasperati.

 

 

***

 

 

Ci volevano quasi tre quarti d’ora di camminata normale per andare dalla piazza del paese alla Villa Sakamaki, precisamente quarantatre minuti, dodici secondi e cinquantasette millesimi; era stata Selena a cronometrare il tempo e Selena, il novantotto per cento delle volte, ci azzeccava al primo tentativo. Era tutto dovuto agli anni passati a studiare di giorno, a fare i servizi domestici di pomeriggio e a contare le bollette di sera. Aveva cominciato quando aveva undici anni, perciò dopo altrettanti anni era diventata molto brava, facendo arrivare le persone a chiamarla ragazza-genio, divenuto il suo soprannome ufficiale nel corso del tempo.

«Qualcuna è stata morsa?» chiese Yui per spezzare il silenzio che si era creato.

Le ragazze stavano camminando da una buona mezz’ora e, per tutto il tempo, erano rimaste in silenzio, troppo stanche anche solo per pensare. Si erano limitate, appena essere uscite dalla villa e aver oltrepassato la soglia del cancello principale, a tirare un sospiro di sollievo sonoro tutte insieme e a concedersi un minuto di tregua, per poi iniziare a camminare per il sentiero buio e indefinito, illuminato solo dalla luce della torcia rossa che Selena aveva pensato bene di portare.

«Io no» disse la ragazza-genio mantenendo un’espressione impassibile.

«Idem» fece Harumi. «Il biondone ha dormito tutto il tempo» spiegò, evitando di dire che, però, aveva schiacciato un pisolino anche lei.

«Neanche io» intervenne Miki. «Kanato-kun mi ha elencato i nomi di tutti i suoi peluche. Ha detto che gli farebbe piacere se li imparassi tutti a memoria.»

Kin accennò una risata, poi dice a bassa voce: «Anche Subaru è stato buono.»

«Laito-kun voleva mordermi, ma abbiamo passato il tempo a parlare» disse Tara con un sorriso che, poi, mutò in una smorfia. «Ha provato a sedurmi diverse volte, ma non sono crollata» ammise.

«Tu che hai fatto con lo scorbutico, Yui-chan?» chiese Harumi dando alla bionda due piccole gomitate, come a volerla incitare a confessare un segreto.

«Ayato-kun mi ha chiesto di cucinargli i takoyaki» disse, interrompendo volutamente la frase. «E mi ha ridato l’agenda!» esclamò con un sorriso mostrando l’oggetto alle sue amiche.

Le altre urlarono di gioia – meno Kin, che si limitò a battere le mani – e Harumi esclamò: «Ora non torneremo più da quei tizi schizzati!» e ne seguirono le risate a catinelle di Tara.

«… Oh-oh…» disse una vocina dietro le ragazze, che si girarono nello stesso momento.

«Che c’è, Miki-chan?» chiese Selena avvicinandosi alla castana, che era rimasta indietro e aveva lo sguardo perso nel vuoto.

«Ragazze… Ho perso il mio braccialetto» disse per poi iniziare a singhiozzare e a strofinarsi gli occhi lucidi con le dita. Si sentiva in colpa, e molto. Erano state costrette ad andare da quei vampiri per recuperare l’agenda di Yui e, dopo averlo finalmente riavuto indietro, avrebbero potuto continuare a vivere normalmente, come se non fosse successo nulla. Invece no. Per colpa sua sarebbero dovute tornare in quel posto orribile e pericoloso.

«Va bene» sospirò Tara. «Ci torneremo.»

«Esatto!» esclamò Harumi, improvvisamente di nuovo in forze.

«Ma tu non piangere, okay?» disse Selena abbozzando un sorriso e accarezzandole una spalla.

«Ma…»

«Tranquilla» disse Yui sorridendo. «Credo che si arrabbierebbero di più se non dovessimo tornare.»

«Ha ragione» tossì Kin indicando la bionda.

«Non dimenticarti che ci sarò io a proteggerti!» esclamò la ragazza dai capelli verdi facendole l’occhiolino.

«E poi, quel braccialetto te l’ho regalato io. Non lascerò che se lo tengano loro» aggiunse Tara battendosi un pugno sul petto, in corrispondenza del cuore. «Parola di Tara!»

Miki sorrise smettendo di asciugarsi le lacrime. «Grazie di cuore.»

Selena le tose la mano dalla spalla e si girò nella direzione della villa senza, tuttavia, scorgerla, troppo lontana e coperta dagli alberi del bosco. «Ragazze» disse la blu con espressione seria in viso, «ho uno strano presentimento riguardo quella villa.»

«Cosa intendi?» chiese Yui, preoccupata.

«Ho la sensazione che ne passeremo tante, lì» disse con voce ferma.

«Cose belle o brutte?» azzardò Harumi.

Selly scosse la testa. «Non lo so, ma succederà sicuramente qualcosa» concluse ritornando verso casa.

 

Oh, sì, Wada. Accadranno molte cose, cose che vanno al di là di ogni tua immaginazione…

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Quanti anni sono passati dall’ultimo aggiornamento? Non lo so proprio… So solo che questi giorni sono stati davvero stressanti! *coff* Stupido computer dello schifo *coff* Comunque… Gomen per l’attesa T.T Riassunto piccino picciò:

I vampirucci litigano per colpa di Subaru (se ve lo state chiedendo, il “tonfo di un calcio” è provocato da Ayato-kun), Kanato-kun si fa furbo, Miki-chan si fa scema, Reiji-san si fa i massaggi al naso, Selly si fa i presentimenti e Shuu-san si fa il sonnellino.

Ciel: E tu dovresti farti un esame di coscienza.

Tornatene a Londra, tu! *Ciel torna a Londra* *Kanato ride* *Channy facepalma (?)* Domandina: Ayato-kun è OOC?

Kou: Fatecelo sapere nelle recensioni ^^

Ooookay, gentaglia! Fatemi sapere se il chappy vi è piaciuto o meno, se considerate Ayato-kun IC oppure OOC e noi ci vediamo al prossimo Infern—

Kou: *si schiarisce la voce* M-Neko-chan…

Ehm… Al prossimo capitolo ^^’

-Channy

 

Da quando mi chiami “M-Neko-chan”?

Kou: Da ieri, quando hai scritto questo capitolo su carta, mentre scrivevi la fine di un altro capitolo al computer che si bloccava di tanto in tanto, mentre ascoltavi il rock e rovesciavi il succo di frutta sugli appunti dell’altra long.

Ah… Giusto…

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Capitolo 9
*** Unexpected Love ***


-UNEXPECTED LOVE.

 

 

«Okay, ho cambiato idea» esclamò Harumi voltandosi e allontanandosi di qualche passo.

Era incredibile come il giorno fosse passato così in fretta e come si fossero ritrovate di nuovo davanti quella porta enorme, in quel vialetto circondato da quel giardino minuziosamente curato da uno degli aguzzini della famigliola. La Luna era piena, quella notte; splendeva nel cielo, si vantava di tutti gli spettatori che si perdevano nell’ammirarla in tutta la sua infinita bellezza ipnotizzante. Eppure, diversamente dalle altre volte, quella notte la Luna stava parlando, allarmata, ma nessuno la stava ascoltando…

«Ferma, tu» ordinò Selena prendendo Harumi per il colletto della maglia da dietro la nuca. «Se sei tanto coraggiosa come dici, dimostralo!»

La verde mise il broncio. «È stata Tara a dare la sua parola, quindi dovrebbe essere lei ad accompagnare Miki-chan» protestò incrociando le braccia.

«Sì, ho dato la mia parola, ma anche tu le hai fatto una promessa» rispose la rosa per poi schiarirsi la voce. «Non dimenticarti che ci sarò io a proteggerti!» disse imitando la voce di Harumi.

Quest’ultima gridò, stizzita e arrabbiata, battendo un piede a terra con forza e volgendo a Tara una stilettata.

«Per favore, ragazze, calmatevi» intervenne Yui, mettendosi tra le due litiganti. «La state facendo sentire in colpa» disse indicando Miki.

La castana, infatti, aveva la testa e gli occhi puntati a terra, la schiena ricurva, le spalle tremanti e le mani chiuse in pugni. Titubante, Kin si accostò a lei e le mise una mano sulla spalla; appena si rese conto che l’amica non aveva opposto alcuna resistenza, l’abbracciò completamente, prendendo ad accarezzarle dolcemente i capelli. Harumi si sentì molto in colpa; certo, vedere Miki in quello stato non era una novità ma, fino ad allora, non era mai stata colpa sua. Ebbe la sensazione di ritrovarsi da sola e con un’enorme roccia sulle spalle, costretta a camminare all’infinito in una landa desolata e polverosa. «Scusaci, Miki-chan» disse la verde, sperando che l’amica con gli occhiali accettasse le sue sincere scuse.

«Ti capisco, Harumi-san» rispose Miki continuano a guardarsi i piedi. «La colpa è mia.»

Venne interrotta da una risatina, una risatina che riconobbero tutte all’istante e fece venire loro la pelle d’oca. «Cos’è quest’aria tesa, bellezze?» chiese Laito, spuntato dietro di loro pochi attimi prima. Aveva ascoltato tutto il battibecco – e si era anche divertito un mondo – accuratamente nascosto nell’ombra, facendo attenzione a non farsi sentire, decidendo di saltare fuori al momento giusto. E quale momento sarebbe stato più giusto rispetto a quello che avrebbe interrotto una riappacificazione?

«Solo una piccola discussione giunta al termine nel migliore dei modi, ne ragazze?» rispose Selena guardando le altre, che iniziarono ad approvare nervosamente.

«Sono felice per voi, Bitches-chan e Princess-chan» disse il vampiro circondando la vita di Tara con le braccia, ma la ragazza tentò di allontanarlo, senza successo, spintonandolo con le braccia.

«Princess-chan?» chiesero Selena e Harumi guardando l’amica dai capelli rosa con aria confusa.

«Oh, non ve l’aveva detto?» domandò Laito ridacchiando. «Come sei timida, Princess-chan» disse con un sorrisetto compiaciuto in viso.

Tara deglutì sonoramente, lanciando alle altre ragazze sguardi disperati, pregandole in silenzio di fare qualcosa.

Il vampiro, da perfetto gentleman – o quasi – e senza smettere un attimo di sorridere, aprì la porta e le invitò ad entrare nella villa gotica e affascinante, aspettando pazientemente che tutte facessero il loro ingresso. «Ti faccio i miei sinceri complimenti, Harumi-chan» disse con un sorrisetto malizioso in viso, «Hai proprio un bel seder-»

«Dopo di te, Playboy» disse la ragazza dai capelli verdi fermandosi sulla soglia della porta e puntando un dito all’interno dell’abitazione, fissando negli occhi l’altro senza batter ciglio.

Laito rise sotto i baffi e fece come dettogli, puntando nuovamente sulla sua Princess-chan; difatti, si ancorò al braccio della ragazza, trascinandosela sul divanetto pregiato del salone, dove tutte si diressero automaticamente. «Come mai siete qui?» chiese il vampiro col cappello. Aveva deciso di fingere di non sapere nulla, giusto per divertirsi ancora: perché prendere in giro delle povere ingenue – seppur di rara bellezza, come le aveva definite la sera prima, con l’appoggio di un solo fratello – era divertente, no?

«Vi abbiamo fatto una promessa, quindi…» disse Yui dondolandosi nervosamente sui talloni.

Il vampiro alzò un sopracciglio.

«… Non regge, ne?» chiese Selena dopo aver sospirato, rassegnata.

«Per niente» rispose Laito calandosi leggermente il cappello all’indietro con una mano.

«Miki… san… Braccialetto…» disse Kin a bassa voce indicando la castana con gli occhiali.

Lui fece finta di pensarci, poi esordì: «Hai perso il braccialetto che avevi ieri?»

Miki approvò con un timido cenno della testa. «Sai, per caso, dove potrebbe essere?» chiese la castana picchiettando i due indici tra di loro.

«Io mi interesso di cose ben più importanti dei bracciali» rispose Laito facendo l’occhiolino e calcando la parola importanti. Fu un semplice riflesso di Tara, quello di tirare un piccolo scappellotto al vampiro, facendo in modo di spostare il cappello sul viso, coprendo gli occhi; Laito, di tutta risposta, si mise a ridere, sinceramente divertito. «Prova a chiedere a Kanato-kun: gli piace collezionare qualsiasi oggetto. Lui saprà sicuramente qualcosa» le disse con uno strano sorriso in viso, diverso da quello malizioso che lo differenziava dagli altri fratelli.

«Okay, ma dove lo posso trovare?» chiese ancora la ragazza sbirciando nel corridoio vicino alla sala, come ad accertarsi che il vampiro dai capelli viola non la stesse osservando.

«Non lo so» rispose Laito corrucciando le labbra in una smorfia dispiaciuta.

«Come non lo sai?» chiese Harumi aggrottando le sopracciglia.

«Non lo so» ripeté il vampiro, impassibile.

«Siete fratelli, dovreste sapere ch-»

«Basta così» disse con il tono di voce più alto e fermo, balzando in piedi. «Non sono affari miei dove si trovino i miei fratelli. Fanno quello che vogliono, perciò i loro problemi non sono i miei.» Poi rivolse uno sguardo freddo a Tara. «Vieni con me, Princess-chan» ordinò senza la sua solita aria scherzosa o furba, tanto da far spaventare la ragazza dai capelli rosa. Senza aspettarla, Laito si diresse verso la scalinata principale della villa senza proferir parola.

Anche Tara si alzò dal divano, pensierosa, e fece per seguire il vampiro, ma fu fermata da Selena. «Cerca di ricavare qualche informazione» le sussurrò in un orecchio.

«Non mi sembra di buon umore» rispose la rosa con sguardo preoccupato.

«Tu provaci» disse Selena per poi spingerla leggermente verso la scalinata, come ad incoraggiarla.

Tara salutò le altre con un cenno della mano e iniziò a salire le scale.

 

 

***

 

 

“Okay, mi sono ufficialmente persa”, pensò Tara sbuffando e mettendo le mani sui fianchi. Non era stato molto carino, da parte di Laito, non aspettarla: insomma, quell’abitazione era enorme e lui sarebbe potuto essere ovunque. La ragazza dai capelli rosa si guardò intorno; era in un corridoio buio, illuminato pallidamente dalla debole luce della luna, spoglio da qualsiasi mobile, fatta eccezione per il tappeto rosso pregiato e alcuni quadri astratti e dai colori scuri. Era tutto molto inquietante, ma Tara decise di non dare troppo peso a quel dettaglio.

«E va bene» esordì la ragazza avvicinandosi ad una parete, «vorrà dire che aspetterò qui.» Appoggiò la schiena al muro e scivolò lentamente a terra, fino a sedersi completamente. Si aggiustò la larga maglietta color pece sulle spalle e dietro la schiena, dato che si era alzata durante la scivolata. Incrociò le gambe e piegò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi. “Non devo addormentarmi”, continuava a ripetersi, sia in testa che ad alta voce. “Se uno di loro dovesse trovarmi così…” Scosse un paio di volte la testa per svegliarsi, ma non ebbe molto successo. Controllò l’orario sul suo orologio da polso – ringraziò Dio di riuscire a vedere le lancette – e sospirò, sconfitta: erano solo le dieci. «Altre due ore, Tara. Solo due.» Rilassò le spalle e chiuse, finalmente, gli occhi. La verità era che era terribilmente stanca: la notte precedente aveva impiegato un’ora a tornare a casa, si era dovuta alzare alle sei del mattino e, dopo aver studiato duramente per l’ammissione all’università, aveva passato la giornata a lavoro. Le faceva rabbia sapere che era diventata una specie di soldatino; non era certamente uno spirito libero come Harumi, ma le era sempre piaciuto avere una certa libertà di pensiero, parola e azione. Anche se quella libertà di pensiero, parola e azione l’aveva incastrata in quel disastro

Sentì una presenza accanto a sé, così aprì gli occhi di scatto, spaventata; si ritrovò davanti Laito, accovacciato ed intento ad osservarla con un sorrisetto in viso che, secondo la ragazza, non era per niente rassicurante. «Eri così bella mentre dormivi» esclamò il vampiro inclinando leggermente il capo.

«Non stavo affatto dormendo» rispose Tara, rossa in viso, gonfiando le guance e spostando la testa di lato con uno scatto.

Di tutta risposta, Laito si mise a ridere: quanto lo intrigava quella ragazza! «E, allora, che ci facevi qui?» domandò lui sedendosi di fronte alla ragazza.

«Non ti trovavo, quindi avevo deciso di aspettare» disse la rosa portandosi le gambe al petto e circondandole con le braccia, per poi appoggiare il mento sulle ginocchia.

Il vampiro le chiese se il suo fosse stato un desiderio di vederlo, di stare con lui, ma la ragazza di affrettò a negare.

«Piuttosto, tu da quanto tempo mi stai osservando?» chiese Tara, mentre un terribile dubbio le invadeva la mente.

«Da circa mezz’ora» rispose Laito facendole l’occhiolino.

“Allora mi sono davvero addormentata!”, urlò nella sua testa, dandosi più volte della stupida. Era riuscita a spiegarsi il perché dei suoni ovattati che sentiva, finalmente.

Stettero un paio di minuti in silenzio, la prima a fissare un punto indefinito del pavimento, l’altro a guardarle la treccia di capelli che le ricadeva sulla spalla, incantato.

«Laito-kun?» disse lei, interrompendo il suono del nulla.

«Dimmi, Princess-chan» rispose il vampiro guardandola negli occhi che, però, la ragazza teneva ancora bassi.

«Perché prima eri arrabbiato?» azzardò a chiedere, afferrando la punta della treccia e iniziando a giocherellarci con le dita.

«Non ero arrabbiato» rispose semplicemente lui, lasciandola spiazzata.

«Ma lo sembravi» protestò Tara spalancando gli occhi, incredula.

«Non mi arrabbio per così poco» disse Laito scostando la punta della treccia dalle mani della ragazza e iniziando a giocarci per conto proprio.

Tara arrossì a causa di quel gesto così naturale. Era rimasta sorpresa da quel comportamento reale, semplice, forse anche un po’ scontato. Così tante persone avevano finto con lei per così tanti anni… «Perché hai detto quelle cose?» insistette la ragazza. «E cosa intendevi con non sono affari miei?»

Laito ridacchiò. «Tu sei un po’ troppo curiosa per i miei gusti, Princess-chan» rispose il vampiro avvicinando il viso a quello della ragazza.

«Ma tu…»

«Oh, Princess-chan, resta in silenzio» la interruppe lui tirandole leggermente la treccia verso il basso.

Tara esclamò un verso di dolore sarcastico ma Laito lo prese per un’esclamazione vera; sul suo volto comparve un orribile sorriso sadico, che allargò con una risatina maliziosa. La rosa rabbrividì.

«Ti ho fatto male?» domandò il vampiro tirandole ancora leggermente il treccia.

«Per niente» rispose subito la ragazza scuotendo le mani davanti al viso.

Laito fu veloce ad afferrarle il polso e rinchiuderlo in una morsa stretta e resistente. «Non sai nemmeno cosa sia il dolore, Princess-chan» le disse per poi passare la lingua sui polpastrelli della mano della ragazza.

A quel contatto umido, il cuore di Tara aumentò il battito tutto in una volta, diminuendole il fiato. Il vampiro la stava guardando negli occhi, le stava trasmettendo delle sensazioni del tutto nuove, strane, quasi incredibili. «Se può renderti felice, ti farò provare il dolore più forte in assoluto» continuò lui lasciandole andare il polso.

Come l’avrebbe resa felice il dolore?

«Farei di tutto per te» continuò Laito accarezzandole un ginocchio. «Perché, Princess-chan, io ti amo

Le mancò il fiato. Non sapeva se era dovuto al dolore lancinante che le avevano provocato quei canini affilati sulla coscia scoperta dal pantalone corto o a quell’improvvisa e inaspettata dichiarazione. Come poteva amarla, quel ragazzo delle tenebre? Non la conosceva neanche. Che ne poteva sapere di lei, della sua vita, delle sue passioni, delle sue paure, dei suoi sogni? Come poteva dichiarare una cosa così grossa come se fosse una futilità? Tara era sicura di essere tutt’altro che una ragazza amabile; passava il tempo a fare pettegolezzi, parlava in continuazione degli argomenti più stupidi, diceva le cose che pensava in faccia alle persone e, molto spesso, era anche testarda pur sapendo di aver torto. Si era ripromessa più e più volte di cambiare, di diventare una persona diversa, migliore, ma non era mai riuscita nel suo intento.

Laito stava bevendo avidamente il liquido scarlatto che fuoriusciva dalla ferita che le aveva procurato; ogni tanto si staccava leggermente, ma solamente per regalarle apprezzamenti o occhiate cariche di sentimenti misteriosi, per poi ricominciare ad infierire su quel dolore.

Tutto quello che Tara riuscì a fare fu abbassare il capo, chiudere gli occhi e sperare di riuscire a sopportare il più possibile quel dolore che, lo sapeva già, non sarebbe riuscita a sopportare.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Ed eccomi qui, gentaglia! Avete sentito la mia mancanza? Naaah, dai, non manco da tanto tempo… Teoricamente (moooolto teoricamente) dovrei aggiornare settimanalmente, ma… Diciamo che sono in orario. Per rendervi l’idea: avevo previsto di pubblicare questo capitolo verso il 5 di ottobre. Eh. Come vi sembra questo capitolo? A me ha fatto un po’ sudare… Insomma, ho dovuto mettermi nei panni di un pervertito. Rendiamoci conto.

Laito: Che bello, adesso avrò il tuo odore inciso sulla pelle!

Non intendevo in quel senso, baka -.- Tara ha ricevuto il suo primo morso e sappiamo che (oltre ad Harumi) anche lei nasconde qualcosa! *DANDANDAAAAAN* Che sarà mai? Ah, lo scoprirete più avanti ;)

Subaru: Ma questa la chiami suspence? Non metti curiosità nemmeno alla pianta carnivora di Reiji!

 Davvero Reiji ha una pianta carnivora?!

Subaru: Ti lascio col dubbio u.u

Che infame. Okay, raga! Se questo capitolo vi è piaciuto fatemelo sapere nelle recensioni, che fanno sempre molto piacere a noi fanwriters, anche quelle negative ;) Spero di aggiornare presto, anche perché il prossimo vampiro potrebbe crearmi alcuni problemi… Sì, proprio ALCUNI. Ovviamente non vi dico di chi sto parlando… Sarà una (speriamo) bella sorpresa ^^

-Channy

 

 

Post Scriptum: Alla fine, quando ho scritto “sperare di riuscire a sopportare il più possibile quel dolore che, lo sapeva già, non sarebbe riuscita a sopportare”, come avrete notato, ho usato due volte la parola sopportare: be’, l’ho fatto apposta, giusto per dare un tocco poetico al tutto… … Ho fallito, ne? -.-‘

 

Post Post Scriptum: Chi sarà mai quel "un solo fratello"? Ovviamente mi riferisco alla prima parte del capitolo, quando Laito domanda alle ragazze il perchè del loro ritorno. Si accettano scommesse!

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Capitolo 10
*** Chiasso ***


-CHIASSO.

 

 

Trovare un ago in un pagliaio sarebbe stato di gran lunga più facile che riuscire a scovare il nascondiglio di Shuu all’interno di quell’enorme magione avvolta dalle tenebre. Insomma, dove sarebbe potuto essersi cacciato? Harumi aveva controllato praticamente ovunque: in cucina, nei bagni, nella sala da pranzo, negli atri delle altre alee della villa, ma non aveva trovato niente. Quel vampiro dagli occhi azzurri sembrava essersi volatilizzato nel nulla. La ragazza sospirò, passandosi una mano sulla fronte, scostando leggermente la frangia ondulata; non si era stancata di esplorare quel posto – per niente! – ma era alquanto scoraggiante il non riuscire a trovare da nessuna parte quel biondone dormiente. “No, ma io lo troverò, quello!”, si era ripetuta più volte nell’arco di quelle ore di paziente e tempestiva ricerca. Ma poi, perché stava continuando a cercarlo? Perché si stava facendo in quattro solo per riuscire a trovare quello che sarebbe stato il suo predatore da lì a… Quanto tempo? Giorni, settimane, mesi? … Anni? Una persona ragionevole avrebbe di gran lunga optato per la fuga immediata. Ma lei non era una persona ragionevole. No, non poteva abbandonare le sue amiche più care, non poteva lasciarle sole in mezzo a quei sei mostri. Lei era Yamada Harumi, la tre volte vincitrice del torneo di atletica nazionale, la ragazza dalle mille e una avventure, la portabandiera della regione, la campionessa di praticamente tutto – non si sarebbe arresa davanti a sei marmocchi un po’ più iperattivi del normale! Figuriamoci se le avrebbero fatto paura un paio di canini appuntiti e qualche minaccia!

“Forse un po’ di timore ce l’ho, ma trionferò anche stavolta, vedrete!”, aveva detto alle ragazze la sera prima, mentre camminavano nel sentiero quasi indistinguibile dal resto del paesaggio fitto di flora per giungere alla Villa Sakamaki.

Appena vide una finestra semi-aperta poco distante dall’altro lato del corridoio, decise di prendere un po’ d’aria e di riposarsi per qualche minuto. Si avvicinò ad essa con passo deciso e, quando fu davanti alla vetrata, l’aprì completamente, assaporando il dolce profumo della notte e il fresco abbraccio del vento. Si sporse leggermente e chiuse gli occhi, come a voler meditare in una posizione insolita. Avrebbe tanto voluto chiedere aiuto a Selena per riuscire a trovare Shuu, ma…

 

«Selly, potresti aiutarmi a trovare il tizio biondo?»

«No, ho una cosa da fare molto importante.»

«Ma–»

«A dopo, Harumi-san!»

«Grazie mille, eh!»

 

Nel ripensare a quel momento un nervo ben visibile iniziò a pulsare più velocemente della norma sulla sua fronte; strinse una mano in un pugno, per poi rilassare i muscoli pochi secondi dopo. Aveva pensato di scappare; provando ad avvicinarsi al cancello principale e ad aprirlo, facendo finta di fuggire, magari Shuu sarebbe comparso davanti ai suoi occhi, impedendole di andarsene, e lei avrebbe potuto dire di essere riuscita a trovarlo. Tuttavia, pensandoci a fondo, Shuu era fin troppo pigro anche solo per teletrasportarsi da una parte all’altra della magione e lei non avrebbe concluso nulla, se non l’amicizia con altre ragazze. E non poteva proprio permetterselo.

Riaprì gli occhi e iniziò ad osservare il paesaggio scrutabile da quella veduta: alberi, alberi, ancora alberi e… Cos’era quello? Un’altra villa, questa volta in miniatura? Sembrava una specie di magazzino, solo un po’ più curato esteriormente.

Prese in considerazione di fare una visita a quell’edificio, giusto per curiosare ulteriormente in giro. Non era lei la ficcanaso del gruppo – per quel ruolo, Yui bastava e avanzava pure – ma le piaceva venire a conoscenza di qualcosa di nuovo, sempre se avesse compreso delle situazioni emozionanti e che richiedessero le sue grandi doti da avventuriera intrepida. Pensò che la strada per arrivare alla piccola costruzione fosse troppo lunga e, forse, per andare in cortile avrebbe anche perso di vista l’oggetto dei suoi attuali interessi. Per questo motivo, con un balzo quasi felino, si catapultò giù dalla finestra, per poi rendersi conto di essere al primo piano.

«Oh, cavolo» imprecò appena toccò terra, ritrovandosi in uno dei cespugli di Subaru, fortunatamente spoglio di qualunque fiore o frutto.

Pregò il padre di Yui affinché il vampiro dai capelli bianchi non fosse nei paraggi perché, basandosi sul racconto breve e spezzettato di Kin, lui ci teneva davvero tanto a quel giardino. Sentì un insistente bruciore al braccio sinistro, poco sotto la spalla, e poi qualcosa di liquido bagnarle la zona che le doleva. Ci mise una mano sopra, poi la ritrasse velocemente, come se si fosse scottata; i suoi polpastrelli erano leggermente macchiati di rosso. Imprecò nuovamente, questa volta a denti stretti. Dopo averci ripensato, però, pensò che, forse, sarebbe potuto essere un punto a suo vantaggio – magari avrebbe attirato il vampiro, il suo odore.

Decise di attendere il suo arrivo stando seduta lì, sull’erba, in mezzo alle foglie. Tuttavia, il biondo non si fece vivo neanche con l’odore del sangue fresco disperso nell’aria. «Non gli vanno bene neanche i piatti d’argento, a quello sbruffone» disse dopo uno sbuffo sonoro.

 

 

***

 

 

Trovò la porta del piccolo edificio aperta per metà, nessuna fonte d’illuminazione a far luce all’interno. L’uscio non emise cigolii quando la ragazza dai capelli verdi lo aprì completamente per poter entrare. Fece un passo e analizzò l’interno del piccolo edificio: nessuna traccia di polvere, varie mensole ricolme di chissà cosa, delle panche a ricoprire un’intera parete in lunghezza e un ragazzo con folti capelli color miele sdraiato su una di esse.

«Eccoti, finalmente!» esclamò Harumi incrociando le braccia.

Il vampiro non si mosse d’un millimetro, ma la ragazza sapeva che non stava dormendo; lo aveva intuito, ma non sapeva il perché di quell’intuizione. “Forse anch’io ho il sesto senso femminile?”, si chiese, ma poi scosse la testa, come a voler negare. «Hey, ma mi vuoi rispondere?!» esclamò ancora, avvicinandosi a lui.

Dal canto suo, Shuu grugnì. «Fai silenzio.»

«Ma neanche per sogno!»

Il biondo sbuffò nuovamente, girandosi su un fianco. Odiava quando qualcuno interrompeva il suo riposo, la sua musica, la sua pace interiore. Perché, di pace interiore, ne aveva bisogno. Vivere con i suoi fratellastri era come vivere in un manicomio. Non era facile condividere una casa – seppur fosse enorme – con altri cinque ragazzi dalle manie fuori dal comune: un intelligentone dalle troppe buone maniere, un playboy, un isterico collezionista di robaccia, un giardiniere attaccabrighe e un prepotente con manie di grandezze. La musica era l’unica sua alleata: riusciva a rilassarlo, a dargli forza, a trasmettergli sentimenti non del tutto perduti, a donargli una strana quanto piacevole pace.

«Mi stai ascoltando?!»

«No. Chiasso.»

Harumi perse la pazienza e si avvicinò al vampiro; poi puntò i piedi a terra e guardò Shuu dall’alto in basso, come a volergli trasmettere la sua superiorità. «Non sto facendo chiasso.» disse aggrottando le sopracciglia.

«Sei tu, Chiasso» rispose lui senza aprire gli occhi.

La verde parve non capire le parole dette dal vampiro, difatti restò in silenzio, per pensare a cosa rispondere. «Io sarei Chiasso?» chiese, confusa.

«Sì, Chiasso.»

 Invece di arrabbiarsi ed iniziare a lanciare oggetti contro il biondo come sua abitudine, si mise a ridere, sinceramente divertita, quasi piegandosi in due. «È il soprannome più stupido che abbia mai sentito!» disse mentre tentava di riprendere il fiato perso.

A quel punto, con un movimento impercettibile, Shuu si mise seduto e spinse con forza Harumi, per farla cadere sulle sue gambe a peso morto. Non diede neanche tempo alla ragazza di farle realizzare cosa stesse succedendo, che addentò avidamente il taglio che Harumi si era fatta in precedenza. La verde gemette di dolore, spalancando gli occhi e non muovendo un altro solo muscolo del corpo. Credeva che le zanne di Shuu provocassero poco dolore, ma la verità era che era l’esatto opposto: erano violente, aggressive, affamate, sembravano quasi fatte di metallo.

Harumi non aveva mai provato tanto dolore fisico. Perché, il dolore interiore che aveva provato tempo prima, era ben più forte.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Eeee (volevi) il secondo chappy è dedicato a Shuu e Harumi! Trovo che Shuu sia uno dei personaggi più difficili da gestire. Sapete perché? Be’, l’abbiamo visto solo ascoltare musica, dormire e mordere Yui. E poi? Nulla, un personaggio poco approfondito, almeno dal mio punto di vista. Avrebbero dovuto ampliare anche i suoi momenti oltre che quelli dei vampiri principali. … Peeerché nessuno mi ha ancora interrotto nel bel mezzo delle spiegazioni?

Subaru: Perché nessuno vuole stare con te.

Dai, seriamente, dov’è Kou-kun? *lo cerca mettendo a soqquadro la città* KOU-KUUUUUN DOVE SEI?

Kou: Neko-chan, non meriti che ti rivolga la parola!

Perché?

Kou: Non mi hai fatto partecipare all’Angoletto dello scorso chappy ;(

-_-‘ *gli da’ un vassoio pieno di patatine* Mi perdoni?

Kou: SÌ!

Che dire? Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo con una recensione e ditemi anche a chi pensate che vada il prossimo morso ;)

Kou: Ci vediamo presto, gattini e gattine ;D

-Channy

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Capitolo 11
*** Great Him ***


-GREAT HIM.

 

 

Aveva cacciato se stessa e le altre ragazze in quella questione dei vampiri per colpa di quell’agenda color cenere, e ora se ne stava seduta a scrivere proprio sopra quest’ultima, in un angolino illuminato debolmente da un candelabro in argento colato in una stanza che non sapeva neanche come aveva fatto a trovare. Era circondata da polvere e ragnatele – che le facevano anche un po’ paura, oltre che disgusto – ma, per il resto, non c’era molto a decorare l’ambiente, solo una libreria che ricoprire l’intera parete, una poltrona coperta da un lenzuolo bianco – che la bionda non aveva sollevato neanche per un istante, stranamente troppo intimidita per saziare la sua curiosità – e una cassettiera di legno antico e di buona fattura, di cui il ripiano era pieno di gioielli e preziosi vari, i quali la maggior parte erano anelli di un valore parecchio elevato. Di fianco a codesta cassettiera c’era una grande portafinestra dai vetri opachi, che portava a un piccolo balconcino che affacciava sul giardino del vampiro dai capelli bianchi. Sui muri c’erano quadri molto piccoli e astratti, perlopiù di colori scuri e disordinati, come a voler trasmettere inquietudine e a rendere ancora più macabra la permanenza quasi infinita in quella magione.

“Forse sarà meglio che cambi stanza”, pensò Yui riponendo penna e agenda nella borsa a tracolla. Dovette fermarsi improvvisamente, subito dopo aver chiaramente udito dei passi riecheggiare nel corridoio dall’altra parte della parete; non riuscì a capire di chi fossero quei passi, ma era quasi certa che, a passare di lì, non fosse nessuna delle sue amiche. Quella era una camminata pesante ma veloce, sicura di sé, quasi prepotente, ma aveva qualcosa di orecchiabile, qualcosa che Yui non sapeva come definire. Ad un tratto, però, i passi cessarono e, con essi, anche il respiro della ragazza; ormai aveva capito che era uno dei fratelli ad aggirarsi da quelle parti, nell’ala nord-orientale dell’imponente villa.

“Deve aver percepito la mia presenza”, si disse mentalmente la bionda, per poi serrare gli occhi e portarsi le mani al petto, come a sostenersi il cuore, quasi sfiancato dai battiti troppo accelerati. D’un tratto vide la porta spalancarsi velocemente, dandole l’impressione di essersi aperta da sola. Yui guardò in direzione dell’uscio e vide che, a far capolino, era Ayato: i capelli ordinatamente disordinati, gli occhi magnetici e quel ghigno perennemente stampato in volto gli davano un aspetto molto affascinante, doveva ammetterlo. Arrossì, dandosi mentalmente della stupida per aver pensato una cosa del genere. “È un vampiro, Yui. È un vampiro, ricordatelo.”

«Yo, Chichinashi» esclamò, come a salutarla.

«Ciao Ayato-kun» rispose lei, tentando di nascondere il rossore sulle guance.

«Calmati, non ti ho ancora fatto nulla» le disse il vampiro entrando completamente nella stanza.

«Sono calmissima.»

«E allora perché sei tutta rossa?» chiese Ayato accovacciandosi per arrivare all’altezza della ragazza accomodata sul pavimento.

«Non è niente» disse Yui distogliendo lo sguardo.

Il vampiro sospirò alzando gli occhi al cielo, infastidito dal comportamento della ragazza: insomma, nessuno doveva permettersi di mancare di rispetto ad Ore-sama! «Piuttosto» interruppe il silenzio lui stesso, tornando a fissare Yui che, a sua volta, gli rivolse lo sguardo, «come hai fatto ad entrare in questa stanza?»

La ragazza parve non capire. «In che senso, scusami?»

«Come hai fatto ad entrare qui dentro, intendo.»

«Ho visto la porta e sono entrata, tutto qui.»

«Non hai trovato niente ad impedirtelo? Nessun lucchetto, catene o qualche altra diavoleria?» domandò ancora Ayato con perplessità.

«No, perché?»

Il vampiro corrugò la fronte, infastidito da quello che gli aveva detto Yui; non che ce l’avesse con lei, assolutamente, ma perché non c’era nulla ad impedire l’entrata in quella stanza? Anni ed anni addietro era stato deciso – con l’evento eccezionale che vedeva tutti i sei fratelli d’accordo – di sigillare quella stanza, per sempre. Lì dentro c’erano troppi ricordi, troppi eventi del passato che, nonostante lo desideravano tutti ardentemente, non potevano essere cancellati dalle loro memorie, specialmente nelle menti dei trigemini. Quelle collane, quei bracciali, quegli anelli e quelle gemme preziose erano appartenuti ad una donna molto affascinante, ma la sua malvagità era tanta quanto la sua bellezza. Tutta quella cattiveria, quei suoi soprusi usati ai danni dei tre gemelli, all’epoca ancora bambini fragili e privi di qualsiasi potere. Una volta cresciuti, però, le cose cambiarono e quel mostro fu…

«Stai bene, Ayato-kun?»

La voce di Yui riportò violentemente il vampiro alla realtà. Si era perso ancora nei ricordi, nonostante si era ripromesso più e più volte di non pensare più al passato… «Io sto sempre bene, Chichinashi!» disse battendosi un pugno sul petto con fare fiero.

Nel vedere quell’espressione altezzosa e arrogante che tanto gli donava, Yui trattenne una risata, portandosi una mano alle labbra e premendole leggermente; Ayato se ne accorse, infatti tornò a guardarla, con una strana espressione metà corrucciata e metà divertita. «Che hai da ridere?!»

«No, nulla» si affrettò a rispondere lei, anche se sul suo viso era rimasto un piccolo sorriso. “Come se glielo dicessi.”

“Come se me lo dicesse.” «Non ti sei stancata di quel libricino, ne?» le domandò il vampiro indicando l’agenda color cenere della ragazza.

Lei scosse la testa, negando. «È importante per me.»

Ayato parve non capire, ma decise di non darlo a vedere. «Non esistono cose importanti a questo mondo» disse, serio e senza batter ciglio.

«Cosa?» balbettò Yui mentre sbatteva più volte le ciglia.

«Non c’è nulla in questo mondo per cui valga la pena sacrificarsi.»

La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa e spaventata dall’improvvisa freddezza del vampiro che, fino ad un minuto prima, era impegnato a regalarle uno di quei ghigni divertiti. Le venne da pensare ad una possibile bipolarità, ma rimosse subito quell’immagine dalla sua mente con un battito di ciglia. «Perché dici una cosa così orribile?» chiese Yui con un fil di voce e il labbro inferiore tremante.

Lui le rivolse uno sguardo ghiacciato e duro, guardandola dall’alto in basso. «Stai zitta» ordinò con il tono di voce più profondo del normale. Con un movimento fulmineo della mano, il vampiro le afferrò i fianchi e la spinse a sé, poi le scoprì una spalla tirandole giù una manica della maglietta e fissò intensamente la pelle lattea della ragazza.

«Ayato-kun… Aspetta…»

Lui parve non sentirla. Avvicinò le sue labbra alla spalla di Yui, sfiorandola soltanto. La ragazza rabbrividì nel sentire il respiro del vampiro sulla pelle e chiuse istintivamente gli occhi e strinse i denti.

«Non devi ribellarti al volere di Ore-sama» le disse, per poi chiudere gli occhi. «Perché tu mi appartieni, Chichinashi.» Spalancò la bocca e le perforò la pelle con i canini appuntiti, iniziando a succhiarle via il sangue.

Yui era convinta di non aver mai provato un simile dolore, che non sapeva neanche come descrivere: era intenso, bruciava, le creava formicolio per tutto il braccio e le offuscava la vista con le lacrime.

Ayato si staccò da lei, ma solo per guardarla negli occhi. «Dillo!» urlò. «Di’ che appartieni a me! Di’ che non mi tradirai mai!»

Ma la fanciulla preferì restare in silenzio, lasciando solo che le lacrime salate solcassero il suo volto, mentre il vampiro ricominciava a bere il dolce liquido scarlatto.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Ed eccovi un aggiornamento record! Siete felici? Non vi importa minimamente? Perfetto! Perché non aggiornerò per un po’ di tempo!

Kou: Sembra una televendit— Aspetta, COSA?!

Hai capito bene purtroppo, biondino. Sapete, sto trascurando un po’ le altre due fic, perciò ho pensato di aggiungere un altro chappy qui (dato che Ayato non mi crea molti problemi) e poi correre negli altri fandom. Mettetevi nei miei panni da ragazza baka che ha deciso di iniziare tre long insieme!

Kou: No, forse non hai capito. Io sono contento di non vedere più aggiornamenti per un bel po’ di tempo ^^

CATTIVO KOU-KUN T^T

Kou: No, aspetta…

Shuu: L’hai fatta piangere.

Reiji: Un uomo non deve mai far piangere una donna.

Laito: Non si fa così con la nostra Bitch-chan~

Kanato: Vergognati.

Subaru: Neanche io sono così bastardo con le ragazze.

Kou: ç_ç

Grazie ragazzi…

Shuu + Reiji + Laito + Kanato + Subaru: Figurati, era solo per insultare un po’ Kou.

ç_ç Comunque, so già di riceverne di negative solo perché si tratta di Yui, lasciate una recensione per farmi notare eventuali errori (dato che ho scritto il chappy in poche ore), per dirmi a chi pensate che vada il prossimo primo morso o solamente per dirvi se vi è piaciuto o no.

Laito: Piaciuto cosa, Channy~?

IL CAPITOLO, OVVIAMENTE.

Laito: Specifica la prossima volta ;)

Pervertito. Detto questo, mi dileguo alla svelta :3

-Channy

 

 

Laito’s Post Scriptum:

Cos’è questo Angoletto nell’Angoletto, Laito-kun?

Laito: Non sarai ancora arrabbiata con me, ne?

Certo che sono arrabbiata con te, baka! NON TI PERDONERÒ COSÌ IN FRETTA.

Laito: After all, it’s all over, isn’t it?

NOOOO, non cantarm—

Laito: Q. E. D----

Perdonato. *Laito festeggia con i macarones*

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Capitolo 12
*** Memories ***


-MEMORIES.

 

 

Quella era una sera davvero bella: la Luna piena, il cielo sereno e si percepiva sulla pelle una quasi impercettibile brezza tiepida che donava dei leggeri brividi. Kin adorava le notti come quelle, seppur da piccola le aveva odiate con tutta se stessa, poiché erano sempre state troppo silenziose per un tipo estroverso come lei, per una ragazzina che rendeva pura e semplice essenza della sua intera vita ogni singolo individuo che le stava vicino. Aveva sempre pensato che sarebbe stata perfetta, per il suo futuro, una professione socialmente utile alla gente, un lavoro, un passatempo qualunque, solo per regalare una risata ad una persona che non sapeva più come sorridere; si era da sempre vista come un’eroina pronta a sconfiggere i cattivi e a far trionfare la pace, proprio come le insegnavano gli anime che vedeva a dieci anni. A scuola le cose erano sempre andate bene, fin troppo; il suo ottimismo, la sua energia, la sua sana voglia di vivere e il suo saper cantare come un usignolo le avevano donato giornate meravigliose, l’avevano fatta beare della presenza di persone che amava e che la amavano. Tutto perché si era da sempre impegnata affinché la gente fosse moralmente attratta da lei – si era iscritta a numerosi club, aveva tentato di entrare a far parte del comitato studentesco della sua ex scuola, aveva frequentato assiduamente le lezione di musica ed era stata sempre disponibile ad aiutare i suoi vecchi compagni di classe con i compiti scolastici. Non le importava se tutte quelle attività le procuravano stress, non le importava se stava trascurando se stessa per gli altri. Era in pace con il mondo, e le bastava. Le bastava ricevere lodi d’ammirazione da parte delle ragazzine, le bastavano quei tre bambini che bussavano alla porta di casa sua per portarle le caramelle, le bastava ricevere attenzioni da quel ragazzo della porta accanto, quello di qualche anno più grande, quello che aveva il sorriso più bello che avesse mai visto. Kin era felice con poco e questa felicità era capace di contagiare un po’ tutti.

Ma quelli erano solo bei ricordi che, di tanto in tanto, ritornavano a galla, prendendosi gioco della ragazza a più non posso. Kin si era ripromessa più e più volte di non pensare più a quei tempi, si era imposta a guardare verso il futuro, ma la verità era che pensare al futuro quando il passato continuava a rodere vivamente dentro di lei era molto difficile.

La ragazza emise un grosso sospiro e si sistemò i lunghi capelli rossicci in modo che le potessero ricadere sulle spalle e poi sulla pancia, facendoli quasi assomigliare ad una collana di velluto.Aveva tentato di rintracciare Subaru nell’ampio giardino dove erano stati la notte precedente ma, da quello che poteva osservare, l’albino non era nei paraggi.“Meglio così”, si era detta. “Almeno avrò un po’ di tranquillità.”

Sedendosi su uno dei gradini della scalinata che portava al giardino immenso aveva iniziato a pensare a Subaru: non metteva in dubbio che fosse un bel ragazzo – accidenti a lei e ai suoi deboli! – ma le faceva rabbia sapere che era stata scelta solo perché era l’unica ragazza disponibile. “Aveva ragione Selena a pensare che fossimo come oggetti per questi scemi!”

Decise di mettere da parte il discorso e di concentrarsi maggiormente sullo scorrere del tempo; l’ultima volta che aveva controllato erano circa le 10:45. Mancava ancora molto alla semi-libertà. Non riuscì a non sbadigliare: si stava annoiando a morte e sicuramente non erano passati più di cinque minuti da quando si era seduta. Decise, quindi, di passeggiare un po’ nel roseto, sperando di riuscire ad ingannare il lontano ticchettio del grande orologio della villa che scandiva il tempo aiutandosi con la genuina fragranza delle rose che erano state coltivate con tanto amore…

Si addentrò nel roseto e un aroma delicato le invase le narici: possibile che esistesse davvero la perfezione? Che ci fosse davvero qualcosa di unico ed inimitabile? Come poteva una cosa tanto bella come quel roseto trovarsi in un luogo tanto brutto come la Magione Sakamaki?

«Oi, Mugon(*)! Cosa hai intenzione di fare nel mio roseto?» tuonò Subaru, apparso all’improvviso al fianco della ragazza, calcando la parola mio.

Kin, dal canto suo, si spaventò, e anche tanto ma non emise nessun urlo, nessun lamento, nessuna esclamazione; l’unica cosa che riuscì a fare fu tentare di ripristinare il respiro, accelerato di colpo insieme al cuore a causa del teletrasporto del vampiro. «Sub… ba…»

«Non provare a dire una sola parola!» urlò l’albino strappando una rosa e gettandola a terra, per poi calpestarla.

“Anche se lo volessi, non posso parlare, rincoglionito di un vampiro!” urlò Kin nella sua testa e chiudendo gli occhi con forza.

Subaru soffocò un ringhio, osservando con risentimento il fiore ormai morto sotto i suoi piedi; quelli non erano scatti d’ira, no, lui era perennemente arrabbiato con il mondo, con la gente, con qualsiasi essere vivente che abitasse quel pianeta schifoso, perché non facevano altro che distruggere senza pietà le uniche cose verso le quali provava un po’ d’affetto. Sapeva benissimo che la rabbia non l’avrebbe portato da nessuna parte, ma trovava gratificante prendere a pugni qualcosa, che fosse stato un muro o una persona. «Perché hai accettato di venire qui?» le chiese ad un tratto, cogliendola di sorpresa.

Kin non seppe né cosa rispondere né come rispondere. Effettivamente, cosa diamine l’aveva spinta ad accettare di diventare la preda di un vampiro? L’adrenalina di fare un’esperienza nuova? Le suppliche di Yui e Selena? Oppure solo il semplice fatto che fosse attratta da quelle personalità più forti?

«Lascia stare, non mi interessa» riprese lui, scuotendo la testa verso il basso. «Farai meglio ad andartene, prima che sia troppo tardi. Sono stato abbastanza chiaro?»

“Sta seriamente dicendo che posso andarmene?!” Anche qui, Kin rimase interdetta: cosa avrebbe dovuto fare? Magari, quella, era una semplice domanda a trabocchetto, giusto per metterla alla prova. O magari no.

Vedendo che la ragazza dai capelli rossi non accennava a muoversi, Subaru la spintonò con mancata delicatezza, per invogliarla ad abbandonare quel giardino alla svelta. Ma il risultato fu solo quello di farle perdere l’equilibrio e farla cadere rovinosamente a terra. E fu allora che un dolce aroma si sparse nell’aria, ma non quello che emanavano le rose: era un odore abbastanza dolce ma, allo stesso tempo, il vampiro riusciva a percepire una punta di asprezza che lo allettava non poco. Non si preoccupò di aiutare Kin a rimettersi in piedi, piuttosto le afferrò il polso con una tale forza che la giovane ebbe l’impressione che l’osso si fosse spezzato. Solo allora si accorse del taglietto che padroneggiava il suo dito indice e che Subaru stava osservando intensamente.

«Mi dispiace» disse l’albino chiudendo gli occhi e avvicinandosi pian piano a lei. «Ma sei troppo lenta.»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Sinceramente, credevo di aggiornare direttamente a dicembre, invece me la sono cavata con due settimane di anticipo ^^ Ora, so che si tratta di Subaru quindi automaticamente tutte avranno la pressione a livelli stellari, ma vediamo di stare tutte motto camme cammissime (?)

Reiji: *facepalm*

LOL. Ora rimangono gli ultimi due “primi morsi” perciò tenetevi pronte, ragazze! Lasciatemi una recensione se volete, mentre io vado a pensare al prossimo chappy. SPOILER: non arriverà tanto tardi.

Kou: EH! VOLEEEVI LO SPOILER!!!

AllOthersVampires + Channy: *facepalm*

Kou: Che ho detto?

Teddy: *facepalm*

ANCHE TEDDY FACEPALMA!

Kanato: È ovvio u.u

Dopo questo piccolo sclero, direi che l’Angoletto può finire qui. Dileguiamoci, ragazzi.

AllVampires: Okay, smidollata ^^

Branco di baka ç_ç

-Channy

 

 

(*) Mugon: Dovrebbe significare “muto” (non esclamativo, attenzione) ma non ne sono completamente sicura. Nel caso fatemi sapere se ho fatto bene o se ho sbagliato ;)

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Capitolo 13
*** Fear ***


-FEAR.

 

 

Non sapeva con esattezza cosa stesse facendo. Si era fatta coraggio per andare da Kanato e chiedergli gentilmente di restituirle quel braccialetto a cui era tanto affezionata, se l’era letteralmente imposta; se fosse dovuta restare in compagnia di quel vampiro per ancora tanto tempo, tanto valeva farselo amico il più possibile. E invece? Era rimasta bloccata davanti la porta della sua camera come un manichino. Sapeva che Kanato era al di là di quell’uscio – poteva chiaramente sentire la sua risata agghiacciante – ma non riusciva a muoversi; pensava che la causa di quella sua paura riemersa all’improvviso fosse quella leggera voce inquietante che proveniva dalla camera da letto che la fronteggiava, ma tentò di convincersi del contrario. Non poteva avere paura per sempre, altrimenti sarebbe stata alla mercé di tutti e questo proprio non le andava giù. Chiuse gli occhi con forza e, con uno scatto, bussò alla porta. Udì le risatine e i mormorii cessare, lasciando spazio al silenzio più totale.

«Avanti» lo sentì dire, con tono di voce basso e calmo.

La ragazza entrò piano e silenziosamente, obbligandosi a sorridere appena incrociò gli occhi grandi del vampiro. «Ciao, Kanato-kun» lo salutò appoggiandosi alla porta semi-aperta e chiudendola con la schiena, mentre indietreggiava lentamente. Osservò il vampiro: era seduto su una poltrona accostata ad un tavolino, sulle sue gambe c’era Teddy, stretto dal suo padrone, che la stava osservando attentamente a sua volta.

«Ciao, Miki-chan» disse lui piegando leggermente la testa di lato. «Finalmente ti sei decisa ad entrare. Ero convinto che saresti rimasta lì fuori per tutto il tempo.»

Lei sgranò gli occhi. «Come…?»

Dal suo canto, Kanato iniziò a dondolare le gambe, alternandole in un ritmo cantilenato. «Scema. Non avevi capito che posso sentire il tuo odore?» le disse, per poi aggiungere con un risolino: «Tutti possono sentire il vostro odore. Anche Teddy, ne?»

Miki si sentì quasi male nel sentire quelle parole; sapeva che stava scherzando per la cosa detta su Teddy – stava scherzando, vero?! – ma le vennero i brividi ugualmente.

Nell’osservare la sua espressione sconvolta e nel sentire il suo respiro pesante, Kanato si mise a ridere sempre più intensamente, quasi stritolando il suo adorato orsacchiotto al petto. «Sei così divertente, Miki-chan!» esclamò tra una risata e l’altra.

La ragazza non seppe bene come reagire; da una parte voleva ridere con lui, per tentare di alleggerire quello strato di tensione e paura che l’avvolgeva, ma dall’altra parte aveva voglia di mettersi a piangere. Come poteva essere stata così superficiale? Avrebbe dovuto immaginare che i vampiri avessero dei poteri speciali, come le diceva sempre il suo fratellone quando erano entrambi piccoli. Odiò ammetterlo a sé stessa, ma…

 

«Takumi-nii, finiscila!»

«È la verità, Miki-nee! Loro vivono di notte, si nascondono nel buio e sanno sempre dove sei. E poi… TI MORDONO E TI UCCIDONO!»

«TAKUMI-NII SMETTILA!»

«Non serve a niente urlare. Finirai per incitarli ancora di più, lo sai? Proveranno ancora più piacere nel farti soffrire.»

«MAMMA! PAPÀ!»

«Takumi, te ne prego, non raccontare queste cose a tua sorella. È ancora piccola.»

«Ma mamma… Mi stavo divertendo…»

 

… Ma suo fratello aveva pienamente ragione. Nonostante anni ed anni di rassicurazioni, di Takumi stava scherzando e di giorni passati in compagnia di Vixyl, la paura non le era mai passata del tutto. Con la consapevolezza di essere cresciuta e che i vampiri non esistessero, il Fato le aveva giocato un brutto scherzo, facendola egoisticamente finire proprio nel luogo dei suoi incubi peggiori. Come tocco finale si era prepotentemente ritrovata tra le attenzioni del vampiro che le sembrava il più strano e spaventoso di tutti.

Intanto, Kanato si era inginocchiato a terra e aveva adagiato Teddy sul sedile di un cavallo a dondolo in legno laccato di rosso e, delicatamente, lo stava facendo dondolare. Avanti e indietro, avanti e indietro. Miki avrebbe potuto giurare di essersi incantata nell’osservare quel movimento lento e incessante; aveva pensato che quel vampiro dalle spaventose occhiaie nere fosse tutto tranne che delicato, ma aveva iniziato a ricredersi.

«Ti prego di non restare lì impalata. Vieni qui, per favore.»

«Sì.» “È anche gentile.”

Si avvicinò velocemente e si inginocchiò di fianco a lui, dove poté guardare meglio i suoi lineamenti: erano dolci, quasi infantili, ma lasciavano trasparire un certo livello di maturità. Aveva sbagliato a giudicarlo fin da subito.

«A Teddy piace tanto giocare con questo cavallo a dondolo» disse il vampiro rivolgendo un sorriso amorevole all’orsacchiotto.

«Davvero?» domandò lei tenendo gli occhi fissi sul volto sorridente del peluche.

«Sì» rispose Kanato senza smettere di far dondolare il giocattolo. «Gli ricorda tanto la nostra infanzia.»

Miki giurò di aver sentito una nota malinconica nella sua voce, ma decise di non farci molto caso – dopotutto, anche lei diventava nostalgica quando si parlava dei tempi in cui era solo una bambina. Che fosse un qualcosa in comune con il vampiro che le stava di fianco?

«Anch’io da piccola avevo un’amica di stoffa» disse la ragazza sorridendo appena, senza pensarci.

Fu un attimo. Miki si ritrovò sdraiata a contatto con la moquette morbida e calda, i polsi bloccati ai lati della testa e Kanato sopra di lei, con gli occhi pieni d’ira e rancore. La ragazza percepì nuovamente la pelle d’oca, per la seconda volta in pochi minuti.

«Cosa vorresti dire?» le chiese con voce bassissima. «TEDDY NON È COME TUTTI GLI ALTRI!» urlò lui, improvvisamente isterico.

Miki si spaventò non poco nel sentire quella voce furiosa. Percepì molta, troppa, rabbia repressa in quelle parole. «Ma cosa ho detto di sbagliato?» chiese con un filo di voce.

Il vampiro diede vita ad una risata orribile, malata e provocatrice. «Tu non capisci. Tu non puoi capire» disse Kanato tenendo lo sguardo basso. «TU NON POTRAI MAI CAPIRE!» Le abbassò con prepotenza la scollatura della maglietta color confetto per scoprirle in parte il petto; sul suo viso si dipinse un sorriso distorto ed inquietante nell’osservare la pelle rosea della ragazza che stava sovrastando. Fece scorrere lentamente un dito dalla sua gola fino all’inizio dello sterno, provocandole strani brividi, che lei attribuì alla paura e al freddo. Spalancò le sue fauci appuntite e le conficcò nella tenera carne di Miki, che gemette di dolore. Kanato, invece, emise un verso d’approvazione, come a volersi congratulare per l’ottimo sapore del sangue della ragazza senza smettere di gustarlo. «Il tuo sangue… È così dolce… Ed è tutto mio…» disse tra un sorso e l’altro.

Miki, non riuscendo a replicare per la mancanza di fiato nei polmoni e sentendo le forze scivolare via pian piano, si limitò ad osservare Teddy, che se ne stava tranquillamente seduto su quel cavallo a dondolo rosso, ad osservarli e a sorridere; sembrava quasi che si stesse prendendo gioco di lei, che le stesse dicendo cose a proposito dell’affetto, del voler bene, dell’amare. La verità era che i suoi presentimenti erano giusti, dal primo all’ultimo. La fanciulla non riuscì a mettersi in contatto con quel peluche apparentemente innocente, ma una cosa le era certa: stava iniziando ad odiare la sua vita.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Ma salve bella gente! Visto che aggiornamento veloce velocissimo? È arrivato il turno del nostro quasi ragazzo bipolare preferito! Vi piace? Spero proprio di sì… Se volete, lasciatemi una recensione e ditemi se ho sbagliato qualcosa oppure no. Dai, che ho voglia di migliorare ^^

Reiji: Queste frasi sono rare. Lettori, approfittatene.

Sapevo che saresti spuntato da un momento all’altro -.-

Reiji: Tu necessiti della mia presenza, il che è bel diverso.

Almeno mi vuoi bene ^^

Reiji: Brava, la speranza è l’ultima a morire.

Kou: Sì, sì, concordo ^^

… mh. A proposito, Reiji-san: il prossimo sei tu, contento?

Reiji: *si affoga col suo stesso tè*

Grazie per aver letto, gentaglia! Io mi dileguo rapidamente e vi lascio liberi ;)

-Channy

 

 

Post Scriptum: Per chi non lo sapesse, Kanato in camera sua ha davvero un cavallo a dondolo rosso…

Kanato: Qualcosa in contrario?

No, assolutamente. Andiamo a fare merenda, Kanatuccio ^^

Kanato: TI SEGUO.

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Capitolo 14
*** Poison ***


-POISON.

 

 

“Calcolando l’ampiezza del tappeto e la lunghezza di una singola mattonella, in totale dovrebbero fare sei metri e settantasette centimetri approssimati. Sì, così dovrebbe andare.”

Selena appuntò tutto sul foglietto di carta che aveva ben pensato di portare da casa, poi lo ripiegò e lo rimise nella piccola tasca dei suoi jeans chiari. Quel giorno aveva ben pensato di completare un progetto che le girava in testa da un po’ di tempo, ma per poterlo fare occorreva una grande quantità di misure e di un’accurata visita in quella magione apparentemente gigantesca. La ragazza aveva fatto una scoperta che l’aveva lasciata perplessa e che, ne era certa, avrebbe lasciato tentennare anche le sue amiche, quelle che aveva lasciato gironzolare per quel posto senza dar loro neanche un avvertimento o qualcosa del genere – il che poteva essere paragonato ad un record a livello mondiale – sorprendendo se stessa per quella mancanza di curanza che, normalmente, la caratterizzava, facendola diventare anche un po’ noiosa e pesante, per non dire insopportabile. A Selena venne in mente subito la sua sorellina, a cui era tanto affezionata; si comportava sempre come una madre nei suoi confronti, nonostante l’altra non la considerasse tale. Non avevano mai smesso di essere una famiglia, si erano soltanto adattate alla situazione che vivevano quotidianamente da all’incirca undici anni. Dopotutto, doveva pur esserci una figura materna nella loro piccola abitazione umile, per questo la ragazza dai capelli blu si era imposta quell’obbiettivo, quello di far crescere bene sua sorella minore. Da sempre era convinta di poterci riuscire, nonostante i piccoli problemi che venivano a crearsi tra di loro, mettendole alla prova ogni singolo giorno.

«Milady, non vorrei assolutamente importunarti, ma staresti bloccando il passaggio.»

Selena ritornò bruscamente alla realtà, accorgendosi di essersi incantata a fissare il pregiato ed elegante tappeto rosso. Si voltò di scatto ed incontrò quasi subito quei due occhi color lampone lampeggianti nel buio; non voleva sbagliarsi, ma le parve scorgere una scintilla di rabbia in quelle due iridi. «Chiedo perdono, non me n’ero resa conto» disse la ragazza chinando il capo in segno di scuse.

«Perdono acconsentito solo in cambio di una tazza di tè con il la mia persona.»

Selena alzò un sopracciglio. «Tè?»

«Precisamente tè nero» rispose Reiji sorridendo cordialmente.

“Tè? In piena notte? Ma con chi accidenti sono finita?!” Non seppe bene cosa rispondere; il tè nero le piaceva, ma non ne andava matta. Era raro che bevesse una bevanda calda e sanificante con tutta calma e tranquillità, perciò pensò di accettare l’invito del vampiro. “Dopotutto, un tè nero non ha mai avvelenato nessuno!”

Nonostante Reiji non avesse smesso di sorridere neanche per un secondo, la ragazza-genio vide un sottile mutamento, in quel sorriso, facendolo mutare in un ghigno sottile. Si diede mentalmente della stupida; no, perché avrebbe dovuto ghignare? Non ce n’era assolutamente motivo.

«Da questa parte» disse il vampiro iniziando a camminare lungo il corridoio.

La stanza dove avrebbero consumato il caldo infuso non era molto distante da dove si trovavano, perché si rivelò essere collegata ad una porta poco distante da dove Selena si trovava già precedentemente; non era altro che la sala dove Reiji studiava durante tutta la notte, quella dove la parete più larga era ricoperta da una libreria stracolma di libri scientifici e matematici che la ragazza, la sera prima, si era divertita a sfogliare, trovando in loro l’immenso fascino della sapienza. Si accomodò su una poltrona – che le risultò essere molto più confortevole delle sue previsioni – e lesse distrattamente alcune pagine di un libro di biologia, lanciando di tanto in tanto uno sguardo fuggiasco al vampiro che le dava le spalle, al bancone della stanza, intento a preparare la bevanda calda. Dopo una decina di minuti, l’infuso fu pronto e servito con un vassoio d’argento, il liquido scuro già versato in due eleganti tazze in ceramica bianca con leggeri richiami floreali in argento.

«Ecco a te, Milady» disse il vampiro poggiando delicatamente il vassoio sul tavolino e accomodandosi sulla poltrona di fronte a quella dove si trovava la ragazza-genio.

«Grazie» rispose lei prendendo una tazzina con sotto un sottile piattino.

Reiji la imitò, portandosi alle labbra la tazza e bevendo un sorso di quella bevanda deliziosa; Selena, invece, preferì aspettare che si raffreddasse, soffiando delicatamente e creando delle piccole onde sulla superficie del liquido scuro, sotto lo sguardo attento del vampiro secondogenito. Quando ritenne che il calore si fosse attenuato, portando la bevanda alla temperatura giusta per lei, la ragazza sorseggiò il tè, per poi rimanere ferma ma muovendo leggermente le labbra, come a voler assaporare meglio.

«Il gusto forse non è di tuo gradimento?» chiese Reiji alzando un sopracciglio.

Selena aggrottò le sopracciglia. «No, ma… Deve essere una nuova marca» disse leccandosi appena il labbro inferiore.

«Il tè di questa casa è prodotto da un’azienda particolarmente raffinata, quindi il sapore deve essere obbligatoriamente eccellente» spiegò il vampiro finendo di bere la sua porzione ad occhi chiusi.

«Forse sono io a non essere abituata a questo tipo di marche. Se è davvero così costoso, sicuramente questa è la prima volta che lo bevo» rispose Selena dopo aver bevuto un altro sorso, che le sembrò ancora più strano di quello precedente.

«Potrebbe essere una questione di dolcezza. Magari tu lo preferisci più zuccherato?» chiese Reiji riponendo la sua tazzina col piattino sul vassoio in argento.

«Non credo» replicò la ragazza. «Percepisco qualcosa di diverso nell’infuso.»

A quel punto, sul viso di Reiji comparve un ghigno malvagio. «Capisco. Allora devono essere le gocce di micro-tossine che ho inserito nella tua tazza. Sono costernato per non avertelo detto, Milady.»

Selena spalancò gli occhi e li puntò sul vampiro che la fronteggiava. «Mi hai avvelenata?!» gridò, per poi iniziare a tossire ripetutamente.

«Urlare è maleducazione, Milady, dovresti saperlo» rispose Reiji senza batter ciglio, per poi osservare il suo orologio da taschino. «Esattamente due minuti e ventitre secondi. Eccellente.»

Intanto Selena aveva rovesciato il liquido avvelenato su tutta la superficie del tavolino e, per riflesso, si era portata le mani alla gola, nel disperato tentativo di rimuovere il veleno dal suo corpo, nonostante fosse consapevole che ciò fosse chimicamente impossibile. Reiji non aveva mosso un muscolo, limitandosi ad osservare i movimenti della ragazza e ad appuntare mentalmente gli effetti delle tossine che le aveva somministrato con innata facilità.

«Tengo a renderti consapevole degli effetti del veleno che hai assunto» disse con voce seria e inalterata. «Non sono tossine mortali, ma ti renderanno altamente sensibile a qualsiasi suono che udirai. L’effetto dovrebbe durare circa un’ora, poi i tuoi anticorpi riusciranno ad opporsi al virus ed eliminarlo definitivamente. Ti è chiaro?»

Selena, che si era accasciata contro la libreria nel tentativo di restare in piedi e di farsi forza, gli lanciò un’occhiata piena d’odio e rabbia, che servì solo a compiacere il vampiro. «Perché… Fai… Questo…?» chiese la ragazza con voce debole e provata dal veleno.

«Perché ho bisogno di approfondire le mie ricerche. La teoria a volte non basta» rispose lui raddrizzandosi gli occhiali.

A Selena parve di sentire lo sparo di un cannone, per poi sentire un numero impreciso di voci farsi chiare nella sua testa: erano urla, imprecazioni e frasi confuse, tutte sovrapposte, senza un ordine preciso. Le facevano male, sentiva la testa scoppiare e le mani che le tappavano le orecchie non servivano a nulla.

«Non sai nemmeno cosa sia il dolore.»

«Fai silenzio.»

«Di’ che appartieni a me!»

«Sei troppo lenta.»

«Il tuo sangue… È così dolce… Ed è tutto mio…»

Pian piano riuscì a riconoscere tutte le voci, realizzando che le altre stavano già soffrendo e molto. “Cosa ho fatto? Perché le ho portate qui? Cosa mi è passato per la testa?” «Per favore, smettetela…» disse Selena con un fil di voce.

Reiji le si avvicinò lentamente ma senza tentennare, osservandola dall’alto in basso. «Gli effetti sono quelli che precedentemente avevo previsto» le disse il vampiro guardandola mentre lei scuoteva violentemente la testa.

«Quanto… Tempo è… Passato?» chiese guardandolo negli occhi.

«Pochi minuti» le rispose con un ghigno. «La tua sofferenza durerà ancora a lungo, se è questo che vuoi sapere.»

La ragazza lanciò un urlo misto al dolore e alla stizza, poi crollò a terra, rabbrividendo al contatto con le mattonelle fredde e pulite alla perfezione che ricoprivano tutto il pavimento. Reiji si inginocchiò elegantemente di fronte a lei e le prese una mano tra le proprie. «Lascia che ti faccia un baciamano per ringraziarti della tua gentilezza.»

Le diede solamente tempo per lanciargli l’ennesima stilettata, poi le baciò il dorso della mano, per poi morderglielo violentemente; Selena, tuttavia, non sentì molto dolore, a causa dei forti rumori che continuavano a rimbombarle in testa. Guardò il vampiro che la fronteggiava intento a succhiarle il sangue. «Ti odio.»

Reiji, nel sentire quelle parole dette con tanta sincerità, staccò i suoi canini dalla pelle della ragazza lentamente, poi puntò i suoi occhi in quelli di lei. «Il sentimento è pienamente reciproco, Milady.»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Ed ecco qui il nostro scienziato pazzo per eccellenza, ragazze mie!

Reiji: Ti prego di usare termini maggiormente appropriati quando parli della mia persona.

Sì, certo… Tu inizia a parlare normalmente, grazie.

Reiji: Io parlo normalmente a tutte le ore, sei tu che storpi le parole.

Ma se storpio le parole risultano più divertenti, ne minna-san?

Kou: Concordo con Neko-chan u.u

Ayato: Idem!

Laito: Channy ha sempre ragione *^*

Reiji: Povera generazione futura…

Yuuma: Parli come un vecchietto!

Subaru: HEY! SONO IO QUI QUELLO A PRENDERE IN GIRO LA GENTE!

Yuuma: *dub*

Subaru: *facepalm*

Comunque, cari lettori e lettrici: vi ringrazio con tutto il cuore di aver letto questo capitolo e sono altrettanto felice di annunciarvi che è finito il Primo Atto, se così si può chiamare. Cosa voglio dire visto che mi capisco solo io? Ebbene, ormai abbiamo conosciuto le ragazze, sappiamo le cose essenziali di loro e lo stesso vale per i dolcissimi Sakamaki, perciò si può dire che l’approccio è finito. Ora inizierà ad esserci la vicenda principale, quella che farà dannare un po’ tutti, tranne quella sadica della sottoscritta, contenti?

Ayato: Sinceramente sì, così Ore-sama potrà dimostrare di essere un fenomeno!

Seh, contaci. Ebbene, gentaglia, vi invito a lasciarmi una recensione e fatemi sapere se questo Primo Atto vi è piaciuto ^^

Laito: Qui mi verrebbe da rispondere…

Kou: Neko-chaaaan non puoi dire queste cose quando Laito-kun è presente! S

iete un branco di malpensanti. Intendevo l’insieme dei primi capitoli di questa long, baka -.-“

Laito: Sei sicura? *headshot with printer for Laito*

-Channy

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Capitolo 15
*** Criminals and Cookies ***


-CRIMINALS AND COOKIES.

 

 

Non era mai stata il tipo di persona tendente al tradimento, ma neanche un’accanita della concorrenza ferrea; era una normale dipendente incredibilmente attratta dall’informazione in generale, niente di più né di meno. Per questo motivo, quella mattina, mentre si dirigeva verso la redazione, pronta per una nuova giornata di lavoro, Yui aveva fatto una sosta all’edicola, attratta da un titolo in particolare di un giornale che non era quello per cui lavorava lei. Decise di acquistare comunque il quotidiano, ma preferì leggere l’articolo che le interessava solo durante la pausa pranzo a lavoro, facendo ben attenzione a non farsi scoprire da nessuno dei suoi colleghi pettegoli che avrebbero sicuramente fatto la spia con il capo, e allora sì che sarebbe stata nei guai fino al collo, se non oltre. Era riuscita a tenere ben nascosto il giornale nel suo zainetto senza destare sospetti in giro e si sentiva abbastanza orgogliosa del fatto, ma poi si era lasciata sovrastare dal panico – come avrebbe fatto a leggere quell’articolo senza farsi notare? Come sarebbe riuscita a ingannare ancora i suoi colleghi? Avrebbe dovuto aspettare la sera? No, lei aveva una voglia matta di leggere quell’articolo, la curiosità le stava lentamente sfuggendo di mano.

Per pranzare decise di sedersi in uno dei tavoli in fondo alla sala della mensa, come faceva di solito, e di far finta di stare mangiando il suo buon bento con la sola compagnia di una piacevole lettura. Magari, così facendo, non avrebbe attirato molto l’interesse degli altri dipendenti in pausa. Mangiò velocemente gli onigiri, notando orgogliosamente di essere migliorata molto nella preparazione di questi ultimi, per poi concentrarsi sull’articolo che tanto le aveva catturato l’attenzione.

 

“BANDITO IN NERO LASCIA UN MESSAGGIO AL GIAPPONE”

“Questa mattina presto è stata rinvenuta una lettera alla centrale di polizia di Tokyo, firmata da Kuro Sanzoku, pseudonimo di un uomo di cui non si conosce l’identità. La lettera è stata trovata da un agente di sorveglianza all’alba durante un cambio di guardia, insieme a dei chiari segni di infrazione vicino le porte d’entrata della centrale; dalle prime indagini sembrerebbe che nessuno si sia introdotto nella struttura, ora al centro delle attenzioni di numerosi investigatori provenienti anche da altre città. Sembra essere l’inizio di una lunga serie di furti e violazioni, per questo le autorità consigliano ai cittadini di tutto il Giappone di prestare particolare attenzione ai propri averi. La lettera rinvenuta contiene un messaggio tenuto top secret dagli agenti, ma sembrerebbe avere un contenuto destinato al popolo nazionale. Gli agenti hanno assicurato di fare il loro meglio per rintracciare e catturare il bandito, ma per il momento il ricercato è ancora a piede libero, senza intenzioni chiare alle autorità.”

 

Yui non poté fare altro che preoccuparsi; il Giappone, come il resto del mondo, era pieno di criminali e serial killer, perciò quella notizia la mise in allarme. Sapeva che le probabilità di ritrovarsi faccia a faccia con quel bandito in nero erano davvero poche, ma non riusciva a non tremare di paura.

«Hey, Eve. Che hai? Stai tremando tutta…»

Per un attimo si spaventò per quel brusco ritorno alla realtà, ma si tranquillizzò dopo aver riconosciuto quella dolce voce maschile. Alzò i suoi occhi magenta e li fece immediatamente scontrare con quelli color lavanda di Azusa, che si era seduto sulla sedia di fronte a lei, con la precisa intenzione di pranzare facendole compagnia.

«Azusa-kun» balbettò lei ricordandosi, poi, di chiudere il giornale e metterlo via.

Azusa si accorse di quei gesti veloci, che si affrettavano a riporre nello zainetto della ragazza quel giornale che non gli sembrava per niente familiare, rimanendo disorientato; non era da Yui comportarsi in quel modo, perché di solito lei prediligeva la condivisione delle cose, la socialità, la compagnia. Dedusse che aveva davvero qualcosa da nascondere. «Cos’hai lì? Un giornale?» chiese Azusa lentamente mentre indicava lo zaino della bionda.

«Ehm, no, niente del genere!» si affrettò a negare Yui per poi mangiare un po’ di tofu.

«Allora cos’era?»

«Oggi sei curioso, Azusa-kun.»

«Oggi sei schiva, Eve.»

«Potresti chiamarmi col mio nome, per favore?» gli domandò passandosi una mano sulla fronte.

«No, Eve» le rispose Azusa con un sorriso.

Yui incrociò le braccia appena finito di mangiare il bento che lei stessa aveva preparato quella mattina presto, prima di uscire di casa per raggiungere la redazione.

Azusa si arrese davanti quell’adorabile espressione corrucciata e decise che, da bravo giornalista, l’avrebbe scoperto da solo, magari consultando diverse fonti attendibili – Tara e Harumi sarebbero state perfette per i suoi scopi, loro sicuramente avrebbero saputo spifferargli qualcosa. «Come procede l’indagine della villa misteriosa?» domandò il ragazzo masticando lentamente un po’ di salmone del suo sushi.

La ragazza tentennò nel rispondere; sicuramente aveva moltissimo materiale con cui lavorare, ma se avesse scritto qualcosa di sbagliato i Sakamaki sarebbero stati in pericolo e sarebbero stati costretti ad abbandonare la loro casa, a causa della sicura grande quantità di persone che sarebbero andate alla Villa, tra curiosi e non. Erano passate tre settimane dal giorno del suo primo incontro con quei vampiri, ma aveva già avuto l’opportunità di conoscerli tutti, uno ad uno, e avrebbe potuto dichiarare di essere riuscita ad accettare almeno in parte i loro caratteri. Riusciva ad andare d’accordo con tutti ed era anche in grado di intraprendere una conversazione abbastanza normale a seconda di chi si ritrovava davanti. Non interagiva molto con Shuu e Subaru a causa dei loro caratteri schivi – più volte si era chiesta come facessero Harumi e Kin a riuscire a stare in loro compagnia senza annoiarsi – mentre evitava accuratamente di imbattersi in Reiji nei pressi del suo laboratorio – non aveva nessuna intenzione di essere avvelenata anche lei. I trigemini – come facevano quei tre ad essere così diversi tra loro pur essendo gemelli sarebbe rimasto un mistero, per lei – erano sicuramente i più socievoli tra i sei, oltre ad essere maggiormente allusivi e strani: capiva i disturbi psichici di Kanato di cui le aveva parlato Reiji – provava un sacco di compassione per Miki –, ma proprio non riusciva a spiegarsi l’origine delle perversioni di Laito – e preferiva non ricordare come aveva avuto il piacere di scoprire quel suo lato perverso. Tirò verso il basso una manica della sua maglia per coprire meglio le cicatrici del morso che le aveva dato Ayato sull’avambraccio la notte precedente. Le mancò improvvisamente un battito: Ayato. Lui era sicuramente il vampiro con cui andava più d’accordo, nonostante tutti i morsi che le aveva dato e tutte le battutine che le aveva dedicato, con il chiaro intento di prenderla in giro; non poteva negare che, nonostante le desse profondamente fastidio sentirlo ridacchiare con Laito e Shuu per quelle frecciatine che le lanciava di tanto in tanto, a volte si ritrovava a ridere lei stessa per le piccole prese in giro o per l’espressione contrariata del vampiro, desideroso dell’effetto opposto. Si era anche abituata a quel Chichinashi detto con toni di voce sempre diversi, dall’arrabbiato al felice, dal malizioso al dolce, dall’urlato al sussurrato.

«Eve? Tutto bene?»

Yui tornò alla realtà per la seconda volta nel giro di pochi minuti, questa volta più lentamente, mentre l’immagine del vampiro dai capelli rossi spettinati e gli occhi color smeraldo svaniva pian piano, per lasciarle l’opportunità di concentrarsi sul suo collega, nonché amico, che le stava di fronte: la stava scrutando con curiosità, come se avesse una gran voglia di sapere a cosa stesse pensando. «Sì, sì, sto bene. Grazie per l’interessamento.»

«È la seconda volta che ti distrai» le fece notare pulendosi la bocca con un tovagliolo azzurro.

«Lo so, scusami. È che ho così tante cose per la testa che--»

«Tranquilla, non giustificarti» la interruppe sorridendole debolmente.

Yui gli rivolse un sorriso di rimando, ringraziandolo mentalmente di non aver indagato oltre. «Devo andare. A dopo, Azusa-kun.» disse la ragazza alzandosi e riordinando le sue cose.

«Ciao, Eve» le disse Azusa dando più enfasi al saluto con un movimento debole della mano.

 

 

***

 

 

Sentivano le urla ancora prima di entrare all’interno della villa: era Kanato e sembrava essere in preda ad uno dei suoi attacchi isterici. Le ragazze, da fuori, sbuffarono; ogni volta erano costrette o a calmare le acque o a subire le conseguenze delle liti, quasi sempre tragiche.

«Ed ecco il mal di testa» disse Harumi massaggiandosi le tempie.

«Emicrania, vorrai dire» la corresse Selena aprendo la porta d’ingresso e facendo come se fosse stata a casa sua.

Seguirono le urla, desiderose di sedare l’imminente rissa che avrebbe coinvolto sicuramente tutti i fratelli, per motivi a loro oscuri. I rumori di oggetti in frantumi le fecero dirigere nella sala da pranzo: era grande, enorme, con addirittura un camino in marmo ricco di rifiniture e decorazioni, un tavolo rettangolare a padroneggiare poggiato sopra un ampio tappeto color porpora, con attorno otto sedie. Kanato stringeva Teddy al petto con forza e ansimava a causa dell’ira, mentre Reiji, a braccia conserte, era in piedi dall’altra parte della tavola, con la sua espressione impassibile anche davanti all’espressione furiosa del fratello minore che, al contrario, fece rabbrividire le ragazze. Adocchiarono anche Laito, appoggiato al caminetto, intento a guardare la scena con un sorriso che Harumi, Selena, Kin e Tara si sarebbero divertite a prendere a schiaffi.

«Kanato, ti ho detto di no» disse il secondogenito con voce e occhi di ghiaccio.

«Ed io ti ho DETTO DI SÌ!» rispose il fratello battendo un pugno sul tavolo.

«Okay, cosa sta succedendo?» chiese Tara rimanendo ferma sulla soglia d’ingresso.

Laito si voltò verso di lei e allargò il suo sorriso, mentre i suoi occhi iniziarono a brillare di una luce strana che a lei sembrò così familiare da farla rabbrividire. Dalla notte del suo primo morso era rimasta provata, ma non dal morso in sé, piuttosto dalle parole di quel vampiro. Per i giorni successivi non aveva fatto altro che pensare a quella dichiarazione d’amore così malata e così disgustosa da farle venire da vomitare; insieme a quella poltiglia verde disgustosa vomitò tutti i suoi sentimenti più angoscianti, vomitò anche l’anima, profondamente segnata da quelle parole. Provò con tutta se stessa a far finta di niente durante le serate successive, ma non ci riuscì mai del tutto, a causa di quello sguardo pieno di affetto che le rivolgeva ogni volta che era nei paraggi. Più volte aveva tentato di dirlo alle sue amiche, ma ogni volta giungeva alla conclusione di tenere per sé quella dichiarazione malsana.

«Princess-chan» cinguettò il vampiro saltellando nella sua direzione, mentre la ragazza si parò dietro Harumi per appoggiare i suoi riflessi.

Neanche quel soprannome era pronunciato con dolcezza, come avrebbe fatto una persona realmente innamorata; era detto con voce strana, indecifrabile, come se fosse solo un’abitudine, una routine. Se all’inizio la ragazza dai capelli rosa aveva trovato quel modo di chiamarla adorabile e gentile, in quel momento provò dei brividi spiacevoli nell’udire quel nomignolo. “Sempre meglio del Bitch-chan, però”, provò a convincersi diverse volte, con il solo risultato di detestare ancora di più quel pervertito, che aveva provato anche a farle fare cose alquanto sconce.

«Come sono felice di vederti» le disse afferrandole una mano e portandosela alle labbra per baciarla lentamente, facendo comparire delle espressioni disgustate sui volti delle ragazze.

«Playboy, vacci piano» lo avvertì Harumi allontanando la mano di Tara dal viso del vampiro e mettendosi completamente tra i due, come a voler proteggere maggiormente la ragazza.

«Sei gelosa, Bitch-chan?» disse lui piegandosi in avanti e appoggiando la fronte contro quella della verde.

«Non. Chiamarmi. In. Quel. Modo» disse lei serrando la mascella.

Laito si mise a ridere, divertito dal caratterino piccante di Harumi, allontanandosi di qualche passo, mentre la ragazza fumava di rabbia.

Nel frattempo, Kanato continuava ad urlare e a dimenarsi, furioso per qualcosa che non aveva fatto capire bene: aveva sicuramente a che fare con dei dolci, questo era chiaro a tutte.

«Kanato-kun» lo chiamò Miki avvicinandosi a lui «Mi dici perché sei così arrabbiato?» chiese una volta arrivatagli di fianco.

Il vampiro si voltò di scatto verso di lei, le pupille degli occhi ristrette al minimo facevano trasparire una quantità d’ira che la castana non aveva mai visto in tutta la sua vita. Lui indicò Reiji con il dito. «Non vuole prepararmi nessun dolce» sibilò senza batter ciglio.

Miki deglutì, spaventata.

«Ovviamente c’è una spiegazione al mio rifiuto» disse Reiji incrociando elegantemente le braccia. «Avevo preparato un’intera teglia di biscotti proprio ieri, subito dopo il vostro ritorno nelle vostre rispettive abitazioni. Avevo chiaramente detto che sarebbero dovuti bastare per due giorni, eppure dopo poche ore il vassoio era vuoto. Ora mi sembra chiaro che non mi metterò a preparare altro.»

«NON LI HO MANGIATI IO! È STATO AYATO!» urlò Kanato tornando a guardare il fratello maggiore.

«Non mi interessa chi è stato. Io non preparerò un bel niente.»

Kanato fece per saltare sul tavolo e scagliarsi contro Reiji, ma fu prontamente afferrato per la felpa da Miki che, con tutte le sue forze, tentò di trattenerlo vicino a lei; era a conoscenza della straordinaria forza dei vampiri, ma riuscì a bloccarlo, senza neanche sapere come. «Kanato-kun, lo faccio io» disse la castana facendo qualche piccolo passo indietro per far scendere il violetto dal tavolo.

Kanato, ancora con un ginocchio sulla tavola, si voltò lentamente verso Miki, mentre le pupille tornavano ad allargarsi in maniera innaturale, donandogli nuovamente uno sguardo dolce e quasi infantile.

«Preparerò dei dolci per te e per Teddy, se ti va bene» gli disse allentando un po’ la presa.

Kanato restò in silenzio e immobile per qualche secondo, a scrutare attentamente la ragazza che, ansiosa della sua risposta, faceva involontariamente tremare il labbro inferiore; poi tolse il ginocchio da tavolo e si voltò completamente verso di lei, guardando l’orsetto di peluche in silenzio. «A Teddy sta bene» proclamò. «Andiamo, Miki-chan» disse, poi prese la ragazza per mano e la trascinò in cucina.

La castana esclamò un evvai sottovoce, accompagnato dalla mano chiusa in un pugno a dare enfasi, alla quale le altre sorrisero, intenerite dalla scena.

«Che carini» disse quasi impercettibilmente Kin ricevendo una piccola gomitata da Tara.

«Ne, Selly» disse Yui dopo essersi cancellata dal viso un’espressione di beatitudine. «Vorrei farti leggere una cosa. È una cosa seria.»

La blu subito si interessò alle parole della bionda, perciò la invitò a continuare. Si sedette al tavolo, prontamente affiancata da un Reiji improvvisamente curioso e interessato dalla novità che Yui portava con sé; la bionda in questione si accomodò di fianco a lei, seguita a ruota da Harumi, che precedette Tara, costringendola a sedersi dall’altra parte del tavolo con Kin, dove Laito non perse tempo a raggiungere la sua adorata principessa. Yui aprì con delicatezza il suo zainetto e ne estrasse il quotidiano, per poi appoggiarlo davanti all’amica dai capelli blu, indicandole con il dito indice l’articolo cerchiato con dell’evidenziatore giallo.

Mentre Selena era assorta nella lettura mentale, gli altri si sporsero maggiormente per poter leggere meglio, tuttavia con scarsi e quasi nulli risultati. «Mh» commentò la blu accarezzandosi lentamente la punta del mento. «Interessante.»

«È tutto quello che sai dire?» chiese Tara afferrando il giornale con uno slancio e iniziando a leggere l’articolo evidenziato con Kin e Laito, che approfittò della situazione per circondare la vita della rosa e appoggiare la testa sulla sua spalla, senza prestare particolare attenzione al mutamento dell’espressione della ragazza che, da concentrata, divenne impressionata.

«Cosa dovrei aggiungere? Dai, è un articolo carino e non mi spaventano i banditi» rispose Selena scrollando le spalle. «Neanche uno con brutte intenzioni in giro per il Giappone come un turista particolarmente ficcanaso.»

«Ah?! Un bandito con brutte intenzioni in giro per il Giappone?!» esclamò Ayato apparendo all’improvviso dietro Yui, che si spaventò appena, ormai abituata al potere del teletrasporto posseduto da tutti i vampiri.

«Ayato-kun, hai origliato tutto?» gli domandò Laito facendogli un occhiolino.

«Non ho origliato» si difese l’altro. «Passavo di qui e per caso ho sentito quello che stavate dicendo.»

«Sì, certo.»

«Comunque non dovete preoccuparvi, Ore-sama sarà perfettamente in grado di proteggere questa villa da quel marmocchio arrogante» disse con fierezza, chiudendo gli occhi e incrociando le braccia all’ampio petto.

«Il marmocchio arrogante sarai tu, altro che Kuro Sanzoku» mormorò Harumi a testa bassa.

Il maggiore dei trigemini la sentì lo stesso perciò, con un movimento fulmineo, la spinse giù dalla sedia, facendola atterrare un paio di metri più in là e prendendo il suo posto sulla seggiola e avvicinandosi a Yui, mentre Laito se la rideva senza darsi un contegno. «Dovresti dirle in faccia le cose, magari potrei apprezzarle» disse il rosso guardando dall’alto in basso Harumi.

«E c’era bisogno di spingermi giù dalla sedia?!» si lamentò la ragazza rimettendosi in piedi con un balzo.

«Non è un comportamento maturo, Ayato, tantomeno da gentiluomo» lo rimproverò Reiji tentando di mantenere la calma, nonostante un nervo pulsante sulla sua fronte lasciava intendere alle ragazze che non avrebbe retto ancora a lungo.

«Volevo stare vicino a Chichinashi» si giustificò Ayato avvicinando con prepotenza la bionda a sé, che arrossì per quella ristretta distanza.

Laito alzò un sopracciglio e sorrise misteriosamente nel guardare il fratello e Yui dall’altra parte della tavola, quest’ultima mentre tentava, senza successo, di allontanare il vampiro facendo leva con le mani e le braccia; Kin si accorse dell’espressione maliziosa del vampiro col cappello e, seguendo la traiettoria dei suoi occhi, non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa, come rassegnata dalla conclusione troppo affrettata di Laito.

«Comunque sia, non vedo perché dovrebbe essere una notizia preoccupante» disse Harumi poggiandosi vicino al camino pregiato. «Non ci troviamo in una città importante, né tantomeno in un luogo storico. Vedrete che quel tizio non ci creerà problemi.»

«Sei proprio menefreghista» commentò Shuu, materializzatosi sulla sedia di fianco Kin.

«Grazie mille, Armadio» gli rispose la ragazza dai capelli verdi per poi scambiarsi un'occhiata divertita con Ayato ed entrambi, subito dopo, guardarono con soddisfazione e con un pizzico di malignità il primogenito Sakamaki, che rispose a quegli sguardi con un grugnito tra l’annoiato e lo scocciato.

«Credo che tu sia l’ultimo essere a poter dire una cosa del genere» lo canzonò Reiji con riluttanza nella voce.

«Come ti pare» gli rispose Shuu sbadigliando.

A tutti i presenti parve di vedere un fulmine particolarmente carico di elettricità saettare dagli occhi di Reiji a quelli di Shuu e viceversa, annullando la dimensione spazio-temporale di quella stanza. Sentendosi oppressa da quella sala da pranzo diventata improvvisamente troppo piccola per contenere così tante emozioni e pensieri insieme – senza contare quel pervertito di Laito, che aveva allungato un po’ troppo la mano – Tara scattò in piedi, battendo entrambe le mani sulla superficie del tavolo, in una maniera tale da attirare l’attenzione di tutti. Tenne la testa abbassata per qualche secondo, poi l’alzò di scatto, mostrando una scintilla di risolutezza. «Miki-chan, Kanato-kun! Sono pronti i dolci?»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Allora, non so come abbia fatto a scrivere questo capitolo in quattro e quattr’otto, ma va bene così, non voglio saperlo. Allora, my cute and kind readers, innanzitutto vi ringrazio per aver letto questo capitolo dove la nostra carissima (almeno a me è cara, povera pucci) Yui scopre che c’è un tiziolo interessante in giro per il Giappone che ha cose strane e misteriose in mente… Chissà cosa succederà? I nostri (fighissimi) protagonisti saranno sfigati oppure avranno una gioia, per una volta? Mah, ceh io boh non lo so, le gioie sono cattive persone. Seconda cosa, mi avete chiesto di aggiornare più frequentemente perché la storia vi sta piacendo e anche tanto (OMGOMGOMGOMG THX *^*) ; sinceramente non credo di stare aggiornando raramente (diciamo che un capitolo esce ogni due settimane circa) ma, a quanto pare, dovrei muovere le ditina e il culetto e scrivere di più, in modo da accontentare voi lettori e recensori ma anche me stessa dato che, avendo altre due fanfiction in corso, tendo a perdere un po’ il filo delle rispettive storie (mannaggia a me e al mio troppo entusiasmo durante il mio esordio su EFP!). Ecco, per quanto riguarda questo argomento, ho due notizie da darvi, una bella e una brutta…

1. La notizia bella è che sono più libera a livello scolastico, dato che ho finito la maggioranza di compiti in classe e delle interrogazioni del quadrimestre, perciò passerò meno tempo a studiare e più tempo a dedicarmi a TUTTE le mie fic, in modo da portarmi avanti col lavoro. Se a questo aggiungiamo anche il fatto che la settimana prossima a scuola si terrà la “Settimana Autogestita” (per chi non sappia cosa sia: in pratica è una settimana dedicata ad attività extra che non prevedono studio e la presenza degli insegnanti, cioè il paradiso) ne esce fuori un casino di tempo libero che potrò sfruttare per l’aggiornamento o la battitura di vari capitoli.

2. La cattiva notizia è che tra due settimane è Natale, perciò il tempo per scrivere sarà molto limitato, visto che rivedrò parenti che (singh) vedo raramente durante un anno (wow, in una frase subordinata ho usato tre volte la stessa parola scritta in modi diversi, genius), perciò mi piacerebbe passare del tempo con loro, cercate di capirmi… Ma tranquilli, la sottoscritta ha in mente un paio di cosette da riservarvi che spero vi piacciano ;D

Hey, ho parlato davvero tanto! E, cosa che mi sorprende a livelli stellari (?) è che… NESSUNO MI HA INTERROTTA! Effettivamente mi sto preoccupando… *prende un megafono* Minna-san, che fine avete fatto?

Reiji: *appare in accappatoio e senza occhiali* Non posso neanche dedicarmi alla cura del mio igiene personale che subito devo correre da qualche parte?!

Tecnicamente tu non corri, ma ti teletrasporti.

Reiji: *facepalm* Almeno senza occhiali riesco a fare meglio la facepalm.

Kou: Neko-chaaaaan tieni, un po’ d’acqua per riprenderti dal discorso ^^

Arigatou gozaimasu, Kou-kun ^^

Laito: Io posso farti le coccole C:

Finirà male, lo so *^*

Laito: Naaaahh ;)

Ayato: Guarda, se vuoi anche i takoyaki te li preparo…

Shuu: Musica?

Kanato: Io ti do un amichetto di Teddy ^^

Yuuma: Puoi prendere tutte le zollette di zucchero che vuoi, ho la scorta.

Uhm… Troppa gentilezza… Sicuri che non ci sia qualcosa sotto?

SakaBro + MukaBro + TsukiBro: VOGLIAMO I REGALI DI NATALE.

*facepalm* My dear readers, vi invito a lasciarmi una recensione, mi fa sempre molto piacere sapere se il chappy vi è piaciuto o no. Io ora corro a mangiare i biscotti ;;;;

-Channy

 

 

Post Scriptum: Kuro Sanzoku significa "criminale in nero" e simili.

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Capitolo 16
*** Sweet Passion and Sour Agony ***


-SWEET PASSION AND SOUR AGONY.

 

 

«E dimmi, Kanato-kun, come è nata la tua passione per i dolci?»

Nonostante sapesse perfettamente la doppia personalità del vampiro dai capelli violetti e dalle profonde occhiaie nere, Miki si trovava bene a chiacchierare con il quarto Sakamaki; non sapeva spiegarsi se fosse dovuto ad un qualche concetto di affinità o per il semplice fatto che gli opposti si attraevano, ma non le importava più di tanto. Le piaceva stare in compagnia di quel vampiro e di quel suo preziosissimo peluche, nonostante fosse bizzarro anche solo pensarlo. Lei, una fifona per natura, in compagnia di uno degli esseri più pericolosi esistenti al mondo, creatura protagonista di numerose novelle più o meno spaventose, all’apparenza spietata e sadica, ma dopotutto di buon cuore e divertente, sotto alcuni punti di vista.

«Ma che domande fai, Miki-chan? I dolci mi piacciono dalla nascita, piacciono dalla nascita a tutti. È logico, ne?»

«Davvero?»

«Certo! Il latte è dolce, per esempio, e ai neonati piace.»

«Sì, hai ragione, Kanato-kun. Avrei dovuto pensarci.»

Kanato non poteva certamente lamentarsi della presenza di Miki. Oltre al suo sangue – che era il più buono e dolce che avesse bevuto in vita sua – di cui poteva usufruire tutte le volte che voleva, era piacevole averla accanto a sé tutti i giorni. Adorava stare con Teddy e parlare con lui fino a mattino inoltrato ma, da quando quella ragazza tanto paurosa quanto adorabile era diventata la sua compagna – oltre che una sottospecie succo di frutta vivente – le sue giornate si erano improvvisamente trasformate in qualcosa di più allegro; chiacchierare, giocare, canticchiare o anche semplicemente stare in silenzio, con lei, era piacevole e rilassante. Era consapevole della diminuzione dei suoi attacchi bipolarmente isterici e sapeva anche che il merito era solo di quella ragazza, ma evitava accuratamente di dirglielo – non era diventato orgoglioso come Ayato o Subaru, ma preferiva dimostrarglielo in altri modi, magari perfezionando giorno per giorno il momento in cui le avrebbe fatto un discorso talmente commovente da farle accettare di entrare a far parte della sua collezione.

No, certo che no, non gliel’avrebbe mai chiesto. Era felice di aver trovato una persona capace di sopportare lui e il suo brutto carattere e di regalargli sorrisi sinceri giorno per giorno, perciò non voleva separarsi da lei per nulla al mondo. Forse, lei sarebbe stata l’unica – l’unica con cui avrebbe continuato a parlare, l’unica con cui avrebbe continuato a cucinare dolci, l’unica con cui avrebbe cantato tutte le canzoni esistenti, l’unica che avrebbe continuato ad amare per l’eternità.

Teddy era pienamente d’accordo con lui; gliel’aveva detto, gliel’aveva sussurrato, sin dai primi giorni in cui aveva imparato a conoscerla, quando quella ragazza tremava ancora per ogni piccolezza – e gli sembrava così carina! “È lei, Kanato. Lo sento, so che è lei quella giusta. Mi fido di questa ragazza”, gli aveva mormorato Teddy mentre entrambi tentavano di prender sonno, nonostante non ci fossero mai riusciti in tutti quegli anni.

Strinse un po’ più a sé l’orsacchiotto quando i suoi occhi caddero sul timer del forno; non mancava molto allo scadere del tempo della cottura di quei biscotti al cioccolato che si era divertito a preparare con Miki, ma quell’attesa, nonostante la preziosa compagnia della ragazza e dell’orsacchiotto, stava diventando sempre più soffocante. L’odore dello zucchero e del cacao si era sparso per tutta la cucina, aumentando l’acquolina sulle sue labbra, nonostante stesse tentando in tutti i modi di nasconderla tra una parola e l’altra; in quel momento, l’ultima cosa che desiderava era spaventare quella ragazza. Certamente, vedere le ragazze terrorizzate era uno spettacolo esilarante, ma avrebbe provveduto a farla correre urlando col cuore a mille un’altra notte; altrimenti, chi avrebbe sfornato i biscotti? Quel forno era uno degli oggetti che gli facevano perdere la testa – tutte quelle manopole, quei simboli, quelle lucine… Lo facevano andare in bestia. Fosse stato per lui, avrebbe impostato quell’aggeggio girando quelle levette completamente a intuito e, una volta scaduto il tempo, avrebbe tirato fuori la teglia di biscotti senza neanche preoccuparsi della temperatura bollente del ferro arroventato, visto che, essendo un vampiro, non poteva effettivamente percepire le temperature esterne al proprio corpo. Ma il suo amato Teddy avrebbe rischiato di ferirsi, quindi Kanato aveva silenziosamente optato per lasciare a Miki quel compito. Si erano seduti sul bancone a isola, di fronte al forno, con le gambe penzoloni – data la bassa statura di entrambi – per osservare meglio e comodamente i biscotti messi a cuocere. Mai quel marmo duro e freddo era sembrato così comodo e caldo come nel momento in cui le loro mani si erano sfiorate, quasi per caso, mentre erano intenti a parlare gesticolando appena.

«Ne, Kanato-kun» lo chiamò la ragazza girandosi leggermente per osservare il suo profilo fanciullesco.

Anche il vampiro si voltò verso di lei, i suoi grandi occhi violetti a incontrare quelli blu della ragazza altrettanto grandi e dolci; la invitò silenziosamente a continuare, facendo contemporaneamente voltare anche Teddy, in modo che la guardasse anche lui.

«Hai una canzone perfetta?» gli chiese un po’ timidamente, ma senza mai smettere di guardarlo.

«Cos’è una canzone perfetta?» domandò lui, curioso.

«Oh, la canzone perfetta è quella canzone che si adatta perfettamente a te, alla tua vita, a quello che ti circonda. Quella canzone che non ti stancheresti mai di ascoltare e che canteresti anche senza accorgertene. Quella canzone che ti fa venire la pelle d’oca tutte le volte che l’ascolti perché sembra sempre la prima volta. È un po’ come essere innamorati… della musica o del testo, o di entrambi, senza far troppo caso al cantante originale. Quando si è innamorati non si tradisce mai il proprio partner, e la stessa cosa succede con la canzone perfetta: non ce n’è un’altra, è unica al mondo, bisogna solamente saper aspettare che arrivi, oppure andare di persona a cercarla» spiegò lei, con gli occhi chiusi, la testa rivolta verso l’alto e le labbra increspate in un sorriso. «Capisci che intendo?»

Kanato restò immobile a fissare un punto indefinito davanti a sé, come pietrificato; era rimasto incantato dalla spiegazione tanto elementare quanto profonda della ragazza, e quelle parole dette con tanta passione e gaiezza l’avevano fatto tentennare. Si limitò a rispondere sottovoce: «Scarborough Fair.»

«Cosa?»

«La mia canzone perfetta. Scarborough Fair.» disse alzando leggermente il tono di voce, per farsi sentire meglio. «La cantavo spesso anche quand’ero piccolo. Ricordo che la prima volta che l’ascoltai rimasi quasi stordito, perché ero riuscito a comprendere il significato già all’epoca.» Poi strinse maggiormente Teddy al petto, come se fosse un’ancora di salvezza, non appena disse: «Piaceva molto anche alla mia mamma.» Ricordava ancora quei lunghi capelli viola, quegli ammalianti occhi verdi, quel vestito nero di seta, quella pelle bianca e candida da farla assomigliare ad una bellissima bambola di porcellana.

 

«Canta, mio piccolo usignolo! Canta per la mamma!»

 

Quelle parole gli risuonavano in testa, non gli davano tregua. Quanto l’aveva odiata?

«Miki-chan, tu conosci questa canzone?» le chiese mentre l’immagine della madre si apprestava a scomparire lentamente dalla sua mente, lasciando spazio alla ragazza sedutagli di fianco.

Di tutta risposta, Miki schiuse le labbra e intonò le parole del ritornello:

“Are you going to Scarborough Fair? Parsley, sage, rosemary and thyme…”

Kanato sorrise e continuò, con la sua voce delicata e perfetta per quella canzone:

“Remember me to ones who lives there, for she once was a true love of mine…”

Proprio in quel momento, il forno emise un trillo acuto, per avvertir loro che la cottura dei biscotti era giunta al termine. I due si guardarono ancora una volta, promettendosi silenziosamente di continuare a cantare quella canzone un’altra volta, per concluderla insieme, proprio come la versione originale.

Miki scese dal bancone afferrando dei guanti da cucina per non scottarsi e, subito dopo aver aperto cautamente lo sportello del forno, tirò fuori la teglia con i biscotti circolari, appoggiandola dove precedentemente era seduta. Kanato si spostò appena, incantato alla vista di quei piccoli tesori col retrogusto al cioccolato. Il vampiro fu veloce ad allungare la mano e afferrarne uno, per poi portarselo alla bocca e addentarlo con impazienza, la stessa impazienza che svanì nel nulla non appena le sue papille gustative entrarono in contatto con quella delizia. Stava iniziando a credere davvero che Miki sapesse cucinare dolciumi molto meglio di Reiji.

«Kanato-kun! Ma non è meglio aspettare che si raffreddino un po’?» chiese la ragazza, allarmata.

«Dimentichi che sono un vampiro» rispose lui con la bocca piena. «Non posso percepire né dolore né le temperature esterne al mio corpo.»

«Questo sì, ma…»

«Ma cosa?»

«Non è una questione psicologica? Nel senso, non lo puoi percepire, ma il tuo corpo sì. Magari non te ne rendi conto.»

«Lo escludo» rispose Kanato, risoluto, prendendo un altro biscotto dalla teglia. «Se fosse come dici tu, sarei già morto da parecchio tempo» aggiunse, con voce più bassa.

Miki, però, lo sentì comunque. Sgranò gli occhi nel pensare al perché di quella risposta tanto sicura. «Kanato-kun, non avrai per caso tentato--»

«Il suicidio?» concluse la domanda al posto suo. «Sì, un paio di volte, in modi diversi, ma non è servito a nulla. Sono ancora vivo e vegeto.»

Alla ragazza mancò il respiro; come era riuscito a rivelarle di aver tentato di compire – molteplici volte, tra l’altro – un’azione così terribile senza neanche un piccolo tentennio nella voce? Le parve di scorgere un sorriso triste sul volto del vampiro, quasi malinconico, o forse rassegnato. I comuni esseri umani, quelli che erano costantemente presenti nella vita quotidiana della ragazza, avevano il brutto vizio di compiere le azioni più stupide e spericolate, per poi rifugiarsi nelle chiese o nei templi per pregare il loro Dio, ormai fragili e vulnerabili, prossimi alla morte; nessuno di loro avrebbe desiderato morire, tantomeno lei, almeno fino a quel momento. Non sapeva per quanto tempo era rimasta in silenzio, ma si fece coraggio e schiuse lentamente le labbra. «Perché vuoi morire, Kanato-kun?» chiese balbettando appena.

Il vampiro la guardò, per nulla turbato da quella domanda. Si limitò a scrollare le spalle e a raddrizzare Teddy, che aveva fatto sedere sul bancone di fianco a lui. «Non lo so» rispose osservando distrattamente la teglia ormai mezza vuota di biscotti di fianco a sé. «Non mi piace vivere perché sono costretto a stare qui, e stare qui è noioso. Non c’è mai niente da fare, nessuno con cui passare il tempo…»

«E i tuoi fratelli? E Teddy?» lo interruppe, il fiato mozzato dalle parole dette da lui.

«I miei fratelli sono totalmente insensibili e inutili, per quanto mi riguarda. Teddy la pensa come me, ne Teddy?»

Miki avrebbe potuto vedere il volto malinconico del vampiro anche da un chilometro di distanza con assoluta nitidezza. E le lasciava uno strano senso di angoscia dentro, un’angoscia straziante che provvedeva ad invaderle velocemente il petto, mozzandole il respiro già ansimante di suo. Voleva tirare su il morale del vampiro, perché non ce la faceva a guardare i suoi occhi ombrati persi nel vuoto, le labbra sottili contratte e la schiena ricurva, come se sopra di essa ci fosse un enorme masso da trasportare. E in cuor suo sapeva come fargli tornare l’entusiasmo. Fece qualche passo verso di lui, tenendo la testa bassa, e posò una mano tremante sulla sua spalla. «Kanato-kun» lo chiamò, nonostante sapesse di avere già la sua più completa attenzione. «Se può farti sentire meglio…» Il vampiro restò in silenzio, curioso. La castana deglutì. «Se può farti sentire meglio, puoi bere il mio sangue.»

Kanato non se lo fece ripetere due volte; con uno scatto fulmineo scese dal bancone e afferrò la ragazza per i fianchi, tirandola prima verso di sé e poi la fece indietreggiare di qualche passo, per farla appoggiare al punto dove erano seduti in precedenza. Le fece alzare il viso con due dita sotto il mento, le punte dei nasi a sfiorarsi leggermente, gli occhi di lei semiaperti per la paura di provare troppo dolore. «Sei stata carina a farmi questa proposta. Avevo giusto sete» le disse con voce bassa.

«Figurati» gli rispose lei accennando un sorriso e piegando appena la testa di lato.

Kanato avvicinò il suo viso al collo della ragazza, lasciandosi trasportare dal suo profumo dolce e invitante. Posò le labbra sulla sua pelle, dandole un bacio leggero e veloce, per ringraziarla silenziosamente; subito dopo affondò i canini in quello stesso punto, facendole emettere un piccolo lamento, soffocato dalla consapevolezza di star facendo sentire bene qualcuno. Percepì il sangue essere succhiato via e la testa iniziò a girarle, sempre più velocemente, offuscandole la vista; sentì le gambe farsi molli, come se stessero per cedere da un momento all’altro. Si aggrappò alle spalle del vampiro, come se fosse un salvagente per restare a galla, e strinse forte la stoffa della sua camicia; a sua volta, Kanato, percependo la mancanza di forze di Miki e comprendendo i suoi tentativi di non svenire, le strinse maggiormente i fianchi, quasi avvolgendola in un abbraccio, e avvicinò ancora di più i loro corpi, per farla restare in piedi e cosciente.

In passato non gli era mai importato di un’umana e aveva sempre provveduto ad ucciderla, prosciugandole il sangue e aggiungendola alla propria collezione di cadaveri; ma qualcosa gli diceva – o meglio dire, urlava – che con lei avrebbe dovuto comportarsi diversamente, avrebbe dovuto tentare di trattarla meglio rispetto alle altre. Non sapeva a chi appartenesse quella voce che continuava a ripetergli quelle raccomandazioni, ma sapeva per certo che avrebbe almeno provato a dargli retta.

Dal canto suo e nonostante le condizioni in cui versava, Miki non sapeva come aveva fatto ad arrossire quando aveva percepito le braccia del vampiro stringerla più forte, ma poi si era lasciata trasportare dalla stanchezza e chiuse gli occhi, appoggiando la fronte nell’incavo del collo di Kanato. Era rimasta sbalordita dal suo stesso comportamento, ma se l’era fatto andare bene. Dopotutto, in qualche strano modo, era riuscita a comprendere il vero significato delle parole del vampiro e ad entrare in sintonia con lui; aveva capito la sua disperazione, e aveva deciso di disperarsi con lui. Si diede mentalmente della pazza, e solo in quel momento si sentì ancora più simile a Kanato – era pazzo anche lui e Miki era convinta che se lo fosse ripetuto da solo almeno un migliaio di volte. Eppure, non le dispiaceva così tanto impazzire, se poi il premio di consolazione fossero stati quei momenti di tranquillità e pace surreale, che solo un essere superiore avrebbe potuto comprendere, lo stesso essere superiore che probabilmente avrebbe compreso lo sconforto di quel vampiro dalle profonde occhiaie; gli uomini erano liberi di fare e dire qualsiasi cosa, perché il loro destino prevedeva la morte e la vita eterna in un altro luogo, dove tutti i loro peccati e i loro sbagli sarebbero stati perdonati, ma Kanato? Kanato era costretto a vivere giorno per giorno con i sensi di colpa, rinchiuso nel suo egoismo incentrato nelle poche certezze che aveva. Kanato non poteva convivere serenamente con gli scheletri negli armadi e i fantasmi di un lontano passato che, di tanto in tanto, provvedevano a riaprirgli le ferite che aveva tanto faticato a chiudere con piccole e sottili suture. Kanato non poteva pensare al giorno della sua morte, perché non sarebbe mai arrivato e, con esso, non sarebbe arrivato neanche il perdono divino, che gli avrebbe donato finalmente una tregua e la pace interiore. Kanato era destinato a portare sulle spalle l’enorme macigno carico dei suoi sbagli per l’eternità. Perché Kanato avrebbe continuato a vivere per sempre.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Eccomi tornare in grande stile, my dear readers: un capitolo mucho malinconico. Eh, già, qualcuno doveva pur sempre togliervi del tutto l’entusiasmo natalizio. Mi dispiace per non aver aggiornato prima (è passato un mese! O.o) ma, a parte il Natale da ricovero, sono stata travolta da un’ondata di ispirazione per una storia che avevo in mente già da un po’ di tempo e che fa wrestling con questa. Oh, giusto, se ve lo state chiedendo: NON ho intenzione di pubblicarla, quindi toglietevi dalla testa quelle idee malsane stanno già facendo capolino dai vostri cervelletti (perché io posso leggere nel pensiero della genteh). O, almeno, per il momento.

Coooomunque, sweeties, a parte le cavolate varie, che ne pensate? Io stavo per piangere quando ho riletto il tutto, specialmente la parte finale! Sarà che sono emotiva di mio (nonostante la mia tsunderaggine devastante) maaaa okay. E qui, il dubbio mi sale da dentro: Kanato-kun è OOC? Per favore, cookies, ditemelo, ne ho bishogno!

Kanato: Più che OOC sono kawaii u.u

Kou: Fa anche rima lmao.

Subaru: Ma ti pare il momento? E comunque, NON FA PER NIENTE RIMA, BAKA!

Kou: Subaru-kuuun ti intendi di rime?

Subaru: MA CHE DOMANDA È?!

Laito: Che fa rima con cioè.

Subaru: *demolisce Wall-chan a testate*

LOOOOL MINNA-SAAAN. Comunque, people, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per aver letto ;D Io tornerò presto, tranquilli, che ho ricaricato per bene le batterie e adesso sono più sprizzante che mai! Ma anche no, dato che tempo un giorno e ricomincia la scuola, ma questi sono dettagli che non voglio approfondire altrimenti mi sale di nuovo l’angoscia che manco Christa ai tempi della torre.

-Channy

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Capitolo 17
*** Anger and Attraction ***


-ANGER AND ATTRACTION.

 

 

Non stava capendo molto. La vista era offuscata, la testa le girava terribilmente e si sentiva a pezzi, tanto da non riuscire neanche a reggersi in piedi da sola.

La ragazza boccheggiò alla ricerca d’aria, nonostante ne avesse a sufficienza nei polmoni. Percepiva la gabbia toracica muoversi rapidamente e il cuore battere con altrettanta velocità, così velocemente da saltare persino qualche battito. Non era a conoscenza del ritmo dello scorrere del tempo, avendolo perso tempo prima, quando aveva iniziato a sentirsi poco bene. Aveva solamente percepito delle voci – perlopiù femminili – e delle braccia avvolgerla, poi si era fatto tutto sempre più confuso. Sentì qualcosa di morbido e fresco entrare a contatto col suo corpo, dandole sollievo maggiormente sulla pelle lasciata scoperta.

Accontentò le palpebre pesanti chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla stanchezza.

 

 

***

 

 

La melodia di una composizione classica suonata con un violino e un pianoforte la fecero destare dal sonno profondo, ma senza infastidirla. Schiuse leggermente gli occhi, per poi aprirli del tutto dopo qualche secondo. Si guardò intorno: si trovava su un letto, abbracciata da delle lenzuola di lino, in una stanza a lei familiare ma che non era sua. Le pareti erano rosa pallido e i mobili moderni erano di un bianco lucido, che risplendevano anche nel buio; sulla parete di fronte al letto erano state appese delle foto, circondate da cornici magenta, che ritraevano volti a lei familiari, tra cui anche il proprio.

«Dove mi trovo?» chiese flebilmente mentre si portava una mano alla fronte, scostandosi la frangetta dalla fronte.

Pochi secondi dopo, una ragazza dai capelli blu e gli occhi viola fece capolino dalla porta, rivolgendole uno sguardo dolce. «Si è svegliata» bisbigliò voltandosi leggermente, in modo che qualcuno alle sue spalle potesse sentirla. Poi fece il suo ingresso nella stanza e si accostò a lei, accarezzandole la testa e i capelli. «Miki-chan, come ti senti?» chiese con la stessa dolcezza di una madre.

«Selena…» disse sorridendo appena, dopo aver messo a fuoco il viso della ragazza. «Mi sento un po’ frastornata… Ma dove sono? Che ore sono? Chi altri c’è?» chiese agitandosi.

«Sshh» la zittì la blu. «Siamo a casa di Tara, i suoi hanno il turno notturno all’albergo, perciò non rischiamo di essere scoperte. Sono le due e mezza di notte. Ci sono tutte.»

Proprio in quel momento, nella camera entrarono tutte le altre ragazze, reduci di una nottata passata tra vampiri e la veglia per la castana, che aveva dormito fino a poco prima.

«Ragazze…» le chiamò, mentre gli occhi iniziavano a farsi lucidi di commozione.

Yui si avvicinò velocemente a Miki, abbracciandola, con delle lacrime che le rigavano il volto. «Eravamo così preoccupate per te» disse la bionda trattenendo i singhiozzi.

A quel punto iniziò a piangere anche la castana, ricambiando l’abbraccio della migliore amica. «Cosa è successo?» chiese con un filo di voce.

«Kanato-kun ti ha succhiato via troppo sangue. Quando abbiamo visto che non tornavi ci siamo preoccupate e siamo corse in cucina, dove ti abbiamo trovato semi-incosciente tra le braccia di quel tipo dannatamente inquietante. Siamo andate via ed io mi sono offerta di ospitarvi tutte qui, dato che i miei torneranno alle otto del mattino» raccontò Tara, dopo aver sospirato ed essersi seduta ai piedi del letto.

«Harumi-san ti ha portata sulle spalle fino a qui» disse Yui indicando la ragazza dai capelli verdi, che se ne stava appoggiata ad una parete della stanza.

«Harumi-san, non dovevi» esclamò Miki coprendosi la bocca con le mani, per la sorpresa.

«Dovevo eccome, Miki-chan» rispose la diretta interessata avvicinandosi al letto. «Sono la tua Supereroe o sbaglio?» chiese retoricamente facendole l’occhiolino.

La castana annuì, accennando un sorriso. «Ma mio padre?» iniziò, tornando a preoccuparsi. Suo padre era davvero severo, la persona più composta e precisa che conoscesse; era perennemente in giacca e cravatta, i capelli sempre ordinati e gli occhiali sempre puliti. Le aveva imposto ferme regole sin dalla tenera età e la ragazza dagli spessi occhiali da vista era convinta che avrebbe continuato a imporgliele per ancora molto tempo, anche dopo aver ereditato la società di famiglia.

«Abbiamo già avvisato. Per fortuna al telefono ha risposto tua madre» le disse Selena passandosi una mano sugli occhi, stropicciandoli appena e sbavando un po’ il mascara.

«E voi? Perché siete ancora qui?» chiese ancora Miki, osservandole una per una.

Si soffermò a guardare Kin: era ferma sulla soglia della parte, illuminata dalla luce del corridoio della casa, con gli occhi pieni di stanchezza ma con un sorriso felice stampato in volto. Poi, come se fossero stati chiamati, gli occhi blu di Miki caddero sul braccio sinistro della rossa: c’erano due puntini rossi che spiccavano dalla pelle chiara della ragazza, da cui colava qualche sottile rivolo di sangue. Kin seguì la traiettoria dello sguardo della ragazza e, appena capì cosa la castana avesse appena visto, si coprì la zona ferita con una mano, per poi sparire dietro una porta, presumibilmente quella del bagno.

Come un flash, Miki ricordò le parole che si era scambiata con Kanato nelle ore precedenti; le tornò in mente anche il morso che le aveva dato, anche se poco prima aveva chiaramente percepito le labbra del vampiro sfiorarle il collo, in un leggero, quasi timido, bacio. Si portò una mano al collo, percependo dolore non appena sfiorò il punto dove era stata morsa, nonostante la ferita era stata coperta da delle bende e il tutto disinfettato.

«Miki-chan» la chiamò Selena con voce ferma. La castana le rivolse lo sguardo e la indusse silenziosamente a continuare. «Kanato ci ha detto che sei stata tu ad offrirti di fargli succhiare il sangue, per questo si è sentito autorizzato a berne così tanto. Si può sapere cosa ti è preso? Perché l’hai fatto? È stato un comportamento infantile e avventato, hai rischiato di farti male per davvero!» la rimproverò, senza preoccuparsi di abbassare il tono di voce.

Miki tenne chiusi gli occhi, mentre i sensi di colpa iniziavano a tormentarla. «Lui era davvero triste. Volevo tirargli su il morale.» disse tenendo la testa bassa.

«Per amor del cielo, Miki! Ti rendi conto di aver fatto una cavolata?! Stavi per morire dissanguata, cazzo! Kanato è un vampiro e i vampiri non hanno sentimenti! Dovresti saperlo meglio di noi!» urlò Selena serrando i pugni.

«Selly, calmati» intervenne Harumi posandole una mano su una spalla.

«No! Non mi calmo per niente!» urlò ancora la blu scattando in piedi. Iniziò a camminare per la stanza masticando parole e rimproveri senza senso, mentre le altre rimanevano in silenzio, ognuna di loro con lo sguardo distolto dalla figura della ragazza in preda ad un attacco di rabbia.

«Mi dispiace» mormorò Miki tirando su col naso.

Selena si appoggiò al muro con la schiena, per poi scivolare lentamente verso il basso; appena toccò terra cacciò fuori tutta l’aria che aveva trattenuto poco prima e si passò una mano nei capelli, scompigliando specialmente lo chignon. «Non farlo mai più, per favore» sussurrò la blu con la testa china. «Già siamo messe male con quei sei, non occorre diventare masochisti. Ce l’ho anche con voi altre. Attenzione ai colpi di testa.»

Harumi la buttò sul ridere, per sdrammatizzare, dicendo: «Ma ti dimentichi che la sottoscritta è un’ottima portiera, su qualsiasi terreno e qualsiasi condizione atmosferica!»

Le altre accennarono solo dei sorrisi.

«Non era proprio il caso, guarda» le rispose Selena togliendosi definitivamente il mascara.

«Anche perché suona male» aggiunse Tara accennando una risata.

«Stare con Laito ha i suoi effetti» disse Yui ridacchiando dietro una mano premuta sulle labbra.

«Stai col zoppo e impari a zoppicare» rispose Harumi mettendosi in ginocchio sul letto. «In questo caso, stai col pervertito e impari i doppi sensi.»

La rosa fece una risata finta e forzata. «Non mi paragonate mai più a quello schifoso pervertito.»

 

 

***

 

 

Da quanto tempo stava osservando quello spicchio di Luna immerso nel più totale silenzio, a volte interrotto da brevi sospiri dovuti alla solitudine in cui erano avvolti? Non lo sapeva, ormai era abituato a perdere la cognizione del tempo, beandosi dell’abbraccio freddo delle ombre della notte, lasciandosi cullare dal canto lontano delle stelle che splendevano nel cielo nero e sereno. Si passò una mano tra i capelli albini, portando il vaporoso ciuffo che gli ricadeva sul viso all’indietro e scompigliando il resto dei capelli. Si stava sforzando di distrarsi, di rintanarsi in qualche vecchio e doloroso ricordo, ma la verità era che non riusciva a non pensare a Kin, in particolare al suo sangue; aveva un sapore che non aveva mai assaggiato prima di allora, un gusto che non aveva mai pensato esistesse.

Faceva fatica ad ammetterlo anche a se stesso, ma era attratto da quel sangue e da quella ragazza – lei gli era parsa così dolce e gentile, forse anche un po’ impacciata, così come il suo sangue inizialmente. Poi, però, aveva percepito un retrogusto amarognolo che lo aveva lasciato spiazzato. Molti vampiri – tra cui anche suo fratello Reiji – dicevano espressamente che il sangue delle persone corrispondeva al vero essere della persona che lo possedeva. E, a quel punto, la domanda gli era sorta spontaneamente: che valesse anche per Kin? Magari quella ragazza era davvero come il suo sangue, dolce fuori ma amara dentro. Non poteva fare a meno di chiederselo ogni volta che incrociava il suo sguardo, cosa che accadeva spesso nonostante lui fosse stato da sempre un tipo schivo. Era sicuro che da lì a poco gli sarebbe scoppiata la testa, talmente che le domande erano diventate numerose.

Tirò un pugno rabbioso sul terreno, tanto da scalfire la roccia dei gradini dov’era seduto, e imprecò a denti stretti. «Dannazione, mi sto rammollendo.»

 

 

***

 

 

Yui deglutì rumorosamente prima di varcare la soglia del cancello d’ingresso della Magione Sakamaki; era iniziata un’altra serata, l’ennesima con quei vampiri. Nonostante tutto, non le dispiaceva troppo essere lì: era iniziata la quarta settimana di permanenza in quella villa, ma lei aveva imparato a non farselo pesare troppo. Dopotutto, non era sola. Le andava bene stare in quel posto, anche perché era riuscita a provare anche un minimo di affetto verso ogni singolo fratello.

 

«Sei proprio masochista, lasciatelo dire.»

«Perché dici così, Harumi? Non è lo stesso per te?»

«Per niente!»

«Neanche un pochino?»

«Neanche un pochino.»

«Perché?»

«Perché tu sei troppo dolce e ingenua, Yui.»

 

Si era pentita di averglielo confessato, qualche giorno prima; avrebbe potuto tenere per sé quel piccolo segreto, anche se proprio non riusciva a capire cosa ci fosse di così sbagliato nel voler bene a delle persone. Poi si ricordò: loro non erano persone.

“Kami-sama non fa distinzioni di razza o sesso. Sono sicura che ama anche loro, anche se sono un po’ maligni.” Se l’era ripetuta più e più volte, fino ad auto-convincersi definitivamente. Aveva optato per chiedere a suo padre la conferma di quella constatazione, ma poi aveva deciso di tirarsi indietro proprio all’ultimo, per paura di qualche domanda da parte del genitore – che gliene avrebbe fatte di sicuro due o tre.

A destarla dai suoi pensieri fu una voce maschile. La bionda alzò lo sguardo e vide Ayato andarle incontro con andatura fiera, veloce e ritmata, quasi possente, mentre la guardava negli occhi senza batter ciglio. «Yo Chichinashi» la salutò quando la fronteggiò, rivolgendole un ghigno sghembo che, a parer della ragazza, gli si addiceva veramente tanto.

«Ciao, Ayato-kun» gli rispose scuotendo appena la mano. «Non mi chiamare Chichinashi, io sono Yui» aggiunse con un finto broncio.

«So chi sei, ovviamente, ma Ore-sama ha il diritto e il potere di chiamarti come vuole.»

La ragazza gonfiò le guance e soffiò appena, tenendo fissi i pugni e le braccia dritte lungo il corpo.

«Vieni, Chichinashi, devo mostrarti una cosa fighissima» esclamò sorridendo a trentadue denti. Le prese una mano e intrecciò le sue dita con le proprie, per poi iniziare a correre per i corridoi della villa, obbligandola a stargli dietro, nonostante lui fosse molto più veloce.

Raggiunsero abbastanza velocemente la camera da letto del vampiro, perché essa era situata al primo piano dell’abitazione. Ayato spalancò la porta con una sola mano e accendere la luce, per poi entrare a gran passo, dirigendosi verso una parete in particolare.

La stanza aveva le pareti e il pavimento color cenere che creavano un contrasto perfetto con le tende di seta rosse e i due divani color sangue che padroneggiavano la stanza, posti su un grande tappeto dai motivi persiani; gli altri unici arredamenti erano una cassettiera, una lampada e un caminetto con, appeso sulla parete adiacente, un quadro abbastanza grande. Yui si perse ad osservarlo: la foto raffigurava tre bambini – che identificò come i trigemini – che affiancavano una donna bellissima, sorridendo. Non aveva mai visto quella donna prima di allora, con quei suoi lunghi capelli viola e gli stessi occhi di Ayato, adornata con un lungo ed elegante abito nero, ma provava una strana sensazione nell’osservare quel volto sereno quanto misterioso e affascinante; sentiva il cuore stringersi in una lenta morsa malinconica e si sentiva ipnotizzata da quegli occhi che sembravano volerle leggere l’anima. Le pareva una cosa impossibile – non conosceva quella donna, non sapeva chi fosse, non ne aveva sentito parlare, eppure credeva di riuscire ad affermare di poterla riconoscere tra mille volti e mille voci.

Iniziò a girarle la testa, ma fu questione di un attimo, perché Ayato le si parò davanti, impedendole la visuale. «Oi, Chichinashi! Sto parlando con te, potresti anche fingere di ascoltare o di essere interessata a quello che sto dicendo!» la rimproverò incrociando le braccia al petto.

«Scusami, Ayato-kun» fece lei abbassando il capo, per poi rialzarlo poco dopo. «Allora? Cosa volevi mostrarmi?»

Il vampiro tornò a sorridere gioiosamente, per poi prenderla per le spalle e farla voltare. Corse verso l’oggetto delle attenzioni e lo indicò con le braccia, mentre gli occhi gli luccicavano come dei fari nell’oscurità. «Ta-da!» esclamò allegramente.

Yui impallidì, nonostante fosse già cadaverica di suo. Possibile che ad Ayato piacessero cose del genere? Le stava mostrando un sarcofago messo in piedi contro il muro, ma aveva qualcosa che non la convinceva per niente…

«Allora? Non dici nulla? Non ti piace?» chiese Ayato mentre il suo sorriso entusiasta andava scemando.

La bionda indicò l’oggetto con un dito, mentre la mano le tremava. «Quello è un sarcofago, ne?»

«EH NO!» esclamò il vampiro riacquistando l’entusiasmo. «Questo non è un semplice sarcofago, bensì la Vergine di Norimberga!» Il rosso si avvicinò maggiormente all’oggetto e lo aprì, mostrando un numero vertiginoso di aghi e aculei che spiccavano all’interno del sarcofago, e alla bionda sembravano particolarmente appuntiti. «Sai a cosa serve?» le chiese Ayato facendo qualche passo verso di lei, mentre un’espressione maliziosa regnava sul suo viso, contornata dalle sopracciglia che si alzavano e abbassavano velocemente.

«Non proprio, ma posso immaginar--»

«Ebbene, la Vergine di Norimberga, anche chiamata Vergine di Ferro, è una macchina di tortura inventata nel Diciottesimo secolo, anche se parecchi cretini ignoranti credono che sia stata inventata nel Medioevo. Infatti, le prime testimonianze scritte riguardanti questa macchina appartengono al Settecento. È uno strumento che mi sta particolarmente a cuore, a parte perché ce l’ho da quando ero un ragazzino, ma anche perché gli aculei sono disposti in modo da non colpire gli organi vitali di una persona, lasciandolo intrappolato in una morsa di pene e sofferenze che lo portano ad una sicura morte lenta ed estremamente dolorosa.»

Yui rabbrividì di paura, mentre una domanda le stava girando per la testa insistentemente. «Interessante» commentò tenendosi a debita distanza. «Sei molto informato, Ayato-kun.»

«Mi sembra ovvio, Chichinashi. Ore-sama è intelligente, colto e sempre informato su qualsiasi argomento!» si pavoneggiò, per poi circondarle le spalle con un braccio. «Vediamo se riesci a sopravvivere lì dentro?» le propose con un sorriso astuto stampato sulla faccia.

«Assolutamente no!» rispose Yui, spaventata, allontanandosi velocemente da lui.

«Dai, Chichinashi! Cos’è, hai paura?»

«E molta anche!» continuò ad urlare, agitandosi dall’altra parte della stanza. «Morirei di sicuro!»

«Ma quando mai» rispose lui appoggiandosi alla Vergine con nonchalance. «L’ho fatta provare a Kanato e non gli è successo nulla.»

«Hai rischiato di uccidere tuo fratello, te ne rendi conto?!» protestò Yui. «E poi non gli è successo niente perché è un vampiro!»

«Dettagli.»

«Ma quali dettagli!» La bionda aveva il fiatone, ma era riuscita a sfogarsi un po’ e a sentirsi più leggera; dopo quel breve scambio di battute con il vampiro , era riuscita a togliere quel groppo che aveva in gola e, tremando, aveva eliminato tutta l’ansia che aveva tenuto prigioniera nel corpo.

Ma poi svanì tutto.

C’era solo lui, Ayato, che l’aveva fronteggiata rivolgendole uno dei suoi stupendi ghigni e che le aveva circondato i fianchi con le proprie braccia, tirandola a sé. «Quella tua aria innocente e dolce che hai sempre… E poi ti sfoghi tirando fuori tutte le tue ansie… E i sentimenti che brillano nei tuoi occhi… Mi fanno impazzire.»

Lì, in quel momento, precisamente, quanti battiti aveva perso? Quanto erano arrossite le sue goti? Quante farfalle avevano iniziato a danzare nel suo stomaco? Tante, troppe, per essere contate.

«Io lo so, lo sento, ora stai desiderando con tutto il cuore che io ti morda» disse con voce roca avvicinandosi al viso della fanciulla. «E allora dimmelo! Di’ che desideri che io ti morda, che beva il tuo sangue! Voglio sentirti supplicarmi di farlo!»

Una tempesta di emozioni era abbattuta e si stava continuando ad abbattere nel cuore della povera ragazza, combattuta da tutto quello che voleva dire e che voleva fare. Ma non riusciva né a parlare né a muovere un muscolo. Si era improvvisamente sentita come una marionetta nelle sue mani.

Il vampiro avvicinò maggiormente i loro corpi, tenendo ben strette le braccia attorno alla sua schiena. «Voglio sentire la tua voce.»

Ma la gola di Yui era ormai arida.

«Dimmelo, Yui» disse con voce roca e sensuale.

I nasi si sfioravano, gli occhi erano come due calamite che continuavano ad attrarsi a vicenda, senza mai stancarsi. Alla bionda non era mai piaciuto il proprio nome, ma in quel momento lo aveva trovato meraviglioso, solamente perché era stato pronunciato da lui. “No, no! Non posso, non devo arrendermi!” «Ayato-kun…» sussurrò con voce flebile.

«Mi basta anche questo.»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Trullallero trullallà, la mia OTP in assoluto eccola qua ^^

Subaru: Lascio a te la scelta. Me ne vado ora o distruggo prima l’impianto stereo?

Ayato: Facciamolo restare.

Shuu: No, lui se ne va.

Ayato: AH?! E perché, scusa?!

Shuu: Nessuno tocca il mio impianto stereo u.u

A parte che è il MIO impianto stereo…

Shuu: Sì, ma tu sei una ragazza tanto generosa…

-.-" Okay, Sub-senpai, per questa volta ti do il permesso di andartene.

Subaru: SIA LODATA WALL-CHAN! *se ne va saltellando*

Ehm… Okay. Che potrei dire di questo capitolo? Non saprei, anche perché l’ho scritto di getto, senza rendermi conto di cosa stessi effettivamente scrivendo. Spero di non aver fatto casini :D Per chi non lo sapesse, Ayato possiede per davvero la Vergine di Norimberga e la cosa è alquanto... Inaspettata. Pensavo la possedesse Reiji, o peggio, Kanato. Ma il prossimo capitolo sarà interessante; chi ha voglia di vedere un paio di battibecchi? Ah, come mi divertirò nella mia modalità sadica… MUAHAHAHAHAH

Laito: Però fermati qui, altrimenti farai degli spoiler assurdi ^^’

Hai ragione, come al solito, ai-chan ;)

Kou: Ai-chan?

Yep. Significa amoruccio, ne?

Laito: Mi piace~ *^*

Vieni qua, ai-chan~ *^* *si abbracciano forte*

Ayato: Un attimo solo, rimanete così, vado a chiamare Subaru. Con permesso, torno subito. *va a chiamare Subaru* *torna dopo un po’ con Subaru*

Subaru: MA CHE CAAAA…?! *prende una clava* MA COS’È, UNA SOAP OPERA?! *inizia a distruggere oggetti random*

Reiji: *arriva ignaro di tutto* Kombanwa minn-- *si guarda attorno* COSA GAMBERO STA SUCCEDENDO?!

Kou & Yuuma: Gamberi?! DOVE?!

Reiji: AL POSTO DEI VOSTRI CERVELLI, CHE TANTO SONO INUTILI!

TsukiBro: WOOOOH

AHAHAHAHAHAH Mi fate morire dalle risate, minna-san! Bene, sweeties, io ora mi dileguo e metto anche in ordine. Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto se volete ;)

-Channy

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Capitolo 18
*** Requests ***


-REQUESTS.

 

 

Tara sospirò pesantemente curvando le spalle in avanti; mai le giornate le erano parse così veloci in tutta la sua vita, facendo in modo che il Sole calasse e la Luna sorgesse e costringendo lei e le altre ragazze a tornare nuovamente in quella villa paragonabile ad un girone infernale, uno di quelli che aveva descritto Dante nella Divina Commedia, che la rosa si era dilettata a leggere qualche anno prima, quando frequentava ancora il liceo.

Il buon senso le stava urlando di finire di aggirarsi da sola per i corridoi della magione, ma proprio non riusciva a smettere di camminare lungo quelle corsie misteriose e distorte, di sbirciare nelle camere ombrate e sempre a lei nuove, di osservare quadri e dipinti raccapriccianti appesi qua e là per le pareti, senza un apparente preciso ordine. Di tanto in tanto si girava per guardarsi alle spalle, quasi per accertarsi di non essere seguita da nessuno.

Avanzò ancora in punta di piedi verso una porta, con la piccola speranza di trovarci qualcosa di interessante dato che si stava annoiando, e parecchio. Non le era mai capitato di stare con le mani in mano, nemmeno da piccola, perciò proprio non riusciva a starsene senza far nulla. Girò piano il pomello e aprì cautamente la porta, per poi rimanere delusa dall’interno – era solo un piccolo sgabuzzino contenente vecchie cianfrusaglie per la manutenzione idraulica ed elettrica. La ragazza sbuffò e richiuse l’uscio, per poi ricominciare a camminare senza avere una meta precisa, che continuava a cercare per la casa. E fu grazie a quella meta misteriosa che riuscì ad udire una leggera e dolce melodia suonata al pianoforte, che catturò non poco la sua attenzione. Come ipnotizzata, camminò con occhi semichiusi seguendo l’invisibile scia della musica leggiadra sparsa nell’aria. Non si era neanche preoccupata di memorizzare la strada che stava percorrendo, perché era fin troppo rapita dalle note angeliche che le avevano offuscato la mente.

Senza neanche rendersene conto, giunse davanti alla porta della sala da dove proveniva la melodia. Rimase fuori a contemplare il vuoto, sospirando beatamente. Amava le melodie suonate al pianoforte, anzi, amava il pianoforte in sé poiché era elegante e raffinato, signorile, romantico e godeva di un meraviglioso suono unico ed inimitabile. Quando era piccola era in grado di suonarlo, anche se non si era mai potuta definire brava o talentuosa; semplicemente le piaceva sedersi sullo sgabello in pelle e accarezzare delicatamente i tasti neri e bianchi di quello strumento meraviglioso, come faceva suo nonno prima di morire.

La melodia suonata si fece improvvisamente malinconica, quasi stesse andando a ritmo con i suoi pensieri.

Era molto affezionata al suo vecchio nonno; ricordava nitidamente tutti i weekend passati nel piccolo appartamento di cui era proprietario, quando facevano i cruciverba insieme e guardavano vecchi film western o partite di qualche sport poco popolare. Quando lui morì, Tara si sentì invasa da una tristezza mista alla rabbia che, però, non fece mai uscire allo scoperto; ai funerali si limitò a piangere silenziosamente, mettendo in primo piano sua madre e i suoi fratelli, tutti palesemente disperati, che erano figli dell’anziano signore. Col passare degli anni non si sfogò nemmeno una volta, neanche quando conobbe Yui, Selena, Harumi e le altre si liberò da quel peso che le aveva invaso quasi del tutto l’anima.

Decise di oltrepassare quella barriera che era diventata quella porta e di raggiungere del tutto la melodia, voleva arrivare al principio di essa. Sbirciò dentro la camera e quello che vide le fece spalancare gli occhi, schiudere le labbra e trattenere le labbra: era Laito a suonare quella magnifica composizione, a tenere gli occhi chiusi e a contorcere le labbra in un sorriso rilassato. Per qualche attimo Tara si chiese se quello che stava suonando il pianoforte fosse davvero Laito, colui che si divertiva tutte le sere a stuzzicarla carnalmente, ad alluderle tanti doppi sensi, a strapparle paroline dolci o strambe promesse pur sempre amorose. Si era chiesta, nell’arco di quelle settimane in cui aveva imparato a conoscerlo, cosa intendesse effettivamente con la frase che le aveva rivolto la seconda sera che avevano passato insieme.

 

«Perché, Princess-chan, io ti amo.»

 

Qual era la sua concezione dell’amore? Sicuramente non quella di un essere normale, Tara ne era sicura. Aveva capito tutto: Laito, molto probabilmente, aveva detto quella frase per farla cedere, per avere una semplice avventura con lei, un’avventura che sarebbe servita a farla sottomettere sin dall’inizio. Era riuscita a non cedere quella sera e fortunatamente il vampiro non ci aveva chiaramente ritentato le notti seguenti, ma la rosa non aveva la più pallida idea di come affrontare di nuovo la situazione, forse ancora più pericolosa, che era sicura si sarebbe riproposta, e anche molto presto. A ripensarci, percepiva l’ira aumentare molto velocemente: gliel’avrebbe fatta pagare, a quel playboy; odiava gli esseri come lui, che non facevano altro che prendere in giro le povere ragazze innamorate, e lei poteva affermarlo senza paura o ritorsione, dato che le era capitato, quella volta…

Eppure, in quel momento, mentre osservava quel bel vampiro – perché sì, era bello da morire – suonare delicatamente ma allo stesso tempo passionalmente il pianoforte a coda laccato di nero, si sentiva le guancie sfumare di rosa e il battito del cuore accelerare, anche se non di molto, il tutto accompagnato da alcune – ma grosse – farfalle che danzavano liberamente nel suo stomaco, a ritmo di musica. Tentò di distrarsi, di reprimere quelle belle sensazioni, ma proprio non riusciva a smettere di innamorarsi. Perché, l’aveva capito, quelli erano i veri sintomi dell’amore.

«Princess-chan, guarda che ti ho vista» disse lui, senza tuttavia smettere di suonare.

A Tara parve che la bolla si sapone che l’aveva circondata e sollevata in aria, al di sopra delle nuvole, si fosse distrutta, facendola ricadere pesantemente a terra, alla realtà. Scattò sull’attenti e si obbligò a sorridere, anche se falsamente, al vampiro che, intanto, aveva lentamente smesso di suonare. «Ne ero consapevole» disse la ragazza entrando definitivamente nella stanza; a malincuore chiuse la porta alle sue spalle, come a volersi costringere a restare lì, in quella saletta, con quell’affascinante vampiro dai mille misteri, senza la possibilità di sfuggirgli.

Laito, nel frattempo, si era alzato e aveva accolto la ragazza tra le sue braccia, posandole un bacio tra i capelli, restando ipnotizzato dal loro profumo. Tara affondò il viso nella giacca del vampiro per nascondere la smorfia contrariata che non era riuscita a reprimere, per poi stringere con forza quella stessa stoffa per resistere al dolore provocato da Laito non appena affondò i canini nella carne del suo collo, dove pochi attimi prima aveva lasciato un succhiotto. Gemette appena di dolore, facendo sorridere sadicamente il vampiro, che tuttavia non aveva alcuna intenzione di smettere di dissetarsi. «Oggi sei parecchio dolce, Princess-chan» sussurrò a pochi centimetri dall’orecchio della ragazza, facendola rabbrividire. Laito si accorse della pelle d’oca di Tara, perciò ridacchiò, diminuendo ancora la distanza e iniziando a baciarle con delicatezza il lobo. «Non credevo di farti quest’effetto, Princess-chan. La cosa non può che farmi piacere.»

Nonostante avesse tutti i muscoli bloccati e la mente ancora offuscata, decise di spintonare appena il vampiro, per fargli capire di allontanarsi, ma ottenne il risultato opposto: infatti, Laito la strinse maggiormente a sé, continuando a mordicchiarle la pelle. «Laito-kun… Basta, non mi sento molto bene…» disse a bassa voce, senza smettere di provare a respingerlo.

Il vampiro non si mosse; si limitò a mormorare qualcosa che lei neanche capì, ma era sicura che avesse a che fare con qualche frase tra il galante e l’aggressivo, qualcosa che servisse a farla cedere. Ma Tara non si fece intimidire né sconfiggere; raccolse tutte le forze che aveva in corpo e, con le braccia, fece maggiore pressione sul petto di Laito, riuscendo a scrollarselo di dosso e a farlo allontanare di pochi metri, quasi facendolo inciampare nello sgabello del pianoforte, che sembrava prendersi gioco di lei, con tutti quei tasti che erano concentrati ad osservarli, magari pensando ad una nuova melodia con la quale rapire nuovamente il musicista e la spettatrice.

Laito la guardò con i suoi occhi penetranti, serio come non mai. Per un secondo, Tara si pentì di averlo allontanato così bruscamente, ma si ricompose in pochi attimi. «Ho detto basta» sputò aggrottando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto. «Non mi far arrabbiare, stupido!»

Di tutta risposta, il vampiro si mise a ridere, divertito dall’espressione e dal comportamento della ragazza. «Princess-chan, hai un caratterino davvero stuzzicante» disse tra una risata e l’altra, mentre teneva le mani sullo stomaco.

Tara gonfiò le guance; provava un’emozione tra l’imbarazzo e la rabbia, uno stato d’animo a cui non sapeva dare un nome. Decise di cambiare argomento. Fece qualche passo verso il pianoforte a coda, tenendosi a debita distanza dal vampiro, e ne sfiorò delicatamente il legno di ottima qualità e lavorato minuziosamente. «Cosa stavi suonando?» chiese la ragazza nascondendo un sorriso.

Laito scattò sull’attenti appena notò l’espressione della fanciulla, dando vita ad uno dei suoi ghigni maliziosi, pronto a stupirla nuovamente. «Era una composizione libera» ammise con nonchalance. «Avevo voglia di suonare, così sono venuto qui e mi sono lasciato trasportare dall’istinto e dalle emozioni.» Allargando il sorriso malizioso aggiunse, con voce roca e sensuale, avvicinandosi a lei: «Vuoi che suoni anche te, Princess-chan?»

La rosa arrossì di botto, comprendendo l’allusione di Laito, e si affrettò a negare freneticamente col capo. «No grazie!» esclamò iniziando a sudare freddo.

Laito rise ancora, ma questa volta solo per prenderla in giro. «Sono così ripugnante ai tuoi occhi?» chiese giocoso, ma con una punta di amarezza nella voce.

Tara riuscì a tornare di un colorito normale, provando un’improvvisa e strana compassione verso di lui: non sapeva perché, ma sentiva l’impulso di ribattere, di dirgli che si sbagliava, ma qualcosa più forte di quella voglia – probabilmente l’orgoglio – la obbligò a reprimere tutto. «Sei semplicemente un vampiro» disse con una fitta al cuore, abbassando lo sguardo, sentendosi colpevole di quel suo piccolo sussulto, appena lui aveva compreso il significato della risposta.

Laito si raddrizzò il cappello in testa, per poi sedersi sullo sgabello del pianoforte. «Princess-chan, sai suonare il piano?» chiese con curiosità.

«Da piccola lo suonavo» ammise. «Non so se lo so fare ancora.»

«Perché non ci provi?» propose il vampiro facendole spazio sullo sgabello, invitandola ad accomodarsi.

Nonostante la titubanza, Tara decise di sedersi accanto a lui; i muscoli le si irrigidirono appena il braccio scoperto entrò in contatto, anche se di poco, con la giacca leggera di Laito.

«Coraggio, Princess-chan.»

Dopo aver preso un grosso respiro, la ragazza iniziò a muovere le dita sopra i tasti, suonando, prima lentamente e successivamente dando più ritmo, una delle melodie che avevano caratterizzato la sua infanzia, l’unica che riusciva ancora a ricordare. Sbagliò alcune note, stonando una parte della composizione, ma riuscì a riprodurre abbastanza fedelmente l’intera opera che le suonava suo nonno.

Un attimo dopo che le note finali della melodia si dispersero nell’aria, Laito applaudì, con un grande sorriso stampato in volto. «Sei stata bravissima, Princess-chan!» si congratulò, entusiasta, continuando a battere le mani.

La rosa percepì – ancora una volta – le goti tingersi di una lieve sfumatura di rosso. Farfugliò il contrario, ma lui insistette, stritolandola anche in un abbraccio per farle sentire maggiormente il suo entusiasmo. «Credo che possa bastare» disse Tara allontanandolo e riuscendoci al primo tentativo, forse perché il vampiro aveva ricevuto il messaggio. «Dove hai imparato a suonare, Laito-kun?» chiese dopo qualche attimo di silenzio.

Il vampiro sospirò, piegando il capo verso l’alto, ma rispose quasi subito. «Ho imparato quando ero piccolo. Mi insegnò mia madre.»

«E?»

«E niente, non ho mai smesso di suonarlo» disse Laito, per poi sorridere lievemente. «Mia madre era una donna davvero speciale per me.»

«Perché parli al passato?» domandò Tara, incerta.

«Lasciamo stare, Princess-chan, non è il momento giusto per parlarne» tagliò corto il vampiro. «Piuttosto, vogliamo suonare ancora?» propose con un sorriso stranamente non malizioso. Tara annuì, sorridendo a sua volta. «Ti va una melodia allegra? Così sembrerà di essere ad una festa!» disse Laito iniziando a sfogliare uno spartito.

La rosa scattò sull’attenti. “A proposito di festa…” «Posso chiederti una cosa?»

 

 

***

 

 

«Assolutamente no.»

«Per favore…?»

«No.»

«Non è neanche per me, ma per le altre.»

«Non sono affari che mi riguardano.»

«È una piccola cortesia, quella che ti sto chiedendo.»

«Mi vedo costretto a rifiutare.»

«Dai! Un po’ di comprensione!»

«Milady, ho detto di no.»

All’ennesimo sguardo di fuoco, Selena roteò gli occhi al cielo, irritata. Aveva imparato a conoscere Reiji, e sapeva per certo che era davvero difficile spingerlo a fargli accettare una proposta che sarebbe andata fuori dall’ordinario. Ma non aveva alcuna intenzione di arrendersi e lui avrebbe dovuto rendersene conto. «Reiji-san, non c’è nulla di male.»

Il vampiro riprese a leggere il suo libro come se niente fosse. La ragazza lesse velocemente il titolo: La Vivisezione del Genere Umano. «Riconosco che per gli umani, specialmente per le ragazzine umane, le feste siano un evento parecchio ricercato, ma non ho intenzione di lasciarvi partecipare a questo genere di eventi» disse senza smettere di leggere.

«Posso sapere il perché?» chiese Selena, seccata.

«Avete fatto un patto con noi, e codesto non può essere infranto.»

«Non abbiamo mai neanche pensato di infrangere la promessa che vi abbiamo fatto» disse la blu, dopo aver fatto tanti respiri profondi per mantenere la calma. «La nostra richiesta, alla quale mi sono personalmente offerta di fare da portavoce ufficiale, è quella di poter partecipare a questo rito annuale al quale siamo solite non mancare.»

«Ciò non rientra nei miei interessi» rispose Reiji, per poi rivolgerle lo sguardo accompagnato da un ghigno malefico. «Costernato.»

A Selena per poco non uscì il fumo dalle orecchie: mai una persona l’aveva sfidata, mai qualcuno l’aveva messa alla prova e mai avrebbe immaginato di provare così tanta ira nei confronti di qualcuno. «Ma mangiati un’emozione» brontolò a denti stretti e a pugni serrati.

«Prego?»

La ragazza si mise ben dritta e incrociò le braccia. «Stavo ipotizzando una condizione» buttò lì, elogiandosi mentalmente per aver salvato la situazione molto rapidamente.

Il vampiro si fece interessato, chiudendo definitivamente il libro che aveva tra le mani. «Sarebbe?» Selena, come concessole dal vampiro, si accomodò su una poltrona e accavallò elegantemente le gambe. Spiegò in maniera decisa e chiara la propria condizione, senza esitare neanche un attimo. Poi attese, per qualche secondo, la risposta di Reiji, che era impegnato a riflettere, con delle dita ad accarezzarsi lentamente il mento.

«Accetto.»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Eccomi qui! Spero di non avervi fatto attendere troppo ^^ Ora, avete presente quando ho detto che in questo chappy sarebbero stati presenti dei battibecchi grazie alla Modalità Sadica della mia persona? Ecco. Hope you enjoyed~

Subaru: Ma enjoyed per niente, cos’è ‘sto schifo?!

Ma stai zitto, che tu non te ne intendi di libri. In repertorio abbiamo un esperto?

Kou: Ehm, c’è Ruki-kun.

EEEEHHH?! SOLO LUI?!

Kou: Sì ^^’’

E va bene, fatelo entrare -.-

Ruki: *entra* Chi mi desidera?

Subaru: ‘scolta, Reiji-baka 2.0, visto che tu sei perfettivo e te ne intendi tanto, questo capitolo è bello o fa ca**re?

Ruki: *legge velocemente* … Fa ca**re.

*cade in depressione in un angolino della stanza*

Subaru: Grazie, adesso puoi andartene. *sfonda un muro* Prego, da questa parte.

Ruki: *se ne va*

Laito: Va tutto bene, ai-chan?

Sì. Tutto bene.

Laito: Davvero?

NO, AI-BAKA-CHAN!

Reiji: Calmatevi tutti.

NUUUUU-- *a few hours later* Okay, mi sono calmata ^^

SakaBro: *legati con delle corde a testa in giù dal balcone* SEI PREGATA DI SLEGARCI, GRAZIE.

No. All right (maybe not) guys! Fatemi sapere se questo capitoletto vi è piaciuto oppure no :) Io adesso vado a mangiare qualcosina, che Ayato quando vede i takoyaki accompagna.

Ayato: *urla dal balcone* TI HO SENTITO.

Lo so, Ayato-kun, lo so.

-Channy

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Capitolo 19
*** Party and Blood ***


-PARTY AND BLOOD.

 

 

«Un premio all’ingegno. Seriamente, non potevi proporgli una condizione migliore?»

«Harumi-san, sai benissimo che Reiji è inflessibile quando si tratta di questo genere di cose. Ho dovuto darmi un contegno.»

«No, Selly, non lo so. Non sono mica io il suo piccolo succo di frutta.»

«Non importa, anzi, dovresti essermi grata per essere riuscita ad ottenere il suo permesso.»

Harumi roteò gli occhi e sospirò. «Io ho ottenuto quello di Shuu.»

«Ottenere il permesso di Shuu è facilissimo, dato che non gliene importa nulla di quello che fai.» commentò Tara sbadigliando, stanca e assonnata per la lunga giornata trascorsa.

«Esattamente come col playboy» rispose Harumi, indispettita. «Basta che gli dai del sangue e qualche bacetto.»

La rosa le lanciò un’occhiata di fuoco, ma decise di tenere la bocca chiusa – l’ultima cosa che desiderava, in quel momento, era litigare con un’amica preziosa come Harumi. Anche se si sentiva quasi offesa dall’affermazione detta dalla ragazza dai capelli verdi, decise di metterci una pietra sopra e di non pensarci; dopotutto, era vero, bastava davvero poco per convincere Laito di qualcosa, occorreva soltanto giocare d’astuzia e promettergli una qualche ricompensa interessante.

«Dai, ragazze, non fate così» intervenne Yui. «Dopotutto, è Reiji che prende decisioni anche per gli altri. Se ha accettato lui, probabilmente è fatta anche senza il consenso di qualcun altro.»

«Per qualcun altro intendi Cappio al collo?» chiese retoricamente Harumi guardandola di sottecchi.

«Si chiama Ayato» precisò la bionda con le goti lievemente arrossate. «Comunque lui non mi ha dato il permesso» aggiunse con voce più triste.

«Idiota possessivo che non è altro» borbottò Tara assottigliando gli occhi e gonfiando le guance.

«Io sono riuscita a convincere Kanato-kun dicendogli del banchetto dedicato ai dolci» disse Miki battendo allegramente le mani.

«Eccola, la mia piccola donnetta tutta miele e purezza» esclamò Harumi stringendo la castana tra le braccia e strofinandole vivacemente un pugno sulla testa.

«Mi fai male!» si lamentò scherzosamente l’occhialuta tentando di scrollarsi l’amica di dosso.

Selena osservò silenziosamente la scena con le labbra increspate in un debole sorriso: nonostante i modi di fare delle sue amiche alcune volte fossero alquanto infantili e giocosi, apprezzava i loro tentativi di alleviare la tensione che, da quei giorni a quella parte, da quando avevano iniziato a frequentare quella villa abitata da vampiri sadici e parecchio singolari, era sempre presente nell’aria. Tuttavia il suo piccolo sorriso scomparve appena incontrò gli occhi azzurri di Kin che, nonostante l’espressione facesse intendere una strana allegria, trasmettevano tristezza e rassegnazione: rassegnazione per quell’allegria menzognera, rassegnazione per il doloroso destino affidatole, rassegnazione per la triste notizia che le avevano dato i medici, rassegnazione per tutto.

 

 

***

 

 

Un ragazzo alto e magro, dai capelli color pece, gli occhi di un colore indefinito – sfocianti tra il blu e il grigio – e il portamento elegante e composto scese dal treno ad alta velocità con il suo bagaglio a mano perfettamente ordinato, guardandosi attorno per qualche attimo come per orientarsi, per poi dirigersi a passo ritmato verso l’uscita della stazione. Non guardava in faccia nessuno, solo un punto indefinito ma costante davanti a sé, facendolo apparire per niente intimorito o esitante e disperso agli occhi della gente, che lo osservava quasi rapita, sicuramente dalla sua bellezza commentata furtivamente da alcune ragazze che lo avevano adocchiato, tenendosi comunque a debita distanza. Ma era inutile – lui poteva sentire tutto.

Non badò alle occhiate bramose di alcune giovani dai cuori palpitanti né ad impacciati tentativi di approccio da parte di alcune di esse – il vecchio metodo dell’orologio non poteva di certo funzionare, una stazione ferroviaria è logicamente piena zeppa di orologi –, perché il suo unico obbiettivo era uscire di lì. E, quando finalmente riuscì ad assaporare sulla propria pelle l’aria fresca del mattino, si sentì sollevato.

Andò incontro ad un uomo prossimo alla mezza età e fece per salutarlo educatamente, ma l’altro lo precedette e lo strinse tra le proprie braccia con affetto. «Quanto sei cresciuto, figliolo» disse osservandolo da capo a piedi.

«Signor Komori» disse il ragazzo facendo un breve inchino.

«Ti prego, lascia perdere le formalità e chiamami Seiji» disse il prete dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

Il ragazzo tentennò qualche attimo, anche se non diede troppo a vederlo. «Come vuole, Seiji.»

L’uomo gli mostrò un sorriso genuino e lo invitò a seguirlo verso un’automobile di vecchio tipo ma tenuta in buone condizioni. «Vedrai, Yui sarà felice di rivederti» disse il prete aggiustando lo specchietto retrovisore.

Il ragazzo, sedutogli accanto, accavallò le gambe e sembrò rilassarsi appena l’altro accese il motore dell’auto e iniziò a fare retromarcia per uscire dal parcheggio. “Yui…”

 

 

***

 

 

Ormai era questione di minuti, la festa di inizio estate stava per iniziare. Il sole era sul punto di tramontare del tutto, i suoi raggi che illuminavano il paesaggio erano pochi e si poteva azzardare a contarli, ma erano sempre accecanti e suggestivi, irraggiungibili e magici.

Ad Harumi non importava molto essere quasi impresentabile per la serata imminente; era più che felice di poter contribuire agli ultimi preparativi per la festa, e la sua tuta preferita era comodissima per quello scopo. La conoscevano tutti in paese per il suo altruismo fuori da ogni limite di immaginazione e ne andava fiera, terribilmente fiera; era solita ad aiutare ad ultimare gli allestimenti ogni anno, se non cooperare sin dall’inizio con i responsabili di quella festività ricorrente in quella particolare zona della regione.

«Harumi-chan, potresti portare questi scatoloni al magazzino centrale?» le chiese una signora di mezza età indicandole tre scatole di cartone contenenti alcune cianfrusaglie. «Quest’anno questi aggeggi non ci torneranno molto utili» continuò la donna indicando un vecchio bussolotto arrugginito.

«Certamente, signora Sasaki» rispose la ragazza con un sorriso, per poi prendere in braccio i tre scatoloni insieme, formando una pila che le andava a coprire la vista.

«Sicura di farcela? » le chiese la signora Sasaki con un velo di preoccupazione nella voce e negli occhi.

«Sì! È leggerissimo!» esclamò Harumi barcollando appena, per trovare un punto di stabilità. «Non c’è cosa che io non possa fare, se lo ricordi.» Ma non era vero. C’erano un sacco di cose che la ragazza dai capelli verdi non era in grado di fare, a cominciare dal trasportare quei tre scatoloni insieme: erano pesanti, eccome, e lei aveva mentito per non mostrarsi debole, perché lei non era per niente debole. Oppure, semplicemente, non voleva darlo a vedere.

S’incamminò verso il magazzino facendo attenzione a non cadere o a non scontrarsi con qualcuno, anche se, doveva ammetterlo, l’impresa era abbastanza ardua. Ma non poteva tornare indietro, non poteva arrendersi, non voleva arrendersi. Si fermò di colpo, giusto in tempo per evitare di scontrarsi con un gruppo di bambini che giocavano a rincorrersi. Anche lei, quando era bambina, amava giocare a rincorrersi con suo fratello, nonostante fosse molto più lenta di lui e finiva per perdere ogni volta, tranne quando lui fingeva di cadere per farla vincere e farsi giocosamente prendere in giro.

«Fate attenzione alla strada, bambini» disse Harumi al gruppetto, riconoscendo tutti i piccoli presenti; erano i suoi piccoli sottoposti del club dei boy scout.

«Agli ordini, Harumi-senpai!» risposero in coro i bambini imitando un saluto militare.

«Riposo, soldati!» esclamò la ragazza con un sorriso soddisfatto in volto, per poi permettere loro di riprendere a giocare.

Riprese a camminare senza togliersi quel sorriso dal viso, e quasi non si accorse di essere arrivata a destinazione: il magazzino centrale era una struttura non molto grande situata di fianco al municipio, perciò abbastanza veloce da raggiungere senza l’uso di veicoli. Tirò un sospiro di sollievo: le stavano per cedere le braccia, doveva assolutamente posare quei cartoni prima di combinare un disastro.

«Guardate un po’ chi abbiamo trovato… Una delle Bitches-chan!» le disse una voce nell’orecchio, facendola spaventare e cadere tutti gli scatoloni dalle braccia.

In quegli attimi si preparò psicologicamente al meglio: si preparò per sferrare un pugno a Laito, si preparò per tirar fuori dal profondo una quantità immensa di imprechi contro di lui e si preparò per raccogliere tutto il materiale da conservare da terra.

Ma semplicemente non accadde nulla.

Abbassò lo sguardo e mise a fuoco la figura di Shuu chinata a terra, sulle ginocchia, una mano tesa sotto i tre scatoloni a sorreggerli e gli occhi chiusi come al solito; poi, però, li aprì e i suoi zaffiri incontrarono gli occhi color nocciola della ragazza, senza trasmettere nessuna emozione. La stava solamente osservando. «Stai attenta» la ammonì alzandosi lentamente in piedi continuando a tenere in perfetto equilibrio le tre scatole di cartone, tanto da far impressionare Harumi; venne inoltre invasa dal suo profumo di acqua di colonia, che ormai avrebbe potuto riconoscere ovunque.

«Ma non sono pesanti?» chiese Harumi, indicando i tre scatoloni con un dito indice.

«Per niente» rispose il biondo per poi sbadigliare sonoramente e porgerle le scatole.

Harumi si affrettò a consegnare i tre scatoloni a due addetti del magazzino che vigilavano l’entrata; subito dopo augurò loro una buona serata e corse dai fratelli vampiri: non sapeva perché, ma saperli lì le metteva in uno strano stato di agitazione, dovuta al loro essere vampiri.

«Gli umani sono più deboli rispetto a noi» fece Reiji nel suo completo nero elegante. «Non te ne sarai per caso dimenticata?»

Lei si affrettò a negare, mentre Kanato fece capolino da dietro Reiji con Teddy ben stretto tra le braccia. «Teddy, è vero che gli umani sono esseri deboli e privi di spina dorsale, sai? Specialmente le donne. Loro sono così lagnose e problematiche…» sussurrò al suo amico di stoffa mentre era intento a lanciare occhiate furtive alla ragazza dai capelli verdi.

«Tu… Brutto marmocchio…» masticò tra i denti Harumi, lanciando al vampiro dai capelli lillà stilettate di fuoco.

«Come hai osato chiamarmi, sporca umana?!»

«Oh, non mi hai sentito?» chiese sarcasticamente Harumi. «Ho detto che sei un brutto marmocchio.»

Le pupille dell’altro si restrinsero di parecchio e fece per saltarle addosso, ma fu prontamente afferrato da Subaru per il cappuccio della felpa e sollevato da terra con estrema facilità. «SUBARU, LASCIAMI ANDARE SUBITO!» urlò Kanato dimenandosi per far lasciare la presa all’altro, ma ottenendo ben pochi risultati.

«Taci e non darmi ordini» disse l’albino con voce glaciale.

«Kanato, per favore, non comportarti in questo modo» disse Reiji mentre era intento a pulirsi gli occhiali con un panno bianco.

Il vampiro dai capelli lillà cacciò un urlo isterico e strinse così forte Teddy al suo petto al che, per un attimo, Harumi ebbe compassione per quell’orsetto di peluche; poi, però, Kanato si calmò e Subaru lo fece tornare a terra, ricevendo un’occhiata di fuoco da parte dell’altro.

«Piuttosto, che ci fate qui?» chiese la ragazza dai capelli verdi tuffando le mani nelle tasche.

«La nostra intenzione è quella di passare la serata con te e le altre nostre produttrici di sangue, come è nostra abitudine fare» rispose Reiji rimettendosi gli occhiali.

«Non erano questi i patti» disse Harumi, seria.

«Lo sappiamo» disse a sua volta Reiji, incrociando elegantemente le braccia.

«Non pensare che ce ne freghi qualcosa» s’intromise Subaru, appoggiato con la schiena al muro in parte a loro.

La ragazza sbuffò. «Selly è stata chiara quando ha dettato la condizione che tu, Reiji, hai accettato. Non dici sempre di essere un gentiluomo dalle buone maniere? Non rispettare i patti non fa bene al tuo galateo» disse tutto d’un fiato la verde.

Il vampiro con gli occhiali sembrò non scomporsi. «Concordo con te» rispose Reiji. «Infatti, io mi sono semplicemente limitato ad accontentare una richiesta fattami dai miei fratelli, ovvero venire qui oggi.»

Harumi parve rifletterci un attimo, poi assunse un’espressione seccata. «Perché ho l’impressione che Cappio al Collo e Playboy c’entrino qualcosa?» chiese puntando lo sguardo poco lontano da lì, incontrando subito le figure dei due gemelli dai capelli rossi, mentre erano intenti a corteggiare due ragazze frivole e che conosceva solo di vista – e di cui non si sarebbe mai fidata in tutta la sua vita.

Shuu rise lievemente. «Avevi dei dubbi a riguardo?» chiese il biondo abbandonandosi al muro del magazzino.

«No, nessuno» rispose Harumi, per poi scostarsi la frangia dalla fronte. «Comunque, visto che ormai siete qui, credo che non ci sia nulla che io possa fare per farvi levare le tende. Io vado a casa mia per cambiarmi, perciò non seguitemi. Le altre dovrebbero arrivare tra non molto, perciò aspettatele in piazza, alla panchina sotto al salice piangente» disse giocherellando con una lunga ciocca di capelli. «A dopo!» esclamò allontanandosi con un sorriso allegro e scuotendo una mano vivacemente.

 

 

***

 

 

«Ti rendi conto, Laito? In mezz’ora abbiamo rimorchiato tre pollastre a testa!» esclamò entusiasta Ayato dando una pacca al gemello.

I due avevano ben deciso di stare alla larga dagli altri fratelli, quella sera; avevano voglia di divertirsi, di fare baldoria e di darsi alla pazza gioia, perciò avevano ben pensato di evitare in tutti i modi gli altri Sakamaki, specialmente Reiji – l’ultima cosa che volevano era essere rimproverati miseramente davanti ad altre persone.

«Ma è naturale, Ayato-kun! Le ragazze sono tutte uguali, basta schioccare le dita et voilà!, sono tutte lì per rendersi a te» ridacchiò Laito accarezzandosi il labbro inferiore con un dito indice.

«Ah, è così, Laito-kun?»

Il vampiro col cappello, al suono di quella voce familiare, si voltò ed incrociò immediatamente quelle due occhi somiglianti a due grandi gemme nere contornate da ciocche di capelli rosa, che gli parvero così dannatamente belli ma anche velati di un sentimento negativo, come la rabbia o la delusione. «Princess-chan» la chiamò, osservandola da capo a piedi con espressione rapita.

La ragazza, sentendosi osservata fin troppo dagli occhi profondi del vampiro, arrossì appena, per poi oltrepassare i due fratelli facendo per andarsene; venne fermata prontamente dalle loro voci, che le intimavano – una prepotentemente e l’altra più allegramente – di restare lì con loro. Tara si voltò verso di loro e si maledisse mentalmente per ciò, perché aveva incontrato nuovamente gli occhi di Laito che, a quanto pare, non avevano alcuna intenzione di abbandonare la sua immagine.

«Princess-chan, stasera siamo vestiti allo stesso modo» cinguettò il vampiro alludendo ai colori che caratterizzavano i loro outfit casual, per poi prenderle una mano e portarsela alle labbra, in modo da farle un baciamano. «Sarà un caso oppure…?»

«È sicuramente un caso» si affrettò a rispondere lei, ritirando velocemente la mano per impedirgli di baciarne il dorso. «E poi è inutile che tenti di distrarmi, ho sentito benissimo le tue parole.»

«Non so di cosa tu stia parlando» rispose Laito con un sorridendo furbamente e anche con un po’ di divertimento.

«Non fare il finto tonto, che peggiori la situazione» bofonchiò Tara gonfiando le guance.

«Come sei scontrosa stasera» commentò Ayato. «Per caso, è quel periodo del mese?»

La ragazza sgranò gli occhi e arrossì, i muscoli le si irrigidirono appena vide Ayato ridere con il gemello della sua espressione scioccata. Si trattenne dal fare qualsiasi gesto volgare in pubblico, ma non voleva restare lì impalata, in silenzio. «COGLIONE!» sbraitò contro il maggiore dei due chiudendo le mani in due pugni, per poi girare i tacchi e andarsene indignata, continuando a borbottare parole incomprensibili.

 

 

***

 

 

La festa d’inizio estate era iniziata, ed era un buon quarto d’ora che la musica suonata dall’orchestra in piazza rimbombava per le vie del paese, permettendo a tutti i presenti di immergersi al meglio nell’atmosfera allegra e festiva.

«Buonasera» salutò una voce timida e femminile.

I Sakamaki presenti – ovvero Reiji e Kanato – si girarono nella direzione della suddetta voce e si ritrovarono davanti una ragazza non molto alta e dai capelli castani sciolti, che il minore dei due riconobbe dal suo odore. «Miki-chan?» la chiamò Kanato, mentre la squadrava da capo a piedi. Lei arrossì appena, ma poi fece un breve inchino per sottolineare il saluto precedente e sviare lo sguardo indagatore e severo di Reiji, che rispose all’inchino con un saluto cordiale; appena spostò lo sguardo altrove incontrò non una, bensì due chiome color della notte che catturarono la sua attenzione, portandolo a scattare sull’attenti e a raddrizzarsi gli occhiali sul ponte del naso, gesto che era solito fare quando era particolarmente preso da qualcosa. «Sono davvero dispiaciuto, ma attualmente mi vedo costretto a congedarmi per andare altrove» disse educatamente per poi allontanarsi dalla panchina.

Kanato non gli rispose neanche; aspettò che il fratello si allontanasse definitivamente, poi sorrise appena alla ragazza. «Sei davvero bella vestita così» le disse senza mezzi termini, tanto da farle incendiare le goti.

«Grazie, Kanato-kun» rispose torturandosi le mani.

Lui le lanciò un’altra occhiata. «Ti pregherei di non conciarti più in questo modo.»

Miki tentennò qualche istante, poi disse: «E perché? Hai appena detto che--»

«So quello che ho detto, non c’è bisogno di ripeterlo» la interruppe Kanato. «Piaci molto anche a Teddy.»

«Oh» commentò lei. «Be’, mi fa piacere.»

«NO, NON DEVE FARTI PIACERE!» urlò il vampiro, scattando in piedi. «Se piaci a Teddy, vuol dire che potresti interessargli del tutto, quindi inizierebbe a volerti bene. E Teddy deve voler bene solo a me, ne Teddy?»

Miki fece qualche passo indietro: le era tornata la paura. Nonostante avesse – in parte, certo – accettato il carattere e le abitudini di Kanato, quel vampiro riusciva ancora a terrorizzarla; il cuore le batteva a mille ogni volta che lui aveva uno dei suoi attacchi isterici, e la castana temeva costantemente per la sua incolumità. Vederlo in preda alle sue crisi la faceva disperare; desiderava lasciarsi andare, in quei momenti, ma ogni volta si costringeva a mantenere il controllo, per paura di peggiorare la situazione. «Ho capito» disse la ragazza, dopo aver fatto un respiro profondo. «Torno a casa e mi cambio. Metterò qualcosa che mi renda brutta, così Teddy sarà solo per te.»

Fece per voltarsi e andarsene, ma il vampiro la bloccò stringendole un polso; Miki si girò nuovamente, stavolta verso di lui, e subito incontrò i suoi grandi occhi profondi. Abbassò lo sguardo e lo puntò sulle loro mani, più precisamente sul punto che il vampiro le stava stringendo fino a lasciarle un livido. «Kanato-kun, mi stai facendo male» gli disse a bassa voce, mentre sul suo viso compariva una smorfia di dolore.

«Non andartene» le disse, serio. «Se ti mettessi qualcosa di brutto, mi vergognerei di andare in giro con te.»

Quelle parole le parvero una pugnalata allo stomaco: per lui contava solo l’apparenza?

«Così piaci molto anche a me» le confessò. «Mi piaci così tanto che mi viene voglia di baciarti e di morderti.»

All’interno di Miki in quel momento si scatenò una tempesta: la mente continuava a ripeterle che le sue parole fossero un inganno, che fossero state dette solo per incantarla, ma il suo cuore le diceva di arrendersi a lui, senza un perché. «Kanato-kun, lasciami, per favore» lo supplicò in poco più di un sussurro.

Lui, lentamente, le lasciò il polso, che Miki portò velocemente al petto, all’altezza del cuore, e prese a massaggiarlo con l’altra mano; non osava tornare a guardarlo, temeva la possibilità di affogare di nuovo in quegli abissi che erano i suoi occhi.

«Le ragazze sono parecchio sensibili, Teddy» disse Kanato tornando a rivolgersi al peluche. «Ecco, adesso è ferita. Cosa mi consigli di fare?» Il vampiro fissò intensamente il viso dell’orsacchiotto, poi lanciò degli sguardi veloci alla castana, subito dopo tornò a concentrarsi di nuovo sul pupazzo e mormorò un grazie, Teddy. «Andiamo a mangiare dei dolci, Miki-chan» le disse, per poi iniziare a camminare verso una zona poco distante da quella piazza, dove alcuni cittadini avevano allestito qualche bancarella con vari dolciumi da offrire ai golosi. La ragazza restò interdetta, ma poi raggiunse velocemente Kanato, affiancandolo e restando in silenzio.

E lui, con altrettanto silenzio, le strinse una mano con la propria.

 

 

***

 

 

«Hai capito cosa ti ho detto?» chiese Selena puntando le mani sui fianchi.

La ragazza che le stava di fianco sbuffò e annuì senza voglia, facendo scostare di poco i pochi ciuffi di capelli blu che le ricadevano sul viso. Era più bassa di Selena di circa venti centimetri e di corporatura era identica a lei; gli occhi erano a mandorla e azzurri e portava un piercing sulla lingua. I capelli erano lunghi e lisci, sembravano quasi una cascata d’acqua, se non fosse stato per il fatto che terminavano con una strana ed insolita sfumatura di un rosa appariscente. «Adesso posso andare dai miei amici? Cioè, già sono in ritardo, poi ti ci metti anche tu…» disse la ragazza roteando gli occhi al cielo.

«Signorina, bada a come ti rivolgi a me» rispose Selena, piccata.

«Sorellona, non farla troppo lunga e toglimi il guinzaglio» borbottò l’altra incrociando capricciosamente le braccia al petto.

«Ascoltami ben--»

Reiji apparve alle loro spalle, schiarendosi educatamente la voce. «Buonasera, Milady» la salutò guardandola dall’alto.

La blu, dopo essersi spaventata ma non averlo dato a vedere, si ricompose e si voltò verso il vampiro, ricambiando il saluto con altrettanta cortesia, per poi iniziare a fissarlo negli occhi, dando il via ad una strana gara di sguardi.

«Hey, ci sono anch’io!» esclamò scuotendo le mani per attirare la loro attenzione. «Chi sarebbe questo spilungone?»

Reiji assunse la sua espressione più seria e intimidatoria, puntando i suoi occhi sulla sua figura minuta e quasi infantile. «Il mio nome è Sakamaki Reiji. Gradirei se con me utilizzassi un linguaggio e un comportamento più educati» disse senza batter ciglio.

«Sì, va bene» rispose annoiata. «Senti, sorellona, che rapporti hai con questo qui, che mi tratta in questo modo?»

«Isako-nee, non avere questa confidenza con le persone a te sconosciute» la rimproverò Selena. «Comunque, lui è un mio compagno di studi» continuò, mentendo spudoratamente.

Reiji lanciò un’occhiataccia anche a lei, ammonendola in silenzio.

«Va bene, ci credo» disse l’altra. «Io mi chiamo Isako, sono la sorella minore di Selly, piacere» si presentò sfoderando un sorriso quasi abbagliante e mettendo in mostra due simpatiche fossette sulle guance.

«Il piacere è tutto mio» rispose Reiji facendole un baciamano. Rimase perplesso – quelle due ragazze erano sorelle e non avevano neanche molti anni di differenza, eppure avevano un odore completamente diverso.

«Bene, io me ne vado e vi lascio soli soletti» disse Isako facendo un occhiolino alla sorella, che divenne color porpora. Poi saltellò via a ritmo di musica senza neanche aspettare qualche altro permesso di congedo da parte della sorella, che stava continuando a darsi dei piccoli pugni sulla fronte per evitare di pensare alle parole dette da lei.

«Suvvia, Milady, non dirmi che sei rimasta sfregiata da quella frase» disse Reiji guardandola di sottecchi con un ghigno.

«Assolutamente no, ma che dici!» rispose lei, con forse troppa enfasi.

Reiji la squadrò da capo a piedi, osservando il suo abbigliamento. «Permetti la domanda, ma sarebbero questi i tuoi abiti da festa?» le chiese aggiustandosi gli occhiali sul naso.

«Perché? Sto male, forse?»

«Non mi azzarderei mai a dire qualcosa del genere, lo sai.»

Selena sospirò e puntò lo sguardo a terra. «Non sono ricca sfondata come te e i tuoi fratelli» rispose accarezzandosi un braccio con la mano opposta. «Ho una casa e una sorella da mantenere, dovrò pur sacrificare qualcosa.»

«Potresti spiegarti meglio, per cortesia?» chiese Reiji mascherando la sua curiosità con una lastra di ghiaccio.

La ragazza scosse la testa. «Lascia perdere, è meglio» disse, poi si sforzò di sorridere. «Piuttosto, saresti interessato alla biblioteca più antica della regione?»

 

 

***

 

 

In quel momento non gli importava più nulla. Non gli importava della musica più orecchiabile che avesse mai sentito; non gli importava delle occhiate veloci che gli stavano lanciando i passanti; non gli importava di Laito che lo stava tempestando di domande; non gli importava di quella ragazza – messa bene, doveva ammetterlo – spalmata tra le sue braccia.

Era scomparso tutto. Il mondo si era improvvisamente fermato quando l’aveva vista, da lontano, mentre parlava con due uomini che sembravano conoscerla molto bene. La cosa non gli faceva affatto piacere; i nervi avevano iniziato a pulsare, i muscoli si erano irrigiditi, le ossa erano diventate di piombo e le pupille si erano visibilmente ristrette appena il più giovane dei due le aveva sorriso e lei si era buttata tra le sue braccia, mentre l’altro se la rideva compiaciuto. Aveva sentito il suo odore dolce, lo aveva chiaramente percepito nell’aria e ne era rimasto ammaliato, come al solito. Poi aveva visto la sua figura vestita a festa. Non vedeva l’ora di azzannare quel collo bianco come il latte, lasciato scoperto dai capelli biondo platino legati in un alto chignon ordinato che non lasciava ricadere neanche un ciuffo di capelli, fatta eccezione per la frangetta ben pettinata che ricadeva sulla fronte della ragazza.

Si scrollò velocemente di dosso quella sconosciuta fin troppo invadente e la spinse tra le braccia del suo gemello, che rimase interdetto per qualche attimo, per poi iniziare a stuzzicare maliziosamente la ragazza, che si dimenticò completamente di Ayato, il quale aveva preso a marciare verso il suo obbiettivo. Strinse i pugni talmente forte che rischiò di ferirsi ai palmi delle mani, ma non ci badò tanto. Raggiunse l’oggetto dei suoi desideri in poche grandi falcate e subito si sentì gli occhi dei due uomini addosso. Afferrò la bionda da dietro e la strinse a sé con fare possessivo, facendo aderire perfettamente i loro corpi; nonostante stesse a contatto con la schiena della ragazza, poteva percepire con chiarezza il battito accelerato del suo cuore contro il proprio petto, e in quel momento gli parve di diventare un tutt’uno con quel suo profumo inebriante e delizioso.

«Scellerato, togli immediatamente le mani da mia figlia!» urlò il più anziano, furioso.

«Oi, stai zitto, vecchio» rispose sgarbatamente il rosso. «Chichinashi, cosa ci fai con questi du— Mia figlia?!»

«Ayato-kun, lasciami spiegare, te ne prego» disse flebilmente Yui facendo per scostarsi dalle braccia del vampiro.

«Mi sono perso qualcosa?» chiese Ayato lasciando la ragazza.

«Ecco…» fece lei, per poi indicare Don Komori. «Lui è mio padre, Komori Seiji.»

«Yui, cara, chi sarebbe questo giovanotto sgarbato?» chiese il prete senza smettere di fissare negli occhi il vampiro.

«Lui è--»

«AH?! Come osi chiamare Ore-sama giovanotto sgarbato?!» esclamò il rosso, gonfiando il petto. «Ti do il permesso di chiamarmi col mio nome, il grande e magnifico Ayato.»

Yui si passò una mano sul viso, mentre sospirava pesantemente.

L’altro ragazzo – lo stesso che Don Komori aveva incontrato quella mattina in stazione – rise lievemente alla scena, ma venne adocchiato dal rosso che, dopo averlo squadrato da capo a piedi, gli aveva rivolto uno sguardo sprezzante e cattivo. «E tu chi cavolo saresti?» gli chiese facendo qualche passo verso di lui, in modo da fronteggiarlo, e scoprì di essere più basso di circa dieci centimetri. «Ci stavi provando con la biondina?»

L’altro sorrise, beffardo. «Può darsi.»

«COME?!»

«Ragazzi, credo che possa bastare» disse Yui mettendosi tra i due. «Lui si chiama Ruki ed è un mio amico d’infanzia.»

«Solo amico?» chiese Ayato spostando lo sguardo dall’uno all’altra.

«Solo amico» rispose Ruki. «Tranne qualche volta, quando giocavamo all’allegra famigliola felice. All’epoca era facile farsi baciare dalle ragazze.»

Ayato fece per ribattere, ma venne fermato da una Yui rossa dall’imbarazzo, che protestò dicendo: «Questo non è affatto vero!»

Ruki si mise a ridere, anche se forzatamente, per prendere in giro entrambi. «Lo so» rispose. «Però vedere il tuo amichetto su tutte le furie cattura parecchio il mio interesse.»

Ayato lo afferrò per il colletto della camicia e lo strattonò appena. «Non prenderti tutta questa confidenza» scandì, gelido.

Ruki alzò le mani in segno di resa, ma divenne glaciale anche lui.

Don Komori si affrettò ad allontanarli, ammonendoli con rimproveri pacati ma severi. Yui aveva puntato lo sguardo a terra, triste e rassegnata: teneva molto a Ruki, e aveva paura che Ayato gli facesse del male, essendo un vampiro.

Proprio il rosso si accorse dello stato d’animo della ragazza e, mentre l’altro era impegnato a scusarsi formalmente con il prete, la afferrò per il braccio e la trascinò via, senza neanche parlarle. Lei neanche si spaventò – ormai si era abituata a quel comportamento misterioso e contorto di Ayato, tanto da non porsi neanche più che cosa gli passasse per la testa.

La portò lontano dalla festa, poi poté permettersi di teletrasportarsi altrove; scelse la stradina che conduceva alla magione sua e dei suoi fratelli che le ragazze percorrevano tutte le notti.

«Ayato-kun, perché mi hai portata qui?» chiese Yui innocentemente, una volta riconosciuto il posto.

Il vampiro strinse la bionda a sé, per poi avvicinare le proprie labbra all’orecchio della ragazza, preparandosi a morderle il lobo. «Quando lo capirai?» disse lui con voce roca.

«Cosa?»

«Che sei solo mia.»

 

 

***

 

 

Subaru odiava le feste. Odiava non solo quelle, ma anche le persone, la musica, i suoi fratelli ed ogni singolo giorno della sua vita. L’unica cosa che le era amica era la solitudine. Era convinto che non avesse bisogno d’altro; perché avrebbe dovuto desiderare cose o persone che non avrebbero fatto che ricordargli il passato ogni singolo giorno della propria vita? Lui se la sarebbe potuta cavare benissimo anche da solo. Trovava alquanto superficiali i rapporti con altre persone, perché sapeva che sarebbero potuti solo finire, data la loro fragilità; possedere ricchezze era inutile e la musica avrebbe contribuito a farlo impazzire definitivamente.

Si prese la testa tra le mani e si scompigliò i capelli. Si appoggiò con la schiena a un muro e scivolò lentamente a terra, per poi piegare le gambe al petto e nascondere la testa tra esse, sperando di scomparire seduta stante. Poi, però, sentì una mano morbida sfiorare delicatamente un proprio braccio e subito alzò il capo: i suoi occhi andarono a scontrarsi violentemente con quelli chiari di Kin che, accovacciata in parte a lui, sembrava essere arrivata da poco. «Ah, sei tu» le disse secco, tornando nella posizione precedente.

La ragazza restò in silenzio e immobile, distogliendo lo sguardo dalla figura del vampiro.

«Vattene, voglio stare da solo.»

Ma lei non si mosse di un millimetro. Sapeva che lasciarlo da solo sarebbe stata una pessima idea; era del parere che le persone avessero sempre bisogno di stare in compagnia, di avere qualcuno al proprio fianco. Perché Subaru la pensava diversamente? Perché non riusciva ad accettare di avere anche lui delle debolezze? Voleva dirglielo, voleva dirgli tutto ciò che pensava, tutto ciò che era represso nel suo cuore, voleva urlarglielo in faccia, urlarlo al mondo, che in quel modo non avrebbe risolto niente, la sua vita non sarebbe potuta migliorare.

Solo che non poteva.

«Hey, Mugon, oltre ad essere muta, sei diventata anche sorda?» le disse, velenoso e freddo.

Kin tornò a guardarlo, impassibile, senza scomporsi. Allungò una mano verso la tasta dei propri jeans chiari e ne estrasse un foglio di carta ripiegato più volte, poi lo porse al vampiro. Subaru la guardò, incerto, ma poi accettò di prendere il foglio; lo aprì e lo lesse velocemente, standosene in assoluto silenzio. Restò sconcertato dopo la lettura: quelle parole dure, quella firma in fondo alla pagina, quelle goccioline che parevano tanto lacrime tra le righe…

«Tu…» iniziò, con la gola stranamente e improvvisamente secca. «Hai completamente perso la voce?»

La ragazza annuì lentamente, con il labbro inferiore tremante, guardando il vampiro nei suoi occhi scarlatti, che sembravano ribollire in quel momento. L’albino, con un impeto di rabbia, appallottolò il foglio e lo lanciò violentemente lontano da loro, in modo da farlo scomparire dalle loro viste. Allungò le braccia verso la rossa e la tirò a sé, intrappolandola tra le sue gambe, in modo da non farla opporre; poi le scostò senza gentilezza la larga maglia color verde bottiglia in modo da scoprile il collo e una spalla e affondò i canini nella carne, iniziando a bere avidamente quel sangue che gli piaceva tanto. La sentì gemere appena di dolore, poi percepì il suo capo appoggiarsi contro il proprio petto e le mani stringergli la maglia bordeaux, nel tentativo impacciato di resistere al dolore. Si staccò appena per guardarla negli occhi, i loro nasi a sfiorarsi. «Fanculo alla voce» sussurrò rocamente. «Il tuo sangue manda in estasi.»

 

 

***

 

 

Si posizionò davanti allo specchio di camera sua e si osservò da capo a piedi: la divisa da boy scout le stava a pennello e le permetteva anche di stare comoda. La maglietta a maniche corte verde era decorata da qualche spilla donata come ringraziamento, mentre le altre erano ben fisse sulla giacca color muschio che, almeno per quella sera, aveva deciso di non indossare; i pantaloni mimetici erano puliti e intatti, nonostante fossero stati sottoposti a parecchi allenamenti e rocambolesche avventure con i suoi piccoli sottoposti. Si annodò i lacci delle scarpe da ginnastica nere consumate e indossò la sua fascia da caposquadra, annodandola al braccio, con un sorrisetto soddisfatto e fiero stampato sulle labbra.

«Ne Chiasso, hai finito? È stancante starti a guardare così a lungo…»

Harumi si voltò di scatto verso la porta-finestra e rabbrividì appena vide la figura di Shuu appoggiata alla ringhiera del balcone. «E tu da quanto tempo sei qui?!» urlò andando velocemente verso di lui.

«Da un po’» rispose il biondo, sbadigliando.

«Quale parte del non seguitemi non avevi capito?»

«Ah, ecco cosa avevi detto.»

Harumi sbuffò, stizzita. «Di’ la verità, mi hai visto mentre mi stavo--»

«Vestendo? Sì, anche se la parte migliore è stata quando ti sei spogliata.»

«DEFICIENTE!» Lo colpì con un pugno allo stomaco mettendoci tutta la propria forza, mentre le sue goti erano tinte di un vivace rosso scoppiettante. “Non si sarà fatto molto male, ma ne è valsa la pena.”

Il vampiro, di tutta risposta, le mostrò un ghigno soddisfatto. «Sono il primo che ti fa arrossire in questo modo?» chiese, così beffardo da mandarla ancora più in bestia.

«Sei il primo a cui voglio fare davvero del male» rispose lei, mentre i pugni le tremavano dalla rabbia.

«Non ci riuscirai, Chiasso.»

«Scommetti?»

Shuu sbadigliò nuovamente, borbottando un sei proprio noiosa.

«Se sono così noiosa, perché mi hai seguito?» chiese la ragazza incrociando le braccia al petto.

«Perché non mi andava di restare lì, con tutta quella confusione» rispose il vampiro con gli occhi chiusi. «Non riuscivo a dormire.»

«Ammettilo, sei un pervertito.»

«Non sono Laito.»

«Perché, voleva venire anche lui?»

«Non credo, di solito preferisce avere più ragazze che una sola» rispose Shuu con nonchalance.

Il pensiero della ragazza dai capelli verdi saettò a Tara – sperava tanto che non si stesse affezionando a quel vampiro, altrimenti avrebbe solo sofferto. Avrebbe vissuto di nuovo quell’esperienza che, anni addietro, l’aveva devastata.

«A cosa stai pensando?» chiese il vampiro guardandola negli occhi.

«A nulla» fece lei, vaga.

Shuu restò in silenzio, osservando la figura della ragazza poco distante da lui, mentre era in preda a borbottare strambi insulti e un nervo le pulsava visibilmente sulla fronte. La trovava parecchio intrigante. Con un movimento veloce la abbracciò da dietro, prendendola alla sprovvista.

«Che fai?» chiese lei, con le palpebre spalancate.

«Ho sete» rispose il vampiro.

«No, aspetta!» urlò Harumi, dimenandosi e riuscendo a liberarsi. «Non puoi mordermi!»

«Che stai dicendo?» disse lui, serio.

«Qualcuno potrebbe vedere il morso.»

«La cosa non ti intriga?» chiese Shuu ghignando.

«Per niente» rispose la ragazza, per poi correre dentro casa. Tornò sul balcone neanche un minuto dopo, con l’avambraccio decorato da un taglio da cui sgorgava lentamente del sangue.

«Che hai fatto?» domandò il vampiro senza staccare gli occhi dalla ferita.

«Mi sono tagliata» rispose Harumi, in imbarazzo. «Se proprio devi bere, allora serviti pure qui, ma senza mordermi, per favore.»

Shuu rimase allibito: il comportamento di quella sera di Harumi era strano, e di certo non ci sarebbe voluto un genio per capirlo. «Perché dovrei?» chiese il biondo, che era ancora intenzionato a morderla.

«Dopo devo incontrare i bambini della mia squadra del club di boy scout» rispose la ragazza. «Se mostro loro questo taglio, potrò raccontare loro una storia su come me lo sono fatto. Se dovessero vedere i segni dei tuoi canini, non saprei loro cosa dire. Avanti, non vorrai mica traumatizzarli?»

Il vampiro non seppe come ribattere. No, certamente. Avrebbe dovuto ammetterlo almeno a se stesso: non era così crudele da traumatizzare dei bambini. Non voleva neanche ricordare il suo, di trauma. «Sei proprio masochista» le disse in un soffio. Avvicinò il viso al braccio sanguinante di Harumi e, dopo averle leccato via tutto il liquido scarlatto che era sgorgato dal taglio, prese a bere direttamente da questo, mentre nelle sue orecchio rimbombava il silenzio più tombale. Aprì gli occhi e li puntò sul viso della ragazza, per poi seguire la traiettoria del suo sguardo: stava osservando l’interno della sua camera, immersa nei propri pensieri. Sembrava afflitta. «Perché ci sono due letti?» chiese il vampiro, fermandosi.

L’espressione di Harumi si rabbuiò maggiormente. «Una volta questa era la stanza anche di mio fratello» rispose, quasi assente.

«E ora lui dov’è?» domandò ancora, improvvisamente interessato all’argomento.

La ragazza prese a guardarlo negli occhi, tutt’altro che intenzionata a parlarne. «Pensa a bere e non scocciarmi.»

 

 

***

 

 

«È davvero deliziosa questa crostata, ne Teddy?»

Miki guardò Kanato, mentre lui si era di nuovo immerso in una conversazione con il suo peluche e stavolta l’argomento era la squisitezza di quella crostata di ciliegie, che Teddy sicuramente non avrebbe potuto assaggiare. A dire la verità, non le importava molto di quello che Kanato aveva da dire al suo orsacchiotto. Il suo pensiero era rivolto alla circostanza che si era andata a creare da quando si era accomodata a quel tavolino per due fuori, da una caffetteria con il vampiro: i passanti li osservavano di sottecchi, ridacchiando e volgendo loro sorrisi maliziosi, fraintendendo tutto. Ma la verità era che loro due, lì, sembravano davvero una coppia di fidanzati. Era arrossita a vista d’occhio appena l’aveva realizzato, mentre Kanato semplicemente con ci aveva badato più di tanto, perché troppo preso a gustare le prelibatezze servitegli da una cameriera – che aveva fatto un occhiolino di approvazione a Miki, con il solo risultato di farla arrossire maggiormente.

«Miki-chan, che hai?» chiese il vampiro, tornando a guardarla. «Sei così rossa. Ti senti bene?»

La ragazza scattò sull’attenti, mostrandogli un sorriso forzato. «Sì, sto benissimo» rispose, forse un po’ troppo velocemente.

A quel punto, Kanato diede vita ad un sorriso tutt’altro che innocuo. «È perché questo sembra un appuntamento tra fidanzati?» le domandò, malizioso.

Arrossì ancora di più, se possibile. «Ah, credi? Sembra così?» balbettò Miki, mentre le gambe le sembravano due budini.

«Sembra eccome» rispose Kanato, continuando a guardarla negli occhi. «Mi desideri così tanto da essere nervosa fino a questo punto?»

Alla ragazza per poco non uscì il fumo dalle orecchie – in che situazione si era andata a cacciare? Non ebbe neanche coraggio di rispondergli; forse era per la gola secca, oppure per la mancanza di parole, ma optò per distogliere lo sguardo da quello del vampiro e puntarlo altrove, ma ogni punto le sembrava sbagliato e inopportuno da osservare, finendo per cambiare obbiettivo in continuazione. «Sei adorabile quando sei imbarazzata, Miki-chan» le disse Kanato prendendole il mento con una mano e facendo in modo che lei tornasse a guardarlo.

La ragazza si limitò a non rispondergli, raddrizzandosi appena gli occhiali sul ponte del naso.

«È buono il tuo sorbetto?» le chiese il vampiro, indicando il suo bicchiere.

«Sì, ne vuoi un po’?» disse Miki porgendogli la coppa mezza vuota.

Kanato accettò in silenzio e prese tra le mani il bicchiere, per poi portare alle labbra la stessa cannuccia che stava usando la castana poco prima e iniziare a bere il liquido dal colore giallognolo, donatogli dall’essenza del limone. «Squisito» commentò, bevendone un altro po’, per poi restituirlo alla ragazza. «Però preferisco la mia crostata, è più dolce.»

«Hai ragione, le ciliegie sono deliziose» rispose Miki sorridendo. «Piacciono molto anche a me.»

Kanato spostò lo sguardo da lei alla sua fetta di crostata più volte, per poi trarre le proprie conclusioni. Prese la forchetta e tagliò un pezzetto del dolce, per poi portare tutto alle labbra della ragazza, costringendola ad aprire la bocca e a farle assaggiare il boccone. Miki masticò il pezzo di crostata lentamente, mentre i suoi occhi erano incatenati a quelli del vampiro, che sorrideva appena; poi sorrise anche lei, spostandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio, e le parve di vedere il sorriso di Kanato allargarsi ancora di più, ma conservare allo stesso tempo la sua bellezza disarmante.

Proprio in quel momento, il vampiro scattò in piedi e prese Teddy tra le sue braccia, per poi porgere una mano a Miki, invitandola ad alzarsi. La ragazza, confusa, gli prese la mano e si alzò, chiedendogli cosa gli fosse preso.

«Senti la musica lenta?» le chiese incamminandosi verso la piazza.

«Ecco, sì…» rispose timidamente lei, sostenendo il passo dell’altro.

Non le disse più niente, troppo impegnato a farsi strada tra la folla di persone. Arrivarono alla pista da ballo in poco tempo: c’erano molte coppie di innamorati intenti a dondolarsi sulle note della musica romantica, ed erano così prese dal loro amore che neanche si accorsero dell’arrivo dei due.

«Voglio ballare con te» disse Kanato stringendo un po’ più forte l’orsetto di peluche al petto. «Un po’ lo vuole anche Teddy.»

Non poteva crederci, non riusciva a crederci: era contesa da un vampiro e un peluche? La ragazza esitò un attimo. «Non è un problema?» chiese dondolandosi sui talloni. «Voglio dire, quale delle due proposte dovrei accettare?»

«Cosa intendi?»

«Be’» iniziò, puntando lo sguardo a terra. «Se accettassi l’invito di Teddy, tu ci rimarresti male, ma se accettassi il tuo, di invito, sarebbe Teddy a sentirsi rifiutato.»

Kanato rimase in silenzio, a pensare: non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere. Guardò Teddy per qualche attimo, in una muta consultazione. «Miki-chan» la chiamò, tornando a guardarla. «Io e Teddy ci siamo messi d’accordo. Ballerai con entrambi.»

«Eh?»

Le afferrò la vita con una mano e la tirò a sé, guardandola negli occhi. La ragazza appoggiò una mano sul suo petto, e Kanato posizionò il suo peluche al lato dei loro corpi, facendolo poggiare sulle loro braccia; poi, con la mano opposta, afferrò la mano di Miki e fece incrociare le loro dita. Successivamente iniziò ad ondeggiare sul posto, invitandola a fare lo stesso. La paura di inciampare e cadere della ragazza svanì completamente, anche se continuava a fare attenzione a non calpestargli i piedi. Un sorriso le nacque spontaneamente sulle labbra. «Grazie per l’invito, Teddy» disse rivolgendo un sorriso dolce all’orsacchiotto. Percepì la presa del vampiro attorno alla vita intensificarsi, lo stesso fu per la mano; lo guardò in viso e vide le pupille dei suoi occhi restringersi visibilmente. La propria colonna vertebrale venne attraversata da un brivido di paura. «Grazie anche a te, Kanato-kun» sussurrò, per poi dargli un veloce bacio su una guancia. Subito dopo nascose il viso tra il collo e la spalla del vampiro, troppo imbarazzata per guardarlo negli occhi.

Sentì solo la presa sulla sua mano allentarsi di nuovo e il braccio avvolgerle di più la schiena.

 

 

***

 

 

Quella era decisamente la serata peggiore degli ultimi suoi anni. Non solo le sue amiche si erano come volatilizzate e non rispondevano al cellulare, non solo la sua collana si era rotta e aveva dovuto togliersela, non solo un ragazzino indisciplinato le aveva attaccato un foglio con una frase strana dietro la schiena – e per accorgersene le ci era voluto un vecchietto di buon cuore per farglielo notare –, ma aveva dovuto incontrare anche lui.

Si era immobilizzata appena aveva visto quei capelli color cenere risaltare tra le altre persone, appena aveva intravisto quegli occhi color malva, ancora più brillanti e splendenti di quanto lo fossero nei suoi ricordi. Il cuore aveva saltato un battito e si era sentita improvvisamente mancare. Credeva di essere riuscita a superare quella fase, di essere riuscita a togliersi dalla testa quella storia, di aver dimenticato, ma improvvisamente era riaffiorato tutto. Gli occhi iniziarono a pizzicarle, ma si impedì di piangere. Aveva già versato troppe lacrime per quel ragazzo che le ricordava fin troppo un periodo di debolezza del passato.

«Princess-chan, chi è quel ragazzo?» le chiese Laito, apparendole alle spalle.

Ma Tara non si mosse di un millimetro, né si spaventò; i suoi occhi erano ancora incatenati altrove. Il vampiro la scrollò appena per le spalle, riuscendo ad attirare l’attenzione della ragazza, che voltò lentamente la testa verso di lui.

«Nessuno di importante» rispose, atona.

Laito alzò un sopracciglio. «Purtroppo per te, non me la bevo» le disse. «Ho visto la luce che avevi negli occhi, e quella non mente mai. Avanti, chi è?»

La rosa sbuffò. «Un mio vecchio compagno di liceo, niente di più» rispose Tara, per poi allontanarsi da lì.

Laito si affrettò a seguirla fuori dall’ammasso di gente, facendo attenzione a non perderla di vista. La osservò attentamente, senza lasciarsi sfuggire nemmeno un suo movimento: era nervosa, agitata, turbata, e capì immediatamente che quel suo stato d’animo era dovuto a quel ragazzo che aveva fissato a lungo, senza neanche battere le ciglia. «Princess-chan, non mi aspetti?» la chiamò, una volta che si erano allontanati dalla folla. Si rese conto che le strade di quel paese erano davvero tristi e desolate quando erano spoglie di qualsiasi persona; a parte loro due, non c’era nessuno nei dintorni, si sentiva soltanto un rumore lontano che pareva fuori dalla realtà, in un’altra dimensione.

«Mi sono stancata, voglio andare a casa mia» gli rispose Tara, senza neanche voltarsi, continuando a camminare a passo di marcia.

«Ti accompagno io» le disse di rimando il vampiro.

«Non ce n’è bisogno, grazie. Torna pure dalle tue conquiste facili, che sicuramente ti soddisferanno più di me.»

Laito ghignò, malizioso. «Princess-chan, non è che sei gelosa?» chiese, tra il giocoso e il serio.

«Gelosa, io? Niente affatto!» esclamò girandosi verso di lui per un attimo, per poi riprendere a camminare.

Il vampiro restò immobile per alcuni istanti: aveva visto – eccome se aveva visto! – gli occhi arrossati della ragazza. Con uno scatto fulmineo le apparve dietro e la spinse in un vicolo in penombra, poi la bloccò contro un muro, tenendola ferma per i polsi, ma senza farle male.

«Lasciami subito» ordinò fredda, fissandolo negli occhi.

«Dimmi chi era» le disse, serio.

«Perché ti interessa tanto?»

«Rispondimi.»

Tara serrò la mascella e aggrottò la fronte. «Si chiama Andrew e ha frequentato il mio stesso liceo» iniziò. «Nonostante le sue origini americane, non aveva impiegato molto ad integrarsi con noialtri, ed era diventato popolare in poco tempo. È stato il mio primo amore.» Iniziò a piangere lentamente, tenendo il capo abbassato. «Lui è stato il primo che mi ha fatto battere il cuore all’impazzata, a farmi arrossire come una bambina, a farmi venire le farfalle nello stomaco ogni volta che incrociava il mio sguardo. Mi ero dichiarata, ma lui mi aveva respinta, perché non se la sentiva di avere una relazione con una ragazza del primo anno. Ai suoi amici, però, aveva raccontato che mi aveva portata a letto e poi se n’era andato, perché aveva assecondato una mia richiesta. In poco tempo ero diventata la sgualdrina della scuola, e ogni singolo giorno dovevo subire le risa e le prese in giro degli altri. È stato orribile» raccontò con un fil di voce.

Il vampiro restò in silenzio, ad ascoltare quelle parole che sembravano pesarle davvero tanto nel cuore. All’improvviso gli fece quasi tenerezza: le spalle tremanti, i singhiozzi sconnessi, la sua figura che sembrava fragile come il cristallo o la porcellana. Era bellissima ai suoi occhi. «Princess-chan, adesso ci sono io.»

La ragazza alzò di scatto la testa e puntò gli occhi in quelli del vampiro. «E quindi? Cosa vorresti dire? Dove vorresti arrivare?» disse Tara con sempre più intensità nella voce. «Sei un essere schifoso, una sporca sanguisuga con stupidi complessi di perversione che non fanno altro che farmi sentire a disagio! Sai che ti dico? Trovati un’altra ragazza, trovatene due o tre, anche dieci o cento, non me ne frega niente! E non venirmi a dire che sono gelosa, perché non lo sono. Piantala di gironzolarmi intorno, vattene e non farti vedere mai più, perché tu non sei niente per me!»

In Laito scattò qualcosa che non seppe definire, una specie di molla, che lo spinse a baciare la ragazza sulle labbra con una passione diversa dalla solita libido; era qualcosa di più forte, qualcosa che gli aveva completamente annebbiato la mente e che lo stava facendo diventare matto. Si staccò appena, quel soffio d’aria che gli serviva per parlare. «Stai zitta» le disse, con voce roca. Poi la baciò ancora, con forse più foga rispetto a poco prima. Le lasciò i polsi e s’impossessò della sua schiena, stringendola forte a sé, per sentirla più vicino, presente, lì, in quel momento, dove esistevano solo loro due.

Tara non riuscì a trattenersi e si lasciò trasportare dal bacio, alzandosi sulle punte per far aderire meglio i loro corpi, e appoggiò le mani sulle sue spalle, come ad aggrapparsi ad uno scoglio per non affogare in mare. Nella sua mente continuavano a ripetersi parole e divieti per quello che stava succedendo, ma semplicemente il corpo della ragazza era diventato autonomo e non rispondeva più ai comandi, perché troppo preso dalla danza focosa che avevano dato vita le loro lingue.

Il vampiro mise fine al bacio, soddisfatto e compiaciuto dalla reazione della ragazza, poi le leccò via una lacrima percorrendo tutta la guancia. «Tu…» le sussurrò, per poi darle un altro bacio, questa volta a stampo. «Tu sei una droga. La mia droga.» Le lasciò una fila di baci lungo in collo, poi le tolse le bretelle nere e le fece scivolare in basso la parte superiore della salopette corta; le alzò la maglia bianca fin sotto al seno, lasciandole scoperta la pancia. Le diede un altro veloce bacio vicino all’ombelico, poi la morse poco sotto la gabbia toracica, iniziando a bere il suo sangue e facendola gemere di dolore misto al piacere.

Tara era più rossa che mai in viso: non credeva di riuscire a provare così tanti sentimenti insieme, uno sopra l’altro, che le facevano attorcigliare lo stomaco e stringere forte le gambe. «Laito-kun…» mormorò, con gli occhi chiusi.

Il vampiro sorrise, perché il suo nome pronunciato da quelle labbra gli pareva davvero bellissimo.

Ma fu proprio in quel momento che nell’aria si elevarono più rumori violenti, simili a spari, accompagnati da un urlo raccapricciante.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Okay, my sweet readers, non potete neanche capire il sollievo che mi sta travolgendo in questo momento: cioè, ho impiegato UN MESE a scrivere questo capitolo! My Gosh, solo per l’immensa lunghezza di questo chappy dovete darmi un premio Nobel per i nervi saldi. Davvero, è il mio record personale! Sono fiera di me ^^

Comunque, a parte le cavolate, mi scuso se il contenuto fa schifo e sembra anche un po’ frivolo, ma in questo lungo mese di assenza ne ho passate di tutti i colori -.- Tra scuola, la casa, gli amici (lo dico come se fossero tantissimi, ma alla fine quanti ne sono? Si possono contare sulle dita delle mani LOL) e la mia personalissima depressione cronica multi-espressivamente-problemiccia (?) credo che sia un miracolo se sono ancora viva. Scusatemi tanto quindi, perché questa storia vi sta piacendo molto ed io ci impiego intere ere post-apocalittiche per aggiornare -.-“

Scusatemi anche se i personaggi (ovviamente intendo Shuu, Kanato e Ruki) sono un po’ OOC, ma volevo assolutamente far vivere loro tutto quello che ho descritto, e diciamo che meglio di così non sono riuscita a fare (cacchio, non so come gestirli, abbiate bontà :D)

Fatemi sapere se questo capitolo vi piace, e nel caso mi sia spinta un po’ troppo nella parte finale di Laito e Tara vi prego di farmelo presente (purtroppo non so valutarlo da sola… Sono in imbarazzoooohh~).

Spero di riuscire ad aggiornare più in fretta, ma purtroppo il mio essere lunatica è un problema che consiglio di non sottovalutare .-.

-Channy

 

 

Post Scriptum:

Kou: *compone un numero di telefono* … Pronto, centro psichiatrico seriale?

KOU-KUN, METTI VIA QUEL TELEFONO.

Kou: Lo faccio per il tuo bene, Neko-chan.

Va bene, allora a cena niente spaghetti con le vongole per te.

Kou: NUUUUU ç_ç

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Capitolo 20
*** Death ***


-DEATH.

 

 

L’atmosfera che si era venuta a creare in quella sala della biblioteca rientrava parecchio nei gusti di Selena; la lettura di un buon libro in una tiepida serata d’estate, musica rilassante di sottofondo, odore di carta stampata e la compagnia della persona più seria e di buon gusto che avesse mai incontrato. Quasi si era dimenticata di esser sola con un vampiro, talmente che la sua mente e il suo corpo si erano rilassati una volta entrati in contatto con quella specie di sogno. Non si era mai sentita più realizzata: credeva che quella fosse la serata perfetta per una persona come lei. Distolse lo sguardo dall’interessante libro di storia antica che stava leggendo per poi puntarlo sul vampiro che le sedeva di fronte: gli occhi color quarzo rosa saettavano veloci tra le righe della biografia di Nikola Tesla che aveva attirato parecchio la sua attenzione, mentre i lineamenti fini ed eleganti del suo viso contribuivano a farlo sembrare un vero intellettuale, ruolo che ricopriva egregiamente nell’ambito della sua famiglia. Selena avrebbe dovuto ammetterlo a voce alta, ciò che realmente pensava di lui, senza tracce d’orgoglio; se solo fosse stato un umano, allora avrebbe gradito ancora di più la sua compagnia.

«Perdona la mia franchezza, Milady, ma essere osservato a lungo mi infastidisce» disse Reiji spezzando il religioso silenzio che albergava nella sala, senza neanche smettere di leggere.

La ragazza si sentì come un ladro colto nel bel mezzo di una rapina in piena regola; si affrettò ad abbassare lo sguardo e ad incatenarlo tra il nero dell’inchiostro di una parola che non riusciva neanche a leggere. Si maledisse mentalmente per essere stata disattenta e, in un certo senso, prevedibile. «Scusami» rispose. «Stavo pensando a una cosa.»

«Potrei sapere di cosa si tratta? Sempre se non risulto indiscreto.»

«Non è quello il punto, è solo che non credo ti possano interessare particolarmente i dettagli della mia vita privata» mentì sbrigativamente la ragazza, facendo per ricominciare a leggere.

Il vampiro, però, glielo impedì; allungando il braccio, le allontanò il libro dal viso, così da poter far incatenare nuovamente i loro occhi. Sembrava che ci fosse qualcosa di chimico in quel contatto visivo che, silenziosamente, aveva indotto entrambi ad avvicinarsi tra loro, senza neanche un motivo, ma udirono tre violenti spari, che fecero spaventare Selena e la indussero a scattare sull’attenti e ad affacciarsi ad una delle ampie finestre che mostravano un’ampia e bella vista del paesaggio circostante; vide chiaramente le persone in piazza guardarsi attorno, impaurite e disorientate, avvolte nel terribile sentimento che era la paura, la quale era stata amplificata dall’improvviso smettere di suonare da parte dei musicisti.

«Cosa sta succedendo?» chiese flebilmente Selena. «Mancano ancora due ore allo spettacolo pirotecnico.»

«Non erano fuochi artificiali» disse Reiji, affiancandola. «Sono quasi certo che gli spari appartenessero ad un’arma da fuoco. Una revolver, per la precisione.»

La ragazza dai capelli blu sgranò gli occhi e iniziò a tremare. «Isako-nee!» esclamò, in preda al panico, per poi iniziare a correre verso l’uscita. L’adrenalina le scorreva per tutto il corpo, le faceva formicolare le gambe e quasi cedere le caviglie, ma la ragazza dai capelli blu non aveva alcuna intenzione di fermarsi; aveva troppa paura per sua sorella minore, temeva che le fosse successo qualcosa. Lei, che si era sempre affidata ai dati scientifici e oggettivi, in quel momento stava pregando in un miracolo; Isako era l’unica persona che le era rimasta, non poteva permettere che qualcuno o qualcosa portasse via anche lei.

Si fece abilmente largo tra la folla, evitando in tutti i modi di rimanere incastrata tra le persone, mentre gli occhi vagavano di volto in volto, trepidanti, nel tentativo di trovare sua sorella. Ad ogni passo, ad ogni volto sconosciuto, Selena si sentiva sempre più sconfitta; si era sempre ripetuta il motto della sua vita, il mai arrendersi, ma durante quei secondi interminabili quelle due parole le sembravano le più futili che potessero esistere. E poi lo vide: il corpo immobile e privo di vita di un uomo nel mezzo di una pozza di sangue scarlatto, con i segni di tre pallottole nel petto, uno di essi proprio sul cuore; gli occhi erano aperti, e il terrore che avevano fatto traspirare fino a poco prima era ancora ben visibile. «Oh, Dio» sussurrò, coprendosi la bocca.

Sentì alcune persone urlare un Chiamate un’ambulanza, presto!, così si voltò appena verso di loro, osservandoli con occhi privi di vitalità. «Ormai è troppo tardi. Non c’è più niente da fare» disse lentamente, facendo raggelare tutti i presenti. Si avvicinò al cadavere, per poi accovacciarsi a terra in parte a questo, fare un veloce segno della croce e poi abbassargli le palpebre con una mano. Lo aveva riconosciuto.

«Perché gli hai chiuso gli occhi?» chiese una voce maschile e un po’ fanciullesca alle sue spalle. «Prima non ti piaceva?»

Selena si voltò, puntando gli occhi in quelli violetti di Kanato, che stava stringendo Teddy a sé con molta forza. «Non è uno spettacolo particolarmente bello, per noi umani» disse, seccata.

Il vampiro fece spallucce e si accovacciò di fianco a lei, ignorando le occhiate rimproveratorie e altre sbigottite degli altri presenti. Bisbigliò qualcosa al suo peluche, senza smettere di fissare i lineamenti del cadavere giacente sull’asfalto.

Con la coda dell’occhio vide la sagoma di sua sorella Isako – sana e salva, per suo sommo sollievo – afferrare il proprio cellulare e comporre un numero di telefono, probabilmente quello del centralino della polizia, e portarsi l’apparecchio elettronico all’orecchio, mentre gli occhi persi nel vuoto traspiravano paura, ben visibile anche dal nervosismo con cui si stava mordicchiando le unghie delle dita delle mani.

Dietro di sé, invece, sentì urlare qualcuno, una ragazza, molto probabilmente Harumi. «Non c’è niente da vedere qui, gente! Forza, smammate!»

Vide le persone andarsene pian piano, mentre in lontananza udì distintamente il rumore delle sirene di una vettura della polizia farsi sempre più vicino. “Dannazione, le strade per arrivare qui sono tutte bloccate. Dovranno fare un giro molto lungo”, pensò, rimettendosi in piedi. Constatò con sollievo che molte persone se n’erano andate, ma capì anche che la festa non sarebbe continuata e dovette ammettere che un po’ le dispiacque – era solita andare a quella celebrazione ogni anno, a partire da quindici anni prima, senza saltare nemmeno una data. Ma, ne era consapevole, niente sarebbe potuto durare in eterno. «Harumi-san» chiamò con voce ferma. La ragazza dai capelli verdi la fronteggiò velocemente, con in volto un’espressione seria. «Non far avvicinare nessuno» le disse con tono che non ammetteva repliche. «Specialmente i bambini.»

«Messaggio ricevuto, Selly» rispose l’altra, allontanandosi.

Selena si allontanò a sua volta, lasciando solo Kanato accanto al cadavere; sapeva di non poter competere con la potenza di un vampiro, perciò aveva intenzione di cercare un altro Sakamaki per poter tenere il viola a bada, in modo che non combinasse qualche guaio. Fortunatamente s’imbatté in Kin e Subaru che, ignari della situazione, stavano procedendo a passo di marcia per controllare l’accaduto, nonostante il vampiro fosse contrario, continuando a ripetere, sbuffando, che ciò stava accadendo non rientrava nei suoi interessi. «Oi, Subaru-san» lo chiamò, andandogli incontro.

«Cosa vuoi?» chiese il vampiro, per poi a terra.

Selena lo guardò con un’espressione disgustata in volto, ma decise di fargliela passare. «Hanno assassinato il sindaco Sakamoto» disse senza battere le palpebre, facendo sgranare occhi e bocca di stupore a Kin. «Il suo corpo giace di fronte all’agenzia turistica Nakagawa. Subaru-san, per favore, potresti andare lì? C’è Kanato-san con la chiara intenzione di fare una vivisezione, e ci sarebbe bisogno di qualcuno che glielo impedisca.»

«E perché io? Possono benissimo pensarci quei dementi dei suoi gemelli, oppure Reiji» protestò l’albino.

«Subaru-san, l’ho chiesto a te perché ti reputo più responsabile di Ayato-san e Laito-san. Quindi pensaci tu, per favore» insistette la ragazza dai capelli blu, guardandolo fisso negli occhi.

Kin spostò più volte lo sguardo dall’amica al vampiro, tentando di indovinare chi avrebbe ceduto per prima. Decise di intervenire per non perdere ulteriore tempo. Picchiettò con un dito una spalla di Subaru, riuscendo ad attirare la sua attenzione; gli indicò la direzione del luogo del delitto con un cenno del capo e, senza neanche aspettare una risposta da parte dell’albino, s’incamminò, quasi certa di essere seguita al più presto. Infatti, dopo una manciata di secondi, si ritrovò Subaru di fianco che, con i pugni serrati e gli occhi iniettati di rabbia mista alla rassegnazione, camminava in direzione del corpo morto, intenzionato a placare – in qualche modo che ancora non aveva fatto capolino nella sua mente – gli istinti macabri del fratello maggiore.

Nel giro di circa un minuto riuscì a scorgere la figura del vampiro dalle profonde occhiaie in piedi davanti al cadavere, intento ad osservare il suo orsetto di peluche stranamente seduto sulla pancia del defunto, quasi come se fosse in posa per fare una foto e immortalare quel momento. «Teddy, sei troppo carino!» esclamò entusiasta.

«Hey, Kanato, togli immediatamente quel pupazzo da sopra quel cadavere!» ordinò Subaru, incrociando le braccia al petto.

L’altro si voltò lentamente verso l’albino, prendendo a guardarlo con sguardo truce. «Non ti azzardare mai più a rivolgerti a Teddy in questo modo schifoso» scandì Kanato, per poi rivolgere lo sguardo alle spalle del fratello. «Pare che la tua bambola non riesca ad apprezzare la bellezza della Morte. Che tipa…»

Subaru si voltò velocemente nella direzione di Kin, e difatti la trovò appoggiata ad un muro, con lo sguardo puntato nella direzione opposta del cadavere e l’espressione sofferente. Per qualche strano motivo, l’albino si sentì in colpa di averle permesso di vedere quel corpo morto; lui non si sentiva per niente toccato dalla situazione, ma sapeva che per gli umani una visione del genere risultava terribile. Scosse animatamente la testa e si concentrò nuovamente sul fratello, pronto a vendicarsi delle parole dettegli. «E la tua, di bambola? Lei non è qui, sicuramente starà frignando come una bambinetta da qualche parte.»

Le pupille di Kanato si restrinsero, diventando poco più di due puntini neri. «NON PARLARE DI LEI IN QUESTO MODO!» urlò il lillà in risposta serrando i pugni.

«E allora dov’è?!» chiese Subaru, alterato.

Kanato si bloccò sul posto, le labbra schiuse e gli occhi ancora sgranati, ma i pugni tendevano ad aprirsi. Prese a guardare il vuoto, alla ricerca di una risposta alla domanda appena fattagli dal fratello, anche se quello che vedeva non faceva altro che confondergli le idee. Cosa sarebbe stato meglio fare?

Subaru, vedendolo in difficoltà, fece qualche passo verso di lui, fronteggiandolo, per poi mettergli una mano sulla spalla e dargli una piccola spinta, forse d’incoraggiamento. «Vai a cercarla» gli disse, una volta ricevuta la dovuta attenzione.

Kanato, lentamente, prese il suo orsetto di peluche tra le braccia, rivolse un ultimo sguardo all’albino e, a passi lenti e cadenzati, s’incamminò altrove, alla ricerca della sua bambola dai capelli castani e gli spessi occhiali da vista.

Una volta andato via, Subaru si voltò, come se fosse stato chiamato, in direzione di Kin, ritrovandosi con gli occhi blu della ragazza fissi sulla propria figura, mentre un sorriso le incorniciava il volto, dovuto al gesto dell’albino. Le goti del vampiro si tinsero di rosso e, dopo aver deglutito rumorosamente, Subaru rispose con una smorfia tremolante, non assomigliante né a un sorriso né a un ghigno, che fece ridacchiare di divertimento la ragazza dai capelli rossi e gli occhi color oceano.

 

 

***

 

 

«Fermati.»

«Dai, ancora un altro po’.»

«No, basta così.»

«Ma sei cattiva.»

«Per favore, smettila.»

Laito sbuffò e si staccò dal collo di Tara, allontanandosi di qualche passo. Si raddrizzò il cappello sulla testa e puntò gli occhi al cielo, venendo subito rapito dalla bellezza ammaliante e delicata della Luna; i suoi pensieri iniziarono immediatamente a vagare tra le stelle, facendo riaffiorare nella mente del vampiro i momenti di poco prima – i baci, le carezze, i sussurri. Non aveva mai provato emozioni simili con una ragazza nel corso della sua esistenza. Si definiva un esperto in sentimenti amorosi eppure, nell’esatto momento in cui era stata Tara a prendere l’iniziativa, ad alzarsi sulle punte e a baciarlo, ancora con le lacrime intente a sgorgarle dagli occhi, fino a fargli mancare il respiro, aveva percepito tutto svanire, comprese tutte le sue intenzioni, tranne lei; lei era proprio davanti a lui, a donargli scariche elettriche lungo tutto il corpo, a costringerlo a stringerla più forte a sé, a farlo impazzire ancora di più. Laito si voltò verso la ragazza, proprio mentre lei era intenta a tamponarsi con un fazzoletto la ferita sulla spalla provocatagli da un morso un po’ troppo violento, dalla quale sgorgava ancora del sangue; aveva ancora le guance rosse d’imbarazzo e gli occhi lucidi. Il vampiro la vide sfiorarsi le labbra con le dita di una mano, e la sentì chiaramente sussurrare un Cosa sto facendo? È tutto sbagliato…, e quelle parole lo colpirono violentemente allo stomaco, ma si obbligò a far finta di niente. «Ti sei divertita?» le chiese, una volta aver riacquistato il suo sorriso metà tra l’ebete e il malizioso.

Tara face incontrare i loro sguardi, restando in silenzio per alcuni secondi. «Stupido» gli disse solamente, tanto inespressiva da fargli paura.

«Hey, che hai?» domandò nuovamente il vampiro, avvicinandosi.

Fece per accarezzarle una guancia, ma la ragazza gli allontanò velocemente la mano. «Non ho niente» rispose secca.

Restarono in silenzio per qualche altro secondo, poi prese la parola Laito. «Dimmi che ti è piaciuto, almeno.» Non era da lui implorare qualcuno, ma in quel momento aveva bisogno di sentirselo dire, aveva il bisogno di sapere di averla fatta sentire bene. Dopotutto, non era quello a cui mirava sin dall’inizio?

Tara arrossì nuovamente, distogliendo lo sguardo. Laito sorrise vittoriosamente. «Lo prenderò per un sì» disse il vampiro, allargando il ghigno malizioso.

La ragazza lo oltrepassò, uscendo da vicolo e incamminandosi nella via principale.

«Dove stai andando?» le chiese Laito, uscendo a sua volta dalla stradina secondaria.

«Voglio sapere cos’erano gli spari di prima» rispose, fermandosi in mezzo alla strada e voltandosi leggermente verso di lui. «Quelli non erano fuochi d’artificio.»

Laito sorrise tra sé, compiaciuto del fatto che Tara fosse così curiosa. Iniziò a camminare dietro di lei, tenendosi un po’ distante, ma facendo ben attenzione a non perderla di vista. Entrambi adocchiarono Harumi poco più avanti, fiancheggiata da un gruppo di bambini che, a giudicare dalle loro espressioni, pendevano dalle sue labbra. Poco distante c’era anche Shuu, quasi sdraiato su una panchina, che sembrava stesse dormendo; tuttavia, il biondo era sveglio, e stava ascoltando il discorso che la ragazza dai capelli verdi stava facendo ai bambini con tanta enfasi.

«Harumi-san» la chiamò Tara, aumentando il passo per raggiungerla più in fretta.

La ragazza dai capelli verdi si girò verso la rosa, rivolgendole un sorriso non troppo grande. «Ciao, Tara» la salutò, accogliendola in un abbraccio.

«Cosa è successo? Cos’erano gli spari di prima?»

Il sorriso di Harumi mutò, diventando più amaro. «Il sindaco Sakamoto è stato ucciso. Non si sa il nome del colpevole, ma la polizia arriverà presto» spiegò la ragazza dai capelli verdi, facendo attenzione a non farsi sentire dai bambini. «Per il momento, Selly sta badando al cadavere, mentre io mi sto occupando dei dintorni. Chissà, magari l’assassino avrà lasciato qualche indizio.»

«Ma non sono lavori che dovrebbe svolgere la polizia?» s’intromise Laito, appoggiato alla panchina occupata dal maggiore dei fratelli Sakamaki.

«È quello che ho detto anch’io, ma queste donne sono proprio delle ficcanaso» mugugnò Shuu, per poi sbadigliare.

«Zitti voi due!» esclamò uno dei bambini, attirando l’attenzione dei due vampiri. «Harumi-senpai ha il compito di difendere l’umanità dai mostri! Ed è proprio quello sta facendo adesso con l’aiuto di Selena-senpai!»

I due Sakamaki si scambiarono degli sguardi tra il curioso e il divertito. «E dimmi» iniziò Laito, «come fai ad essere sicuro che è proprio la tua senpai a sconfiggere i mostri?»

«Perché lei è così forte e coraggiosa!» s’intromise una bambina. «Io da grande voglio essere come lei!»

«Harumi-senpai non ha paura di niente!»

«Harumi-senpai non piange mai!»

«Harumi-senpai non ha punti deboli!»

Nel sentire quelle parole, la ragazza dai capelli verdi sorrise mestamente, non facendosi vedere dai suoi piccoli seguaci; per fortuna, divenne la senpai di quel gruppo di bambini molto tempo dopo quel giorno, quando il mondo le crollò addosso.

«Però, devo dire che mi piacerebbe essere al servizio anche di Tara-senpai» disse uno dei bambini, guadagnando immediatamente l’approvazione degli altri maschi e sguardi seccati da parte delle bambine.

«Ammirate le mie qualità così tanto?» chiese la ragazza dai capelli rosa con aria sognante.

«No, sei solo bella» disse ingenuamente uno dei bambini, ricevendo una gomitata da un suo amico.

«Eh?»

Harumi e Shuu scoppiarono in una risata, la prima con più enfasi e il secondo più lievemente.

«Non c’è niente da ridere!» si lamentò la ragazza dai capelli rosa, dimenando le braccia in aria.

Laito sorrise, divertito, e si avvicinò a Tara, circondandole le spalle con un braccio. «Secondo me dovreste restare gli amichetti di Harumi-chan» disse, facendo voltare tutti nella sua direzione.

«E perché, scusa?» gli chiese un bambino.

«Semplice. Così questa principessa sarà tutta per me» rispose il vampiro, facendo l’occhiolino.

Le goti di Tara si tinsero nuovamente di rosso e i suoi muscoli si rifiutarono di scrollarsi di dosso il braccio di Laito, nonostante il cervello lo stesse urlando con tutte le proprie forze.

«Mah, tu pensalo pure, ma non credere che il sottoscritto si faccia mettere i piedi in testa da un tipo strano come te» rispose lo stesso bambino. «Io sono un grande e presto diventerò l’Imperatore dell’intero Giappone!»

«Chi è, Ayato Secondo?» chiese Shuu, minimamente divertito.

«Colpito e affondato» rispose Harumi, sospirando. «Credo che tra qualche anno sarà presuntuoso come quel rincretinit— Aspettate, dov’è Yui?!»

 

 

***

 

 

«Dai, Chichinashi, è soltanto un cadavere! Non c’è bisogno di lagnarsi così!»

«Però… Insomma, lui e-era un uomo così gentile…»

«Ma chi se ne frega?»

«Perché gli hanno fatto questo?»

«Che vuoi che ne sappia, io? Nemmeno lo conoscevo, ‘sto tizio qua.»

Yui singhiozzò ancora, coprendosi gli occhi con entrambe le mani; sapeva che ogni giorno un numero imprecisato di persone venivano uccise, ma non le era mai capitato di vedere un morto dal vivo, ritrovarselo proprio davanti agli occhi. La polizia era finalmente riuscita ad arrivare sul luogo del delitto e a circoscriverlo con dei nastri fosforescenti; i quel momento erano ancora intenti a disegnare la sagoma del defunto sull’asfalto, ma le autorità avevano già dato l’ordine di trasportare il cadavere in un laboratorio scientifico per l’autopsia.

«Ayato-kun, è una cosa terribile» sussurrò la bionda, strofinandosi un occhio con il dorso di una mano.

Il vampiro sbuffò, scocciato. «Mi sono stufato di averti nelle orecchie, Chichinashi» le disse, grattandosi la nuca.

«Ma io ci sto mal--»

«Adesso basta!» esclamò Ayato, afferrando la ragazza per le spalle e scuotendola appena. «Che te ne importa se l’hanno ammazzato? Non è un tuo parente, né amico, l’hai detto tu. È inutile starci così male.»

Yui lo guardò negli occhi, senza parlare. Quei due smeraldi stavano lasciando trasparire moltissime emozione, ma la bionda non seppe decifrarne neanche una: sembrava ci fosse preoccupazione, ma era subito entrata in scena la rabbia, con che altro? Risentimento? Angoscia? Tutti i sentimenti negativi che erano soliti caratterizzarlo. «Ayato-kun» lo chiamò, abbassando lo sguardo. «Il sindaco Sakamoto aveva una famiglia, e anche degli amici. Non pensi a loro? Non pensi al loro dolore?»

«No, non ci penso» rispose subito il vampiro. «E sai perché? Perché non me ne frega un cazzo di loro. Se credi che io possa provare pietà solo perché un tizio è morto e tu stai piangendo, ti sbagli di grosso.»

Yui lo guardò con gli occhi sgranati, incredula di star udendo quelle parole. «Ayato-kun…»

«Ti sei dimenticata cosa sono?» le disse, con voce roca e seria, senza battere le ciglia.

Yui non rispose neanche. Ayato le lasciò le spalle e, senza rivolgerle neanche un’occhiata, girò i tacchi e se ne andò, tuffando le mani nelle tasche del pantalone. La bionda fece per seguirlo, ma subito dopo si obbligò a stare ferma – quello era un litigio o solo una discussione?

Una voce maschile interruppe i suoi pensieri, facendola voltare. Vide Azusa correrle incontro e, dall’espressione che gli albergava in volto, sembrava essere parecchio preso dalla situazione.

«Eve» la chiamò il ragazzo, nonostante avesse già ricevuto l’attenzione della bionda.

«Azusa-kun» lo salutò, riuscendo ad asciugarsi del tutto le lacrime.

«Eve, il capo ha detto che io e te dobbiamo occuparci di questo omicidio» le disse. «Vuole un articolo entro domani mattina.»

«Domani mattina?!» esclamò la ragazza. «Ma è pochissimo tempo, non ce la faremo mai!»

«Lo so, ma ha detto che non vuole ricevere repliche. Siamo costretti, Eve.»

Yui fece per ribattere, per dirgli che avrebbero potuto almeno tentare di chiedere poche ore in più, ma fu anticipata da un urlo femminile. La bionda e Azusa si girarono contemporaneamente verso il cadavere, che stava per essere messo su una barella, e videro la figura di una ragazza con le guance rigate dalle lacrime correre verso il corpo del defunto.

«PAPÀ!»

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Salve, minna-san! Gradite dei biscotti al cioccolato? *mostra una teglia vuota, ricordandosi di aver mangiato tutti i dolciumi prima* Ehm, sì… Mi scuso se sono mancata, ma è stato un mese molto impegnativo! I professori sono improvvisamente diventati più sadici del normale T-T Solo per farvi un esempio: una settimana è formata da 168 ore, giusto? Ebbene, io ne ho passate 63 sui libri, ovviamente escludendo le ore di sonno e di scuola, heheh… E questo solo in UNA settimana, figuratevi le altre… *ruba il pugnale di Subaru e fa finta di suicidarsi in stile Komori Yui* Per fortuna sono arrivate le tanto attese vacanze di Pasqua, perciò sono riuscita a sfruttarle per mettere nero su bianco queste righe. A proposito, è la prima volta che descrivo la scena di un omicidio, perciò scusatemi se fa schifo ^^’ Non so quando arriverà il prossimo capitolo, perché purtroppo ho anche le prossime due settimane piene di impegni! Mi gira la testa solo a pensarci O.o E non c’è neanche Reiji-san che mi aiuta… *alza la voce per farsi sentire* Perché giustamente da bravo egoista qual è, non aiuta una povera donzella in difficoltà.

Reiji: *fa finta di non sentirla*

Comunque, adesso sarà meglio che vada e che vi lasci liberi di continuare a gironzolare su EFP ;D Vi prometto di rifarmi viva il prima possibile :3

A proposito… BUONA PASQUA, MINNA-SAN~♥

-Channy

 

 

Post Scriptum: Lo so che mi sono scusata già mille volte, ma… Scusate anche se gli ultimi capitoli sono letteralmente intasati da Laito e Tara però, ragazzi, li adoro *^*

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Capitolo 21
*** Running and Autopsy ***


Yui fece per ribattere, per dirgli che avrebbero potuto almeno tentare di chiedere poche ore in più, ma fu anticipata da un urlo femminile. La bionda e Azusa si girarono contemporaneamente verso il cadavere, che stava per essere messo su una barella, e videro la figura di una ragazza con le guance rigate dalle lacrime correre verso il corpo del defunto.

<< PAPÀÀÀ!!! >>


Yui e Azusa si scambiarono delle occhiate confuse e preoccupate, e non ci pensarono due volte prima di correre verso quella ragazza e bloccarla, per non rischiare di far danneggiare la scena del delitto. Azusa la bloccò da dietro, intrappolandola in un forte abbraccio e Yui si piazzò davanti alla visuale della giovane, per distrarla dalla figura macabra del cadavere. La bionda ne approfittò per osservare i suoi lineamenti: era poco più bassa di Azusa, aveva la pelle color latte e capelli neri così lunghi che arrivavano quasi a toccarle le ginocchia; aveva gli occhi arrossati a causa delle lacrime, che mettevano in risalto le sue iridi celesti, così chiare che parevano innaturali.

<< Lasciatemi andare! >> urlò la ragazza, dimenandosi dalla presa di Azusa che, tuttavia, rimaneva col volto impassibile e continuava a stringerla nella morsa delle sue braccia.

<< Cerca di calmarti. >> le disse Yui con voce più dolce possibile. << Agitarsi non ti aiuterà a star meglio. >>

<< E tu che ne puoi sapere? >> ringhiò la ragazza, mentre copiose lacrime continuavano a solcarle le guance.

<< Credimi, lo so benissimo. >> rispose la bionda con voce ferma.

<< Vattene, non sai nulla! E tu >> fece, rivolgendosi al collega di Yui. << mollami subito! Toglimi queste manacce di dosso! >>

<< Per favore … Non fare così … >> la supplicò Azusa, che però continuava a tenere saldamente la ragazza tra le sue braccia.

<< Era mio padre! >> urlò lei, per poi riprendere a singhiozzare, abbassando la testa e dicendo a voce più bassa: << Era mio padre … >>

Azusa notò che la ragazza stava lentamente smettendo di opporre resistenza alla sua stretta, così la liberò delicatamente e con calma dalle proprie braccia; la ragazza cadde a terra e si coprì il viso con le mani, mentre le spalle si alzavano e si abbassavano a ritmo dei singhiozzi.

<< Oi, ma che cavolo sta succedendo qua?! >> tuonò una voce maschile alle loro spalle.

Azusa e Yui si voltarono contemporaneamente, mentre la giovane in lacrime rimase immobile; i due si ritrovarono davanti un agente della polizia – che sembrava essere molto giovane – parecchio alto e muscoloso, con capelli castani mediamente lunghi coperti parzialmente da un berretto blu con sopra lo stemma della polizia giapponese; la divisa poliziesca blu e nera sembrava quasi stargli stretta ma, nonostante ciò, era perfettamente intatta.

<< Ci scusi per il fastidio, agente. >> disse pacatamente Yui, facendo un piccolo inchino.

<< Ce ne stavamo andando … >> continuò Azusa.

<< Ah, sì? >> chiese ironicamente il poliziotto, lanciando un’occhiata alla ragazza in lacrime. << Identificatevi. >>

I due si lanciarono un’occhiata, ma si dissero i propri nomi all’agente senza opporsi.

<< Facciamo parte della redazione del giornal-- >>

<< Siete dei giornalisti ficcanaso, quindi. >> li interruppe il poliziotto, beffandosi di loro. << E la ragazzina lì dietro? >>

Yui ed Azusa si voltarono e osservarono la ragazza, ancora in terra, intenta ad asciugarsi le lacrime con un fazzoletto di carta, causando la sbavatura del mascara nero.

<< Mi chiamo Sakamoto Aya. >> disse la ragazza, mettendosi in piedi.

<< “Sakamoto”? Sei la figlia del-- >>

<< Del defunto sindaco. >> concluse Aya. << Esatto. >>

I tre, evidentemente a disagio, fecero delle sincere condoglianze alla ragazza, che li stava scrutando con i propri occhi vitrei, con un’espressione impassibile in volto.

<< Bene, adesso potete pure tornarvene a casa. >> disse l’agente, facendo per girare i tacchi.

<< Perché? >> chiese Yui.

<< Zuccherino, il cadavere sta per essere trasportato nei laboratori scientifici per l’autopsia. >> spiegò il poliziotto, fermandosi. << Con permesso. >>

<< Voglio venire anch’io. >> disse fermamente Aya, facendo un passo avanti.

<< Toglitelo dalla testa, ragazzina. >> replicò l’agente, rivolgendole uno sguardo intimidatorio. << Tornatene a casa, che sarai anche minorenne. >>

<< Ho compiuto proprio qualche giorno fa vent’anni. >> rispose la ragazza mentre frugava nel proprio marsupio color pesca, per poi estrarne la propria carta d’identità e mostrarla al poliziotto.

L’agente grugnì, facendole cenno di seguirlo alla vettura della polizia assegnatagli. I due s’incamminarono verso una volante a una decina di metri di distanza da lì; il poliziotto si sedette al posto del conducente e mise in moto, mentre Aya, seduta in uno dei sedili posteriori, allacciò la cintura di sicurezza. Pochi attimi prima che la macchina partisse, una delle due portiere posteriori dell’auto venne aperta, facendo entrare nella vettura Azusa e Yui, che si accomodarono nei restanti due posti liberi.

<< Ma che cavolo avete intenzione di fare?! >> sbraitò l’agente di polizia guardando i due intrusi dallo specchietto retrovisore centrale dell’auto.

<< Facciamo il nostro dovere da bravi giornalisti ficcanaso. >> rispose pacatamente Azusa, anche se sul suo volto solcava un sorriso quasi divertito.

<< Scendete subito! >>

<< Non daremo fastidio. >>

<< Non mi è concesso di avere passeggeri a bordo di quest’auto, a meno che non siano criminali o membri delle Forze dell’Ordine. >> disse sospirando il poliziotto. << Non è una gita in campagna, ma un caso di omicidio. >>

<< Per favore, agente, chiuda un occhio per questa volta. >> lo supplicò Yui.

Il poliziotto sospirò e masticò un “va bene” appena udibile, ma non ebbe neanche il tempo di premere il piede sull’acceleratore che la portiera del lato passeggero anteriore si aprì…


***


<< Dove si sarà cacciata Miki-chan, Teddy? >> chiese Kanato al proprio orsacchiotto, mentre camminava adagio per le stradine del paese.

La calma del vampiro dai capelli violetti era soltanto apparente, dato che lui aveva perso di vista la ragazza con gli occhiali da parecchio tempo; appena si erano uditi gli spari, infatti, tutte i presenti sulla pista da ballo avevano creato il caos, iniziando a spintonare e a correre da tutte le parti, spinti dalla paura. In più, Kanato si era sentito particolarmente attratto dall’odore del cadavere, per questo, spinto dall’istinto di predatore, si era allontanato dall’ammasso di gente per dirigersi dal morto, dimenticandosi completamente di Miki e abbandonandola in balia della folla terrorizzata – di cui, molto probabilmente, lei faceva parte.

Il vampiro odorò i dintorni, per tentare di percepire l’odore della ragazza; nonostante in giro ce ne fossero parecchi, dovuti alla calca di gente, riuscì a trovare quello giusto e, seguendone la scia quasi ad occhi chiusi, mormorò a Teddy di essere riuscito a trovarla, in modo che anche il peluche potesse gioire.

Camminò per un’altra decina di metri prima di scorgerla: era in piedi, su un marciapiede, e stava parlando con un ragazzo, il quale era in sella ad una moto con un casco in mano e un altro sulla propria testa. Sembravano essere molto in confidenza.

Kanato strinse maggiormente a sé l’orsacchiotto e assottigliò gli occhi. Si avvicinò lentamente e silenziosamente ai due, proprio come una vipera che, strisciando nell’ombra, si prepara a mordere e iniettare il veleno nella sua vittima, ignara del pericolo.

<< Miki-chan. >> la chiamò il vampiro, per attirare la sua attenzione.

Sia la ragazza sia il ragazzo si girarono nella direzione di Kanato, ma non dissero nulla; entrambi si limitarono a guardarlo, mentre il vampiro rispondeva silenziosamente agli sguardi.

<< Finalmente ti ho trovata. >> disse Kanato, rivolgendole un sorriso.

<< Chi è questo? >> chiese il ragazzo che fiancheggiava Miki. << Nee-chan? >>

La ragazza parve risvegliarsi da un apparente stato di trance, balbettando: << Lui è Kanato-kun, il mio… >> esitò. << … amico. >>

<< Sicura che sia solo un amico? >> le domandò il ragazzo, guardandola di sottecchi.

<< Sì. >>

<< Se è così… >> fece il ragazzo, tornando a guardare il vampiro, con un sorriso quasi ebete a padroneggiargli il viso. << Sono Takumi, il fratellone di questa bambinetta. >>

<< Non sono una bambinetta! >> protestò Miki, diventando rossa d’imbarazzo.

<< Sì che lo sei. >>

<< Non è vero. >>

<< Sì. >>

<< No! >>

<< Sì! >>

<< SMETTETELA! >> urlò Kanato, furioso. << Mi fate innervosire così. >>

La ragazza si ammutolì subito e, spaventata, puntò gli occhi a terra, iniziando ad osservare anche la più piccola crepa del marciapiede.

<< Oi, bello, calmati! >> disse Takumi, scendendo dalla motocicletta e facendo qualche passo verso il vampiro. << Non c’è motivo per scaldarsi in questo modo. >>

Kanato ridusse gli occhi a due piccole fessure.

<< Come hai osato chiamarmi? >> sibilò a voce bassa.

Sul volto dell’altro si dipinse un’espressione confusa, e subito dopo invitò il viola a ripetere la frase che aveva appena detto, lamentandosi di non aver sentito niente a causa della voce troppo bassa.

<< Tu… >> sussurrò Kanato, mentre riapriva gli occhi in maniera innaturale.

Il vampiro afferrò Takumi per il colletto della maglia e, essendo più basso di lui, lo portò alla propria altezza, facendolo così abbassare di qualche centimetro.

<< COME OSI RIVOLGERTI A ME IN QUESTO MODO?! SAI CHI SONO IO?! PORTAMI RISPETTO, SCHIFOSO UMANO! >>

<< Kanato-kun, lascialo andare! >> urlò Miki, spaventata, correndo verso i due con le lacrime agli occhi.

Kanato sollevò il ragazzo da terra, facendolo restare in bilico sulla propria mano. Takumi si spaventò, iniziando ad urlare di paura; come poteva quel ragazzo così mingherlino avere tanta forza? Come riusciva a tenerlo in aria saldamente nonostante lui si stesse dimenando, continuando a gridare di mollarlo? Come riusciva a rimanere impassibile a tutto?

Semplicemente Takumi non sapeva. Takumi non poteva sapere.

<< Kanato-kun, ti prego! >> lo implorò Miki, scuotendo il vampiro per le spalle.

<< Miki-chan, sono molto arrabbiato anche con te. >> disse il viola, voltando la testa verso di lei. << Quindi, per cortesia, fammi farla finita con questo sporco mortale. >>

<< NO! >> urlò la ragazza, attirando l’attenzione di entrambi. << Non fargli male, per favore, lui non ti ha fatto niente di male. È vero, forse è un po’ sfacciato, ma dopotutto è buono… Il suo è solo un modo per approcciare con le persone, non intendeva mancarti di rispetto, puoi credermi. Ti prego, Kanato-kun, lui è mio fratello, lo conosco più di chiunque altro! >>

Il vampiro si voltò completamente verso Miki, lasciando cadere a terra Takumi nello stesso momento; la guardò negli occhi, inespressivo, specchiandosi in quelle due profonde pozze di lacrime versate e da versare. Ghignò.

<< Sei così buffa così, Miki-chan. >> le disse, iniziando a ridere. << Stai piangendo per così poco? >>

Sotto gli occhi sgranati – che lasciavano trasparire un misto di terrore e disgusto – di Takumi, Kanato portò una mano verso una guancia della ragazza, iniziando ad accarezzarla delicatamente; percepì un brivido repentino appena la propria pelle venne in contatto con le scie bagnate che le lacrime avevano causato.

<< Così piccola… così fragile… così debole… così innocente… >> scandì il vampiro, avvicinando il proprio viso a quello di Miki, che era rimasta come pietrificata dal tocco della sua mano. << Tuo fratello ha ragione. Sei proprio una bambinetta. >>

La ragazza non riuscì a proferir parola, scatenando le sonore risate del viola.

<< Guardati! Sei esilarante! >> esclamò Kanato,visibilmente divertito. << Miki-chan, mi fai proprio ridere! Fai ridere anche Teddy! >>

In quel preciso istante i sentimenti della ragazza mutarono: la disperazione e la paura si trasformarono in frustrazione e rabbia. Tanta, tanta rabbia. Alzò un braccio e, lentamente, allontanò la mano del vampiro da sé.

<< Non dire così. >> mormorò, guardandolo negli occhi. << Mi fai arrabbiare. >>

<< Tu puoi provare rabbia, Miki-chan? Davvero? >> la schernì Kanato, con una strana luce negli occhi.

<< Sì, posso. >> rispose lei. << Sono arrabbiata con te. >>

<< Vuoi sfidarmi? >>

<< No, però voglio che tu sappia perché sono arrabbiata. >> disse Miki, facendo un passo verso di lui. << Sono arrabbiata con te perché non ti ho mai fatto niente di male, e non ho neanche mai detto qualcosa di offensivo nei tuoi confronti. Ho sempre trattato bene anche Teddy, questo non puoi negarlo. Faccio sempre quello che vuoi tu senza protestare. Quando litighi con i tuoi fratelli, mi schiero sempre dalla tua parte, e non dico niente di male nemmeno quando fai qualche commento dispregiativo nei confronti di qualcuno. >> Poi abbassò la voce per non farsi sentire dal fratello. << So che il mio sangue è l’unica cosa che ti fa stare bene, per questo lascio che tu mi morda ogni volta che ne hai voglia. Non lo faccio perché sono masochista, ma perché tengo alla tua salute. Quando sto con te riesco a sentirmi bene, anche se tu sei quello che sei. E sai perché? Perché ho la consapevolezza di far stare bene qualcuno, anche se mi porta a provare il dolore fisico. Ma quando mi tratti così, credimi, il dolore fisico scompare e rimane solo un grande vuoto. Ogni volta che mi dici cose del genere mi viene voglia di abbandonarti per sempre. Ma non lo faccio mai, e non so neanche perché. >>

In quel momento Miki crollò a terra, in ginocchio, e liberò nuovamente le lacrime, questa volta singhiozzando animatamente. Si portò le mani in viso, coprendolo, sperando di scomparire in quel preciso istante.

Kanato rimase immobile a fissare il vuoto. Cosa significavano quelle parole? Cos’era quello che gli aveva detto la ragazza? Una dichiarazione, forse?

Takumi si avvicinò silenziosamente alla sorella, accarezzandole dolcemente le spalle. La fece alzare lentamente e, lanciando un’occhiata di fuoco al vampiro, condusse Miki fino alla moto parcheggiata a pochi metri di distanza; le diede un casco – che la ragazza indossò velocemente – e tenne l’altro per sé, poi entrambi salirono sulla moto e sparirono in lontananza, avvolti dal buio della notte.

Kanato rimase immobile a fissare un punto imprecisato davanti a sé, con Teddy che rischiava di scivolargli via dalle braccia. Delle lacrime fecero capolino dai suoi grandi occhi color malva, per poi scivolare silenziose sulle guance del vampiro.


<< Non ne sono molto convinto. >>

<< Fidati, funzionerà. >>

<< Come fai ad esserne così sicuro? >>

<< Ma mi hai visto? Uso questa tecnica da decenni, ormai, e ogni volta va sempre a finire bene! >>

<< Ma lei… >>

<< Niente “ma”! Se vuoi che ti cada ai piedi devi essere un vero bastardo! Funziona così con le donne. Ti fidi di tuo fratello? >>

<< Mi fido… >>


In effetti, Miki era caduta ai suoi piedi, ma non nel senso buono.

<< Questa… >> iniziò Kanato, stringendo i pugni e lasciando cadere Teddy sull’asfalto. << QUESTA ME LA PAGHI, AYATO! >>


***


<< Isako-nee, fermati! >>

Selena allungò un braccio in direzione di sua sorella, con la mano aperta, come per afferrarla, ma ormai era troppo tardi; vide la ragazza salire sulla volante della polizia e poi saettare via con questa. Smise di correre, sapendo che oramai non l’avrebbe più raggiunta. Si portò una mano sulla fronte e la trovò imperlata di sudore. Sentì le sue amiche chiamarla, così si voltò nella loro direzione e le vide raggiungerla velocemente.

<< Cos’è successo? Perché stavi correndo? >> le chiese Harumi, preoccupata.

<< Isako-nee è scappata con una volante della polizia. L’ha fatto di nuovo, mi ha disubbidito. >>

<< Quella piccola criminale… >>

<< Appena la ritrovo le darò una di quelle lezioni… >>

<< Io più che altro mi preoccuperei del folle che è alla guida, che non l’ha fatta scendere. >> commentò Tara osservando Harumi e Selena di sottecchi.

Selena guardò la ragazza dai capelli rosa con occhi spalancati, iniettati di paura.

<< Hai ragione. >> disse flebilmente. << Io… Io devo inseguire quell’auto! Quel pazzo al volante metterà in pericolo Isako-nee! >>

Poco più indietro Laito rise, portandosi entrambe le mani alla pancia, visibilmente divertito; Reiji e Shuu – non notando Harumi correre chissà dove – gli lanciarono un’occhiata di fuoco, alla quale il vampiro col cappello rispose con le spallucce, accompagnate da uno dei suoi sorrisi falsamente innocenti.

<< Dove potrebbero dirigersi? >> chiese Tara, portandosi una mano al mento.

<< Se prendiamo in considerazione la terribile tragedia consumatasi poco fa, >> iniziò Reiji, pulendosi gli occhiali con un panno bianco. << credo che la risposta migliore sia… >>

<< Il laboratorio scientifico per l’autopsia! >> esclamò Selena, battendo un pugno sul palmo dell’altra mano. << Si staranno dirigendo all’Ospedale Kobasaki, perché l’obitorio più vicino è lì. Non resta altro che andarci. >>

<< Genio, come hai intenzione di andare fino a lì? >> chiese Tara incrociando le braccia al petto.

Il rumore di un motore risuonò nell’aria.

<< Ma con questo gioiellino, ovviamente! >> disse una voce femminile alle spalle della rosa.

Si girarono tutti contemporaneamente e videro Harumi, in sella ad un sidecar nero, avanzare verso di loro; si fermò a pochi metri da loro, mostrando tre caschi neri.

<< Che ne dite? >> disse la ragazza dai capelli verdi con un sorriso soddisfatto in volto. << Per tutti questi anni è sempre rimasto in garage nonostante fosse in perfette condizioni. È tempo di usarlo, ne? >>

Selena sorrise a trentadue denti e, a grandi falcate, raggiunse il sidecar, sedendosi sulla parte posteriore della motocicletta; prese un casco e lo indossò, allacciandolo sotto il mento.

<< Harumi-san, quest’affare va veloce? >>

<< Che domande, Selly. >> rispose Harumi, ghignando. << È in mio possesso, quindi è normale che vada veloce. >>

<< Bene, divertitevi ad inseguire Isako. >> disse Tara girando i tacchi. << Io torno a casa, bye-bye! >>

La ragazza dai capelli verdi si avvicinò all’amica, poggiandole una mano sulla spalla.

<< Oh, ma il divertimento è appena iniziato. >> le sibilò nell’orecchio.

Tara si girò a guardarla, con un’ombra di preoccupazione negli occhi.

<< Ti prego, no. >> la supplicò lei. << È stata una serata terribile, voglio soltanto andare a casa. >>

<< Ma andrai a casa molto presto… >>

<< Voglio andarci ora, non dopo. >>

<< Non sei tentata? Non vuoi seguirmi? >>

<< Sembri Satana in questo momento. >>

Harumi rise, divertita, afferrando Tara per il gomito e trascinandola con la forza verso il sidecar, per poi farle prendere posto nel carrozzino.

<< Ti divertirai un sacco, credimi. >> le disse Harumi, mettendo il casco alla ragazza.

Tara le scoccò un’occhiataccia, per poi mettere il broncio e incrociare le braccia sotto il seno. Nello stesso momento Harumi si mise al posto di guida, dando il permesso a Selena di abbracciala per mantenersi.

<< Noi andiamo. >> disse la ragazza dai capelli verdi ai tre Sakamaki. << Non siete costretti a seguirci. >>

Subito dopo mise in moto e sfrecciò via.

<< Che si fa? >> chiese Laito, giocherellando con il proprio cappello.

<< Voi andate pure dove vi pare. >> disse Shuu con uno sbadiglio. << Io me ne torno a casa. >>

Gli altri due rotearono gli occhi al cielo.

<< Andiamo anche noi all’ospedale, Reiji-kun! >> esclamò Laito, divertito dalla situazione che si era creata.

Il secondogenito sospirò e si massaggiò le tempie.

<< D’accordo. >> acconsentì. << Ma bada a non combinare guai, per cortesia. >>

<< Puoi stare tranquillo, Reiji-kun! >> lo rassicurò Laito, per poi sorridere maliziosamente. << Se Princess-chan crede che la serata sia finita qui, si sbaglia di grosso. >>


***


<< Si può sapere come cavolo sono finito qui?! >> tuonò Subaru, indicando l’insegna di una gelateria, dalla quale Kin aveva appena comprato un gelato.

La ragazza lo guardò e fece spallucce, mentre tentava in tutti i modi di nascondere un sorriso divertito; indicò il proprio cono con un dito, spostando gli occhi velocemente da questo al vampiro.

Subaru sbuffò, nervoso.

<< Ho capito che volevi un gelato, ma siamo in città, porca miseria! >> esclamò, serrando i pugni.

Kin mimò un “gomen” con le labbra, mentre mangiava silenziosamente il proprio gelato.

<< Abbiamo camminato un sacco, se siamo qui. >> costatò Subaru, dopo aver fatto quattro lunghi respiri per calmarsi. << Tornare a casa mi risulterà più difficile, con tutta la gente che c’è da queste parti. >>

La ragazza lo guardò di sottecchi, poi allungò il proprio cono gelato verso di lui, per offrirglielo.

<< Oi, tieni lontano quella schifezza da me! >>

Kin alzò un sopracciglio, stranita da quel comportamento, ma decise di non dargli troppo peso. Picchiettò la spalla del vampiro con un dito indice e, una volta ricevuto l’attenzione da parte di lui, gli indicò un punto imprecisato della strada, per invitarlo a camminare un altro po’.

<< Non ti stanchi mai tu, ne? >> disse l’albino, sospirando.

La ragazza scosse la testa per negare, mentre un sorriso soddisfatto si faceva largo sul suo viso.

I due camminarono silenziosamente per il marciapiede, entrambi persi nei rispettivi pensieri. Senza che nessuno di loro due se ne accorgesse, raggiunsero un parco; era adornato di numerose panchine di legno, che davano su grandi aiuole fiorite, intervallate da piccoli sentieri di ghiaia. Kin saltellò verso una panchina, sedendosi su questa e invitando il vampiro a fare lo stesso. Subaru, ancora in piedi, la guardò, ringhiando; a passi lenti la raggiunse, masticando frasi insensate e cattive. Si sedette di fianco a lei, iniziando a guardare le aiuole in fiore.

La ragazza estrasse dalla propria borsetta il cellulare e, subito dopo aver aperto l’applicazione per gli appunti, iniziò a scrivere qualcosa. Il vampiro si voltò verso di lei e studiò i movimenti veloci del suo pollice che, quasi impavido, si muoveva sulla tastiera del cellulare. Dopo pochi attimi, Kin mostrò la scritta del cellulare all’albino, invitandolo silenziosamente a leggere. Subaru acconsentì e lesse il messaggio.

_ Quando ero piccola mi piaceva molto qui. Ci venivo spesso con mio padre e portavo sempre un pallone da calcio. Giocavo con lui e con gli altri bambini. _

<< E cosa vuoi che me ne freghi? >> Kin gonfiò le guance e ricominciò a scrivere.

_ Era per fare conversazione. _

<< Sai che bello parlare con te. >> rispose Subaru sarcasticamente.

_ Sei fortunato. Se avessi la voce potrei parlare per ore e tu non riusciresti a fermarmi. _

Subaru rise di scherno, dicendole di abbassare la cresta.

_ Volevo condividere con te un mio ricordo felice, baka. _

<< Non ti azzardare a chiamarmi “baka”. >> la avvertì l’albino, aggrottando le sopracciglia.

Kin sorrise furbamente.

_ Baka! Baka! Sakamaki Subaru è proprio baka! _

<< BRUTTA MARMOCCHIA! >>

Kin si alzò dalla panchina e, dopo aver buttato in un cestino il tovagliolo di carta con cui aveva mantenuto il gelato – che aveva finito di mangiare –, si girò in direzione del vampiro, facendogli la linguaccia. Subaru scattò in piedi e fece per avvicinarsi a lei, inducendola a correre via.

Si inseguirono per una decina di minuti perché, nonostante Subaru potesse raggiungerla con la sua incredibile velocità da vampiro, decise di stare al gioco; era forse perché lei era la prima persona, all’infuori degli altri Sakamaki, a non temerlo? Era come se improvvisamente non si sentisse più un mostro, ed era una bella sensazione.

<< Mugon! Fermati! >> esclamò l’albino, un piccolo sorriso ad incorniciargli il viso.

Kin non si voltò, continuando a correre sulla ghiaia; si stava divertendo, si sentiva libera, si sentiva bene, finalmente.

In quello stesso istante Subaru fu colto da un senso di nostalgia, che lo costrinse a rallentare la corsa. Come se fosse un flashback, nella sua mente comparve l’immagine di una donna giovane e bella, con lunghi capelli color neve e occhi color sangue; sorrideva, ma il suo era un sorriso malinconico e privo di vita, la stessa vita che le stava scivolando via pian piano in quell’epoca lontana.

L’albino, alimentato da una morsa al petto, scattò verso Kin, intrappolandola tra il proprio corpo e il tronco di un albero. La ragazza sussultò, colta di sorpresa, e guardò il vampiro negli occhi; in quelle due pozze, rosse come il sangue, lesse una moltitudine di sentimenti repressi, sia negativi sia positivi.

Subaru, alla disperata ricerca di un contatto fisico, le mise le mani sui fianchi, avvicinando il corpo di Kin al proprio. Nascose il viso tra i capelli rossicci della ragazza.

<< Mi sarebbe piaciuto sentirti parlare come fanno le altre ragazze. >> le confessò con un fil di voce, facendola arrossire parecchio.

Kin, titubante, portò le braccia al collo del vampiro, per ricambiare l’abbraccio.

<< Che sia opera del Destino? >> chiese a voce bassa, strusciando appena il naso sul collo della ragazza.

La rossa annuì, incerta.

<< Non è giusto. Odio il Destino. Lo prenderei a pugni. >>


***


<< “Vieni con noi”, dicevano. “Sarà interessante”, dicevano. >>

<< Non farla troppo drammatica, Tara, e cammina. >> la ammonì Selena senza neanche girarsi verso di lei.

La rosa mugugnò un “va bene”, ricevendo un’amichevole pacca sulla spalla da parte di Harumi.

Le tre stavano camminando verso la hall dell’ospedale, per chiedere la strada per arrivare alla zona dell’obitorio. Alla segretaria si spacciarono per nipoti del defunto sindaco, riuscendo così ad ottenere il permesso per dirigersi alla sala d’attesa dei sotterranei, dove in quel momento si trovava il cadavere. Presero l’ascensore e scesero di due piani, per poi incamminarsi in un corridoio bianco e silenzioso, illuminato dalla luce artificiale delle lampade appese al soffitto.

<< Questo posto è inquietante. >> commentò Tara, senza però alzare troppo la voce.

<< Sono d’accordo con te, Princess-chan~ >>

La ragazza dai capelli rosa urlò di paura, colta alla sprovvista da quella voce; quando si rese conto che era stato Laito a parlare, apparso un attimo prima dietro di lei, non seppe se tranquillizzarsi o restare sull’attenti.

<< Baka, mi hai spaventata! >> lo rimproverò Tara, dandogli un pugno sul braccio, pur sapendo di non avergli fatto alcun male.

Il vampiro miagolò, abbassandosi fino all’altezza della ragazza, per poterla guardare negli occhi: << Non c’è bisogno che tu abbia paura, sono solo io~! >>

<< Mi rassicura un sacco, guarda. >> borbottò Tara, con una punta di sarcasmo nella voce, mentre distoglieva lo sguardo dagli occhi di Laito.

Sentirono Selena sospirare pesantemente, come se fosse scocciata e stanca della situazione creatasi.

<< Voi due mi rallentate soltanto, ne siete consapevoli? >> disse la blu, puntando le mani sui fianchi.

<< È colpa sua! >> si giustificò Tara, puntando un dito verso il vampiro, che alzò le mani in segno di resa.

<< Clever-chan, io e Reiji-kun abbiamo trovato la tua onee-chan. >> la informò Laito. << È più avanti, nella sala d’attesa dell’obitorio. Reiji-kun la sta intrattenendo. >>

Selena scattò sull’attenti.

<< Cosa le sta facendo? >> chiese la ragazza dai capelli blu, mentre un panorama di brutti scenari si faceva largo nella sua mente.

<< Quando li ho lasciati soli, stavano solo parlando. >> rispose il vampiro, facendo spallucce.

<< Sbrighiamoci Harumi-san! >> esclamò Selena, tornando a camminare nel corridoio.

Harumi annuì e la seguì, ma non prima di aver fissato Laito negli occhi; in volto aveva un’espressione fredda e impassibile, causata dal ricordo di una frase che Shuu le aveva detto quella stessa sera.


<< Di solito preferisce avere più ragazze che una sola. >>


<< Non fare passi falsi. >> gli disse e, anche se la voce era poco più di un sussurro, era certa che il vampiro l’avesse sentita.

Subito dopo girò i tacchi e si affrettò a seguire Selena, cercando di fermare i borbottii preoccupati di quest’ultima.

Tara sospirò, rassegnata; avrebbe dovuto passare altro tempo con quello stalker, con i suoi canini appuntiti e con i suoi occhi bellissimi

“Ma cosa cavolo vado a pensare in un momento del genere?!” si ammonì mentalmente, arrossendo appena.

<< Ne, Princess-chan~ >> la chiamò Laito, facendola girare verso di sé.

Appena i loro sguardi s’incrociarono, il vampiro le afferrò un polso con la propria mano, portando poi l’altra alla nuca della ragazza, per poi fiondarsi sul collo di Tara e poggiarci le labbra, in un bacio casto, mentre sul suo viso si dipingeva un sorriso sereno e soddisfatto.


***


<< Ingrata, mi hai fatta preoccupare! >> esclamò Selena, con entrambe le mani strette in due pugni. << Non ti permettere più di allontanarti senza avvisarmi! >>

<< Oneesan, stai esagerando. >>

<< No, non sto esagerando! Ti risulta così difficile fare le poche cose che ti chiedo? >>

<< Senti, la predica me l’ha già fatta lo spilungone. >> disse Isako indicando Reiji, sulla fronte del quale due nervi iniziarono a pulsare pesantemente.

Il secondogenito Sakamaki fece per ribattere, ma fu preceduto.

<< E un’altra cosa: non azzardarti mai più a rivolgerti a Reiji-san in questo modo. >> sibilò Selena, assottigliando gli occhi.

Sul volto di Isako comparve un’espressione infuriata, ma la ragazza non parlò; incrociò le braccia al petto, per poi sedersi pesantemente sopra una delle poche sedie che riempivano miseramente il vuoto di quella zona deserta dell’ospedale.

Selena, dal canto suo, si concesse un sospiro di sollievo: aveva ritrovato sua sorella minore ed era riuscita a placare – anche se, lo sapeva benissimo, momentaneamente – il suo istinto di evasione. Controllò l’orario sul proprio orologio da polso: era passata la mezzanotte, ma non era ancora l’una. Si appoggiò a una parete. Era davvero stanca e non vedeva l’ora di tornare a casa, bere qualcosa di caldo per potersi rilassare e andare a dormire; sarebbe dovuta essere una serata piacevole e divertente, e invece era successo di tutto, partendo da quello che era successo nella biblioteca. Solo a pensarci, arrossì appena.

Il rumore di una maniglia la fece destare dai propri pensieri. Puntò lo sguardo verso la porta dell’obitorio e vide Yui sulla soglia, intenta ad uscire dalla sala; era più pallida del solito, sembrava che fosse stata reduce di chissà quale dialogo agghiacciante. Selena si avvicinò alla bionda, accogliendola in un abbraccio e la sentì sussurrare qualcosa.

<< Fiorellino, va tutto bene? >> le chiese, preoccupata.

<< Era già morto… >> bisbigliò Yui, per poi continuare a ripetere quella frase come se fosse stata un disco rotto.

Non capendo, Selena alzò lo sguardo e lo puntò verso la porta dell’obitorio, da dove uscirono altre due persone; riconobbe il ragazzo, ma l’altra le era completamente sconosciuta.

<< Sakamoto-san… faranno il possibile… per scoprire la verità… >> disse lui alla ragazza dai lunghi capelli color pece che lo affiancava.

Lei annuì, anche se incerta.

<< Azusa-san, cos’è successo? >> domandò Selena, facendo incrociare i loro sguardi.

<< È qualcosa… di assurdo… >> rispose lui, puntando gli occhi sul pavimento.

Reiji volse lo sguardo verso Azusa, assottigliando gli occhi per squadrarlo. L’altro, quasi come se fosse stato chiamato, si girò verso il secondogenito Sakamaki e ricambiò lo sguardo indagatore. Dopo alcuni secondi, sul viso di entrambi comparve un’espressione stupita, con un accenno di rabbia negli occhi.

<< Tu… >> sussurrarono entrambi, mentre tutti gli altri presenti parvero sparire nel nulla.

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Finalmente il capitolo 21 è qui! Cavolo, ne è passato di tempo, ne cookies? Vi confesso che è bello essere riuscita ad ultimare questo chappy e ad averlo pubblicato, mi sento molto meglio. Mi sono impegnata tanto a scriverlo, spero si veda :3

Subaru: Fa schifo come al solito.

I tuoi commenti fanno sempre molto bene alla mia autostima, grazie :D

Subaru: Mi stai prendendo in giro?

Ovviamente sì.

Subaru: *riversa la propria rabbia su Wall-chan*

A proposito; per chi non lo sapesse, in Giappone la maggiore età si raggiunge ai vent'anni, anche se attualmente è in corso un dibattito per abbassarla ai diciotto. Che bello, la mia storia è anche istruttiva!

Ruki: Se fossi in te, non ne sarei così sicuro.

RUKI-KUN WA HIDOI DESU ç_ç

E niente, minna-san. Mi scuso per l’ennesima volta per avervi fatto aspettare così tanto, e spero che i contenuti del capitolo siano valsi questi due mesi di attesa .-.  Spero di riuscire a scrivere il prossimo capitolo nel minor tempo possibile! Voi farete il tifo per me? No? Ottimo ^^

Reiji: *si strofina gli occhi con le dita* Santo protettore della porcellana, cosa mi tocca ascoltare…

See Soon Everyone!!

Channy


PS

Laito: Ai-chan, andiamo a fare merenda con i macarones~ Ti va?

Certamente, Laito-kun *^*

Kanato: Anch’io voglio i macarones. Posso unirmi a voi?

Laito: Kanato-kun, sto rimorchiando, torna dopo.

Kanato: Allora, caro onii-chan, TU RIMORCHI LE RAGAZZE ED IO RIMORCHIO I DOLCI. PROBLEMI?!

Ma certo che puoi rimanere con noi, Kanny-kun ^^

Laito: Sogni infranti ç_ç

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Capitolo 22
*** Planes, Relatives and That Name ***


<< Prima che perda definitivamente la pazienza, puoi degnarti di spiegarmi perché questo sgorbio è in casa nostra? >>

<< Subaru, calmati. >>

<< Tu prima parla, poi decido se calmarmi o no. >>

Reiji sospirò pesantemente e si passò una mano sulla fronte, scostandosi una ciocca di capelli che gli ricadeva davanti al viso. La serata, per i suoi gusti, aveva preso una piega tutt’altro che piacevole, andando al di là di ogni suo calcolo e previsione; non avrebbe di certo potuto immaginare di ritrovarsi a correre dietro a delle ragazze fin troppo energiche e ficcanaso, alimentate dal fuoco del mistero, per poi ritrovarsi faccia a faccia con colui che credeva – sperava! – si trovasse oltreoceano.

<< L’ho incontrato all’obitorio per pura casualità. >> spiegò il secondogenito, accavallando elegantemente le gambe. << Ho deciso di condurlo fin qui per evitare di creare scandali dovuti alle cose che abbiamo da dirci. Ti basta o vorresti una descrizione più accurata dell’accaduto? >>

Subaru grugnì e, attraversando il salotto, andò ad appoggiarsi al camino, restando con le braccia conserte e l’espressione infuriata. Aveva appena fatto ritorno alla villa, dopo aver accompagnato Kin vicino a casa sua – era letteralmente stato costretto da quest’ultima, che aveva troppa paura di andare in giro da sola per via dell’orario –, e aveva trovato uno dei suoi fratelli maggiori in compagnia di un ospite totalmente indesiderato.

<< Sta’ zitto. Non voglio neanche sapere perché eri in un obitorio… >>

<< L’omicidio del sindaco ti dice qualcosa? Ah, giusto. Dimenticavo che eri troppo impegnato a farti la tua fidanzata per capire cosa stava succedendo. >>

<< TACI, HENTAI! >>

Laito rise, divertito, tenendosi il cappello con una mano e con l’altra premersi lo stomaco per evitare di piegarsi in due; era davvero esilarante, per i suoi gusti, vedere l’albino andare su tutte le furie per nascondere altri sentimenti!

<< Laito, non comportarti in questo modo orribilmente infantile, per cortesia. >>

<< Ma, Reiji-kun, io ho solo detto come sono andate le cose. Che cosa hai fatto per tutto il tempo, Subaru-kun? >>

L’ultimogenito sbuffò, mormorando di non immischiarsi nei suoi affari, per poi andarsene da lì; quel clima lo stava soffocando fin troppo, ne aveva abbastanza delle chiacchiere inutili dei suoi fratelli. Perché non erano amanti del silenzio? Perché non lo rispettavano mai? L’albino si ripromise di farla pagare a tutti; essere i più piccoli non significava essere i più deboli.

Azusa, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, soffocò una risata con una mano; possibile che i Sakamaki fossero stati sempre così buffi? Rivolse un’occhiata a Reiji.

<< Non ti scusi per il… comportamento… dei tuoi fratelli… come fai di solito? >>

<< È vero, i miei fratelli sono indisciplinati, tuttavia non ho niente di cui scusarmi con te. Anzi, ti pregherei di non essere così sfacciato nei miei confronti. >>

Azusa ghignò. << Non sei cambiato per niente… >>

<< Direi di non perderci in chiacchiere. Perché sei rimasto in Giappone? >>

Laito, nel frattempo, si mise comodo, sul divano, per godere al massimo la conversazione dei due.

<< Sono tornato da pochi anni, in realtà. Sono stato alla Corte del Re come mi era stato ordinato… Ma poi sono stato spedito da lui stesso in altre nazioni… >> spiegò Azusa, mentre con la mente ripercorreva gli avvenimenti degli ultimi venticinque anni. << Ci sono state delle complicazioni per il progetto che lui aveva in mente… Mi ha chiesto di tornare qui solo qualche anno fa, proprio per rimettermi in contatto con voi… >>

<< Perché non ci hai contattato subito? >> chiese Laito, sorreggendo il viso con una mano, il gomito puntato sul bracciolo del divano dove era accomodato.

<< Non mi avreste mai permesso di tornare da voi… senza un motivo preciso… Avevo deciso di stabilirmi per un po’, inserendomi nel giornale del posto… Vi avrei fatto visita approfittando della scoperta della vostra villa, ma poi la stesura dell’articolo è stata affidata a Yui-san… >>

Reiji si alzò dalla poltrona, dove era seduto, e fece qualche passo per avvicinarsi ad una delle enormi finestre che caratterizzavano il salotto. << Che progetto ha in mente Karlheinz? >>

Azusa restò qualche attimo in silenzio.

<< Il progetto riguarda due questioni importanti: la rivalità con il Mondo Parallelo e la successione al trono. >>

Reiji si voltò velocemente verso Azusa.

<< Il Mondo Parallelo? >> chiese Laito mentre il suo caratteristico sorriso malizioso lasciava spazio ad un’espressione seria.

L’altro annuì. << Sono decenni che il Mondo Parallelo e il Mondo dei Vampiri sono in contrasto… Ma negli ultimi anni le tensioni sono diventate più forti. Basterebbe una sciocchezza per far scoppiare una guerra di sterminio… >>

<< Questa sì che è una cattiva notizia. >> commentò il rosso, mettendo il broncio. << Reiji-kun, dici che dovremmo andare subito a corte? >>

Il secondogenito, però, rimase in silenzio. La situazione era molto più contorta di quanto ricordasse; avrebbe dovuto fare qualcosa al più presto e, per quanto odiasse ammetterlo, avrebbe avuto bisogno dei suoi fratelli.

<< Credo che sia giunto il momento di fare una riunione di famiglia. >>


***


Un forte odore d’incenso invase le narici di Yui e degli altri presenti alla funzione funebre; suo padre, Seiji, nelle proprie vesti da sacerdote, stava agitando lentamente il turibolo ai piedi della lapide, come per salutare definitivamente il defunto e augurargli un buon viaggio nell’Aldilà. Attorno a lui, alcuni familiari piangevano, altri restavano fermi, immobili, abbracciati, come per sorreggersi l’un con l’altro; altri ancora erano in ginocchio, con le mani giunte, pregando per il deceduto, mentre quelli più indietro rimanevano a fissare la scena, non lasciando trasparire nessuna espressione sui propri visi.

La bionda strinse maggiormente le spalle di Aya, che le stava accanto, per confortarla; non aveva aperto bocca durante tutta la funzione e aveva gli occhi gonfi e arrossati.

<< Puoi piangere. >> le sussurrò nell’orecchio.

<< Ho finito le lacrime. >> rispose Aya, facendo spallucce. In volto aveva un sorriso spento; i suoi occhi non avevano smesso per un secondo di osservare la foto a colori di suo padre, che spiccava sul marmo bianco della lapide.

Yui annuì, per poi fare il segno della croce appena vide due uomini iniziare a sotterrare la bara color mogano; di fianco a lei, per soffocare i singhiozzi, la madre di Aya e vedova del sindaco si premette sulla bocca il proprio fazzoletto di cotone bianco, decorato con alcuni disegni che richiamavano alla mente delle ortensie blu.

Seiji recitò alcuni versi della Bibbia, per poi chiudere il Libro Sacro e metterlo sotto braccio. << Kami-sama, accogli nel tuo abbraccio il nostro amico ormai defunto, Sakamoto Akihito, e fallo riposare nella pace eterna che solo Tu sai donare. Amen. >>

Tutti i presenti risposero con un “amen”, per poi fare l’ennesimo segno della croce. Poco a poco tutti se ne andarono, lasciando le condoglianze ai familiari del morto.

<< Vuoi venire a casa mia? >> chiese Yui ad Aya, la quale, dopo essere rimasta alcuni secondi in silenzio, per pensare, annuì.

Entrambe s’incamminarono verso la casa della bionda, per poi essere raggiunte da Selena e Tara. Il clima, quel giorno, sembrava essere in perfetta sintonia con i sentimenti e le emozioni dei cittadini di quel paese: le vaste nuvole che coprivano il cielo stavano per piangere, forse per tristezza, forse per sfogo, forse per consolare tutti coloro che erano in lutto; in lontananza non si sentiva nessun uccellino cinguettare né gente parlare. Era come se tutto si fosse improvvisamente fermato, forse per far memorizzare alla perfezione quei momenti ad ogni singolo cittadino.

Yui aprì la porta di casa sua e, togliendosi le scarpe, invitò le altre ragazze ad entrare, conducendole in salotto e facendole sedere sul divano, per poi rintanarsi in cucina con l’intenzione di preparare del tè. Odiava essere triste, era qualcosa che non le si addiceva per niente.

<< Come ti senti? >> chiese Tara ad Aya, per poi rendersi conto della stupidità della propria domanda.

La mora abbracciò uno dei cuscini presenti sul divano. << Manca da neanche ventiquattro ore, eppure mi manca già. >>

<< Ti capisco. >> disse Selena, venendo pervasa da un senso di malinconia.

Capiva, lei capiva benissimo. Non avrebbe mai potuto dimenticare quella sensazione straziante e angosciante che aveva percepito su tutto il proprio corpo anni addietro, quando la cruda verità era venuta a galla. Ingiustizie e bugie, solo quello aveva sentito dalle autorità; come avrebbe potuto fidarsi più delle forze dell’ordine e di coloro che avevano reso la legalità motivo per cui combattere? Dopo anni era giunta alla propria conclusione: la verità si comprava con i soldi, e più questi ne erano, più chi era di dovere avrebbe fatto il proprio lavoro. Altro che legalità, era solo una scusa per fare soldi, solo una giustificazione; percepiva il voltastomaco e una forte voglia di urlare quando ci ripensava.

A distrarla dai pensieri fu Yui che, rientrando nel salotto, aveva poggiato sul tavolino in legno il vassoio con quattro tazze di porcellana, una teiera fumante e una piccola ciotola contenente dello zucchero.

<< Come mai avete organizzato il funerale così in fretta? >> chiese Selena, per poi ringraziare Yui che, gentilmente, stava versando il tè nelle tazze.

Aya prese la tazza che le spettava, per poi soffiare sul liquido bollente. << Gli esperti sono stati veloci a fare l’autopsia e gli investigatori hanno lavorato tutta la notte per cercare indizi. Abbiamo voluto seppellire il corpo di mio padre così presto per potergli donare pace in fretta. >>

Le altre tre ragazze annuirono, comprensive.

<< Però ora è in un posto migliore, ne? >> disse Yui, tentando di mostrare alla mora un sorriso convincente.

<< Non lo so. >> rispose Aya. << Mio padre era strano. Passava le giornate nel suo ufficio e la sera rincasava molto tardi, tanto da dover riscaldare la cena. Questo suo comportamento stava mandando in frantumi il matrimonio con mia madre, eppure lui continuava a ripeterle di amarla. Non l’ho mai capito. >>

<< Non biasimarlo, era il sindaco. >> disse Tara. << Aveva dei compiti molto importanti da svolgere. >>

Aya sospirò. << Questo sicuramente, ma continuava ad essere così misterioso… >> Bevve un sorso di tè. << Una volta ho sbirciato in alcuni suoi documenti. Su alcuni di quei fogli veniva nominato un tizio, ma non ho idea di chi possa essere. Un certo Karlheinz. >>

Mentre Tara si rovesciò adesso un po’ del proprio tè – imprecando, poi, per essersi scottata –, Selena sputò tutto il sorso che aveva in bocca e Yui iniziò a tossire.

<< Ragazze, state bene? >>

<< Sei proprio sicura che il nome che hai letto sia Karlheinz? >>

Aya piegò appena la testa di lato. << Sì. Lo conoscete? >>

Yui fece per parlare, ma Tara la precedette. << È il nome di un personaggio di una fiction che trasmettono in televisione! >>

<< Sì, esatto! >> esclamò Selena. << Non perdo neanche una puntata! >>

Aya le guardò con in volto un’espressione confusa, ma poi si lasciò sfuggire una risata divertita. << Va bene, farò finta di credervi. >>

Yui fece una risata nervosa. << Scusaci tanto, ma è un segreto. >>

<< Tuttavia… >> fece Selena, per poi finire di bere, in un solo sorso, il contenuto della tazza che teneva tra le mani. << Dobbiamo scoprire perché Sakamoto conosceva Karlheinz. >>

<< Cosa hai intenzione di fare? >> le chiese Tara, mentre continuava a strofinarsi un fazzoletto umido sopra la maglietta macchiata di tè.

<< Ovviamente voglio indagare a fondo in questa faccenda. >> rispose la blu. << Aya, ti ricordi dove hai trovato quei documenti? >>

La mora sorrise appena. << Certo. >>


***


<< Erano in uno di questi. >>

Aya poggiò sulla scrivania dell’ufficio del sindaco una decina di raccoglitori, tre per volta, per poi asciugarsi il leggero strato di sudore che le aveva imperlato la fronte. Successivamente, prese uno degli schedari e lo aprì. << Inizio a controllare questo, voi prendetene degli altri. >>

Le altre tre annuirono e presero alcuni dei raccoglitori, cominciando subito a sfogliarli. Ogni singola pagina era piena di ideogrammi neri e piccoli, alternati da sigle in romaji o in inglese; in fondo ai fogli c’era quasi sempre una firma, se non due, e qualche stampo blu di un timbro. Contratti, fatture, attestati e campagne promozionali, ecco cos’erano.

<< Questi sono tutti documenti normalissimi. >> disse Selena, sospirando.

<< Eppure sono sicura di aver letto quel nome tra questi fogli… >> mormorò Aya, per poi riporre alcune fatture in un raccoglitore.

<< Ho trovato qualcosa! >>

Le ragazze si girarono in direzione di Tara che, con un enorme sorriso in volto, stava sventolando in aria alcuni fogli.

<< Cosa c’è scritto? >> chiese Yui, avvicinandosi alla rosa.

L’altra estrasse dal proprio marsupio una custodia per occhiali, per poi aprirla e indossare le sottili lenti da lettura.

<< Cavolo, è scritto in hentaigana. Però non è come il carattere originale, è più complesso… >> disse Tara. << Non capisco niente, a parte il nome “Karlheinz” al posto del mittente. Quindi è una lettera? >>

<< Non sai leggere l’hentaigana? Andiamo, come facevi ad avere una buona media a scuola? >>

<< Scusami tanto se non riesco a leggere una forma di scrittura del Novecento, per di più dialettale. >> sibilò la rosa, gonfiando le guance.

<< Però dovresti saper gestire gli hentaigana… >> mormorò Selena, con un sorriso malizioso in viso.

<< … Non sei divertente. >>

Yui scoppiò a ridere, cogliendo l’allusione fatta dalla ragazza dai capelli blu, per poi essere fulminata da un’occhiata omicida della rosa; Aya restò in silenzio, non capendo a cosa si riferisse Selena.

Sentirono bussare alla porta, che venne aperta senza che loro dessero il permesso per entrare; a fare capolino fu Azusa, seguito da Reiji.

<< Oh, ragazze, che ci fate qui? >> chiese loro, con il suo solito tono pacato.

<< Ricerche. Voi, piuttosto? >> rispose Selena, tentando di non mostrarsi stupita dalla presenza del secondogenito Sakamaki.

<< Abbiamo bisogno di consultare alcune carte. >> rispose Reiji.

Tara strinse con più forza i fogli che teneva tra le mani. << Ci siete solo voi due? >>

Reiji rise appena. << Non è il caso che ti preoccupi. Laito è rimasto a casa. >>

La rosa tirò un sospiro di sollievo e sorrise serenamente.

<< Azusa-kun, come fai a conoscere Reiji-san? >> chiese Yui, avvicinandosi di qualche passo ai due.

Azusa sorrise appena, abbassando la testa. << Scusami se non ti ho mai detto niente… Non volevo ti spaventassi… Però, poi, Reiji mi ha spiegato tutto… >> Fece una pausa e portò una mano su una spalla della bionda. << Sono un parente dei Sakamaki. Sono un loro cugino. >>

Yui, Selena e Tara spalancarono gli occhi, sconcertate da quella rivelazione; per tutto quel tempo avevano condiviso le loro giornate con un vampiro, senza rendersene conto?

<< M-Ma… Azusa-kun, tu non hai i… >>

<< Invece sì. Non ve ne siete mai rese conto? >>

<< Di cosa state parlando? >> s’intromise Aya, estranea a quella storia.

Reiji si schiarì la voce. << Non credo che questo sia il momento e il luogo giusto per parlarne. Affronteremo questo argomento questa sera. >> Poi si rivolse alla mora. << Vorrei fossi presente anche tu. >>

Selena camminò verso il secondogenito Sakamaki e gli si parò davanti. Puntò le mani sui fianchi. << Lei non c’entra niente, non fa parte di questa storia. Lasciala in pace. >>

<< Mi dispiace contraddirti, Milady, ma lei c’entra eccome. >> disse Reiji, mostrandole un ghigno.

<< Cosa vuol dire? >>

<< Il decesso del sindaco Sakamoto non è stato una morte qualsiasi. >> disse Azusa, rivolgendo uno sguardo ad Aya. << L’autopsia ha rivelato qualcosa di… anomalo. >>

Yui si portò una mano al mento. << Era già privo di vita quando gli hanno sparato. È questo che ci hanno detto stanotte? >>

<< Esatto. >>

<< Vuol dire che è stato avvelenato? >> chiese Tara, spostando gli occhi da Reiji ad Azusa.

Il vampiro con gli occhiali scosse la testa. << È morto sotto il colpo di un’arma da fuoco. >>

Aya sentì gli occhi pizzicarle, tuttavia da questi non uscì niente, neanche una lacrima. << Dove volete arrivare? >>

<< I proiettili erano d’argento. >> disse Reiji, con un’espressione impassibile.

Nella stanza calò il silenzio; un leggero vento caldo fece ondeggiare le tende della finestra, lasciata appositamente aperta.

<< Sakamoto Akihito era un vampiro e l’assassino lo sapeva. >>

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Finalmente ho ultimato questo capitolo! Che dire? *mangia un biscotto al cioccolato* Spero vi sia piaciuto.

Ayato: *fa finta di vomitare*

Come sei simpatico! *lo prende a padellate, ma non per finta* Che ne pensate? Siete rimasti sorpresi dalle rivelazioni presenti in questo capitolo? Fatemelo sapere con una recensione, e fatemi anche notare se ho fatto degli errori ;D

Ayato: Care lettrici, nelle recensioni avviate una campagna di protesta verso questo capitolo, mi raccomando.

E perché, scusa?

Ayato: Ovviamente perché il magnifico Ore-sama non fa neanche una comparsa u.u

… Sub-senpai, potresti prestarmi il tuo pugnale?

Subaru: Che ci devi fare?

Devo procurare dolore ad Ayato.

Subaru: Allora va bene *le dà il pugnale*

Grazie xD

Ayato: Un momento, non potete farmi questo! Sono più grande di voi due messi insieme.

E ‘sti cavoli?

Ayato: Reiji, lo stecchino occhialuto mi vuole accoltellare!

Reiji: *beve un sorso di tè* Gradirei non mi sporcaste la moquette nuova. Channy, ti dispiacerebbe pugnalare Ayato in giardino?

Okay, nessun problema ^^

Ayato: FUCK YOU, TABLE-WARE OTAKU! *scappa*

Reiji: Come mi ha chiamato?

TORNA QUI, OREO-SAMA! *lo rincorre*

Ayato: LAITO AIUTAMI, PORCO RICHTER!!

Laito: Scusami, Ayato-kun, ma non potrei mai mettermi contro la mia ragazza u.u

Ayato: KANATO!!

Kanato: Muori :D

Ayato: *piange e continua a correre*

L’Angoletto dell’Autrice si chiude qui a causa della mancanza d’intelligenza e serietà.

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Capitolo 23
*** Family Reunion and Monster ***


La ragazza scorse l’edificio parzialmente nascosto dalle tenebre della notte con inquietudine, mista all’incredibile voglia di scoprire cosa celasse con così tanta segretezza e snervante oscurità. Al suo fianco, Tara era scossa da brividi irregolari e incessanti – sembravano quasi aver piacere nello smuovere impercettibilmente il corpo della giovane dai lunghi capelli rosa –, mentre la figura di Harumi le faceva da contrasto, i suoi occhi color nocciola erano ben puntati sul cancello d’ingresso della villa, e il suo sorriso rilassato le decorava il volto cosparso di allegre lentiggini concentrate sulle goti, apparse quasi magicamente in seguito all’arrivo annuale della stagione estiva. Alla sua sinistra, colei che minuti prima si era presentata, dicendole di chiamarsi Miki, se ne stava ferma, in silenzio, con lo sguardo blu oceano a fissare un punto imprecisato, forse inesistente, ai suoi piedi, e il sorriso caloroso che le aveva rivolto era mutato, trasformandosi in una maschera ghiacciata, inespressiva, scolorita dalla delusione delle sue stesse aspettative. L’ultima ragazza che aveva conosciuto possedeva dei capelli rossi che erano stati in grado di ipnotizzarla; le aveva allungato una mano in segno di saluto, mentre Selena le aveva detto che l’ipnotizzatrice rossa si chiamava Kin e che non poteva più proferir parola – in compenso, però, aveva due occhi più azzurri dello zaffiro che urlavano come quelli di nessun altro, unici, inimitabili.

Yui teneva salda la mano di Aya mentre oltrepassavano l’entrata della tenuta, guidate da una Selena dall’espressione perfettamente sicura di sé e delle sue azioni, la quale camminava facendo svariate raccomandazioni alla nuova arrivata, seppur quest’ultima non le stesse prestando troppa attenzione, perché molto più presa nell’osservazione dei particolari gotici mesi in mostra nel giardino, come la sagoma in pietra dall’aspetto demoniaco inginocchiata sopra la fredda fontana, a pochi metri dalla porta d’entrata principale. Si aprì con uno snervante tremolio, quella porta, ma Aya non sentiva d’aver paura; piuttosto, era affascinata dall’insieme di dettagli portatori d’ansia, e voleva conoscerne altri, diversi tra loro, e si stupì d’aver anche solo pensato di volerne ancora, perché prima d’allora non s’era mai scoperta amante dell’inquietudine e dei suoi derivati.

L’interno della Villa – come le avevano detto che si chiamava? – Sakamaki era degna del corrispondente cortile anteriore, seppur un grande lampadario illuminasse il corridoio e persino i suoi dintorni, e rendesse gli ambienti in totale contrasto con l’oscura flora all’esterno; seppur fosse abituata ad essere circondata da beni di valore medio o alto, l’arredamento che i suoi occhi celesti potevano ammirare superava di gran lunga il patrimonio della sua famiglia sia nell’ambito di bellezza che in quello monetario. Di fronte a sé si stagliava una scalinata coperta da un elegante tappeto rosso, e ai piedi di questa un maggiordomo di mezza età era perfettamente immobile a guardare di fronte alla propria persona, il corpo asciutto fasciato da un elegante frac dal colore verdognolo; squadrò le ragazze una ad una, come ad assicurarsi che fossero loro per davvero, le desiderate, per poi dire, con voce atona: << I signorini Sakamaki vi stanno aspettando nella sala adibita alle riunioni. Prego, da questa parte >>, e con un gesto formale del braccio destro, indicò loro la direzione da percorrere, seppur avesse fatto da guida, come gli era stato precedentemente ordinato.

Selena indugiò, non avendo mai visto quell’uomo in giro per la dimora nel corso dei giorni di visita, ma una gomitata leggera da parte di Harumi la fece voltare verso quest’ultima; la ragazza dai capelli verdi le rivolse un sorriso impavido, accompagnato da uno sguardo impregnato di rassicurazione. Poi la oltrepassò, seguendo il domestico su per le scale, seguita dal resto del gruppo al femminile; sembravano quasi comandate dalle due, non a caso le maggiori tra loro, seppur non avessero nessun rapporto di parentela: non erano altro che amiche di vecchia data, compagnia creatasi in seguito al trascorrere degli anni e degli eventi – e le prime ad essersi conosciute furono state appunto le due maggiori, quando avevano rispettivamente undici e dieci anni.



***



Il maggiordomo arrestò la propria marcia davanti ad una grande porta a due ante di colore scuro, in bilico tra il nero e il marrone; al di là di essa, si percepiva unicamente il silenzio, freddo, ghiacciato, raccapricciante. Le ragazze – escludendo, certamente, la nuova arrivata – l’avevano sempre pensato, nel profondo dei loro cuori, che quella dei Sakamaki non fosse una vera famiglia, seppur tutti quei vampiri fossero uniti dallo stesso DNA. Cos’era una famiglia? Un luogo possedente come sinonimo casa, in cui regnava serenità, calore, fiducia e appoggio reciproci; un posto in cui rifugiarsi dal mondo, dalle atrocità, dalle sofferenze, ed essere accolti, con le mani protese, difesi, compresi, protetti, come sotto ad una grande campana di vetro spesso, resistente, senza nessuna fragilità, crepa, opaco affinché il preservato non vedesse l’astio del mondo esterno. Ma tra quelle mura coperte da carta da parati non vi era nulla che potesse essere paragonato a quell’amore – dov’erano le figure materna e paterna? Chi si prendeva cura dei sei fratelli, così bisognosi d’attenzioni e affetto? Perché loro ne avevano bisogno, di quel sentimento tanto comune quanto raro e prezioso. Come e perché, per colpa di chi erano cresciuti in quel modo, ignorando l’esistenza di quel bene importante e vitale? Forse era per quel motivo che erano tutti così forti, tenaci ed autoritari; perché sin da piccoli avevano dovuto imparare a cavarsela da soli, a sopravvivere, come delle vere e proprie bestie della natura selvatica, ogni giorno in bilico tra la vita e la morte, con i predatori di altre specie in agguato, pronti e scattanti per aggredirli e toglier loro il dono dell’esistenza presente e futura, abbandonando le loro anime al tempestoso passato, nella versione di un ricordo troppo crudo da raccontare alle generazioni successive. Quanti respiravano ancora e quanti riposavano in un luogo ultraterreno, dove gli spiriti maligni si dannavano per poter raggiungere l’assoluzione degli innumerevoli peccati – anche se inconsapevoli – compiuti durante la realtà terrena? Solo i più forti e resistenti erano destinati alla sopravvivenza, mentre i deboli? I deboli erano creature effimere, e nel libro scritto dal Fato per loro era presente un messaggio crudele ed incancellabile, che citava la loro sorte macchiata di rosso scarlatto.

Era vuoto ciò che erano in grado di leggere nelle loro iridi e pupille prive di umanità, le quali avevano conosciuto quanti massacri? Quante ingiustizie, quanto odio, quanta avversione? Quante lacrime avevano pianto, quei sei fratelli avvolti dalla solitudine? E quante potevano ancora scendere dai loro occhi e percorrere le loro goti innaturalmente pallide, raggiungere le mandibole e precipitare nelle nicchie sgombre che erano i loro cuori, semmai li avessero avuti? Come avrebbero potuto esserci degli organi tanto importanti perché portatori di esistenza, se quei corpi non fossero effettivamente in grado di vivere? Che senso avrebbe avuto avere un cuore, se quelli non potessero essere in grado di donare al possedente un battito, due circolazioni sanguigne – una grande e una piccola – e tutti i suoi derivati vitali? Nessun senso, era quella la cruda verità: i vampiri erano creature senza cuore.

La voce del secondogenito della Casata sovrastò il silenzio, mandandolo inesorabilmente in frantumi, e quasi si poté sentire l’eco di mille pezzettini di cristallo incontrare violentemente il pavimento, o qualsiasi cosa si fosse trovato più in basso, in direzione della loro caduta, ostacolandola o interrompendola, facendo in modo che questi si sparpagliassero tutt’intorno, iniziando a rappresentare delle pericolose piccole armi da taglio per chi, impavido, avesse deciso di oltrepassare quel delicato campo minato. << Finalmente siete arrivate >> disse, per poi aggiungere: << Possiamo prendere posto >>, e si sedette a capotavola, di fronte a lui fogli e ordinatori, con Selena alla sua destra e Azusa – perché presente anche lui – alla sua sinistra. Con un gesto della mano, Reiji indicò ad Aya la sedia accostata dall’altro capo della tavola, invitandola a sedersi lì, nonostante le loro voci avessero dovuto arrancare per raggiungersi l’una con l’altra. Yui prese posto accanto al suo collega di lavoro – faceva ancora fatica a credere cosa realmente fosse – e, di fianco a lei, si fiondò Ayato, seguito da Kanato e Laito, quest’ultimo lanciando una maliziosa occhiata silenziosa alla sua preda – ma era davvero giusto chiamarla con quel sostantivo? Era davvero solo una preda, o qualcos’altro, qualcosa di più importante? – perché desiderava che la sedia vuota accanto a lui fosse occupata proprio da lei; Tara sembrava essersi trasformata in una statua, immobile sul posto, e dovette impegnarsi per tornare ad essere fatta di carne ed ossa, umana, e camminare fino al posto assegnatole dal gemello che si era offerto di diventare il suo amico notturno. Non intenzionato ad accomodarsi vicino al fratello minore per evitare d’importunarlo – perché si ostinava tanto ad odiarlo? Dopotutto, lui non era coinvolto in ciò che era stata la difficile infanzia dell’occhialuto, o si sbagliava? – Shuu si lasciò cadere a peso morto sulla sedia più lontana da quella di Reiji, alla sinistra di Aya e di fronte a Tara, e alla sua sinistra si accomodò Harumi, la quale aveva per la testa il solo obiettivo di tenerlo sveglio; con una mano batté sul sedile della seggiola libera accanto a sé, invitando Miki – cosa mai le era successo? Si era accorta che qualcosa in lei non andava, ma, con dispiacere, non aveva ancora avuto modo di indagare – a prender posto. Subaru e Kin, essendo gli unici rimasti in piedi, si diressero verso le uniche due sedie rimaste libere – finendo inevitabilmente vicini, ancora –, quelle posizionate tra Selena e Miki; quest’ultima aveva lo sguardo puntato sulle proprie mani, che si torturavano a vicenda, e non osava cambiare soggetto da studiare attentamente per paura di incontrare lo sguardo di Kanato, malauguratamente seduto proprio di fronte a lei, tra i suoi due gemelli e con il suo orsetto di peluche tra le braccia, il quale stava scrutando l’occhialuta con l’unico occhio nero, perché l’altro era coperto da una benda pirata nera con uno scarabocchio color oro. Aveva paura di parlargli ancora, di confrontarsi nuovamente con lui, poiché desiderava con tutta se stessa di evitare di piangere – già sapeva, sentiva, che se si fossero rivolti la parola un’altra volta, sarebbe crollata in lacrime come la notte precedente, o forse era passato più tempo da quando avevano litigato? Ormai aveva perso la cognizione dei secondi, dei minuti, delle ore, e neanche le importava; cos’era, piuttosto, quel bruciore che albergava nel suo petto, lungo tutta la gabbia toracica e le stava lentamente e crudelmente lacerando entrambi i polmoni, come la più letale delle malattie terminali? Non era in grado di dare un nome a quell’orribile sensazione, ma era convinta che in poco tempo si sarebbe impossessata anche del cuore, quell’affilata morsa d’acciaio, la quale aveva tanto la forma di una trappola per orsi, o tanti coltelli da cucina fluttuanti nel vuoto, attorno agli organi vitali della ragazza, pronti a conficcarsi nella carne e tra le ossa alla prima parola dolorosa pronunciata dal vampiro dai capelli color lillà – e la probabilità che lui dicesse qualcosa di crudele era molto alta, quanto i grattacieli che si trovavano a New York, o forse di più; c’era stata, Miki, a New York, a Manhattan e dintorni, nei confini della Grande Mela, e aveva alloggiato in un lussuoso appartamento situato proprio in una di quelle enormi torri di cemento e vetro, ed era per quel motivo che l’era venuto in mente di paragonare le cattiverie pronunciate da Kanato proprio agli edifici di quella magnifica città famosa in tutto il mondo.

Prima di iniziare qualsiasi discorso con sfumature diplomatiche, Reiji sottolineò per l’ennesima volta la sua devozione alle buone maniere, presentando se stesso e i suoi fratelli ad Aya, seppur quest’ultima conoscesse già alcuni dei visi maschili presenti nella sala, dotata unicamente di quel tavolo rettangolare e alcuni grandi, troppo grandi quadri appartenenti all’arte barocca; non le nascose, il secondogenito, la loro vera natura, ma la nuova arrivata non si mostrò troppo scossa, contrariamente alle aspettative di tutti gli altri presenti – come avrebbe potuto non capirlo prima? Ricordava che quand’era piccola, quando le veniva chiesto quale fosse il suo animale preferito, lei nominava sempre il pipistrello, e raccontava di come credeva che in realtà fossero intelligenti e capaci di trasformarsi con la forza del pensiero e della magia, diventando dei bellissimi umani con i denti canini più lunghi rispetto al livello standard, e affilati, perché li rendeva ancora più affascinanti – cosa ci trovava poi di così attraente nel sangue?

<< Direi che questa riunione possa cominciare >> annunciò Reiji mentre s’infilava un paio di guanti bianchi. << Tra i presenti c’è qualcuno che necessita di fare delle premesse? >>

Mentre i restanti cinque fratelli, non avendo nulla da aggiungere, rimasero in silenzio – escludendo i borbottii di Ayato, il quale avrebbe di gran lunga preferito essere altrove in quel momento, in compagnia della ragazza dai capelli biondi e gli occhi colore del quarzo rosa che gli sedeva accanto; solo Selena alzò appena la mano, attirando l’attenzione su di sé, gli occhi puntati in quelli di Reiji perfettamente attenti. Le diede il permesso di parlare, così lei schiuse le labbra, dicendo: << Questo materiale >>, e indicò i raccoglitori poggiati sul tavolo, << lo hai rubato dal municipio? >>

Lui si sistemò meglio gli occhiali sul ponte del naso. << Rubato mi sembra un’accusa. Io ho semplicemente preso in prestito questi documenti dall’ufficio del, perdona la mia mancanza di tatto, Sakamoto-san, defunto sindaco. >>

Laito accennò una risata provocatoria. << Reiji-kun, hai commesso un crimine o sbaglio? >>

<< Credo che definirlo crimine sia eccessivo >> rispose il diretto interessato. << Sono stato costretto a sottrarre questa documentazione dal luogo di appartenenza senza avvertire nessuno della mia azione per una causa ben più grande. Le autorità umane non sono in grado di venire a capo di questa faccenda, perciò è bene che me ne occupi io personalmente. >>

<< E come mai questo accaduto ti sta così a cuore da spingerti a violare la Legge? >>

<< Non ci arrivi proprio, Milady? Il defunto Sakamoto era un vampiro, ergo aveva dei contatti con il Regno di Karlheinz. Mi sento chiamato in causa, dato che Karlheinz è mio padre. >>

Selena si zittì ed incrociò le braccia, in una muta richiesta di iniziare ufficialmente lo scambio di considerazioni. Ricevette una veloce occhiata da Kin, seduta alla sua destra, la quale aveva compreso: erano fatti l’uno per l’altra, quei due – lui severo e studioso, lei senza peli sulla lingua e precisa – eppure tra loro non sarebbe potuto nascere niente a causa delle loro diverse nature; sarebbe stata una grande storia d’amore, tra loro, se solo la ferocia del Destino non avesse interferito e avesse lasciato spazio alla parte più misericordiosa di quest’ultimo, e probabilmente i due sarebbero stati in grado di avviare una longeva relazione di coppia.

<< Ho analizzato a fondo ciò che è stato scritto su questi fogli, e sono giunto ad una conclusione evidente, oserei dire elementare. Ci sarebbe potuto arrivare chiunque >> disse Reiji, scoccando un’occhiata infuocata al fratello maggiore, il quale, tuttavia, non rispose. << Devo ammettere che le informazioni contenute in questi dossier mi hanno lasciato allibito… >>

Subaru batté un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare i presenti di entrambi i sessi. << Smettila di temporeggiare e vai dritto al punto. Mi stai facendo incazzare. >>

Reiji lo rimproverò per la sua maleducazione, ma subito dopo assecondò la sua richiesta. << Sakamoto Akihito, essendo un vampiro, era inevitabilmente a conoscenza di entrambe le identità di Karlheinz. Ma ciò che non avrei mai immaginato, è il rapporto stabilito dai due già da molti anni, all’incirca venticinque. Da questi documenti emerge la situazione politica di Vamutsuchiin degli ultimi due decenni, e pare che Karlheinz abbia consultato a lungo il signor Sakamoto, date le riconosciute capacità di ragionamento e amministrazione di quest’ultimo, che lo hanno portato a fare un’ottima carriera politica. Conoscendo nostro padre, però, credo che probabilmente lo stesse solo sfruttando per raggiungere altri fini. >>

<< Venticinque anni? >> chiese Azusa, la sua mente immersa nel passato.

<< Sì, precisamente >> rispose Reiji, poi tornò a rivolgersi al resto del gruppo. << Questo numero mi permette di collegarmi con ciò che la scorsa notte mi è stato detto da Azusa. Ho subito pensato che non fosse una coincidenza. >>

<< Che? Perché è così importante il fatto che gli anni siano proprio venticinque? >> domandò Ayato a voce alta.

Il secondogenito fece un cenno ad Azusa, invitandolo a rispondere personalmente a ciò che era stato appena chiesto. Parlò: << Come ho già spiegato a Reiji-san… In questi ultimi due decenni sono stato personalmente incaricato da Karlheinz di prender parte al suo progetto. Questo… riguarda una problematica che sta minacciando il Regno di Vamutsuchiin da altrettanti anni. Si tratta del Mondo Parallelo. >>

Shuu scivolò appena dalla sedia, colto alla sprovvista dal rilassamento dei muscoli, ma Harumi subito lo tirò per il braccio per farlo raddrizzare, la stessa che esclamò: << E cosa sarebbe questo Mondo Parallelo? >>

<< Come chiaramente esprime il nome >>, iniziò Reiji, << si tratta di un territorio contrastante al nostro. Mentre il Regno di Karlheinz è abitato da streghe e vampiri, i quali prevalgono sugli umani, il Mondo Parallelo accoglie altre creature dell’oscuro. >>

<< Per esempio? >> domandò Tara.

<< Licantropi e grifoni, anche se quest’ultimi appartengono esclusivamente alla stirpe reale. >>

Ayato sentì accanto a sé Yui rabbrividire, orribilmente colta dalla consapevolezza dell’esistenza di tali esseri così lontani dalla benevolenza del Dio che tanto amava; con una mano strinse il rosario argentato dai riflessi rosa che portava sotto la maglietta azzurra, sperando che i suoi sentimenti arrivassero alla Divinità, e che questa le rispondesse inviandole del caldo conforto. Ma quando si sarebbe sentita protetta? – era la domanda che le in quel momento le stava attanagliando la mente.

Kin picchiettò la spalla di Selena con un dito indice e, quando la ragazza dai capelli blu si girò per prestarle attenzione, le rivolse uno sguardo preoccupato, confidando di riuscire a farle capire cosa avrebbe voluto dirle. Selena parve riuscire a leggerle gli occhi e comprendere il suo messaggio silenzioso, pertanto si voltò verso Reiji e gli chiese: << E noi cosa c’entriamo con questa faccenda? >>

Lui parve ignorare la domanda, ma la verità era che stava frugando tra le carte ordinatamente sparse sulla superficie in legno del tavolo, alla ricerca della risposta da darle e, quando trovò l’oggetto della ricerca, lo porse alla ragazza e la invitò a leggere il contenuto di ciò che sembrava essere un’epistola; Selena ne lesse il contenuto accompagnata da Kin, la quale si era accostata per poter vedere meglio.

<< Che cos’è? >> chiese Harumi, impossibilitata nella lettura perché seduta troppo distante.

Questa volta, a rispondere fu Laito. << È una lettera che abbiamo ricevuto stamattina presto. >> Con un braccio avvolse le spalle di Tara, facendola inevitabilmente arrossire, e fece avvicinare i loro visi, la guardò negli occhi e aggiunse: << Il nostro paparino vorrebbe conoscervi. >>

<< Karlheinz sa di noi? >> chiese Yui voltandosi nella direzione dei tre gemelli.

<< Quello sa tutto di tutti >> esclamò Ayato, e incrociò le braccia al petto. << È un pettegolo, e anche gli altri nobili lo sono. Non si fanno mai i cazzi loro. >>

<< Modera il linguaggio, Ayato. >>

<< Scusa se non mi esprimo con i tuoi stessi termini altezzosi, Maniaco della Porcellana! >>

Harumi scoppiò a ridere. << Maniaco della Porcellana da dove viene? >>

<< Dalle credenze piene di cianfrusaglie in camera sua. >>

<< Fate silenzio, state rovinando la mia musica. >>

<< Non dovresti neanche ascoltare la musica in momenti come questo, nullafacente. E tu, Ayato, nei momenti morti potresti leggere il Galateo, ti sarebbe molto utile. >>

<< E tu potresti smettere di vestirti come un pinguino. >>

A quell’affermazione, i presenti si misero a ridere, anche se alcuni lo fecero con contegno, nel disperato tentativo di rispettare i gusti stilistici di Reiji, il quale si stava trattenendo dallo sbraitare contro il terzogenito; autocontrollo, gli serviva autocontrollo, ed era sicuro di riuscire a trovarlo, da qualche parte dentro di sé. Reputazione – fu quella a far rilassare i nervi del vampiro, il quale semplicemente di ignorare la provocazione fattagli.

Laito, quasi per casualità, si voltò alla propria destra, in direzione dei propri gemelli, e lo sguardo gli cadde sulla figura del vampiro dai capelli color lillà, il quale se ne stava immobile sulla sedia, gli occhi spenti puntati sul suo peluche lasciato seduto sul tavolo, o forse altrove, in un punto imprecisato nascosto dalla stoffa marroncina della testa dell’orso pirata. Gli chiese, ancora con un sorriso divertito sulle labbra: << Non ti fa ridere, Kanato-kun? >>

L’altro alzò lentamente lo sguardo, incontrando il paio d’iridi blu mare che era quasi paralizzato di fronte a sé, con le medesime sfumature di amarezza a incorniciare le pupille. Schiuse le labbra e con voce atona disse: << Tu mi odi, Miki-chan? >>

Calò nuovamente il silenzio, lo stesso di quello iniziale, o probabilmente uno ancora più pesante e gelido; l’attenzione di tutti si concentrò sulla figura di Kanato, il quale tuttavia non rispose alle occhiate interrogative perché molto più interessato a studiare l’espressione facciale della ragazza occhialuta, rimasta spiazzata dalla domanda fattale. Cosa gli avrebbe risposto? Era vero che era ancora arrabbiata con lui – le parole che le aveva rivolto la sera precedente erano state davvero crudeli, a detta sua; perché quella serata così piacevole e con sfaccettature romantiche si era dovuta concludere in quel modo drammatico? Stava andando tutto bene tra un pasticcino e un passo di danza, e lui si era persino astenuto dal morderla perché troppo entusiasta per ciò che la festa del paese aveva da offrire – sembrava essere tornato ad essere bambino. Ma quella tavolozza di colori mutò in fretta, diventando un’istantanea al negativo. L’odio, però, era un sentimento troppo grande per essere provato da quel corpo mingherlino, e quella convinzione spinse Miki a rispondere: << No, Kanato-kun, non ti odio. >>

<< È la verità, Miki-chan? >>

<< È la verità, Kanato-kun. >>

Credevano che quel litigio avesse appena trovato la sua conclusione, ma così non fu. Il vampiro si alzò di scatto dalla sedia – lasciando Teddy scivolare verso il pavimento – e balzò sul tavolo, superandolo in fretta, fino ad arrivare di fronte a lei e portarle una mano alla gola, stringendo le falangi attorno alla carne della ragazza umana, prima piano, poi sempre con più intensità, fino a bloccarle, seppur parzialmente, le vie respiratorie; il viso della ragazza s’arrossò, privo d’imbarazzo ma pieno di sangue bloccato lì, nelle guance, nella fronte, nel naso, nel mento, nelle orecchie, e anche negli occhi, accompagnati dalla lucentezza del liquido lacrimale, lo stesso che bagnava le ciglia di Kanato e minacciava di scender giù da un momento all’altro. La sedia non resse l’impatto e s’inclinò all’indietro, trascinando i due litiganti con sé in terra, a contatto con le fredde mattonelle color ambra; la castana sentì dolore alla schiena e al capo, mentre il vampiro, a cavalcioni sopra di lei, non percepì alcun male, e gridò, con i polmoni mezzi vuoti: << Non ti credo, Miki-chan! Non ti credo! >>

Ci fu sgomento tra gli altri presenti, vampiri e umane, alcune delle quali si alzarono velocemente facendo stridere le sedie contro il pavimento; Harumi afferrò un braccio del vampiro, tentando furiosamente di allontanarlo dalla povera vittima, ma questi possedeva una forza sovrumana, tanto da rendere vana la prova della giovane dai capelli verdi. Ebbe l’impressione di esser stata spazzata via, seppur non si fosse mossa di un millimetro, Harumi; si sentì schiacciata dalla delusione – come avrebbe potuto vincere contro un vampiro? – e provò la stessa sensazione che anni addietro l’aveva spinta a buttare tutti i suoi vestiti, le sue scarpe, le sue bambole e i suoi lustrini colorati, via anche i peluche e gli origami appesi al soffitto – cigni fluttuanti, tulipani rossi, barchette e aeroplani di varie dimensioni e sfumature, perché sarebbero dovuti rimanere tristemente lì se il manifatturiero s’era trasferito altrove? Elimina ricordo, elimina presenza. Elimina profumo, elimina vuoto. Aggiungi, riempi. Metti la forza, togli il dolore. Più forza, meno dolore. Forza, dolore, dolore. Forza!

<< Ayato-kun, fa’ qualcosa, ti prego! >> urlò Yui scuotendo il terzogenito per le spalle, seppur i suoi grandi occhi di quarzo rosa fossero puntati sull’amica immobilizzata in terra, ansimante.

<< Già, Ayato-kun, fa’ qualcosa >> incalzò Laito. << Dopotutto, la colpa di tutto questo è solo tua. >>

<< Mia?! >> tuonò il rosso. << Cosa c’entro con questa storia? >>

<< Kanato-kun ieri mi ha raccontato quello che è successo >> disse il fratello gemello. << Sei stato tu a dirgli di fare il cattivone con la sua donzella. >>

Ayato parve rifletterci su, sotto lo sguardo indagatore di Yui, al quale si aggiunse quello silenzioso di Kin e quello furente di Selena; si ricordò, improvvisamente, delle parole che aveva rivolto a Kanato qualche notte precedente – quale in precisione? Non se lo ricordava neanche, ma che importanza aveva? – e collegò i fatti tra loro con dello spago immaginario. Si pentì solo in piccola parte del messaggio che aveva trasmesso al fratello ma, dopotutto, perché la colpa doveva ricadere sul grande se stesso? Era tutto vero, ciò che aveva detto, senza ombra di menzogna maliziosa; per conquistare le donne, lui le trattava in maniera superficiale, si atteggiava, le confondeva, si faceva desiderare, spiritualmente e carnalmente – quale donna avrebbe potuto resistere al suo fascino da ingannatore? Nessuna, dati i suoi precedenti amorosi. Per due secoli, la sua tattica s’era rivelata più che soddisfacente, quindi perché avrebbe dovuto fallire se l’avesse adottata Kanato?

<< Le donne sono complicate, Ayato-kun >> cantilenò Laito al suo fianco, con in volto un sorriso veterano.

Ma Ayato non ebbe il tempo di far nulla, nonostante fosse intenzionato ad intervenire per calmare l’ira del gemello – il quale stava continuando ad inveire contro Miki –, poiché Subaru, smosso da un’incontrollata pietà per lei, afferrò Kanato per il polso, stringendolo in una morsa ferrea, e lo costrinse a mollare la presa dal collo latteo della ragazza, per poi farlo allontanare da lì con la forza. Sembrò una scena angosciosa, agli occhi di Aya, i quali non venivano lubrificati dalle palpebre da ormai troppo tempo; stentava, lei, a credere nell’esistenza di una tale forza posseduta da un singolo individuo, ma la sua sete di stranezze prevalse, spingendola ad avvicinarsi alla vittima dell’attacco per controllare se si fosse ferita. Dovette nascondere un sorriso compiaciuto; l’intera circonferenza della gola era macchiata dall’impronta del vampiro dai capelli violetti, e arrossata per la durezza della presa delle falangi.

<< Ti ha fatto male, Asano-san? >> le chiese, perché voleva sentirselo dire, voleva apprendere la conferma già esistente. E, difatti, Miki annuì, gli occhi chiusi dal dolore, o forse se ne stavano serrati perché non volevano incontrare di nuovo la figura di Kanato, che se ne stava in un angolo della sala a piangere e a singhiozzare, Teddy stretto tra le sue braccia perché i suoi gemelli caritatevoli gliel’avevano porto nel tentativo di farlo calmare.

Harumi si fiondò in ginocchio accanto all’infortunata, e le chiese con voce gentile: << Miki-chan, ti va se andiamo in un’altra stanza? Così ti stendi un po’. >>

La castana acconsentì, ma prima di fare qualsiasi movimento si rivolse a Reiji, alla ricerca della sua approvazione.

<< E sia >> rispose il secondogenito. << Continueremo la nostra conversazione altrove. Kanato, con te me la vedrò più tardi. >> Ma Kanato non rispose, il viso affondato nella pancia del suo amico di stoffa era ancora in lacrime.

Le ragazze uscirono dalla sala e presero a camminare nel corridoio, seguite dai vampiri, fatta eccezione dal violetto, che si ritirò nella sua camera da letto, come a rifugiarsi da un mostro più grande di lui. Reiji e Selena rimasero in fondo al gruppo, qualche passo indietro dagli altri e dalle altre, brevemente e quasi intimamente distanziati; la ragazza si voltò appena verso il vampiro e gli domandò: << So a cosa stai pensando. Non potremo seguirvi a corte. Ti sei dimenticato che siamo delle umane? Abbiamo delle famiglie e degli amici che denuncerebbero la nostra scomparsa, e tu vuoi questo? >>

<< Sapevo che l’avresti detto >> rispose Reiji, sfoderando un ghigno compiaciuto. << Se ciò che ti affligge è il fatto di non poter tornare alle vostre rispettive abitazione, allora ho qualcosa che fa al caso vostro. >>

<< Stai dicendo che hai già una soluzione a questo problema? >>

<< Ovviamente, Milady. Non sottovalutare le mie risorse. >>

 

 

 

 

 

 

Lei. 

Lei è tornata.

E con sé, ha portato anche il suo… Angoletto dell'Autrice!!


*piange* NESSUNO PUÒ IMMAGINARE QUANTO CAVOLO MI È MANCATO SCRIVERE UN CAPITOLO DI WRONG CHOICES, NESSUNO!! *vede i Sakamaki* RAGAZZI, MI SIETE MANCATI TANTISSIMO!! *mangia il frutto Gomu-Gomu e stritola tutti in un mega abbraccio*

Shuu: Calmati.

SHUU-SAAAANNN---

Ayato: Abbiamo finito di dormire.

AYATO-KUUUNNN---

Kanato: Io ho già mal di testa, figurati.

KANNY-KUUUNNN---

Laito: Ma ciao, ai-chan ;)

LAITO-KUUUUNNN---

Subaru: Iniziamo a spaccare qualcosa…

SUB-SENPAIIII---

Reiji: Subaru, per favore, abbiamo finito i lavori di ristrutturazione solo l'altro giorno.

REIJI-SAAAAANNN---

*i Sakamaki scappano*  *Channy si calma*  Scommetto che non vi ricordate neanche dell'esistenza di questa storia. Pazienza, me lo merito. Sono stata assente, quanto? Un anno? Ebbene no, solamente 364 giorni, ma ci è mancato poco! Diciamo che sono riuscita a disintossicarmi da una serie che mi ha letteralmente mandato in pappa il cervello durante questi dodici mesi *coff coff* Death Note *coff coff*, ho trovato il mio husbando supremo (toccatelo e morite) e sono finalmente tornata in sintonia con i miei vampiri preferiti.

Care e gentilissime lettrici che seguono questa storia (OMG SIETE TANTISSIME VI AMO), avete avuto paura? Credevate che non avessi aggiornato più? Potete stare tranquille. Sono troppo affezionata a questa storia, non potrei mai abbandonarla. In questi giorni mi dedicherò a modificare i capitoli precedenti, e anche questo, per rendere il testo più bello esteticamente. So che avrei dovuto farlo un anno fa ma io temporeggio lalalalalaaa---  Spero anche di riuscire a scrivere il prossimo capitolo in fretta; in proposito, tenetevi forte, perché tra poco cambieremo location (voto? Diesci. Confermerà o ribalterà il risultato?) :D  Spero che questa storia continui a piacervi; fatemelo sapere con una recensione!


See Soon!!

-Channy

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Capitolo 24
*** Spirits and Advice ***


-Spirits and advice.

 

«Bene, uno specchio.»

Laito afferrò Selena per le spalle, iniziando a scuoterla. «Questo non è uno specchio. Questo è lo specchio.»

«Allora riformulo. Bene, lo specchio.»

Reiji roteò gli occhi e sospirando, stanco, disse: «Non è necessario che tu gli dia corda. Così facendo perderemo ulteriore tempo prezioso.»

«Ben detto, Maniaco della Porcellana!» esclamò Harumi dandogli un’allegra pacca sulla spalla; lei era l’unica tra le ragazze ad aver instaurato un rapporto più confidenziale con tutti i fratelli – fatta eccezione per Subaru, poiché il suo modo d’essere, così scostante e diffidente, s’era trasformato in una barriera difensiva invisibile e, in proposito, com’era riuscita Kin a resistere alla tentazione di scappare via ad ogni scatto violento dell’albino? E ancora, per quale motivo Subaru non si stancava della presenza della rossa? Era ciò dovuto al perenne silenzio a cui era costretta lei, il medesimo mutismo che tanto amava lui? Era quello il solo legame che vi era tra il vampiro e l’umana? Da quando si erano conosciuti, non si erano mai allontanati l’uno dall’altra, neanche per un secondo – fatta la dovuta eccezione per le ore in cui il Sole regnava sovrano –, e ne erano tacitamente consapevoli. A loro andava bene; non si facevano del male, neanche quando lui la mordeva ed era costretto ad osservare l’espressione sofferente della rossa. Kin provava dolore quando Subaru beveva il suo sangue, ma sapeva che l’albino eseguiva quelle operazioni facendo in modo di recarle il minor numero di danni possibili. Subaru non era cattivo e la rossa lo sapeva. Proprio in quel momento il vampiro era accostato ad una parete, lontano dai suoi fratelli e dalle ragazze, ad ascoltare distrattamente il battibecco tra Reiji ed Harumi, commentato di tanto in tanto da un Laito divertito – e Kin? Kin era accanto a lui; appena un metro avrebbe separato i loro corpi, se non fosse stato per il braccio freddo del vampiro a cingerle la vita. Non si muovevano, non si scostavano. La notte precedente, dopo averla abbracciata e averla vista tra il suo corpo e il tronco di uno degli alberi del parco, s’era reso conto di quanto quell’umana necessitasse – e meritasse – protezione; lui non era certamente la persona più adatta a proteggerla dai pericoli incombenti del Mondo Oscuro, ma s’era imposto di farlo. “Non sono riuscito a proteggere lei in passato”, pensò nel momento della sua decisione, “ma devo farcela con Kin.”

Tara sbadigliò, annoiata e assonnata. «Gli specchi servono per specchiarsi, ovviamente» fece, rivolgendosi a Reiji. «Non vedo come questo possa aiutarci a fare qualunque cosa tu abbia in mente.»

Il secondogenito si voltò verso la rosa, facendole cenno di avvicinarsi all’oggetto, il quale si estendeva dal pavimento fino a una notevole altezza, con i lati appena curvi, richiamanti la forma di un sottile ovale; i contorni erano in semplice metallo a cui era stato donato un motivo floreale, seppur le linee che s’intrecciavano tra di loro, sovrastate da uno strato di polvere, donassero alla composizione un aspetto macabro, o forse semplicemente strano, con una nota visiva variante d’individuo a individuo – Aya, ad esempio, non poteva evitare di pensare a quanto fosse affascinante il sottile strato di vecchiaia e trascuratezza che albergava attorno allo specchio. Tara, con uno sguardo particolarmente indagatore ben fisso sul vampiro occhialuto, avanzò di qualche passo nella direzione della sottile superficie riflettente e incrociò le braccia al petto, in attesa di ulteriori ordini – seppur non le piacesse ricevere comandi, da Reiji in particolar modo.

«Pensa intensamente al tuo nome e al tuo cognome. Osserva i tuoi occhi attraverso lo specchio. Non distogliere mai lo sguardo» le disse il corvino. «Non muoverti finché non te lo dirò io e non distrarti per alcuna ragione, altrimenti non succederà nulla.»

Lei, accompagnata dal silenzio degli altri presenti, fece come dettole. Con la schiena ben dritta e il viso inespressivo, squadrò le proprie pupille color pece, impegnandosi a non battere le palpebre in modo da non interrompere il bizzarro processo a cui, insospettita, non sapeva ancora dare un senso. Nella sua mente continuavano a scorrere, incessanti, i caratteri che le donavano l’identità: Shimizu Tara, Tara Shimizu, Tara, Tara, Shimizu Tara, non si fermava mai, Shimizu Tara, Tara Shimizu, sembravano poter continuare per l’eternità. E fu dopo alcuni istanti che accadde: la superficie dello specchio prese a distorcersi in maniera irregolare a causa di piccole onde che iniziarono a solcare l’oggetto delicato, mentre una debole – ma inconfondibilmente magica – luce si sprigionava attorno alla cornice floreale. Il riflesso della ragazza dai setosi capelli rosa mutò, acquisendo colori del tutto innaturali, inquietanti, al punto da sembrare una copia al negativo del soggetto che si stava ancora specchiando, seppur spaventato da ciò che stava succedendo.

«Reiji…»

«Ti ho detto che non devi distrarti. L’operazione è quasi completata.»

Gli occhi del riflesso di Tara brillarono appena di un fioco bagliore rosso e, non molto tempo dopo, l’intera immagine della giovane saltò fuori dallo specchio, ritornando ai suoi originali colori; si guardò attorno, squadrando bene le persone che si trovavano in quella stanza dalle modeste dimensioni. Sorrise. «Certo che il mondo è ben diverso se osservato senza filtri.»

Le ragazze cacciarono un urlo all’unisono, alcune per il terrore causato da quel bizzarro evento e altre per l’entusiasmo dovuto alla novità.

«Tu… Sei me…» disse Tara con voce flebile, sia a causa dello sforzo appena conclusosi sia per la paura di ciò che si ritrovava davanti.

«Non è esattamente così, ma chiudiamo un occhio» rispose la nuova arrivata, per poi porgerle la mano. «È un piacere riuscire finalmente a comunicare con te, Tara. Immagino tu non ci stia capendo niente, perciò mi presento. Io sono la tua anima, colei che possiede la tua vera essenza e conosce la Verità.»

A Tara girava vorticosamente la testa e, nonostante ci stesse provando con tutta se stessa, proprio non riusciva a pensare a niente o a formulare una frase di senso compiuto; indecisa sul da farsi, optò sul restare cordiale e stringere la mano della sua sosia, ma un paio di forti braccia glielo impedirono. Alzò lo sguardo verso colui che l’aveva abbracciata da dietro e fatta allontanare di qualche passo, per poi incontrare repentinamente il paio di occhi colorati di un intenso verde che a lungo, in quei giorni, l’aveva osservata.

«Ti fidi troppo in fretta degli spiriti, Princess-chan» la canzonò Laito. «Se la tocchi, ti trascinerà nello specchio e non ci sarà nessun modo per tirarti fuori.»

«Oh, quindi sei cattiva?» le chiese Harumi mentre dondolava allegramente a destra e a sinistra, aggrappata alle spalle di Shuu come se fosse stata una scimmia sul suo albero.

Lo spirito di Tara ridacchiò. «Non sono né buona né cattiva, bensì neutrale. Essendo a conoscenza della Verità, è ovvio che non mi serva a nulla schierarmi dalla parte di qualcuno. Io osservo, punto, fine della storia.»

La vera Tara si sporse leggermente in avanti, nonostante fosse ancora intrappolata nella gentile morsa di Laito. «Se non hai cattive intenzioni, perché mi trascineresti dall’altra parte se ti toccassi?»

L’altra sorrise, colma di entusiasmo. «Perché lì, nell’Iperuranio, raggiungeremmo il Tutto.» Iniziò ad enfatizzare le proprie parole con l’aiuto delle mani. «Riesci ad immaginarlo? Il corpo e la mente si unirebbero, e insieme rappresenterebbero la forma massima di vita. Niente e nessuno potrebbe mai essere così glorioso all’infuori di te, all’infuori di noi. La Verità diventerebbe tangibile e i dubbi scomparirebbero, lasciando posto ad un’unica immensa certezza: l’esistenza dell’Essere Perfetto.»

Tutti i presenti restarono esterrefatti da quelle parole, che tanto sembravano essere state appena pronunciate da un profeta; unicamente Reiji, colto in fragrante dal suo cinismo, si ritrovò a contestare ciò che era stato detto. «La tua è solo una mera teoria che viene passata di spirito in spirito. Nulla è stato concretamente provato da nessuno di voi, pertanto mi ritrovo costretto a ribattere.» Aggiunse, con un evidente sorriso falso: «Costernato.»

La figura eterea di Tara assunse la medesima espressione del vampiro. «Se sei così scettico, possiamo sempre fare una prova.»

«A pro di che? Non potremmo avere conferma di nulla, dato che entrambe vi ritrovereste nell’Aldilà.»

«Ma se diventassimo la Perfezione, non credi avremmo la possibilità di manifestarci anche nell’Aldiquà?»

Infastidito dallo scambio di battute dei due, Subaru sbuffò e strinse maggiormente Kin a sé, mentre lei iniziò a massaggiargli cautamente il cuoio capelluto nel tentativo di mantenerlo calmo il più possibile; corpo, anima, perfezione, verifica? La rossa non riusciva a credere che la serata avesse assunto quella piega – desiderava solamente che fosse tutto un brutto e lungo sogno. Aya, dal canto suo, si limitava ad osservare con sincera e profonda passione tutti quegli avvenimenti e faceva ben attenzione a non lasciarsi sfuggire nemmeno una parola pronunciata da qualcuno; che la sua monotona vita avesse finalmente imboccato la via che da sempre stava inconsciamente cercando, ovvero quella del paranormale? Pian piano stava realizzando ciò che le stava accadendo e, nella sua aperta mente, una domanda parve spuntare fuori dal nulla: perché le altre ragazze non riuscivano a vedere quanto fosse bello e interessante tutto ciò che quei sei vampiri stavano loro offrendo col passare delle occasioni? Secondo lei, tutte loro avrebbero fatto bene a godere delle sensazioni che albergavano liberamente nei loro corpi quando si trovavano nei dintorni della ricca Villa Sakamaki, prima che scomparissero insieme al futuro o insieme alla Morte; quando Essa sarebbe sopraggiunta, avrebbe portato con sé una ventata di consapevolezza e un eccessivo rimorso, il dispiacere di non aver saputo apprezzare abbastanza la potenza e il fascino dei vampiri, quegli esseri superiori in grado di seminare la realtà dei fatti tra le domande, tra le incertezze, tra le curiosità, tra il mistero. E loro, così fortunate da poter ottenere tutte le risposte, cosa stavano facendo? Stavano buttando via la Fortuna, la stavano seppellendo sotto le richieste di aiuto, i lamenti, i pianti. Dov’era la castana occhialuta? Da qualche parte, nella residenza, a piangere per aver ricevuto troppe attenzioni da uno dei fratelli, sorretta dalla biondina di Chiesa. E quella coi capelli verdi? Si stava intrattenendo tirando giocosamente le guance del primogenito addormentato, mentre il pesce muto stava scompigliando i capelli di Subaru. E la clonata? Lei stava ancora tra le braccia del pervertito – sicuramente beandosi della loro accoglienza – unicamente a causa dello sforzo e dello shock da poco subiti, quando normalmente avrebbe iniziato ad urlare e a rifiutarlo. Avrebbe voluto escludere almeno Selena dal proprio crudele elenco, ma non riuscì a risparmiarla, incolpando l’eccessiva rigidità che si autoimponeva la blu nella sua stessa mente – con lei sarebbe stato possibile uno scambio di opinioni, ma nulla l’avrebbe convinta sulla bellezza della razza dei vampiri. Inammissibile. Irrispettoso. Rivoltante.

«Tutto ciò è molto interessante, ma vi state dimenticando di una cosa importantissima.»

I due litiganti si voltarono in contemporanea verso Laito, invogliandolo a continuare a parlare. L’unico dei trigemini presente all’appello sorrise maliziosamente e disse: «Princess-chan è la mia ragazza, quindi dovrei essere interpellato nella discussione, come minimo. Troppo tardi, ho già preso la mia decisione. Lei non andrà proprio da nessuna parte» e le scoccò un bacio sulla guancia.

La ragazza arrossì violentemente e gli mollò uno schiaffo, seppur stesse scomoda data la sua posizione. «Dovrei scegliere io cosa fare, non tu. Non sono mica un oggetto.»

La sua anima si tinse appena di rosso, per poi mascherare il suo imbarazzo schiarendosi la voce. «Be’, sì, ho le mani legate. Anche volendo, non potrei trascinarti nell’Iperuranio.»

La giovane terrena si girò verso il proprio spirito. «Perché?»

«Il Destino è già stato scritto e non può essere cambiato. Per te, Tara, non ha riservato nessuna essenza perfetta, e personalmente è un duro colpo. Desideravo tanto dimostrare agli altri di essere forte quanto loro, ma non fa niente» disse, indicando lo specchio col capo. «Il tuo Destino, il nostro Destino, è quello di stare al fianco di questo pervertito e noi, ahimè, non ci possiamo fare niente.»

«Hai sentito, Princess-chan? Siamo destinati a stare insieme per sempre!»

La rosa, con in volto un imbarazzo senza precedenti, deglutì a vuoto. «Crudele, questo Destino…»

Il secondogenito della prole Sakamaki si aggiustò gli occhiali sul volto. «Direi di accorciare i tempi.» Si rivolse alle altre ragazze umane e disse: «Chi vuole essere la prossima?»

Harumi, come se avessero urlato il suo nome, abbandonò le scherzose torture che stava sottoponendo a Shuu e prese a saltellare sul posto. «Io! Voglio essere io! Scegli me, scegli me!»

 


***

 


«Non dirla.»

«Cosa?»

«Quella frase.»

«Quale frase?»

«Quella a cui stai pensando. Porta sfiga. Non dirla.»

Harumi spalancò la porta della camera. «Ragazze, non potrebbe andare peggio di così.»

Tara si portò le mani in testa, tra i capelli, e diede vita ad un’espressione disperata. «Non dovevi dirlo!»

Yui si espresse con un leggero verso di stupore. «Intendevi quella frase.»

«Era ovvio che mi stessi riferendo a quella frase.»

«E sentiamo» fece Selena, interrompendo la lettura di un romanzo storico, «perché non potrebbe andare peggio di così?»

«Quella frase è stata detta di nuovo. Moriremo presto.»

La ragazza dai capelli verdi ignorò il pessimismo di Tara, dirigendosi al proprio letto, per poi buttarcisi sopra e rimbalzare grazie alla morbidezza delle molle e del materasso. «Ho fatto un salto in cucina per lo spuntino di mezzanotte.»

«E?»

«E il succo d’arancia è finito!» Affondò il viso tra i cuscini. «Siamo sì o no in una gigantesca villa abitata da super ricconi? Sì? Ecco, sì. C’è tutto tranne il mio adoratissimo succo d’arancia!»

Tara scattò in piedi, furibonda. «Tu hai osato pronunciare quella frase per del semplice succo d’arancia?!»

Harumi le mostrò un broncio infantile. «Ma senza il succo d’arancia vado a dormire triste e faccio brutti sogni.»

«Grazie a quella frase che tu hai detto, quei brutti sogni li vivremo anche noi. Come minimo mi aspetto Subaru che fa una strage nel salone.»

«Oppure Kanato che si mette ad urlare. Quello sì che sarebbe tragico» rispose Selena, abbandonando definitivamente il libro sul comodino che affiancava il letto sul quale giaceva.

Harumi negò con la testa. «Ayato che inizia a fare scherzi a destra e a manca sarebbe molto peggio.»

Miki abbracciò le proprie gambe. «Laito che ci propone di vedere un film. Volete mettere?»

Yui si mise a ridere nell’immaginare la scena, per poi afferrare il bigliettino che le aveva porto Kin; rise un po’ più forte e lesse ciò che vi era scritto: «Reiji che ci sveglia per un’esercitazione antincendio.»

La ragazza dai capelli verdi esplose in un riso sguaiato, coinvolgendo le sue amiche. Tuttavia, ben presto nell’ampia camera da letto tornò a regnare il silenzio, legato al malumore di Aya; ci fecero caso tutte, alla mora che era stesa sul fianco destro, rivolta a una parete e sepolta fino al naso da una coperta col rispettivo lenzuolo. Qualche ora prima aveva provato a tirare fuori dallo specchio magico il proprio spirito, ma di questo non c’era la minima traccia; aveva scavato in se stessa, aveva cercato nei propri occhi, nel suo riflesso, nell’Iperuranio, ma non era riuscita a trovare nulla. Alcuni fratelli la accusarono di non essersi concentrata abbastanza, di essersi distratta, mentre le ragazze la incitavano a non arrendersi, a provare ancora; ma Aya, nonostante avesse desiderato con tutte le proprie forze di incontrare il suo vero Essere, aveva sempre fallito. Da allora si era ammutolita, mentre Reiji ed Azusa si erano limitati ad osservarla in silenzio, entrambi con l’aria di chi la sapeva lunga – ma precisamente, cosa sapevano quei due?

Cautamente Yui si alzò dal proprio giaciglio e andò a sedersi sul letto della finta dormiente, per poi metterle una mano sulla spalla; come sospettava, la corvina era ancora sveglia, esattamente come tutte le altre presenti nella stanza. Si azzardò a dirle: «Potrai sempre riprovarci dopo una bella dormita. È stata una giornata pesante, hai bisogno di riposo. Andrà meglio domani.»

Aya negò col capo. «Non potrò più riprovarci. Ricordi cosa ha detto Sakamaki Reiji-san? Dobbiamo partire all’alba alla volta di Vamutsuchiin.» La bionda provò a parlare ancora per rassicurarla, per accogliere il suo dispiacere, per fare qualunque cosa che avrebbe potuto farla sentire meglio, ma la figlia del defunto sindaco l’ammutolì con un semplice: «Non fa niente. Abbiamo cose ben più importanti a cui pensare. Il mio è solo un capriccio.»

Harumi arricciò le labbra, creando una smorfia dispiaciuta. «E come farai con tua madre?»

«Non mi importa se mi darà per dispersa.»

Selena, sentendosi chiamata implicitamente in causa, si raddrizzò e disse con tono severo: «Non credi che quella povera donna abbia già sofferto abbastanza per la morte del marito? Se te ne andassi anche tu…»

«Ma io non morirò!» sbraitò Aya, con le lacrime agli occhi. «Non morirò e un giorno, quando tutto questo sarà finito, tornerò a casa, come sempre. Mia madre tirerà un sospiro di sollievo e il suo sarà solo un brutto ricordo.» Soffocò qualche singhiozzo, per poi sussurrare: «Un giorno tornerà tutto alla normalità.»

Nessuna di loro aggiunse altro e, una dopo l’altra e in silenzio, andarono a dormire. Nessuna di loro poteva di certo immaginare che il pianto di Aya non fosse dovuto alla separazione forzata con la sua genitrice, bensì al dispiacere che le portava il pensiero che, un giorno, quell’incredibile avventura che aveva iniziato a vivere avrebbe trovato la sua conclusione. Perché lei odiava la normalità.

 


***

 


Con immenso stupore da parte di tutte le giovani, la notte passò indisturbata; contrariamente a tutti i presagi che si erano azzardate a formulare, nulla di troppo grave era accaduto. Avrebbero classificato come scocciatura il russare di Harumi e il suo parlare nel sonno, ma ben presto la stanchezza aveva preso il sopravvento su tutte loro e le aveva condotte in un profondo e meritato riposo. Sarebbe stato superfluo dire che, al loro risveglio, rendendosi conto di trovarsi ancora tutte lì, nella stessa stanza e senza neanche un capello fuori posto, con addirittura dei rivoli di bava secca alla bocca, quasi si commossero per non essere state importunate – o sfruttate – durante tutto il loro dolce dormire. Nonostante la siesta notturna fosse durata meno ore rispetto al loro solito ronfare abitudinario, tutte si sentivano abbastanza riposate per affrontare quello che si prospettava essere un lungo viaggio – nel peggiore dei casi, se proprio non avessero riuscito a tenere gli occhi aperti, nulla avrebbe vietato loro di fare un pisolino, col tacito accordo di sorvegliarsi a vicenda in modo da evitare qualche tiro mancino da parte dei fratelli. Dopotutto, sotto la direzione di un vampiro severo e dedito alla puntualità come Reiji, quanti guai avrebbero potuto combinare gli altri Sakamaki? Shuu sarebbe stato da escludere a priori grazie alla sua natura tranquilla, mentre Subaru se non stimolato non avrebbe creato alcun problema. Particolare attenzione sarebbe dovuta essere prestata ai trigemini i quali, dati i loro caratteri – ancor peggio se messi tutti e tre insieme in un unico piccolo spazio come un qualsiasi veicolo –, si sarebbero potuti presto stancare della durata del viaggio pertanto, se istigandosi l’un con l’altro come era il loro solito modo di fare, avrebbero potuto tranquillamente scatenare un’apocalisse vera e propria.

Con la precisione di un orologio svizzero, qualcuno bussò al portone della magione e nessuno aveva alcun dubbio su chi si trattasse; una moltitudine veloci e leggeri passi si diresse verso i piani superiori, nei quali si trovavano le varie zone notte, per poi entrare in quella allestita per le giovani invitate a Corte.

«Buongiorno a tutte!» esclamò uno spirito dalle fattezze umane e dagli sbarazzini capelli verdi. «Il sole sorge, gli uccellini cantano e nuove occasioni sono dietro l’angolo!»

«Normalmente ti avrei detto che detesto anche la te ultraterrena, Harumi» disse Tara. «Per fortuna che eravamo già sveglie.»

L’anima di Harumi s’imbronciò giocosamente. «Ed io che volevo aprire le tende tutte d’un colpo e buttarvi fuori dalle coperte.»

Selena fece per parlare, ma il proprio spirito la precedette. «Bando alle ciance. Se non vi sbrigate Reiji inizierà a rompere.» Detto ciò, lasciò ai piedi del letto del suo corpo uno zaino di montagna color muschio, imitata dalle altre cinque anime.

«Abbiamo cercato di raggruppare l’essenziale» fece la Yui immateriale. «Ci sono tre cambi di vestiti e qualche oggetto personale.»

«Miki» la richiamò il suo spirito, «ho messo nel tuo zaino anche qualche spuntino. Ti servirà per il viaggio, se capisci cosa intendo.»

La castana annuì, sorridendo. «Penserò io a lui.»

«Ma Miki» la richiamò Tara, «ti sei dimenticata di come ti ha trattata l’altra sera? Per non parlare di ieri, che ti ha quasi uccisa.»

L’occhialuta fece spallucce, con un lieve rossore sulle goti. «No, non me ne sono affatto dimenticata. Però sono sicura che dev’esserci stato un motivo. Kanato-kun non è cattivo.»

Lo specchio della sua anima, colta da un’improvvisa consapevolezza, fu tentata dall’abbracciare la ragazza terrena, tuttavia si trattenne per evitare di essere trascinate nell’Iperuranio; ci aveva provato, una volta, uno spirito a toccare il proprio corpo, e cosa gli era successo? Nessuno lo sapeva. Quel giorno, carne ed essenza furono avvolte da un accecante fascio di luce bianca e di loro non si seppe più nulla; si era vociferato che insieme avessero raggiunto la Perfezione dell’Essere e che Essa fosse stata così immensa da non essere stata potuta contenere in un singolo individuo. Non vi era rimasto alcun resto di quella persona, era semplicemente tornato tutto buio, nonostante la presenza della luce del sole. Non credeva sarebbe stato giusto rivelare qualcosa a dei semplici umani riguardo il loro futuro, ma si sentiva tremendamente in dovere di parlare. Notò l’assenza di Aya – la quale si trovava in bagno per prepararsi per la partenza – e decise di approfittare dell’occasione.

«Miki.» La castana si voltò nuovamente verso la propria anima. Quest’ultima sorrise e le disse, con gli occhi lucidi: «Dipenderà tutto da te, ma non avere paura. Saprai cavartela.»

Lo spirito di Selena si piazzò davanti a quello della minore, puntellando le mani sui fianchi. «Si può sapere cosa stai facendo? Non possiamo rivelare niente, dovresti saperlo.»

«Sì che lo so. Ma guardale, stanno per affrontare qualcosa molto più grande di loro. Hanno bisogno di queste parole.»

«No! Potremmo alterare il loro Futuro.»

«Quale dei due hai paura di alterare? E soprattutto, qual è quello che vuoi che si realizzi?»

Ne seguirono attimi silenziosi, i quali furono interrotti da un sospiro. «Selena» la chiamò la blu, ricevendo l’attenzione del propria versione terrena. «Il fine giustifica i mezzi. Io sono te pertanto so che è una frase che proprio non ti va giù, ma credimi, dovresti chiudere un occhio. Per il tuo bene e per quello di chi ti è caro.»

«Hey, Tara» le disse il suo spirito. «Osserva le cose da un’altra prospettiva. Non tutto è come sembra.»

L’anima bionda strinse il proprio rosario, rivolgendo uno sguardo serio e gelido al proprio corpo. «Non farti imbrogliare, Yui. Non ascoltare niente e nessuno, se non il tuo cuore.»

«È tempo delle confessioni, eh?» fece l’Harumi eterea, portandosi le mani dietro la nuca a mo’ di cuscino. «Allora, me-in-carne-ed-ossa, ti dirò qualcosa anch’io.» Il suo volto si deformò in una smorfia sofferente. «Non lasciarti andare. Tu sei forte, vero? Devi dimostrarlo a te stessa, non agli altri.»

Prima che la ragazza potesse anche solo pensare qualcosa, un’altra voce si fece largo nella camera, catturando l’attenzione di tutte le presenti; era una voce a loro conosciuta, ma allo stesso tempo così rara – ormai impossibile – da ascoltare. «Non tutti i mali vengono per nuocere, Kin.» La rossa si voltò verso la propria anima, la quale stava in piedi a pochi passi da lei. «Anche se ti sentirai morire dentro, anche se penserai che la tua vita abbia perso significato, ricordati che le tue debolezze possono essere trasformate in forza.»

Le anime, una dopo l’altra, uscirono dalla stanza; prima di chiudersi la porta alle spalle, lo spirito di Selena – la più ragionevole di tutte anche in quella forma – si voltò un’ultima volta verso le terrestri per lanciar loro un ultimo avvertimento: «Queste cose che vi abbiamo detto dovranno restare in questa stanza. Né i Sakamaki, né Aya, né nessun altro deve venirle a sapere. Le vostre vite sono state semplici fino ad ora, nonostante ognuna di voi abbia ricevuto i propri dispiaceri nel corso di questi anni. Ma, ragazze, le vite che avete vissuto sono state belle. La Vita in sé è bella.» Scosse la testa, afflitta. «Ci sono cose che nessuno può controllare. Accadono e basta. Il dolore arriva senza preavviso e si deve essere pronti ad affrontarlo. Ad essere sincera, non so se tutto procederà come io e le altre speriamo, ma tutte noi confidiamo nelle vostre capacità. Da questo momento in poi, occhi aperti. Fidatevi solo di voi stesse e dei vostri sensi. Vi auguro l’appoggio della Dea Bendata. Vi servirà.»

Si chiuse la porta alle spalle, rivolgendo loro un tacito addio. Lei e gli altri spiriti avrebbero sostituito le giovani viaggiatrici durante tutta la loro permanenza nel mondo vampiresco, per poi scomparire per sempre dalla Terra una volta che avrebbero rimesso piede nell’universo abitato dall’Uomo. Non sapevano con precisione quanto tempo ci sarebbe voluto; sarebbe dipeso tutto dal susseguirsi degli eventi, i Futuri si sarebbero mescolati tra loro e allora anche coloro in possesso della Verità avrebbero tentennato se avessero dovuto fare una previsione. Il loro intervento aveva già modificato uno dei due avvenire, le carte si erano già mescolate; perciò, quale sarebbe stata la giocata vincente?

Harumi scoppiò in una risata colma di ansia e isteria. «Porca puttana.»

 

 

 

 

Angoletto dell'Autrice!! sperando che qualcuno si ricordi ancora della mia esistenza

Ebbene sì, signore e signori, sono ancora viva. Pensavaaaate che avessi abbandonato il fandom, eh? E invece no! Come ho detto un anno fa (anche se sembra essere successo ieri), non potrei mai abbandonare questo fandom. Diabolik Lovers in sé non è un'opera di chissà quale visibilità, dato il videogioco non è vendutissimo e l'anime fa abbastanza schifo, ma c'è qualcosa che mi lega a quei vampiri che non so spiegare; sarà che li ho conosciuti in un momento molto particolare della mia vita e così sono diventati una famiglia per me, ma davvero, è qualcosa di inspiegabile e bellissimo. Non potrei mai lasciare quest'opera incompiuta. Dovessi metterci un secolo, io la completerò!

Questa lunga pausa mi è servita parecchio per riflettere sugli avvenimenti di questa longfic e, per la gioia di tutti, sono giunta a rielaborare completamente ciò che mi ero prefissata per i capitoli successivi a questo. Nulla di ciò che leggerete rispecchierà ciò che avevo in mente mentre scrivevo il primo capitolo, ed è meglio così (fortuna che sono maturata). Spero sia all'altezza delle vostre aspettative, e che le superi.

Vi ringrazio infinitamente per aver letto e mi scuso per questo lungo periodo di assenza. Me la lasciate una recensioncina piccina picciò? :'3

Ancora grazie a tutti,

-Channy

 

Post Scriptum: per quanto riguarda l'Iperuranio e tutta la faccenda delle anime, della Verità eccetera eccetera, vorrei precisare che si tratta della teoria filosofica di Platone: l'Iperuranio è un luogo ultraterreno in cui risiedono tutte le anime e queste sono a conoscenza delle risposte ai grandi quesiti della vita che noi tutti ci siamo ritrovati a chiedere almeno una volta (per esempio, com'è nato l'Universo?). Tuttavia, quando all'anima viene assegnato un corpo, essa dimentica tutto ed è costretta a riapprendere le conoscenze man mano nel corso della vita, nell'attesa di morire. Mi sono permessa di modificare qualche aspetto di questa filosofia per adattarla meglio alla storia e agli avvenimenti successivi a quelli di questo capitolo (non sia mai che quello spiritello vecchietto di Platone mi denunci per plagio).

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Capitolo 25
*** Silence, Informations and Capital ***


-SILENCE, INFORMATIONS AND CAPITAL.

 

Quello che si ritrovarono davanti era considerabile l’esagerazione di un jet privato; oltre alle generose dimensioni del veicolo – che nessuna di loro avrebbe mai potuto anche solo immaginare –, a stupirle in positivo furono gli accessori di cui disponeva l’aereo di famiglia, il cui unico scopo era quello di favorire una totale dose di comfort ai passeggeri. Vi erano poltrone massaggianti con lo schienale regolabile, poggiapiedi, dei divanetti in pelle, un tavolo da gioco con un certo numero di sedie annesse e persino una zona bar, oltre ad una toilette decisamente più grande del classico servizio igienico ad alta quota; per il deposito dei bagagli, seppur fossero pochi data l’occasione, era stata originariamente predisposta una stanza apposita dalle dimensioni ridotte, ma pur sempre possedente metri quadrati in più rispetto agli standard di un normale aeroplano – e, da ciò che aveva accennato Reiji, da qualche parte si trovava una porta conducente ad un’intera stiva. Il tutto rispettava perfettamente i canoni di una struttura aerodinamica che avrebbe consentito al mezzo di trasporto di volare e, come ciliegina sulla torta, la colorazione della ben poco modesta cabina variava di tonalità, ma tutto ruotava attorno al giallo oro, proprio per risaltare ancora di più il concetto di ricchezza che caratterizzava la stirpe dei Sakamaki da oltre un millennio.

Avendo contemplato a fondo la magnificenza di quel jet privato, le ragazze si aspettavano tacitamente che venissero donate loro delle pantofole per potersi muovere in quello che sembrava un appartamento volante con tanto di moquette pregiata, tuttavia – dettaglio sfuggito a tutte loro, troppo occupate ad ammirare gli allestimenti per abbassare lo sguardo – il pavimento era formato da un semplice sistema di piastrelle lucide, grandi e quadrate, poiché più facili da tenere pulite – incidenti come la caduta di una bibita durante un vuoto d’aria non erano da sottovalutare. Pertanto riposero tutti i bagagli nello spazio apposito e presero posto.

Senza dire una parola, Shuu si andò a sedere su uno dei divanetti, per poi allacciare una delle tre cinture di cui era dotato, quella corrispondente al cuscino sul quale si era accomodato; contrariamente alle aspettative generali, l’idea di sdraiarsi non sfiorò la sua mente nemmeno per un attimo. Lo imitò Kanato, in un inquietante religioso silenzio, il quale però si diresse verso una poltrona in fondo alla cabina, il più lontano possibile dalle altre; era pronto a trascorrere l’intero viaggio nella solitudine più totale, fatta eccezione per il suo fedele compagno d’avventure Teddy, nonostante non avesse per niente voglia di scambiare quattro chiacchiere con lui. Desiderava con tutto se stesso che qualcuno si sedesse accanto a lui, che quella poltrona accanto alla sua venisse occupata da chiunque, e mentalmente si stupì delle sue speranze; nonostante avesse ben due fratelli gemelli ai quali era molto affezionato – anche se non l’avrebbe mai ammesso a voce alta –, era solito passare la maggior parte del proprio tempo nella più totale solitudine, perciò che cosa gli era preso all’improvviso di così grave, tanto da desiderare della compagnia? Provò a ragionare, a capire da dove provenissero quei pensieri, ma non riuscì a trovare nessun senso; la sua vita non era altro che una fotografia in bianco e nero, e sin dalla sua infanzia era fermamente convinto che sarebbe rimasta tale per l’eternità, perciò sarebbe stato meglio tornare coi piedi per terra.

«Posso sedermi?»

Alzò lo sguardo e lo posò sulla snella figura di Miki, la quale si era avvicinata a lui in punta di piedi e aveva parlato con voce timida, indicando con il dito indice la soffice poltrona accanto a quella dove si era seduto lui. Con un violento tonfo, una tavolozza di colori cadde sul suo cuore, colorandolo a casaccio e facendolo diventare un bellissimo affresco. Eccolo, il senso, proprio di fronte a lui.

Nascose il viso dietro alla voluminosa testa dell’orsacchiotto. «Sì, puoi.»

 

 

***

 

 

Non sapeva se quell’assurda calma fosse piacevole o letale; si era impegnata tanto per riuscire a godere di quel silenzio perché pensava avesse potuto aiutarla ad affrontare meglio quel viaggio fuori dal comune, ma una volta ottenuto si era resa conto che non era altro che un’arma a doppio taglio.

Si erano addormentati tutti, uno dopo l’altro, lentamente, mentre lei? Lei si era imposta di impersonare una guardia, voleva mantenere il controllo su tutto, specialmente sui fratelli vampiri; nonostante li conoscesse ormai bene, nonostante sapesse che non avrebbero mosso un dito in quelle condizioni, non riusciva a fidarsi di loro. Nella sua mente continuavano a ripetersi scenari che variavano dal più normale a quelli maggiormente drammatici, ed in ognuno di questi continuava imperterrito a scorrere del sangue. Sospirò, consapevole di doversi tranquillizzare; se c’era una cosa che i Sakamaki odiavano era interagire l’un con l’altro, pertanto se fossero rimasti tutti ai rispettivi posti senza fare niente, non sarebbe accaduto nulla – e, soprattutto, nessuno si sarebbe dovuto sorbire le lamentele del secondogenito. Avrebbe definito i vampiri come degli animali senza pudore, ma certamente non erano stupidi.

Si portò una mano agli occhi con l’obiettivo di stropicciarli un po’, sperando che quel misero tentativo l’aiutasse a scacciare l’incredibile voglia che aveva di chiuderli, ma si fermò giusto in tempo, ricordandosi che qualche ora prima li aveva decorati con un filo di trucco per rendersi minimamente presentabile – nonostante poco distanti dalla traccia del mascara ci fossero delle occhiaie ben visibili anche da un miope privo dei suoi amati occhiali. Si guardò attorno, per assicurarsi che tutto fosse come sarebbe dovuto essere. Si sentiva Ayato russare e biascicare qualche parola nel sonno – qualcosa su un bacchetto servito con ritardo, o forse sul cibo presentato freddo –, con al suo fianco una Yui che aveva fatto un’enorme fatica ad affidarsi a Morfeo per il baccano che stava facendo la testa di rapa che beveva il suo sangue; ben più tranquilli erano Kanato e Miki, i quali sonnecchiavano pacatamente tenendosi per mano – ci avevano impiegato pochissimo a riappacificarsi, con stupore da parte di tutti. Kin se ne stava rannicchiata su una poltrona con le sue cuffie preferite a farle compagnia – come riusciva a dormire con della musica rock sparata nelle orecchie a tutto volume? – mentre Subaru, prima di lasciarsi andare, si era assicurato che Laito si fosse addormentato, poiché non voleva che gli giocasse brutti scherzi; quest’ultimo, poco più in là, dormiva con un sorriso soddisfatto in volto mentre con un braccio cingeva le spalle della sua fidanzata – da quanto tempo stavano insieme, quei due? – e lei ronfava con la testa appoggiata sulla spalla del vampiro. Anche Azusa si era lasciato andare, senza nessuno a fargli compagnia, poiché l’unica persona rimasta, Aya, si era piazzata all’angolo bar e non si era più mossa di lì. Si voltò verso Shuu, che era steso sul divanetto sul quale si era accomodato in precedenza, le gambe di Harumi a fargli da cuscino per il capo. Le venne da ridere ricordando ciò che era successo l’ora precedente: non riusciva a scorgere i suoi lunghi capelli verdi da nessuna parte pertanto, dopo alcuni attimi spesi a pensare a dove avrebbe potuto essersi cacciata, si era resa conto con orrore che la ragazza si era intrufolata nella cabina di pilotaggio; si era precipitata lì e l’aveva trovata, difatti, seduta in terra mentre chiacchierava allegramente col comandante e il suo assistente – anch’essi vampiri, come il resto del personale –, disturbandoli chiaramente nello svolgere i loro compiti. Senza badare troppo alle buone maniere, l’aveva fatta volare via.

In quel momento dal suddetto abitacolo dei guidatori fece capolino Reiji, e quella visione le fece tirare un sospiro di sollievo – credeva che volesse prendere lui il comando del jet e sicuramente, dato tutto il nervosismo che si portava dentro, li avrebbe condotti verso una morte tragica. Scosse la testa con violenza; la troppa stanchezza la stava portando a pensare a cose assurde. Il vampiro si sedette al tavolo dove anche lei era accomodata, occupando la sedia di fronte alla sua e, senza perdersi in inutili chiacchiere, prese a leggere il romanzo biografico che aveva portato con sé, iniziando dalla pagina indicata da un sobrio segnalibro; ma lei aveva un disperato bisogno di parlare con lui, poiché considerava quella scelta l’unica opzione valida per tenerla sveglia.

«Dimmi un po’, Reiji-san» iniziò, tentando di contenere uno sbadiglio, «dov’è che stiamo andando, esattamente?»

Lui le lanciò un’occhiata da sopra la copertina del libro. «Nel Regno dei Vampiri, Vamutsuchiin.»

«E fin qua era ovvio. Intendevo, dove si trova con precisione? Sono sicura di conoscere bene la geografia globale e non mi è mai parso di scorgere Vamutsuchiin nelle mappe.»

Sospirando poiché avrebbe dovuto rimandare la lettura del romanzo, il vampiro appoggiò delicatamente il volume sul tavolo e frugò per qualche attimo in una tasca interna della sua giacca, per poi estrarne un foglio ripiegato più volte su se stesso; con una lentezza disarmante distese tutte le pieghe della carta, la quale riportava la cartina aerea di una fetta di Terra, che partiva dai confini orientali dell’Oceano Indiano fino ad arrivare a metà dell’Oceano Pacifico. «Attualmente stiamo percorrendo questa traiettoria» disse, tracciando con il dito indice una linea leggermente obliqua che partiva dal Giappone e si dirigeva verso l’Australia. «Milady, hai mai sentito parlare dell’isola fantasma

Selena, dopo un attimo di smarrimento, schiuse le labbra. «A largo della Nuova Caledonia, segnata dai satelliti tuttavia mai trovata dagli uomini di mare.»

«Eccellente» le rispose Reiji. «Ebbene, ci siamo dirigendo lì.»

«Voi vampiri abitate nell’isola che non c’è? Siete i vicini di casa di Peter Pan?»

Lui si espresse tramite un risolino ironico. «Molto divertente. No, non proveniamo da lì.» Ripose la cartina geografica al suo posto, poi continuò a parlare: «Ciò che si vede tramite le immagini satellitari è stato erroneamente denominato isola, quando in realtà è un portale.»

«Un portale?» chiese Selena, dubbiosa di ciò che aveva appena udito. «Un passaggio che conduce al vostro mondo?»

Reiji annuì. «Precisamente.»

«Ad essere sincera, avrei immaginato una sorta di entrata per Vamutsuchiin nei pressi del Triangolo delle Bermuda.»

«Avremmo voluto stabilirci lì, infatti, ma siamo stati costretti a rinunciare. È una zona troppo trafficata, mentre al largo dell’Oceania si sta più tranquilli. La ragione per la quale nessuno riesce a mettere piede in quella zona è cristallina: è un luogo che deve restare segreto. Per gli umani è un posto eccessivamente pericoloso, pertanto le guardie del portale hanno innalzato delle barriere invisibili che proteggono il passaggio. Se un comune mortale dovesse scoprire il nostro mondo, ci ritroveremmo davanti a un’invasione.»

La ragazza si portò una mano al mento, assumendo la sua espressione pensatrice. «Ma se è presente questo muro, le navi non dovrebbero andare a sbatterci contro?»

«Stiamo parlando di magia, Milady» fece il vampiro, togliendosi le lenti e iniziando a pulirle con un apposito panno. «È simile a quello che qualche sciocco complottista ha definito Effetto Pac-man. Se un’imbarcazione tocca la barriera, verrà immediatamente trasportata dall’altra parte senza che nessuno possa rendersene conto. Tutto ciò è reso possibile grazie alle maghe e agli stregoni che abitano abusivamente la nostra regione.» Si assicurò che gli occhiali fossero puliti osservandoli controluce, per poi inforcarli e riporre il quadrato di stoffa nella propria custodia.

«Immagino che il nostro aereo oltrepasserà questa barriera senza problemi anche se ha delle umane a bordo. E immagino anche che tutto questo trambusto sia invisibile ai radar.»

«Immagini bene» le rispose Reiji. «I guardiani sono stati avvertiti del nostro arrivo, pertanto penseranno loro a farci passare. In quel punto assisteremo a un evento singolare, il quale non è altro che un segnale che ci avvisa di essere giunti a destinazione.»

«E di che tipo di evento si tratta?» chiese Selena con evidente curiosità.

Il vampiro temporeggiò, poi accennò un ghigno sinistramente divertito. «Perché rovinare la sorpresa?»

La ragazza incrociò le braccia e roteò gli occhi al cielo, contrariata; non le piacevano affatto le sorprese, preferiva di gran lunga sapere tutto con largo anticipo per potersi preparare meglio per l’occasione. Più volte nel corso della sua vita era stata la protagonista di eventi inaspettati, come le feste per il suo compleanno organizzate da sua sorella minore Isako, accompagnate dall’enorme spreco di quattrini per la torta, gli striscioni, i coristi e quant’altro, e puntualmente Selena si portava le mani in testa per poi svenire, colta dalla consapevolezza che tutti i risparmi per i quali aveva lottato duramente erano stati bruciati per frivolezze. Il ricordo di Isako la fece scattare sull’attenti; come avrebbe fatto a tenerla sottocontrollo da un’altra dimensione?

«Senti, Reiji-san.» Una volta ottenuta la sua attenzione, disse: «Sei sicuro che nessuno noterà la differenza tra noi e le nostre anime?»

«Ti sono mai sembrato insicuro in seguito ad una mia decisione?» chiese retoricamente il vampiro. «Nessuno potrebbe mai essere certo di trovarsi di fronte ad un’anima piuttosto che ad un corpo. Oltre ad essere due gocce d’acqua e a poter interagire col mondo esterno, mimetizzandosi perfettamente con le altre persone, hanno entrambi lo stesso odore. Per quanto mi riguarda, tu potresti essere lo spirito e la vera Wada potrebbe essersene tornata a casa sua.»

«Sta’ tranquillo, sono io quella in carne ed ossa.»

«Ma anche le anime sono tangibili, grazie a un sortilegio.»

«Quello che mi preoccupa» confessò la ragazza, «è mia sorella. La mia anima saprà badare a lei, non ci sono dubbi, ma io come faccio a sapere se sta bene o se le è successo qualcosa?»

«Ma che sbadato, mi sono dimenticato di rivelarti qualche piccolo dettaglio.»

La blu si irrigidì; era stata improvvisamente colta da un cattivo presentimento. «Sarebbe?»

«Corpo e anima sono naturalmente collegati da un filo invisibile, ma i due possono interagire tra loro solo se hanno avuto almeno un contatto diretto durante la loro esistenza. Dato che sia tu che le altre umane avete portato a termine con successo il rituale dello specchio magico, potrete comunicare liberamente con i vostri spiriti da dormienti, ma unicamente se anche l’anima necessita di dirvi qualcosa.»

«Non mi fido di te, Reiji-san» gli rivelò schiettamente Selena. «Dov’è la fregatura?»

Dal canto suo, il vampiro scoppiò in un riso inquietante. «Se un’anima riporta dei danni, come una scottatura o un graffio, essi non si manifesteranno sul corpo. Al contrario, se è il corpo a ferirsi, allora anche lo spirito ne pagherà le conseguenze. Potrebbe persino morire. Immagina Isako-san vedere sua sorella che si accascia all’improvviso e inizia a tossire sangue, ad avere convulsioni, a perdere l’uso degli arti o a prendere fuoco; capirebbe all’istante di trovarsi di fronte a un evento paranormale e ne rimarrebbe traumatizzata a vita, lo sognerebbe di notte e impazzirebbe. Ti ricordi cosa sta succedendo a Vamutsuchiin?» Non le diede tempo per rispondere. «Il re è ai ferri corti con il Mondo Parallelo, pertanto è certo che in poco tempo inizierà una guerra. E sarà una guerra molto dura per i vampiri, pertanto per voi povere umane sarà mortale, come minimo. Sarebbe stato più saggio far venire con noi le vostre anime. Sì, noi ci saremmo arrabbiati perché non avremmo potuto bere il loro sangue, sarebbero morte e i vostri corpi sarebbero stati maledetti per l’eternità, ma almeno avreste potuto passare il resto delle vostre brevi vite con i vostri cari.»

Selena stava seriamente per mettersi a piangere; non era solita esprimersi con le lacrime, ma in quel momento era stanca e infuriata con il vampiro che la fronteggiava. Non riusciva a non chiedersi il motivo per il quale non fosse stata avvertita prima per il rischio che stavano correndo, e l’ennesima domanda fuoriuscì dalla sua bocca accompagnata da un tono grave: «Perché sei così cattivo?»

Reiji scosse il capo, per nulla toccato dalla disperazione che aleggiava attorno alla ragazza dai capelli blu. «Non sono stato io a volervi a Corte, ma mio padre. Se vuoi prendertela qualcuno, rivolgiti a lui. Io ho semplicemente fatto da intermediario.» Aggiunse, sottovoce: «È facile prendersela con chi capita, solo perché non si vuole avere niente a che fare con lui.»

Selena rimase confusa da quel suo atteggiamento improvviso; le sue sembravano quasi scuse, ma quel pensiero non rimase a lungo nella sua mente, dato che essa era già occupata da cose ben più importanti. Pochi attimi dopo si ritrovò con delle carte da gioco tra le mani, tentando di imparare le regole del Poker.

 

 

***

 

 

Vi fu un ulteriore silenzio per le successive tre ore, le quali trascorsero con un’eccessiva lentezza; tutto sembrava essersi immobilizzato, congelato, nonostante il veicolo volante si stesse muovendo molto velocemente. Se qualcuno si fosse sporto da un finestrino avrebbe scorto unicamente qualche nuvola bianca e una distesa infinita di blu, una vista che avrebbe incantato con facilità strabiliante i sognatori. Ma la meta era vicina.

Sfiorarono una barriera invisibile, nella quale si creò un varco grande quanto l’aereo, che permise il passaggio indisturbato all’interno del portale; il mezzo continuò a fluttuare indisturbato ma in un altro cielo, caratterizzato da un celeste più scuro, maggiormente calcato, come se il sole non lo illuminasse abbastanza. Ben più bizzarre erano le nubi, poiché non erano né lattee né grigie o color tempesta, bensì sfumavano tra il giallo limone e il verde selva, a seconda della loro altitudine. Era evidente che si trattasse di un’altra dimensione; le caratteristiche di quel luogo erano singolari, come la terra zeppa di insenature e colline, foreste e ampi campi coltivati, alcuni anche aridi, e poi città, villaggi, tutti costruiti con un ordine casuale studiato a fondo. Non c’era geometria, solo un alternarsi di paesaggi che rispettava un certo canone; il tutto sembrava creare un gigantesco disegno, o forse una scritta in lingua antica. Era tutto indubbiamente magico.

«Accidenti, ho dormito in una posizione davvero scomoda, ho la schiena a pezzi. Hey, ragazzi, svegliatevi! Siamo arrivati.»

La voce che aveva parlato non aveva nulla di normale; era acuta, alterata, sembrava derivata da più suoni messi insieme, come un glitch, e aveva una punta di tagliente sarcasmo iniettato nelle corde vocali. Fece abbastanza baccano da destare i dormienti, riuscendo in quello che era il suo intento. Miki strizzò gli occhi dato il repentino risveglio, per poi inumidirsi le labbra e schiudere le palpebre, ancora con tutti i muscoli intorpiditi, ma la vista di quello che si ritrovò davanti bastò per farla scattare sull’attenti, come se non avesse mai dormito. Terrorizzata, cacciò un urlo e balzò in piedi, tremante come una debole foglia autunnale smossa da un deciso vento freddo. La confusione attirò l’attenzione degli altri passeggeri; le ragazze umane strabuzzarono gli occhi e presero a imperlarsi di sudore freddo, mentre i vampiri restarono perfettamente impassibili, distogliendo subito gli sguardi da quello scenario. Entusiasta, Kanato strinse a sé il proprio orsacchiotto.

Selena si accostò leggermente a Reiji e gli chiese: «Di’ un po’, era questo il segnale di cui parlavi?»

Reiji si aggiustò le lenti sul ponte del naso. «Perspicace.»

Aveva preso vita senza preavviso, senza un processo vero e proprio; respirava, parlava, si muoveva, si comportava come se fosse stato qualcosa di estremamente ordinario. «Allenta un po’ la presa, Kanato, che mi fai male.»

Il violetto, pacato, eseguì gli ordini. «Scusami, Teddy.»

Il peluche si mise in piedi e con un salto abbandonò le gambe del padrone, atterrando sul pavimento; fece velocemente stretching per poi voltarsi verso la ragazza dai capelli castani e gli occhiali. Le disse: «Non c’è bisogno di avere paura, Miki-chan, sono solo io, Teddy.»

Lei boccheggiò. «Sei… vivo

«Mi sembra ovvio» rispose il pupazzo. «Ti sembra che Kanato sia così scemo da parlare da solo?»

«No, certamente no» si affrettò a dire la ragazza. «Solo che non ho mai visto un peluche prendere vita.»

«Sono un peluche solo nel Mondo degli Umani poiché esso non concepisce più di un certo livello di magia, mia cara. Lascia che mi presenti ufficialmente.» Si portò una mano al petto, imitando quasi una delle pose di Ayato, e con tono solenne esclamò: «Io sono Teddy, uno dei più grandi guardiani di Vamutsuchiin nonché fedele servitore della famiglia Sakamaki. Un tempo avevo un aspetto simile a quello di uno stregone, ma in seguito mi sono reincarnato nel corpo di questo orsacchiotto. Ho comunque mantenuto le mie capacità magiche, seppur non siano potenti come un tempo.» Balzò tra le braccia di Miki e strusciò la testa contro l’incavo del suo collo. «Sono così felice di poterti parlare, Miki-chan!»

La castana non ebbe modo di fare nulla poiché il terzogenito della famiglia vampiresca – il quale solo in quel momento era riuscito a svegliarsi del tutto – fu veloce ad avvicinarsi ai due e ad afferrare il pupazzo per la sua casacca, sollevandolo con noncuranza. «To’, guarda un po’ chi si rivede» disse con un sorriso divertito stampato in volto.

Il peluche diventò rosso di rabbia. «Figlio di una buona donna, mettimi immediatamente giù! Sei sempre il solito scansafatiche maleducato!»

Ayato lo ignorò bellamente. «Oi, Kanato, quand’è che dici al tuo amichetto di stoffa di essere più rispettoso nei confronti di Ore-sama?!»

Il suo gemello scattò in piedi. «Teddy rispettoso nei tuoi confronti? Pensi pure di meritartelo?! TI SEI COMPORTATO DA STRONZO CON LUI COSÌ TANTE VOLTE!»

«Kanato, modera i termini.»

«NON TI CONVIENE INTROMETTERTI, REIJI-SAN!»

«Coraggio, ragazzi» intervenne Laito, «non credo sia il caso di rovinare questo bel viaggetto per delle sciocchezze.» Con in volto un’espressione disarmante e pacifica, si avvicinò ad Ayato e afferrò delicatamente l’orsacchiotto, per poi strapparlo via dalla presa del fratello gemello; se lo portò di fronte al viso in modo da poterlo guardare negli occhi e lo fece salire un po’ più in alto, come se al suo posto ci fosse stato un bebè e stesse giocando a farlo volare. «È un vero piacere poterti rivedere al pieno delle tue capacità, Teddy.»

L’orsetto girò il capo per poter guardare altrove. «È un piacere anche per me, Laito, ma mettimi giù. Primo perché è imbarazzante, secondo perché non voglio neanche immaginare dove hai messo quelle mani l’ultima volta.»

Per nulla toccato, il quintogenito lo lasciò andare e Teddy se ne tornò da Kanato. Nel frattempo Yui, Kin e Tara si erano rivolte verso Harumi, la quale era rimasta in silenzio ad osservare il siparietto; la bionda, cautamente, le poggiò una mano sulla spalla e le chiese: «Harumi-san, tutto bene?»

La suddetta voltò lentamente il capo, squadrando le sue amiche con un sorriso fin troppo largo in volto. «Che. Figata. Assurda.»

«Oh mio Dio, l’abbiamo persa.»

 

 

***

 

 

Seguirono le procedure d’atterraggio, recuperarono i bagagli e s’infilarono in una limousine dotata di vetri oscurati, la quale sfrecciò per le strade della capitale ad un’alta velocità; il viaggio fu breve, liscio e nessuno si degnò di aprir bocca. Il passaggio fu così repentino da essere in contrasto con la lunga permanenza in aereo, ma non venne ritenuto di eccessiva importanza poiché ognuno di loro aveva altro per la testa. In un batter d’occhio si ritrovarono in periferia, davanti ad una palazzina di quattro piani dall’aria abbastanza umile, con le finestre che si alternavano a dei piccoli balconi e un portone dall’aria consumata; fatta eccezione per Aya – la quale sarebbe stata gentilmente ospitata nell’abitazione di Azusa –, le ragazze vennero fatte scendere dal veicolo con una certa fretta e venne consegnata loro una cartella per documenti contenente qualcosa dall’aria importante, insieme ad un mazzo di chiavi.

«Le nostre strade per il momento si dividono qui» disse Reiji. «Ma ci rincontreremo domani sera.»

«Ti capisco, Chichinashi, sentirai la mia mancanza. Ma sono solo… Quante ore sono?»

«Trentuno ore» rispose Subaru, per poi aggiungere sottovoce: «Deficiente.»

«Ne Teddy, è vero che sarà un’attesa estenuante senza Miki-chan?»

«Sì, è proprio vero.»

«Princess-chan, mi mancherai tantissimo!»

Shuu sospirò, con in volto un’espressione annoiata. «Che scocciatura.»

Harumi si mise a ridere. «Cercate di fare i bravi, mi raccomando.»

Dopodiché, l’automobile di lusso ripartì, lasciando le giovani sul marciapiede e Kin che li salutava scuotendo una mano; Selena lanciò sia a lei sia all’amica dai capelli verdi delle stilettate di rimprovero, ma entrambe fecero spallucce. «Non ci hanno nemmeno morso.»

La blu scosse la testa con rassegnazione e poco dopo aprì la cartelletta, scoprendo che al suo interno vi erano più fogli ricoperti di scritte; lesse mentalmente il primo, imitata da Miki – che cautamente l’aveva affiancata – e insieme si resero conto che quelle non erano altro che istruzioni, le quali suggerivano loro di entrare nel modesto condominio, ignorare la portineria vuota e salire le scale fino al secondo piano, dato che la chiave più grande che possedevano era in grado di aprire la porta di uno dei tre appartamenti di quel pianerottolo, più precisamente il quarto, segnalato da una piccola targa in bronzo. Eseguirono gli ordini e, una volta raggiunto il posto, pochi minuti più tardi, si ritrovarono in un alloggio dalle sembianze povere: l’ingresso dava subito su un open-space occupato da un cucinotto dotato degli accessori essenziali e un tavolo per sei persone sulla sinistra, mentre a destra c’era una piccola area soggiorno, dietro di essa un piccolo bagno dotato di sanitari, un lavabo con sotto un mobiletto, uno specchio scheggiato agli angoli e un box doccia minuscolo; in fondo all’appartamento vi erano due camere la letto, una matrimoniale con un grosso armadio angolare e l’altra contenente un letto a castello e uno singolo, con due grandi cassettiere per contenere il vestiario. Le pareti erano spoglie, fatta eccezione per quella del salotto, la quale ospitava un grande quadro raffigurante una persona sofferente su un letto d’ospedale con alcuni medici e familiari accanto; sembrava essere stato dipinto in epoca rinascimentale, o perlomeno lo stile era molto somigliante.

«Ehm, casa dolce casa?»

«Ma per favore» fece Tara chiudendo la porta d’ingresso, «siamo state invitate qui per conto del re e ci fanno alloggiare in una topaia?»

Yui si sforzò di sorridere. «Non è tanto male.»

«È pura incoerenza.»

Harumi si diresse verso il frigorifero. «Ti aspettavi di stare nel mega castello?» Aprì l’elettrodomestico. «Cibo!» esclamò felice come una pasqua, per poi afferrare un barattolo di marmellata di albicocche.

«Come minimo, direi.»

«Harumi-san, controlla la data di scadenza.»

«Sì, mamma.»

«Speriamo che non sia avvelenato.»

«Non preoccuparti, è ancora sigillato.»

Kin estrasse dalla tasca dei suoi lunghi jeans un taccuino tascabile, scrivendoci velocemente sopra qualcosa e porgendolo a Miki, che era rimasta in disparte; quest’ultima lesse il messaggio e disse: «Kin ha ragione, ragazze. Ci troviamo in una dimensione abitata da vampiri.» Rabbrividì visibilmente. «L’alloggio è l’ultimo dei nostri problemi.»

Tara incrociò le braccia, pentita. «Già, sono stata superficiale e materialista. Vi chiedo scusa» mormorò.

La ragazza dai capelli verdi masticò un pezzo della sua merenda – che nel frattempo aveva preparato – e chiese alla miope: «Sei il succo di frutta del Sakamaki più violento e schizzato e ancora hai paura di un paio di canini?»

Miki divenne rossa come un pomodoro e balbettò: «Kanato-kun non è violento e schizzato. Cioè, sì, a volte lo è, però è anche un ragazzo dolcissimo che va capito… Ma non è questo il punto! Insomma, siamo pur sempre in mezzo a migliaia di vampiri che potrebbero azzannarci da un momento all’altro. Sei così tanto abituata a stare con Shuu-san che non percepisci più il pericolo?»

Harumi rise lievemente. «Il bell’addormentato mi morde più spesso di quanto possiate pensare e fa anche abbastanza male. Ma se c’è una cosa di cui sono sicura è che quei sei non ci lasceranno in balia di un’orda di succhiasangue. Sono troppo possessivi.»

Yui assentì col capo. «Sono d’accordo.»

Selena le guardò con somma tristezza, mentre le parole di Reiji le facevano capolino nella mente; avrebbe tanto voluto mettere al corrente le sue amiche del rischio che stavano correndo, tuttavia si impose di aspettare fino a un momento più tranquillo – erano tutte abbastanza agitate e, certamente, conoscere i rischi di quel viaggio avrebbe peggiorato enormemente il loro umore. Decise quindi di fare finta di nulla e continuare a leggere le istruzioni che i Sakamaki avevano lasciato loro; buttò poi un’occhiata al tavolo rettangolare lì vicino. «Ha ragione Harumi-san» constatò. «Quelli là hanno pensato a tutto. Bastardi.» Prese uno dei sei girocolli neri, con al centro un pendente in oro a forma di rosa completamente sbocciata con ai suoi due lati un paio di ali di pipistrello aperte. «Ci hanno scambiati per cani?»

Tara si precipitò a raccoglierne uno. Cinguettò: «Com’è carino! Starebbe una meraviglia alla mia piccola Kimi!» Rendendosi conto di essere malamente osservata, si raddrizzò e con aria indignata disse: «Volevo dire, è vergognoso! Si aspettano anche che abbaiamo? Che razza di sbruffoni!»

La ragazza dai capelli blu scosse la testa con rassegnazione. «Farò finta di non aver sentito nulla. Sbrighiamoci, ragazze, che abbiamo un itinerario da rispettare.»

«E dove dobbiamo andare?» chiese Miki.

Selena lesse l’indirizzo ad alta voce, per poi invitare le altre a sistemare i propri bagagli.

«Secondo voi perché non hanno fatto venire Aya con noi?» domandò Yui, mentre si accostava alle camere da letto.

Kin aprì una porta e si ritrovò davanti un letto matrimoniale; nello stesso istante, Tara aprì la porta della camera affianco e vi trovò altri tre giacigli. «Forse perché non ci sono abbastanza letti» disse. «Qualcuno deve dormire sul divano.»

Harumi alzò la mano. «Mi offro volontaria» esclamò e si diresse verso il salotto.

«Faremo a turno» precisò Selena, ricevendo assensi.

Si sbrigarono a disfare le valigie – anche e soprattutto perché non avevano portato molta roba – e notarono che i mobili contenevano decine di capi femminili, depositati lì in precedenza unicamente affinché loro potessero farne uso. Non persero tempo a decidere chi avrebbe indossato cosa, trovandosi d’accordo sul fatto che ne avrebbero discusso una volta portate a termine le commissioni, e uscirono di casa, ma non prima di aver indossato i girocolli con il marchio reale.

Una volta fuori dalla palazzina seguirono le indicazioni annotate sui fogli, scoprendo essere dotate anche di una mappa. Dato che l’orologio segnava essere pomeriggio inoltrato non incontrarono molti vampiri, ma tutti quelli che incrociarono presero ad osservarle dalla testa ai piedi con aria famelica, forse anche con una nota di curiosità; il loro odore – l’odore del loro sangue e del loro essere umane – attirava con naturalezza l’attenzione dei passanti, e tutti coloro che tentavano di avvicinarsi con primordiali intenzioni si bloccavano alla vista dello stemma della famiglia Sakamaki. Sentirono una bambina lamentarsi con la propria madre; diceva che invidiava parecchio una di loro poiché sul braccio possedeva i segni dei canini di Subaru-sama, mentre un’altra scuoteva la testa e affermava che era molto più fortunata la biondina perché sul collo s’intravedeva il risultato del morso di Ayato-sama. Facendo finta di non sentire ulteriori commenti vampireschi, le giovani umane si scambiarono sguardi silenziosi, rendendosi conto che l’importanza dei fratelli vampiri era talmente grande da indurre l’intera popolazione a imparare a riconoscere le rispettive zannate. Ma ben presto, una volta raggiunto il centro, si abituarono ad essere osservate con così tanta insistenza e iniziarono a prestare più attenzione a ciò che vi era tutt’intorno.

La capitale di Vamutsuchiin era bellissima; sembrava essere la riproduzione di Los Angeles, con tutti quei grattacieli, pub e negozi, con tutte quelle strade pullulate di vita, quel via vai sempre intenso e decorato da insegne pubblicitarie di tutti i colori, neon, musica e tecnologia. I marciapiedi erano puliti, le corsie asfaltate a dovere e vi erano delle file di carrubi verdeggianti, tanto da parere una città umana; si aspettavano scenari inquietanti o dai risvolti gotici, ma non c’era traccia di similitudini con la magione che avevano frequentato fino alla notte precedente. Un altro particolare che differiva dalle loro aspettative era la temperatura; nonostante fosse ormai iniziato luglio, nell’universo vampiresco non vi era alcuna traccia di troppo calore – il clima era mite, soleggiato ma con delicatezza, i raggi non picchiavano eccessivamente sulle teste degli abitanti anche se, in caso contrario, essi non se ne sarebbero accorti dato la diversa percezione delle condizioni termiche.

Si ritrovarono davanti a quello che sembrava essere un ristorante di lusso; una vampira che sembrava non superare la soglia del trenta – età umana – le fronteggiò e, trattenendo una smorfia di disgusto, disse loro: «Le ospiti dei signori Sakamaki, immagino. Prego, da questa parte» e le invitò ad entrare.

Tara sorrise e commentò sottovoce: «L’accoglienza non sarà delle migliori, ma almeno i sei cretini si sono fatti perdonare per quell’appartamento.»

La cameriera le condusse fino a una tavola apparecchiata per sei persone e consegnò ad ognuna di loro un menù; prima di andarsene squadrò Harumi, per poi chiederle: «Perdoni la curiosità, signorina. Quei segni che ha alla base del collo sono stati lasciati da Sakamaki Shuu-sama

La verde annuì. «Esattamente.»

«Capisco.» Si allontanò di qualche passo e scoppiò a piangere.

 

 

***

 

 

Il negozio di abbigliamento che avevano raggiunto – sempre seguendo le indicazioni – sarebbe stato meglio chiamarlo boutique d’alta moda. Oltre a presentare un’entrata quasi sontuosa e curata nei minimi dettagli da chissà quali scultori e artigiani – i quali sicuramente avevano lavorato a quelle che erano le decorazioni incise sulle due alte colonne che fiancheggiavano l’ingresso –, l’ampia vetrina conteneva tre manichini sorreggenti vestiti per persone appartenenti all’elite, con tanto di accessori e scarpe. Le umane non erano sicure che fosse quello il luogo indicato poiché troppo costoso – avevano dato un’occhiata veloce alla tabella dei prezzi e avevano constatato che tutti i numeri possedevano tre cifre –, ma Selena informò loro che non c’erano errori sulla mappa, che le indicazioni, l’indirizzo e il numero civico corrispondevano proprio al negozio che avevano raggiunto. C’era qualcosa che impediva loro di entrare; nessun blocco materiale, piuttosto la consapevolezza di essere in procinto di far spendere parecchio denaro a qualcun altro, di non essersi mai neanche avvicinate a punti vendita di così alta classe, data la loro natura modesta, seppur non povera.

Accantonarono da una parte i sensi di colpa, convincendosi che probabilmente pagare un’alta somma non sarebbe stato un grosso problema per i Sakamaki dati tutti i loro possedimenti, ed entrarono. Misero piede in un’enorme hall, venendo immediatamente investite dall’accecante luce di più faretti messi insieme; vi erano qualche divanetto in pelle, un lungo tappeto color pece e una vistosa mensola che ospitava diversi bicchieri di vetro per cocktail. Un uomo dai tratti occidentali andò loro incontro seguito da qualche assistente in divisa, e mostrò un sorriso cordiale. «Buon pomeriggio, signorine. Vi stavamo aspettando.»

Selena fece un passo in avanti, emergendo dal gruppetto. «Buon pomeriggio. Eravate stati avvertiti del nostro arrivo?»

«Certamente, mademoiselle. Il re in persona questa mattina presto mi ha informato dell’arrivo di sei giovani umane e mi ha incaricato di trattarle con assoluto rispetto.»

«Mi scusi, ehm, messere» fece Harumi, «come mai il re ci ha mandate qui?»

Un assistente marciò verso di loro, sorreggendo un vassoio colmo di calici riempiti di vino bianco, che offrì alle ospiti. «Permettete di intromettermi nella discussione» fece. «A Corte è stata organizzata una serata di gala per domani sera. Il re ha inviato la partecipazione a tutti i più grandi imprenditori e uomini d’affari con le rispettive famiglie.»

«E noi cosa c’entriamo? Non siamo ricche.»

«Ma siete le spose dei suoi figli, non è forse vero?»

Miki si portò le mani sulle guance, violentemente arrossate. «Spose?»

Il proprietario della boutique allargò il sorriso, tuttavia rimanendo amichevole. «Esattamente. I principi sono vicini all’età del matrimonio, pertanto è naturale che il re voglia conoscere le fidanzate.» Batté elegantemente le mani per due volte. «Direi di non indugiare oltre. Le signorine hanno preferenze per l’abito dei loro sogni? Il re mi ha chiaramente detto che potete scegliere tutto quello che volete.»

Colta da un’improvvisa e familiare fitta al ventre, Yui trattenne un gemito di dolore e, piano, domandò: «A me ne piacerebbe uno rosso scuro.»

 

 

***

 

 

Tutte le gioiellerie in cui erano state nel corso della loro vita si erano presentate incredibilmente piccole, con una vetrina attaccata all’altra, le corsie troppo strette anche solo per due persone. Ma quella in cui erano entrate era ampia, spaziosa, c’era abbastanza spazio per mettersi a ballare; tuttavia, anche lì le cifre raggiungevano le stelle, le stesse che parevano brillare nelle numerose gemme preziose esposte nelle sottili teche. Così tante erano le meraviglie che il punto vendita offriva, che le ragazze non sapevano cosa scegliere e, inoltre, si chiesero se fosse necessario presentarsi al re con così tanto valore a decorare i loro corpi, ignorando così le loro origini e i loro modi di essere.

«La signorina Shimizu Tara-san?»

Tutte loro si voltarono per poter vedere chi era stato a parlare; ebbene, la voce apparteneva ad un signore anziano di origini orientali, indossante un abito formale ma non eccessivamente elegante, il quale faceva a pugni con le numerose rughe che gli contornavano il volto e i capelli ormai grigi in disordine. Lo riconobbero come proprietario del negozio – o comunque come qualcuno che si trovava abbastanza in alto – poiché, subito dopo il loro arrivo, lo avevano intravisto trafficare dietro al bancone che ospitava la cassa, per poi dirigersi sul retro in tutta fretta.

La rosa gli si avvicinò. «Sì?»

«È un vero piacere conoscerla» le disse l’uomo, per poi mostrarle una scatoletta in velluto verde scuro. «Questo è per lei.»

Titubante, la ragazza prese il piccolo oggetto, rigirandoselo tra le mani per qualche attimo. Si decise ad aprirlo, e le venne spontaneo spalancare occhi e bocca; all’interno del contenitore pregiato vi era un anello in oro bianco con sopra un vistoso diamante di forma ovale. Balbettò e tremò, poiché non aveva mai visto un gioiello di quel valore. «Chi me lo manda?» Si rese conto di aver fatto una domanda stupida, eppure dentro di sé sperava che fosse stato il re stesso a donarglielo e che ce ne fosse una copia anche per le sue amiche, ma quanto tempo era destinata a stare in piedi quella speranza?

«È stato Laito-sama in persona a commissionarlo. Ha fatto fare anche un’incisione.»

Il castello di carte di Tara crollò tutto d’un colpo appena i suoi occhi si posarono sulle due lettere scalfite su un lato interno del prezioso, corrispondenti alle iniziali dei loro nomi. Si sentì anche in imbarazzo, poiché non sapeva come comportarsi di fronte a quel gesto; le sembrava di avere Laito proprio lì, accanto a lei, ad osservarla in attesa di una risposta e aveva quasi paura di deluderlo.

«Mi sa che quel pervertito cerca il fidanzamento ufficiale» fece Selena, avvicinandosi e mettendole una mano su una spalla. «Io non sono nessuno per importi una decisione, ma rifletti bene. È un vampiro. Quante volte ti ha fatto del male? Inoltre è un donnaiolo. Gli remano contro parecchie cose.»

Il gioielliere giunse le mani dietro alla schiena. «Confermo. Per quanto io provi rispetto per la famiglia reale, non posso di certo negare le abitudini sentimentali di Laito-sama. È famoso per le sue avventure e ha molte ragazze ai suoi piedi che aspettano di essere prese in considerazione, ma ha anche molte altre qualità. E signorina, mi permetta.» Si accostò alla rosa per poi dirle a bassa voce, come se le stesse rivelando un segreto: «La famiglia Sakamaki frequenta questa gioielleria da secoli, ma questa è la prima volta che Laito-sama mi chiede di regalare un anello a una fanciulla. Deve essere veramente speciale per lui se è arrivato a questo punto.» Sospirò. «Credo che le giovani di tutto il Regno debbano rassegnarsi. Hanno perso uno dei prìncipi.»

Kin si avvicinò di soppiatto a Tara – la quale, nel frattempo, era arrossita – e le diede delle piccole gomitate scherzose; armata della stessa malizia, anche Harumi si fece avanti e incrociò le braccia, col sorriso di chi la sapeva lunga. Yui e Miki restarono in disparte; certamente erano felici per lei, ma una piccola parte di loro era invidiosa delle attenzioni che la ragazza riceveva dal vampiro – avrebbero tanto desiderato che Ayato e Kanato si fossero comportati allo stesso modo.

La giovane dai capelli rosa sorrise appena, ricordandosi le parole della sua anima: “Il tuo Destino, il nostro Destino, è quello di stare al fianco di questo pervertito”. Ma la verità era che non riusciva a rimanere del tutto indifferente a Laito, anche se i suoi modi di fare le davano molto fastidio; nonostante tutto, non riusciva a non ripensare a quel “Princess-chan, adesso ci sono io”, a quel “Tu sei la mia droga”, persino a quel “Ti amo” che le aveva sussurrato quando erano ancora agli inizi del loro rapporto – ma che razza di rapporto era, poi? E ancora, come poteva ignorare quel tuffo al cuore che provava ogni volta che lo guardava negli occhi? Come poteva rimanere indifferente ai baci che le dava, i quali le trasformavano le gambe in due molli budini? Le faceva male quando la mordeva ma in quel momento, mentre ripensava a tutto quello che c’era dietro il suo desiderio di bere del sangue, si era convinta che ne valesse la pena. Perché, finalmente, si sentiva amata e stava imparando a ricambiare. E tutti i conti tornavano.

Fu allora che prese un grosso respiro e disse, con tono solenne: «Accetto.»

 

 

***

 

 

Uscirono dal negozio di calzature con l’ennesima – e ultima – busta contenente i loro acquisti, una a testa, e vennero colpite dai raggi del sole al tramonto. Selena si lasciò scappare uno sbadiglio, ma prontamente lo coprì con una mano e subito dopo disse: «Finalmente abbiamo finito. Possiamo tornare all’appartamento.»

Harumi guardò le altre ragazze con un sorriso in volto e loro parvero capirla al volo; la giovane dai capelli blu, in pochi attimi, si ritrovò priva delle sue borse, poiché Yui, Tara e Kin gliele avevano strappate via dalla mano che le stava sorreggendo.

«Hey, barattolino di miele. Tocca a te.»

Sentendosi chiamata, Miki si voltò verso la ragazza dai capelli verdi e, senza che Selena avesse potuto rendersene conto, si impossessò della cartelletta contenente mappa e istruzioni; già che c’era, le sfilò dalla tasca della felpa le chiavi della casa. «Prego, Harumi-san.»

La maggiore annuì e obbligò l’umana dalla chioma blu a mettersi sul suo dorso, per poi allacciare le mani sotto il suo fondoschiena per permetterle di sedersi; lei sbottò: «Si può sapere cosa state facendo? Siamo in pubblico, diamine! Non è il momento di scherzare.»

«Nessuno sta scherzando, Selly» le rispose la sportiva. «Rilassati e lascia che ti porti io fino a casa, che è un bel po’ di strada da fare a piedi.»

«Posso camminare da sola.»

Yui negò col capo. «Durante il viaggio hai rinunciato a dormire per vegliare su di noi.»

Si aggiunse Miki: «Adesso dobbiamo essere noi a badare a te.»

Kin le sorrise e le mostrò il pollice, ma Selena diede un debole pugno sulla testa di Harumi. «Mettimi giù, che peserò un accidente.»

«Ma per chi mi hai presa?» rispose lei. «Guarda che io sono fortissima. Sarà un giochetto trasportarti fino a casa.»

La blu sospirò, sconfitta, e permise loro di incamminarsi verso il loro alloggio; si addormentò poco dopo, cullata dal dondolio lieve della camminata e incurante delle occhiate dei passanti.

Nessuna di loro, però, si accorse che un individuo ben nascosto tra la folla le stava pedinando.

 

 

 

 

Angoletto dell'Autrice!!

*si asciuga il sudore dalla fronte* Se ho contato bene, dovrebbero essere 7105 parole; niente male, eh?

Reiji: Io avrei potuto fare di meglio.

Nessuno ne dubita, peccato che l'autrice qui sono io, quindi me la vedo io u.u

Reiji: Come vuoi *sorseggia del tè fumante*

Finalmente abbiamo cambiato scenario eeee grossi guai sono in arrivo! Ma avete visto quanti soldi hanno i Sakamaki? Chissà se al mio compleanno mi regalano qualcosa... *assume la posa di Reiji* Cosa ne pensate di Teddy? Insomma, vi sareste mai aspettati che prendesse vita? Don't worry, so che Kanato (nell'episodio 6 della prima stagione, mi sembra) dice che a Teddy manca l'anima, però hey, il bello delle fanfiction è proprio questo - tutto può succedere! Se vi va, lasciate una recensione e ditemi la vostra! Mi fa davvero piacere interagire con i miei lettori e, in generale, con gli altri utenti di EFP ^^

Grazie mille per aver letto,

-Channy


Post Scriptum: AAAA Laito e Tara sono fidanzati ufficialmenteeee (speriamo che quel pervertito non faccia nulla di sbagliato)

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Capitolo 26
*** Pain and Something Red ***


-PAIN AND SOMETHING RED.

 

 

Un urlo squarciò l’aria presente nella stanza, l’ennesimo di una lunga serie di sofferenze. Del sangue scarlatto le scivolò lungo tutta la guancia, sgorgante da un taglio poco più in basso della tempia destra.

«Ancora non ti decidi a parlare?»

Si costrinse ad ignorare il bruciore provocato dalla ferita e mostrò all’uomo un sorriso di sfida. «Ancora non hai capito che è tutto inutile?»

Il rumore acuto di uno schiaffo si levò. «Sta’ zitta, puttana. Puoi aprire quella boccaccia solo per sputare il rospo.»

Accusò silenziosamente il colpo e si portò una mano allo stomaco, dove pochi minuti prima aveva ricevuto un pugno. Violenza fisica, violenza psicologica – stava subendo quelle angherie da quanto tempo? Non lo sapeva, aveva perso il conto delle ore che stava passando rinchiusa tra quelle mura di cemento; dopo sedici giorni di prigionia, durante i quali aveva potuto osservare il sole sorgere e tramontare regolarmente, dalla cella di resistente acciaio che la ospitava era stata condotta in quella stanza troppo ampia e troppo vuota, nella quale era iniziata la sua sofferenza corporea. I calci e le lame non erano stati abbastanza minacciosi per indurla a urlare ai suoi aguzzini tutto ciò che sapeva, pertanto era stata sottoposta ad un altro metodo di estorsione, decisamente più potente. Non le faceva paura la Morte, piuttosto le conseguenze che ci sarebbero state se si fosse lasciata sfuggire anche una singola sillaba ma, d’altro canto, l’ultima cosa che desiderava era sottoporre a quell’immenso dolore qualcuno che non aveva colpe.

Il paio di occhi color ghiaccio dell’animo innocente si posarono su di lei. Un sussurro le giunse alle orecchie: «Ti prego, non lasciarti vincere.»

Respinse le lacrime e annuì appena; non avrebbe ceduto, non avrebbe mollato, non avrebbe permesso loro di trionfare.

Lui alzò nuovamente il braccio, tuttavia il colpo non arrivò poiché interrotto dall’apertura di una porta; si girarono verso l’ingresso e videro una figura snella entrare nella sala. Quest’ultima accennò un sorriso di circostanza. «Novità?»

Il criminale sputò a terra. «Zero. La principessina non vuole saperne di confessare.»

Il giovane arrivato arricciò le labbra, dispiaciuto. «Io ho trovato qualcosa.» Gli porse un’istantanea stampata recentemente e disse: «Potrebbero essere loro.»

L’altro non perse tempo e mostrò la fotografia alla fanciulla. Lei sgranò gli occhi, incredula di ciò che stava osservando – non credeva che fossero arrivate così in fretta; sei ragazze di età compresa tra i diciotto e i ventitré anni camminavano per le vie del centro di Vamutsuchiin, tutte loro con delle buste tra le mani tranne due, poiché la prima stava sorreggendo la seconda, addormentata sulla sua schiena. Seppur in fermo-immagine, i loro caratteri, i loro modi di essere, le loro voci riuscivano a trasparire, a mostrarsi ai presenti in quella stanza colma di sofferenza.

«La tua espressione dice tutto. Hai fatto tombola, ragazzo.»

«No, aspettate!» urlò, tentando di coprire il tremolio del suo corpo. «Io queste qui non le conosco, è la prima volta che le vedo.»

«Smettila di dire stronzate!»

Percepì una nuova manata, la quale fece un po’ più male rispetto alle precedenti, forse per la consapevolezza di essere in trappola. Il torturatore abbandonò la stanza e prese a dirigersi verso l’ufficio del Capo, lasciando la prigioniera in compagnia del pedinatore. Quest’ultimo si guardò attorno per accettarsi di non essere udito da nessun altro, poi sussurrò: «Presto finirà.»

La ragazza negò con la testa, sconsolata. «È appena iniziata.»

 

 

***

 

 

«Propongo una foto di gruppo.»

«Perché?»

«Ma come perché? Dai un’occhiata allo specchio. Siamo bellissime! Non ci ricapiterà mai più di indossare vestiti così costosi.»

«Devo ricordarti che i nostri cellulari sono rimasti a casa nostra con le nostre anime?»

«Diamine, è vero. E non c’è una macchina fotografica, una polaroid o qualcosa del genere in questa ricchissima reggia?»

«Temo di no.»

«Andiamo, sposina, non mettere il muso. Quando arriveremo al castello ci faremo fare dei ritratti.»

«È vero che sono ospitali e tutto, ma non credo che arrivino a farci un dipinto a testa.»

«Allora ce ne faremo fare solo uno e poi decideremo chi se lo terrà giocando alla morra cinese.»

«Non cambia niente.»

«Smettila di rovinare sempre tutto, Selly.»

«Comunicazione di servizio super urgente! Cercare una macchina fotografica! Ripeto, cercare una macchina fotografica!» Il suono del citofono la fece sobbalzare. «CHI CAVOLO È?!»

Selena si avvicinò all’apparecchio di chiamata e rispose, poi attese qualche secondo e riagganciò la linea. «È la carrozza.»

«Abbiamo una carrozza?»

«Abbiamo una carrozza! Abbiamo avuto le parrucchiere e le estetiste, perciò perché non avere anche una carrozza?!»

Harumi si mise a ridere. «Hai il ciclo, Tara?»

La ragazza dai capelli rosa sospirò. «In realtà è in ritardo.» Dopo pochi attimi scattò nuovamente sull’attenti. «E se quell’idiota mi avesse stuprata nel sonno e adesso fossi incinta?»

«Ma non dire sciocchezze, sarà solo un normale ritardo.»

«Non scherzate con le mestruazioni, per favore» disse Yui con un fil di voce, per poi finire di bere un bicchiere di acqua e antidolorifico.

«Scusatemi ragazze, sono nervosa.»

Kin e Miki si avvicinarono all’amica; mentre la prima le mise una mano sulla spalla, la castana le sussurrò: «Andrà tutto bene, okay? Adesso andiamo a Corte, conosciamo il re e qualche altro pezzo grosso, passiamo un po’ di tempo con i ragazzi e poi ce ne torniamo a casa. Non impressionarti.»

Tara sorrise appena. «Hai ragione, Miki-chan. Non mi sto per niente comportando in modo maturo. Adesso mi calmo.» Le bastarono pochi respiri profondi per tornare ad essere ragionevole. Si alzò dal divano e si armò del paio di tacchi bianchi, l’unico colore che era riuscita ad abbinare all’elegante e sobrio abito da sera verde scuro – seppur la lunghezza della gonna coprisse le calzature –, per poi avvicinarsi all’uscio principale dell’appartamento ed uscire, seguita dalle altre. Nonostante si trovassero al secondo piano e che pertanto le rampe di scale da scendere fossero solamente quattro, in coro maledissero la palazzina per non essere fornita di un ascensore poiché non volevano assolutamente affaticarsi ancor prima di giungere al castello dei Sakamaki; certamente il pomeriggio precedente avevano avuto modo di scegliere delle scarpe sicuramente comode dato il loro costo, ma per alcune di loro – in realtà solo Harumi, ma qualcun’altra aveva mentito per non farla sentire sola – camminare su quelli che tanto sembravano trampoli da circo risultava un’impresa quasi impossibile. L’unica tra loro che sembrava essere più agevolata era Miki, allegramente zampettante sulle sue semplici parigine color confetto; la castana, data la sua abitudine ad indossare calzature che le permettessero di raggiungere un metro e sessantotto – specialmente quando prendeva parte alle eleganti cene organizzate dai colleghi di suo padre –, per quella serata importante aveva scelto un tacco basso e decisamente non adatto per quel genere di evento, però nel suo cuore palpitante aveva quasi paura di risultare più alta del suo accompagnatore – sempre se avesse potuto definirlo in quella maniera.

Uscirono dal piccolo condominio sotto gli occhi del portinaio – pareva lavorasse solo durante la notte – e rabbrividirono per la bassa temperatura che, in un singolo istante, era riuscita a penetrare nelle loro ossa, passando per le braccia, le mani e le scollature più e meno generose; nessuna di loro era particolarmente propensa a mostrare in pubblico le proprie curve, ma quasi tutte avevano deciso di chiudere entrambi gli occhi, poiché quello di non poter mai più partecipare ad un evento di quella portata era un dato di fatto, e allora perché ignorare il desiderio di sentirsi più belle che mai? Che importava se si trovavano nella terra dei predatori di esseri umani? Ai loro colli spiccavano i sottili collari che i sei fratelli si erano appositamente procurati per marcare il territorio – nessuno oltre loro si sarebbe dovuto azzardare ad incidere quelle pelli con dei canini; le ragazze detestavano la possessività dei giovani Sakamaki, ma quella volta sarebbe stata proprio quella gelosia a permettere loro di sopravvivere in quello che ai loro occhi era un campo minato. Solamente Selena si pentì dell’acquisto della propria veste, in quanto non avrebbe mai potuto immaginare che, nonostante fosse estate, nel Regno di Vamutsuchiin le stagioni fossero quasi del tutto inesistenti data la scarsa sensibilità dei vampiri in campo di temperature; infatti il tubino della blu le lasciava scoperte le gambe tremanti, già adocchiate da un passante avente l’aria di un semplice cittadino con delle buste di plastica contenenti presumibilmente dei pezzi di ricambio per qualche apparecchio elettronico. Ignorò il paio di occhi famelici e si concentrò sulla vettura parcheggiata sul ciglio della strada, rimanendo sbalordita esattamente come le sue amiche: sei cavalli bianchi e un cocchiere vestito di tutto punto trainavano una carrozza alta e ampia, colma di decorazioni dorate a mo’ di ghirigori circolari e raffinati; le ruote – le posteriori di grandezza raddoppiata rispetto alle anteriori – erano in ottone e l’unica portiera dell’abitacolo era aperta, pronta ad accogliere le ospiti del re. Nonostante fossero in perfetto orario – faticavano quasi a crederci –, si sbrigarono a prender posto nel mezzo di trasporto reale e, con l’esortazione del vetturino, i cavalli partirono a ritmo di un galoppo gentile.

 

 

***

 

 

Diede una leggera stretta alla stoffa, in modo che il nodo diventasse più resistente. Un risolino appena soffiato lo fece voltare di scatto. «Cos’è che ti fa ridere?» chiese alterato e chiudendo la mano sinistra in un pugno, preparandosi a scagliarlo contro il viso del fratello maggiore.

Shuu gli mostrò un accenno di divertimento nell’espressione del viso, tuttavia l’aria di apatia che lo circondava era palpabile. «Allora te la sai allacciare» disse, e indicò la sua cravatta.

Ayato serrò la mascella e fece per fronteggiare il biondo, ma l’azione gli fu impedita dal secondogenito, il quale si schiarì severamente la voce. Disse: «Mancano pochi minuti all’inizio della serata. Vi pregherei, impiastri, di evitare di creare situazioni sgradevoli almeno per questo arco di tempo. Chiedo tanto?»

Stavolta sorrise, il terzogenito. «Come siamo nervosetti.»

Reiji afferrò un frustino – da dove l’aveva preso? – e lo puntò minacciosamente verso il minore. «Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo.»

«Calmati, Maniaco della porcellana. E quell’aggeggio da dove spunta? Non dirmi che lo usi con le pollastre.»

«Così si spiegherebbe perché non ne hai nemmeno una.»

Teddy prese a ridere fragorosamente. «Shuu joins the battle!»

Subaru, dal canto suo, pensò bene di abbandonare la stanza nella quale si trovava insieme agli altri suoi fratelli e di dirigersi altrove, in un posto più tranquillo dove avrebbe potuto armarsi di chili e chili immaginari di forza interiore, l’unica alleata che aveva a disposizione per riuscire ad arrivare sano e salvo alla conclusione di quel gala; poiché non era ancora del tutto lontano, riuscì ad udire Reiji sputare delle parole provocanti, forse perché in preda ad uno dei suoi rari momenti di perdita di controllo: «Almeno evito di perdere del tempo prezioso con delle racchie.»

Ayato accolse la provocazione con entusiasmo e l’idea di tacere si dileguò definitivamente dalla sua testa. Poco più in là, Kanato sputò un Che schifo, tuttavia ben presto la sua attenzione venne catturata dal fratello gemello che solitamente risultava più vivace; perfettamente vestito e pettinato per l’imminente serata, se ne stava seduto su un’elegante poltrona, con entrambi i gomiti a contatto con i braccioli e il capo buttato all’indietro, gli occhi persi nel vuoto ma i pensieri vaganti per mille galassie. Gli si accostò e gli chiese: «Non ti interessa commentare gli insulsi tentativi di Reiji-san per farsi bello ai nostri occhi?»

Laito sorrise, nonostante non fosse realmente divertito. «Per stavolta lascio questo compito ad Ayato-kun.»

Il violetto s’imbronciò, infastidito. «Che ti prende?»

«Sei preoccupato per me, fratellino? Che tenero che sei!»

«Ti consiglio di sbrigarti a parlare. Sto iniziando ad alterarmi.»

Improvvisamente colto da un impeto di paura, Laito si raddrizzò sul posto a sedere e incatenò gli occhi al pavimento, perché incredulo di essere in procinto di esporre l’unico pensiero che gli stava martellando la mente da molteplici ore: «Credi che Tara abbia accettato l’anello?»

Senza batter ciglio, Kanato gli rispose: «Sì. Alle donne piacciono i gioielli.»

«Quello che voglio dire» fece l’altro, «è che temo non voglia fidanzarsi con me.»

«Sakamaki Laito che ha paura di essere rifiutato da una donna» commentò l’isterico. «Questa sì che è bella.»

«Andiamo, Kanato-kun, non mi sei d’aiuto così» si lamentò suo fratello.

«Senti» disse il violetto mentre afferrava, in mezzo a tanti altri, un papillon dal tavolo, quello che meglio si abbinava al suo smoking, «se c’è una cosa che odio, è l’amore. E una cosa che odio ancora più dell’amore è dare consigli d’amore.» Sul suo volto si dipinse una silenziosa furia. «Per quanto mi riguarda, se quella lì dovesse rifiutarsi di essere la tua bambola per l’eternità tu puoi anche prendertela con la forza. Però ricordati che è pur sempre un’umana.» Si allacciò l’accessorio attorno al collo. «Alle ragazze umane piace quando un uomo dichiara loro il suo amore e le fa regali costosi. Avrà accettato. Ma poi, come fa a piacerti quella là? È acida, snob e pettegola.»

Laito rise appena. «Vedi, Kanato-kun, per me Tara è tutt’altro che acida, snob e pettegola. Lei è una principessa. Sai quello che ha passato?» disse con aria sognante. «Quell’Andrew è stato un coglione a trattarla in quel modo. Tara è bellissima e intelligente, è sveglia, furba e…» sospirò, «e sono patetico, ne?»

«Puoi dirlo forte. Non sembri neanche tu. Potrei vomitare.»

«Invece a te come va? Con Megane-chan intendo.»

Kanato puntò lo sguardo altrove. «Il suo sangue è buono. E penso che sia davvero carina.»

Passarono attimi silenziosi tra i due, secondi interrotti solamente dal chiacchiericcio degli altri fratelli, ancora intenti a lanciarsi frecciatine a vicenda. Laito scosse appena la testa, sentendosi al limite del ridicolo. «Ci stiamo tutti infatuando di quelle umane. Persino Reiji-kun. Ti rendi conto della gravità della cosa, Kanato-kun?»

Kanato annuì. «Che situazione pessima.»

 

 

***

 

 

La loro carrozza, esattamente come tutte le altre, si fermò davanti al cancello principale del castello, fece scendere i propri passeggeri e si allontanò, facendo spazio al veicolo successivo; nei dintorni non vi erano solamente trasporti pubblici nati in età vittoriana, bensì anche qualche limousine bianca e brillante appartenente ai nobili dall’aria più moderna – tuttavia anche le macchine di lusso facevano la loro figura. Oltre il varco metallico e ricoperto d’oro e d’argento, si stagliava una lunga passerella in cemento, la quale spiccava tra i numerosi fasci d’erba curati nei minimi dettagli da esperti giardinieri che, per non farsi notare dagli occhi dei visitatori, svolgevano le rispettive manutenzioni durante il giorno; il sentiero era dritto, preciso e pullulato di vampiri, alcuni di loro riuniti ai lati della stradina per salutarsi a vicenda e altri diretti verso l’interno del sontuoso edificio, a passo leggiadro e spedito. Tutta quell’eleganza, quel chiacchiericcio cordiale e quello strano sensore di unicità avevano ammaliato le sei giovani ospiti di origini diverse rispetto a quelle di tutti gli altri invitati. Si sentivano quasi nel posto giusto, nonostante in quel momento sarebbe stato più naturale per loro trovarsi altrove, magari nelle loro rispettive stanze, circondate dalle proprie cose, da volti familiari e dalla normalità, tuttavia lì, in mezzo a decine – forse addirittura centinaia – di cuori ibernati, riuscivano a sentirsi a proprio agio; dopotutto erano sotto l’ala protettiva dei principi, perciò erano convinte che tutto sarebbe potuto andare solo per il meglio.

Yui si sentiva come catapultata in una fiaba, come una di quelle che leggeva quando era piccola e se ne stava tutta sola nell’oratorio del paese; aspettava solo di poter varcare la soglia della sala da ballo e di danzare col suo principe per tutta la notte nel più innocente dei lenti e dei valzer, ma il ricordo di chi fosse effettivamente il suo partner la fece ridestare dai suoi sogni ad occhi aperti. Grazie alla sua fede in Dio, la sua vita era seminata di certezze, ma l’unico suo punto interrogativo non era altri che quel vampiro dagli scompigliati capelli rossi, gli occhi grandi e chiari e il carattere arrogante, a volte dolce, sicuramente trasgressivo; chi era Ayato? Lui era la concretizzazione del suo più grande controsenso, nient’altro che l’attrazione verso l’Impossibile, il Diavolo più bello che avesse mai visto. Se il suo misericordioso Signore l’amava, esattamente come tutti gli altri esseri umani, i Suoi figli creati a Sua immagine e somiglianza, allora perché l’aveva messa dinanzi a quel vampiro? Perché proprio lui e non qualche altra creatura della Notte, protettrice di tutti i più oscuri segreti? Aveva timore di ammetterlo ad alta voce perché orecchie indiscrete avrebbero potuto udire il suo parlato, ma era quasi certa di essersi innamorata del maggiore dei trigemini; non era una menzogna, lo pensava per davvero e a confermarlo ci pensava il suo cuore, il quale si dimenticava che aveva un compito vitale da svolgere quando il rosso era nei paraggi o quando sentiva il suo nome, e quel sangue tanto ambito glielo avrebbe ceduto volentieri, anche fino all’ultima goccia se fosse bastato a renderlo felice. Quel ragazzo se la meritava, un po’ di felicità; a Yui non era ben chiaro cosa avesse subito quando non era altro che un bambino, ma nei suoi occhi riusciva a leggere pura sofferenza nei momenti in cui non era rapito dal suo spirito esibizionista. Come avrebbe fatto ad alleviargli – poiché esso sarebbe stato impossibile da cancellare del tutto – quel dolore? Sarebbe stata sua.

Accanto a lei, Tara era immersa quasi nei medesimi pensieri; con le dita della mano libera da qualsiasi prezioso accarezzava l’anello che le aveva regalato Laito. Cosa le era passato per la testa? Aveva seriamente accettato la proposta di fidanzamento di un vampiro famoso per le sue numerose avventure amorose? Si diede della pazza; non poteva negare la bellezza oggettiva di quell’anello e possederlo risultava essere pressappoco un vanto, ma non se la sentiva di giustificare la propria scelta con una mera scusa riguardante l’estetica e il valore monetario del regalo. Era cresciuta in una famiglia semplice, formata da lavoratori onesti e dediti al proprio umile mestiere, ma prima di ogni altra cosa erano persone per bene, pertanto non era affatto abituata a ricevere doni di quella portata – la cosa più costosa che avesse mai ricevuto era stato un computer portatile per il suo quindicesimo compleanno, una sorta di augurio per la vita da liceale che avrebbe dovuto affrontare nel giro di pochi mesi. Odiava i soldi perché non facevano altro che creare scompiglio nel mondo, e allora per quale motivo aveva accettato il regalo di Laito? Il suo orgoglio le urlava in continuazione che non ci fosse alcun tipo di sentimento dietro quell’Accetto, che fosse stata tutta colpa dell’entusiasmo momentaneo, ma una parte ben più grande di sé – il suo cuore – se la rideva, la prendeva in giro per la sua ottusaggine e per i suoi maldestri tentativi di cogliere ogni occasione per negare l’evidenza, per poi bussare alla porta della testa e farle ricordare il calore degli abbracci del vampiro e il sapore dei suoi baci – sapevano d’amore, strano e contorto, ma pur sempre amore. E a quel punto si tranquillizzava perché era certa che sarebbe andato tutto per il meglio, ma quanto tempo ancora sarebbero durate la sua sicurezza e la sua fermezza prima che la paura tornasse ad essere troppo potente per il suo fragile animo?

Le faceva contrasto Kin, che era estasiata; fino a pochi minuti prima nella sua testa ronzava la convinzione che la partecipazione a quell’evento sarebbe stata orribile perché forzata, ma appena aveva messo piede oltre al cancello, appena si era resa conto che molti occhi erano puntati su di lei e sul suo abito viola si era sentita bene. I ricordi e la nostalgia le avevano fatto dimenticare che era circondata da creature inumane ma, del resto, perché avrebbe dovuto curarsene? Non voleva fare altro che stare lì, in mezzo a tutti quei diplomatici in compagnia di qualcuno per lei importante; no, al centro dei suoi pensieri non c’erano le sue amiche – non in quel momento, almeno. Gli occhi infuocati di Subaru le erano stampati nella mente e stava continuando, a distanza di giorni, a sentire l’eco di quel Mi sarebbe piaciuto sentirti parlare come fanno le altre ragazze; la dolcezza di quel vampiro la sorprendeva ogni volta in cui aveva il piacere di entrarci in contatto e la rossa, intenerita e compiaciuta, non poteva esserne altro che felice. Subaru era la persona più buona che avesse mai conosciuto, nonostante non fosse neanche una persona a tutti gli effetti e la sua natura non gli consentisse di essere completamente genuino. Se Subaru fosse stato umano, sarebbe stato tutto perfetto. Scacciò quella nota di tristezza e si concentrò ancora una volta sull’ambiente in cui si trovava; le sembrava di essere tornata agli anni dei banchi di scuola, il periodo migliore della sua vita, perché durante quello aveva avuto modo di partecipare a decine di feste esclusive e non, data la sua popolarità e il suo poter ancora parlare. Uno sconosciuto avrebbe potuto definirla superficiale o materialista o entrambi, ma in realtà lei ripensava a quegli anni sorridendo perché si era sentita voluta bene, si immedesimava nella protagonista di un film statunitense, circondata da cheerleader, giocatori di football americano e in mezzo a mille guai, tutti con il proprio lieto fine. Ma adesso che le cose erano mutate così drasticamente, dove si nascondeva il suo finale felice? Possibile che fosse davvero nel cuore solitario di quel vampiro dallo spirito malinconico?

E Miki, poveretta, cosa doveva dire? Cosa l’aveva spinta, la sera della festa del paese, a dire a Kanato quel Quando sto con te riesco a sentirmi bene, anche se tu sei quello che sei? In quel momento non era stata in grado di ragionare sulle proprie parole, ecco la verità, ma se da un lato si era pentita di aver sputato quella frase, dall’altro non riusciva a non sperare che lui ne avesse colto il senso. Il vampiro dalle profonde occhiaie e dal carattere instabile, tuttavia, non aveva ripensato nemmeno una volta alla dichiarazione della ragazza – perché di una vera e propria confessione si trattava –, ma questo lei non poteva immaginarlo. Non sapeva con precisione quando la paura nei suoi confronti si era affievolita per lasciare spazio ad un affetto sproporzionato; le faceva tenerezza, Kanato, con i suoi grandi occhi profondi, con la sua pelle diafana, con il suo dolore interiore che tanto desiderava non esistesse. Sapeva che al suo fianco non avrebbe potuto non soffrire, ma per lei il benessere personale si era spostato in secondo piano – lui era molto più importante. Tutto ciò che voleva era prendersi cura di lui e del suo bipolarismo, che d’amore ne aveva davvero un disperato bisogno e lei, totalmente persa, era pronta a donarglielo in enormi quantità. Arrossì, tuttavia riuscì a mantenere un atteggiamento naturale per non attirare l’attenzione di nessuna delle altre ragazze; se stava superando le sue paure era solo grazie a lui, ma fu in quel momento che le sue convinzioni vacillarono: sarebbe stata realmente in grado di restargli accanto? La sua sanità mentale sarebbe rimasta ben ancorata alle sue membra? La sua premura verso di lui era davvero così grande? Il suo volergli bene era amore romantico o amore materno? E soprattutto, era sicura di non aver ancora perso la ragione e di star pensando consapevolmente? L’unica certezza sulla quale poteva contare era il desiderio di correre dal vampiro e volteggiare con lui per il resto della serata, nella speranza di non mostrarsi in maniera ridicola ai suoi occhi e a quelli di tutti gli altri presenti.

Poteva capirla bene Harumi, la quale era così nervosa da non riuscire a smettere di allisciare la propria gonna color ghiaccio. Come biasimarla? Dato il suo spirito sportivo e colorato non aveva mai avuto modo di prender parte ad un evento di quella portata, perciò come avrebbe dovuto comportarsi? Avrebbe dovuto parlare con più vampiri possibili o avrebbe fatto meglio a rimanere sulle sue? Avrebbe dovuto fare la riverenza al re e ai principi, nonostante con quest’ultimi avesse un rapporto quasi di amicizia? Se ci fosse stato un buffet, avrebbe dovuto catapultarsi sul cibo come suo solito o astenersi dalle leccornie per evitare di sembrare un insaccato a causa della strettezza del suo abito? E al momento delle danze, avrebbe dovuto buttarsi nella mischia o aspettare che qualcuno la invitasse? E chi l’avrebbe invitata? Un giovane imprenditore, un veterano vedovo o Shuu? Sperava con tutta se stessa che fosse la terza opzione ad avverarsi, ma il biondo avrebbe ballato? Sarebbe stato costretto? L’avrebbe abbracciata controvoglia? Si sarebbe ritirato nelle sue stanze per potersene stare in santa pace? La ragazza si prese a schiaffi interiormente – avrebbe fatto meglio a smettere di porsi tutti quegli interrogativi; decise che avrebbe semplicemente lasciato che gli avvenimenti avessero fatto il proprio corso e che si sarebbe goduta ogni singolo momento della festa, ma come avrebbe fatto a far finta che le sue gambe non stessero tremando e che, al contrario, fossero perfettamente immobili? E fu in quel modo che i suoi pensieri tornarono su Shuu, come piccoli chiodi attirati chimicamente da una grossa calamita. Quel vampiro riusciva ad infonderle tranquillità, a farla rilassare e, soprattutto, a farla sentire se stessa; non si sentiva obbligata a fingere di essere una ragazza come tutte le altre, perché quando c’era lui percepiva come un sottile vento fresco che le sussurrava che sarebbe stata accettata per com’era. E lei, quel fresco soffio al cuore, quel torpore allo stomaco e tutti quei sorrisi che era in grado di dedicargli, li chiamava casa.

Ed era proprio la parola casa che più faceva stare in pensiero Selena – ogni volta che quelle quattro lettere venivano combinate tra loro per formare quel termine, il volto di Isako si faceva più nitido davanti a lei, in uno spazio immaginario sospeso nell’aria. Le mancava, le mancava dannatamente poiché non era abituata a stare troppo lontano da lei – in undici anni non si erano mai distanziate l’una dall’altra, non troppo, ma solamente per andare a scuola o all’università o di notte, quando lei andava dai Sakamaki e la minore usciva con i suoi amici. E in proposito, la blu avrebbe fatto meglio a ricominciare a studiare perché la data dell’esposizione della tesi di laurea si stava avvicinando sempre di più col passare dei giorni, e lei aveva arretrati degli argomenti a causa della troppa stanchezza dovuta all’ormai regolare perdita di sangue. Si chiese se, in seguito ad una richiesta esposta con i dovuti modi, Reiji avesse mai accettato di aiutarla a recuperare i capitoli che la separavano dal tanto ambito titolo di studio, ma in quell’esatto istante le tornò in mente lo sguardo freddo e sadico del vampiro, il quale non aveva esitato a rinfacciarle la realtà dei fatti senza un minimo di tatto. Del resto, però, a cosa sarebbe servito essere gentili nel parlare di quell’argomento? Il benessere avrebbe solo sminuito il pericolo veritiero che si presentava alle porte delle sei giovani umane, oltre che all’intero Regno dei Vampiri, mentre quello schiaffo morale l’aveva aiutata a rendersi maggiormente contro di quello che stesse effettivamente succedendo, pertanto da un lato gli era grata. Nonostante ciò, la ragazza-genio si chiese perché il secondogenito fosse così spietato nei suoi confronti e, soprattutto, in quelli dei suoi fratelli – non avrebbe dovuto, invece, prendersi cura di loro proprio come lei faceva quotidianamente con Isako? Annuì tra sé, decisa sul da farsi; i suoi doveri universitari erano da accantonare momentaneamente per poter lasciare il dovuto spazio all’imminente guerra che avrebbero dovuto affrontare – o meglio, che avrebbero dovuto a tutti i costi evitare – ma, se le si fosse presentato del tempo libero, l’avrebbe sicuramente sfruttato per un altro tipo di studi – l’analisi comportamentale di Reiji.

«Ragazze, ci siete? Interrompo qualcosa?»

Le sei giovani si ridestarono contemporaneamente dai rispettivi pensieri e, sempre insieme, posarono i loro occhi sulla figura che aveva parlato; nel vedere di chi si trattasse, Yui sorrise allegramente: «Azusa-kun, sei qui!»

«Buonasera, Eve. Buonasera anche a voialtre» fece lui, inchinandosi nel suo completo azzurro.

Loro ricambiarono il saluto, per poi accorgersi che una ragazza a loro nota si trovava a pochi passi da lui, intenta a guardarsi attorno con un genuino luccichio nei suoi occhi color cielo ed altri non era che Aya, fasciata da un semplice e lungo abito nero, con il corpetto così stretto da farle risaltare il vitino magro; era a dir poco elettrizzata per tutto quello che le stava capitando, e quell’emozione era così grande da averle fatto dimenticare di non essere riuscita a scovare la sua anima. La corvina trattenne un urletto di gioia e si girò nella direzione del vampiro e si avvicinò, per poi abbracciarlo con vigorosa energia. «Azusa-kun, Azusa-kun, dimmi che non sto sognando!» esclamò con gli occhi chiusi e le guance colorate di rosso.

Lui accennò un sorriso intenerito. «È tutto reale, Sakamoto-san.»

«È magnifico! Vorrei stare qui per sempre!»

Selena si sporse verso di lei e le disse: «Vedo con piacere che il malumore ti ha abbandonata.»

L’altra assentì col capo. «Mi sento meglio.» Poi si rivolse alle altre ragazze: «Scusatemi se non vi ho trattate molto bene. Non ero in me. E non solo, volevo ringraziarvi per essermi state vicino dopo la perdita di mio padre.»

Harumi ancorò le mani ai fianchi, imitando la posa di un supereroe. «Non preoccuparti, Aya-chan. Le amiche servono a questo.»

«Amiche?»

«Be’, siamo circondate dai guai, ma hey, guardiamo il lato positivo, siamo circondate dai guai insieme» le disse la verde con un sorriso grande e rassicurante; splendeva di luce propria, quando rideva, sembrava essere in grado di prendere il posto del sole in un battibaleno.

«Che ne dite di entrare?» fece Miki, per poi portarsi una mano sul braccio opposto, strofinandolo dolcemente. «Qua fuori fa un po’ freddo.»

Una di loro scattò sull’attenti. «Entrare? Di già? Io tutto questo freddo non lo sento.»

«Tara, ricordati di respirare.»

«Okay, mi ricordo di respirare.»

Azusa fece qualche passo in avanti, poi si voltò verso di loro. «Prego, signorine. Da questa parte.»

 

 

***

 

 

L’immenso lampadario in cristallo che dominava il salone sembrava al contempo resistente e fragile, tanto che alcuni invitati temevano silenziosamente che, nel bel mezzo della serata, sarebbe crollato sulle loro teste; il resto della sala – abbastanza grande da poter contenere all’incirca mille persone, se non di più – era addobbato a festa, le tende scarlatte erano ben fissate alle alte finestre, il pavimento era stato lucidato a dovere e un lungo tappeto rosso lo attraversava a partire da un’alta scalinata, per finire a degli scalini più bassi, in cima ai quali si trovava un numero dispari di troni, il centrale più grande e più ricco rispetto agli altri. Il chiacchiericcio leggero degli ospiti venne interrotto dall’accensione di un microfono e da uno schiarirsi di voce; un vampiro alto e composto, possedente i capelli verde scuro e gli occhi rossi, si trovava al lato sinistro della scalinata più alta ed era affiancato da un maggiordomo anziano. Avvicinò il microfono alla bocca e disse, con voce ferma: «Buonasera signore e signori. Vi do il benvenuto a questa serata di gala.»

«Hey, Azusa-kun» sussurrò Harumi, accostandosi al vampiro chiamato in causa. «Chi è quel tizio?»

Rispose: «Lui è Richter, il fratello minore del re, principe di Vamutsuchiin e zio dei Sakamaki.»

Ripresero ad ascoltare le parole del potente vampiro, il quale stava esponendo un breve discorso di intrattenimento per gli invitati; appena un secondo maggiordomo lo raggiunse e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, alzò di poco il tono di voce. «Ed ora, senza ulteriori indugi, ho l’immenso piacere di annunciarvi l’entrata di Sua Maestà Karlheinz, sovrano di Vamutsuchiin e più grande vampiro di tutti i tempi, affiancato dalle Regine e dai Principi.»

Sotto il comando del Maestro di musica, l’orchestra prese a suonare una marcia d’entrata e fu in quel momento che lo videro – e, nonostante tutte loro avessero avuto modo di conoscerlo in numerosi programmi politici televisivi, l’uomo che stava scendendo quegli scalini aveva un aspetto differente da quello di Tougo Sakamaki; la pelle era innaturalmente pallida, i capelli erano lunghi e bianchi e gli occhi dorati, mentre il mantello color porpora che portava sulle spalle elevava la sua figura, portandolo in primo piano e al centro dell’attenzione rispetto agli alti. In volto aveva stampato un sorriso cordiale, gli occhi vagavano tra gli invitati e si soffermavano di tanto in tanto su qualcuno, per poi tornare a fissare un punto invisibile davanti a loro; scendeva i gradini lentamente, assaporava ogni passo con passione e delizia, accompagnato da uno scrosciante applauso prodotto dall’intera sala, incluso il devoto personale. Poco più indietro la sua regale figura, due donne lo seguivano con un portamento altezzoso; la prima – dalla criniera viola e gli occhi smeraldini – di tanto in tanto lanciava occhiate di fuoco alla seconda – possedente capelli biondi scuri e uno sguardo oceanico –, la quale tuttavia la ignorava, proseguendo nella sua regale camminata. Vi erano infine i sei fratelli, impeccabili nei loro completi da festa galante, tutti rigorosamente scuri da parere quasi uguali, se non fosse stato per le cravatte e i papillon. Una volta giunto al fianco di Richter, il regnante quasi gli strappò il microfono dalle mani e, qualche attimo dopo che gli applausi cessarono, disse: «Buonasera, miei illustri ospiti. Grazie per aver accolto il mio personale invito di partecipazione a questo piacevole ricevimento. Non voglio dilungarmi troppo in discorsi fuori luogo, pertanto mi limiterò ad augurarvi di passare una buona serata.» Un nuovo intenso battito di mani si levò nell’aria, il quale accompagnò il sovrano e la famiglia reale ai troni; ognuno si accomodò sul proprio posto a sedere, il re sulla sedia più alta e grande, dalla quale avrebbe potuto godere della visione più ampia del salone – e fu allora che la festa poté ufficialmente iniziare.

Nonostante la musica leggera stesse continuando ad aleggiare tutt’intorno, nessuno aveva ancora avuto il coraggio di aprire le danze. I personaggi maggiormente spiccanti e confidenziali avevano formato una sorta di fila, in attesa di poter porgere il proprio personale saluto al monarca – pacche amichevoli sulle spalle, sorrisi e brevi chiacchiere si ripetevano in continuazione, come se fossero state note musicali lette da un giradischi incantato; alcuni vampiri osavano rivolgere la parola al guardiano del Regno tramutato in giocattolo, ma il suo migliore amico badava bene a stare zitto sotto ordine di chi aveva più potere di lui. Nessuna di loro voleva davvero avvicinarsi al sovrano poiché improvvisamente impacciate e timorose di mostrarsi ridicole ai suoi occhi, nonché a quelli delle regine – le quali tanto parevano essere in grado di poterle mangiare vive in un batter d’occhio; improvvisamente erano anche terrorizzate dai principi, i quali sicuramente si sarebbero espressi in grasse risate qualora avessero aggiunto una nuova voce alla loro già lunga lista di brutte figure compiute nel corso delle loro rispettive vite. Ma evitare di presentarsi sarebbe stata una profonda mancanza di rispetto nei confronti del genitore dei sei vampiri a cui tanto erano affezionate, pertanto approfittarono dell’avvicinarsi di Azusa ai nove troni per fare gruppo con lui. Appena giunsero dinanzi alle nobili postazioni, poterono rendersi conto di quanto quella famiglia incutesse terrore e allo stesso tempo diplomazia; il patriarca in particolar modo pareva possedere abilità spaventose, ma queste venivano aggraziate dalle due donne che sedevano ai suoi fianchi, le quali stavano squadrando le umane con occhio critico.

«Oh, Azusa, ragazzo mio, da quanto tempo!» fece il re, sorridendo – ma la sua aura non mutò, rimanendo glaciale.

«È un piacere rivedervi, Vostra Maestà» rispose il giovane vampiro, inchinandosi; lo imitarono le ragazze, tentando di nascondere il nervosismo. Inevitabilmente, l’attenzione del sovrano si spostò su di loro; allargò il ghigno. «E voi, giovani donzelle, chi siete? I vostri profumi rappresentano la vostra reale identità?»

Loro si scambiarono veloci ma intensi sguardi, con l’intento di decidere silenziosamente chi dovesse effettivamente prender parola – nonostante tutte loro fossero consapevoli di chi sarebbe finita col fare da portavoce. Difatti, Selena fece un breve passo avanti. «Vi porgo i miei più cordiali saluti, Vostra Altezza. Ebbene, il nostro sangue non mente.»

«E così» parlò la regina dalla chioma color lavanda, «siete voi le ragazzine che hanno deciso di nutrire i miei figli.»

«I nostri figli, vorrai dire» precisò l’altra prima donna.

«Nutrire?»

La regina si voltò verso colei che aveva parlato. «Prego?»

Tara balzò sul posto; aveva appena soffiato quel pensiero a se stessa, eppure era stato udito dalla vampiressa. «Ehm» balbettò, «dite a me?»

«Precisamente, mia piccola umana.» Le mostrò un sorriso sinistro. «Potresti ripetere ciò che hai appena detto?»

Deglutì. «Pensavo, Vostra Grazia, che forse nutrire non è il termine più adatto per descrivere il rapporto che abbiamo instaurato con i principi. Non più, almeno. Credo.»

La donna immortale rise sguaiatamente. «Sei sfacciata, ragazzina. Sai come funzionano i rapporti tra vampiri e umani?»

Tara abbassò lo sguardo, afflitta dalle nuove incertezze emergenti dal profondo di una ferita non ancora rimarginata del tutto; inconsapevole di essere fissata dai luccicanti occhi di Laito, prese a giocherellare nervosamente con l’anello di fidanzamento indossato all’anulare della mano destra.

«Cordelia» la richiamò il re, «ti pregherei di non mettere a disagio queste umane. Sono pur sempre nostre ospiti.» Si rivolse direttamente a loro, dicendo: «Le mie più sincere scuse per questo breve dibattito. Vi auguro una buona permanenza a Vamutsuchiin.»

Accolsero quelle parole come un invito a dileguarsi e così fecero, ma non prima che Miki, sorridente e sotto lo sguardo della regina, salutasse con un cenno della mano Kanato e Teddy – il primo con lo sguardo ancorato alla sua figura, il secondo allegramente accomodato sulle gambe del principe. Azusa rimase dinanzi al sovrano poiché necessitava di renderlo consapevole di chi fosse Aya, la quale non aveva ancora abbandonato l’idea di passare la serata in sua compagnia. E il monarca parve rimanere allibito dalla notizia.

 

 

***

 

 

«La odio, la odio, ve lo giuro, la odio.»

«Non parlare, altrimenti rischi che ti senta di nuovo.»

La ragazza dai capelli rosa mandò giù un calice di champagne tutto d’un fiato. «Tanto non sto facendo nomi.» Le scappò un singhiozzo.

«Magari questi leggono nel pensiero.»

«I Sakascemi non ne sono in grado, eppure sono i principini del reame.»

Harumi si mise a ridere senza ombra di vergogna, nonostante avesse attirato l’attenzione di alcuni invitati, i più prossimi a lei. «Sakascemi è da incorniciare. Kin?»

La rossa annuì, divertita, ed estrasse dalla propria borsetta un piccolo taccuino sul quale annotò la buffa parola; ne approfittò anche per scrivere qualcos’altro, che poi mostrò a Yui, accanto a lei. La bionda lesse velocemente le parole e rispose: «Non preoccuparti, sto bene. Stavo solo pensando che quella donna, la regina alla sinistra di Karlheinz, l’ho già vista da qualche parte.»

«Anche io» intervenne Miki. «C’è un enorme ritratto che la ritrae nella stanza di Kanato-kun.»

L’altra negò col capo. «Non intendo solo nei quadri.»

«Spiegati meglio, Fiorellino» la incitò Selena, mentre controllava rapidamente il proprio riflesso attraverso uno specchietto che aveva avuto cura di portare con sé.

Tara svuotò un altro bicchiere di spumante, sotto gli occhi di un cameriere allibito e a tratti disgustato. «Già, spiegati meglio. Perché devi fare la misteriosa? Parla e basta.» «Direi che per stasera hai bevuto abbastanza.»

«Andiamo, Selly, il party è appena iniziato. Lascia che mi diverta un po’.»

«L’alcol fa male.»

«E quindi? Mica ne sono dipendente. Credo di averne passate abbastanza in questi ultimi giorni, perciò un po’ di sballo me lo merito. Lasciami in pace» mugugnò la rosa, e si fece riempire nuovamente il calice di cristallo.

«Sono d’accordo» esclamò Harumi, bevendo a sua volta e seguita a ruota da Kin.

E fu così che passarono le prime due ore della serata, dimenticandosi le parole di Yui; erano accomodate ad un piccolo tavolo rotondo in un angolo del salone, con diverse bottiglie smezzate abbandonate sulla tovaglia bianca – volavano anche risatine e schietti commenti su ciò che le circondava. L’unica che si era astenuta dal bere era stata Yui, la quale non reggeva – e a dirla tutta odiava – gli alcolici; persino Selena e Miki si erano lasciate andare a qualche sorso poiché consapevoli di reggere ogni tipo di liquore abbastanza bene, mentre le ultime tre avevano alzato il gomito quasi eccessivamente. E come se la passavano i principi? Fatta eccezione per il secondogenito – il quale si trovava perfettamente a suo agio in quell’ambiente poiché amante del galateo –, tutti loro stavano tentando in ogni maniera di mantenere la calma e apparentemente i risultati sembravano essere ottimi, tuttavia erano consci del fatto che sarebbe stato meglio se si fossero svagati il prima possibile. Seguendo questo filo, il primo ad abbandonare il trono fu Kanato il quale, ormai, non poteva godere più nemmeno della compagnia di Teddy, poiché l’orsacchiotto aveva pensato bene di svignarsela sotto gli occhi di tutti per andare a rimpinzarsi di buon cibo servito su una lunga tavolata in fondo alla sala – quanto tempo era passato dal suo ultimo pasto prosperoso? –, pertanto il violetto concluse che l’unico modo per non dare di matto davanti a tutti gli invitati sarebbe stato quello di raggiungere quello che i suoi fratelli avevano definito la personificazione del più potente dei calmanti. Allora camminò a testa alta, con la vista puntata verso la sua umana e ignorando i tentativi di qualche nobile di attaccare bottone. Quando le fu davanti, lei lo stava già osservando con il cuore colmo di snervante attesa; ricordando ciò di cui Teddy gli aveva parlato riguardante la galanteria – “Alle donne piace un sacco quando vengono trattate come se fossero delle principesse!” –, le porse una mano e le disse: «Balleresti con me, Miki-chan?»

La castana sorrise gioiosa. «Con molto piacere, Kanato-kun» gli rispose, per poi far giungere i loro palmi e alzarsi sotto gli occhi sognanti delle sue amiche.

Il vampiro la guidò al centro della pista da ballo, la quale era quasi del tutto priva di coppie danzanti; come ormai aveva già fatto in precedenza, le cinse la vita con le braccia e lasciò che lei – non più impacciata – gli circondasse il collo con i propri arti superiori, per poi iniziare a dondolarsi sul posto senza seguire un ritmo preciso, senza eseguire una vera e propria coreografia. Semplicemente se ne stavano lì, squadrati dall’intero salone, a guardarsi negli occhi e a parlottare sottovoce, e gli osservatori rimasero sbigottiti quando udirono alcuni risolini provenire proprio da loro due, perché sentire Kanato divertirsi senza essere circondato da sangue sgorgante risultava essere un evento più unico che raro.

Vi fu qualche secondo di silenzio, ma il violetto provvedette a spezzarlo. Parlò, abbandonando momentaneamente il senso di gelosia verso Teddy: «Stasera sei bellissima, Miki-chan.»

La ragazza arrossì tutto d’un colpo e voltò appena il capo, distogliendo lo sguardo, ma il desiderio di tornare ad osservare il suo volto era troppo forte per essere ignorato. Per un attimo ebbe paura che quel discorso sfociasse nella sorta di aggressione verbale di qualche sera precedente, tuttavia si rassicurò dopo aver letto semplice pacatezza nei suoi occhi grandi. «Anche tu stai davvero bene, Kanato-kun.»

Le mostrò l’accenno di un ghigno. «Sei arrossita di nuovo, Miki-chan. Le tue palpitazioni sono aumentate improvvisamente. È facile che io me ne accorga, perciò non tentare di nasconderlo.»

«Lo so, lo so» gli rispose. «Non posso farci niente.»

«Significa che sei sessualmente attratta da me?»

Se possibile, la sfumatura di rosso che aveva assunto il suo viso si intensificò. Balbettò: «Ma che discorsi metti in mezzo, Kanato-kun?»

«Rispondimi, Miki-chan. Altrimenti berrò il tuo sangue.»

«Qui? Davanti a tutti?»

«Sì.»

«Si scatenerebbe un putiferio se lo facessi.»

Il vampiro si lasciò sfuggire l’accenno di una risata isterica. «Appunto.» Subito dopo le afferrò le guance con le dita di una mano. «Dillo, per favore. Sappiamo entrambi che saremo legati per sempre, perciò meglio mettere in chiaro le cose fin da subito, ne?»

Nonostante quella situazione non rispecchiasse affatto i suoi numerosi sogni ad occhi aperti, nonostante avesse voluto dirgli quelle parole in un altro contesto, nonostante non si sentisse affatto pronta per mettersi a nudo, nonostante tutto e tutti, ascoltò l’eco delle farfalle che svolazzavano nel suo piccolo stomaco e ne fece tesoro, accumulando sempre maggiore coraggio per schiudere le labbra e far uscire la voce. Ma ciò non accadde mai, poiché l’attenzione di entrambi venne catturata da qualcos’altro.

 

 

***

 

 

Approfittò del coraggio di Kanato per giustificare il suo essersi alzato di scatto ed essere sgattaiolato via dal salone, scivolando piano nell’ombra e restando in silenzio, facendo attenzione a non urtare niente e nessuno; gli parve di aver portato a termine la missione di fuga con successo, tuttavia non si accorse che qualcuno l’aveva notato e aveva pensato di seguirlo. Fu così che Subaru si ritrovò davanti i grandi occhi azzurri di Kin incorniciati da un’espressione leggera e allegra, a tratti arrossata a causa del troppo champagne che aveva mandato giù. Quasi si spaventò e si diede dell’idiota per non aver odorato l’aria, ignorando così il profumo del sangue della ragazza umano che, progressivamente, gli si avvicinava. Un nervo iniziò a pulsare sulla sua fronte, ma badò bene a mantenere basso il tono di voce. «Cosa ci fai qui, Mugon?!»

La rossa ridacchiò, afferrando il proprio taccuino; vi scrisse: Ti ho visto tutto solo soletto e ho pensato che volessi un po’ di compagnia.

Il vampiro ringhiò. «Cretina. Ti risulta che io abbia bisogno di compagnia?»

Mosse velocemente la penna sulla carta: Della mia sì.

«Senti, fammi un piacere, torna di là. Non voglio vedere più nessuno. Mi sono rotto le palle di stare in mezzo alla gente.»

Ma eri così carino su quel trono!

«Abbassa i toni o ti mordo.»

Kin gli mostrò un sorriso beffardo. Tanto non mi fai paura. So che non vuoi farmi del male.

L’albino incrociò le braccia. «Hai una bella faccia tosta, ragazzina. E hai pure bevuto.»

Forse…

Subaru si passò una mano sugli occhi, mostrandole un’insolita aria stanca. «Ascolta, mi sto incazzando. Vattene» sussurrò, per poi appoggiarsi ad una parete e scivolare verso il pavimento.

Lei rimase immobile a fissarlo per qualche istante, poi scarabocchiò qualcos’altro sul piccolo quaderno: Perché stasera tua madre non era qui? Le regine erano solo due e tu non assomigliavi a nessuna di loro.

Sapeva che sarebbe stato patetico, sapeva che lasciarsi andare lo avrebbe reso ridicolo e avrebbe distrutto l’immagine che aveva creato di sé, tuttavia non riuscì a trattenersi oltre; alcune lacrime fuoriuscirono dai suoi occhi e gli solcarono il viso. «Mia madre non c’è più» mormorò. «Oggi è l’anniversario della sua morte. Si è suicidata davanti a me.»

Colpita da un profondo senso di colpa, Kin si inginocchiò accanto a lui e, silenziosamente e con lo sguardo appannato, lo invitò a continuare a parlare – sfogarsi gli avrebbe fatto solo bene.

«È stata tutta colpa di quel bastardo, capisci? Per secoli l’ha obbligata a sottomettersi a lui e alle sue stronzate, e alla fine non ce l’ha fatta. È impazzita. Ha preso quel pugnale e se l’è impiantato nel cuore, proprio davanti a me. Mi è morta tra le braccia e nessuno se n’è fregato.» Si abbandonò alla disperazione. «Invece di ricordarla per la splendida donna che è stata, tutti quanti se ne stanno di là a fare i signori, a ridere e a parlare di stronzate. Sono tutti dei corrotti di merda e alle cose importanti non pensano mai. E come dovrei sentirmi io? Uno schifo, ecco come mi sento, perché tutti si fermano a quelle cazzo di apparenze e poi fanno gli offesi se gli sputo in faccia. E poi ci sei tu, Kin, che mi fai andare su tutte le furie. Mi ricordi così tanto lei, fai le sue stesse espressioni, ti poni allo stesso modo e hai il suo stesso animo buono. E mi sembra di non aver mai superato la sua perdita perché ogni cazzo di giorno ci sei tu che arrivi e scombini tutto, ed io ci avevo messo un casino di tempo a mettere in ordine i miei sentimenti. Mi fai davvero incazzare!»

Ormai stava piangendo anche lei e sapeva che non c’era niente di più sbagliato di fare quello a cui stava pensando, ma l’alcol non l’aiutava per niente a mantenere il controllo e, come se non fosse bastato solo quello, era già da qualche tempo che desiderava compiere quel gesto; pertanto si lanciò in avanti, atterrando sulle labbra fredde del vampiro e, accarezzandogli le guance con lentezza, tentò ad infondergli la giusta tranquillità per farlo calmare. Ma l’effetto che ottenne fu l’opposto; Subaru si mosse rapidamente, afferrandole la nuca con una mano e portando l’altra dietro la sua schiena, e ricambiò il bacio, facendolo diventare irruento e grezzo, e fece scontrare i loro denti e le morse accidentalmente il labbro inferiore, ma non bevve le gocce di sangue che fuoriuscirono, piuttosto le lasciò cadere poiché preferì concentrarsi ad vezzeggiare la lingua della ragazza con la propria e il suo cuore venne investito da del calore mai conosciuto prima d’allora.

Si scostarono alla ricerca d’ossigeno e mantennero il contatto visivo, il quale tuttavia venne sciolto poco dopo a causa di un forte eco.

 

 

***

 

 

Erano passati all’incirca quindici minuti da quando aveva iniziato ad osservarlo ballare un lento con una vampiressa dalla veneranda età e, nonostante fosse perfettamente a conoscenza che era stato costretto dalla donna a prender parte alle danze, dentro di sé non riusciva a reprimere un senso di fastidio; di tanto in tanto i loro sguardi si erano incrociati e si erano scambiati messaggi muti, promesse di raggiungimento e confessioni di desiderio crescente, ma nulla era ancora accaduto. Sbuffò sonoramente e si voltò, per poi afferrare una delle bottiglie di vino bianco con l’intento di berne ancora un altro po’, ma constatò con delusione che fossero tutte vuote – e in parte ne fu contenta, poiché consapevole di essersi spinta troppo nelle ultime ore. Giocherellò con una ciocca di capelli, tentando di ignorare il sempre più crescente mal di testa che le stava martellando le tempie con insistenza e fu quando meno se l’aspettò che il vampiro le apparse di fianco. Le sorrise maliziosamente e le disse: «Sono tutto per te, Princess-chan.»

Tara scattò in piedi. «Era ora.» Lo prese sottobraccio e assunse un’espressione seccata. «Quanto ancora volevi farmi aspettare?»

Il vampiro sogghignò, iniziando a camminare. «Sai com’è, quando sei il figlio del re tutti ti si avvicinano, ti parlano, ti giudicano, ti invidiano.» Dopo una breve analisi decise di dirigersi verso il balcone della sala. «È tutta una questione di reputazione. Se avessi ignorato quelle persone, avrei fatto fare una pessima figura a tutta la famiglia reale» disse, evitando tuttavia di aggiungere le certe conseguenze che sarebbero avvenute in seguito a un suo rifiuto di interagire con determinati nobili.

La ragazza gonfiò le guance mentre passeggiava accanto a lui. «Sei sicuro di non avermi gettata nel dimenticatoio?»

«Nel dimenticatoio? Tu, Princess-chan? Sei la mia fidanzata adesso, non una qualsiasi.»

«Già, già, sono la tua fidanzata. Trattami da tale, allora.»

Non se lo fece ripetere due volte. Fulmineo, Laito accelerò il passo il passo e sfrecciò tra i cortesi ospiti, quasi trascinandosi dietro la sua dama, e spalancò le porte-finestra solo per oltrepassarne la soglia, poi se le richiuse alle spalle come se avesse dovuto rappresentare un invito a non disturbare; non contento di essersi già allontanato abbastanza, percorse l’intero terrazzo e si rifugiò dietro a un angolo, il quale non avrebbe attirato l’attenzione perché in penombra – nessuno dei lampioni posti alla base del perimetro del palazzo reale arrivava ad illuminare quella zona. L’umana ridacchiava acutamente mentre zampettava accanto al vampiro. «Laito-kun, qua fuori fa freddo per una povera mortale come me» cinguettò con euforia.

Lui la intrappolò con entrambe le braccia contro la parete gelida in pietra. «Non temere, Princess-chan, ti scalderò io» le disse con voce suadente, per poi leccarsi le labbra e avvicinarsi al suo viso. La odorò e rise. «Ma quanti bicchieri hai bevuto?»

Tara gli portò le mani al collo del vampiro e glielo accarezzò con entrambi i pollici. «Credo quattro o cinque. Sei al massimo.»

«Io direi anche sette o otto.»

La ragazza si avvicinò appena a lui, in modo da far sfiorare i loro nasi. «Ti vuoi muovere a baciarmi o devo iniziare a trattarti male? Finisco sempre per fare la cattiva. Dillo che sei masochista.»

«Io masochista? Sai con chi stai parlando?»

Gli mostrò la mano adornata dall’anello di fidanzamento e, con la voce impregnata di sarcasmo, gli disse: «Certo che lo so, tesoruccio.»

Laito non perse altro tempo e la baciò con passione, desiderio, attesa, e poté immediatamente sentire il suo sapore di liquore poiché entrambi schiusero da subito le labbra, impazienti di lambirsi a vicenda e in fretta, come se qualcosa stesse correndo dietro di loro o se avessero avuto i minuti contati; in perfetta sincronia ruotarono le loro teste in direzioni opposte, in modo tale da rendere più ampio quel profondo tocco, poi si allontanarono appena per permettere ai polmoni di riempirsi d’ossigeno e dopo qualche attimo tornarono a cercarsi, dipendenti da quel contatto.

«Questo vestito» fece Laito alludendo alla scollatura a barca, per poi darle un bacio a stampo, «è una provocazione?» Le portò una mano al gluteo sinistro e glielo strinse appena.

«Non serve che ti provochi» rispose lei. «Puoi bere il mio sangue tutte le volte che vuoi o sbaglio?» Afferrò un lembo della gonna e lo sollevò, arrivando a scoprirle la gamba fino al ginocchio. «Però non facciamolo vedere, questo morso» aggiunse e gli fece l’occhiolino.

Le goti del vampiro si tinsero leggermente di rosso. «Mi piaci sempre di più, Princess-chan!» Si abbassò e le scoprì maggiormente l’arto, per poi morderle l’interno della coscia. La giovane gemette di dolore, ma si morse il labbro inferiore per reprimere ulteriori urla; percepiva il liquido scarlatto scivolare via dal proprio corpo e venire sostituito da un intenso bruciore, il quale s’estendeva sempre di più e aumentava di forza, tuttavia il viso rilassato di Laito la tranquillizzò, facendola pensare che, dopotutto, lo stesse facendo per lui, per farlo stare bene. Le scappò una risata, poi un’altra, un’altra ancora e così via, e quelle risa attirarono l’attenzione del vampiro, il quale le chiese: «Cos’è che ti fa ridere così tanto, Princess-chan?»

Tara si asciugò una lacrima, senza tuttavia smettere di sorridere. «Niente, niente. Stavo solo pensando che mi sto innamorando di te per davvero. Ti rendi conto? Sono caduta proprio in basso.» Riprese a sbellicarsi in preda all’ebbrezza, inconsapevole di aver usato parole dure e di aver riaperto una vecchia ferita nel cuore del principe.

Lui fece per dirle qualcosa, tuttavia rimase in silenzio poiché incredulo di ciò che i suoi occhi stessero vedendo; la ragazza si era improvvisamente ammutolita e le sue pupille e iridi erano diventate completamente bianche.

 

 

***

 

 

«Dai, che ti costa?»

«Ti ho detto di no.»

«Solo cinque minuti.»

«Troppo.»

«Allora quattro.»

«Non se ne parla.»

«Facciamo tre?»

«Numero dispari.»

«Che ne dici di due?»

«Non avrebbe senso.»

La ragazza batté un piede per terra. «Ma perché no?»

«È una noia. Lasciami in pace. Ho sonno, sono stanco.»

«Ma se non hai fatto niente!»

Scandì: «Non. Urlare.»

Barcollante per via di tutto l’alcol che aveva bevuto, Harumi si avvicinò di più al vampiro, salendo i pochi gradini che elevavano il suo trono e, dopo essersi lasciata scappare un singhiozzo, gli disse: «Potresti anche sforzarti, una volta tanto. Ti sto solo chiedendo un ballo. Me ne sono stata buona per tutto questo tempo aspettando che mi invitassi, quindi alzare le chiappe e portarmi in pista mi sembra il minimo che tu possa fare.»

Il biondo le mostrò un sorriso sghembo. «Se fino ad ora non ho alzato le chiappe per invitarti, ci sarà un motivo, no?»

«Non ti sopporto quando fai così!»

Qualcuno apparve alle spalle della ragazza e intercettò gli occhi del principe con i propri; con tono fermo e glaciale disse: «Tutto bene, Shuu?»

Lui abbandonò l’accenno di espressione divertita e tornò serio, spostando lo sguardo su colei che aveva parlato. «Sì, madre.»

La vampiressa annuì e si accomodò sulla propria poltrona, accanto al primogenito; subito dopo si rivolse ad Harumi. «C’è qualcosa che ti turba, signorina?»

La verde tentennò per qualche attimo, ma la nebbia che aveva in testa non l’aiutò a darsi nessun contegno, così serrò i pugni e la mascella e sputò un: «Qualcosa che mi turba? È Vostro figlio che mi turba.» Ebbe la più totale attenzione della regina, pertanto continuò: «Il bell’addormentato qui presente è troppo pigro anche per fare il carino nei miei confronti. E non è una volta, no, è sempre così. È così apatico e odioso che lo prenderei a ceffoni.»

Senza batter ciglio, la donna si voltò in direzione del figlio e gli chiese: «Spero che tu non abbia alcuna relazione con quest’umana.»

Il biondo fece spallucce. «Con Chiasso? No, tra noi non c’è nessuna implicazione sentimentale. Fortunatamente.»

Harumi si sentì colpita nel profondo e desiderò di sparire, tuttavia quell’azione non sarebbe rientrata nel suo stile di vivere la vita, pertanto fece per rispondergli per le rime per poterlo mettere in imbarazzo, per potersi vendicare, per sentirsi soddisfatta – anche se in quella maniera non lo sarebbe affatto stata. Ma fu costretta a rimanere in silenzio poiché una sostanza liquida color cenere prese a scivolarle dagli occhi e ad entrambi gli angoli della bocca.

 

 

***

 

 

Si trovava ad un bivio; il corpetto del vestito la stava soffocando, non vedeva l’ora di tornare all’appartamento in periferia per toglierselo, ma d’altro canto quella torta aveva un aspetto così perfetto e sembrava così squisita da averle fatto venire l’acquolina alla bocca. La tentazione di mangiarla era veramente grande – anche e soprattutto perché non aveva toccato neanche una briciola di pane da quando era arrivata a Corte e la fame si faceva sentire – e la mano stava dando retta allo stomaco, avvicinandosi sempre più alla pila di piatti puliti poggiata sul tavolo, in modo tale da servirsi repentinamente senza attendere l’arrivo di un cameriere poiché tutti impegnati a correre avanti e indietro per servire i più rinomati ospiti, tuttavia una voce severa e conosciuta la fece desistere dal suo desiderio più attuale. «Ti consiglio di fare attenzione a ciò di cui ti nutri. Quel dolce ha una quantità molto elevata di zuccheri.»

La ragazza roteò gli occhi al cielo. «Sì, sto sgarrando la dieta, e allora? Potrò permettermelo dopo cinque mesi di regime ristretto.»

Il vampiro si accostò maggiormente a lei. «Non rispettare le regole che ti sei imposta fa di te una donna patetica, Milady. Ma se ti risulta piacevole raggiungere il ridicolo, prego, serviti pure.»

Pensierosa, Selena assottigliò lo sguardo e poi lo spostò lungo tutta la tavolata accogliente i dessert; la vistosa quantità di pasticcini e mousse che vi si poteva incontrare era stata evidentemente dimezzata da bocche affamate di sfizioserie – e dall’insaziabile voglia di dolci del principe dalle profonde occhiaie –, pertanto l’inganno risultava sgamabile. Solo si diede della stupida per non averci fatto caso in precedenza, ma gli fu grata per aver parlato e, così facendo, per averla messa sull’attenti, pertanto analizzò nuovamente la torta per coglierne appieno i particolari e capì che la panna era stata colorata di rosa per poter attirare l’attenzione di una donzella, e i pezzetti di fragola donavano alla composizione un tocco di delicatezza e semplicità difficile da ignorare; ma il fattore incriminante saltava all’occhio con innata semplicità. «Voi vampiri avete un olfatto quattro volte superiore a quello di un normale essere umano, e questo vi permette di rendervi immediatamente conto se c’è qualcosa che non va. Questa torta ha un aspetto decisamente invitante, ma nonostante questo è ancora intatta. Significa che contiene degli ingredienti non adatti alla buona riuscita della ricetta, oppure che è stata avvelenata. Dato che ti sei tanto preoccupato di controllare le mie mosse, non posso fare a meno di immaginare che dietro questo dolce apparentemente perfetto ci sia il tuo zampino, Reiji-san.»

Lui ghignò, guardandola dall’alto in basso. «Eccellente spiegazione. Ebbene sì, questa mattina sono passato per le cucine e ho aggiunto il mio tocco personale a questa torta. Però hai deluso le mie aspettative. Ero convinto riuscissi ad arrivarci subito e non solamente dopo il mio intervento.»

La blu fece spallucce. «Stasera non sono in vena delle tue diavolerie. Sono molto stanca.»

«Stai giustificando il tuo fallimento con delle mere frasi fatte.»

«Senti, non mi interessa quello che pensi. A proposito, mi diresti quando tempo ancora durerà questa specie di festa? Vorrei chiamare quella carrozza e tornarmene a casa.»

«Sei di una maleducazione unica. Appena saremo soli ti dovrò raddrizzare a dovere.»

Si sarebbe aspettato principalmente due reazioni da parte dell’umana: la prima era indignazione, rabbia e tanta voglia di litigare, mentre la seconda era indifferenza e ricerca di altro cibo. Ma mai avrebbe immaginato che la ragazza iniziasse a lievitare a mezz’aria.

 

 

***

 

 

Era rimasta da sola. Tutte le sedie accostate a quel tavolo erano vuote fatta eccezione per la sua, ma non aveva intenzione di lamentarsi; era contenta che le sue amiche avessero trovato il modo giusto per trascorrere quella serata, le stava bene per davvero, nonostante fosse preoccupata che non passasse in fretta per lei – ma, del resto, il tempo risultava essere uguale per tutti. Semplicemente sarebbero passati i minuti e poi le ore, la musica avrebbe cessato di riempire invisibilmente lo spazio, il salone si sarebbe svuotato, il re si sarebbe ritirato e lei finalmente avrebbe potuto congedarsi insieme alle altre e fare un’altra visita, questa volta al materasso un po’ malandato ma pur sempre comodo dell’appartamento in affitto. Bevve un sorso d’acqua nonostante la sua pancia stesse richiedendo delle sostanze solide, ma proprio non riusciva a farsi forza per alzarsi e raggiungere la tavolata del buffet, né era nei suoi piani attirare l’attenzione di un cameriere per farsi servire – sarebbe stato scortese e, oltretutto, non aveva voglia di disturbare nessuno dalle proprie molteplici mansioni.

«Il brontolio del tuo stomaco si sentirebbe a chilometri di distanza, Chichinashi.»

La bionda balzò dalla paura, però il secondo successivo tornò a tranquillizzarsi poiché si era resa conto di chi le aveva appena rivolto la parola. Diede vita a un sorriso di cortesia e disse: «Mi hai fatta spaventare, Ayato-kun.»

Il vampiro sospirò per poi porgerle un piatto di ceramica contenente diverse tartine, ognuna con un gusto differente e mai ripetuto. «Zitta e mangia.»

Yui spostò più volte lo sguardo dal rosso alle pietanze che le aveva gentilmente porto, per poi decidere finalmente di dargli ascolto e cibarsi; nonostante non risultasse essere affatto parte delle buone maniere, parlò con la bocca piena: «Sei stato veramente carino a preoccuparti per me, Ayato-kun.»

Lui schioccò la lingua. «Sei più pallida del solito. Credo sia stato istinto.» Ridacchiò e aggiunse: «E poi Ore-sama è carino sempre, non solo in alcune occasioni. Anzi, Ore-sama non è carino, bensì bellissimo. Tienilo a mente, Chichinashi.»

La ragazza annuì, divertita. «Me ne ricorderò.»

«E poi» fece Ayato a bassa voce, «ho bisogno che tu stia bene. Mi devi nutrire e devi stare sul trono accanto al sottoscritto.»

Inclinò appena la testa di lato. «Sul trono?»

«Chi altri se non Ore-sama potrebbe diventare il prossimo re di Vamutsuchiin? Nessuno, ovviamente. E il re deve essere affiancato da una regina.» Yui assunse un colorito paonazzo e ringraziò silenziosamente il vampiro per aver distolto lo sguardo, in modo da non poter vedere il suo viso imbarazzato. E avrebbe voluto rispondergli con tutto il cuore, ma fu proprio in quell’istante che accadde qualcosa di profondamente sbagliato. Tutti i presenti se ne accorsero dati i loro sviluppati cinque sensi tuttavia, nonostante i vampiri fossero celebri per la loro capacità di rispondere repentinamente ad un agente esterno alla loro concezione di normalità, rimasero interdetti e non seppero come comportarsi. Qualcosa di colore rosso si stava avvicinando a velocità moderata al castello, e tanto sembrava una nuvola provenire direttamente dalla luna; viaggiava tra i granelli d’aria percorrendo una traiettoria ben precisa e non produceva rumore alcuno né vento. Raggiunse il centro del cortile interno del palazzo reale e stette lì, a pochi centimetri di distanza dal terreno, ad aspettare che il Fato continuasse il proprio percorso. Facendosi rumorosamente largo tra i nobili, Aya raggiunse la finestra che meglio avrebbe potuto mostrare la strana sostanza scesa dal cielo e spalancò entrambi i vetri, affacciandosi di slancio; sarebbe caduta di sotto se Azusa, anche lui inquieto, non l’avesse retta per i fianchi. La giovane poté osservare le sue amiche umane sollevarsi dal pavimento e ad avvicinarsi progressivamente a quella finestra; Ayato tentò di mantenere a sé Yui, ma la forza che stava attraendo la ragazza verso la nebulosa risultava essere eccessivamente potente da fronteggiare, pertanto tutti i presenti – in particolar modo i sei principi – non poterono fare altro che osservare ciò che stava avvenendo. Non una singola opposizione proveniva dalle giovani poiché sotto l’effetto di una strana trance; Harumi e Kin non stavano opponendo resistenza, Tara e Selena non stavano chiedendo aiuto, Yui e Miki non stavano piangendo – erano tutte perfettamente immobili e addormentate, nonostante i loro occhi fossero spalancati e privi di pupilla e iride.

«Reiji, che cazzo sta succedendo?!» urlò Ayato mentre lo afferrava per il colletto della camicia.

«Purtroppo ne so quanto te» gli rispose il secondogenito, tenendo lo sguardo fisso sulla sostanza scarlatta nel tentativo di riconoscerne qualche elemento – tuttavia mai nel corso della sua esistenza aveva avuto modo di assistere ad un tale evento.

Subaru sputò una serie di espressioni volgari e piantò un pugno sul davanzale di marmo, e contemporaneamente Kanato si mise ad urlare, in preda ad un attacco di isteria, mentre tra le sue braccia Teddy tentava di trattenere le lacrime; Laito rimase in silenzio esattamente come Shuu, il primo poiché incapace di formulare un pensiero di senso compiuto e il secondo perché incredulo di ciò che stesse effettivamente accadendo.

«Fate qualcosa, fate qualcosa!» sbraitò Aya sull’orlo del pianto, ma nessuno aveva il coraggio di prendere in mano la situazione, nemmeno le regine e Richter, nonostante trasmettessero un’aura di fermezza e capacità decisionali. Azusa prese a voltarsi incessantemente, alla ricerca di qualcuno abbastanza in gamba da offrir loro un concreto aiuto, ma l’unica cosa che riuscì a captare fu il sorriso gelido di Karlheinz.

E nel frattempo, le giovani erano silenziosamente giunte alla sostanza gassosa e densa rossa e vi erano atterrate davanti; come se fosse stato presente una violenta spirale, un forte vento le costrinse a sfiorare la nuvola e, una dopo l’altra, vennero risucchiate all’interno di quello che aveva iniziato a somigliare ad un maleficio – prima Selena, poi Kin, successivamente Miki e Tara, e infine Yui. Anche se incosciente, Harumi fu l’unica che tentò di opporre resistenza richiamando a sé tutta la forza che le ogni singola fibra del suo corpo era in grado di sprigionare, ma l’unico risultato che riuscì ad ottenere fu tragico: una profonda ferita le si aprì sulla schiena e le macchiò l’abito di sangue, e la costrinse a lasciarsi andare al vortice. La nuvola scarlatta, subito dopo aver fatto piazza pulita, diminuì sempre di più il proprio volume fino a trasformarsi in una sfera di vetro – o forse era cristallo – e tonfare al suolo con un rumore sordo; da alcuni cespugli fece capolino una figura incappucciata e ricurva su se stessa, e quest’ultima si lanciò in avanti per afferrare l’oggetto magico probabilmente per rubarlo o per riappropriarsene, ma fu fermata da un violento sparo, pertanto si accasciò a terra e iniziò a perdere del vistoso sangue. I testimoni non ebbero ben chiaro cosa stesse accadendo – soprattutto perché nessuno di loro aveva percepito presenze esterne –, ma tutti loro poterono affermare d’aver scorto una sagoma avvolta dall’oscurità darsi alla fuga e scomparire nel bosco.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Okay, mi ero posta la base delle settemila parole a capitolo per farli risultare omogenei e né troppo lunghi né troppo corti… Questo ne ha 11206. Sembra il numero di telefono di una telepromozione. E scusatemi se i personaggi sono OOC, ma questa volta non sono riuscita ad evitare questa catastrofe-- Facciamo che questo capitolo è uno sgarro alla mia severa legge NMACPP (Non Modificare Assolutamente i Caratteri dei Personaggi Preesistenti). Don't worry, dalla prossima volta si torna sulla retta via, parola di fanwriter ;)

Reiji: Imperfetta come al solito.

Quest’oggi ho deciso di ignorarti, Reiji-san, anche perché non ho fatto altro che accanirmi su di te tramite meme per un’intera settimana… Ma dicevo! Cosa pensate di questo chappy? Vi sareste aspettati quello che è successo? E precisamente, cosa è successo? Qualcuno di voi ci è arrivato già? No? Non temete, il prossimo capitoletto spiegherà delle cose davvero interessanti! Nel frattempo, me la lasciate una recensioncina? ;)

Grazie mille per aver letto e alla prossima!

-Channy



Post Scriptum: una cosa che mi diverte tantissimo di questa storia è che il titolo abbreviato è W.C. eeeee non è carino AHAHAH Però me lo faccio andare bene perché mi ricorda LA WATEERR (riferimenti a Simone Vandelli puramente casuali).

Shuu: Tu sei scema.

Grazie tesoro♥

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Capitolo 27
*** Crystall Ball, Free and Why Not ***


-Crystall Ball, Free and Why Not.

 

 

Pelle ruvida, occhi scavati, labbra sottili, naso appuntito e all’insù, schiena curva, capelli lunghi e crespi, dita affusolate, unghie spezzate, veste larga e dalla tinta scambiata – erano questi gli elementi che caratterizzavano l’anziana figura rinchiusa in una delle celle del castello. Nonostante fossero rigide e spesse, dalle pareti dei sotterranei trapassava il pungente gelo della notte, il quale tanto pareva la morsa letale di un serpente velenoso; ma nessuno lì lo percepiva per davvero, quel tagliente spiffero di vento freddo. Nessuno di loro era umano, ma non erano nemmeno tutti dei vampiri – e allora chi risiedeva dietro quelle ferree sbarre di metallo? Analizzando il suo acido desossiribonucleico, si sarebbe potuto affermare con assoluta certezza che appartenesse alla razza più pura delle creatrici di incantesimi proibiti, coloro che vivevano attraverso i secoli al solo scopo di proteggere l’arte della propria specie anche se condannate ad una lontana morte.

«Sentiamo un po’» fece Laito con sarcasmo nella voce, nonostante essa non risultasse irta ma gentile come d’abitudine, «cosa ci faceva una simpatica fattucchiera nel giardino di casa nostra?»

La vecchia, seppur dolorante, lanciò una stilettata a colui che aveva parlato. «Sarai pure uno dei principi della stirpe dei vampiri, ma non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo sgarbato. Intesi, giovanotto?» Aveva una voce roca e graffiata, come se le sue corde vocali fossero state danneggiate da qualcosa di violento e senza pietà; tossicchiò senza preoccuparsi di coprirsi la bocca con una mano.

Tutti i presenti rimasero in silenzio per qualche attimo, donando all’anziana il tempo di prendere fiato. Parlò: «Siete liberi di non prendere sul serio le stramberie che sto per raccontarvi, ma vi do la mia parola da stregaccia decrepita che ogni cosa che uscirà da queste labbra sarà veritiera. È inutile che tenti di nascondervi qualcosa, dopotutto io sto dalla vostra parte.» Si sforzò di ridere, ma produsse unicamente un suono strozzato. «Be’, signori, in realtà non sto dalla parte di nessuno, me ne infischio delle faccende di voi esseri non-morti, ma a giudicare da come stanno andando le cose, mi sento abbastanza egoista da scegliere di schierarmi dalla parte di Karlheinz.»

«La prego di non farla tanto lunga, piuttosto di andare dritto al sodo» intervenne Reiji. «Immagino che questa situazione, qualunque essa sia, richieda il saper sfruttare a proprio vantaggio il tempo.»

«Sei sempre sulla cresta dell’onda, Reiji-sama. Il tuo cuore ibernato si sta sciogliendo per il bene delle umane?»

«Le ho chiesto di sbrigarsi, gentilmente.»

La donna grugnì, infastidita. «Va bene, ho capito. Comincerei col dirvi che ve le siete scelte proprio bene, le vostre fidanzate.»

«Fai bene a sottolinearlo, vecchiaccia. Il sottoscritto ha buon occhio.»

I suoi cinque fratelli lo zittirono nell’immediato istante, consentendo alla maga di continuare il proprio racconto. «Non mi riferisco al loro aspetto fisico. Sono indubbiamente delle belle ragazze, ma posseggono delle qualità che la razza umana potrebbe solo sognare.» Abbassò improvvisamente il tono della voce, come a rivelare un segreto. «Si vociferava di loro, nel Mondo Parallelo. Ne parlavano tutti, ma proprio tutti, ragazzi miei, e sapete perché? Perché sono la chiave per risolvere l’imminente conflitto che si sta tramandando da innumerevoli secoli a questa parte. Il Libro riporta i loro nomi così tante volte!»

«Il Libro?» si azzardò a sussurrare Shuu tra sé.

«Il Libro, primogenito dei miei vecchi zoccoli di legno, il Libro! È per questo che mi è stato ordinato di rinchiuderle nella sofferenza da quel narcisista. Che subisca l’incantesimo della coagulazione di quella megera di Kahori.»

Kanato strinse Teddy al proprio petto, il quale si lamentò appena per la morsa angusta; piegò di poco la testa di lato, scrutando la prigioniera con le palpebre spalancate e le pupille ristrette. «Quella sfera di cristallo rappresenta il dolore?»

«Non è del tutto esatto, ma far entrare il concetto nelle vostre zucche vuote sarebbe fin troppo difficile. Senza offesa, Reiji-sama. Pertanto, signorini, permettetemi di farvela breve. Questa bolla le ha risucchiate in quello che a me piace chiamare turbine di lacrime, e tutto il tempo che passeranno qui dentro sarà all’insegna dei ricordi più dolorosi che ognuna di loro possiede, e questi verranno straordinariamente amplificati. Di tanto in tanto entra in gioco anche la paura. È magia nera, uno di quegli oggetti magici che non dovrebbe assolutamente finire sul mercato. Logora le menti di chi subisce l’incantesimo, capite? Quando usciranno saranno condannate ad eterni e frequenti attacchi di panico, si rinchiuderanno perennemente in casa, non vedranno più la luce del sole, non respireranno più aria pulita e finiranno col suicidarsi dalla disperazione. Oppure, potrebbero rimanere intrappolate in questa sfera per il resto dell’eternità.» Si espresse con una risata dall’agghiacciante acutezza. «Volete la dimostrazione?»

Non vi fu bisogno di alcuna risposta. Nessuno di loro si fidava dell’anziana maga che li fronteggiava in tutta la sua aura dal sapore stravagante, ma l’espressione seria ed impassibile che aveva assunto Teddy lasciava intendere che avrebbero potuto concederle di sfiorare nuovamente il pericoloso oggetto – se, in qualsiasi maniera, avesse tentato di liberarsi dalle manette che le intrappolavano i polsi e avesse provato a darsela a gambe dalla prigione, sarebbe stato lo stesso orsacchiotto a darle il colpo di grazia. E allora in tutta fretta fecero portare la sfera che le apparteneva; con più colpi secchi di meccanismi della serratura metallica della cella aprirono la porta, per poi circondare la strega e guardarla dall’alto verso il basso.

«Ecco, bravi. Restate attorno a me. Sarà più facile per voi vedere.»

Scettico, Subaru lanciò uno sguardo carico di perplessità ai sui fratelli, senza tuttavia riceverne altri poiché tutti erano impegnati ad osservare i movimenti della donna dai poteri sovrannaturali – quale Natura? Ne esistevano di innumerevoli entro i confini dell’universo, tanto che era impossibile conoscerle tutte; quale Natura predominava sulle altre, in maniera tale da poter essere correttamente definita paranormale o addirittura divina?

«Sto per iniziare il rito» proclamò la vecchia. «Non volete chiamare Azusa-sama e l’altra ragazzina?»

Reiji rispose: «Sarebbe un’inutile perdita di tempo.»

«Per una volta sono d’accordo con il bacchettone» fece Ayato. «Qua bastiamo e avanziamo noi. Quei due possono restarsene ovunque si trovino ora.»

«Come volete. Fate attenzione a non rimanerci secchi.»

Eseguirono gli ordini senza protestare. Ognuno di loro posò una mano su una porzione di pelle della maliarda – spalle e braccia – e chiusero gli occhi, in attesa di una magia nera che non tardò ad arrivare, poiché tutti loro, in seguito a delle parole in una lingua sconosciuta pronunciate dall’unica donna presente, si sentirono scossi da un robusto soffio di vento privo di temperatura; nonostante la loro forza vampiresca, ebbero l’impressione di perdere l’equilibrio e di precipitare in un pozzo oscuro e senza fondale, eppure i loro corpi erano ben ancorati al pavimento – ad aver preso il volo era stata la loro mente, l’unica essenza che possedevano in quanto esseri della notte.

Benché avessero gli occhi ben spalancati e l’incredibile capacità di distinguere persone e oggetti in un ambiente privo di luce, quel buio era eccessivo e pareva non poterli condurre da nessuna parte. Ma tutto accadde pochi attimi dopo. Una fioca fiamma apparve dal nulla, scoppiettando timidamente e accompagnando un lontano lamento; divenne improvvisamente una vampata color sangue, bollente come proveniente dalla viscera più profonda dell’Inferno, e i versi di dolore si tramutarono in singhiozzi ben più potenti. Shuu arretrò di un passo, terrorizzato da tutte quelle fiammate improvvise, che tanto parevano vulcani eruttanti, e guardandosi attorno poté scorgere una figura inginocchiata al terreno – chi altri avrebbe potuto essere, quella fanciulla dai lunghi e ondulati capelli color prato, se non Harumi? Ma dov’era finito tutto il suo ottimismo, tutto il suo sprizzare gioia da ogni poro? Dove si nascondevano i suoi sorrisi a trentadue denti, e il suo saltellare attorno a lui per tentare di farlo ridere? La persona che gli stava davanti non sembrava essere lei poiché trasmetteva sensazioni irrequiete; scorgendola meglio, il primogenito poté accorgersi che era china su qualcuno steso, supino e circondato da della cenere soffocante: i suoi tratti erano spaventosamente simili a quelli dell’umana, ma Shuu non avrebbe potuto sapere come fossero colorati i suoi occhi perché condannati ad essere chiusi per sempre.

«Hide-nii, Hide-nii» ripeteva come un disco rotto, «non mi lasciare, non mi lasciare. Ho bisogno di te, ti prego. Mi manchi così tanto, Hide-nii.» Piangeva disperatamente, singhiozzava senza ritegno e tossiva per via del fumo, mentre la sua pelle si ustionava gravemente; si afferrò delle ciocche di capelli e le tirò, le tirò con così tanta forza da strapparsele, e urlò dal dolore fisico e spirituale – lo stava perdendo per la seconda volta. «È colpa mia» sussurrò. «Sono debole. Non riesco a proteggere chi amo. Hide-nii è morto per colpa mia.» Si voltò verso il biondo, rivelandogli gli occhi iniettati di sangue. «Non so per quale motivo sia scoppiato quell’incendio. Una trave è crollata sopra di me e mi ha bloccata. Sai cosa è successo poi? Hide-nii è tornato dentro per salvarmi. Per colpa mia Hide-nii è morto. È morto al mio posto. L’ho visto accasciarsi a terra e non rialzarsi mai più. Perché non mi ha lasciata lì dentro?»

Shuu continuò ad osservarla, scandalizzato; provò ad appoggiarle una mano sulla spalla, ma la giovane si scostò violentemente. «Stammi lontano o morirai anche tu. Lo capisci che tutto il dolore che ha provato la mia famiglia è a causa mia?»

«Harumi…»

«È TUTTA COLPA MIA!»

L’eco della sua voce si sparse tutt’attorno, placando il fuoco; lasciò spazio ad una strada asfaltata a due corsie, colma di vetture di varie taglie sfreccianti da destra a sinistra e da sinistra verso destra, ma non vi era nessun guardrail a dividere le due direzioni. I sei fratelli, nonostante fossero ancora scossi dalla precedente visione, si guardarono attorno allo scopo di capire dove la magia li avesse condotti e, a distanza di pochi secondi, notarono una ragazza in bilico tra le due file di rapide automobili; i suoi lunghi capelli scarlatti si muovevano a ritmo del vento e le sue labbra rosate sorridevano con pacatezza, mentre i suoi occhi celesti erano puntati su di loro. Subaru scattò sull’attenti, comprendendo all’istante la situazione nella quale l’umana si trovava, pertanto gonfiò il petto ed esclamò, allarmato: «Hey, Mugon, vai via di lì o finirai per essere investita!»

Kin non pose fine alla sua espressione placida e si portò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.

La sua ingiustificata calma lo fece andare maggiormente in bestia, e tutta quella sua rabbiosa preoccupazione si trasformò in prurito alle mani e sete. «Dico sul serio, deficiente! Potresti morire!»

Ma la giovane non si mosse di un millimetro; rivelando la sua voce ai sei vampiri, disse semplicemente: «Non posso cancellare qualcosa che è già successo. Il tempo passa, il corpo guarisce, la vita va avanti. Ma il ricordo è sempre lì, pronto a riaffiorare senza preavviso.»

Nessuno fece in tempo a ribattere, poiché dalla sua bocca iniziò a fuoriuscire del copioso sangue; fu questione di attimi prima che, accompagnato da un sonoro clacson, un camion dalle enormi dimensioni centrò il suo corpo e lo fece volare via, in modo tale da farlo sparire dal loro campo visivo. E il buio tornò a regnare, perforato dall’urlo del vampiro albino – era sicuro che quell’immagine sarebbe rimasta impressa nella sua mente per l’eternità.

Iniziò a fare caldo; le loro pelli e i loro organi in condizioni normali non avrebbero potuto percepire quel calore, ma quella non era una situazione normale – pertanto distinsero con chiarezza l’asfissia trasportata dall’aria. Come mai prima d’allora, i loro polmoni sentirono il bisogno di ossigeno, perciò schiusero le labbra nel tentativo di inalarne una maggiore quantità sfruttando l’ampiezza della cavità orale; nonostante ognuno di loro si vantasse di essere inflessibile dinanzi ad ogni forma di sofferenza, non riuscirono a non sentirsi in pena nel momento in cui fronteggiarono l’ennesima silhouette – era come se un mostro invisibile ai loro occhi stesse trasferendo loro l’immenso dolore che le umane stavano provando, ed altro non era che la stessa angoscia che le aveva travolte anni addietro e che i vampiri stavano imparando a conoscere. Fu per questo motivo che – impossibile se manifestati nella realtà quotidiana – ebbero paura di quegli spiritelli grigi e viola fluttuanti nell’aria, ghignanti e stridenti, i quali svolazzavano creando macabre coreografie per poi andarsi a schiantare contro il petto della ragazza dai capelli castani, che a stento riusciva a reggersi in piedi in seguito a tutti quei colpi subiti ed impossibili da schivare.

«Miki-chan» fece Kanato, mentre ignorava il disperato bisogno di respirare normalmente al fine di avanzare nella direzione della giovane, «cosa sono queste creature?»

Lei non gli rispose, ma alzò il capo per poterlo guardare; i suoi occhi erano incorniciati dalla disperazione ed erano lucidi di pianto, tuttavia a nessuna lacrima era concesso cadere, scivolarle lungo il viso e dare il via libera alle altre per evadere dalle loro ghiandole e riversarsi fuori, svuotando la ragazza da tutto il peso che era costretta a trasportare. Solo allora i fratelli notarono l’immensa pila di libri in flebile equilibrio sulla testa della giovane, e quella torre pareva non possedere una fine, traballava pericolosamente ai piani più alti ma non crollava mai; dirlo ad alta voce sarebbe stato impossibile poiché eccessivamente incoerente, ma Miki possedeva un perfetto bilanciamento del proprio corpo – o forse quella non era altro che la realizzazione di ciò che correva in giro per la sua mente? L’ennesimo fantasma si scaraventò contro di lei ma, un attimo prima dell’impatto, mutò la propria forma in un libro dall’aria importante, dalla copertina laccata d’oro e dalle pagine argentate; la giovane lo aprì, rivelando il suo principio, poi ingoiò a vuoto e si mise a leggere: «Regola numero uno, la tua vita procede a gonfie vele. Regola numero due, in quanto membro della famiglia Asano, il tuo compito è quello di prendere le redini dell’azienda fondata dal tuo avo paterno.» Le tremò la voce. «Regola numero tre, vuoi molto bene a tuo padre. Regola numero quattro, tua madre e tuo fratello sono cattivi. Regola numero cinque, ti piace studiare. Regola numero sei, sei disposta ad accettare tutto con un sorriso. Regola numero sette, non potresti desiderare di meglio. Regola numero otto, ami così tanto il figlio del banchiere che hai deciso di sposarlo.» Guardò nuovamente Kanato, per poi sussurrargli in preda al terrore: «Sto disubbidendo a tutto. Appena papà lo verrà a sapere, mi chiuderà di nuovo nella vecchia soffitta. Vuole che io sia la sua bambola.» Gli spiriti ridacchianti presero a martellarla con più insistenza e con maggiore forza, obbligandola a continuare a leggere; quel doppio volume colmo di leggi pareva ingrandirsi sempre di più, fino a quando non ne fuoriuscì una voce maschile, severa ed autoritaria – e ad udirla, la pila di tomi sospesi sul capo della ragazza precipitò e la sommerse.

Fu a quel punto che Kanato si rese conto di star piangendo istericamente, incapace di compiere qualsiasi altra azione; percepì delle braccia stringerlo e, quando si voltò per scoprire a chi appartenessero, vide che quello era il goffo risultato di una consolazione tra gemelli, mentre Teddy era ancora stretto ai suoi arti superiori, anch’egli in lacrime a causa dello spettacolo a cui avevano assistito – la pena che provava per Miki era salita fino alle stelle sospese nel cielo.

La confusione di casa Asano scomparve con il precipitare di un fulmine, seguito fedelmente dal suo tuono, ma quei due furono solo i primi di una vera e propria tempesta di saette; le suddette parevano fuoriuscire dagli occhi color ametista della giovane ragazza che tanto pareva una statua di marmo, poiché la sua figura era perfettamente immobile di fronte a ciò che stava osservando con furioso dispiacere – una larga pozza di sangue accoglieva due persone, un uomo e una donna per sempre affidati alle braccia della Morte. Se avessero aperto gli occhi, si sarebbe potuta notare l’incredibile somiglianza tra le iridi della dama e quelle della fanciulla sofferente, mentre il resto dei suoi tratti appartenevano al maschio; quei due non erano altri – non erano stati altri – che i suoi genitori e quelli di un’infante Isako, quest’ultima ancora troppo piccola per capire cosa fosse effettivamente successo. Reiji se lo stava per l’appunto chiedendo perché sinceramente interessato a scoprire a cosa fosse dovuto tutto quel dolore, nonostante fosse circondato dalla sua inclinabile corazza di fredda indifferenza; pertanto parlò: «Chi è l’assassino?»

Un potente rumore statico riecheggiò nell’aria, fino a coprire addirittura le urla del cielo tempestoso; non era un attributo da tenere segreto, quello dell’immancabile autocontrollo che l’aveva caratterizzato sin dalla tenera età, eppure in quell’esatto momento, quello in cui Selena prese a girarsi verso di lui con una snervante lentezza intrisa d’ansia, il secondogenito percepì dell'irrequietezza scivolare tra le fibre del proprio corpo. Ricevette un’occhiata traboccante di delusione e desiderio di vendetta, eppure la voce che udì fu calma. «La polizia dice che è stato un incidente. Un proiettile vagante durante una battuta di caccia. La munizione non è riconducibile a nessuna arma ritrovata nei paraggi.» Solo in quel momento i vampiri realizzarono di essere circondati da alberi di grosse dimensioni, così tanti da formare un vero e proprio bosco, al centro del quale si ergeva una casa sprizzante ricchezza da ogni parte, ma tutto era delimitato da dei nastri a righe verticali gialle e nere, di quelli appartenenti alle forze dell’ordine. Selena prese in braccio sua sorella minore e le baciò la fronte. «Ti va un buon muffin della pasticceria che ti piace tanto, Isako-nee?» fece e la bambina annuì, inespressiva.

Prima che potesse andarsene, Reiji la fermò. «I tuoi genitori sono appena morti. Non vuoi vendicarti? Non vuoi piangere in maniera patetica come farebbero tutti gli altri umani?»

La ragazza dai capelli blu lo fissò negli occhi, per poi rispondergli: «Certo che voglio, ma la mia priorità in questo momento è Isako-nee. Ma tu non potresti capirmi.»

Dai nuvoloni grigi che avevano offuscato il cielo iniziò a precipitare della pioggia di forte intensità, ricoprendo interamente l’ambiente e donandogli un sottile strato di nebbia; al posto della ragazza-genio si materializzò, in ginocchio e con la testa tra le mani, la giovane che all’interno del gruppetto delle fanciulle era quella dotata di una maggiore quantità di sarcasmo. Laito la riconobbe subito e, come se l’avesse chiamato, si affrettò ad accostarsi a lei seppur mantenendo un certo atteggiamento prudente; notò le sue spalle scendere e salire a ritmo di qualche singhiozzo dovuto alle lacrime di disperazione, quest’ultime causate da un forte e vicino eco di grasse risate e mani che l’additavano. Sulla sua pelle erano state scritte delle parole con uno o più pennarelli indelebili neri, e Laito lesse quelle più evidenti:

-Sgualdrina. -Non rubarmi il ragazzo. -Quanti altri fidanzati vuoi ancora? -Mi hai spezzato il cuore. -Troietta. -Buttati dal tetto. -Ti amo. -Nessuno ti vuole. -Sabato sera ho casa libera, vieni pure. -Stammi alla larga. -Muori. -Puttana.

«Princess-chan, sono solo delle allucinazioni. Nulla di tutto questo è vero.»

«Sta’ zitto. Tu sei esattamente come tutti gli altri» gli rispose lei con voce spaventosamente grave.

«Hey, ascolta. Sei riuscita a raccontarmi quello che è successo, ciò significa che sei riuscita a superar--» Gli morirono le parole in gola, poiché Tara aveva alzato il capo e gli aveva puntato addosso il suo sguardo, scoprendo così la sua mancanza di bulbi oculari – era raccapricciante persino per lui, che credeva di aver assistito a torture ben peggiori durante la sua secolare esistenza.

«Superare? Come si può superare qualcosa che ti viene continuamente sbattuta in faccia? Io non vivo nel passato. È il passato a vivere me.» Altre lacrime, stavolta nere come la pece, presero a colarle lungo il viso, sporcandoglielo di un peccato che non aveva compiuto. Una lettera sigillata da un adesivo a forma di cuore giaceva di fianco a lei, intatta, come se non fosse stata mai toccata, mentre un armadietto per le scarpe si materializzò poco più in là; la targa riportava il nome della giovane, ma Laito non ebbe il tempo di studiare bene la scarsa attenzione con cui era stato scritto poiché lo sportello si aprì improvvisamente, rivelando all’interno della piccola cavità del mobile una moltitudine di chiodi di grandi e piccole dimensioni, i quali crollarono sul pavimento con un rumore sordo. Apparvero anche dei crisantemi bianchi posti in un vaso di vetro trasparente, nel quale era contenuta dell’acqua per tenere in vita la flora – ma, inaspettatamente, un pesce rosso galleggiava a pancia in su a pelo d’acqua.

La pioggia battente si congelò senza un preavviso, trasformandosi in silenziosa neve; la temperatura calò drasticamente, facendo inspiegabilmente accapponare la pelle ai presenti – da quando la loro spettacolare resistenza alle temperature esterne aveva iniziato a fare cilecca? Tara scomparve, sepolta dal gelo, e pareva che nessuno fosse nei paraggi tuttavia Ayato sapeva – sentiva – che non erano da soli; difatti passava inosservata la sua figura, poiché la sua pelle era eccessivamente diafana e i suoi capelli molto chiari, ma Yui c’era, stava proprio lì, di fronte a loro, ad osservarli con le sue grandi iridi color magenta. Quando fu sicura che i sei fratelli si fossero accorti di lei, mostrò loro un sorriso morbido.

Il terzogenito la fronteggiò in poche larghe falcate e le poggiò con poca grazia entrambe le mani sulle spalle, prendendo a scuoterla con energia. «Non dire niente e non fare niente, Chichinashi. Usciamo di qui» esclamò con gli occhi sgranati, come se avesse paura di assistere ad altri eventi mostruosi.

La bionda mantenne il riso lieve e scosse la testa. «Non dirò niente e non farò niente. Dopotutto, è questo il mio passato. Il nulla.» Quell’atteggiamento a primo impatto sarebbe parso autocommiserabile, un’espressione buttata lì unicamente per assicurarsi i riflettori sulla propria persona e ricevere la pietà altrui, ma in verità non vi era traccia di intenzioni del genere in quello che aveva detto la ragazza – il suo vissuto non era stato caratterizzato da nessun evento particolare o luminoso. Era conosciuta per essere la figlia del prete di paese, per di più adottiva, pertanto nessuno le si era mai avvicinato; correva un vecchio mito per le strade della piccola città, secondo il quale Don Komori non era altri che uno sporco peccatore, una feccia, in quanto amante dei rapporti intimi tra adulti e bambini, esattamente come tutti i suoi simili – e Yui, tanto affezionata al proprio padre, dava l’impressione di essere consenziente a tale relazione. Non vi era nulla di reale in quel parlato, la bionda non era mai stata sfiorata con intenti maliziosi e, una volta cresciuta e compreso il significato di quelle malelingue, aveva numerose volte tentato di smentire quelle dicerie una ad una, tuttavia nessuno dei suoi sforzi era andato a buon fine – la davano per pazza. Entrambi, per il loro bene, si erano visti costretti ad abbandonare quel centro abitato per trasferirsi altrove, allo scopo di farsi una nuova vita in un luogo dove non erano conosciuti e dove avrebbero potuto mostrarsi per ciò che erano per davvero – una famiglia.

Ma ciò che Ayato poteva vedere era l’opposto dell’innocenza; Yui era caduta, si era accasciata al terreno su un fianco e aveva iniziato a dimenare gli arti e a ruotare a desta e a sinistra, mentre dalle sue labbra sottili fuoriuscivano gemiti di dolore mischiati a suppliche di aiuto; dalle sue parti intime e dalle sue narici colò del sangue appena nell’aria si riuscì ad udire dei versi maschili, quest’ultimi intrisi di piacere, goduria, lussuria, peccato. In un’altra situazione il vampiro non avrebbe battuto ciglio a quella scena, forse si sarebbe addirittura divertito poiché artefice del suddetto atto immorale, ma in quel momento provò una forte rabbia nel vedere Yui trattata in quel modo, sofferente, violata; lei lo guardò per l’ennesima volta, come se avesse voluto scusarsi per lo spettacolo che stava dando. La massima espressione della sofferenza si dipinse sul suo volto poco prima che lei dicesse: «Lo sogno ogni notte. E se tutto questo fosse accaduto per davvero?»

Né Ayato né tantomeno i suoi fratelli ebbero modo di reagire poiché un forte tornado spazzò tutto via, compresi loro stessi, poiché pochi attimi dopo si ritrovarono nuovamente nella cella dove la vecchia strega era imprigionata; Kanato riprese a piangere e Subaru cadde in ginocchio, tenendosi la testa tra le mani, mentre Ayato, Laito e Reiji rimasero in silenzio, privi del coraggio di dire qualcosa. L’unico ad agire fu – inaspettatamente dai suoi coetanei – Shuu, forse colto improvvisamente dallo spirito del fratello maggiore incaricato di prendere le redini della situazione; si avvicinò alla portatrice di magia nera e la guardò dall’alto verso il basso con occhi truci. «Falle uscire subito.»

E così fu fatto.

 

 

***

 

 

Quanti minuti erano passati da quando si era accomodata a gambe incrociate sul freddo pavimento, dinanzi a quella superficie riflettente priva di aloni o tracce di sporco? Continuava a fissare la propria immagine, in particolar modo i propri occhi grandi e chiari, mentre in cuor suo la fioca fiammella di speranza lottava per non spegnersi dinanzi all’ovvietà – e pensava incessantemente al proprio nome e cognome. Con suo sommo dispiacere si era dovuta spogliare del proprio abito da sera e si era dovuta munire di pigiama per essere adatta a schiacciare un pisolino, il quale tuttavia si era trasformato in una vera e propria dormita durata fino allo spuntare dei primi raggi di luce mattutini; tuttavia, poiché appartenente ad un vampiro, il modesto appartamento che l’avrebbe accolta per il resto della sua permanenza a Vamutsuchiin era ancora immerso nell’oscurità a causa delle tende, le quali coprivano con estrema precisione le vetrate della casa di Azusa. Nonostante fosse ancora parecchio assonnato perché non aveva chiuso occhio data la sua intensa preoccupazione per le sue amiche umane, proprio quest’ultimo si alzò dal proprio giaciglio e a piedi nudi e silenziosamente, come solo una creatura della sua razza era in grado di essere, raggiunse la sua ospite – poco tempo prima l’aveva sentita, aveva sentito i suoi passi calmi e pesanti gironzolare per la stanza che aveva velocemente preparato per poterla mettere a sua disposizione per un numero di giorni ancora incerto. E la vide lì, intenta a specchiarsi con aria assorta, come se stesse ragionando su cosa sarebbe stato meglio fare in una determinata situazione – quale poi? Si accovacciò pertanto accanto a lei, e soltanto in quel momento Aya parve accorgersi della sua presenza; disse pertanto: «Azusa-kun, non pensavo fossi sveglio.»

Lui si scompigliò appena i capelli. «Non ho dormito molto, in realtà.»

«È per loro, vero?» Non ebbe bisogno di alcuna risposta. «Perché ci tieni così tanto?»

Il vampiro sospirò leggermente e, con la sua usuale pacatezza, iniziò a parlare: «Eve è stata la mia prima amica quando mi sono stabilito tra gli umani, fingendomi uno di loro. Mi ero ripromesso di non affezionarmi a nessuno dei mortali, ma poi ho incontrato anche Harumi e le altre ed io--»

«E hai imparato a voler bene a qualcuno che non appartiene alla tua razza» lo interruppe, aggiungendo alle sue parole un lieve sorriso.

«Già.»

Forse sarebbe stato un tasto dolente da toccare, ne era consapevole, tuttavia il suo intero corpo aveva iniziato a tremare d’impazienza non appena quel pensiero le aveva sfiorato la mente, lottando per poter essere pronunciato; accontentò la propria voglia e schiuse le labbra. «Non hai mai voluto bere il loro sangue?»

Azusa rimase per qualche attimo in silenzio, ma poi si decise a rispondere: «In ogni momento passato con loro. Non ho mai desiderato il loro male, ma allo stesso tempo la sete mi faceva bruciare intensamente la gola.»

«E adesso?»

Il vampiro la fissò negli occhi, alla ricerca di una risposta al suo più attuale quesito: rivelarle la verità o tenerla per sé, come aveva fatto per tutti quegli anni? Non disse nulla poiché non ce ne fu bisogno; vide Aya girarsi completamente verso di lui senza interrompere il contatto visivo, per poi scostare da un lato tutta la sua lunga cascata di capelli neri in modo da scoprire il collo chiaro e contemporaneamente portargli una mano alla testa, avvicinandola poi alla propria pelle scoperta, il tutto con un’estenuante lentezza. Azusa si trovò così a sfiorare la gola della ragazza con le proprie labbra, ma si obbligò a restare immobile, dicendo solo: «Cosa stai facendo, Sakamoto-san?»

«È la tua natura, Azusa-kun. Non ignorarla.»

«Ti farei del male. Ho vissuto con gli umani, sono diventati miei amici. Non posso farlo.»

Lei gli mostrò un sorriso entusiasta. «È un dolore che ho sempre voluto provare.»

Il ragazzo si zittì, improvvisamente attratto da quel distorto senso di masochismo, il quale tanto pareva essere lo stesso che albergava all’interno del suo cuore da quando non era altro che un bambino, e fu allora che si rese conto che quell’umana avrebbe potuto soddisfare i suoi bisogni senza permettergli di sentirsi in colpa. «Grazie» le sussurrò, per poi azzannarla e sentendo in bocca il sapore del sangue, che tanto gli era mancato durante quei decenni di astinenza. La sentì gemere, colta da un intenso bruciore mai provato prima d’allora, e ancorarsi alle sue spalle nel disperato tentativo di non tirarsi indietro, in modo tale da godere appieno di quella sofferenza fisica di cui tanto aveva sentito parlare nei libri e nei film, uno strazio carnale che non avrebbe potuto definire a parole poiché nessuna di esse sembrava essere all’altezza di quella pena che tanto avrebbe giovato alla salute di lui, ancora intento a dissetarsi col più dolce dei beveraggi che avesse mai assaggiato; riusciva a percepire ogni singola goccia del sangue di Aya baciargli le papille gustative e stordirle piacevolmente, per poi scivolare giù per la gola e distribuirsi in tutto il proprio corpo – non si era mai sentito tanto forte come in quel momento – e faceva ben attenzione a non lasciare che nessun sorso, neanche il più piccolo, fuoriuscisse dalle sue labbra e colasse via. Avrebbe potuto descrivere l’essenza della giovane come paradisiaca e più beveva più desiderava averne ancora, ma un barlume di lucidità illuminò la sua mente annebbiata, spingendolo a staccarsi dalla carne della fanciulla. Le scrutò il volto, ancora contorto dalla tortura, ma non provò alcuna pietà; piuttosto disse fra sé e sé: «Adesso torna tutto.»

Aya tornò a guardarlo, ignorando l’immensa fitta che si estendeva fino alla spalla. «Cosa intendi?»

Azusa sorrise, come soddisfatto di qualcosa. «Il tuo sangue non è normale, bensì molto più buono rispetto a quello degli altri umani, nonostante i miei ricordi riguardo quei lontani tempi siano sfocati» fece, rammentando l’epoca in cui ancora succhiava via il cruore dei comuni mortali. «E se ciò che penso è giusto, allora si spiegherebbe anche perché non sei riuscita a completare il rituale dello specchio dai Sakamaki.» Guardò il collo di lei e aggiunse: «E perché la tua ferita si sta già rimarginando.»

La mora avrebbe voluto saperne di più, ma si ritrovò con la schiena a contatto con il gelido pavimento della stanza, e la sua pelle si ricoprì di brividi; a cavalcioni sopra di lei, il vampiro parve essersi improvvisamente rilassato e lasciatosi andare al suo istinto da predatore. Mentre i suoi occhi scrutavano un ghigno che mai avrebbero potuto dimenticare, la ragazza si sentì dire: «Aya-sama, dimmelo ancora. Ti piace il dolore?»

 

 

***

 

 

Mosse il collo a destra e a sinistra, provocando diversi schiocchi delle vertebre cervicali. «No.»

La voglia di urlare s’impossessò di ogni fibra del suo corpo, ma Yui accarezzò piano la sua spalla per infonderle coraggio. «Capisco il tuo nervosismo, Selly, ma ricorda che con la calma si ottiene tutto.»

«Già, Testa Blu, Chichinashi ha ragione. E poi non ti conviene sboccare in presenza del pinguino qui di fianco.»

«Il tuo bon ton peggiora di giorno in giorno, Ayato» rispose Reiji, nonostante la sua apparente indifferenza all’insulto fosse tradita da un vistoso nervo gonfio al centro della sua fronte.

Selena ignorò l’imminente battibecco tra vampiri e le risate sguaiate di Harumi e Kanato per restare concentrata sulla vecchia che aveva di fronte; si schiarì di poco la voce e disse: «Kotone-sama, le ripeterò ancora una volta la mia richiesta. Ci spieghi perché ci ha rinchiuse in quella sfera di cristallo, chi era l’uomo che era con lei la scorsa notte, chi è stato a mandarvi e cosa sta succedendo nel Mondo Parallelo.» Aggiunse: «Per favore.»

La strega voltò la testa di scatto per sputare a terra e, quando tornò a guardare il viso della ragazza-genio, fece la linguaccia. «Ed io ti ripeterò ancora una volta che non ho intenzione di farmi scappare niente. Vuoi capire sì o no che se parlassi potrei rimetterci la pellaccia, signorina?»

Imitando Selena, Miki si inginocchiò di fronte alla strega con Teddy aggrappato alla sua schiena. «Perché qualcuno dovrebbe ucciderla?»

«Non ci arrivi da sola, stupida che non sei altro?» le rispose la maga imitando la voce acuta della castana. «Loro non saranno certamente degli indovini, ma sanno che sono rinchiusa qui poiché non ho fatto ritorno alla loro base. E una volta qua, capirebbero immediatamente se ho vuotato o no il sacco. Basterebbe osservare il comportamento di Karlheinz e delle sue truppe.»

Tara roteò gli occhi al cielo. «Esistono le strategie di guerra, non lo sa?»

«Tieni a freno quella lingua, ragazzina. Se solo avessi qui con me la mia bacchetta, ti avrei già fatto passare la voglia di essere così insolente.»

Laito si mise a ridere di gusto, per poi dare un bacio a stampo sulle labbra della sua fidanzata. «Ti sei ripresa in fretta dal trauma, amore mio.»

La rosa si scansò – come d’abitudine – con in viso un’espressione disgustata. «Che schifo, non mi chiamare più in quel modo.»

«Coraggio, coniglietta, non fare la timida. So che ti piace essere chiamata con questi nomignoli.»

«Azzardati a rivolgerti a me con un altro dei tuoi soprannomi e il tuo anello di fidanzamento te lo ritrovi nel cu--»

«Silenzio! Sto tentando di negoziare!» quasi urlò Selena, iniziando a cedere allo stress. Tornò a rivolgersi alla strega. «Che ne dice, affare fatto?»

La prigioniera annuì. «Così si ragiona. Affare fatto» disse, per poi stringerle la mano per sigillare quel patto.

Reiji si avvicinò alle due, scostando in malo modo Miki, la quale finì ai piedi di un Kanato al limite dell’isteria – lo capì e pertanto si affrettò ad abbracciarlo; afferrò la blu per un braccio e la costrinse ad alzarsi da terra, in modo da poterla guardare meglio negli occhi. «Non l’hai veramente fatto.»

«E invece sì. È l’unico modo per ottenere risposte, Reiji-san.»

«Qualcosa mi dice che ne vedremo delle belle» sussurrò Teddy a Kanato, il quale annuì.

Il vampiro intensificò la stretta della mano e digrignò i denti. «Convincila con un altro stratagemma. Ora.»

Lei negò col capo. «Non posso. Ormai gliel’ho promesso, e le promesse non si infrangono.»

«Sì che si possono infrangere. Se continuerai ad agire con questo buonismo non sopravvivrai ancora a lungo, Wada.»

Selena tentò di liberarsi dalla morsa, ma invano. Sibilò: «Pensavo che volessi questo. Che morissimo tutte.»

«Mettitelo in testa. Non possiamo liberarla.»

«Perché? Non ha ucciso nessuno, ha solo dovuto seguire gli ordini di un folle che trama contro voi vampiri. È una vittima anche lei.»

«Ha mancato di rispetto al re e ai suoi ospiti. La Legge prevede l’esecuzione nei casi più gravi.»

La giovane serrò la mascella e lo fissò con il suo sguardo autoritario. «Falla uscire. Abbiamo bisogno di risposte, lo vuoi capire o no?»

Kotone s’intromise nel discorso dicendo: «Già, Reiji-sama, fammi uscire.»

Il vampiro le scoccò un’occhiata intimidatoria. «La prego di fare silenzio, madame.» Le sue pupille tornarono a concentrarsi su Selena. «Sei tu ad avere bisogno di risposte, non noi. Il re è circondato da fedeli spie e messaggeri, pertanto è già a conoscenza di tutto ciò che c’è da sapere. Non c’è bisogno che parli una prigioniera.»

«Magari la prigioniera potrebbe dire qualcosa di nuovo, non credi?»

«Voi due, chiudete quelle bocche.»

Seguiti dagli altri presenti, i due litiganti si voltarono verso la voce che avevano udito e realizzarono che ad aver parlato era stato Shuu, seduto comodamente per terra e con la schiena appoggiata ad una delle pareti, a destra della strega incatenata. Con rabbia crescente dentro di sé, Reiji gli chiese con apparente pacatezza: «Come hai detto?»

Shuu si passò una mano tra i capelli per poter pigramente giungere alla nuca, in modo da grattare via il fastidioso prurito stanziato in quel punto. «Ho detto che dovete stare entrambi zitti. Mi farete venire mal di testa se continuate così.»

Il terzogenito diede delle gomitate scherzose a Yui. «Questa non me la voglio affatto perdere.»

«Ne Ayato-kun» fece Laito, «secondo te chi vince tra i due?»

«Shuu senza ombra di dubbio.»

Intervenne Harumi mettendosi in mezzo a loro. «Non mettete carne a cuocere. Reiji lo vedo già abbastanza nero.»

«Sono d’accordo con lei» disse Tara passandosi la mano destra sul braccio sinistro. «E poi voglio tornare a casa e togliermi questo vestito» aggiunse riferendosi all’abito da gala che indossava ancora, esattamente come le sue amiche e come i vampiri.

«Se vuoi ti porto nelle mie stanze, così potrei aiutarti a tog--»

«Taci, depravato.»

La loro attenzione fu presto catturata nuovamente dal maggiore dei figli di Karlheinz, il quale si alzò da dov’era precedentemente accomodato e si avvicinò al fratello minore. «Farla rimanere qui non avrebbe senso. Se il nemico la considera importante sicuramente farebbe di tutto per riaverla indietro, e nostro padre non vuole conflitti diretti nella capitale.»

Al contrario del primogenito, Reiji rimase al proprio posto. «Non possiamo sapere se questa donna è di fondamentale importanza per loro. Se fossero spietati come ci vogliono far credere, certamente non si preoccuperebbero di lasciarla qui, in balia del suo destino.»

«Appunto, non possiamo saperlo. È un cinquanta e cinquanta.» Fece una breve pausa, giusto il tempo di selezionare una melodia diversa dal suo MP3. «In entrambi i casi, la scelta migliore è quella di lasciarla andare. Se quelli la rivogliono indietro, possono andarsela a prendere ovunque scappi e morirebbe lo stesso, senza però dare noia a noi. Se non si curano affatto di lei, continuerebbe a vivere lontano di qui e ci sarebbe riconoscente a vita.»

«Ma Karlheinz--»

«Karlheinz ha altre questioni per la testa. Una prigioniera in più o in meno non gli cambierebbe di sicuro l’esistenza, piuttosto sarebbe un’inutile perdita di tempo.»

Umiliato – ecco come si sentiva; come poteva il più incapace dei suoi fratelli mettersi nei panni di un’autorità al fine di dettare ordini dopo essere stato assente e menefreghista per anni ed anni? Aveva dovuto occuparsi di tutte le faccende riguardanti la loro magione a causa dell’inadeguatezza del biondo, e ciò che aveva ricevuto e che stava continuando a ricevere non era altro che odio, dispetti, discussioni, rabbia, opposizioni – e l’ira in cuor suo aumentava di giorno in giorno. Non avrebbe voluto scappare, aveva voglia di mettere fine all’esistenza del maggiore, ma avrebbe inesorabilmente peggiorato la situazione e non avrebbe fatto altro che firmare la propria condanna a morte, pertanto fece appello al suo migliore amico – l’autocontrollo – per poter superare anche quel momento di forte instabilità. «Bene» disse avanzando verso l’uscita della cella, «e sia. Vado dalle guardie per chieder loro le chiavi delle manette. Successivamente andrò a cercare Subaru.» I suoi occhi iniettati di silenzioso disappunto furente si posarono su Selena. «Le umane faranno bene a tornare all’appartamento per riposarsi. Non vorremmo morissero prima del previsto.» E lasciò le prigioni.

Miki e Yui si guardarono a vicenda con timore, quasi avessero voluto trovare risposte l’una nella mente dell’altra, mentre la risata agghiacciante della strega si faceva largo nelle loro orecchie e in quelle degli altri presenti; si concentrarono nuovamente su di lei, la quale proclamò: «Complimenti, l’avete fatto cedere. A questo punto va rispettata la seconda metà del patto.» Restò qualche attimo in silenzio, come se avesse voluto tenerli sulle spine; guardò le ragazze con un ghigno in volto. «Non mi interessa chi sarà così incosciente da farsi avanti, ma entro le sei di domani sera una di voi dovrà aver raggiunto il villaggio di noi streghe.»

«Hey, hey, vecchia decrepita frena!» esclamò Ayato. «Se una di queste viene nel vostro covo, cosa le farete? La mangerete?»

La fattucchiera allargò il sorriso sinistro. «Può darsi.»

Il rosso deglutì e cinse con forza le spalle della bionda di Chiesa, accostandola maggiormente al proprio corpo. «Chichinashi, tu non andrai.» Quelle parole parvero quasi una supplica e Yui si intenerì; non poté fare altro che ricambiare l’abbraccio del vampiro mentre scuoteva la testa.

«Dove si trova il vostro villaggio?» domandò la ragazza-genio.

«Non posso darvi le coordinate precise perché va contro la nostra Legge» rispose l’anziana, «ma chi deciderà di farsi avanti riuscirà senza dubbio a trovarci.»

S’intromise Harumi. «E come?»

«Bamboline, in mezzo a voi c’è la Prescelta. Colei che è stata citata nel Libro saprà riconoscere la strada.»

Tara smise solo per un attimo di mordicchiarsi l’unghia del pollice destro. «Non fa prima a dirci chi tra noi è la Prescelta?»

«Certo che sei cretina» le disse la strega. «Il Libro non riporta esplicitamente i nomi delle creature, piuttosto le descrive.»

«E non si può avere la descrizione allora? In questo modo sapremo riconoscere la persona alla quale si sta riferendo, dato che ci conosciamo bene» continuò la rosa. «E la fortunata avrà tempo per prepararsi psicologicamente.»

«Fammi un piacere. Chiudi quella bocca» le intimò la maga, per poi buttare un occhio alla porta e alzare il mento, come ad accennare un saluto. «Finalmente si intravede qualche guardia.»

 

 

***

 

 

Si era quasi dimenticata di quanto facessero male i canini di Subaru poiché erano giorni che il vampiro l’aveva risparmiata dal suo morso; probabilmente ciò risultava essere solo frutto della sua immaginazione, ma le sembrava che la presa dell’albino si fosse intensificata come a chiederle di non andarsene, di non farsi investire di nuovo, di non essere nuovamente sbalzata violentemente via.

Avvertì un mancamento e trattenne il respiro, ma si rilassò nell’istante in cui lui si staccò dalla sua pelle, forse perché aveva percepito il malessere della ragazza; le lasciò quindi il tempo necessario per riprendersi e per tornare a riempire normalmente i polmoni, per poi tuffarsi una seconda volta su quel collo roseo. Avrebbero dovuto entrambi essere nelle segrete del castello per assistere al colloquio con la strega tuttavia Subaru, appena aveva scorto Kin fuoriuscire da quella sfera di cristallo sana e salva, si era quasi gettato su di lei e aveva utilizzato il teletrasporto per fuggire verso le sue stanze, in modo da godere finalmente della presenza terrena della giovane e del suo sangue senza essere disturbato da nessuno. Una goccia di liquido scarlatto scivolò via dalla bocca del vampiro e percorse il corpo dell’umana, passando al di sotto della stoffa dell’abito e lui la lasciò volutamente scappare, poiché tutta la sua attenzione si era improvvisamente concentrata sulle labbra della fanciulla; arrossì, ricordandosi di averle già assaporate con avidità, ma senza neanche rendersene conto si era precipitato su di esse ancora una volta – realizzò in seguito che in quel modo Kin avrebbe assaggiato il proprio cruore. Faticava persino ad ammetterlo a se stesso, ma quando aveva un contatto diretto con quella ragazza Subaru si sentiva bene, riusciva a dimenticare il luogo in cui si trovava e il suo passato, sorvolava su tutti i problemi e sulle città, sulle praterie, sui boschi e vagava, vagava ancora verso la Luna, quel satellite pallido e scintillante che era in grado di risvegliare i suoi istinti più nascosti.

«Abbi un minimo di contegno. Le donne devono tornare alla propria abitazione.»

Persino la voce di Reiji gli apparve lontana nonostante fosse provenuta da soli pochi metri di distanza; l’albino aprì un occhio e lo guardò torvo, senza tuttavia smettere di carezzare con la propria bocca quella della ragazza, la quale aveva ancora le palpebre calate e le mani ancorate alle spalle del vampiro.

Il secondogenito si raddrizzò gli occhiali sul ponte del naso e sospirò. «Cerca di sbrigarti.» Uscì dalla stanza e lasciò i due da soli.

 

 

***

 

 

Srotolò velocemente la carta sul tavolo adiacente al cucinotto. «Questa è la mappa di Vamutsuchiin. L’ho trovata in uno dei cassetti dell’armadio in camera» disse Selena. «Dobbiamo studiarla da cima a fondo per almeno provare a ipotizzare dove si trova il villaggio delle streghe.»

«Ma come facciamo?» chiese Yui. «Kotone-sama ha detto che la Prescelta sarebbe stata guidata dal proprio istinto.»

Tara assentì. «Già. E come capiamo chi tra noi è la Prescelta?»

La blu notò i segni del morso di Subaru sul collo della ragazza dai capelli rossi e le sue labbra gonfie, ma ignorò il tutto volutamente. «Credo che non ci sia di mezzo nessuna predizione.»

Miki s’intromise nel discorso. «E come fai ad esserne sicura?»

«Escluderei la presenza di un certo tipo di spiritualità in un mondo abitato da vampiri e mostri vari. Secondo me dovrebbe andare chi tra noi è più predisposta per affrontare delle creature magiche.»

Il volto di Harumi s’illuminò grazie ad un sorriso a trentadue denti; portò la mano verso l’alto come se si fosse trovata in un contesto scolastico, poi parlò: «Voglio andare io, Selly! Mi piacerebbe davvero tanto avere a che fare con la magia.»

«Harumi-san, rifletti» le rispose Selena. «Non si tratta solo di incantesimi, ma anche e soprattutto di resistenza psicologica. Non voglio sminuirti, ma il tuo entusiasmo potrebbe cacciarti nei guai.»

Kin incrociò le braccia al petto e roteò gli occhi al cielo; Tara la notò e la indicò con un pollice. «Sono d’accordo con lei. Stai facendo questo discorso perché muori dalla voglia di andarci tu.»

Le goti della ragazza-genio si tinsero appena d’imbarazzo, tuttavia tentò di nasconderlo con un sonoro colpo di tosse palesemente finto. «Sì, tra di noi sarei la più gettonata, lo ammetto.» Tornò a rivolgersi alla ragazza dai capelli verdi. «Harumi-san, vorrei che tu badassi alle ragazze mentre sono via.»

L’atleta annuì vigorosamente. «D’accordo, lascia fare a me. Sai quanto tempo ci vorrà?»

Negò col capo. «Purtroppo no, ma tenterò in ogni modo di farvi ricevere mie notizie.» Piegò la cartina geografica colma di dettagli in più parti. «Partirò domani verso mezzogiorno, così avrò abbastanza tempo per scovare il nascondiglio delle streghe. Un’idea già ce l’ho.»

«Selly.» Tutte le altre presenti si voltarono verso di lei. «Vorrei andare io.»

Dopo esattamente quattro secondi privi di sonoro, Yui la afferrò per la parte superiore delle braccia, scuotendola appena. «Hai idea di quello che potresti passare, Miki?»

L’occhialuta si lasciò scrollare. «Certo che lo so. E vorrei davvero andare. Per favore, ragazze.»

Tara le si avvicinò e le poggiò una mano sulla fronte. «Devi per forza avere la febbre per parlare in questo modo. Non ti sei mai comportata così.»

La castana rispose: «Posso assicurare di stare benissimo. Io», tentennò appena, ma poi ignorò il tremolio al labbro, «vorrei rendermi utile, per una volta. Siete sempre voi a farvi in quattro, mentre io… Io non ho mai avuto l’occasione per ricambiare.»

Selena sospirò dolcemente, intenerita dalla voce timida dell’amica; fece qualche passo verso di lei e le poggiò una mano sulla spalla. «Il tuo è un bel pensiero e tutte noi lo apprezziamo. Sei una brava ragazza e ci fidiamo di te.»

Miki sorrise con gioia mentre nelle fibre del suo corpo percepì l’irrefrenabile voglia di esultare a gran voce; la sua mente iniziò a vagare tra gli ipotetici futuri, calcolava le probabilità di successo e queste risultavano sempre positive grazie alla sua determinazione e, nonostante fosse spaventata da quello che avrebbe dovuto affrontare – cosa avrebbe dovuto affrontare? –, non poté fare a meno di preparare una lista mentale di motivazioni da ripetersi nel momento del bisogno, quando avrebbe dovuto combattere per avere salva la vita. Sarebbe andato tutto per il meglio.

«Ma è meglio che tu resti qui.»

Immobile. Immobile il tempo, immobile lo spazio, immobile lei. Un orecchio aveva preso a fischiarle e ben presto anche l’altro. Solo una parola si muoveva nella sua testa. «Perché?»

Selena tornò tra Harumi e Kin. «È proprio perché non hai mai avuto modo di fare niente che non puoi andare. È troppo pericoloso per te.» La buttò sul ridere. «Sarebbe come obbligare Cappio al collo a non prendere in giro Reiji-san per un intero mese.»

Yui, amareggiata, giunse le mani in posizione di preghiera. «Capisci, vero? Le tue buone intenzioni sono ammirevoli, ma è meglio che se ne occupi Selly.»

L’atleta dai capelli verdi le diede man forte. «Già, proprio così. E poi, Barattolino di miele, il tuo compito sarà quello di aiutarmi a mandare avanti questa baracca. Ci serve qualcuno che cucini, e sappiamo entrambe che Tara e Kin sono impedite. Non vorrai lasciare Yui da sola, spero.»

La rosa ignorò le parole di Harumi e disse: «Per non dimenticare il principino isterico. Quello impazzirebbe se tu te ne andassi e farebbe una strage. Non voglio morire per mano sua. Sei l’unica persona al mondo in grado di placare le sue sfuriate. Che fai, vuoi buttare questo talento?»

Miki le scrutò una ad una con i suoi occhi blu; non si arrabbiò, non si oppose né pianse, ma sorrise. «Avete ragione, ragazze. Se voglio rendermi utile è giusto che io stia qua.» Rise appena. «Il mio momento di gloria arriverà. Fino ad allora impedirò a Kanato-kun di farvi fuori.»

Selena la abbracciò energicamente. «Grazie per aver capito.» Si rivolse poi alle altre presenti: «Forza, ragazze, si è fatto tardi. Andiamo a dormire.»

 

 

***

 

 

L’appartamento era immerso nel buio delle tende di velluto spesso ed era facile udire il leggero russare di Harumi provenire dal salotto. Gli anni passati a sgattaiolare via di casa le erano serviti per sviluppare l’abilità che stava sfruttando in quel momento, ovvero quella di camminare in punta di piedi senza produrre il minimo rumore. Con massima discrezione e nonchalance qualche ora prima, mentre le altre giovani si preparavano ad andare a letto e scherzavano tra loro, aveva raggruppato alcuni vestiti e oggetti essenziali per partire alla volta di una meta ignota e forse inesistente, con la consapevolezza di perdere la fiducia delle sue amiche e di mettersi nuovamente contro Kanato – ma lei sentiva di dover andare; non le importava se era stanca e se aveva un disperato bisogno di dormire, poiché non le sarebbe mai più capitata quell’occasione. Controllò nuovamente che la casa fosse immersa nel mondo dei sogni e lasciò due fogli di carta sul tavolo della cucina; prima di uscire dall’uscio principale si guardò indietro l’ultima volta, beandosi della vista del romanzo preferito di Tara abbandonato ai piedi del divano dove dormiva l’atleta, quest’ultima con la bava alla bocca, e poi la felpa di Kin sull’appendiabiti, le scarpe di Yui all’ingresso e il borsone di Selena accanto ad esse, già pronto per l’indomani. Pensò che probabilmente non avrebbe mai più potuto vedere quell’allegria contagiosa poiché consapevole di dirigersi verso la dimora della Morte, ciononostante provò a convincersi che sarebbe andato tutto per il meglio se la sua voglia di tornare dalle persone amate sarebbe stata più forte del nemico; pertanto, per proteggersi dal freddo notturno, indossò un maglione fin troppo largo per il suo corpo esile e si mise lo zaino in spalla, per poi abbandonare l’abitazione forse per sempre. Si riversò in strada e osservò la Luna dominare il cielo nonostante l’alba fosse ormai prossima.

«Ragazze, scusatemi» disse in un sussurro, come se fosse ancora intimorita dalla possibilità di svegliarle. «Aspettatemi.»

Non si accorse che una lacrima le aveva rigato il volto. «Kanato-kun...»

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Più questa storia va avanti, più diventa difficile completare le stesure; è da novembre che sto lavorando a questo capitolo e l’ho finito solo poco fa! Spero che la lettura sia all’altezza della vostra pazienza, mie care lettrici – cosa ne pensate? Lasciate una recensione ^^

Qui abbiamo scoperto il passato delle OCs, abbiamo conosciuto una (ex) collaboratrice di chiunque si nasconda nell’ombra, abbiamo visto Azusa-kun (ZUZU-CHAAAANN) lasciarsi andare alla sua natura e abbiamo assistito ad una pericolosa scena di ribellione. Cosa accadrà nel prossimo capitolo? Lo scoprirete solo continuando a seguire questa long ;D

Ruki: I tuoi tentativi di creare pathos sono imbarazzanti. E dopo tutto questo tempo credo sia giusto dare alle lettrici ciò che vogliono. Sai di che parlo.

Ascolta, Rukola, qui comando io e pertanto non ho alcuna intenzione di--

Ruki: Bestiole, nel prossimo capitolo qualcuno va fuori gioco. E il qualcuno in questione è--

ZITTOOOO-- *lo colpisce con una padella in modo da farlo svenire* Ehm, a presto ^^’

-Channy

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Capitolo 28
*** Away, Portrait and Three ***


AWAY, PORTRAIT AND THREE.

 

 

«Capo, ci sono novità!»

Pochi istanti dopo la porta della camera, che era stata spalancata improvvisamente, urtò la parete vicina e produsse un conseguente forte rumore; l’unico individuo presente nella stanza sobbalzò e lasciò cadere con un tonfo le cuffie rosse che indossava. «Cretino! Quante volte ti ho detto che devi bussare?» Il suo sottoposto, mortificato ma avvezzo a tale scenario, fece per inchinarsi al fine di chiedere il perdono, prima di essere interrotto da un cenno di mano. «Lascia perdere le scuse e dimmi piuttosto di che novità parli.»

Si sistemò allora ben diritto sul posto, fece qualche passo all’interno della camera e si schiarì appena la voce. «Un bulbo ha individuato un movimento inaspettato nell’area tre.» Gli porse uno dei fogli che reggeva con le mani, per poi puntare un dito su un punto specifico della carta. «Esattamente qui.»

Il superiore diede un’occhiata fugace a quella che si era rivelata essere una mappa, riconoscendo subito le zone. «Ma questa è la foresta Haidoku» osservò. «Cosa c’è di insolito?»

«Si tratta dell’Obiettivo Sei. Si sta muovendo, ed è solo.»

Un riso divertito si levò nell’aria. «Sta per caso cercando di ammazzarsi?! Che idiota!»

«Non crede che potrebbe essere un’esca del nemico?»

«Non essere stupido. Karlheinz certamente non si farebbe scrupoli nel sacrificare le sue pedine, ma ora come ora sarebbe una mossa troppo intuibile. È un grande stratega, non si abbasserebbe mai a questi livelli.»

«E allora cosa sta succedendo?»

«Se dovessi tirare a indovinare», fece il master, «direi che le cose non stanno andando come previsto nella Capitale. Tuttavia», fece una breve pausa, «credo che per questa faccenda sia meglio chiamare qualcuno di più ferrato. Sai cosa intendo, vero?»

Il tirapiedi accennò un ghigno. «Provvedo subito, mio Signore.»

«Oh, non fare nulla» gli venne detto, questa volta con un sorriso sinistro maggiormente largo. «Preferisco occuparmi personalmente di questa occasione più unica che rara.»

Detto ciò, compose un numero di telefono.

 

 

***

 

 

Nonostante quell’appartamento fosse di dimensioni notevolmente ridotte, tanto da non consentire a tutte le presenti di godere di un giaciglio comodo sul quale dormire e riposarsi, le ormai coinquiline avevano fatto numerose volte il giro dell’abitazione perché prese da un’impellente sensazione di ansia; appena si erano accorte dell’assenza di Miki avevano iniziato a mettere sottosopra ogni stanza per scartare l’ipotesi della fuga – teoria che tuttavia, in pochi istanti, venne tragicamente confermata. Lasciatasi sopraffare dalla foga della ricerca, Yui aveva persino alzato l’unico tappeto presente confidando nell’esistenza di una botola, conducente a sua volta ad una cantina segreta, bensì fosse un ragionamento privo di qualsiasi possibilità fisica. Le cinque avevano letto più volte il biglietto che la loro coetanea aveva lasciato loro – Devo farlo io. Spero possiate perdonarmi – e avevano rinvenuto anche la lettera destinata al vampiro a lei più affezionato, giungendo alla conclusione comune di non leggerla per rispettare la privacy dei due. «Pensate che l’isterico non se ne accorga, se sbirciamo? Sinceramente non sono in vena di altre catastrofi» aveva suggerito Tara poco prima, per poi riporre la carta nella borsa che avrebbe portato con sé.

La loro intenzione era, difatti, dirigersi al castello reale per informare i Sakamaki dell’accaduto, o semplicemente per trovare insieme una soluzione qualora fossero già al corrente della fuga di una di loro; durante il tragitto non persero l’occasione di guardarsi attorno e scrutare i passanti – benché pochi a causa della luce diurna – nella speranza di trovare tracce della compagna, il più banale degli indizi per avere una pista dalla quale partire. Tuttavia non s’imbatterono in nulla, fatta eccezione per le occhiate cariche di pregiudizi dei non-morti alle quali tentarono di rispondere con la maggior quantità d’indifferenza possibile; nonostante fossero tutelate dal choker della famiglia regnante – il quale pareva far materializzare uno scudo attorno ai loro corpi –, la paura di essere attaccate spinse loro a proseguire a passo svelto lungo la strada e, pertanto, giunsero a palazzo in un arco di tempo minore rispetto a quello delle aspettative. Il portone principale in ferro venne aperto da uno dei sorveglianti – il quale le aveva riconosciute dall’odore – appena loro furono nei paraggi, pertanto fecero il loro ingresso a Corte senza troppe cerimonie; e se alla magione dei fratelli vi era un silenzio perenne, in quei corridoi e in quelle sale la mancanza di vita era quasi assordante, producente un fastidioso fischio nelle orecchie e giramenti di capo.

Impaziente e più avanti rispetto alle altre, Harumi prese fiato e successivamente urlò a pieni polmoni: «SAPPIAMO CHE VI SIETE ACCORTI DELLA NOSTRA PRESENZA! FATEVI VEDERE, VOI SEI!»

Selena le afferrò un braccio per farla voltare; la rimproverò: «Ti sembra il caso di urlare così? Vuoi peggiorare la situazione?»

«E a te sembra il caso di fare a gara a chi cammina più piano?» rispose prontamente la verde, tirando via l’arto dalla presa dell’altra. «La situazione è quella che è, prima parliamo con quegli idioti e meglio è.»

«Chi sarebbero gli idioti?» chiese una voce alle loro spalle.

Le ragazze si voltarono e incontrarono repentinamente lo sguardo canzoniere di Reiji e quello infastidito di Ayato, che aveva parlato con il suo usuale tono aggressivo.

«Ragazzi» fece Tara, «non mi sembra il caso di iniziare la giornata litigando.»

«Princess-chan, sei qui!»

«Wow, Sherlock, ottima intuizione.»

Uno di loro fece un passo avanti. «Tutto okay, ragazze?»

«Azusa-kun, ci sei anche tu.»

Il vampiro annuì piano. «Sono arrivato poco fa per sostenere un colloquio con Karlheinz. Con me c’era anche Sakamoto-san, ma lei ha preferito fare un giro per visitare il castello.»

Il terzogenito Sakamaki sbuffò con arroganza. «Manco fosse in gita con la scuola.»

Reiji lo zittì con un’occhiata gelida, poi si voltò verso le umane. «Spero vivamente che la vostra agitazione sia dovuta a motivi perlomeno decenti.»

«State attente, oggi è di cattivo umore» sussurrò Laito, facendo l’occhiolino.

Tuttavia, prima che fossero date loro tutte le spiegazioni, uno dei fratelli prese la parola chiedendo: «Dov’è Miki-chan?»

Il suo fedele compagno di pezza appoggiò e rinforzò la domanda: «Già, già, Miki-chan manca all’appello. È rimasta nella vostra casetta a dormire?» Incrociò le sue piccole braccia. «Ed io che volevo prendere il tè con lei.»

Udendo quelle parole, Kin abbassò la testa e puntò lo sguardo sulle proprie scarpe con fare colpevole, e senza realmente volerlo attirò l’attenzione di Subaru nonostante egli fosse lontano all’incirca dieci passi dal gruppo; l’albino, quindi, disse con voce seria e inflessibile: «Le è accaduto qualcosa, vero?»

Kanato fu fulmineo a raggiungerlo, con la chiara intenzione di afferrarlo per il colletto della maglia e abbassarlo alla sua altezza, scandendo: «Chi cazzo ti credi di essere per uscirtene con queste sparate?»

L’altro, iracondo, schiuse le labbra per rispondere ma fu preceduto da una voce femminile, la quale catturò la completa attenzione di tutti i presenti. «È andata lei» pronunciò Selena, perfettamente immobile nella sua postura. «Nonostante fossimo tutte contrarie, ha deciso di sua spontanea volontà di raggiungere Kotone-sama chissà dove, ed è scappata mentre dormivamo.» Aggiunse, abbassando il tono e posando gli occhi altrove: «Ha detto che voleva rendersi utile.»

Poiché la tensione era palesemente palpabile, Tara deglutì preoccupandosi di non far rumore mentre con una mano scavava all’interno della propria borsa, con l’intento di recuperare la lettera da consegnare al vampiro dai capelli color lavanda; gli si avvicinò cautamente, porgendogliela. «Questa è per te. L’ha scritta lei.»

Kanato non mosse una singola parte del proprio corpo, limitandosi a scrutarle il volto con i suoi grandi occhi spalancati che poi posò sulla carta; la afferrò con la spontaneità di un bambino al quale era stato porto un dono e ne lesse il contenuto insieme a Teddy, appollaiato su una sua spalla. L’espressione impassibile che gli aleggiava in volto avrebbe potuto far accapponare la pelle di chiunque, se solo qualcuno avesse trovato il coraggio di alzare lo sguardo verso la sua silhouette asciutta; pareva che fosse stato vittima di un incantesimo, un sortilegio che avrebbe impedito ad ogni creatura di palesarsi a lui, o forse il timore di una reazione esagerata aveva convinto i presenti a non fare domande riguardo ciò che vi era scritto su quel foglio sottile. Aveva già terminato la lettura, i suoi occhi si erano fermati a fine pagina, incollati a quel punto finale. Non c’era molto da leggere, ma lui era andato piano, come se il brutto presentimento che si era preso possesso di lui crescesse lettera per lettera, sempre di più. E poi, lui che era un sadico vampiro senza cuore, perché si stava preoccupando così tanto? Non era in sé; quei sentimenti non erano suoi. E allora, di chi erano? Possibile che…

«Dobbiamo fare qualcosa» disse Harumi con voce ferma e i pugni stretti.

Yui annuì prontamente, imitata da Azusa. Quest’ultimo lanciò un’occhiata a Selena e disse: «Abbiamo bisogno di un piano d’azione ben congegnato.»

«Sì» affermò la blu. «Da queste parti è pericoloso muoversi alla cieca. Siamo in terra straniera.»

«Ho portato» farfugliò Tara, frugando nella propria borsa, «la mappa di Vamutsuchiin. Se organizzassimo delle squadre di ricerca?»

Kin coprì con una mano il disegno della città, centro del Regno; con l’indice dell’altra, indicò le zone verdi riportate sulla cartina geografica. Subaru comprese al volo ciò che la rossa avrebbe voluto dire, pertanto si autoelesse interprete: «Dobbiamo concentrare le ricerche nelle zone aperte, come i campi e i boschi. È improbabile che si stia aggirando per la città.»

«Ma che ne sapete?» sputò Ayato. «Magari quella quattrocchi si è infilata in qualche tombino. Battiamo anche il centro.» E Yui gli rivolse uno sguardo dolce; adorava quando il terzogenito si mostrava sotto quella luce apprensiva, quando spostava i riflettori, che solitamente lo illuminavano, su qualcun altro – quando era buono, un po’ di più.

«In questo caso» fece Reiji, «sarebbe meglio se mettessimo degli annunci e aprissimo uno sportello di segnalazioni. Lasciamo la città ai suoi abitanti, noi andiamo altrove.»

«Giusto, puntiamo all’estensione» disse Azusa, per poi voltarsi verso il secondogenito Sakamaki. «Coinvolgiamo anche i soldati nelle ricerche. Prima troviamo Miki-san, meglio è. Ci pensi tu, Reiji?»

Gli occhi dell’altro si posarono sulla sua figura magra, ricolmi d’intolleranza. «Non c’è bisogno che me lo dica tu.» E prese a camminare lungo il corridoio, allontanandosi dal gruppo e diretto verso la meta a cui aveva immediatamente pensato.

I pochi attimi seguenti furono gelidi, ma ci pensò Laito a rompere il ghiaccio creatosi; si rivolse al fratello gemello, raddrizzandosi il proprio cappello nero: «Vedrai, Kanato-kun, la ritroveremo sana e salva.» Aggiunse maliziosamente: «E poi potrai punirla.»

Il violetto, tuttavia, non proferì parola. Piuttosto parlò Teddy: «Sempre se riesce a sopravvivere, poveretta.»

E fu in quel momento che la molla arrivò al massimo della sua tensione, per poi scattare nella direzione opposta; un lampo, un fulmine, passi ruggenti come tuoni, il suo animo in tempesta. La ragazza corse, corse, corse senza fermarsi anche quando le urla delle sue amiche giunsero alle sue orecchie. Fermati Harumi! – era questa l’unica cosa che riusciva a sentire, seppur fosse ovattata. La rabbia fluiva in ogni singolo capillare del suo corpo; “Stiamo perdendo tempo. Io, io sto perdendo tempo” pensava come un disco rotto, ed era la motivazione la stava facendo quasi volare fuori dal palazzo reale. Aveva superato le guardie, le quali non l’avevano bloccata poiché non ne avevano ricevuto l’ordine, e sicuramente non avrebbero dato ascolto alle umane, seppur in quel momento avessero più autorità di loro. Tara si era fatta prendere dal panico e aveva iniziato a rincorrere la giovane dai capelli color muschio, ma non avrebbe mai potuto raggiungerla – Harumi era molto più atletica rispetto a lei. Azusa fu colto da un riflesso che aveva sviluppato grazie al lungo periodo vissuto in compagnia di gente umana: fece qualche passo in avanti, in direzione della fuggitiva, perché desideroso di inseguirla, di fermarla, di farla tornare indietro. Tuttavia, si ricordò del luogo nel quale si trovava, pertanto si immobilizzò immediatamente sul posto. Un tentativo realmente concreto lo fece Yui, la quale si rivolse al vampiro con il quale aveva il rapporto più intimo e stretto: «Ayato-kun, fa’ qualcosa, ti prego!» La sua voce era balbettante, e lasciava trapelare un senso di angoscia; la consapevolezza di star perdendo un altro membro della squadra al femminile le fece venire un nodo alla gola – credeva quasi che tra poco arrivasse anche il suo turno, pensiero per il quale si ammonì mentalmente perché estremamente egoista in quel particolare ambito.

Ma Ayato scosse la testa, inclinata leggermente verso il basso. «Non può fare niente, il sottoscritto.» Con un cenno del capo, fece riferimento a Shuu, il quale non aveva proferito parola fino a quel momento.

Selena era stravolta dall’andare così frettoloso degli eventi, uno dietro l’altro, così crudeli e spietati; mai, infatti, avrebbe immaginato che si sarebbe inginocchiata per pregare il primogenito tra i fratelli vampiri, supplicandolo di fermare Harumi, di sfruttare la sua posizione di presunta e fastidiosa superiorità e fare le veci di chi avrebbe voluto, ma che non avrebbe potuto. Gli sarebbe bastato un passo per raggiungerla, allungare un braccio per impedirle di continuare la folle corsa; la ragazza atleta avrebbe scalciato, si sarebbe dimenata, avrebbe urlato come un ossesso, ma poi si sarebbe lasciata trascinare indietro e avrebbe riacquisito la lucidità, avrebbe collaborato al piano di ricerca per l’amica dispersa e tutto sarebbe andato a buon fine. Il biondo aprì gli occhi, facendo posare i suoi zaffiri sulla ragazza genio; poi squadrò uno ad uno tutti i presenti, le loro espressioni, il loro disagio, la loro ansia, la loro speranza. Allora s’alzò, si mise in piedi lentamente e si spolverò i pantaloni. Tara gli rivolse un sorriso allargato ed esclamò: «Finalmente! Vai, fai presto!»

Shuu si portò una mano verso la testa, le dita ad accarezzare i capelli. S’incamminò nella parte opposta all’uscita, diretto alle proprie stanze per poter restare da solo. Scosse il capo. «Che scocciatura.»

Fu solo allora che Kanato si liberò, cacciando uno straziante grido disperato.

 

 

***

 


Se n’era pentita. Se n’era enormemente pentita. Dispersa nella foresta della Regione più ignota e pericolosa che avesse mai conosciuto e, nonostante non vedesse nulla, circondata da bestie dal potenziale distruttivo e mortale – come la fine che, ne era sicura, avrebbe fatto. Si vedeva già schiacciata al suolo dal peso dei sensi di colpa, con dei condor a osservarla dall’alto degli alberi e le iene a fare a brandelli la sua carne. Un barlume di lucidità la fece tornare in sé; in un blink delle palpebre, si ricordò che quello non era affatto l’habitat di quelli che, nella sua fervida immaginazione, sarebbero stati i suoi becchini. Non sarebbe mai esistito nulla di più lugubre di un corpo divorato nel mentre che ospitava ancora una coscienza – “Nulla, fatta eccezione per quello che dovrò subire una volta tornata” fu il suo pensiero. E un’idea le venne in mente: perché, in quelle condizioni, dopo quanto accaduto, sarebbe dovuta tornare? Constatò che non ci fosse alcuna motivazione al mondo che avrebbe potuto aiutarla a scegliere di rincasare; vivere, forse? Continuare con la propria vita, andare avanti, realizzare i suoi sogni, lottare ancora – tutti buoni motivi per non far smettere al suo cuore di battere. E per quest’ultimo, qual era la sua voce in capitolo? Non che riuscisse a formulare pensieri decenti, da un po’ di tempo a quella parte. Kanato, Kanato, Kanato – quel nome riecheggiava nel suo petto a ogni contrazione di quel muscolo vitale. Sorrise amaramente, i suoi occhi ancorati al terreno fangoso del bosco; come avrebbe reagito il vampiro se la ragazza avesse fatto rientro al castello, da lui? Conoscendolo, il suo pessimo carattere bipolare gli avrebbe fatto dare i numeri: l’avrebbe squadrata dalla testa ai piedi con quei suoi occhi gelidi – che Miki riusciva a percepire su di sé – e poi, in un fatale attimo, si sarebbe portato a un soffio dal suo viso, le sue mani strette attorno al suo collo e le sue guance rigate dalle lacrime. Non avrebbe più respirato, l’avrebbe uccisa. Ma poi se ne sarebbe pentito? Le scappò una risata divertita, un risolino quasi frivolo; possibile che in quel luogo e in quella situazione, l’unica cosa a cui era in grado di pensare fosse un quesito amoroso? Quel vampiro, il quartogenito Sakamaki, il più inquietante tra tutti i suoi fratelli, il più macabro non-morto di quel Regno, avrebbe potuto ricambiare i sentimenti di una giovane umana, con le ore contate, paurosa e priva di una qualsiasi abilità specifica? Kanato avrebbe mai potuto provare qualcosa per Miki?

La consapevolezza di essere solo un’illusa prese le redini della sua mente; lui non era altri che un essere sanguinario, un assassino, un pazzo da rinchiudere in un manicomio. “Non conosci la sua storia. Non conosci i suoi perché”, le avrebbe detto la coscienza se fosse stata abbastanza forte da farsi sentire – se solo ne fosse rimasto un brandello. Del resto, la moralità non possedeva un ruolo importante in quel momento. Se per tutta la sua vita era stata in grado di agire dando ascolto unicamente alla propria voce interiore, quello sarebbe stato l’unico giorno in cui l’avrebbe scacciata con irruenza. Miki sarebbe morta, e ne era perfettamente consapevole. Anni addietro, o forse anche solo fino a qualche giorno prima, pensare al proprio capolinea le faceva accapponare la pelle; ma in quella situazione che, per di più, lei stessa aveva creato, il decesso sembrava rappresentare l’unica possibile liberazione dai mali verso cui si stava dirigendo. Era stata così convinta di essere lei la persona più giusta per raggiungere il villaggio delle streghe, tanto da non dare ascolto alle sue amiche. “È meglio che resti qui”, era ciò che le aveva aspramente detto Selena. E lei? Lei, se n’era infischiata. La verità, tuttavia, era solo una: Miki era gelosa della ragazza-genio. Non l’aveva mai ammesso apertamente a se stessa, tantomeno a qualcun altro, ma proprio non riusciva a comprendere il motivo per il quale la sua amica dai capelli blu fosse considerata così saggia, molto di più rispetto a chiunque altro.

Si appoggiò a un albero, interrompendo la scarpinata per riprendere fiato. Chiuse gli occhi e inspirò. Ma poi, invece di permettere effettivamente ai propri polmoni di respirare in maniera corretta, spalancò la bocca e cacciò un urlo: «CHE CAZZO SIGNIFICA?!» Non era solita esprimersi con termini scurrili, ma la furia le aveva appannato la vista e l’ultima briciola di buon senso che le era rimasta. «Oh, mi scusi, la signorina è dovuta crescere in fretta», disse ad alta voce. Poi imitò il modo di parlare di Selena: «Devo badare a una casa, devo trovarmi un lavoro, Isako-nee deve andare a scuola, devo fare tutto io.» Scosse violentemente la testa, e i codini già stravolti per il lungo viaggio scivolarono verso il terreno, perdendosi per sempre poiché la proprietaria non li avrebbe più raccolti. «E io che devo dire? IO CHE DEVO DIRE?» Continuò il proprio monologo, scostandosi dalla corteccia di quello che sembrava essere un faggio. «Ma la mia vita è molto avvantaggiata, oh sì. Provengo da una famiglia di ricconi, ho la strada spianata. E poi? Papà picchia mamma tutti i santi giorni. Takumi finisce al fresco ogni due settimane. Il mio futuro è stato già scritto da qualcun altro e non posso fare niente per poter vivere la mia vita come cazzo mi pare.» Strinse i pugni come a voler contenere la traboccante rabbia, e puntò lo sguardo a terra. Le dispiaceva per le cattiverie nei confronti dell’amica alle quali stava pensando, ma non riusciva a placare lo tsunami che sentiva agitarsi nel petto. «È da quando sono nata che seguo gli ordini degli altri. Miki fai questo, Miki fai quello. Miki comportati bene, non voglio fare brutte figure alla cena di lavoro semestrale. Miki chi ti ha detto di piangere? Mi dà fastidio sentirti nelle orecchie. Miki, non ho tempo ora. Miki, quante volte ti ho detto che è vietato entrare nel mio studio? Sparisci dalla mia vista, non ti voglio vedere. Miki studia, che se non prendi il massimo dei voti ai prossimi esami ti prendo a cinghiate e ti chiudo nello sgabuzzino com’è successo l’ultima volta. Miki dovresti accettare l’appuntamento di Minoru, sai che suo padre è il proprietario di una prestigiosa banca? E a me COSA ME NE FREGA?!» Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, chiedendo il permesso per uscirne e inondarle il volto; scosse la testa, vietandosi di piangere. Piuttosto, seppur amaramente, sorrise: «Hanno ragione dopotutto. Non ho un talento particolare, non sono brava in niente. Non ho una logica istantanea, né abilità fisiche. Non ho nemmeno i superpoteri. Non so fare nulla. L’unica cosa che so fare è lagnarmi di continuo» si disse, riacquisendo un tono di voce nella norma. «Lo riconosco, so è così. E la cosa ancora più penosa è che non riesco a cambiare. Ma cosa mi è saltato in mente? Come posso aver creduto di poter raggiungere da sola un villaggio paranormale sconosciuto persino ai vampiri?» Riusciva a sentirsi degli occhi addosso, probabilmente la fauna locale. Seppur non sembrassero possedere nulla di bizzarro, gli animali che abitavano in quella foresta non erano normali; a partire da quel cervo azzurro e con le corna troppo sottili, fino all’uccello nascosto tra i rami che ruggiva, passando per le formiche di così tante dimensioni diverse. La ragazza si era spaventata quando si era accorta della stranezza di quelle creature ma in quel momento, in cui il suo unico desiderio era quello di sparire nel nulla, pareva essersene persino dimenticata. Il sorriso si trasformò in un ghigno, e il ghigno divenne sonoro con una risata isterica: quel timbro di voce troppo acuto, le mani aggrappate alla faccia, gli occhi quasi fuori dalle orbite – sembrava essere diventata Kanato in tutto e per tutto. «Che ne dite se esco di scena?» domandò al nulla. «Così la smetto di rallentarvi.»

E detto ciò iniziò a correre ad una velocità che mai avrebbe creduto di raggiungere. Costrinse ogni singolo muscolo del proprio corpo ad adattarsi all’andamento fulmineo, ignorando i dolori, le fitte, la mancanza d’ossigeno, la stanchezza, i capogiri – diede solo retta alla disperazione. Lasciò che i rovi le tagliassero la pelle, lasciò che le foglie si incastrassero nei capelli, lasciò che i vestiti si sporcassero a ogni suo inciampo. E poi lo raggiunse: si ritrovò davanti un baratro roccioso di immense dimensioni, e riuscì a fermarsi appena in tempo – un passo in più e si sarebbe ritrovata a precipitare nel vuoto. Guardò in basso, constatando che il precipizio era così profondo da non rivelarne la fine. Arretrò appena, spaventata dal luogo in cui l’irrazionalità l’aveva condotta. Fu in quel frangente che riacquistò abbastanza lucidità da desiderare di tornare indietro; tuttavia erano ore che aveva perso il senso dell’orientamento – quel minimo che aveva sempre posseduto – e proprio non sapeva come far ritorno a casa. Ma fu quest’ultima parola – casa – a farle tornare in mente il motivo di quello scatto di follia: fare ritorno avrebbe significato morire. E da codarda provetta qual’era, non riusciva ad appacificarsi con la consapevolezza di essere la prossima vittima di un furioso omicidio da parte di una creatura vampiresca. Non avrebbe mai sopportato l’idea che sarebbe stato Kanato l’artefice della carneficina; non avrebbe mai avuto il coraggio di guardarlo negli occhi mentre egli si sarebbe apprestato ad avventarsi su di lei con un coltello dalla lama affilata e lucente. Non le importava più nulla della sua vita, non temeva più la morte. L’unica cosa che le era rimasta nel cuore, era la salute di quel vampiro. Sapeva che l’avrebbe uccisa, ma sapeva anche che il gesto estremo gli sarebbe costato l’ultimo barlume di sanità mentale. E no, non avrebbe mai permesso che ciò accadesse.

Sussurrò: «Ti amo, Kanato-kun. Ricordalo per sempre.» Sorrise per un’ultima volta e si lanciò nel baratro, precipitando verso l’oscurità.

 

 

***

 


In vent’anni di vita non aveva mai visto un edificio così grande. Di posti ne aveva visti, a partire dai negozi del quartiere commerciale di Tokyo fino alla Reggia di Versailles, in Francia, quell’unica volta in cui c’era stata quando ancora non aveva compiuto dieci anni – ma mai si era ritrovata a poter girare liberamente in un castello di quelle dimensioni. Azusa doveva parlare con Karlheinz e lei non aveva dovuto insistere molto per poterlo accompagnare, dato che il vampiro aveva volentieri deciso di portarla con sé. Arrivati a destinazione, lo aveva mollato all’ingresso e aveva iniziato ad aggirarsi per i saloni e per le camere, ammaliata dalla magnificenza che trasudava quel luogo. Aya amava i palazzi reali, specialmente quelli che sembravano essere rimasti bloccati nel tempo. Il castello dei Sakamaki, infatti, pareva ergersi in un normale e quotidiano contesto del Settecento, seppur contenesse qualche elemento moderno. Faceva a cazzotti con la contemporaneità di Vamutsuchiin e dell’avanguardia delle attrezzature nelle cucine, talvolta anche con gli indumenti del personale e degli abitanti del complesso, ma per la ragazza stare lì era come vivere in un sogno. Si sentiva una principessa mentre vagava per i corridoi della reggia vampiresca, le mani a reggersi l’un l’altra dietro la schiena e le scarpe da ginnastica che picchiettavano sui chilometrici tappeti. Osservava le pareti e le colonne, i dipinti e le loro cornici, i candelabri e i divanetti in tessuto distribuiti con elegante precisione lungo tutto il percorso; di tanto in tanto si fermava a guardare fuori da un’ampia finestra, scostando le morbide tende e ammirando il panorama esterno. Si stava rilassando e al contempo divertendo in quella gita improvvisata, e fremeva dall’eccitazione di visitare l’immenso giardino reale: dall’alto del quarto piano aveva scorto un labirinto naturale nella vegetazione, e non vedeva l’ora di potersi avvicinare per perdersi nella sua massima idea di bellezza.

Tutto d’un tratto, però, la sua attenzione venne catturata da un dettaglio apparentemente poco significante. Un quadro di modeste dimensioni, se paragonate ai dipinti della stirpe reale che aveva potuto osservare in una galleria al piano terra; il soggetto raffigurato era un uomo d’età giovane, forse un ventenne proprio come lei, con lo sguardo austero, un sorriso appena accennato e i capelli perfettamente in ordine. Non portava né una corona né gioielli, fatta eccezione per uno stemma sul petto; neanche i vestiti erano appariscenti o, almeno, la camicia e la giacca che quella figura indossava parevano essere di buona fattura ma non eccessivamente raffinati. Aya non se ne intendeva, tuttavia pensò che se il ritratto di quel giovane uomo fosse stato riportato in quel luogo, una certa importanza avrebbe pur dovuta averla. Non aveva somiglianze con i principi fratelli, né tantomeno sembrava imparentato con Karlheinz o con le sue mogli. Rimase ferma a fissare la tela, gli occhi assottigliati come a voler analizzare al meglio l’oggetto; distinse il colore degli occhi, azzurro ghiaccio, poi un neo appena accennato sulla mandibola sinistra. Quell’espressione e quell’aspetto, non era la prima volta che li vedeva. Col passare dei secondi si convinceva sempre di più dell’essere già a conoscenza dell’identità di quella persona – di quel vampiro – o, almeno, le ricordava qualcuno che aveva già incontrato durante la propria esistenza. Un altro piccolo particolare le catturò l’attenzione: si accorse solo in quel momento che, poco più in basso del quadro, avvitata al muro vi era una piccola targa argentata dotata di un’incisione sottile. Sorrise appena, contenta di poter scoprire l’identità del misterioso giovane ritratto. S’avvicinò di qualche passo e mise a fuoco la scritta; in quel preciso istante, il suo buon umore si dissolse nel nulla. Il nome di quel nobile era dannatamente familiare alla ragazza: Sakamoto Akihito.

Schiuse appena le labbra. «Papà?»

 

 

***

 

 

I vampiri che abitavano quella zona avevano tutti gli occhi puntati su di lei; famelici, la osservavano con curiosità travestita d’indifferenza, un compromesso incoerente per mantenere in piedi l’orgoglio e la nomea di creature fredde e calcolatrici. Alcuni di loro, i più audaci, avrebbero voluto saltarle addosso e azzannarla – l’odore di carne umana era inconfondibilmente buono – ma si trattenevano, poiché attorno al collo della ragazza spiccava il choker dotato dello stemma del re, lasciato in bella vista dai capelli verdi che ondeggiavano al vento per via della folle corsa. Quella giovane mortale era di proprietà dei Sakamaki e guai a chi si sarebbe azzardato a torcerle un capello. Le manie possessive dei principi erano ben conosciute all’interno del Regno; che fosse un gioiello, un’abitazione, una preda o qualunque altra cosa non faceva differenza: se apparteneva a uno dei fratelli di sangue reale, chiunque avrebbe fatto meglio a starne alla larga. Ogni residente di Vamutsuchiin aveva avuto l’opportunità di conoscere le sconvolgenti reazioni dei signorini, che fosse stato per esperienza diretta o per sentito dire. Se Kanato andava di matto e si metteva a urlare, Reiji era ben più composto e si limitava ad agire con segretezza: il colpevole veniva rapito e torturato per ore, a seconda della gravità del torto commesso. Subaru era solito, invece, scatenare una vera e propria rissa per ribadire a chiunque di stare alla larga dalle proprie cose. Ayato e Laito s’assomigliavano anche in questo: il primo con arroganza e presunzione e il secondo con malizia, ma entrambi miravano alla pubblica umiliazione. L’unico che non faceva pieghe e non si curava di ciò che gli veniva strappato via era Shuu, impeccabile nella sua freddezza glaciale e il menefreghismo di chi non attribuiva importanza a nulla. E quello era il motivo per il quale non stava facendo niente per riprendersi Harumi: non aveva valore. Valeva meno di zero per lui, averla o no non gli avrebbe cambiato la vita.

Di tanto in tanto si fermava per riprendere fiato e urlava: «Avete visto Miki?» Si guardava attorno con nervosa frenesia, cercando con gli occhi la figura minuta della sua amica. «È un’umana, non potete sbagliarvi. L’avete vista? È scappata la scorsa notte, i Sakamaki la stanno cercando!» Ma non riceveva mai risposta alcuna. E allora ricominciava a correre, sentendo il tempo scivolarle via dalle membra; era come se a ogni ticchettio di un orologio invisibile sentisse Miki sempre più lontana, sempre più irraggiungibile, sempre più perduta. Ma dove avrebbe potuto cercarla? Vamutsuchiin era una terra molto estesa, s’era accorta di quella vastità mentre si trovava su quel jet privato a sorvolarla. Avrebbe voluto che la sua controparte eterea fosse lì con lei, in modo da poterle suggerire l’ubicazione esatta dell’amica per poi mostrarle la strada più rapida per raggiungerla – ma anche qualora il suo spirito fosse stato accanto a lei, non avrebbe potuto proferire parola poiché avrebbe contribuito a modificare un intero futuro. A parer suo, era complicato il discorso che la sua anima e quelle delle sue compagne avevano fatto; non ci aveva capito molto, tuttavia si rese conto che nulla di ciò che fosse in procinto di vivere – e che stava già sperimentando – avrebbe posseduto una spiegazione logica e semplice. Sapeva di essere la mano piuttosto che il cervello, e le andava perfettamente bene: la razionalità, la serietà e la noia l’avrebbe lasciata a qualcun altro; nulla sarebbe stato più divertente e soddisfacente dell’azione, scaraventarsi in un campo di battaglia e dare il meglio di sé, duellare fino all’ultimo, sudare, urlare e vincere, far vincere la propria squadra. Harumi era l’atleta, non il coach; era lei a sollevare la coppa dorata perché lei l’avrebbe ottenuta, e nessun altro.

Con un sordo stridio di scarpe, arrestò la scattante marcia. Respirò profondamente con la bocca, appena piegata sulle ginocchia e le mani a scostare la frangia dalla fronte, asciugando quest’ultima dal sudore e scoprendo un fresco sollievo. Si guardò attorno, nel tentativo di capire in che punto della città si trovasse; aveva guardato la mappa insieme alle altre, la sera precedente, pertanto qualche riferimento le era rimasto ben fisso nella mente. Avrebbe solo dovuto collegare i punti e visualizzare nuovamente la cartina, affidandosi alla memoria visiva. Tuttavia, fallì miseramente – ricordare qualcosa in quella maniera non le era mai stato facile, a partire dall’ambito scolastico fino alle situazioni più disparate, come quella che stava vivendo in quel momento. Cosa la stava circondando? Abitazioni più modeste, palazzine più basse rispetto agli immensi edifici del centro della capitale. Capì di aver raggiunto la periferia, forse una zona limitrofa al quartiere in cui aveva sede l’appartamento affittato per lei e per le sue amiche; e Miki – si domandò immediatamente – da che parte sarebbe scappata con esattezza? Si aggirò per i dintorni, tentando di cogliere qualche indizio utile per le ricerche; dopo pochi minuti s’imbatté in un cartello, un’indicazione stradale: per la foresta Haidoku proseguire dritto. «Ma certo!» esclamò risoluta. «Un villaggio segreto non può trovarsi nel bel mezzo di una città grande come questa.»

Ricominciò a correre, contenta di aver riacquistato in pieno le proprie energie semplicemente camminando. E ben presto il suo campo visivo fu invaso da un muro di vegetazione, la quale diventava sempre più fitta man mano che la ragazza s’addentrava. Alberi alti, cespugli folti, rami affilati, animali nascosti nell’ombra – ma niente era in grado di abbattere il coraggio di Harumi. Sapeva che ce l’avrebbe fatta, stava già pregustando il forte abbraccio che avrebbe dato alla sua amica appena l’avrebbe scorta tra il fogliame, sicuramente dopo numerosi rimproveri e qualche lacrima di commozione mista alla paura che stava provando in quel momento e nei precedenti. Era forte, lei, più forte di chiunque altro; non lo era sin dalla nascita, piuttosto aveva acquisito quel potere fisico e morale durante l’infanzia e l’adolescenza, maturando una giovinezza che avrebbe potuto condurla alle Olimpiadi – che, non a caso, rappresentava il suo sogno più grande. Una parte di lei era morta insieme a suo fratello, quella lontana sera di aprile, tra quelle lingue incandescenti e la disperazione dell’intero quartiere; poi, però, era rinata. Avrebbe dovuto vivere anche per lui, avrebbe dovuto ereditare la sua forza, avrebbe trionfato nella vita anche per lui.

E allora perché si stava accasciando? Perché stava lentamente scivolando verso il terreno? Tentò di aggrapparsi al fusto di un albero, ma il tentativo di rimanere in piedi fallì. Improvvisamente si era sentita abbandonata da ogni muscolo del corpo, nessun nervo comunicava gli ordini da eseguire, i movimenti da compiere. Non era stanca, in passato aveva corso per percorsi di maggiore lunghezza, aveva compiuto imprese di gran lunga più pesanti – eppure, in quel preciso istante, non aveva più nessuna briciola di energia. Percepì un nodo alla gola, dovuto alla mancanza d’aria respirabile: i suoi alveoli polmonari si erano completamente svuotati, e il debito d’ossigeno si fece rapidamente sentire alla sua testa, che iniziò a vorticare furiosamente. Non ci volle molto prima che i sensi la abbandonassero e che perdesse conoscenza.

Smise di agitarsi e chiuse gli occhi, restando inerme sul terreno fangoso.

 

 

***

 


Due ore – due lunghe e atroci ore. Due ore di suppliche a Shuu, l’unico essere nelle condizioni ideali per poter riportare Harumi a corte, da loro. Nessun altro all’infuori di lui avrebbe potuto sguinzagliare le guardie reali per andare a riprendere la caposquadra dei boy-scout – quella ragazza era la sua preda, e lui avrebbe potuto farne ciò che voleva. Il bel vampiro dalla folta chioma bionda non aveva alcuna intenzione di scomodarsi per recuperare quella testa calda dell’umana, pertanto aveva semplicemente optato per ignorare le lamentele di Yui e si era messo a dormire nel proprio caldo e comodo letto, rintanato nelle proprie stanze. Selena, dal canto suo, vedendo che il primogenito non si stava affatto curando di ciò che stava avvenendo, aveva provato a inseguire l’amica dai lunghi capelli verdi senza, tuttavia, ottenere risultati; di puntuale ritorno dalla sua meta ignota, Reiji l’aveva prontamente fermata, appena si era reso conto di ciò che l’umana aveva intenzione di fare. L’impresa, dunque, non era andata a buon fine e di Harumi non c’era ancora nessuna traccia. A quel punto l’unica possibilità di ritrovamento sarebbe stata quella di allestire delle ricerche anche per lei, inglobandole a quelle di Miki. Restava solo da organizzare un piano adeguato alle circostanze, un progetto che fosse abbastanza veloce ed efficace da eseguire. Fu per questo che il secondogenito radunò in una delle sale dedicate alle conferenze i propri fratellastri, le ragazze e alcune guardie, le maggiori, quelli che sarebbero stati i comandanti degli squadroni di ricerca. L’unico a non presentarsi fu Kanato, scomparso da qualche parte nel castello. Non si era più fatto vedere né aveva dato suggerimenti su dove si fosse rifugiato; l’unico indizio della sua presenza erano delle urla strazianti, doloranti, angoscianti che si potevano udire in lontananza: un lamento esausto, un grido d’aiuto di chi ne aveva abbastanza di soffrire, soffrire e soffrire. Teddy l’aveva lasciato solo poiché riteneva più opportuno partecipare alle ricerche: nonostante fosse uno stregone natio di un mondo abitato da vampiri e creature magiche, nonostante – contro ogni apparenza e pregiudizio – avesse un carattere fermo e severo, si era affezionato a Miki. Non era capace né di intendere né di volere quando si trovava nel mondo degli umani, ma era lì; era lì quando la ragazza correva da Kanato, era lì quando l’occhialuta lo abbracciava e gli regalava il proprio sangue; era lì quando lei ascoltava il vampiro, era lì a guardarli ed era fermamente convinto che Miki fosse l’unico essere esistente, di qualunque natura, in grado di potersi prendere cura del violetto. E Teddy l’avrebbe riportata a casa, a qualsiasi costo.

Fu così che si ritrovarono riuniti tutti a un tavolo, di nuovo; il banco era grande e rotondo e, sebbene i membri di quella riunione fossero numerosi, le dimensioni della tavola garantivano l’avanzo di spazio. Kin tremò di paura quando vide un generale prender posto accanto a lei, alto e robusto nella sua stazza centenaria; impegnati a fissare il vuoto, i suoi piccoli occhi color mango erano puntati dritti davanti a sé, mentre alla sua cintura era ben legata una katana dall’impugnatura scarlatta. Subaru si accorse immediatamente del disagio della ragazza, pertanto afferrò la seduta della poltrona d’ufficio sulla quale era seduta e l’avvicinò alla propria. La giovane dai lunghi capelli rossi lo ringraziò con un muto sorriso, ma nel giro di pochi attimi la sua attenzione venne nuovamente catturata dal soldato d’alta carica, rimasto impassibile per tutto il tempo. Poco più in là Yui prese posto accanto ad Ayato, ormai sull’orlo delle lacrime: tutti quegli eventi la stavano stremando. Fissò Reiji, esattamente dal lato opposto della tavola; non riusciva a credere che quel vampiro riuscisse a mantenere la calma in qualsivoglia momento – era il suo perfetto antipodo, incompatibile e ingiustificabile. Era una ragazza buona, e i suoi sani principi rinnegavano fortemente sentimenti aspramente negativi come l’odio, ma proprio non riusciva a non trovare ripugnante quell’indifferenza; due compagne erano scomparse, era avvenuto un omicidio ed erano sull’orlo della guerra, eppure Reiji non aveva un capello fuori posto. Era per quella motivazione che preferiva ampiamente e apertamente stare con Ayato, ed era grata che il vampiro avesse scelto proprio lei. Una fitta al petto le cancellò il piccolo sorriso che si era formato sul suo volto appena aveva accarezzato con gli occhi il profilo del terzogenito; “È un vampiro, non dimenticarlo”, disse fra sé e sé con delusione e amarezza. Avrebbe voluto che il suo rapporto con Ayato si allargasse di più, che si arricchisse, che diventasse un’intima relazione tenera, ma era consapevole che quel desiderio sarebbe stato destinato a rimanere tale, effimero, una nuvola di vapore che sarebbe scomparsa pian piano. Una fitta al cuore, poi tutto di nuovo normale; si portò istintivamente le mani al petto e strinse l’inseparabile crocifisso rosato, aggrappandosi all’unica forza che mai le sarebbe venuta meno. Ayato si voltò verso di lei, inespressivo – e Yui avrebbe sperato solamente in un sorriso, anche accennato; avrebbe voluto dire qualcosa, ma non ce la fece, era come se non ne avesse avuto il coraggio. Poi tornò a guardare altrove, il ciuffo di chioma rossa ad ostacolargli la vista smeraldina.

«Signore, siete estremamente ed estenuamente più problematiche del previsto» fece il secondogenito, spezzando il silenzio. Osservò i presenti uno ad uno. Domandò, nascondendo il nervosismo: «Dov’è Shuu?»

«Reiji-kun, ma non l’hai visto prima?» intervenne Laito, un sorriso colmo di divertimento accennato in volto. «È andato a dormire.»

Il corvino si sistemò meglio gli occhiali sul ponte del naso, probabilmente per nascondere la bocca con il palmo della mano: «Scansafatiche». Si accomodò; al suo fianco Selena, sempre presente, come se fosse stata la sua ombra, la sua gemella inseparabile. «Prima di cominciare, umane, permettetemi di presentarvi dei colossi del nostro sistema militare, delle figure di grande importanza per Vamutsuchiin. Lord Mizukensei, il Capitano Mabushii e il Tenente Kagesurou», e li indicò uno per volta.

Lord Mizukensei era il guerriero accomodato accanto a Kin, ancora silenzioso e ancora pietrificato; lasciò solo la testa muoversi, un minuscolo segno d’assenso e di saluto, gli occhi chiusi come in meditazione. Aveva l’aspetto di un samurai, con i capelli scuri come la notte legati in alto e delle geta ai piedi, le infradito tradizionali della cultura nipponica.

Il Capitano sedeva tra Teddy e Ayato, andando a creare un trio di forti personalità. Esordì, difatti, con un: «Inchinatevi a Mabushii, ingrate ragazzine umane». E a quella che definiva presunzione, curandosi di non essere osservata, Tara roteò gli occhi al cielo – “oh no, un altro esaltato che parla in terza persona”, pensò. Quel vampiro si era battuto un pugno sul petto, gonfio di fierezza e privo di vergogna; la marcata mascella quadrata era stretta in un sorriso che aveva palesemente l’obiettivo di mostrare i lunghi canini bianchi. Per avere il titolo di Capitano, quell’uomo avrebbe dovuto avere un’età matura, ma il suo aspetto non lo dimostrava affatto: l’unica ruga che presentava il suo viso era una cicatrice sulla guancia destra, che altro non rappresentava che la fierezza con la quale era solito scendere in battaglia.

E dal lato opposto della tavola, piazzato tra Subaru e Reiji, si ergeva il suo antipodo. Il Tenente Kagesurou non era silenzioso e pacato come il lord, ma il suo carattere non gli consentiva di andare d’accordo con Mabushii; l’uno sfavillante, l’altro tenebroso. «Buffone» gli disse, infatti, gli occhi rossi piccoli e cattivi a fissare il suo rivale. Antagonisti da sempre, Kagesurou prediligeva la riservatezza all’esagerazione. Spalle sottili e gambe lunghe, un vestiario sobrio ed elegante che faceva a cazzotti con la sua carica militare.

Tre personaggi diversi a cui le ragazze presenti in sala non avrebbero mai affibbiato un’immagine vampiresca, eppure anche loro erano creature della notte dedite al sangue e, di conseguenza, al dolore altrui. Aya li osservò uno ad uno, senza batter ciglio. «Piacere di conoscervi», disse a nome di tutte. In condizioni normali non si sarebbe fatta problemi a nascondere dell’entusiasmo; ciononostante, il suo volto non ospitava espressione alcuna.

«Ragazzi, da quanto tempo», fece Teddy, alzando una zampina. «Saranno duecento anni che non ci vediamo.»

Gli rispose il Capitano Mabushii: «Teddy, vecchio mio, ancora intrappolato in quel pezzo di stoffa?»

Annuì. «Non si sta tanto male, una volta che ci fai l’abitudine.»

Lord Mizukensei posò lo sguardo sul peluche, ruotando di poco il capo. «Yo, Tatsuya-san.»

L’orso incrociò le braccia al petto, negando con la testa. «No, Mizu-san, non sono più Tatsuya. Kanato-kun ha deciso che il mio nome deve essere Teddy, e Teddy sono.»

«Quel moccioso ti comanda fin troppo. Che fine ha fatto lo stregone che incuteva terrore con un singolo sguardo?»

«È morto insieme al mio vecchio corpo.» E poi mise fine al discorso, rivolgendosi al Sakamaki: «Continua pure.»

Reiji annuì. «La farò breve poiché non c’è tempo da perdere. Dobbiamo recuperare Harumi-san e Miki-san il prima possibile. Temo che il nemico le abbia già individuate.» Kin sobbalzò e si portò entrambe le mani alla bocca per reprimere un urlo – ma non emise neanche un suono. «Mi sfianca passare sempre per il catastrofico della situazione, tuttavia devo pur avvertirvi dell’ipotesi più propensa a realizzarsi. Potrebbero morire. Non che possa dispiacermene, ma le conseguenze potrebbero essere alquanto una seccatura» sibilò, scoccando un’occhiata a Selena.

La ragazza in questione puntellò i gomiti sulla tavola, afferrandosi il capo stanco con le mani. «Non solo Miki, adesso anche Harumi-san. Si sono entrambe volatilizzate nel nulla. La responsabilità è mia, lo so e me l’assumo.» Guardò i presenti in sala. «Spero possiate aiutarmi a ritrovarle.»

Tara ebbe così modo di osservare gli occhi dell’amica: erano stanchi, colmi di rabbia e delusione, d’amarezza, di voglia di tornare ai vecchi tempi, a quando le loro vite erano identiche a quelle di qualsiasi altra ragazza del loro paese; sarebbe stato bello svegliarsi all’improvviso e scoprire che era stato tutto solo un sogno, guardarsi attorno e ritrovarsi in camera propria, poi vestirsi, scaraventarsi in strada e vedere la vita continuare a procedere placidamente. Sarebbe stato bello scorrazzare per il parco e trovare Harumi in compagnia dei suoi boy-scout, alle prese con le istruzioni per montare le tende da campeggio, in allenamento per la gita programmata per ogni estate; sarebbe stato bello passare accanto alla chiesa e incontrare Yui, indaffarata a staccare vecchi avvisi dalla bacheca del sacro luogo per poter far spazio ai nuovi. Sarebbe stato bello proseguire un altro po’ e imbattersi in Miki, in piedi alla fermata dell’autobus aspettando il mezzo di trasporto, perché doveva immediatamente correre all’università per una lezione straordinaria; sarebbe stato bello, poi, fare un salto al supermercato per fare qualche acquisto necessario, l’essenziale per il pranzo e la cena di quel giorno, e incrociare Tara con le buste della spesa colme di farina e uova, perché al piccolo albergo gestito dai suoi genitori erano finiti gli ingredienti base per preparare la colazione. Sarebbe stato bello giungere dinanzi al municipio per dare uno sguardo alle comunicazioni cittadine, e notare Kin seduta sulla panchina poco più in là dell’entrata, indaffarata a scarabocchiare qualcosa sul suo quadernetto; e subito accanto al Comune, Selena ed Isako in fila all’ufficio postale, sempre affollato di lunedì, sempre circondato da un inconfondibile aroma di caffè. Nessun Mondo Parallelo, nessun omicidio, nessuna complicazione – soprattutto, nessun vampiro.

«Bah», gorgogliò Mabushii, «voi umane siete stomachevoli. Cosa vuoi che importi al sottoscritto di due ragazzine che hanno deciso di suicidarsi?»

Yui sussultò visibilmente, attirando l’attenzione di Ayato. «Loro non hanno istinti del genere», s’azzardò a dire.

Il Capitano sbatté le grosse mani sulla tavola, affacciandosi per vedere meglio la ragazza. «Tu osi ribattere a un’affermazione di me medesimo? Sai con chi stai parlando, biondina? Ti potrei distruggere semplicemente alzando un dito.»

Ayato gli scoccò un’occhiataccia. «Modera i toni, Capitano di ‘sto cazzo.»

«Ah?! Credo di non aver capito bene. Puoi ripetere? Sempre se ne hai il coraggio.»

Quasi gli diede una testata a causa della loro stretta vicinanza. «Tu, piuttosto, ne hai parecchio di coraggio. Il sottoscritto è un Sakamaki, quindi un tuo superiore. Se non fosse per me, tu neanche avresti questa carica.»

«Ma se ho quattrocento anni più di te, marmocchio!»

«Marmocchio?!»

«Ayato, ti prego di moderare i toni.»

«Non ti ci mettere anche tu, maniaco della porcellana!»

Una risata leggera si levò nell’aria. «Andiamo, ragazzi, non credete sia meglio essere tutti amici?» domandò Laito. Poi guardò Selena, dicendole: «Puoi contare su tutti noi, Clever-chan.»

La blu era solita storcere il naso quando il quintogenito la chiamava in quel modo, tuttavia gli mostrò un sorriso riconoscente. «Grazie, Laito-kun.»

Il vampiro le sorrise di rimando. Si voltò verso Tara, accomodata alla sua destra, e la sorprese a fissarlo; non cambiò espressione, e le strinse una mano con la propria, accarezzando il dorso con il proprio pollice.

In quel momento, una cartina geografica – ben più grande rispetto a quella posseduta dalle ragazze – venne srotolata sulla tavola. Reiji afferrò una bacchetta sottile, lunga abbastanza per poter additare ogni luogo presente sulla mappa senza doversi protrarre in avanti. Ignorò il nervosismo crescente. «Signori, abbiamo indugiato anche troppo. Direi di andare dritti al punto.» Indicò l’ubicazione dell’appartamento delle ragazze. «Questo è il dormitorio delle umane. Asano Miki si è mossa da qui durante la notte, presumo quasi all’alba, data l’ora di rincaso di ieri. Calcolando il tempo trascorso finora e considerando che le sue prestazioni fisiche lasciano molto a desiderare, non può essersi allontanata troppo.»

Il Tenente Kagesurou fece un cenno d’assenso. «Sappiamo dove era diretta?»

«Le sue intenzioni», rispose Selena, «erano quelle di raggiungere il villaggio delle streghe. Ci teneva così tanto. Tuttavia, nessuno di noi conosce le sue coordinate.»

«Per l’appunto.»

«La questione è molto semplice», riprese Kagesurou. «Se era alla ricerca di una città sconosciuta, è poco probabile che si trovi in centro in questo momento. Scommetto che si è addentrata nella foresta Haidoku.»

Reiji annuì. «Ci troviamo d’accordo. Batterei ugualmente la città, poiché il secondo soggetto, Yamada Harumi, possiede un pessimo senso dell’orientamento. Ipotizzo che possa essersi persa da queste parti», e puntellò la zona ovest della capitale. «Dopotutto, è via da poche ore.»

«Facciamo così. Io esploro la città con le umane, e voi perlustrate Haidoku.»

«Tenente», lo chiamò Tara, colta da un’improvvisa voglia di sapere, accuratamente coperta da rispetto ed educazione. «Nulla da togliere alla Sua autorità e alle Sue decisioni, ma se io preferissi esplorare la foresta?» “Che girare per la città mi mette un’ansia assurda, con tutta quella gentaglia carnivora”, pensò, evitando tuttavia di pronunciare ad alta voce.

Il Capitano Mabushii rise sguaiatamente. «Certo che sei ignorante.»

Tara stava per chiedere spiegazioni, quando sentì un respiro profondo provenire da sole due sedie di distanza dal proprio posto a sedere; si voltò ed era Lord Mizukensei, il quale schiuse le labbra: «Hai significa veleno. Doku significa polmone». La fissò con sguardo severo. «Quella foresta è una trappola mortale.»

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Questa storia sta diventando il delirio più totale. Ed io? Be’, non sono da meno. Mi sono diplomata, mi sono iscritta all’Università e attualmente lavoro part time presso una testata giornalistica – lo stress lo devo pur riversare su qualcuno, no? E quel qualcuno deve pur essere Reiji-san, no?

Reiji: Vorrei tanto prenderti a cinghiate per poi prosciugarti fino all’ultima goccia di sangue.

Nuuu-- Se lo facessi non potrei più finire questa storiella ;(

Reiji: Ma che peccato. Tanto non ti legge più nessuno.

Eh no, i miei lettori non mi hanno abbandonata! C’è ancora chi mi segue, ancora chi aspetta aggiornamenti. After all this time? Always. Vi amo guys. Grazie per il sostegno.

Dai, ora torno a studiare, che la sessione invernale non si è ancora conclusa. Mi manca il liceo :’)

-Channy

 

 

Post Scriptum: sono troppo in fissa con The Promised Neverland. E niente. Ciao.

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Capitolo 29
*** Them, Soul and Teardrops ***


THEM, SOUL AND TEARDROPS.

 

 

«Hai significa veleno. Doku significa polmone. Quella foresta è una trappola mortale.»

 

Uno schiaffo in faccia; una guancia arrossata, formicolio, bruciore. Selena non era stata realmente colpita, ma la sensazione che provava era paragonabile a quella violenza; forse no, forse era più forte e assillante, come un pugile che l’aveva messa all’angolo e continuava a colpirla con i suoi guantoni duri sporchi di sangue e sudore. “Che significa?”, pensava in continuazione come una dannata. Non aveva bisogno di una risposta poiché le parole del lord erano state inequivocabili, pertanto si sarebbe potuto affermare che il suo incubo peggiore era in procinto di concretizzarsi? Era di nuovo sull’orlo della perdita, perdita di persone ricoprenti un ruolo insostituibile nella sua vita? Si passò una mano sulla fronte, tentando di alleviare l’emicrania che le stava martellando le tempie, l’ennesima preoccupazione a saltarle sulla schiena – e se fosse arrivata troppo tardi?

«Selly», si sentì chiamare. Alzò il capo e lo sguardo, fino a quel momento entrambi puntati sul bordo del tavolo, e incrociò due perle rosa; erano gli occhi di Yui, dai quali avevano iniziato a scendere silenziose lacrime. «Selly, che facciamo?» Accanto alla bionda, Tara era sbiancata; la sua espressione era apparentemente immobile, ma il suo corpo stava tremando come una debole foglia ingiallita mossa dal vento autunnale.

Selena avrebbe tanto voluto piangere: sarebbe stato liberatorio. Per un momento, pensò che avrebbe potuto sfogare quel dolore crescente all’altezza del petto, pensò che sarebbe andato bene, sarebbe stato comprensibile agli occhi di tutti. Tutti? Anche i vampiri presenti in sala l’avrebbero compresa? No. L’avrebbero guardata dall’alto, con le loro arie snob, e le loro bocche affilate avrebbero unicamente sottolineato l’inettitudine della forza umana. Ma lei non avrebbe dato loro quella succulenta soddisfazione, mai. «Mi sembra piuttosto ovvio», sentenziò drizzando la schiena. «Iniziamo immediatamente le ricerche. Ritroveremo entrambe e le porteremo al sicuro.»

Che poi, dov’era quel sicuro di cui parlava? Non ne aveva idea, non era più certa di niente. Le sarebbe piaciuto affermare che le avrebbe protette tutte, che era lei stessa a rappresentare un rifugio, un luogo di salvezza – ma non ne era pienamente convinta. La verità era crudele, ma l’aveva accettata, era stata costretta a farsene una ragione. Essere stata risucchiata da quella sfera di dolore l’aveva moralmente provata; credeva di aver superato la morte dei suoi genitori, credeva di aver finalmente preso il controllo della sua vita e di starla plasmando come meglio riteneva – tuttavia, la vista di quei due cadaveri, così familiari e allo stesso tempo lontani, le aveva spostato il baricentro. Come avrebbe fatto a trovare nuovamente l’equilibrio che le serviva per continuare a vivere come desiderava?

Reiji la osservò con attenzione. Guardò la sua silhouette composta, i suoi capelli ordinatamente raccolti, il suo sguardo austero – e pensò che fosse una donna forte. Poi posò gli occhi sul profilo del suo volto, sulle sue ciglia lunghe e sulle sue mani curate – e pensò che fosse anche bella. Il potente orgoglio che da sempre lo comandava gli avrebbe impedito di ammetterlo ad alta voce, ma non c’era alcun male a limitarsi a pensarlo. Tra i tratti caratteristici che rendevano Reiji se stesso, unico e inimitabile, c’era sicuramente la schiettezza; a prescindere da ciò che aveva da dire, il secondogenito Sakamaki aveva l’incredibile abilità di saper trovare le parole giuste. Valeva per gli altri, valeva anche per sé. Semplicemente, si era detto che non c’era nulla di male nei suoi pensieri; Selena era bella, era un complimento. Una lode che, tuttavia, non le avrebbe mai rivelato. Sosteneva segretamente che fosse una persona coraggiosa, dal grande spirito, dalle spalle forti e tanta pazienza; un assurdo incrocio tra eleganza e disordine, un’imperfezione che la rendeva vera, quasi a dire che lei era realmente lì, non era mera immaginazione. Un controsenso da mal di testa, il sassolino apparentemente insignificante che avrebbe reso scomoda la calzatura più confortevole mai creata. Se solo Selena fosse stata un vampiro, probabilmente non si sarebbe fatto troppi problemi a intraprendere una relazione con lei. Dopotutto, che male c’era? Non apprezzava il comportamento frivolo dei suoi fratelli – specialmente di Ayato e Laito – nei confronti delle donne, ma ciò non significava affatto che non gli sarebbe piaciuto conoscere qualcuna. Avrebbe reputato interessante il condividere le proprie idee con lei, scavare fino a raggiungere il fondo della sua mente, bere il tè con accompagnamento di diplomatici discorsi; gli sarebbe piaciuto anche avere dei rapporti intimi, un dai e ricevi per nulla scandaloso o clandestino, una riservatezza da non nascondere a nessuno – era anche lui una creatura, dopotutto, e come tale possedeva nel proprio corpo delle voglie sessuali. Ma Selena non poteva andare bene, perché lei aveva quel dannato senso di giustizia e adorava litigare, non si lasciava sottomettere e non demordeva facilmente quando in ballo c’era qualcosa o qualcuno a cui teneva; lei lottava con le unghie e con i denti, colpiva a suon di argomentazioni e moralismi, ed era così tanto una seccatura che Reiji aveva finito per trovarla eccitante. Che passare troppo tempo con una comune umana lo stesse facendo impazzire?

Un pugno sul tavolo, una debole crepa a partire da quella mano bianca; Subaru detestava scorgere l’espressione afflitta di Kin. Scandì a denti stretti: «Basta perdere tempo. Andiamo. Ora.»

E la rossa lo ringraziò con un sorriso timido.

 

 

***

 

 

Quell’asfissiante emozione che circolava per tutto il suo corpo era impazienza allo stato puro. Solitamente non era il tipo da arrendersi all’agitazione, poiché prediligeva di gran lunga mantenere l’animo leggero, esprimersi con una scrollata di spalle e risultare essere l’elemento di positività all’interno della squadra di cui faceva parte. Eppure, in quel momento, la preoccupazione era eccessiva anche per lui.

Fissava quella ricetrasmittente nera con gli occhi quasi fuori dalle orbite; camminava avanti e indietro per la stanza, in lungo e in largo, per tutto il perimetro percorribile, ma il suo sguardo rimaneva ancorato a quell’oggetto rettangolare posato sulla scrivania. Passarono minuti interi, tempo che andava ad addizionarsi alle ore passate in quella camera. La chiamata prevista per quel giorno era in ritardo. E lui non era in grado, in quei momenti apparentemente eterni, di ragionare con lucidità; nella sua mente si susseguivano scenari negativi, contorti, alcuni atroci e inquietanti. Nonostante la freddezza del suo animo gli avesse permesso di far parte di quella delicata operazione, lo stomaco chiedeva solo di rovesciare l’ultimo pasto.

E poi, senza alcun preavviso, la ricetrasmittente emise dei suoni statici. Quasi si tuffò sull’apparecchio, rispondendo alla comunicazione. «Sei tu?»

Dall’altra parte, un soffio. «Certo che sono io. Qua tutto okay. Arriveremo entro domattina.»

Senza sentire la necessità di chiedere altro, si sentì sollevato; fece qualche passo indietro, per poi lasciarsi crollare sul materasso del proprio letto. «Che fortuna. Mi serviva proprio questa notizia.»

«Che intendi dire? È successo qualcosa?»

Si passò una mano tra i capelli, scostandoli dal viso. «Un bordello. La ragazza è ancora prigioniera, la tengono in ostaggio. Inoltre…»

«Inoltre?», l’esortò.

Sospirò, afflitto. «Inoltre hanno scoperto che loro sono arrivate qui. Ed è stata colpa mia, sono stato io a fotografarle. Ma sono stato costretto, ho dovuto seguire gli ordini di quello là.»

La voce dall’altro capo non si scompose. «Sta’ tranquillo. Stai facendo bene il tuo lavoro.»

«Ma io…», esitò. «Due di loro sono sparite. Una è nella foresta Haidoku, dell’altra non si sa ancora nulla.»

«Be’, che ci vuoi fare? Che si muovessero era abbastanza prevedibile. Hanno le gambe anche loro.»

«Sì ma il punto non è questo.» Sollevò il busto per mettersi seduto, per poi afferrarsi la testa con la mano libera. «Ha sguinzagliato i cani per trovarle. Proprio in questo momento sono in perlustrazione. Sono ovunque.»

Sentì una breve risata provenire dalla ricetrasmittente. Poi, nuovamente serietà: «Cazzo. Questa non ci voleva.»

 

 

***

 

 

Annusò il terreno, alla ricerca di indizi. Orme, capelli, oggetti personali, una traccia qualsiasi per risalire alla ricercata – eppure tutto sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Aveva ben adocchiato l’aria da perlustrare, in più conosceva quella zona come le sue tasche, e allora perché s’interfacciava unicamente con il nulla?

«Voi laggiù», chiamò con voce autoritaria, ferma persino in momenti bui come quello che la sua squadra stava vivendo proprio in quelle ore, «avete novità?»

Gli uomini fecero un cenno negativo, spazientiti e amareggiati; si trattava pur sempre del loro lavoro, il mestiere che avevano coltivato per anni, la specialità che li aveva resi ineguagliabili e unici nel loro genere, delle perle poliziesche sempre al massimo del loro splendore – ma non allora.

«Solo terriccio ed escrementi animali, Capitano.»

«Sempre molto preciso nei rapporti, sei!»

Uno di loro si mise a ridere apertamente, consapevole tuttavia incurante della pessima situazione in cui versavano le indagini; se un comune umano fosse stato lì, in mezzo a loro, avrebbe sicuramente definito quella risata con l’aggettivo raccapricciante: acuta, con una punta di divertimento e tutto il resto cattiveria, un ghigno sovrannaturale e amplificato dal suo pessimo senso dell’umorismo.

«Per cortesia, falla finita», lo rimproverò l’uomo con la carica più alta.

Ma egli continuò a sbellicarsi, quasi forzando il proprio riso sinistro; per tale mancanza di serietà, venne nuovamente ammonito. Rispose, dunque: «Andiamo, cerchiamo di dare una svolta positiva alla giornata.»

«Devi prenderla con negatività, invece. Ti rendi conto di quello che significa, vero?»

«Certo che lo so. L’avrò sentito dire almeno venti volte, qual è il nostro obiettivo.»

«Se è così, faresti meglio a preoccuparti.»

Cambiò improvvisamente umore: da esplicitamente divertito si trasformò in una lastra ghiacciata e pungente. «Preoccuparmi? Io?» Schioccò la lingua. «È quello lì che deve coprirsi il culo, non io.»

I soldatini più semplici rabbrividirono di paura, sforzandosi di non darlo a vedere: e se il Grande Capo avesse udito quelle parole? Quali sarebbero state le conseguenze per tutti? Conoscevano bene la sua ira…

«Sì, tu.»

«Ma fammi il piacere!»

Avrebbe tanto voluto saltargli al collo per azzannarlo – era un desiderio che stava ribollendo nelle sue vene come lava incandescente in un vulcano in attività. Si mantenne, tuttavia, curandosi dell’immagine di sé che avrebbe lasciato ai sottoposti che, tremanti e insignificanti, stavano assistendo a quello strambo teatrino messo in piedi dai due capitani della repentina spedizione, poli opposti nell’aspetto fisico e in quello caratteriale.

«Io lo posso far fuori quando voglio, quel figlio di puttana», sputò. «Non è e non sarà mai nessuno.»

«Te lo ripeto. Datti una calmata.»

«Lo ammazzo, quello!»

«Shin!», tuonò allora. La sua pazienza stava velocemente gocciolando via insieme alla bava alla bocca. «Piantala.»

L’altro sgonfiò il petto, intimorito dal rimprovero più severo – anche se non l’avrebbe mai ammesso. Confessò: «Fratello, non mi sta bene fare il burattino di quello. Mi fa incazzare, non voglio essere comandato.»

Per l’ennesima volta, non diede peso alla presenza degli altri: era sicuro al cento per cento che nessuno di loro avrebbe fatto la spia. «Concordo pienamente. Ma ricorda, la pazienza è la virtù dei forti.»

Shin esibì l’ennesimo ghigno. «E i forti vincono.»

Sorrise malvagiamente anche l’altro. «Proprio così.»

Il morale collettivo si risollevò tutto d’un fiato, come se avessero ricaricato le energie con delle batterie nuove di zecca; eppure, una grossa questione ancora li turbava: dove era finito l’Obiettivo Sei?

 

 

***

 

 

«Di preciso, Lord, di che cosa stiamo parlando?»

«Prego?»

«La foresta pericolosa, il polmone velenoso.»

«Sì.»

«Ecco, mi stavo chiedendo, che cosa intende esattamente con questa affermazione? Che significa che è una trappola mortale?»

«Il nome. L’aria non è ossigeno. È veleno. In molti sono morti lì.»

«Già, il punto è proprio questo. Perché noi», esitò, «umane non possiamo perlustrare quella zona, mentre a voi vampiri è concesso? Esistono condizioni specifiche sul tasso di pericolosità?»

«Lascia che te lo spieghi io, Milady. Come ha detto Lord Mizukensei, quella grossa fetta di vegetazione è circondata da particelle aeriformi tossiche. Tuttavia, vivendo in questa terra, a Vamutsuchiin, le sue specie animali e i vampiri hanno sviluppato un antidoto naturale per le suddette tossine. Senza contare la prontezza del nostro sistema immunitario. Per noi sarebbe come respirare aria comune. Ma per voi umane il discorso è ben diverso, naturalmente.»

«Non potremmo indossare delle protezioni? Per esempio, non saprei, maschere antigas? Dovremmo essere libere di essere noi a decidere cosa fare e dove andare.»

Scosse la testa con fare rassegnato. «Milady, per quale motivo devi sempre complicare tutto? Sei una sadomasochista?»

 

Nonostante quelle parole, Selena l’ebbe vinta. L’evento scaturito da Reiji che, sospirando pesantemente, le dava ragione era da segnare su un calendario a caratteri cubitali – se non fosse stato per un dettaglio fondamentale: l’armata di difesa della Capitale era del tutto sprovvista di ogni tipo di protezione adatto alle umane che, tradotto a una Tara con le speranze in frantumi, significava arrendersi e seguire il piano già organizzato dagli strateghi.

Ecco spiegato il motivo per il quale si era trovata per l’ennesima volta a passeggiare per quelle strade affollate di non-vivi, circondata da occhiate disprezzanti e altre persino affamate. Nonostante il giracollo dotato di stemma reale fosse in grado di far ragionare vampiri sconosciuti e destarli dal pensiero di saltarle addosso, si toccava in continuazione i capelli rosa in modo da coprire i segni dei denti di Laito ancora freschi. “Tutti devono sapere che questo schianto è la mia ragazza”, aveva detto mentre si leccava gli angoli della bocca sporchi di sangue, ma Tara voleva solo diventare invisibile e tornare a casa il prima possibile. Si sentiva fuoriluogo, un topo che non poteva far altro che zampettare nel buio per paura di essere sgamato e ucciso senza pietà. La sua vita non era in pericolo – o almeno così credeva – ma si chiedeva in continuazione come diavolo fosse finita lì quando, due mesi prima, viveva una vita tranquilla con i suoi genitori nell’albergo di famiglia. Accoglieva i clienti con le loro valigie, non mani gelide e canini appuntiti sulla propria pelle. Sorrideva per trasmettere ospitalità, e non per salvarsi dalle occhiatacce di nobili non-umani. Chiacchierava per intrattenere clienti, non stava in silenzio per paura di mancare di rispetto a qualche importante personalità. Del resto, lei, cosa ne sapeva di chi fossero quegli esseri dall’aria diplomatica?

Il Tenente camminava con una postura austera, calpestando il pavimento con fredda gentilezza, con cadenza decisa, con una meta ben fissa nella sua testa, nonostante paresse che stesse girando in tondo. Se ne stava zitto, invogliando i suoi seguaci a fare lo stesso, emanando un’aura intimidatoria e fiduciosa allo stesso tempo – quale bislacco controsenso! Che fosse un suo potere? o forse solo una sua straordinaria capacità naturale, nata nel momento in cui aveva assunto quel ruolo all’interno delle forze militari vampiresche?

Subito dietro di lui, le ragazze si guardavano attorno alla ricerca di qualche traccia utile al ritrovamento delle due componenti mancanti da ormai troppo tempo. Eppure, nonostante la loro preoccupazione avesse raggiunto livelli decisamente alti, i loro pensieri avevano toccato anche un’altra nota dell’agghiacciante sinfonia che era Vamutsuchiin: c’era qualcosa di decisamente strano nell’aria, e nessuna di loro avrebbe dato la colpa all’odore di erba bagnata che proveniva dalla zona forestale poco più avanti; era qualcosa di molto più infimo, la buia profondità di una depressione marina improbabile da esplorare, un nascondino inquietante e ansiogeno.

«Restate indietro», le avvertì Kagesurou. «Poco più avanti c’è il confine con Haidoku.»

«Perché siamo qui?», domandò Yui con timore e timidezza. «Non dovevamo restare in città? Questa è la zona del Capitano Mabushii.»

Non la guardò neanche – era troppo insignificante ai suoi occhi. «Ho sentito qualcosa.» Si voltò senza aspettare risposte e riprese a camminare, lasciando che le umane osservassero la sua schiena farsi più lontana.

Avvertivano il pericolo e temevano di non poter resistere a quel potente richiamo: nelle loro orecchie, un urlo insonoro pregava loro di continuare con la marcia, nonostante non fosse la migliore delle idee. E l’unica tra loro a trovare il coraggio di andare avanti, fu Tara. In un attimo, infatti, si ritrovò accanto al Tenente, come se fosse stata un suo pari o un’amica di vecchia data che gli passeggiava fianco a fianco, in silenzio e la pelle ruvida a causa dei brividi.

Fu solo allora che si rese conto di quanto grave fosse la situazione in cui si era ritrovata: davanti ai suoi occhi color pece, il corpo inerme di Harumi pareva essersi tramutato in un gelido cadavere; i capelli verdi della giovane le ricoprivano il viso, nascondendo gli occhi chiusi e il colorito pallido, mentre il petto si alzava e abbassava quasi impercettibilmente, rendendo evidente che un briciolo di vita stesse ancora scorrendo nelle fibre della giovane atleta. Si catapultò su di lei, incredula e con le lacrime agli occhi: aveva bisogno di toccarla, di assicurarsi che non fosse solo un brutto scherzo dell’immaginazione – ma Harumi c’era, era proprio lì, svuotata da ogni tipo d’energia, fatta eccezione per la vitale già nominata.

«Avevo detto di rimanere indietro», sibilò Kagesurou; si stava rivolgendo non solo a Tara, ma anche alle altre ragazze che l’avevano raggiunta, terrorizzate all’idea di perdere un altro tassello del puzzle.

«Deve aver respirato troppo veleno. Dobbiamo portarla immediatamente in ospedale», decretò Selena. Si rivolse poi ai soldati che aveva alle calcagna: «Dei paramedici, presto! Chiamate qualcuno!» E loro le obbedirono senza pronunciar parola alcuna

Il Tenente restò in piedi, guardando Harumi dall’alto e restando indifferente a tutto quel dolore. «Non mi sono sbagliato, l’odore che ho sentito era il suo.» Si portò una mano alla tempia, disegnando dei piccoli cerchi immaginari con il dito indice. «Qualcosa non torna.»

Selena si rimise dritta, interessata al ragionamento del vampiro. «Cosa intende?»

La fissò privo d’espressione. «Ti senti mancare il respiro? Ti gira la testa? Provi un qualsiasi tipo di malessere fisico?»

Le sembrava di star avendo una conversazione con Reiji, perciò mantenere il petto gonfio non fu difficile – questione d’abitudine. «Affatto.»

«Esattamente. Perché in questo punto il veleno è presente, ma l’ossigeno della città prevale. È impossibile che abbia perso i sensi qui. Deve esserle successo qualcosa.»

La giovane donna non ebbe il tempo di rispondere, poiché un’altra voce prevalse sulla propria e catturò l’attenzione di tutti i presenti. «Harumi si è addentrata nella foresta ed è stata colpita da una gran quantità di veleno. Sono stata io a trasportarla fuori. Se fosse rimasta dentro solo un altro minuto, sarebbe morta.»

La prima a riconoscere la proprietaria di quelle parole, fu Tara. Alzò lo sguardo e vide una ragazza in piedi, a pochi metri dal loro gruppo: i capelli color lillà toccavano terra, ma le ciocche davanti erano strappate e dunque più corte; grosse occhiaie incorniciavano quegli occhi color corteccia, sottolineando la stanchezza di notti insonni, muscoli infuocati e spalle incurvate. Quel suo corpo era ricoperto da una veste di un candido bianco, se solo il tessuto non fosse stato sporco di terra e polvere; le stava larga, scivolandole giù da una clavicola e lasciandogliela scoperta, in bella vista un ematoma violaceo.

Non l’aveva mai vista in quelle condizioni: dove stavano le sue gonne a palloncino? E le camicette di seta? Quel suo sorriso, stupendo nonostante l’apparecchio odontoiatrico? Balbettò, incerta dei propri stessi pensieri: «Fumie-chan?» Le pareva lei, eppure era così diversa da come se la ricordava. E poi, lei non avrebbe neanche dovuto trovarsi lì.

La ragazza non accennò a muoversi. Rispose: «Mh, più o meno.»

Tara si sentì gli occhi umidi di pianto. «Cosa…? Cosa significa? Cosa ci fai qui? Tu eri in Canada, eri andata con i tuoi, dovevi stare via per tutta l’estate…»

«Sì», fece la lilla, «questi dovevano essere i piani. Ma Fumie ha visto qualcosa che non doveva vedere.»

Fu il turno di Yui di intervenire. «Perché all’improvviso parli in terza persona? Fumie-san, cosa ti è successo?»

Scosse il capo. «Fumie è in un altro luogo. Io sono solo il suo spirito.»

«Spirito?!», s’intromise Selena. «Com’è possibile? Fumie non ha fatto il rituale dello specchio!»

L’anima accennò un sorriso, ma tutto ciò che riuscì a mostrar loro fu solamente una smorfia. «Esiste un altro modo per richiamare gli spiriti sulla Terra. Loro hanno usato quello.»

«Loro chi?»

«Quelli del Mondo Parallelo.» La Fumie ultraterrena emise un sospiro. «Sono stati loro a prenderla.»

Rimasta accanto al Tenente Kagesurou, Aya fissò con intensità la persona che era apparsa; era sicura di averla già vista da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove. Incontrare quegli occhi vuoti era come imbattersi in un déjà vu sfocato, in rumori ovattati e uno strano formicolio s’era impossessato delle sue mani, ben salde nelle tasche anteriori dei suoi blue jeans. Si sforzò di non dare a vedere il proprio malessere – doveva trattarsi solo uno strambo viaggio mentale, giusto? Quello spirito aveva un’espressione così sconvolta e triste che pareva non averla neanche vista, o forse l’aveva notata eccome e semplicemente non la conosceva, quindi perché preoccuparsi tanto di un flash visivo e sensitivo durato poco meno di un secondo?

Tara scattò in piedi e avanzò verso lo spirito. «Fumie-chan è stata catturata? Dove si trova adesso? Dobbiamo andare a prenderla, non può restare lì, ovunque sia!»

La fermò stendendo un braccio in avanti, la mano aperta come un cartello di stop. Disse, con una calma che per niente si addiceva alla situazione: «Non avanzare ancora. Rischi di respirare troppo veleno e finire come Harumi.»

«Devo salvarla!», urlò Tara in lacrime. «È mia cugina, devo salvarla!»

La coscienza tentò nuovamente di sorridere. «Sì.»

«Dove si trova?», ripeté.

Fumie la fissò, vitrea e distrutta dalle torture subite nei giorni precedenti. «Azusa lo sa.»

 

 

***

 

 

Era strano.

Continuava a girarsi nel letto, rotolandosi tra quelle lenzuola profumate di buono e cuscini morbidi come nuvole bianche, la sua musica preferita a massaggiargli il padiglione auricolare – eppure il mondo dei sogni pareva irraggiungibile. Non riusciva ad abbandonarsi completamente alla pesantezza delle palpebre chiuse, al rilassamento dei muscoli delle braccia e soprattutto delle gambe, che lo avevano trascinato fino alla sua camera da letto, su quel giaciglio a baldacchino fin troppo ampio per qualcuno che normalmente dormiva come un sasso. Era il lusso che poteva concedersi, in quanto primogenito del padre e figlio prediletto della madre – nonostante tutto, percepiva la mancanza di qualcosa.

Era strano. E seccante.

Si mise a sedere, infastidito dalla stoffa stropicciata e l’eccessiva morbidezza del materasso; pensò che, forse, camminare a zonzo lo avrebbe sfinito e avrebbe potuto addormentarsi nel bel mezzo del corridoio, per poi essere trasportato indietro da dei maggiordomi di passaggio. Così si rimise le scarpe e s’alzò, sentendosi come se non fosse mai stato assalito dalla sonnolenza, la sua mente ancora impegnata a cercare una risposta plausibile a quel ronzio che aveva in testa: cos’era quella straziante sensazione all’altezza del petto?

Era strano. E seccante. E asfissiante.

Asfissiante, come se si fosse improvvisamente dimenticato come respirare, come se i polmoni gli fossero stati strappati via e la ferita chirurgica non fosse stata ricucita, come se il sangue continuasse a sgorgare, un fiume in piena eccessivamente disastroso persino per lo straordinario sistema immunitario di un vampiro di appartenenza reale. Erano anni che Shuu viveva nella più completa apatia e gli era sempre andato bene: nessuna preoccupazione, nessun rompicapo, niente di niente, solo pace, tranquillità e un buon violino ad accompagnare le sue monotone giornate. Interi anni, fino a quel momento.

Era strano. E seccante. E asfissiante. E tremendamente rumoroso.

Vagò per il castello, senza voglia e senza meta; un corpo vuoto, strisciante su quei tappeti costosi e raffinati, evitando la luce del tramonto ormai prossimo per non costringere gli occhi. Riconobbe che non era stata affatto una buona idea, poiché vedere i quadri dei suoi antenati scovarlo in ogni singolo angolo di quella gigantesca costruzione gli dava sui nervi. Detestava dover essere incatenato tra quelle mura, era allergico a tutte quelle regole e restrizioni, ed essere il successore al trono non rientrava affatto nelle sue intenzioni e ambizioni future. Desiderava solo andarsene via, lontano dalle urla dei propri fratelli e dai giudizi puntigliosi degli altri nobili, trasferirsi in un paradisiaco cottage in montagna e vivere di semplicità, ricoperto dal rumore del niente, crogiolandosi tra i fili d’erba e il birichino polline svolazzante. A rispondere ai doveri della famiglia reale, ci avrebbe sicuramente pensato Reiji: suo fratello minore era decisamente più portato per quel ruolo. Non gliene importava molto, ma l’intolleranza del secondogenito riusciva a mandarlo su tutte le furie, anche se non lo dimostrava mai apertamente. Non gliela voleva dare vinta – andarsene senza fare il minimo rumore, ecco ciò che voleva. Essere libero. Libero come Harumi.

Aprì gli occhi di scatto, risvegliandosi da un assordante stato di trance: da dove aveva tirato fuori quell’improvviso paragone? Il sorriso sprizzante d’allegria di quella ragazza gli era comparso davanti senza che lo avesse veramente voluto, come il miraggio di una fresca oasi nel bel mezzo di un arido deserto. Si grattò la nuca, a disagio, nonostante non vi fosse anima viva nei dintorni. Ci stava provando, ce la stava davvero mettendo tutta, ma i risultati erano nulli. Stava tentando di smetterla di stare in compagnia di quella umana, anche a costo di non assaggiare più quel sangue che riteneva essere fin troppo delizioso; era frizzantino come una bibita gasata, con un retrogusto dolceamaro in grado di mandarlo in estasi. Harumi Yamada era un mistero, e Shuu si stava lentamente, progressivamente e inconsciamente trasformando in una sorta di detective per decifrare quei messaggi in codice, per scovare degli indizi al fine di leggere la sua anima tormentata. Ma se nella vita aveva imparato a riconoscere l’astrattismo, il sentimento che incontrava con prevalenza era la sofferenza. Si era stancato di stare male, di provare tristezza, di piangere come un bambino, lontano dagli occhi indiscreti di amici e paranti. Il fuoco del passato di Harumi aveva spolverato un vecchio ricordo nella coscienza del vampiro – un quadro vecchio e ardente. Era stato in quel momento, in quell’incandescente maniera che aveva tratto la più grande e disastrosa conclusione della sua esistenza: lui era in grado unicamente di far soffrire. Se non si fosse affezionato a quel pastore tedesco, il cucciolo non sarebbe stato soppresso; se si fosse impegnato nello studio scolastico e nel bon ton, sua madre avrebbe sorriso di più; se non avesse voluto bene a quel ragazzino, il suo villaggio non sarebbe mai diventato un braciere. Dunque, la soluzione a tutto era allontanarsi e svuotarsi: quale modo migliore per non addolorarsi più?

Aveva funzionato ottimamente, almeno fino a quando quella ragazza non aveva fatto capolino dalla porta della villa. Energica e travolgente come un tornado, aveva messo a soqquadro tutto, facendo crollare le certezze di carta di Shuu. Gli trotterellava attorno, rideva a gran voce, s’afferrava la pancia con le mani per sorreggersi dalle eccessive risa, gli saltava addosso per farlo arrabbiare, anche se sapeva che andava sempre a finire con un morso e sangue succhiato via, ma lei non perdeva mai quel sorriso contagioso. Era semplice, sincera e spontanea, un tormento in grado di superare il volume della musica e dei pensieri, però era anche profonda e matura; in segreto e in silenzio, persino con se stesso, aveva adorato quando l’aveva vista alle prese con i bambini del paese nel quale abitava: quei marmocchi pendevano dalle sue labbra e l’avrebbero seguita in capo al mondo, fedeli e leali a sua immagine e somiglianza. E quella chioma verde gliela ricordava per davvero, quell’infinita distesa di campi primaverili in cui avrebbe voluto trascorrere il resto della sua eterna esistenza.

Una morsa al cuore immobile accompagnò un tragico ricordo – averla vista in quelle condizioni disperate, rinchiusa in quella sfera del dolore, era stato il colpo di grazia. Si era sentito infuriato col mondo, avrebbe voluto tirare innumerevoli pugni a qualsiasi cosa e non era neanche in grado di coglierne la motivazione. Osservare quell’umana in lacrime davanti al cadavere del proprio fratello era stato distruttivo. Un unico pensiero era passato per la mente del maggiore dei fratelli Sakamaki: “Non soffrire, non tu”, perché non se lo meritava affatto. Ma Harumi era stata male eccome, e per di più era anche sparita. Perché non l’aveva fermata?

Shuu si lasciò scappare l’accenno di un sorriso, incerto tra il tenero e l’amaro. Il suo intento era tenerla il più lontano possibile, prima che lasciarla andare diventasse completamente impossibile, prima di affezionarsi, prima di provare qualcosa per lei, prima di desiderare di volerla accanto per davvero. Nonostante tutti i suoi sforzi, riconosceva d’aver fallito.

Harumi era strana. E seccante. E asfissiante. E tremendamente rumorosa.

E gli mancava più di ogni altra cosa.

 

 

***

 

 

Estrasse dalla propria tasca un walkie talkie e lo avvicinò alla bocca. «Qui Kagesurou. Mi ricevete? Passo.»

La risposta arrivò immediatamente. «Gran Capitano Mabushii a rapporto. Che cazzo vuoi? Passo.»

«Lord Mizukensei, mi riceve anche lei? Passo.»

«Affermativo. Passo.»

«Hey, figlio di puttana, non ignorare Mabushii! Passo!»

«Taci. Ho una comunicazione urgente. Passo.»

«Cosa è successo? Passo.»

«Abbiamo trovato Yamada Harumi. È stata intossicata dalla foresta. Passo.»

«L’avete già portata in ospedale? Passo.»

«D’urgenza. È probabile non superi la notte. Passo.»

«Che rimbecillita. Ma sa leggere o no il giapponese?! Asano Miki, piuttosto? Passo.»

«Negativo. Passo.»

«Te che mi dici, Mizukensei? Passo.»

«Negativo. Passo.»

«Per oggi ci ritiriamo. Passo.»

Quando la conversazione – che per nulla si addiceva a tre esponenti delle forze militari di Vamutsuchiin – fu terminata, il Tenente ripose la ricetrasmittente al proprio posto e tornò a rivolgersi alle umane; si scusò formalmente e in maniera distaccata per gli scarsi risultati delle ricerche di Miki, che pareva essersi volatilizzata in tutto e per tutto. Ma ancora non aveva fatto i conti con la furia di Kanato, che aveva atteso in silenzio tombale il ritorno delle squadre di perlustrazione sul ciglio dell’ingresso del palazzo; nonostante fosse infuriato per il gesto compiuto dalla sua bambola – aveva preferito avventurarsi chissà dove, a lui! – in cuor suo sperava facesse ritorno. Era il primo desiderio puro che gli nasceva dentro, stando ai suoi distorti e malati ricordi, e per quanto tentasse d’ignorare quell’innocente richiesta del proprio animo, non riusciva a distogliere l’attenzione da quegli occhi color oceano, da quelle labbra fini, da quella pelle pallida celante sangue così buono, così dolce e, doveva ammetterlo, così importante. Di Miki gli mancava tutto, eppure non si era precipitato fuori dalle mura reali per cercarla in lungo in largo, come invece avevano fatto i suoi fratelli: non era riuscito a non farsi sopraffare dal dolore, da quella rabbia che anche il quel momento gli ribolliva nelle vene, tanto da farlo assomigliare a una pentola a pressione o, maggiormente pericoloso, a una bomba a orologeria. Aveva semplicemente lasciato che se ne occupasse Teddy, sotto il consiglio dell’ex magone stesso.

E quando vide tornare le umane a mani vuote, si era sentito ugualmente svuotato. La sete si faceva sentire con sempre più intensità, e non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto trattenersi. In condizioni normali, non si sarebbe fatto problemi a lasciarsi esplodere – ma a Vamutsuchiin nulla sarebbe stato a posto. Era consapevole che se avesse rovesciato anche un solo spillo, le conseguenze non sarebbero state liete e lievi. Dovette costringersi a correre via, diretto alle proprie camere, dove aveva intenzione di rinchiudersi e sfogarsi, l’unico luogo in cui nessuno avrebbe potuto interferire.

Era infuriato e così triste; si sentiva abbandonato dall’unico essere vivente a cui teneva per davvero, all’infuori del suo migliore amico. Miki era semplicemente tutto, e così com’era arrivata, se n’era andata. Una coltellata all’altezza della pancia, un dolore indescrivibile persino per un essere immortale come lui, che di ferite ne aveva sentite tante nel corso della sua longeva vita.

Tirò un pugno sullo scrittoio della camera da letto dipinta di viola, riducendolo dapprima in due irregolari metà e successivamente in migliaia di minuscoli frammenti. Urlò: «PERCHÉ MI FAI QUESTO?!» Pianse istericamente, ferendosi le mani con schegge di legno e chiodi arrugginiti, poiché erano passati troppi secoli da quando erano stati fissati a quel mobilio.

Gli faceva male la testa, ma continuò a sbatterla contro il muro, nel disperato tentativo di perdere i sensi, di sparire per sempre, di dimenticarsi di ogni dispiacere una volta per tutte. Le guance gli solleticavano a causa delle lacrime e i suoi stessi canini gli stavano spaccando le labbra, quella stessa bocca che tanto avrebbe voluto poggiare su quella di Miki prima di abbandonare completamente quel mondo che detestava con tutto se stesso, quell’odio represso e manifestato e mai sufficiente per colmare quello strangolante senso di vuoto che lo accompagnava sin dalla sua sciagurata nascita.

«Torna, Miki-chan», supplicò al nulla, sussurrando come se stesse confessando un segreto. «Torna da me, torna da me, torna da me.» Era un disco rotto, un repeat infinito, un vinile incantato su quella nota dolente e sanguinante. «Torna da me, torna da me, torna da me, TORNA DA ME!»

La porta si spalancò; Teddy corse sulle proprie gambe corte e affiancò Kanato, reggendogli la testa ferita e le spalle tremanti. «Respira.»

«No.»

«Respira.»

«NON VOGLIO!»

L’orso di peluche sospirò, tentando di nascondere la medesima tristezza. «Non peggiorare la situazione, Kanato.»

Il violetto si voltò a guardarlo, il suo viso stropicciato e distorto. «Miki-chan mi ha abbandonato.»

Teddy abbassò il capo, ricordando il contenuto della lettera che la ragazza aveva scritto per il vampiro; non era un testo lungo, piuttosto era coinciso, pulito, esaustivo e devastante. “Non mi dimenticare, Kanato-kun”, era una delle frasi più dolenti contenute nella missiva, “perché io non posso dimenticarti”. Una dichiarazione d’amore mascherata, una dolcezza da far sorridere ma che riusciva solo a farlo piangere, a farlo contorcere dall’amarezza – che il lieto fine non esistesse per lui?

«Tornerà.»

Il vampiro lo guardò, rimanendo per qualche istante in silenzio. «Ne sei sicuro, Teddy?»

Abbassò il capo. «Per niente.» Non gli diede il tempo di rispondere, poiché aggiunse: «Ma tu devi credere in lei. Parliamoci chiaro, Miki-chan è deboluccia, ma ho visto il modo in cui ti guarda. Farà di tutto per tornare da te. L’ha anche scritto.»

Tirò su col naso, le lacrime ancora a sgorgargli dagli occhi. «Il modo in cui mi guarda?»

Teddy annuì, sicuro di sé. «Ti guarda esattamente come tu guardi lei. Siete innamorati.»

Kanato s’imbrunì ancora di più. «L’Amore non è fatto per i vampiri.»

L’orsetto gli carezzò il capo. «L’Amore è irrazionale, è imprevedibile. Va dove gli pare e se ne frega dei pregiudizi e degli stereotipi. E Kanato, tu meriti di viverlo appieno.» Fece una breve pausa, tamponando con della stoffa la fronte insanguinata del ragazzo. «È la cosa più bella che ci sia, una soddisfazione che va oltre all’appagamento fisico che conoscete voi vampiri.» Accennò un sorriso. «Per esempio, guarda Laito come si è rincretinito per la ragazzina con i capelli rosa. Stravede per lei, eppure non la sta toccando neanche con un dito.»

«Il sangue», lo interruppe, cercando appigli immaginari dove aggrapparsi. «Miki-chan mi serve per il sangue. Non posso vivere senza quello.»

«No, Kanato», gli rispose. «Tu potresti uscire da questa stanza e andare a caccia di prede. Potresti catturare decine di donne, prosciugarle e aggiungerle a quella tua collezione. Ma non lo stai facendo.»

Rimasero in silenzio per alcuni attimi, contemplando un oggetto invisibile dinanzi ai loro occhi.

«Non stai andando a caccia, perché tu vuoi Miki-chan. Perché sai che niente e nessuno potrebbe sostituirla.»

«Mi ha lasciato solo. Se n’è andata. La odio. La voglio ammazzare.»

Teddy scosse la testa. «Non ti ha lasciato solo. Se n’è andata per un nobile scopo. Vuole dimostrare a se stessa e a tutti di essere forte, di essere degna di stare accanto a te, che sei di gran lunga più potente.»

Kanato sgranò gli occhi, le mani strette in due pugni ferrei e immobili.

«E poi», continuò il peluche animato, «tu la ami. E vuoi solo proteggerla dal mondo.»

Il vampiro ricominciò a piangere, stavolta in silenzio e con il capo chino.

 

 

***

 

 

Guardarono Kanato correre via tra le urla e tra le lacrime, provando in cuor loro il desiderio di comportarsi allo stesso modo.

In contrapposizione al violetto, Shuu era rimasto completamente immobile, in piedi al centro di uno dei saloni che ingrandivano il perimetro e l’area della residenza del Re; i suoi soliti auricolari non erano ancorati alle sue orecchie, bensì erano scivolati giù, poggiandosi sulle possenti spalle coperte da una maglia bianca, eppure addosso gli pareva di avere un’incudine di abnormi dimensioni. Aveva sentito ciò che aveva detto il Tenente Kagesurou alla ricetrasmittente, e aveva ben visto le espressioni cadaveriche delle altre umane. L’ennesima ondata di pungente consapevolezza s’abbatté su di lui: era tutta colpa sua.

«Avresti potuto fermarla.»

A girare e affondare il coltello nella piaga non fu la rabbia di Selena, né il sarcasmo di Tara; a parlare era stata Yui, sul suo volto delusione e rassegnazione.

Il vampiro non rispose, a corto di argomentazioni.

«Avresti potuto fermarla», ripeté la bionda, «ma non l’hai fatto. Ci avresti impiegato cinque secondi.» Gli mostrò la mano pallida. «Un secondo per alzarti», e abbassò il pollice. «Un secondo per raggiungerla», e abbassò il mignolo. «Un secondo per afferrarla», e abbassò l’anulare. «Un secondo per portarla indietro», e abbassò il medio. «E un secondo per impedirle di dimenarsi e fuggire di nuovo.» Abbassò l’ultimo dito, portando poi il pugno chiuso al lato del proprio corpo.

Il biondo non abbandonò il silenzio, limitandosi a distogliere lo sguardo dagli occhi di Yui.

Quest’ultima continuò: «Cinque secondi, Shuu-san. Ma tu hai preferito dormire.»

Schiuse le labbra e disse piano: «Mi dispiace.» Eppure, anche quelle scuse gli parevano inutili e ininfluenti – pronunciarle gli era costato una fatica immensa, ma quell’energia impiegata per parlare era immediatamente svanita nel nulla, dinanzi alla tragica realtà dei fatti.

Fu allora che l’umana scoppiò a piangere, rifugiandosi tra le braccia di una Kin tremante di dolore e rabbia; se avesse avuto le voce, si sarebbe messa a sbraitare contro il primogenito dei Sakamaki, gli avrebbe addossato un miliardo di sensi di colpa e non ci sarebbe andata piano come aveva fatto Yui. Si limitò a stringere l’amica tra le braccia, mentre lei continuava a lacrimare. «Harumi-san morirà», balbettò. «Non voglio che muoia, non voglio!»

Selena si accostò a lei, scostandole i capelli dal volto bagnato. «Sai bene quant’è caparbia. Ce la farà.»

Yui annuì, cullando a sua volta la tristezza di Kin.

In quel momento, Aya si voltò per guardarsi indietro: aveva sentito qualcosa, come un richiamo, un sussurro del proprio nome, un fruscio d’aria quasi impercettibile. E i suoi occhi confermarono ciò che le orecchie avevano udito. Il Capitano Mabushii avanzò attraverso la porta della sala, marciando con serietà e arie di grandezza; alle sue spalle, i fratelli Sakamaki mantennero il medesimo atteggiamento.

Teddy si guardò rapidamente attorno, colto da preoccupazione e malessere. «Kanato?», domandò per sapere informazioni.

Aya rispose: «È corso via.»

L’orsetto si lanciò al suo inseguimento, già conscio di dove il suo migliore amico si fosse diretto.

Mabushii prese la parola, rivolgendosi a Kagesurou: «Mizukensei è rimasto fuori. Ha detto che doveva controllare delle cose.»

«E a te non è fregato nulla.»

«Io dovevo cercare due verginelle umane. Non me ne frega un cazzo del resto.»

«E se riguardasse i paralleli? Sei imbarazzante.»

«Bada a come parli, merda ambulante.»

Reiji s’impose tra i due nel tentativo di placare gli animi; eterni rivali, ecco chi erano Mabushii e Kagesurou: il fuoco infernale e il freddo polare, l’azione immediata e la tattica infima, la luce accecante e il buio assorbente; si punzecchiavano, si sfidavano, il primo con rigorosa evidenza e il secondo con velata nervatura, perché erano troppo diversi tra loro per far parte di una fraterna cooperazione per un bene comune.

Non prevalsero i rimproveri del secondogenito Sakamaki, bensì una sola parola pronunciata da una voce femminile: «Azusa-kun».

Il vampiro in questione volse il capo in direzione di Tara – era stata lei a chiamarlo; la trovò con il viso ombrato poiché inclinato verso il basso, ma ben presto lo rialzò, facendo incastrare i loro rispettivi occhi. La ragazza marciò verso di lui e, inaspettatamente, lo afferrò per il colletto della camicia e lo strattonò. «Dimmi dov’è Fumie-chan.»

Lui sgranò gli occhi. «Fumie?»

Mantenne la voce ferma, nonostante avesse gli occhi rossi di pianto. «Dimmi dove cazzo è Fumie-chan.»

Laito s’accostò alla ragazza, mentre Ayato domandava: «Che cosa sta succedendo?»

Tara guardò il terzogenito, senza tuttavia mollare la presa dall’indumento di Azusa. «È molto semplice», scandì. «Questo qua ci sta nascondendo troppe cose importanti. E non mi sta affatto bene.»

Azusa deglutì, ingerendo la propria saliva. «Come fai a sapere di Fumie?» In condizioni normali, avrebbe finto di non sapere nulla, ma la rabbia che emanava Tara suggeriva che ogni tentativo di difesa sarebbe risultato vano.

La ragazza rispose: «Abbiamo incontrato il suo spirito appena fuori dalla foresta Haidoku. È stata lei a trarre Harumi in salvo.»

Il vampiro parve riflettere ad alta voce. «Il suo spirito, mh? Se l’hanno lasciata andare, vuol dire che la situazione si sta complicando.»

Si avvicinarono anche Kin, Selena e Yui, circondando Azusa in una morsa di preoccupazione e curiosità; anche i fratelli Sakamaki si fecero attenti: nessuno tra loro sapeva chi fosse la Fumie di cui stavano parlando, però quel discorso stava prendendo una piega contorta e di fondamentale importanza per il proseguimento delle questioni politiche e sociali che l’intera Vamutsuchiin stava affrontando.

«Di quale situazione stai parlando?»

Azusa prese le mani di Tara e se le scollò di dosso con gentilezza. «Ascoltatemi bene», iniziò con lentezza e rivolgendosi alle umane. «La prigionia di Fumie è solo uno dei punti di cui sono a conoscenza. Non è un bel momento per parlarne, perciò vi chiedo di pazientare solo un altro po’. Presto vi sarà tutto più chiaro.»

«No, Azusa-kun!», sbraitò Tara. «Non posso aspettare ancora! Mia cugina è tenuta prigioniera e io devo andare a tirarla fuori da quel posto di merda!»

«Tara-san, tu non puoi fare un bel niente», le rispose il finto umano. «Quella roccaforte pullula di controlli e brutte fecce. È meglio che se ne occupi qualcun altro.»

«Qualcun altro chi?!»

«Non temere», rispose Azusa, scoccando un’occhiata ai fratelli Sakamaki. «Presto saranno qui.»

 

 

***

 

 

Un sonno agitato aveva preso il sopravvento sul suo riposo, che tanto aveva desiderato fosse tranquillo prima di coricarsi.

Selena era fisicamente esausta e mentalmente distrutta. Prima di partire per quella folle avventura aveva immaginato che sopravvivere non sarebbe stato affatto semplice, eppure mai avrebbe potuto prevedere il realizzarsi di un tale disastro. Le pareva di trovarsi di fronte all’eruzione di un enorme vulcano: per quanto tentasse di fermare l’inesorabile avanzare della lava bollente e dei fumi e della cenere, si ritrovava a tossire a causa dell’aria irrespirabile e a fuggire a gambe levate, alla ricerca di un nascondiglio resistente alla forza di Madre Natura.

Neanche nei sogni, ormai, riusciva a trovare un soffio di sollievo. Ma quello che le era apparso dietro le palpebre era ben diverso da un comune incubo che chiunque avrebbe potuto concepire. Davanti a sé, circondata nel buio più totale, una piccola perla fatta di luce prese a parlare contro ogni aspettativa degna di un mago della predizione: “Domani, Selly. Fai attenzione a domani”.

La blu s’agitò tra le coperte, ancora incosciente. «Domani? Cos’altro succede domani?»

“Domani, Selly. Ormai è domani.”

«Cosa sei?»

“Sono te.”

«No. Cosa sei?»

“Te, Selena. Ti sto parlando dal Mondo degli Umani.”

Stava sostenendo una conversazione con la propria anima, eppure non riusciva a riconoscerla: quella voce era diversa, alterata, disumana perché angelica, un calore rassicurante, eppure non portava buone notizie con sé.

«Domani cosa?»

“Isako.”

«Isako? Che significa?»

“Domani.”

«Cosa succede domani a Isako-nee?!»

“Domani. Isako. Non puoi farci niente.”

«Parla, cazzo! Ti prego, dimmi che sta succedendo!»

La sfera luminosa parve sorridere: “Buona fortuna”. Scomparve nel nulla, così com’era venuta.

Selena si svegliò urlando, il suo corpo imperlato di sudore.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

La sessione estiva è finita e io SONO TORNATA! Studiare per gli esami è stato estenuante, ma sono ancora viva. Non ho impiegato molto tempo a scrivere questo chappy, quindi conto di battere il prossimo il prima possibile!

A parte la comparsa degli Tsukinami (vi aspettavate anche loro??), avete capito cosa sta succedendo? Cosa accadrà ‘domani’? Chi è Fumie e che cosa ha visto? Perché Aya si guarda sempre attorno? Harumi riuscirà a superare la notte? Dov’è finita Miki? Shuu la smetterà di dormire? A chi si riferisce Azusa? L’anima di Selena, cosa le ha detto? E dove sono finiti Karlheinz e le sue mogli? Tutte queste domande troveranno presto le loro risposte, se continuerete a seguire questa storia! Fatemi sapere che ne pensate ^^

A presto,

–Channy

 

 

Post Scriptum: nel prossimo capitolo ci sarà una sorpresa per farmi perdonare per l’assenza ;)

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